Ricomincia da Te! di Marta Lock

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Marta Lock

RICOMINCIADA TE

Vivere le emozioni

I Percorsi Consapevoli di Harmakis

© Tutti i diritti riservati alla Harmakis EdizioniDivisione S.E.A. Servizi Editoriali Avanzati,Sede Legale in Via Del Mocarini, 11 - 52025 Montevarchi (AR)Sede Operativa, la medesima sopra citata.Direttore Editoriale Paola Agnolucci

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I fatti e le opinioni riportate in questo libro impegnano esclusivamente gli Autori.Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale.Possono essere pubblicati nell’Opera varie informazioni, comunque di pubblico dominio, salvo dove diversamente specificato.

ISBN 978-88-98301-34-8

Finito di stampare Gennaio 2016Opera di copertina realizzata da Alberta Marchi© Impaginazione ed elaborazione grafica: Sara Barbagli

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PREFAZIONE

Ricomincia da te rappresenta un percorso importante per esplorarsi ed esplorare la realtà esterna, un sentiero di conoscenza interiore che io per prima ho effettuato nel corso della mia vita. La curiosità alla conoscenza e l’esigenza di scoprire me stessa e le pieghe dell’anima umana, hanno guidato tutte le mie scelte di vita, portandomi in luoghi lontani nei quali ho avuto la splendida opportunità di confrontarmi con tutto ciò che era diverso dalla realtà nella quale avevo vissuto fino a prima di ascoltare la voce interiore che mi suggeriva di muovermi. Trovarmi dall’altra parte del mondo, senza le certezze della realtà nella quale sono nata, mi ha aiutata a mettermi in discussione facendo un passo indietro per farmi comprendere e comprendere un modo di porsi completamente differente, se non a volte opposto, a quello che mi sarebbe venuto naturale assumere. Questo mi ha portata a sviluppare una forte capacità empatica che mi ha permesso, nel corso del tempo, di intuire le emozioni e le motivazioni delle molteplici reazioni delle persone con cui avevo a che fare, e di andare oltre il mio punto di vista per accogliere e condividere quello degli altri, non più opposto o distante o contrapposto, semplicemente diverso e come tale assolutamente da accettare. In questo percorso ho appreso che molto spesso la realtà viene filtrata dal modo di essere e di guardare le cose di ognuno e che, ciò che sembra sia fatto ad arte per ferirci o negativizzare una situazione, in verità è solo un lato irrinunciabile della personalità e del comportamento di chi lo sta mettendo in atto. Da qui la consapevolezza della molteplicità dell’essere umano e l’importanza di sentire gli altri, di aprirsi a un’emotività grazie alla quale possiamo smettere di difenderci o di combattere e iniziare davvero a vivere. Durante questo mio

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cammino, che non avrà mai fine proprio perché l’essere umano è in continua evoluzione e la conoscenza acquisita conduce a gradini differenti dai precedenti, momento dopo momento, giorno dopo giorno, ho creato una rubrica, L’Attimo Fuggente, in cui attraverso la mia sensibilità ho iniziato a farmi delle domande, interrogarmi su ciò che vedo intorno a me, aprendomi ai vari punti di vista e alle diverse interpretazioni. Nel tempo è diventata un vero e proprio spazio di riflessione che parte da un pensiero e si sviluppa attraverso interrogativi i quali, alla fine dell’articolo, lasciano ai lettori la facoltà di darsi le risposte in base alle proprie esperienze e al proprio modo di essere, secondo la mia ferma convinzione è che non esista una realtà assoluta o universale. Credo che nella vita non sia fondamentale avere una risposta per tutto, lo è molto di più farsi delle domande perché è solo attraverso il dubbio e il confronto, anche solo con noi stessi, che possiamo aprirci, metterci in discussione e perciò crescere.

Nel mondo in cui viviamo abbiamo troppo poco tempo per fermarci a porci interrogativi, e molto spesso lasciamo scivolare via degli spunti di riflessione molto importanti e utili a scavare un po’ più in profondità: ecco, attraverso la rubrica ho cercato di fare questo facendola diventare un invito a sedersi, leggere e cogliere quei dettagli che magari il giorno prima o due giorni fa erano sfuggiti. Ed è per questo che ho voluto chiamarla L’attimo fuggente.

Negli ultimi tempi, esortata e incoraggiata dalle risposte che ogni giorno i miei lettori danno a ciò che scrivo, e dal loro desiderio di lasciarsi condurre per ritrovare le sensazioni più profonde, è maturata in me la decisione di pubblicare la prima raccolta degli articoli, sotto forma però di guida, quasi un manuale di educazione emotiva, per imparare ad accogliere quelle voci dell’anima da cui a volte siamo spaventati, perché temiamo ci facciano apparire deboli, e migliorare la nostra vita che, in fondo, anche se tentiamo con tutte le forze di resistere e di non cedervi, è bella proprio

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grazie alla capacità di provarle quelle intense sensazioni. Il mio sogno è dare la possibilità a un pubblico più ampio di quello che già mi segue e mi conosce, di abituarsi, attraverso le riflessioni e i consigli su come intravedere un modo differente di intendere l’esistenza, alle proprie emozioni e quelle degli altri, spesso nascoste da maschere oltre le quali non siamo quasi più in grado di andare, e a guardare quindi la realtà nella quale viviamo, in modo più empatico e aperto a punti di vista diversi dal nostro. Ora, dopo questa lunga quanto doverosa premessa, siamo pronti per iniziare insieme questo percorso.

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LE COSE ACCADONO

In questo primo capitolo desidero esplorare e portare alla luce, ciò che molto spesso viene visto in modo negativo o come qualcosa che sembra quasi arrivato per punirci. In realtà tutto ciò che accade nel nostro cammino, anche la cosa che in un primo momento ci sembra inaccettabile, ha un suo motivo per capitare, motivo che non sempre riusciamo a comprendere subito ma che può diventare molto chiaro a posteriori. In ogni caso la vita è una continua altalena di alti e bassi, di cadute anche disastrose, e di risalite di quella china che, dal fondo, ci sembrava troppo alta e inarrivabile, perciò, anziché incupirci, richiuderci in noi stessi, utilizzando il tempo necessario a riprenderci - perché ci riprenderemo, sempre - perdendoci in un atteggiamento di dolore e di sopraffazione, abbiamo la splendida opportunità di accettare ciò che è accaduto, farne tesoro, e rialzarci veloci scrollandoci di dosso la terra e guardare alla china con il sorriso determinato di chi la conquisterà.

Se ci crediamo con tutte le forze e diamo l’anima per realizzare il nostro sogno

lui si avvereràsembrerà incredibile ma si avvererà

Quante volte sentendo una frase del genere abbiamo scosso la testa e pensato che queste cose capitano solo agli altri mentre la realtà è ben diversa?

E quante volte abbiamo fatto la considerazione che non sono certamente i sogni quelli che ci permettono di sopravvivere?

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Eppure esiste chi, scegliendo di inseguire il proprio sogno ne ha fatto la sua unica fonte di guadagno, oltre che la propria felicità, perché è vero che chi realizza i propri desideri è più soddisfatto rispetto a chi vive solo di doveri.

E non si tratta di fortuna, no, ma di pensiero positivo, poiché nel momento in cui si crede davvero in ciò che si sta facendo e si lavora duramente per conseguire il risultato, questo si verifica, sembra assurdo ma è così. Il mondo è pieno di persone che hanno fatto un salto nel buio lasciando il certo per l’incerto, anche nel momento che sembrava meno adatto, e ce l’hanno fatta, a dispetto di tutte le apparenti difficoltà e i pareri contrari, sono riuscite a realizzare il loro sogno perché hanno creduto fortemente che sarebbe stato possibile.

L’atteggiamento positivo e fiducioso attira risposte positive e, se adeguatamente supportato dalla forza di volontà e dalla capacità organizzativa, porta al risultato.

Certo, se il nostro obiettivo è vincere al superenalotto, abbiamo forti probabilità che non si realizzi, ma se invece rientra nella nostra sfera d’azione, allora renderlo possibile dipende solo da noi. Per esempio, se vogliamo fare le ballerine e abbiamo una naturale attitudine, ma non studiamo danza o al primo errore sul palcoscenico rinunciamo, non sapremo mai come sarebbe andata se non avessimo mollato il colpo nel momento più difficile. O ancora, se ci sentiamo particolarmente predisposti a parlare le lingue straniere ma dopo il liceo scegliamo la facoltà di economia e commercio o di medicina, sarà molto difficile poter sfruttare la naturale attitudine di cui la natura ci ha dotati.

Forse il segreto è proprio questo, sapersi ascoltare con un po’ più di attenzione e prendere la strada giusta, a qualsiasi età e in qualsiasi momento sentiamo la spinta a farlo, perché forse la vita è questo, realizzarsi ed essere felici, rinunciando a volte a ciò che è giusto per dare spazio a ciò che è meglio per noi.

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Quindi la prossima volta che desideriamo qualcosa e ci domandiamo: “Perché dovrebbe succedere proprio a me?” La risposta più giusta potrebbe essere: “Perché no?”

La felicità per sempre non esisteesiste adesso in questo momento

se passiamo tutto il tempo a cercare qualcosa che duri per sempre

ci perdiamo la bellezza assoluta dell’adesso l’unica felicità che ci è possibile ottenere

Eccola qui la parola magica che pronunciamo continuamente, e desideriamo con tutta la nostra forza, ma che vediamo continuamente sfuggirci. Sembra che lo faccia apposta, ogni volta che ci sembra di averla raggiunta succede qualcosa che ci fa mancare un piccolo, piccolissimo pezzo per completare il puzzle. Questo ci induce a rimetterci di nuovo in moto per provare a cercare quell’unico tassello mancante, facendoci dimenticare di tutto il resto della composizione al punto che, guardando il quadro da lontano, quell’impercettibile, minuscola macchia ai nostri occhi può sembrare enorme.

Ci hanno insegnato che per essere felici dobbiamo avere tutto e per sempre, ma questi due concetti sono talmente utopici da risultare quasi inesistenti. La parola tutto è così relativa da essere indefinibile e introvabile nella realtà.

Tutto secondo chi? E soprattutto qual è il limite di questo tutto?

Il tutto è un concetto più o meno inafferrabile che cambia da persona a persona, quindi ciò che può sembrare il massimo per qualcuno può non esserlo affatto per qualcun altro; questo ci porta a un confronto continuo che genera frustrazioni in chi non ha la capacità di sentirsi appagato e fortunato per ciò che possiede. Molte persone continuano a desiderare ciò che non hanno e nel

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momento in cui lo raggiungono iniziano già a volere quell’altra piccola cosa che non hanno, innescando un perenne meccanismo di insoddisfazione. Ciò non significa che dobbiamo accontentarci, per lo meno non nell’accezione negativa del termine, ma mentre tendiamo verso il miglioramento, dovremmo imparare anche a sentirci soddisfatti e appagati per ciò che abbiamo, guardando alla possibilità di ottenere di più semplicemente come a un’integrazione, un completamento non determinante per la nostra felicità.

Ma la frase che costituisce la maggiore fonte di frustrazione, è quel per sempre illusorio che ci fa sentire tagliati fuori nel momento in cui ci rendiamo conto che ci sfugge. Eppure ce lo hanno raccontato nelle favole, nei film, nei libri, insomma troviamo ovunque quella parola che sta a indicare un tempo lunghissimo, perché a noi non succede mai?

Perché per noi quella parola ha sempre un limite temporale?

Forse perché la vera felicità va ricercata nel vivere intensamente i momenti di gioia senza pensare al dopo e vivere il dopo, bello o brutto che sia, nel momento in cui diventerà presente. Forse l’unico modo per essere davvero felici è frazionare la vita in piccoli attimi preziosi che non si ripeteranno più, ed è solo apprezzandone ogni sfumatura che riusciremo a godere delle emozioni intense che alcune volte ci regalano. Perché al di là delle nostre vittorie e conquiste più evidenti, sarà proprio pensando a quelle momentanee sensazioni che ci emozioneremo e commuoveremo quando volgeremo il nostro sguardo verso il passato per capire se siamo stati felici.

Perché spesso la ricerca della felicità per sempre ci fa perdere di vista quanto siamo felici in questo momento, spesso ci dimentichiamo di considerare i momenti di gioia come regali incredibili che la vita ci fa perché in fondo la vita non è quella passata né quella futura bensì semplicemente quella presente.

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Dopo tanto tempo passato ad andare per voler tornaread allontanarci per sentire la mancanza

a inseguire per farci poi inseguiregiungiamo al momento in cui semplicemente vogliamo avere

fermarci e restare finalmente restare

In alcune fasi della nostra esistenza ci sentiamo in balìa degli eventi, quasi incapaci di prendere una decisione chiara, oppure fermamente convinti di una cosa della quale il giorno dopo non siamo più tanto sicuri, al punto di rendere necessario un repentino cambiamento di rotta, seguito poco dopo da un altrettanto impellente bisogno di tornare di nuovo sui nostri passi. Spesso questo tipo di atteggiamento è conseguente a una destabilizzazione totale della vita condotta fino a qualche tempo prima, che da un lato ci appagava e ci piaceva, dall’altro però ci faceva sentire in trappola o ci provocava sofferenza o noia.

Sia che siamo stati protagonisti o passivi spettatori del processo di rottura dell’ordine precedente, ne segue inevitabilmente un periodo di confusione tanto più profondo e disordinato quanto più a lungo è durata la situazione dalla quale siamo usciti, o più marcata è stata la sofferenza che ci ha provocato. Il periodo di caos, se da un lato ci fornisce la preziosa opportunità di conoscere un po’ più a fondo noi stessi senza bisogno di relazionarci o adeguarci alle esigenze di un altro, dall’altro, soprattutto se siamo persone abituate ad avere le situazioni ben chiare nella nostra testa, ci fornisce la spiacevole sensazione di essere totalmente fuori controllo, privi di un’ancora che ci permetta di stabilire dei punti fermi.

Perché la reazione alla chiusura di una pagina, di un capitolo della nostra vita ci provoca reazioni tanto forti quanto instabili?

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Per quale motivo diventa impellente il bisogno di costruirci un’esistenza provvisoria nella quale ci affanniamo ad agire in modo esattamente opposto a quanto fatto fino a un momento prima?

Cos’è che ci porta a desiderare di vivere nel dubbio e nell’incertezza dandoci l’illusione di essere liberi, ma imprigionandoci di fatto nella rete della sregolatezza e del caos?

In realtà, se eravamo abituati ad avere un riferimento, una persona alla quale rendere conto, che si prendeva cura di noi e che costituiva un limite agli eccessi dai quali potevamo essere tentati, una volta terminata quella situazione ci sentiamo privi di quel freno che, a seconda dei casi, ci piaceva o ci faceva sentire limitati nel nostro campo d’azione, inducendoci, per reazione generata dal senso di rivalsa o dal ritrovare la tanto sospirata libertà, a buttarci in quei comportamenti fuori dalle righe che mettono a rischio noi e le persone con le quali abbiamo a che fare in questi momenti.

Ma fondamentalmente ciò che ci rendiamo conto di volere davvero, dopo un periodo più o meno lungo di disordine totale, è trovare qualcuno che ci prenda per mano e ci chieda di sederci accanto a lui, senza costringerci, semplicemente inducendoci a desiderare di stare fermi per un po’, così spontaneamente da farci dimenticare lentamente quel periodo di caos durante il quale abbiamo conosciuto e lasciato andare persone che potevano anche diventare importanti ma che, probabilmente, non erano in grado di far nascere in noi un desiderio abbastanza forte per mettere fine alla fuga da tutto e da tutti che stavamo vivendo nell’attimo in cui le abbiamo incrociate.

Perché nel momento in cui ci sentivamo in bilico tra passato e futuro, tra ciò che eravamo e ciò che volevamo essere, tra il luogo dal quale venivamo e quello verso il quale volevamo andare, tra la situazione dalla quale fuggivamo e quella che stavamo cercando di raggiungere, ci trovavamo in un limbo di

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incertezze, di domande, di esigenza di scoprirci e di scoprire, di sperimentazioni, chiunque ci fossimo trovati davanti avrebbe costituito un ostacolo a quel necessario processo di autocoscienza e di crescita fondamentale per capire noi stessi. Perché in queste particolari fasi dell’esistenza l’unica cosa che possiamo fare è accettarle come parti fondamentali di un percorso che ci farà comprendere ciò che vogliamo e ciò che desideriamo escludere, ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene davvero e ciò che ci fornisce solo una soddisfazione temporanea ed effimera.

Solo dopo questo cammino saremo guariti dal passato, pronti a girare pagina e scrivere un nuovo capitolo della nostra esistenza, finalmente più solidi ed equilibrati, aperti e disponibili anche a fermarci, se riconosciamo di avere di fronte qualcuno per cui valga la pena farlo.

Il giorno in cui non guarderemo più con rabbia il passatosarà quello in cui inizieremo a sorridere

con positività e fiducia al nostro futuro

La maggior parte di noi nel corso della propria vita ha dovuto fare i conti con scelte e decisioni che hanno lasciato un segno profondo e costituito l’asfalto sopra il quale ha camminato e costruito il futuro, cercando di dimenticare quelli che a volte sembrano dei veri e propri macigni, che ci tengono ancorati a ciò che è stato. Molto spesso compiere quelle scelte è stato davvero doloroso e faticoso, e forse anche di più se siamo stati costretti a subirle. Nel secondo caso infatti, pur essendoci rialzati e raccolto i cocci che la caduta ha lasciato in terra e avendo ripreso il possesso della nostra vita con la consapevolezza e, in un certo senso, con la rassegnazione, di dover per forza accettare l’inevitabile, può esserci rimasta dentro quella rabbia, che nel tempo si trasforma facilmente in rancore, per aver dovuto prendere atto di ciò che non è dipeso da noi.

Oppure abbiamo dovuto decidere, nostro malgrado, di fare

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violenza su noi stessi e sulle nostre reali intenzioni, per porre fine a qualcosa che non ci faceva più stare bene anzi, avvelenava la nostra esistenza. Andare avanti con quel senso di sconfitta, pensando che avrebbe potuto essere tutto completamente diverso, unito all’impotenza di non poter far nulla per cambiare le cose, ci fa sentire arrabbiati e frustrati, come se quel fastidioso sassolino nella scarpa ci infastidisse a ogni passo che compiamo andando avanti.

Perché il passato molte volte, genera questo tipo di rancori?

Per quale motivo è tanto difficile riuscire a mettere una pietra sopra a ciò che è successo, considerarlo come un tratto del nostro percorso e lasciarcelo alle spalle in modo definitivo?

Come possiamo non riuscire a comprendere che è solo liberandoci dal suo peso che potremo costruire davvero e serenamente il nostro futuro?

Molti di noi, pur percorrendo una strada nuova, portano con sé tutto il dolore e la rabbia vissute durante il percorso e, loro malgrado, non riescono a fare a meno di vivere ogni esperienza che la vita mette loro davanti nel presente rispondendo come se fossero fermi al momento in cui il dolore è iniziato, precludendo così a se stessi e a chi incontrano nel proprio cammino, la possibilità di scoprire chi erano prima di quel giro di boa che ha apparentemente trasformato la loro personalità, facendo diventare gli altri vittime ignare delle colpe compiute da personaggi entrati in scena in situazioni precedenti.

Poi però, con tempi più o meno lunghi a seconda della persona che si trova a doverli affrontare, ci rendiamo conto che vivere il presente con lo sguardo rivolto al passato, in qualche modo ci immobilizza e ci impedisce di seguire quella direzione che

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vedremmo con maggiore chiarezza se guardassimo solo avanti, non dimenticando ciò che ci ha lasciato un segno profondo e indelebile nel cuore e nell’anima, semplicemente ridimensionandolo e prendendolo per ciò che è, un passaggio, un momento della nostra vita, del nostro percorso, che abbiamo affrontato e superato e che prima o poi dovremo lasciarci definitivamente alle spalle.

Quello sarà il momento in cui i fantasmi del passato si dissolveranno, le nubi spariranno e noi potremo andare verso il futuro rendendoci conto della bella luce che, a guardare bene, si può scorgere guardando avanti e che, man mano, diventa più evidente e intensa. Sarà il momento in cui, finalmente, il sorriso ricomincerà a illuminare il nostro volto e ci sentiremo talmente positivi e fiduciosi da non sentire più il bisogno di volgere lo sguardo al passato per ricordarci di ciò che abbiamo sofferto, perché sapremo che quella parentesi si è chiusa, ce ne siamo liberati, abbiamo preso atto che ciò che è stato non era provocato dal fatto che il mondo e l’universo ce l’avessero con noi, semplicemente dovevamo incappare in quella difficoltà per imparare a superarla e considerarla come un passo necessario nella nostra formazione e crescita personale.

Quello sarà il momento in cui il futuro sarà luminoso, perché saranno i nostri occhi a illuminarlo, e noi ci alzeremo e, sorridenti, cammineremo verso di lui.

Iniziare a parlare sottovocespesso è il modo migliore

per predisporre gli altri a un attento ascolto

Molti di noi sono convinti che sia necessario entrare in un posto spalancando la porta sicuri, quasi come se gli fosse dovuto, che in quel modo tutti i presenti all’interno della stanza si volteranno a guardare il loro ingresso. Da un certo punto di vista questo può verificarsi più che altro grazie al fattore sorpresa, ma non

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certamente dall’interesse reale suscitato da chi sta effettuando un ingresso tanto trionfale. Subito dopo aver catalizzato l’attenzione e aver focalizzato gli sguardi verso il rumore sentito però, nel caso in cui l’effetto non sia seguito da un’adeguata sostanza, la bolla si sgonfierà improvvisamente. Allo stesso modo assistiamo continuamente, in molti episodi quotidiani, a dialoghi che si trasformano immediatamente in controversie o attacchi, durante i quali le persone alzano la voce più degli altri per sovrastarli convinti così di prendersi la ragione, quasi come se parlare fosse ormai diventato una gara, una competizione, e l’altro un antagonista sul quale dover vincere a tutti i costi piuttosto che qualcuno con il quale avere uno scambio di opinioni rispettoso e civile.

Nel mondo contemporaneo si è sviluppata la strana quanto incomprensibile tendenza a voler ottenere immediatamente il risultato a prescindere dalle capacità oggettive di poterlo conseguire, un po’ perché tutto sembra essere diventato facile e alla portata di chiunque, un po’ perché siamo stati diseducati a lavorare duro per meritare ciò che tanto desideriamo, quasi come se ci fosse dovuto solo per il fatto di volerlo. Abbiamo perso il concetto fondamentale di rimboccarsi le maniche e arrivare preparati alle prove, incantati dalla sirena del successo che molto spesso non fa rima con talento o con capacità di costruirsi la conoscenza necessaria ad arrivare proprio dove vogliamo. Quindi ci sembra quasi normale alzare la voce e fare rumore per avere attenzione, sicuri che gli altri debbano ascoltarci solo perché il tono è più alto rispetto a quello di chi ci sta intorno e non perché stiamo dicendo qualcosa di veramente interessante, e soprattutto senza avere quella fondamentale dote di autocritica necessaria a renderci conto che, forse, ciò che vogliamo dire non è alla portata o commisurato al bagaglio culturale, o formativo, che abbiamo costruito nel nostro percorso, e che quindi non meritiamo poi così tanto di essere ascoltati. Ma gli esempi che abbiamo davanti

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agli occhi ci portano a credere che tutto sia possibile e che se sgomitiamo per predominare a discapito della voce degli altri, facendo della prepotenza, e in casi estremi dell’arroganza, il mezzo per raggiungere il tanto desiderato obiettivo, pensiamo di riuscire a far credere al mondo di essere molto di più di ciò che in realtà siamo.

Perché abbiamo perso il gusto e il piacere di lavorare duro e conquistare passo dopo passo ciò che desideriamo?

Che cosa ci fa essere tanto convinti che sovrastando le voci degli altri li metteremo automaticamente nella condizione di volerci ascoltare?

Non è forse meglio parlare a bassa voce, o mantenere anche il silenzio se necessario, per far sì che le persone si interessino a ciò che stiamo cercando di far capire?

Questo discorso può essere esteso anche a un percorso di crescita professionale o personale nel quale non abbiamo avuto fretta di arrivare subito in alto, preferendo un’ascesa lenta che sapevamo ci avrebbe permesso di consolidare passo dopo passo, come un mattone sopra l’altro, la nostra formazione, fino a camminare più spediti e salire i gradini che ci portano verso l’alto, i quali, grazie al nostro lavoro costante, non saranno pericolanti o a rischio di rottura come i pioli di una scala di legno, bensì solidi e ben piantati in terra come i larghi gradini in pietra che possono rimanere in piedi e costituire un appoggio sicuro anche durante un terremoto. A quel punto non avremmo alcun bisogno di gridare per essere ascoltati perché il percorso che abbiamo effettuato ci porterà naturalmente a essere rispettati per la serietà che abbiamo dimostrato e per la stima che riceviamo per non essere scesi a compromessi, scegliendo la strada più breve che ci avrebbe sì

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proiettati subito in alto, ma con il rischio di aver messo i piedi sul piolo di legno incrinato e pericolante che al primo passo falso avrebbe potuto rompersi e farci precipitosamente ricadere esattamente nel punto dal quale eravamo partiti.

Eppure, nel caso in cui scegliamo il percorso più lungo, quello che ci porta a scegliere il silenzio per far sì che le persone inizino a notarci e ad ascoltarci, durante il quale l’obiettivo quasi non è risultato finale ma piuttosto il percorso di formazione che lentamente ci porta a un’importante crescita, ci sembra di dimenticare ciò per cui stiamo lottando, che a sua volta sembra non arrivare mai quasi come se quando ci stiamo avvicinando, la meta si allontani e metta una nuova distanza da colmare, mentre in contrapposizione quelli che avevano gridato sembrano essere lì in cima e ben saldi. Ma un giorno all’improvviso, tutto ciò per cui avevamo tanto lottato e duramente lavorato si verificherà, e tutti coloro i quali inizialmente non ci ascoltavano e non dimostravano interesse in ciò che stavamo dicendo, magicamente volgeranno l’attenzione su di noi, prima distrattamente poi con interesse via via crescente e non perché abbiamo di punto in bianco deciso di fare più rumore, semplicemente perché la lenta e solida costruzione del nostro percorso ci avrà portati a dimostrare il nostro valore.

E a quel punto il nostro modo di fare discreto, sottotono, quasi di basso profilo rispetto alle nostre reali capacità, contrapposto a quello di chi invece si era imposto in modo altisonante senza avere la sostanza per sostenere il ruolo che desiderava ricoprire, pagherà e ci farà guardare e considerare dagli altri per l’affidabilità che abbiamo dimostrato di avere. Dimostrandolo appunto, sottovoce, finché gli sguardi non hanno iniziato a sollevarsi verso di noi, vedendoci, e le orecchie non hanno iniziato ad ascoltare con attenzione il rumore silenzioso che abbiamo prodotto.