RICORDO DI ALESSIO - lecese.it · L’autobus partirà invece Sabato 6 alle ... Luigi Cellini di...

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IN RICORDO DI ALESSIO Con profonda commozione ho letto gli articoli che avete pubblicato sull’ultimo numero del vostro mensile. A nome mio, di mia figlia Cristina e di mio marito Mario, sento il dovere di ringraziare tutti voi della redazione per la vostra profonda partecipazione e approfitto del giornalino per estendere pubblicamente il ringraziamento indistintamente a tutta la popolazione di Cese per l’affetto dimostrato. Ci è di grande conforto sapere quanti buoni sentimenti Alessio ha saputo suscitare in chi lo ha conosciuto e frequentato nella sua breve vita. Ci piace ricordarlo per quel ragazzo solare e generoso che è sempre stato, sempre pieno di cose da fare. Perchè, come diceva sempre, lui la vita se la godeva. La sua perdita deve essere di insegnamento per tutti. Conosciamo la data della nostra nascita ma a nessuno è dato conoscere l’altra. Nel ricordo di Alessio, facciamo nostra la sua filosofia e viviamo a 360 gradi la vita che ci è dato ancora vivere. Per quanto doloroso possa essere, è nostro preciso dovere farlo, per noi che ci siamo ancora e per Alessio e gli altri che continueranno a vivere solo se noi sapremo onorarli . Grazie a tutti. Di cuore. Maria, la mamma di Alessio Quello della prima “Voce” non era un giorno qualunque. Decidemmo di uscire nella festività di San Vincenzo nonostante avessimo solo due settimane per pensare, redarre, impaginare e stampare. Volevamo però che il giornalino nascesse già con una netta vicinanza alle vicende di Cese. Due facciate “a4”, niente di impossibile. Oggi, dopo tre anni, le facciate sono dodici e le uscite trentasei. Ma i numeri contano poco in questi casi, e non avrebbe senso misurare in cifre il legame che “la Voce” e le Cese hanno costruito, imparato, in caso riscoperto. Emerge ogni volta che si attende l’uscita a fine mese, o si richiede una copia cartacea da conservare, o si mostra la collezione di tutte le uscite riposte con cura. Spesso è questa “Voce” a dare ufficialità ad un evento o una ricorrenza, o anche visibilità ad un messaggio. Questa è probabilmente la dimensione più importante che siamo riusciti a costruire: il fatto che oramai questo foglio sia riconosciuto ed apprezzato davvero come la voce del paese, uno spazio di comunicazione, e spesso di riflessione. Nessun’altra pretesa, da tre anni facciamo questo, con impegno e sacrificio, se non altro perché ci crediamo. Qualcuno dirà che c’è poco di titanico e di velleitario in un giornalino di una piccola comunità. Io credo però che si possa lavorare bene, con l’impegno che richiedono le “grandi” cose, se davanti a tutto, all’origine di tutto, c’è un’idea. Probabilmente è il respiro a renderci più grandi, è la consapevolezza di un progetto e mai la mediocrità della routine. Anche perché dietro c’è la stessa speranza che chi semina ripone nei propri gesti faticosi. A volte costa caro, a volte è dura, e vorresti vedere come si sta dall’altra parte del foglio, ma poi realizzi che l’impegno di un progetto vuole tempo, e dedizione, e soprattutto costanza. La voce della gente ti dice che le Cese apprezza questo impegno... e lo merita. Auguri alla Voce. E grazie. Mensile gratuito della ProLoco di Cese dei Marsi Anno IV Numero 36 31 Maggio 2009 Roberto Cipollone

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IN RICORDO DI ALESSIO Con profonda commozione ho letto gli articoli che avete pubblicato sull’ultimo numero del vostro mensile. A  nome mio,  di mia  figlia  Cristina  e  di mio marito Mario,  sento  il  dovere  di  ringraziare    tutti  voi  della redazione per la vostra profonda partecipazione e approfitto del giornalino per estendere pubblicamente il ringraziamento  indistintamente  a  tutta  la  popolazione  di  Cese  per  l’affetto  dimostrato.  Ci  è  di  grande conforto sapere quanti buoni sentimenti Alessio ha saputo suscitare  in chi  lo ha conosciuto e frequentato nella  sua breve vita. Ci piace  ricordarlo per quel  ragazzo  solare e generoso  che è  sempre  stato,  sempre pieno di cose da fare. Perchè, come diceva sempre,  lui  la vita se  la godeva. La sua perdita deve essere di insegnamento per tutti. Conosciamo la data della nostra nascita ma a nessuno è dato conoscere l’altra. Nel ricordo di Alessio, facciamo nostra la sua filosofia e viviamo a 360 gradi la vita che ci è dato ancora vivere. Per quanto doloroso possa essere, è nostro preciso dovere farlo, per noi che ci siamo ancora e per Alessio e gli altri che continueranno a vivere solo se noi sapremo onorarli . Grazie a tutti. Di cuore. 

                                                                                                  Maria, la mamma di Alessio 

                   

Quello della prima “Voce” non era un giorno qualunque. Decidemmo di uscire nella festività di San Vincenzo nonostante avessimo solo due settimane per pensare, redarre,  impaginare e stampare. Volevamo però che  il giornalino nascesse già con una netta vicinanza alle vicende di Cese. Due  facciate “a4”, niente di  impossibile. Oggi, dopo tre anni, le facciate sono dodici e le uscite trentasei. Ma i numeri contano poco in questi casi, e non avrebbe senso misurare in cifre il legame che “la Voce” e le Cese hanno costruito, imparato, in caso riscoperto. Emerge ogni volta che si attende l’uscita a fine mese, o si richiede una copia cartacea da conservare, o si mostra la collezione di tutte  le uscite riposte con cura. Spesso è questa “Voce” a dare ufficialità ad un evento o una ricorrenza, o anche visibilità ad un messaggio. Questa è probabilmente la dimensione più importante che siamo riusciti a costruire:  il  fatto che oramai questo  foglio sia riconosciuto ed apprezzato davvero come  la voce del paese, uno spazio di comunicazione, e spesso di riflessione. Nessun’altra pretesa, da tre anni facciamo questo, con impegno e sacrificio, se non altro perché ci crediamo. Qualcuno dirà che c’è poco di titanico e di velleitario in  un  giornalino  di  una  piccola  comunità.  Io  credo  però  che  si  possa  lavorare  bene,  con  l’impegno  che richiedono  le  “grandi”  cose,  se davanti  a  tutto,  all’origine di  tutto,  c’è un’idea. Probabilmente è  il  respiro  a renderci più grandi, è la consapevolezza di un progetto e mai la mediocrità della routine. Anche perché dietro c’è la stessa speranza che chi semina ripone nei propri gesti faticosi. A volte costa caro, a volte è dura, e vorresti vedere  come  si  sta  dall’altra  parte  del  foglio, ma  poi  realizzi  che  l’impegno  di  un  progetto  vuole  tempo,  e dedizione,  e  soprattutto  costanza.  La  voce  della  gente  ti  dice  che  le  Cese  apprezza  questo  impegno...  e  lo merita. Auguri alla Voce. E grazie.  

Mensile gratuito della Pro‐Loco di Cese dei Marsi Anno IV Numero 36 ‐ 31 Maggio 2009  

Roberto Cipollone

RIPENSANDO AL PRIMO MAGGIOdi Vincenzo Mancinelli 

                

No no, tranquilli, non vi parlo di un concerto, né del caldo di Piazza San Giovanni, o del numero dei par‐tecipanti che non coincide proprio mai tra le stime della questura e quelle degli organizzatori... anzi, sapete cosa  vi dico?  Per quest'anno  che  c’importa del  superconcertone  romano:  si parte per Collebrincioni,  tre macchine e un pick‐up stracarichi di giovani, di voglia di fare e di tanta, ma tanta sana solidarietà marsicana! 

Io capito sul pick‐up con Alessandro, velocità di punta 81 Km orari e a finestrini rigorosamente chiusi, con noi  tutti  gli  attrezzi  di  bottega  per  preparare  la  cena  per  l'intera  tendopoli:  pecora  paesana  e  insalata dell'orto. Il viaggio, bè cosa dirvi: vedevo l'Aquila con gli occhi e le parole di Alessandro, lui il terremoto l'ha vissuto davvero, non a 100 e più km come me, e non vi nego che più si camminava e più il cuore si faceva un pizzico, e il desiderio di arrivare non mi teneva neanche più attaccato alla cintura. 

Collebrincioni è davvero un bel paesino, la distanza che lo divide dall'Aquila si calcola in natura: boschi e altipiani da quelle parti  la fanno da padroni.  Il paesino a colpo d'occhio sembrava presentarsi benone, ma l'immagine di centinaia di tende blu adagiate in quello che una volta doveva essere un campo da calcio, mi è bastata per farmi ricredere tanto sui danni quanto sulla paura. 

Ci mettiamo di corsa all'opera... che squadra ragazzi, forti davvero, al punto che quel pizzico di imbarazzo che divideva noi e loro si cancella con un colpo di spugna, e così via a far chiacchiere con i nuovi amici, feli‐cissimi della nostra presenza e dell'affetto dimostato tanto dal nostro paese, quanto dalle associazioni rap‐presentate: la Pro Loco e la Rete. Chi si occupa di una cosa, chi di un'altra, chi con bravura e chi con malde‐stria, basta poco e  il calore del  fuoco e  i profumi di carne alla brace  invadono  il campo; nella  tenda della mensa c'è posto proprio per tutti, speriamo solo che i lupi non scendano a farci visita. I complimenti per la bontà della cena e per la gentilezza dimostrata sembravano non finire mai, e la cosa ancora più affascinante e che complimenti del genere sono quelli che colpiscono nel segno, perché carichi del profumo dell'onestà. 

Si sistema alla buona la cucina da campo e si procede con la serata, e come nella migliore tradizione qual è il denominatore comune per un buon Abruzzese? Il Montepulciano... Mamma quanti "vicchieri", per dirla alla  collebrincionese; e mentre  il  campo  si preparava per  la notte ecco arrivare  la prima e unica nota di demerito per gli amici volontari: Cese esce sconfitta su campi di gioco di cruciale  importanza per  le radici popolari: sonore batoste registrate nella morra e nel biliardino. 

Si fa tardi, anzi tardissimo, ed è ora di riposare anche per noi, alcuni ci salutano per tornare a Cese, noi ci accomodiamo in una di quelle tende blu sistemata ad hoc per ospitarci e tocchiamo con mano la triste realtà di non aver un vero tetto sulla testa. Io ho la fortuna di riposare alla grande, il resto della tribù la sfortuna di esser capitato in tenda con me, maestro di epiche russate notturne, ma, come dire, anche nella sfortuna si prende quel poco di buono che si  trova: sono  il primo a svegliarmi e ad uscire dalla tenda concedendo ai miei amici un'oretta di sogni tranquilli. Esco dalla tenda a testa bassa ripensando alle "panocchie" subite alla morra  della  sera  prima,  e mi  rendo  conto  di  essere  davvero  contento:  sto  facendo  una  bella  cosa,  il Volontario, e la cosa ancor più bella è che lo faccio con enorme piacere, perché vedo in queste persone una riconoscenza  infinita, chissà per che cosa poi! Ci rimettiamo all'opera e  la cucina torna ad essere  il nostro palcoscenico... io così tanti "quagliatéjji" non li avevo mai visti, si mangia, si sistema e arriva il momento che lascia l'amaro in bocca: i saluti... vabbò questi non ve li racconto, ve li lascio immaginare... 

Desidererei però concludere con un saluto a tutti i presenti a Collebrincioni e a tutti i cesensi che, seppur non  fisicamente,  sono  stati  comunque  con noi  in questa meravigliosa  iniziativa,  e mi  sento  in dovere di rivolgere un saluto ancor più sincero ai cari amici di Collebrincioni, giovani e anziani, che, contrariamente a quanto potranno mai  immaginare, hanno dato a noi una possibilità unica di apprezzare  valori  che piano piano andiamo sempre più dimenticando... una palestra di vita unica, GRAZIE DI CUORE.    

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Arianna ed Eugenio Cipollone 

LA FESTA DEGLI ANZIANI  

                   

Sebbene  si  sia  fatta attendere  rispetto al passato, anche quest’anno non poteva mancare  la  festa degli anziani che si è svolta lo scorso 2 maggio qui a Cese. Circa 70 i presenti tra “fedelissimi”, “new entry” e  i ragazzi della Pro‐Loco e dell’Azione Cattolica che ancora una volta si sono impegnati per regalare una bella serata agli anziani del paese. Così, dopo la Messa delle 18:30, tutti al Palentino per far festa insieme! 

Ovviamente, molti arrivano nel  locale  con  il  consueto‐larghissimo‐anticipo  che ormai non  sorprende più, ma che anzi ci fa sorridere (sebbene ci lasci a stento il tempo di definire gli ultimi dettagli). La serata, allietata da buona musica, è andata avanti tra una portata, un ballo, del buon vino ed un’estrazione della pesca.  Fortunatamente  tutti  contenti!!  S’è  pensato  ad  un  premio  per  ognuno  e  poi  i  “riconoscimenti” speciali ai presenti: “all’anziana più anziana” (Rosina la falegnama), alla coppia di sposi più longeva (Irta e Giovannino) ecc.    Immancabili, durante  la cena, gli stralci di racconti,  la rievocazione di ricordi che, sulle loro labbra, nei loro occhi, diventano poesia e che puntualmente sono tornati a condire un appuntamento che non è più soltanto tradizione, ma occasione d’incontro, confronto e crescita soprattutto per i giovani coinvolti. 

E poi… gli aneddoti, le battute, le risate, il sano pettegolezzo… lì a testimoniarci che il loro spirito non si arrende  ai  piccoli  o  grandi  acciacchi.  E  ancora…  richieste  di  replicare  l’appuntamento  entro  l’anno, complimenti e benedizioni a noi ragazzi che pensavamo, anche quest’anno, di regalare qualcosa a loro, ed invece eccoli lì, a darci l’ennesima lezione… di “voglia d’incontro”, di senso della comunità, di amore per il paese, di gratitudine, di tempra morale, della vera grandezza che sta nella semplicità. 

p.s. Chi fosse interessato ad un copia a colori della foto qui riportata può rivolgersi come sempre ad Alfredo. 

5‐7 GIUGNO: PELLEGRINAGGIO AL SANTUARIO DELLA SS.TRINITÀPer  il  gruppo  a  piedi  l’appuntamento  è  Venerdì  5  alle  18:30  davanti  la  Chiesa  di  Santa Maria  per  la benedizione e la partenza. L’autobus partirà invece Sabato 6 alle 5 circa della mattina. Come è consuetudine da più di dieci anni, la Pro‐Loco offrirà il pranzo del sabato ai Prati della Signòra. 

GIOVEDÌ 4 GIUGNO: “GLI ANGELI DELLA MARSICA” Luigi Cellini di Trasacco, Rossella Ranalletta di Celano ed Alessio, i tre giovani marsicani che hanno perso la vita nel terremoto dell’Aquila, saranno ricordati con una cerimonia commemorativa in piazza Risorgimento ad Avezzano il prossimo giovedì 4 Giugno. Alle 17 sarà celebrata una messa a suffragio in cattedrale; alle 18 avverrà  la  consegna  delle  lauree  “ad memoriam”  da  parte  del  professor  Ferdinando  Di  Orio,  Rettore dell’Università dell’Aquila. Alle 18.30 poi un concerto di gruppi musicali locali. 

Sonnà nonn‐è proebbito ‐ di Lorenzo Cipollone 

SANTO MIDDIO MI’! ‐  E chi ci resalle ‘ncima?! ‐  Ma  pecché,  ancora  v’addorméte  fòre,  dentro  la  machina?  Cérto  che  ‘nsu‐lle‐mura  èste  fatto  ‘no 

parcheggio de lusso… ‘mméso la piazza……. lontano dalle casi…… ‐  Fòre  nó, ma  ‘n‐pianoterra  scì.  Sémo  fatti  trè  létti alla  cocìna  e addó’ magnémo,  stémo  loco, pronti 

pronti pé’ scappà fòre. ‐ Se tenéte témpo. Ma lo sa’ tu che succète quanno fa jo tarramuto? ‘Ntanto quijo brutto, jo tarramuto pé’ 

ddavero, vè’  sempre de notte. Facci caso ‘ppó’. La prima cósa che succète è che se nne va la luce e tu non te rénti cunto de gnènte. Quanno arrivi a penzà che sta a ffa’ jo tarramuto, t’arriva ‘na preta ‘n‐capo e te móri. 

‐ Ma va ‘ppó’ a quij‐atro‐paeso, te ‘ó’ sta’ zitto o nó?!  Non lo viti ca jo sta a ‘mpaurì più tanto de quelo che già è?!. Jo  róto, mó  era  rósso  pé’  ddavero,  era  rósso  comme  jo  fatto  che  stévano  a  ddice,  e  puri  pecché,  dièce menuti prima, n’atra scòssa j’era cacciati fòre dalle casi.  A parlà, però, erano sempre jji stissi.  Jo primo, che parlava più de tutti, era quìjo che tenéva ‘na paura che lèvate. Quìjo che ‘gni sera se refritiéva e  refritiéva  e  non  era mai  l’ora  de  ìresenne  a  dormì.  E  ppò’  s’addorméva  a  bocc’alla‐porta.  E  parléva, parléva. L’erano capito tutti che tenéva ‘na tremarella ‘ncórpo, jo ficevano parlà e ppó’ jo refrechévano ‘N atro che, sempre pé’ paura o pé’ fassella passà, s’era létto tante cóse sujji tarramuti, s’era sentite tutte le trasmissiuni e s’era fatto trovà dajji figli ‘no sito de internet e conosceva tutti i tarramuti che facevano ajjo munno. Quanno la moglie ci diceva che ci poteva èsse stata cacche scossa, isso jéva subbito ajjo computer pé’ vete’ addó’ era succéso. Ma loco ancora no’ ci steva gnènte, e allora diceva alla moglie che no, nonn‐era succéso. Po  ci  stéva  quijo  che  diceva  d’èsse  fatalista:  se  atéva  succète  che  s’atéva morì  sotto  jo  tarramuto,  che succetésse… isso non se poteva morì ddu’ ‘òte. Pé’ urdimo  ci  steva  jo  ‘ngignéro. Quijo  che  raggionéva,  che diceva  cómme  se dovarrìano  costrui  le  casi, quìjo che diceva a ddó’ ci ss’atéva mette mentri  faceva  jo tarramuto. E che apperò  ‘gni ssera, pé’ sse  fa’ coraggio, se repeteva: “Ma proprio i’notte ata fa’, se i’ addimà ata i’ a Roma?… Proprio i’notte ata fa’, che sténco propria stracco?” ‘Nzomma ‘gni ssera se mmentéva ‘na cósa pé’ llo che non poteva èsse che faceva jo tarramuto. 

‐ Sénti ‘ppó’, ma comm’è che non rrintri più le machine? Tu t’addórmi ajjo létto e le machine fòre. Ma lo sa’ che, se ffa  jo tarramuto, tu te móri e le machine remànono gnòve gnòve? 

‐ Ma che sta a dice? È che non me nne tè’ de reméttele ‐ poteva èsse puri lo vero, ma lo rite dejj’atri c’era fatto capì che era proprio quelo che sarrìa succéso, e che isso non c’era penzato. 

‐ I ténco  le collane de mógliema e  jo  libretto della posta a ‘na borsetta   sott’ajjo coscìno, faccio  lésto a pigliàrela e escìmmene. 

‐ Ma ‘u’ lo sapete che s’atà fa’ pé’ non se morì sotto le prète ajjo tarramuto? Gnisciuno  respose  pecché,  puri  se  responnévano  ca  scì,  quìjo  non  se  sarrìa  stato  zitto  e  sarrìa  ditto 

‘istesso quelo che ‘óleva dice.  Però ‘sta ‘óta stéva a ddi’ lo vero. ‐  La  luce  pé’  ddavero  se  nne  va  subbito  subbito,  sarrìa  bbóno  tené  vecino  ajjo  létto,  ‘n‐cima  ajjo 

comodino, ‘na pila. Pó’ corre fòre se té la porta vecino vecino, ma se no’ lla té, non serve a gnénte che curri, non faciarristi ‘n‐tempo a ffa’ gnénte: e ppò èsse che la prèta che ‘olarristi scanzà addó’ te tróvi,  te lla va a reccòlle  scappènne.  Se  sta’  ajjo  létto,  t’atarristi  solo  ressoppecà  e méttete  ‘n‐terra,  affianco  ajjo  létto, raggrufiato… a fianco, nó sotto: jo titto che se casca rompe jo létto e te crèpa, se ‘mméce ci sta a fianco, jo létto e  jo titto fao capanna e tu te sarvi. Uguale atarrìsti fa’ se te sta a veté  la televisione: non t’atarristi mette sotto jo taolino, ma vecino… se tte vè a témpo. 

‐ Ma tu ci pénzi che, se puri rrésci a scappà e non te móri, ma la casa te sse lama e soccòva tutto quelo che tè’, te sse lama la stalla e te sse mórono le vacchi, te sse squagliano le machine…  puri che remani, che ffa’, addó’ va’?  Quanto ji capiscio quiji dell’Aquila quanno se lamentévano. Stevano tutti zitti a sentì. Pó’, a ‘no momento, la moglie de Luiggi, da cantóno, è urlato ajjo marito:  

‐ Luì, Luì, vé ppó’, curri, curri ! ‘No  rumóro  venéva  da  Santo  Rocco,  cómme  de  caccósa  che  rucichéva  e  sbatteva  de  qua  e  de  llà.  ‘No rimorchio è sbusciato ‘n‐piazza e è ito a sbatte ‘mbaccia a ‘no muro. 

“Santo Middio mi’” ‐  ha critàto uno, e jo róto s’è scióto. ‘Ntromenti Luiggi aiutéva la moglie a scannà ‘na pecora, ‘Ntonio, ‘n‐cima ajjo trattoro, biastimènne, ‘éva a recuperà jo rimorchio che ci ss’era sfrenato. 

      Lo)Renzo 

Ps:  Mai comme mò sonnà nonn‐è proebbito.         Quisto è jo sónno mi… Cacchetun  atro se pò sonnà ‘n’atra cósa.        ‘Nzemmia potarrèmmo fa’ ‘no paeso gnóvo… armeno có’ lla fantascìa. 

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L’alluce verde 16^ puntata ‐ di Roberto Cipollone A volte  la prospettiva è molto più  importante di un  primo  piano  che  tende  solo  vagamente  al protagonismo.  Prendete  ad  esempio  il  solito cumulo di calcincacci, aggiungete  il nero bitumi‐noso della guaina e riponetelo con cura ai bordi di  una  strada  di  campagna,  ad  esempio  tra  la pésa  ed  il  fontanile.  Risultato:  uno  sfregio  al verde  che  in  primavera  alza  forte  il  volume  sui piani  palentini  per  coprire  l’indifferenza  di  chi non sa dei propri gioielli. Ora provate a guardare al di  là di questa  turpitudine,  se  volete  giratele attorno: da una parte vedrete le Cese, con il suo profilo  allungato  verso  la  quiete;  dall’altra Corcumello, alto sulla roccia che lo difende. E poi ancora  quel  verde,  insistente  e  testardo, macchiato solo da un piccolo foro alle pendici di monte Girifalco... la località è ignota ai più, ma nota ai furbi come Trasolero. Il nome non mi è nuovo, anzi ho imparato a temerlo negli ultimi mesi, e sulla sua scia è nato anche un  comitato  che dei piani palentini porta  il nome.  Se  vi  state  chiedendo quando arriverò al punto,  la risposta è: adesso. Come  scrivevo poco  sopra, a volte  la prospettiva è primaria:  in  tale  senso, non pensiate  che  il Comitato si sia arenato nelle lungaggini della burocrazia, o peggio che la determinazione si sia persa tra le strade dei borghi  palentini,  soltanto  perché  sembra  apparentemente  quiescente.  Il  silenzio  in  primo  piano  rimanda  ad  una visione ben più importante, ed attiva, e presente, e talmente delicata da richiedere soprattutto discrezione. Nessuno si  è  dimenticato  di  quel  piccolo  foro,  tantomeno  chi  di  questo  verde  conosce  il  valore.  Bisognerebbe  piuttosto ricordarlo ogni tanto a chi vuole spacciare le discariche per siti altamente tecnologici, innovativi ed economicamente positivi per tutti…  la vera  innovazione non è quasi mai davanti agli occhi, ma nella strada  lunga  in prospettiva. Tipo 2020. Tipo riciclo. Tipo rifiuti zero. 

E il giro continua… 

L’occhio sul Paese ‐ di Manuela Cipollone 

OSPITI O CITTADINI? L’IMMIGRAZIONE IN ITALIA TRA STEREOTIPI E REALTÀ Non si fa che parlare di immigrazione negli ultimi tempi. Causa scatenante il passaggio in Parlamento 

del cosiddetto pacchetto sicurezza e  la politica dei respingimenti dei clandestini che provano ad arrivare sulle nostre  coste.  Scrivo  all’indomani delle dichiarazioni di  La Russa  sull’Unhcr  che non  conta niente  e tutte le polemiche a seguire.  

Tutti dicono che l’immigrazione è un fenomeno sociale, ma la politica finisce sempre per considerarlo un problema. Che si debba mettere un freno agli ingressi clandestini, che tra l’altro alimentano traffici umani e reati, è più che ovvio. Pensare che “un immigrato che lascia il Darfur non può arrivare in Italia; deve essere il Ciad ad occuparsene” (onorevole D’Amico – Lega Nord – Roma, 13 maggio) mi pare un po’ troppo. 

Perché chi lascia la propria terra lo fa per trovare un futuro migliore ed ignorare l’esperienza migratoria italiana del ‘900 vuol dire essere miopi. Due anni fa ci sono voluti tre numeri della Voce per pubblicare le pagine del libro degli arrivi di Ellis Island, e solo per Cese!  

Questo non significa frontiere sempre aperte, ma neanche lasciar morire persone nel Mediterraneo né alimentare  nel  Paese  un  risentimento  verso  tutti  gli  immigrati,  in  qualsiasi modo  essi  siano  giunti  qui. L’Italia non sarà ancora multiculturale, ma certamente è già multietnica.  

Mi servo di un dato tragico, se volete. Nel terremoto del 6 aprile scorso che ci ha sconvolto la vita sono morte persone di 14 nazionalità diverse ‐ oltre all’Italia: Argentina, Colombia, Francia, Grecia, Israele, Libia, Macedonia, Moldavia, Perù, Repubblica Ceca, Romania, Ucraina e Venezuela.  

Nei giorni seguenti al sisma  (il 20 aprile)  la comunità cinese di Prato ha consegnato 100 mila euro al prefetto  affinché  li  consegnasse  alla  Protezione  civile.  La  comunità  Sikh  di Mantova  il  4 maggio  ne  ha raccolti 2 mila. Solo per citare due casi:  i primi, membri di una delle comunità oggetto dei  luoghi comuni più disparati; gli altri che pochi sanno essere  indiani.  In ogni caso, persone che hanno avuto a cuore un pezzo d’Italia che magari non hanno mai visto, perché questa oggi è la loro casa.  

Non sono ospiti, ma cittadini ed è ora che qualcuno se ne accorga.  

Ritiro gratuito RIFIUTI INGOMBRANTI Comune di Avezzano: 0863‐501243 / ACIAM 0863‐444261

23 MAGGIO 2009LA RETE CON GLI ARTISTI AQUILANI A CESE 

              

La Pro Loco di Cese e l'Associazione Sinfasò all'interno del progetto denominato La Rete hanno realizzato una  festa‐concerto  con  "Artisti Aquilani Onlus",  un  gruppo  di  associazioni  e  di  artisti  aquilani  che  si  è formata  subito dopo  l’evento  sismico    come  forma  spontanea di  collaborazione e di operatività per  le vittime del terremoto. La  serata  ha  visto  l'esibizione  dal  vivo  di  due  gruppi musicali,  rispettivamente  i Mani  e  Piedi  Funk  di Scurcola Marsicana e Ska‐Ba‐Wow di Perugia. Il primo nato all'interno della sala prove nella struttura dei campi di calcetto di Scurcola, gestita dall'Ass.Mani e Piedi, struttura che grazie all'impegno dei ragazzi sta crescendo sempre di più diventando un vero e proprio spazio aggregativo.  Il secondo non ha bisogno di presentazioni, andateli a vedere dal vivo. Entrambi i gruppi e la Special Events di Sora, che ha garantito il service per l'intera serata hanno contribuito in maniera gratuita. Il momento più significativo della serata è stato l'intervento degli Artisti Aquilani che mendiante un video informativo  ed  una  performance  teatrale  hanno  regalato  un  contributo  importantissimo  alle  persone presenti.  La  Rete  ha  anche messo  a  disposizione  grazie  all'Ass.  Arzibanda,  la  Biblioteca  Popolare  Itinerante.  Il ricavato della vendita dei fumetti e dei libri è stato ovviamente devoluto agli Artisti Aquilani. La festa ha registrato una presenza di circa 400 persone e la somma che verrà devoluta agli Artisti Aquilani è di circa 1.500 euro. Sul sito della Rete troverete a breve la copia del versamento da noi effettuata.  

Riportiamo uno stralcio della lettera che gli Artisti Aquilani ci hanno inviato.... 

"Un breve messaggio dedicato agli amici della Rete. Un terremoto, un salto nel buio, in caduta libera verso il domani… ma La Rete ci sostiene. Cari  amici,  il  nostro  impegno  nei  campi  non  si  spegne mentre  si  sono  spenti  i  riflettori  sulla  vicenda aquilana. Continueremo imperterriti a lottare per rimanere qui tra mille difficoltà sapendo che ci siete vicini.  La nostra terra ha bisogno di rinascere a nuova vita e noi insieme a lei…" 

Questo  quindi  non  è  un  resoconto  per  dimostrare  che  qualcosa  è  stato  fatto  ma  uno  spunto  a continuare.... 

Un ringraziamento particolare a (in ordine sparso): Pro Loco di Cese, Bar della Pro Loco, Ass. Mani e Piedi, Skabawow, Special Events, Skat, Ass. Arzibanda, Valerio "Nannarè" Montaldi, Gigi De Vincentis  (fonico), Fondazione  Parada,  Marsica  Site,  Artisti  Aquilani  Onlus,  PopAct,  Ass.Sinfasò,  Daniele  De  Blasis  e Giampaolo  Piccinini  (Spot  Radiofonico),  Radio  Onda  Rossa,  Maicol  Palumbo  (Radio  Monte  Velino), Ferdinando Mercuri  (Il Tempo),  Il Centro, Sipario, Marsicanews.it, Marsicanews.com, TerreMarsicane.it, Cantina Cooperativa del Fucino, tutte le associazioni aderenti all'iniziativa, il pallone di Birrone, le danze di Mauro Budda e a tutti coloro che hanno contribuito all'ottima riuscita dell'evento, in particolare ai ragazzi della Pro Loco di Cese. 

Infine,  un  ringraziamento  speciale  a  tutti  coloro  che  sono  stati  insieme  la  sera  del  23  Maggio, condividendo con noi un’idea e trasformandola in momento di cultura ed impegno.  

Valerio “Ziege” Iacoboni ‐ la ЯETE 6 

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LA SIBILLA di Roberto Cipollone 

Questo è uno di quei moti nostalgici che a tratti fanno risalire, salvo poi ritrovarsi sconsolati a fondo pagina. Non è questo l’intento; se ce n’è uno, oltre al ricordo, è solo lo spunto a riprendersi tutto, o quanto più tutto possibile, ché certe cose non sono perse per sempre. 

Nostalgia  intima, della mia generazione, di quando a Cese c’era  la rivoluzione di dig‐dug, e  le corse  in bianco e nero a quattro marce, e folle in piedi sulle sedie (acchiapó le sègge mé!) per intravedere il mitico quadro 99 di tetris, e se credevi di essere un campione dovevi dimostrarlo, soprattutto a Zaccaria. 

Di quando chi era figo poteva giocare a carambola o fumare spavaldo con  i piedi sul biliardo, e chi era meno  figo  sudava  partite  inverosimilmente  lunghe  al  biliardino.  Gli  altri  come me  sognavano  il  piano superiore  di  Elide,  ancora  sfuggito  alla  censura,  come  un  paradiso  di  libertà  ed  impudenza.  Il  rock‐ola suonava  i  sultani  dello  swing,  le  storie  di  tutti  i  giorni  di  Riccardo  Fogli  e  poi  “Lemon  Tree”  fino  allo sfinimento. 

Di quando  la domenica dopo  la messa era cruciale una partitina a cché Lina, due pezzi da 100,  la fila e poi il suono minaccioso dell’oh‐ryu‐ken. E il tavolo del ping‐pong sempre troppo grande per quella stanza, la linea del telefono e la cabina che sembrava rubata a Clark Kent. La gassosa Sabatini col vuoto a rendere. 

Di  quando  per  permetterti  il magnifico  dovevi  aspettare  la  festa,  e  tutti  gli  altri  giorni  dovevi  farti bastare le 400 lire del freddolone, e quello all’amarena finiva sempre subito. 

Di  quando  il monumento  ai  caduti  era  un  obbrobrio  stilistico  di  cemento, ma  almeno  i  nomi  c’erano ancora, e  il campo obliquo  tra  la porta della chiesa e  la serranda aveva  intorno  i suoi quattro alberi. Poco prima era l’asilo, la porta fatta coi sassi anche quando la strada era tranciata dalla ghiaia, le partite epiche al freddo in nome della sibilla e poi della pejo, ché a Maddalena costava meno. Ma la sibilla era un’altra cosa. 

Le gomme a proiettile di Lidia dal sapore svanito al terzo secondo, i biglietti da due tratte da Giovannina, poche cose sugli scaffali, pizze a tempo determinato alla pro‐loco. La tintoria “Sole”, il clacson sgraziato del camioncino di Tonino. 

Di quando avevamo ancora l’asilo per la scuola di musica e le prove della banda il venerdì sera, i pannelli di polistirolo verde, “Cuore abruzzese” sempre troppo sforzato e l’invocazione della pausa, all’ultimo piano. 

Di quando alla piazzetta dejj’aseni i Verginelli e gli Axo 13‐17 mettevano a dura prova le rose di zia Lina. Il campo  in salita è di certo una delle  invenzioni più belle di questo paese. Come  la 126 verde‐oliva con altoparlante  incorporato, e  soprattutto, al di  là di ogni  confronto,  il  suono  stridulo della vespetta  rossa (prima bianca), jo banno, “cittadini di Cese”. Come la golf bianca e la jatta, le mani immense ed un affetto trasversale agli anni. 

Le meluzze alla scuola elementare,  la guerra sulla montagna,  la paura del cimitero di notte, schiaccia‐sette. Prima ancora erano state  le giornate  intere all’ara, orario pieno 9‐12:30 e 14:30‐20:00,  le  taniche d’acqua  su una 127 magica, quando  l’ara  era  ancora di  tutti  e  vedeva  i  grandi dividersi  tra  il bianco  e l’azzurro, il verde, l’arancio delle maglie odorose. Il camioncino dei gelati direttamente da Corcumello. 

Nostalgia di quando le case del corso non erano così vuote, e via San Sebastiano era quasi campagna, e in  piazza  avevano  già  suonato  i Nomadi  e  il  Banco  del Mutuo  Soccorso. Quell’anno  che  per  riuscire  a vedere  gli  Stadio  in  mezzo  al  mare  di  gente  siamo  dovuti  salire  sul  terrazzo  di  Giuanni  e Maria  de Casciaro... 

Poi  sarebbe  stato  il  sogno di  trovare un angolo  sulle  scalette,  la gerarchia dei posti  sulla corriera che segnava il diventare grandi, il giro dello stop, i pellegrinaggi a piedi a Corcumello, l’autostop per la festa a Magliano o a Capistrello, nascondino alla porta della chiesa, dall’altra parte persino il presepe a Natale. 

Alcune cose ti restano attaccate più di altre, la mia generazione non era di certo solo questo, ed ognuno si racconta ogni tanto la propria nostalgia con immagini, frasi e persone diverse. 

I  ragazzi più  vecchi di me  avranno  altre  storie,  altre  immagini,  personaggi  e  luoghi  che  attraversano un’età  di  assuefazione  estrema,  “quando  occupare  una  sedia  era  più  importante  che  occupare  una poltrona”. Quelle immagini sono forse l’ultima icona del romanticismo che solo un paese può mantenere, mentre  tutto diventa a dimensione di macchina e non più di uomo, mentre ci  recintiamo dentro casa.  I ragazzi prima di me hanno visto questo paese cambiare faccia, chiudersi le scuole vecchie prima dell’asilo, prima delle suore, hanno fatto in tempo a tuffarsi alla Rafia ‘elle Rottélle, a ballare nei circoli. Quelli dopo di me hanno ancora vive le proprie immagini, i ragazzi di oggi se le stanno costruendo pur senza saperlo. 

Ma lungo tutte le generazioni passa il filo comune di un paese che ad un tratto ti appartiene, perché ci sono  luoghi, momenti  e parole  che nessun  altro  sa,  che nessuno può prenderti,  ché  solo  tu  li ha  visti, vissuti, odiati, amati, scordati, rimpianti in quel modo. Il bello è che certe cose non sono perse per sempre. 

Pagine d’Abruzzo ‐ di Roberto Cipollone 

BENEDETTO CROCE E IL MANIFESTO DEGLI INTELLETTUALI ANTIFASCISTI 

Benedetto Croce e il fascismo: un tema ampiamente dibattuto e ricco di spunti interessanti. Sebbene l’atteggiamento iniziale di Croce nei riguardi del fascismo fosse stato quantomeno ambiguo, con il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti (pubblicato su “Il Mondo” il 1° Maggio 1925, in modo che anche la data ‐ festa del lavoro ‐ rispondesse alla pubblicazione ‐ nel giorno del Natale di Roma  ‐ del Manifesto degli  Intellettuali  Fascisti) egli  superò  la posizione di attesa, a  volte benevola, sino ad allora tenuta. Nel 1924 aveva infatti inquadrato il movimento fascista come “un ponte di passaggio per 

la  restaurazione  di  un  più  severo  regime  liberale”,  affermando:  «Bisogna  dar  tempo  allo svolgersi del processo di  trasformazione del  fascismo».  Il Manifesto  (qui  riportato  in buona parte)  sancì così  la  rottura definitiva col  fascismo da parte del  filosofo pescasserolese, che aveva  precedentemente  votato  in  Senato  la  fiducia  al  governo  di  Benito  Mussolini.  La proposta di  redigere  il  testo  venne  fatta a Croce da Giovanni Amendola: «Dopo  l'indirizzo fascista, noi abbiamo il diritto di parlare e il dovere di rispondere. Sareste disposto a firmare un documento di risposta che potesse avere la vostra approvazione? E, in caso, vi sentireste di  scriverlo  voi?».  Rispose  Croce  il  giorno  dopo:  «Mio  caro  Amendola...  l'idea  mi  pare opportuna. Abbozzerò oggi stesso una risposta, che a mio parere dovrebbe essere breve, per non  far  dell'accademia  e  non  annoiare  la  gente».  Il Manifesto  crociano  trovò  così  tra  gli intellettuali del  tempo non poche adesioni,  riconosciute dalla  stessa  stampa  fascista  come "più autorevoli”. Tra  tutti  i  firmatari si  ricordano:  la Aleramo, Amendola, Einaudi, Montale, Salvemini e la Serao, testimoni  e partecipi di una lucida risposta saggia. 

  “[...] E, veramente, gl'intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell'arte, se come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l'ascriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno solo il dovere di attendere, con  l'opera dell'indagine  e della  critica,  e  con  le  creazioni dell'arte, a  innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti  i partiti a più alta sfera spirituale, affinchè, con effetti sempre più benefici, combattano  le  lotte necessarie. Varcare questi  limiti dell'ufficio  a  loro  assegnato,  contaminare  politica,  letteratura  e  scienza,  è  un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze  e  prepotenze  e  la  soppressione  della  libertà  di  stampa,  non  può  dirsi neppure  un  errore  generoso.  [...]  Chiamare  contrasto  di  religione  l'odio  e  il rancore che si accendono da un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere d'italiani e  li  ingiuria  stranieri, e  in quest'atto  stesso  si pone esso agli occhi di quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della Patria i  sentimenti  e  gli  abiti  che  sono  propri  di  altri  conflitti;  nobilitare  col  nome  di religione  il sospetto e  l'animosità sparsi dappertutto, che hanno  tolto perfino ai giovani dell'Università l'antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e  li  tengono  gli  uni  contro  gli  altri  in  sembianti  ostili:  è  cosa  che  suona,  a  dir  vero,  come  un'assai  lugubre facezia. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle  parole  del  verboso manifesto;  e,  d'altra  parte,  il  fatto  pratico,  nella  sua muta  eloquenza, mostra  allo spregiudicato  osservatore  un  incoerente  e  bizzarro  miscuglio  di  appelli  all'autorità  e  di  demagogismo,  di professata  riverenza  alle  leggi  e  di  violazione  delle  leggi  [...]  E,  se  taluni  plausibili  provvedimenti  sono  stati attuati o avviati dal governo presente, non è in essi nulla che possa vantare un' originale impronta, tale da dare indizio di un nuovo sistema politico, che si denomini dal fascismo. Per questa caotica e  inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare  la nostra vecchia fede:  la fede che da due secoli e mezzo è stata l'anima  dell'Italia  che  risorgeva,  dell’Italia  moderna;  quella  fede  che  si  compose  di  amore  alla  verità,  di aspirazione alla giustizia, di generoso  senso umano e  civile, di  zelo per  l'educazione  intellettuale e morale, di sollecitudine per  la  libertà,  forza e garanzia di ogni avanzamento. Noi rivolgiamo gli occhi alle  immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l' Italia patirono e morirono, e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri italiani avversari, e gravi e ammonitori a noi perchè  teniamo  salda  in pugno  la  loro bandiera.  [...] Perfino  il  favore, col quale venne accolto da molti liberali, nei primi tempi, il movimento fascistico, ebbe tra i suoi sottintesi la speranza che, mercè di esso, nuove e fresche  forze  sarebbero  entrate  nella  vita  politica,  forze  di  rinnovamento  e  (perché  no?)  anche  forze conservatrici. Ma non fu mai nei loro pensieri di mantenere nell'inerzia e nell' indifferenza il grosso della nazione, appagandone  taluni bisogni materiali, perché  sapevano  che, a questo modo, avrebbero  tradito  le  ragioni del Risorgimento italiano e ripigliato le male arti dei governi assolutistici e quietistici. Anche oggi, né quell' asserita indifferenza  e  inerzia,  né  gli  impedimenti  che  si  frappongono  alla  libertà,  c'inducono  a  disperare  o  a rassegnarci.[...] Quel che  importa, è che  si  sappia ciò che  si vuole e che  si voglia cosa d'  intrinseca bontà. La presente  lotta  politica  in  Italia  varrà,  per  ragione  di  contrasto,  a  ravvivare  e  a  fare  intendere  in modo  più profondo e più concreto al nostro popolo il pregio degli ordinamenti e dei metodi liberali, e a farli amare con più consapevole affetto. E  forse un giorno, guardando serenamente al passato, si giudicherà che  la prova che ora sosteniamo, aspra  e dolorosa a noi,  era uno  stadio  che  l'  Italia doveva percorrere per  rinvigorire  la  sua  vita nazionale, per compiere la sua educazione politica, per sentire in modo più severo i suoi doveri di popolo civile.” 

     PAROLE IN VERSI ASS. DANILO FIORINI ‐ POSTA FIBRENO (FR) 

CONCORSO FOTOGRAFICO “SECONDO TROFEO GRIECONE” 

 Riceviamo e pubblichiamo  la bella  iniziativa culturale  degli  amici  dell’Associazione “Danilo Fiorini” di Posta Fibreno. L’Associazione Danilo Fiorini e l’Associazione Fotografica  Frosinone  organizzano  il concorso fotografico nazionale per immagini digitali  “Secondo  Trofeo  Griecone” raccomandazione  FIAF  n°  2009Q01.  La partecipazione è aperta a tutti i fotoamatori dilettanti o professionisti residenti  in  Italia  i quali  devono  essere  proprietari  di  tutti  i diritti  delle  immagini  presentate;    al concorso vi si partecipa con opere digitali o digitalizzate  (negativi,  stampe o diapositive scansite o rifotografate).    Il concorso si articola in due sezioni:          SEZIONE  A  a  tema  obbligato “Fotografia  di  strada”  max  4  opere indifferentemente a colori o in bianco/nero. Per  Fotografia  di  Strada  si  intende un’istantanea della vita urbana osservata 

per strada nella sua quotidianità e nei suoi molteplici aspetti: l’ironia, la tragedia, l’imprevedibilità, la bellezza, la crudeltà, ecc..  SEZIONE B a  tema  libero max 4 opere  indifferentemente a colori o  in bianco/nero.    Le  immagini partecipanti alla manifestazione dovranno essere  inviate su supporto digitale (CD, DVD, ecc) insieme alla scheda di partecipazione e  alla  ricevuta  della  quota  di  partecipazione  al  seguente  indirizzo: Associazione Danilo Fiorini, C.da Tagliata, 14 – 03030 Posta Fibreno (FR); tali supporti (CD, DVD, ecc.) non verranno restituiti.    La quota di partecipazione è fissata  in € 20,00 per partecipante, per  i soci FIAF e ADF tale quota è ridotta a € 15 e per i giovani al di sotto dei 29 anni  (ovvero  i nati dopo  il 31/12/1979) è  ridotta ulteriormente a € 10,00,  ed  essa  comprende  la  partecipazione  a  una  o  tutte  e  due  le sezioni con un numero massimo di 4 immagini per sezione (per un totale di 8  immagini per  tutte e due  le  sezioni).  La quota può essere versata tramite bonifico al conto intestato a “ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO DANILO  FIORINI”  ‐  PRESSO  LA  BANCA DEL  CREDITO  COOPERATIVO DI ROMA  SEDE  DI  SORA  ‐  IBAN:  IT  06  A  08327  74600  000000000442  ‐ oppure nel modo che si ritiene più opportuno (vaglia, assegno, ecc.).   L’accettazione  delle  opere  e  l’assegnazione  dei  premi  avverranno  ad indiscutibile giudizio della Giuria che sarà insindacabile ed inappellabile.    Con  l’invio  delle  opere  i  diritti  di  tutte  le  immagini  accettate  e premiate  sono  concessi  ad  uso  gratuito  agli  organizzatori  della manifestazione i quali si impegnano a farne un uso corretto ed inerente alla manifestazione stessa senza scopi di lucro e ciascun autore autorizza il trattamento dei propri dati, con mezzi informatici e non, da parte delle associazioni organizzatrici per lo svolgimento degli adempimenti inerenti al concorso e alla pubblicazione.  PREMI SEZIONE A tema obbligato “Fotografia di strada”: 1° premio € 400,00 2° premio € 200,00 3° premio € 100,00 ‐  SEZIONE B tema libero: 1° premio € 300,00 2° premio € 150,00 3° premio € 50,00 ‐ Premio speciale “Danilo Fiorini” per la migliore opera in bianco/nero: N° 1 targa […]  CALENDARIO Termine presentazione immagini digitali‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐02 giugno 2009 Risultati su www.associazionedanilofiorini.it  ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐14 giugno 2009Esposizione opere‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐19, 20 e 21 giugno 2009 Premiazione‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐21 giugno 2009  

Per maggiori info: Massimo 338/3379414 ‐ Antonio 347/7573633 www.associazionedanilofiorini.it ‐[email protected] 

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IL CIBO DELL’AMORE di Berardino Rantucci 

 

Tu dammi il vuoto e io lo riempirò 

Tu dammi il fuoco e io lo spegnerò 

Tu dammi il buio e io ti darò la luce 

Tu dammi il cuore e io ti darò l’anima 

Tu dammi l’albero e io ti darò le foglie 

Tu dammi un ruscello e io ti darò un fiume 

Tu dammi un lago e io ti darò il mare 

Tu dammi una campana e io la suonerò 

Tu dammi il suono e io lo ascolterò 

Tu dammi lo sguardo e io lo rapirò 

Tu dammi la mano e io le unirò 

Tu dammi le labbra e io le bacerò 

Tu dammi un fiore e io lo annuserò 

Tu dammi la tua ferita e io la guarirò 

Tu dammi te stessa e io ti rispetterò 

Tu dammi il tuo nome e io lo scolpirò 

Tu dammi il tuo volto e io lo dipingerò 

Tu dammi il tuo pensiero e io mi stupirò 

Tu dammi l’onore e io ti renderò nobile 

Tu dammi l’amore e io lo conserverò. 

PER I PIÙ PICCOLI Colora seguendo la tabella. 

Se non trovi il colore associato al numero puoi aiutarti con i suggerimenti in basso.  

 1= light green  2= dark green   3= red      4= pink        5= orange 6= yellow      7= purple     8= brown      9= white    10= light blue 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giochi e relax

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L’origine di detti ed espressioni ‐ lettera A ANDARE A CANOSSA L'espressione significa "umiliarsi, piegarsi, ritrattare, ammettere l’errore, fare atto di sottomissione". Canossa è infatti il castello della contessa Matilde di Toscana dove nel 1077 l'imperatore Enrico IV di Svevia, per ottenere la revoca della scomunica da cui era stato colpito, si umiliò davanti al Pontefice Gregorio VII.  In quella occasione l'imperatore Enrico IV attese per tre giorni e tre notti, scalzo e vestito solo di un saio, prima di essere ricevuto e perdonato dal Papa. 

ANDARE IN BRODO DI GIUGGIOLE In riferimento al contenuto zuccherino delle giuggiole, frutto commestibile,  il proverbio viene usato per  indicare chi prova, per merito proprio o di altri, la dolcezza di un forte godimento. 

ALLE CALENDE GRECHE L’espressione  significa  sostanzialmente  “mai”.  La  frase  "ad  kalendas  graecas  soluturos"  è  attribuita  da  Svetonio, all'imperatore Augusto  in  relazione a debiti o  tributi che non  sarebbero  stati mai pagati. Le  "kalendae"  (il 1° di ogni mese) esistevano  infatti solo nel calendario romano e non  in quello greco, dunque  l'espressione è propria di chi sa di non potere ottenere ciò che gli è dovuto da altri, oppure di non poter raggiungere lo scopo prefissato in tempi stimabili. 

ALL’ORA CANONICA Le  ore  canoniche  sono  un'antica  suddivisione  della  giornata  sviluppata  nella  chiesa  cristiana  per  la  preghiera  in comune,  detta  anche  "ufficio".  Questa  pratica  liturgica  deriva  dall'uso  ebraico  di  recitare  preghiere,  in  modo particolare i salmi del salterio, ad ore prestabilite.  Il detto "all'ora canonica" viene dunque usato per indicare il tempo fissato per qualunque operazione o faccenda da compiere in un determinato momento. 

PER I GRANDI Quiz sulle Cese 

1.  Negli Statuti trecenteschi di Avezzano è riportato un “pesculo castrj veterj” 

(incastellamento di Pietraquaria), posto a controllo degli insediamenti palentini di: 

a) Cese e Corcumello b) Cese e San Basilio c) Cese e Scurcola 

2. Nel 1732 il comune di Capistrello aveva concesso al paese di Cese:  a) Il diritto di cacciare per 20 anni b) Il diritto di far legna per 10 anni c) L’uso del proprio forno pubblico 

3. Maturano prima delle altre ciliegie:a) Le acquaròle b) Le primaròle c) Le petaròle 

4. Il 28/5/1889 il Consiglio comunale ripartiva i consiglieri spettanti per legge tra Avezzano e Cese con: a) 18 ad Avezzano e 2 a Cese  b) 10 ad Avezzano e 10 a Cese c) 16 ad Avezzano e 4 a Cese 5. Secondo un detto popolare, 

“... ‘ n anno de reccòta se nne va” .  a) Se de Giugno callo non fà 

b) Se de Maggio non pó annacquà   c) Se raneréa alla Trinità 

6. I centri di Cese ed Avezzano distano in linea d’aria: a) 3,2 km b) 4,6 km c) 6,4km  

7. Sono zone contigue della campagna:a) “Santo Basile” e “Fonte Staccino” 

b) “I Caùni” e “Le Casélle” c) “I Quarti” e “La Màina” 

  

Dal romanzo "La stanza dei segni" di Elvio Cipollone 

SCENA n° 5 

LA FESTA DA BALLO  

                 

La serata andò avanti fino alla mezza notte, finì che Peppino e Lisetta fecero coppia fissa mentre gli altri quattro ballavano ogni tanto ma senza il coraggio o la spinta sufficiente a far succedere qualcosa di più. 

Fabio ne fu contento ugualmente, a  lui  interessava stabilire un primo contatto, avviare, come che sia, una qualche relazione con quelle ragazze per poi passare con metodo e perseveranza a corteggiare Cecilia. Ma non era un tipo che andava di fretta, non aveva l'urgenza di bruciare subito, come Peppino. La strada era tracciata, l'importante era avviarsi. 

Per Alduccio,  il più  complicato del gruppo,  contentezza e  frustrazione  si mescolarono  in un  labirinto inestricabile e senza futuro. Percepiva flebile la voce del cuore che gli parlava di Cecilia, gli diceva che in lei c'era  qualcosa  di  speciale  che  lo  riguardava  in  un modo  o  nell'altro.  Però  non  ebbe  la  sfrontatezza  o l'ardire di  interrogarla a proposito, di proporsi  interlocutore di quel sentimento. La paura di riceverne un rifiuto,  di  sentirsi  dire  che  s'era  sbagliato,  che  non  era  vero  niente  o,  peggio,  di  essere  deriso  e sbeffeggiato, era talmente forte da renderlo inerme. 

Gli sarebbe piaciuto avere maggiore confidenza con Cecilia e col suo sorriso che parlava direttamente al cuore, ma esporsi in prima persona gli era praticamente impossibile. La paura di essere respinto pesava troppo, era pieno delle cicatrici di simili ferite e anzi di qualcuna  il sangue, ancora non rappreso, risaliva goccia  a  goccia  nella  bocca  facendogli masticare  un  amaro  sconfinato. Meglio  non  esporsi  a  possibili tormenti che avrebbero riaperto le porte alle sofferenze devastanti dell’infanzia. Meglio odorare i fiori che si offrivano lungo la strada, annusarli senza nemmeno il gesto di allungare la mano per doverli cogliere. 

A mezzanotte esatta le ragazze salutarono ed uscirono per tornarsene a casa senza dare nell'occhio. Il gruppo dei  tre amici  fece  fatica a  ricomporsi. Peppino  con  il petto gonfio del  successo  riportato,  Fabio moderatamente  soddisfatto per  l'avvio del  sospirato percorso di avvicinamento e Alduccio contento per avere finalmente stretto tra le braccia un corpo di donna, ma inspiegabilmente triste per non aver potuto dire e fare quello che avrebbe voluto. 

"Che faccia!”, lo apostrofò Peppino. “Metti un bicchiere e andiamo a fare due passi”. Fabio  riempì  i bicchieri che  tintinnarono  in un colpo  solo e  tracannarono  in un baleno  fino all'ultima 

goccia. Si coprirono, accesero un'altra sigaretta e uscirono. Il paese era avvolto da un buio d'altri tempi. Un buio che non esiste più in nessun anfratto del mondo. 

Un  buio  nitido  con  le  stelle  fredde  a miliardi  nel  cielo  e  un  silenzio  che  lascia  spazio  a  echi  lontani  di rincorrersi di cantone in cantone come deboli rimbombi di vita rinchiusa. Il rumore dei loro passi batteva il tempo della passeggiata e il gelo cominciava a mordere. 

"Beh  ragazzi”,  fu Peppino a  lanciare per primo  la voce nello  spazio vuoto che  li avvolgeva, “bisogna festeggiare”.  

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Articoli e rubriche curati da Arianna, Elvio, Eugenio, Lorenzo, Manuela e Roberto Cipollone, Maria Cosimati,Valerio Iacoboni, Vincenzo Mancinelli e Berardino Rantucci. Grazie ad Alfredo e Adele per le foto ed ai “consulenti” per il prezioso supporto. Per informazioni, proposte, commenti e suggerimenti scrivete a:  Redazione “La Voce delle Cese”, Pro 

Loco Cese dei Marsi, Via C.Cattaneo 2, 67050 Cese di Avezzano (AQ) oppure a: [email protected].  Sito web: www.lavocedellecese.it . 

Il prossimo numero de “La Voce” uscirà Domenica 28 Giugno 2009. Chi è interessato può consegnare gli articoli o inviarli a [email protected] entro il 21 Giugno. 

Il paese visto dall’ “Ara” 

Comm’era: anni ’70, campagna saccarifera.  

Com’è:Maggio 2009