Riassunto di Diritto Commerciale Campobasso

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DIRITTO COMMERCIALE

Riassunto CAMPOBASSO

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L’ IMPRENDITORE

La figura centrale del diritto commerciale è l’imprenditore. Il nostro codice civile offre una definizione di imprenditore all’art. 2082, il quale stabilisce che l’imprenditore è chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Vi sono, quindi, 4 requisiti fondamentali che devono essere presenti affinché si possa parlare di imprenditore, questi sono:

1. PROFESSIONALITA’

2. ECONOMICITA’

3. ORGANIZZAZIONE

4. DIREZIONE AL MERCATO

1) Per professionalità si intende l’abitualità nell’esercizio dell’attività di impresa, di conseguenza non può qualificarsi imprenditore chi esercita l’attività soltanto occasionalmente.

Es: non è imprenditore un soggetto che in via occasionale istituisca un banco di bandierine davanti allo stadio.

Per essere imprenditore non è necessario che l’attività sia anche continuativa, rientra dunque nella qualifica di imprenditore il soggetto che svolge la propria attività stagionalmente.

2) Può qualificarsi come imprenditore il soggetto che si ponga come obiettivo l’economicità della gestione. Per economicità deve intendersi il perseguimento di un profitto cioè di un surplus dei ricavi rispetto ai costi. Si ritiene tuttavia che possa qualificarsi imprenditore anche il soggetto che si ponga come obiettivo il raggiungimento del pareggio tra ricavi e costi (questo è il caso dell’imprenditore pubblico).

3) Organizzazione. Un soggetto, per essere qualificato imprenditore, deve coordinare capitale e/o lavoro altrui. Non è dunque imprenditore chi organizza esclusivamente il lavoro proprio senza ricorrere a capitale o lavoro altrui.

4) L’imprenditore, per essere tale, deve orientare il risultato della propria attività verso il mercato. Non può quindi qualificarsi come

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imprenditore il soggetto che produce solo per le proprie esigenze: non è quindi imprenditore un soggetto che nel tempo libero coltivi il proprio orto e ne destini il risultato al consumo personale.

Immaginiamo che l’imprenditore sia rappresentato come un insieme:

Questo insieme è divisibile in più parti. Il c.c. distingue la figura dell’imprenditore sotto due profili:

1) QUALITATIVO

a. Imprenditore agricolo

b. Imprenditore commerciale

2) QUANTITATIVO

c. Piccolo imprenditore

d. Imprenditore medio/ grande

L’imprenditore ha una definizione generale all’art. 2082, ma le singole figure imprenditoriali hanno una disciplina specifica.

In ogni caso vale per tutti la disciplina generale per cui per essere piccoli imprenditori bisogna essere imprenditori.

IL PICCOLO IMPRENDITORE

Il piccolo imprenditore è definito dall’art. 2083 che recita: “sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti. Sono in ogni caso piccoli imprenditori coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. Quindi l’art. 2083 individua tre figure di piccolo imprenditore:

1. coltivatore diretto del fondo (nella rappresentazione grafica è l’imprenditore agricolo piccolo)

2. artigiano, che produce beni (imprenditore commerciale piccolo)

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Commerciale

Medio/Grande

(art.2195)

Agricolo

Medio/Grande

(art.2135)Commerciale

Piccolo

(art.2083)

Agricolo

Piccolo

(art.2083)

Imprenditore

(Art. 2082)

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3. piccolo commerciante, che produce servizi (imprenditore commerciale piccolo)

Tuttavia affinché un imprenditore possa essere qualificato piccolo è necessario che soddisfi la seconda parte della norma contenuta nell’articolo 2083, che vi sia cioè una prevalenza del lavoro dell’imprenditore e dei suoi famigliari rispetto al capitale e/o lavoro altrui.

Es: non può essere considerato piccolo imprenditore un gioielliere a causa dell’ingente capitale investito nella propria impresa; al contrario, un ciabattino che svolge la propria attività in un locale condotto in affitto, può essere considerato piccolo imprenditore, in virtù della prevalenza del lavoro proprio rispetto al capitale investito.

Nel corso degli anni sono intervenute diverse innovazioni legislative che hanno introdotto ulteriori definizioni di piccolo imprenditore. La legge fallimentare, ad esempio, conteneva una definizione autonoma di piccolo imprenditore: tale norma è stata abrogata. Pertanto, anche ai fini fallimentari, assume rilevanza la definizione contenuta nell’art. 2083.

Sempre nel corso degli anni sono poi intervenute leggi settoriali che hanno fornito una definizione alternativa della figura dell’artigiano, in particolare una legge del 1985 ha stabilito che possa considerarsi artigiano un soggetto che, secondo il settore di attività, abbia alle proprie dipendenze fino a 40 lavoratori subordinati; è opinione prevalente che tale definizione di artigiano abbia valenza limitatamente alle agevolazioni che la stessa legge del 1985 prevede a favore degli artigiani. In altre parole un soggetto che rientri nei limiti previsti dalla legge del 1985 è artigiano ma soltanto per quanto riguarda le agevolazioni previste nella legge stessa; per contro non è assolutamente detto che tale artigiano possa anche essere qualificato piccolo imprenditore. Per essere tale, infatti, è necessario che soddisfi anche il requisito della prevalenza del lavoro proprio e dei propri famigliari rispetto a capitale e lavoro altrui. In definitiva potrà non essere qualificato piccolo imprenditore un soggetto che abbia 40 dipendenti, ma potrà essere artigiano ai fini della legge del 1985.

L’IMPRENDITORE AGRICOLO

L’art. 2135 dice: “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività:

i. coltivazione del fondo;

ii. selvicoltura;

iii. allevamento di animali;

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iv. attività connesse a quelle precedentemente elencate”.

L’art. 2135 individua quindi tre attività principali e poi delle attività connesse.

Per coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento d’animali s’intendono le attività principali, dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. L’elemento determinante per l’individuazione delle attività principali è quindi rappresentato dal fatto che queste debbano integrare un ciclo biologico intero o una fase necessaria dello stesso. Pertanto, un soggetto che acquisti vitelli e ne curi lo sviluppo dell’intero ciclo biologico o di una parte dello stesso può essere qualificato imprenditore agricolo, mentre chi acquista per la rivendita vitelli o manzi, non può essere qualificato imprenditore agricolo.

Altro elemento fondamentale per l’individuazione delle attività agricole principali è che non è necessario che vi sia un collegamento con il fondo, quindi anche la coltivazione in serra deve essere considerata attività agricola.

Affinché le attività esercitate da un imprenditore possano considerarsi connesse è necessario che siano soddisfatte due condizioni:

1) le attività medesime devono essere svolte dallo stesso imprenditore che svolge un’attività principale (connessione soggettiva).

2) le attività devono avere ad oggetto in prevalenza prodotti ottenuti da una attività agricola principale (connessione oggettiva).

A) Sono in particolare connesse le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione delle coltivazioni del fondo, del bosco o dell’allevamento di animali. Così, ad esempio, l’imprenditore che allevi mucche e che quindi sia qualificabile come imprenditore agricolo, svolge attività connesse se trasforma il latte prodotto dalle sue mucche in formaggi.

L’imprenditore conserva la qualifica di imprenditore agricolo anche per tali attività connesse, sebbene le stesse abbiano natura commerciale.

B) Sono inoltre attività connesse le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata. Così continua

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ad essere imprenditore agricolo chi utilizzando il trattore vada ad arare il campo del vicino a pagamento.

C) Sono infine attività connesse le attività di valorizzazione del territorio o del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e ospitalità: sono queste le attività di agriturismo.

L’IMPRENDITORE COMMERCIALE

Art. 2195: individua 5 tipi di attività commerciali:

1) attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi;

Es: FIAT e FERRERO che producono beni

2) attività intermediaria nella circolazione dei beni (rientrano in quest’ambito tutte le attività di commercializzazione);

Es: attività svolta da un grossista o da un’agenzia immobiliare

3) attività di trasporto per terra, acqua e aria;

Es: attività svolta da una compagnia aerea

4) attività bancaria o assicurativa;

Es: attività svolta da banche e assicurazioni

5) attività ausiliarie delle precedenti;

Es: attività svolta da un’impresa di leasing

Oltre alla definizione contenuta nell’art. 2195 che definisce per l’appunto l’impresa commerciale, esiste tutta una serie di altre norme applicabili, seppur con qualche eccezione, in via esclusiva all’imprenditore commerciale.

Tali norme riguardano i seguenti argomenti:

1. la pubblicità giuridica

2. le scritture contabili

3. le norme sulla rappresentanza

4. le procedure concorsuali

Tutti questi insiemi di norme riguardano principalmente l’imprenditore commerciale.

LA PUBBLICITÀ GIURIDICA

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Il nostro legislatore ha istituito una banca dati nella quale debbano confluire le informazioni più importanti relative all’impresa, tale banca si chiama registro delle imprese ed è tenuto dalle camere di commercio. Nel registro delle imprese devono essere indicati i fatti e gli atti principali riguardanti la vita dell’impresa. Tale registro è diviso in due sezioni:

1. sezione ordinaria

2. sezione speciale

Nella sezione ordinaria devono essere iscritti gli atti e i fatti relativi all’imprenditore commerciale medio grande.

Nella sezione speciale devono essere iscritti rispettivamente la società semplice, il piccolo imprenditore, l’artigiano e l’imprenditore agricolo.

L’iscrizione nella sezione speciale o in quella ordinaria produce effetti diversi. In particolare l’iscrizione nella sezione speciale produce effetti di “pubblicità notizia”, cioè ha esclusivamente “efficacia informativa” per terzi.

L’iscrizione nella sezione ordinaria può produrre un’“efficacia dichiarativa” o, in taluni casi, un’“efficacia costitutiva”. L’efficacia dichiarativa rende gli atti o i fatti iscritti opponibili ai terzi, questo vuol dire che un dato iscritto nella sezione ordinaria si dà per noto a tutti, senza possibilità di prova contraria. Un atto o un fatto non iscritto si dà per non noto ai terzi, a meno che si provi che i terzi ne hanno avuto notizia. L’efficacia dichiarativa ha una valenza positiva e una negativa. Positiva nel senso che l’atto o il fatto iscritto si dà per noto a tutti senza possibilità di prova contraria, negativa nel senso che l’atto o il fatto non iscritto si dà per non noto a tutti con possibilità di prova contraria. L’efficacia dichiarativa è quella che hanno in prevalenza gli atti e i fatti iscritti nella sezione ordinaria.

L’efficacia costitutiva è quella che rende il fatto o l’atto iscritto produttivo di effetti nei confronti di terzi. Essa vale, per esempio, per l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo della società per azioni. A seguito dell’iscrizione la società viene ad esistere ed acquista personalità giuridica.

L’iscrizione dell’impresa agricola nella sezione speciale comporta un effetto di pubblicità dichiarativa in deroga al principio secondo cui l’iscrizione nella sezione speciale produce effetti di pubblicità notizia.

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Funzionamento Del Registro Delle ImpreseIl c.c. stabilisce che l’imprenditore debba iscrivere nel registro delle imprese tutti i fatti più importanti della propria attività. In particolare si prevede che l’imprenditore entro 30 gg. dall’inizio dell’impresa debba chiedere l’iscrizione dei dati anagrafici dell’impresa stessa, cioè:

1) cognome, nome, data di nascita dell’imprenditore e sua cittadinanza

2) la Ditta

3) l’oggetto dell’impresa

4) la sede dell’impresa

5) cognome e nome degli institori e dei procuratori

Si prevede poi che l’imprenditore debba chiedere l’iscrizione delle modificazioni relative agli elementi sopra indicati. L’imprenditore infine deve chiedere l’iscrizione della cessazione dell’impresa; anche per le modifiche e la cessazione è previsto il termine di 30 gg.

Tutti i dati appena indicati devono essere iscritti presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede dell’impresa. La circoscrizione ha normalmente estensione provinciale. L’imprenditore deve indicare negli atti e nella corrispondenza il registro e il numero di registro presso il quale è iscritta. Tutte le società, ad eccezione della società semplice, devono essere iscritte nella sezione ordinaria.

RAPPRESENTANZA COMMERCIALEL’imprenditore, nell’esercizio della propria attività, si avvale di ausiliari subordinati (cioè dipendenti), fra questi assumono particolare importanza le 3 figure del:

1) institore (direttore generale)

2) procuratore

3) commesso

1) L’INSTITORE riceve i propri poteri per effetto della preposizione institoria, cioè in conseguenza della collocazione in un particolare punto dell’organigramma aziendale. L’institore ha un potere di rappresentanza generale, in particolare può compiere tutti gli atti relativi all’impresa al vertice della quale è preposto. Tutti i poteri ma

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con 2 eccezioni: 1) non può vendere beni immobili dell’imprenditore; 2) non può concedere ipoteche su beni immobili dell’imprenditore.

Quindi l’institore che sia stato preposto ad un’impresa ha un potere di rappresentanza particolarmente esteso, pur con i 2 limiti visti, potere che gli deriva dalla preposizione. L’imprenditore potrebbe tuttavia estendere o limitare il potere di rappresentanza generale previsto dalla legge; per fare questo l’imprenditore deve avvalersi di un’apposita procura, la procura deve essere iscritta nel registro delle imprese. In definitiva, se nulla è previsto dall’imprenditore, all’institore compete un potere di rappresentanza generale, con i 2 limiti, e come abbiamo detto tale potere può essere limitato o esteso con la procura.

L’institore può essere preposto all’intera impresa, ad una sede secondaria o ad un ramo particolare; in ogni caso egli riferisce direttamente all’imprenditore, nel senso che dipende direttamente da questi.

L’institore nel trattare con i terzi deve agire in nome e per conto dell’imprenditore cioè deve spendere il nome dell’imprenditore; qualora nel trattare un determinato affare non manifestasse la propria qualità, cioè non spendesse il nome dell’imprenditore, diventerebbe responsabile personalmente per l’affare concluso; risponde anche l’imprenditore solo nel caso in cui l’affare sia inerente all’attività d’impresa.

2) PROCURATORE E COMMESSO sono figure che possiedono un potere di rappresentanza limitato, in particolare il procuratore ha il potere di compiere per un imprenditore gli atti pertinenti l’esercizio dell’impresa pur non essendo preposto ad essa. I commessi possono invece compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati, possono cioè compiere gli atti di loro competenza.

LE SCRITTURE CONTABILIL’imprenditore commerciale deve tenere:

1) 2 libri contabili nominati: il libro giornale e il libro degli inventari;

2) altre scritture contabili innominate, cioè le scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.

LIBRO GIORNALE

Giuridicamente il libro giornale è il libro nel quale devono essere annotate giorno per giorno le operazione relative all’esercizio dell’impresa. Giorno per giorno non significa che le operazioni devono essere annotate nel giorno stesso in cui vengono compiute, ma

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devono essere annotate al più presto e rispettando l’ordine cronologico. Il c.c. non fissa un termine per l’annotazione mentre la legge fiscale fissa il termine di 60 gg.

LIBRO DEGLI INVENTARI

Contiene gli inventari che devono redigersi all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente al termine di ogni anno. Ciascun inventario deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività dell’impresa. Inoltre per l’imprenditore individuale l’inventario deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività estranee all’impresa, cioè personali. L’inventario si chiude con il bilancio, cioè lo stato patrimoniale e il conto del profitti e delle perdite (C.E.). Stato patrimoniale e conto economico devono dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite. Il c.c. pone dunque due principi generali che devono essere osservati nella redazione del bilancio dell’imprenditore: i principi di evidenza e verità che la dottrina ritiene siano coincidenti con i principi di chiarezza e rappresentazione veritiera e corretta, propri del bilancio delle società di capitali. Inoltre nelle valutazioni del bilancio l’imprenditore deve osservare i criteri stabiliti per le società di capitali a condizione che risultino applicabili.

L’inventario deve essere sottoscritto dall’imprenditore entro 3 mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette.

FORMALITA’

Il libro giornale e il libro degli inventari prima di essere messi in uso o al momento dell’utilizzo devono essere numerati progressivamente in ogni pagina. L’obbligo di bollatura iniziale è stato abrogato.

Tutte le scritture contabili devono essere tenute secondo le norme di un’ordinata contabilità senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine; non si possono inoltre fare abrazioni, e se è necessaria qualche cancellazione questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili.

Le scritture contabili devono essere conservate per 10 anni dalla data dell’ultima registrazione.

EFFICACIA PROBATORIA DELLE SCRITTURE CONTABILI

Le scritture contabili possono essere usate come mezzi di prova, in particolare esse fanno prova contro l’imprenditore sempre, mentre

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possono fare prova a favore dell’imprenditore solo nei rapporti con altri imprenditori e per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, quando sono regolarmente tenute.

SCRITTURE GIURIDICHE

L’imprenditore deve tenere ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute nonché copia delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le scritture giuridiche devono essere conservate per 10 anni.

L’AZIENDAL’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Essa si differenzia dunque dall’impresa che è invece l’attività esercitata dall’imprenditore.

TRASFERIMENTO DELL’AZIENDA

1) FORMA DEL CONTRATTO

Occorre operare una distinzione tra forma del contratto ai fini della validità del contratto, e forma del contratto ai fini dell’iscrizione dello stesso nel registro delle imprese.

Per quanto riguarda la forma della validità del contratto, la legge non prescrive requisiti di forma particolare, prevede però che il contratto sia provato per iscritto; quindi per la validità del contratto non è prevista alcuna forma particolare, e la forma scritta è richiesta soltanto a fini probatori. Pertanto il contratto può anche essere stipulato in forma verbale ed è perfettamente valido; l’unica conseguenza è che il contratto non può essere provato in giudizio.

La regola della libertà della forma subisce due eccezioni:

1) è richiesta la forma scritta se fanno parte del complesso aziendale anche beni immobili o beni mobili registrati;

2) quando è richiesto dalla natura del negozio giuridico di trasferimento dell’azienda, occorre osservare la forma scritta (ad es. per la donazione).

Ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese è necessario invece utilizzare la scrittura privata autenticata, o l’atto pubblico. In definitiva, poiché il contratto di trasferimento d’azienda deve essere scritto nel registro delle imprese si adotta sempre la forma della scrittura privata autenticata o dell’atto pubblico.

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Il contratto di trasferimento d’azienda deve essere iscritto nel registro delle imprese entro 30 gg. a cura del notaio che ha autenticato le firme o che ha rogato l’atto.

2) DIVIETO DI CONCORRENZA

L’alienante dell’azienda deve astenersi, per il periodo di 5 anni dal trasferimento, dall’ iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.

La durata del divieto di concorrenza non può eccedere i 5 anni, e se nel contratto è indicata una durata maggiore, o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per 5 anni dal trasferimento.

3) SUCCESSIONE NEI CONTRATTI

Al complesso di beni che costituiscono l’azienda possono essere collegati anche contratti cosiddetti aziendali (ad es. i contratti di leasing sui macchinari, o il contratto di locazione dell’immobile in cui è esercitata l’attività ecc.).

Tutti i contratti che afferiscono all’azienda vengono trasferiti con l’azienda stessa. Vi sono 2 eccezioni:

1) i contratti che hanno natura personale (ad es. il contratto con lo psicologo di fabbrica o il contratto d’assistenza con il legale ecc.);

2) non si trasferiscono i contratti specificamente esclusi nel contratto di trasferimento d’azienda.

Occorre tuttavia considerare che non si possono escludere dal trasferimento così tanti contratti da far venir meno la potenzialità produttiva dell’azienda ceduta; in tal caso, infatti, non vi sarebbe trasferimento d’azienda ma trasferimento di singoli beni.

In deroga alle regole di diritto privato, non è necessario notificare al contraente ceduto il trasferimento del contratto, né ottenere il suo consenso.

Il contraente ceduto può tuttavia recedere dal contratto entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento, ma soltanto se sussiste una giusta causa.

4) SORTE DEI CREDITI RELATIVI ALL’AZIENDA CEDUTA

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I crediti relativi all’azienda ceduta si trasferiscono insieme con l’azienda. Per il trasferimento non è necessaria la notifica al debitore ceduto né la sua accettazione.

5) SORTE DEI DEBITI RELATIVI ALL’AZIENDA CEDUTA

Il legislatore non stabilisce se i debiti relativi all’azienda ceduta si trasferiscano o meno con l’azienda stessa. Quindi il trasferimento dipende dalla volontà delle parti, cioè da quanto scritto nel contratto. Il legislatore tuttavia stabilisce che dei debiti relativi all’azienda continua a rispondere l’alienante; risponde anche l’acquirente ma limitatamente ai debiti che risultano dai libri contabili obbligatori. Stabilisce peraltro che l’alienante possa essere liberato dalla responsabilità da parte dei creditori.

Tutte le regole viste si applicano al trasferimento d’azienda quando esso avvenga nella forma della cessione o compravendita. Regole particolari si applicano nel caso di trasferimento sotto forma di usufrutto o affitto.

LE SOCIETA’

IL CONTRATTO DI SOCIETÀCon esso due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.

Primo aspetto: il contratto di società è un contratto plurilaterale, nel senso che vi devono partecipare almeno 2 persone. Questa tuttavia non è una regola assoluta per la costituzione di una società; infatti vi è un tipo di società, la società a responsabilità limitata (s.r.l.) che può essere costituita con atto unilaterale, cioè può nascere con un solo socio. Nel progetto di riforma delle società di capitali è poi previsto che anche la S.p.A. possa nascere con un unico socio.

Secondo aspetto: con la stipula del contratto di società i soci assumono l’obbligo anzitutto di effettuare conferimenti a favore della società. I conferimenti comportano il trasferimento di beni o servizi dalla sfera personale del socio alla società. Come vedremo i conferimenti possono essere in denaro, o in natura, o per alcune società, consistere nella prestazione lavorativa del socio a favore della società.

Terzo aspetto: i soci con il contratto di società si impegnano all’esercizio in comune dell’attività d’impresa.

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La cessione dei crediti va iscritta nel registro delle imprese
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Quarto aspetto: i soci si prefiggono di conseguire un utile e di suddividerlo fra i soci stessi.

TIPI DI SOCIETÀ

Le società vengono normalmente divise in 2 categorie:

1) società di persone

2) società di capitali

Appartengono alla categoria delle società di persone 3 tipi di società: a) società semplice; b) società in nome collettivo; c) società in accomandita semplice.

Anche le società di capitali si suddividono in 3 tipi: a) società per azioni; b) società a responsabilità limitata; c) società in accomandita per azioni .

Oltre alle società di persone e alle società di capitali vi sono altri 2 tipi di società: a) le società cooperative; b) le mutue assicuratrici.

Altra distinzione è quella fra società aventi personalità giuridica e società non aventi personalità giuridica. Le società di persone non hanno personalità giuridica, le società di capitali hanno personalità giuridica. Una società ha personalità giuridica quando per legge è trattata come soggetto di diritto formalmente distinto dalle persone dei soci. La società con personalità giuridica gode di piena e perfetta autonomia patrimoniale.

Il legislatore ha negato la personalità giuridica alla società di persone, però ha dato alla stessa autonomia patrimoniale (imperfetta) per tutelare sia i creditori sociali, sia il patrimonio dei singoli soci.

Infatti:

1) i creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi. Finché dura la società possono solo far valere i loro diritti sugli utili e compiere atti conservativi sulla quota del socio debitore. Nella società semplice, e nelle altre società di persone in caso di proroga tacita, il creditore personale del socio può ottenere la liquidazione della quota del socio debitore, se gli altri beni di questi sono insufficienti a soddisfare il suo credito;

2) i creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili: devono prima infruttuosamente escutere il patrimonio sociale. Eccezione: nella società semplice il creditore della società può

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indifferentemente rivolgersi alla società o al socio. Il socio può rivoltare la richiesta sulla società, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi.

Indicazione negli atti e nella corrispondenzaIl nostro c.c. stabilisce che negli atti e nella corrispondenza devono essere indicate le seguenti informazioni: la sede della società e l’ufficio del registro delle imprese presso il quale la società è iscritta e il numero di iscrizione; inoltre per le società di capitali, cioè per la S.p.A., la s.r.l. e la s.a.p.a., anche il capitale sociale effettivamente versato, quale risulta esistente dall’ultimo bilancio.

Infine quando si sia verificata una causa di scioglimento, e quindi la società sia entrata nella fase di liquidazione, negli atti e nella corrispondenza deve essere indicato espressamente che la società è in liquidazione. Inoltre se la società si trova ad avere un unico socio deve essere indicata tale circostanza (unipersonale).

SOCIETA’ DI PERSONE

SOCIETA’ SEMPLICE (s.s.)

La società semplice, secondo quando previsto nel Codice Civile, può svolgere esclusivamente attività agricola; alcune norme di carattere fiscale hanno tuttavia legittimato l’utilizzo della s.s. anche per attività di natura commerciale, come ad esempio la gestione di immobili. Le altre società di persone cioè la s.n.c. e la s.a.s. possono invece svolgere, sia attività commerciali, sia attività agricole.

CONTRATTO SOCIALE

Per quanto riguarda la forma del contratto costitutivo della società semplice, non sono previste forme speciali, quindi il contratto può avere forma scritta o anche solo forma verbale, addirittura la società può costituirsi in forza del comportamento concludente dei soci, cioè Tizio e Caio si comportano come se fossero soci, pur non avendo mai stipulato un contratto di società, né in forma scritta, né in forma verbale; questo è il caso della cosiddetta società di fatto (accordo tacito). Esiste una eccezione alla libertà di forme, infatti se uno dei soci conferisce beni immobili o beni mobili registrati, la forma richiesta è quella scritta.

Il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci a meno che sia diversamente stabilito nell’atto costitutivo, in altre parole vale per la s.s. il principio unanimistico in

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contrapposizione alle società di capitali per le quali, come si vedrà, vale il principio maggioritario.

CONFERIMENTI

Come si è detto, il socio, con il contratto di società assume l’obbligo di eseguire i conferimenti determinati nel contratto stesso, i conferimenti sono normalmente in denaro ma possono anche essere in natura o sotto forma di servizi. Se i conferimenti non sono determinati nel contratto sociale, si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti uguali, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale. (Oggetto sociale: specifico tipo di attività economica che i soci hanno pattuito di esercitare in comune).

Se i conferimenti sono in natura, essi possono essere a titolo di proprietà o in godimento; se il conferimento è in proprietà, la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi, sono regolati dalle norme sulla vendita; nel caso in cui invece i beni siano conferiti in godimento, la garanzia è regolata dalle norme sulla locazione, mentre il rischio dei beni conferiti resta a carico del socio conferente.

Rientrano tra i beni in natura anche i crediti, per i quali vale una regola particolare, nel senso che il credito si intende conferito, non per il suo valore nominale, ma per il valore attribuito nel contratto, quindi se un credito di valore nominale pari a 100 viene conferito per il valore di 80 e il debitore non paga, il socio conferente risponde dell’insolvenza del debitore nei limiti di 80.

Tutti i beni conferiti sono destinati ad essere utilizzati nell’ambito della società per il conseguimento dei fini sociali, pertanto i soci non possono servirsi dei beni conferiti per fini estranei a quelli della società, a meno che abbiano ottenuto il consenso degli altri soci.

AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETÀ

L’amministrazione della società può essere attribuita secondo due modelli: quello dell’amministrazione disgiuntiva e quello dell’amministrazione congiuntiva.

Secondo il modello dell’amministrazione disgiuntiva, l’amministrazione spetta disgiuntamente a ciascuno dei soci, pertanto ogni socio amministratore, può compiere atti di amministrazione, senza consultare preventivamente gli altri soci amministratori. A tale libertà di azione è contrapposto un temperamento, infatti si stabilisce che ciascun socio amministratore ha il diritto di opporsi all’operazione che un altro socio amministratore voglia compiere, prima che sia compiuta: la decisione in ordine all’opposizione è rimessa alla

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maggioranza dei soci (amministratori e non amministratori), determinata secondo le quote di partecipazione agli utili.

Nel modello del l’amministrazione congiuntiva, si prevede che l’amministrazione spetti congiuntamente a più soci, e si prevede che per ogni atto di amministrazione sia necessario il consenso di tutti i soci amministratori. L’atto costitutivo peraltro può prevedere che l’amministrazione congiuntiva risponda al principio maggioritario, in tale caso, le decisioni vengono assunte dai soci amministratori a maggioranza secondo le quote di partecipazione agli utili; anche per il modello congiuntivo è previsto un temperamento, si stabilisce infatti che i singoli amministratori possano compiere disgiuntamente un atto amministrativo, nel caso in cui vi sia urgenza di evitare un danno alla società.

Se nulla è stabilito nel contratto sociale, si applica il modello dell’amministrazione disgiuntiva.

Gli amministratori per entrambi i modelli devono essere necessariamente soci della società, e se nulla è previsto nel contratto sociale, tutti i soci sono anche amministratori; tuttavia l’amministrazione potrebbe essere conferita soltanto ad alcuni soci.

REVOCA DEGLI AMMINISTRATORI

Gli amministratori possono essere nominati nel contratto sociale oppure con atto separato; nel primo caso la revoca è ammessa soltanto per giusta causa, nel secondo invece si applicano le norme del mandato (anche senza giusta causa, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento del danno); analogamente i diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato (i numerosi obblighi sono sintetizzabili nel dovere generale di amministrare la società con la diligenza del mandatario).

Per quanto concerne la responsabilità degli amministratori si stabilisce che essi sono solidalmente responsabili verso la società per l’inadempimento degli obblighi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia, la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa.

CONTROLLO DEI SOCI

I soci non amministratori hanno diritto di :

1) avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali;

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2) consultare i documenti relativi all’amministrazione (scritture contabili);

3) ottenere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società sono stati compiuti, ovvero, se il compimento degli affari sociali dura oltre un anno, al termine di ogni anno.

PARTECIPAZIONE DEI SOCI AGLI UTILI

Ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili, dopo l’approvazione del rendiconto.

Il rendiconto deve consistere in un quadro generale della situazione patrimoniale della società; si tratta dunque di un bilancio nel quale devono essere espressi, in termini monetari, i valori attribuiti ai vari elementi dell’attivo e del passivo, dal raffronto dei quali potrà emergere l’esistenza di utili, ossia di una eccedenza dell’attivo sul passivo.

Se nulla è stabilito nel contratto sociale, la quota di partecipazione agli utili e alle perdite, è proporzionale ai conferimenti; come si è detto, se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, essi si presumono uguali. Il contratto sociale può prevedere una partecipazione agli utili e alle perdite non proporzionale ai conferimenti.

Nel caso in cui il socio abbia conferito servizi, la quota di partecipazione agli utili e alle perdite, se non è determinata dal contratto, è fissata dal giudice secondo equità.

Se il contratto sociale determina soltanto la quota di partecipazione agli utili, si presume che, nella stessa misura, il socio debba partecipare alle perdite. E’ da ritenersi anche la regola inversa.

Infine è posto il divieto del patto leonino, cioè del patto con il quale uno o più soci, sono esclusi da ogni partecipazione agli utili e alle perdite; in particolare, si stabilisce che tale patto sia nullo.

Devono considerarsi nulli anche i criteri di ripartizione congeniati in modo tale da determinare la sostanziale esclusione di uno o più soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite (es. il socio partecipa agli utili e alle perdite solo se raggiungono un importo spropositato).

RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETÀ

La dottrina opera una distinzione fra amministrazione e rappresentanza. L’amministrazione è il potere di gestione interno, la rappresentanza è il potere di manifestare ai terzi gli atti di gestione decisi. Il potere di rappresentanza, se nulla è stabilito nel contratto

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sociale, spetta a ciascun socio amministratore, pertanto ciascun soci amministratore può, in quanto amministratore, assumere decisioni a rilievo interno, e in quanto rappresentante, manifestare ai terzi le proprie decisioni.

L’atto costitutivo, potrebbe prevedere una articolazione variegata del potere di amministrazione e di rappresentanza, così si potrebbe prevedere che i soci abbiano potere di amministrazione disgiuntiva per gli atti di ordinaria amministrazione e potere di amministrazione congiuntiva, per gli atti di straordinaria amministrazione.

Il potere di rappresentanza potrebbe poi essere attribuito ad uno soltanto o ad alcuni soltanto degli amministratori.

RESPONSABILITÀ PER LE OBBLIGAZIONI SOCIALI

Delle obbligazioni sociali rispondono personalmente e solidalmente tutti i soci, ecco perché si parla di responsabilità illimitata dei soci della s.s.

Questo principio generale soffre peraltro di una eccezione, in particolare si prevede, che uno o più soci rispondono limitatamente purché siano rispettate due condizioni: 1) che i soci in oggetto non siano amministratori della società; 2) che il patto con cui è stata limitata la responsabilità sia portato a conoscenza dei terzi, con mezzi idonei (il patto di limitazione della responsabilità ha, pertanto, un onere pubblicitario: se non è portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, non è opponibile ai terzi, a meno che si provi che questi ne avevano conoscenza).

Nella s.s. il creditore della società, può rivolgersi indifferentemente alla società o al socio, per ottenere la riscossione del proprio credito; tuttavia il socio, al quale sia richiesto il pagamento di un debito sociale, può dirottare la richiesta sul patrimonio della società, ma deve indicare i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi (devono essere beni di pronta e facile convertibilità in una somma di denaro). Esiste quindi per la s.s. un limitato beneficio di escussione (nella s.n.c. il creditore sociale non può, invece, agire nei confronti del socio senza aver agito nei confronti della società: il beneficio di escussione è pieno).

Chi entra a far parte di una s.s. già costituita, risponde illimitatamente per tutte le obbligazioni sociali, anche quelle anteriori all’acquisto della qualità di socio.

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CREDITORE PARTICOLARE DEL SOCIO

Il creditore particolare del socio, finché dura la società, può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore, e compiere atti conservativi sulla quota spettante al socio nella liquidazione. Tuttavia se i beni del debitore non sono sufficienti a soddisfare i suoi crediti, il creditore particolare del socio può anche chiedere la liquidazione della quota del socio debitore. E’, pertanto, necessaria la prova che gli altri beni del socio sono insufficienti a soddisfare il suo credito. La richiesta opera come causa di esclusione di diritto. Neppure in tale caso il creditore del socio può soddisfarsi direttamente sul patrimonio sociale: la società sarà soltanto tenuta a versargli una somma di denaro che corrisponde al valore della quota al momento della domanda.

La quota del socio deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda e non è ammessa la compensazione fra il debito che un soggetto ha verso la società e il credito che egli ha verso un socio; infatti, se ciò fosse possibile, il creditore del socio si soddisferebbe sul patrimonio della società.

SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO SOCIALE LIMITATAMENTE AD UN SOLO SOCIO

Lo scioglimento limitato rispetto ad un socio, può avvenire per tre cause:

1) morte;

2) recesso;

3) esclusione.

Il venir meno di uno o più soci comporta la necessità di definire i rapporti patrimoniali fra i soci superstiti e il socio uscente o i suoi eredi, attraverso la liquidazione della quota sociale. Domina il principio della conservazione della società: infatti, se rimane un solo socio, questi ha sei mesi di tempo per decidere se associare a sé altre persone e continuare la società, oppure porvi fine.

1) In caso di morte del socio, sono previste tre soluzioni alternative: a) viene liquidata agli eredi la quota del socio deceduto entro sei mesi; b) viene proposto agli eredi di entrare a far parte della società, secondo la quota di partecipazione del socio deceduto; tale soluzione è possibile a condizione che gli eredi vi acconsentano; c) i soci superstiti possono decidere di sciogliere la società; ciò avviene, in particolare, quando il socio deceduto rappresentava la figura carismatica all’interno della società. In tale caso, gli eredi devono attendere il termine delle operazioni di liquidazione per partecipare con i soci superstiti alla divisione dell’attivo che residua dopo l’estinzione dei debiti sociali.

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Il contratto sociale può predeterminare le conseguenze della morte di un socio, attraverso l’inserimento di clausole. La più diffusa è la clausola di continuazione facoltativa: i soci manifestano preventivamente il desiderio di continuare la società con gli eredi, precludendosi le altre due alternative (liquidazione della quota agli eredi e scioglimento della società). Gli eredi non sono vincolati e possono scegliere di aderire o meno al contratto sociale.

2) Il recesso del socio ha una disciplina differente a seconda che una società sia contratta a tempo determinato, o a tempo indeterminato. Se la società è contratta a tempo determinato, il socio può recedere solo in presenza di giusta causa; se invece la società è contratta a tempo indeterminato, il socio può recedere liberamente, ma deve essere dato un preavviso di almeno tre mesi agli altri soci (solo il recesso per giusta causa ha effetto immediato).

La giurisprudenza definisce come giusta causa un illegittimo comportamento degli altri soci tale da incriminare la fiducia reciproca (es. amministrazione disordinata o disonesta).

Nel caso in cui la società sia contratta per la durata della vita di uno dei soci, è da intendersi contratta a tempo indeterminato.

Il contratto sociale può prevedere altre ipotesi di recesso, mentre non può privare il socio della facoltà di recesso nelle ipotesi previste dal legislatore.

3) L’esclusione di un socio, può avvenire di diritto, oppure per decisione degli altri soci.

• Esclusione di diritto – i casi sono i seguenti: 1) quando si ha la dichiarazione di fallimento del socio; 2) quando si verifica l’ipotesi in cui il socio si veda aggredita la quota di partecipazione da parte di un suo creditore, il quale ne ottenga la liquidazione secondo quanto visto in precedenza.

• Esclusione facoltativa – i casi sono i seguenti: 1) quando il socio abbia commesso gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale o dalla legge (es. la mancata esecuzione dei conferimenti promessi; può ricomprendersi nelle “gravi inadempienze” un comportamento ostruzionistico del socio che paralizza l’attività della società); 2) quando sia dichiarata l’interdizione o l’inabilitazione del socio, o il socio sia stato condannato ad una pena che comporti l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici; 3)) quando il socio ha conferito beni in natura a titolo di proprietà, e i beni

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siano periti prima del trasferimento della proprietà; o se il socio ha conferito beni in natura a titolo di godimento e i beni siano periti, anche durante la vita della società, per causa non imputabile agli amministratori; o ancora se il socio ha conferito la propria opera, e sia sopravvenuta l’inidoneità a svolgere l’opera conferita.

PROCEDIMENTO DI ESCLUSIONE NEL CASO DI ESCLUSIONE FACOLTATIVA

L’esclusione facoltativa è decisa a maggioranza da parte dei soci, senza computare il socio da escludere. La maggioranza è calcolata per teste, cioè ciascun socio ha un voto e non in base alle quote di partecipazione. L’esclusione ha effetto decorsi 30gg. dalla data della comunicazione al socio escluso; entro questo termine il socio escluso può fare opposizione davanti al tribunale. In sede di opposizione il tribunale deve accertare se ricorre la specifica causa di esclusione contestata al socio, per cui la delibera di esclusione deve essere adeguatamente motivata e comunicata al socio nel suo completo contenuto. In via provvisoria il tribunale può sospendere l’esecuzione della decisione; se accoglie l’opposizione del socio può annullare la decisione di esclusione e il socio è reintegrato nella pienezza dei suoi diritti.

Nel caso in cui la società si componga di due soli soci, l’esclusione è pronunciata dal tribunale su domanda dell’altro socio. L’atto costitutivo può prevedere che le questioni relative all’esclusione, in presenza di due soci, siano deferite alla decisione di arbitri (clausola compromissoria).

LIQUIDAZIONE DELLA QUOTA A FAVORE DEL SOCIO

Nei casi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, il socio stesso o i suoi eredi, hanno diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota; non è dunque ammessa la restituzione degli eventuali beni in natura conferiti, sia a titolo di proprietà, sia a titolo di godimento. La liquidazione della quota deve essere fatta in base alla situazione patrimoniale della società, nel giorno in cui si verifica lo scioglimento; se vi sono operazioni in corso il socio o gli eredi partecipano agli utili e alle perdite delle operazioni medesime, pertanto, occorre tenere conto dell’esito delle operazioni ancora in corso. Il pagamento della quota deve essere fatto entro 6 mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, mentre nell’ipotesi di scioglimento su richiesta del creditore particolare del socio, entro 3 mesi dalla richiesta.

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RESPONSABILITÀ DEL SOCIO USCENTE O DEGLI EREDI

Nei casi in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, il socio o gli eredi, ai quali sia stata liquidata la quota, sono responsabili illimitatamente per le obbligazioni sociali sorte fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento. Lo scioglimento ha effetto nei confronti dei terzi, solo a partire dalla data in cui sia portato a conoscenza dei terzi stessi con mezzi idonei.

SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ

La società si scioglie al verificarsi di 5 ipotesi:

I) per il decorso del termine per il quale è stata contratta, fissato nell’atto costitutivo; è possibile prorogare la durata della società, sia espressamente (decisione formale dei soci), sia tacitamente (la società si intende tacitamente prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali).

II) per il conseguimento dell’oggetto sociale, o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo (es. una insanabile discordia fra i soci, tale da paralizzare in modo assoluto l’attività sociale);

III) per volontà di tutti i soci (salvo che l’atto costitutivo non preveda che lo scioglimento anticipato possa essere deliberato a maggioranza);

IV) quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di 6 mesi la pluralità non è ricostituita (il socio superstite può continuare a svolgere normalmente l’attività d’impresa poiché la causa di scioglimento diventa operativa dopo 6 mesi se il socio non trova in tale periodo dei nuovi soci);

V) per le altre cause previste dal contratto sociale (es. morte di un socio carismatico).

PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE

Una volta avvenuto lo scioglimento della società, gli amministratori conservano il potere di amministrazione, limitatamente agli affari urgenti e fino al momento in cui siano stati presi i provvedimenti necessari per la liquidazione.

La liquidazione è fatta ad opera di uno o più liquidatori , che prendono il posto degli amministratori e che possono essere non soci; i liquidatori sono nominati con il consenso di tutti i soci, o in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale. La liquidazione può avvenire

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in tre modi alternativi: 1) secondo quanto previsto nel contratto sociale; 2) secondo l’accordo intervenuto tra i soci al momento dello scioglimento; 3) secondo disposizione di legge.

Per quanto riguarda gli obblighi e la responsabilità dei liquidatori, si prevede che siano regolati sulla base delle disposizioni stabilite per gli amministratori. In ordine alla revoca dei liquidatori è previsto che, essa possa avvenire per volontà di tutti i soci, oppure possa essere dichiarata dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci. Una volta intervenuta una causa di scioglimento, gli amministratori devono consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali, e devono presentare a questi il conto della gestione relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto; i liquidatori a loro volta devono prendere in consegna i beni e i documenti sociali e redigere insieme agli amministratori un inventario, dal quale risulti l’elenco delle attività e delle passività sociali; l’inventario deve essere sottoscritto dagli amministratori e dai liquidatori. A questo punto i liquidatori devono liquidare le attività al fine di pagare i debiti sociali; a tale fine essi possono compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione, e se i soci non hanno disposto diversamente, possono anche vendere in blocco l’azienda sociale.

I liquidatori hanno, quindi, il compito di definire i rapporti che si collegano all’attività sociale: conversione in denaro dei beni, pagamento dei creditori, ripartizione fra i soci dell’eventuale residuo attivo.

In capo ai liquidatori vi sono due divieti: 1) non possono intraprendere nuove operazioni e se contravvengono a tale divieto rispondono personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi; 2) non possono ripartire i beni sociali fra i soci finché non siano pagati tutti i creditori sociali. Peraltro se i fondi disponibili non sono sufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono richiedere ai soci, prima il versamento di quanto eventualmente ancora dovuto a titolo di conferimento, e se ciò non bastasse, possono richiedere ulteriori somme, nei limiti delle rispettive responsabilità, e in proporzione della quota di partecipazione di ciascuno nelle perdite. Qualora un socio risulti insolvente, il debito di sua competenza viene ripartito fra i soci, secondo le proporzioni ora viste (es per pagare i debiti sociali mancano € 12.000,00. Vi sono 4 soci, ciascuno possiede il 25%. I liquidatori chiederanno € 3.000,00 a ciascun socio; se uno non paga, gli altri 3 soci dovranno pagare € 4.000,00).

Come si è detto nel corso della vita della società, gli eventuali beni in natura conferiti, non possono essere restituiti ai soci conferenti, neppure se si verifica una causa di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio. Al contrario, al termine della società, i soci che hanno conferito beni a titolo di godimento, hanno diritto di vederseli restituiti nello stato in cui si trovano, e se i beni sono periti o

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deteriorati, per causa imputabile agli amministratori, i soci hanno diritto al risarcimento del danno a carico del patrimonio sociale, e possono anche promuovere azione di risarcimento contro gli amministratori.

Una volta estinte tutte le passività, l’attivo residuo, è destinato anzitutto al rimborso dei conferimenti secondo la valutazione fatta nel contratto sociale; l’eventuale eccedenza è ripartita tra i soci in proporzione della parte di ciascuno nei guadagni, cioè secondo le quote di partecipazione agli utili.

LA SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVONella società in nome collettivo tutti i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali, anche se non sono amministratori. Non vale quindi il patto di limitazione della responsabilità consentito invece nella società semplice. Di conseguenza un’eventuale limitazione di responsabilità prevista statutariamente ha effetto solo tra i soci (e nei loro rapporti) mentre di fronte ai terzi tutti rispondono illimitatamente.

Come per la società semplice, i nuovi soci rispondono illimitatamente e solidalmente con gli altri soci per le obbligazioni sociali sorte anteriormente all’acquisto della qualità di socio. E ne rispondono fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale.

RAGIONE SOCIALE

Il nome delle società di persone viene detto ragione sociale in contrapposizione al nome delle società di capitali che invece è detto denominazione sociale.

La ragione sociale deve essere formata secondo criteri particolari, cioè deve contenere il nome di uno o più soci e l’indicazione del rapporto sociale. La ragione sociale può anche contenere il nome di un socio receduto o defunto, se il socio receduto o gli eredi di quello defunto vi consentono.

NORME APPLICABILI

Alla società in nome collettivo si applicano le norme della società semplice, salvo che sia diversamente disposto.

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ATTO COSTITUTIVO

L’atto costitutivo della società in nome collettivo deve contenere una serie di indicazioni. Tra cui in particolare:

1. estremi identificativi dei soci;

2. ragione sociale della società;

3. il nome dei soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società;

4. l’oggetto sociale;

5. i conferimenti di ogni socio, il valore attribuito e il modo di valutazione;

6. la durata della società;

7. la sede della società e le eventuali sedi secondarie;

8. le prestazioni cui sono obbligati i soci d’opera;

9. i criteri di ripartizione agli utili ed alle perdite.

L’atto costitutivo della società in nome collettivo deve essere iscritto nel registro delle imprese entro 30 giorni dalla costituzione. Per l’iscrizione nel registro delle imprese non tutte le indicazioni sono essenziali; in particolare, non lo sono:

• l’indicazione dei soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza: in mancanza si applica l’art. 2257 c.c. che stabilisce “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri”;

• i criteri di ripartizione agli utili ed alle perdite: in mancanza si applica l’art. 2263 che stabilisce “le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti; se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto essi si presumono uguali”.

Ai fini dell’iscrizione esso deve assumere la forma di scrittura privata autenticata (quando l’atto è scritto e le firme autenticate da un notaio o da un pubblico ufficiale) o di atto pubblico (quando l’atto è redatto con l’intervento del notaio).

Se non si provvede all’iscrizione della società essa viene qualificata società irregolare, per quanto riguarda i rapporti tra la società e i terzi vi si applicano le norme relative alla società semplice (es. nella società semplice e nella collettiva irregolare il creditore sociale può rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente responsabile e

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sarà questi a dover invocare la preventiva escussione del patrimonio sociale indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi. Nella società in nome collettivo il beneficio di escussione è più intenso: opera automaticamente).

SEDI SECONDARIE

Qualora vengano istituite sedi secondarie occorre depositare un estratto dell’atto costitutivo presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione sono le sedi secondarie. L’iscrizione deve avvenire entro 30 giorni, l’estratto deve indicare l’ufficio del registro delle imprese preso il quale è iscritta la società e la data dell’iscrizione.

L’istituzione di sedi secondarie deve inoltre essere iscritta presso l’ufficio del registro delle imprese in cui la società ha la sede principale (che è da ritenersi quella in cui ha luogo l’amministrazione della società: cosiddetta sede amministrativa). Sede secondaria è la filiale o succursale della società nella quale esiste una rappresentanza stabile: occorre quindi che qualcuno venga stabilmente preposto all’esercizio della sede, ossia che gli venga attribuita una posizione corrispondente a quella dell’institore.

MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO

Qualsiasi modificazione dell’atto costitutivo deve essere iscritta nel registro delle imprese. Le modificazioni devono inoltre assumere la forma di scrittura privata autenticata o di atto pubblico.

Le modificazioni finché non sono iscritte non sono opponibili ai terzi a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza. Per gli atti o i fatti relativi alla società in nome collettivo occorre l’iscrizione nel registro delle imprese con efficacia dichiarativa: se iscritti si danno per noti ai terzi senza possibilità di prova contraria.

DIVIETO DI CONCORRENZA

I soci non possono esercitare per conto proprio o altrui una attività concorrente con quella della società né partecipare in qualità di soci illimitatamente responsabili ad altra società concorrente. L’esercizio di attività concorrenti è peraltro ammesso se vi è il consenso degli altri soci. Il consenso degli altri soci si presume se l’attività concorrente era esercitata già prima della costituzione a condizione che gli altri soci ne fossero a conoscenza. In caso di inosservanza del divieto la società ha diritto al risarcimento dei danni, inoltre gli altri soci possono decidere l’esclusione del socio inadempiente.

Il divieto di concorrenza non impedisce al socio di partecipare come socio limitatamente responsabile in altra società concorrente di

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persone o di capitali. Non gli impedisce, inoltre, né lo svolgimento della medesima attività della società quando, in relazione alle circostanze, debba escludersi l’esistenza di un rapporto concorrenziale (es. in un’altra area geografica).

LE SCRITTURE CONTABILI

Gli amministratori della società in nome collettivo devono tenere i libri e le altre scritture contabili previste per l’imprenditore commerciale anche se la società svolge un’attività agricola e devono provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione nel registro delle imprese.

LIMITI ALLA DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI

Non possono essere distribuire somme tra i soci se non per utili realmente conseguiti, cioè somme che non corrispondono ad una eccedenza del patrimonio netto sul capitale sociale. Inoltre se si verifica una perdita del capitale sociale non possono essere ripartiti gli utili sino a che il capitale sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente. La riduzione del capitale sociale per perdite consiste nell’adeguare la cifra del capitale sociale alla consistenza attuale del patrimonio netto ed è sempre facoltativa nella società in nome collettivo. L’omesso adeguamento comporta solo che gli eventuali utili conseguiti negli esercizi successivi non potranno essere distribuiti fino al ripianamento delle perdite.

RESPONSABILITÀ DEI SOCI

Nella società in nome collettivo vige un principio di preventiva escussione del patrimonio sociale, nel senso che il creditore della società non può pretendere il pagamento del proprio credito senza avere preventivamente agito nei confronti della società. Al contrario nella società semplice il creditore sociale poteva agire direttamente sul patrimonio del socio ed era quest’ultimo che poteva dirottare la richiesta sul patrimonio della società a condizione che indicasse i beni agevolmente liquidabili. In definitiva nella società in nome collettivo il creditore sociale deve agire prima nei confronti della società e solo in caso di escussione infruttuosa, cioè nel caso in cui non riesca a trovare soddisfacimento del proprio credito, può agire nei confronti del socio.

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CREDITORE PARTICOLARE DEL SOCIO

Il creditore particolare del socio non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore.

RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE

La riduzione del capitale sociale può essere eseguita solo decorsi 3 mesi dal giorno dell’iscrizione della relativa deliberazione nel registro delle imprese. La deliberazione può avere luogo a condizione che entro il termine dei 3 mesi nessun creditore sociale abbia fatto opposizione.

Peraltro se è intervenuta qualche opposizione il tribunale può disporre che la deliberazione abbia luogo, previa presentazione da parte della società di una idonea garanzia.

PROROGA DELLA SOCIETÀ

Il creditore particolare del socio può opporsi ad un’eventuale proroga espressa della società ed iscritta presso il registro delle imprese. A tale fine è necessario che proponga l’opposizione entro 3 mesi dall’iscrizione della delibera di proroga nel registro delle imprese. Nel caso in cui l’opposizione venga accolta, la società deve liquidare al creditore la quota del socio debitore entro 3 mesi. Infine nel caso in cui la proroga avvenga tacitamente, cioè in forza del comportamento concludente dei soci, il creditore particolare del socio può chiedere la liquidazione della quota del suo debitore, dimostrando l’insufficienza degli altri beni del socio al soddisfacimento del suo credito.

SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ

Le cause dello scioglimento della società sono le stesse previste per la società semplice. Ad esse si aggiungono altre due cause:

1. la dichiarazione di fallimento della società;

2. il provvedimento dell’autorità governativa con cui si dispone la liquidazione coatta amministrativa della società.

PROCEDIMENTI DI LIQUIDAZIONE

I liquidatori sono nominati con il consenso di tutti i soci, salvo diverse disposizioni dell’atto costitutivo. La decisione di nomina dei liquidatori deve essere depositata presso il registro delle imprese entro 30 giorni. I liquidatori hanno anche la rappresentanza della

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La societa si scioglie al verificarsi di 5 ipotesi: I) per il decorso del termine per il quale e stata contratta, fissato nell’atto costitutivo; e possibile prorogare la durata della societa, sia espressamente (decisione formale dei soci), sia tacitamente (la societa si intende tacitamente prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali). per il conseguimento dell’oggetto sociale, o per la sopravvenuta impossibilita di conseguirlo (es. una insanabile discordia fra i soci, tale da paralizzare in modo assoluto l’attivita sociale); per volonta di tutti i soci (salvo che l’atto costitutivo non preveda che lo scioglimento anticipato possa essere deliberato a maggioranza); quando viene a mancare la pluralita dei soci, se nel termine di 6 mesi la pluralita non e ricostituita (il socio superstite puo continuare a svolgere normalmente l’attivita d’impresa poiche la causa di scioglimento diventa operativa dopo 6 mesi se il socio non trova in tale periodo dei nuovi soci); per le altre cause previste dal contratto sociale (es. morte di un socio carismatico). II) III) IV) V)
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società. Il procedimento di liquidazione è analogo a quello della società semplice: i liquidatori devono procedere alla liquidazione delle attività sociali e con il ricavato devono pagare i debiti sociali.

Nella società in nome collettivo, però, una volta compiuta la liquidazione con il pagamento di tutti i debiti i liquidatori devono redigere un bilancio finale di liquidazione e proporre ai soci un piano di riparto del residuo. Il bilancio finale di liquidazione è il rendiconto della gestione dei liquidatori: espone i ricavi e i costi verificatesi e la situazione patrimoniale finale. Il piano di riparto è una proposta di divisione fra i soci dell’attivo residuo

Il bilancio di liquidazione e il piano di riparto devono essere comunicati con raccomandata ai soci e si intendono approvati se non sono impugnati entro 2 mesi dalla comunicazione.

Nel caso di impugnazione il liquidatore può chiedere al tribunale che le questioni relative alla liquidazione siano esaminate separatamente da quelle relative alla divisione, alle quali il liquidatore può restare estraneo, non coinvolgendo il proprio operato e la propria responsabilità. I liquidatori si ritengono liberati di fronte ai soci con l’approvazione del bilancio di liquidazione. Una volta approvato il bilancio finale di liquidazione i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese e in tale momento la società si intende estinta. Tuttavia se successivamente alla cancellazione rimangono creditori sociali insoddisfatti questi possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi. I creditori della società in nome collettivo possono infine chiedere il fallimento della società e dei soci entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.

Le scritture contabili devono essere depositate presso la persona designata dalla maggioranza dei soci. Esse devono essere conservate per 10 anni dalla data di cancellazione della società dal registro delle imprese.

LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICENella società in accomandita semplice ci sono due categorie di soci: i soci accomandatari e i soci accomandanti. I primi rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, i secondi rispondono limitatamente alla quota conferita. Per i soci accomandatari non è ammessa la clausola di limitazione della responsabilità.

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RAGIONE SOCIALE

Essa deve essere formata con il nome di almeno uno dei soci accomandatari e deve contenere l’indicazione di società in accomandita semplice. Qualora un accomandante acconsenta che il suo nome sia inserito nella ragione sociale perde il beneficio della responsabilità limitata di fronte ai terzi, diventa dunque solidalmente e illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali nei rapporti esterni, mentre conserva il beneficio della responsabilità limitata nei rapporti con gli altri soci.

NORME APPLICABILI

Il codice civile stabilisce che alla società in accomandita semplice si applichino le norme previste per la società in nome collettivo, salvo che sia diversamente disposto.

È previsto l’obbligo di iscrizione della società nel registro delle imprese e nel caso in cui non si dia corso a tale adempimento la società viene detta irregolare. In tale caso ai rapporti tra la società e i terzi si applicano le norme della società semplice.

ATTO COSTITUTIVO

L’atto costitutivo deve riportare le indicazioni previste per la società in nome collettivo, in aggiunta deve essere indicato quali sono i soci accomandatari e quali quelli accomandanti.

SOCI ACCOMANDATARI

I soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi della società in nome collettivo. In particolare l’amministrazione della società può essere affidata solo ai soci accomandatari.

SOCI ACCOMANDANTI

Incombe sui soci accomandanti un generale divieto di amministrazione. In particolare essi non possono compiere atti di gestione né trattare o concludere affari in nome della società. Tale divieto viene anche detto divieto di immistione o divieto di ingerenza.

Se un socio accomandante contravviene a tale divieto diventa solidalmente e illimitatamente responsabile verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali (anche sorte anteriormente) e può essere escluso dalla società. Al divieto di immistione sono però contrapposte quattro eccezioni:

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ATTO COSTITUTIVO L’atto costitutivo della societa in nome collettivo deve contenere una serie di indicazioni. Tra cui in particolare: 1. estremi identificativi dei soci; 2. ragione sociale della societa; 3. il nome dei soci che hanno rappresentanza della societa; 4. l’oggetto sociale; 5. i conferimenti di ogni socio, il valore attribuito e il modo di valutazione; 6. la durata della societa; 7. la sede della societa e le eventuali sedi secondarie; 8. le prestazioni cui sono obbligati i soci d’opera; 9. i criteri di ripartizione agli utili ed alle perdite. l’amministrazione e la
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1. il socio accomandante può compiere atti di amministrazione o di rappresentanza in forza di una procura speciale per i singoli affari;

2. i soci accomandanti possono prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori;

3. se l’atto costitutivo lo consente possono dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni;

4. se l’atto costitutivo lo consente possono compiere atti di ispezione e di sorveglianza.

I soci accomandanti hanno poi diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e di controllarne l’esattezza consultando i libri e gli altri documenti della società. In ogni caso i soci accomandanti non sono tenuti alla restituzione degli utili riscossi in buona fede, secondo il bilancio regolarmente approvato.

TRASFERIMENTO DELLA QUOTA

La quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile liberamente per atto tra vivi solo con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale.

Vi è dunque una differenza rispetto alla società in nome collettivo in cui la quota di partecipazione è trasmissibile solo con il consenso di tutti i soci.

SCIOGLIMENTO

Per la società in accomandita semplice valgono le stesse cause di scioglimento previste per la società in mone collettivo. Ad esse tuttavia se ne aggiunge una: la società si scioglie se vengono a mancare tutti i soci accomandanti o tutti i soci accomandatari, salvo che nel termine di 6 mesi non sia ricostituita la pluralità delle categorie dei soci. Cioè che il socio accomandatario o quello accomandante, venuto meno, sia sostituito.

Se vengono a mancare tutti i soci accomandatari nel periodo di 6 mesi prima indicato, gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. Tale amministratore provvisorio non assume però la qualità di socio accomandatario. Qualora successivamente all’estinzione della società permangano creditori sociali insoddisfatti, questi possono far valere le

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La societa si scioglie al verificarsi di 5 ipotesi: I) per il decorso del termine per il quale e stata contratta, fissato nell’atto costitutivo; e possibile prorogare la durata della societa, sia espressamente (decisione formale dei soci), sia tacitamente (la societa si intende tacitamente prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali). per il conseguimento dell’oggetto sociale, o per la sopravvenuta impossibilita di conseguirlo (es. una insanabile discordia fra i soci, tale da paralizzare in modo assoluto l’attivita sociale); per volonta di tutti i soci (salvo che l’atto costitutivo non preveda che lo scioglimento anticipato possa essere deliberato a maggioranza); quando viene a mancare la pluralita dei soci, se nel termine di 6 mesi la pluralita non e ricostituita (il socio superstite puo continuare a svolgere normalmente l’attivita d’impresa poiche la causa di scioglimento diventa operativa dopo 6 mesi se il socio non trova in tale periodo dei nuovi soci); per le altre cause previste dal contratto sociale (es. morte di un socio carismatico). II) III) IV) V)
1. la dichiarazione di fallimento della societa; 2. il provvedimento dell’autorita governativa con cui si dispone la liquidazione coatta amministrativa della societa.
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loro ragioni oltre che sugli accomandatari e sui liquidatori, anche sui soci accomandanti, ma nei limiti della quota da essi percepita.

LA SOCIETA’ DI CAPITALILe società di capitali sono 3, cioè:

1. società per azioni;

2. società in accomandita per azioni;

3. società a responsabilità limitata.

La disciplina dettata per la società per azioni è in larga parte applicabile anche alla società in accomandita per azioni.

LA SOCIETA’ PER AZIONINella società per azioni vige il generale principio della responsabilità limitata dei soci, nel senso che i soci rispondono limitatamente alla quota conferita.

Anche se la società ha solo un socio questi risponde limitatamente, è necessario però che siano soddisfatte due condizioni:

1. che abbia effettuato integralmente i conferimenti in denaro o alla sottoscrizione dell’atto costitutivo (società che si costituisce per atto unilaterale del fondatore unico), oppure nel caso di successiva concentrazione delle azioni in unica mano entro 90 giorni dalla concentrazione;

2. che sia data adeguata pubblicità attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese del fatto che si tratta di società unipersonale (occorre iscrivere una dichiarazione con le generalità del socio in modo che i terzi possano sapere che una data S.p.A. è unipersonale e anche conoscere l’identità del singolo socio).

Qualora non vengano soddisfatte entrambe le condizioni il socio unico risponde illimitatamente in caso di insolvenza della società.

DENOMINAZIONE SOCIALE

La denominazione sociale può essere formata in qualunque modo, deve però contenere l’indicazione di società per azioni (S.p.A.).

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CAPITALE SOCIALE

La S.p.A. deve essere costituita con un capitale minimo di 120.000 €. Le società già esistenti possono conservare il capitale minimo di 100.000 €.

ATTO COSTITUTIVO

La forma dell’atto costitutivo deve essere obbligatoriamente quella dell’atto pubblico (si parla di scrittura privata quando l’atto assume la forma scritta ed è sottoscritto dalle parti; si parla di scrittura privata autenticata quando l’atto è scritto e le firme autenticate da un notaio o da un pubblico ufficiale; si parla di atto pubblico quando l’atto è redatto con l’intervento del notaio).

La S.p.A. come si è visto può nascere per contratto quando le parti (o i soci) sono almeno due. Oppure per atto unilaterale quando il socio è unico.

Si opera normalmente una distinzione fra atto costitutivo e statuto. L’atto costitutivo è il contratto vero e proprio con cui si dà vita alla società, lo statuto contiene invece le norme di funzionamento della società.

Tuttavia anche se si tratta di atti materialmente separati dal punto di vista giuridico lo statuto costituisce parte integrante dell’atto costitutivo. Quindi quando si parlerà di modifiche dell’atto costitutivo si avrà riguardo alle modifiche dello statuto. In caso di contrasto fra i due documenti prevalgono le previsioni dello statuto.

CONTENUTO DELL’ATTO COSTITUTIVO

Nell’atto costitutivo vanno fornite, tra le altre, le seguenti informazioni:

1. estremi identificativi dei soci fondatori;

2. denominazione sociale;

3. comune in cui è posta la sede della società e le eventuali sedi secondarie;

4. l’attività che costituisce l’oggetto sociale (occorre indicare il settore in cui opera la società);

5. ammontare del capitale sottoscritto e versato.

CONDIZIONI PER LA COSTITUZIONE

Le condizioni per la costituzione sono tre:

1. deve essere sottoscritto per intero il capitale sociale;

2. devono essere rispettate le norme in tema di conferimenti;

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3. devono essere ottenute le autorizzazioni e le altre condizioni richieste da leggi speciali. Es: autorizzazione della Banca d’Italia per la costituzione di società che operano nel settore bancario.

ISCRIZIONE DELLA SOCIETÀ NEL REGISTRO DELLE IMPRESE

Il notaio che ha rogato l’atto costitutivo deve depositarne copia presso il registro delle imprese entro 20 giorni. L’ufficio del registro delle imprese competente è quello presso la cui circoscrizione è fissata la sede della società.

Se il notaio, ed eventualmente gli amministratori non provvedono a depositare l’atto costitutivo presso il registro delle imprese nel termine sopra indicato, può provvedervi ciascun socio a spese della società. Con l’iscrizione nel registro delle imprese la società acquista personalità giuridica. L’iscrizione ha dunque efficacia costitutiva.

Può accadere che prima dell’iscrizione nel registro delle imprese siano compiute operazioni in nome della società, in relazione a tali operazioni sono illimitatamente e solidalmente responsabili coloro che hanno agito. Sono inoltre responsabile il socio unico fondatore se la società è unipersonale, e i soci che, nell’atto costitutivo o con atto separato, abbiano eventualmente autorizzato o consentito il compimento delle operazioni. Infine è responsabile anche la società se successivamente all’iscrizione ha approvato le operazioni.

Le somme versate dai soci non possono essere consegnate agli amministratori se questi non provano l’avvenuta iscrizione della società presso il registro delle imprese. Inoltre se non è avvenuta l’iscrizione entro 90 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo le somme versate devono essere restituite ai sottoscrittori e l’atto costitutivo perde efficacia.

NULLITÀ DELLA SOCIETÀ

La nullità della società, una volta avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese può essere dichiarata solo nei seguenti casi:

1. mancata stipulazione dell’atto costituzione nella forma dell’atto pubblico

2. illiceità dell’oggetto sociale

3. mancata indicazione nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, i conferimenti nel capitale sociale o l’oggetto sociale. E’ equivalente alla mancata indicazione dell’oggetto sociale l’individuazione di un oggetto sociale del tutto generico.

Contrariamente a quello che accade nel diritto civile la dichiarazione di nullità non ha efficacia retroattiva, in particolare, la dichiarazione di

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nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese.

La dichiarazione di nullità opera poi come causa di scioglimento della società: pertanto, la sentenza che dichiara la nullità deve provvedere alla nomina dei liquidatori. Di riflesso, i soci non sono liberati dall’eseguire i conferimenti ancora dovuti, fin quando non siano soddisfatti tutti i creditori. In deroga alle disposizioni di diritto civile la nullità può essere sanata, occorre però che la causa di nullità sia eliminata e che di tale eliminazione sia data pubblicità attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese.

La S.p.A. può essere costituita secondo due diverse procedure:

1. sottoscrizione simultanea in cui tutti i soci fondatori partecipano alla stipulazione dell’atto costitutivo;

2. costituzione per pubblica sottoscrizione (articolato in diverse fasi); questo seconda procedura, non è utilizzata nella pratica.

PATTI PARASOCIALI

A fianco dell’atto costitutivo, possono essere stipulati accordi tra i soci diretti a regolamentare le modalità di espressione del voto (es: i sindacati di voto, con cui i soci si accordano a votare in un determinato modo) oppure la circolazione delle azioni (es: i sindacati di blocco, con cui i soci si impegnano a rispettare determinate condizioni per l’alienazione delle azioni).

Possono poi essere stipulati altri accordi diretti a governare l’amministrazione della società.

Tutti questi accordi vengono chiamati patti parasociali. Essi non possono avere durata superiore a 5 anni e se le parti hanno previsto una durata superiore, si intendono stipulati per 5 anni. I patti possono essere rinnovati alla scadenza. Se i patti parasociali non prevedono alcun termine di durata e sono dunque a tempo indeterminato, ciascun contraente può recedere con un preavviso di 6 mesi.

Se la società fa ricorso al mercato del capitale di rischio, cioè se la società ha azioni diffuse tra il pubblico, i patti sociali devono essere comunicati alla società (all’organo amministrativo) e dichiarati in apertura di ogni assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale di assemblea e questo deve essere depositato nel registro delle imprese. Qualora si ometta tale dichiarazione i possessori delle azioni, alle quali si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il voto. Se lo esercitano ugualmente, la deliberazione assembleare è annullabile.

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CONFERIMENTI

I conferimenti sono normalmente in denaro anzi, se nulla è previsto nell’atto costitutivo, i conferimenti devono essere in denaro.

All’atto della sottoscrizione è necessario che i soci fondatori versino almeno il 25% della quota sottoscritta presso una banca. In passato era il 30% della quota. Devono invece essere versati i 10/10 (cioè il totale) nel caso in cui la società abbia un solo socio fondatore.

Possono poi essere effettuati anche conferimenti in natura, anche in tale caso all’atto della sottoscrizione devono essere effettuati i conferimenti nella loro totalità. Nelle S.p.A, contrariamente alle società di persone, non possono essere conferiti servizi, cioè non è prevista la figura del socio d’opera.

CONFERIMENTI DI BENI IN NATURA

Il conferimento di beni in natura deve essere accompagnato da una relazione giurata di stima effettuata da un esperto nominato dal Presidente del Tribunale.

La relazione di stima deve contenere le seguenti informazioni:

1. la descrizione dei beni o crediti

2. l’indicazione del valore attribuito e l’attestazione che tale valore non è inferiore al valore nominale (aumentato di un eventuale sovrapprezzo) delle azioni emesse a fronte del conferimento

3. la specificazione dei criteri di valutazione seguiti

la stima che risulta dalla relazione deve essere sottoposta a controllo da parte dell’organo amministrativo entro 6 mesi.

Quest’ultimo se sussistono fondati motivi deve procedere alla revisione della stima; se il valore dei beni conferiti è inferiore di oltre 1/5 rispetto al valore contenuto nella relazione di stima, si possono verificare tre alternative:

1. il socio conferente versa la differenza in denaro

2. la società riduce il capitale sociale in misura corrispondente alla differenza, annullando le azioni scoperte

3. il socio recede dalla società

Es. il capitale sociale è € 150.000; uno dei soci sottoscrive 1/3 del capitale sociale e conferisce un immobile. Tale immobile, valutato nella perizia giurata, non deve essere inferiore a € 50.000.

Se il valore controvalutato dagli amministratori è € 35.000 (inferiore di oltre 1/5 al valore della stima), il socio può versare la differenza di

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€ 15.000, oppure vengono annulate le azioni corrispondenti a € 15.000 di capitale sociale, oppure il socio recede dalla società (gli viene restituito il bene).

ACQUISTO DI BENI DA FONDATORI, SOCI ED AMMINISTRATORI

Se la società decide di acquistare beni dai fondatori, dai soci o dagli amministratori, nei due anni successivi all’iscrizione della società nel registro delle imprese, e l’acquisto è pari o superiore al 10% del capitale sociale, questo deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria.

Inoltre l’alienante (venditore) deve presentare una relazione giurata di stima di un esperto nominato dal Presidente del Tribunale. La relazione deve contenere le indicazioni viste sopra. Tali prescrizioni sono mirate ad evitare i pericoli per l’integrità del patrimonio sociale derivanti da operazioni potenzialmente dannose per il loro ammontare e per la particolare posizione della controparte.

La relazione stessa deve poi essere depositata presso la sede della società nei 15 giorni precedenti all’assemblea.

I soci possono prenderne visione. Entro 30 giorni dall’assemblea, il verbale e la relazione di stima devono essere depositati presso il registro delle imprese.

Tale disciplina non si applica agli acquisti che siano effettuati a condizioni normali nell’ambito delle operazioni correnti della società. Tanto meno agli acquisti che avvengono in borsa o sotto il controllo della autorità giudiziaria o amministrativa.

Mancato Pagamento Delle QuoteQualora un socio non provveda al pagamento delle quote conferite, a seguito di richiesta degli amministratori, si segue la seguente procedura:

1. gli amministratori pubblicano una diffida sulla Gazzetta Ufficiale

2. decorsi 15 giorni dalla pubblicazione, senza che i soci abbiano provveduto al versamento, gli amministratori possono seguire le seguenti strade:

a) possono promuovere azione giudiziaria per l’esecuzione del conferimento

b) se non ritengono utile promuovere tale azione, possono offrire le azioni agli altri soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, per un corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti.

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c) qualora seguendo l’ipotesi b) non si ottengano offerte, gli amministratori possono far vendere le azioni a rischio o per conto del socio, a mezzo di una banca o di un intermediario autorizzato.

d) se non si trovano acquirenti, gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse. Gli amministratori possono promuovere azione per il risarcimento dei maggiori danni. Le azioni non vendute entrano a far parte del patrimonio sociale e possono essere rimesse in circolazione entro l’esercizio in cui fu dichiarata la decadenza del socio moroso.

e) se svanisce quest’ultima possibilità per acquisire i conferimenti, devono essere estinte con la corrispondente riduzione del capitale.

Il socio moroso non può esercitare il diritto di voto.

Azioni Con Prestazioni AccessorieLa S.p.A se previsto nell’atto costitutivo può emettere azioni con prestazioni accessorie, cioè azioni in relazione alle quali vi sia l’obbligo di effettuare, oltre ai normali conferimenti, anche prestazioni accessorie non consistenti in denaro (es. obbligo di effettuare periodicamente forniture di materie prime o merci).

L’atto costitutivo deve determinare il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, deve inoltre stabilire particolari sanzioni per il caso di inadempienza.

Le azioni con prestazioni accessorie non possono essere trasferite senza il consenso degli amministratori, dato che il trasferimento delle azioni comporta anche il trasferimento in testa all’acquirente dell’obbligo di esecuzione delle prestazioni accessorie.

Le norme dell’atto costitutivo che disciplinano tali azioni possono essere modificate solo con il consenso di tutti i soci.

AZIONI

Nella S.p.A. le partecipazioni sono rappresentate da azioni, contrariamente a quanto accade nelle società di persone e nella s.r.l., in cui le partecipazioni sono rappresentate da quote.

Lo statuto, però, può prevedere l’utilizzo di diverse tecniche di legittimazione e di circolazione della partecipazione in una S.p.A., diverse dai titoli azionari. La riforma ha sentito l’esigenza di dematerializzare le azioni, consentendo di evitare, in particolare, il

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deposito dei titoli azionari in vista della partecipazione alle assemblee.

Inoltre lo statuto può prevedere l’emissione di strumenti finanziari diversi dai titoli azionari, forniti di diritti patrimoniali o amministrativi, con l’esclusione del voto nell’assemblea generale. I diritti amministrativi attribuiti possono, per esempio, essere il voto per specifici argomenti; non però il voto nell’assemblea generale. Lo scopo di questi strumenti è quello di acquisire maggiori risorse finanziarie.

Le azioni sono titoli di credito destinati alla circolazione; a ciascun socio viene assegnata una quantità di azioni normalmente proporzionale al conferimento. Nello statuto può essere disposto che i conferimenti non siano proporzionali alla misura della partecipazione; complessivamente il valore dei conferimenti non può, però, essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.

Le azioni sono indivisibili e nel caso di comproprietà di un azione da parte di più soggetti, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune; i comproprietari rispondono solidalmente delle obbligazioni derivanti dalle azioni (ad es.: per gli obblighi di versamento del capitale conferito).

Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti, tuttavia se lo statuto lo consente, è possibile creare categorie di azioni fornite di diritti diversi, questo è ad es. il caso delle azioni privilegiate, che attribuiscono una preferenza nella distribuzione degli utili e nel rimborso del capitale in caso di scioglimento della società. Peraltro è necessario che tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria attribuiscano uguali diritti. Se lo statuto lo consente è possibile emettere azioni a favore dei prestatori di lavoro, in tale caso l’assemblea straordinaria deve deliberare la conversione di utili a capitale e l’emissione per un ammontare corrispondente di speciali categorie di azioni; l’assemblea straordinaria inoltre deve determinare la forma, le modalità di trasferimento e i diritti spettanti a azionisti. Tali azioni vengono assegnate gratuitamente ai dipendenti.

Le azioni attribuiscono diritti patrimoniali e diritti amministrativi, i primi concernono la partecipazione agli utili e alla quota di liquidazione, i secondi riguardano la partecipazione alle assemblee. Per quanto riguarda questa seconda categoria di diritti, che si estrinseca nel diritto di voto, lo statuto può prevedere limitazioni; in particolare è possibile prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto o con diritto di voto limitato nei limiti della metà del capitale sociale. Al contrario non possono essere emesse azioni a voto plurimo. Infine è consentito alla società, emettere azioni fornite di diritti correlati ai risultati conseguiti in un determinato settore di

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attività, in tale caso lo statuto deve stabilire i criteri di individuazione dei costi e dei ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, nonché i diritti attribuiti a tali azioni. Tali azioni, correlate al risultato di un determinato settore di attività provano che l’attività sociale può essere frazionata; per cui ogni sua componente può sollecitare l’investimento. Anche il risultato d’esercizio, quindi, può essere scomposto.

PEGNO USUFRUTTO E SEQUESTRO DI AZIONI

Le azioni possono formare oggetto di pegno, usufrutto e di sequestro.

Nel caso di pegno di azioni, il diritto di voto spetta, salvo contrario accordo, al creditore pignoratizio (che è il soggetto che ha ricevuto a garanzia l’azione).

Nel caso di usufrutto di azioni, il diritto di voto spetta all’usufruttuario.

Nel caso di sequestro il diritto di voto spetta al custode delle azioni.

Nel caso in cui le azioni attribuiscono un diritto di opzione, cioè il diritto di sottoscrivere nuove azioni, tale diritto spetta al socio, e allo stesso socio, sono attribuite le nuove azioni sottoscritte.

Nel caso di pignoramento o di sequestro delle azioni, il socio è tenuto a versare, almeno 3 giorni prima della scadenza del diritto di opzione, le somme necessarie. Qualora non vi provveda e gli altri soci non si rendano disponibili ad acquistarlo, il diritto di opzione deve essere venduto per suo conto, tramite una banca o un intermediario autorizzato. Il pegno, l’usufrutto e il sequestro, si estendono alle azioni di nuova emissione.

Nel caso di usufrutto, è invece l’usufruttuario che deve provvedere al versamento, fermo restando il suo diritto alla restituzione al termine dell’usufrutto.

AZIONI DI GODIMENTO

Le azioni di godimento, possono essere emesse a favore dei possessori di azioni rimborsate, ad es. nel caso di riduzione del capitale sociale (in tale caso, i soci sono usciti dalla società e a loro è stata attribuita una quota di liquidazione sulla base del valore nominale; il valore nominale può essere inferiore al valore reale, per cui affinché i soci non subiscano pregiudizio, vengono assegnate loro le azioni di godimento). Le azioni di godimento non attribuiscono diritto di voto, esse tuttavia concorrono alla ripartizione degli utili, che residuano dopo il pagamento ai possessori delle azioni non rimborsate, di un dividendo pari all’interesse legale. Inoltre, nel caso

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di liquidazione della società, le azioni di godimento concorrono alla ripartizione del patrimonio di liquidazione, dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale.

TITOLI AZIONARI

I titoli azionari, cioè le azioni, sono normalmente documenti cartacei, essi devono contenere le seguenti indicazioni:

I) Denominazione, sede e durata della società;

II) Data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione presso il registro delle imprese, nonché indicazione dell’ufficio del registro presso il quale la società è iscritta;

III) Valore nominale delle azioni e, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero complessivo delle azioni emesse e l’ammontare del capitale sociale;

IV) Ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate;

V) Diritti e obblighi particolari ad esse inerenti.

I titoli azionari devono essere sottoscritti da uno degli amministratori. Le azioni possono, anziché constare in un documento cartaceo, essere dematerializzate, ciò accade in particolare per le azioni di società quotate.

LIMITI ALLA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI

E’ possibile, in base ad apposita previsione statutaria, sottoporre le azioni a particolari condizioni circa il loro trasferimento; è addirittura possibile vietare il trasferimento delle azioni per un periodo non superiore a 5 anni dalla costituzione o dall’inserimento della clausola nello statuto. E’ inoltre possibile subordinare il trasferimento delle azioni, anche cartacee, al mero gradimento di organi sociali o di altri soci. Le clausole di mero godimento sono peraltro inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto, oppure il diritto di recesso dell’alienante, per evitare che l’alienante possa rimanere prigioniero della società. Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo azionario.

Fra le clausole limitative della circolazione delle azioni possono essere individuate due categorie: le clausole di gradimento e le clausole di prelazione.

Le clausole di gradimento richiedono il possesso di determinati requisiti da parte dell’acquirente, oppure subordinano il trasferimento delle azioni al consenso di un organo sociale. Le clausole di prelazione

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stabiliscono che, qualora il socio intenda vendere le proprie azioni, si impegni ad offrirle preventivamente agli altri soci a parità di condizioni.

Nel caso in cui non siano ancora stati effettuati tutti i versamenti, risultano responsabili, oltre agli acquirenti delle azioni anche i venditori, per un periodo di 3 anni dall’annotazione del trasferimento nel libro soci. I versamenti non possono però essere richiesti ai venditori, se non sia risultata infruttuosa la richiesta inoltrata agli acquirenti.

ACQUISTO DI AZIONI PROPRIE

La società, nel corso della propria vita, potrebbe avere interesse ad acquistare proprie azioni, ad es. per sostenerne il corso (quotazione di borsa). L’acquisto peraltro, è sottoposto ad una serie di limiti:

I) Le azioni proprie possono essere acquistate, soltanto in misura pari agli utili distribuibili o alle riserve disponibili, risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato, questa è la misura massima acquisibile;

II) Le azioni acquistate devono essere interamente liberate, cioè devono essere stati effettuati tutti i versamenti;

III) L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria, che ne deve fissare le modalità di acquisto, indicando, il numero massimo di azioni da acquistare, la durata temporale (periodo entro il quale comprare) che non deve essere superiore a 18 mesi, il corrispettivo minimo e il corrispettivo massimo;

IV) Il valore nominale delle azioni acquistate non può superare il 10% del capitale sociale.

Se non vengono rispettati tali limiti, le azioni acquistate in eccedenza, devono essere alienate entro un anno dal loro acquisto, secondo le modalità fissate dall’assemblea; in mancanza occorre procedere senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. Se l’assemblea non provvede a tale adempimenti, gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione venga disposta dal tribunale.

Le condizioni limitative all’acquisto di azioni proprie non si applicano nei seguenti casi:

1. quando l’acquisto di azioni proprie sia destinato a dare esecuzione ad una deliberazione assembleare di riduzione del capitale sociale attraverso il riscatto e l’annullamento delle azioni;

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2. quando l’acquisto avvenga a titolo gratuito (es. donazione);

3. quando l’acquisto di azioni proprie consegua una operazione di fusione o ad una successione a titolo universale;

4. quando l’acquisto avvenga in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società nei confronti di un socio.

Nei casi 2/3/4 se il valore nominale delle azioni proprie acquistate supera il 10% del capitale sociale, le azioni eccedenti devono essere alienate entro 3 anni.

Per quanto riguarda le azioni complessivamente acquistate è stabilito che gli amministratori non ne possono disporre, se non a seguito di una deliberazione assembleare che stabilisca le modalità di alienazione.

In tutto il tempo in cui le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione spettano proporzionalmente ai titolari delle altre azioni. L’assemblea può disporre, però, che il diritto di opzione relativo alle azioni proprie venga esercitato dagli amministratori.

Il diritto di voto relativo alle azioni proprie rimane sospeso, le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo del quorum costitutivo e di quello deliberativo dell’assemblea.

Per tutto il periodo in cui le azioni proprie rimangono in proprietà della società occorre accantonare una riserva indisponibile per un importo pari al valore complessivo delle azioni proprie.

La società può acquistare azioni proprie in circolazione, mentre non può sottoscrivere azioni proprie all’atto della loro emissione. Può sottoscrivere azioni proprie all’atto della loro emissione solamente nel caso in cui l’assemblea consenta agli amministratori l’esercizio del diritto di opzione in caso di aumento del capitale sociale.

Le azioni proprie che siano state eventualmente sottoscritte, in violazione di tale divieto, si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai soci fondatori se sottoscritte in sede di costituzione della società; se sottoscritte in caso di aumento del capitale sociale, devono essere liberate dagli amministratori.

Se eventualmente qualcuno avesse sottoscritto azioni della società in nome proprio, ma per conto della società, questo soggetto sarebbe comunque considerato sottoscrittore per conto proprio.

Tuttavia della parte non liberata di queste azioni, risponderebbero solidalmente i soci fondatori o, nel caso di aumento del capitale

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sociale, gli amministratori (a meno che dimostrino di essere esenti da colpa).

La società non può accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. Analogamente la società non può accettare azioni proprie in garanzia, neppure per il tramite di società fiduciaria o per interposta persona (es. concedere finanziamenti ai soci garantiti dal pegno di proprie azioni).

I limiti concernenti i prestiti e le garanzie non si applicano alle operazioni effettuate per favorire l’acquisto di azioni da parte di dipendenti della società, o da parte di dipendenti di società controllate o controllanti; in questi casi i prestiti e le garanzie devono essere contenuti nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili, risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato.

ACQUISTO DI AZIONI O QUOTE DI SOCIETÀ CONTROLLANTI

Alle società controllate è consentito acquistare azioni o quote della società controllante, nel rispetto delle seguenti condizioni:

1. il valore delle azioni o quote deve essere contenuto nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio, regolarmente approvato;

2. possono essere acquistate solo azioni o quote interamente liberate;

3. il valore nominale delle azioni o quote non può eccedere il 10% del capitale sociale della società controllante, tenendosi anche conto delle azioni o quote possedute dalla stessa società controllante o da sue controllate.

Come per le azioni proprie è necessario accantonare una riserva indisponibile, per un importo pari alle azioni o quote della società controllante possedute.

Tale riserva deve essere mantenuta fino a che le azioni o quote non siano trasferite.

La società controllata, che detenga azioni o quote della propria controllante, non può esercitare il diritto di voto nell’assemblea di quest’ultima.

Le azioni o quote della controllante, che siano state acquistate in violazione delle condizioni limitative, devono essere vendute entro un anno dal loro acquisto, secondo le modalità determinate dall’assemblea.

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In mancanza la società controllante deve procedere senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale sociale. Qualora l’assemblea non provveda gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione venga disposta dal tribunale.

Le condizioni limitative non si applicano se l’acquisto di azioni o quote della controllante avvenga nei seguenti casi:

1. a titolo gratuito (se le azioni sono interamente liberate);

2. per effetto di successione universale o fusione o scissione;

3. in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società.

In tali casi l’acquisto di azioni o quote della società controllante che ecceda il 10% del capitale sociale, comporta che l’eccedenza sia alienata entro 3 anni dall’acquisto, secondo modalità che devono essere determinate dall’assemblea.

Se il limite del 10% viene superato per effetto di circostanze sopravvenute, la società controllante deve procedere entro 3 anni all’annullamento delle azioni o quote e alla riduzione del capitale sociale. Analogamente a quanto avviene per le azioni proprie, non è consentito partecipare alla sottoscrizione di azioni o quote della società controllante.

Nel caso di violazione di tale divieto le azioni o quote si intendono sottoscritte e devono essere liberate dagli amministratori.

Se qualcuno avesse sottoscritto in nome proprio, ma per conto della società controllata, azioni o quote della controllante, questi si intenderebbe sottoscrittore per conto proprio. Risulterebbero per altro responsabili in solido gli amministratori della società controllata.

SOTTOSCRIZIONE RECIPROCA DI AZIONI

È posto un divieto assoluto di sottoscrizione reciproca di azioni da parte di due società, anche se la sottoscrizione avviene per il tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Sia nel caso di costituzione della società, sia nel caso di aumento del capitale sociale.

SOCIETÀ CONTROLLATE E COLLEGATE

Una società esercita un controllo su di un’altra secondo tre possibili modalità:

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1. controllo di diritto, si ha nel caso in cui una società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria.

(es.: A detiene il 70% delle azioni di B);

2. controllo di fatto, quando una società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria di un’altra società.

(es.: A detiene il 30% del capitale sociale di B);

3. controllo contrattuale, quando una società è sotto l’influenza dominante di un’altra società, in virtù di particolari vincoli contrattuali.

(ad es. il caso di una società con un unico cliente).

Ai fini dei numeri 1 e 2, cioè del controllo di diritto e di fatto, si devono computare anche i voti spettanti alle società controllate, a società fiduciarie e a persone interposte.

Sono invece società collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole.

Si presume che vi sia un’influenza notevole quando una società dispone di almeno il 20% dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria o il 10%, se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

PARTECIPAZIONI

È generalmente consentito che una società acquisti una partecipazione in un’altra società a condizione che sia previsto nell’atto costitutivo. La partecipazione tuttavia è vietata se per la sua misura o per l’oggetto risulti sostanzialmente modificato l’oggetto sociale previsto nello statuto.

L’assunzione di partecipazioni in società che comportino una responsabilità illimitata deve essere deliberata dall’assemblea. È il caso ad esempio della partecipazione in una società in nome collettivo.

Se la società detiene tale tipo di partecipazione occorre che gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa.

SOCIETÀ CON UN UNICO AZIONISTA

Quando tutte le azioni appartengono ad una sola persona fisica o giuridica, gli amministratori devono depositare presso il registro delle imprese una dichiarazione contenente gli estremi identificativi di tale

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persona. Quando successivamente venga ricostituita la pluralità dei soci, cioè i soci diventino almeno due, gli amministratori devono depositare presso il registro delle imprese una apposita dichiarazione che certifichi tale circostanza.

La dichiarazione in entrambi i casi deve essere depositata presso il registro delle imprese entro 30 giorni.

Qualora la società con un unico socio stipuli contratti o effettui operazioni con l’unico socio, è necessario che i contratti e le operazioni siano trascritte nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del Consiglio di amministrazione, o comunque risultino da atto scritto avente data certa. In caso contrario i contratti e le operazioni non sono opponibili ai creditori della società.

MODELLI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO (CORPORATE GOVERNANCE)Per le Società per Azioni sono possibili tre modelli di amministrazione e controllo:

1. Modello tradizionale o modello latino;

2. Modello dualistico o alla tedesca;

3. Modello monistico (di derivazione anglosassone).

MODELLO TRADIZIONALE

Il modello tradizionale prevede la presenza di tre organi:

- l’assemblea;

- il consiglio di amministrazione;

- il collegio sindacale.

A questi può affiancarsi in taluni casi un revisore contabile o una società di revisione.

MODELLO DUALISTICO

Si prevede la presenza di tre organi:

- l’assemblea;

- il consiglio di gestione;

- il consiglio di sorveglianza.

A questi si affianca un revisore contabile o una società di revisione.

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MODELLO MONISTICO

Si prevede la presenza di due organi:

- l’assemblea;

- il consiglio di amministrazione.

All’interno di quest’ultimo viene inoltre creato un comitato per il controllo di gestione. Anche in questo si affianca un revisore contabile o una società di revisione.

Lo statuto può disciplinare contestualmente i tre sistemi, fra i quali i soci sono tenuti a scegliere quello di cui in concreto si avvalgono. In tale caso il passaggio da un modello all’altro non richiede una modificazione statutaria.

L’ASSEMBLEA

L’assemblea deve essere convocata nel comune dove è posta la sede della società. Lo statuto può disporre che l’assemblea si tenga anche in luogo diverso. L’assemblea può essere ordinaria o straordinaria.

ASSEMBLEA ORDINARIA

• Per il Modello Tradizionale e Monistico: l’assemblea ordinaria per questi due modelli ha le seguenti competenze:

I) Approvazione del bilancio;

II) Nomina e revoca degli amministratori, dei sindaci e del presidente del collegio sindacale; dove previsto, nomina del revisore esterno e della società di revisione;

III) Determinazione del compenso degli amministratori e dei sindaci, salvo che sia stabilito dall’atto costitutivo;

IV) Deliberazione sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;

V) Delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell’assemblea e sulle eventuali autorizzazioni richieste dallo statuto per il compimento di alcuni atti degli amministratori (gli amministratori sono investiti del potere di compierli, ma solo se autorizzati).

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L’autorizzazione non esclude la responsabilità degli amministratori;

VI) Deliberazione dell’eventuale regolamento dei lavori assembleari.

L’assemblea deve essere convocata almeno una volta l’anno, entro 120 gg. dalla chiusura dell’esercizio o nel minor termine stabilito dallo statuto. E’ consentito peraltro prevedere nello statuto un termine maggiore, ma comunque non superiore a 180 gg., nei seguenti due casi:

a) quando la società ha l’obbligo di redigere il bilancio consolidato;

b) quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura ed all’oggetto della società.

L’assemblea convocata una volta l’anno è chiamata ad approvare anzitutto il bilancio d’esercizio, nel caso di approvazione nel termine più ampio dei 180 gg., gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione le ragioni della dilazione.

• Per il Modello Dualistico: in tale modello l’assemblea ordinaria ha le seguenti competenze:

I) Nomina e revoca del consiglio di sorveglianza;

II) Determinazione del compenso spettante al consiglio di sorveglianza, a meno che sia stabilito nello statuto;

III) Deliberazioni sulla responsabilità dei membri del consiglio di sorveglianza;

IV) Deliberazione in ordine alla distribuzione degli utili;

V) Nomina il revisore contabile.

L’approvazione del bilancio d’esercizio e la nomina dei membri del consiglio di gestione non sono di competenza dell’assemblea, bensì del consiglio di sorveglianza.

ASSEMBLEA STRAORDINARIA

L’assemblea straordinaria ha le seguenti competenze:

I) Modificazioni dello statuto;

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II) Nomina, sostituzione e determinazione dei poteri dei liquidatori;

III) Deliberazioni sulle altre materie espressamente attribuite dalla legge.

Lo statuto può attribuire, in deroga a quanto sopra previsto, alla competenza del consiglio di amministrazione (modello tradizionale e monistico) o alla competenza del consiglio di gestione o del consiglio di sorveglianza (modello dualistico), talune deliberazioni, quali ad esempio l’istituzione o la soppressione di sedi secondarie, la riduzione del capitale sociale in caso di recesso del socio, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale.

CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA

L’assemblea viene convocata dagli amministratori o dal consiglio di gestione, essa viene fatta mediante un avviso di convocazione contenente le seguenti indicazioni:

1) Giorno e ora dell’adunanza;

2) Luogo dell’adunanza;

3) Elenco delle materie da trattare (ordine del giorno).

L’avviso di convocazione deve essere pubblicato sulla gazzetta ufficiale almeno 15 gg. prima di quello fissato per l’adunanza. Nel caso di società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, cioè nel caso di società che non abbiano azioni diffuse tra il pubblico, è possibile prevedere nello statuto che la convocazione avvenga mediante avviso comunicato ai soci con mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento, almeno 8 gg. prima dell’assemblea (es. lettera raccomandata, fax, e-mail). Quando non sia stata formalmente convocata, l’assemblea si considera comunque regolare se è rappresentato l’intero capitale sociale e se partecipano all’assemblea la maggioranza dei componenti dell’organo amministrativo e la maggioranza dei componenti dell’organo di controllo, in tale caso peraltro ciascuno dei partecipanti può opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato.

CONVOCAZIONE SU RICHIESTA DELLA MINORANZA

Tanti soci che rappresentino almeno il 10% del capitale sociale, o la minore percentuale prevista nello statuto, possono richiedere la

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convocazione dell’assemblea, indicando gli argomenti da trattare; in tale caso gli amministratori (modello tradizionale o monistico) o il consiglio di gestione (modello dualistico) devono convocare senza ritardo l’assemblea. Se questi, o in loro vece i sindaci o il consiglio di sorveglianza, non provvedono alla convocazione, il presidente del tribunale, sentiti i componenti dell’organo amministrativo e dell'organo di controllo e verificato che il rifiuto di convocazione risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell’assemblea designando la persona che deve presiederla.

QUORUM COSTITUTIVI E QUORUM DELIBERATIVI

Il quorum costitutivo è la percentuale di capitale sociale che deve essere presente in assemblea affinché l’assemblea stessa possa dirsi validamente costituita, cioè sia legittimata a deliberare sugli argomenti posti all’ordine del giorno. Il quorum deliberativo invece, è la percentuale di voti favorevoli, necessaria affinché una deliberazione possa essere assunta.

I quorum costitutivi e deliberativi sono diversi a seconda che si tratti di assemblea in prima convocazione o in seconda convocazione, e a seconda che l’assemblea sia ordinaria o straordinaria.

ASSEMBLEA DI PRIMA CONVOCAZIONE

• Assemblea Ordinaria: quorum costitutivo almeno la metà del capitale sociale; quorum deliberativo la maggioranza assoluta, salvo che lo statuto richieda una maggioranza più elevata.

• Assemblea Straordinaria: Abbiamo due casi differenti :

a) Società che NON fanno ricorso al mercato del capitale di rischio: in questo caso il quorum costitutivo non è previsto, mentre il quorum deliberativo è più della metà del capitale sociale, a meno che lo statuto richieda una maggioranza più elevata;

b) Società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio: quorum costitutivo è pari ad almeno la metà del capitale sociale o la maggiore percentuale prevista dallo statuto, invece il quorum deliberativo deve essere di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea.

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ASSEMBLEA IN SECONDA CONVOCAZIONE

• Assemblea Ordinaria: quorum costitutivo, qualunque sia la parte di capitale rappresentata in assemblea. quorum deliberativo, la maggioranza del capitale presente.

• Assemblea Straordinaria: Anche in questo caso abbiamo due casi:

a) Società che NON fanno ricorso al mercato del capitale di rischio: Quorum costitutivo oltre un terzo del capitale sociale. quorum deliberativo almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea. E’ necessario peraltro un quorum deliberativo di più di un terzo del capitale sociale per deliberazioni concernenti particolari oggetti, quali ad es. il cambiamento dell’oggetto sociale, la trasformazione della società e lo scioglimento anticipato;

b) Società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio: Quorum costitutivo oltre un terzo del capitale sociale e quorum deliberativo, almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea.

Lo statuto può prevedere ulteriori convocazioni. Per le convocazioni successive alla seconda, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il quorum costitutivo è rappresentato da almeno un quinto del capitale sociale. E’ consentito fissare nell’avviso di convocazione il giorno per la prima convocazione e per le convocazioni successive.

Diritto di Intervento del Socio in AssembleaAl fine di poter partecipare all’assemblea è possibile prevedere nello statuto che si debba depositare le azioni o la relativa certificazione presso la sede sociale o le banche indicate nell’avviso di convocazione.

A tale fine deve essere indicato il termine antecedente alla data dell’assemblea entro il quale il deposito deve avvenire. Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il termine per il deposito non può essere superiore a 2 giorni.

È possibile prevedere statutariamente l’ammissibilità dell’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione. È possibile anche prevedere l’espressione del voto per corrispondenza.

Presidente dell’AssembleaL’assemblea deve essere presieduta dalla persona indicata nello statuto. Nel caso in cui lo statuto nulla preveda il Presidente

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dell’assemblea deve essere eletto dall’assemblea stessa a maggioranza dei presenti. Nello svolgimento delle proprie funzioni il Presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo. La presenza del segretario è superflua quando il verbale dell’assemblea è redatto da un notaio.

Il Presidente dell’assemblea svolge le seguenti funzioni:

1. verifica la regolarità della costituzione, cioè il quorum costitutivo, tenendo conto che le azioni senza diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione;

2. accerta l’identità e la legittimazione dei presenti;

3. regola lo svolgimento dell’assemblea, pone in discussione e votazione le varie materie poste all’ordine del giorno, eventualmente invertendone l’ordine;

4. accerta i risultati delle votazioni, cioè determina il quorum deliberativo escludendo le azioni senza diritto di voto e i soci che abbiano dichiarato di astenersi perché in conflitto di interessi;

Il segretario dell’assemblea deve redigere un verbale nel quale sia esposto l’adempimento delle sopra elencate funzioni.

In caso di assemblea straordinaria la funzione del segretario è svolta da un notaio.

Rappresentanza nell’AssembleaSalvo che sia diversamente disposto nello statuto, i soci possono farsi rappresentare in assemblea.

La rappresentanza deve essere conferita in forma scritta. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee, con effetto anche per le successive convocazioni.

La delega deve riportare il nome del rappresentante, è pertanto vietata la procura in bianco. La rappresentanza non può essere conferita ai componenti degli organi amministrativi, di controllo o ai dipendenti della società o delle società controllate. Sono poi previsti limiti alla concentrazione delle deleghe, in particolare una stessa persona non può rappresentare in assemblea più di 20 soci. Limiti più ampi sono previsti per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Per tali società i limiti sono parametrati al capitale sociale.

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Conflitto di InteressiAffinché una deliberazione possa qualificarsi in conflitto di interessi sono necessarie due condizioni:

1. che la deliberazione sia approvata con il voto determinante dei soci che abbiano per conto proprio o di terzi un interesse in conflitto con quello della società;

2. che la deliberazione sia anche soltanto potenzialmente dannosa.

La deliberazione in conflitto di interessi è annullabile, secondo le disposizioni che vedremo in seguito.

È fatto divieto agli amministratori di votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità, analogamente i componenti del consiglio di gestione non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.

Il legislatore ha posto i divieti da ultimo elencati riconoscendo in queste ipotesi potenziali di conflitto di interessi.

Rinvio dell’AssembleaÈ consentito ai soci intervenuti in assemblea che riuniscono un terzo del capitale in essa rappresentato, di chiedere che l’assemblea sia rinviata a non oltre 5 giorni a condizione che dichiarino di non essere sufficientemente informati sugli argomenti posti in deliberazione.

Il diritto di rinvio può essere esercitato una sola volta per ciascun argomento.

Verbale dell’AssembleaIl verbale dell’assemblea ordinaria è redatto dal segretario e deve essere sottoscritto dal presidente e dal segretario stesso. Per le assemblee straordinarie deve essere redatto dal notaio.

Esso deve poi essere riportato sull’apposito libro. Il verbale deve contenere, in particolare, le seguenti informazioni:

1. data dell’assemblea;

2. l’identità dei partecipanti e il capitale rappresentato da ciascuno di essi;

3. le modalità e il risultato delle votazioni;

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4. deve consentire l’identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti;

5. deve contenere in sintesi e a richiesta dei soci le loro dichiarazioni, pertinenti all’ordine del giorno.

Il verbale deve essere redatto senza ritardi.

Assemblee SpecialiVengono definite assemblee speciali le assemblee che riuniscono i soci portatori di particolari categorie di azioni. Ad esempio: azioni di risparmio o privilegiate.

Si stabilisce che le deliberazioni dell’assemblea generale, che pregiudichino i diritti di particolari categorie di azionisti, siano approvate anche dalla relativa assemblea speciale.

Le assemblee speciali osservano le regole di funzionamento delle assemblee straordinarie.

Invalidità delle Deliberazioni AssembleariLe deliberazioni assembleari possono presentare vizi che ne determinano l’annullabilità, la nullità o l’inefficacia.

In passato era prevista dalla dottrina e dalla giurisprudenza anche l’ipotesi di inesistenza che, secondo la nuova normativa, sembra assorbita dalla nullità.

A) ANNULLABILITÀ:

le deliberazioni assembleari sono annullabili quando sono contrarie alla legge o all’atto costitutivo. Sono legittimati ad impugnare tali deliberazioni i seguenti soggetti:

1. soci assenti;

2. soci dissenzienti o astenuti;

3. componenti dell’organo amministrativo collegialmente;

4. componenti dell’organo di controllo collegialmente.

Per poter impugnare le deliberazioni annullabili da parte delle prime due categorie di soggetti legittimati è necessario che questi riuniscano una certa percentuale del capitale sociale.

In particolare per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la percentuale è fissata nell’1‰ del capitale sociale.

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Per le altre società la percentuale è del 5 %.

Per i soci che non riuniscono tale percentuale minima è previsto esclusivamente il diritto al risarcimento del danno, che sia loro direttamente derivato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto. La deliberazione non può in ogni caso essere annullata nei seguenti casi:

1. mancanza di legittimazione alla partecipazione all’assemblea, salvo che senza la partecipazione delle persone non legittimate, non si sarebbe raggiunto il quorum costitutivo;

2. per l’invalidità di singoli voti o per il loro indebito computo, salvo che senza tali voti non si sarebbe raggiunto il quorum deliberativo;

3. per l’incompletezza o l’inesattezza del verbale, a meno che venga impedito l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione.

L’azione di annullabilità o l’azione di risarcimento del danno sono soggette ad un termine di prescrizione breve pari a 90 giorni. I 90 giorni decorrono dalla data della deliberazione ovvero, se la deliberazione è soggetta ad iscrizione o deposito presso il registro delle imprese, dalla data di iscrizione o di deposito.

L’annullamento della deliberazione dispiega effetto rispetto a tutti i soci. L’annullamento obbliga, inoltre, il consiglio di amministrazione, il consiglio di gestione e il consiglio di sorveglianza a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità.

Secondo la regola propria del diritto civile, sono in ogni caso fatti salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi, sulla base di atti compiuti in esecuzione della deliberazione annullata. Tale disposizione è per proteggere l’interesse dei terzi che entrano in rapporto con la società e che il più delle volte sono imprenditori.

Analogamente al diritto civile, la deliberazione annullabile può essere sostituita con un'altra presa in conformità della legge o dello statuto.

L’impugnazione è proposta con atto di citazione davanti al tribunale del luogo dove ha sede la società. Se ad impugnare la deliberazione sono le prime due categorie di soggetti legittimati, cioè i soci, questi devono dimostrare di essere possessori del numero minimo di azioni previste.

Il numero di azioni è da conteggiarsi al “tempo dell’impugnazione”; per cui l’azione non spetta a coloro che hanno ceduto le azioni

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dopo la data della deliberazione. E’ legittimato chi ha acquistato i titoli in epoca successiva.

Il soggetto che impugna la deliberazione annullabile può con ricorso, depositato contestualmente alla citazione, chiedere la sospensione dell’esecuzione della deliberazione.

Il presidente del tribunale, in casi di eccezionale e motivata urgenza, provvede sull’istanza con decreto motivato. Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione devono essere decise con un unica sentenza e la trattazione della causa ha inizio decorso il termine di prescrizione trimestrale (in modo che tutte le impugnazioni relative alla deliberazione siano state proposte e non possono esserne proposte altre).

B) NULLITÀ:

Può essere dichiarata nei seguenti casi:

- Impossibilità o illiceità dell’oggetto della deliberazione;

- Mancata convocazione dell’assemblea;

- Mancanza del verbale.

Sono legittimati all’impugnazione tutti i soggetti che abbiano interesse, cioè secondo la dizione legislativa, propria del diritto civile, chiunque vi abbia interesse.

Il termine di prescrizione è più ampio ed è fissato in 3 anni, che decorrono dalla trascrizione della deliberazione sull’apposito libro, ovvero se la deliberazione vi è soggetta, dalla data dell’iscrizione o del deposito presso il registro delle imprese.

In via di eccezione non è previsto un termine di prescrizione per le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.

La nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Si prevede poi che la convocazione non possa considerarsi mancante in caso di irregolarità dell’avviso di convocazione, purchè vengano rispettate le seguenti condizioni:

• Che l’avviso di convocazione provenga da un componente dell’organo amministrativo o di controllo della società;

• Che l’avviso di convocazione sia idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervento di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea.

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Si prevede inoltre che il verbale non possa considerarsi mancante alle seguenti condizioni:

• Se contiene la data della deliberazione e l’oggetto deliberato;

• Se è sottoscritto dal presidente dell’assemblea o dal presidente del consiglio di amministrazione o di sorveglianza e dal segretario, o dal notaio.

La nullità può essere sanata nei seguenti casi:

• Nell’ipotesi di mancata convocazione, l’azione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea. Per tali soggetti la nullità è implicitamente sanata;

• La nullità per mancanza di verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva. La deliberazione in tale caso ha effetto dalla data in cui è stata assunta, ma sono fatti salvi i diritti dei terzi.

Sono poi previsti termini, decorsi i quali, la nullità non può più essere attivata:

• Nell’ipotesi di aumento del capitale sociale, di riduzione per esuberanza o di emissione di obbligazioni, l’impugnazione non può più essere proposta, decorsi 6 mesi dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese. Ovvero nel caso di mancata convocazione decorsi 3 mesi dall’approvazione del bilancio, relativo all’esercizio nel corso del quale la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita;

• Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, la nullità della deliberazione di aumento del capitale sociale non può più essere pronunciata dopo che sia stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione che l’aumento è stato eseguito.

Inoltre, l’invalidità della riduzione del capitale o della deliberazione di emissione di obbligazioni non può essere pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita.

C) INEFFICACIA:

Come abbiamo detto le deliberazioni dell’assemblea generale che pregiudichino i diritti di portatori di azioni, appartenenti a categorie speciali, devono essere approvate anche dalle relative assemblee

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speciali. Nel caso in cui non sia avvenuta l’assemblea speciale o nel caso in cui, la deliberazione non sia stata approvata, le deliberazioni dell’assemblea generale sono inefficaci.

MODELLI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO• MODELLO TRADIZIONALE:

questo modello prevede la presenza di 3 organi che sono l’assemblea, l’organo amministrativo e l’organo di controllo, quest’ultimo è chiamato collegio sindacale. Qualora il controllo contabile sia affidato ad un organo esterno, questo può essere un revisore contabile o una società di revisione.

Se nulla viene stabilito nello statuto, si applica il modello tradizionale, quindi se si vogliono adottare i modelli alternativi, cioè il modello monistico o il modello dualistico, è necessario che siano espressamente previsti nello statuto. Qualora nel corso della vita della società, ed in particolare nel corso di un esercizio si modifichi il modello di amministrazione e controllo, la modificazione ha effetto a partire dalla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio successivo.

A) ORGANO AMMINISTRATIVO: Sugli amministratori grava l’esclusiva responsabilità per la gestione della società. Gli amministratori in particolare, possono compiere tutte le operazioni necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale.

L’amministrazione può essere affidata a soci o a non soci. Devono essere persone fisiche; infatti, se fossero persone giuridiche, la società verrebbe amministrata dagli amministratori della società amministrante, ossia da soggetti scelti da terzi e revocabili da terzi (si toglierebbe potere all’assemblea).

Se l’amministrazione è affidata a due o più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione; se invece è affidata ad un'unica persona, questa assume la qualificazione di amministratore unico. Nel caso in cui vi sia un consiglio di amministrazione, al suo interno deve essere designato un presidente, questi viene nominato dall’assemblea, o in mancanza di deliberazione

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viene scelto dal consiglio. I poteri e i compiti del presidente sono stabiliti dallo statuto.

B) ORGANI DELEGATI: Se lo statuto o l’assemblea ordinaria lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni, ad un comitato esecutivo o ad uno o più amministratori delegati. I componenti del comitato esecutivo, e gli amministratori delegati devono essere scelti tra gli amministratori. I limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega, nonché il suo contenuto, sono determinati dal consiglio di amministrazione, inoltre pur in presenza di delega, il consiglio di amministrazione può sempre impartire direttive agli organi delegati e compiere operazioni rientranti nella delega. Il consiglio di amministrazione in presenza di organi delegati svolge, in ogni caso, le seguenti funzioni:

1) Valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo sulla base delle informazioni ricevute; valuta inoltre l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società;

2) Esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società quando questi siano stati elaborati;

3) Valuta il generale andamento della gestione, sulla base della relazione degli organi delegati.

Non tutte le attribuzioni del consiglio di amministrazione possono essere delegate al comitato esecutivo o agli amministratori delegati in particolare tra le altre non può essere delegata la predisposizione del progetto di bilancio.

Gli organi delegati devono, in ogni caso, svolgere le seguenti funzioni:

1) Devono fare in modo che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, sia adeguato alla natura e alle dimensioni della società;

2) Devono riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto (e in ogni caso almeno ogni 6 mesi), sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società e dalle sue controllate.

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Ciascun amministratore può inoltre chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società.

CAUSE DI INELEGGIBILITÀ (MOD. TRADIZIONALE)

Non possono essere nominati amministratori, e se nominati decadono dal loro ufficio, i seguenti soggetti:

a) l’interdetto;

b) l’inabilitato;

c) il fallito.

Inoltre non può essere eletto chi sia stato condannato ad una pena che comporti l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi.

NOMINA E REVOCA DEGLI AMMINISTRATORI (MOD. TRADIZIONALE)Gli amministratori sono nominati dall’assemblea ordinaria ad eccezione dei primi amministratori che sono nominati nell’atto costitutivo. Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a 3 esercizi e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica.

Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto.

Gli amministratori sono poi revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche in assenza di giusta causa. In quest’ultimo caso l’amministratore revocato ha tuttavia diritto al risarcimento dei danni.

Gli amministratori devono provvedere all’iscrizione della loro nomina presso il registro delle imprese entro 30 gg. e devono indicare gli amministratori ai quali è attribuita la rappresentanza della società, precisando se congiuntamente o disgiuntamente.

CESSAZIONE E SOSTITUZIONE DEGLI AMMINISTRATORI (MOD. TRADIZIONALE)

Le cause di cessazione degli amministratori sono 3:

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1) Rinuncia: in questo caso l’amministratore deve darne comunicazione scritta al consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinuncia ha effetto immediato soltanto se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, in caso contrario, essa ha effetto dal momento in cui la maggioranza del consiglio è stata ricostituita con l’accettazione dei nuovi amministratori;

2) Scadenza del termine: in questo caso la cessazione ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito;

3) Altre Cause.

La cessazione per qualunque causa deve essere iscritta nel registro delle imprese entro 30 gg. a cura del collegio sindacale.

Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori occorre seguire una procedura particolare a seconda dei casi:

a) Se viene a mancare un amministratore o anche più amministratori ma rimane in carica la maggioranza, gli amministratori rimasti integrano il consiglio di amministrazione con nomina approvata dal collegio sindacale, tale nomina viene detta cooptazione. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea;

b) Se viene a mancare la maggioranza degli amministratori, quelli rimasti in carica, devono convocare l’assemblea affinché provveda alla sostituzione dei mancanti;

c) Se cessano tutti gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio sindacale deve convocare d’urgenza l’assemblea per la nomina degli amministratori, nel frattempo al collegio sindacale competono i poteri di ordinaria amministrazione.

Nello statuto potrebbe essere prevista una clausola, in base alla quale, a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l’intero consiglio, tale clausola viene detta “Simul Stabunt, Simul Cadent”. In tale caso l’assemblea è convocata d’urgenza, dagli amministratori rimasti in carica, per la nomina del nuovo consiglio.

DELIBERAZIONI DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE (MOD. TRADIZIONALE)

Il quorum costitutivo per le deliberazioni del C.d.A. è dato dalla maggioranza degli amministratori in carica, salvo che lo statuto

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richieda un maggior numero di presenti. Il quorum deliberativo, sempre salvo diversa disposizione dello statuto, è dato dalla maggioranza dei presenti.

Lo statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio, avvenga anche mediante mezzi di telecomunicazione, quindi anche ad es. tramite videoconferenza.

Il voto dei consiglieri non può essere dato per rappresentanza.

Le deliberazioni del consiglio che siano contrarie alla legge o allo statuto, possono essere impugnate dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale entro 90 gg.

Le deliberazioni che ledano i diritti dei soci, possono anche essere impugnate dai soci stessi; sono in ogni caso fatti salvi, i diritti acquistati in buona fede dai terzi.

COMPENSI DEGLI AMMINISTRATORI (MOD. TRADIZIONALE)Il compenso dei componenti del Consiglio di amministrazione e degli eventuali componenti del comitato esecutivo, se non è stabilito nell’atto costitutivo, è determinato dall’assemblea.

Se l’assemblea ha omesso di determinarlo, è fissato dal giudice su azione degli amministratori stessi.

Il compenso può essere costituito, in tutto o in parte, da una quota di partecipazione agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo determinato azioni di futura emissione (Stock Options).

Il compenso degli amministratori delegati è stabilito dal Consiglio di amministrazione sentito il parere del collegio sindacale.

DIVIETO DI CONCORRENZA (MOD. TRADIZIONALE)I componenti dell’organo amministrativo non possono svolgere attività in concorrenza con quella della società salvo autorizzazione dell’assemblea. In particolare gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, ne esercitare un’attività di impresa concorrente, ne essere amministratori o direttori generali in società concorrenti. L’amministratore che violi tale divieto può essere revocato e risponde dei danni.

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INTERESSE CONCORRENTE DEGLI AMMINISTRATORI (MOD. TRADIZIONALE)Quando un amministratore si trovi ad avere un interesse, per conto proprio o di terzi, in una determinata operazione della società, deve darne notizia agli altri amministratori, nonché al collegio sindacale. Egli deve inoltre precisare la natura, i termini, l’origine e la portata.

Qualora poi si tratti di amministratore delegato, egli deve astenersi dal compiere l’operazione e deve investire dell’operazione stessa il consiglio di amministrazione.

Il consiglio di amministrazione, in tale caso, deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.

Le deliberazioni del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo, che siano adottate con il voto determinante dell’amministratore con interesse concorrente o che siano adottate senza l’osservanza della procedura sopra esposta, possono essere impugnate entro 90 giorni qualora possano recare danno alla società. Sono in ogni caso fatti salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.

Sono legittimati all’impugnazione i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale. L’amministratore con interesse concorrente, che non abbia osservato la procedura vista, risponde dei danni cagionati alla società.

RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI (MOD. TRADIZIONALE)Sugli amministratori grava una responsabilità civile e penale. Per quanto riguarda la responsabilità CIVILE si configurano tre ipotesi:

• Responsabilità verso la società

• Responsabilità verso i creditori sociali

• Responsabilità verso i singoli soci o i terzi

RESPONSABILITA’ VERSO LA SOCIETA’Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, con un grado di diligenza professionale. Gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società al verificarsi delle seguenti condizioni:

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• in caso di violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto;

• nell’ipotesi in cui dall’inosservanza di tali doveri sia derivato un danno alla società.

La responsabilità degli amministratori verso la società è solidale, tuttavia gli amministratori non rispondono in relazione alle attribuzioni proprie del comitato esecutivo o degli amministratori delegati.

Infatti la responsabilità investe ciascun amministratore in ragione del fatto di avere personalmente partecipato all’atto.

In ogni caso gli amministratori sono solidalmente responsabili qualora, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto in loro potere per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La responsabilità non si estende agli amministratori immuni da colpa a condizione che abbiano fatto annotare, senza ritardo, il loro dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio e a condizione che ne diano immediata notizia scritta al presidente del collegio sindacale.

L’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori viene deliberata dall’assemblea.

La deliberazione può essere assunta nell’assemblea chiamata ad approvare il bilancio, anche se l’azione sociale di responsabilità non è posta all’ordine del giorno. È necessario però che la responsabilità riguardi fatti di competenza dell’esercizio al quale si riferisce il bilancio.

La deliberazione comporta la revoca d’ufficio degli amministratori quando sia assunta col voto favorevole di almeno il 20% del capitale sociale. La società può rinunciare all’esercizio dell’azione o transigere a condizione che la rinuncia o la transazione siano approvate dall’assemblea e a condizione che non vi sia il voto contrario di tanti soci che rappresentino almeno il 20% del capitale sociale.

L’azione sociale di responsabilità si prescrive in 5 anni dalla data di cessazione dell’amministratore.

L’azione sociale di responsabilità oltre che essere deliberata dall’assemblea può anche essere promossa da una minoranza di soci che rappresentino almeno il 20% del capitale sociale, o la diversa percentuale prevista dallo statuto (però non maggiore ad un terzo). I soci che intendono promuovere l’azione devono

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nominare a maggioranza del capitale posseduto uno o più rappresentanti comuni per l’esercizio dell’azione.

Anche in questo caso l’azione può formare oggetto di rinunzia o transazione da parte dei soci che l’hanno promossa.

Si discute se la responsabilità investa oltre agli amministratori regolarmente nominati dall’assemblea, anche gli amministratori di fatto (cioè coloro che senza titolo gestiscono o concorrono a gestire la società con un potere di fatto corrispondente a quello che la società riconosce agli amministratori regolarmente nominati). La soluzione è affermativa per quanto riguarda la responsabilità penale; per quanto riguarda la responsabilità civile il problema è dibattuto.

RESPONSABILITA’ VERSO I CREDITORI SOCIALILa responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali ricorre nel caso in cui gli amministratori stessi non abbiano osservato gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. In particolare i creditori possono promuovere l’azione quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, e amministrazione straordinaria, l’azione di responsabilità ora vista e l’azione sociale di responsabilità sono promosse dal curatore o dal commissario.

RESPONSABILITA’ VERSO SOCI O TERZII singoli soci o i terzi possono promuovere azioni di responsabilità verso gli amministratori quando abbiano subito un danno nella loro sfera personale, in conseguenza di atti colposi o dolosi degli amministratori.

L’esempio tipico è rappresentato dalla divulgazione di un prospetto falso in occasione di un aumento di capitale sociale o della quotazione in borsa della società.

L’azione si prescrive in 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

DIRETTORI GENERALI (MOD. TRADIZIONALE)I direttori generali sono soggetti a responsabilità secondo le stesse norme previste per gli amministratori. La responsabilità

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riguarda soltanto i compiti loro affidati e si applica solo ai direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione statutaria.

I direttori generali sono coloro che sono posti al vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati dell’impresa ed operano in rapporto diretto con gli amministratori. Normalmente esplicano funzioni che li pongono in contatto con i terzi e possono essere assimilati agli institori.

IL COLLEGIO SINDACALE (MOD. TRADIZIONALE)Il collegio sindacale è l’organo di controllo della società.

COMPOSIZIONE DEL COLLEGIO SINDACALE (MOD. TRADIZIONALE)Il collegio sindacale è composto da 3 o 5 membri effettivi, oltre a 2 sindaci supplenti.

I sindaci possono essere scelti tra i soci o al di fuori della compagine sociale, almeno un membro effettivo e un membro supplente devono essere scelti tra soggetti iscritti nel registro dei revisori contabili. I restanti membri possono essere scelti tra le seguenti categorie di soggetti:

• iscritti nel registro dei revisori contabili;

• iscritti in albi professionali;

• professori di ruolo universitari, in materie economiche o giuridiche.

I sindaci sono nominati per la prima volta nello statuto e successivamente dall’assemblea. Il presidente del collegio sindacale è nominato dall’assemblea.

CAUSE DI INELEGGIBILITÀ O DECADENZA (MOD. TRADIZIONALE)I seguenti soggetti non possono assumere la carica di sindaco e se eletti decadono dall’ufficio:

• i soggetti che si trovino nelle ipotesi di ineleggibilità o decadenza previste per gli amministratori;

• il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli

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amministratori di società controllate, controllanti o sottoposte a comune controllo;

• I soggetti che sono legati alla società o a società controllate, controllanti o società sottoposte a comune controllo, da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita o da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.

Con la riforma del 2003 è stata introdotta l’incompatibilità fra il rapporto continuativo di consulenza e la carica di sindaco, ritenuto pregiudizievole per l’indipendenza dei sindaci. Infatti i sindaci controllerebbero l’operato degli amministratori, svolto sotto i loro stessi suggerimenti. Quindi controllerebbero sé stessi.

NOMINA E CESSAZIONE DALL’UFFICIO (MOD. TRADIZIONALE)I sindaci restano in carica per 3 esercizi. La cessazione per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio sindacale viene ricostituito con i nuovi sindaci.

Contrariamente agli amministratori i sindaci possono essere revocati solo per giusta causa e la deliberazione di revoca, che deve essere assunta dall’assemblea ordinaria, deve anche essere approvata con decreto del tribunale.

La nomina dei sindaci con indicazione dei dati anagrafici deve essere iscritta nel registro delle imprese entro 30 giorni a cura degli amministratori. Negli stessi termini deve essere iscritta la cessazione dall’ufficio. Nel caso di cessazione di un sindaco subentrano i supplenti, in ordine di età. I sindaci subentrati rimangono in carica fino all’assemblea successiva, che deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti, necessari per integrare il collegio.

I sindaci neo nominati dall’assemblea scadono con quelli in carica. Nel caso in cui venga a mancare il presidente, la presidenza è assunta dal sindaco più anziano, fino alla successiva assemblea. Qualora vengano a mancare più sindaci e i sindaci supplenti non siano sufficienti a ricostituire il collegio sindacale, deve essere convocata l’assemblea.

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COMPENSO AI SINDACI (MOD. TRADIZIONALE)Il compenso è fissato nello statuto, in mancanza deve essere determinato dall’assemblea all’atto della nomina per l’intera durata della carica.

DOVERI DEL COLLEGIO SINDACALE (MOD. TRADIZIONALE)Il collegio sindacale svolge le seguenti funzioni:

• Vigila sull’osservanza della legge e dello statuto;

• Vigila sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società, nonchè sul suo concreto funzionamento;

• Ove previsto e consentito esercita il controllo contabile.

POTERI DEL COLLEGIO SINDACALE (MOD. TRADIZIONALE)I sindaci hanno ampi poteri di ispezione e controllo anche individuali. Il collegio sindacale può chiedere, inoltre, agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Può anche scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate.

Infine i sindaci possono avvalersi di propri dipendenti e ausiliari sotto la propria responsabilità per lo svolgimento di specifiche operazioni di ispezione e di controllo. La società può, però, rifiutare a costoro l’accesso a informazioni riservate.

I sindaci partecipano alle adunanze del consiglio di amministrazione e alle assemblee e alle riunioni del comitato esecutivo. Hanno diritto di ricevere almeno 30 giorni prima di quello fissato per l’assemblea che deve discuterlo, il bilancio predisposto dagli amministratori, accompagnato dalla loro relazione e dai documenti giustificativi.

Possono impugnare le deliberazioni assembleari contrarie alla legge e allo statuto, possono impugnare le deliberazioni del consiglio di amministrazione. Come vedremo in seguito possono presentare denuncia al tribunale per gravi irregolarità.

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RIUNIONI E DELIBERAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE (MOD. TRADIZIONALE)Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni 90 giorni. Come previsto per l’assemblea e per le riunioni del consiglio di amministrazione, la riunione può svolgersi con mezzi telematici (se lo statuto lo consente).

Se un sindaco non partecipa a due riunioni, nel corso di un esercizio, senza giustificato motivo, decade dall’ufficio.

Le deliberazioni del collegio sindacale devono essere assunte a maggioranza dei presenti (la legge prescrive la maggioranza assoluta, ma pare doversi intendere relativa) e devono essere presenti la maggioranza dei sindaci.

I sindaci devono redigere apposito verbale per ogni riunione. Tale verbale deve essere trascritto nell’apposito libro (delle adunanze e deliberazioni del collegio sindacale) e sottoscritto dagli intervenuti.

I sindaci devono partecipare alle assemblee, alle adunanze del consiglio di amministrazione e alle riunioni del comitato esecutivo, se presente.

Qualora un sindaco non assista, senza giustificato motivo, anche ad una sola assemblea, o a due adunanze consecutive del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo, nel corso di un esercizio, decade dall’ufficio.

OMISSIONI DEGLI AMMINISTRATORI (MOD. TRADIZIONALE)I sindaci devono sostituirsi agli amministratori, qualora questi, con ingiustificato ritardo, non provvedano a convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni previste dalla legge.

RESPONSABILITÀ DEL COLLEGIO SINDACALE (MOD. TRADIZIONALE)I sindaci devono adempiere i loro doveri con la diligenza professionale (come gli amministratori). Sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui vengono a conoscenza.

I sindaci sono inoltre responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti e le omissioni di questi, nel caso in cui si produca un danno, e tale danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica. Esiste, quindi, un rapporto di causalità fra la violazione dei doveri di vigilanza e il danno.

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DENUNCIA DI FATTI CENSURABILI (MOD. TRADIZIONALE)

Ciascun socio, può denunciare al collegio sindacale, fatti che ritiene censurabili, non è richiesta a tale fine, una quota minima di capitale da parte del socio.

Di fronte alla denuncia, il collegio sindacale ha soltanto l’obbligo di tenerne conto nella propria relazione al bilancio d’esercizio da presentare nell’apposita assemblea. Tuttavia se la denuncia proviene da tanti soci che rappresentino almeno 1/20 del capitale sociale (o 1/50 nelle società che fanno il ricorso al mercato del capitale di rischio), il collegio sindacale ha l’obbligo di indagare senza ritardo sui fatti denunciati e di presentare le proprie conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea. Il collegio sindacale infine può previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l’assemblea, qualora nell’espletamento del proprio incarico e indipendentemente da una denuncia ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere.

DENUNCIA PER GRAVI IRREGOLARITÀ (MOD. TRADIZIONALE)

Tanti soci che rappresentino almeno il 10 % del capitale sociale (5% se la società fa ricorso al mercato del capitale di rischio) possono fare denuncia al tribunale, qualora abbiano il fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione della società; tali da poter arrecare danno alla società stessa o a società controllate.

A fronte della denuncia il tribunale deve anzitutto sentire gli amministratori e i sindaci in camera di consiglio (le udienze possono essere a porte aperte o in camera di consiglio cioè a porte chiuse), il tribunale successivamente può assumere diverse determinazioni a seconda della gravità dei fatti. In primo luogo può ordinare l’ispezione dell’amministrazione della società. Non può ordinare l’ispezione e sospende per un certo periodo il procedimento se l’assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità. Questi ultimi devono attivarsi, senza indugio, per accertare se le violazioni sussistono, ed eventualmente per eliminarle, con l’obbligo di riferire al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute. Nei casi più gravi e cioè se le violazioni denunciate sussistono, ovvero se gli accertamenti e le attività compiute dai nuovi amministratori e sindaci, non

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sono sufficienti ad eliminare le violazioni stesse, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti e convocare l’assemblea per le conseguenti deliberazioni.

Qualora infine, il tribunale si trovi in presenza di casi ancora più gravi, può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci, e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata. Prima della scadenza del proprio mandato, l’amministratore giudiziario, rende conto della propria attività al tribunale e può proporre azione di responsabilità contro amministratori e sindaci. Egli inoltre deve convocare e presiedere l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci, o per proporre, qualora ne ricorrano le condizioni, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale.

I provvedimenti che abbiamo visto possono essere assunti dal tribunale, anche su richiesta del collegio sindacale e, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, su richiesta del pubblico ministero. La denuncia di fatti censurabili e la denuncia di gravi irregolarità sono forme di autotutela delle minoranze contro l’illecito operato degli amministratori.

CONTROLLO CONTABILE (MOD. TRADIZIONALE)

La riforma del 2003 ha separato il controllo contabile dal controllo di legalità ed efficienza (in precedenza riuniti in capo al collegio sindacale).

Il controllo contabile della società, che prima della riforma era esercitato dal collegio sindacale, viene ora svolto da un revisore contabile o da una società di revisione.

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile, è necessariamente esercitato da una società di revisione.

Il controllo contabile peraltro può essere esercitato dal collegio sindacale in via esclusiva, purché ricorrano le seguenti condizioni:

1) Che sia previsto nello statuto della società;

2) Che non si tratti di società che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio;

3) Che non siano società tenute alla redazione del bilancio consolidato.

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Se il controllo contabile è affidato al collegio sindacale, è necessario che tutti i suoi componenti siano iscritti nel registro dei revisori contabili.

FUNZIONI DI CONTROLLO CONTABILE (MOD. TRADIZIONALE)

I soggetti ai quali è demandato il controllo contabile devono svolgere le seguenti funzioni:

1) verificare almeno una volta al trimestre la regolare tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili;

2) verificare se il bilancio d’esercizio e il bilancio consolidato, corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti, nonché se siano conformi alle norme che li disciplinano;

3) esprimere in un apposita relazione un giudizio sul bilancio d’esercizio e sul bilancio consolidato ove redatto.

L’attività di controllo contabile deve essere documentata attraverso la verbalizzazione nel libro del collegio sindacale, se è questo a svolgere l’attività di controllo contabile, o in apposito libro, negli altri casi.

CONFERIMENTO E REVOCA DELL’INCARICO (MOD. TRADIZIONALE)

Se l’attività di controllo contabile è svolta da un revisore contabile o da una società di revisione, l’incarico viene conferito dall’assemblea ordinaria, sentito il collegio sindacale. La stessa assemblea deve determinare il corrispettivo per l’intera durata dell’incarico. L’incarico ha durata di 3 esercizi e può essere revocato prima del termine soltanto per giusta causa e sentito il parere del collegio sindacale.

La deliberazione assembleare di revoca deve essere approvata con decreto del tribunale sentito l’interessato.

Nel caso in cui il controllo contabile sia svolto da un revisore contabile, non è ammesso che questi sia nominato attingendo fra i componenti del collegio sindacale della società o delle società controllate, della società controllante, o delle società sottoposte a comune controllo; se così accade, decade dall’ufficio. Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza e ulteriori requisiti di professionalità del soggetto incaricato del controllo contabile.

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RESPONSABILITÀ (MOD. TRADIZIONALE)

I soggetti incaricati del controllo contabile, sono responsabili alla stessa stregua dei sindaci, e sono inoltre responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi, per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri.

Nel caso di controllo svolto da una società di revisione, i soggetti che hanno effettuato il controllo contabile, sono responsabili in solido con la società di revisione stessa.

L’azione di responsabilità si prescrive nel termine di 5 anni dalla cessazione dell’incarico.

SCAMBIO DI INFORMAZIONI (MOD. TRADIZIONALE)

Il collegio sindacale e i soggetti incaricati del controllo contabile, devono scambiarsi tempestivamente le informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti.

• MODELLO DUALISTICO:

Il modello tradizionale è quello che si applica in assenza di previsione statutaria, pertanto se si vuole adottare il modello dualistico è necessario che sia espressamente previsto nello statuto (lo statuto può disciplinare contestualmente i tre sistemi consentendo ai soci di passare da uno all’altro senza modificare lo statuto). Nel modello dualistico l’amministrazione è affidata al consiglio di gestione, mentre il controllo è affidato al consiglio di sorveglianza.

CONSIGLIO DI GESTIONE (MOD. DUALISTICO)

Al consiglio di gestione, è attribuita l’esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa, in tale contesto esso può compiere tutte le operazioni necessarie per il conseguimento dell’oggetto sociale. Il consiglio di gestione è costituito da un numero di componenti non inferiore a due, che possono essere scelti anche tra non soci. I componenti del consiglio di gestione sono nominati per la prima volta nell’atto costitutivo, successivamente dal consiglio di sorveglianza. Essi restano in carica per un periodo non superiore a 3 esercizi. Sono rieleggibili salvo diversa disposizione dello statuto, e sono

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revocabili, in qualunque tempo dal consiglio di sorveglianza. La revoca può avvenire anche senza giusta causa, salvo il diritto al risarcimento dei danni. Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare, uno o più componenti del consiglio di gestione, il consiglio di sorveglianza deve provvedere senza indugio alla loro sostituzione. Non è dunque previsto il meccanismo della Cooptazione.

L’AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITÀ (MOD. DUALISTICO)L’azione sociale di responsabilità è disciplinata dalle stesse norme previste per il modello tradizionale. Essa può quindi essere promossa con delibera dell’assemblea ordinaria, oppure direttamente dai soci. Tuttavia, in aggiunta, l’azione sociale di responsabilità può essere proposta con deliberazione del consiglio di sorveglianza. In tale caso il quorum deliberativo è pari alla maggioranza dei componenti del consiglio di sorveglianza stesso.

Inoltre se la delibera è assunta con il voto favorevole di almeno due terzi dei componenti si determina anche la revoca dei membri del consiglio di gestione contro cui è proposta.

Alla sostituzione dei membri revocati provvede contestualmente lo stesso consiglio di sorveglianza. L’azione sociale di responsabilità si prescrive nel termine di 5 anni dalla cessazione del componente del consiglio di gestione.

L’azione di responsabilità può essere oggetto di transazione e rinuncia da parte del consiglio di sorveglianza e da parte della società e tali rinunce e transazioni non impediscono l’esercizio delle azioni di responsabilità esercitate dai soci e dai creditori. La rinuncia o la transazione devono essere approvate dalla maggioranza assoluta dei componenti del consiglio di sorveglianza.

NORME APPLICABILI AL CONSIGLIO DI GESTIONE (MOD. DUALISTICO)

Al consiglio di gestione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per il consiglio di amministrazione nel modello tradizionale, ed in particolare quelle relative:

• alla validità delle riunioni;

• alla nomina del suo presidente;

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• all’impugnativa delle deliberazioni (che spetta anche al consiglio di sorveglianza);

• agli adempimenti pubblicitari relativi alla nomina e alla cessazione;

• al potere di rappresentanza;

• alle cause di ineleggibilità (alle quali si aggiunge l’essere membri del consiglio di sorveglianza);

• alla rinuncia alla carica;

• al divieto di esercizio di attività concorrenti;

• alla diligenza professionale;

• alla responsabilità.

CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA (MOD. DUALISTICO)Il consiglio di sorveglianza deve essere formato da un numero di componenti non inferiore a tre. I componenti possono essere soci o non soci. Il numero dei componenti è fissato nello statuto. Devono inoltre essere nominati almeno due supplenti. I primi componenti del consiglio di sorveglianza sono nominati nell’atto costitutivo, successivamente la nomina spetta all’assemblea ordinaria.

I componenti del consiglio di sorveglianza durano in carica per tre esercizi e scadono alla data della successiva assemblea convocata per approvare il bilancio. La loro cessazione ha effetto dal momento in cui il consiglio di sorveglianza è stato ricostituito. Almeno un componente del consiglio di sorveglianza ed un supplente devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.

I componenti del consiglio di sorveglianza sono rieleggibili, a meno che lo statuto disponga diversamente.

Qualora nel corso dell’esercizio vengano a mancare uno o più componenti del consiglio di sorveglianza l’assemblea deve provvedere senza indugio alla loro sostituzione.

Il presidente del consiglio di sorveglianza viene eletto dall’assemblea ordinaria, mentre i suoi poteri sono definiti dallo statuto.

Non possono essere eletti alla carica di componente del consiglio di sorveglianza e se eletti decadono dall’ufficio:

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• l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è condannato a una pena che comporti l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi;

• i componenti del consiglio di gestione;

• coloro che sono legati alla società o a società controllate, controllanti o società sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o prestazione d’opera retribuita, o da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.

Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità.

COMPETENZE DEL CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA (MOD. DUALISTICO)

Il consiglio di sorveglianza svolge le seguenti funzioni:

• Nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione e ne determina il compenso salvo che la relativa competenza sia attribuita all’assemblea dallo statuto;

• Approva il bilancio d’esercizio e, se redatto, il bilancio consolidato;

• Esercita le funzioni di controllo proprie del collegio sindacale;

• Può promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio di gestione;

• Può presentare la denuncia al tribunale ai sensi dell’art. 2409 del C.c.;

• Deve riferire in forma scritta, almeno una volta all’anno, all’assemblea, sull’attività di vigilanza svolta, sulle omissioni e sui fatti censurabili.

Possono assistere alle riunioni del consiglio di gestione e devono partecipare alle assemblee.

Sono soggetti esclusivamente all’azione di responsabilità promossa dalla assemblea.

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NORME APPLICABILI AL CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA (MOD. DUALISTICO)Al consiglio di sorveglianza si applicano le norme previste per il collegio sindacale nel modello tradizionale.

Tuttavia per quanto riguarda la validità delle deliberazioni si applicano le norme relative al consiglio di amministrazione.

MODELLO MONISTICOIl modello monistico deve essere espressamente previsto nello statuto. In tale caso, come si è detto, l’amministrazione è affidata ad un consiglio di amministrazione, mentre il controllo è esercitato da un comitato costituito al suo interno e denominato comitato per il controllo sulla gestione.

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE (MOD. MONISTICO)Si stabilisce che almeno un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione debba possedere i requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci nel modello tradizionale, nonché quelli ulteriori eventualmente fissati dallo statuto.

COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE (MOD. MONISTICO)La determinazione del numero dei componenti del comitato e la loro nomina spettano al consiglio di amministrazione salvo diversa disposizione dello statuto. Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non possono essere meno di tre.

Almeno uno dei componenti del comitato deve essere scelto fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.

Tutti i componenti del comitato devono essere in possesso dei requisiti di indipendenza sopra richiamati.

Nel caso di morte, rinunzia o decadenza di un componente del comitato, il consiglio di amministrazione provvede senza indugio a sostituirlo, scegliendolo tra gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza. Se ciò non è possibile, si applicano le norme previste per la sostituzione degli amministratori nel modello tradizionale in materia di cooptazione.

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Il comitato per il controllo sulla gestione svolge le seguenti funzioni:

• Elegge al suo interno il presidente a maggioranza assoluta;

• Adempie ai doveri previsti per il collegio sindacale nel modello tradizionale (vigila sull’adeguatezza del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare i fatti di gestione);

• Svolge gli ulteriori compiti che gli sono stati affidati dal consiglio di amministrazione con riguardo ai rapporti con i soggetti incaricati del controllo contabile.

NORME APPLICABILI (MOD. MONISTICO)Al consiglio di amministrazione si applicano le norme previste nel modello tradizionale per il consiglio di amministrazione. Relativamente al comitato per il controllo sulla gestione si applicano invece le norme previste per il collegio sindacale.

OBBLIGAZIONILe obbligazioni sono titoli di credito che possono essere emessi dalla società.

EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI

L’emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori, salvo diversa disposizione dello statuto. La deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da notaio e deve essere iscritta nel registro delle imprese.

Con la sottoscrizione delle obbligazioni, gli obbligazionisti acquisiscono il diritto alla restituzione del capitale e agli interessi. Esercizio di tale diritto può essere subordinato in tutto o in parte al soddisfacimento dei diritti di altri creditori della società.

Le obbligazioni possono essere postergate. Si può stabilire che i tempi e l’entità del pagamento degli interessi possano variare in funzione dei parametri oggettivi anche relativi all’andamento economico della società.

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LIMITI ALL’EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI

Le obbligazioni non possono essere emesse per una somma eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato.

I sindaci devono attestare il rispetto di tale limite. Il limite può essere superato nei seguenti casi:

• Quando le obbligazioni eccedenti il limite sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori qualificati. In tale caso nell’ipotesi di successiva circolazione l’investitore qualificato, che ha sottoscritto le obbligazioni eccedenti, è responsabile della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non sono investitori professionali;

• Non rientra nel limite l’emissione di obbligazioni garantite da ipoteca su immobili di proprietà della società sino a 2/3 del valore degli immobili stessi;

• Il limite può essere superato quando ricorrono particolari ragioni che interessano l’economia nazionale e la società sia stata autorizzata con provvedimento dell’autorità governativa.

Il limite all’emissione di obbligazioni non si applica per le società le cui azioni sono quotate in mercati regolamentati e che emettono obbligazioni quotate.

RIDUZIONE DEL CAPITALE IN PENDENZA DI UN PRESTITO OBBLIGAZIONARIO

La società che ha emesso un prestito obbligazionario non può ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se, rispetto alle obbligazioni in circolazione, viene superato il limite anzi detto.

Se la riduzione del capitale sociale risulta obbligatoria o le riserve sono diminuite per effetto di perdite, non è consentito distribuire utili successivamente, sino a che l’ammontare del capitale più le riserve non eguagli l’ammontare delle obbligazioni in circolazione

CONTENUTO DELLE OBBLIGAZIONI

Le obbligazioni devono contenere le seguenti indicazioni:

• Denominazione, oggetto e sede della società, con l’indicazione dell’ufficio del registro presso il quale la società è iscritta;

• Capitale sociale e riserve esistenti al momento dell’emissione;

• Data della deliberazione di emissione e della sua iscrizione nel registro;

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• Ammontare complessivo dei titoli emessi, i diritti attribuiti, il valore nominale di ciascuno, il rendimento, la modalità di pagamento e il rimborso; inoltre, l’eventuale subordinazione dei diritti degli obbligazionisti a quelli di altri creditori della società,

• Eventuali garanzie.

ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI

L’assemblea degli obbligazionisti è l’organo che riunisce i portatori di obbligazioni della società.

Essa ha le seguenti competenze:

• Nomina e revoca il rappresentante comune;

• Delibera sulle modificazioni delle condizioni del prestito obbligazionario;

• Sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato;

• Sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul rendiconto relativo;

• Delibera sugli altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti.

L’assemblea può essere convocata dagli amministratori o dal rappresentante comune, ovvero quando ne sia fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentino almeno il 5% delle obbligazioni emesse e non estinte.

L’assemblea degli obbligazionisti è regolamentata dalle norme previste per l’assemblea straordinaria.

Le sue deliberazioni devono essere iscritte nel registro delle imprese a cura del notaio che ha redatto il verbale.

All’assemblea degli obbligazionisti possono partecipare gli amministratori e i sindaci.

Le deliberazioni possono essere impugnate secondo le norme che disciplinano l’annullabilità e la nullità delle deliberazioni assembleari.

RAPPRESENTANTE COMUNE

Il rappresentante comune è il soggetto che rappresenta gli obbligazionisti, può essere scelto anche al di fuori degli obbligazionisti.

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Tuttavia non possono essere nominati a rappresentanti comuni gli amministratori, i sindaci e i dipendenti della società e coloro che rientrano nelle cause di ineleggibilità previste per il collegio sindacale. Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore ai 3 anni è può essere rieletto.

Egli deve entro 30 giorni dalla nomina richiederne l’iscrizione nel registro delle imprese.

Il rappresentante comune provvede all’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti. Ha inoltre il compito di tutelare gli interessi comuni degli obbligazionisti nei rapporti con la società. Deve poi assistere alle operazioni di sorteggio delle obbligazioni, al momento del rimborso. Ha diritto di assistere all’assemblea generale dei soci ed ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti.

OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN AZIONI

L’emissione di obbligazioni convertibili in azioni deve essere deliberata dall’assemblea straordinaria. Esse prevedono la possibilità di conversione in azioni della società secondo un determinato rapporto di cambio, in un periodo prestabilito e secondo modalità di conversione prestabilite.

Contestualmente all’emissione di obbligazioni convertibili la società deve deliberare l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da attribuire in conversione. Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all’emissione delle azioni spettanti agli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente.

Entro il mese successivo poi gli amministratori devono depositare presso il registro delle imprese una attestazione dell’aumento del capitale sociale al quale si è dato corso.

Fino a che non sono scaduti i termini per la conversione la società non può ridurre volontariamente il capitale sociale, a meno che sia data facoltà di conversione ai possessori di obbligazioni.

Qualora il capitale sociale venga aumentato mediante imputazione di riserve o venga ridotto per perdite, il rapporto di conversione deve essere proporzionalmente modificato.

DELEGA AGLI AMMINISTRATORI

È possibile prevedere statutariamente la facoltà in capo agli amministratori di emettere in una o più volte obbligazioni convertibili,

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fino ad un ammontare determinato e per un periodo massimo di 5 anni.

LIBRI SOCIALILa S.p.A. deve tenere i libri e le scritture contabili previsti per l’imprenditore commerciale, cioè il libro giornale, il libro degli inventari e altre scritture previste in funzione della natura e delle dimensioni della società.

Oltre ai libri contabili la società deve tenere i cosiddetti libri sociali, che sono in particolare i seguenti:

1) il libro dei soci; nel quale devono essere indicate il numero delle azioni, il cognome e nome dei titolari delle azioni nominative, i trasferimenti e i vincoli ad esse relativi (es. il pegno), nonché i versamenti eseguiti;

2) Il libro delle obbligazioni nel quale devono essere indicate le stesse informazioni previste al n. 1) relative alle obbligazioni;

3) Il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, nel quale devono essere trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico;

4) Il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, o del consiglio di gestione;

5) Il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale o del consiglio di sorveglianza, o del comitato per il controllo sulla gestione;

6) Il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo se presente;

7) Il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti;

8) Il libro degli strumenti finanziari eventualmente emessi in presenza di patrimoni destinati ad uno specifico affare.

I libri di cui ai nn. 1) 2) 3) 4) e 8) sono tenuti a cura del consiglio di amministrazione o del consiglio di gestione. Il libro indicato al n. 5) è tenuto dall’organo di controllo. Il libro di cui al n. 6) tenuto a cura del comitato esecutivo. Il libro di cui al n. 7) dal rappresentante comune degli obbligazionisti.

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Tutti i libri sociali prima di essere messi in uso, devono essere numerati e bollati.

DIRITTO DI ISPEZIONE DEI LIBRI SOCIALI

I soci hanno diritto di esaminare esclusivamente i libri indicati ai nn. 1) 3) e hanno diritto di ottenerne estratti a proprie spese.

Il rappresentante comune degli obbligazionisti può esaminare i libri indicati ai nn. 2) 3).

I possessori di obbligazioni hanno diritto di esaminare il libro indicato al n. 7) essi hanno inoltre diritto di ottenere estratti a proprie spese.

Analoghi diritti spettano al rappresentante comune dei possessori di strumenti finanziari e ai singoli possessori di strumenti finanziari di cui al n. 8)

IL BILANCIO

BILANCIO D’ESERCIZIO

Il bilancio è formato da 3 documenti: Stato Patrimoniale, Conto Economico e Nota Integrativa. A corredo del bilancio è prevista poi la redazione della relazione sulla gestione. I principi che informano la predisposizione del bilancio sono posti su 3 livelli:

1) i principi generali;

2) I principi di redazione;

3) I criteri di valutazione e le norme sulle strutture.

I principi generali sono tre:

a) La chiarezza;

b) La rappresentazione veritiera (Veridicità);

c) La rappresentazione corretta (Correttezza).

I principi di redazione sono 6 e tra questi occorre ricordare i principi della competenza e della prudenza.

I criteri di valutazione indicano le modalità con le quali devono essere valutate le poste che compongono il bilancio d’esercizio. Le norme relative alle strutture, individuano schemi rigidi di stato patrimoniale

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e di conto economico, nonché le informazioni che devono essere contenute nella nota integrativa.

PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE E APPROVAZIONE DEL BILANCIO

Il progetto di bilancio deve essere predisposto dall’organo amministrativo, il quale predispone anche la relazione sulla gestione. Il progetto di bilancio deve essere trasmesso, insieme con la relazione sulla gestione, all’organo di controllo almeno 30gg. prima rispetto al giorno fissato per l’assemblea chiamata ad approvarlo.

L’assemblea che deve approvare il bilancio di esercizio deve essere convocata entro il termine stabilito dallo statuto, e comunque tale termine non può essere superiore a 120 gg. dalla chiusura dell’esercizio. Il termine potrebbe essere però previsto dallo statuto, in misura non superiore a 180 gg., quando particolari esigenze relative alla società lo richiedano.

Occorre peraltro ricordare che nel modello dualistico, il bilancio d’esercizio, deve essere approvato dal consiglio di sorveglianza.

Una volta ottenuto il progetto di bilancio, l’organo di controllo deve redigere una propria relazione, nella quale deve dare conto all’assemblea dei risultati dell’esercizio e dell’attività svolta nell’adempimento dei propri doveri, e deve fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione.

Negli stessi termini pare ragionevole ritenere che il progetto di bilancio debba essere trasmesso all’organo incaricato del controllo contabile, se diverso dal collegio sindacale, il quale predisporrà analoga relazione.

Successivamente il progetto di bilancio, con le copie integrali dell’ultimo bilancio delle società controllate, e un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio delle società collegate, deve essere depositato presso la sede della società. Con il progetto di bilancio devono essere depositate la relazione sulla gestione, la relazione dell’organo di controllo e la relazione dell’organo al quale è demandato il controllo contabile. Il deposito di tutti questi documenti, deve avvenire non oltre 15 gg. prima dell’assemblea chiamata ad approvare il bilancio. I soci possono prendere visione di tali documenti.

Successivamente il progetto di bilancio viene approvato dall’assemblea ordinaria o dal consiglio di sorveglianza.

Infine entro 30 gg. dall’approvazione, una copia del bilancio e delle relazioni, nonché del verbale di approvazione, deve essere

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depositata, a cura degli amministratori, presso il registro delle imprese, o spedita tramite lettera raccomandata. Entro il medesimo termine deve essere depositato l’elenco dei soci riferito alla data di approvazione del bilancio.

Rappresentazione grafica:

LE RISERVE

RISERVA LEGALE

E’ fatto obbligo di accantonare almeno il 5 % dell’utile d’esercizio ad una riserva denominata “Riserva Legale”, questo obbligo ricorre tutti gli esercizi, fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il 20 % del capitale sociale. Se la riserva viene diminuita per qualsiasi ragione, essa deve essere reintegrata, secondo le regole appena viste.

RISERVA DA SOVRAPPREZZO DELLE AZIONI

La società può emettere azioni per un valore superiore al valore nominale. L’eccedenza rispetto al valore nominale viene detta sovrapprezzo. La riserva da sovrapprezzo non può essere distribuita sino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite sopra visto.

DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI

La distribuzione degli utili è deliberata dall’assemblea ordinaria anche quando il bilancio sia approvato dal consiglio di sorveglianza. Viene stabilito che non si possono distribuire dividendi se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato. Inoltre se si verifica una perdita del capitale sociale non si possono distribuire utili fino a che il capitale non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

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31 / 331 / 12

15 / 4 30 / 4 30 / 5

Riunione Organo

Amministrativo (appr. prog.

bil.)

Deposito del prog. presso sede (15 gg.

prima assemblea.)

Assemblea approvazione

(entro 120 gg.)

Deposito Bilancio

Approvato

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INVALIDITÀ DELLE DELIBERAZIONI DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO

Le azioni volte a far dichiarare l’annullamento o la nullità delle deliberazioni di approvazione del bilancio non possono essere proposte dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo.

BILANCIO IN FORMA ABBREVIATA

La società è obbligata a redigere il bilancio in forma ordinaria quando siano superati determinati parametri legati all’attivo dello stato patrimoniale, ai ricavi e al numero dei dipendenti.

Il bilancio in forma abbreviata presenta semplificazioni in ordine allo stato patrimoniale, al conto economico e alla nota integrativa.

MODIFICAZIONI DELLO STATUTO

Le modificazioni dello statuto devono essere deliberate dall’assemblea straordinaria.

Il verbale dell’assemblea straordinaria è sempre redatto dal notaio. Il notaio entro 30 giorni dalla deliberazione, verificato l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, deve richiedere l’iscrizione presso il registro delle imprese. Se il notaio ritiene che non siano adempiute le condizioni stabilite dalla legge deve darne tempestiva comunicazione agli amministratori.

Gli amministratori nei 30 giorni successivi possono fare ricorso al tribunale. Il tribunale se verifica l’adempimento delle condizioni richieste dalla legge ordina l’iscrizione nel registro delle imprese. Il controllo del tribunale viene detto omologazione e, come si è visto, è previsto soltanto in via eventuale.

In occasione di ogni modifica dello statuto deve essere depositato presso il registro delle imprese il testo integrale dello statuto stesso, nella sua versione aggiornata.

DIRITTO DI RECESSO DEI SOCI

I soci hanno diritto di recesso, per tutte o parte delle loro azioni, in occasione delle seguenti deliberazioni:

• modificazione dell’oggetto sociale che comporti un cambiamento significativo dell’attività della società;

• trasformazione della società;

• trasferimento della sede sociale all’estero;

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• revoca dello stato di liquidazione;

• altre cause.

Possono recedere solo i soci che non hanno concorso all’approvazione della deliberazione in oggetto.

Vi sono poi altre cause di recesso che sono ammesse solo se lo statuto non dispone diversamente.

Esse sono in particolare:

• la proroga del termine;

• l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.

Inoltre se la società è costituita a tempo indeterminato, il socio può recedere con un preavviso di almeno 6 mesi.

Lo statuto può prevedere un termine maggiore, ma in ogni caso non superiore ad un anno.

PROCEDIMENTO PER IL RECESSO

Il socio che intende recedere deve comunicarlo alla società con lettera raccomandata che deve pervenire entro 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che legittima il recesso.

Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale.

Il recesso non può essere esercitato o se già esercitato è privo di efficacia se la società ha revocato la delibera che lo legittima.

Il socio che ha esercitato il recesso ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso. Il valore delle azioni viene determinato dagli amministratori sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato del controllo contabile.

La valutazione deve essere fatta tenendo conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni. Lo statuto può prevedere criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione.

La documentazione utilizzata per la valutazione deve essere depositata presso la sede della società e ciascun socio ha diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie spese.

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Gli amministratori devono offrire le azioni del socio recedente in opzione agli altri soci, proporzionalmente al numero di azioni possedute. L’offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro 15 giorni dalla determinazione del valore di liquidazione. Deve essere poi concesso un termine non inferiore a 30 giorni per l’esercizio del diritto di opzione.

Se i soci non acquistano in tutto o in parte le azioni del socio recedente l’organo amministrativo può collocarle presso terzi. Se il tentativo di collocazione non ha esito positivo le azioni del socio recedente devono essere rimborsate mediante acquisto da parte della società utilizzando le riserve disponibili.

Infine in assenza di utili e riserve disponibili è necessario convocare l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale ovvero lo scioglimento della società.

AUMENTO DI CAPITALE A PAGAMENTO

Non è consentito deliberare un aumento di capitale a pagamento fino a quando non siano state interamente liberate le azioni precedentemente emesse.

In occasione dell’aumento i sottoscrittori devono versare alla società almeno il 25% del valore nominale dell’azione. Inoltre se previsto un sovrapprezzo, questo deve essere interamente versato all’atto della sottoscrizione.

Le azioni di nuova emissione devono essere offerte in opzione ai vecchi soci, in proporzione al numero delle azioni già possedute. L’offerta di opzione deve essere depositata presso il registro delle imprese e deve essere concesso un termine non inferiore a 30 giorni per l’esercizio del diritto.

I soci che esercitano il diritto di opzione, se ne fanno contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione sulle azioni rimaste non optate.

Il diritto di opzione spetta anche ai possessori di obbligazioni convertibili in azioni.

Il diritto di opzione è escluso o limitato in taluni casi:

• Ipotesi dell’interesse sociale. In tale caso la deliberazione deve essere approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche in seconda o terza convocazione;

• Nell’ipotesi di conferimento di beni in natura.

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In entrambi i casi visti è necessario che gli amministratori redigano un’apposita relazione, nella quale illustrino le ragioni dell’esclusione o della limitazione del diritto di opzione.

La relazione deve essere poi comunicata al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza o al soggetto preposto al controllo contabile, almeno 30 giorni prima della data dell’assemblea chiamata ad approvata l’aumento del capitale sociale.

Entro 15 giorni il collegio sindacale o l’organo preposto al controllo contabile devono esprimere il parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni. Tale parere deve rimanere depositato presso la sede sociale durante i 15 giorni che precedono l’assemblea.

• Quando le azioni di nuova emissione, limitatamente ad ¼ di esse, sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società che la controllano o da cui è controllata.

DELEGA AGLI AMMINISTRATORI DELL’AUMENTO DEL CAPITALE SOCIALE

Statutariamente può essere attribuita agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale fino ad un ammontare determinato e per un periodo massimo di 5 anni.

La facoltà può essere anche attribuita in occasione di una modificazione dello statuto.

AUMENTO DEL CAPITALE GRATUITO

Il capitale sociale può essere aumentato imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili. L’aumento deve essere deliberato dall’assemblea.

Le azioni di nuova emissione devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle possedute. Anziché emettere nuove azioni l’aumento del capitale può essere anche attuato mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione.

RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE

Il capitale sociale può essere ridotto volontariamente o per perdite:

1) RIDUZIONE VOLONTARIA:

La nuova norma non fa più riferimento all’eventuale esuberanza del capitale sociale rispetto all’oggetto sociale

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La riduzione volontaria può avere luogo sia mediante liberazione dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, sia mediante rimborso del capitale. È competente a deliberare la riduzione l’assemblea straordinaria.

L’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione. Una volta deliberata la riduzione e depositata nel registro delle imprese è necessario attendere 3 mesi affinché la deliberazione possa essere eseguita. In questo intervallo i creditori possono fare opposizione. La riduzione del capitale sociale è potenzialmente pericolosa per i creditori sociali perché riduce la consistenza del patrimonio sociale e può pregiudicare il regolare svolgimento dell’attività.

Se interviene qualche opposizione il tribunale può ciò nonostante disporre che la riduzione abbia luogo ugualmente se ritiene infondato il pericolo di pregiudizio, o se la società ha prestato idonea garanzia.

2) RIDUZIONE PER PERDITE:

Sono previsti due casi in cui le perdite assumono rilevanza:

A) quando, esaurite le riserve, le perdite sono superiori ad 1/3 del capitale sociale, ma non tali da incidere sul minimo legale. Es: capitale sociale 500.000,00 €, perdita 200.000,00 €; oppure capitale sociale 250.000,00 €, riserve 300.000,00 €, perdita 400.000,00 €;

B) quando la perdita è superiore ad 1/3 del capitale sociale e va ad intaccare il minimo legale. Es: capitale sociale 200.000,00 €, perdita 100.000,00 €; oppure capitale sociale 200.000,00 €, riserve 300.000,00 €, perdita 400.000,00 €.

CASO A

Gli amministratori o il consiglio di gestione devono convocare, senza indugio, l’assemblea per gli opportuni provvedimenti. Se non provvedono devono farlo il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza.

Gli amministratori devono predisporre una relazione sulla situazione patrimoniale della società. L’organo di controllo deve rassegnare le proprie osservazioni. La relazione e le osservazioni devono essere depositate presso la sede sociale e

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rimanervi depositate durante gli otto giorni che precedono l’assemblea.

L’assemblea può assumere una delle seguenti decisioni:

1. ridurre il capitale sociale

2. può rinviare la propria decisione all’assemblea chiamata ad approvare il bilancio dell’esercizio successivo, con la speranza che la perdita venga riassorbita dagli utili dell’esercizio. Se la perdita non è diminuita a meno di 1/3 l’assemblea che approva il bilancio dell’esercizio successivo deve ridurre il capitale.

CASO B

Se la perdita incide sul minimo legale gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia il consiglio di sorveglianza, devono convocare senza indugio l’assemblea e questa deve deliberare la riduzione del capitale sociale e il contemporaneo aumento ad un valore superiore al minimo legale, o in alternativa la trasformazione della società. Nel caso in cui nulla venga deliberato si verifica una causa di scioglimento della società e la stessa entra automaticamente in stato di liquidazione.

E’ giurisprudenza ormai consolidata che per l’ipotesi di perdita totale del capitale sociale valgano norme equivalenti: l’assemblea può azzerare il capitale sociale e contestualmente deliberare la sua ricostituzione.

PATRIMONI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARELa società può costituire uno o più patrimoni, ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare. I patrimoni destinati non possono complessivamente superare il 10 % del patrimonio netto della società.

Se non è diversamente disposto dallo statuto, la deliberazione di costituzione deve essere adottata dall’organo amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

La deliberazione deve contenere le seguenti indicazioni:

1) l’affare al quale è destinato il patrimonio (ad es.: per un’impresa di costruzioni un determinato cantiere);

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2) i beni e i rapporti giuridici compresi in tale patrimonio;

3) un piano economico-finanziario;

4) eventuali apporti di terzi;

5) la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all’affare;

6) la nomina di una società di revisione per il controllo contabile dell’affare (se la società non è assoggettata alla revisione contabile);

7) le regole di rendicontazione dello specifico affare.

La deliberazione di costituzione deve essere iscritta nel registro delle imprese. Da tale data i creditori hanno 2 mesi per fare opposizione.

Se è intervenuta qualche opposizione il tribunale può, ciononostante, disporre che la deliberazione sia eseguita previa prestazione da parte della società di idonea garanzia.

Si prevede che per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, la società risponde nei limiti del patrimonio destinato. A tale fine è però necessario che gli atti compiuti in relazione allo specifico affare, debbano menzionare il vincolo di destinazione, in mancanza di tale specificazione la società risponde con il suo patrimonio.

ISCRIZIONE NEI LIBRI CONTABILI E NEL BILANCIO (PATR. DEST. AD UNO SPECIF. AFFARE)E’ necessario che per ciascun patrimonio destinato siano tenuti libri e scritture contabili separate. In particolare occorre tenere un apposito libro giornale e un apposito libro inventari e, qualora siano emessi strumenti finanziari, la società deve tenere un libro in cui indicare informazioni relative agli stessi. Vi sono poi indicazioni specifiche da inserire in bilancio:

1) i beni e i rapporti compresi nei patrimoni destinati devono essere distintamente indicati nello stato patrimoniale;

2) è necessario poi che per ciascun patrimonio destinato sia redatto un separato rendiconto da allegare al bilancio;

3) infine nella nota integrativa devono essere illustrati il valore e la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici inerenti ciascun patrimonio destinato. Devono poi essere indicati in nota integrativa i criteri adottati per l’imputazione dei costi e dei ricavi comuni (es: spese generali o spese amministrative che devono essere

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imputate pro-quota ad ogni singolo affare) ed il corrispondente regime di responsabilità.

ASSEMBLEE SPECIALI (PATR. DEST. AD UNO SPECIF. AFFARE)Nel caso in cui siano emessi strumenti finanziari di partecipazione all’affare o agli affari, sono previste assemblee speciali per ciascuna categoria di strumenti finanziari.

L’assemblea speciale ha le seguenti competenze:

1) Delibera sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune, che ha funzioni di controllo sul regolare andamento dello specifico affare;

2) Delibera sulla costituzione di un fondo spese;

3) Delibera sulle modificazioni dei diritti attribuiti agli strumenti finanziari;

4) Delibera sulle controversie con la società;

5) Delibera sugli altri oggetti di interesse comune.

RENDICONTO FINALE (PATR. DEST. AD UNO SPECIF. AFFARE)Quando l’affare relativo al patrimonio destinato è stato realizzato o è divenuto impossibile, l’organo amministrativo deve redigere il rendiconto finale.

Il rendiconto, unitamente ad una relazione predisposta dall’organo di controllo, deve essere depositata presso il registro delle imprese.

Qualora non siano state soddisfatte integralmente le obbligazioni contratte in relazione ad un patrimonio destinato, i relativi creditori possono chiedere la liquidazione della società inviando una lettera raccomandata alla società, entro 3 mesi dal deposito del rendiconto e della redazione; in tale caso la liquidazione deve avvenire secondo le norme previste in via generale per la liquidazione della società.

FINANZIAMENTO DESTINATO AD UNO SPECIFICO AFFARE (PATR. DEST. AD UNO SPECIF. AFFARE)E’ possibile prevedere che un finanziamento sia destinato ad uno specifico affare da realizzarsi con un patrimonio destinato. E’ possibile inoltre prevedere, nel contratto di finanziamento, che tutti o parte dei

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proventi dell’affare, siano destinati al rimborso totale o parziale del finanziamento.

Il contratto deve contenere una serie di indicazioni relative allo specifico affare, fra cui la descrizione dell’operazione, il piano finanziario, i beni strumentali necessari alla realizzazione dell’operazione.

I proventi dell’affare costituiscono patrimonio separato da quello della società; inoltre i proventi costituiscono patrimonio separato da quello relativo ad altri finanziamenti a condizione che sia depositata una copia del contratto presso il registro delle imprese e a condizione che la società, adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad individuare in ogni momento i proventi dell’affare e a tenerli separati dal restante patrimonio della società.

Se vengono rispettate tali condizioni, delle obbligazioni nei confronti di tale finanziamento risponde esclusivamente il patrimonio separato.

Il finanziamento non può essere rappresentato da titoli destinati alla circolazione.

La nota integrativa deve contenere indicazione della destinazione dei proventi dell’affare e dei vincoli relativi ai beni strumentali destinati alla realizzazione dell’operazione.

LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI (s.a.p.a.)Nella s.a.p.a. vi sono 2 categorie di soci:

1) soci accomandanti;

2) soci accomandatari.

I soci accomandanti rispondono nei limiti della quota sottoscritta, mentre i soci accomandatari hanno invece responsabilità solidale e illimitata per le obbligazioni sociali.

Alla s.a.p.a. si applicano le norme relative alla S.p.A. compatibili con le norme proprie della s.a.p.a.

La denominazione sociale deve contenere il nome di almeno un socio accomandatario e l’indicazione di s.a.p.a. Se viene inserito il nome di un socio accomandante nella denominazione sociale, contrariamente a quanto previsto per la s.a.s., l’accomandante conserverà il beneficio della responsabilità limitata.

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AMMINISTRATORI

I soci accomandatari sono di diritto amministratori della società. Vi è quindi perfetta corrispondenza tra soci accomandatari e amministratori. Per cui non si può essere amministratori senza essere soci accomandatari e non si può essere soci accomandatari senza essere amministratori.

Lo statuto deve indicare le persone dei soci accomandatari i quali assumono di diritto, ossia indipendentemente da una nomina assembleare, la carica di amministratori e la conservano senza limiti di tempo.

La revoca degli amministratori deve essere deliberata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria. Con le stesse maggioranze deve provvedere alla sostituzione degli amministratori che per qualunque causa abbiano cessato dal loro ufficio. Inoltre se vi è una pluralità di amministratori la nomina deve essere approvata dagli amministratori rimasti in carica.

Gli amministratori neo-nominati assumono la qualità di soci accomandatari.

Nel caso in cui cessino dall’ufficio tutti gli amministratori, occorre provvedere alla sostituzione entro 180 giorni, in caso contrario la società si scioglie. Durante questo periodo il collegio sindacale, deve nominare un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione.

MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO

Le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere approvate dall’assemblea straordinaria. Devono inoltre essere approvate da tutti i soci accomandatari.

RESPONSABILITÀ DEGLI ACCOMANDATARI

Gli accomandatari che cessano dal loro ufficio di amministratori, rispondono delle obbligazioni sociali fino all’iscrizione della cessazione nel registro delle imprese.

Le azioni sottoscritte dagli accomandatari non compongono una speciale categoria di azioni: le posizioni di potere e la responsabilità illimitata degli accomandatari non sono inerenti al titolo e non si trasferiscono con il trasferimento del titolo: si collegano esclusivamente alla qualità statutaria di determinate persone, quali soci accomandatari, risultante dallo statuto o da una sua successiva modificazione. L’accomandatario che per rinuncia o per revoca cessa

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dalla carica di amministratore diventa automaticamente socio accomandante.

LA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA (s.r.l.)Nella s.r.l. i soci rispondono nei limiti della quota conferita, sono quindi soci limitatamente responsabili. La società può essere costituita con un unico socio o con una pluralità di soci.

Nel primo caso si ha la cosiddetta s.r.l. unipersonale. Nel caso di s.r.l. unipersonale l’unico socio ha responsabilità limitata.

L’unico socio, tuttavia, risponde illimitatamente in caso di insolvenza della società, in due ipotesi:

1) quando non abbia liberato integralmente i conferimenti all’atto della sottoscrizione;

2) quando non sia stata data pubblicità sul registro delle imprese della circostanza che la società è uni personale.

Le quote di partecipazione nella s.r.l. non possono essere rappresentate da azioni, pertanto la s.r.l. deve trarre il proprio capitale di rischio normalmente da un ristretto gruppo di soci.

ATTO COSTITUTIVO

L’atto costitutivo deve essere redatto in forma di atto pubblico.

Esso deve contenere le seguenti indicazioni:

• dati anagrafici dei soci, persone fisiche;

• estremi identificativi dei soci diversi dalle persone fisiche;

• l’attività che costituisce l’oggetto sociale;

• l’ammontare del capitale sociale sottoscritto e versato;

• altre indicazioni.

Il capitale sociale minimo è pari a 10.000 €.

CONFERIMENTI

Possono essere conferiti tutti gli elementi suscettibili di valutazione economica, cioè denaro, beni in natura, nonché prestazioni d’opera o di servizio.

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Se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente i conferimenti sono in denaro. In tale caso all’atto della costituzione deve essere versato presso una banca almeno il 25% del capitale (o del conferimento). Il versamento dovrà essere del 100% se si tratta di società unipersonale.

Tuttavia il versamento può essere sostituito da una polizza di assicurazione o da una fideiussione bancaria di pari importo. In tale caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione con un corrispondente versamento in denaro.

Nel caso di conferimento di beni in natura, questi devono essere integralmente liberati al momento della sottoscrizione.

Infine se viene conferita la prestazione d’opera o di servizio, è necessario che l’obbligazione sia garantita per l’intero valore da una polizza di assicurazione o da una fideiussione bancaria. In tale caso, se l’atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite con il versamento di un importo corrispondente a titolo di cauzione.

CONFERIMENTI DI BENI IN NATURA

Il conferimento di beni in natura deve essere accompagnato da una relazione giurata di un esperto.

L’esperto viene scelto dal socio conferente, scegliendolo fra gli iscritti al registro dei revisori o fra le società di revisione.

La relazione deve contenere le seguenti indicazioni:

• descrizione dei beni conferiti;

• illustrazione dei criteri di valutazione adottati;

• attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e deve essere allegata all’atto costitutivo.

ACQUISTI DI BENI O CREDITI DAI SOCI FONDATORI, DAI SOCI E DAGLI AMMINISTRATORI

Nel caso di acquisti da tali soggetti, nei 2 anni successivi all’iscrizione della società nel registro delle imprese, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, l’acquisto deve essere autorizzato con decisione dei soci e deve essere accompagnato da una relazione giurata di un esperto.

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MANCATA ESECUZIONE DEI CONFERIMENTI

Se il socio non esegue il conferimento nel termine stabilito dagli amministratori, questi diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di 30 giorni.

Se in tale termine il socio non esegue il conferimento, gli amministratori possono seguire due strade:

1. Promuovere un’azione giudiziale per l’esecuzione del conferimento;

2. Vendere agli altri soci la quota del socio moroso in proporzione alle rispettive partecipazioni. La vendita viene effettuata per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte, se l’atto costitutivo lo consente, la quota viene venduta all’incanto. Se non vi sono compratori gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse e riducono il capitale in misura corrispondente.

Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci.

Tali disposizioni si applicano anche quando scadano o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria prestate per i conferimenti. Il socio ha comunque la possibilità di sostituire polizza o fideiussione con un corrispondente versamento in denaro.

FINANZIAMENTI DEI SOCI

È prevista una disciplina particolare per i finanziamenti dei soci a favore della società, che sono stati concessi in un momento di eccessivo squilibrio finanziario.

Il rimborso di tali finanziamenti è postergato rispetto al soddisfacimento degli altri creditori. Inoltre se il rimborso avviene nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.

QUOTE DI PARTECIPAZIONI

I diritti del socio sono proporzionali alla partecipazione, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.

Le partecipazioni, sempre salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, sono proporzionali ai conferimenti.

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TRASFERIMENTO DELLE PARTECIPAZIONI

Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le partecipazioni sono liberamente trasmissibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.

Se l’atto costitutivo prevede l’intrasferibilità delle partecipazioni o contempla una clausola di mero gradimento o ponga condizioni o limiti che impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono recedere dalla società.

La clausola di mero gradimento è quella che subordina il trasferimento della partecipazione al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi, senza prevederne condizioni e limiti.

L’atto costitutivo può stabilire un termine non superiore a due anni per l’esercizio del recesso.

Il trasferimento della partecipazione deve avvenire con scrittura privata autenticata e deve essere depositato, entro 30 giorni, presso il registro delle imprese, a cura del notaio.

Successivamente il trasferimento deve essere iscritto nel libro dei soci, su richiesta dell’alienante o dell’acquirente. Soltanto in questo momento il trasferimento ha effetto di fronte alla società.

L’iscrizione nel registro delle imprese ha efficacia dichiarativa, nel senso che è opponibile ai terzi, quindi se la quota fosse alienata a più persone, avrebbe priorità quella che ha effettuato per prima l’iscrizione nel registro delle imprese in buona fede.

Nel caso in cui la società sia unipersonale, dalla costituzione o successivamente, è nel caso in cui si ricostituisca la pluralità dei soci, gli amministratori devono depositare presso il registro delle imprese un’apposita dichiarazione. Questo deposito è anche rilevante per la limitazione della responsabilità.

Nel caso di trasferimento della partecipazione per i versamenti ancora dovuti è responsabile l’acquirente; è, inoltre, responsabile in solido l’alienante per il periodo di 3 anni dall’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci.

I versamenti possono essere richiesti all’alienante solo se la richiesta al socio moroso è risultata infruttuosa.

La partecipazione oltre che essere trasferita può formare oggetto di espropriazione.

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RECESSO DEL SOCIO

Il recesso del socio è consentito ai soci assenti, dissenzienti o astenuti nei seguenti casi:

• Cambiamento dell’oggetto sociale;

• Trasformazione della società;

• Fusione e scissione;

• Trasferimento della sede all’estero;

• Altri casi.

L’atto costitutivo, inoltre, può prevedere altre ipotesi di recesso.

Infine il recesso è ammesso in ogni momento nel caso di società contratta a tempo indeterminato e può essere esercitato con un preavviso di almeno 6 mesi; l’atto costitutivo può prevedere un preavviso di durata maggiore, non superiore ad un anno.

I soci che recedono hanno diritto al rimborso della propria partecipazione, in proporzione al patrimonio sociale. Il valore deve essere determinato sulla base del valore di mercato.

In caso di disaccordo la valutazione è compiuta da un esperto nominato dal tribunale.

Il rimborso può anche avvenire mediante acquisto della partecipazione da parte degli altri soci o di un terzo. Se ciò non avviene il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, riducendo il capitale sociale.

Se le vie precedenti non sono percorribili la società viene posta in liquidazione. Il rimborso deve avvenire entro 6 mesi dalla comunicazione di recesso alla società.

ESCLUSIONE DEL SOCIO

L’atto costitutivo può prevedere ipotesi di esclusione del socio per giusta causa.

Per il rimborso della quota di partecipazione si applicano le regole viste per il recesso, ad esclusione della riduzione del capitale sociale.

OPERAZIONI SULLE PROPRIE QUOTE

Non è consentito alla s.r.l. acquistare o accettare in garanzia proprie partecipazioni, né accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto o la loro sottoscrizione.

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AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETÀ

L’amministrazione, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, è affidata ad uno o più soci.

Gli amministratori sono nominati nell’atto costitutivo e successivamente con decisione dei soci. L’organo amministrativo può essere formato nei seguenti modi:

1) amministratore unico;

2) più persone costituenti il consiglio di amministrazione, che opera collegialmente;

3) gli amministratori possono operare disgiuntamente o congiuntamente.

Nel secondo caso, cioè quando vi è un consiglio di amministrazione, l’atto costitutivo può prevedere che le decisioni siano adottate non collegialmente, ma mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto.

Gli amministratori hanno anche la rappresentanza generale della società.

CONFLITTO DI INTERESSI

Nel caso in cui le decisioni siano adottate con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, e comportino per la società un danno patrimoniale, le decisioni stesse possono essere impugnate entro 3 mesi dagli amministratori e, se esistenti, dal collegio sindacale o dal revisore.

In ogni caso sono fatti salvi i diritti acquisiti in buona fede dai terzi, in esecuzione della deliberazione impugnata.

RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI

Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo.

La responsabilità non si estende agli amministratori che dimostrino di essere esenti da colpa o che comunque abbiano fatto constare il proprio dissenso.

L’azione di responsabilità può essere promossa da ciascun socio.

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Il socio può anche chiedere, in caso di grave irregolarità, un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori.

Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’azione di responsabilità può formare oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, a condizione che vi consenta una maggioranza dei soci, almeno pari ai 2/3 del capitale sociale e pur che non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale.

La rinuncia o la transazione non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni, spettante al singolo socio o al terzo, che siano stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi dell’amministratore.

Sono solidalmente responsabili, con gli amministratori, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

CONTROLLO DEI SOCI

Ai soci che non partecipano all’amministrazione della società fanno capo i seguenti diritti:

1) diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali;

2) diritto di consultare i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione anche tramite professionisti di fiducia.

CONTROLLO LEGALE DEI CONTI

La nomina del collegio sindacale è obbligatoria nei seguenti casi:

1) quando il capitale sociale è almeno pari a quello minimo stabilito per la S.p.A.;

2) quando vengono superati i limiti previsti per il bilancio in forma abbreviata.

In ogni caso la nomina del collegio sindacale o di un revisore può essere imposta dall’atto costitutivo.

LIBRI SOCIALI OBBLIGATORI

La società deve tenere i libri e le scritture contabili previsti per l’imprenditore commerciale, essa deve inoltre tenere i seguenti libri:

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1) libro dei soci;

2) libro delle decisioni dei soci;

3) libro delle decisioni degli amministratori;

4) libro delle decisioni del collegio sindacale o del revisore.

I primi 3 libri devono essere tenuti dagli amministratori e il 4° a cura dei sindaci o del revisore.

BILANCIO E DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI

Il bilancio viene approvato con decisione dei soci, nella stessa decisione si decide anche sulla distribuzione degli utili ai soci.

Possono essere distribuiti esclusivamente gli utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato; inoltre, se si verifica una perdita del capitale sociale, non si possono distribuire utili fino a quando il capitale non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

DECISIONI DEI SOCI

I soci decidono sulle seguenti materie:

1) approvazione del bilancio e distribuzione degli utili;

2) nomina degli amministratori;

3) nomina del collegio sindacale o del revisore;

4) modificazioni dell’atto costitutivo;

5) decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

Inoltre i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori, o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, sottopongono alla loro approvazione.

L’atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto.

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Le decisioni dei soci devono essere adottate mediante deliberazione assembleare quando l’atto costitutivo non preveda nulla a riguardo.

In ogni caso anche se l’atto costitutivo prevede che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto, è necessaria una apposita deliberazione assembleare nei seguenti casi:

1) quando oggetto della deliberazione siano le questioni indicate nei precedenti punti 4 e 5;

2) quando lo richiedono uno o più amministratori o tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale.

Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale.

ASSEMBLEA DEI SOCI

L’atto costitutivo deve determinare le modalità di convocazione dell’assemblea, tali modalità devono assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare; peraltro se nulla è previsto nell’atto costitutivo, la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno 8 giorni prima dell’adunanza.

Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo i soci possono farsi rappresentare in assemblea.

Se nulla è previsto nell’atto costitutivo l’assemblea deve tenersi presso la sede sociale.

Il quorum costitutivo è fissato nella metà del capitale sociale e il quorum deliberativo è pari alla maggioranza dei presenti. Peraltro il quorum deliberativo è pari ad almeno la metà del capitale sociale per le deliberazioni di cui ai numeri 4 e 5 sopra indicati.

Il presidente dell’assemblea è nominato nell’atto costitutivo in mancanza di previsione è eletto con il voto della maggioranza dei presenti.

Il presidente dell’assemblea svolge le seguenti funzioni:

1) verifica la regolarità della costituzione;

2) accerta l’identità e la legittimazione dei presenti;

3) regola lo svolgimento dell’assemblea;

4) accerta i risultati delle votazioni.

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Anche in assenza di convocazione la deliberazione si intende adottata quando abbia partecipato all’assemblea l’intero capitale sociale, e tutti gli amministratori e sindaci siano presenti o informati e nessuno si opponga alla trattazione dell’argomento posto all’ordine del giorno.

INVALIDITÀ DELLE DECISIONI DEI SOCI

Le decisioni dei soci, prese in conformità della legge e all’atto costitutivo, vincolano tutti i soci, anche se assenti o dissenzienti.

Sono annullabili le decisioni che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo.

Le decisioni annullabili possono essere impugnate dai soci che non vi hanno consentito, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale, entro 3 mesi dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Nel caso di decisioni annullabili che siano state impugnate, il tribunale può assegnare un termine non superiore a 6 mesi per l’adozione di una nuova decisione id onea ad eliminare la causa di invalidità.

Sono anche annullabili le decisioni in conflitto di interessi, a condizione che siano potenzialmente dannose per la società, e siano assunte con il voto determinante del socio in conflitto di interessi.

Sono invece nulle le seguenti decisioni:

1) quelle che hanno oggetto illecito od impossibile;

2) quelle prese in assenza assoluta di informazione.

Le decisioni nulle possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse entro 3 anni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.

Possono invece essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite.

MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO

Le modificazioni dell’atto costitutivo sono deliberate dall’assemblea.

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AUMENTI DI CAPITALE (MOD. ATTO COST.)L’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, determinandone limiti e modalità.

La decisione degli amministratori deve risultare da verbale redatto da un notaio e deve esser iscritta nel registro delle imprese.

La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fino a che i conferimenti precedenti non siano stati integralmente eseguiti.

In caso di aumento del capitale sociale a pagamento i soci hanno diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni possedute.

L’atto costitutivo tuttavia può prevedere che l’aumento del capitale possa essere attuato mediante offerta delle quote di nuova emissione ai terzi. In tale caso i soci che non hanno consentito alla decisione, possono recedere dalla società.

La decisione di aumento del capitale deve prevedere modalità e termini in base ai quali può essere esercitato il diritto di sottoscrizione, tali termini non possono essere inferiori a 30 gg.

La decisione di aumento può anche consentire che la parte non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri o da terzi.

Se il capitale non è integralmente sottoscritto la decisione di aumento cade nel nulla, salvo che la deliberazione di aumento abbia espressamente consentito sottoscrizioni parziali.

All’atto della sottoscrizione i soci devono versare alla società almeno il 25% della quota sottoscritta e, se previsto, l’intero sovrapprezzo; tuttavia se vi è un unico socio questi deve versare integralmente il capitale sottoscritto.

Oltre ad aumenti di capitale a pagamento la società può procedere ad aumenti a titolo gratuito mediante l’imputazione a capitale sociale delle riserve e degli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.

Riduzione del capitale volontariaNel corso della vita della società i soci possono decidere di ridurre il capitale sociale.

La riduzione può avvenire mediante rimborso ai soci delle quote pagate, o mediante liberazione di essi dall’obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti. La decisione deve essere iscritta nel

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registro delle imprese e può essere eseguita soltanto decorsi 3 mesi dal giorno dell’iscrizione, a condizione che entro questo termine nessun creditore sociale abbia fatto opposizione.

Peraltro, anche se vi è stata opposizione, il tribunale può disporre che la riduzione abbia ugualmente luogo se ritiene infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori, oppure se la società ha prestato idonea garanzia.

Riduzione del capitale per perditeLa disciplina della riduzione del capitale è diversa a seconda che il capitale sia diminuito di oltre 1/3 per perdite, ma non sia stato intaccato il minimo legale, ovvero che la perdita di oltre 1/3 del capitale abbia ridotto questo al di sotto del minimo legale.

Caso A: perdite superiori ad 1/3, che non intaccano il minimo legaleSe, essendo venute meno tutte le riserve, si verificano perdite superiori ad 1/3 del capitale sociale, gli amministratori devono convocare senza indugio l’assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti.

All’assemblea deve essere sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del revisore.

Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, copia della relazione e delle osservazioni, deve essere depositata presso la sede della società almeno 8 giorni prima dell’assemblea, affinché i soci possano prenderne visione.

Nel corso dell’assemblea gli amministratori devono inoltre dare conto dei fatti di rilievo successivi alla relazione.

L’assemblea dei soci può assumere due decisioni alternative:

• deliberare la riduzione del capitale sociale in misura pari alle perdite;

• attendere l’assemblea chiamata ad approvare il bilancio dell’esercizio successivo. In tale occasione, se le perdite non sono diminuite a meno di 1/3, la stessa assemblea deve deliberare la riduzione del capitale in proporzione alle perdite accertate.

Caso B: riduzione del capitale al di sotto del minimo legale.

Se si verificano perdite che, una volta utilizzate tutte le riserve, risultino superiori ad 1/3 del capitale sociale e riducono lo stesso al disotto del minimo legale, gli amministratori devono convocare

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senza indugio l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale in misura corrispondente alle perdite e per deliberare il contemporaneo aumento, del capitale stesso, ad una cifra non inferiore al minimo legale.

Nel caso in cui non venga deliberata la riduzione del capitale ed il suo contemporaneo aumento, si può procedere alla trasformazione della società (ad esempio in società di persone). Qualora nulla venga deliberato la società si scioglie.

Titoli di debitoLa s.r.l., a condizione che l’atto costitutivo lo consenta, può emettere titoli di debito.

L’atto costitutivo, in tale caso, deve prevedere quanto segue:

• attribuire la relativa competenza ai soci o agli amministratori;

• determinare gli eventuali limiti, modalità e maggioranze necessarie per la decisione.

I titoli di debito possono essere sottoscritti solo da investitori qualificati (es.: SIM, società di intermediazione mobiliare).

I titoli di debito possono successivamente circolare, ma chi li ha sottoscritti, cioè l’investitore qualificato, risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società medesima.

La decisione di emissione dei titoli deve prevedere le condizioni del prestito e le modalità del rimborso. Essa deve inoltre essere iscritta presso il registro delle imprese a cura degli amministratori.

Infine la decisione può prevedere che la società possa modificare tali condizioni e modalità con il consenso della maggioranza dei possessori dei titoli.

SCIOGLIMENTO E LIQUIDAZIONE DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI

Cause di scioglimentoLe società di capitali si sciolgono al verificarsi delle seguenti circostanze:

• decorso del termine, se previsto;

• conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, salvo che l’assemblea,

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appositamente convocata non deliberi le opportune modifiche statutarie;

• impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell’assemblea;

• riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, se non sono state assunte le decisioni sopra viste;

• deliberazione dell’assemblea;

• altre cause previste dall’atto costitutivo o dallo statuto.

Gli obblighi degli amministratoriGli amministratori devono , senza indugio, accertare il verificarsi di una causa di scioglimento, e in caso di ritardo o omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi.

Poteri degli amministratoriQuando si verifica una causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

In caso di violazione di tale norma, gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni cagionati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi.

Nomina e revoca dei liquidatoriSalvo che l’atto costitutivo contenga specifiche previsioni, gli amministratori, quando accertano una causa di scioglimento, devono convocare l’assemblea, affinché deliberi, con le maggioranze richieste per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto, sui seguenti punti:

• numero dei liquidatori;

• nomina dei liquidatori;

• criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori; gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa.

L’assemblea in ogni caso può sempre modificare tali deliberazioni.

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I liquidatori possono essere revocati dall’assemblea o quando sussiste una giusta causa dal tribunale.

La nomina dei liquidatori e la determinazione dei loro poteri devono essere iscritte, a loro cura, nel registro delle imprese.

Una volta avvenuta l’iscrizione, gli amministratori cessano dalla carica e consegnano ai liquidatori i libri sociali, una situazione contabile alla data di effetto dello scioglimento ed un rendiconto sulla loro gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato.

Di tale consegna deve essere redatto apposito verbale.

Revoca dello stato di liquidazioneLa società può in ogni momento revocare la liquidazione, previa eliminazione della causa di scioglimento, tramite deliberazione assembleare presa con le maggioranze richieste per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto. La revoca ha effetto dopo due mesi dall’iscrizione della deliberazione presso il registro delle imprese; entro tale termine i creditori sociali possono presentare opposizione.

Poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori

I liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione.

I liquidatori devono adempiere ai loro doveri con la diligenza professionale e rispondono per i danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori.

Bilanci nella fase di liquidazioneI liquidatori devono redigere il progetto di bilancio d’esercizio e presentarlo alle dovute scadenze all’approvazione dell’assemblea. Il progetto di bilancio d’esercizio deve essere redatto compatibilmente con la natura, le finalità e lo stato di liquidazione. In particolare nel primo bilancio successivo alla loro nomina, i liquidatori devono indicare le variazioni nei criteri di valutazione adottati rispetto all’ultimo bilancio approvato, le conseguenze e le ragioni di tali variazioni. Nella relazione sulla gestione i liquidatori devono illustrare l’andamento, le prospettive della liquidazione, i principi e i criteri adottati per realizzarla.

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Poteri e doveri particolari dei liquidatoriI liquidatori devono procedere alla liquidazione del patrimonio sociale, cioè alla sua trasformazione in denaro liquido.

Con i fondi ottenuti essi devono poi provvedere al pagamento dei debiti sociali. Se i fondi risultano insufficienti i liquidatori possono chiedere, proporzionalmente ai soci, i versamenti ancora dovuti.

Prima che siano stati pagati tutti i debiti i liquidatori non possono assegnare fondi ai soci a titolo di acconto sulla liquidazione, a meno che dai bilanci risulti che vi siano somme disponibili, sufficienti a pagare tutti i debiti. In caso di violazione di tale prescrizione, i liquidatori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni arrecati ai creditori sociali.

Bilancio finale di liquidazioneUna volta terminata la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio finale, indicando la parte spettante a ciascun socio. Il bilancio deve essere sottoscritto dai liquidatori e depositato presso il registro delle imprese con una relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione contabile.

I soci possono proporre reclamo, davanti al tribunale, entro 3 mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese. Se non vengono proposti reclami, il bilancio finale di liquidazione si intende approvato e i liquidatori sono liberati di fronte ai soci, salvo gli obblighi relativi alla distribuzione dell’attivo residuo.

Cancellazione della societàUna volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, nonché nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.

I libri della società devono essere depositati e conservati per 10 anni presso il registro delle imprese.

TRASFORMAZIONE

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1) Distinzione tra Trasformazioni Omogenee ed Eterogenee

La trasformazione omogenea è quella che avviene tra società.

La trasformazione eterogenea invece è quella che avviene tra società ed Enti non societari.

La trasformazione si attua con un intervento sulla forma, passando da un tipo di società ad un altro tipo, oppure da e verso enti non societari.

2) Continuità dei rapporti giuridici

In caso di trasformazione, poiché vi è soltanto il mutamento della forma attraverso la quale si esercita un’attività d’impresa, l’ente trasformato conserva i rapporti di natura sostanziale e processuale che facevano capo all’ente esistente prima della trasformazione.

3) Limiti della trasformazione

La trasformazione può anche essere deliberata in pendenza di una procedura concorsuale, purché vi sia compatibilità con la finalità e lo stato della stessa.

4) Contenuto, pubblicità ed efficacia delle trasformazioni

La trasformazione verso società di capitale deve avvenire in forma di atto pubblico. L’atto pubblico deve contenere le indicazioni previste dalla legge per l’atto costitutivo.

L’atto di trasformazione deve essere reso pubblico sulla base della disciplina prevista per il tipo di società od ente adottato. La trasformazione ha efficacia dal momento dell’iscrizione presso il Registro delle Imprese (dell’atto di trasformazione). L’iscrizione ha efficacia costitutiva.

5) Invalidità della trasformazione

Una volta iscritto presso il Registro delle Imprese l’atto di trasformazione, non è più possibile pronunciare l’invalidità dell’atto stesso.

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L’unico rimedio esperibile è rappresentato da un’azione di risarcimento dei danni, che può essere promossa dai partecipanti all’ente trasformato e dai terzi danneggiati dalla trasformazione.

6) Trasformazione di società di persone in società di capitali

Tale tipo di trasformazione presuppone il consenso della maggioranza dei soci determinata sulla base della quota di partecipazione agli utili. Ai soci assenti o dissenzienti spetta comunque il diritto di recesso.

Per questo tipo di trasformazione è prevista la predisposizione di una relazione di stima redatta da un esperto che deve avere riguardo ai valori attuali (o correnti) degli elementi dell’attivo e del passivo, facenti capo alla società di persone trasformata.

7) Assegnazione di azioni o quote

Ciascun socio della società di persone ha diritto ad un numero di azioni o di quote proporzionale alla sua partecipazione.

Anche il socio d’opera ha diritto ad una partecipazione sulla base di quanto attribuito nell’atto costitutivo della società di persone trasformanda.

Ovvero in mancanza di indicazioni, sulla base dell’accordo tra i soci, ovvero ancora in difetto di accordo sulla base di quanto determinato dal giudice.

8) Responsabilità dei soci

I soci a responsabilità illimitata della società di persone trasformanda conserva tale regime di responsabilità, anche dopo la trasformazione, per le obbligazioni sorte prima dell’iscrizione dell’atto di trasformazione nel Registro delle Imprese.

I creditori sociali tuttavia, dando il loro consenso alla trasformazione, possono liberare dalla responsabilità tali soci.

Inoltre si presume che il consenso alla trasformazione sia implicitamente dato se viene trasmessa con raccomandata a tali creditori la deliberazione di trasformazione, e i creditori non hanno espressamente negato il loro consenso, entro sessanta giorni dalla ricezione della raccomandata.

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A B

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E’ possibile peraltro che la deliberazione di trasformazione venga trasmessa non con raccomandata ma con altri mezzi che garantiscono la prova dell’avvenuta ricezione (Esempio: il fax).

9) Trasformazione da società di capitale a società di persone

Tale tipo di trasformazione deve essere adottata con la maggioranza richiesta per le modifiche dello Statuto e peraltro richiesto il consenso dei soci che con la trasformazione assumano responsabilità illimitata.

Gli amministratori devono predisporre un’apposita relazione che illustri le motivazioni e gli effetti della trasformazione. Tale relazione deve essere depositata presso la sede della società almeno trenta giorni prima dell’assemblea chiamata a deliberare la trasformazione.

E i soci hanno diritto di prenderne visione e di ottenerne gratuitamente copia.

Ciascun socio ha diritto ad una quota di partecipazione nella società trasformata in proporzione al valore delle sue azioni o quote.

I soci che successivamente alla trasformazione assumono responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sorte anteriormente alla trasformazione.

10) Tipi di trasformazioni omogenee

La trasformazione da società di persone a società di capitali è anche detta Trasformazione Evolutiva o Progressiva.

La trasformazione da società di capitali a società di persone è anche detta Trasformazione Regressiva.

FUSIONE

1) Forme di fusione

Possiamo avere due forme di fusione: la fusione propriamente detta e la fusione per incorporazione.

Nella fusione propriamente detta due o più società si fondono e danno vita ad una società di nuova costituzione.

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C

A B

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Nella fusione per incorporazioni una o più società vengono incorporate.

La fusione è consentita anche a società che si trovino in liquidazione, a condizione che le società non abbiano iniziato al distribuzione dell’attivo.

2) Procedimento di fusione

La fusione si snoda in tre fasi fondamentali:

1. Predisposizione progetto di fusione.

2. Deliberazione di fusione o decisione di fusione.

3. Stipulazione dell’atto di fusione.

Il progetto di fusione è redatto dall’organo amministrativo delle società che partecipano alla fusione. Essa deve contenere una serie di indicazioni, fra le quali il rapporto di cambio, cioè il rapporto tra le azioni o quote attribuite ai soci nelle società che partecipano alla fusione e le azioni o quote che verranno attribuite ai soci nella società risultante dalla fusione.

Il progetto di fusione deve essere iscritto presso il Registro delle Imprese del luogo in cui hanno sede le società partecipanti alla fusione.

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Tra l’iscrizione del progetto di Fusione e la deliberazione o decisione di fusione devono intercorrere almeno 30 giorni, a meno che i soci rinuncino al termine con consenso unanime.

3) Situazione Patrimoniale

Gli organi amministrativi delle società che partecipano alla fusione devono redigere una situazione patrimoniale riferita ad una data non anteriore di oltre 120 giorni al giorno in cui il progetto di fusione viene depositato nella sede della società. La situazione patrimoniale deve essere redatta nel rispetto delle norme sul bilancio d’esercizio. Essa può essere sostituita dal bilancio dell’ultimo esercizio a condizione che questo sia stato chiuso non oltre 6 mesi prima del giorno del deposito di cui si è detto.

4) Relazione dell’organo amministrativo

L’organo amministrativo delle società che partecipano alla fusione deve predisporre una relazione che illustri e giustifichi sotto il profilo economico e giuridico il progetto di fusione ed il rapporto di cambio. La relazione inoltre deve contenere l’indicazione dei criteri di determinazione dei rapporti di cambio. Infine nella relazione devono essere segnalate le eventuali difficoltà di valutazione.

5) Valutazione degli esperti

E’ previsto che uno o più esperti per ciascuna società partecipante alla fusione debbano redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio.

L’esperto o gli esperti sono designati nel caso di S.p.A. dal presidente del tribunale, e nel caso di S.r.L. sono scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili.

E’ possibile la designazione di un esperto comune; nel caso di fusione tra società di persone e società di capitali l’esperto deve altresì redigere una relazione di stima del patrimonio della società.

6) Il deposito dei Documenti

I seguenti documenti devono essere depositati presso la sede delle società che partecipano alla fusione almeno 30 giorni prima della data della deliberazione o della decisione di fusione.

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1. Progetto di fusione e relazione dell’organo amministrativo e degli esperti.

2. Bilancio degli ultimi 3 esercizi delle società partecipanti alla fusione.

3. Situazione patrimoniale delle società partecipanti alla fusione.

I soci hanno diritto di prenderne visione e di estrarne copia.

I soci inoltre, con consenso unanime, possono rinunciare al termine di deposito.

7) Deliberazione o decisione di fusione

Nelle società di persone la decisione di fusione avviene con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo le quote di partecipazione agli utili.

Nelle società di capitale la deliberazione avviene secondo le norme previste per le modificazione dell’atto costitutivo.

La deliberazione o decisione di fusione consiste nell’approvazione del relativo progetto.

La deliberazione di fusione deve essere iscritta nel Registro delle Imprese; In allegato devono essere depositati i documenti in precedenza elencati.

Analogamente accade per la decisione di fusione.

8) Opposizione dei creditori

L’atto di fusione può essere stipulato soltanto dopo che siano decorsi 60 giorni dall’iscrizione nel Registro delle Imprese della deliberazione o decisione di fusione.

In tale intervallo di tempo i creditori possono fare opposizione.

9) Atto di fusione

L’atto di fusione deve essere stipulato in forma di atto pubblico e deve essere iscritto nel Registro delle Imprese del luogo in cui hanno sede le società che partecipano alla fusione.

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10) Effetti delle fusione

I rapporti di natura sostanziale e processuale che facevano capo alle società partecipanti alla fusione si trasferiscono alla società risultante dalla fusione.

La fusione ha effetto dalla data dell’ultima iscrizione presso il Registro delle Imprese. E’ tuttavia possibile retrodatare la fusione relativamente agli aspetti contabili e alle partecipazioni agli utili. E’ inoltre possibile postdatare la fusione nel caso di fusione per incorporazione.

10) Invalidità della Fusione

L’invalidità non può più essere pronunciata una volta che sia avvenuta l’iscrizione dell’atto di fusione presso il Registro delle Imprese. I soci e i terzi conservano tuttavia il potere di promuovere un’azione di risarcimento dei danni.

11) Incorporazione di Società interamente possedute

Nel caso di fusione per incorporazione di società interamente possedute non si deve indicare nel progetto di fusione il rapporto di cambio e non devono essere predisposte le relazioni dell’organo amministrativo e degli esperti.

SCISSIONE

1) Forme di scissione

Esistono due tipi di scissione, la scissione TOTALE e la scissione PARZIALE.

Nella scissione totale una società si scinde e trasferisce l’intero suo patrimonio a due o più società. Nella scissione parziale una società si scinde e trasferisce parte del proprio patrimonio ad una o più società.

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2) Procedimento di scissione

Il procedimento di scissione, al pari di quello di fusione, si snoda in tre fasi:

1. Predisposizione del progetto di scissione

2. Deliberazione o decisione di scissione

3. Stipulazione dell’atto di scissione

3) Norme applicabili

Per la scissione si rinvia alle norme sulla fusione.

TITOLI DI CREDITO

La nozione di titoli di credito comprende una serie variegata di documenti, quali ad esempio la cambiale, l’assegno, le azioni e le obbligazioni. La ricchezza mobiliare può circolare direttamente, ad esempio la trasmissione del denaro. Ma può anche circolare in modo indiretto mediante la circolazione di documenti.

I titoli di credito per l’appunto che la rappresentino hanno dunque la funzione di rendere più semplice, più rapida e più sicura la circolazione della ricchezza mobiliare.

Una cambiale o un assegno sono nella loro materialità pezzi di carta e dunque beni mobili.

Il diritto menzionato sul pezzo di carta è incorporato nel documento quale bene mobile e il documento funziona come veicolo del diritto in esso incorporato. Fra le molteplici figure di titoli di credito assumono particolare rilevanza quelle nelle quali il documento incorpora un diritto di credito, cioè il diritto al pagamento di una somma di denaro. Così avviene per la cambiale, l’assegno, le obbligazioni di società e i titoli del debito pubblico.

Esistono anche titoli come le azioni di società che incorporano una situazione giuridica più complessa, cioè la qualità di socio.

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L’essenza dei titoli di credito sta nel fatto che il diritto menzionato nel titolo circola secondo le regole di circolazione del titolo di credito e non secondo le regole di circolazione del diritto incorporato. Così ad esempio per l’assegno, vi sono regole di circolazione particolari, che non coincidono con le regole di circolazione del diritto di credito incorporato nell’assegno.

Infatti il credito, se non fosse incorporato nel titolo, circolerebbe secondo le regole di cessione dei crediti, studiate nel diritto privato (cioè con la notifica del debitore ceduto)

Vi sono caratteristiche particolari, soddisfatte dai titoli di credito, queste caratteristiche si identificano in tre principi particolari:

1) principi dell’autonomia;

2) principi della astrattezza;

3) principi della letteralità.

PRINCIPI DELL’AUTONOMIA

Il diritto menzionato nel titolo di credito sorge in capo a ciascun possessore come diritto autonomo rispetto a quello dei precedenti possessori.

PRINCIPI DELLA ASTRATTEZZA

Nel nostro ordinamento giuridico vige la regola generale per cui nessun diritto può validamente passare da un soggetto all’altro se manca la causa.

Per alcuni tipi di titoli di credito, ed in particolare per la cambiale e l’assegno, vi è una eccezione a tale regola, nel senso che, nella circolazione del titolo di credito vi è un fenomeno di astrazione della causa che ne ha dato origine all’emissione. Ad esempio per l’assegno, che può essere emesso per il pagamento di una fornitura, si astrae dalla causa che ha dato origine alla sua emissione, cioè dalla fornitura.

Vi sono tuttavia titoli di credito causali, i quali fanno menzione del rapporto causale che ha dato luogo all’emissione del titolo.

Quindi i titoli di credito astratti sono quelli in cui non viene fatta alcuna menzione della causa che ha dato luogo alla loro emissione, tali sono la cambiale e l’assegno.

Sono invece titoli causali quelli che fanno menzione del rapporto causale che ha dato luogo all’emissione del titolo, ad esempio le azioni della società.

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PRINCIPIO DI LETTERALITÀ

In base a questo principio, che è strettamente connesso con l’astrattezza, il possessore del titolo può far valere il diritto in esso incorporato soltanto secondo il suo tenore letterale.

Il debitore del titolo di credito può opporre al possessore solo le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo.

In sintesi per il possessore e per il debitore assume rilevanza esclusivamente il tenore letterale del titolo di credito. Ad esempio per l’assegno assume rilevanza soltanto il diritto al pagamento della somma in esso menzionata, il creditore non può pretendere nulla di più di quanto indicato sull’assegno e il debitore non può eccepire (ad esempio non può eccepire che la fornitura che ha dato origine all’emissione dell’assegno, non è in realtà avvenuta).

LA TITOLARITÀ E LA LEGITTIMAZIONE

La titolarità di un titolo di credito si consegue in base al possesso qualificato del titolo di credito, cioè nel caso in cui venga rispettato il regime di circolazione del titolo di credito stesso.

Così ad esempio la titolarità di un assegno si consegue in base alla regolare girata dell’assegno stesso.

La legittimazione, invece, è il diritto alla prestazione in esso menzionata mediante la presentazione del titolo, pur che siano rispettate le regole proprie della legittimazione del tipo di titolo di credito in oggetto. Ad esempio la legittimazione all’incasso di un assegno si ha quando sia presentato un assegno per l’incasso e vi sia continuità nelle girate.

TIPI DI TITOLI DI CREDITOVi sono tre tipi di titolI di credito:

1. titoli al portatore;

2. titoli all’ordine;

3. titoli nominativi.

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TITOLI AL PORTATORE

la titolarità si ottiene con la consegna pura e semplice. La legittimazione si ha con la semplice presentazione del titolo di credito al debitore. Sono titoli di credito al portatore i titoli emessi in serie, ad esempio le obbligazioni di società.

TITOLI ALL’ORDINE

La titolarità si consegue attraverso il possesso del titolo di credito qualificato. È necessaria, cioè, per la circolazione, una tradizione documentata sul titolo, cioè la girata. La legittimazione si ha in presenza di una serie non interrotta di girate.

Sono titoli all’ordine la cambiale e l’assegno.

TITOLI NOMINATIVI

La titolarità e la legittimazione si possono conseguire in tre modi:

• mediante annotazione da parte dell’emittente del nome dell’acquirente del titolo, sul titolo stesso e nel registro dell’emittente;

• mediante rilascio da parte dell’emittente di un nuovo titolo intestato all’acquirente e successiva annotazione del rilascio nel registro;

• il titolo viene trasferito mediante girata autenticata. Il giratario del titolo che si dimostri possessore in base ad una serie continua di girate, ha poi diritto di ottenere l’annotazione del trasferimento nel registro dell’emittente.

Sono titoli nominativi le azioni di società.

LA CAMBIALE

La cambiale è un titolo di credito all’ordine.

Poiché normalmente viene emessa come pagabile ad una prestabilita scadenza, ha la funzione di strumento di credito. Esistono due tipi di cambiali:

1. Cambiale tratta;

2. Pagherò.

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La cambiale tratta coinvolge all’atto dell’emissione tre soggetti: una persona detta traente dà ad un’altra persona detta trattario l’ordine di pagare una somma ad una terza persona detta prenditore.

Il pagherò coinvolge invece due soggetti: un primo soggetto detto emittente promette di pagare una somma ad un altro soggetto detto prenditore.

La cambiale è caratterizzata dalla presenza di determinati requisiti formali.

Nella cambiale tratta l’obbligato principale è il trattario, a condizione che abbia accettato.

Nel pagherò l’obbligato principale è l’emittente.

La cambiale circola tramite girata, la girata è l’ordine formulato sul titolo, normalmente sul retro di questo. Tale ordine è rivolto dal girante al debitore di eseguire il pagamento nelle mani del nuovo prenditore, detto giratario.

La girata può essere:

- in pieno;

- in bianco.

Nella girata in pieno viene apposta la formula “Per me pagate al Sig. …..”, con la sottoscrizione del girante.

Nella girata in bianco non si indica il giratario, ma viene soltanto apposta la firma del girante.

Nell’ambito delle cambiali possono poi esservi altri soggetti che fungono da garanti, questi soggetti vengono detti avallanti. L’avallo è dunque una firma di garanzia a favore del debitore o a favore di un girante.

Il portatore del titolo per ottenere il pagamento dovrà anzitutto rivolgersi all’obbligato principale, che è il trattario nella cambiale tratta e l’emittente nel pagherò. Se il debitore principale non paga, il portatore della cambiale potrà rivolgersi nei confronti degli obbligati di regresso, cioè il traente nella cambiale tratta e i giranti, o i loro avallanti, in entrambe i tipi di cambiale.

A sua volta l’obbligato di regresso che paga può rifarsi nei confronti dei giranti che lo precedono. Per poter agire in via di regresso è necessario protestare la cambiale, cioè è necessario recarsi da un notaio o da un ufficiale giudiziario che elevi protesto.

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Il protesto è la contestazione solenne che l’obbligato principale non ha pagato.

L’ASSEGNOEsistono due tipi di assegno:

1. Assegno bancario;

2. Assegno circolare.

L’assegno bancario ha struttura analoga alla cambiale tratta e il trattario è sempre una banca.

L’assegno circolare ha la medesima struttura del pagherò.

L’assegno a differenza della cambiale è un mezzo di pagamento e non uno strumento di credito.

L’assegno bancario è l’ordine incondizionato che una persona detta traente dà ad una banca detta trattario di pagare una somma ad un terzo, detto beneficiario.

L’assegno circolare è la promessa incondizionata della banca di pagare una somma al beneficiario.

L’assegno deve essere presentato per il pagamento entro 8 giorni, se pagabile nello stesso comune di emissione, entro 15 giorni, se pagabile in un comune diverso.

La mancata presentazione entro tali termini comporta che l’assegno può essere pagato ugualmente dalla banca, ma se la banca rifiuta il pagamento non è possibile elevare protesto e quindi esperire l’azione di regresso.

Sull’assegno può essere posta la clausola “Non trasferibile”. Se viene apposta tale clausola l’assegno non può circolare, cioè non può essere girato se non ad una banca per l’incasso.

Esiste poi un’altra clausola che può essere apposta sull’assegno, cioè lo sbarramento.

Lo sbarramento consiste nell’apporre due sbarre parallele e trasversali sul fronte dell’assegno. L’assegno sbarrato, a differenza dell’assegno non trasferibile, può circolare, cioè può essere girato, ma ha la peculiarità che può essere pagato soltanto ad una banca o ad un cliente della banca trattaria.

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I CONTRATTI COMMERCIALI

Spesso gli imprenditori commerciali di grandi dimensioni, e le associazioni di imprenditori commerciali, predispongono le condizioni generali dei contratti che gli stessi imprenditori sono soliti stipulare con i terzi, per ottenere il vantaggio di economia e rapidità nella contrattazione.

In particolare, i contratti in serie predisposti dagli imprenditori commerciali assumono la figura di contratti c.d. standard, a cui i terzi contraenti si limitano a prestare adesione.

Tali contratti sono disciplinati dall’art. 1341 c.c. in forza del quale:

a) le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle con l’ordinaria diligenza;

b) ed inoltre, alcune clausole particolarmente gravose per il terzo contraente non hanno valore se non sono specificamente approvate per iscritto dallo stesso contraente; e precisamente tali clausole sono dette vessatorie, in quanto sanciscono a carico del terzo decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, ecc…

Distinguiamo:

- i contratti che hanno per oggetto la prestazione di cose, quali: compravendita, contratto estimatorio, somministrazione;

- i contratti che, invece, hanno per oggetto la prestazione di servizi, quali: appalto, forniture di servizi informatici, trasporto, viaggio turistico, deposito in albergo e nei magazzini generali;

- inoltre vi sono, i contratti che hanno per oggetto un’attività ausiliaria, ossia la prestazione di una

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collaborazione agli stessi imprenditori per agevolare la conclusione dei loro affari o comunque la loro attività economica, e precisamente essi sono: mandato, commissione, concessione, affiliazione, spedizione, agenzia, mediazione, subfornitura;

- ancora abbiamo, i contratti che hanno per oggetto la prestazione di cose e di servizi, quando stipulati a distanza o fuori dei locali aziendali, ossia: forniture di cose o di servizi ai consumatori; nonché i contratti che hanno per oggetto l’acquisizione di un diritto di godimento periodico di beni immobili (ad esempio, la multiproprietà);

- poi abbiamo, i contratti di assicurazione, i contratti bancari e i contratti di finanziamento;

- ed infine vi sono, i contratti di investimento che hanno per oggetto prodotti finanziari, e soprattutto valori mobiliari (ad esempio, azioni od obbligazioni di società) acquistati a seguito di attività di sollecitazione del pubblico risparmio agli investimenti finanziari.

Il c.d. sistema di negoziazione accentrata di strumenti finanziari consente un più rapido trasferimento dei valori mobiliari quotati in borsa, o di larga diffusione tra il pubblico, evitando la trasmissione materiale dei titoli, e sostituendola mediante registrazioni contabili presso una società appositamente designata dalla legge (Monte Titoli S.p.A.): c.d. dematerializzazione degli strumenti finanziari e/o della loro circolazione.

LA COMPRAVENDITAAi sensi dell’art. 1470 la compravendita soddisfa una delle più diffuse e importanti tra le esigenze economiche, ovvero quella di trasferire un diritto (di solito la proprietà) di un bene diverso dal denaro (e quindi una cosa), ricevendo in corrispettivo la proprietà di una determinata quantità di denaro (prezzo).

Inoltre, secondo l’art. 1326, ogni compravendita è un contratto consensuale, che si conclude con l’accordo delle parti.

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A) Di solito, la compravendita ha effetti reali nel senso che al momento della conclusione del contratto il compratore acquista la proprietà della cosa; affinché ciò avvenga, è necessario che la cosa venduta sia determinata nella sua individualità (ad esempio, vendo questo appartamento, questo sacco di grano). Non è invece necessario che la detenzione della cosa sia trasferita al compratore: infatti, essa può restare al venditore, ed in questo caso dalla vendita sorge anche l’obbligo di consegnare la cosa al compratore che ne è (già divenuto) proprietario.

Al momento della conclusione del contratto può anche avvenire che il venditore acquisti la proprietà del denaro; affinché ciò avvenga, è necessario che il denaro gli sia consegnato o almeno che sia individuato in modo non equivoco. Poiché, se il denaro non è consegnato al venditore – o, almeno, individuato – al momento del contratto, dalla vendita sorge l’obbligo di pagamento del prezzo al momento stabilito nel contratto: in tal caso si parla di vendita con pagamento differito, in quanto la proprietà del denaro passerà dal compratore al venditore solo quando verrà compiuto il pagamento.

B) Per quando riguarda, invece, la vendita con effetti obbligatori diciamo che, può capitare che alla conclusione del contratto non consegua nessun effetto reale, cioè nessun trasferimento di diritti reali, ma scaturiscano solo effetti obbligatori, cioè solo obblighi (ad esempio, l’obbligo del venditore di trasferire al compratore la proprietà della cosa, ed obbligo del compratore di trasferire al venditore la proprietà del prezzo). Cioè, praticamente, può capitare che il trasferimento di proprietà della cosa dal venditore al compratore non avvenga al momento della stipulazione del contratto, ma in un momento successivo, ossia all’avverarsi di determinati atti o fatti giuridici.

La vendita obbligatoria si ha principalmente nelle seguenti ipotesi:

1. vendita di cose generiche, quando la cosa è indicata attraverso il riferimento a determinate caratteristiche, che sono comuni ad una pluralità di beni (ad esempio, un’automobile di un determinato modello). In questa ipotesi, infatti, il trasferimento di proprietà al compratore avviene quando nel genere si sceglie un bene determinato; e precisamente la scelta si chiama specificazione, che deve essere fatta d’accordo tra le parti o nei modi da esse stabiliti, o individuazione, che avviene anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere (art. 1378).

2. vendita di cose future, - cioè, di cosa che al momento del contratto ancora non esiste – la proprietà della cosa viene acquistata automaticamente dal compratore nello stesso momento in cui la cosa viene ad esistenza; se si tratta di frutti naturali, nel momento in cui questi vengono separati (art.

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1472). È opportuno specificare che, se la cosa non viene ad esistenza, il contratto è nullo e quindi non produce nessun effetto, a meno che le parti non abbiano stabilito che il compratore deve egualmente pagare il prezzo (in questo caso si tratta di un “contratto aleatorio”, denominato vendita di speranza).

3. vendita di cosa altrui, che si ha se al momento del contratto la cosa non è in proprietà del venditore, ma di un terzo; in questo caso il venditore è obbligato a fare acquistare al compratore la proprietà della cosa, il che può avvenire o se il proprietario della cosa ne trasferisce la proprietà direttamente al compratore o anche se il venditore ne acquista la proprietà, in quanto questo acquisto fa diventare ipso facto proprietario della cosa il compratore (art. 1478). Inoltre, se il compratore di cosa altrui, al momento della conclusione del contratto, ignorava che il venditore non fosse proprietario della cosa venduta, può chiedere la risoluzione della vendita fino al momento in cui il venditore non gliene fa acquistare la proprietà (art. 1479 c.1).

4. vendita con riserva di proprietà, in cui nelle vendite con pagamento differito, di solito il venditore vuole garantirsi contro il rischio che il compratore non paghi il prezzo e che non sia più possibile ottenere la restituzione della cosa chiedendo la risoluzione della vendita per inadempimento, perché il compratore ha già rivenduto la cosa ad altri ovvero i suoi creditori l’hanno pignorato. Per garantirsi contro questi rischi si stabilisce nel contratto – attraverso una clausola – che il compratore acquista la proprietà della cosa solo al momento del “pagamento dell’ultima rata di prezzo” e che fino a questo momento egli avrà solo la detenzione della cosa.

Per quanto riguarda l’opponibilità della riserva ai terzi acquirenti diciamo che, il compratore – finchè non ha pagato il prezzo – non può rivendere la cosa in quanto non è ancora sua; dunque, se la rivende compie un reato (c.d. appropriazione indebita); né il terzo acquirente acquista la proprietà della cosa mobile, a meno che non ne abbia avuto la consegna in buona fede, credendo cioè che il compratore ne fosse già proprietario. Se si tratta di macchina vendute ad un prezzo superiore a 30000 £, per potere opporre la riserva ad eventuali terzi acquirenti è necessario che il patto di riservato dominio sia trascritto in un registro della cancelleria del tribunale e che la macchina, quando è acquistata dal terzo, si trovi ancora nella circoscrizione del tribunale nella cui cancelleria la trascrizione è stata eseguita (art. 1524 c.2).

Quanto, invece, all’opponibilità ai creditori del compratore diciamo che costoro non possono pignorare la cosa, purchè la riserva di

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proprietà risulti da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento (art. 1524 c.1).

Per quanto riguarda l’inadempimento del compratore diciamo che, nel passato i venditori con patto di riservato dominio avevano preteso dai loro acquirenti l’inserzione nel contratto di clausole vessatorie, quale quella che, in caso di ritardo nel pagamento anche di una sola rata, il venditore avesse il diritto di pretendere immediatamente il pagamento dell’intero prezzo, ovvero la risoluzione della vendita col diritto di trattenere le rate già pagate quale corrispettivo dell’uso della cosa. Per impedire simili sopraffazioni contrattuali il codice ha stabilito:

a) nonostante patto contrario, se il compratore è in ritardo nel pagamento di una sola rata che non super l’ottava parte del prezzo, il venditore non può risolvere il contratto né pretendere che il compratore, decadendo dal beneficio del termine, paghi subito le rate successive (art. 1525);

b) se per inadempimento del compratore avviene la risoluzione del contratto, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno (1526 c.1).

C) Nelle compravendite commerciali, abbastanza frequente è la clausola di esclusiva che può essere apposta o a carico del venditore, o del compratore o di entrambi. Se è apposta a carico del venditore, questi – nella zona stabilita nel contratto – non può vendere la merce ad altri ma soltanto al compratore; se è apposta a carico del compratore, questi si impegna ad acquistare la merce soltanto dal venditore; se è apposta a carico di entrambi, queste obbligazioni sono reciproche per venditore e compratore.

Inoltre, può capitare che la cosa venduta venga consegnata in un momento posteriore a quello della conclusione del contratto. Tuttavia, la cosa dev’essere consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita (art. 1447 c.1).

E precisamente, se la consegna deve avvenire dopo la conclusione del contratto e si tratta di cosa mobile, il compratore si affida alla onestà del venditore, in quanto corre il rischio che questi venda e consegni la stessa cosa ad altri, il quale ignori che la cosa fosse stata già venduta e la creda invece ancora di proprietà del venditore. In questo caso, infatti, il secondo compratore acquista la proprietà della cosa (che è stata venduta due volte), ed il primo compratore ne perde la proprietà, potendo pretendere soltanto il risarcimento del danno dal venditore (ciò ai sensi dell’art. 1153).

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Se il bene venduto è divisibile, può stabilirsi nel contratto che la consegna debba avvenire in più riprese, e – pertanto – in questo caso si ha la vendita a consegne ripartite (o successive).

Quanto al luogo della consegna diciamo che, se nel contratto nulla è stabilito circa il luogo dove la consegna deve essere fatta, bisogna distinguere se al momento del contratto le parti conoscevano – oppure no – dove la cosa si trovasse. Poiché, nella prima ipotesi la consegna deve avvenire in tale luogo; mentre, nella seconda ipotesi la consegna deve avvenire nel luogo in cui al momento del contratto il venditore aveva il suo domicilio: ma se il venditore è un imprenditore e la vendita costituisce un atto di esercizio della sua impresa, la consegna deve avvenire nella sede dell’impresa (art. 1510 c.1).

Ora, per la validità della vendita, è necessario che il prezzo – anche se non determinato al momento del contratto – sia almeno determinabile, essendo stati indicati gli elementi idonei a determinarlo.

Infatti, se nel contratto il prezzo non è stabilito, e si tratta di cose che hanno un prezzo di borsa o di mercato, il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali della piazza di consegna o della piazza più vicina (art. 1474 c.2); se si tratta di cose che il venditore vende abitualmente, il prezzo è quello normalmente praticato dal venditore (art. 1474 c.1).

Nella vendita di prodotti industriali dal produttore al rivenditore, è frequente la clausola di prezzo imposto in base alla quale l’acquirente si obbliga a non rivendere la merce ad un prezzo diverso da quello impostogli dal produttore. Se tale clausola viene violata, e la cosa rivenduta ad un prezzo inferiore, il terzo subacquirente non è tenuto a nessuna integrazione del prezzo, poiché la clausola non ha effetto nei suoi confronti.

Per alcune merci (di solito, di largo consumo), il prezzo è talvolta stabilito dall’autorità amministrativa: in questo caso, detti prezzi (c.d. prezzi di imperio) “sono di diritto inseriti nel contratto”, prevalendo anche sui diversi prezzi che eventualmente sono stati convenuti tra le parti (art. 1339).

Quanto alle spese della vendita diciamo che, se non è stato pattuito diversamente, le spese della vendita e le altre accessorie – comprese le spese di trasporto (art. 1510 c.2) – sono a carico del compratore (ai sensi dell’art. 1475).

Nelle vendite commerciali, il pagamento delle spese di trasporto è regolato diversamente, in quanto il prezzo è comprensivo di dette spese e quindi il venditore si obbliga a spedire le merci al compratore

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con la clausola “franco” (ad esempio, franco arrivo, franco consegna domicilio).

Nelle vendite marittime, invece, sono emerse le clausole cif (o caf) [cif: cost, insurance, freight o – in francese - caf: cost, assurance, fret] e fob [free on board].

Se è apposta la clausola “franco trasporto assicurazione” (cif o caf), il prezzo di vendita è comprensivo delle spese di trasporto della merce, di caricamento sul mezzo di trasporto e di assicurazione, spese che sono perciò a carico del venditore (la clausola cif è di solito prevista nella vendita di documenti). Dal momento che la merce è assicurata, se essa perisce o subisce avarie dopo il caricamento, il compratore ha il diritto di essere indennizzato dall’assicuratore. Se, invece, è apposta la clausola “franco a bordo” (fob), le spese di trasporto rimangono a carico del compratore, mentre tocca al venditore provvedere al pagamento delle spese di caricamento sulla nave o sul diverso mezzo di trasporto previsto; dalla clausola fob va distinta la clausola fas (free alongside ship, in italiano “franco banchina”), perché l venditore si obbliga a provvedere a sue spese solo alla consegna della merce nel punto di imbarco (appunto la banchina), restando al compratore l’obbligo di pagare le spese di trasporto e di caricamento della merce.

Per quanto riguarda la vendita su documenti diciamo che, normalmente si ricorre a questo tipo di vendita quando la merce è in viaggio, ed il venditore ha la disponibilità dei documenti rilasciati dal vettore, dai quali risulta che la merce è viaggiante (polizza di carico, rilasciata dal vettore marittimo; duplicato della lettera di vettura, o ricevuta di carico, rilasciate dal vettore terrestre; lettera di trasporto aereo, rilasciata dal vettore aereo).

Per avere la disponibilità dei documenti (titoli rappresentativi) del trasporto, il venditore deve esserne portatore legittimo e quindi – se si tratta di documenti al portatore – deve averne il possesso ovvero – se si tratta di titoli all’ordine – deve averli ricevuti attraverso una serie continua di girate.

Nella vendita su documenti, le parti convengono di sostituire la consegna della merce con la consegna dei titoli di trasporto (e degli altri documenti stabiliti nel contratto: ad esempio, certificati d’origine della merce), in virtù dei quali il compratore può pretendere la consegna della merce dal vettore: pertanto, al momento fissato dal contratto, il venditore deve consegnare al compratore detti documenti facendolo diventare portatore legittimo di essi, ed il compratore deve trasferire al venditore il prezzo (art. 1527, 1528).

Può anche convenirsi che il pagamento del prezzo debba avvenire per mezzo di una banca (art. 1530): in tal caso si parla di vendita con pagamento contro documenti a mezzo banca.

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Possiamo distinguere diverse clausole contrattuali che incidono sulla stessa conclusione del contratto di vendita:

Vendita con riserva di gradimento e a prova, e precisamente: nella vendita con “riserva di gradimento” le parti stabiliscono che il compratore esamini la cosa entro un dato termine (in mancanza di un termine contrattuale, l’esame deve essere fatto nel termine risultante dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo fissato dal venditore), dichiarandola o meno di suo gradimento. La vendita si perfeziona nel momento in cui il compratore dichiara la cosa di suo gradimento; nel caso opposto, il contratto non viene concluso, e quindi gli effetti della vendita non si producono (art. 1520 c.1). Se il compratore fa trascorrere il termine senza compiere l’esame e la cosa è detenuta dal venditore, gli effetti della vendita non si producono (art. 1520 c.2); se, invece, la cosa è detenuta dallo stesso compratore e questi fa trascorrere il termine senza comunicare la sua decisione, si producono gli effetti della vendita (art. 1520 c.3).

Nella vendita “a prova” (art. 1521), il contratto è sottoposto a condizione sospensiva, nel senso che si perfeziona e produce i suoi effetti solo se la cosa venduta ha le qualità pattuite ed è idonea all’uso a cui è destinata; altrimenti la vendita non si perfeziona. Ma nell’ipotesi di vendita a prova – appunto perché si tratta di una condizione – il compratore deve attenersi alla realtà obiettiva e non può dichiarare che la cosa non è di suo gradimento se questa è idonea all’uso ed ha le qualità pattuite.

Vendita su campione e su tipo di campione, in cui il campione è una piccola quantità di merce divisibile e serve per individuare le qualità della merce oggetto della vendita. In questo tipo di vendita, il contratto si conclude al momento dell’accordo: il campione deve servire soltanto come esclusivo paragone delle qualità della merce, e pertanto qualsiasi difformità tra la qualità della merce e il campione attribuisce al compratore il diritto di risolvere il contratto (vendita “su campione”) (art. 1522 c.1). Ma può anche risultare dal contenuto del contratto o dagli usi che il campione deve servire ad indicare le qualità della merce solo in modo approssimativo, in questo caso – infatti - si parla di vendita “su tipo di campione”, e si può domandare la risoluzione soltanto se la difformità sia notevole (art. 1522 c.2).

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Per quanto riguarda l’inadempimento del venditore, diciamo che contro l’inadempimento del venditore si può anche fare ricorso ad alcuni rimedi specifici posti a tutela del compratore, e precisamente:

1) Esecuzione coattiva, se il venditore al termine stabilito non consegna la cosa venduta, e questa è una “cosa fungibile che ha un prezzo corrente” risultante da atti della pubblica autorità o da listini o da mercuriali, il compratore – il quale non abbia pagato il prezzo – può procedere alla c.d. esecuzione coattiva (art. 1516): cioè fa comprare la cosa da un altro venditore per mezzo di un intermediario professionale (agente di cambio o società di intermediazione mobiliare) o di un commissionario nominato dal tribunale, e ha il diritto di esigere dal venditore inadempiente la differenza tra la somma occorsa per l’acquisto e il prezzo stipulato per la prima vendita, oltre al risarcimento degli ulteriori danni (in questo modo, se il prezzo della merce è aumentato, la differenza di prezzo viene subita dal venditore inadempiente, mentre il compratore si procura senza ritardo la disponibilità della merce di cui ha bisogno).

2) Vizi o mancanza di qualità della cosa, poiché nelle vendite di cose mobili, oltre alla mancata consegna, i più frequenti inadempimenti del venditore consistono nella consegna di cose affette da vizi che le rendono inidonee all’uso cui sono destinate o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore ovvero di cose prive delle qualità promesse o di quelle essenziali per l’uso cui sono destinate.

Se si tratta di vizi, il compratore può chiedere:

a) o la risoluzione del contratto (c.d. azione redibitoria)

b) ovvero la riduzione del prezzo (c.d. azione estimatoria o quanti minoris) (art. 1492 c.1).

Inoltre, è opportuno specificare che può chiedere solo la riduzione del prezzo se ha rivenduto o trasformato la cosa o se gli usi escludono la risoluzione: la scelta tra le due azioni (o quella redibitoria o quella estimatoria) è irrevocabile una volta che sia stata fatta con la domanda giudiziale. Se si tratta di mancanza di qualità, il compratore ha il diritto di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, purchè il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi (art. 1497 c.1).

Il compratore, per non perdere il diritto alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, deve però denunziare – a pena di decadenza – i vizi o la mancanza di qualità entro 8 giorni dalla scoperta; compiuta la denunzia, ed evitata così la decadenza, occorre poi che egli si preoccupi di iniziare, entro 1 anno dalla consegna, il giudizio

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per chiedere la risoluzione o la riduzione, giacchè dopo il decorso dell’anno si compie la prescrizione (art. 1495 c.1 e 3, art. 1497 c.2). Se però il compratore non ha ancora pagato il prezzo, può anche lasciare trascorrere l’anno e chiedere in via di eccezione la risoluzione o la riduzione quando viene convenuto in giudizio dal venditore per il pagamento del prezzo, purchè gli abbia denunziato il vizio o la mancanza di qualità della cosa entro 8 giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna (art. 1495 c.3).

L’azione di risoluzione non è invece soggetta a detti termini di decadenza e di prescrizione abbreviata nell’ipotesi di “aliud pro alio” : ipotesi che ricorre quando le caratteristiche della cosa consegnata sono completamente diverse da quelle della cosa contrattata.

3) Cattivo funzionamento della cosa, in quanto può capitare che il venditore abbia garantito per un certo tempo il buon funzionamento della cosa venduta (ad esempio, orologi, penne stilografiche, autoveicoli) ovvero questa garanzia sia dovuta in forza degli usi. In questo caso, il compratore può pretendere – oltre al risarcimento dei danni – la sostituzione o la riparazione della cosa: ma, per non perdere tale diritto, deve denunziare al venditore il cattivo funzionamento entro 30 giorni ed agire giudizialmente entro 6 mesi dalla scoperta (art. 1512).

Per avere una prova sicura:

a) dei vizi

b) o della mancanza di qualità

c) o del cattivo funzionamento della cosa

è opportuno che il compratore, subito dopo la scoperta e prima di iniziare il giudizio civile, chieda all’autorità giudiziaria un “accertamento tecnico preventivo” diretto ad accertare le predette circostanze attraverso la verifica della condizione o della qualità delle cose vendute (art. 696 cod. proc. civ.).

Quanto all’inadempimento del venditore di beni di consumo diciamo che una disciplina particolare, di origine comunitaria, regola la responsabilità del fornitore nella vendita di beni di consumo, ossia di cose (beni mobili) a persone fisiche che le acquistano per scopi estranei all’esercizio della loro attività imprenditoriale o professionale.

Allo scopo di applicare tale disciplina, ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione, nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri

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contratti che hanno per oggetto la fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre, o anche solo da assemblare.

Il fornitore, infatti, ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni idonei al loro uso abituale o a quello particolare voluto dal consumatore, ed è responsabile nei suoi confronti per “qualsiasi difetto di conformità” esistente al momento della consegna del bene o che derivi dalla sua installazione quando nel contratto è convenuto che essa sia effettuata dal fornitore. Si tratta di una garanzia legale di conformità, a cui possono aggiungersi anche apposite garanzie convenzionali. La responsabilità legale del fornitore sussiste quando la difformità si manifesta entro 2 anni dalla consegna del bene; ma soprattutto il consumatore non può pretendere immediatamente la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, perché prima deve, a sua scelta, richiedere la sostituzione o la riparazione del bene. Solo nel caso in cui tali rimedi sono oggettivamente impossibili o eccessivamente onerosi, il consumatore può ottenere – sempre a sua scelta - una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.

Quanto, invece, all’inadempimento del compratore diciamo che in questo caso vi sono alcuni rimedi particolari posti a tutela del venditore, e precisamente:

innanzitutto, anche qui è ammesso il ricorso all’esecuzione coattiva: infatti, se il compratore non paga il prezzo al termine stabilito, il venditore ha il diritto di far vendere senza ritardo la cosa all’incanto – per mezzo di un pubblico mediatore o di un ufficiale giudiziario – per conto e a spese del compratore inadempiente; prima di procedere alla vendita, tuttavia, bisogna avvisare il compratore del luogo giorno e ora in cui essa sarà eseguita. Se poi la cosa venduta ha un prezzo corrente, la vendita può essere fatta dall’incaricato anche senza incanto, e il venditore deve dare pronta notizia al compratore dell’avvenuta vendita. In ogni caso, il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento del maggiore danno.

Inoltre, può darsi che nel contratto si sia stabilito che il pagamento del prezzo debba avvenire nel momento della consegna della cosa, ma che poi il venditore consegni la cosa venduta senza esigere contemporaneamente il prezzo; in questo caso, il venditore può ottenere la restituzione della cosa consegnata (e non pagata) purchè ricorrano le seguenti condizioni:

a) che la domanda di restituzione sia proposta entro 15 giorni dalla consegna;

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b) che la cosa venduta sia ancora presso il compratore;

c) che la cosa venduta non sia stata trasformata;

d) che non sia stata pignorata o sequestrata da creditori del compratore, i quali ignorassero che il prezzo era ancora dovuto (art. 1519) [il rimedio è denominato “rivendicazione del venditore”, ma si tratta di una denominazione impropria, in quanto la proprietà della cosa venduta è già passata dal venditore al compratore inadempiente].

Per quanto riguarda, infine, la risoluzione di diritto diciamo che nelle compravendite, in cui la consegna della cosa e il pagamento del prezzo devono avvenire contemporaneamente, se una delle parti (il venditore o il compratore) si vuole assicurare la possibilità di risolvere rapidamente il contratto in caso di inadempimento della controparte, può: prima del giorno, in cui deve avere luogo la consegna della merce e il pagamento del prezzo, comunicare alla controparte – nelle forme di uso – di essere pronta ad eseguire il contratto al termine stabilito; se a tale giorno l’altra parte non è pronta ad eseguire il contratto, la parte che era pronta ad adempiere la propria prestazione può comunicarle – entro 8 giorni successivi – che il contratto è risolto di diritto (art. 1517).

Se non si è fatto ricorso a questo procedimento o se si sono lasciati trascorrere gli 8 giorni concessi dall’art. 1517 per comunicare che ci s’intende valere della risoluzione di diritto, si potrà fare ricorso alle disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento (art. 1453), e si potrà ancora provocare la risoluzione di diritto della vendita osservando l’altro procedimento prescritto dall’art. 1454 (diffida scritta ad adempiere entro un termine non inferiore a 15 giorni).

IL CONTRATTO ESTIMATORIONel contratto estimatorio (detto anche, nel linguaggio degli affari, contratto in conto deposito) si hanno due parti, una delle quali (tradens) consegna all’altra che la riceve (accipiens) una o più cose mobili, stimate per un certo prezzo (di qui la denominazione del contratto).

Il ricevente (ossia l’accipiens) si obbliga, dunque, a pagare al tradens il prezzo di stima, ma ha la facoltà di liberarsi da quest’obbligo restituendogli integra la cosa nel termine stabilito nel contratto (art. 1556). Pertanto, se la cosa perisce (anche per caso fortuito) o se, comunque, il ricevente lascia trascorrere il termine senza restituirla, deve pagare il prezzo (art. 1557).

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Tuttavia è opportuno specificare che, secondo la giurisprudenza – malgrado l’art. 1557 ponga a carico dell’accipiens il rischio del perimento – la proprietà della cosa rimane al tradens, il quale perciò, scaduto il termine pattuito per la restituzione, può rivendicare la cosa con l’azione reale fondata sul diritto di proprietà ovvero chiedere il pagamento del prezzo stimato con l’azione personale basata sul contratto estimatorio.

Il ricevente di propone, di solito, di rivendere la cosa ed è libero di rivenderla a qualunque prezzo, a meno che nel contratto non sia stabilito il contrario. Se il ricevente non trova il compratore, egli può restituire la cosa e così non corre il rischio di doversi tenere la cosa invenduta: di solito questo contratto viene – dunque – usato nel commercio di quegli oggetti (quali, libri, oggetti preziosi, oggetti usati), in cui, per una od altra circostanza, si presenta più difficile ed aleatorio trovare l’acquirente a cui rivendere l’oggetto.

Il tradens, che ha consegnato la cosa, non può più disporne, finchè essa non gli venga restituita; mentre l’accipiens può validamente disporne, ma i suoi creditori non possono sottoporre la cosa a pignoramento o a sequestro finchè non ne sia stato pagato il prezzo

(art. 1558).

LA SOMMINISTRAZIONELa somministrazione è il contratto con il quale una parte (detta somministrante) si obbliga, contro il corrispettivo di un prezzo, ad eseguire a favore dell’altra (detta avente diritto alla somministrazione o somministrato) prestazioni periodiche o continuative di cose (art. 1559). Poichè la somministrazione ha per oggetto l’esecuzione di prestazioni di cose, ne deriva che nel caso di prestazioni – anche se periodiche e continuative – di servizi (ad esempio, il servizio della pulizia di un grande edificio) non si ha un contratto di somministrazione, bensì un contratto di prestazione d’opera ovvero di appalto, al quale però si applicano sia le norme del contratto d’appalto che quelle del contratto di somministrazione (art. 1677).

Nel contratto di somministrazione può essere stabilita la quantità delle prestazioni (ad esempio, un quintale di carbone al mese); inoltre può essere stabilito un massimo e un minimo, ed in questa ipotesi spetta all’avente diritto alla somministrazione stabilire, entro i limiti suddetti, il quantitativo dovuto (art. 1560 c.1).

Se è stabilito che il prezzo sia quello di mercato, bisogna riferirsi al prezzo del luogo e del tempo di ogni prestazione (art. 1561). Nella somministrazione a carattere periodico, il prezzo dev’essere pagato all’atto delle singole prestazioni, mentre nella somministrazione continuativa, secondo le scadenze d’uso (art. 1562).

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In caso di inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l’altra parte può chiedere la risoluzione del contratto, solo però se l’inadempimento ha notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti (art. 1564).

Se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l’inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso (art. 1565).

Essendo la somministrazione un contratto di durata, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite (art. 1458 c.1).

Nel contratto di somministrazione può anche essere stabilito un patto di esclusiva tanto a favore del somministrante che del somministrato (art. 1567, 1568).

Si può stabilire anche un patto di preferenza a favore del somministrante, nel senso che l’avente diritto alla somministrazione si obbliga – rispetto ad altri eventuali proponenti e a parità di condizioni – a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto (art. 1566 c.1).

Il contratto di somministrazione non può – tuttavia – avere durata perpetua. Se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi, o in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione (art. 1569).

CONTRATTI RELATIVI ALLA PRESTAZIONE DI SERVIZI

L’APPALTOL’appalto è il contratto con il quale una parte (detta appaltatore) si obbliga al compimento di un’opera (come ad esempio, la costruzione di una casa), o di un servizio (ad esempio, la pulizia di una città) ed ha diritto ad un corrispettivo in denaro, cui si obbliga l’altra parte (detta committente) (art. 1655).

L’appaltatore è necessariamente un imprenditore, che deve organizzare tutti i mezzi necessari per il compimento dell’opera o del servizio (ad esempio, procurarsi i macchinari o assumere gli operai) e deve fornire la materia necessaria, a meno che dal contratto o dagli usi non sia stabilito che la materia debba essere fornita dal committente (art. 1658).

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Se non è stato autorizzato dal committente, l’appaltatore non può dare in subappalto a terzi l’esecuzione dell’opera o del servizio (art. 1656).

Secondo la giurisprudenza, l’appalto si distingue dal contratto d’opera (lavoro autonomo), appunto perchè esso presuppone l’esistenza di un’impresa in capo all’appaltatore; inoltre esso (ossia l’appalto d’opera) si distingue anche dalla vendita, poichè la prestazione dell’appaltatore è soprattutto una prestazione di fare (cioè, ha per oggetto un’attività lavorativa diretta alla produzione della cosa) e non soltanto una prestazione di dare.

Quando si tratta di appalti per l’esecuzione di opere pubbliche, è previsto che all’aggiudicazione possono concorrere anche consorzi tra imprenditori commerciali, consorzi di cooperative, od anche imprese che si sono riunite per l’occasione conferendo mandato ad una di esse, che le rappresenti nei confronti dell’ente committente. Inoltre, la progettazione delle opere pubbliche può anche essere affidata a società di ingegneria, costituite nelle forme di società di capitali ovvero di cooperative.

Nell’appalto la costruzione dell’opera avviene a rischio dell’imprenditore: dunque, se la cosa perisce, per causa non imputabile a nessuna delle parti, prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora nel verificarla, l’appaltatore non ha diritto al corrispettivo.

Se, invece, dopo l’inizio dell’opera il completamento ne diventa impossibile per causa non imputabile a nessuna delle parti, il committente deve pagare la parte di opera già compiuta, in proporzione dell’intero prezzo pattuito, ma solo “nei limiti in cui (detta parte) è per lui utile” (art. 1672).

Il corrispettivo può essere determinato globalmente (ossia à forfait) o a misura, e precisamente: se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo nè hanno stabilito il modo di determinarla, essa è determinata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice (art. 1657).

Se dopo la conclusione del contratto – per effetto di circostanze imprevedibili – il costo dei materiali o della manodopera aumenta o diminuisce in misura superiore al decimo del prezzo stabilito, l’appaltatore (in caso di aumento ) e il committente (in caso di diminuzione) possono chiedere una revisione del prezzo per quella parte che eccede il decimo (art. 1664).

[Ad esempio: la villa da costruire, al momento del contratto, costa 80000,00; il corrispettivo convenuto è di 100000,00; se durante la costruzione il costo sale a 92000,00 – ossia 12000,00 di aumento,

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superiore (dunque) a 10000,00 che è il decimo del prezzo – l’appaltatore ha diritto ad un aumento di 2000,00 (che è la differenza tra l’aumento che si è verificato nel costo dell’opera e il decimo del prezzo pattuito].

L’appaltatore deve dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da lui fornita, ovviamente se questi difetti si scoprono nel corso dell’esecuzione dell’opera e sono tali da comprometterne la regolare esecuzione (art. 1663).

Il committente, tuttavia, ha il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori: infatti, se accerta che il lavoro non procede secondo quanto stabilito nel contratto o secondo le regole d’arte,

può fissare un termine congruo entro il quale l’imprenditore deve togliere all’opera i suoi difetti, altrimenti il contratto verrà risolto e l’appaltatore dovrà risarcire i danni al committente (art. 1662 c.2).

Il committente può sempre recedere dal contratto, purchè rimborsi all’appaltatore le spese sostenute, e lo ricompensi dei lavori eseguiti e del mancato guadagno (art. 1671).

Se l’appaltatore muore, non c è motivo di sciogliere il contratto, quando l’opera o il servizio possono essere egualmente eseguiti dall’impresa del defunto: lo scioglimento, pertanto, avviene solo nell’ipotesi di cessazione dell’impresa o se l’appalto era stato stipulato intuitu personae, cioè in considerazione della particolare fiducia riposta dal committente nella persona del defunto; inoltre, se gli eredi dell’appaltatore non danno affidamento per la buona esecuzione dell’opera o del servizio, il committente può recedere dal contratto

(art. 1674), pagando agli eredi una somma “nei limiti in cui le opere gia eseguite e le spese sostenute per l’esecuzione delle opere rimanenti gli sono utili” (art. 1675 c.1).

Compiuta l’opera, l’appaltatore invita il committente a procedere a verifica per controllarne la conformità alle pattuizioni contrattuali e, quindi, a consegnarsi l’opera.

L’opera si considera accettata quando ricorrono queste 4 ipotesi:

1. se il committente, dopo la verifica, dichiara di accettarla;

2. se il committente non comunica all’appaltatore i risultati delle verifica entro un breve termine;

3. se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, senza procedere a verifica;

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4. ed infine, se il committente non compie la verifica né riceve la consegna senza giusti motivi.

Subito dopo l’accettazione l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo, a meno che il contratto o gli usi non stabiliscano che il pagamento debba avvenire prima (art. 1665).

Per quanto riguarda la responsabilità dell’appaltatore diciamo che l’appaltatore è responsabile se l’opera presenta dei vizi o è difforme da quanto convenuto. Il committente può chiedere che la difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito; se però la difformità o i vizi sono tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto

(art. 1668).

La responsabilità dell’appaltatore si estingue in queste 3 ipotesi:

1. se il committente ha accettato l’opera, e i vizi o le difformità erano da lui conosciuti, o erano almeno conoscibili e non taciuti in mala fede dall’appaltatore;

2. se il committente fa trascorrere il termine (di decadenza) di 60 giorni dalla scoperta senza denunziare i vizi all’appaltatore;

3. se poi fa trascorrere il termine (di prescrizione) di 2 anni dalla consegna senza fare valere giudizialmente la responsabilità dell’appaltatore o senza compiere nessun atto di messa in mora. Il committente, però, può sempre fare valere detta responsabilità in via di eccezione quando l’appaltatore agisce per il pagamento del prezzo, purchè le difformità o i vizi siano stati denunziati entro 60 giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi 2 anni dalla consegna dell’opera (art. 1667).

La responsabilità decennale dell’appaltatore è inoltre stabilita nell’ipotesi di rovina o gravi difetti di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata.

Il committente, i suoi aventi causa e qualunque terzo che sia stato danneggiato dalla rovina o dal pericolo di rovina o dai gravi difetti della costruzione, devono denunziare i fatti dannosi entro 1 anno dalla scoperta art. 1669 c.1), e l’azione del committente si prescrive entro 1 anno dalla denunzia (art. 1669 c.2).

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I CONTRATTI DI FORNITURA DI ELABORATORI E DI SERVIZI INFORMATICI

L’UTILIZZAZIONE DEI “COMPUTERS”Lo sviluppo dei calcolatori elettronici (c.d. computers) incide sempre più sulle strutture organizzative delle imprese commerciali, le quali li utilizzano per soddisfare le proprie esigenze di raccolta e di elaborazione di dati (ad esempio, per la redazione e la tenuta della contabilità) e/o di funzionamento di elementi aziendali.

Per soddisfare tali esigenze, le imprese possono avere interesse ad acquisire un sistema elettronico, più o meno complesso. Tale sistema è essenzialmente composto di un hardware (ovvero le componenti meccaniche dell’elaboratore elettronico) e di un software (i c.d. programmi, ovvero i modelli operativi che forniscono all’hardware la “memoria” necessaria per l’elaborazione dei dati che vengono immessi nel computers (inputs), consentendogli di erogare le conseguenti risposte (outputs).

Per l’acquisizione del sistema elettronico si possono stipulare contratti aventi per oggetto la fornitura dell’hardware, e contratti aventi per oggetto la fornitura dei softwares.

A tal proposito è opportuno specificare che il software è un bene immateriale (e precisamente un’opera dell’ingegno), per cui solitamente l’utente, nell’acquistare la proprietà del disco o del nastro in cui è inserito il programma necessario per il funzionamento dell’elaboratore, deve anche pagare il diritto di utilizzarlo per le elaborazioni programmate.

Spesso, le imprese fornitrici di hardwares e/o di softwares si obbligano a prestare all’utente anche servizi accessori (quali: manutenzione, aggiornamento dei programmi, ecc..).

Tuttavia, senza acquisire il sistema elettronico, gli utenti possono anche stipulare contratti aventi per oggetto (solo) la prestazione di servizi informatici (ad esempio, per la raccolta e la classificazione di dati contabili) raggiungendo accordi con imprese o organizzazioni non imprenditoriali che gestiscono elaboratori elettronici (centri elettronici) o anche con liberi professionisti (ad esempio, commercialisti, ragionieri), che a loro volta possono avvalersi dei suddetti centri elettronici.

Inoltre, quando il fornitore dei servizi informatici è un imprenditore commerciale, il contratto di fornitura assume le caratteristiche dell’appalto di servizi; quando – invece – il fornitore è un libero professionista, si è in presenza di un contratto d’opera.

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IL TRASPORTOCon il contratto di trasporto una parte (detta vettore) si obbliga a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro.

L’obbligo può essere assunto dietro corrispettivo (art. 1678), e in questo caso si ha il contratto di trasporto a titolo oneroso; oppure senza corrispettivo e in questo caso – invece – si ha il contratto di trasporto a titolo gratuito.

Se poi la prestazione del vettore avviene solo in via extracontrattuale, cioè:

a) senza assumere alcun obbligo

b) e nell’interesse esclusivo del trasportato (un mio amico, sapendo che io mi reco con la mia automobile da Milano a Pavia, mi prega di trasportarlo ed io acconsento per cortesia), si ha il trasporto a titolo amichevole.

Questa distinzione è molto importante per l’accertamento del grado di responsabilità del vettore per i danni subiti dal trasportato.

A seconda se il trasferimento ha per oggetto una persona o una cosa, si distingue il trasporto di cose dal trasporto di persone. Inoltre, a seconda del mezzo di trasporto, si distinguono il trasporto ferroviario, il trasporto automobilistico. Ed infine, a seconda dell’ambiente in cui il trasporto si svolge, si distinguono il trasporto terrestre, il trasporto aereo, e il trasporto marittimo.

Se le cose debbono essere trasportate attraverso le linee di vari vettori, si possono seguire più vie: o si concludono direttamente tanti contratti quanti sono i vettori, oppure si conclude un unico contratto col primo vettore, il quale si obbliga verso il mittente per l’esecuzione dell’intero trasporto, di guisa (cosicché) il mittente rimane estraneo ai rapporti tra il primo vettore ed i successivi (c.d. contratti di subtrasporto).

Se il primo vettore si impegna a compiere il trasporto nelle proprie linee e a concludere per conto del mittente coi successivi vettori altri contratti di trasporto, assume la figura dello spedizioniere (infatti in questo caso si parla di servizio di corrispondenza o di ricarteggio).

Infine, il trasporto può essere assunto con un unico contratto da più vettori successivi (c.d. trasporto cumulativo): che è, appunto, l’unico contratto che può essere concluso con un solo vettore, con le adesioni successive degli altri.

L’OBBLIGO DEL VETTORE DI CONTRARRE CON PARITÀ DI TRATTAMENTO

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Per fare in modo che chiunque possa godere, in condizioni di parità con gli altri dei servizi delle ferrovie dello stato e delle altre imprese concessionarie che gestiscono pubblici servizi di linea, queste sono soggette al c.d. “obbligo di contrarre”, essendo obbligate ad accettare tutte le richieste di trasporto che ricevono, a meno che tutte le richieste siano incompatibili con i mezzi ordinari dell’impresa.

Esse, inoltre, hanno l’obbligo della parità di trattamento, essendo obbligate ad eseguire i contratti conclusi, senza preferenze, seguendo l’ordine delle richieste ed applicando a tutti gli utenti le stesse tariffe (art. 1679 c.1 e 3).

Per quanto riguarda il trasporto di persone diciamo che con questo contratto il vettore si obbliga a trasferire il viaggiatore dal luogo di partenza al luogo di destinazione nel tempo stabilito.

Di solito al viaggiatore viene consegnato un documento il c.d. biglietto di viaggio, che costituisce la prova dell’avvenuta conclusione del contratto e che egli deve esibire per poter esigere la prestazione dal vettore (documento di legittimazione).

Normalmente (ad esempio, nel trasporto ferroviario) viene dato al viaggiatore, prima dell’inizio del viaggio, il diritto di recedere dal contratto e di avere rimborsato il prezzo del biglietto, con la deduzione di una modesta percentuale.

Per quanto riguarda, invece, la responsabilità del vettore diciamo che nel caso in cui il viaggiatore subisca un sinistro ovvero la perdita o l’avaria delle cose che trasporta con sè, la legge pone una presunzione relativa di responsabilità a carico del vettore, che è obbligato a risarcire il danno sofferto dal viaggiatore, a meno che non dia la prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno; pertanto affinchè il vettore non sia responsabile, non è sufficiente una diligenza media, ma è necessaria una diligenza che escluda ogni colpa, anche lieve; sono nulle le cause del contratto che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore (art. 1681 c.1 e 2).

Inoltre vi è – per entrambi i tipi di trasporto – anche la responsabilità extracontrattuale del vettore fondata sul principio generale del neminem laedere previsto dall’art. 2043.

Non vi è responsabilità contrattuale, invece, nel trasporto terrestre a titolo amichevole, dove il vettore è responsabile solo in via extracontrattuale.

Nei trasporti cumulativi di persone (in cui, cioè, è stato stipulato un unico contratto con più vettori), è obbligato al risarcimento solo quel vettore nel cui percorso si è verificato il danno (art. 1682 c.1).

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Se l’inadempimento del vettore ha causato ritardo nell’arrivo o nell’ interruzione del viaggio, il vettore è obbligato a risarcire l’intero danno subito dal viaggiatore (art. 1682 c.2), ma spesso le condizioni generali di contratto limitano tale diritto al rimborso (totale o parziale) del prezzo del biglietto.

Inoltre, nel trasporto aereo può accadere che il vettore proceda alla sovraprenotazione dei voli (c.d. overbooking); pertanto, se al momento dell’accettazione dei passeggeri (check in) il loro numero risulta superiore ai posti disponibili, quelli in eccesso non possono essere imbarcati.

Di conseguenza, i passeggeri non imbarcati hanno diritto di scegliere tra il rimborso del biglietto e l’imbarco in un volo alternativo; in ogni caso il vettore, oltre al rimborso delle spese conseguenti al mancato imbarco, è tenuto anche al pagamento immediato di una somma (detta di compensazione, appunto perché ha la finalità di compensare il negato imbarco).

Per quanto riguarda, invece, il trasporto di cose diciamo che con tale contratto il vettore si obbliga a trasportare entro il termine convenuto (c.d. termine di resa) dal luogo di partenza a quello di destinazione una o più cose consegnategli dal mittente, il quale si obbliga a pagargli il corrispettivo (c.d. porto).

Se cosi viene stabilito nel contratto, il vettore deve consegnare le cose trasportate al domicilio (c.d. resa a domicilio) del mittente o di altra persona a cui le cose sono indirizzate (detta destinataria); altrimenti, dovrà consegnare le cose trasportate nel proprio stabilimento al mittente o al destinatario, dopo averli avvertiti dell’arrivo (art. 1687 c.2).

I diritti verso il vettore spettano al mittente dal momento della conclusione del contratto fino allo svincolo (cioè, fino a quando la merce non è stata lui consegnata – art. 1689 c.1 –); dopo questo momento, spettano al destinatario.

Il mittente ha il diritto di dare contrordini finchè il destinatario non abbia operato lo svincolo, ma deve pagare le spese e i danni derivanti al vettore dal contrordine.

Attraverso il contrordine il mittente può chiedere che il trasporto sia sospeso e le merci gli siano restituite, o che le merci siano consegnate ad un diverso destinatario, oppure ancora modificare le altre condizioni del trasporto (art. 1685 c.1).

Il trasporto di cose è un contratto consensuale, che si conclude con le dichiarazioni delle parti, senza che sia necessario che il mittente

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consegni la merce al vettore; mentre, nel trasporto ferroviario, il contratto è reale in quanto la consegna della merce è necessaria per la sua conclusione.

Inoltre, il mittente – se il vettore lo richiede – deve rilasciare un documento detto lettera di vettura, da lui sottoscritto ed in cui devono essere indicate:

• la natura, il peso, la quantità e il numero delle cose trasportate

• il luogo di destinazione e il nome del destinatario

• e tutte le altre clausole del contratto (art. 1683 e 1684 c.1).

Il vettore, di contro, - se il mittente lo richiede - deve rilasciare un duplicato della lettera di vettura con la propria sottoscrizione ovvero, se non gli è stata rilasciata lettera di vettura, una ricevuta di carico, con le stesse indicazioni (art. 1684 c.2).

Tuttavia, se non viene redatta la lettera di vettura col suo duplicato né rilasciata la ricevuta di carico, il contratto di trasporto è ugualmente valido e può essere provato con qualsiasi mezzo (pertanto, il contratto di trasporto è un contratto a forma libera, la cui conclusione può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova).

Nel trasporto ferroviario, il documento probatorio del contratto deve essere sempre rilasciato e peraltro la documentazione relativa al tale trasporto (ferroviario) è più complessa che negli altri trasporti, poiché alla lettera di vettura (che rimane in possesso del vettore), ed al duplicato della lettera di vettura (che viene consegnato al mittente) si aggiungono:

- l’avviso di arrivo, mediante il quale il vettore avverte il destinatario – in tutti i trasporti senza consegna a domicilio – che le merci sono giunte a destinazione;

- e il bollettino di consegna, nel quale – invece – sono ripetute le indicazioni contenute nella lettera di vettura, e viene consegnato al destinatario al momento dello svincolo, perché questi possa constatare se la merce è giunta in ordine.

I TITOLI RAPPRESENTATIVI DELLA MERCE VIAGGIANTENei diversi tipi di trasporto (terrestre, marittimo, aereo) possono essere emessi documenti che hanno la natura giuridica dei titoli di credito rappresentativi, di titoli, cioè che attribuiscono al possessore il diritto alla consegna delle merci che sono in essi specificate, il

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possesso delle medesime e il potere di disporne mediante il trasferimento del titolo stesso (art. 1996).

E precisamente:

A) Nel trasporto terrestre, sono titoli rappresentativi il duplicato della lettera di vettura o la ricevuta di carico allorquando vengono rilasciate dal vettore con la clausola “all’ordine”: pertanto, solo chi è legittimato dal titolo può esercitare di fronte al vettore i diritti derivanti dal contratto di trasporto (ad esempio, dare contrordini, chiedere la riconsegna della merce) (art. 1691 c.1). Al momento della riconsegna della merce, il possessore legittimo del titolo deve restituirlo al vettore (art. 1691 c.3).

B) Nel trasporto marittimo, sono titoli rappresentativi la polizza di carico, la polizza ricevuto per l’imbarco, gli ordini di consegna. In particolare, la polizza ricevuto per l’imbarco e la polizza di carico sono emesse – dopo la conclusione del contratto – dal vettore marittimo o da un suo rappresentante (ad esempio, il comandante della nave). E precisamente la prima (cioè la polizza di carico) quando le merci sono state ricevute per l’imbarco, ma non sono state ancora caricate sulla nave; mentre la seconda (cioè la polizza ricevuto per l’imbarco) quando già è avvenuto il carico delle merci, cioè l’imbarco.

Questi titoli vengono emessi in due originali: l’uno sottoscritto dal caricatore (nel trasporto marittimo si indica con questo nome il mittente) e destinato a rimanere presso il vettore; l’altro (che è, poi, il titolo rappresentativo della merce) sottoscritto dal vettore e consegnato al caricatore. Il secondo originale può essere nominativo, all’ordine o al portatore, e si trasferisce secondo le regole generali dei titoli di credito.

Le polizze contengono le seguenti principali indicazioni:

Nome e domicilio del vettore, del caricatore ed – eventualmente – del destinatario, il quale viene ad essere l’intestatario del titolo, se questo è nominativo o all’ordine;

Luogo di destinazione;

Luogo e data di caricamento e di consegna;

Natura, qualità e quantità delle cose da trasportare, numero dei colli e marche che li contraddistinguono, stato delle merci e degli imballaggi;

Prezzo del trasporto.

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La polizza di carico serve a trasferire, in caso di vendita della merce, il possesso di tutta la merce al compratore, e non si presta pertanto ad un funzionamento della merce in partite da vendere, consegnandone il possesso, a compratori diversi. Per consentire questo frazionamento, si può convenire nel contratto di trasporto che il vettore, su richiesta del portatore legittimo della polizza di carico, debba emettere degli ordini di consegna, relativi a singole partite della merce rappresentata dalla polizza, con cui si ordina al comandante della nave di consegnare le diverse partite ai possessori dei titoli frazionati. Anche gli ordini di consegna possono essere nominativi, all’ordine o al portatore, e sono regolati in modo analogo alla polizza di carico.

Inoltre, si hanno anche ordini di consegna impropri, poiché pur contenendo l’ordine per il comandante della nave di consegnare le merci al possessore, non sono però emessi dal vettore (o da un suo rappresentante), ma dallo stesso possessore della polizza di carico.

C) Nel trasporto aereo, titolo rappresentativo è la lettera di trasporto aereo che viene emessa in 3 originali, e precisamente: il primo originale porta l’indicazione “per il vettore”, è firmato dal mittente e rimane presso il vettore; il secondo originale porta l’indicazione “per il destinatario”, è firmato dal mittente e dal vettore, ed accompagna nel viaggio le cose trasportate; il terzo originale (che costituisce il titolo rappresentativo delle merci) è firmato dal vettore e consegnato al mittente, che può così trasferirlo a terzi trasmettendo il possesso e la disponibilità della merce.

L’ESECUZIONE DEL RAPPORTO DI TRASPORTO

Il vettore deve consegnare al destinatario le cose trasportate nel termine di resa; resa che deve avvenire al domicilio del destinatario, solo se si è stabilito nel contratto.

Le cose trasportate possono essere gravate da assegni; ciò significa che il mittente ha dato disposizioni al vettore di non consegnare le cose trasportate al destinatario, se prima questi non paga una determinata somma, che di solito costituisce il prezzo della merce e che il vettore riscuote per conto del mittente.

Se il destinatario ritira le cose con ritardo, il vettore ha diritto ad uno speciale compenso a titolo di sosta. Se, invece, il destinatario non ritira le cose trasportate, il vettore deve chiedere istruzioni al mittente; poiché in mancanza (di tali istruzioni), se le cose sono

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soggette ad un rapido deterioramento, il vettore può farle vendere osservando la disciplina dell’esecuzione coattiva della vendita, ed informandone prontamente il mittente (artt. 1686 e1690).

Se il porto è assegnato, e il destinatario non lo paga, il vettore deve richiederne il pagamento al mittente; se anche questi non provvede al pagamento, il vettore – che sulla merce ha un privilegio per il suo credito – può ricorrere alla procedura esecutiva (disposta dagli artt. 2796 e 2797).

Pertanto il vettore, per mezzo di un atto notificato da un ufficiale giudiziario, può intimare al mittente di pagare, avvertendolo che – in mancanza – si procederà alla vendita delle cose trasportate; dopo 5 giorni da detta intimazione, se il mittente non paga il porto o non fa opposizione all’autorità giudiziaria, le cose trasportate possono essere vendute al pubblico incanto o, se hanno un prezzo di mercato, al prezzo corrente (sulla somma cosi ricavata il vettore può realizzare il proprio privilegio, soddisfacendosi prima degli altri creditori del mittente).

LA RESPONSABILITÀ DEL VETTORE NEL TRASPORTO DI COSE

Se le cose trasportate giungono avariate o addirittura si perdono, il vettore è obbligato a risarcire il danno, a meno che non provi che l’avaria o la perdita siano state causate o da caso fortuito (ad esempio, un furto inevitabile perché avvenuto in modo violento ed in circostanze di luogo e di tempo imprevedibili), o da un fatto del mittente o del destinatario o dalla natura delle cose (ad esempio, si trattava di merce per sua natura deteriorabile in 3 giorni, ed invece il termine di resa era di 10 giorni) o – ancora – da vizi delle cose stesse o dal loro imballaggio.

Vi è perciò una presunzione di responsabilità a carico del vettore, che può superarla solo offrendo la prova positiva e specifica dell’evento incolpevole che ha cagionato il suo inadempimento, e rimane quindi obbligato al risarcimento dei danni anche se l’avaria o la perdita sono avvenute nonostante egli provi di avere usato l’ordinaria diligenza (ad esempio, che il furto è avvenuto nonostante le cose siano state sempre custodite). Né deriva che la responsabilità del vettore è una responsabilità aggravata; essa può – però – essere attenuata mediante le clausole contrattuali, le quali stabiliscono che si presumono dovuti a caso fortuito quegli eventi che normalmente dipendono da caso fortuito (art. 1694).

Il diritto al risarcimento spetta al destinatario dopo lo svincolo, poiché prima di questo momento spetta al mittente.

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In caso di avaria o di perdita, il danno viene calcolato secondo il prezzo delle cose trasportate nel luogo di destinazione, senza tener conto se il danno sofferto dal destinatario sia maggiore o minore (art. 1696).

A differenza dei trasporti cumulativi di persone, nei trasporti cumulativi di cose sono obbligati al risarcimento del danno tutti i vettori in modo solidale (in quanto è difficile stabilire in quale tratto del percorso il sinistro si è verificato).

Il mittente infatti può pretendere il risarcimento del danno da tutti i vettori e non ha importanza sapere in quale tratto del percorso il sinistro si è verificato. Tuttavia è opportuno specificare che, nei rapporti interni fra i vettori – invece – ha importanza sapere in quale tratto del percorso ha avuto luogo l’inadempimento, infatti se si prova che il danno è avvenuto nel percorso di un determinato vettore, è questi che deve subire il danno e rimborsare – dunque – coloro che hanno indennizzato il mittente o il destinatario; poiché se – viceversa – non c’è detta prova, il danno si divide tra tutti i vettori in parti proporzionali alla lunghezza dei percorsi, con esclusione di quei vettori i quali provino che il danno non è avvenuto nel proprio tratto (art. 1700 c.2).

Il destinatario – per procurarsi una prova dell’avaria o della perdita - ha il diritto di fare accertare (verifica) prima della riconsegna l’identità o lo stato delle cose trasportate: se non esiste nè avaria, né perdita, le spese della verifica sono a carico del destinatario; in caso contrario, sono a carico del vettore (art. 1697).

L’obbligo del vettore di risarcire il danno si estingue se il destinatario riceve le cose e paga il porto senza fare riserve, nonostante sia riconoscibile un’avaria o la perdita parziale: non si ha estinzione dell’obbligo solo se l’avaria o la perdita è stata causata da dolo o colpa grave del vettore.

In caso di avaria o perdita parziale “non riconoscibile” il diritto al risarcimento si estingue se il danno non è denunziato appena conosciuto e non oltre 8 giorni dopo il ricevimento delle cose; ma poiché il destinatario deve provare che l’avaria o la perdita parziale è avvenuta mentre le cose erano in possesso del vettore e non dopo il ricevimento.

LA PRESCRIZIONE DELLE AZIONI CONTRO IL VETTORE

Le azioni derivanti dal contratto di trasporto si prescrivono normalmente in 1 anno. E precisamente, si prescrivono in 18 mesi se il trasporto ha inizio o termine fuori d’Europa.

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È opportuno specificare che questi termini decorrono dall’arrivo a destinazione della persona; nel trasporto di cose, dal giorno del sinistro o, se non vi è stato nessun sinistro, dal giorno in cui è avvenuta o sarebbe dovuto avvenire la riconsegna delle cose trasportate (art. 2951 c.3).

IL CONTRATTO DI VIAGGIO TURISTICOA seguito dello sviluppo dei mezzi di trasporto, che consentono rapidi spostamenti nazionali ed internazionali, delle strutture presenti nelle località turistiche, e del miglioramento delle condizioni culturali e reddituali di molte popolazioni, si è incrementata l’offerta nel mercato di c.d. “pacchetti turistici” da parte di imprenditori che organizzano per un prezzo forfetario appositi viaggi, in corrispondenza dell’itinerario proposto (dell’alloggio, dei pasti e degli altri servizi).

L’organizzatore, inoltre, ha la possibilità di ottenere dai vettori, dagli albergatori e dagli altri prestatori dei diversi servizi prezzi più bassi delle normali tariffe e, quindi, può offrire un servizio “tutto compreso” inferiore all’ammontare che sarebbe costituito dalla somma dei prezzi corrispondenti a ciascuno dei diversi servizi. Gli utenti, di contro, sono sollevati dalle cure e dalle difficoltà dell’organizzazione dei viaggi e dal rischio degli imprevisti.

La materia è regolata, in attuazione di una direttiva comunitaria, dal d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, in base alla quale i pacchetti turistici preorganizzati hanno ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”, risultanti dalla combinazione di almeno 2 dei seguenti elementi:

a) il trasporto

b) l’alloggio

c) i servizi turistici non accessori al trasporto o all’alloggio (ad esempio, l’itinerario, le visite, le escursioni, ecc..).

Inoltre è opportuno specificare che, affinché il contratto di viaggio turistico sia soggetto alla disciplina del decreto legislativo, occorre che i pacchetti turistici siano “venduti od offerti in vendita ad un prezzo forfetario”, e che siano “di durata superiore alle 24 ore” o si estendano “per un periodo di tempo comprendente almeno una notte” (art. 84).

L’organizzatore dei viaggi può vendere pacchetti turistici direttamente o tramite un venditore (art. 3 c.2).

L’acquirente dei pacchetti è denominato “consumatore”, con il quale si intende:

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- o la persona (c.d. contraente principale) che acquista o si obbliga ad acquistare servizi tutto compreso;

- o le persone per conto delle quali il contraente principale acquista in nome proprio i servizi (c.d. beneficiari dei servizi: ad esempio, moglie, figli,…);

- o, infine, anche le persone a cui il contraente principale o i beneficiari cedono i contratti di viaggio che hanno per oggetto i pacchetti acquistati (c.d. cessionari dei servizi tutto compreso) (art. 83 c.1 lett. c).

La disciplina del contratto di viaggio turistico è ispirata a 2 esigenze fondamentali:

1) la completezza dell’informazione del consumatore, che dev’essergli fornita dall’organizzatore o dal venditore anche con riferimento agli aspetti regolati dalla stessa legge;

2) e la corrispondenza tra i servizi proposti e prepagati e i servizi effettivamente prestati.

Pertanto, sia l’organizzatore che il venditore devono fornire al consumatore – già prima della conclusione del contratto – le notizie rilevanti del viaggio e, se gli pongono a disposizione un opuscolo informativo (c.d. dèpliant), le informazioni in esso indicate devono essere chiare e precise.

Quanto alla forma diciamo che il contratto di viaggio dev’essere redatto per iscritto, ed una copia sottoscritta dall’organizzatore o dal venditore dev’essere consegnata al consumatore (art. 85).

Quanto, invece, al contenuto diciamo che il contratto di viaggio deve contenere tutte le informazioni indicate nell’art. 87, e precisamente: oltre all’indicazione del prezzo e delle caratteristiche principali del viaggio (quali, itinerari, alberghi, pasti, coperture assicurative), devono essere anche indicati gli effetti del recesso del consumatore o dell’annullamento del viaggio, nonché i termini di presentazione dei reclami per l’inadempimento o l’inesatta esecuzione del rapporto.

Gli effetti sono disposti dall’art. 92. E precisamente, in caso di recesso del consumatore, perché si sono verificate le condizioni per la revisione del prezzo concordato, o perché l’organizzatore è stato costretto a modificare in modo significativo uno o più elementi del contratto; o di annullamento del viaggio, cancellato prima della partenza per qualsiasi motivo diverso dalla colpa del consumatore, il rimborso della somma di denaro già corrisposta.

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Nei casi di recesso per modifica delle condizioni contrattuali o di annullamento del viaggio, il consumatore ha inoltre diritto di essere risarcito di ogni ulteriore danno; anche se tale risarcimento non è dovuto, se la cancellazione del viaggio è dipesa da forza maggiore.

In caso di inadempimento, l’organizzatore e il venditore sono obbligati al risarcimento dei danni, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che l’inadempimento è stato determinato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile (art. 93 c.1).

Per quanto riguarda i termini di eventuali reclami, l’art. 98 dispone che: “ogni mancanza nell’esecuzione del contratto deve essere contestata dal consumatore senza ritardo affinché l’organizzatore, il suo rappresentante locale o l’accompagnatore vi pongano tempestivamente rimedio”; e che “il consumatore può altresì sporgere reclamo mediante l’invio di una raccomandata, con avviso di ricevimento, all’organizzatore o al venditore, entro e non oltre 10 giorni lavorativi dalla data di rientro presso la località di partenza”.

Inoltre, presso il Ministero delle attività produttive è istituito un fondo nazionale di garanzia per consentire, qualora si verifichi l’insolvenza o il fallimento dell’organizzatore o del venditore del viaggio turistico, il rimborso del prezzo versato ed il rimpatrio del consumatore nel caso di viaggi all’estero (art. 100).

IL DEPOSITO IN ALBERGO E NEI MAGAZZINI GENERALINel contratto d’albergo, l’albergatore, contro un corrispettivo in denaro, si obbliga ad alloggiare il cliente in uno o più locali dell’albergo, convenientemente mobilitati e forniti di adeguati servizi e – di solito – a fornirgli le bevande e i cibi richiesti.

Il codice regola la responsabilità dell’albergatore nell’ipotesi in cui il cliente subisca la sottrazione, la perdita o il deterioramento delle cose che ha con sé (art. 1783); e precisamente, si distinguono 2 ipotesi:

a) e cioè, l’ipotesi in cui dal cliente le cose sono state consegnate in custodia all’albergatore, o che questi ha rifiutato di ricevere pur avendo l’obbligo di accettarle (art. 1784);

b) e l’ipotesi in cui si tratta di cose dal cliente portate in albergo (intendendosi per tali, oltre a quelle nell’alloggio, anche quelle consegnate all’albergatore o ad un suo dipendente onde vengano custodite fuori dell’albergo per il periodo in cui il cliente dispone dell’alloggio).

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Nella prima ipotesi (a), la responsabilità dell’albergatore è illimitata; mentre nella seconda (b), la sua responsabilità è limitata al valore della perdita “sino all’equivalente di 100 volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata”.

Da questa responsabilità (sia illimitata sia limitata) l’albergatore può liberarsi solo provando che la perdita o il deterioramento “sono dovuti: 1) al cliente, alle persone che l’accompagnano, che sono al suo servizio o gli rendono visita; 2) a forza maggiore; 3) alla natura della cosa” (art. 1785).

Il cliente, appena constata il danno, ha l’obbligo di denunciarlo senza ingiustificato ritardo all’albergatore, altrimenti questi non ne risponde, a meno che si tratti di danno causato da colpa grave, sua o dei suoi familiari o dipendenti. Infatti, i patti o le dichiarazioni volte ad escludere o limitare preventivamente la responsabilità dell’albergatore sono nulli.

Tuttavia è opportuno specificare che, questa disciplina della responsabilità non si applica ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi, né agli animali vivi; pertanto, se veicoli o animali vengono affidati alla custodia dell’albergatore, questi è obbligato come depositario (art. 1766), e quindi deve custodirle con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1768), sottraendosi ad ogni responsabilità solo se prova che il danno è dipeso da una causa a lui non imputabile (artt. 1218, 1780).

La stessa responsabilità degli albergatori, è prevista per gli imprenditori titolari di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili (ad esempio, campeggi turistici: art. 1786).

Quanto al deposito nei magazzini generali, diciamo innanzitutto che i magazzini generali sono luoghi di deposito particolarmente attrezzati per garantire ai depositanti una conservazione razionale della loro merce.

In particolare, le imprese di deposito nei magazzini generali sono soggette ad autorizzazione ed a vigilanza governativa. Esse sono obbligate, finchè dispongono di spazio, a prendere in deposito tutte le merci comprese nelle loro tariffe.

Spesso il deposito nei magazzini generali è un deposito “alla rinfusa”, nel senso che il depositante consente che la sua merce venga unita a quella di altri depositanti (ad esempio, in modo da formare un solo cumulo di grano); in questo caso, il depositante non ha più un diritto esclusivo sulla sua merce, ma un diritto di comunione (insieme agli altri depositanti) sulla merce riunita in una sola massa. Se il deposito

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è alla rinfusa, i magazzini generali non possono rilasciare la fede di deposito e la nota di pegno relative alla merce depositata, giacchè in quei titoli devono essere indicati “ gli estremi atti a individuare” le merci rappresentate (art. 1790).

La responsabilità dell’imprenditore esercente i magazzini generali è più grave della responsabilità degli altri depositari. Invece, l’esercente i magazzini, per essere esente da responsabilità, deve fornire la prova positiva che la perdita o il calo o l’avaria sono dovuti ad una di queste 4 cause specifiche:

1) il caso fortuito

2) la natura delle merci

3) i vizi delle merci

4) l’imballaggio (art. 1787).

Di conseguenza, i danni derivanti da cause ignote sono a suo carico.

Inoltre, l’esercente i magazzini – previo avviso al depositante – può fare vendere le merci per mezzo di un pubblico mediatore, nelle seguenti 3 ipotesi:

a) quando il deposito è a tempo determinato e, scaduto il termine, le merci non sono state ritirate;

b) quando il deposito è a tempo indeterminato, ed è decorso un anno dalla data del deposito;

c) quando le merci sono minacciate di deperimento.

Il ricavato della vendita, dedotte le spese e quanto altro spetta ai magazzini generali, deve essere tenuto a disposizione degli aventi diritto (art. 1789 c.2).

I TITOLI RAPPRESENTATIVI DELLA MERCE DEPOSITATA: FEDE DI DEPOSITO E NOTA DI PEGNO

I magazzini generali – a richiesta di chi ha depositato presso di essi una determinata quantità di merce specificata – devono rilasciare congiuntamente, staccandole da un unico registro a matrice (art. 1791 c.2), una fede di deposito ed una nota di pegno, intestate al depositante o ad un terzo da questi designato, e contenenti le seguenti indicazioni:

a) il cognome, il nome o la ditta e il domicilio dell’intestatario;

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b) il luogo del deposito;

c) la natura e la quantità delle merci depositate e gli altri estremi per l’individuazione;

d) posizione doganale della merce e sua eventuale assicurazione (art. 1790).

In particolare, fede di deposito e nota di pegno sono titoli di credito rappresentativi (che però, possono essere emessi solo con la clausola “all’ordine”), per cui il portatore legittimo di essi ha diritto ad avere riconsegnate le merci dal magazzino generale, ed ha anche il diritto di chiedere che, a sue spese, le cose depositate siano divise in più partite e che per ogni partita gli siano rilasciate una fede di deposito ed una nota di pegno distinte (art. 1793 c.1).

Pertanto, quando l’intestatario dei titoli vende la merce, per consegnare il possesso al compratore, non ha che a girargli e a consegnarli entrambi i titoli.

Può accadere, però, che i due titoli (piuttosto che circolare congiuntamente) circolino separatamente. Infatti, con questi titoli di deposito, l’intestatario ha anche la possibilità di dare in pegno le merci per ottenere finanziamenti: per questo effetto, è sufficiente girare e consegnare la sola nota di pegno, costituendo così un diritto cartolare di credito garantito da un diritto di pegno sulla merce, e pertanto il portatore legittimo della nota di pegno è legittimato sia a pretendere l’adempimento del credito cartolare sia a realizzare – in caso di inadempimento – il diritto di pegno costituito a garanzia del credito stesso.

La prima girata della sola nota di pegno deve indicare l’ammontare e la scadenza del credito concesso dal giratario, e l’indicazione degli interessi. Questa prima girata, corredata da queste indicazioni, deve essere trascritta sulla fede di deposito e controfirmata dal giratario, in modo che ogni (successivo) titolare della fede di deposito venga a conoscenza dell’ammontare del credito e della sua scadenza (art. 1794 c.1).

Se nella girata della nota di pegno non si indica l’ammontare del credito, il possessore della nota in buona fede può pretendere l’intero valore delle cose depositate.

Il portatore legittimo della sola fede di deposito può ritirare la merce solo se deposita presso i magazzini generali la somma che risulta dovuta al creditore pignoratizio.

Venuta la scadenza del credito garantito dal pegno, il portatore legittimo della nota di pegno ne chiederà il pagamento al debitore principale, cioè al primo girante della nota di pegno (che è colui che

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ha ottenuto il finanziamento); se questi è ancora il portatore della fede di deposito, provvede al pagamento e così, ottenendo la restituzione della nota di pegno, riunisce in sé di nuovo i due titoli e può senz’altro farsi riconsegnare la merce dai magazzini generali; se – invece – ha girato ad altri la (sola) fede di deposito, ma alla scadenza del debito provvede egualmente a pagare il possessore della nota di pegno, resta surrogato nei diritti di quest’ultimo e può procedere alla vendita delle cose depositate decorsi 8 giorni dalla scadenza del credito (art. 1796 c.2).

Pertanto, l’attuale titolare della fede di deposito, privo della nota di pegno, essendo informato della scadenza del credito garantito dalla nota di pegno dalla trascrizione che sulla fede di deposito è stata fatta nella prima girata della nota di pegno, sa che – dopo 8 giorni da detta scadenza – la merce corre il rischio di essere venduta.

Per la soddisfazione del suo credito, il portatore della nota di pegno ha azione contro il debitore principale (primo girante della nota), contro gli altri giranti della nota di pegno e contro i giranti della fede di deposito. Dunque, per agire in regresso contro gli altri giranti della nota di pegno, il creditore pignoratizio non solo deve avere proceduto alla vendita della merce gravata dal pegno (art. 1797 c.1), ma inoltre alla scadenza del credito deve avere levato tempestivamente il protesto ed entro 15 giorni dal protesto deve anche avere fatto istanza per la vendita delle cose depositate.

L’azione di regresso si prescrive in 1 anno.

Anche se il creditore pignoratizio ha perduto – o per decadenza o per prescrizione – l’azione di regresso contro i giranti della nota di pegno successivi al primo girante (debitore principale), tuttavia conserva l’azione contro quest’ultimo e contro i giranti della fede di deposito: azione che si prescrive in 3 anni (art. 1797 c.4).

CONTRATTI CON FUNZIONE AUSILIARIA

IL MANDATOIl mandato è il contratto con il quale una parte (detta mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici (di solito, contratti) per conto dell’altra parte (detta mandante) (art. 1703).

È proprio il compimento di atti giuridici che consente di distinguere il mandato da altri contratti affini, quali ad esempio: l’appalto, il trasporto o il contratto d’opera.

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Il mandato può anche essere a titolo gratuito, ma di solito è a titolo oneroso (art. 1709), e quindi il mandante è obbligato a ricompensare il mandatario per l’attività prestatagli.

La misura del compenso, se non è stata stabilita nel contratto, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice.

Se il mandatario è incaricato di compiere uno o alcuni atti determinati, il mandato si dice speciale; se, invece, è incaricato di compiere tutti gli atti giuridici che interessano il mandante, il mandato si dice generale. Tuttavia è opportuno specificare che il mandato generale comprende, però, solo gli atti di ordinaria amministrazione (art. 1708 c.2).

Se il mandante è un imprenditore commerciale, il mandatario può essere definito un suo ausiliario: però a differenza degli institori, dei procuratori e dei commessi, egli è un

ausiliario autonomo, perché non è vincolato da un rapporto di lavoro subordinato.

IL MANDATO CON RAPPRESENTANZA E SENZA RAPPRESENTANZA

Il mandato, essendo un contratto, è un negozio giuridico bilaterale, perché è costituito dalle dichiarazioni di volontà di entrambe le parti. Al mandato, si può aggiungere la procura, che invece è un negozio unilaterale, poiché è costituito dalla dichiarazione di volontà del solo mandante. E precisamente, con la procura, il mandante conferisce al mandatario il potere di rappresentanza; pertanto, si possono distinguere mandatari con rappresentanza e mandatari senza rappresentanza (art. 1704 e 1705).

Il mandatario con rappresentanza compie tutti gli atti giuridici in nome del mandante, cioè dichiara al terzo che il soggetto degli effetti dell’atto è il mandante; pertanto, se il mandatario compra un bene determinato, la proprietà del bene viene acquistata dal mandante, il quale è obbligato a versare il prezzo al terzo venditore.

Il mandatario senza rappresentanza, invece, compie gli atti giuridici per conto del mandante, ma in nome proprio. I terzi non entrano in rapporti con il mandante, anche se sapevano dell’esistenza del mandato, e che quindi il mandatario agiva nell’interesse del mandante. Pertanto è il mandatario che diventa titolare dei crediti e dei debiti derivanti dagli atti conclusi, anche se si ammette che il mandante possa esercitare i diritti di credito del mandatario, sostituendosi allo stesso (art. 1705 c.2).

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Nei rapporti tra mandante e mandatario gli effetti degli atti compiuti devono essere attribuiti al mandante, pertanto quest’ultimo deve fornire al mandatario i beni necessari per adempiere le obbligazioni assunte verso i terzi, ed inoltre – egli – deve porre a disposizione del mandante i beni acquistati per suo conto (somme di denaro, beni mobili e immobili).

Per le somme di denaro, per i beni immobili e per i beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a trasferirne la proprietà al mandante (art. 1706 c.2), e se non lo fa il mandante può chiedere all’autorità giudiziaria che, questo, trasferimento avvenga mediante sentenza.

Per i beni mobili, invece, il mandatario è obbligato a trasferirne solo il possesso, il che significa che la proprietà degli stessi appartiene al mandante fin dal momento dell’esecuzione del mandato (ciò si desume dall’art. 1706 c.1, il quale attribuisce al mandante l’azione di rivendicazione).

Quanto alla forma diciamo che, il mandato è un contratto a forma libera (può essere, cioè, concluso in qualsiasi forma); tuttavia, se il mandato (anche quello senza rappresentanza) ha per oggetto l’acquisto o l’alienazione di beni immobili, esso dev’essere conferito per iscritto a pena di nullità.

GLI ALTRI OBBLIGHI DEL MANDANTE E DEL MANDATARIO

• Il mandante, oltre al pagamento del compenso, è obbligato a rimborsare al mandatario le somme dallo stesso anticipate, con gli interessi dal giorno dell’anticipo (art. 1720). Per assicurargli la soddisfazione dei suoi crediti, la legge stabilisce che il mandatario è privilegiato sulle cose che detiene in esecuzione del mandato e sui crediti pecuniari scaturiti dagli affari che ha concluso e può vendere le cose soggette a privilegio come se sulle stesse avesse un diritto di pegno.

• Il mandatario deve eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.1), seguendo le istruzioni ricevute e discostandosene solo quando circostanze ignote al mandante e non comunicabili in tempo facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe modificato le istruzioni originarie.

Quanto all’eccesso di potere diciamo che, se il mandatario eccede i limiti del mandato, il mandante può decidere:

- o di ratificare l’atto compiuto dal mandatario, e quindi (con la ratifica) accettarne gli effetti per sé;

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- oppure può rifiutarne la ratifica, e lasciare gli effetti dell’atto a carico del mandatario (art. 1711 c.1). In quest’ultimo caso, se il mandatario era privo del potere di rappresentanza, l’atto si considererà compiuto per proprio conto; se, invece, il mandatario aveva la rappresentanza, egli non sarà tenuto ad acquistare la merce al prezzo pattuito, ma sarà soltanto “responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto”.

Per quanto riguarda l’esecuzione del mandato diciamo che, il mandatario può eseguire il mandato per mezzo di un’altra persona (sostituto). Per stabilire se il mandatario sia ( o meno) responsabile delle eventuali colpe del sostituto, bisogna distinguere se il mandante avesse o meno autorizzato detta istituzione:

a) in caso di autorizzazione, con indicazione da parte del mandante dell’eventuale sostituto, il mandatario non risponde dell’operato del sostituto; se, viceversa, il sostituto è stato scelto dal mandatario, questi ne risponde se ha commesso colpa nella scelta (art. 1717 c.2);

b) se la sostituzione non era autorizzata né era necessaria per la natura dell’incarico, il mandatario risponde dell’operato del sostituto e perciò, in caso di colpa del sostituto, sono direttamente responsabili verso il mandante sia il mandatario che il sostituto (art. 1717 c.1 e 3).

Il mandatario, inoltre, deve avvisare senza ritardo il mandante dell’esecuzione del mandato, rendergli il conto degli affari compiuti e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto in esecuzione del mandato (art. 1712 e 1713). Se i terzi, con i quali il mandatario ha concluso degli affari, non eseguono le loro obbligazioni, il mandatario non è responsabile. Egli, infatti, è responsabile solo se all’epoca del contratto conosceva – o avrebbe dovuto conoscere – l’insolvenza delle controparti, ovvero se la sua responsabilità è stata prevista nel contratto di mandato (art. 1715).

Se il mandato è gratuito, la responsabilità del mandatario per colpa è valutata con minore rigore (art. 1710 c.1).

• Nel mandato, inoltre, può essere aggiunta la c.d. clausola di esclusiva, e precisamente: se l’esclusiva è a favore del mandatario, il mandante non può nominare altri mandatari nella stessa zona; se, invece, è a favore del mandante, il mandatario non può assumere altri mandati nella stessa zona e per lo stesso genere di affari; se, infine, è a favore di entrambi, si producono ambedue dette conseguenze.

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L’ESTINZIONE DEL MANDATO

Il rapporto di mandato si estingue per le seguenti cause (previste dall’art. 1722):

1. Scadenza del termine o compimento, da parte del mandatario, dell’affare per il quale il mandato è stato conferito.

2. Morte, interdizione o inabilitazione del mandante o del mandatario. Se però il mandato ha per oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio di un’impresa, e l’impresa viene continuata, il mandato non si estingue: tuttavia, ciascuna delle parti, e i loro eredi, hanno il diritto di recedere dal rapporto.

3. Revoca del mandante. E precisamente, questi rimane però obbligato al risarcimento del danno in 3 ipotesi:

a. Se il mandato era a titolo oneroso e a tempo indeterminato, ed egli lo ha revocato senza giusta causa o senza preavviso (art. 1725 c.2);

b. Se il mandato era a titolo oneroso ed era stato conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, e la revoca è fatta senza giusta causa prima della scadenza del termine o prima del compimento dell’affare

c. Se era stata convenuta la irrevocabilità del mandato, e la revoca è compiuta senza una giusta causa (art. 1723 c.1).

4.Rinunzia del mandatario. E questi è tenuto al risarcimento del danno in 2 ipotesi:

a. Se il mandato è a tempo indeterminato, e il mandatario rinunzia senza una giusta causa o senza preavviso;

b. Se il mandato è a tempo determinato o per un determinato affare, e il mandatario rinunzia senza giusta causa (art. 1727 c.1).

Tuttavia, negli artt. 1723-1730 è contenuta una disciplina più dettagliata delle cause di estinzione del mandato.

LE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE D’IMPRESA PER L’ESECUZIONE DI OPERE PUBBLICHE

Spesso più imprenditori possono decidere di riunirsi insieme per eseguire un opera di dimensioni molto rilevanti o che presenti

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caratteristiche tecniche che possono essere soddisfatte dall’una o dall’altra impresa.

Per l’esecuzione dell’opera potrebbe anche essere costituita una società, un consorzio o una società consortile, o anche farsi ricorso ad un contratto di associazione in partecipazione.

La legislazione speciale in tema di appalti pubblici ammette che possono partecipare alle gare per l’aggiudicazione dei lavori, presentando apposite offerte congiunte – oltre a imprese individuali e sociali, a consorzi formati da imprese commerciali, artigiane e cooperative – anche associazioni temporanee di imprese, appositamente raggruppate.

Le singole imprese “facenti parte del gruppo risultato aggiudicatario della gara” devono conferire, con un unico atto, mandato speciale con rappresentanza ad una di esse, designata quale capogruppo; in particolare, si tratta di una mandato collettivo, perché – esso – viene conferito da più persone con unico atto e per un affare di interesse comune (art. 1726).

Il mandato conferito all’impresa capogruppo deve risultare da scrittura privata autenticata (art. 2703). Esso è per legge gratuito ed irrevocabile. All’impresa capogruppo spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti dell’amministrazione appaltante.

Tutte le imprese sono però solidalmente responsabili nei confronti della stessa Amministrazione appaltante, la quale può agire direttamente nei confronti di ciascuna di esse.

I CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE:

- COMMISSIONE

- CONCESSIONE

- E AFFILIAZIONE COMMERCIALE (FRANCHISING)

Quando il mandato (senza rappresentanza) ha per oggetto la compera o la vendita di beni in nome del mandatario e per conto del mandante, si denomina commissione, e precisamente: il mandante si chiama committente e il mandatario – invece – commissionario (art. 1731).

Spesso, il committente è un produttore che affida al commissionario i rapporti con la clientela, talvolta assicurandole anche l’assistenza tecnica.

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Al commissionario spetta una provvigione sugli affari conclusi, la cui misura, se non è stabilita dalle parti o dalle tariffe professionali, si determina secondo gli usi del luogo in cui è compiuto l’affare; in mancanza, è determinata dal giudice secondo equità (art. 1733).

Se il committente revoca la commissione, al commissionario spetta una parte della provvigione, che si determina tenendo conto delle spese sostenute e all’opera prestata

(art. 1734).

Se nel contratto nulla è stabilito circa il potere del commissionario di concedere dilazioni di pagamento (c.d. vendite a fido), bisogna accertare se gli usi del luogo in cui si compie l’operazione attribuiscono o meno questo potere al commissionario: se gli usi gli danno questo potere, il commissionario che ha concesso dilazioni di pagamento deve indicare al committente la persona del contraente e il termine concesso (art. 1732 c.3); se il commissionario non fa detta comunicazione, o se gli usi non gli danno il potere di fare fido, o se nel contratto gliene è stato fatto divieto, il committente può esigere dal commissionario che ha concesso dette dilazioni il pagamento immediato della merce venduta (art. 1732 c.2).

Il contratto o gli usi possono stabilire che il commissionario è responsabile verso il committente per la mancata esecuzione del contratto da parte del terzo contraente, cioè di colui a cui il commissionario ha venduto la cosa o da cui il commissionario l’ha comprata – c.d. star del credere – . In questo caso, cioè quando è stabilito lo star del credere, per tale responsabilità al commissionario spetta una maggiore provvigione, la quale è stabilita dal contratto o dagli usi; in mancanza anche di usi, è determinata dal giudice secondo equità (art. 1736).

Il contratto di concessione di vendita, è il contratto nel quale le imprese produttrici si obbligano a “concedere” in vendita, rifornendolo continuamente, i propri prodotti ad un altro imprenditore (detto concessionario), il quale ne acquista cosi la proprietà, assumendo verso il concedente l’obbligo di promuovere la rivendita ai terzi.

Nei contratti di concessione, sono di solito previste clausole per cui il concessionario acquista il diritto di usare nella pubblicità il nome e i marchi del concedente, ricevendone anche ricambi ed assistenza tecnica; a sua volta, il concessionario assume l’obbligo di assicurare, con una idonea organizzazione della propria azienda, i servizi di garanzia e di assistenza alla clientela (il contratto di concessione è particolarmente diffuso per la vendita di autoveicoli, di prodotti meccanici ed informatici).

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Il contratto di affiliazione (franchising) è il contratto con il quale l’impresa affiliante, anche se utilizza per la vendita al pubblico proprie sedi secondarie;inoltre, stipula accordi con altri imprenditori del settore (detti affilianti), cosicché costoro vendano al pubblico nelle loro sedi i prodotti dell’affiliante, svolgendo così un servizio ausiliario all’ampliamento dell’attività di distribuzione; a tali fini concedendo agli affiliati “la disponibilità, verso un corrispettivo, di un’insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relative a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know how, brevetti, eccc…

Di conseguenza, gli affiliati si obbligano ad adottare modalità di vendita simili a quelle usate nelle succursali dell’affiliante.

I contratti di affiliazione (franchising) possono essere utilizzati in ogni attività economica (art. 1 c.2) e devono essere redatti per iscritto a pena di nullità (art. 3 c.1).

Le norme legislative tendono soprattutto a tutelare la posizione degli affiliati, in quanto sono considerati contraenti deboli. A sua volta, l’affiliato ha per legge l’obbligo di osservare e di fare osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza sul contenuto dell’attività oggetto di franchising (art. 5).

IL CONTRATTO DI SPEDIZIONE

Quando il mandato (senza rappresentanza) ha per oggetto la conclusione di un contratto di trasporto per conto del mandante e in nome del mandatario, il contratto si denomina spedizione (e precisamente il mandatario è lo spedizioniere e il mandante è il committente) [art. 1737].

La differenza tra contratto di trasporto e contratto di spedizione dipende dal contenuto dell’obbligo assunto, e precisamente: se si assume l’obbligo di trasportare la merce, si ha un contratto di trasporto, sia che si esegua l’obbligo mediante attività e mezzi propri e sia che si esegua l’obbligo con mezzi altrui; se invece si assume l’obbligo di concludere un contratto di trasporto per conto del committente, si ha la spedizione.

Spesso lo spedizioniere si assume sia gli obblighi del vettore, in quanto si obbliga a trasportare la merce dalla residenza del committente fino allo stabilimento del vettore; e sia quelli dello spedizioniere, in quanto – dopo detto trasporto – deve concludere un contratto di trasporto per conto del committente (art. 1741).

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Fino a quando lo spedizioniere non ha concluso il contratto di trasporto con il vettore, il committente può revocare l’ordine di spedizione, rimborsando allo spedizioniere le spese sostenute e corrispondendogli un equo compenso per l’attività prestata (art. 1738).

Se non è stabilito dal contratto o dagli usi lo spedizioniere non ha l’obbligo di assicurare le cose spedite (art. 1739 c.2).

Se la misura della provvigione non è fissata nel contratto, essa si determina secondo le tariffe professionali o – in mancanza – secondo gli usi del luogo in cui avviene la spedizione; oltre alla provvigione, lo spedizioniere ha diritto al rimborso delle spese anticipate e ad un compenso per le eventuali prestazioni accessorie (ad esempio, per l’imballaggio della merce) [art. 1740].

IL CONTRATTO DI AGENZIA

Il contratto di agenzia intercorre tra due parti: una detta preponente, l’altra detta agente.

L’agente si obbliga a svolgere – in modo continuativo e in una determinata zona territoriale – tutta l’attività necessaria per fare concludere al preponente i contratti d’esercizio della sua impresa (art. 1742).

La figura dell’agente si distingue da quella del c.d. procacciatore d’affari poiché l’attività di quest’ultimo è saltuaria, mentre quella dell’agente è stabile e duratura. Di solito il compito dell’agente è quello di promuovere la conclusione degli affari del preponente; se, però, gli viene conferito pure il potere di concludere direttamente i contratti, allora l’agente assume anche la figura del rappresentante (così, accanto alla figura dell’agente di commercio, si ha la figura del rappresentante di commercio).

Quando all’agente è stata conferita la rappresentanza per la conclusione dei contratti, la stabilità del rapporto costituisce l’elemento principale per distinguere il contratto di agenzia dal contratto di mandato con rappresentanza.

L’agente, per svolgere la sua attività, deve costituire un’azienda (detta agenzia), procurandosi la disponibilità di un locale, arredandolo di quanto necessario, procurandosi i mezzi di trasporto, assumendo il personale necessario; ed inoltre, le spese per la costituzione e il funzionamento dell’agenzia sono a carico dell’agente (art. 1748 c.4).

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In ricompensa delle sue attività, l’agente ha diritto alle corrispondenti provvigioni; se le spese sono inferiori alle provvigioni, l’agente ha un guadagno; altrimenti subisce una perdita.

Pertanto, anche l’agente corre i rischi caratteristici dell’imprenditore, ed è anch’egli un imprenditore commerciale, seppure ausiliario autonomo dell’imprenditore preponente.

Se, invece, l’attività dell’agente ha carattere prevalentemente personale, allora egli non è un imprenditore commerciale, bensì un lavoratore autonomo.

Per svolgere la loro attività, gli agenti di commercio devono iscriversi in un apposito ruolo istituito presso la camera di commercio. A tal proposito è opportuno specificare che senza l’iscrizione, il rapporto di agenzia è nullo, e l’agente non ha quindi diritto al pagamento delle

provvigioni, ma potrebbe agire nei confronti del preponente soltanto con l’azione generale di arricchimento senza causa (art. 2041).

LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI AGENZIA

Il contratto di agenzia deve essere provato per iscritto, e ciascuna parte ha il diritto di riceverne dall’altra una copia (art. 1742 c.2). Del contratto di agenzia il diritto di esclusiva costituisce un elemento naturale; pertanto l’agente, anche nel silenzio del contratto, nella zona territoriale assegnatagli (c.d. zona riservata) non può svolgere la sua attività per conto di un altro imprenditore che sia in concorrenza col primo.

Il preponente, a sua volta, nella zona riservata all’agente non può servirsi di altri agenti per lo stesso ramo di affari (art. 1743).

Di solito l’agente promuove soltanto la conclusione dei contratti, visitando i probabili clienti, facendo pubblicità ai prodotti, informando il preponente delle condizioni del mercato nella zona assegnatagli; ciò significa che è poi il preponente che conclude direttamente i contratti coi clienti, che esercita i diritti derivanti dai contratti conclusi (ad esempio, i diritti di credito). L’agente, dunque, non ha il potere di concludere i contratti in rappresentanza del preponente nè di riscuoterne i crediti.

Il preponente, però, può attribuirgli espressamente detti poteri.

All’agente spetta la provvigione per tutti gli affari conclusi a seguito della sua attività (art. 1748 c.1), nonché per quelli che siano stati promossi dal preponente personalmente, ossia senza la collaborazione dell’agente, nella sua zona riservata.

L’agente, tuttavia, ha diritto alla provvigione solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione; per gli affari conclusi anche dopo lo

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scioglimento del rapporto, se promossi in precedenza dallo stesso agente e se la loro conclusione è effetto soprattutto della sua attività.

Per gli affari che, invece, non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente diciamo che: se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l’agente ha diritto – per la parte ineseguita – ad una provvigione ridotta nella misura stabilita dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità (art. 1748 c.5).

A differenza di quanto è previsto per il contratto di commissione, nel contratto di agenzia è nullo lo “star del credere” che preveda in modo generalizzato a carico dell’agente la responsabilità per l’inadempimento delle obbligazioni dei clienti. La garanzia dello star del credere è eccezionalmente ammessa solo “con riferimento ai singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati”, ed a condizione che l’ammontare della garanzia assunta dall’agente non superi l’ammontare della provvigione spettategli per l’operazione garantita.

Il rapporto di agenzia può essere:

- a tempo determinato, in cui il contratto si scioglie per lo scadere del termine;

- o indeterminato, in cui, invece, si scioglie per il recedere di una delle parti, che può farlo ma deve dare preavviso all’altra parte nel termine stabilito dalla legge (da uno a sei mesi) [art. 1750 c.2 e 3].

All’atto dello scioglimento del rapporto il preponente deve corrispondere una indennità all’agente, quando la sua attività gli ha procurato dei vantaggi permanenti; l’indennità non è dovuta se il rapporto di agenzia non è proseguito, neppure provvisoriamente, per gravi inadempimenti dell’agente; o se questi è receduto dal contratto senza giusta causa; o se, d’accordo con il proponente, ha trasferito a terzi il rapporto di agenzia (art. 1751).

Per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di agenzia può essere posto a carico dell’agente “l’obbligo di non concorrenza”, che deve essere convenuto per iscritto e non può superare i 2 anni e – ovviamente – deve riguardare la stessa zona, la stessa clientela e genere di beni o di servizi oggetto del contratto di agenzia (art. 1751-bis).

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LA MEDIAZIONENel rapporto di mediazione Tizio incarica Caio (mediatore) di procurargli la possibilità di concludere un affare (ad esempio, vendere uno stabilimento, e desidera entrare in contatto con un possibile compratore). Caio, pur accettando l’incarico, non è obbligato a svolgere l’attività di ricerca della possibile controparte di Tizio.

I mediatori, dunque, sono coloro che agevolano la conclusione degli affari e sono perciò di grande ausilio agli imprenditori per il compimento della loro attività economica. L’unica differenza sta nel fatto che, mentre il rapporto degli imprenditori con i commissionari e con gli agenti è un rapporto continuativo e duraturo, il rapporto di mediazione è saltuario ed occasionale, e il mediatore deve essere indipendente, cioè non deve essere legato a nessuna delle parti “da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” (art. 1754).

Per esercitare l’attività di mediazione sia in modo professionale sia in modo discontinuo od occasionale, occorre essere iscritti in appositi ruoli tenuti dalle camere di commercio; in mancanza di tale iscrizione, il mediatore non ha diritto alla provvigione, ed è soggetto a sanzioni amministrative e penali.

Inoltre, se si occupano della negoziazione di titoli, i mediatori professionali assumono la qualifica di agenti di cambio; se, invece, si occupano della negoziazione di merci, sono detti sensali; se, infine, collaborano alla conclusione di contratti di assicurazione, sono detti brokers.

Per quanto riguarda la disciplina del rapporto di mediazione , diciamo che il regolamento della mediazione è incentrata sulla imparzialità che il mediatore deve avere.

Infatti, proprio perché deve tenere un atteggiamento imparziale tra i due contraenti, il mediatore deve comunicare ad ognuna delle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare che possono influire sulla sua conclusione.

Il mediatore è soggetto ad una pena pecuniaria (sanzione amministrativa) – e nei casi più gravi anche alla sospensione della professione fino a 6 mesi – se presta la sua attività nell’interesse di persona notoriamente insolvente o della quale conosce lo stato di insolvenza (art. 1764). Inoltre, egli (il mediatore), è sempre responsabile dell’autenticità delle sottoscrizioni, se il contratto è concluso per iscritto; e dell’autenticità dell’ultima girata, se l’affare concluso consiste nella negoziazione di titoli a legittimazione nominale (art. 1759 c.2).

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Dato il suo obbligo di imparzialità, il mediatore professionale in affari su titoli o su merci deve precostituire e conservare le prove dei contratti, la cui conclusione egli ha agevolato; pertanto, egli, è obbligato:

a) ad annotare su apposito libro gli estremi essenziali dei contratti stipulati col suo intervento, e a rilasciare alle parti copia da lui sottoscritta di ogni annotazione;

b) a conservare i campioni delle merci vendute su campione, finchè sussista la possibilità di controversia sulla identità della merce;

c) a rilasciare al compratore una lista firmata dei titoli negoziati, con la indicazione della serie e del numero (art. 1760).

Se non adempie a tali obblighi, il mediatore professionale è soggetto alle sanzioni previste dall’art. 1764.

Ovviamente il mediatore una volta che le parti abbiano concluso il contratto, resta estraneo, a meno che una delle parti non lo incarichi di rappresentarla in detta esecuzione.

Spesso, poi, uno dei contraenti non si rivela all’altro, ed è perciò il mediatore a concludere il contratto, tacendo alla controparte il nome dell’altro contraente. In questa ipotesi il mediatore, fino a che non rivela il nome del contraente ignoto, risponde verso l’altro della esecuzione del contratto (art. 1762 c.1). Dopo la conclusione del contratto, il contraente non nominato può essere indicato dal mediatore ovvero rivelarsi da se stesso; cessato cosi l’anonimato, ognuno dei contraenti può agire direttamente contro l’altro, ma resta egualmente ferma la responsabilità del mediatore per l’esecuzione del contratto da parte del contraente non nominato.

In un’altra ipotesi il mediatore risponde della esecuzione del contratto per una delle parti, e precisamente quando ne è garante, perché ha prestato fideiussione a suo favore (art. 1763).

IL CONTRATTO DI SUBFORNITURA

Le grandi imprese che svolgono attività di produzione industriale (produttrici ad esempio, di autoveicoli, elettrodomestici) spesso stipulano contratti per la fornitura dei beni destinati ad essere incorporati in beni più complessi (ad esempio, equipaggiamenti per autoveicoli).

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Spesso i fornitori sono imprenditori di dimensioni minori, e che talvolta destinano tutta la loro produzione ad una sola grande impresa: di qui, la loro dipendenza economica dall’impresa committente, con il rischio di essere costretti a stipulare contratti di fornitura a condizioni particolarmente gravose.

Con la legge del 18 giugno 1998 si è voluto impedire la stipulazione di contratti in cui si realizzi un abuso di dipendenza economica; e precisamente, la legge ha introdotto una particolare disciplina dei c.d. contratti di “subfornitura”, cosi denominati perché il fornitore:

- “si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime fornite dalla stessa committente”;

- o “si obbliga a fornire prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso”, purché anche dette forniture vengano effettuate “in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente”.

Il contratto di subfornitura deve essere stipulato: a pena di nullità, in forma scritta anche per telefax o altra via telematica. Se il committente ha inviato una proposta scritta non seguita da accettazione scritta del subfornitore, e questi ha tuttavia iniziato le lavorazioni o le forniture, il contratto si considera concluso per iscritto nei termini indicati nella proposta (art. 2 c.1 e 2).

Il prezzo delle forniture deve essere determinato nel contratto.

Può anche essere determinabile, ma le modalità della determinazione del prezzo devono essere indicate nel contratto “in modo chiaro e preciso”, cioè in modo “tale da non ingenerare incertezze nell’interpretazione dell’entità delle reciproche prestazioni e nell’esecuzione del contratto”.

Devono inoltre essere indicate con precisione, oltre al prezzo, le caratteristiche costruttive e funzionali dei beni o dei servizi richiesti dal committente, nonché i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento.

Il contratto deve, inoltre, fissare i termini di pagamento del prezzo della subfornitura e il prezzo pattuito deve essere corrisposto entro 60 giorni dall’esecuzione della subfornitura.

In caso di inosservanza del termine di pagamento, il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, elevati interessi moratori direttamente fissati dalla norma; se il ritardo nel

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pagamento eccede i 30 giorni, allora al subfornitore è dovuta anche una penale.

Il committente conserva la proprietà industriale dei progetti comunicati al subfonitore (art. 7), ed è nullo ogni patto contrario. La legge dispone – dunque – che il subfornitore è responsabile della qualità e del funzionamento di quanto ha fornito al committente, ma non dei difetti di materiali o attrezzi fornitigli dal committente per l’esecuzione del contratto, purchè glieli abbia tempestivamente segnalati (art. 5).

Sono nulli anche gli eventuali patti con cui i contraenti si riservino la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura (art. 6).

E’ vietato il c.d. “abuso di dipendenza economica” (previsto dall’art.9) in base alla quale, si ha dipendenza economica quando “un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”. L’abuso “può anche consistere nel divieto di vendere o nel divieto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nell’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto”.

A seconda delle modalità di realizzazione dell’abuso di dipendenza economica, si posso avere diversi effetti giuridici, come la risoluzione del contratto o il risarcimento danni.

La disciplina dell’abuso posta dall’art. 9 ha carattere generale, nel senso che non riguarda soltanto i rapporti di subfornitura, ma si applica a tutti i contratti con imprese ausiliarie (ad esempio, di agenzia, commissione, franchising) che si trovino, rispetto all’impresa committente, in condizioni di dipendenza economica.

IL GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO

Il GEIE, istituito col regolamento comunitario del 25 luglio 1985 n. 2137, dev’essere composto almeno da 2 membri (persone giuridiche e/o persone fisiche, che siano imprenditori, artigiani, liberi professionisti) i quali devono avere l’amministrazione centrale e/o esercitare la loro attività economica in diversi Stati dell’Unione europea. Non è, dunque, ammissibile la costituzione di un Geie che operi in un solo Stato.

Il fine del gruppo è di agevolare e di sviluppare l’attività economica dei suoi membri esercitando attività di carattere ausiliario; inoltre, è

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opportuno specificare che il gruppo non ha scopo di lucro, in quanto non realizza profitti per se stesso, ma mira a migliorare o ad aumentare i risultati economici dell’attività dei membri del gruppo.

Per quanto riguarda la costituzione di un contratto del GEIE diciamo che, esso, deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità, e sono soggetti a pubblicità legale mediante deposito ed iscrizione nel registro delle imprese nella cui circoscrizione il Geie ha sede.

Nel contratto, inoltre, devono essere indicati:

la denominazione del gruppo (preceduta o seguita dalla sigla Geie)

la sede

l’oggetto

i nomi dei membri

e la durata, che può essere a tempo determinato o indeterminato.

Quanto ai poteri diciamo che, i membri del gruppo possono adottare collegialmente qualsiasi decisione per la realizzazione dell’oggetto del gruppo; le eventuali modifiche contrattuali devono essere adottate per iscritto e sono soggette a pubblicità legale.

Nel contratto può essere previsto quali decisioni possono essere prese a maggioranza e con quali maggioranze. Ciascun membro dispone di un voto.

Quanto all’amministrazione diciamo che, il gruppo è gestito da una o più persone nominate nel contratto, o designate dai membri. Può essere nominato amministratore anche una persona giuridica, la quale esercita la funzione gestoria mediante un proprio rappresentante.

Quanto, invece, alla rappresentanza diciamo che essa spetta all’amministratore unico o a ciascuno degli amministratori, disgiuntamente.

Anche quando non esercita attività commercial, il gruppo deve tenere la contabilità prescritta dallo statuto degli imprenditori commerciali.

Il bilancio dev’essere approvato dai membri del gruppo entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio e depositato nel registro delle imprese.

I membri rispondono solidalmente e illimitatamente dei debiti del gruppo. La loro responsabilità è però sussidiaria, poiché può essere fatta valere dai creditori soltanto “dopo aver chiesto al gruppo di

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pagare e qualora il pagamento non sia stato effettuato entro un congruo termine”.

I profitti risultanti dalle attività del gruppo sono considerati direttamente profitti dei membri, e ripartiti tra questi ultimi secondo la proporzione prevista nel contratto di gruppo o, nel silenzio del contratto, in parti uguali. La stessa cosa vale per le perdite.

Lo scioglimento parziale è previsto:

a) recesso, in quanto è sempre ammissibile per giusta causa;

b) esclusione – salvo patto contrario – può essere pronunciata (l’esclusione) soltanto dal giudice su richiesta congiunta della maggioranza degli altri membri;

c) morte, se non è previsto diversamente nel contratto, per subentrare ad un membro defunto, occorre il consenso di tutti i membri superstiti.

Il valore della quota di partecipazione è determinato tenendo conto del patrimonio del gruppo al momento dello scioglimento parziale; il membro escluso o receduto rimangono responsabili dei debiti anteriori allo scioglimento.

Per quanto riguarda le cause di scioglimento del gruppo, diciamo che si tratta di cause obbligatorie di scioglimento:

a) il decorso del termine di durata

b) la realizzazione dell’oggetto del gruppo o l’impossibilità di conseguirla

c) la mancanza della pluralità dei membri.

In questi casi, lo scioglimento dev’essere deliberato dai membri del gruppo; in caso di loro omissione, dev’essere pronunciato dal giudice, che può dichiarare lo scioglimento del gruppo anche per giusta causa, o per la violazione di determinate disposizioni di legge.

Infine, quanto alla liquidazione diciamo che, a seguito dello scioglimento del gruppo si procede alla sua liquidazione.

In caso di insolvenza, se il Geie esercita un’attività commerciale, ne è dichiarato il fallimento, e a norma dell’art. 151 1.fall. gli organi del fallimento possono chiedere ai membri del gruppo il versamento delle somme necessarie per l’estinzione dei debiti (art. 9 d.lgs. 1991/240).

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CONTRATTI A DISTANZA RELATIVI ALLA PRESTAZIONE DI BENI O DI SERVIZI

LA FORNITURA DI BENI O SERVIZI AI CONSUMATORICol termine consumatori si indicano tutte le persone fisiche che, agendo per scopi estranei alla propria attività professionale, acquistano beni o ricevono servizi dagli imprenditori commerciali.

L’esigenza di una particolare tutela dei consumatori è stata avvertita quando gli imprenditori commerciali, sollecitano la conclusione di contratti aventi per oggetto la fornitura di beni (ad esempio, contratti per la manutenzione di particolari apparecchiature) offrendo prodotti o servizi fuori dai propri locali commerciali, o sulla base di offerte al pubblico effettuate per corrispondenza, o tramite mezzi telefonici od audiotelevisivi, o - infine – mediante l’uso di strumenti telematici o elettronici (i c.d. contratti a distanza, nella quale il contratto viene concluso solo in base alla descrizione – magari fotografica o televisiva, dei prodotti o dei servizi offerti).

La disciplina dei contratti a distanza si fonda sul presupposto che vi è il rischio che il consumatore possa essere indotto alla conclusione del contratto, senza avere l’opportunità di riflettere adeguatamente sulla sua necessità o sulla sua convenienza.

In base a tale presupposto, il codice impone all’imprenditore di dare al consumatore – prima della conclusione del contratto a distanza – una serie di informazioni rilevanti, espresse “in modo chiaro e comprensibile” secondo i principi di buona fede e di lealtà adeguati alle “esigenze di protezione delle categorie di consumatori particolarmente vulnerabili”.

Inoltre, il codice, riconosce al consumatore il diritto di recesso dal contratto, diritto irrinunciabile ed esercitatile senza penalità e senza che occorra indicare il motivo del recesso (art. 64).

A seguito del recesso le parti sono sciolte dalle rispettive obbligazioni, per cui il consumatore è tenuto a restituire i beni eventualmente già consegnatigli, e l’imprenditore a rimborsargli le somme eventualmente già ricevute.

Tuttavia è opportuno specificare che, tale disciplina non si applica ai contratti conclusi tramite distributori automatici, o con l’impiego di telefoni pubblici, o in occasione di vendite all’asta.

Il diritto di recesso non opera quando i contratti hanno per oggetto:

a) la fornitura di prodotti alimentari o di altri prodotti di uso domestico corrente distribuiti a scadenze frequenti e regolari;

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b) la fornitura “di servizi relativi all’alloggio, ai trasporti, alla ristorazione, al tempo libero, quando all’atto della conclusione del contratto il professionista si impegna a fornire tali prestazioni ad una data determinata o in un periodo prestabilito”(art. 55 c.1).

DIRITTO DI GODIMENTO PERIODICO su beni immobili (MULTIPROPRIETA’)

La disciplina del recesso disposta per i contratti a distanza opera anche per quelli che hanno come oggetto l’acquisizione di un diritto di godimento ternario, personale o reale, di beni immobili, con destinazione abitativa, alberghiera o turistico-ricettiva (soltanto quando oggetto del contratto è un diritto reale è ammesso l’uso del termine “multiproprietà”) (artt. 72 e 73).

E precisamente, si tratta di contratti la cui conclusione è solitamente offerta al pubblico dei consumatori anche con il ricorso a forme di pubblicità commerciale.

Il venditore ha l’obbligo di consegnare a chiunque chieda notizie sul bene immobile un documento informativo da cui risultino tutti gli elementi rilevanti per l’individuazione delle caratteristiche dell’immobile, i tempi e le modalità di utilizzazione, il prezzo di vendita ed i costi di gestione.

Il contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità; ed inoltre, quando l’immobile è in corso di costruzione, l’ultimazione dei lavori dev’essere garantita con una fideiussione bancaria o assicurativa.

IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONEIl contratto di assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore – dietro pagamento di una somma detta premio – si obbliga:

- a risarcire all’assicurato, nei limiti di una somma stabilita (c.d. somma assicurata), il danno dallo stesso subito per il sinistro contemplato nell’assicurazione (ad esempio, incendio o furto)

- o a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (ad esempio, morte, raggiungimento di una determinata età, matrimonio) [art. 1882].

Ogni contratto di assicurazione, singolarmente considerato, è un contratto aleatorio in quanto la stessa entità – e talvolta la stessa

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esistenza – delle prestazioni dei contraenti sono subordinate alla realizzazione del rischio previsto nel contratto, cioè di un avvenimento che di per se è futuro e incerto; aleatoria non è invece l’industria delle assicurazioni, complessivamente considerata, la quale si basa su dati statistici che consentono all’assicuratore di determinare la misura dei premi in modo da distribuire proporzionalmente tra tutti gli assicurati contro un certo tipo di rischio le conseguenze dannose prodotte da tutti i sinistri che si vengono a verificare in un certo periodo.

(ricorda!prescrizione di un anno)

Per quanto riguarda l’assicurazione in nome altrui diciamo che anche il contratto di assicurazione – come avviene di solito per gli altri tipi di contratti – può essere concluso per mezzo di un rappresentante; e precisamente, se colui che si è qualificato come rappresentante, non aveva in realtà il potere di agire in nome del rappresentato, rimane obbligato verso l’assicuratore a pagare i premi, finché il rappresentato non abbia ratificato il contratto o non abbia rifiutato la ratifica; inoltre, il rappresentato può compiere la ratifica anche dopo che si è verificato il sinistro (art. 1890).

Quanto, invece, all’assicurazione per conto di terzi diciamo che, Tizio può anche concludere un contratto di assicurazione in nome proprio, obbligandosi quindi al versamento dei premi, ma per conto altrui. Ciò significa che, se si verifica il sinistro, il danno viene subìto da un altro, il quale acquista il diritto di essere indennizzato dall’assicuratore .

Pertanto, se – nel momento della conclusione del contratto – si indica a chi spetterà il diritto di avere risarcito il danno, si ha l’assicurazione per conto altrui, mentre se si indica genericamente che al risarcimento avrà diritto colui che al momento del sinistro risulterà titolare del bene colpito dal sinistro, si ha l’assicurazione per conto di chi spetta (art. 1891).

E precisamente, l’assicurazione per conto di chi spetta permette – ad esempio – che le merci trasportate vengano vendute pur restando coperte dall’assicurazione.

Nell’assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta colui che s’impegna a pagare i premi si chiama contraente, mentre colui che avrà diritto al risarcimento si chiama assicurato.

CONCLUSIONE DEL CONTRATTO E SUA FORMA

Il contenuto del contratto di assicurazione solitamente è disposto dall’assicuratore mediante stampati, di modo che l’assicurato – se vuole concludere il contratto – deve accettarne il contenuto gia predisposto; pertanto, il contratto di assicurazione è di solito un contratto di adesione.

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Sono stati disposti vari mezzi al fine di impedire all’assicuratore abusi nei confronti dell’assicurato, e precisamente:

1. innanzitutto, prima della conclusione del contratto, l’assicuratore deve consegnare all’altro contraente una nota informativa, redatta con l’osservanza delle disposizioni regolamentari dell’Isvap, da cui risultino i diritti e gli obblighi contrattuali;

2. secondariamente, il codice civile detta numerose norme intese a tutelare gli interessi degli assicurati (art. 1932);

3. infine, anche al contratto di assicurazione si applica la disciplina codicistica delle clausole vessatorie (artt. 1341 e 1342) e delle clausole abusive.

Nella conclusione del contratto di solito intervengono, per l’assicuratore, gli agenti di assicurazione, e precisamente bisogna distinguere gli agenti che hanno il potere di concludere il contratto in rappresentanza dell’assicuratore (art. 1903), da quelli che non hanno detto potere e sono soltanto incaricati di trasmettere all’assicuratore le proposte di contratto degli assicurati. Di solito, sono gli assicuratori - per mezzo dei loro agenti - che prendono l’iniziativa del contratto, che cioè prospettano all’altra parte la convenienza di concludere un contratto di assicurazione.

La proposta scritta dell’assicurato diretta all’assicuratore è ferma, nel senso che non può essere revocata per il termine di 15 giorni (art. 1887), in modo tale che l’assicuratore ha il tempo di valutare il rischio e la convenienza del contratto svolgendo eventuali indagini.

Il contratto di assicurazione è un contratto consensuale, che però deve essere provato per iscritto; e precisamente, esso “va redatto in modo chiaro ed esauriente”. Il documento, in cui è scritto il contratto, si chiama polizza d’assicurazione che può essere rilasciata con dicitura “all’ordine” o “al portatore”, in tal caso il contraente può trasferire ad altri il credito verso l’assicuratore, girandogli la polizza all’ordine o trasmettendogli il possesso della polizza al portatore.

Spesso, a causa della grandezza delle loro dimensioni, le imprese di assicurazione stipulano i relativi contratti per mezzo di agenti intermediari professionali, e precisamente si distinguono:

- gli agenti di assicurazione (art. 1753), cioè dipendenti dell’assicuratore, a lui legati da un contratto di lavoro subordinato, i quali pertanto operano nella sua stessa impresa, per lo più nelle sedi secondarie (art. 2197). Ma con tale termine si indicano anche gli imprenditori autonomi – ossia ausiliari dell’assicuratore – per conto del quale assumono stabilmente l’incarico di promuovere, in

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corrispettivo di provvigioni, la conclusione dei contratti di assicurazione in una determinata zona. Gli agenti di assicurazione, inoltre, per esercitare la loro attività, devono essere iscritti in un registro unico elettronico disciplinato dall’Isvap.

- E i mediatori professionali (c.d. brokers), che si distinguono dagli agenti di assicurazione perché, essi (i brokers), non sono legati da nessun rapporto con l’impresa assicuratrice, e la loro opera – al pari di quella di ogni altro mediatore – si caratterizza per l’indipendenza ed imparzialità, essendo rivolta a mettere in diretta relazione con imprese di assicurazione soggetti che intendono provvedere con la sua collaborazione alla copertura di rischi, e che conferiscono l’incarico di assisterli nella determinazione del contenuto dei relativi contratti, collaborando eventualmente alla loro gestione ed esecuzione.

Le somme spettanti alle imprese assicurative e/o agli assicurati, ricevute dall’agente di assicurazione o dal broker e da costoro versate in un proprio conto bancario, costituiscono un patrimonio autonomo rispetto agli altri beni dello stesso intermediario, e quindi su detto “conto separato non sono ammesse azioni, sequestri o pignoramenti da parte di creditori diversi dagli assicurati e dalle imprese di assicurazione”.

Infine, diciamo che gli agenti di assicurazione ed i brokers sono soggetti alla vigilanza dell’Isvap.

L’assicuratore, per potere valutare le probabilità del verificarsi del sinistro, deve conoscere tutte le circostanze che possono avere influire: così, sulla probabilità del verificarsi di un incendio influisce il fatto che le scale dell’appartamento siano costruite in legno o in pietra, che siano conservate o meno nella casa materie infiammabili, ecc.. A questi scopi servono i questionari, con cui l’assicuratore chiede al contraente notizie di dette circostanze, denominate – appunto – circostanze influenti.

Inoltre, per quanto riguarda le dichiarazioni inesatte o reticenti diciamo che negli artt. 1892 e 1893 è stabilito cosa accade quando il contraente, nel fare la proposta di contratto all’assicuratore, ha indicato delle circostanze influenti inesatte o – addirittura – le ha taciute, adottando un comportamento reticente.

In questi casi bisogna distinguere 2 ipotesi, accertando se il contraente ha indotto in errore l’assicuratore operando:

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1) con dolo o colpa grave, in cui l’assicuratore può dichiarare di volere annullare il contratto di assicurazione entro 3 mesi dal giorno in cui è venuto a conoscenza dell’inesattezza o della reticenza. Una volta annullato il contratto, l’assicuratore non è più tenuto a pagare la somma assicurata, anche se si è verificato il sinistro, ma ha diritto a riscuotere i premi relativi al periodo di assicurazione in corso al momento in cui ha dichiarato di volere l’annullamento.

2) senza dolo o colpa grave, in cui – invece – l’assicuratore può recedere dal rapporto, estinguendolo mediante una dichiarazione unilaterale che va fatta all’assicurato entro 3 mesi dal giorno in cui l’assicuratore ha conosciuto l’inesattezza della proposta contrattuale o la reticenza. A differenza dell’altra ipotesi, quindi, il contratto di assicurazione è valido (non annullabile); pertanto, se il sinistro si verifica prima della dichiarazione di recesso l’assicuratore deve risarcirlo.

Tuttavia, spesso nei contratti di assicurazione (specie sulla vita) sono per lo più previste delle clausole di incontestabilità per le quali – dopo un certo periodo dalla conclusione del contratto – l’assicuratore perde il potere di chiederne l’annullamento o di recedere dal rapporto.

Per quanto riguarda gli effetti del contratto di assicurazione diciamo che, nell’assicurazione contro i danni l’assicurato acquista il diritto ad essere risarcito – nei limiti della somma assicurata – di un danno che colpisce il suo patrimonio; pertanto, bisogna stabilire nel contratto quale è il danno contro cui ci si assicura e quale è l’evento dannoso contro cui ci si assicura (il c.d. evento contemplato nell’assicurazione).

Tuttavia è opportuno specificare che, l’assicuratore non è tenuto a risarcire il danno se l’evento contemplato nell’assicurazione avviene in conseguenza di movimenti tellurici, guerre, insurrezioni o tumulti popolari (art. 1912), o per dolo o colpa grave del contraente, dell’assicurato o del beneficiario.

Inoltre, il premio viene commisurato alla gravità del rischio, cioè alla probabilità che il sinistro si verifichi, e pertanto è maggiore o minore a seconda che il rischio è maggiore o minore.

In ordine all’incidenza del rischio sul contratto di assicurazione, si possono distinguere diverse ipotesi:

a) inesistenza del rischio, se al momento della conclusione del contratto il rischio non esiste, e quindi il contratto è nullo, il rapporto assicurativo non nasce e pertanto, l’assicurato non deve pagare i premi (art. 1895);

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b) cessazione del rischio dopo la conclusione del contratto, in quanto se il rischio finisce il contratto si scioglie nel senso che il rapporto di assicurazione si estingue, e precisamente, l’estinzione avviene al momento in cui l’assicuratore ha notizia della fine del rischio, e pertanto il contraente deve pagare solo il premio corrispondente a quel periodo assicurativo nel quale l’assicuratore è venuto a conoscenza della cessazione del rischio (art. 1896 c.1);

c) diminuzione del rischio, se il rischio diminuisce, l’assicurato ha l’onere di comunicarlo all’assicuratore che deve diminuire il premio a decorrere dalla scadenza del premio o della rata di premio successiva alla comunicazione;

d) aggravamento del rischio, se il rischio si aggrava per una circostanza non prevista e non prevedibile al momento della conclusione del contratto, il contraente deve darne subito avviso all’assicuratore. L’assicuratore, a sua volta, entro un mese dal giorno in cui ha avuto notizia dell’aggravamento, può recedere dal contratto.

Il diritto al pagamento delle rate di premio si prescrive in 1 anno dalle singole scadenze (art. 2952 c.1). Gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione si prescrivono in 1 anno dal giorno in cui si verifica il fatto su cui il diritto si fonda.

L’ASSICURAZIONE CONTRO I DANNINell’assicurazione contro i danni vale il c.d. principio indennitario, la quale importa:

a) che l’assicurato debba ricevere un danno dall’evento contro il quale si assicura, e che quindi egli debba avere un interesse alla conservazione della cosa assicurata;

b) che l’assicuratore non è mai obbligato a versare all’assicurato una somma superiore al danno che questi ha sofferto (art. 1905 c.1), altrimenti l’assicurato ricaverebbe un vantaggio dal sinistro e potrebbe avere interesse a provocarlo. Pertanto, la somma assicurata non può essere superiore a quella cifra, che rappresenta in moneta – misurandolo – l’interesse dell’assicurato alla conservazione della cosa: questa cifra costituisce il c.d. valore assicurabile.

Per quanto riguarda la sovrassicurazione diciamo che, se la cosa è stata assicurata per una cifra superiore al valore assicurabile, bisogna distinguere se ciò è avvenuto con dolo o senza dolo del contraente. Poiché, se c’è dolo l’assicurazione non è valida e perciò l’assicurato non ha diritto al risarcimento, mentre – invece – l’assicuratore ha

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diritto a riscuotere il premio del periodo assicurativo in corso, purchè ignorasse l’eccedenza di valore. Se non c’è stato dolo, in caso di sinistro l’assicuratore deve una somma corrispondente al valore assicurabile e il contraente ha diritto di ottenere, dal momento in cui rende nota all’assicuratore l’eccedenza di valore, una riduzione del premio (art. 1909).

Per quanto riguarda – invece – la sottoassicurazione diciamo che in questo caso si può stipulare l’assicurazione per una somma inferiore al valore assicurabile (assicurazione parziale). In questa ipotesi, se si verifica il sinistro, l’assicuratore non deve risarcire l’intero danno, ma una somma che stia al danno verificatosi come la somma assicurata sta all’intero valore della cosa assicurata.

Nel contratto si può, tuttavia, stabilire che – anche se la somma assicurata è inferiore al valore assicurabile – l’assicuratore dovrà risarcire l’intero danno sofferto dall’assicurato, sempre nei limiti della somma assicurata (in questo caso si parla di assicurazione a premio rischio assoluto) [art. 1907].

È opportuno specificare, inoltre, che anche se l’assicurazione degli infortuni viene fatta rientrare tra le assicurazioni danni, ad essa non si applica il principio indennitario, che vale per le assicurazioni contro i danni alle cose, e non per le assicurazioni contro i danni alla persona.

Nel caso in cui si assicura lo stesso interesse presso una pluralità di assicuratori, si applica la disciplina prevista dall’art. 1910 in modo che l’assicurato non possa ricevere in complesso una somma superiore al danno verificatosi. Esiste, pertanto, l’obbligo di dare avviso ad ogni assicuratore di tutti i contratti conclusi per assicurare lo stesso interesse. Se si viola questo obbligo con dolo, gli assicuratori non sono tenuti a pagare l’indennità.

In caso di sinistro, l’assicurato deve darne avviso a tutti gli assicuratori, indicando a ciascuno il nome degli altri, infatti le somme che l’assicurato riscuote dai vari assicuratori non devono superare il valore assicurabile (principio indennitario). Inoltre, gli assicuratori – che hanno risarcito l’assicurato – possono rivolgersi in via di regresso contro gli altri, per ripartire l’indennità pagata in proporzione delle somme assicurate presso i vari assicuratori.

Si ha coassicurazione quando, di comune accordo, una pluralità di assicuratori assicurano contestualmente un determinato interesse per lo stesso periodo e per lo stesso rischio, di solito stipulando un unico contratto con l’assicurato.

I coassicuratori possono assumere l’obbligo di risarcire solidalmente il danno all’assicurato, salvo riparto tra di loro; ma solitamente è prevista la ripartizione in quote determinate (ad esempio,

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l’assicuratore A si obbliga a risarcire metà del danno, l’assicuratore B ¼ e l’assicuratore C il residuo quarto). Pertanto, se il danno si verifica l’assicuratore è tenuto a risarcirlo all’assicuratore solo in proporzione della quota convenuta.

Per quanto riguarda la durata del rapporto di assicurazione diciamo che, essa (l’assicurazione), ha effetto dalle ore 24 del giorno della conclusione del contratto alle ore 24 dell’ultimo giorno della durata stabilita nel contratto stesso. Se questa durata supera i 10 anni, le parti – trascorso il decimo anno e nonostante patto contrario – hanno facoltà di recedere dal contratto, con preavviso di 6 mesi, che può darsi anche mediante raccomandata (art. 1899 c.1).

In mancanza di recesso tempestivo, il contratto si considera tacitamente prorogato una o più volte, ma ciascuna proroga tacita non può avere una durata superiore a 2 anni (art. 1899 c.2).

Per quanto riguarda, invece, l’alienazione delle cose assicurate diciamo che, se il contraente trasferisce ad altri il suo diritto sulla cosa assicurata (ad esempio, la vende), egli non ha più interesse all’esistenza della cosa, e perciò non può essere più assicurato; in questo caso, egli resta obbligato a pagare i premi, mentre assicurato diventa l’acquirente, il quale ha diritto all’indennizzo in caso di sinistro.

Tuttavia, se l’alienante non vuole restare obbligato a pagare i premi, è sufficiente che egli comunichi:

a) all’assicuratore l’avvenuta alienazione

b) e all’acquirente l’esistenza del contratto di assicurazione.

A seguito di tale comunicazione, tutti i diritti e gli obblighi derivanti dall’assicurazione vengono trasferiti all’acquirente, a meno che questi non dichiari all’assicuratore la decisione di estinguere il rapporto assicurativo (art. 1918 c.1-4).

Nel caso in cui è stata emessa una polizza all’ordine o al portatore, non occorre dare notizia dell’alienazione della cosa all’assicuratore ed inoltre né l’assicuratore né l’acquirente possono recedere dal contratto prima della scadenza.

Il contraente è obbligato a pagare il premio alle scadenze convenute. Se il contraente non paga il primo premio o la prima rata di premio, l’assicurazione contro i danni resta sospesa fino alle ore 24 del giorno di pagamento. Se, invece, non paga i premi successivi, l’assicurazione è sospesa dalle ore 24 del quindicesimo giorno dopo la scadenza.

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In caso di mancato pagamento dei premi, se l’assicuratore non agisce giudizialmente per la riscossione nel termine di 6 mesi dal giorno in cui il premio o la rata sono scaduti, il contratto è risoluto di diritto e il rapporto si estingue.

L’assicurato deve avvisare (c.d.obbligo di avviso) del sinistro l’assicuratore – o l’agente autorizzato a concludere il contratto – entro 3 giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o lo stesso assicurato ne ha avuto conoscenza (art. 1913).

Inoltre, l’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno (c.d. obbligo di salvataggio) (art. 1914 c.1).

L’obbligo di avviso è imposto all’assicurato per garantire l’interesse dell’assicuratore ad informarsi – il più rapidamente possibile – delle circostanze e delle conseguenze del sinistro;

a sua volta, l’obbligo di salvataggio gli è imposto per garantire l’interesse dell’assicuratore a limitare al minimo il danno.

Se l’assicurato non adempie all’obbligo di avviso o all’obbligo di salvataggio, bisogna distinguere se l’inadempimento è dovuto a dolo o a colpa, poiché:

se è doloso, l’assicurato perde il diritto all’indennità;

se, invece, è colposo l’indennità viene ridotta della cifra che corrisponde al danno subito dall’assicuratore per l’inadempimento di detti obblighi.

GLI OBBLIGHI DELL’ASSICURATORE. LA SURROGAZIONE DELL’ASSICURATORE

Verificatosi il sinistro, l’assicuratore deve pagare all’assicurato l’indennità.

Per stabilire il danno subito dall’assicurato, bisogna procedere alla valutazione della cosa assicurata al momento del sinistro (art. 1908 c.1). Questo valore può essere già stabilito nel contratto di assicurazione mediante stima accettata per iscritto da entrambe le parti (c.d. polizza stimata).

Se si tratta di assicurazione totale – se, cioè, la somma assicurata è uguale al valore assicurabile – la somma dovuta dall’assicuratore corrisponde al danno subito dall’assicurato in conseguenza del sinistro.

Se, invece, si tratta di assicurazione parziale – se, cioè, la somma assicurata è minore del valore assicurabile – l’assicuratore deve

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un’indennità che stia al danno sofferto dall’assicurato come la somma assicurata sta al valore assicurabile.

Per quanto riguarda la surrogazione dell’assicuratore diciamo che, se il sinistro si è verificato per il fatto doloso o colposo di un terzo (il quale, ad esempio, ha appiccato il fuoco alla casa dell’assicurato), questi può pretendere il risarcimento o dal danneggiatore o dall’assicuratore, ma non da entrambi: poiché, altrimenti farebbe un guadagno, e si violerebbe il principio indennitario.

Se l’assicurato si fa risarcire dall’autore del danno, non ha più diritto ad essere indennizzato dall’assicuratore; se, invece, si fa risarcire dall’assicuratore, questi è surrogato nel diritto di credito che l’assicurato aveva verso l’autore del danno, e perciò può farsi rimborsare da quest’ultimo la somma pagata all’assicurato a titolo di indennità (art. 1916 c.1).

L’assicuratore non ha però il diritto di surrogazione quando il terzo responsabile del danno sia il coniuge dell’assicurato o sia in particolari rapporti di parentela o di lavoro con l’assicurato, perché ne è:

a) o figlio o affiliato o ascendente

b) parente o affine, e convivente con lui

c) domestico.

Un tipo particolare di assicurazione contro i danni è l’assicurazione della responsabilità civile, nella quale l’assicuratore si obbliga a risarcire l’assicurato di quanto questi deve pagare a terzi per aver loro causato dei danni – senza dolo – svolgendo una determinata attività.

Nel nostro ordinamento è obbligatoria l’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. In caso di sinistro, il terzo trasportato ha un’azione diretta contro l’assicuratore per il risarcimento del danno sofferto, entro i limiti della somma assicurata. Se il sinistro è avvenuto tra veicoli assicurati, ciascun danneggiato, che non sia un terzo trasportato, deve richiedere il risarcimento direttamente al proprio assicuratore (c.d.procedura di risarcimento diretto).

Se il sinistro è stato provocato da un veicolo non identificato o non assicurato, il danno alle persone ed – entro i limiti – anche il danno alle cose sono risarciti da un “Fondo di garanzia per le vittime della strada” costituito con i contributi delle diverse imprese assicuratrici e gestito dalla Consap (Concessionaria servizi assicurativi pubblici).

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Nel contratto di riassicurazione il primo assicuratore assume la posizione di assicurato, mentre il riassicuratore assume la posizione di assicuratore; pertanto, se si verifica il sinistro, l’assicuratore riassicurato ha l’obbligo di indennizzare l’assicurato, ma a sua volta ha il diritto di farsi indennizzare dal riassicuratore.

Di solito, la riassicurazione non è stipulata dal riassicurato di volta in volta, ma con trattati generali aventi per oggetto tutte (o una parte del)le assicurazioni che il riassicurato stipulerà in futuro (polizze di abbonamento).

Nell’assicurazione sulla vita non vale il principio indennitario, e precisamente si distinguono 3 categorie:

1) assicurazioni per il caso di morte, in cui la morte dell’assicurato danneggia l’assicuratore, in quanto questi si impegna a pagare una somma o alla morte dell’assicurato o ad una scadenza fissa;

2) assicurazioni per il caso di vita, in cui – invece – la lunga vita dell’assicurato danneggia l’assicuratore, in quanto questi deve corrispondere all’assicurato una rendita vitalizia o versargli una somma una tantum, se l’assicurato raggiunge una determinata età;

3) assicurazioni miste, in cui l’assicuratore si obbliga a pagare una determinata somma o alla morte dell’assicurato o ad un determinato termine, se l’assicurato è ancora in vita.

L’evento contemplato nell’assicurazione può riguardare o la vita dello stesso contraente o quella di un terzo.

L’assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida, se questi o il suo rappresentante legale non dà il consenso alla conclusione del contratto (consenso che deve essere provato per iscritto) [art. 1919].

Si ha, dunque, assicurazione a favore di terzi quando si sia proceduto alla designazione espressa del beneficiario o nello stesso contratto di assicurazione o anche successivamente, con dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore o per testamento. Per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio direttamente verso l’assicuratore, e quindi – anche se è erede – può riscuotere l’indennità assicurativa senza bisogno di dovere accettare l’eredità (art. 1920 c.3).

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Tuttavia, la designazione del beneficiario può sempre essere revocata, sostituendo il primo beneficiario con un altro o facendo coincidere contraente e beneficiario.

La designazione diventa, però, irrevocabile con la morte del contraente o quando, essendosi verificato l’evento, il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficiario (art. 1921 c.1).

La designazione è, inoltre, irrevocabile quando ricorrono i seguenti presupposti:

a) che il contraente abbia rinunziato per iscritto al potere di revoca, comunicando per iscritto detta rinunzia all’assicuratore;

b) che il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficiario e abbia comunicato per iscritto detta dichiarazione anche all’assicuratore.

Dopo il decorso di un determinato periodo di tempo dalla conclusione del contratto di assicurazione sulla vita, l’assicurato ha il diritto di riscattare o di ridurre la polizza.

E precisamente, con il riscatto il rapporto assicurativo si estingue e l’assicurato ha diritto a percepire immediatamente dall’assicuratore una somma corrispondente alla c.d. riserva matematica.

Mentre, con la riduzione si estingue ogni obbligo di pagamento di premi futuri e si riduce in corrispondenza la somma assicurata, che però verrà sempre pagata alla scadenza prevista nel contratto.

Se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di 20 giorni dalla scadenza, l’assicuratore non può obbligarlo al pagamento, ma il rapporto assicurativo si estingue.

I CONTRATTI BANCARI E FINANZIARIL’IMPRESA BANCARIA

Giuridicamente per attività bancaria si intende quella di intermediazione nella circolazione dei capitali, e cioè l’esercizio congiunto sia dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico sia dell’attività di concessione dei crediti; l’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle imprese bancarie (c.d. banche).

Per “raccolta del risparmio tra il pubblico” si intende la “acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”.

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La raccolta del risparmio fra il pubblico è consentita solo alle banche: tuttavia la stessa legge bancaria prevede alcune deroghe, relative alla emissione di obbligazioni, consentita alle società per azioni e in accomandita per azioni, nonché alle società cooperative, qualunque sia l’oggetto della loro attività.

Le banche devono avere la forma di società per azioni o di società cooperative per azioni. Hanno la forma di società cooperative le banche popolari e le banche di credito cooperativo, le quali esercitano l’attività bancaria prevalentemente a favore dei soci e sono considerate “a mutualità prevalente”.

Per poter esercitare legittimamente la loro attività bancaria, le banche devono ottenere un’autorizzazione amministrativa dalla Banca d’Italia. Tale autorizzazione viene rilasciata solo se il capitale della società è stato versato in un “ammontare non inferiore a quello determinato”, con riferimento ai diversi tipi di società bancarie, dalla Banca d’Italia; ed inoltre, se gli amministratori, i sindaci e i direttori generali sono in possesso dei requisiti di esperienza e di onorabilità richiesti dalla legge.

Le banche possono anche svolgere c.d. attività finanziarie in quanto esercitabili anche da imprese finanziarie (ad esempio, attività di leasing, di factoring, …)

E precisamente, per lo svolgimento di tali attività possono anche essere costituiti gruppi bancari composti dalla stessa banca controllante e da società o enti controllati esercenti attività bancarie, attività finanziarie e attività strumentali di carattere ausiliario rispetto alle attività delle società ed enti del gruppo.

Nel settore del credito, alla Banca d’Italia, che è un istituto di diritto pubblico, è riconosciuto un ruolo centrale, volto ad assicurarne la solidità (c.d. stabilità patrimoniale), con l’attribuzione di poteri di vigilanza e di controllo sulla regolarità della gestione delle banche, a garanzia della loro solvibilità e redditività, con conseguente tutela dell’interesse del pubblico dei risparmiatori alla restituzione dei capitali affidati al sistema bancario.

I CONTRATTI BANCARI

I contratti bancari sono i contratti con cui le banche esercitano la funzione di intermediazione nel credito, e possono essere distinti in 2 categorie:

1. i contratti che costituiscono operazioni passive, perché mediante gli stessi la banca diventa debitrice dei suoi clienti, cioè riceve credito dai clienti.

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2. i contratti che costituiscono operazioni attive, perché mediante gli stessi la banca diventa creditrice dei suoi clienti, cioè fa credito ai clienti.

Vi sono, poi, le operazioni che la banca conclude nella sua funzione di intermediazione nei pagamenti, e – infine – le operazioni accessorie con le quali la banca fornisce ai clienti particolari servizi. I contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari devono essere redatti per iscritto, ed un loro esemplare dev’essere consegnato ai clienti; l’inosservanza della forma scritta comporta la nullità del contratto.

I DEPOSITI BANCARI

Con il contratto di deposito il cliente trasferisce alla banca la proprietà di una somma di denaro. La banca si obbliga a restituire nella sua sede detta somma o parte di essa in uno dei seguenti 3 modi:

• ad una data stabilita (ad esempio, dopo 1 anno dal giorno del deposito), in questo caso si ha il deposito a scadenza fissa;

• dopo che sia trascorso un determinato termine dilatorio (ad esempio, 8, 15 giorni) dal giorno in cui la banca riceve dal depositante la richiesta di restituzione, ed in questo caso si ha un deposito con preavviso;

• immediatamente, cioè appena il depositante ne faccia richiesta, e in questo caso si ha il deposito libero (c.d. deposito a vista);

Se nulla è stabilito nel contratto circa il termine di restituzione, questa deve avvenire con l’osservanza del termine di preavviso risultante dagli usi.

La banca si obbliga, ancora, a corrispondere sulla somma depositata un interesse, che di solito è maggiore nei depositi a scadenza fissa, minore nei depositi con preavviso, ancora minore nei depositi liberi.

Quando il deposito è (denominato) in conto corrente, il correntista può depositare più somme in momenti successivi (versamenti) e richiedere in più volte la restituzione delle somme depositate (prelevamenti).

Di solito i prelievi si effettuano mediante emissione di assegni, che il correntista trae sulla banca in virtù di un’apposita convenzione di assegno.

La possibilità di fare i prelievi mediante assegni, invece, non si ha nel deposito (denominato) a risparmio, che si caratterizza perché la banca rilascia al depositante un “libretto di risparmio” che le deve

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essere esibito ogni volta che si effettuano versamenti o prelevamenti, i quali devono essere annotati sullo stesso libretto.

Il libretto di deposito può essere nominativo, cioè intestato al nome del cliente, o al portatore o – ancora – nominativo (ma) pagabile al portatore, in cui la banca non può impedire i prelievi del portatore del libretto, anche se questi non è il depositante. Il libretto nominativo, dunque, è un documento di legittimazione, in quanto serve solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione.

In caso di smarrimento, distruzione o sottrazione di buoni fruttiferi, di libretti di risparmio nominativi o al portatore è previsto un particolare procedimento per farne dichiarare l’inefficacia (c.d. ammortamento).

L’APERTURA DEL CREDITO E L’ANTICIPAZIONE BANCARIAL’apertura di credito bancario è il contratto con il quale la banca, ricevendo in compenso un interesse, si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte (c.d. accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo (c.d. apertura di credito a tempo determinato) o anche a tempo indeterminato (c.d. apertura di credito a tempo indeterminato) [art. 1842].

Solitamente, ricorre all’apertura di credito chi vuole assicurarsi la disponibilità di una somma, ma non è ancora sicuro se ne avrà bisogno, se avrà bisogno di tutta la somma o parte di essa, in quale momento ne avrà bisogno.

Inoltre, si ha apertura di credito semplice quando l’accreditato può solo fare prelevamenti, entro i limiti della somma messagli a disposizione dalla banca (c.d. fido).

Si ha, invece, l’apertura del credito in conto corrente , quando l’accreditato può alternare prelevamenti a versamenti, sempre però entro i limiti del fido consentitogli dalla banca (art. 1843 c.1).

Se la banca non richiede all’accreditato né garanzie reali (cioè, costituzione di pegni e ipoteche) né garanzie personali (ad esempio, fideiussioni), si dice che l’apertura di credito è allo scoperto; viceversa si parla di apertura di credito garantita se invece c’è la garanzia.

In particolare, la garanzia s’intende data per tutta la durata del rapporto di apertura di credito; se la garanzia diviene insufficiente, la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante: se l’accreditato non ottempera alla richiesta, la banca può ridurre il credito, in proporzione al diminuito valore della garanzia (cioè, può recedere dal contratto).

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Se l’apertura del credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal rapporto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto o dagli usi o – in mancanza anche di usi – in quello di 15 giorni.

Se l’apertura del credito è, invece, a tempo determinato, la banca può recedere dal contratto solo per giusta causa, a meno che il contrario non sia stabilito nel contratto; estinguendosi il rapporto, l’accreditato non può più prelevare altre somme e deve restituire la somma di cui è debitore in un termine non minore di 15 giorni; se però la giusta causa consiste nell’insolvenza dell’accreditato la banca può esigere il pagamento immediatamente senza dover attendere 15 giorni (art. 1186).

Per quanto riguarda l’anticipazione bancaria diciamo che in questo caso, la banca dà – o pone a disposizione del cliente – una somma di denaro dietro garanzia di merci o di titoli costitutivi di pegno.

Il pegno delle merci o dei titoli può essere:

regolare se la proprietà delle merci spetta all’accreditato

e irregolare se, invece, la proprietà dei beni dati in pegno si trasferisce alla banca (art. 1848).

Oggetto del pegno possono essere solo merci o titoli, cioè beni che hanno un prezzo corrente agevolmente individuabile.

LE OPERAZIONI BANCARIE IN CONTO CORRENTE E IL CONTRATTO DI CONTO CORRENTE

I contratti bancari di deposito, di apertura del credito e di anticipazione possono essere regolati in conto corrente, e quindi il correntista – mediante una serie di versamenti e prelevamenti – può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito (salva l’osservanza del termine di preavviso eventualmente stabilito nel contratto) senza bisogno di attendere la chiusura del conto (art. 1852).

Questa caratteristica differenzia le operazioni bancarie in conto corrente dal contratto di conto corrente ordinario, con il quale le parti (di solito, due imprenditori) si obbligano ad annotare in conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto.

Tra le operazioni bancarie in conto corrente rientra anche il conto corrente di corrispondenza (detto anche “conto corrente bancario”), contratto nel quale il cliente può compiere operazioni di versamento e

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di prelievo sia sulla base di fondi propri da lui affidati alla banca sia sulla base di fondi messigli a disposizione dalla banca.

Inoltre, è opportuno distinguere:

- conti plurimi, in base alla quale se tra la banca e il cliente esistono più rapporti o più conti, i saldi attivi e passivi dei diversi conti si compensano reciprocamente (art. 1853);

- conti congiunti, quando – invece – il conto è intestato a più persone, occorre accertare se a ciascuna di esse sia stato attribuito il potere di compiere operazioni “anche separatamente”; poiché, se così è stato pattuito, ogni intestatario è considerato creditore (o debitore) solidale dei saldi del conto, e quindi può prelevare l’intera somma anche da solo (art. 1854).

Altra operazione bancaria attiva è lo sconto, contratto mediante cui la banca – previa deduzione di un interesse (detto appunto sconto) – anticipa al cliente (detto scontatario) l’importo di un credito non ancora scaduto che il cliente ha verso un terzo; alla banca detto credito viene ceduto “pro solvendo” (art. 1858), con la conseguenza che, se la banca non riesce ad esigere il credito dal debitore ceduto, essa può richiedere allo scontatario la restituzione della somma anticipatagli, oltre all’interesse a suo tempo dedotto.

L’interesse, che la banca detrae dall’importo del credito, è calcolato in proporzione del tempo che deve decorrere tra il momento dello sconto e il momento di scadenza del credito ceduto.

Se la banca utilizza il credito scontato presso di essa per scontarlo a sua volta presso altra banca, si ha il risconto, che è – per la banca scontataria – un’operazione passiva.

OPERAZIONI BANCARIE DI INTERMEDIAZIONE NEI PAGAMENTI

Le banche svolgono anche opera di intermediazione nei pagamenti.

Oltre a provvedere al pagamento ai terzi beneficiari degli ordini di pagamento (c.d. bonifici bancari) ricevuti dai correntisti, o degli assegni bancari tratti dai correntisti che dispongono di una somma di denaro per avere compiuto un deposito o ottenuto un’apertura di credito o un’anticipazione, le banche sogliono fare pagamenti per conto dei loro clienti soprattutto in occasione delle compravendite da piazza a piazza

OPERAZIONI BANCARIE ACCESSORIE

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Le più significative operazioni bancarie dette accessorie sono:

• Depositi a custodia, poiché anche la banca – come altri soggetti – conclude depositi regolari (di solito beni preziosi) in cui la cosa depositata resta di proprietà del depositante e la banca ne ha solo la detenzione. Se il deposito ha per oggetto contenitori chiusi (quali, cassette e bauli), la banca risponde soltanto dell’integrità esteriore, entro i limiti contrattualmente determinati.

• Deposito di titoli in amministrazione, poiché se i beni depositati sono titoli, la banca può assumere – oltre l’obbligo di custodirli – anche quello di provvedere alla loro gestione, esercitando i diritti inerenti ai titoli stessi. La banca deve, nell’amministrare i titoli, usare “l’ordinaria diligenza” ed è nullo ogni patto contrario (art. 1838 c.4). Se si conviene che la banca non è obbligata a restituire gli stessi titoli depositati, ma solo il tantundem (cioè titoli della stessa natura), si ha il c.d. comodato bancario, contratto che è in realtà un mutuo di titoli, e – precisamente – deve considerarsi un’operazione passiva e non accessoria.

• Esecuzione di incarichi, poiché solitamente la banca può assumere – secondo le regole del contratto di mandato – l’incarico di compiere delle operazioni per conto del cliente (ad esempio, incassare e pagare cambiali, riscuotere cedole, comprare o vendere titoli) con diritto al rimborso delle spese e ad un compenso (la c.d. commissione). Quando l’incarico deve eseguirsi su una piazza dove non esistono filiali della banca, questa può incaricare dell’esecuzione un’altra banca o un suo corrispondente (art. 1856 c.2).

• Abbonamento alle cassette di sicurezza, in quanto la banca può avere costruito dei locali corazzati e custoditi da appositi guardiani, in cui sono contenuti molti loculi in metallo che si aprono mediante due chiavi, e nell’interno dei quali è contenuta una cassetta metallica. Con il contratto d’abbonamento alle cassette di sicurezza, precisamente, la banca si obbliga a fare usare del loculo il cliente, il quale – nelle ore in cui la banca è aperta al pubblico – può aprire la cassetta mediante il concorso di un impiegato della banca, in modo da prelevare o conservare in piena segretezza nella cassetta interna gli oggetti che crede.

Se la cassetta è intestata a più persone, ognuno degli interessati ha il diritto di aprirla (art. 1840 c.1).

Se muore l’intestatario o uno degli intestatari, la banca – che conosca della morte – può consentire l’apertura della cassetta soltanto se vi è il consenso di tutti gli aventi diritto, o secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria.

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Di solito, la durata del rapporto è annuale, ed esso si proroga tacitamente di anno in anno, salva disdetta di una delle parti. Se, dopo la scadenza del contratto, l’abbonato non vuota la cassetta e non restituisce la chiave alla banca, questa può riacquistarne la disponibilità col seguente procedimento: fa un’intimazione all’intestatario e, dopo il decorso di 6 mesi, chiede al tribunale l’autorizzazione ad aprire la cassetta alla presenza di un notaio, a vendere quella parte degli oggetti rinvenuti occorrente per soddisfare quanto le è dovuto per canoni e spese, e a depositare il resto degli oggetti in altro luogo per conto del depositante (art. 1841).

IL CONTRATTO DI RIPORTO

Il riporto è un contratto con il quale una parte (detta riportato) trasferisce all’altra (detta riportatore), per un determinato prezzo, la proprietà di titoli di credito già individuati;

il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, ad un determinato termine, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie per un determinato prezzo, che può essere maggiore del prezzo già versato dal riportatore, o minore (in questo caso si parla di deporto) [art. 1548].

Il prezzo è maggiore, se è il riportato che ha bisogno di disporre di una somma per la durata del riporto (c.d. riporto finanziario); è minore, se invece è il riportatore che ha bisogno di disporre ei titoli.

Il riporto non è un tipico contratto bancario.

Secondo il codice, esso (il riporto) è un contratto reale, in quanto si perfeziona nel momento in cui il riportato consegna i titoli al riportatore (art. 1549).

Il contratto di riporto può essere stipulato dalle banche anche nello svolgimento della loro attività di investimento in strumenti finanziari, ed in particolare nei mercati di borsa, allo scopo di fornire al contraente la disponibilità del denaro o dei titoli che gli occorrono per l’adempimento di un contratto di borsa.

L’IMPRESA FINANZIARIA

L’attività delle banche è definita d’intermediazione creditizia, nel senso che esse impegnano i capitali ricevuti in prestito in varie forme dai risparmiatori (la c.d. provvista) per fare credito a terzi.

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Dall’intermediazione creditizia va giuridicamente distinta l’attività di intermediazione finanziaria che si ha quando le imprese finanziarie fanno credito a terzi, o assumono partecipazioni in altre società mediante l’utilizzazione di capitali propri, o ricevuti da terzi con operazioni diverse (ad esempio, mutui, obbligazioni sociali) da quelle tipiche di raccolta delle banche, o prestati dalle stesse banche o da altre imprese finanziarie.

LE CAMBIALI FINANZIARIE. I CERTIFICATI D’INVESTIMENTO

Uno strumento per il finanziamento a breve termine delle imprese è costituito dalle cosiddette cambiali finanziarie, regolate dalla legge 13 gennaio 1994 n.43.

Le cambiali finanziarie sul piano strutturale sono titoli all’ordine, soggette alla disciplina formale delle cambiali ordinarie, ma che da esse si distinguono sul piano funzionale, perché vengono emesse dalle imprese commerciali – al pari delle obbligazioni, che però sono titoli a medio lungo termine – allo scopo di ricevere finanziamenti, a titolo di mutuo collettivo, direttamente dal pubblico dei risparmiatori, che possono acquistarle a scopo di investimento. Le cambiali finanziarie sono pertanto titoli di credito emessi in serie, e sono qualificate dalla legge “valori mobiliari”.

La scadenza non può essere inferiore a 3 mesi e superiore a 12 mesi dalla data di emissione.

Poiché le cambiali finanziarie hanno per oggetto “l’acquisizione di fondi con l’obbligo di rimborso” alla scadenza, esse costituiscono uno strumento di raccolta del risparmio tra il pubblico, e sono quindi soggette anche alla disciplina regolamentare del Cicr (comitato interministeriale del credito e del risparmio).

Il Circ ha, dunque, stabilito che le cambiali finanziarie devono avere un taglio minimo non inferiore a 100 milioni di lire (ossia, 51.645,69 euro) e che possono essere emesse:

- dalle società finanziarie iscritte in un apposito elenco speciale tenuto dalla Banca d’Italia;

- da società ed enti con strumenti finanziari quotati in borsa o in altri mercati regolamentati;

- da società non quotate,purché gli ultimi tre esercizi siano stati in utile; e precisamente, se emesse da società non quotate le cambiali finanziarie devono essere assistite per almeno il 50% del loro valore di sottoscrizione, da garanzie (fideiussioni, avalli) rilasciate o da banche o da

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società finanziarie iscritte nell’elenco speciale o da società di assicurazione.

Le cambiali finanziarie sono girabili esclusivamente con la clausola “senza garanzia”, e quindi nessun girante diventa obbligato di regresso.

Secondo la delibera del Circ le imprese, alle quali è consentito emettere cambiali finanziarie, possono emettere anche titoli denominati certificati d’investimento; la durata deve essere non inferiore a 12 mesi e il taglio non deve essere inferiore a 51.645,69.

L’ammontare della raccolta del risparmio tra il pubblico, effettuata mediante cambiali finanziarie e certificati di investimento, non può eccedere – insieme alla raccolta mediante obbligazioni – il limite del capitale versato e delle riserve risultanti dall’ultimo bilancio approvato.

LA LOCAZIONE FINANZIARIA (LEASING)

Le imprese possono acquistare (compravendita) o prendere in godimento (locazione, affitto) i beni strumentali occorrenti per la loro attività produttiva (immobili, mobili, macchinari).

Per l’acquisto, se non hanno o se non sono sufficienti i propri capitali, le imprese devono ricorrere al credito; mentre, se hanno capitali propri, questi restano immobilizzati.

Uno strumento alternativo di finanziamento si ha con il cosiddetto contratto di locazione finanziaria, talvolta denominato anche contratto di leasing. Tale contratto può essere concluso direttamente tra l’impresa produttrice o venditrice del bene e l’impresa che deve utilizzarlo; a quest’ultima il bene viene dato in godimento, dietro versamento di un corrispettivo suddiviso in canoni periodici; di solito, alla scadenza è previsto che l’utilizzatore ha la facoltà di restituire il bene all’impresa produttrice, o di divenirne proprietario, versandone una somma finale (c.d. prezzo d’opzione) già calcolata al momento della conclusione del contratto, sulla base del prevedibile valore residuo del bene.

Il contratto di leasing, rispetto all’acquisto da compravendita, consente di evitare immobilizzazioni di capitali, mentre rispetto alla locazione o all’affitto, consente all’impresa di acquistare alla fine del rapporto la proprietà del bene.

Secondo la cassazione, se le parti hanno previsto un prezzo d’opzione molto inferiore al valore residuo del bene, gli ammontari dei canoni periodici vanno considerati, per una parte, quale corrispettivo del

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godimento del bene e, per l’altra parte, quale corrispettivo dell’acquisto.

In tale ipotesi, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento o per fallimento dell’utilizzatore, l’impresa di leasing deve restituire i canoni riscossi, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, e al risarcimento del danno; se invece il prezzo di opzione corrispondeva o era vicino al prevedibile valore residuo del bene utilizzato, l’impresa di leasing può trattenere i canoni riscossi, appunto perchè da considerarsi corrispettivi (solo) del periodo di durata del godimento del bene (art. 1458 c.1).

Spesso nel contratto interviene una terza impresa, che ha per oggetto proprio l’attività di leasing, la quale – da un canto – acquista il bene dal produttore e – dall’altro – lo concede in leasing all’impresa che ne ha bisogno per l’esercizio della propria attività economica.

Tali imprese devono essere costituite nelle forme di società per azioni, e devono avere un capitale versato non inferiore a 500.000,00 euro, e devono – inoltre – essere iscritte nell’elenco delle imprese finanziarie.

IL FACTORING

Con il contratto di factoring un imprenditore cede ad un altro imprenditore (detto factor) i crediti sorti, o che possono venire a sorgere anche in dipendenza di rapporti futuri, nei confronti dei propri clienti (ad esempio, crediti da forniture o da servizi).

L’attività di factoring è stata regolata da una legge speciale (21 febbraio 1991 n.52) che disciplina, appunto, la cessione dei crediti d’impresa (essa riguarda elusivamente quei crediti derivanti dall’esercizio di un’impresa commerciale).

L’attività di factoring deve essere esercitata esclusivamente da imprese bancarie, o da imprese finanziarie iscritte nell’elenco generale il cui oggetto sociale preveda l’acquisto di crediti di impresa. E precisamente, essa, può avere una duplice funzione:

1) sia quella di finanziamento delle attività commerciali

2) e sia di riscossione dei crediti d’impresa. Ovviamente tutto questo dietro il pagamento di un corrispettivo.

La cessione dei crediti futuri è ammissibile solo se vi è l’indicazione dei debitori ceduti e solo se si tratta di crediti che sorgeranno da contratti da stipulare entro il biennio successivo alla stipula dell’atto di cessione.

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Di regola, la cessione dei crediti avviene “pro solvendo”, nei limiti del corrispettivo pattuito. Le parti possono, però, stabilire con apposito patto contrario, che la cessione dei crediti avvenga “pro soluto”.

Il factor si obbliga a versare al cedente le somme corrispettive dei crediti ceduti dopo l’incasso (per quelli ceduti “pro soluto”ad una data convenuta, alcuni mesi dopo la scadenza).

Sui crediti non esigibili il factor può anche accettare di concedere anticipazioni al cedente, il quale così – oltre ai risparmi di gestione per non doversi occupare della riscossione dei propri crediti – può ottenere anche un finanziamento della propria attività economica.

Per quanto riguarda l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi diciamo che l’impresa di factoring può rendere opponibile ai terzi la cessione dei crediti nei modi diversi previsti dall’articolo 1265 del codice civile; ma anche se non vi è stata la notifica o non è avvenuta l’accettazione del debitore dell’atto di cessione, questa è ugualmente opponibile ai terzi, se il factor abbia pagato – in tutto o in parte – il corrispettivo della cessione, e se il pagamento ha data certa: in tal caso, infatti, l’atto di cessione è opponibile sia ai terzi creditori del cedente, i quali abbiano pignorato il credito dopo la data di pagamento;

sia ai terzi altri cessionari dello stesso credito, i quali a loro volta non abbiano reso efficace il loro atto di acquisto anteriormente alla data del pagamento. E’ tuttavia egualmente liberato il debitore ceduto che abbia pagato un altro cessionario, prima che il factor gli abbia notificato l’atto di cessione, o prima che lo stesso debitore abbia accettato la cessione (art. 1264 c.1).

Questa disciplina (cioè della legge 1991/52) è applicabile solo se l’attività di acquisto dei crediti di impresa è esercitata da imprese bancarie o finanziarie; in mancanza, ai contratti di factoring rimane applicabile la disciplina della cessione dei crediti secondo le norme del codice civile.

Le imprese di factoring hanno predisposto condizioni generali di contratto, in cui al factor sono tra l’altro attribuiti poteri di controllo sulle scritture contabili del cedente, ed in cui si pongono a carico di quest’ultimo una serie di obblighi la cui violazione può condurre alla risoluzione del contratto a norma dell’art. 1456 (clausola risolutiva espressa).

IL CREDITO AL CONSUMO

Per l’acquisto di beni o di servizi destinati al consumo, un soggetto può:

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- utilizzare mezzi finanziari di cui dispone (denaro)

- o può ricorrere, per convenienza o per costrizione, al finanziamento di terzi

- o rivolgendosi ad imprese bancarie o finanziarie

- o ottenendo dilazioni di pagamento degli stessi fornitori.

La legge individua la fattispecie di credito al consumo nella concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale, di “credito sotto forma di dilazione di pagamento o di prestito o di finanziamento a favore di una persona fisica (consumatore) che agisce per scopi estranei

all’ attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.

L’esercizio dell’attività di concessione di credito è riservato:

• alle banche

• alle imprese finanziarie

• e agli stessi fornitori dei beni o dei servizi acquistati per il consumo.

Le imprese bancarie e finanziarie solitamente concedono credito al consumo mediante prestiti (mutui) o mediante contratti bancari o finanziari (anticipazioni, leasing, aperture di credito in conto corrente da utilizzare mediante carte di credito).

Qualunque sia la forma, i contratti con cui vengono concessi crediti ai consumatori devono essere stipulati, a pena di nullità relativa, per iscritto, e un esemplare del contratto va consegnato contestualmente al consumatore.

Nel contratto devono essere indicati:

o l’ammontare e le modalità del finanziamento

o il numero, gli importi, le scadenze delle singole rate

o il tasso annuo effettivo globale (c.d. taeg) che indica il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua del credito concesso e comprensivo degli interessi e degli oneri)

o il dettaglio delle condizioni per l’eventuale modifica del taeg

o le eventuali garanzie e coperture assicurative richieste.

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Il rispetto di questa disciplina è affidato alla vigilanza della Banca d’Italia e del Ministero delle attività produttive (art. 128 c.3).

CONTRATTI DI INVESTIMENTO E MERCATI FINANZIARI

GLI INVESTIMENTI DI NATURA FINANZIARIANell’espressione prodotti finanziari il legislatore ricomprende “ogni forma di investimento di natura finanziaria”, e cioè ogni investimento di capitali in attività economiche esercitate da altri soggetti, attività produttive di reddito (utili, interessi) e/o di incrementi patrimoniali.

Tra i prodotti finanziari l’art. 1 fa espresso riferimento agli strumenti finanziari, nel cui elenco ricomprende anche i valori mobiliari, il cui concetto è ristretto solo ai “titoli rappresentativi di capitale di rischio… ai titoli di debito… agli strumenti finanziari previsti dal codice civile negoziabili nel mercato di capitali”.

I prodotti finanziari, ed in particolare gli strumenti finanziari, sono pertanto strumenti di investimento (solitamente rappresentati da documenti o certificati) che normalmente costituiscono strumenti per la raccolta del risparmio diffuso tra il pubblico.

Gli strumenti finanziari possono servire per la raccolta del risparmio tra il pubblico, ma possono anche servire per attività speculative, o di copertura del rischio di investimento.

Dunque, le imprese di investimento svolgono un’attività di intermediazione finanziaria, nel senso che ha per oggetto strumenti finanziari.

La raccolta del risparmio tra il pubblico è sottoposta al controllo della pubblica Amministrazione, controllo che si esercita sulle imprese bancarie e finanziarie e sulle imprese assicurative per vigilare sulla correttezza e sulla prudenza della gestione e garantire la stabilità patrimoniale e la solvibilità.

Secondo l’art. 1 del testo unico 24 febbraio 1998 n.58, costituisce sollecitazione all’investimento “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”.

Pertanto, rientra nel concetto di sollecitazione:

- ogni offerta di pubblica sottoscrizione, avente per oggetto prodotti finanziari di nuova emissione;

- ogni proposta, mediante offerta al pubblico, di acquisto o di vendita di prodotti finanziari già emessi;

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- ogni invito al pubblico a presentare offerte per la sottoscrizione o l’acquisto di prodotti finanziari;

- ogni messaggio volto a promuovere operazioni di collocamento di prodotti finanziari.

Su ogni operazione di sollecitazione ad un investimento finanziario gli artt. 94 e seguenti del testo unico 1998/58 prevedono il controllo della Consob, allo scopo di assicurare un’adeguata informazione del pubblico.

Pertanto, coloro che intendono sollecitare all’investimento – con qualsiasi mezzo – il pubblico risparmio devono darne preventiva comunicazione alla Consob, alla quale spetta di regolamentare il contenuto della comunicazione (art. 95 c.1).

Assieme alla comunicazione dell’operazione di sollecitazione del pubblico risparmio deve essere trasmessa la bozza di un prospetto informativo redatto secondo le disposizioni di carattere generale dettate dalla Consob con regolamento, per fornire al pubblico degli investitori i dati necessari per consentirgli un fondato giudizio sulle caratteristiche dei prodotti finanziari e sulla situazione di coloro che li emettono o li hanno emessi.

Pertanto possiamo dire che, ogni sollecitazione all’investimento deve essere preceduta dalla pubblicazione del prospetto informativo.

Inoltre, la Consob deve:

1. stabilire le regole sulle modalità di svolgimento dell’operazione, anche al fine di assicurare la parità di trattamento degli investitori.

2. indicare le regole di correttezza che devono essere osservate dall’offerente, dall’emittente, dai soggetti incaricati del collocamento dei prodotti finanziari oggetto dell’offerta.

3. stabilire il contenuto tipico dei prodotti finanziari, quando questi sono individuati attraverso una particolare denominazione (art. 94).

Prima della pubblicazione del prospetto informativo è vietato qualsiasi annuncio pubblicitario relativo all’operazione di sollecitazione. Sono, tuttavia, consentiti la diffusione di notizie, lo svolgimento di indagini di mercato, la raccolta di intenzioni di acquisto o di sottoscrizione di prodotti finanziari.

Se le disposizioni sugli annunci pubblicitari non vengono rispettate, la Consob può sospendere o vietare l’ulteriore diffusione degli annunci,

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e in caso di violazione dei suoi provvedimenti di sospensione o di divieto degli annunci, può vietare l’esecuzione della stessa sollecitazione all’investimento (art. 101 c.2).

E precisamente, il sospetto della violazione delle disposizioni – legislative e regolamentari – sulle operazioni di sollecitazione consente alla Consob di sospendere in via cautelare la sollecitazione per un periodo non superiore a 90 giorni, e di vietarla quando è accertata l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione e delle altre disposizioni.

Il controllo della Consob non è previsto quando la sollecitazione è rivolta ad investitori professionali (ad esempio, banche, organismi di investimento collettivo del risparmio), o quando è rivolta a un ridotto numero di investitori o è di ammontare modesto.

Coloro che intendono emettere valori mobiliari devono darne comunicazione alla Banca d’Italia indicando la quantità e le caratteristiche dei titoli da emettere, nonché le modalità ed i tempi di attuazione dell’emissione.

La comunicazione è richiesta soltanto se l’ammontare dell’emissione supera il limite stabilito in generale dalla stessa Banca d’Italia (tale limite deve essere superiore a 50 milioni di euro).

Tuttavia, la Banca d’Italia non esamina il merito dell’operazione, ma ne controlla soltanto l’incidenza sul mercato finanziario. L’operazione può essere effettuata decorsi 20 giorni dal ricevimento della comunicazione, sempre che la stessa Banca d’Italia entro lo stesso termine non abbia disposto di differire l’esecuzione dell’operazione, o addirittura di vietarla.

L’inosservanza dell’obbligo di comunicazione o delle prescrizioni della Banca d’Italia non produce l’invalidità dell’emissione o della offerta al pubblico, ma è punita con la sanzione penale dell’ammenda sino ad un massimo della metà del valore totale dell’operazione.

LE SOCIETA’ DI INVESTIMENTOLe imprese che possono svolgere professionalmente l’attività di intermediazione finanziaria sono principalmente le imprese bancarie e le imprese di investimento autorizzate ad investire in attività finanziarie il risparmio raccolto tra il pubblico dei risparmiatori sia nell’interesse di singoli risparmiatori (investimenti individuali) sia nel loro interesse comune (investimenti collettivi).

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Le imprese di investimento devono costituirsi nella forma di società per azioni e devono – inoltre – essere autorizzate dalla Consob o dalla

Banca d’Italia a svolgere l’attività di intermediazione finanziaria; sono soggette alla vigilanza della Consob, volta soprattutto ad assicurare “la trasparenza e la correttezza dei loro comportamenti”; sono anche soggette alla vigilanza della Banca d’Italia principalmente per assicurarne la solidità patrimoniale (c.d. stabilità).

In caso di crisi, le società di investimento sono soggette – come le società bancarie – alle procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa; ed inoltre i crediti dei clienti delle società di investimento sono garantiti da appositi fondi patrimoniale di garanzia (c.d. sistemi di indennizzo: art. 59).

LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI PECUNIARI

Le operazioni di cartolarizzazione dei crediti pecuniari svolgono solitamente funzioni di finanziamento (per le imprese) e di investimento (per i risparmiatori).

E precisamente, tali operazioni possono essere realizzate dagli imprenditori commerciali mediante cessione in blocco a titolo oneroso di una pluralità di crediti pecuniari – sia esistenti sia futuri – a favore di società di capitali o cooperative iscritte negli elenchi degli intermediari finanziari. Per rendere efficace la cessione globale nei confronti dei terzi, la società cessionaria deve darne notizia mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Assieme ai crediti si trasferiscono automaticamente alla società cessionaria anche le eventuali garanzie accessorie (ad esempio, le garanzie ipotecarie), senza bisogno di alcuna formalità o annotazione.

La società cessionaria deve avere per oggetto esclusivo della propria attività il compimento di operazioni di cartolarizzazione, e cioè di emissioni di titoli di debito (ad esempio, obbligazioni), che essa può effettuare direttamente o tramite altra società emittente .

Sul piano finanziario, la società cedente, originaria titolare dei crediti, può acquisire – tramite la loro cessione – la liquidità (il denaro) che le occorre per lo svolgimento della propria attività d’impresa. Con il ricavato dell’emissione dei titoli, la società cessionaria si procura i mezzi per il pagamento del prezzo di cessione dei crediti; mentre, con il ricavato della successiva riscossione dei crediti, la società cessionaria può procedere alla scadenza dei titoli al rimborso del capitale e al pagamento degli interessi.

I crediti oggetto dell’operazione di cartolarizzazione costituiscono un patrimonio autonomo, separato da quello della società cessionaria, e sul quale “non sono ammesse azioni da parte dei creditori diversi dai

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portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti” oggetto della cessione.

I titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti sono strumenti finanziari, e quindi alla loro emissione si applica la disciplina della sollecitazione all’investimento in attività finanziarie; occorre – dunque – la comunicazione dell’emissione alla Banca d’Italia e il collocamento dei titoli dev’essere attuato da intermediari professionali.

Inoltre diciamo che, l’affidabilità dei titoli oggetto dell’operazione di cartolarizzazione deve essere valutata da un’impresa indipendente, specializzata nella stima del valore dei crediti (rating). Non si ha, invece, sollecitazione all’investimento (e non è dunque neppure prescritto il rating dei titoli) se questi vengono offerti ad investitori professionali. Anche se tuttavia deve essere data comunicazione dell’emissione alla Banca d’Italia.

GLI ORGANISMI DI INVESTIMENTO COLLETTIVO

LE SOCIETA’ DI INVESTIMENTO A CAPITALE FISSOPuò accadere che la società d’investimento distribuisca solo (piccola) parte degli utili, in modo che i frutti (disponibilità monetaria) che danno le sue azioni rimangono inferiori a quelli dati da altri investimenti; può ancora accadere che il prezzo di mercato delle azioni della società di investimento non rifletta l’eventuale aumento del patrimonio sociale o che comunque non ne sia possibile l’alienazione al loro effettivo valore, mentre, d’altra parte, i titolari delle azioni non sono in condizioni di conoscere in qualunque momento quale è l’effettivo valore patrimoniale delle loro azioni e quindi se il valore di mercato di quel momento sia o meno conveniente ai fini di una vendita.

In questo caso, gli azionisti:

- da un lato, non vengono a realizzare i loro scopi di investimento, e cioè di ottenere ogni anno un adeguato reddito in moneta e (o) potere rapidamente disinvestire (cioè, tramutare in moneta) le loro azioni all’effettivo valore patrimoniale;

- dall’altro lato, non hanno neppure il diritto di recedere dalla società per ottenere la liquidazione delle loro azioni;

- da un terzo lato, ancora, corrono il rischio – se le scelte di investimento della società risultano errate – di partecipare alle perdite della società.

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Il legislatore ha previsto la costituzione di altri organismi di investimento collettivo del risparmio (c.d. oicr), e precisamente di “società di investimento a capitale variabile-sicav”, ossia delle società di investimento nelle quali i risparmiatori – essendone azionisti – sono partecipi dei suoi risultati economici. Però, a differenza di quanto accade nelle società a capitale fisso, essi ( a causa della variabilità del capitale) possono recedere in ogni tempo dalla società, ottenendo immediatamente il rimborso delle proprie azioni.

È stata, inoltre, disciplinata la istituzione di “fondi comuni di investimento” il cui patrimonio – costituito dai versamenti degli investitori che vi partecipano – è distinto dal patrimonio della società a capitale fisso alla quale ne è affidata la gestione.

A loro volta, i fondi comuni possono essere:

• di “tipo aperto”, e in questo caso i partecipanti possono ottenere in qualsiasi momento il rimborso delle loro quote. Essi sono ammissibili solo se l’oggetto dell’investimento è costituito da strumenti finanziari. Nell’ambito dei fondi aperti, vanno menzionati i c.d. fondi armonizzati, le cui quote possono essere commercializzate in tutti i paesi dell’Unione europea.

• o di “tipo chiuso”, e in questo caso il rimborso delle quote avviene alla scadenza della durata del fondo.

I fondi comuni di investimento, sia di tipo aperto che di tipo chiuso, presentano una organizzazione complessa, le cui caratteristiche principali sono:

a) vi è anzitutto una società per azioni, detta società di gestione (sgr), la quale svolge il compito di gestire un patrimonio (il c.d. fondo) comune, costituito con i capitali di una pluralità di investitori (c.d. partecipanti). È opportuno specificare che, il fondo è “gestito in monte”, cioè nell’interesse collettivo della pluralità dei partecipanti;

b) si ha poi il fondo, o i diversi fondi, (in) comune, in quanto a seguito dell’attività del gestore, del fondo vengono a fare parte, oltre le somme versate dagli investitori, gli strumenti finanziari e (o) gli altri beni acquistati con tali somme, i ricavi delle loro alienazioni e i dividendi. Ciascun fondo comune – suddiviso in quote – costituisce un patrimonio autonomo, distinto sia dal patrimonio della società di gestione del risparmio sia da patrimoni degli investitori;

c) il patrimonio del fondo comune è depositato presso una banca, scelta secondo i criteri determinati dalle autorità di vigilanza. La banca depositaria esegue le operazioni di gestione del patrimonio del fondo disposte dalla società di gestione; e

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precisamente, la banca depositaria deve accertare la legittimità delle operazioni di emissione e di rimborso delle quote del fondo, della destinazione dei redditi del fondo, e deve controllare la legittimità delle istruzioni della società di gestione.

In definitiva possiamo dire che: l’istituto del fondo comune di investimento consiste in un complesso patrimoniale di pertinenza di una pluralità di partecipanti, che viene gestito da una società per azioni nell’interesse degli stessi partecipanti, ma rimane distinto ed autonomo rispetto ai patrimoni dell’una e degli altri; le somme di denaro e gli strumenti finanziari facenti parte del patrimonio del fondo comune devono essere depositati presso una banca la quale – in quanto depositaria – acquista la proprietà delle somme e la detenzione dei titoli.

Le sgr possono istituire anche:

- fondi riservati, che sono quelli a cui possono partecipare soltanto investitori qualificati;

- fondi garantiti, che invece sono quelli che garantiscono – mediante la stipula di apposite convenzioni con imprese bancarie, assicurative o finanziarie – la restituzione del capitale investito o il riconoscimento di un rendimento minimo;

- fondi speculativi, che infine sono quelli il cui patrimonio può essere investito in deroga alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia. È opportuno specificare che, possono partecipare a ciascun fondo speculativo non più di 200 unità e le quote non possono essere oggetto di sollecitazione all’investimento.

Di qualunque tipo sia, l’istituzione di ogni fondo comune deve essere disciplinata da un apposito regolamento deliberato dal consiglio di amministrazione della società di gestione del risparmio, ed approvato dalla Banca d’Italia.

Tale regolamento definisce le caratteristiche (cioè, se è aperto o chiuso), il funzionamento, indica la società promotrice, il gestore e la banca depositaria; ancora, regola il rapporto con i partecipanti, indica il tipo di beni (mobili, immobili, crediti), di strumenti finanziari e di altri valori in cui è possibile investire il patrimonio del fondo.

Inoltre, nel regolamento devono indicarsi:

a) la denominazione e la durata del fondo

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b) le modalità di partecipazione al fondo

c) gli organi amministrativi e/o tecnici competenti per la scelta degli investimenti, e i criteri di ripartizione degli investimenti tra i diversi tipi di beni

d) i beni oggetto d’investimento devono essere coerenti con la natura, aperta o chiusa, del fondo

e) le spese a carico del fondo e quelle a carico delle società di gestione

f) le modalità di pubblicità del valore delle quote di partecipazione

g) le modalità di liquidazione del fondo.

È opportuno precisare, inoltre, se si tratta di:

- fondi di accumulazione, nei quali – ad esempio – i proventi ricavati dai titoli (ossia dividendi, interessi) rimangono nel patrimonio del fondo, e quindi aumentano il valore delle partecipazioni;

- o di fondi di reddito, nei quali i proventi vengono distribuiti tra i partecipanti;

- o di fondi misti, in cui i proventi vengono in parte trattenuti ed in parte distribuiti.

Per quanto riguarda l’istituzione dei fondi comuni, nell’art. 34 del testo unico è disposto che la società richieda alla Banca d’Italia l’autorizzazione all’esercizio di gestione collettiva del risparmio. Tale autorizzazione viene rilasciata se:

la società ha un capitale minimo interamente versato di almeno 1 milione di euro

se la misura del capitale indicata nello statuto viene giudicata adeguata alla realizzazione del programma di attività che la società deve presentare alla Banca d’Italia

se ha sede in Italia

se gli esponenti aziendali hanno i prescritti requisiti di onorabilità e di professionalità

se i requisiti di onorabilità sono posseduti anche dai soci detentori di partecipazioni superiori al 5% del capitale con diritto di voto.

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La partecipazione al fondo comune si realizza attraverso la conclusione di un contratto tra la società di gestione e gli investitori che chiedono di sottoscrivere le quote del fondo.

Le quote di partecipazione sono rappresentate da certificati, i quali rientrano tra gli strumenti finanziari.

I fondi sono sottoposti alla vigilanza amministrativa della Consob e della Banca d’Italia.

Per quanto riguarda i fondi aperti diciamo che, la società di gestione – con periodicità almeno settimanale – deve calcolare il valore delle quote, anche ai fini della loro emissione e del loro rimborso. Durante lo stesso periodo, gli investitori possono ottenere il disinvestimento dei propri capitali o alienando i certificati rappresentativi delle quote di partecipazione, o richiedendo in qualsiasi momento alla società di gestione di ordinare alla banca depositaria di procedere al rimborso delle quote.

Inoltre, proprio perché si tratta di fondi comuni aperti, il relativo patrimonio è essenzialmente variabile nel senso che aumenta per la sottoscrizione delle quote e diminuisce per il loro rimborso, seguendo le iniziative degli investitori e senza bisogno di alcuna deliberazione formale.

Per quanto riguarda, invece, i fondi chiusi diciamo che, il patrimonio del fondo chiuso può essere raccolto mediante una o più emissioni di quote, tutte di eguale valore unitario.

Per ciascuna emissione, le quote devono essere collocate tra il pubblico degli investitori mediante un’operazione di sollecitazione all’investimento, e devono essere sottoscritte entro il termine massimo di 18 mesi dalla pubblicazione del prospetto informativo. Tuttavia, può accadere che in tale termine non avvenga la sottoscrizione di tutte le quote; se però ne sono state sottoscritte in misura non inferiore ad un ammontare minimo indicato nello stesso regolamento, la sgr può procedere al c.d. ridimensionamento del fondo, in modo che le sue dimensioni vengano a corrispondere all’ammontare delle sottoscrizioni avvenute. Viceversa, nel caso in cui un fondo sia sottoscritto in misura superiore all’offerta, la sgr può aumentarne il patrimonio, nella maggiore misura già eventualmente prevista nello stesso regolamento del fondo.

La durata dei fondi chiusi non può essere superiore a 30 anni, anche se – tuttavia – la Banca d’Italia (se è previsto nel regolamento) può consentire, su richiesta della società di gestione, una proroga del termine di durata del fondo non superiore a 3 anni (c.d. periodo di grazia) per il completamento dello smobilizzo degli investimenti.

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I FONDI IMMOBILIARI E LA PRIVATIZZAZIONE DEI BENI PUBBLICILa costituzione di fondi immobiliari chiusi è ritenuta opportuna per agevolare lo sviluppo delle attività di compravendita di beni immobili, e indirettamente svilupparne anche l’attività di costruzione.

L’utilizzazione dello strumento dei fondi immobiliari chiusi è stata prevista anche per agevolare il trasferimento ai privati dei beni immobili appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato, o di altri enti pubblici.

A tal proposito diciamo che, la legge ammette che le quote dei fondi immobiliari chiusi possano essere sottoscritte anche con “apporto di beni immobili, qualora l’apporto sia costituito per oltre il 51% da beni apportati esclusivamente dallo Stato, da enti previdenziali pubblici, da regioni, da enti locali o loro consorzi, …”.

Dopo la costituzione del fondo, la società di gestione deve procedere all’offerta al pubblico delle quote del fondo presso operatori diversi dai soggetti conferenti, per il collocamento di almeno il 60 % del numero originario delle stesse quote. Entro 6 mesi dal collocamento e dalla consegna delle quote agli acquirenti, la società di gestione deve chiedere alla Consob l’ammissione dei relativi certificati alla negoziazione in un mercato regolamentato.

Qualora, dopo il decorso del termine di 18 mesi dalla data dell’ultimo apporto in natura, risulti collocato un numero di quote inferiore al 60%, l’operazione di privatizzazione si considera fallita e la società di gestione deve:

a) dichiarare il mancato raggiungimento dell’obiettivo minimo di collocamento;

b) dichiarare decadute le prenotazioni ricevute per l’acquisto delle quote;

c) deliberare la liquidazione del fondo.

In alternativa all’offerta al pubblico, il Ministro dell’economia, per le quote di propria pertinenza, può emettere titoli speciali, da collocare tra i risparmiatori, convertibili nelle quote dei fondi.

LA CONTABILITA’. La società di gestione, assieme alla propria contabilità, deve anche redigere con le stesse modalità le scritture contabili del fondo.

Oltre ad un prospetto periodico indicativo nei fondi aperti del valore delle quote di partecipazione, in tutti i tipi di fondi occorre redigere il libro giornale del fondo ed una relazione semestrale relativa alla gestione del fondo, entro 30 giorni dalla fine del semestre.

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Deve essere anche redatto il rendiconto della gestione del fondo, entro 60 giorni dalla fine di ogni esercizio annuale o del minor periodo in relazione al quale si procede alla distribuzione dei proventi.

Pertanto, rendiconto, relazione semestrale e prospetto periodico devono essere messi a disposizione del pubblico nella sede della società di gestione. Inoltre, i partecipanti al fondo hanno diritto di ottenere gratuitamente anche a domicilio copia del rendiconto e della relazione semestrale.

LE SOCIETÀ DI INVESTIMENTO A CAPITALE VARIABILE (sicav)

L’investimento collettivo del risparmio può anche avvenire tramite società di investimento a capitale variabile; e precisamente, le sicav sono società per azioni.

Sul piano strutturale, la costituzione della sicav si distingue nettamente dalla costituzione dei fondi comuni di investimento di tipo aperto, in quanto nelle sicav non si ha la distinzione dei patrimoni, e le posizioni di investitore e di azionista coincidono, dal momento che l’investimento viene effettuato attraverso la sottoscrizione delle azioni emesse, a fronte di un corrispondente conferimento in denaro.

La sicav può essere costituita soltanto dopo che sia intervenuta l’autorizzazione della Banca d’Italia, su parere obbligatorio della Consob. Il capitale sociale minimo deve essere di ammontare non inferiore a quello determinato con provvedimento di portata generale dalla stessa Banca d’Italia. I soci fondatori devono essere in possesso dei requisiti di onorabilità, e gli organi di amministrazione e direzione della sicav anche dei requisiti di professionalità.

Inoltre, i soci fondatori devono procedere alla costituzione della società – mediante la stipula dell’atto costitutivo pubblico – e ad effettuare i versamenti delle quote sottoscritte entro 30 giorni dal rilascio dell’autorizzazione.

La sicav non può essere costituita mediante pubblica sottoscrizione e non sono ammessi conferimenti in natura.

La costituzione della sicav può avvenire solo se il capitale è interamente versato e la denominazione deve contenere l’indicazione di “società di investimento per azioni a capitale variabile-sicav”, e tale denominazione deve risultare in tutti i documenti della società (art. 43 c.5).

Inoltre, le sicav devono essere iscritte in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia, e trascorsi 2 anni dal rilascio di essa (cioè,

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dell’autorizzazione) senza che la sicav abbia iniziato ad operare, l’autorizzazione decade automaticamente.

Il capitale delle sicav è sempre uguale al patrimonio netto (cioè, al supero delle attività sulle passività), senza distinzione tra capitale e fondi di riserva, o tra attività disponibili e indisponibili. Qualora il capitale diminuisce al di sotto del livello minimo iniziale e se la diminuzione permane per un periodo di almeno 60 giorni, si verifica una causa di scioglimento della sicav la quale, se non viene fusa con altra sicav, dev’essere messa in liquidazione.

Le azioni delle sicav devono essere immediatamente liberate al momento della loro emissione. Nello statuto delle sicav devono essere indicate le modalità di determinazione del valore delle azioni, cioè il regime di variazione del loro valore reale (il valore reale si ottiene dividendo il valore del patrimonio netto per il numero delle azioni in circolazione).

Le azioni possono essere, a scelta del sottoscrittore, nominative o al portatore.

Inoltre, alle sicav è vietato di emettere obbligazioni, azioni di godimento e azioni di risparmio.

Le azioni emesse dalla sicav, tanto nominative quanto al portatore, attribuiscono ai titolari eguali diritti patrimoniali. Mentre, per quanto riguarda i diritti amministrativi diciamo che solo le azioni nominative attribuiscono nelle assemblee un voto per ciascuna azione, a differenza delle azioni al portatore che invece attribuiscono al loro titolare un solo voto (qualunque sia il numero delle azioni possedute) [art. 45 c.4].

Per quanto riguarda i quorum assembleari diciamo che, l’assemblea ordinaria e quella straordinaria in seconda convocazione sono regolarmente costituite qualunque sia la parte del capitale sociale intervenuta.

Lo statuto può ammettere anche il voto per corrispondenza, e in tal caso l’avviso di convocazione dell’assemblea deve contenere per esteso la deliberazione proposta.

Inoltre, le deliberazioni che modificano lo statuto sociale possono essere iscritte nel registro delle imprese soltanto se approvate dalla Banca d’Italia.

Per quanto riguarda, invece, le partecipazioni nelle sicav diciamo che la comunicazione preventiva alla Banca d’Italia dell’acquisto o della cessione di partecipazioni qualificate dev’essere solitamente effettuata da chi intende acquisire o cedere una partecipazione superiore a 20.000 azioni nominative o, se minore, una

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partecipazione superiore al 10% del capitale rappresentato da azioni nominative.

Nello statuto delle sicav può essere prevista “l’esigenza di più comparti d’investimento per ognuno dei quali può essere emessa una particolare categoria di azioni” (sicav multicomparto).

Nella sicav multicomparto non si ha un patrimonio sociale unico, in quanto “ciascun comparto costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti”.

Nello statuto devono anche essere stabiliti “i criteri di ripartizione delle spese generali tra i vari comparti”.

Le sicav possono anche svolgere attività connesse e strumentali all’investimento collettivo del risparmio.

Le scritture contabili delle sicav devono essere tenute con modalità analoghe a quelle previste per i fondi comuni.

Quanto alla fusione e scissione diciamo che i progetti di fusione e di scissione devono essere sottoposti al preventivo nulla osta della Banca d’Italia (art. 49 c.3).

In particolare, fusione e scissione sono ritenute ammissibili soltanto se la società incorporante o la nuova società che ne derivi sono anch’esse sicav, cioè società di investimento collettivo a capitale variabile.

I FONDI PENSIONEI fondi pensione sono costituiti al fine di assicurare ai lavoratori l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico.

E precisamente, tali fondi possono essere costituiti nelle forme di persone giuridiche o di associazioni non riconosciute.

Il patrimonio del fondo è composto:

- dai contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori destinatari del trattamento pensionistico complementare;

- da quote degli accantonamenti annuali destinati al c.d. trattamento di fine rapporto.

La gestione del patrimonio del fondo può essere affidata ad imprese di investimento o a banche abilitate alla gestione di patrimoni mobiliari, o ad imprese assicurative o a società di gestione del risparmio.

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L’esercizio dell’attività dei fondi pensione dev’essere autorizzato da un ente pubblico, la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), di nomina del Consiglio dei ministri; l’autorizzazione decade se il fondo non inizia la propria attività entro 1 anno dal rilascio.

Alla Covip compete il controllo esterno sui fondi pensione volto a “perseguire la corretta e trasparente amministrazione” (art. 16 c.2).

LE SOCIETÀ DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE (sim)

Le sim sono delle società che hanno sede e direzione generale in Italia.

L’autorizzazione alle sim è rilasciata, dopo avere sentito il parere della Banca d’Italia, dalla Consob la quale ne dispone l’iscrizione in un apposito albo. Per rilasciare tale autorizzazione alle sim, occorre che:

- siano costituite nella forma di società per azioni

- l’espressione “società di intermediazione mobiliare” sia compresa nella denominazione sociale

- il capitale sociale risulti già versato in un ammontare non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia

- che le sim presentino un programma iniziale di attività ed una relazione sulla loro struttura organizzativa

- che gli amministratori, i sindaci e coloro che compongono la direzione abbiano particolari requisiti di professionalità e di onorabilità

- che i soci titolari di partecipazioni qualificate siano anch’essi in possesso di particolari requisiti di onorabilità.

Il testo unico elenca i servizi di investimento il cui esercizio è riservato alle sim e alle banche regolarmente autorizzate. E precisamente, i servizi elencati sono:

1) la ricezione di ordini di negoziazione di strumenti finanziari

2) la negoziazione di strumenti finanziari

3) il collocamento di strumenti finanziari

4) la gestione su base individuale di portafogli di investimento in strumenti finanziari (art. 1 c.5).

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LA RACCOLTA DEGLI ORDINI E LA NEGOZIAZIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI. I CONTRATTI SWAP

Un servizio di investimento è la negoziazione degli strumenti finanziari, che è riservata agli intermediari professionali sia che venga effettuata per conto proprio sia per conto di terzi; sia nei mercati regolamentati sia fuori dei mercati regolamentati.

I contratti derivati sono contratti con scadenza a termine, il cui valore deriva dalla variazione delle quotazioni delle attività finanziarie che ne sono alla base, e precisamente: merci, tassi di interesse, valute…

Tra i contratti considerati dalla legge strumenti finanziari vi sono:

i futures

le options

e gli swap.

Quanto ai primi due (cioè, futures ed options) diciamo che si tratta di contratti standardizzati, ammissibili solo in mercati finanziari organizzati.

Quanto ai contratti swap (letteralmente scambio), invece, diciamo che si tratta di contratti conclusi mercè l’intervento di intermediari professionali fuori dei mercati organizzati.

I principali contratti swap sono quelli sui tassi di interesse e quelli su valute.

Negli swap su tassi di interesse, due parti indebitate con terzi a tassi differenti stipulano un contratto di swap in base al quale si obbligano, alla scadenza di ciascun periodo di maturazione degli interessi, a regolare tra loro la differenza dei due ammontari.

Negli swap su valute, invece, le parti – l’una (ad esempio, un importatore) con un debito verso terzi a scadenza futura e in valuta estera; l’altra (ad esempio, un esportatore) con un credito verso terzi di pari importo e scadenza, nella stessa valuta estera – concordano come indicatore di riferimento il rapporto di cambio tra la valuta estera ed un’altra valuta, e si obbligano a regolare tra loro la differenza tra il valore di cambio concordato e il valore di cambio in vigore alla data di scadenza dei due debiti. Così facendo viene eliminato il rischio di cambio, in quanto la parte – che, per effetto dell’eventuale deprezzamento della valuta nazionale, avrebbe subito un danno – riceve dall’altra parte – che, per effetto del medesimo deprezzamento, avrebbe conseguito un profitto di eguale entità – una

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somma d’importo equivalente; e viceversa (se si ha un apprezzamento della valuta nazionale).

Quando la conclusione di tali contratti avviene mediante l’intervento di intermediari professionali, opera la riserva di legge e quindi gli intermediari devono essere imprese di investimento o banche autorizzate all’attività di negoziazione o di mediazione finanziaria.

Il servizio di collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari (ad esempio, azioni od obbligazioni di società) è riservato agli intermediari autorizzati (quali, imprese di investimento, banche).

Nel concetto di collocamento rientra anche la distribuzione degli strumenti finanziari, che può avvenire (la distribuzione) nelle sedi degli emittenti o degli intermediari, ma può anche avvenire fuori delle loro sede legali; in quest’ultimo caso si ha la c.d. offerta fuori sede di strumenti finanziari, che costituisce una forma di sollecitazione all’investimento.

L’offerta fuori sede di strumenti finanziari può essere effettuata soltanto tramite intermediari professionali autorizzati allo svolgimento del servizio di collocamento.

Infatti, solo gli organismi di investimento collettivo (ossia, società di gestione del risparmio, sicav) possono procedere direttamente a operazioni di collocamento fuori sede, ma limitatamente alle proprie quote di partecipazione.

Inoltre diciamo che, l’offerta fuori sede può avere per oggetto anche gli stessi servizi di investimento (ad esempio, offerte di negoziazione o di gestione di strumenti finanziari).

Gli intermediari professionali che effettuano offerte fuori sede di strumenti finanziari o di servizi di investimento devono avvalersi dell’opera dei c.d. promotori finanziari.

E precisamente, se l’offerta fuori sede è effettuata mediante tecniche di comunicazione a distanza (ad esempio, telefax…) è la Consob a individuare i casi in cui gli intermediari devono avvalersi di promotori finanziari (art. 32). Si definiscono promotori finanziari le persone fisiche che, “in qualità di dipendente, agente o mandatario” dell’intermediario, esercitano professionalmente l’attività di offerta fuori sede.

L’attività di promotore finanziario è subordinata all’iscrizione in un albo unico tenuto da un ente, soggetto alla vigilanza della Consob e costituito dalle associazioni professionali degli intermediari e dei promotori.

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Per quanto riguarda i contratti fuori sede diciamo che, l’idea di fondo a cui si ispira la disciplina di tali contratti è quella della tutela degli investitori, nel timore che essi corrono il rischio di non riuscire a valutare né la serietà e/o la convenienza dell’operazione, né la correttezza degli ausiliari dell’impresa. Dunque, per la preoccupazione che il risparmiatore abbia concluso il contratto d’investimento senza adeguata valutazione della sua convenienza, gli è concesso un periodo di riflessione: nel senso che si è stabilito che, nel termine di 7 giorni dalla data della sottoscrizione del contratto, l’investitore possa – senza alcun onere a suo carico – recedere dal rapporto, dandone comunicazione all’intermediario o al promotore (art. 30 c.6).

Allo scopo di tutelare gli investitori il principio-base è che gli intermediari devono curarne gli interessi “con diligenza, correttezza e trasparenza” (art. 21 c.1).

In generale, gli intermediari devono adottare procedure di controllo interne, “idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi”, e devono svolgere una gestione indipendente, sana e prudente, adottando “misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati”.

A tal proposito è opportuno specificare che, i contratti che hanno per oggetto i servizi d’investimento devono essere redatti per iscritto, a pena di nullità del contratto, ed un’esemplare dev’essere consegnato al cliente.

I CONTRATTI DI BORSAI principali mercati organizzati in cui vengono compiute le operazioni commerciali aventi per oggetto la negoziazione degli strumenti finanziari sono le borse valori.

La caratteristica principale delle borse valori è la concentrazione delle operazioni di negoziazione, per lo più costituite da contratti di compravendita.

I contratti di borsa devono necessariamente essere conclusi per mezzo di intermediari professionali ai quali devono essere conferiti gli ordini di acquisto o di vendita.

Nel codice civile non è prevista una disciplina specifica per i c.d. contratti di borsa.

Di solito si tratta di vendite di cose generiche in cui il trasferimento della proprietà degli strumenti finanziari dal venditore al compratore avviene mediante operazioni contabili effettuate da una società di gestione accentrata sui conti degli intermediari incaricati dagli investitori di effettuare le operazioni di negoziazione.

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Per la conclusione del contratto di borsa non è prescritto alcun requisito formale, e quindi il contratto può anche essere stipulato verbalmente.

La redazione di un particolare documento (il c.d. fissato bollato) è prevista solo per particolari effetti probatori e tributari.

Solitamente si distinguono:

- i contratti di borsa a mercato fermo, in cui entrambi i contraenti si obbligano ad eseguire il contratto secondo il contenuto stabilito al momento della sua conclusione (si parla di contratti con impegni definitivi). I contratti a fermo sono negoziati “a contante”. Essi hanno ad oggetto azioni, obbligazioni o warrants, dovendo essere eseguiti secondo le modalità della c.d. “liquidazione a contante”, e non hanno finalità speculative. Inoltre, trattandosi di contratti di compravendita a contante, l’esecuzione delle obbligazioni assunte nel contratto deve avvenire il 3° giorno di borsa aperta successivo alla stipulazione. Pertanto, nei contratti di borsa a contante, non sono ammessi né gli acquisti né le vendite di titoli dei quali non si abbia la disponibilità (c.d. vendite allo scoperto).

- ed i contratti di borsa a mercato libero, in cui uno dei due contraenti versa all’altro una somma (detta premio), ed acquista il diritto di sciogliersi dal contratto o di variarne il contenuto (si parla di contratti con impegni non definitivi o di contratti a premio). Anche i contratti a mercato libero (a premio) sono negoziati a contante, ma nel senso che è il premio (e solo il premio) a dovere essere versato nel 5° giorno di borsa aperta successivo alla stipulazione del contratto. Per quanto riguarda invece la loro esecuzione, i contratti a premio sono contratti a termine, in quanto la loro esecuzione è prevista a scadenze mensili predeterminate. Tra i contratti a premio va ricordato il contratto dont (detto anche a premio semplice) in cui colui che versa il premio acquista il diritto di non eseguire il contratto; se il premio viene versato dal venditore a termine, il contratto si denomina put. Altro contratto a premio da ricordare è il contratto stellage (a doppia facoltà), in cui chi versa il premio ha il diritto di scegliere la posizione di venditore o quella di compratore.

L’esecuzione dei contratti borsa viene semplificata attraverso l’adesione degli intermediazione autorizzati alla c.d. stanza di compensazione, per cui gli organi della Stanza attuano la liquidazione provvedendo alla compensazione delle partite omogenee e determinando il saldo di liquidazione che, a seconda dell’esito della

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compensazione, ciascun intermediario deve riscuotere o deve pagare. L’esecuzione dei contratti viene garantita da una particolare “Cassa di compensazione e garanzia” mediante l’utilizzazione di appositi fondi costituiti dagli intermediari autorizzati; pertanto, la liquidazione – sia a contante che a termine – è denominata “liquidazione garantita” (art. 68).

In caso di inadempimento di una delle parti o di altre ipotesi in cui si verifica l’insolvenza degli intermediari professionali autorizzati alla negoziazione, la Consob procede alla dichiarazione della c.d. “insolvenza di mercato”, con la conseguente liquidazione coattiva dei contratti stipulati dall’intermediario inadempiente o insolvente. Essa (la liquidazione coattiva) viene direttamente effettuata da commissari nominati dalla Consob, i quali solitamente procedono nello stesso mercato di borsa alla compera o alla vendita in danno dell’insolvente degli strumenti finanziari oggetto dei contratti rimasti non adempiuti.

Il vantaggio della c.d. liquidazione coattiva delle insolvenze di mercato sta anzitutto nel fatto che i commissari rilasciano un documento – detto certificato di credito – dal quale risulta la differenza di prezzo ancora dovuta dall’inadempiente alla controparte. Questo certificato costituisce titolo esecutivo, di modo che si può subito iniziare l’esecuzione forzata a carico dell’inadempiente senza bisogno di chiedere all’autorità giudiziaria una sentenza o un decreto di condanna.

Altro vantaggio sta nel fatto che la liquidazione coattiva dei contratti di borsa è definitiva, per cui non può essere dichiarata inefficace mediante l’esercizio della azione revocatoria fallimentare, neppure se l’intermediario venga successivamente sottoposto ad una procedura concorsuale (quale, la liquidazione coatta amministrativa) [artt. 71 e 72 c.6].

I CONTRATTI UNIFORMI A TERMINE SU STRUMENTI FINANZIARII contratti uniformi a termine sono detti anche prodotti, o strumenti, derivati, appunto perché il loro valore deriva dalla variazione delle quotazioni delle attività finanziarie (o delle merci) che ne sono alla base.

Questi contratti possono avere finalità di speculazione e/o di copertura dei rischi finanziari.

Uno degli strumenti finanziari oggetto di negoziazione è l’opposizione (art. 1321 c.c.).

L’opzione di borsa è un contratto a premio in base al quale all’optante, che paga un corrispettivo (detto premio) alla controparte, è riconosciuta la facoltà – per un prezzo base prefissato – di assumere

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la posizione di compratore (call optino) di determinate attività finanziarie entro la scadenza di un termine o alla scadenza di esso. A seconda della misura in cui alla scadenza il prezzo corrente delle attività finanziarie risulti superiore o inferiore al prezzo base prefissato, l’optante potrà o esercitare l’opzione (stipulando il contratto di compravendita) o non esercitarla (rinunciando a stipulare il contratto).

Un altro strumento finanziario è il future, il quale si distingue dall’opzione in quanto le parti assumono l’obbligo (e non solo la facoltà) di scambiare, ad una certa data, determinate attività finanziarie, o a versare o riscuotere un importo determinato in base all’andamento di un indicatore di riferimento. E precisamente, si tratta di un importo pari alla differenza tra il valore convenzionalmente attribuito dalle parti all’indicatore alla data di conclusione del contratto e il valore effettivo dell’indicatore alla data di scadenza.

Tali contratti si distinguono dai contratti a mercato libero:

- sia perché non hanno per oggetto soltanto titoli azionari

- sia per la loro standardizzazione, in quanto il loro contenuto negoziale non è convenuto dagli intermediari al momento della conclusione del contratto, ma è già predeterminato dagli organi di borsa.

Le società quotate hanno l’obbligo di comunicare al pubblico le c.d. informazioni privilegiate, ossia quelle informazioni specifiche, di cui il pubblico non dispone, riguardanti strumenti finanziari.

Di contro, sono previste delle sanzioni penali a carico di “chiunque diffonde notizie false, o pone in essere operazioni simulate od altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari” quotati in mercati regolamentati [c.d. manipolazione del mercato] (art. 185).

Se, invece, il reato riguarda strumenti non quotati, o per i quali non è stata presentata una domanda di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, esso è punito a titolo di aggiotaggio (art. 2637 c.c.). Spetta, dunque, alla Consob vigilare sull’osservanza della disciplina prevista, ed al presidente della Consob di trasmettere al pubblico ministero gli esiti degli accertamenti compiuti dalla stessa Commissione (art. 187).

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IL SISTEMA DI GESTIONE ACCENTRATA DEGLI STRUMENTI FINANZIARILA MONTE TITOLI S.P.A.

Solitamente, il trasferimento dei titoli di investimento (c.d. titoli di massa) non avviene direttamente tra alienante ed acquirente, ma per mezzo degli intermediari autorizzati.

Ecco perché si è diffusa l’idea di assicurare una più rapida circolazione dei titoli di massa, accentrandone la negoziazione presso una società nei cui archivi elettronici vengano inseriti i dati relativi ai titoli depositati soprattutto presso le banche e le sim, e da queste subdepositati presso la stessa società. Dunque, i titoli vengono immessi nel c.d. sistema di gestione accentrata. E precisamente, l’attività di gestione è affidata dalla legge 19 giugno 1986 n.289 ad un’unica società per azioni – denominata “Monte Titoli S.P.A.” e potrà essere svolta da società per azioni aventi come oggetto esclusivo lo svolgimento di questa attività, autorizzate dalla Consob (art. 80).

È opportuno specificare che le società di gestione accentrata devono:

1. avere un capitale minimo determinato dalla Consob

2. gli esponenti aziendali devono avere particolari requisiti di professionalità ed onorabilità

3. la contabilità è controllata da società di revisione (art. 80)

4. sono sottoposte alla vigilanza della Consob e della Banca d’Italia “al fine di assicurare trasparenza, l’ordinata prestazione dei servizi di gestione accentrata e la tutela degli investitori” (art. 82)

5. ed infine, in caso di crisi, sono applicabili le procedure concorsuali di natura amministrativa (art. 83).

L’immissione nel sistema di negoziazione accentrata è ammissibile solo se gli strumenti finanziari sono stati depositati presso intermediari che aderiscono al sistema (e cioè, presso banche, imprese di investimento, agenti di cambio, società commissionarie, …).

E precisamente, sono proprio tali intermediari (in quanto depositari) che possono immettere gli strumenti depositati nel sistema mediante la stipulazione con la Monte Titoli di contratti di subdeposito. A sua volta, la stipulazione del contratto di subdeposito accentrato con la Monte Titoli può avvenire soltanto se nel contratto di deposito (e cioè nel contratto-base) è stata espressamente attribuita ai depositari la facoltà di procedere al subdeposito presso la Monte Titoli.

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Anche il contratto di subdeposito accentrato è (al pari del contratto base di deposito in custodia o in amministrazione) un contratto regolare, nel senso che gli strumenti finanziari oggetto del subdeposito non si trasferiscono in proprietà alla Monte Titoli, la quale non può disporne.

Presupposto fondamentale della gestione accentrata è la fungibilità degli strumenti immessi nel sistema, per cui ogni depositante può “disporre in tutto o in parte dei diritti inerenti alle quantità di strumenti finanziari a lui spettanti a favore di altri depositanti o chiedere la consegna di un corrispondente quantitativo di strumenti finanziari della stessa specie in deposito presso la società di gestione accentrata” (art. 86 c.1).

In particolare, per realizzare tali caratteri di fungibilità, la legge prevede la seguente disciplina:

1) Custodia dei titoli, in quanto dagli intermediari che concludono il contratto di subdeposito, la Monte Titoli riceve i titoli, che essa provvede a custodire. Il Monte apre un “conto titoli” suddiviso in tanti sottoconti quante sono le specie di titoli subdepositati, al nome di ciascun depositario. In particolare, si ha una suddivisione di funzioni tra Monte Titoli e depositari. E precisamente:

2) Giroconti e ritiro dei titoli dal sistema, nel senso che gli ordini di disposizione e/o ritiro dei titoli sono dati dai depositanti ai propri depositari, i quali (depositari) trasmettono gli ordini alla Monte Titoli che li esegue, se si tratta di trasferimento nell’ambito del sistema di amministrazione accentrata, mediante operazioni di giro (giroconti), ossia mediante operazioni meramente contabili con cui si annota il trasferimento dei titoli dal conto del depositario ordinante al conto del depositario beneficiario dell’ordine, e quindi senza che si abbia alcun movimento fisico dei titoli stessi.

3) Vincoli, poiché – secondo il codice civile – i vincoli (ad esempio, diritti di pegno) sui titoli di credito nominativi sono efficaci solo se risultano annotati sia sui titoli stessi sia sul registro di chi li ha emessi.

4) Amministrazione dei titoli, l’affidamento dell’amministrazione accentrata alla Monte Titoli non significa l’affidamento dell’esercizio di tutti i diritti sociali.

5) Libro dei soci, ossia quando le azioni nominative vengono immesse nel sistema, l’aggiornamento del libro dei soci avviene

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a seguito della comunicazione che la Monte Titoli dà all’emittente dell’avvenuto subdeposito.

LA DEMATERIALIZZAZIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI QUOTATI NEI MERCATI REGOLAMENTATI

Quando il trasferimento ha per oggetto strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati, è vietato – alle società per azioni – di emettere documenti rappresentativi degli stessi strumenti, i quali perciò non possono essere rappresentati da titoli (di credito). Pertanto, la legge ha disposto la dematerializzazione degli stessi strumenti finanziari quotati o destinati alla quotazione in borsa, e non soltanto la dematerializzazione della loro circolazione.

E precisamente, la legge ha disposto:

• da un lato, che l’emittente deve comunicare ad una società di gestione accentrata le caratteristiche dell’emissione, e che la società di gestione accentrata deve a sua volta aprire un conto a nome dell’emittente;

• dall’altro lato, che il loro trasferimento, e l’esercizio dei relativi diritti patrimoniali, può essere effettuato soltanto tramite intermediari professionali autorizzati alla negoziazione (quali, banche, sim), e che questi devono a loro volta richiedere alla società di gestione accentrata di accendere a loro nome conti destinati a registrare i trasferimenti degli strumenti finanziari che possono essere disposti dai loro titolari soltanto tramite gli stessi intermediari.

A differenza degli strumenti non quotati, il trasferimento degli strumenti quotati può avvenire soltanto tramite il sistema di gestione accentrata.

I TITOLI DI CREDITOI titoli di credito sono particolari documenti sottoscritti dal debitore ed in cui il debitore dichiara di obbligarsi a compiere una determinata prestazione nei confronti di chiunque si trovi alla scadenza in possesso del documento stesso.

Per trasferire il titolo di credito e quindi il “credito cartolare”(ossia il diritto alla prestazione risultante dal titolo di credito)nei confronti del debitore e dei terzi,è sufficiente compiere il contratto di trasferimento e fare diventare l’acquirente del credito “portatore legittimo” del titolo.

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Portatore legittimo del titolo è chiunque ha il possesso del titolo:perciò il titolare di un credito cartolare per fare diventare un terzo titolare di detto credito,deve concludere con lui il contratto di trasferimento e trasmettergli i l possesso del documento.

In seguito al trasferimento del possesso,si trasferisce al portatore anche la legittimazione a pretendere dal debitore la prestazione indicata nel titolo.

Quando il credito cartolare viene trasferito ad un terzo, detto credito presenta i caratteri della autonomia e della letteralità.

E precisamente per quanto riguarda l’Autonomia , diciamo che essa ha un duplice significato:

• Innanzitutto nel senso che il debitore cartolare non può opporre al terzo divenuto portatore legittimo del titolo ,le eccezioni derivanti dal c.d. “rapporto sottostante”, (detto anche rapporto fondamentale) ossia del rapporto giuridico che è alla base e che quindi ha dato luogo all’emissione del titolo di credito.

• Secondariamente, per autonomia si intende l’applicazione alla circolazione del credito cartolare del principio “possesso di buona fede [del titolo di credito] val titolo”. Ovvero, chi in buona fede ( e cioè ritenendo che il portatore legittimo del titolo abbia effettivamente il potere di disporre del credito cartolare) acquista da lui un credito cartolare e diventa a sua volta portatore legittimo del titolo, acquista il credito cartolare anche se chi glielo ha trasferito non ne era titolare. Ad esempio: se A è titolare di un titolo al portatore che gli viene rubato da B; B non è certamente diventato titolare del titolo e del credito in esso incorporato, poiché il furto non costituisce un fatto giuridico idoneo a trasferire il titolo e il credito cartolare da A a B; ma B pur non essendo titolare, egualmente è divenuto portatore legittimo del titolo, avendone il possesso e trattandosi di un titolo al portatore; se perciò un terzo C acquista da B il credito cartolare, ritenendo che B ne sia il titolare e facendosi trasmettere dallo stesso B il possesso del titolo, acquista il credito benché il suo dante causa (B) non ne fosse il titolare, e così A non può più rivendicare la proprietà del titolo e perde il suo diritto di credito. Questa soluzione comporta che la posizione giuridica di C (cioè l’essere divenuto creditore cartolare) non dipende, ed è perciò autonoma, da quella di B che non aveva il potere di trasferire un diritto di cui era privo non essendo creditore cartolare.

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Per quanto riguarda invece la Letteralità del diritto cartolare diciamo che con questa espressione si suole esprimere il concetto per cui il debitore che ha assunto un’obbligazione cartolare deve compiere la prestazione esattamente indicata nel titolo ,cioè quale risulta secondo i termini letterali delle clausole contenute nel documento ,e quindi senza potersi richiamare ad accordi successivi che modifichino detto contenuto, a meno che questi accordi non siano intercorsi proprio con l’attuale titolare del credito cartolare; ad esempio: se uno dei precedenti titolari aveva concesso una proroga della scadenza del credito cartolare, il successivo acquirente non è tenuto a rispettare tale proroga, perché la dilazione di pagamento deriva da una convenzione che ha dato perciò luogo ad un rapporto diverso dal rapporto cartolare al quale egli è ugualmente estraneo.

In definitiva possiamo dunque dire che legittimazione, autonomia e letteralità concorrono a rendere rapida e sicura la circolazione dei titoli di credito: infatti chi appare dal documento portatore legittimo del titolo di credito può pretendere l’adempimento della prestazione mercè presentazione del titolo stesso, senza dover provare di esserne anche il titolare; quindi chi ha acquistato il credito cartolare è sicuro che il debitore non gli potrà opporre nessuna delle eccezioni che avrebbe potuto opporre ai titolari precedenti del credito per rapporti intercorsi con loro;

inoltre, chi ha acquistato il titolo di credito ricevendone il possesso dal portatore legittimo del titolo stesso, è sicuro di acquistare il credito cartolare anche se il portatore legittimo del titolo non era il titolare del credito cartolare.

Pertanto dall’esame della disciplina ordinaria sulla cessione dei diritti di credito, dei rischi emersi – a carico del cessionario – vengono eliminati quelli dipendenti:

a) dalla mancanza di titolarità del cedente;

b) dall’opponibilità, ad opera del debitore ceduto, delle eccezioni personali al cedente stesso.

È ovvio, quindi, che la posizione dell’acquirente del titolo di credito è molto più sicura di quella del cessionario del diritto di credito, in quanto è stata resa più simile a quella dell’acquirente di un bene mobile. Proprio per questo motivo, il legislatore non ha ritenuto di tutelare l’esigenza di garantire una circolazione rapida e sicura dei crediti cartolari fino ad arrivare al punto di assicurare il diritto all’adempimento della prestazione al terzo portatore legittimo del titolo anche nelle ipotesi in cui la sottoscrizione del debitore cartolare non è autentica (c.d. falsità) ovvero non è consapevole (per incapacità) o comunque non è a lui riferibile: infatti secondo l’art. 1993 c.1 le eccezioni di falsità della firma e di difetto di capacità o di

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rappresentanza al momento dell’emissione del titolo di credito sono opponibili a chiunque sia il portatore legittimo del titolo, anche se è in buona fede.

Inoltre, permane il rischio del mancato pagamento del debitore cartolare, per il quale è previsto un rimedio indiretto solo nelle leggi sulla cambiale (art. 19) e sull’assegno bancario (art. 21) in cui è espressamente previsto che, salva clausola contraria, chi trasferisce il credito cartolare è responsabile nei confronti dei successivi acquirenti portatori legittimi del titolo per il mancato pagamento del debitore; cioè praticamente con questa regola si assicura all’acquirente della cambiale o dell’assegno un’azione di regresso (rivalsa) contro l’alienante.

In generale la disciplina deriva dalla incorporazione del diritto di credito nel documento, ossia dal costante collegamento che vi è tra il titolo di credito (documento) ed il diritto cartolare

- sia nel momento della costituzione di tale diritto

- sia nel momento della sua circolazione

- sia, infine, nel momento della sua estinzione.

E precisamente:

• il titolo di credito è, innanzitutto, un documento costitutivo del diritto cartolare, nel senso che se non si crea un documento (con le caratteristiche stabilite, o riconosciute, dalla legge) non è possibile costituire un diritto cartolare.

• Secondariamente, il diritto cartolare è collegato al documento non solo nel momento della sua costituzione, ma anche nel momento della sua circolazione; infatti, per trasferire il credito cartolare e fare diventare altri titolari erga omnes di detto credito, è necessario far diventare l’acquirente portatore legittimo del documento.

• Infine diciamo che, il diritto cartolare è collegato al documento anche nel momento della sua estinzione (pagamento). Pertanto, il debitore cartolare non è tenuto a soddisfare il suo debito nei confronti di chi non sia portatore legittimo del documento, anche se lo stesso sia il titolare del diritto cartolare. Così, se il titolare di un credito cartolare subisce il furto o la distruzione del titolo di credito, è ancora titolare del credito cartolare, ma non può pretenderne il pagamento dal debitore poiché, non potendo più presentargli il titolo, ha perso la legittimazione ad ottenere la prestazione indicata nel titolo stesso (art. 1992); ne tanto meno può trasferire ad altri il suo credito, in quanto non è più portatore legittimo del titolo di

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credito e quindi non può trasmetterne il possesso con l’osservanza della legge di circolazione propria del titolo.

Nel caso in cui volesse riacquistare la legittimazione, il titolare del credito cartolare deve o ridiventare portatore legittimo del titolo, ovvero svolgere una procedura giudiziaria - detta procedura di ammortamento – in cui viene emesso e diviene definitivo un provvedimento dell’autorità giudiziaria, con cui si toglie al titolo la proprietà di incorporare il diritto cartolare (cioè praticamente si “scorpora” il diritto dal documento).

I rapporti tra titolarità del diritto cartolare e legittimazione all’esercizio di tale diritto possono, dunque, in due diversi modi, e precisamente:

1) lo stesso soggetto è ad un tempo titolare del diritto cartolare e legittimato all’esercizio di tale diritto; ad esempio: A ha assunto un debito cartolare nei confronti di B, il quale, avendone il possesso, è portatore legittimo del relativo titolo di credito al portatore; successivamente B trasferisce a C il credito cartolare, trasmettendogli il possesso del documento, facendolo diventare portatore legittimo del titolo; e così fa C nei confronti di D. Uno dopo l’altro, perciò, B, C e D diventano titolari del credito cartolare e nello stesso tempo legittimati all’esercizio dello stesso: pertanto D, essendo l’ultimo portatore legittimo, potrà pretendere il pagamento “verso presentazione del titolo” al debitore A (art. 1992 c.1).

2) oppure, un soggetto è titolare del credito cartolare ed un altro soggetto è legittimato all’esercizio dello stesso: con riferimento all’esempio precedente, quindi, se il titolo al portatore viene rubato a D da E, titolare del credito rimane D che però ha perso la legittimazione a pretendere il pagamento, mentre il ladro E, pur non essendo titolare del credito, è però portatore legittimo del titolo di cui ha appreso il possesso.

Poiché il portatore legittimo è legittimato all’esercizio del diritto cartolare, il debitore, che “senza dolo o colpa grave” adempie la sua prestazione nei suoi confronti, è liberato dalla sua obbligazione, anche se il portatore non è il titolare del diritto cartolare; così, sempre prendendo in riferimento l’esempio precedente, se A paga la somma dovuta al ladro E, ignorando senza sua colpa grave che E è un ladro e perciò non è titolare del diritto cartolare, paga bene e l’obbligazione cartolare è estinta.

Pertanto possiamo dire che, il titolo di credito è un documento costitutivo del diritto cartolare e necessario per esercitare il diritto

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stesso. Inoltre, tale diritto cartolare è un diritto letterale ed autonomo alla cui circolazione si applica il principio “possesso di buona fede val titolo”.

LE LEGGI DI CIRCOLAZIONE DEI TITOLI DI CREDITO:AL PORTATORE ,ALL’ORDINE E NOMINATIVI

Il diritto cartolare si trasferisce in base a quei fatti o negozi giuridici,ai quali la legge attribuisce l’efficacia di trasferire dei diritti(ad esempio una vendita,una donazione, una successione mortis causa.)

Ma è opportuno specificare che, solo se si diventa portatori legittimi del titolo, cioè solo se si trasferisce il titolo secondo la sua “legge di circolazione”,l’acquirente del credito acquista un vero e proprio diritto cartolare. Ed inoltre, secondo l’art. 1995, quando si trasferisce il diritto cartolare si trasferiscono, nel silenzio, anche i diritti accessori (quali il diritto agli interessi,ai premi…).

Inoltre, il diritto cartolare si può anche dare in usufrutto o in pegno, e precisamente nel primo caso (usufrutto) il godimento dell’usufruttuario si estende ai premi ed alle utilità aleatorie prodotte dal titolo, mentre in caso di pegno avviene il contrario (art. 1998).

Per diventare portatori legittimi dei titoli di credito occorre accertare a quale “legge di circolazione”essi sono soggetti, distinguendo a seconda che si tratti di titoli al portatore,all’ordine o nominativi, e ricordando che il presupposto comune a tutti i titoli per il trasferimento,è che avvenga la trasmissione del possesso del documento.

Però mentre nei titoli al portatore è sufficiente essere possessori del titolo per essere portatori legittimi e, quindi legittimati all’esercizio del diritto, nei titoli all’ordine e nominativi , invece, per essere portatori legittimi non è sufficiente esserne possessori.

E precisamente:

1. Nei titoli all’ordine, oltre al possesso è necessaria una “serie continua” di girate. Per girata si intende una dichiarazione, scritta sul titolo e sottoscritta, con cui l’attuale portatore legittimo del titolo, detto girante, ordina al debitore di adempiere nei confronti di un altro soggetto, detto giratario.

La serie di girate è “continua” quando chi chiede l’adempimento è il giratario dell’ultima girata di una serie di girate in cui il nome di ogni girante corrisponde al nome del giratario della girata

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immediatamente precedente fino a giungere alla prima girata , il cui girante deve essere il prenditore, cioè colui nei confronti del quale l’emittente del titolo si è obbligato, indicando il suo nome come quello del (primo) creditore. La continuità delle girate si intende in senso meramente formale, in quanto essa non è interrotta anche se la firma di uno dei giranti è falsa; pertanto il debitore cartolare deve pagare all’ultimo giratario, essendo tenuto ad accertare, attraverso l’esame visivo del titolo che gli viene presentato “soltanto la regolare continuità delle rigate ,ma non a verificarne l’autenticità” (art. 46).

La girata è valida anche se è in bianco (anche, cioè , se non contiene il nome del giratario), ossia che al posto del nome del giratario porta l’indicazione “al portatore” (art. 2009). Chi ha ricevuto il titolo in base ad una girata in bianco è legittimato in base al semplice possesso del titolo: per trasferire ad altri il titolo giratagli in bianco, egli può trasmettere al terzo il semplice possesso del titolo. Se vuole, però, il possessore del titolo può anche opporvi una nuova girata, cioè può anche riempire, completandole, le precedenti girate in bianco: ma in quest’ultimo caso il portatore legittimo – per evitare che si venga ad interrompere la continuità delle girate – deve avere cura di indicare come giratario di ogni girata in bianco il girante che ha sottoscritto la girata successiva (art. 2011 c.2).

Di solito la girata ha solo la funzione di circolazione, nel senso che serve a far diventare il giratario portatore legittimo del titolo di credito;ma vi sono delle ipotesi in cui la girata ha anche la funzione di garanzia, nel senso che il girante diventa responsabile verso i giratari successivi per l’inadempimento della prestazione da parte dell’emittente; e precisamente ciò avviene ope legis nella girata della cambiale e dell’assegno bancario; mentre per gli altri titoli di credito – per i quali la legge non prevede nulla – la responsabilità del girante sussiste solo quando risulti da una clausola espressa inserita nel titolo (art. 2012).

Inoltre diciamo che, la girata può essere fatta per procura (c.d. girata per l’incasso), inserendovi una clausola dalla quale risulti che il giratario non ha acquistato il credito cartolare, ma è solo un rappresentante del girante che ne è rimasto il titolare, pertanto poiché il giratario per procura non ha un diritto autonomo, l’emittente può opporgli tutte le eccezioni opponibili al girante.

L’efficacia della girata per procura non cessa per la morte o per la sopravvenuta incapacità del girante (art. 2013).

Ancora, la girata può anche essere fatta a titolo di pegno, nel senso che il giratario assume la posizione del creditore pignoratizio. In questo caso il giratario “in garanzia” (al quale, cioè, il credito

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cartolare è stato concesso in garanzia di un credito che egli vanta verso il girante) può esercitare tutti i diritti cartolari, in nome e per conto proprio; e proprio perché titolare di un diritto cartolare di pegno, il suo diritto è autonomo rispetto a quello del girante, e quindi l’emittente non può opporgli le eccezioni personali al girante, a meno che il giratario, nell’acquistare il diritto di pegno, non abbia agito intenzionalmente a suo danno (exceptio doli) nel senso che ha acquistato il pegno allo scopo esclusivo di privare l’emittente del potere di rifiutare il pagamento al girante opponendogli eccezioni a lui personali (art. 2014 c.2).

D’altra parte poiché il giratario in garanzia ha solo un diritto limitato di pegno, ma non è titolare del diritto cartolare, egli non può disporne a favore di altri e quindi non può girare il titolo a terzi: se lo fa la girata da lui apposta vale solo come girata per l’incasso (art. 2014 c.1).

2. Per quanto riguarda, invece, i titoli nominativi diciamo che se il titolo è nominativo (ad esempio azione di società), il possessore è legittimato per effetto dell’intestazione a suo favore contenuta sia nel titolo che nel registro dell’emittente (art. 2021). L’emittente, perciò, deve tenere un registro da cui risulti il nome dell’intestatario di ognuno dei titoli emessi (ad esempio nelle società per azioni, gli amministratori devono tenere il libro dei soci[art. 2421 c.1]).

Per diventare portatore legittimo del titolo nominativo, è perciò necessario che l’emittente annoti il nome dell’acquirente sul titolo e nel registro ossia rilasci un nuovo titolo intestato all’acquirente, facendone menzione nel registro (art. 2022 c.1). L’emittente deve procedere a queste operazioni in tre ipotesi (previste dagli artt. 2022 c.2 e 2023), e precisamente:

a) se glielo chiede l’alienante, già intestatario del titolo, esibendo e provando “la propria identità e la propria capacità di disporre, mediante certificazione di un notaio o di un agente di cambio”;

b) se glielo chiede l’acquirente, esibendo il titolo e presentando un atto autentico d’acquisto a dimostrazione del suo diritto;

c) sempre se glielo chiede l’acquirente, legittimandosi in base ad una serie continua di girate, tutte datate ed autenticate da un notaio o da un agente di cambio, e di cui nessuna in bianco.

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È opportuno specificare, tuttavia, che le girate non fanno diventare portatore legittimo del titolo nominativo, ma legittimano l’ultimo giratario a chiedere all’emittente la nuova intestazione nel registro; solo con detta intestazione si diventa portatore legittimo del titolo, e si possono esercitare i diritti ad esso inerenti (ad esempio, l’azionista può riscuotere i dividendi o intervenire alle assemblee; è necessario ricordare però che nelle s.p.a. detti diritti possono essere esercitati anche dal giratario al cui nome gli amministratori intesteranno i titoli anche nel libro dei soci dopo che egli li ha depositati nella sede sociale ovvero ha partecipato all’assemblea).

Viceversa la costituzione in pegno può anche farsi consegnando il titolo al creditore, ed apponendovi la girata con la clausola “in garanzia” od altra equivalente (art. 2026). L’usufruttuario di un credito incorporato in un titolo nominativo ha diritto di ottenere dall’emittente un titolo separato da quello del nudo proprietario (art. 2025).

L’ESERCIZIO DEL DIRITTO CARTOLARE: ECCEZIONI OPPONIBILI AL PORTATORE LEGITTIMO DEL TITOLO DI CREDITO

Il debitore cartolare è obbligato ad adempiere la prestazione incorporata nel titolo nei confronti di chiunque ne sia portatore legittimo, e la sua obbligazione si estingue quando egli ha adempiuto nei confronti di detto portatore, anche se lo stesso non è titolare del credito cartolare. Tuttavia il pagamento fatto al portatore, che non sia anche titolare del credito cartolare, libera il debitore soltanto se è fatto “senza dolo o colpa grave” (art. 1992 c.2).

Pertanto, chi è debitore in base ad un titolo di credito, può opporre al portatore legittimo solo le seguenti eccezioni previste dall’art. 1993 c.1:

o le eccezioni personali al portatore legittimo, cioè derivanti da altri rapporti, diversi da quello cartolare, intercorsi tra il debitore e lo stesso portatore legittimo;

o le eccezioni di forma, derivanti dalla mancanza di qualcuno dei requisiti formali prescritti dalla legge (ad esempio, in una “cambiale” tale denominazione non è testualmente inserita nel contesto del titolo);

o le eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo (ad esempio, nella cambiale è indicata la somma di 500,00 €, e il creditore cartolare ne pretende 600,00);

o le eccezioni di falsità della firma, di incapacità e di difetto di rappresentanza al momento dell’emissione del titolo, nonché di mancanza di volontà (per violenza fisica) nella redazione del titolo;

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o le eccezioni fondate sulla mancanza dei presupposti necessari per l’esercizio dell’azione giudiziaria (ad esempio, si esercita l’azione cambiaria di regresso contro un girante senza prima avere elevato il protesto).

Tranne le prime eccezioni (ovvero quelle personali), tutte le altre sono dette reali, perché opponibili a chiunque sia il portatore legittimo del titolo di credito.

Al portatore legittimo, invece, il debitore non può opporre le eccezioni fondate sui suoi rapporti personali con i precedenti creditori, sia che si tratti di eccezioni fondate sul rapporto sottostante sia che si tratti di altre eccezioni fondate su altri rapporti intercorrenti tra il debitore e i creditori cartolari precedenti. A questa regola è posta una deroga, la quale prevede che il debitore possa opporre le eccezioni personali al precedente creditore anche all’ultimo portatore legittimo quando questi, nell’acquistare il credito, ha agito intenzionalmente a danno del debitore (danno consistente nella perdita dell’eccezione). Tale strappo alla regola dell’autonomia e della letteralità del diritto cartolare si spiga con la considerazione che – dal momento che detta regola è stata posta nell’interesse generale per favorire la sicurezza e la rapidità nella circolazione dei crediti – non si poteva quindi permettere che di essa si avvalesse il creditore cartolare per abusarne a danno del debitore, “sfruttandola” nel suo esclusivo interesse personale.

CLASSIFICAZIONE DEI TITOLI DI CREDITO

Una prima classificazione dei titoli di credito è quella in titoli nominativi, all’ordine e al portatore.

Inoltre, possiamo distinguere fra:

Titoli in serie e titoli individuali, e precisamente si hanno titoli in serie se si emette una quantità plurima di titoli di credito, in cui la dichiarazione di debito dell’emittente dei titoli è identica in tutti i titoli; pertanto tutti i titolari dei titoli appartenenti alla stessa “serie” hanno un diritto di identico contenuto. Inoltre diciamo che, i titoli di credito emessi in serie possono essere riuniti in un titolo multiplo, su richiesta e a spese del possessore; a loro volta, i titoli di credito multipli possono essere frazionati in più titoli di taglio minore (art. 2000). Mentre, si hanno titoli individuali quando pur emettendo il debitore una pluralità di titoli (ad esempio assegni circolari) questi vengono emessi ognuno per una operazione distinta, e possono perciò avere contenuto diverso.

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Titoli completi e incompleti, e precisamente sono completi i titoli di credito nei quali è documentata l’intera dichiarazione dell’emittente e nei quali sono perciò inserite tutte le clausole da cui è costituito e regolato il diritto cartolare (ad esempio, la cambiale); mentre, sono incompleti quei titoli che fanno riferimento ad altro documento (ad esempio le azioni della società, che contengono un rinvio al contratto di società).

Titoli astratti e causali, e precisamente il titolo di credito è astratto quando dal documento non risulta il rapporto sottostante, che può essere di varia natura (ad esempio, il rapporto sottostante all’emissione di una cambiale può essere l’obbligo derivante da un contratto di mutuo o di compravendita (obbligo di pagare il prezzo). Quando, invece, il rapporto sottostante deve essere un rapporto determinato, il titolo di credito è casuale. Sono casuali tutti i titoli rappresentativi di merci (art. 1996), cioè i titoli in cui l’emittente si obbliga a consegnare al portatore legittimo del titolo una determinata quantità di merce in esso specificata, merce che egli ha ricevuto in deposito ovvero per trasportarla da un luogo ad un altro. Pertanto i titoli rappresentativi si distinguono in: 1. titoli di deposito, nei quali il rapporto sottostante è un contratto di deposito; 2. e titoli di trasporto, nei quali il rapporto sottostante è un rapporto di trasporto, suddivisi a sua volta in: titoli di trasporto terrestre, titoli di trasporto marittimo e titoli di trasporto aereo. Oltre al diritto di pretendere la consegna delle merce in essi specificata, i titoli rappresentativi attribuiscono al loro titolare il possesso della merce, ed il potere di trasmettere ad altri detto possesso mediante trasferimento del titolo.

L’AMMORTAMENTO DEI TITOLI DI CREDITOLa procedura di ammortamento ha la funzione di fare riacquistare la legittimazione (all’esercizio del diritto cartolare) al titolare che ha smarrito ossia che ha subito la sottrazione o la distruzione di un titolo di credito nominativo (art. 2027) o all’ordine (art. 2016 – 2019).

Colui che era il portatore legittimo del titolo al momento della perdita o della distruzione può innanzitutto denunziare i predetti eventi al debitore: in caso di perdita del titolo, tuttavia, nonostante la denunzia il debitore cartolare deve ugualmente adempiere nei confronti di chi è diventato nuovo portatore legittimo del titolo, tranne che sia in condizione di provare che questi non è il titolare del credito cartolare.

Per riacquistare la legittimazione, dunque, il titolare del diritto deve ricorrere alla procedura d’ammortamento, la quale si articola in due fasi, una necessaria e l’altra solo eventuale e precisamente:

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1. Nella prima fase (ovvero quella necessaria), l’ex possessore del titolo deve chiederne con ricorso l’ammortamento al presidente del tribunale del luogo del pagamento del credito cartolare; nel qual ricorso devono essere indicati i requisiti essenziali del titolo e, se si tratta di titolo in bianco, quelli sufficienti alla sua identificazione (art. 2016 c.2). Il presidente del tribunale, premessi gli opportuni accertamenti sulla verità dei fatti e sul diritto di ricorrente, emette – se gli accertamenti hanno esito positivo – il decreto d’ammortamento del titolo.

Il ricorrente deve notificare tale decreto al debitore, e dal momento delle notificazione, il debitore non può più liberarsi pagando al (nuovo) portatore legittimo del titolo.

Dopo la notifica, pertanto, il titolo non attribuisce al suo possessore la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare. Ma tale legittimazione, ancora, non spetta neppure all’ammortante, il quale deve curare che il decreto sia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Solo dopo 30 giorni dalla pubblicazione, l’ammortamento diventa definitivo, purchè entro detto termine il detentore del titolo non abbia presentato opposizione al tribunale (art. 2016 c.3): oramai il titolo non incorpora più il diritto cartolare e il ricorrente riacquista la legittimazione e può esigere, se il credito è già scaduto, il pagamento del debitore presentandogli il decreto di ammortamento ed un certificato del cancelliere del tribunale comprovante che non fu presentata opposizione (art. 2019 c.2). Anche se non è stata presentata opposizione entro il termine di 30 giorni, può darsi tuttavia che il titolo, prima che sia trascorso detto termine, sia stato acquistato in buona fede da un terzo con l’osservanza delle norme relative alla sua circolazione: in questo caso, in applicazione del principio “possesso di buona fede val titolo” il terzo è diventato anche il(nuovo) titolare del diritto cartolare, e può quindi chiedere all’ammortante la restituzione della somma che questi ha ricevuto dal debitore (art. 2019 c.1).

2. Per quanto riguarda, invece, la seconda fase (eventuale) diciamo che, se nel termine di

30 giorni viene presentata opposizione, il decreto d’ammortamento non diventa definitivo, e il tribunale dovrà giudicare in contraddittorio chi è il titolare del credito cartolare. Perché si posso giudicare sull’opposizione, l’opponente deve depositare, a pena di inammissibilità, il titolo presso la cancelleria del tribunale (ai sensi dell’art. 2017 c.2). Se dal giudizio risulta che l’opponente ha acquistato in buona fede il titolo, diventandone portatore legittimo, egli è ormai il creditore cartolare e l’opposizione deve essere accolta, revocando il

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decreto di ammortamento: la buona fede del portatore legittimo del titolo si presume, e pertanto è colui che ha richiesto l’ammortamento a dover dimostrare la mala fede o la colpa grave del portatore attuale e di tutti i portatore precedenti. Se detta prova riesce, ne deriva che titolare del credito è ancora colui al quale il titolo era stato sottratto o che l’aveva smarrito, e perciò è a lui che il titolo, depositato in cancelleria dall’opponente, deve essere restituito (art. 2017 ultimo comma).

Inoltre è opportuno specificare che, per i titoli al portatore non è ammesso l’ammortamento in caso di sottrazione o di smarrimento; pertanto, chi ha subito uno di detti eventi può denunziarli all’emittente del titolo e, dando la prova dello smarrimento o della sottrazione, ha diritto alla prestazione dopo che sia decorso il termine di prescrizione del titolo (art. 2006 c.2). La denuncia provoca l’interruzione solo a favore del detentore, del termine decennale di prescrizione.

Perciò il titolo continua ad incorporare il diritto cartolare per tutto il periodo di prescrizione e, se in detto periodo viene acquistato da un possessore di buona fede, la vittima dello smarrimento o del furto perde il suo diritto: solo dopo che è trascorso il termine di prescrizione – avendosi la sicurezza che non può esservi altro titolare del diritto cartolare – la legge consente a chi ha subito il furto o lo smarrimento di esercitare il diritto dello stesso.

Se invece il titolo al portatore è stato distrutto, il possessore, il quale ne provi la distruzione, ha diritto di avere a sue spese dall’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente: se non riesce a provare la distruzione, si applicano le stesse disposizione che nell’ipotesi di smarrimento o di furto. Infine, nell’ipotesi di deterioramento di un titolo al portatore, il possessore ha il diritto di ottenere dall’emittente un titolo equivalente, restituendo il primo e rimborsando le spese (ai sensi dell’art. 2005).

Per quanto riguarda i documenti di legittimazione e i titoli impropri diciamo che hanno solo una funzione di legittimazione, ma sono privi dei caratteri di letteralità e di autonomia – e quindi non sono titoli di credito – quei documenti che servono:

- o soltanto ad identificare l’avente diritto alla prestazione e in questo caso si parla di documenti di legittimazione (ad esempio, il biglietto di viaggio che non è cedibile, ma la cui esibizione dà al presentatore il diritto di pretendere la prestazione in esso

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indicata senza essere costretto a provare di avere stipulato il contratto di trasporto);

- o anche a consentire il trasferimento del diritto di credito senza l’osservanza delle forme proprie della cessione e in questo caso si parla – invece – di titoli impropri (impropri, appunto perché non sono veri e propri titoli di credito; ad esempio, il vaglia postale che, come la cambiale, ha la funzione di permettere la cessione del credito mediante il trasferimento del possesso del documento accompagnato dalla girata, ma che – a differenza della cambiale – non attribuisce al portatore legittimo un diritto letterale ed autonomo).

Per quanto riguarda, invece, i titoli atipici diciamo che a norma dell’art. 1987 “la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge”. Ora dal momento che il codice civile (all’art. 1992) disciplina la figura generale dei titoli di credito, dei documenti di legittimazione e dei titoli impropri senza individuarli specificamente, gli interpreti sogliono (richiamandosi al principio dell’autonomia privata prevista dagli artt. 1322 c.2 e 1324) ritenere ammissibile l’emissione di titoli di credito anche atipici (cioè non previsti neppure da leggi speciali). È opportuno specificare, però, che essi (ossia i titoli atipici) non possono essere emessi, quando hanno per oggetto l’obbligazione di pagare una somma di denaro, cioè titoli di credito al portatore non previsti dalla legge (art. 2004).

Per quanto riguarda, invece, i titoli di investimento diciamo che, nelle s.p.a. la legge ammette l’emissione di strumenti finanziari diversi dalle azioni (ad esempio, art. 2346 c.6) e diversi dalle obbligazioni (art. 2411 c.3) che, se non sono dematerializzati, possono essere considerati titoli atipici, nella misura in cui non ne è indicata la denominazione e non ne sono determinate tutte le caratteristiche. Peraltro, quando i titoli atipici vengono emessi “in serie”, solitamente si tratta di titoli diretti a sollecitare gli investimenti finanziari della massa dei risparmiatori (c.d. titoli di massa). Inoltre fra i titoli atipici si suole comprendere i c.d. warrants, ossia buoni di sottoscrizione o di acquisto di azioni di compendio.

Le emissioni di titoli di massa, se dirette al pubblico, costituiscono operazioni di “sollecitazione all’investimento”; in quest’ipotesi la legge affida alla Consob un potere di controllo sull’emissione e sull’offerta al pubblico dei c.d. prodotti finanziari, per assicurare ai risparmiatori destinatari dell’offerta un’adeguata informazione delle caratteristiche dell’emissione. Ma anche quando non si ha un’operazione di sollecitazione all’investimento del pubblico risparmio, nel testo unico bancario è previsto che le emissioni di

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valori mobiliari (negoziabili) siano liberamente effettuabili solo se non superano certi limiti (e precisamente 50 milioni di euro, o il maggiore importo determinato dalla Banca d’Italia) oppure se rientrano in tipologie previste dall’ordinamento e presentano le caratteristiche individuate dalla Banca d’Italia, per valutarne l’incidenza sul mercato finanziario.

Inoltre, quando non si tratta di titoli rappresentativi di operazioni d’investimento, non è ammissibile da parte di imprese diverse da quelle bancarie il ricorso a titoli atipici rappresentativi di diritti di credito (c.d. titoli di debito), per raccogliere il risparmio tra il pubblico, mediante l’acquisizione di fondi con l’obbligo del rimborso (cioè mediante prestiti); l’emissione di titoli di debito è ammessa genericamente nelle società a responsabilità limitata, ma se sottoscrivibili soltanto da investitori professionali (art. 2483).

Infatti la raccolta del risparmio tra il pubblico sotto forma di prestiti è riservata solo alle banche, e la raccolta del risparmio tra il pubblico, anche mediante prestiti rappresentati da titoli di debito diversi da quelli obbligazionari, è consentita alle società e agli enti non bancari i cui titoli sono negoziati in un mercato di borsa o sono altrimenti garantiti, ovvero ad enti sottoposti a vigilanza amministrativa (enti indicati dal Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, c.d. Cicr).

Sulla base di questa disciplina è stata regolata l’emissione delle c.d. cambiali finanziarie ed ammessa quella dei certificati d’investimento.

LA CAMBIALELa cambiale è un titolo di credito normalmente all’ordine, completo, astratto, avente efficacia di titolo esecutivo, in cui il sottoscrittore della dichiarazione di debito (c.d. autore del titolo) assume l’obbligo di pagare ossia di far pagare incondizionatamente una somma determinata, nel luogo e alla scadenza indicati nel titolo stesso.

Se l’autore del titolo (detto emittente) assume l’obbligo di pagare personalmente al portatore legittimo il debito cartolare si ha la cambiale propria (detta anche pagherò cambiario o vaglia cambiario). Se invece l’autore del titolo (detto traente) rivolge l’ordine di pagare ad un altro soggetto (detto trattario) si ha la cambiale tratta. Il soggetto al quale deve essere pagata la somma indicata nel titolo è detto primo prenditore (o beneficiario) della cambiale.

Dunque possiamo dire che:

• La cambiale è un titolo di credito “normalmente all’ordine”, in quanto essa è disciplinata dalla legge di circolazione dei titoli all’ordine, e precisamente è un titolo all’ordine senza bisogno di

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inserire alcuna clausola espressa in tal senso (cioè il prenditore può trasferire la cambiale ad un altro soggetto, facendolo diventare portatore legittimo mediante la consegna del documento ed apponendovi la girata a suo favore ovvero in bianco).

Ma se il traente (nella tratta) o l’emittente (nel pagherò) inseriscono l’espressione “non all’ordine”o altra equivalente, si ha la cambiale “non all’ordine”, pertanto il credito cambiario può essere trasferito solo nelle forme e con gli effetti della cessione ordinaria dei crediti.

• Inoltre, la cambiale è un titolo completo, poichè tutte le clausole che individuano e regolano il diritto cartolare di credito devono essere contenute nello stesso documento cambiario, senza possibilità di riferimenti ad altri documenti;

• Ancora possiamo dire che è un titolo astratto, in quanto il rapporto sottostante tra traente (o emittente) della cambiale e primo prenditore (detto rapporto di valuta) non risulta dal titolo e può essere il più vario (ad esempio, l’obbligo di pagare il prezzo di una vendita). Nella cambiale tratta, oltre al rapporto di valuta intercorrente tra traente e primo prenditore, vi è il rapporto di provvista, intercorrente tra traente e trattario. Quindi il traente ordina al trattario di pagare una determinata somma; il portatore della cambiale, può chiedere al trattario che questi “accetti” la cambiale (poiché con l’accettazione il trattario diventa il principale obbligato cambiario); cioè praticamente il trattario si obbliga a pagare alla scadenza detta somma, poichè come avviene di solito egli è debitore della somma verso il traente, per un debito (non cambiario) che può derivare da un qualsiasi rapporto giuridico (mutuo, donazione, compravendita) e che è detto appunto “rapporto di provvista”.

Il trattario, pertanto, pagando la cambiale estingue ambedue i rapporti: ossia il rapporto di valuta del traente verso il prenditore e il rapporto di provvista di se stesso verso il traente.

• La cambiale, infine, è un titolo esecutivo, in quanto il creditore cambiario ha il potere di iniziare subito la procedura esecutiva sui beni dei debitori cambiari inadempienti, senza bisogno di ottenere prima una sentenza di condanna o un decreto ingiuntivo di pagamento.

Ma considerando l’ampiezza della circolazione della cambiale, emerge che essa (cioè la cambiale) può essere emessa in uno Stato, pagabile in un altro e circolare in terzo (Stato), si possono presentare degli inconvenienti di una disciplina differente tra le legislazioni dei diversi paesi molto gravi. Ecco perché vi è l’esigenza di una

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regolamentazione uniforme, in parte attuata mediante le tre convenzioni di Ginevra del 7 giugno 1930, con le quali i più importanti Stati d’Europa continentale ed alcuni Stati dell’America latina hanno assunto l’obbligo di tradurre come legge interna dei loro paesi una concordata regolamentazione della cambiale (la c.d. legge cambiaria uniforme). E nello specifico possiamo dire che, a dette convenzioni l’Italia ha dato esecuzione mediante il r.d. del 14 dicembre 1933 n. 1669 nelle cui norme è contenuta sia la disciplina della cambiale tratta (artt. 1-99) sia quella della cambiale propria (artt. 100-103).

Per quanto riguarda il contenuto della cambiale,diciamo innanzitutto che la cambiale è un documento, stampato o dattiloscritto o manoscritto, in lingua italiana o straniera. L’uso dell’apposita carta bollata è obbligatorio solo a fini fiscali. Salvi i fini fiscali, la cambiale può essere redatta su qualsiasi documento.

Gli art. 1 e 100 1.camb. enumerano le clausole che, normalmente, sono contenute nella cambiale.

A tal proposito possiamo distinguere alcune clausole indispensabili poiché la loro mancanza fa sì che la cambiale non valga come tale, altre clausole – invece – possono anche mancare (c.d. clausole non dispensabili) in quanto vengono surrogate da norme suppletive di legge, ed infine abbiamo le clausole eventuali che possono essere inserite dall’autore della cambiale soltanto se questi vuole conseguire particolari effetti.

Le clausole indispensabili (o essenziali),sono:

1. La denominazione di “cambiale”, nella cambiale propria si può usare anche la

denominazione “vaglia cambiario” e “pagherò cambiario”. Inoltre è opportuno specificare che la denominazione deve essere espressa nella lingua in cui il titolo è redatto, poiché la mancanza di questo requisito produce la nullità del titolo e non vale a supplirne il difetto l’uso di un modulo bollato o di una denominazione diversa da quella prescritta (ad esempio, quella di “effetto”).

2. L’ordine incondizionato (nella cambiale tratta) o la promessa incondizionata (nel pagherò) di pagare una somma determinata in moneta nazionale o straniera. La somma può essere espressa in lettere o in cifre: se è espressa per più di una volta in lettere o in cifre e le somme sono diverse vale la somma minore; se, invece, è espressa in lettere e in cifre e le somme sono diverse, vale la somma scritta in lettere.

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3. Il nome del creditore, primo prenditore o beneficiario;

4. La data in cui la cambiale è emessa, e a tal proposito è opportuno specificare che la data

indicata nel titolo si presume vera fino a prova contraria.

5. Nella cambiale tratta il nome, il luogo e la data di nascita, ovvero il codice fiscale del

trattario, cioè della persona destinataria dell’ordine di pagamento. La persona del trattario può coincidere con quella del traente: di solito ciò accade quando la cambiale è tratta da una sede dell’impresa su un’altra sede della stessa impresa.

6. La sottoscrizione del traente o dell’emittente, e a tal proposito bisogna specificare che

mentre tutte le clausole precedenti possono essere stampate o scritte a macchina o di pugno di persona diversa dall’emittente o dal traente, la sottoscrizione deve essere autografa, cioè di pugno dell’emittente o del traente, e deve contenere il suo nome (anche abbreviato o indicato con la sola iniziale) e cognome, ovvero la sua ditta; inoltre, l’emittente deve anche aggiungere il luogo, la data di nascita e il codice fiscale. Se si tratta di una società, di un’associazione o di un altro ente, vi dev’essere la sottoscrizione autografa della persona fisica che ne ha la rappresentanza, e l’indicazione (anche non autografa) che l’obbligazione è assunta nel nome dell’ente.

Le clausole non indispensabili, perché – in mancanza – si applicano le norme suppletive di legge sono:

1. L’indicazione della scadenza, in cui – a norma dell’art. 38 1.camb. – si può scegliere solo tra queste quattro forme di scadenza:

• a vista, e in tale ipotesi la cambiale scade in qualunque momento il portatore ne richieda il pagamento al debitore principale (e a tal proposito ricordiamo che nella cambiale propria, debitore principale è l’emittente; mentre nella tratta, è il trattario), purchè la richiesta avvenga entro l’anno dall’emissione della cambiale.

• a certo tempo vista, ed in tale ipotesi la cambiale scade dopo il decorso del tempo stabilito a cominciare dal

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giorno in cui la cambiale è presentata al trattario per l’accettazione o all’emittente per il visto (ad esempio, cambiale con scadenza a un mese vista: in questo caso la scadenza si ha dopo il decorso di un mese dal giorno della presentazione della cambiale al trattario o all’emittente).

• a certo tempo data, ed in tale ipotesi la cambiale scade dopo il decorso del tempo stabilito,a cominciare dalla data di emissione.

• a giorno fisso, quando cioè è indicato un giorno determinato (ad esempio, il 30 settembre 2008).

L’elencazione di tali forme di scadenza è tassativa , e perciò la cambiale è nulla se è indicata un ‘altra forma di scadenza ovvero se è a scadenze successive.

Se però nella cambiale non è indicata nessuna scadenza, la cambiale è valida e la scadenza si considera a vista.

2. L’indicazione del luogo di pagamento. Per luogo di pagamento si deve intendere sia il

territorio comune, in cui la cambiale è pagabile, sia il domicilio in cui la cambiale deve essere presentata per il pagamento. In mancanza di indicazione ,nella cambiale propria il luogo di emissione si considera luogo di pagamento e domicilio dell’emittente; nella cambiale tratta il luogo indicato accanto al nome del trattario si considera luogo di pagamento e domicilio del trattario.

Se la cambiale è pagabile non al domicilio dell’obbligato principale, ma al domicilio di un terzo, si dice domiciliata e precisamente se il pagamento deve essere fatto direttamente dal terzo ( si parla di domiciliazione propria o completa) se, invece, il pagamento – al domicilio del terzo – deve essere fatto dall’obbligato principale (si parla di domiciliazione impropria o incompleta). Se nella cambiale non è precisato chi deve provvedere al pagamento, allora questo deve essere fatto dal terzo domiciliatario (art. 4 c.4 1.camb.); il terzo, tuttavia, non diventa obbligato cambiario, e viene considerato soltanto rappresentante dello stesso obbligato.

3. L’indicazione del luogo dove la cambiale è emessa. In mancanza di indicazione, si

considera luogo di emissione quello indicato accanto al nome del traente (nella

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cambiale tratta) e quello indicato accanto al nome dell’emittente (nella cambiale

propria).

Ed infine abbiamo le clausole eventuali come ad esempio la clausola “non all’ordine”, “senza spese”, “non accettabile”. Per queste clausole vale il principio generale, in base alla quale se esse non sono apposte dal traente o dall’emittente, valgono per tutti gli obbligati cambiari; se, invece, dette clausole sono apposte da un girante, valgono solo per il girante che le ha apposte.

Un’altra clausola facoltativa è la “clausola di interessi” che può essere apposta solo nelle cambiali con scadenza “a vista” e “a certo tempo vista”, indicando il tasso di interessi; mentre essa non può apporsi nelle cambiali con scadenza “a certo tempo data” e “a giorno fisso” poiché in queste ipotesi al momento dell’emissione si può calcolare con precisione il periodo di durata del credito cambiario e perciò può anche calcolarsi l’ammontare degli interessi dovuti, conglobandoli nella somma cambiaria. Se non è fissata una decorrenza diversa, gli interessi decorrono dalla data di emissione (art. 5 ultimo comma 1.camb.).

REGIME FISCALE DELLA CAMBIALE Il pagamento dell’imposta di bollo è richiesto ai fini fiscali, e non per la validità della cambiale. Se sin dall’inizio il documento non è stato bollato o è stato bollato in misura insufficiente, la cambiale non ha la qualità di titolo esecutivo (l’inefficacia della cambiale come titolo esecutivo deve essere rilevata e pronunciata dal giudice anche d’ufficio).

Pertanto, fino a quando la cambiale non viene regolarizzata, corrispondendo l’imposta di bollo dovuta e pagando le relative pene pecuniarie, il portatore non può esercitare i diritti cambiari neanche in un autonomo giudizio di cognizione.

LA CAMBIALE IN BIANCOLa cambiale deve essere completa in tutte le sue clausole essenziali soltanto nel momento in cui viene presentata per il pagamento. Viceversa, al momento dell’emissione la cambiale può essere incompleta: infatti non occorre che le clausole cambiarie siano di pugno dell’autore del titolo, e perciò possono essere apposte anche successivamente dal portatore della cambiale; di solito si ritiene, però, che perché si abbia la cambiale in bianco deve già essere stata apposta, non solo la sottoscrizione dell’autore del titolo (traente o emittente), ma anche la denominazione di cambiale nel contesto della dichiarazione di debito. Tale soluzione si spiega con l’esigenza di

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assicurare che il sottoscrittore abbia avuto la consapevolezza di assumere una obbligazione cambiaria.

Tuttavia – secondo la Cass. 25 maggio 1960 n.1355 – per aversi una cambiale in bianco è sufficiente la firma apposta nel modulo filigranato che l’esperienza comune considera cambiale; chi aderisce a questo ordine di idee, ammette che anche se il documento non vale come cambiale (in bianco), tuttavia esso vale almeno come ricognizione di debito a norma dell’art. 1988.

Se una cambiale viene emessa in bianco in qualche sua clausola, ciò avviene di solito perché la determinazione di quella clausola deve avvenire successivamente all’emissione.

[Ad esempio, Tizio compra una partita di cotone al prezzo medio che si praticherà quell’anno in un certo mercato e, in pagamento del prezzo, sottoscrive una cambiale; la somma viene lasciata in bianco, convenendosi che il titolare della cambiale la riempirà in base al prezzo medio, quando questo sarà noto. Il negozio con cui si conviene tra autore della cambiale e prenditore della stessa si chiama “accordo di riempimento”.]

La clausola più frequentemente lasciata in bianco è proprio quella relativa alla determinazione della somma cambiaria, ma – tuttavia – può essere lasciata in bianco qualunque clausola essenziale, purché al momento dell’emissione risulti la denominazione di cambiale e sia stata apposta la sottoscrizione autografa dell’autore del titolo.

Non si ha, invece, cambiale in bianco quando manca un elemento della cambiale a cui supplisce una norma di legge (ad esempio, la cambiale in cui manca l’indicazione della scadenza non è una cambiale in bianco perché la scadenza si considera a vista).

Chi emette a favore di altri una cambiale in bianco dà al titolare della cambiale il potere di riempire la clausola in bianco secondo l’accordo di riempimento o, in mancanza, secondo le clausole del rapporto sottostante. Colui che ha ricevuto o ha avuto trasferito una cambiale in bianco deve riempirla secondo l’accordo di riempimento o, in mancanza, in conformità del rapporto sottostante; pertanto, se viola detto accordo, il debitore può opporgli l’eccezione di inosservanza dell’accordo o del rapporto, e deve soddisfare l’obbligazione cambiaria secondo quanto risulta da dette convenzioni, e non secondo la clausola apposta sulla cambiale (in riferimento all’esempio precedente, se il titolare della cambiale scrive una somma superiore al prezzo medio, il debitore deve pagare solo il prezzo medio).

L’eccezione di inosservanza degli accordi di riempimento può essere opposta dal debitore anche ai successivi portatori della cambiale; ma non può essere opposta, tra questi, a chi ha avuto trasferita la

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cambiale già completa, ignorando “senza sua colpa grave” che la cambiale era stata completata in difformità dell’accordo di riempimento. L’onere della prova dell’abusivo riempimento spetta al debitore, che ha proposto l’eccezione.

Il titolare della cambiale in bianco decade dal diritto di riempirla dopo 3 anni dal giorno dell’emissione; tale decadenza non può opporsi al titolare di buona fede, al quale il titolo sia pervenuto già completo. Inoltre, secondo la cassazione, al creditore che promuove l’azione cambiaria dopo il triennio dalla data di emissione del titolo incombe l’onere di provare che il riempimento è avvenuto tempestivamente.

PLURALITA’ E INDIPENDENZA DELLE OBBLIGAZIONI CAMBIARIE

La cambiale nasce con la dichiarazione cambiaria del traente (o dell’emittente); ma spesso, dopo l’emissione del titolo e prima della scadenza, sulla cambiale vengono aggiunte altre dichiarazioni, da ognuna delle quali nasce un obbligo cambiario del sottoscrittore verso il creditore cambiario.

Inoltre, la cambiale è un titolo all’ordine, e quindi circola per mezzo della girata, la quale (girata) oltre a produrre l’effetto di fare diventare il giratario portatore legittimo della cambiale (funzione di trasferimento), fa diventare il girante obbligato cambiario nei confronti del proprio giratario e dei giratari successivi (funzione di garanzia).

Infine, vi possono essere le dichiarazioni di avallo con cui si garantisce il pagamento del debito cambiario assunto da un altro soggetto; in questo caso, infatti, anche gli avallanti diventano obbligati cambiari, assumendo la stessa posizione dell’obbligato cambiario per il quale hanno garantito, indicato nella stessa dichiarazione di avallo e detto avallato.

È opportuno specificare, inoltre, che gli obbligati cambiari si distinguono in:

- obbligati diretti, ossia emittente, accettante e loro avallanti

- ed in obbligati di regresso, ovvero traente, giranti e loro avallanti.

Questa distinzione è molto importante in quanto, gli obblighi degli obbligati diretti almeno in parte sono regolati diversamente dagli obblighi degli obbligati di regresso; infatti, solo gli obblighi degli obbligati di regresso si estinguono per mancanza di protesto ed il termine di prescrizione degli obblighi degli obbligati diretti è più lungo di quello degli obblighi degli obbligati di regresso.

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Se, alla scadenza, l’obbligato principale rifiuta il pagamento della somma indicata, l’ultima giratario (cioè, l’attuale portatore legittimo del titolo) può rivolgersi per il pagamento ad uno qualunque, a sua scelta, tra gli obbligati cambiari; ovvero, solo se il pagamento è compiuto dall’emittente o dall’accettante (ossia, dall’obbligato principale) si estinguono tutti i rapporti cambiari, mentre se il pagamento viene – invece – fatto da un altro obbligato cambiario (ad esempio, da uno dei giranti), questi può pretendere a sua volta il rimborso di quanto ha pagato dai giranti che lo precedono, dal traente e dai loro avallanti.

Si ha, dunque, un ordine (o nesso) cambiario, in cui il primo posto è occupato dall’accettante o dall’emittente; il secondo dai loro avallanti; il terzo dal traente; il quarto dai suoi avallanti; il quinto dal primo girante; il sesto dai suoi avallanti; il settimo dal secondo girante, ecc…

In questo ordine, ognuno è obbligato verso coloro che lo seguono e può, se è stato costretto al pagamento da qualcuno di coloro verso i quali è obbligato, rivolgersi contro coloro che lo precedono nell’ordine cambiario.

Per quanto riguarda l’indipendenza delle obbligazioni cambiarie diciamo che le varie obbligazioni (che derivano dalle varie dichiarazioni cambiarie) godono del principio di indipendenza, nel senso che l’invalidità di una delle obbligazioni non influisce sulla validità delle altre obbligazioni (art. 7 1. camb). Pertanto, se l’obbligazione del traente o dell’emittente è nulla perché la sua sottoscrizione è falsa, restano valide le obbligazioni del suo avallante, dell’accettante, dei giranti.

Se, invece, l’obbligazione del traente o dell’emittente è nulla per vizio di forma ( ad esempio, si è firmato con il solo cognome ovvero con uno pseudonimo) o di contenuto ( ad esempio, la promessa o l’ordine di pagamento sono sottoposti a condizione) non sono valide come obbligazioni cambiarie neppure le relative dichiarazioni di altri soggetti; e questo perché la nullità della dichiarazione dell’autore del titolo importa la nullità del titolo stesso.

Mentre, se il vizio formale riguarda – invece – la dichiarazione di un obbligato cambiario diverso dall’autore del titolo (ad esempio, girante accettante, avallante) allora in questo caso saranno nulle soltanto le singole obbligazioni di costoro, ma – in base al principio di indipendenza – rimarranno valide le obbligazioni cambiarie degli altri soggetti.

L’unica eccezione al principio di indipendenza è quella della disposizione dell’art. 37 c.2 1.camb. , in base alla quale l’invalidità

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dell’obbligazione dell’avallato per vizio di forma produce l’invalidità dell’obbligazione dell’avallante.

Inoltre possiamo dire che, al principio di indipendenza si ricollega anche quanto è stabilito nell’art. 88 1. camb., il quale prevede l’ipotesi di alterazione del testo della cambiale (ad esempio, si è aggiunto uno zero alla somma espressa in cifre, facendo diventare 1000 ciò che era 100). In questa ipotesi, chi ha firmato dopo l’alterazione, risponde nei termini del testo alterato; mentre chi ha – invece – ha firmato prima dell’alterazione, risponde nei termini del testo originario (quindi in riferimento all’esempio precedente, il traente che ha creato la cambiale sarà debitore cambiario per 100 euro; se l’accettante ha accettato dopo l’alterazione sarà debitore per 1000 euro).

In mancanza di prova contraria, la legge presume che tutte le sottoscrizioni siano state apposte prima dell’alterazione (art. 88 c. 2 1. camb.).

Per quanto riguarda, invece, i requisiti richiesti per ogni dichiarazione cambiaria, sia che si tratti della dichiarazione del traente o dell’accettante, dell’avallante o del girante, diciamo che la mancanza di uno dei requisiti fa sì che l’obbligazione cambiaria non sia valida.

Inoltre, ogni dichiarazione cambiaria – per valere come tale - deve risultare dal documento cambiario, cioè deve essere apposta sulla cambiale (a tal proposito è opportuno specificare che alcune dichiarazioni - come girata, avallo – possono essere apposte su un foglio attaccato alla cambiale il c.d. allungamento disciplinato dall’art. 17 c.1 e 36 c.1 1. camb. ; poiché se fosse apposta su altro documento (ad esempio, una lettera) non avrebbe valore cambiario.

Per l’accettazione, si usa la clausola “accetto” o “visto” o altra equivalente. La clausola deve essere seguita dalla sottoscrizione, che contenga il nome (abbreviato o anche indicato con la sola iniziale) e il cognome dell’accettante, ovvero la sua ditta.

Ogni sottoscrizione cambiaria può anche essere apposta senza accompagnarla con alcuna formula che consenta di determinare il significato (ad esempio, per accettazione, per avallo). In questi casi, per evitare incertezze circa il valore giuridico della dichiarazione cambiaria, occorre apporre la sottoscrizione in un determinato luogo della cambiale: ad esempio, per la girata ci si può limitare ad apporre la sola sottoscrizione sul retro (o faccia posteriore) della cambiale, mentre per l’accettazione e per l’avallo la sola sottoscrizione va apposta sul retto ( o faccia anteriore) della cambiale. Pertanto, se si

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trova sulla cambiale una sottoscrizione non preceduta da alcuna formula, bisogna distinguere a seconda che questa (sottoscrizione) è sulla faccia anteriore o posteriore della cambiale; poiché nel primo caso (cioè se è sulla faccia anteriore, ovvero sulla faccia in cui è contenuta la dichiarazione dell’autore del titolo, cioè la dichiarazione dell’emittente o del traente) ed è la sottoscrizione del trattario, vale come accettazione; se è la sottoscrizione di persona diversa dal trattario, vale come avallo. Mentre nel secondo caso (cioè se la sottoscrizione si trova sulla faccia posteriore) vale come girata.

Inoltre diciamo che, possono assumere obbligazioni cambiarie tutte le persone capaci, compresi i minori emancipati autorizzati all’esercizio di un’impresa commerciale. Affinché assumano obbligazioni cambiarie gli incapaci relativi (ossia, minori emancipati non autorizzati all’esercizio del commercio e inabilitati) è necessario che la loro dichiarazione sia sottoscritta anche dal curatore con la clausola “per assistenza” od altra equivalente.

Per quanto riguarda, invece, gli incapaci assoluti (ossia, minori non emancipati e interdetti) diciamo che i loro rappresentanti legali (ovvero genitore esercente la potestà e tutore), se sono autorizzati all’esercizio del commercio, possono senz’altro obbligarsi cambiariamente in loro nome; altrimenti il genitore esercente la potestà avrà bisogno dell’autorizzazione del giudice tutelare, e il tutore avrà bisogno – previo parere del giudice tutelare – dell’autorizzazione del tribunale.

Nell’ipotesi di incapacità naturale è previsto – a norma dell’art. 428 c.1 – che l’annullabilità della dichiarazione cambiaria dell’incapace di intendere e di volere è un’eccezione reale, e quindi opponibile a qualunque possessore del titolo, anche se di buona fede; pertanto l’eccezione di incapacità naturale si fa rientrare nelle eccezioni “da difetto di capacità” previste dall’art. 1992 c.c. .

Tuttavia, le dichiarazioni cambiarie possono essere compiute anche per mezzo di rappresentante; ovviamente dalla dichiarazione o dalla sottoscrizione deve apparire che il dichiarante non si obbliga in nome proprio, ma in nome del rappresentato; poiché se così non fosse il rappresentante rimarrebbe obbligato in proprio.

E precisamente, a norma dell’art. 12 1.camb., il rappresentante – il quale abbia il potere generale di assumere obbligazioni in nome di un rappresentato che non sia imprenditore commerciale, non ha il potere di assumere obbligazioni cambiarie, a meno che nella procura non gli sia esplicitamente concesso questo potere; viceversa, il rappresentante il quale abbia il potere generale di assumere obbligazioni per un rappresentante che è imprenditore commerciale, per ciò stesso ha anche il potere di assumere obbligazioni cambiarie,

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a meno che nella procura questo potere non sia stato espressamente escluso.

Se, inoltre, il rappresentante non ha il potere di obbligarsi cambiariamente in nome del rappresentato, quest’ultimo non diventa obbligato cambiario; infatti al suo posto rimane obbligato cambiario il falsus procurator (art. 11 1. camb.).

Se, però, il debito cambiario è stato assunto da un amministratore rappresentante di società per azioni malgrado gli fosse vietato dallo statuto, si applica la disciplina prevista dall’art. 2384 c.2, assumendo che la società risponde egualmente del debito, salvo riesca a provare che il terzo beneficiario della cambiale ha agito intenzionalmente in suo danno.

Per quanto riguarda – infine – il contenuto delle dichiarazioni cambiarie, diciamo che bisogna tenere presente che le dichiarazioni cambiarie non possono essere sottoposte a condizioni; infatti se la condizione viene apposta alle dichirazioni del traente o dell’emittente, è nulla la stessa cambiale, e quindi non ha valore nessun’altra dichiarazione cambiaria, da chiunque apposta. Se la condizione è apposta all’accettazione o all’avallo, è nulla solo l’obbligazione dell’accettante o dell’avallante; se viene apposta da una girata, la girata è valida, ma la condizione si ha per non scritta (art. 16 c.1 1. camb.).

L’ACCETTAZIONEL’accettazione è un istituto proprio della cambiale tratta, e il suo effetto è quello di far diventare il trattario obbligato cambiario diretto (art. 33 c.1 1. camb.). Prima dell’accettazione, infatti, il portatore non ha contro il trattario nessuna azione: né cambiaria, appunto perché manca l’accettazione e né ordinaria, perché anche se il trattario è debitore verso il traente ed anche se l’ha autorizzato a emettere la tratta, tale obbligazione sussiste – sul piano extracambiario – soltanto verso il traente, e non verso il portatore della cambiale.

L’accettazione può essere chiesta fino al giorno della scadenza dal portatore legittimo o anche da un semplice detentore della cambiale: cioè l’accettazione va chiesta alla residenza del trattario (ai sensi dell’art. 26 1. camb.).

La cambiale a certo tempo vista deve essere presentata all’accettazione entro 1 anno dalla data di emissione; il termine annuale può essere prolungato o abbreviato dal traente, mentre dai giranti può essere soltanto abbreviato (art. 28 1. camb.).

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Il traente può vietare che la cambiale sia presentata all’accettazione (di solito ciò accade quando il traente si riserva di fornire al trattario la provvista solo alla scadenza della cambiale): questo divieto si attua apponendo sulla cambiale la clausola “non accettabile” o altra equivalente.

Non si può dichiarare la cambiale non accettabile nelle seguenti tre ipotesi (art. 27 c.2 1. camb.):

1. quando la scadenza è a certo tempo vista (e quindi la cambiale deve essere presentata all’accettazione, onde inizi a decorrere il tempo per il pagamento);

2. quando la cambiale è pagabile da un terzo (domiciliazione completa);

3. quando deve essere pagata dallo stesso trattario, ma in un luogo diverso dalla sua residenza (domiciliazione incompleta).

In tutte le ipotesi di cambiale domiciliata, la presentazione per l’accettazione è necessaria per consentire al trattario di predisporre i mezzi, per evitare che il pagamento venga fatto nel luogo e dalla persona indicati dalla cambiale.

Nell’ipotesi in cui il traente apponga la clausola “non accettabile”, se egualmente la cambiale viene presentata all’accettazione e il trattario la rifiuta, gli obbligati di regresso non sono responsabili per il questo rifiuto. Se invece, malgrado la clausola “non accettabile”, il trattario accetta la cambiale, l’accettazione è valida e l’accettante diventa obbligato cambiario diretto.

Il traente può anche vietare che la presentazione dell’accettazione avvenga prima che sia trascorso un dato termine (dilatorio), nel qual caso egli è libero da responsabilità per il rifiuto dell’accettazione richiesta prima della scadenza di detto termine (art. 27 c.3 1. camb. ).

Il trattario, al quale sia chiesta l’accettazione, può chiedere che gli sia fatta una seconda presentazione il giorno seguente (in modo che egli possa servirsi del giorno di intervallo per chiedere notizie della cambiale al traente, soprattutto per accertare che la cambiale sia stata effettivamente emessa dallo stesso traente). Tuttavia, il trattario non può pretendere che la cambiale sia lasciata in sua detenzione. Se il trattario richiede la seconda presentazione e il portatore non gliela concede, il portatore non può esercitare l’azione di regresso per mancata accettazione, purchè la richiesta della seconda presentazione e il rifiuto di concederla risultino dal protesto (art. 29 1. camb.).

Per quanto riguarda la forma dell’accettazione, il trattario accetta la cambiale apponendo sulla stessa la clausola “accettato” o “visto” ,o

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altra equivalente, seguita dalla sottoscrizione autografa, e dall’indicazione del luogo e della data di nascita ovvero dal codice fiscale. L’accettazione deve essere apposta sulla cambiale e non ha quindi valore di obbligazione cambiaria di un’accettazione per un atto separato (ad esempio, per lettera o per telegramma).

Quanto, invece, alla Revoca dell’accettazione diciamo che se la sottoscrizione viene cancellata dal trattario prima di restituire il titolo, l’accettazione si ha per non avvenuta in quanto la cancellazione si presume fatta – fino a prova contraria - prima della restituzione del titolo (art. 34 c.1 1. camb.).

Se però il trattario, prima della cancellazione, ha dato notizia per iscritto dell’accettazione al portatore o ad un qualsiasi firmatario della cambiale, rimane obbligato cambiariamente verso costoro.

Dunque, se il trattario rifiuta l’accettazione, non diviene obbligato cambiari. In seguito al rifiuto, il portatore legittimo della cambiale, dopo aver fatto constatare la mancanza di accettazione per mezzo del protesto, può esercitare subito (ossia, senza attendere la scadenza della cambiale) il suo credito di regresso contro il traente, i giranti e i loro avallanti (c.d. azione di regresso per mancata accettazione), pretendendo dagli stessi il pagamento della loro somma cambiaria, detratto lo sconto (a tal proposito è opportuno specificare che ai sensi degli artt. 50 e 55 c.2 1. camb, per sconto s’intende la somma corrispondente agli interessi, calcolati in base al tasso ufficiale vigente alla data del regresso, dal giorno del pagamento anticipato al giorno della scadenza fissata nella cambiale).

L’accettazione deve essere incondizionata, cioè fatta per tutta la somma e senza introdurre modifiche (art. 31 1. camb.).

Se l’accettazione viene fatta sotto condizione, l’accettante non assume alcuna obbligazione cambiaria e si hanno – perciò – gli stessi effetti che nel caso di rifiuto dell’accettazione;

se l’accettazione viene fatta solo per una parte della somma o introducendo modifiche, l’accettante resta obbligato cambiariamente nei termine della sua accettazione, ma il portatore può agire subito contro gli obbligati di regresso (nel caso di accettazione parziale può agire solo per la differenza di somma).

L’AVALLOL’avallo è una dichiarazione cambiaria mediante la quale il dichiarante (detto avallante) assume una garanzia, letterale ed astratta, per il pagamento – totale o parziale – della somma indicata

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nella cambiale, collocandosi nella stessa posizione formale di un altro obbligato cambiario da lui indicato e detto avallato (art. 35 1. camb.).

Per compiere una dichiarazione di avallo basta apporre sulla cambiale o sull’allungamento la propria firma preceduta dalla clausola “per avallo di…” (il nome dell’avallato) o altra equivalente.

Se non si indica il nome dell’avallato, nella cambiale tratta si presume che avallato sia il traente, e nel pagherò cambiario l’emittente (in qualunque tipo di cambiale, perciò, la legge presume che l’avallo dato senza indicazione del garantito è concesso a favore di colui che ha emesso la cambiale).

L’avallante è obbligato nello stesso modo dell’avallato: pertanto è un obbligato diretto se l’avallato è un obbligato diretto, mentre è un obbligato di regresso se l’avallato è un obbligato di regresso (art. 37 c.1 1. camb.). Nell’ordine cambiario, l’avallante si inserisce subito dopo il suo avallato e, perciò, è obbligato cambiariamente verso tutti coloro verso i quali è obbligato l’avallato, mentre, se soddisfa il debito cartolare, può rivolgersi con l’azione cambiaria contro l’avallato e contro tutti coloro che sono obbligati cambiariamente verso l’avallato (cioè contro coloro che, precedono l’avallato nell’ordine cambiario). L’obbligazione dell’avallante non è sussidiaria rispetto a quella dell’avallato: i due sono debitori cambiari solidali, e quindi il portatore ha diritto di rivolgersi per il pagamento stesso all’avallante senza bisogno di rivolgersi preliminarmente all’avallato.

L’obbligazione dell’avallante è valida anche se non lo è quella dell’avallato (ad esempio. l’obbligazione dell’avallato è annullabile perché l’avallato è incapace, ovvero è nulla, perché la sottoscrizione dell’avallato è falsa). Solo in un caso l’invalidità dell’obbligazione dell’avallato produce l’invalidità dell’obbligazione dell’avallante, e precisamente quando l’invalidità deriva da un vizio di forma (ad esempio, l’avallato ha sottoscritto con il solo cognome, senza aggiungere neppure l’iniziale del nome).

LA CAMBIALE DI FAVOREOltre all’avallo, il pagamento di una cambiale può anche essere garantito mediante l’intervento di un terzo che, sulla base di una convenzione (detta di favore) con colui che è il vero debitore nel rapporto sottostante, rilascia in veste di emittente una cambiale (detta di favore) allo stesso debitore del rapporto sottostante che – a sua volta – quale primo prenditore, la gira a colui che nel rapporto sottostante è il vero creditore, assumendo così quale girante un’obbligazione cambiaria di regresso. E precisamente, l’emittente è detto favorente, il prenditore-girante è detto favorito.

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In ipotesi di questo tipo, il favorente rimane obbligato nei confronti dei portatori della cambiale estranei alla convenzione di favore in conformità al tipo di dichiarazione che ha apposto sul titolo.

In virtù della stessa convenzione di favore, poi, il favorente ha diritto di ripetere dal favorito le somme che eventualmente è stato costretto a pagare al portatore del titolo in base all’obbligazione cambiaria da lui assunta; a questo fine, il favorente può anche usufruire dell’azione cambiaria se il favorito figura come obbligato cambiario nei suoi confronti (ad esempio, il favorito ha girato la cambiale al favorente perché questi la girasse, divenendo obbligato di regresso, al vero creditore del favorito; pertanto, se il favorente ha dovuto pagare, potrà esercitare a sua volta l’azione cambiaria di regresso contro il favorito).

LA CIRCOLAZIONE DELLA CAMBIALE. LA GIRATA

Il credito cambiario normalmente si trasferisce (compiendo l’atto di trasferimento) e facendo diventare l’acquirente portatore legittimo del titolo: e quindi praticamente apponendo sul titolo la girata e consegnandolo all’acquirente (art. 15 c.1 1.camb.).

Ma se il traente o l’emittente hanno emesso la cambiale apponendovi la clausola “non all’ordine” o una clausola equivalente, il credito cambiario si può trasferire solo con un atto di cessione, e cioè compiendo il negozio di trasferimento e notificandolo al debitore; in questo modo l’acquirente non acquista un credito letterale ed autonomo, ma lo stesso credito dell’alienante, con la conseguenza che all’acquirente si possono opporre tutte le eccezioni che si potevano opporre all’alienante (art. 15 c.2 1.camb.).

Se invece la clausola “non all’ordine” non è apposta dal traente o dall’emittente, ma da uno dei giranti, essa non incide sulla legge di circolazione della cambiale, ma incide sulla funzione di garanzia che è propria della girata, nel senso che il girante che ha apposto detta clausola rimane responsabile in via di regresso solo verso il suo immediato giratario, ma non verso i giratari successivi (art. 19 c.2 1. camb.).

La girata deve essere scritta sulla cambiale o sull’allungamento, e deve essere sottoscritta dal girante (ai sensi dell’art. 17 c.1 1.camb.); e precisamente, può essere apposta sia sulla faccia anteriore del titolo, sia sulla faccia posteriore (salvo l’ipotesi che si tratti di una girata in bianco, ovvero una girata in cui non è stato indicato il nome del giratario, ossia sottoscrizione non accompagnata da una dichiarazione che ne indichi esplicitamente la natura). La girata in bianco, infatti, per essere valida deve essere scritta esclusivamente

“a tergo della cambiale o sull’allungamento” (art. 17 c.2 1. camb.).

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La girata, inoltre, deve essere incondizionata: pertanto, se vi è apposta una condizione, questa si considera non scritta e la girata vale come se fosse incondizionata (vitiatur, sed non vitiat); viceversa la girata parziale è nulla, e quindi il giratario non diventa portatore legittimo della cambiale (art. 16 1.camb.).

Il credito cambiario può anche essere trasferito senza girata, e quindi senza far diventare l’acquirente portatore legittimo del titolo, mediante uno dei modi di trasferimento previsti dal diritto comune (ad esempio, per successione mortis causa): in questo caso però il cessionario o l’erede, non acquistano un credito cartolare (cioè letterale ed autonomo), ma lo stesso credito del cedente o del defunto, e perciò al cessionario o all’erede si possono oppore tutte le eccezioni che si potevano opporre al cedente o al defunto (art. 25 1. camb.).

Questa conseguenza si ha in tutte le ipotesi in cui il credito è stato trasferito mediante cessione (e non mediante girata), sia che poi fosse possibile trasferire il titolo mediante girata, sia che ciò non fosse possibile, perché l’autore del titolo vi aveva apposto la clausola “non all’ordine” o altra equivalente.

Eccezionalmente, gli stessi effetti della cessione ordinaria dei crediti si hanno anche nell’ipotesi di trasferimento mediante girata, quando quest’ultima (cioè la girata) è tardiva.

A tal proposito è opportuno specificare che la girata tardiva non è la girata successiva alla scadenza ma quella fatta in un momento ulteriore, e cioè posteriormente al protesto per mancato pagamento ovvero dopo che è trascorso il termine previsto per levare utilmente detto protesto; in questo caso il giratario non acquista un credito letterale ed autonomo, e perciò gli si possono opporre le stesse eccezioni che gli si potevano opporre al girante (art. 24 1.camb.). Si parla in questa ipotesi di girata anomala,e la stessa qualificazione si usa anche per la girata per procura;anche nell’ipotesi di girata per procura ,infatti al giratario gli si possono opporre le stesse eccezioni che si potevano opporre al girante ,ma ciò dipende dal fatto che titolare del credito cambiario è rimasto il girante ,in quanto il giratario è solo il suo rappresentante ,incaricato di incassare il credito cambiario per suo conto.

Tutte le ipotesi di girate anomale sono:

1. Le ipotesi di “girata per procura”;

2. L’ipotesi di girata dopo il protesto per mancato pagamento o dopo che sia trascorso il termine utile per levare il protesto;

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3. L’ipotesi in cui il giratario abbia acquistato il suo credito con l’intenzione di privare il debitore cambiario delle eccezioni personali che questi poteva opporre al girante;

Nelle ultime due ipotesi si ha una vera e propria deroga dei principi di letteralità ed autonomia.

Deroga invece non si ha anche se le due ipotesi sono identiche ,nell’ipotesi di girata per procura,e nell’ipotesi in cui il credito cartolare sia stato trasferito non mediante girata,ma mediante cessione, ipotesi nella quale ai titolari successivi del credito possono essere apposte le medesime eccezioni che potevano essere apposte ai titolari precedenti,appunto perche nella cessione ordinaria dei crediti i principi di letteralità ed autonomia non trovano mai applicazione.

La girata cambiaria non adempie solo alla funzione di trasferimento del credito ma anche ad una funzione di garanzia ,in quanto fa nascere una obbligazione cambiaria di regresso del girante che diventa responsabile dell’accettazione e del pagamento verso il proprio giratario e verso tutti i successivi giratari della cambiale. Se il girante vuole evitare di diventare obbligato di regresso ,può farlo,e a questo fine deve apporre la clausola “senza garanzia” o altra equivalente;se vuole diventare obbligato di regresso soltanto verso il proprio giratario e non verso i giratari successivi,deve apporre la clausola”non all’ordine”.

LA CAMBIALE IPOTECARIACon la girata della cambiale, oltre al credito cambiario, si trasferiscono anche tutti i diritti accessori ad esso inerenti, (art. 18 c.1 1.camb.), che assistono il credito cambiario garantendone il pagamento.

Tra questi diritti particolare importanza hanno:

• il pegno, in cui l’esempio più noto è quello delle c.d. tratte documentate

• e l’ipoteca, in cui la possibilità che la cambiale contenga una clausola in cui si dichiara che – a garanzia del pagamento del credito cartolare - è stata costituita un’ipoteca, è prevista espressamente dall’art. 2831 c.c. : e precisamente, a tal proposito si parla di cambiale ipotecaria; per essere costituita, l’ipoteca deve essere iscritta nei registri immobiliari a favore dell’attuale possessore della cambiale ed inoltre deve essere annotata sulla cambiale a cura del conservatore (art. 2839 c.2).

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Dopo la costituzione anche l’ipoteca (allo scopo di rallentare la rapidità di circolazione della cambiale) si trasferisce ai successivi portatori legittimi del titolo, senza che occorra annotare i successivi trapassi nel registro immobiliare (art. 2831 c.2), e poiché l’ipoteca costituisce un accessorio del credito cambiario essa si trasferisce in modo autonomo, e pertanto con la girata si trasmette al portatore legittimo della cambiale anche nel caso di acquisto a non domino. Perché ciò avvenga occorre, tuttavia, che l’ipoteca sia stata costituita validamente, pertanto ai successivi portatori della cambiale ipotecaria rimangono opponibili i vizi relativi al negozio di concessione dell’ipoteca o all’atto di iscrizione nei registri immobiliari.

Per la cancellazione dell’ipoteca, occorre presentare al conservatore un atto (autentico) di consenso alla cancellazione da parte del creditore iscritto nei registri immobiliari; occorre inoltre presentare il titolo cambiario, che viene restituito dopo che il conservatore vi ha eseguito l’annotazione della cancellazione (art. 2887 c.1). E precisamente, il consenso alla cancellazione viene prestato dopo il pagamento della cambiale: e dunque, se viene prestato prima del pagamento si perde l’azione di regresso nei confronti dei giranti anteriori alla cancellazione dell’ipoteca (art. 2887 c.2).

A tal proposito diciamo che, particolarmente diffusi sono le cambiali emesse in occasione dell’acquisto di autoveicoli ed assistite da privilegi che sono considerati ipoteche (art. 2810).

LA CESSIONE DELLA PROVVISTAL’emissione e il trasferimento della cambiale tratta consentono la costituzione e il trasferimento del solo credito cartolare, e non la cessione del credito derivante dal rapporto di provvista tra traente e trattario (infatti, questi diventa obbligato cambiario nei confronti del portatore legittimo della tratta solo in seguito all’accettazione). La mancanza, prima dell’accettazione del trattario, di un obbligato cambiario principale può intralciare la circolazione della cambiale (rendendone difficile lo sconto bancario).

Eccezionalmente è stato perciò ammesso che il traente possa inserire nella cambiale una clausola di cessione del credito (extracartolare) derivante dal rapporto di provvista.

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L’apposizione della clausola di “cessione della provvista” è, tuttavia, soggetta ad alcuni limiti, e precisamente:

• innanzitutto, questa clausola può essere apposta dal traente soltanto nelle cambiali tratte che non devono essere presentate all’accettazione (tratte, cioè, con la clausola “non accettabile”). Ne deriva, dunque, che la clausola di accettazione della provvista diviene inefficace se la cambiale viene successivamente accettata.

• La cessione, inoltre, vale nei limiti del credito di provvista, e questo credito deve avere origine da un rapporto di fornitura di merci fatta dal traente al trattario (quale vendita, somministrazione, …);

• Ancora, la cessione può essere effettuata dal traente solo a favore di una banca o di un banchiere: essa però giova a tutti i successivi portatori del titolo;

• La clausola di cessione, inoltre, deve essere inserita nel contesto del titolo. A pena di nullità essa (la clausola) deve contenere la data e il numero della fattura relativa alla fornitura della merce;

• Infine, la cessione per essere efficace nei confronti dei terzi e del debitore ceduto, deve essere notificata a quest’ultimo debitore: a tal proposito è opportuno specificare che la notificazione può essere fatta anche a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, che deve contenere le indicazioni occorrenti per la identificazione della cambiale.

Dopo la notifica della cessione, il credito di provvista si trasferisce con la consegna e la girata della cambiale: di conseguenza il trattario non è liberato se paga a persona diversa dal portatore della tratta.

Poichè il credito ceduto è però lo stesso (credito) del cedente derivante dal rapporto di provvista, il trattario ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni desumibili da questo rapporto.

SCADENZA E PAGAMENTO

Alla scadenza, il pagamento della somma cambiaria deve essere chiesto al trattario nella cambiale tratta, e all’emittente nella cambiale propria.

Quanto al tempo, invece, diciamo che il pagamento deve essere chiesto nel giorno di scadenza (se questo non è festivo) o in uno dei

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due giorni feriali successivi (art. 43 c.1 1.camb.). A tal proposito è opportuno specificare che, se la data di scadenza cade in giorno festivo legale, allora essa è prorogata al primo giorno feriale successivo (art. 96 1.camb.).

Se si tratta di scadenza a vista, la cambiale deve essere presentata al pagamento entro un anno dalla data di emissione, anche se tuttavia il traente può allungare od abbreviare detto termine, mentre i giranti possono soltanto abbreviarlo (art. 39 c.1 1.camb.). Inoltre, se si lascia trascorrere – senza richiedere il pagamento – il termine abbreviato dal traente, si perde l’azione cambiaria contro tutti gli obbligati di regresso; mentre, se si lascia trascorrere il termine abbreviato da un girante, si perde solo l’azione di regresso contro quel girante (art. 60 c.2 e 3 1.camb.).

Quanto al luogo, la cambiale deve essere presentata nel luogo (ossia comune) e all’indirizzo indicato quale luogo di pagamento; nel caso in cui mancasse l’indirizzo, allora il pagamento deve essere chiesto nella casa di residenza delle seguenti persone:

a) del trattario, nella cambiale tratta;

b) dell’emittente, nel pagherò;

c) del domiciliatario, nella cambiale domiciliata (art. 44 1.camb.).

Inoltre, legittimato a chiedere il pagamento è – trattandosi di un titolo all’ordine – il portatore legittimo della cambiale, ovvero chi risulta ultimo giratario in base ad una serie continua di girate; è opportuno specificare – tuttavia – che le girate cancellate si hanno per non scritte (art. 20 c.1 1.camb.). Il debitore non è obbligato a verificare che le firme dei giranti siano autentiche, dovendo solo controllarne la continuità formale; ma – tuttavia – se il debitore non conosce di persona l’ultimo giratario, deve accertane l’identità (ad esempio, pretendendo l’esibizione di un documento di identificazione quale: passaporto, carta d’identità, …).

In deroga all’art. 1181 c.c., il portatore non può rifiutare il pagamento parziale; infatti, in caso di pagamento parziale il trattario o l’emittente non possono pretendere la restituzione del titolo quietanzato, ma possono esigere che del pagamento parziale sia fatta menzione sulla cambiale e che gliene sia data ricevuta (art. 45 c.2 e 3 1.camb.).

Inoltre, il portatore legittimo della cambiale può rifiutarne il pagamento anticipato, cioè che gli viene offerto prima della scadenza; d’altra parte, il debitore, che paga prima della scadenza, paga a suo rischio e pericolo, poiché se dimostra successivamente che il portatore legittimo, al quale egli ha pagato la somma cambiaria, non era il titolare del credito cambiario e che il vero titolare avrebbe

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potuto fare valere i suoi diritti se il pagamento non fosse stato anticipato, è costretto a pagare una seconda volta.

MORA DEL CREDITORE: se la cambiale non viene presentata per il pagamento nel termine stabilito, qualsiasi debitore cambiario ha facoltà di depositare la somma presso l’autorità competente (che, per le cambiali pagabili nella Repubblica, è la Banca d’Italia) a spese, rischio e pericolo del creditore cambiario (art. 48 1.camb.).

LE AZIONI CAMBIARIE: AZIONE DIRETTA E AZIONE DI REGRESSOSe, alla presentazione della cambiale, il pagamento viene rifiutato dal trattario o dall’emittente, il portatore legittimo può pretenderlo da tutti gli obbligati cambiari, e quindi può agire giudizialmente contro di essi. Distinguiamo:

1. Azione cambiaria diretta: per agire contro gli obbligati diretti (accettante o emittente, e loro avallanti), è sufficiente provare il rifiuto del pagamento in qualunque modo, senza bisogno di ricorrere al protesto nè osservare alcun’altra formalità.

Si può agire indifferentemente contro uno qualsiasi degli obbligati cambiari, trattandosi di obbligazioni solidali. Se a pagare è un avvallante, costui a sua volta potrà esercitare l’azione cambiaria contro l’avallato (emittente o trattario) che lo precede nel nesso cambiario. Se l’avallo è stato concesso da più persone (c.d. cavallo), il coavallante costretto al pagamento non ha però azione cambiaria contro gli altri coavallanti, trattandosi di coobbligati che hanno “assunto una posizione di pari grado nella cambiale”; il coavallante ha solo l’azione ordinaria di regresso (prevista dall’art. 1299 c.c.), in virtù della quale “il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi”.

2. Azione cambiaria di regresso: in cui il portatore legittimo può anche, a sua discrezione, preferire di agire contro gli obbligati di regresso (traente, giranti e loro avallanti). A tal proposito è opportuno specificare che:

- il traente risponde sempre per il pagamento, perché si può esonerare mediante la clausola “non accettabile “ dalla responsabilità per la mancata accettazione, ma non della responsabilità per il mancato pagamento;

- che sono obbligati di regresso tutti i giranti che non hanno inserito nella girata la clausola “senza garanzia” o altra equivalente;

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- che i giranti, i quali hanno inserito nella girata la clausola “non all’ordine”, sono obbligati solo verso il loro giratario, e non verso i giratari successivi.

Il portatore legittimo del titolo può agire contro uno qualsiasi degli obbligati di regresso o anche contemporaneamente contro due o più di loro, finchè non sia stato pagato da uno tra questi (art. 54 1.camb.).

Le condizioni per l’esercizio dell’azione di regresso sono:

• Presentazione all’accettazione: in quanto vi sono delle ipotesi, in cui, per poter esercitare l’azione di regresso è necessario aver presentato la cambiale all’accettazione, e precisamente ciò avviene:

o nelle cambiali con scadenza “a certo tempo vista”

o e nelle cambiali in cui il traente o uno dei giranti ha prescritto che il titolo sia presentato all’accettazione entro un determinato termine.

• Presentazione al pagamento: poiché è necessario, inoltre, che la cambiale sia stata presentata al pagamento nel termine prescritto.

• Protesto: in cui, è necessario che il mancato pagamento sia stato contestato mediante un atto redatto in forma solenne da un pubblico ufficiale (c.d. atto di protesto disciplinato dall’art. 51 c.1 1.camb.); il protesto, infatti, deve essere fatto da un notaio, o da un ufficiale giudiziario, o da un aiutante ufficiale giudiziario ovvero, in mancanza di costoro, dal segretario comunale. Inoltre diciamo che, il notaio e l’ufficiale giudiziario possono provvedere alla presentazione del titolo al debitore principale anche a mezzo di presentatori, cioè di persone da essi stessi designate, e nominate a svolgere tale funzione, sotto la responsabilità del notaio o dell’ufficiale giudiziario, dal presidente della corte d’appello o dal presidente del tribunale competente appositamente delegato.

Per quanto riguarda il luogo, il protesto deve essere fatto nel comune in cui si deve chiedere il pagamento e nei luoghi indicati nell’art. 44 1. camb., e cioè all’indirizzo indicato nel titolo o, in sua mancanza, nella casa di residenza del trattario (o dell’emittente) o del domiciliatario. Se la residenza di queste persone non si può rintracciare, il protesto si può fare in qualunque luogo

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del comune di pagamento: in tal caso si parla del c.d. protesto al vento disciplinato dall’art. 70 c.1 e 2 1.camb.).

Quanto al tempo, invece, diciamo che il protesto non può essere fatto nel giorno della scadenza, ma deve essere levato in uno dei due giorni feriali successivi a questo giorno; se la scadenza è a vista, il protesto deve essere fatto entro un anno dalla data di emissione della cambiale (art. 51 c.3 1.camb.).

Il protesto, inoltre, deve essere fatto con un solo atto che può essere scritto nella stessa cambiale o sull’allungamento, ovvero anche su un documento separato, che però contenga la trascrizione della cambiale (art. 69 e 71 c.2 1.camb.).

E precisamente, l’atto di protesto deve indicare la data e il luogo in cui è stato fatto, chi lo ha richiesto, le ricerche fatte per trovare la residenza del trattario (o dell’emittente) o del domiciliatario, le persone ivi trovate, le risposte ricevute o il motivo per cui non se ne è ricevuta nessuna, la sottoscrizione di chi fa il protesto (art. 71 c.1 1.camb.).

Inoltre, il protesto – in quanto atto pubblico – fa piena prova, fino a querela di falso, a norma dell’art. 2700 c.c., ivi inclusi i fatti che il presentatore riferisce avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 4 c.2 1.camb.).

Per accrescere il livello di certezza e trasparenza dei rapporti commerciali, gli atti di protesto vengono trasmessi alla fine di ogni mese alla camera di commercio e pubblicati nel registro informatico dei protesti tenuto dalle stesse camere di commercio “in modo da assicurare completezza, organicità e tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale” (art. 3-bis c.1 1. 15 novembre 1995 n. 440). La registrazione di ciascun protesto viene cancellata dopo 5 anni. Tuttavia, sia coloro che hanno subito un protesto illegittimo o per errore, sia coloro che hanno pagato il titolo, con interessi e spese, entro un anno dalla levata del protesto per mancato pagamento, possono richiedere al dirigente responsabile dell’ufficio protesti la immediata cancellazione del proprio nome dal registro informatico. A seguito della cancellazione, il protesto si considera “come mai avvenuto”.

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Ai fini dell’esercizio dell’azione di regresso, il protesto non ammette equipollenti; esso – tuttavia – può essere sostituito da una dichiarazione di rifiuto del pagamento datata e sottoscritta dal trattario (o dall’emittente), e registrata non oltre il termine stabilito per levare utilmente il protesto (art. 72 1. camb.).

Mediante l’azione di regresso si può pretendere:

a) la somma cambiaria con gli interessi, se vi è clausola di interessi;

b) gli interessi moratori, dal giorno della scadenza a quello del pagamento;

c) le spese per il protesto e le altre spese occorse (art. 55 c.1 1.camb.).

Per quanto riguarda il regresso anticipato diciamo che, anche prima della scadenza della cambiale, si può pretendere dagli obbligati di regresso la somma cambiaria – deducendone però lo sconto – soltanto nelle seguenti ipotesi (previste dall’art. 50 1.camb.):

1) se, nella cambiale tratta, il trattario abbia rifiutato l’accettazione; a tal proposito è opportuno specificare che il pagamento anticipato non può essere richiesto a nessuno degli obbligati di regresso in presenza della clausola “non accettabile”, o di altra equivalente, apposta dal traente.

2) In caso di rifiuto parziale dell’accettazione, o se questa contiene condizioni o modifiche: infatti, in caso di accettazione parziale, si può pretendere solo il pagamento della differenza.

3) In caso di fallimento del trattario, abbia o meno accettato; in questo caso, per esercitare l’azione di regresso, non è necessario il protesto, ma basta presentare in giudizio la sentenza di fallimento.

4) In caso di fallimento del traente di una cambiale “non accettabile”.

5) In caso di cessazione dei pagamenti da parte del trattario (o dell’emittente) ovvero di esecuzione

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infruttuosa sui loro beni; e precisamente: si ha cessazione dei pagamenti (insolvenza) quando il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni; mentre, si ha esecuzione infruttuosa ogni volta che risulta che un creditore non è riuscito a soddisfarsi mediante l’esecuzione forzata sui beni del debitore o ha dovuto sospendere la procedura esecutiva per non rimetterci anche le spese giudiziali.

Per quanto riguarda, invece, l’obbligo dell’avviso diciamo che affinché gli obbligati regresso siano avvisati in tempo del rifiuto dell’accettazione o del rifiuto di pagamento (rifiuto che li espone all’azione di regresso), è prescritto che il portatore legittimo avvisi dei predetti rifiuti – entro 4 giorni feriali successivi – il traente e l’ultimo girante che abbia indicato sulla cambiale in modo leggibile il proprio indirizzo. Entro i 2 giorni feriali successivi, colui che ha ricevuto l’avviso deve avvisare a sua volta il primo dei giranti che lo precedono, e così via.

L’avviso può essere dato in qualunque forma, anche con il semplice rinvio della cambiale (è opportuno spedire l’avviso con lettera raccomandata, per poter provare di avere rispettato il termine prescritto).

Colui che omette di dare l’avviso può egualmente esercitare l’azione di regresso, ma è tenuto a risarcire il danno nei limiti dell’ammontare della cambiale.

IL PROCESSO CAMBIARIO: L’ESERCIZIO DELLE AZIONI CAMBIARIE. LE ECCEZIONI CAMBIARIE

Il creditore cambiario, che – non essendo stato pagato – voglia perseguire giudiziariamente un debitore cambiario esercitando contro di lui l’azione cambiaria, può scegliere tra diversi procedimenti giudiziari:

A) Può iniziare un ordinario procedimento di cognizione, in contraddittorio con il debitore, per ottenere l’emanazione di una sentenza che lo condanni al pagamento della somma cambiaria; a tal proposito è opportuno specificare che la sentenza di condanna è provvisoriamente esecutiva (art. 282 cod. proc. Civ.), e consente di iscrivere ipoteca ed iniziare l’esecuzione forzata sui beni del debitore, onde essi vengano venduti e il creditore si possa soddisfare sul ricavato. Ma tale procedimento (ordinario) è molto raro in quanto necessita di tempi lunghi.

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B) Più frequente è il ricorso ad un procedimento sommario, per ottenere l’emanazione di un decreto ingiuntivo (art. 633 c.p.c.). Con tale decreto ingiuntivo, l’autorità giudiziaria ingiunge al debitore di pagare la somma richiesta in un determinato termine. Se nel corso di questo termine il debitore fa opposizione, si instaura un ordinario procedimento di cognizione in contraddittorio, e quindi si ricade nell’ipotesi precedente (A). Altrimenti, il decreto diventa esecutivo, e si può quindi iscrivere subito ipoteca ed iniziare il procedimento esecutivo. Il creditore cambiario può anche chiedere un decreto provvisoriamente esecutivo che costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, e in cui il termine concesso al debitore serve solo per proporre l’opposizione, ma non sospende l’inizio del procedimento esecutivo.

C) Poiché la cambiale, quando è in regola con il bollo fin dal momento dell’emissione, è già titolo esecutivo, il creditore può senz’altro iniziare la procedura esecutiva. Deve, pertanto, notificare al debitore il precetto, ossia un atto giudiziale con cui gli si intima di pagare entro un breve termine, trascorso il quale si può procedere al pignoramento e alla vendita forzata dei suoi beni; e precisamente, il precetto deve contenere la trascrizione della cambiale e, se si agisce contro un obbligato di regresso, anche del protesto (art. 63 c.3 1.camb.).

ECCEZIONI CAMBIARIE. Il debitore, contro il quale si procede giudizialmente, può difendersi opponendo le eccezioni tendenti a dimostrare che il suo debito non è valido o che si è estinto, o che comunque non è tenuto a pagare al richiedente. Nel procedimento ordinario (A), queste eccezioni si fanno valere in contraddittorio con l’attore nel corso del giudizio di cognizione; mentre nel procedimento sommario (B) si fanno valere mediante opposizione al decreto ingiuntivo; e infine, nell’ultimo procedimento, ossia il precetto (C), si fanno valere mediante opposizione all’esecuzione (c.d. opposizione al precetto art. 615 c.1 c.p.c.).

In riferimento ai titoli di credito, in generale le eccezioni cartolari si distinguono in reali nel senso che si possono opporre a tutti i creditori cartolari, e in personali nel senso che si possono opporre soltanto a determinati creditori cartolari. Questa distinzione vale anche per le eccezioni cambiarie, le quali inoltre si distinguono anche in oggettive nel senso che possono essere opposte da tutti debitori cambiari, e in soggettive nel senso che possono essere opposte soltanto da determinati debitori cambiari.

E precisamente, sono eccezioni reali (o assolute):

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1) le eccezioni di forma, desunte dalla mancanza nella cambiale dei requisiti prescritti a pena di nullità (ad esempio, la denominazione “cambiale” non inserita nel contesto del titolo); queste eccezioni non solo possono essere opposte a tutti i creditori (e quindi si dicono reali), ma anche da tutti i debitori (e quindi sono anche oggettive).

2) Le eccezioni fondate sulla lettera del titolo, cioè desunte dal fatto che il portatore pretende di esercitare un diritto diverso da quello risultante dalle clausole contenute nel titolo (ad esempio, pretende una somma maggiore di quella indicata nella cambiale).

3) Le eccezioni fondate sulla mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio del diritto cambiario (ad esempio, si esercita l’azione di regresso in mancanza di protesto).

4) Le eccezioni di falsità della firma (e di omonimia), di incapacità, di difetto di rappresentanza, di violenza assoluta nella creazione della cambiale..

Queste eccezioni (reali) possono essere opposte solo da colui la cui firma è falsa o che ha subito la violenza fisica, dall’incapace o dallo pseudo-rappresentato, ma non dagli altri debitori cambiari (quindi sono dette eccezioni soggettive).

Mentre, sono eccezioni personali (o relative):

1) le eccezioni desunte dai c.d. vizi della volontà (quali, errore, dolo, violenza morale) che sono intervenuti nell’emissione o nella trasmissione della cambiale.

2) Le eccezioni di abusivo rapimento o di tardivo riempimento di cambiale in bianco. Queste eccezioni, possono essere opposte solo a coloro che erano in mala fede (cioè, conoscevano i motivi delle eccezioni) ovvero in colpa grave (cioè li avrebbero conosciuti se fossero stati diligenti nel momento dell’acquisto della cambiale); è opportuno specificare che, dette eccezioni non possono essere opposte a coloro che hanno acquistato in buona fede la cambiale già completata (art. 14 1.camb.).

3) Le eccezioni desunte dai rapporti personali che intercorrono tra il creditore che pretende il pagamento, e il debitore dal quale si pretende il pagamento. Tra detti rapporti hanno massima importanza: a) il rapporto fondamentale, sottostante all’emissione o alla trasmissione della cambiale; b) le convenzioni che sono state concluse tra un creditore e un debitore cambiario, ma che non risultano dal testo della cambiale.

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4) Le eccezioni di mancanza di legittimazione o di mancanza di titolarità, in cui il debitore (che non vuole esporsi al rischio di pagare una seconda volta) può negare il pagamento: a) a chi non è portatore legittimo della cambiale, ovvero b) a chi, pur essendo portatore legittimo, non è il vero creditore. In queste ipotesi, il debitore non nega il suo debito, ma nega che colui che fa valere il credito cambiario possa legittimamente esercitarlo.

Per quanto riguarda la sospensione dell’esecuzione forzata diciamo che, se il creditore cambiario, invece di chiedere la condanna del debitore, profitta del fatto che la cambiale è titolo esecutivo per iniziare senz’altro l’esecuzione forzata, il debitore – per opporre le sue eccezioni – deve fare opposizione al precetto; nonostante l’opposizione, l’esecuzione continua, a meno che il debitore non ne ottenga la sospensione. E precisamente, la sospensione può essere concessa dal giudice competente su ricorso del debitore che disconosce la propria firma o la rappresentanza del sottoscrittore ovvero adduca altri motivi gravi e fondati; tuttavia, il giudice – nel concedere la sospensione - deve però imporre idonea cauzione a carico del debitore (art. 64 1.camb.).

Quando concorrono gravi ragioni, la sospensione dell’esecuzione può essere concessa dal giudice, su richiesta del debitore, anche durante il corso del giudizio di opposizione: in tal caso, il giudice è libero di imporre o meno una cauzione al debitore (art. 65 c.3 1.camb.).

L’AZIONE CAUSALE DERIVANTE DAL RAPPORTO FONDAMENTALE. LA NOVAZIONE

Tra traente e prenditore, tra girante e suo giratario, normalmente esiste un precedente rapporto di debito (detto rapporto fondamentale) derivante da un negozio giuridico (ad esempio, da una compravendita, da un mutuo, da una locazione, ecc…). pertanto, quando per il pagamento di tale debito viene emessa ossia girata una cambiale, viene creato un debito cambiario: questi due debiti normalmente coesistono, in modo che per ottenere il pagamento il creditore può esercitare o l’azione cambiaria o l’azione derivante dal rapporto fondamentale. Ciò vuol dire che, il pagamento estingue sia il credito cambiario che quello derivante da detto rapporto fondamentale. La coesistenza delle due azioni può avere per il creditore molta importanza: ad esempio, poiché l’azione causale è soggetta ad un termine di prescrizione diverso (di solito, più lungo) rispetto a quella cui è soggetta l’azione cambiaria, ne deriva la

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possibilità di esercitare contro il debitore principale l’azione causale anche quando si è prescritta l’azione cambiaria.

Per esercitare l’azione causale è, però, necessario osservare queste tre condizioni:

1. che sia accertata mediante protesto la mancanza di accettazione o di pagamento;

2. che il creditore offra al debitore la restituzione della cambiale, depositandola presso la cancelleria del giudice (in questo modo il debitore è certo che il creditore non potrà rimettere la cambiale in circolazione );

3. che il creditore abbia compiuto tutti gli atti necessari per conservare al debitore le azioni di regresso contro gli altri debitori cambiari (ad esempio, non deve aver lasciato prescrivere dette azioni di regresso).

L’inosservanza di queste condizioni deve essere eccepita dal debitore, e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Per quanto riguarda la Novazione diciamo che l’azione causale non si può però esercitare se, nell’assumere il debito cambiario, le parti abbiano espressamente stabilito che cosi veniva ad avere la novazione del rapporto fondamentale, con conseguente estinzione di detto rapporto e permanenza del solo rapporto cambiario: perciò in tale ipotesi, se il debito cambiario si estingue (ad esempio, per prescrizione), non si può neppure realizzare il credito causale derivante dal rapporto fondamentale.

L’AZIONE DI ARRICCHIMENTOPuò verificarsi che il creditore cambiario abbia perduto l’azione cambiaria contro tutti gli obbligati cambiari, oppure che egli non abbia azione causale contro nessuno degli obbligati cambiari, o – infine – può darsi che la mancanza originaria dell’azione causale e la perdita dell’azione cambiaria abbiano cagionato un arricchimento ingiustificato di uno degli obbligati cambiari.

[Ad esempio: il traente ha rilasciato la cambiale per il prezzo di una compravendita al girante A, il quale l’ha girata per il prezzo di un’altra compravendita a B, che poi ha compiuto una cessione pro soluto a C; la vita della cambiale non ha prodotto alcun arricchimento del girante B, il quale ha ricevuto da C l’importo della cambiale, ma ha fornito ad A la merce; non ha prodotto alcun arricchimento del girante A perché questi ha ricevuto da B la merce, ma a sua volta ha fornito la merce al traente: ha però prodotto un arricchimento del traente, se questi ha

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ricevuto la merce da A, ma non ha fornito alcuna provvista al trattario.]

Il portatore legittimo della cambiale può quando si verificano questi casi, esercitare l’azione di arricchimento, pretendendo dall’arricchito la somma di cui si è ingiustamente arricchito a suo danno (art.67 1.camb.). Secondo la giurisprudenza, l’azione di arricchimento è un ‘azione extracambiaria, essa – infatti – può essere esercitata in giudizio anche se la cambiale non è in regola con l’imposta di bollo, e ha carattere sussidiario al pari dell’azione di arricchimento ammessa in generale dall’articolo 2041 c.c. .

L’AMMORTAMENTOE’ l’istituto al quale può fare ricorso il portatore legittimo della cambiale in caso di smarrimento sottrazione o distruzione del titolo. Inoltre, esso è regolato dalla legge cambiaria (art. 89-93) con disposizioni che sostanzialmente sono state riprodotte nel codice civile.

LA PRESCRIZIONEPer quanto riguarda la prescrizione diciamo che la legge stabilisce i seguenti termini di prescrizione per le diverse azioni cambiarie (art. 94 1.camb.):

1) I crediti cambiari contro gli obbligati diretti (accettante, emittente e loro avallanti) si prescrivono in 3 anni dal giorno della scadenza.

2) Il credito del portatore contro gli obbligati di regresso (traente, giranti e loro avallanti) si prescrive in 1 anno dal giorno del protesto levato in tempo utile ovvero dal giorno della scadenza, se vi è clausola “senza spese”.

3) I crediti dei giranti contro i precedenti obbligati di regresso si prescrivono in 6 mesi dal giorno in cui il girante ha pagato la cambiale o dal giorno in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui.

4) L’azione di arricchimento si prescrive, invece, in 1 anno dal giorno della perdita del credito cambiario.

Una particolarità della prescrizione cambiaria è che gli atti interrottivi della prescrizione, compiuti nei confronti di uno degli obbligati cambiari, non interrompono la prescrizione nei confronti degli altri (art. 95 1. camb.), mentre invece nel diritto comune gli atti interrottivi della prescrizione compiuti contro uno tra più obbligati in solido

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interrompono la prescrizione anche nei confronti degli altri obbligati (art. 1310 c.1).

Quanto alla prescrizione dell’azione causale, diciamo che si ritiene che essa non inizi a decorrere dal giorno in cui è sorto il credito derivante dal rapporto fondamentale, bensì dal giorno del rifiuto dell’accettazione ovvero dalla scadenza della cambiale, e cioè dal giorno a partire dal quale si può esercitare l’azione causale.

L’ASSEGNO BANCARIOMolti pagamenti – specie per cifre rilevanti – si fanno per mezzo delle banche in modo da evitare i rischi e gli inconvenienti relativi alla custodia e al trasporto della moneta. A questo scopo è vietato il cosiddetto riciclaggio, ossia il pagamento per contanti di somme superiori ai 12.500 euro.

Uno dei più comuni mezzi di pagamento è l’assegno bancario, del quale si serve che stipula con la banca un contratto (solitamente) di conto corrente, in virtù del quale – sulla base di una cosiddetta convenzione di assegno – viene autorizzato dalla banca a trarre su di essa dei titoli di credito.

Con l’assegno, infatti, il cliente ordina alla banca trattaria di pagare una somma determinata al legittimo portatore del titolo; il cliente è autorizzato a trarre assegni fino ad un ammontare determinato, che costituisce la somma che il cliente ha disponibile presso la banca (la c.d. provvista)

Gli assegni bancari sono di solito redatti su moduli stampati (che compongono il c.d. libretto degli assegni) che la stessa banca fornisce al cliente al momento della stipula della convenzione di assegno.

L’assegno bancario, quindi, è un titolo di credito mediante il quale il traente ordina ad un banchiere di pagare a vista un somma determinata al portatore legittimo del documento. Sul piano strutturale, esso (l’assegno) assomiglia alla cambiale tratta, ma sul piano funzionale si distingue da questa poiché:

- l’assegno costituisce uno strumento di pagamento, e quindi la scadenza è sempre “a vista”;

- nell’assegno, inoltre, il trattario deve essere necessariamente un banchiere;

- e, infine, mentre nella cambiale il trattario, con l’accettazione, diventa obbligato cambiario, invece nell’assegno, in base alla convenzione di assegno, il banchiere non diventa obbligato cartolare nei confronti del portatore legittimo dell’assegno: in

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quanto questi (cioè il banchiere) è obbligato extracartolare a pagare la somma indicata nell’assegno soltanto nei confronti del traente, e fino al limite della provvista; pertanto, se il banchiere rifiuta il pagamento al portatore legittimo del titolo, questi non ha nessuna azione contro di lui, ma può agire solo in via di regresso contro il traente e gli eventuali giranti.

Quindi possiamo dire che l’assegno adempie ad una funzione di pagamento, (ossia è uno strumento che serve per effettuare pagamenti), mentre la cambiale adempie ad una funzione di credito (serve cioè per ottenere credito).

In Italia la disciplina dell’assegno è contenuta nel r.d. 21 dicembre 1933 n.1736 ( che citiamo così: 1.ass.) emanato, al pari di quello sulla cambiale, in esecuzione delle convenzioni internazionali stipulate a Ginevra.

LA DISCIPLINA DELL’ASSEGNO BANCARIO

La maggior parte della disciplina applicabile all’assegno bancario coincide con la disciplina propria della cambiale, salve alcune differenze che derivano dalla diversa funzione dei due titoli. E precisamente:

1.Requisiti :

a. invece della denominazione “cambiale”, l’assegno deve contenere, nel contesto del titolo a pena di nullità, la denominazione di “assegno bancario” o quella francese di “chéque”; a tal proposito è opportuno specificare che se l’assegno è redatto in una lingua diversa, la denominazione deve essere espressa nella stessa lingua (art. 1 c.1 1.ass.) ;

b. Non è necessaria l’indicazione della scadenza, perché essa (la scadenza) è sempre “a vista”;

c. Per la validità dell’assegno, il trattario deve essere sempre un banchiere; per la regolarità dell’assegno, è necessario che la banca abbia autorizzato l’emissione e che il traente abbia dei fondi disponibili presso la banca trattaria sufficienti al pagamento: se manca l’autorizzazione all’emissione o se mancano detti fondi l’assegno è egualmente valido e il traente assume un’obbligazione cartolare;

d. L’assegno può essere emesso per mezzo di rappresentante (a differenza della cambiale, però, il rappresentante generale – in quanto tale – ha il potere, salva clausola contraria, di emettere e girare assegni bancari in nome del traente, anche se questi

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non è un imprenditore commerciale). Inoltre, l’assegno può essere tratto anche per conto di un terzo, titolare della provvista presso la banca: e precisamente, in questo caso il traente utilizza, in nome proprio, la provvista del terzo, e l’assegno è regolare soltanto se il titolare della provvista lo ha autorizzato ad emettere assegni sul proprio conto.

e. Se manca il luogo di pagamento, si considera tale il luogo indicato accanto al nome del banchiere trattario; in mancanza di tale indicazione, si considera luogo di pagamento il luogo di emissione dell’assegno;

f. Traente e trattario devono essere due persone diverse, poiché l’assegno non può essere tratto sullo stesso traente, salvo che sia tratto tra diversi stabilimenti dello stesso traente;

g. In conseguenza della funzione di mezzo di pagamento dell’assegno, la data di emissione deve essere apposta sul titolo ed essere vera. Pertanto, se l’assegno è privo di data di emissione, la giurisprudenza lo considera invalido, mentre l’assegno con data falsa rimane invece valido. Se l’assegno è stato post-datato (se cioè è stata apposta una data posteriore a quella del giorno di emissione), il portatore può sempre chiederne il pagamento “a vista”, anche prima che giunga il giorno apposto come data;

h. Qualsiasi promessa di interessi inserita nell’assegno bancario si ha per non scritta;

i. L’assegno emesso in bianco è inammissibile e quindi invalido, poichè è privo di qualcuno dei suoi elementi essenziali, ossia: denominazione di assegno o di chéque, nome del trattario, data di emissione, luoghi di emissione e di pagamento. Tuttavia è opportuno specificare che non è in bianco – e quindi è valido - l’assegno emesso senza indicare il nome del prenditore, in quanto tale mancanza incide soltanto sulla legge di circolazione del titolo, nel senso che esso vale come “assegno bancario al portatore” (art. 5 c.3 1.ass.);

2.Legge di circolazione :

L’assegno può essere all’ordine ovvero al portatore (se però vi è la clausola “non all’ordine” vale la regola della cambiale e l’assegno può essere trasferito solo nelle forme e con gli effetti della cessione ordinaria); se non è detto niente, l’assegno è all’ordine; perché sia al portatore, dunque, è necessario inserire la dizione “o al portatore”, o altra equivalente. L’assegno non può essere al portatore quando è tratto tra diversi stabilimenti dello stesso traente. Per ostacolare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite, il legislatore ha

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voluto impedire la circolazione di assegni al portatore di importo superiore a 12500,00 euro: in questo caso l’assegno deve essere emesso con l’indicazione del nome del prenditore e con la clausola “non trasferibile”.

Quanto alla girata diciamo che negli assegni all’ordine la girata ha, come nella cambiale, la duplice funzione di trasferimento del diritto cartolare e di garanzia del pagamento (il girante, cioè, diventa obbligato di regresso); la girata può essere apposta anche in un assegno emesso al portatore, ma in questo caso essa non lo trasforma in un titolo all’ordine, svolgendo solo la funzione di garanzia, per cui il girante diventa responsabile secondo le norme sul regresso (art. 23 1.ass.).

Nell’assegno bancario non è prevista una girata per “valuta in garanzia”, incompatibile con la sua funzione di pagamento e perciò non si può costituire validamente un diritto di pegno sul credito cartolare. La girata al trattario vale come quietanza, e quindi il trattario non può girare ulteriormente l’assegno, salvo il caso che egli abbia diversi stabilimenti e la girata sia fatta ad uno stabilimento diverso da quello sul quale l’assegno bancario è stato tratto (art. 18 c.5 1.ass.).

3.Accettazione :

L’assegno non può essere accettato; ogni menzione di accettazione apposta sull’assegno si ha per non scritta, e quindi il banchiere trattario non diventa mai obbligato cartolare nei confronti del portatore legittimo dell’assegno bancario. Ogni menzione di certificazione, conferma, visto e ogni altra equivalente, scritta sul titolo, e firmata dal trattario “ha solo l’effetto di accertare l’esistenza dei fondi e di impedirne il ritiro da parte del traente prima della scadenza del termine di presentazione” dell’assegno. Secondo la giurisprudenza con il “visto” il trattario non assume verso il portare dell’assegno neppure un obbligo extracartolare di pagamento, ma assume soltanto l’obbligo di bloccare i fondi della provvista garantendo la copertura dell’assegno (se viola tale obbligo sarà responsabile per i danni subiti dal portatore). Dunque, la funzione pratica del “visto” è quella di consentire, per il breve periodo che corre dall’emissione alla scadenza del termine di presentazione, un’agevole negoziazione dell’assegno di cui è stata assicurata dalla banca trattaria la copertura.

4.Presentazione al pagamento :

La sola forma di scadenza dell’assegno è quella “a vista”; pertanto ogni altra clausola contraria non ha valore e la scadenza resta a vista.

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Dunque, l’assegno può essere presentando al banchiere per il pagamento subito dopo l’emissione.

Per quanto riguarda il termine di presentazione diciamo che è prescritto che l’assegno deve essere presentato al pagamento entro un termine finale che naturalmente inizia a decorrere dalla data di emissione, e che è di 8 giorni se il comune di emissione e quello di pagamento coincidono e di 15 giorni se si tratta di due comuni diversi (art. 32 c.1 1.ass.). Se si lascia trascorrere detto termine senza chiedere il pagamento si hanno varie conseguenze, e precisamente:

a) si estingue l’obbligazione di regresso dei giranti (art. 45 c.2 1.ass.);

b) se il traente dà al trattario l’ordine di non pagare l’assegno, il trattario deve eseguirlo;

c) il traente può ritirare i fondi quand’anche l’assegno sia stato vistato dal trattario;

d) anche se l’assegno è privo di copertura, il traente non è soggetto a sanzioni amministrative.

Quanto al pagamento diciamo che il banchiere trattario non è tenuto al pagamento nei confronti del portatore legittimo dell’assegno, ma solo verso il traente, secondo il contenuto della convenzione di assegno. Se avviene il pagamento, estingue ogni obbligo di regresso del traente e dei giranti; inoltre, si estingue anche l’obbligazione extracartolare del trattario verso il traente, a condizione che il pagamento sia fatto al portatore legittimo dell’assegno senza dolo o colpa grave da parte del trattario.

Il pagamento può essere dal trattario opposto al traente o ai suoi eredi anche se avviene dopo che il traente è divenuto incapace ovvero dopo la sua morte (art. 36 1.ass.).

Per quanto riguarda, invece, la falsificazione della firma del traente diciamo che, mentre è sicuro che il trattario non è tenuto a verificare l’autenticità delle firme dei giranti, è invece discusso – nel silenzio della legge – quali conseguenze si abbiano per il pagamento di un assegno nel quale sia stata falsificata la firma del traente. A tal proposito è opportuno specificare che, se la falsificazione è avvenuta per colpa del traente (ad esempio, per negligenza nella custodia del libretto degli assegni) ovvero se il pagamento è avvenuto con colpa da parte della banca (ad esempio, si è omesso di controllare la corrispondenza della firma del traente con la firma del medesimo depositata al momento della stipula della convenzione di assegno: c.d. specimen), e precisamente: nel primo caso il rischio del pagamento ricade sul traente, mentre nel secondo (caso) sulla banca, di cui la giurisprudenza presume la colpa, finchè essa non dimostri –

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con ogni mezzo di prova – di non essere stata in grado di riscontrare la falsità nonostante l’uso della diligenza dell’accorto banchiere. Analogamente, vi è concorso di responsabilità nell’ipotesi di concorso di colpa (art. 1227 c.1).

Spesso, comunque, nella convenzione di assegno è contenuta una clausola per cui il trattario può sempre opporre al traente il pagamento degli assegni falsificati; tuttavia, questa clausola di esonero dalla responsabilità, non ha valore nel caso in cui il pagamento sia avvenuto “per dolo o per colpa grave” del trattario.

Quando è responsabile, la banca può ripetere la somma pagata per l’assegno falsificato da colui al quale il pagamento è stato fatto (se questi era in mala fede) e dal falsificatore. E’ invece dubbio se possa esercitare l’azione di ripetizione contro il possessore di buona fede.

Quanto all’alterazione dell’ammontare dell’assegno diciamo che se la banca trattaria in tale ipotesi ha pagato l’importo alterato dopo l’emissione dell’assegno, occorre accertare se l’alterazione fosse - oppure no - da essa riconoscibile con l’ordinaria diligenza professionale; poiché, se l’alterazione era riconoscibile, il pagamento (per l’eccedenza) non può essere addebitato al traente, al quale la giurisprudenza addossa l’onere della prova della riconoscibilità.

Se la banca rifiuta il pagamento, si applica la stessa disciplina dell’alterazione del testo della cambiale, e quindi ciascun obbligato cartolare risponde nei limiti dell’importo originario dell’assegno, salvo che il creditore dimostri che la sottoscrizione è successiva all’alterazione.

Controverso è il valore del c.d. benestare telefonico, che si ha nell’ipotesi in cui si presenti l’assegno per il pagamento ad una banca diversa da quella trattaria, e per ciò la prima banca chiede telefonicamente alla seconda la conferma dell’esistenza della provvista. Secondo la giurisprudenza della cassazione, occorre distinguere se mediante il benestare la banca trattaria abbia:

a) fornito soltanto informazioni sull’esistenza della provvista; e in questo caso la banca trattaria è responsabile soltanto se ha dato informazioni errate.

b) assunto l’impegno di “bloccare” i fondi; e in questa ipotesi, invece, la banca è responsabile se ha permesso al traente di disporre altrimenti della provvista.

c) dato mandato (extracartolare) di pagare l’assegno; e in questo la banca è responsabile secondo le norme sul mandato.

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In quale delle 3 ipotesi si ricada, è questione di fatto che, in caso di controversia, dev’essere accertata dal giudice.

Quanto al rifiuto di pagamento diciamo che se la banca trattaria rifiuta il pagamento al portatore dell’assegno,questi può rivolgersi in via di regresso contro il traente, i giranti e i loro avallanti.

E precisamente, per rivolgersi contro i giranti e i loro avallanti è necessario che l’assegno sia stato presentato al pagamento entro il termine prescritto e che la mancanza di pagamento sia stata constatata o mediante protesto o mediante dichiarazione del trattario scritta sull’assegno e registrata, o mediante dichiarazione di una stanza di compensazione alla quale l’assegno è stato presentato in tempo utile. È opportuno specificare a tal proposito che, il protesto o la constatazione equivalente devono farsi entro il termine di presentazione, ovvero nel primo giorno feriale successivo quando la presentazione dell’assegno è avvenuta nell’ultimo giorno del termine (art. 46 1.ass.). Viceversa, per esercitare l’azione contro il traente che ha emesso l’assegno, non c’è bisogno né di rispetto del termine di presentazione, né di protesto o di altra constatazione equivalente; però, se dopo il decorso del termine di presentazione, la disponibilità della somma sia venuta a mancare per fatto del trattario (ad esempio, la banca è stata sottoposta a liquidazione coatta), il portatore perde l’azione di regresso contro il traente in tutto o limitatamente alla parte della somma che sia venuta a mancare (art. 45 c.2 1.ass.).

Per quanto riguarda le eccezioni vale lo stesso regime della cambiale, poiché – al pari della cambiale – anche l’assegno è titolo esecutivo (art. 54 1.ass.).

5.Assegno emesso senza autorizzazione o senza copertura :

Se l’assegno è stato tratto senza che la banca ne abbia autorizzato l’emissione, ovvero se esso è stato presentato in tempo utile ma non è stato pagato per mancanza o insufficienza della provvista il traente è soggetto a sanzioni amministrative pecuniarie applicate dal prefetto del luogo di pagamento. Tuttavia, nella seconda ipotesi (ossia, nell’ipotesi in cui l’assegno è privo di copertura presentato in tempo utile) le sanzioni amministrative non si applicano se entro 60 giorni dalla scadenza del termine di presentazione il traente effettua il pagamento dell’importo dell’assegno, degli interessi legali, di una penale pari al 10% della somma dovuta e non pagata, e delle eventuali spese per il protesto o per la contestazione equivalente.

Se non avviene il pagamento tardivo, oltre all’applicazione delle sanzioni pecuniarie a carico dell’emittente opera anche il divieto di emettere assegni per un periodo da 2 a 5 anni.

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Nell’ipotesi di mancato pagamento dell’assegno per difetto della provvista detto divieto opera solo se l’importo dell’assegno è superiore ai 5.milioni di lire (ovvero, 2582,28 euro).

La durata del divieto è determinata dallo stesso prefetto, tenendo conto della gravità dell’illecito e dell’importo dell’assegno o degli assegni emessi. Si tratta di una sanzione amministrativa accessoria (c.d. interdizione dall’emissione di assegni), a seguito della quale il richiedente non può più ricevere un libretto di assegni; a tal fine, è stabilito che al momento del rilascio del carnet il richiedente deve dichiarare per iscritto alla banca di non essere interdetto dall’emissione di assegni. Se comunque l’interdetto emette egualmente altri assegni, è punito penalmente per il solo fatto dell’emissione.

Nelle ipotesi più gravi (ad esempio, emissione di assegni senza copertura per oltre 100 milioni, ossia 51641,69 euro), l’emittente è anche soggetto ad altre sanzioni accessorie, quali l’interdizione dall’esercizio di un’attività professionale o imprenditoriale od anche l’incapacità di stipulare contratti con la pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda l’iscrizione nella Centrale d’allarme interbancaria (c.d. Cai) diciamo che, a seguito del mancato pagamento (anche tardivo) dell’assegno emesso senza autorizzazione o senza provvista, la banca trattaria, anche in mancanza di protesto o di constatazione equivalente, deve iscrivere il nome del traente nell’archivio informatizzato degli assegni bancari e postali e delle carte di pagamento istituito presso la Banca d’Italia (c.d. Cai). L’iscrizione nella Cai comporta la revoca di ogni autorizzazione (di qualunque banca o ufficio postale) ad emettere assegni bancari o postali, col conseguente divieto per ogni banca o ufficio postale, per la durata di 6 mesi, “di stipulare nuove convenzioni di assegno con il traente e di pagare gli assegni” da lui tratti dopo l’iscrizione nella Centrale, anche se emessi nei limiti della provvista. Se l’assegno è stato emesso senza copertura, entro 10 giorni dalla sua presentazione al pagamento la banca deve dare comunicazione al traente che, in mancanza di pagamento tardivo, procederà all’iscrizione nella Cai; se tale comunicazione non viene effettuata tempestivamente, la banca è obbligata a pagare gli assegni emessi dal traente dopo il decorso dei 10 giorni, anche se manca o è insufficiente la provvista, sino al limite di 20 milioni (ossia, 10329,14 euro).

6.Ammortamento :

La procedura per l’ammortamento dell’assegno è analoga a quella prevista per la cambiale (art. 69 1.ass.). E precisamente, essa si applica non solo all’assegno all’ordine ma anche all’assegno al portatore.

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7.Prescrizione :

L’azione di regresso del portatore contro il traente, i giranti e gli altri obbligati si prescrive in 6 mesi dal termine di presentazione; l’azione di regresso di chi ha pagato l’assegno contro chi lo precede nell’ordine cambiario si prescrive in 6 mesi dal giorno del pagamento dell’assegno ovvero dal giorno in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui. L’azione di arricchimento, invece, si prescrive in 1 anno a decorrere dal giorno della perdita dell’azione cartolare (art. 75 1.ass.).

L’ASSEGNO SBARRATO L’ASSEGNO DA ACCREDITARE L’ASSEGNO NON TRASFERIBILE

Un grave pericolo, che incombe sul portatore dell’assegno bancario, è quello del furto o dello smarrimento del titolo. Per diminuire i pericoli conseguenti al furto o allo smarrimento, si possono apporre sull’assegno bancario segni o clausole particolari, che rendono difficile al ladro o al ritrovatore la riscossione della somma cambiaria.

E precisamente possiamo distinguere:

1. Assegno sbarrato, nel senso che il traente o il portatore può “sbarrare” l’assegno apponendovi sulla faccia anteriore due linee rette parallele (c.d. sbarre). Lo sbarramento è generale, se tra le due sbarre non vi è alcuna indicazione o se vi è la parola “banchiere” o altra equivalente; lo sbarramento è speciale se tra le sbarre è scritto il nome di un banchiere, che può essere lo stesso trattario. La cancellazione dello sbarramento o del nome del banchiere si ha per non fatta (art. 40 1.ass.).

Lo sbarramento dell’assegno non impedisce la circolazione del titolo, ma l’ultimo giratario deve essere necessariamente un banchiere, ovvero un cliente del trattario. L’effetto dello sbarramento generale, infatti, è che il trattario può pagare l’assegno soltanto ad un suo cliente ovvero ad un altro banchiere; mentre l’effetto dello sbarramento speciale è che il trattario può pagare l’assegno soltanto al banchiere designato tra le sbarre ovvero, se questi è lui stesso, ad un proprio cliente (art. 41 c.2 1.ass.).

I banchieri non possono acquistare un assegno sbarrato se non dai propri clienti o da altri banchieri, nè possono incassarlo se non per conto delle stesse persone, ossia: il banchiere trattario e gli altri banchieri, se non osservano le prescrizioni suddette, sono responsabili, nei limiti dell’importo dell’assegno, del risarcimento dei danni che eventualmente hanno causato al

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vero creditore, facilitando la riscossione a chi non era il vero creditore (art.41 c.3 e 5 ass.).

Lo sbarramento, sia generale che speciale, serve – dunque – a rendere meno pericoloso il furto o lo smarrimento, poiché il ladro o il ritrovatore non possono esigere l’importo dell’assegno direttamente, e solitamente non possono esigerlo neppure per mezzo di banchieri, dei quali dovrebbero essere clienti.

2. Assegno da accreditare, nel senso che il traente o il portatore di un assegno bancario possono vietare che esso sia pagato in contanti, apponendo sulla faccia anteriore del titolo in senso trasversale le parole “da accreditare” o altra espressione equivalente; in tal caso il trattario non può pagare l’assegno in contanti, ma può solo accreditarne l’importo nel conto che il portatore ha presso di lui, ovvero compensarlo con un altro credito che egli a sua volta vanti verso il portatore legittimo dell’assegno (art. 42 1.ass.). La clausola “da accreditare” (in Italia usata poco frequentemente) non incide direttamente sulla circolazione del titolo, ma ne rende meno rischiosi il furto o lo smarrimento, in quanto l’assegno non può essere riscosso (mediante accreditamento) se non da clienti del trattario, i cui rapporti sono regolati mediante scritturazioni contabili.

3. Assegno non trasferibile, in cui l’assegno bancario emesso o girato con la clausola “non trasferibile” o altra equivalente non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente. Pertanto, dopo l’apposizione di detta clausola, l’assegno non può più circolare, e il portatore non può girarlo ad un banchiere se non per l’incasso; il banchiere, a sua volta, non può ulteriormente girarlo. Le girate apposte nonostante il divieto si hanno per non scritte; la cancellazione della clausola si ha per non avvenuta (art. 43 1.ass.).

I principali vantaggi derivanti dall’apposizione di detta clausola sono:

a) se l’assegno viene rubato o smarrito, il ladro o il ritrovatore non possono nè esigere la somma nè trasferire il credito, in quanto il pagamento può farsi solo al prenditore;

b) in caso di furto, smarrimento o distruzione il prenditore non deve ricorrere alla procedura di ammortamento, ma ha diritto di ottenere a proprie spese un duplicato dal traente, denunciando lo

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smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario e al traente (art. 73 1.ass.).

L’ASSEGNO “VADE MECUM” (A COPERTURA GARANTITA). LA CARTA-ASSEGNI

Un altro grave pericolo che incombe sul portatore è che il traente non abbia presso il trattario i fondi disponibili (assegno a vuoto, o scoperto, per mancanza di provvista). Distinguiamo:

1. Assegni a copertura garantita, ovvero per garantire il prenditore della esistenza dei fondi, vengono usati nella pratica gli assegni a copertura garantita (detti anche assegni vade mecum), in cui, sulla carta filigranata dell’assegno, è impressa la cifra massima per cui l’assegno può essere emesso. Il banchiere rilascia al cliente moduli per un importo complessivo non superiore ai fondi che il cliente ha disponibili presso di lui; in questo modo i portatori degli assegni possono essere sicuri che presso il trattario esiste la provvista necessaria per il pagamento.

2. La carta assegni, e precisamente si tratta di un documento rilasciato dal banchiere trattario al cliente che lo sottoscrive nella faccia anteriore, in cui di solito sono indicati:

- il numero della carta

- il numero del conto corrente

- il nome del titolare del conto e della carta

- la data di scadenza della carta

- e l’indicazione dell’importo massimo per cui ciascun assegno può essere emesso.

Mentre, nella faccia posteriore della carta vi è una dichiarazione a stampa in cui il banchiere assicura il buon fine di ogni assegno emesso sulla base di essa, a condizione che il prenditore faccia firmare l’assegno dal traente in sua presenza, accerti la corrispondenza della firma e del numero del conto apposti sull’assegno con quelli risultanti dalla carta, trascriva il numero della carta sul retro dell’assegno e lo presenti per il pagamento al banchiere trattario, anche a mezzo di un altro banchiere a cui l’assegno può essere girato, entro il termine indicato sulla stessa carta-assegni.

Gli effetti giuridici conseguenti al rilascio della carta-assegni sono controversi, poiché da una parte c’è chi ritiene che la

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carta-assegni ha una funzione analoga a quella degli assegni a copertura garantita, e dall’altra c’è – invece – chi ritiene che il banchiere trattario assume (almeno nei confronti del primo prenditore e del banchiere a cui questi ha girato l’assegno) l’obbligo extracartolare di pagarlo, anche in mancanza di provvista, alle condizioni indicate nella carta-assegni.

L’ASSEGNO TURISTICOIl c.d. assegno turistico (o traveller’s check) è uno strumento di pagamento particolarmente idoneo a surrogare la moneta e ad agevolare il trasporto di denaro, poiché cerca di porre il portatore del titolo al riparo sia dal pericolo del furto o dello smarrimento dell’assegno sia dal pericolo della mancanza della provvista.

È precisamente, l’assegno turistico è regolato dall’art. 44 1.ass., in base al quale il traente “può subordinarne il pagamento all’esistenza sul titolo nel momento della presentazione di una doppia firma conforme del prenditore”. Di solito, traente è un banchiere, il quale – dietro versamento della provvista – trae gli assegni su una filiale estera o su una banca corrispondente, che assume la veste di trattaria e che pagherà l’assegno al prenditore (che di solito è un turista, di qui la denominazione dell’assegno). Poiché il pagamento dell’assegno è però subordinato all’esistenza “della doppia firma conforme del prenditore”, sono ridotti anche i pericoli conseguenti al furto o allo smarrimento se il prenditore, appena in possesso degli assegni, ha cura di apporre sugli stessi una delle due firme, perché il ladro o il ritrovatore dovrebbe riuscire ad apporre una seconda firma identica alla prima per poter incassare la somma o trasferire il credito ad altri. In questo modo, sia il debitore cartolare che i successivi acquirenti del titolo possono constatare se la girata del prenditore dell’assegno è autentica, perché possono controllare la firma apposta alla sua girata confrontandola con l’altra firma esistente sull’assegno. Se manca l’autenticità della girata sia chi abbia acquistato il credito sia il trattario che lo abbia soddisfatto senza controllare l’autenticità apparente della girata sono in colpa grave: pertanto, l’acquirente non diventa titolare del credito e nella procedura d’ammortamento soccombe di fronte al ricorrente, e il debitore non è liberato dalla sua obbligazione ed è tenuto a pagare una seconda volta l’importo dell’assegno.

Inoltre, l’assegno turistico ha assunto anche una forma diversa da quella prevista dall’art. 44, in quanto il viaggiatore che richiede al banchiere gli speciali moduli filigranati degli assegni turistici (nei quali è indicato l’importo massimo di ciascuno di essi) gliene versa contestualmente l’importo e sottoscrive – alla sua presenza, e cioè al momento del rilascio – in un apposito spazio detti moduli, nei quali di solito il nome del prenditore non viene indicato, e quindi l’assegno si

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considera al portatore (art. 5 ultimo comma 1.ass.) e può essere riscosso (dallo stesso turista o da un terzo) dopo che è stata apposta su di esso una seconda firma conforme.

L’ASSEGNO CIRCOLARE (i Titoli Speciali)

L’assegno circolare è uno strumento di pagamento, ma la sua struttura formale non ricalca quella della cambiale tratta, bensì si modella su quella del pagherò cambiario, in quanto viene emesso direttamente – su richiesta del cliente, che versa l’importo corrispondente o ne consente l’addebitamento sul proprio conto – da una banca che perciò assume la veste di debitore principale, obbligandosi a pagarlo a vista al portatore presso tutti i recapiti indicati sul titolo.

Inoltre diciamo che, l’assegno circolare deve essere emesso necessariamente all’ordine, e può essere emesso sbarrato, da accreditare, non trasferibile e turistico (art. 82, 86 1.ass.).

Per potere emettere assegni circolari, la banca deve ottenere l’autorizzazione della Banca d’Italia, ed è tenuta a costituire presso la stessa Banca d’Italia a garanzia dei medesimi una cauzione commisurata all’entità dei titoli in circolazione, cauzione sulla quale i portatori degli assegni hanno un privilegio speciale (art. 82 1.ass.).

Dal momento che gli assegni circolari sono emessi solo da banche (presumibilmente, di sicura solvibilità), si può ammettere che la loro trasmissione abbia tra le parti effetti solutori, ravvisandovi – salva diversa volontà delle stesse parti – una cessione pro soluto, e non pro solvendo.

Inoltre, l’assegno circolare deve contenere:

- la denominazione di “assegno circolare” nel contesto del titolo

- la promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata

- l’indicazione del prenditore

- l’indicazione della data e del luogo in cui l’assegno è emesso

- e la sottoscrizione dell’istituto emittente.

Il titolo che manchi di qualcuno dei suddetti requisiti non vale come assegno circolare (art. 83 1.ass.), ed inoltre quando è di importo superiore a 12500,00 euro, deve essere emesso con la clausola “non trasferibile”.

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Il possessore decade dall’azione di regresso contro i giranti se non presenta il titolo per il pagamento entro 30 giorni dall’emissione. L’azione contro il banchiere emittente si prescrive nel termine di 3 anni dall’emissione. La girata a favore dello stesso emittente estingue l’assegno (art. 84 1. ass.).

IL VAGLIA CAMBIARIOIl vaglia cambiario emesso dalla Banca d’Italia, dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia è un titolo di credito all’ordine, con cui le banche emittenti si impegnano a pagare a vista una determinata somma di denaro al portatore legittimo del titolo. Detti vaglia corrispondono agli assegni circolari emessi dalle altre banche (infatti, al posto della denominazione di “assegno circolare”, essi devono contenere la denominazione di “vaglia cambiario”).

Come per gli assegni circolari, il rapporto sottostante deriva dal fatto che colui che richiede alla banca l’emissione dei titoli gli versa una somma uguale a quella, indicata nei vaglia, che la stessa banca si obbliga a pagare al portatore legittimo.

Al vaglia cambiario sono applicabili le norme sulla cambiale propria, tranne quelle concernenti l’avallo, la domiciliazione, la promessa d’interessi, la cambiale in bianco (art. 90 1.ass.).

Anche il vaglia cambiario può essere emesso o girato apponendovi la clausola “non trasferibile”.

Il debitore cartolare è un banchiere di sicura solvibilità , pertanto di solito il titolo – al pari degli assegni circolari – viene accettato in sostituzione della moneta e viene largamente adoperato per trasferire con maggiore comodità e facilità somme da un luogo ad un altro.

ASSEGNO BANCARIO LIBERO E PIAZZATO

Titoli all’ordine per conto della Banca d’Italia (che assume la veste di trattaria) possono essere emessi da corrispondenti all’uopo autorizzati (che assumono la veste di traenti) e possono essere pagati a vista presso qualsiasi filiale (assegno bancario libero) ovvero presso una sola filiale (assegno bancario piazzato) della stessa Banca d’Italia (art. 98 1.ass.).

Tali titoli sono modellati sullo schema della tratta e non del vaglia cambiario, ma tuttavia la loro funzione economica è quella del vaglia e degli assegni circolari, consentendo un’agevole trasmissione del denaro da luogo a luogo.

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Assegni bancari liberi, equiparati a quelli della Banca d’Italia, possono essere emessi anche dai corrispondenti del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia (art. 107 1.ass.).

L’ASSEGNO CIRCOLARE DELL’ISTITUTO CENTRALE DELLE BANCHE POPOLARI

Quando le banche che appartengono ad una stessa categoria costituiscono o aderiscono ad un istituto centrale di categoria, l’istituto può essere utilizzato dalla Banca d’Italia ad emettere assegni circolari. L’emissione degli assegni è affidata, in base ad apposita convenzione, alle banche aderenti, che assumono la posizione di banche corrispondenti (art. 85 1.ass.), ed emettono i titoli quali rappresentanti dell’Istituto.

Le banche aderenti rilasciano ai propri clienti gli assegni su moduli a stampa ad esse consegnati dallo stesso Istituto. L’estinzione degli assegni si verifica con il pagamento da parte o dello stesso Istituto o di una qualsiasi banca popolare aderente.

LA FEDE DI CREDITOUn titolo particolare può essere emesso dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia ed è detto fede di credito (o polizzino). E precisamente si tratta di un titolo di credito all’ordine, pagabile a vista presso qualsiasi filiale del Banco, e che contiene:

o la denominazione di “fede di credito” inserita nel contesto del titolo

o la promessa di pagare una somma determinata

o l’indicazione del prenditore

o l’indicazione della data e del luogo di emissione

o la sottoscrizione del Banco come emittente (art. 106 1.ass.).

La particolarità di questo titolo è che la girata può contenere l’indicazione della causale per cui il girante trasferisce al giratario il credito cartolare (ad esempio, si può precisare se il trasferimento avviene in pagamento del prezzo di una compravendita ovvero per la restituzione di un mutuo).

Dal momento che la fede, dopo il pagamento, viene conservata negli archivi del Banco, in ogni momento si può avere la prova che si è fatto un pagamento per quella determinata causale. Nella girata, inoltre, si può inserire anche una condizione, in modo tale che il

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Banco non paghi la somma al giratario se questi non dimostra che si è verificata la condizione: ad esempio, chi compra un immobile e paga il prezzo mediante la girata di una fede di credito può stabilire che il Banco non paghi la somma al giratario se questi non dimostra di avere liberato l’immobile venduto da un’ipoteca che gravava sullo stesso.

Tuttavia, è opportuno specificare che, quando nella girata è contenuta la causale o una condizione, l’intera girata deve essere scritta a mano e sottoscritta dal girante (art. 110 c.1 1.ass.); e in caso di apposizione di una condizione, la firma del girante deve essere – inoltre – autenticata da un notaio (art. 111 c.1 1.ass.).

IL FALLIMENTOL’imprenditore è in “stato di insolvenza” quando non è più in grado di soddisfare le sue obbligazioni regolarmente, cioè quando il suo patrimonio è in condizioni tali per cui egli non può pagare i debiti alle rispettive scadenze.

Quando si verifica lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale, il legislatore ha previsto il ricorso ad un procedimento giudiziale volto a liquidare, con la maggiore rapidità possibile, tutto l’attivo del suo patrimonio in modo che il ricavato venga distribuito in modo eguale tra tutti i suoi creditori. Dunque, se i creditori non possono essere soddisfatti integralmente perché il ricavato della liquidazione dell’attivo è inferiore al passivo (cioè alla somma dei debiti dell’imprenditore commerciale), tutti i creditori subiscono la stessa falcidia, venendo soddisfatti nella stessa percentuale (ad esempio, ricevono il 60% o il 70% dei loro crediti): questo è il c.d. principio della par condicio creditorum.

Il procedimento giudiziale, che ha lo scopo di liquidare l’attivo dell’imprenditore commerciale per soddisfare i suoi creditori, è il fallimento. E precisamente, si tratta di una procedura concorsuale in quanto esso è organizzato in modo da consentire a tutti i creditori del fallito il concorso sul ricavato della espropriazione forzata di tutti i suoi beni. Esso è, pertanto, anche una procedura esecutiva universale, che – quindi – ha lo scopo di alienare i beni del debitore per soddisfare mediante il ricavato i suoi creditori; la procedura viene detta universale, nel senso che in essa vengono accertati quali siano tutti i creditori che hanno diritto ad essere soddisfatti sui beni del fallito (c.d. creditori concorsuali) e vengono alienati forzatamente tutti i beni del fallito per distribuirne il ricavato tra i creditori concorrenti.

Il fallimento, infine, è una procedura giudiziale, poiché la sua regolarità è controllata dall’autorità giudiziaria, alla quale spetta la

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nomina delle persone a cui viene affidata la responsabilità dell’esecuzione (comitato dei creditori e curatore del fallimento).

L’espropriazione concorsuale si contrappone, dunque, a quella singolare la quale si svolge per iniziativa di un singolo creditore che agisce in forza di un titolo esecutivo per la soddisfazione di un suo credito mediante l’alienazione forzata di determinati beni del debitore.

La procedura di fallimento è regolata dalla c.d. legge fallimentare, nella quale è disposta la regolamentazione generale di un’altra procedura concorsuale: la c.d. liquidazione coatta amministrativa; e precisamente, si tratta di un procedimento esecutivo che si svolge sotto la vigilanza dell’autorità amministrativa, e la cui applicazione è prevista e regolata da diverse leggi speciali nei confronti di determinate categorie di imprese alla cui sorte è particolarmente interessata la pubblica amministrazione.

Dal decreto legislativo 8 luglio 1999 n.270, e successivamente anche dalla legge 18 febbraio 2004 n.39, è stata disciplinata una procedura temporanea, alternativa al fallimento, di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, applicabile alle imprese commerciali di maggiori dimensioni. E precisamente, l’amministrazione straordinaria, si svolge sotto la vigilanza del Ministero delle attività produttive, ed è diretta al risanamento dell’impresa in crisi, o almeno ad evitare la disgregazione dei complessi aziendali, nel tentativo di consentire sia il pagamento dei creditori sia la conservazione degli impianti produttivi e dei posti di lavoro.

Per dichiarare il fallimento di un soggetto devono ricorrere 2 presupposti:

1) Presupposto soggettivo, in cui il debitore dev’essere un imprenditore commerciale che non sia un ente pubblico; pertanto, non sono soggetti al fallimento né gli imprenditori agricoli né i piccoli imprenditori commerciali.

La qualità d’imprenditore commerciale va accertata dal tribunale competente a dichiarare il fallimento con un’apposita istruttoria prefallimentare.

Inoltre, può essere dichiarato fallito anche l’imprenditore commerciale che abbia cessato l’esercizio dell’impresa o che sia morto, purchè il fallimento sia dichiarato entro l’anno dalla morte o dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese.

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Nel caso in cui, l’imprenditore è ancora vivo al momento della dichiarazione di fallimento e muore in seguito, la procedura prosegue nei confronti dell’erede. Se gli eredi sono più, devono provvedere a designarne uno tra essi perché li rappresenti tutti nella procedura fallimentare; se entro 15 giorni dalla morte del fallito la designazione dell’erede rappresentante non è avvenuta, essa viene fatta dal giudice delegato.

2) Presupposto oggettivo, in cui l’imprenditore deve essere in stato di insolvenza, per cui non è più in grado di soddisfare regolarmente le sue obbligazioni; in caso di morte dell’imprenditore o di cessazione dell’impresa, l’insolvenza dev’essersi manifestata anteriormente alla morte o alla cancellazione dal registro delle imprese, o entro l’anno successivo a detti fatti.

A tal proposito è opportuno specificare che, lo stato di insolvenza ricorre quando l’attivo è superiore al passivo (ma l’imprenditore commerciale – per mancanza di denaro – non è in grado di pagare i debiti che vengono a scadenza) e non quando il passivo è superiore all’attivo (poiché in questo caso il debitore gode della fiducia dei suoi creditori e può quindi pagare con mezzi normali i debiti che scadono, senza essere costretto a procurarsi il denaro mediante la liquidazione rovinosa del proprio patrimonio).

L’insolvenza, inoltre, può manifestarsi con inadempimenti o con altri fatti esteriori quali:

• la fuga o la latitanza dell’imprenditore

• la chiusura dei locali d’impresa

• il trafugamento

• la sostituzione o la diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore.

Tuttavia è opportuno specificare che, anche se ricorrono i presupposti del fallimento, questo non può essere dichiarato se l’ammontare complessivo dei debiti scaduti dell’imprenditore commerciale risulta inferiore a 25.000,00.

Per quanto riguarda l’istruttoria prefallimentare diciamo che, il fallimento può essere dichiarato:

1) su domanda dello stesso debitore, la quale (domanda) viene presentata mediante ricorso al tribunale; insieme al ricorso l’imprenditore deve depositare nella cancelleria i seguenti documenti:

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a) le scritture contabili obbligatorie, comprese quelle fiscali, relative ai 3 esercizi precedenti o dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto una minore durata;

b) uno stato particolareggiato ed estimativo delle proprie attività;

c) l’elenco nominativo dei creditori e dei relativi crediti;

d) l’indicazione dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi 3 anni;

e) l’elenco nominativo di coloro che sono titolari di diritti reali e personali su cose in suo possesso, con l’indicazione delle cose e del titolo da cui sorge il diritto.

2) su domanda di uno o più creditori, anch’essa presentata mediante ricorso, depositato nella cancelleria del tribunale.

3) su richiesta del pubblico ministero, nella quale deve presentare al tribunale istanza di fallimento il procuratore della repubblica, quando l’insolvenza risulta in sede penale o da fuga, latitanza, chiusura dei locali dell’impresa, trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo.

A dichiarare il fallimento spetta al tribunale, nella cui circoscrizione l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa. A tal proposito è opportuno specificare che, l’imprenditore – che ha all’estero la sede principale dell’impresa – può essere dichiarato fallito in Italia là dove ha la sede secondaria più importante, anche se all’estero è stata pronunciata la dichiarazione del suo fallimento.

In particolare, il procedimento per l’esame dell’istanza di fallimento è regolato dall’art. 15 della legge fallimentare. Essa si svolge davanti al tribunale in composizione collegiale, con le modalità del rito camerale (pertanto il procedimento si svolge in camera di consiglio)

A seguito del deposito in cancelleria dell’istanza di fallimento, il tribunale – con un decreto steso in calce al ricorso - deve convocare il debitore e il creditore istante in camera di consiglio fissando un’apposita udienza di comparazione per la loro audizione. Tra la notificazione del decreto e l’udienza di comparazione deve intercorrere un termine dilatorio di almeno 15 giorni liberi.

Nel decreto di convocazione si deve indicare che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti della dichiarazione di fallimento, e si deve fissare un termine di almeno 7 giorni anteriori all’udienza per la presentazione di memorie ed il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il tribunale deve ordinare all’imprenditore di depositare in cancelleria una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata.

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Il tribunale procede all’istruttoria prefallimentare, provvedendo senza indugio, anche d’ufficio ma nel rispetto del contraddittorio, ai necessari accertamenti.

La sentenza dichiarativa di fallimento è pronunciata dal tribunale in camera di consiglio, e depositata nella cancelleria. Subito dopo il deposito della sentenza, il cancelliere forma il fascicolo fallimentare, nel quale devono essere inseriti tutti gli atti relativi alla procedura.

Nella sentenza:

a) vengono nominati altri organi del fallimento (giudice delegato e curatore);

b) viene ordinato al fallito di depositare i bilanci e le scritture contabili e fiscali obbligatorie;

c) viene stabilito il giorno dell’adunanza dei creditori, entro 120 giorni dal deposito della sentenza in cancelleria, nel quale il giudice delegato procederà all’esame dello stato passivo;

d) viene assegnato ai creditori il termine perentorio di 30 giorni anteriori all’adunanza di verifica entro il quale presentare in cancelleria le loro domande di insinuazione dei crediti.

Inoltre, è stabilito che la sentenza venga notificata – su richiesta del cancelliere – al fallito e comunicata mediante biglietto di cancelleria al curatore e al creditore che ha domandato il fallimento; deve inoltre essere annotata (la sentenza) nel registro delle imprese.

L’appello è il mezzo di gravame previsto contro la sentenza dichiarativa. Esso, può essere proposto dal fallito e da qualunque interessato. Il giudizio d’appello – per ragioni di rapidità – si svolge nelle forme del rito camerale, e non con quelle del rito contenzioso. Infatti, l’appello si propone con ricorso da depositari nella cancelleria della corte d’appello. Il presidente della corte fissa con decreto l’udienza di comparazione delle parti in camera di consiglio entro 45 giorni dal deposito del ricorso, assegnando al ricorrente un termine non superiore a 10 giorni per la notifica del ricorso e del decreto di comparazione ai creditori istanti e al curatore ed a costoro (c.d. parti resistenti) un ulteriore termine, non superiore a 5 giorni anteriori all’udienza di comparazione, per il deposito nella cancelleria di memorie difensive.

La sentenza, che revoca il fallimento, è notificata al curatore, al creditore che ha richiesto il fallimento e al fallito, se questi non è il ricorrente; la sentenza che rigetta l’appello è notificata al ricorrente. Contro la sentenza d’appello si può ricorrere in cassazione.

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Inoltre, la sentenza che revoca il fallimento deve ricevere la stessa pubblicità prescritta per la sentenza dichiarativa di fallimento. In caso di revoca del fallimento, restano validi gli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento.

Se il tribunale ritiene di non dovere accogliere la domanda di fallimento (perché giudica che non ne ricorrono i presupposti), provvede con decreto motivato, con il quale (decreto) il creditore istante o il pubblico ministero possono – entro 15 giorni dalla comunicazione – proporre reclamo alla corte d’appello, la quale provvede in camera di consiglio, sentiti il ricorrente e il debitore.

Se la corte d’appello accoglie il reclamo, e quindi ritiene che debba essere dichiarato il fallimento, provvede in tal senso con decreto motivato, e rimette gli atti al tribunale il quale è obbligato a pronunciare il fallimento; se, invece, la corte d’appello ritiene che non sussistono i presupposti del fallimento, ma bensì i presupposti per la soggezione del debitore alla procedura di amministrazione straordinaria, rimette – con decreto motivato – gli atti al tribunale, affinché questo dichiari con sentenza lo stato di insolvenza.

Se invece la corte d’appello rigetta il reclamo, la giurisprudenza ritiene inammissbile il ricorso in cassazione contro il decreto di rigetto.

La procedura fallimentare si svolge attraverso una serie di atti, che hanno lo scopo di:

1) sottrarre al fallito il possesso del suo patrimonio

2) custodire ed amministrare detto patrimonio

3) liquidare l’attivo

4) distribuire il ricavato della liquidazione tra i creditori del fallito.

La legge stabilisce che tali atti siano compiuti dai c.d. organi del fallimento che, precisamente,sono:

il tribunale fallimentare, che è il tribunale che ha dichiarato il fallimento e che – fra l’altro – nomina (nella stessa sentenza di fallimento) il giudice delegato e il curatore. Inoltre, esso (il tribunale fallimentare) vigila sull’amministrazione fallimentare, decide le controversie relative alla procedura fallimentare che non siano di competenza del giudice delegato. Infine, il tribunale fallimentare, è competente a decidere su tutte le controversie “che derivano” dal fallimento (ad esempio, sulle azioni dei terzi che rivendicano o chiedono la restituzione di beni in possesso del fallito.

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il giudice delegato, le cui funzioni possono essere classificate in:

1) attività di acquisizione dei beni del fallito posseduti o detenuti da terzi, ed attività di accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali vantati contro il fallito;

2) attività di controllo dell’opera del curatore e del comitato dei creditori;

3) attività di preparazione di quella del tribunale, nel senso che il giudice delegato riferisce al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento di detto collegio;

4) attività di nomina, in quanto su proposta del curatore il giudice delegato nomina il comitato dei creditori;

5) attività di autorizzazione di particolari atti di amministrazione, come quelli relativi alla continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa del fallito, o all’affitto della sua azienda.

Spetta, infine, al giudice delegato liquidare i compensi e disporre l’eventuale revoca degli incarichi conferiti a persone la cui opera sia stata richiesta dal curatore nell’interesse del fallimento.

I provvedimenti del giudice delegato sono pronunciati nella forma del decreto motivato, e contro di essi si può reclamare al tribunale nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento, da parte del curatore, del fallito e del comitato dei creditori.

il curatore, che è scelto dal tribunale tra gli iscritti negli albi degli avvocati, dei dottori, dei ragionieri commercialisti ed anche tra coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo nelle società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali.

E precisamente, il curatore, entro i 2 giorni successivi alla comunicazione della sua nomina, deve fare pervenire al giudice delegato la propria accettazione, altrimenti il tribunale provvede d’urgenza in camera di consiglio alla nomina di un altro curatore.

Entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento, il curatore deve presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata sulle cause e circostanze del fallimento, precisando se il fallimento è stato causato da colpa del fallito o se vi sono elementi di responsabilità a carico degli organi della società fallita, ed indicando gli atti del fallito già impugnati dai creditori nonché quelli che egli ritiene si debbano impugnare. Tale relazione va depositata in cancelleria. Il curatore, ogni 6 mesi successivi alla presentazione della relazione, redige un

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rapporto riepilogativo delle attività svolte nel periodo, con il rendiconto della sua gestione.

Il curatore compie gli atti di ordinaria amministrazione su propria decisione, e quelli di straordinaria amministrazione dietro autorizzazione del comitato dei creditori. Inoltre, il curatore deve compiere personalmente gli atti del suo ufficio e non farli compiere da altri, tranne che per singoli atti e previa autorizzazione del giudice delegato.

Il curatore deve, inoltre, tenere un registro – preventivamente vidimato da almeno uno dei membri del comitato dei creditori – in cui devono essere annotate giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione.

Le somme riscosse a qualunque titolo dal curatore devono essere depositate entro 10 giorni dalla riscossione in un conto corrente acceso presso un ufficio postale o presso una banca individuati dallo stesso curatore. Il conto corrente, tra l’altro, deve essere intestato alla procedura fallimentare, e le somme depositate possono essere ritirate solo in forza di un mandato di pagamento del giudice delegato.

Il tribunale può in qualunque momento, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d’ufficio, revocare il curatore con decreto (dopo aver sentito lui stesso e il pubblico ministero). Può revocarlo anche se il curatore non ha provveduto a depositare nel conto corrente fallimentare le somme riscosse entro il termine prescritto.

La sostituzione del curatore può essere chiesta al giudice delegato, indicandone le ragioni e segnalando un nuovo nominativo; tuttavia è opportuno specificare che, per procedere alla sostituzione occorre un decreto del tribunale.

Su istanza del curatore, il tribunale gli liquida il compenso per l’opera svolta e il rimborso delle spese eventualmente anticipate. La liquidazione del compenso può essere fatta solo dopo l’approvazione del rendiconto del curatore.

il comitato dei creditori, che è nominato con provvedimento del giudice delegato, ed è composto di 3 o 5 membri. E precisamente, la nomina deve essere effettuata entro 30 giorni dal deposito della sentenza di fallimento, sulla base delle risultanze documentali (le scritture contabili).

Entro 10 giorni dalla nomina, il comitato è convocato dal curatore e provvede a scegliere il proprio presidente.

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Il comitato dei creditori è prevalentemente un organo consultivo, cioè un organo che dà pareri agli altri organi del fallimento. I suoi pareri sono:

• facoltativi, se gli altri organi del fallimento possono, ma non debbono chiederli;

• obbligatori, se gli altri organi debbono chiederli, ma possono anche non seguirli;

• vincolanti, se gli altri organi non solo debbono chiederli, ma debbono anche seguirli.

Alla funzione consultiva, la riforma ha aggiunto anche un’importante funzione di vigilanza sull’operato del curatore. Le deliberazioni del comitato sono prese a maggioranza dei votanti. Ogni componente del comitato può ispezionare le scritture contabili e i documenti della procedura fallimentare, nonché chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito. Inoltre, i membri del comitato hanno diritto solo al rimborso delle spese. Infine diciamo che, in caso di inerzia, di impossibilità di funzionamento o di urgenza, al posto del comitato provvede il giudice delegato. Questi organi hanno, tra l’altro, il compito di provvedere all’amministrazione del patrimonio del fallito.

L’APPRENSIONE DEI BENI DEL FALLITO: APPOSIZIONE E RIMOZIONE DEI SIGILLI.

INVENTARIOPer effetto della sentenza dichiarativa il fallito è privato dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni che rientrano nella massa attiva. Pertanto, dalla data della sentenza dichiarativa, l’acquisizione dei beni del fallito, occorre ancora trasferirne la custodia e l’amministrazione al curatore fallimentare, trasmettendogliene il possesso.

Questa fase ha inizio con l’apposizione dei sigilli, a cui procede – nella sede principale dell’impresa – lo stesso curatore con l’assistenza del cancelliere.

Tuttavia è opportuno specificare che, non vengono posti sotto sigillo gli oggetti necessari all’uso personale del fallito e di coloro che abitano nella casa, che devono essere iscritti nel processo verbale.

E precisamente, devono essere consegnati al curatore:

a) il denaro contante

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b) le scritture contabili e ogni altra documentazione rilevante

c) le cambiali e gli altri titoli, compresi quelli scaduti.

Nel più breve termine possibile, il curatore deve rimuovere i sigilli e fare l’inventario in modo da potere prendere in consegna i beni stessi. Inoltre, il curatore può nominare – quando occorra – uno stimatore.

Man mano che viene fatto l’inventario il curatore prende in consegna i beni di proprietà del fallito, tranne quelli mobili che i terzi hanno diritto di detenere in virtù di un titolo negoziale opponibile al curatore; inoltre, prima di chiudere l’inventario il curatore invita il fallito o, se si tratta di una società, gli amministratori a dichiarare se hanno notizia che esistano altre attività da comprendere nell’inventario, avvertendoli che in caso di falsa o omessa dichiarazione commetterebbero il reato previsto dall’art. 220 1. fall. .

L’inventario è sottoscritto da tutti gli intervenuti e redatto in doppio originale, di cui uno deve essere depositato nella cancelleria del tribunale.

Il curatore deve, inoltre, redigere – se non è stato presentato dal fallito – il bilancio dell’ultimo esercizio.

Le spese per l’amministrazione fallimentare sono prelevate dal denaro fallimentare. Se il denaro manca o è insufficiente, alcune spese sono prenotate a debito (ad esempio, le imposte di registro, ipotecarie e catastali); altre sono anticipate dall’erario (ad esempio, le spese giudiziarie).

Se il curatore deve stare in giudizio in processi in cui è parte il fallimento e il giudice delegato attesta che nel patrimonio del fallito non è disponibile il denaro necessario per le spese giudiziarie, il fallimento può essere ammesso al gratuito patrocinio qualora la pretesa che intende fare valere in giudizio non appaia manifestamente infondata.

Dalla interruzione improvvisa – a causa del fallimento – dell’impresa del fallito, può derivare un danno grave (ad esempio, si pensi ad un albergo che non può chiudersi improvvisamente senza disperdere la clientela). Pertanto, il legislatore ha ammesso che con la stessa sentenza di fallimento possa essere deciso dal tribunale in via provvisoria l’esercizio dell’impresa del fallito, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, purchè tale prosecuzione nono arrechi pregiudizio ai creditori.

Successivamente, su proposta del curatore il giudice delegato può autorizzare la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, o di qualche ramo aziendale, fissandone la durata.

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L’autorizzazione del giudice delegato può essere rilasciata solo se vi è il parere favorevole del comitato dei creditori.

L’esercizio dell’impresa rimane pertanto provvisorio, e controllato dal comitato dei creditori, il quale viene convocato dal giudice delegato almeno ogni 3 mesi per essere informato dal curatore dell’andamento della gestione e per pronunciarsi sull’opportunità di continuare l’esercizio.

È solo al momento della cessazione dell’esercizio provvisorio che operano gli effetti del fallimento stabiliti dalle norme poste negli artt. 42-83 1. fall. .

L’AFFITTO DELL’AZIENDA DEL FALLITOL’obiettivo principale del fallimento è la liquidazione (ovvero, la conversione in denaro) dei beni del fallito. Il legislatore ha, tuttavia, ritenuto che possa essere conveniente – in attesa della liquidazione - consentire l’affitto a terzi dell’azienda del fallito, o di specifici rami dell’azienda, onde non se ne disperda l’avviamento “ al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parte di essa”.

A differenza dell’esercizio provvisorio dell’impresa, nell’affitto il rischio d’impresa riguarda il terzo affittuario, che paga al fallimento il corrispettivo convenuto (il c.d. canone d’affitto).

L’affitto può essere autorizzato, su proposta del curatore, dal giudice delegato dopo la redazione dell’inventario ed anche prima della presentazione del programma di liquidazione dell’attivo.

L’autorizzazione all’affitto può essere data solo se vi è il parere favorevole del comitato dei creditori.

Il contratto di affitto è stipulato dal curatore per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e dev’essere iscritto nel registro delle imprese.

La durata dell’affitto deve essere comunque compatibile con le esigenze della vendita fallimentare del complesso aziendale.

GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO:

A) LA MASSA PASSIVA

Scopo della procedura fallimentare è la soddisfazione di tutti coloro che sono creditori del fallito al momento della dichiarazione di fallimento.

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Sono detti creditori concorsuali, quei creditori che hanno il diritto ad insinuarsi nel fallimento; e precisamente, affinché i creditori concorsuali acquistino il diritto di partecipare alle ripartizioni fallimentari, devono insinuarsi ed essere accertati quali creditori del fallito (si dice, anche, che devono essere verificati, e perciò si parla di accertamento o di verifica del passivo): se l’accertamento dà esito positivo, essi vengono ammessi nel fallimento, ed in tal modo diventano creditori concorrenti.

Hanno diritto ad essere ammessi tra i creditori concorrenti anche i creditori, i cui crediti non siano ancora scaduti al momento della dichiarazione di fallimento.

Partecipano inoltre al concorso i c.d. creditori condizionali che sono però ammessi nel fallimento con riserva, e quindi le somme loro spettanti nelle singole ripartizioni vengono trattenute e depositate, ed essi possono riscuoterle solo dopo che l’incertezza sull’esistenza del loro credito – derivante dall’apposizione della condizione – sia venuta meno.

Coloro, invece, che diventano creditori del fallito dopo la dichiarazione di fallimento, non sono creditori concorsuali e non possono perciò diventare creditori concorrenti.

IL DIVIETO DELLE AZIONI ESECUTIVE INDIVIDUALIDal giorno della dichiarazione di fallimento, nessun creditore del fallito può individualmente iniziare o proseguire nessuna azione esecutiva sui beni compresi nella massa attiva fallimentare. Non è possibile esercitare neanche le azioni cautelari (ad esempio, attuazione di un sequestro conservativo) che sono strumentali rispetto all’azione esecutiva.

Al principio della inammissibilità ed improcedibilità delle azioni esecutive individuali sui beni che compongono la massa attiva del fallimento sono poste alcune eccezioni:

1) dalla stessa legge fallimentare, la quale ammette che i creditori muniti di pegno o di determinati privilegi speciali su mobili del fallito possono essere autorizzati dal giudice delegato a realizzare i loro crediti anche durante il fallimento, procedendo alla vendita dei beni vincolati secondo le modalità stabilite dallo stesso giudice, e dopo che i loro crediti sono stati ammessi al passivo con prelazione (in questo modo si consente al creditore di affrettare la vendita di questi beni);

2) sempre dalla legge fallimentare, che consente eccezionalmente al curatore – se autorizzato dal comitato dei creditori – di non

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acquisire all’attivo fallimentare uno o più beni del fallito, quando la loro liquidazione appare manifestamente non conveniente per la massa ;

3) dalla legislazione speciale, per cui è consentito:

a. alle banche di iniziare o proseguire, anche dopo la dichiarazione di fallimento, l’azione esecutiva individuale sui beni ipotecati;

b. all’esattore, il quale deve insinuarsi al passivo per la riscossione delle imposte (c.d. esecuzione esattoriale).

Per quanto riguarda il principio della “par condicio creditorum” diciamo che, i creditori concorrenti devono essere soddisfatti tutti nella stessa misura, pertanto: ad ogni ripartizione ognuno di loro deve ricevere una somma che costituisca – rispetto all’ammontare del suo credito – la medesima percentuale che ricevono gli altri.

Tale principio, opera nei confronti dei creditori chirografari, ma non incide sui diritti dei creditori che godono di cause legittime di prelazione, essendo garantiti da privilegi o da ipoteche. Questi creditori – definiti creditori privilegiati – hanno diritto, rispettando l’ordine dei privilegi e delle ipoteche, di essere preferiti ai creditori chirografari nella distribuzione di quanto viene ricavato dalla vendita fallimentare del bene vincolato a loro garanzia.

Se il bene soggetto a privilegio, pegno, ipoteca viene venduto prima degli altri beni e il ricavato è sufficiente a soddisfare i creditori privilegiati, pignoratizi e ipotecari, costoro cessano di fare parte dei creditori concorrenti; se invece serve a soddisfarli solo in parte, prende in vigore il principio della par condicio, nel senso che limitatamente al residuo non ricevuto i creditori (predetti, cioè concorrenti) concorreranno alla pari con gli altri creditori nelle ripartizioni del resto dell’attivo, venendo soddisfatti nella percentuale calcolata su quanto è ancora loro dovuto (art. 54 c.1 1. fall.).

Un’eccezione al principio della par condicio creditorum è la compensazione che si ha quando il creditore del fallito è a sua volta debitore dello stesso; infatti, in questo caso, il creditore ha il diritto di compensare il suo credito fino all’ammontare del suo debito verso il fallito (ad esempio, ho un credito di 100, e un debito di 80: mi insinuerò solo per 20, e su tale somma sarò soddisfatto in percentuale).

La compensazione opera anche se il credito verso il fallito non è scaduto prima della dichiarazione di fallimento, mentre invece non

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opera se il credito non scaduto era stato ceduto per atto tra vivi al creditore nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, o addirittura dopo di essa.

COOBBLIGAZIONI SOLIDALI. Se il creditore deve essere soddisfatto da più obbligati in solido e costoro sono falliti, egli ha il diritto di essere ammesso per l’intero credito in tutti i fallimenti e partecipa alle ripartizioni di tutti i fallimenti. Pertanto, la pluralità dei debitori in solido torna a vantaggio del creditore, perché aumenta le sue probabilità di essere soddisfatto per l’intero.

Se dei coobbligati in solido ne è fallito soltanto qualcuno, si hanno le seguenti regole. Se il creditore, prima della dichiarazione di fallimento, ha ricevuto da un coobbligato o da un fideiussore parte della somma dovutagli, egli può insinuarsi nel fallimento solo per la somma residua.

Se il coobbligato o il fideiussore, che hanno compiuto il pagamento parziale prima del fallimento, hanno diritto di regresso verso il fallito, possono a loro volta insinuarsi nel fallimento per la somma versata, ma il creditore ha diritto di farsi assegnare – fino all’integrale soddisfacimento del proprio credito – sia la propria quota di riparto sia quelle spettanti al coobbligato o al fideiussore del fallito.

IL PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO DEI CREDITI CONCORRENTI.

A) L’INIZIO DEL PROCEDIMENTO

Il curatore – con l’aiuto delle scritture contabili del fallito – deve compilare gli elenchi dei titolari di diritti reali o personali sui beni mobili o immobili di proprietà o in possesso del fallito. Inoltre, ai creditori concorsuali, egli, deve comunicare senza indugio – anche con telefax o posta elettronica – che possono depositare in cancelleria le domande di ammissione al passivo almeno 30 giorni prima dell’udienza per l’esame dello stato passivo, indicando la data dell’udienza e fornendo loro ogni altra informazione utile per procedere alla presentazione della domanda.

Dunque, per partecipare alle ripartizioni fallimentari è necessario diventare creditori concorrenti, i quali devono depositare nella cancelleria del tribunale fallimentare la domanda di ammissione al passivo. E precisamente, la domanda si propone con un ricorso che deve indicare:

- il fallimento cui si intende partecipare

- il nome e il cognome del creditore

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- l’indicazione del numero di telefax o l’indirizzo di posta elettronica o l’elezione di domicilio nel comune del tribunale

- l’importo della somma, del titolo da cui il credito deriva e delle eventuali ragioni di prelazione.

Se non è indicato il fallimento nel quale si chiede l’insinuazione, o comunque se tali dati sono assolutamente incerti, all’udienza di verifica il ricorso è dichiarato inammissibile dal giudice delegato.

B) LA FORMAZIONE E LA VERIFICAZIONE DELLO STATO PASSIVO

Il curatore esamina le domande e la documentazione allegata, e procede alla formazione di un documento (c.d. progetto di stato passivo), nel quale indica se a suo avviso i crediti sono fondati, se sussiste la prelazione, se sono efficaci verso la massa (cioè non soggetti all’esercizio dell’azione revocatoria). E precisamente, il curatore deve depositare tale progetto (di stato passivo) in cancelleria almeno 7 giorni prima dell’udienza di verifica e lo comunica ai creditori e al fallito che possono esaminarlo e presentare osservazioni scritte sino a due giorni prima dell’udienza.

All’udienza il giudice delegato esamina il progetto di stato passivo, e decide su ciascuna domanda, indicando:

a) i crediti ammessi, specificando se sono muniti di privilegio, pegno o ipoteca;

b) i crediti non ammessi, in tutto o in parte;

c) i creditori ammessi con riserva, distinguendo i crediti condizionali; i crediti che non possono farsi valere verso il fallito se prima il creditore non procede all’escussione dell’obbligato principale; i crediti per i quali la mancata produzione del titolo non è dipesa da un fatto riferibile al creditore; infine, i crediti accertati con sentenza non passato in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento, contro la quale il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione.

Se l’esame dello stato passivo non può esaurirsi in una sola udienza, il giudice ne rinvia la prosecuzione a non più di 8 giorni, senza che occorra altro avviso né per gli intervenuti né per gli assenti.

Successivamente, il giudice provvede alla formazione definitiva dello stato passivo che rende esecutivo con un decreto depositato in cancelleria, ove i creditori possono prenderne visione.

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Dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, con cui viene accertato chi sono i creditori concorrenti, il giudice delegato può modificare la composizione del comitato dei creditori che aveva nominato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento in base alle prime risultanze documentali.

C) LE OPPOSIZIONI E LE IMPUGNAZIONI AVVERSO LO STATO PASSIVO

Il curatore, subito dopo la dichiarazione di esecutività, deve dare notizia del deposito in cancelleria del decreto a tutti i creditori (ammessi, non ammessi, o ammessi con riserva) che hanno presentato domanda di insinuazione, informandoli del diritto di proporre opposizione in caso di mancato accoglimento della domanda. La comunicazione del curatore va fatta con raccomandata con avviso di ricevimento, o tramite telefax o posta elettronica (art. 97 1. fall.).

Entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, possono essere presentate:

• le opposizioni da parte dei creditori esclusi, in tutto o in parte;

• le impugnazioni da parte del curatore e dei creditori che chiedono l’esclusione di altri creditori ammessi.

I giudizi di opposizione o di impugnazione si svolgono secondo le forme dei procedimenti in camera di consiglio; e precisamente, si propongono mediante ricorso al tribunale fallimentare.

In calce al ricorso, il tribunale appone un decreto, in cui fissa l’udienza di comparazione in camera di consiglio, assegnando al ricorrente un termine per la notificazione del ricorso e del decreto al curatore, al fallito ed all’eventuale creditore contestato (tra la notifica e l’udienza devono intercorrere almeno 30 giorni liberi, non dovendosi cioè computare né il giorno iniziale né quello finale).

Il tribunale decide la controversia sull’ammissione o sull’esclusione del creditore con decreto motivato non reclamabile in appello, ma ricorribile in cassazione.

Si parla della c.d. efficacia endofallimentare nel senso che, la decisione del tribunale – come quella del giudice delegato – non acquista autorità di giudicato, e quindi vale solo nel fallimento.

LA REVOCAZIONE DEI CREDITI AMMESSI

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Dopo che è trascorso il termine per opporsi all’esecuzione o per impugnare l’ammissione di un credito nello stato passivo, può accadere che si scopra che l’esclusione o l’ammissione del credito siano “stati determinati da falsità, dolo o errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile” al creditore escluso od ammesso (art. 98 c.3 1. fall.).

In questo caso, il creditore escluso o il curatore possono proporre domanda di revocazione del provvedimento di esclusione del credito o della garanzia; lo stesso curatore, o un altro creditore concorrente, può chiedere la revocazione del provvedimento di ammissione del credito o della garanzia. Il giudizio di revocazione si svolge con le medesime modalità previste per i giudizi camerali di opposizione e di impugnazione dello stato passivo.

LE DICHIARAZIONI TARDIVE DI CREDITI

Le domande di ammissione dei crediti si considerano tempestive se sono pervenute in cancelleria almeno 30 giorni prima della data dell’udienza di verifica stabilita nella sentenza dichiarativa.

Pertanto, le domande presentate successivamente – ma comunque non oltre 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo – sono considerate tardive, e vengono esaminate con un procedimento di accertamento distinto da quello prescritto per l’esame dello stato passivo

Tuttavia, le domande tardive sono ammissibili anche se vengono presentate dopo il decorso del termine di 12 mesi dal deposito in cancelleria del decreto di esecutività, purchè il creditore provi che il ritardo è dipeso da una causa a lui non imputabile e purchè non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo.

Quando risulta che non può essere acquisito attivo sufficiente per distribuirlo ai creditori insinuati, il curatore può chiedere al tribunale, prima dell’udienza di verifica, che non si proceda all’accertamento del passivo. Il tribunale, sentiti il comitato dei creditori e il fallito, può accogliere con decreto l’istanza del curatore, disponendo che non si proceda all’accertamento del passivo, salva l’eventuale soddisfazione dei crediti della massa e delle spese di procedura.

CREDITI DELLA MASSA (PREDEDUCIBILI)

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Coloro che diventano creditori del fallito dopo la dichiarazione di fallimento non sono creditori concorsuali e non possono pertanto diventare creditori concorrenti.

I c.d. creditori della massa hanno diritto ad essere soddisfatti in prededuzione, cioè prima dei creditori concorrenti, ed integralmente, se l’attivo del fallimento è sufficiente (se non lo è, il pagamento dei creditori della massa va effettuato – a parità di grado – secondo un criterio di proporzionalità).

Se i crediti prededucibili sono sorti nel corso del fallimento e se essi sono liquidi, esigibili e non contestati, i creditori della massa possono essere soddisfatti alla scadenza, senza attendere le ripartizioni dell’attivo fallimentare, ma solo se è presumibile che esso è sufficiente a soddisfarli tutti.

I crediti della massa non sono soggetti a verifica, salvo che ne siano contestate la collocazione o la misura; se essi sorgono dopo l’udienza di verifica, vengono accertati secondo il procedimento di verifica delle domande tardive dei crediti. Quando, invece, i crediti della massa rappresentano i compensi delle persone che hanno operato quali ausiliari del curatore, essi vengono liquidati dal giudice delegato e, in caso di contestazione, contro il decreto del giudice delegato va proposto reclamo al tribunale (art. 26 1. fall.).

GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO:

B) LA MASSA ATTIVA

Tutti i diritti, sui beni appartenenti al fallito al momento della dichiarazione di fallimento, fanno parte della massa attiva fallimentare (art. 42 c.1 1. fall.).

Fanno eccezione:

a) i diritti di natura strettamente personale, tra i quali si ricomprendono tutti i diritti non patrimoniali (ad esempio, il diritto al nome…);

b) i diritti ad assegni di carattere alimentare e a tutto ciò che il fallito guadagna con la sua attività (ad esempio, stipendi, pensioni, salari) entro i limiti di quanto gli occorra per il mantenimento suo e della famiglia);

c) i diritti sulle cose che non possono essere pignorate (ad esempio, strumenti di lavoro).

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Inoltre, i redditi derivanti dai beni dei figli su cui il fallito ha l’usufrutto legale non possono essere destinati a soddisfare crediti che il creditore sapeva contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Secondo l’art. 159 “il fallimento di uno dei coniugi” costituisce una causa di scioglimento della comunione legale, e in seguito allo scioglimento si deve – dunque – procedere alla divisione dei beni compresi nella comunione ripartendo tra i coniugi in parti eguali l’attivo e il passivo; con la conseguenza che nella massa attiva fallimentare, oltre ai beni personali dell’imprenditore, va compresa anche la metà dei beni della comunione, ma non quell’altra metà che spetta al coniuge e sulla quale non possono agire i creditori personali dell’imprenditore. Pertanto all’attivo fallimentare è acquisibile solo la quota di pertinenza del fallito.

Anche i c.d. beni sopravvenuti (cioè esercitando una professione, vincendo al totocalcio) sono destinati alla soddisfazione dei creditori concorrenti e quindi vengono compresi nella massa attiva;

tuttavia, il curatore – se autorizzato dal comitato dei creditori – può rinunciare alla loro acquisizione, qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al loro presumibile valore di realizzo.

Per quanto riguarda i diritti in opponibili al fallimento diciamo che, se il fallito – prima della dichiarazione di fallimento – ha trasferito beni a terzi (ad esempio, ha venduto un immobile), ma al momento della dichiarazione di fallimento non ricorrono ancora i presupposti perché l’acquisto sia opponibile ai creditori, i beni fanno parte della massa attiva in quanto quei trasferimenti sono inefficaci nei confronti dei creditori concorrenti e quindi inopponibili al fallimento (art. 45 1. fall.).

Quanto al c.d. spossessamento diciamo che, dalla data della dichiarazione di fallimento, il fallito perde la disponibilità dei suoi diritti; pertanto, tutti gli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto al fallimento.

Dunque, in conseguenza dello spossessamento, il fallito non può continuare a stare in giudizio nelle cause relative a rapporti patrimoniali, ma deve essere sostituito dal curatore.

Inoltre, il fallito ha l’obbligo di consegnare al curatore la propria corrispondenza, inclusa quella elettronica, relativa ai rapporti patrimoniali.

Per quanto riguarda l’assistenza del fallito diciamo che, al fallito e alla sua famiglia, in caso di mancanza di mezzi di sussistenza, può essere concesso un sussidio alimentare, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, con decreto del giudice delegato (art. 47 c.1 1. fall.).

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Inoltre, la casa di proprietà del fallito – nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della famiglia – non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività.

L’AZIONE REVOCATORIA

Secondo il legislatore, l’imprenditore commerciale dovrebbe essere dichiarato fallito appena cade in stato di insolvenza. Ciò spesso non accade, perché l’imprenditore – pur essendo insolvente – continua a svolgere la sua attività col proposito di riassestare la propria situazione patrimoniale ed evitare il fallimento. È stato dunque necessario proteggere i creditori dai danni che gli possono derivare dagli atti compiuti dal fallito nell’ultimo periodo della sua attività anteriore al fallimento.

E precisamente, qualora il fallito abbia compiuti atti che hanno recato danno ai creditori, bisogna distinguere diverse ipotesi:

1) per alcuni atti la legge stabilisce che essi sono privi di effetto rispetto ai creditori senza bisogno di alcuna dichiarazione dell’autorità giudiziaria. In particolare, gli atti inefficaci ope legis sono:

a. atti a titolo gratuito, compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento ad eccezione dei regali d’uso e degli atti compiuti in adempimento di un dovere morale;

b. pagamenti anticipati, compiuti dal fallito sempre nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, per l’estinzione di debiti la cui scadenza coincideva con la data della dichiarazione di fallimento o era posteriore a detta data.

2) per gli altri atti, perché questi diventino inefficaci nei confronti dei creditori è, invece, sempre necessaria una sentenza di revoca (perciò tali atti sono detti revocabili). Per ottenere dal tribunale fallimentare la sentenza di revoca, occorre che essi siano stati compiuti dal fallito entro un certo termine anteriore alla dichiarazione di fallimento e che appartengono a determinate categorie prestabilite dal legislatore; se il curatore dà queste prove, essi vengono senz’altro revocati, in quanto si tratta di atti anormali per un imprenditore commerciale. E precisamente, tali atti anormali sono:

a. atti con prestazioni sproporzionate, cioè gli atti a titolo oneroso in cui la prestazione a carico del fallito sorpassa

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di oltre ¼ il valore della prestazione a lui data o promessa; per essere revocati, tali atti debbono essere stati compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione del fallimento;

b. pagamenti con mezzi anormali, e cioè atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento (ad esempio, assegni bancari e circolari) sempre se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione del fallimento;

c. garanzie per debiti preesistenti non scaduti, e cioè pegni anticresi e ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento a garanzia di debiti preesistenti non ancora scaduti;

d. garanzie per debiti preesistenti già scaduti, e cioè pegni anticresi e ipoteche sia volontarie che giudiziali (sono ipoteche giudiziali quelle iscritte dal creditore in base ad un provvedimento giudiziale di condanna e quindi senza bisogno del consenso del debitore) costituite nel semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti e già scaduti.

3) vi sono ancora altri atti, questi considerati normali anche per un imprenditore commerciale, che però possono essere revocati se il curatore riesce a provare che il terzo conosceva lo stato di insolvenza del debitore, e se sono stati compiuti nel semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento. E precisamente, tali atti normali sono:

a. pagamenti di debiti liquidi ed esigibili;

b. atti costitutivi di diritti di prelazione per debiti, anche di terzi, creati contestualmente;

c. altri atti a titolo oneroso.

Tuttavia, non può comunque essere esercitata l’azione revocatoria fallimentare avverso gli atti, tanto normali quanto anormali, compiuti dal fallito con l’istituto di emissione (la Banca d’Italia), con banche autorizzate a compiere operazioni su pegno, con banche che hanno ricevuto pagamenti in restituzione di crediti fondiari o che hanno iscritto ipoteca a garanzia degli stessi crediti.

Con l’azione revocatoria ordinaria tutti gli atti pregiudizievoli che non rientrano nelle categorie precedenti possono essere revocati, a

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seguito di un giudizio intentato dal curatore dinanzi al tribunale fallimentare.

In questo caso il curatore deve provare – per gli atti a titolo gratuito – che il debitore conosceva il pregiudizio arrecato con l’atto ai suoi creditori ed inoltre – per gli atti a titolo oneroso – che il pregiudizio era noto anche al terzo contraente.

Per quanto riguarda il credito del terzo diciamo che, nel caso che sia avvenuta la revoca di pagamenti o di atti a titolo oneroso, il terzo – che ha subito la revoca ed ha restituito al curatore quanto aveva ricevuto dal fallito – è ammesso al passivo fallimentare in qualità di creditore concorrente.

L’azione revocatoria ordinaria si prescrive in 5 anni (art. 2903). Tuttavia, in caso di fallimento, sono previsti termini di decadenza per l’esercizio delle azioni revocatorie, che non possono essere iniziate dopo 3 anni dalla dichiarazione di fallimento, e comunque dopo il decorso di 5 anni dal compimento dell’atto pregiudizievole. Non è soggetta a prescrizione, invece, la dichiarazione d’inefficacia degli atti che rientrano nella revocatoria ope legis.

Inoltre, non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare i seguenti atti:

1. i pagamenti di beni o servizi effettuati dall’imprenditore prima del fallimento nei termini d’uso;

2. le rimesse (cioè, i versamenti effettuati dal fallito) su un conto corrente bancario;

3. le vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti od affini entro il terzo grado (nipoti e pronipoti);

4. gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sul patrimonio del fallito in esecuzione di accordi aventi ad oggetto un piano di ristrutturazione finanziaria;

5. gli atti compiuti per l’esecuzione del concordato preventivo e della ristrutturazione del debito omologata dal tribunale nell’intento di evitare il fallimento;

6. i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate dai dipendenti e da altri collaboratori dell’imprenditore (ad esempio, avvocati, consulenti del lavoro);

AZIONE REVOCATORIA AVVERSO GLI ATTI COMPIUTI TRA CONIUGI

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Il legislatore ha stabilito che gli atti pregiudizievoli indicati dall’art. 67 1. fall., compiuti tra i coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava un’impresa commerciale, sono revocati se il coniuge non dà la prova che all’epoca del compimento dell’atto il fallito non era insolvente o che egli ignorava lo stato di insolvenza.

Per quanto riguarda i diritti dei terzi sui beni posseduti dal fallito diciamo che, il curatore – insieme all’elenco dei creditori – deve preparare anche un elenco di tutti coloro che vantano diritti reali o personali su beni mobili o immobili di proprietà o in possesso del fallito, con l’indicazione dei titoli relativi. I terzi titolari di diritti sui beni del fallito devono presentare le loro domande di rivendicazione o di restituzione dei beni nelle stesse forme con cui i creditori concorsuali devono presentare le loro domande di ammissione al passivo.

Il curatore predispone un progetto da cui risulti quali domande dovrebbero essere accolte e quali respinte; e questo progetto viene, poi, esaminato dal giudice delegato nella stessa adunanza di verifica dello stato passivo. Contro di esso possono essere presentate al tribunale fallimentare le opposizioni da parte di coloro le cui domande sono state respinte, e le impugnazioni contro coloro le cui domande sono state ammesse.

Sono ammissibili anche le domande tardive di rivendicazione o di restituzione, ed inoltre se il richiedente prova che il ritardo della domanda non gli è imputabile, può ottenere dal giudice la sospensione dell’attività di liquidazione del bene.

GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO:

C) I RAPPORTI GIURIDICI IN CORSO DI ESECUZIONE

Numerose disposizioni sono dettate dalla legge fallimentare per regolare i rapporti a prestazioni corrispettive derivanti da contratti opponibili al fallimento, i quali alla data della dichiarazione del fallimento non siano stati ancora eseguiti né dal fallito né dal contraente in bonis.

E precisamente, la legge ha disposto la sospensione dell’esecuzione dei rapporti pendenti al momento del fallimento, che dura (la sospensione) “fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendone tutti i relativi obblighi, o di sciogliersi dal medesimo” (art. 72 c.1 1. fall.).

In caso di subingresso del curatore nel contratto, è sicuro che il terzo ha l’obbligo di eseguirlo, divenendo – per il corrispettivo – creditore della massa.

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Mentre, nel caso di scioglimento del contratto, la legge si limita a dire che il terzo ha solo il diritto di insinuare nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento.

Tuttavia, sino a quando la sospensione del contratto non è cessata a seguito della scelta del curatore (di subingresso o di scioglimento), il contraente in bonis può mettere in mora il curatore, chiedendo al giudice delegato di assegnarli un termine non superiore a 60 giorni entro il quale lo stesso curatore deve comunicare la scelta del fallimento; se – trascorso tale termine – non vi è stata nessuna dichiarazione di scelta del curatore, il contratto si intende sciolto (art. 72 c.2 1. fall.).

Alcuni rapporti giuridici, in seguito al fallimento di una delle parti, si sciolgono senz’altro.

Lo scioglimento ha effetti ex nunc, cioè dalla data della dichiarazione di fallimento, e quindi non incide sulle situazioni già maturate a quella data, per cui può esserci sia un credito del fallito, che sarà riscosso dal curatore, sia un credito dell’altro contraente, che potrà insinuarsi quale creditore concorrente.

1) Lo scioglimento ope legis si ha, qualunque sia la parte fallita, per i rapporti di conto corrente ordinario, conto corrente bancario e commissione, è in contrasto con l’elemento fiduciario che di solito li caratterizza. Nel mandato è disposto lo scioglimento ope legis solo per il fallimento del mandatario, mentre nel caso di fallimento del mandante si ammette che il curatore possa subentrare nel contratto. Tuttavia, il fallimento del mandante non provoca lo scioglimento del mandato in rem propriam (cioè, conferito anche nell’interesse del mandatario). A causa del fallimento di una delle parti, si ha anche lo scioglimento del rapporto di appalto, ma in questo caso il curatore – autorizzato dal comitato dei creditori – può dichiarare di volere subentrare nel rapporto, dandone comunicazione all’altra parte nel termine di 60 giorni dalla dichiarazione del fallimento, ed offrendo idonee garanzie.

2) Di altri rapporti non si ha invece scioglimento a causa del fallimento e quindi, in conseguenza della loro prosecuzione, l’altro contraente diventa creditore della massa e ha diritto di ricevere integralmente la prestazione dovuta dal fallito. Ciò avviene, nel rapporto di assicurazione contro i danni, nel caso di fallimento dell’assicurato; ancora, ciò avviene nel rapporto di locazione di immobili, nel caso di fallimento del locatore.

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Non si ha scioglimento ope legis del rapporto neppure nel leasing, e precisamente: nel caso di fallimento della società che ha dato in locazione finanziaria il bene o che ne ha finanziato l’acquisto, in quanto l’utilizzatore conserva la facoltà di acquisire, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo d’opzione.

GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO:

D) LE SANZIONI PENALI

Il debitore fallito può essere punito con sanzioni penali per avere compiuto – in tempo anteriore o anche posteriore alla dichiarazione di fallimento – determinati atti che costituiscono reati.

In particolare, si tratta di fatti che possono nuocere ai creditori (ad esempio, perché violano il principio della par condicio), e che possono essere stati commessi dal fallito con colpa (negligenza, imprudenza, imperizia) o addirittura con dolo, cioè con la volontà di provocare l’evento previsto dalla legge. E precisamente, se vi è colpa si ha il reato di bancarotta semplice; se, invece, vi è dolo quello più grave di bancarotta fraudolenta.

Solitamente, l’azione penale è esercitata dal pubblico ministero dopo che riceve copia della relazione presentata dal curatore al giudice delegato.

La bancarotta semplice è punita con la reclusione da 6 mesi a 2 anni; mentre, la bancarotta fraudolenta con la reclusione da 3 a 10 anni.

Queste pene sono aumentate quando ricorrono le seguenti circostanze aggravanti:

a) nel caso in cui il danno causato dal reato sia di rilevante gravità;

b) nel caso in cui il fallito abbia commesso più fatti di bancarotta semplice o fraudolenta;

c) nel caso in cui il fallito per divieto di legge non poteva esercitare un’impresa commerciale.

Le pene sono, invece, diminuite se ricorre la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno causato dal reato.

Inoltre, la condanna per bancarotta semplice importa il divieto di esercitare un’impresa commerciale propria o di esercitare uffici direttivi in imprese altrui della durata fino a 2 anni; mentre nel caso di bancarotta fraudolenta il divieto è imposto della durata di 10 anni.

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Nello specifico diciamo che nel caso di bancarotta semplice (da 6 mesi a 2 anni di reclusione) è punito, l’imprenditore che viene dichiarato fallito, per aver compiuto uno dei seguenti fatti (art. 217 1. fall.):

a) abbia fatto spese personali, o per la famiglia, eccessive rispetto alla sua condizione economica;

b) abbia consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

c) abbia compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;

d) abbia aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

e) non abbia soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare;

f) non abbia tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti, o li abbia tenuto in maniera irregolare o incompleta durante i 3 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento o dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata.

Mentre se viene dichiarato fallito, è punito per bancarotta fraudolenta (da 3 a 10 anni di reclusione), l’imprenditore che abbia commesso uno dei seguenti fatti (art. 216 1. fall.):

a. distruzione, occultamento, distrazione o dissipazione in tutto o in parte dei suoi beni, sia prima che durante la procedura fallimentare;

b. esposizione o riconoscimento, sia prima che durante la procedura fallimentare, di passività inesistenti, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori;

c. sottrazione, distruzione o falsificazione – in tutto o in parte – di libri o di altre scritture contabili, o tenuta degli stessi in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari;

d. esecuzione di pagamenti o simulazione di titoli di prelazione, allo scopo di favorire – a danno degli altri creditori – taluno tra essi (in questo caso la pena va da 1 a 5 anni).

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Oltre a quelli di bancarotta, il fallito può commettere anche altri reati, e precisamente:

1. il ricorrere, o il continuare a ricorrere, al credito dissimulando il proprio dissesto;

2. il denunciare creditori inesistenti nell’elenco nominativo dei creditori;

3. l’omettere di dichiarare l’esistenza di beni, che avrebbero dovuto essere compresi nell’inventario;

4. il non presentare il bilancio e le scritture contabili entro 3 giorni dalla dichiarazione di fallimento;

5. il non presentarsi – se convocato – agli organi del fallimento.

I reati di bancarotta semplice e fraudolenta e gli altri reati del fallito possono essere commessi anche dagli institori, dagli amministratori direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite.

In particolare, sono previsti come reati del curatore o dei suoi coadiutori:

a) il prendere interesse privato negli atti del fallimento;

b) l’accettare retribuzioni non dovute;

c) il non ottemperare all’ordine del giudice di consegnare o depositare somme o altre cose del fallimento, che essi detengono a causa del loro ufficio.

Sono previsti, infine, come reati:

a) il presentare domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato, sempre che ciò non costituisca concorso in bancarotta;

b) il c.d. mercato di voto, cioè la stipula – da parte del creditore concorrente – col fallito o con altri nell’interesse del fallito, di vantaggi a proprio favore per dare il proprio voto nel concordato o nelle deliberazioni del comitato dei creditori;

c) il sottrarre, distrarre o ricettare beni del fallito dopo il fallimento; il dissimulare beni del fallito dopo il fallimento (cioè, dichiarare che beni del fallito non sono suoi);

d) l’acquistare beni dall’imprenditore, conoscendone lo stato di dissesto, a prezzo notevolmente inferiore al valore corrente, se poi si verifica il fallimento.

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LA LIQUIDAZIONE E LA DISTRIBUZIONE DELL’ATTIVOPer quanto riguarda la liquidazione delle attività fallimentari, la legge prescrive che il curatore – entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario – predisponga un programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione del giudice delegato.

Tuttavia, prima dell’approvazione del programma, il curatore può procedere alla liquidazione dei beni del fallito solo se è autorizzato dal comitato dei creditori.

Per quanto riguarda la cessione dell’azienda del fallito diciamo che, la legge vuole agevolare il trasferimento fallimentare dei complessi aziendali, per conservarne la struttura organizzativa e l’avviamento; e pertanto disposto che il prezzo della cessione possa essere pagato dall’acquirente anche mediante l’accollo di debiti fallimentari, purchè non ne venga alterata la graduazione. Inoltre, l’acquirente non risponde dei debiti aziendali sorti prima del trasferimento; e precisamente, la cessione dei crediti aziendali è efficace nei confronti dei terzi dal momento dell’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese.

La liquidazione delle attività fallimentare deve essere preceduta da apposite stime di esperti, ed effettuata tramite procedure competitive, assicurando la massima informazione e partecipazione di coloro che sono interessati all’acquisto. Il curatore può sospendere la vendita, se gli perviene un’offerta irrevocabile d’acquisto maggiore almeno del 10% rispetto al prezzo offerto nei termini previsti dalla procedura competitiva.

Il curatore deposita in cancelleria la relativa documentazione, informando – così – il giudice delegato, la quale (giudice delegato) può sospendere – su istanza del fallito – le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi.

Se il giudice delegato non ha stabilito un termine diverso, ogni 4 mesi dal giorno del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, il curatore deve presentare un progetto delle somme disponibili ed un progetto per la loro ripartizione tra i creditori.

La legge distingue:

- l’attivo immobiliare, costituito dalle somme ricavate dalla liquidazione dei beni immobili, dei loro frutti e pertinenze, e dagli interessi

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bancari ricevuti dal curatore sul deposito delle somme fallimentari;

- e l’attivo mobiliare, costituito – invece – da tutte le altre entrate del fallimento.

Nel preparare il progetto di ripartizione, il curatore deve tenere presenti le seguenti norme:

a) anzitutto bisogna soddisfare i creditori della massa, che non sono stati pagati alla scadenza dei loro crediti;

b) su quanto viene ricavato dalla vendita di un determinato bene, bisogna soddisfare i creditori che hanno diritto di prelazione sul bene stesso, rispettando l’ordine di prelazione;

c) il resto va distribuito tra tutti gli altri creditori ammessi al passivo in proporzione all’ammontare del loro credito, in modo che tutti ricevano la stessa percentuale. In ogni ripartizione parziale, non può essere superato l’80% delle somme distribuibili;

d) devono, infine, essere accantonate anche le somme che il giudice ritiene necessarie per coprire le spese future, soddisfare il compenso del curatore e ogni altro debito prededucibile.

Il giudice, sentito il comitato dei creditori, ordina il deposito del progetto di riparto in cancelleria, disponendo che tutti i creditori ne siano avvisati. Entro il termine perentorio di 15 giorni dal ricevimento di tale avviso, i creditori possono proporre reclamo contro il progetto al giudice delegato. Trascorso tale termine senza reclami, il giudice con decreto dichiara esecutivo il progetto di riparto.

Per quanto riguarda il rendiconto del curatore diciamo che, compiuta la liquidazione e prima del riparto finale, il curatore presenta al giudice delegato il suo rendiconto, con l’espropriazione analitica delle operazioni contabili effettuate e dell’attività di gestione. Pertanto, il rendiconto del curatore non è un conto di massa (che si limiti a rappresentare il movimento delle entrate e delle uscite), ma dev’essere un “conto della gestione”, nel quale cioè risultino illustrati i criteri seguiti dal curatore per lo svolgimento dell’amministrazione e le ragioni delle scelte adottate.

Il giudice ordina il deposito del rendiconto in cancelleria, fissando l’udienza fino alla quale ogni interessato può presentare le sue osservazioni. Se all’udienza stabilita non sorgono contestazioni, o se su queste viene raggiunto un accordo, il giudice approva il conto;

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altrimenti rimette le parti dinnanzi al tribunale fallimentare, dove il procedimento si svolge secondo il rito camerale.

Il giudice delegato ordina il riparto finale dopo che sia stato approvato il rendiconto del curatore e, dopo l’approvazione, che gli sia stato liquidato il compenso.

LA CESSAZIONE DEL FALLIMENTOLa cessazione del fallimento si ha quando si verificano determinati fatti che la legge denomina

“casi di chiusura” del fallimento (art. 118 1. fall.).

A parte il concordato fallimentare, i casi di chiusura sono 4, e precisamente:

1) mancata presentazione di domande di ammissione al passivo entro il termine stabilito nella sentenza dichiarativa;

2) estinzione di tutti i crediti (e delle spese) prededucibili e dei crediti concorrenti;

3) esaurimento dell’attivo, cioè ripartizione di tutto il patrimonio del fallito e delle altre attività fallimentari apprese dagli organi del fallimento;

4) mancanza, o anche insufficienza, dell’attivo, quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare i creditori della massa, i creditori concorrenti e le spese.

La chiusura del fallimento è dichiarata dal tribunale con decreto motivato, su ricorso del curatore o del fallito o d’ufficio. Al decreto viene data, a cura del cancelliere, la stessa pubblicità prescritta per la sentenza dichiarativa di fallimento.

Per dichiarare la chiusura del fallimento per mancanza o insufficienza dell’attivo, il tribunale deve sentire il comitato dei creditori e il fallito (art. 119 c.1 1. fall.).

Contro il decreto di chiusura ogni interessato può reclamare dinanzi la corte d’appello (art. 26 1. fall).

Con la chiusura del fallimento ne cessano gli effetti, pertanto:

- ne vengono meno gli organi del fallimento;

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- le azioni esperite dal curatore per l’esercizio dei diritti derivanti dal fallimento non possono essere proseguite;

- i creditori riacquistano l’esercizio delle loro azioni esecutive individuali;

- riprende vigore il termine per i crediti non ancora scaduti;

- ricominciano a decorrere gli interessi;

- il fallito riacquista la disponibilità del suo patrimonio, sul quale possono soddisfarsi anche i creditori posteriori al fallimento.

Tuttavia è opportuno specificare che, il decreto o la sentenza di ammissione al passivo hanno efficacia solo endofallimentare ed essi – dopo la chiusura del fallimento – costituiscono prova scritta per il rilascio di un decreto ingiuntivo nei confronti del debitore tornato in bonis.

Per quanto riguarda il decreto di esdebitazione diciamo che, se il fallimento non è stato chiuso con il pagamento integrale di tutti i debiti, il fallito è – anche dopo la chiusura – debitore di quanto ancora dovuto ai creditori fallimentari rimasti, in tutto o in parte, insoddisfatti.

Tuttavia, la legge ammette che il fallito – se persona fisica – con la chiusura del fallimento possa ottenere dal tribunale anche il beneficio della esdebitazione, cioè della sua “liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti” (art. 142 c.1 1. fall.), debiti che pertanto vengono dichiarati inesigibili dal tribunale col decreto di esdebitazione(art. 143 c.1 1. fall.).

L’esdebitazione può essere concessa dal tribunale – su ricorso del debitore – con lo stesso decreto di chiusura del fallimento, o con un decreto autonomo se il debitore ne richiede la concessione successivamente, purchè entro l’anno successivo alla chiusura.

E precisamente, le condizioni per la concessione dell’esdebitazione sono 2:

1. che nel fallimento siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori concorsuali;

2. che il fallito abbia tenuto un comportamento corretto nel corso del procedimento concorsuale, cooperando con gli organi del fallimento, senza ritardarne lo svolgimento, e consegnando al

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curatore la propria corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento.

La concessione dell’esdebitazione è tuttavia impedita se ricorrono alcune condizioni ostative, in quanto il fallito:

a) non deve avere ottenuto un’altra esdebitazione nei 10 anni anteriori alla richiesta;

b) inoltre, non deve avere cagionato o aggravato il proprio dissesto, compiendo atti di distrazione dell’attivo o di riconoscimento di passività inesistenti; rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, facendo ricorso abusivo al credito;

c) infine, non deve essere stato condannato – con sentenza passato in giudicato – per bancarotta fraudolenta o per altri delitti contro il patrimonio.

LA RIAPERTURA DEL FALLIMENTO

Quando la chiusura del fallimento è stata determinata da esaurimento o insufficienza di attivo, e non vi è stata l’esdebitazione del fallito, entro 5 anni dalla chiusura il fallimento può essere riaperto

(art. 121 c.1 1. fall.).

La riapertura del fallimento può avvenire su istanza:

- del fallito, e in questo caso deve dare la garanzia di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi e nuovi;

- o di qualunque creditore, deve provare che nel patrimonio del fallito esistono attività in misura tale da rendere utile il provvedimento di riapertura.

Se il tribunale, a suo giudizio discrezionale, ritiene opportuna la riapertura del fallimento, la pronuncia con sentenza, richiamando nel loro ufficio il giudice delegato e il curatore, o nominandone altri.

Questa sentenza di riapertura può essere appellata allo stesso modo della sentenza dichiarativa del fallimento, ed è soggetta alla stessa pubblicità. Il comitato dei creditori dev’essere nominato dal giudice delegato tenendo conto anche di nuovi creditori.

Gli effetti della riapertura del fallimento sono:

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a) nel fallimento concorrono i vecchi e i nuovi creditori, tutti dopo essere stati sottoposti a verifica ed ammessi nel nuovo stato passivo;

b) in quanto agli atti del fallito pregiudizievoli per i creditori, bisogna distinguere:

1. sono privi di effetto gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito dopo la chiusura e prima della riapertura del fallimento, qualunque sia il tempo intercorso tra questi due eventi;

2. gli altri atti compiuti dal fallito in questo periodo possono essere revocati con la revocatoria fallimentare, purchè siano stati compiuti nei 2 anni o nell’anno o nel semestre anteriore alla sentenza di riapertura del fallimento.

IL CONCORDATO FALLIMENTARE

Il fallimento può, anche, cessare per concordato. E precisamente, il procedimento si inizia con la proposta di concordato che può essere presentata da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purchè i dati contabili e le altre notizie eventualmente disponibili abbiano consentito al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori concorsuali che sia stato esaminato ed approvato dal giudice delegato.

La proposta di concordato può essere presentata anche dal fallito, ma solo dopo 6 mesi dalla dichiarazione di fallimento e sino a 2 anni dopo il deposito in cancelleria del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, con cui è stato accertato l’ammontare del passivo fallimentare.

Nella proposta si può anche prevedere la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, con trattamenti differenziati.

Sulla proposta di concordato il giudice delegato chiede il parere del curatore e del comitato dei creditori.

Se la proposta di concordato prevede condizioni differenziate per singole classi di creditori, essa, prima di essere comunicata ai creditori, dev’essere sottoposta al giudizio del tribunale, il quale deve accertare che la suddivisione in classi sia stata effettuata secondo posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei, e che siano

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indicate le ragioni dei trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse (art. 125 c.2 1. fall.).

Quando nella proposta non sono previste condizioni diverse per le classi di creditori, o quando questa previsione è giudicata corretta dal tribunale e vi è anche il parere favorevole del curatore, il giudice delegato ne deve ordinare con decreto la comunicazione ai creditori che hanno diritto al voto.

Nello stesso decreto, il giudice fissa un termine (non inferiore a 20 giorni e non superiore a 30) entro il quale i creditori, che vogliono rifiutare il concordato, devono fare pervenire alla cancelleria del tribunale il loro dissenso. I creditori che approvano la proposta, e che hanno il diritto di votare, non hanno invece l’onere di comunicarlo in cancelleria, poiché al loro silenzio entro il termine assegnato la legge attribuisce il valore di una dichiarazione di consenso al concordato.

La proposta viene comunicata ad ogni creditore, solo eccezionalmente – cioè quando il rilevante numero dei creditori rende difficoltosa la comunicazione – il giudice delegato può autorizzare il curatore a dare notizia della proposta mediante la sua pubblicazione integrale su uno o più quotidiani (art. 126 1. fall.).

Il concordato è approvato se votano a favore i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. A tal proposito è opportuno specificare che non hanno diritto al voto:

i creditori a cui è stato ceduto il credito dopo la dichiarazione di fallimento, salvo che i cessionari siano intermediari bancari o finanziari;

i creditori che siano coniuge del fallito, suoi parenti o affini fino al 4°; o che abbiano avuto ceduti i crediti da queste persone meno di 1 anno prima della dichiarazione di fallimento.

Tuttavia, una volta trascorso il termine stabilito per la votazione, il curatore ne riferisce l’esito al giudice delegato. Quando la proposta di concordato è stata approvata dalle maggioranze prescritte, il giudice con decreto dispone che l’esito della votazione venga immediatamente comunicato al proponente, al fallito e ai creditori dissenzienti i quali, entro il termine che va da 15 a 30 giorni, possono opporsi all’omologazione del concordato.

Se nel termine fissato dal giudice delegato non vengono proposte opposizioni, il tribunale verifica la regolarità della procedura e l’esito della votazione e, se il giudizio è positivo, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a reclamo.

Se, invece, sono state presentate opposizioni si applica la procedura camerale prescritta dall’art. 26 1. fall., per cui le parti possono

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svolgere le loro difese e comparire nell’apposita udienza fissata davanti al collegio che – entro i successivi 30 giorni – decide con decreto motivato se omologare o meno il concordato.

Al decreto di omologazione del concordato è data la stessa pubblicità della sentenza dichiarativa del fallimento.

Appena il decreto di omologazione del tribunale è definitivo (per mancanza di opposizioni) o è diventato definitivo (perché le opposizioni sono state rigettate), il curatore presenta al giudice delegato il rendiconto della gestione , e quindi il tribunale dichiara la chiusura della procedura di fallimento. Restano, però, in carica il giudice delegato, il curatore e il comitato dei creditori, per sorvegliare l’adempimento del concordato, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione.

Il concordato omologato è vincolante per tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento, compresi quelli che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo.

Gli effetti del concordato omologato possono cessare, con conseguente riapertura del fallimento, o per annullamento o per risoluzione.

A) E precisamente, si può chiedere l’annullamento del concordato solo nell’ipotesi di dolo, cioè quando risulta:

1) che è stato dolosamente esagerato il passivo

2) o che è stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo (art. 138 c.1 1. fall.).

Il giudizio di annullamento si svolge dinanzi al tribunale fallimentare con il rito camerale; in particolare, il ricorso può essere proposto dal curatore, o da uno dei creditori, in contraddittorio col fallito, nel termine di 6 mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, non oltre 2 anni dalla scadenza dell’ultimo pagamento stabilito nel concordato.

B) Quanto alla risoluzione, diciamo che, il concordato viene risolto per inadempimento, ossia quando non vengono adempiute le obbligazioni concordatarie. Pertanto, la risoluzione si verifica sia:

1. per la mancata costituzione delle garanzie promesse

2. sia per il mancato pagamento delle somme dovute alle scadenze convenute.

Anche, il giudizio di risoluzione del concordato, come quello dell’annullamento, si svolge in camera di consiglio, e precisamente:

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una volta verificatosi l’inadempimento, il curatore e il comitato dei creditori devono renderlo noto al tribunale fallimentare, il quale può anche agire d’ufficio; inoltre, ogni creditore può presentare ricorso al tribunale chiedendo la risoluzione del concordato.

Sia il decreto che risolve concordato, sia quello che lo annulla, dichiara la riapertura del fallimento ed è provvisoriamente esecutivo (art. 137 c.2 1. fall.).

Tuttavia, anche se vi è inadempimento, la risoluzione del concordato non può però essere pronunziata in 2 ipotesi:

a) quando gli obblighi derivanti dal concordato dovevano essere adempiuti solo dall’assuntore, perché era stata pattuita la liberazione immediata del fallito;

b) quando il ricorso per la risoluzione è stato proposto dopo 1 anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento dovuto secondo il concordato.

Una volta annullato o risolto il concordato, si riapre il fallimento con le seguenti particolarità:

- rimangono ferme le garanzie reali o personali prestate nel concordato a favore dei creditori concorrenti;

- i creditori concorrono per l’importo del credito primitivo, detratta la parte eventualmente riscossa in parziale esecuzione del concordato;

- possono essere riproposte le azioni revocatorie già iniziate e interrotte per effetto del concordato;

- il proponente può ancora presentare una nuova proposta di concordato, dopo che sia stato reso esecutivo il nuovo stato passivo. Ma il concordato non può essere omologato se prima non vengono depositate le somme occorrenti per il suo integrale adempimento.

IL FALLIMENTO DELLE SOCIETÀ

Qualsiasi società commerciale purchè non sia di piccole dimensioni può essere dichiarata fallita quando si trova in stato di insolvenza, anche se in liquidazione (art. 1 1. fall.).

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Se si tratta di una società con soci a responsabilità illimitata, il fallimento della società produce anche il loro fallimento personale. Pertanto, la sentenza del tribunale – che dichiara il fallimento della società – deve dichiarare anche i fallimenti personali dei soci illimitatamente responsabili, pure se non sono persone fisiche.

Dunque, per evitare il proprio fallimento, i soci dovranno provare:

o o che la società non esiste (anche se tuttavia, va dichiarato anche il fallimento della c.d. società apparente, cioè quella società in cui gli interessati – malgrado non risulti che siano in effetti legati da un vincolo sociale – tuttavia hanno esercitato l’impresa in modo tale da ingenerare nei terzi, con il loro comportamento, la convinzione dell’esistenza di tale vincolo); o che la società non svolge attività commerciale o che essa non è insolvente;

o o che essi non sono soci, o che non sono soci a responsabilità illimitata, o che è trascorso 1 anno dallo scioglimento parziale del rapporto sociale (ad esempio, per recesso, per morte) o dalla cessazione della responsabilità illimitata; è opportuno specificare che, lo scioglimento parziale o la cessazione della responsabilità illimitata, devono essere stati resi noti ai terzi (di solito mediante l’iscrizione nel registro delle imprese).

Questo è per quanto riguarda le società commerciali nella cui struttura normativa è tipicamente prevista la presenza di soci personalmente ed illimitatamente responsabili (e quindi: società in nome collettivo, in accomandita semplice e in accomandita per azioni); mentre, il fallimento di una società per azioni (o a responsabilità limitata) unipersonale non provoca anche il fallimento dell’unico socio perché la sua responsabilità personale – quando sussiste – è limitata solamente alle obbligazioni sociali sorte nel periodo durante il quale le azioni (o le obbligazioni) erano tutte raggruppate nelle sue mani.

Se, dopo la dichiarazione del fallimento della società, risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale – su istanza del curatore, o di un creditore interessato o di uno dei falliti – dichiara il fallimento di detti soci, dopo averli convocati in camera di consiglio per consentirgli di esercitare il diritto di difesa.

In questo caso si parla di fallimento del socio occulto che non dev’essere confuso con l’ipotesi del fallimento della c.d. società occulta, che ricorre – invece – quando un’impresa commerciale, pur apparendo esercitata da un imprenditore individuale, risulta in effetti esercitata per conto di una società la cui esistenza non è stata manifestata all’esterno (cioè è il caso opposto a quello della società apparente).

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Inoltre diciamo che, il fallimento della società e i fallimenti personali dei soci illimitatamente responsabili sono collegati tra loro; infatti, unico è il tribunale fallimentare, unico il giudice delegato e unico è il curatore (art. 148 c.1 1. fall.). Si possono, invece, nominare più comitati di creditori, poiché le masse passive sono parzialmente diverse, in quanto nel fallimento della società concorrono i creditori sociali, mentre nei fallimenti dei singoli soci concorrono, accanto ai creditori della società, i creditori personali dei soci.

Nel fallimento della società la massa attiva è formata dal patrimonio della società, mentre – nel fallimento di ogni socio – dal suo patrimonio individuale.

Se il fallimento della società viene revocato, si ha anche la revoca dei fallimenti personali dei soci illimitatamente responsabili.

Il concordato della società fa chiudere anche i fallimenti dei singoli soci, a meno che nella proposta di concordato non sia previsto il contrario.

In particolare, la proposta di concordato della società deve essere deliberata:

- nelle società di persone, dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale;

- nelle società di capitali e nelle società cooperative, dagli amministratori.

Inoltre, la proposta di concordato deve essere sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza sociale.

Il fallimento della società produce conseguenze a carico degli amministratori e dei liquidatori, i quali sono obbligati a comunicare al curatore ogni cambiamento della loro residenza e a presentarsi agli organi fallimentari quando ne sono richiesti.

E precisamente, se si tratta del fallimento di una società di capitali il curatore può essere autorizzato dal giudice delegato – sentito il comitato dei creditori – ad esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci, i direttori generali e i liquidatori.

Le azioni di responsabilità non vengono esercitate secondo il rito camerale fallimentare, ma in un giudizio che si svolge secondo il rito societario.

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Dal decreto legislativo di riforma del 2005 sono state inserite nella legge fallimentare alcune disposizioni che riguardano i patrimoni e i finanziamenti destinati ad uno specifico affare.

E precisamente, le disposizioni relative ai patrimoni destinati hanno per oggetto:

a) la revocatoria fallimentare, in quanto gli atti dispositivi che riducono il patrimonio separato sono inefficaci se arrecano pregiudizio anche al patrimonio sociale; per la revoca, occorre che il terzo fosse a conoscenza dell’insolvenza della società;

b) gli effetti della dichiarazione di fallimento sull’amministrazione del patrimonio destinato, la quale viene attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata;

c) gli effetti dell’incapienza dello stesso patrimonio destinato per violazione delle regole di separatezza con il patrimonio sociale, perché il curatore deve procedere alla sua liquidazione ed esercitare l’azione di responsabilità contro gli organi di amministrazione e di controllo della società.

Quando a fallire è una società per azioni che ha ricevuto finanziamenti destinati ad uno specifico affare, e il rapporto di finanziamento è pendente, questo si scioglie se il fallimento impedisce la realizzazione o la continuazione dell’operazione finanziata.

LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA

La liquidazione coatta amministrativa è il procedimento concorsuale con cui si provvede alla liquidazione dell’impresa a cura dell’autorità amministrativa, anziché dell’autorità giudiziaria.

Alla liquidazione coatta, pertanto, non soggetto tutte le imprese commerciali, ma soltanto quelle categorie di imprese indicate esplicitamente dalle leggi speciali, e precisamente:

- le imprese bancarie

- le imprese di assicurazione

- le imprese cooperative

- le imprese di investimento, le società di gestione del mercato, …

A differenza del fallimento, però, la messa in liquidazione può essere decretata anche se non c’è insolvenza.

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Ora, quando l’impresa commerciale soggetta a liquidazione coatta è in stato di insolvenza, occorre regolare i rapporti tra fallimento e liquidazione coatta. A tal proposito, può darsi:

che si tratti di imprese che possono essere assoggettate sia alla liquidazione coatta sia al fallimento; ma può anche darsi:

che si tratti di imprese che – anche in caso di insolvenza – possono essere assoggettate soltanto alla liquidazione coatta, con esclusione del fallimento.

Con riferimento alla prima ipotesi, la legge fallimentare ha risolto il problema del concorso tra le due procedure adottando un criterio cronologico, e stabilendo che “la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione coatta amministrativa, e il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa preclude la dichiarazione di fallimento” (art. 196).

Inoltre, è previsto:

che alla liquidazione coatta conseguono gli stessi effetti della sentenza di fallimento per quanto concerne:

a) il trasferimento ope legis della disponibilità e dell’amministrazione dei beni dell’impresa agli organi della liquidazione coatta amministrativa;

b) il divieto delle azioni esecutive individuali; la tutela e la realizzazione dei diritti di prelazione dei creditori concorrenti; l’immediata esigibilità dei crediti concorrenti, anche se ancora non scaduti, ai fini della partecipazione al concorso; la sospensione del corso degli interessi.

La legge fallimentare ha previsto l’intervento dell’autorità giudiziaria che si manifesta in diverse direzioni:

in una prima direzione, attraverso la pronuncia dello stato di insolvenza, allo scopo di consentire l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare e l’applicazione delle sanzioni penali;

in una seconda direzione, allo scopo di tutelare i diritti dei creditori dell’impresa, che ne lamentino la violazione ad opera degli organi della liquidazione;

in un’ultima direzione, allo scopo di consentire la cessazione della procedura di liquidazione anche mediante la conclusione di un concordato.

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La messa in liquidazione dell’impresa è ordinata con un provvedimento dell’autorità amministrativa che ne ha la vigilanza; tale provvedimento di liquidazione è un atto amministrativo che, entro 10 giorni dalla sua data, dev’essere pubblicato integralmente nella Gazzetta Ufficiale e iscritto nel registro delle imprese.

Con questo provvedimento devono essere nominati gli organi della liquidazione, e cioè:

a) il commissario liquidatore

b) il comitato di sorveglianza, composto da 3 a 5 esperti, scelti possibilmente tra i creditori dell’impresa.

Nelle imprese bancarie e assicurative i commissari liquidatori e il comitato di sorveglianza sono nominati dalla Banca d’Italia e dall’Isvap.

Per quanto riguarda l’accertamento giudiziario dell’insolvenza diciamo che, se si tratta di un’impresa assoggettabile alla liquidazione coatta con esclusione del fallimento, l’accertamento preventivo dell’insolvenza può essere richiesto con ricorso al tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede principale da uno o più creditori, o dall’autorità amministrativa di vigilanza o dalla stessa impresa.

Il procedimento per dichiarare con sentenza lo stato di insolvenza è analogo a quello camerale previsto per la dichiarazione di fallimento degli altri imprenditori commerciali, con la previsione di una fase istruttoria anteriore alla stessa sentenza, che è reclamabile davanti alla corte d’appello.

Se invece l’autorità amministrativa aveva già ordinato la liquidazione dell’impresa, l’accertamento successivo dello steso di insolvenza è richiesto dal tribunale su ricorso del commissario liquidatore o su istanza del pubblico ministero (art. 202 c.1 1. fall.).

Per quanto riguarda il procedimento di liquidazione coatta diciamo che, il commissario liquidatore procede a tutte le operazioni della liquidazione secondo le direttive dell’autorità che vigila sulla liquidazione, e sotto il controllo del comitato di sorveglianza. Le sue attribuzioni sono uguali a quelle del curatore del fallimento, e precisamente egli: può compiere senza autorizzazione gli atti di straordinaria amministrazione di valore non superiore a 2 milioni di lire (cioè, 1032,91 €).

Mentre, per gli atti di valore superiore o di valore indeterminato dev’essere, invece, autorizzato dall’autorità che vigila sulla liquidazione, sentito il comitato di sorveglianza.

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Per l’accertamento del passivo, il commissario liquidatore ha una maggiore autonomia rispetto al curatore fallimentare, poiché nella liquidazione coatta manca un organo equivalente al giudice delegato del fallimento.

In particolare, il commissario liquidatore comunica a ciascun creditore – mediante raccomandata con avviso di ricevimento – quali sono le somme risultanti a suo credito secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa. Se i creditori e i titolari dei diritti mobiliari che hanno ricevuto la comunicazione ne accettano il contenuto, non hanno bisogno di presentare domanda di ammissione al passivo; in caso contrario, entro 15 giorni dal suo ricevimento, devono fare pervenire mediante raccomandata al commissario liquidatore le loro osservazioni o istanze. A loro volta, i creditori e i titolari dei diritti mobiliari che non hanno ricevuto la comunicazione, entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento di liquidazione, possono presentare domanda per il riconoscimento dei propri crediti e la restituzione dei loro beni.

Quindi, entro 90 giorni dalla data del provvedimento di liquidazione, è lo stesso commissario liquidatore che forma lo stato passivo definitivo depositandolo in cancelleria, e dandone notizia con raccomandata con avviso di ricevimento a coloro la cui pretesa non sia stata in tutto o in parte riconosciuta. Col deposito in cancelleria, lo stato passivo diventa esecutivo, e contro di esso possono essere proposte le opposizioni e le impugnazioni dei creditori, con ricorso al presidente del tribunale, il quale decide in composizione collegiale.

La chiusura della liquidazione coatta si ha:

1. o con l’esaurimento dell’attivo

2. o con un concordato, che può essere proposto dall’impresa in liquidazione dopo che lo stato passivo è divenuto esecutivo. La proposta di concordato è depositata in cancelleria e pubblicata nelle forme di volta in volta disposte dall’autorità amministrativa. Inoltre è previsto che, entro 30 giorni dal suo deposito –“gli interessati possono presentare nella cancelleria le loro opposizioni che vengono comunicate al commissario”. Il tribunale decide sulla proposta di concordato, tenendo conto delle opposizioni, con sentenza in camera di consiglio la quale (sentenza) presenta alcune particolarità, e precisamente:

a. la sentenza è impugnabile anche dal commissario liquidatore;

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b. i termini per il reclamo in appello e per il ricorso in cassazione decorrono dall’affissione della sentenza.

Il tribunale può risolvere il concordato in caso di inadempimento, ed annullarlo in caso di dolo. Risolto o annullato il concordato, si riapre la liquidazione coatta e l’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione adotta i provvedimenti che ritiene necessari (art. 215 ult. comma 1. fall.).

Per quanto riguarda la liquidazione coatta della società diciamo che, se l’impresa è una società, la liquidazione coatta non si estende ai soci illimitatamente responsabili.

E precisamente, quando la liquidazione coatta ha per oggetto società con soci a responsabilità limitata, per ottenere il versamento delle somme ancora dovute per i conferimenti, il commissario liquidatore può richiedere al presidente del tribunale l’emissione di un decreto con cui venga ingiunto ai soci di procedere al pagamento di quanto dovuto (art. 210 c.2 1. fall.).

L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDI IMPRESE INSOLVENTI

Di solito, il fallimento porta alla disgregazione del complesso aziendale e alla perdita di posti di lavoro; nel caso di imprese con un numero rilevante di dipendenti il fallimento rappresenta un gravissimo problema.

Per cercare di porre riparo a tali inconvenienti, è stata introdotta nel nostro ordinamento una disciplina con cui determinate (grandi) imprese in crisi vengono sottratte al fallimento, e sottoposte ad una procedura di amministrazione straordinaria, procedura alla quale si applica la disciplina della liquidazione coatta amministrativa, ma con particolari adattamenti volti a conseguire il risanamento dell’impresa.

A decidere l’ammissione delle imprese commerciali alla amministrazione straordinaria è lo stesso tribunale fallimentare (cioè il tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale), su ricorso del debitore, di uno o più creditori, del pubblico ministero, o d’ufficio.

Anche se nel ricorso è stato chiesto il fallimento dell’impresa insolvente, il tribunale deve controllare se ricorrono i presupposti soggettivi ed oggettivi dell’amministrazione straordinaria.

E precisamente, per quanto riguarda i:

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- presupposti soggettivi, diciamo che possono essere ammesse a questa procedura le imprese assoggettabili al fallimento, ad esclusione – dunque – delle imprese pubbliche che restano soggette alla liquidazione coatta amministrativa;

- presupposti oggettivi, in cui per essere ammesse all’amministrazione straordinaria occorre che le imprese commerciali:

o siano in stato di insolvenza;

o abbiano, da almeno 1 anno, un numero di dipendenti non inferiore a 200;

o abbiano un indebitamento complessivo pari ad almeno 2/3 del totale dei beni che costituiscono l’attivo dello stato patrimoniale quanto al totale dei ricavi che risultano dalla corrispondente voce del conto economico dell’ultimo esercizio.

Quando ricorrono tali presupposti, il tribunale non può dichiarare il fallimento dell’impresa insolvente, ma deve emettere una sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

E precisamente, tale sentenza (dichiarativa dello stato di insolvenza) è strutturalmente simile alla sentenza di fallimento, poiché vengono nominati il giudice delegato, 1 o 3 commissari giudiziali;

in pratica, si ordina all’imprenditore di depositare entro 2 giorni le scritture contabili in cancelleria e si assegna ai creditori il termine per la presentazione delle domande di insinuazione, stabilendo la data dell’adunanza di verifica dello stato passivo.

Con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza non viene però disposta l’immediata ammissione dell’impresa insolvente all’amministrazione straordinaria, ma viene soltanto avviato un procedimento che può condurre all’ammissione all’amministrazione straordinaria solo se vengono accertate “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico” dell’impresa.

Alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza seguono solitamente gli stessi effetti conseguenti alla sentenza di fallimento, tranne quelli incompatibili con la prosecuzione provvisoria della gestione dell’impresa. E precisamente, solo nel caso in cui la gestione provvisoria dell’impresa è stata affidata al commissario giudiziale,

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l’imprenditore perde l’amministrazione e la disponibilità di tutto il suo patrimonio, così come accade nel fallimento.

Particolarmente importante è la regola per cui “i creditori sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore” si considerano crediti della massa, e sono quindi soddisfatti in prededuzione.

Se la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza riguarda una società, i suoi effetti si estendono ai soci illimitatamente responsabili, anche se receduti, esclusi o defunti, purchè la sentenza sia stata pronunciata entro l’anno successivo allo scioglimento parziale, e purchè “l’insolvenza della società attenga – in tutto o in parte – a debiti contratti anteriormente a tale data”.

Dopo la nomina, il commissario giudiziale deve depositare nella cancelleria del tribunale – entro 30 giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza – una relazione nella quale indica le cause dell’insolvenza, e soprattutto esprime la propria valutazione sulle prospettive di recupero dell’equilibrio economico dell’impresa insolvente. E precisamente, tale recupero deve potersi realizzare:

a) o tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell’esercizio dell’impresa di durata non superiore ad 1 anno (c.d. programma di cessione dei complessi aziendali);

b) o tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a 2 anni (c.d. programma di ristrutturazione).

Copia della relazione del commissario viene trasmessa al Ministro delle attività produttive, che esprime il proprio parere sulla ammissibilità dell’apertura della procedura di amministrazione straordinaria.

Entro 30 giorni dal deposito della relazione il tribunale ha 2 possibilità:

1. se non ritiene realizzabile nessuno dei due programmi alternativi indicati dalla legge, ne dichiara il fallimento con decreto motivato;

2. se, invece, ritiene che queste prospettive di recupero sussistono, sempre con decreto motivato dichiara l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria.

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Con il decreto ammissivo dell’apertura dell’amministrazione straordinaria, il tribunale dispone la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, la cui gestione va affidata ad un commissario straordinario, la cui nomina dev’essere effettuata entro 5 giorni dalla comunicazione del decreto di apertura dell’amministrazione straordinaria, dal Ministro delle attività produttive, a cui spetta la vigilanza sull’attività di gestione dell’impresa affidata allo stesso commissario straordinario.

Per quanto riguarda le opposizioni diciamo che, con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza l’opposizione va proposta da ogni interessato davanti allo stesso tribunale; se l’opposizione viene accolta perché l’impresa non ha natura commerciale o perché manca lo stato di insolvenza, il tribunale revoca con sentenza la dichiarazione d’insolvenza. Se, invece, l’opposizione viene accolta solo perché mancano i presupposti dimensionali per la soggezione alla procedura di amministrazione straordinaria, occorre attendere che la sentenza di revoca passi in giudicato e successivamente (cioè dopo il passaggio in giudicato) il tribunale deve disporre con decreto la conversione della procedura in fallimento; è opportuno specificare che tale decreto di conversione non è reclamabile.

Dalla legge non è detto a chi competa scegliere quale dei due programmi alternativi di riequilibrio economico debba essere adottato. È invece la relazione alla legge a dichiarare che la scelta non può essere effettuata dal tribunale in seno al decreto motivato con cui decide l’apertura dell’amministrazione straordinaria, e che essa deve essere compiuta successivamente dal commissario straordinario, il quale redige il programma sotto la vigilanza del Ministro delle attività produttive, e deve presentarglielo entro i 60 giorni successivi al decreto di apertura della procedura. In particolare, l’esecuzione del programma è autorizzata con decreto del Ministro delle attività produttive entro 30 giorni dalla sua presentazione.

Nel programma – qualunque dei due alternativi sia stato scelto – vi si devono indicare:

- i beni aziendali destinati alla prosecuzione dell’impresa e quelli da dimettere;

- le previsioni economiche (cioè, reddituali) e i fabbisogni finanziari (cioè, le esigenze di credito) connesse alla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa;

- le eventuali liquidazioni dei beni non funzionali all’esercizio dell’impresa.

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I due programmi alternativi presentano però una differenza di fondo, e cioè:

• mentre col programma di cessione dei complessi aziendali si avvia una fase liquidatoria, nel senso che con l’esecuzione del programma di cessione si dimettono i beni aziendali, con i quali è il cessionario a continuare a svolgere l’attività d’impresa;

• con il programma di ristrutturazione, invece, si persegue il risanamento dell’impresa in modo che questa alla fine possa anche rimanere allo stesso debitore.

Del tutto indipendente dal tipo di programma adottato è la disciplina di tutela dei lavoratori subordinati: anzitutto, per quanto riguarda lo scopo centrale di conservazione dei posti di lavoro riconosciuto alla procedura di amministrazione straordinaria, è escluso che il commissario straordinario possa sciogliersi dai contratti di lavoro subordinato; e secondariamente, è disposto che il commissario straordinario, quando procede alla vendita di aziende in esercizio, deve scegliere l’acquirente valutando, oltre l’ammontare del prezzo offerto, anche la sua affidabilità ad adempiere gli obblighi di proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e di mantenere per lo stesso periodo i livelli occupazionali che vanno stabiliti nell’atto di vendita.

Gli atti di esecuzione del programma sono compiuti dal commissario straordinario, e precisamente: per quelli più rilevanti (ad esempio, gli atti di alienazione o di affitto di aziende) occorre l’autorizzazione del Ministro delle attività produttive, sentito il parere obbligatorio del comitato di sorveglianza.

Durante l’esecuzione del programma, il commissario straordinario può chiedere al Ministro delle attività produttive, la modifica del programma autorizzato, o la sua sostituzione con il programma alternativo (che devono comunque essere autorizzate dallo stesso Ministro).

Per quanto riguarda la cessazione della procedura di amministrazione straordinaria diciamo che essa (cioè la cessazione) si verifica quando il tribunale – su richiesta del commissario straordinario o d’ufficio – ne dispone con decreto motivato la conversione in fallimento. E precisamente, essa (la conversione), può essere disposta nel corso della procedura, quando l’amministrazione straordinaria “non può essere utilmente proseguita”; oppure essa (cioè la conversione) può essere disposta anche al termine della procedura, ossia alla scadenza del programma autorizzato.

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Con il decreto di conversione, reclamabile da ogni interessato alla corte d’appello, il tribunale nomina gli organi del fallimento in sostituzione di quelli dell’amministrazione straordinaria.

La chiusura dell’amministrazione straordinaria si ha nei seguenti 2 casi:

1) quando, nei termini previsti dalla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, non sono state presentate insinuazioni al passivo;

2) quando, alla scadenza di uno dei due programmi, o anche prima della scadenza, risulta eliminato lo stato di insolvenza.

Se è stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, la chiusura si verifica anche in questi altri 2 casi:

3) quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo;

4) quando, anche prima della ripartizione finale dell’attivo, sono soddisfatti tutti i crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti (ad esempio, per remissione) e sono state pagate le spese della procedura.

La chiusura è dichiarata dal tribunale con decreto motivato, su istanza del commissario straordinario o del debitore, o anche d’ufficio. Il decreto è reclamabile alla corte d’appello (art. 76).

Il tribunale può disporre la riapertura – su istanza del debitore o di qualunque creditore – solo nel caso di chiusura dell’amministrazione straordinaria per ripartizione finale dell’attivo (e quindi se sono rimasti creditori insoddisfatti).

E precisamente, l’effetto della riapertura non è quello di ripresa della procedura di amministrazione straordinaria, bensì la sua conversione in fallimento (art. 77).

La cessazione dell’amministrazione straordinaria può avvenire anche per concordato, la cui proposta dev’essere autorizzata dall’autorità di vigilanza e può essere presentata al tribunale sia dal debitore che da un terzo (art. 78).

Può accadere, inoltre, che sia stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria un’impresa commerciale facente parte di un gruppo di imprese, nel cui concetto rientrano le situazioni di controllo di diritto – diretto o indiretto – e le situazioni in cui le imprese risultano soggette ad una direzione comune.

L’estensione dell’amministrazione straordinaria si attua attraverso le due fasi distinte della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e del successivo decreto di apertura dell’amministrazione straordinaria.

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A seguito della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza di un’impresa di gruppo, sono attribuiti al commissario giudiziale (o, successivamente, al commissario straordinario) particolari poteri per la reintegrazione del patrimonio dell’impresa insolvente. E precisamente, al commissario è attribuita la legittimazione a denunciare ex art. 2409 c.c. le irregolarità degli amministratori delle altre società del gruppo, con la possibilità di esserne nominati amministratori giudiziari; di esercitare le azioni revocatorie contro le altre imprese del gruppo.

Quando lo stato di insolvenza riguarda imprese commerciali che abbiano almeno 500 lavoratori subordinati e debiti per almeno 300 milioni di euro, si può applicare una particolare procedura di amministrazione straordinaria inizialmente diretta a realizzare il risanamento dell’impresa attraverso un programma di ristrutturazione economica e finanziaria.

La richiesta di ammissione, motivata e corredata da un’adeguata documentazione, va presentata dall’imprenditore direttamente al Ministro, con contestuale ricorso al tribunale per la dichiarazione dello stato di insolvenza. Se il tribunale respinge il ricorso per la dichiarazione dell’insolvenza o accerta l’inesistenza dei presupposti dimensionali, cessano gli effetti del provvedimento ministeriale di ammissione, pur rimanendo salvi quelli degli atti legalmente compiuti dal commissario straordinario. In caso contrario, lo stesso commissario – entro 180 giorni dal decreto di nomina – deve presentare al Ministro il programma di ristrutturazione del debito, per il risanamento dell’impresa, onde ne venga autorizzata l’esecuzione (art. 4).

Tuttavia è opportuno specificare che, il programma di risanamento non può avere una durata superiore a 2 anni.

Nel programma può anche essere previsto che la soddisfazione dei creditori avvenga attraverso un concordato, nel quale si possono proporre:

a) la suddivisione dei creditori in classi secondo la posizione giuridica ed interessi economici omogenei (ad esempio, fornitori, finanziatori, professionisti);

b) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse;

c) la soddisfazione dei creditori, anche mediante accolli, fusioni o altre operazioni societarie;

d) l’attribuzione ad un assuntore delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato, con l’eventuale

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cessione delle azioni revocatorie già promosse dal commissario straordinario.

Il concordato è approvato se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto o – se sono previste diverse classi di creditori – il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella stessa classe. Se la maggioranza è raggiunta, il tribunale approva il concordato con sentenza in camera di consiglio. Se, invece, il tribunale respinge il concordato, il commissario straordinario può proseguire l’attività imprenditoriale, se presenta al Ministro un programma di cessione dei beni aziendali; se tale programma (di cessione) non viene presentato o, comunque, non è autorizzato dal Ministro, “il tribunale … dispone la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento”, restando salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura.

Alla conversione in fallimento il tribunale procede anche quando il Ministro non ha autorizzato l’esecuzione del programma di ristrutturazione.

I MEZZI PER EVITARE IL FALLIMENTO, LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA E L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA

IL CONCORDATO PREVENTIVO

È, innanzitutto, opportuno premettere che la normativa originaria è stata modificata dalla legge 14 maggio 2005 n.80, dalla quale non è però definito il concetto di “stato di crisi” introdotto

nell’art. 160 della legge fallimentare quale presupposto per la richiesta di ammissione alla procedura concordataria.

E precisamente, all’imprenditore che si è venuto a trovare in stato di crisi il legislatore concede la possibilità di evitare il fallimento o l’amministrazione straordinaria mediante un

concordato preventivo da concludersi coi suoi creditori prima dell’apertura del procedimento concorsuale esecutivo.

La domanda di concordato preventivo è presentata dall’imprenditore al tribunale, perché sia sottoposta all’approvazione dei creditori, sulla base di un piano analogo a quello previsto per il procedimento speciale di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi.

Nel piano l’imprenditore può, infatti, prevedere:

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a) la ristrutturazione dei debiti, poiché – a differenza di quanto può accadere nel concordato fallimentare – nel concordato preventivo i creditori privilegiati vanno soddisfatti integralmente;

b) la soddisfazione dei crediti (chirografari) attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di beni, accollo o altre operazioni straordinarie;

c) l’eventuale attribuzione dell’attivo ad un terzo assuntore;

d) l’eventuale suddivisione dei creditori in classi, anche con trattamenti differenziati.

In particolare la domanda dell’imprenditore deve presentarsi con ricorso al tribunale del luogo dov’è posta la sede principale dell’impresa.

Al ricorso bisogna unire:

1. una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa

2. uno stato analitico ed estimativo delle attività

3. l’elenco nominativo dei creditori

4. l’elenco dei titolari di diritti reali o personali su beni del debitore

5. il valore dei beni e l’indicazione dei creditori personali degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

Il piano e la documentazione devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità dello stesso piano.

Il tribunale – sentito il pubblico ministero – accerta la completezza e la regolarità della documentazione e, se sono previste diverse classi di creditori, la correttezza dei criteri adottati per la loro formazione.

In caso di accertamento negativo dichiara – con decreto non soggetto a reclamo – inammissibile la proposta di concordato e, con separata sentenza, pronuncia d’ufficio il fallimento.

In caso di accertamento positivo, invece, il tribunale dichiara – sempre con decreto motivato non soggetto a reclamo – aperta la procedura di concordato preventivo (art. 163 c.1 1. fall.).

Lo stesso decreto deve contenere le seguenti statuizioni:

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- la nomina del giudice delegato e del commissario giudiziale

- la data per l’adunanza dei creditori

- il termine entro il quale l’imprenditore deve, pena la dichiarazione di fallimento, depositare nella cancelleria del tribunale la somma che si presume necessaria per l’espletamento dell’intera procedura.

Al decreto viene data, a cura del cancelliere, la seguente pubblicazione:

affissione all’albo del tribunale

iscrizione nel registro delle imprese

pubblicazione in uno o più giornali eventualmente indicati dal tribunale

annotazione nei registri mobiliari e immobiliari relativi ai beni mobili (registrati) ed immobili del ricorrente.

Anche il concordato preventivo (come il fallimento) è caratterizzato dal principio della par condicio creditorum.

Per quanto riguarda gli organi diciamo che:

le funzioni del giudice delegato sono analoghe a quelle del fallimento, infatti egli (il giudice) adotta i suoi provvedimenti sotto forma di decreti reclamabili al tribunale;

le funzioni del commissario giudiziale sono analoghe a quelle del curatore fallimentare.

L’imprenditore, però, conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, seppure sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Inoltre, gli è espressamente vietato di compiere atti di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato; nel caso li dovesse compiere senza detta autorizzazione, essi (cioè gli atti), sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato, ed inoltre ne deriva l’apertura del fallimento (art. 173 c.2 1. fall).

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Il commissario giudiziale, subito dopo la sua nomina, deve compiere una serie di atti, in vista dell’adunanza dei creditori. E precisamente, egli deve:

1. verificare l’elenco dei creditori e dei debitori, apportandovi le necessarie modifiche;

2. comunicare ai creditori, con raccomandata o telegramma, la data dell’adunanza e le proposte del debitore;

3. redigere l’inventario del patrimonio del debitore e preparare una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulla convenienza e sulle garanzie del concordato, depositandola nella cancelleria almeno 3 giorni prima dell’adunanza dei creditori.

Nel giorno stabilito nel decreto del tribunale ha luogo l’adunanza dei creditori, presieduta dal giudice delegato.

L’ordine delle operazioni nell’adunanza è il seguente:

1) il commissario giudiziale illustra la sua relazione e le proposte definitive del debitore;

2) ogni creditore può esporre le ragioni per cui non ritiene ammissibile o accettabile la proposta di concordato, e può contestare i creditori concorrenti; il debitore può rispondere, e a sua volta contestare i creditori concorrenti;

3) quindi il giudice decide sull’ammissione (o meno) dei crediti contestati;

4) si passa quindi alla votazione(con le stesse modalità previste per il concordato fallimentare);

5) la votazione viene documentata in un processo verbale, distinguendo i creditori in favorevoli e contrari, e indicando i loro nomi e l’ammontare del loro credito; il verbale viene quindi chiuso con la sottoscrizione del giudice e del cancelliere.

Se non si raggiunge la maggioranza numerica dei votanti, il concordato è respinto ed il giudice delegato ne riferisce al tribunale che dichiara il fallimento. Se, invece, si raggiunge la maggioranza numerica, ma non la maggioranza dei crediti ammessi al voto, vengono computate anche le adesioni favorevoli pervenute per telegramma o per lettera nei 20 giorni successivi alla chiusura del verbale; se neanche con queste adesioni si raggiunge la maggioranza dei crediti, il concordato è respinto ed il giudice delegato ne riferisce al tribunale, che dichiara il fallimento.

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Se le maggioranze sono raggiunte, il concordato è approvato e si deve, quindi, passare al procedimento di omologazione (art. 180 1. fall.), e precisamente: il giudice delegato fissa con ordinanza l’udienza di comparazione dinanzi a sé, entro un termine non superiore a 30 giorni dalla affissione della stessa ordinanza. La causa dev’essere iscritta a ruolo. Il tribunale fissa un’udienza camerale per la comparazione del debitore e del commissario giudiziale, provvedimento che viene notificato dal debitore, oltre che al commissario, anche ai creditori dissenzienti; questi, e qualunque altro interessato, se intendono opporsi all’omologazione del concordato, devono costituirsi in cancelleria almeno 10 giorni prima dell’udienza di comparazione depositando un atto di opposizione.

Il tribunale approva il concordato se sono state raggiunte, con voti validi, le maggioranze prescritte. L’approvazione del concordato avviene con decreto (c.d. decreto di omologazione), che deve essere emesso nel termine di 6 mesi dalla presentazione della domanda di concordato.

Il concordato omologato è efficace, e quindi vincolante, per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura di concordato.

Contro il decreto di omologazione possono appellare gli opponenti; contro il decreto che respinge il concordato può appellare il debitore. L’atto di appello deve essere notificato alle altre parti del giudizio di omologazione (cioè, debitori e creditori opponenti), nonché al commissario giudiziale.

Al decreto di appello è data la stessa pubblicità prescritta per la sentenza dichiarativa di fallimento e contro di essa di può ricorrere in cassazione nel termine ordinario di 60 giorni dalla data dell’affissione della sentenza d’appello.

Il concordato viene eseguito sotto la sorveglianza del commissario giudiziale.

Il concordato preventivo può essere annullato o risolto nelle stesse ipotesi in cui può essere annullato o risolto il concordato fallimentare (art. 186 c.1 1. fall.).

Nel caso di concordato mediante cessione di beni, si ha la risoluzione del concordato se dalla loro liquidazione non si ricavano le somme necessarie per il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati, o non si ricavi alcuna percentuale per il pagamento dei creditori (chirografari).

Con la sentenza che annulla o risolve il concordato il tribunale dichiara il fallimento, o provvede alla dichiarazione di insolvenza, che comunica all’autorità competente, se si tratta di un’impresa soggetta

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ad amministrazione straordinaria o a liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento.

ACCORDI EXTRAGIUDIZIARI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

Invece di presentare una tipica proposta di concordato preventivo, l’imprenditore può preferire stipulare direttamente in accordo di ristrutturazione del debito con coloro i cui crediti nei suoi confronti ammontano almeno sino al 60% della sua esposizione debitoria, chiedendo l’omologazione dell’accordo al tribunale.

L’omologazione occorre per evitare che i pagamenti effettuati in esecuzione dell’accordo possano, in caso di successivo fallimento, essere soggetti all’azione revocatoria fallimentare.

Inoltre, l’omologazione giudiziaria è anche richiesta per tutelare i diritti dei creditori estranei agli accordi di ristrutturazione, che devono essere soddisfatti regolarmente. È prescritto, infatti, che la domanda di omologazione dell’accordo vada depositata in tribunale “unitamente ad una relazione redatta da un esperto sull’abitualità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei” all’accordo.

L’accordo di ristrutturazione diventa efficace dopo la sua pubblicazione nel registro delle imprese. Entro 30 giorni dalla pubblicazione, i creditori e ogni altro interessato possono presentare opposizione; se tali opposizioni sono respinte, il tribunale procede all’omologazione con un decreto camerale, reclamabile alla corte d’appello entro 15 giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese (art. 182-bis c. 2°-5°).

Leggi approvate a fine 2008 molto importanti

D. lgs. n. 172/2008 che modifica artt. 2427, 2427 bis, 2345 bis del codice civile

1. All'articolo 2427, primo comma, del codice civile, dopo il numero 22 sono aggiunti i seguenti:

«22-bis) le operazioni realizzate con parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali condizioni

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di mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia necessaria per comprendere gli effetti delle operazioni medesime sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società;

22-ter) la natura e l'obiettivo economico di accordi non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione del loro effetto patrimoniale, finanziario ed economico, a condizione che i rischi e i benefici da essi derivanti siano significativi e l'indicazione degli stessi sia necessaria per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società.».

2. Dopo il primo comma dell'articolo 2427 del codice civile, e'aggiunto il seguente:

«Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427-bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di "strumento finanziario", "strumento finanziario derivato", "fair value", "parte correlata" e "modello e tecnica di valutazione generalmente accettato" si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea.».

3. Il quinto comma dell'articolo 2427-bis del codice civile e' abrogato.

4. Al primo comma dell'articolo 2435-bis del codice civile, i numeri 1) e 2) sono sostituiti dai seguenti:

«1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro;

2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro;».

5. All'articolo 2435-bis del codice civile, dopo il quinto comma e'inserito il seguente:

«Le società possono limitare l'informativa richiesta ai sensi dell'articolo 2427, primo comma, numero 22-bis, alle operazioni realizzate direttamente o indirettamente con i loro maggiori azionisti ed a quelle con i membri degli organi di amministrazione e controllo, nonché limitare alla natura e all'obiettivo economico le informazioni richieste ai sensi dell'articolo 2427, primo comma, numero 22-ter».

- Il testo dell'art. 2427 del codice civile, cosi' come modificato dal presente decreto, cosi' recita:

«Art. 2427 (Contenuto della nota integrativa). – La nota integrativa deve indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni:

1) i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella

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conversione dei valori non espressi all'origine in moneta avente corso legale nello Stato;

2) i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce: il costo; le precedenti rivalutazioni, ammortamenti e svalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da una ad altra voce, le alienazioni avvenuti nell'esercizio; le rivalutazioni, gli ammortamenti e le svalutazioni effettuati nell'esercizio; il totale delle rivalutazioni riguardanti le immobilizzazioni esistenti alla chiusura dell'esercizio;

3) la composizione delle voci: «costi di impianto e di ampliamento» e: «costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità', nonché le ragioni della iscrizione ed i rispettivi criteri di ammortamento»;

3-bis) la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e immateriali, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante, al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell'esercizio;

4) le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell'attivo e del passivo; in particolare, per le voci del patrimonio netto, per i fondi e per il trattamento di fine rapporto, la formazione e le utilizzazioni;

5) l'elenco delle partecipazioni, possedute direttamente o per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, in imprese controllate e collegate, indicando per ciascuna la denominazione, la sede, il capitale, l'importo del patrimonio netto, l'utile o la perdita dell'ultimo esercizio, la quota posseduta e il valore attribuito in bilancio o il corrispondente credito;

6) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti di durata residua superiore a cinque anni, e dei debiti assistiti da garanzie reali su beni sociali, con specifica indicazione della natura delle garanzie e con specifica ripartizione secondo le aree

geografiche;

6-bis) eventuali effetti significativi delle variazioni nei cambi valutari verificatesi successivamente alla chiusura dell'esercizio;

6-ter) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti relativi ad operazioni che prevedono l'obbligo per l'acquirente di retrocessione a termine;

7) la composizione delle voci «ratei e risconti attivi» e «ratei e risconti passivi» e della voce «altri fondi» dello stato patrimoniale, quando il

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loro ammontare sia apprezzabile, nonché la composizione della voce «altre riserve»;

7-bis) le voci di patrimonio netto devono essere analiticamente indicate, con specificazione in appositi prospetti della loro origine, possibilità di utilizzazione e distribuibilità, nonché della loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi;

8) l'ammontare degli oneri finanziari imputati nell'esercizio ai valori iscritti nell'attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce;

9) gli impegni non risultanti dallo stato patrimoniale; le notizie sulla composizione e natura di tali impegni e dei conti d'ordine, la cui conoscenza sia utile per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria della società, specificando quelli relativi a imprese controllate, collegate, controllanti e a imprese sottoposte al controllo di queste ultime;

10) se significativa, la ripartizione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni secondo categorie di attività e secondo aree geografiche;

11) l'ammontare dei proventi da partecipazioni, indicati nell'art. 2425, numero 15), diversi dai dividendi;

12) la suddivisione degli interessi ed altri oneri finanziari, indicati nell'art. 2425, n. 17), relativi a prestiti obbligazionari, a debiti verso banche, e altri;

13) la composizione delle voci: «proventi straordinari» e: «oneri straordinari» del conto economico, quando il loro ammontare sia apprezzabile;

14) un apposito prospetto contenente:

a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte differite e anticipate, specificando l'aliquota applicata e le variazioni rispetto all'esercizio precedente, gli importi accreditati o addebitati a conto economico oppure a patrimonio netto, le voci escluse dal computo e le relative motivazioni;

b) l'ammontare delle imposte anticipate contabilizzato in bilancio attinenti a perdite

dell'esercizio o di esercizi precedenti e le motivazioni dell'iscrizione, l'ammontare non ancora contabilizzato e le motivazioni della mancata iscrizione;

15) il numero medio dei dipendenti, ripartito per categoria;

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16) l'ammontare dei compensi spettanti agli amministratori ed ai sindaci, cumulativamente per ciascuna categoria;

17) il numero e il valore nominale di ciascuna categoria di azioni della società e il numero e il valore nominale delle nuove azioni della società sottoscritte durante l'esercizio;

18) le azioni di godimento, le obbligazioni convertibili in azioni e i titoli o valori simili emessi

dalla società, specificando il loro numero e i diritti che essi attribuiscono;

19) il numero e le caratteristiche degli altri strumenti finanziari emessi dalla società, con

l'indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi che conferiscono e delle principali caratteristiche delle operazioni relative;

19-bis) i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori;

20) i dati richiesti dal terzo comma dell'art. 2447-septies con riferimento ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell'art. 2447-bis;

21) i dati richiesti dall'art. 2447-decies, ottavo comma;

22) le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base di un apposito prospetto sulla base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinato utilizzando tassi di interesse pari all'onere finanziario effettivo inerenti i singoli contratti, l'onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all'esercizio, l'ammontare complessivo al

quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell'esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata indicazione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti all'esercizio;

22-bis) le operazioni realizzate con le parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali

condizioni di mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia necessaria per comprendere gli

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effetti delle operazioni medesime sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società;

22-ter) la natura e l'obiettivo economico di accordi non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione del loro effetto patrimoniale finanziario ed economico, a condizione che i rischi e i benefici da essi derivanti siano significativi e l'indicazione degli stessi sia necessaria per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società.

Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427-bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di « strumento finanziario», «strumento finanziario derivato»", « fair value»", « parte correlata»" e «"modello e tecnica di valutazione generalmente accettato»" si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea.».

- Il testo dell'art. 2427-bis del codice civile, cosi' come modificato dal presente decreto, cosi' recita:

«Art. 2427-bis (Informazioni relative al valore equo «fair value» degli strumenti finanziari). –

Nella nota integrativa sono indicati: 1) per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati:

a) il loro fair value;

b) informazioni sulla loro entita' e sulla loro natura;

2) per le immobilizzazioni finanziarie iscritte a un valore superiore al loro fair value, con esclusione delle

partecipazioni in societa' controllate e collegate ai sensi dell'art. 2359 e delle partecipazioni in joint venture:

a) il valore contabile e il fair value delle singole attivita', o di appropriati raggruppamenti di tali

attivita';

b) i motivi per i quali il valore contabile non e' stato ridotto, inclusa la natura degli elementi sostanziali

sui quali si basa il convincimento che tale valore possa essere recuperato.

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2. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del comma 1, sono considerati strumenti finanziari derivati

anche quelli collegati a merci che conferiscono all'una o all'altra parte contraente il diritto di procedere alla

liquidazione del contratto per contanti o mediante altri strumenti finanziari, ad eccezione del caso in cui si

verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni:

a) il contratto sia stato concluso e sia mantenuto per soddisfare le esigenze previste dalla societa' che

redige il bilancio di acquisto, di vendita o di utilizzo delle merci;

b) il contratto sia stato destinato a tale scopo fin dalla sua conclusione;

c) si prevede che il contratto sia eseguito mediante consegna della merce.

3. Il fair value e' determinato con riferimento:

a) al valore di mercato, per gli strumenti finanziari per i quali e' possibile individuare facilmente un mercato

attivo; qualora il valore di mercato non sia facilmente individuabile per uno strumento, ma possa essere

individuato per i suoi componenti o per uno strumento analogo, il valore di mercato può essere derivato da

quello dei componenti o dello strumento analogo;

b) al valore che risulta da modelli e tecniche di valutazione generalmente accettati, per gli strumenti per i

quali non sia possibile individuare facilmente un mercato attivo; tali modelli e tecniche di valutazione devono assicurare una ragionevole approssimazione al valore di mercato.

4. Il fair value non e' determinato se l'applicazione dei criteri indicati al comma precedente non da' un

risultato attendibile.

5. (Abrogato).».

- Il testo dell'art. 2435-bis del codice civile, cosi' come modificato dal presente decreto, e' il seguente:

«Art. 2435-bis (Bilancio in forma abbreviata). –

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Le societa', che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, possono redigere il bilancio in

forma abbreviata quando, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano

superato due dei seguenti limiti:

1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale 4.400.000 euro;

2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro;

3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unita'.

Nel bilancio in forma abbreviata lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell'art. 2424 con lettere maiuscole e con numeri romani; le voci A e D dell'attivo possono essere comprese nella voce CII; dalle voci BI e BII dell'attivo devono essere detratti in forma esplicita gli ammortamenti e le svalutazioni; la voce E del passivo puo' essere compresa nella voce D; nelle voci CII dell'attivo e D del passivo devono essere separatamente indicati i crediti e i debiti esigibili oltre l'esercizio successivo.

Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata le seguenti voci previste dall'art. 2425 possono essere tra loro raggruppate:

voci A2 e A3;

voci B9(c), B9(d), B9(e);

voci B10(a), B10(b),B10(c);

voci C16(b) e C16(c);

voci D18(a), D18(b), D18(c);

voci D19(a), D19(b), D19(c).

Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata nella voce E20 non e' richiesta la separata indicazione

delle plusvalenze e nella voce E21 non e' richiesta la separata indicazione delle minusvalenze e delle imposte

relative a esercizi precedenti.

Nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal numero 10 dell'art. 2426 e dai numeri 2), 3),

7), 9), 10), 12), 13), 14), 15), 16) e 17) dell'art. 2427 e dal numero 1) del comma 1 dell'art. 2427-bis; le

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indicazioni richieste dal numero 6) dell'art. 2427 sono riferite all'importo globale dei debiti iscritti in

bilancio Le societa' possono limitare l'informativa richiesta ai sensi dell'art. 2427, primo comma, numero 22-bis, alle operazioni realizzate direttamente o indirettamente con i loro maggiori azionisti ed a quelle con i membri degli organi di amministrazione e controllo, nonché limitare alla natura e all'obiettivo economico le informazioni richieste ai sensi dell'art. 2427, primo comma, numero 22-ter.

Qualora le societa' indicate nel primo comma forniscano nella nota integrativa le informazioni richieste dai numeri 3) e 4) dell'art. 2428, esse sono esonerate dalla redazione

della relazione sulla gestione.

Le societa' che a norma del presente articolo redigono il bilancio in forma abbreviata devono redigerlo in forma ordinaria quando per il secondo esercizio consecutivo abbiano superato due dei limiti indicati nel primo comma.».

Decreto anticrisi l. n.2 del 28/01/2009

Accertamenti (articolo 27, commi da 1 a 8) Raffica di misure in materia di accertamento dei tributi. Viene ampliata la possibilità per il contribuente di usufruire dell'istituto dell'accertamento con adesione: il soggetto passivo dell'obbligazione tributaria può prestare adesione anche ai contenuti dell'invito a comparire innanzi al competente ufficio dell'amministrazione finanziaria, per quanto attiene alle imposte dirette e all'Iva. L'adesione all'invito a comparire innesca un meccanismo premiale: si riducono alla metà le sanzioni applicabili per le violazioni relative ai tributi oggetto dell'adesione commesse nel periodo d'imposta e le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo. Se il contribuente aderisce all'invito a comparire, le sanzioni sono ridotte a un ottavo del minimo. Escluso l'obbligo di prestare garanzie in caso di pagamento rateale. Le somme dovute generano interessi al saggio legale, calcolati dal giorno successivo al versamento della prima rata. Il mancato pagamento delle somme dovute di comporta l'iscrizione a ruolo a titolo definitivo dei relativi importi. L'invito al contraddittorio non si applica agli inviti preceduti dai verbali di constatazione ai fini dell'accertamento parziale, per i quali è prevista la possibilità di adesione, ove tale adesione non sia stata prestata, e con riferimento alle maggiori imposte e altre somme relative alle violazioni indicate nei processi verbali che consentono l'emissione di accertamenti parziali. L'invito a comparire deve essere

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motivato e contenere le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni e interessi dovuti in caso di definizione agevolata, nonché i motivi che hanno dato luogo alla determinazione di tali maggiori imposte, ritenute e contributi. Esteso l'ambito operativo dell'adesione ai contenuti dell'invito a comparire, consentendo al contribuente di usufruire di questa modalità di definizione anche per quanto riguarda le altre imposte indirette, diverse dall'Iva. Nel caso di adesione all'invito a comparire, la misura delle sanzioni è ridotta a un ottavo del minimo previsto dalla legge. Le norme sull'adesione ai contenuti dell'invito a comparire, per quanto attiene all'accertamento delle imposte dirette e dell'Iva, si applichino agli inviti emessi dagli uffici dell'Agenzia delle entrate a decorrere dal 1° gennaio 2009. Le norme introdotte in materia di definizione agevolata relative alle altre imposte indirette si applicano dal momento dell'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge anticrisi. Limiti a ulteriori attività di accertamento presuntivo nei confronti dei contribuenti che aderiscono agli inviti a comparire emessi in relazione degli studi di settore, per i periodi d'imposta in corso al 31 dicembre 2006 e successivi. Modificate le disposizioni (articolo 4 del Dlgs 218/1997) in tema di competenza degli uffici dell'amministrazione finanziaria per la definizione degli accertamenti relativi alle imposte sui redditi e all'imposta sul valore aggiunto. Ampliato l'ambito applicativo di alcune misure cautelari previste dal Dlgs 472/1997. L'applicazione delle misure cautelari dell'iscrizione di ipoteca e del sequestro conservativo (di cui all'articolo 22 del citato D.Lgs. n. 472 del 1997) è estesa all'insieme delle somme dovute per il pagamento di tributi e relativi interessi vantati dagli uffici e dagli enti in base ai processi verbali di constatazione. Se sussiste pericolo per la riscossione, dopo la notifica degli atti con i quali vengono accertati maggiori tributi, le disposizioni cautelari si applicano a tutti gli importi dovuti. Disciplina particolare in tema di efficacia dei provvedimenti cautelari adottati per i crediti nascenti da atti di accertamento. Le misure cautelari perdono efficacia dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento della cartella per gli importi iscritti a ruolo. Interventi sulla disciplina del diritto (in capo al concessionario della riscossione, nei confronti dell'ente creditore) al discarico per inesigibilità.

Accertamenti su particolari categorie di contribuenti (articolo 27, commi da 9 a 15) Disposizioni in materia di controlli fiscali su determinate categorie di contribuenti, o imprese di grandi dimensioni. L'Agenzia delle entrate è tenuta di norma ad attivare un controllo sostanziale sulle dichiarazioni dei redditi e sulle dichiarazioni Iva delle imprese di più rilevante dimensione. Il controllo deve essere attivato entro l'anno successivo a quello della presentazione delle dichiarazioni. Per "imprese di più

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rilevante dimensione", si intendono quelle che conseguono un volume d'affari o ricavi non inferiori a 300 milioni di euro. L'importo verrà gradualmente diminuito fino a 100 milioni di euro entro il 31 dicembre 2011, con modalità stabilite tramite provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate. Fissate le modalità del "controllo sostanziale", da effettuarsi selettivamente, sulla base di specifiche analisi di rischio. Disposizioni sulle istanze di interpello presentate dalle imprese di grandi dimensioni sottoposte alla disciplina testé illustrata in tema di controlli. Disposizioni organizzative per l'Agenzia delle entrate: vengono ridefinite le competenze interne delle varie strutture in funzione delle nuove norme in materia di controllo sulle grandi imprese.

Agevolazioni fiscali per le Onlus (articolo 30) L'articolo dedicato ai circoli privati (si legga la voce nell'abc), comprende anche due commi dedicati alle agevolazioni fiscali per le Onlus (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale). Vengono inoltre elencati i requisiti necessari a configurare un ente come Onlus e a consentire l'accesso alle agevolazioni (anche di natura fiscale) che la legge accorda. Si considera "attività di beneficienza", rilevante ai fini della configurazione dei requisiti delle Onlus, anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro, con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti privi di scopo di lucro operanti in alcuni specifici settori, per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale. La qualifica di Onlus (con i conseguenti benefici fiscali) prevista dall'articolo 10 comma 8 del decreto legislativo di disciplina delle Onlus (Dlgs 460/1997) spetta alle associazioni e alle organizzazioni di volontariato che non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali, senza che tale qualifica sia condizionata alla trasmissione dei dati all'Agenzia delle entrate. Previste agevolazioni fiscali per le Onlus: viene estesa l'applicazione dell'imposta catastale in misura fissa, per un importo pari a 168 euro, ai trasferimenti in favore delle Onlus nei casi in cui ricorrano le condizioni di cui alla nota II-quater all'articolo 1, comma 1, parte I della Tariffa allegata al Dpr 131/1986. Le agevolazioni fiscali per le Onlus trovano applicazione fino al 31 dicembre 2009. L'onere di attuazione delle agevolazioni fiscali in tema di imposta catastale è quantificato in 3 milioni di euro per il solo anno 2009.

Ammortizzatori sociali (articolo 19, commi da 1 a 17) Disposizioni in materia di ammortizzatori sociali. Interventi, nell'ambito del Fondo per l'occupazione e nei limiti di specifici stanziamenti, per riconoscere l'accesso a specifici istituti di tutela del reddito (comprese le somme per contribuzione figurativa e assegni al nucleo familiare) in caso di sospensione dal lavoro dei soggetti interessati. Preordinate le somme di 289 milioni di euro per l'anno

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2009, di 304 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e di 54 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012. Un decreto del ministero del Lavoro, di concerto con l'Economia, fisserà modalità e criteri di priorità per l'accesso a una serie di istituti di tutela del reddito, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto anticrisi. È riconosciuto l'accesso, per specifiche categorie di lavoratori, all'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali, all'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti, a un trattamento, in via sperimentale, per il triennio 2009-2011, pari all'indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali per i lavoratori assunti con la qualifica di apprendista, all'istituto sperimentale per il triennio 2009-2011, di tutela del reddito per i lavoratori a progetto in possesso di determinati requisiti, pari al 10% del reddito dell'anno precedente. Per il trasporto aereo, varata la cosiddetta norma salva-Malpensa: per assicurare il mantenimento dei collegamenti internazionali e i livelli occupazionali del settore, entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto anticrisi, il ministero delle Infrastrutture, di concerto con il ministero degli Affari esteri, promuoverà la conclusione di accordi bilaterali, o la modifica di quelli esistenti, per consentire di ampliare il numero dei vettori operanti sulle rotte interne e internazionali, o incrementare le frequenze sulle quali è consentito operare i voli, dando priorità ai vettori che si impegnano a mantenere i livelli occupazionali. In via transitoria si prevede inoltre che l'Enac per consentire la massima accessibilità alle rotte internazionali da e per l'Italia, rilasci ai vettori che ne facciano richiesta autorizzazioni temporanee, di durata non inferiore a 18 mesi. In caso di mobilità tra i fondi interprofessionali per la formazione continua, la quota di adesione a carico del datore di lavoro presso il fondo di provenienza deve essere trasferita al fondo interprofessionale di adesione in misura pari al 70% del totale, al netto dell'ammontare eventualmente già utilizzato dallo stesso datore di lavoro per finanziare propri piani formativi. Il trasferimento è effettivo a condizione che l'importo da trasferire per tutte le posizioni contributive del datore di lavoro interessato sia almeno pari a 3mila euro. Obbligo, per il fondo di provenienza, di eseguire il trasferimento entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta da parte del datore di lavoro, senza addebito di oneri o costi, nonché il versamento di eventuali arretrati pervenuti dall'Inps entro 90 giorni dal loro ricevimento. Previsti ammortizzatori sociali in deroga. Proroga dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale già concessi, disposta nell'ambito delle risorse finanziarie destinate per il 2009 alla concessione di trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale, nonché dei programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, definiti in specifiche intese stipulate in

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sede istituzionale territoriale entro il 20 maggio 2009 e recepite in accordi in sede governativa entro il 15 giugno 2009. Il diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito previsto dalla legislazione vigente in materia di ammortizzatori sociali, è subordinato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale. In caso di rifiuto di rifiuto di sottoscrivere la dichiarazione o, una volta sottoscritta, in caso di rifiuto di un percorso di riqualificazione professionale o di un lavoro congruo, il lavoratore perde il diritto a qualsiasi erogazione di carattere retributivo e previdenziale, anche a carico del datore di lavoro, fatti salvi i diritti già maturati. Per i lavoratori non destinatari dei trattamenti di mobilità, in caso di licenziamento, prevista l'erogazione di un trattamento di ammontare equivalente all'indennità di mobilità nell'ambito delle risorse finanziarie destinate per l'anno 2009 agli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa.

Anticipazione del trattamento di fine rapporto (articolo 4, commi 4 e 5) Modificate le norme sull'estensione ai dipendenti pubblici della disciplina sulle anticipazioni del trattamento di fine rapporto prevista per i dipendenti privati. Il previsto decreto del ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione, di concerto con i ministri dell'Economia e del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, oltre alle modalità applicative, dovrà indicare requisiti e criteri per l'estensione. Il provvedimento dovrà essere emanato decreto entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge anticrisi. L'estensione dovrebbe riguardare solo i dipendenti pubblici in regime di trattamento di fine rapporto e non quelli in regime di trattamento di fine servizio.

Assegni familiari (articolo 2, comma 5-bis) Sono destinate al finanziamento degli assegni familiari le eventuali minori spese a carico dello Stato per l'anno 2009 in relazione alla disposizione sull'assunzione da parte dello Stato di una quota delle rate dei mutui a tasso variabile (rispetto al già previsto importo di 350 milioni), registrate all'esito dell'attività di monitoraggio dei flussi finanziari.

Aziende commerciali in crisi (articolo 19-ter) Vengono ripristinati, per il periodo 1° gennaio 2009- 31 dicembre 2011, gli indennizzi per le aziende commerciali in crisi previsti dal Dlgs 207/1996. Proroga fino al 2013 dell'aliquota contributiva aggiuntiva dello 0,09% prevista a carico degli iscritti alla Gestione degli esercenti attività commerciali presso l'Inps. Prevista la facoltà, da parte dei soggetti interessati, di presentare le domande presso le sedi periferiche dell'Inps, ai fini della concessione dell'indennizzo,

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entro il 31 gennaio 2012. L'erogazione dell'indennizzo è prevista fino al momento della decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia.

Bonus straordinario (articolo 1) Varato un bonus straordinario destinato ai soggetti residenti, componenti di un nucleo familiare a basso reddito. L'importo del beneficio è determinato in base al numero dei componenti della famiglia e all'ammontare del reddito complessivo, da un minimo di 200 euro a un massimo di mille euro. Nello stato di previsione del ministero dell'Economia e delle Finanze è istituito un Fondo ad hoc, per l'anno 2009, con una dotazione di 2,4 miliardi, finanziati dalle maggiori entrate derivanti dal decreto legge anticrisi. Avranno 200 euro i soggetti titolari di reddito di pensione ed unici componenti del nucleo familiare, con reddito fino a 15mila euro; 300 euro per il nucleo familiare di due componenti, con reddito complessivo familiare fino a 17mila euro; 450 euro per il nucleo familiare di tre componenti, con reddito complessivo familiare fino a 17mila euro; 500 euro per il nucleo familiare di quattro componenti, con reddito complessivo familiare fino a 20mila euro; 600 euro per il nucleo familiare di cinque componenti, con reddito complessivo familiare fino a 20mila euro; 1.000 euro per il nucleo familiare di oltre cinque componenti, con reddito complessivo familiare fino a 20mila euro; mille euro per il nucleo familiare con componenti portatori di handicap per i quali ricorrano le condizioni previste dall'articolo 12, comma 1, del Tuir, con reddito complessivo familiare fino a 35mila euro. Il bonus è attribuito a un solo componente del nucleo familiare e non costituisce reddito né ai fini fiscali né ai fini della corresponsione di prestazioni previdenziali e assistenziali, compresa la social card. Il beneficio è erogato dai sostituti d'imposta presso i quali i soggetti beneficiari del bonus prestano l'attività lavorativa o sono titolari di trattamento pensionistico o di altri trattamenti, sulla base dei dati contenuti nella richiesta autocertificata presentata dagli interessati entro il 28 febbraio 2009 (prima la data era il 31 gennaio). La richiesta può essere effettuata anche mediante i soggetti indicati dall'articolo 3, comma 3, del Dpr 322/1998, ai quali non spetta alcun compenso. Il bonus viene erogato dal sostituto d'imposta e dagli enti pensionistici ai quali è stata presentata la richiesta, rispettivamente entro il mese di febbraio e marzo 2009, in relazione ai dati autocertificati se riferiti al periodo di imposta 2007. Se il bonus richiesto è riferito al periodo d'imposta 2008 il sostituto d'imposta e gli enti pensionistici ai quali è stata presentata la richiesta erogano il beneficio, rispettivamente entro il mese di aprile e maggio 2009, in base ai dati autocertificati presentati entro il 31 marzo 2009.

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La detassazione degli utili per l’acquisto dei macchinari delle aziende sarà al 50% e riguarderà solo i redditi d’impresa, e non quelli da lavoro autonomo. Anche per il bonus sull’occupazione si confermano le indiscrezioni dei giorni scorsi. «Invece di pagare la cassa inte-grazione dopo, diamo la possibilità alle imprese che non licenziano di incassare prima il bonus» ha spiegato Tremonti. Ci sono, poi, le misure che riguardano l’energia, «che comporteranno — secondo il ministro — una riduzione dei costi sia per le imprese che per le fa-miglie », e lo sblocco degli investimenti privati, con un alleggerimento dei passaggi burocratici per le autorizzazioni. Un’intera sezione del decreto riguarda il fisco. Ci sono provvedimenti studiati per favorire gli investimenti nelle tecnologie, che avranno tempi di ammortamento più lunghi, mentre saranno accorciati quelli «per i beni meno strate-gici ». E ci sono parecchi interventi mirati a ridurre l’elusione.

D.l. n. 112 del 25/06/2008

Art. 38.Impresa in un giorno

1. Al fine di garantire il diritto di iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della Costituzione, l'avvio di attività imprenditoriale, per il soggetto in possesso dei requisiti di legge, e' tutelato sin dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività o dalla richiesta del titolo autorizzatorio.

2. Le disposizioni del presente articolo attengono ai livelli essenziali delle prestazioni per garantire uniformemente i diritti civili e sociali ed omogenee condizioni per l'efficienza del mercato e la concorrenzialità delle imprese su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, seconda comma, lettera m) della Costituzione.

3. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa, si procede alla semplificazione e al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447, e successive modificazioni, in base ai seguenti principi e criteri, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241:

a) attuazione del principio secondo cui, salvo quanto previsto per i soggetti privati di cui alla lettera c), lo sportello unico costituisce

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l'unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva e fornisce, altresì, una risposta unica e tempestiva per conto di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241;

b) le disposizioni si applicano sia per l'espletamento delle procedure e delle formalità per i prestatori di servizi di cui alla direttiva del Consiglio e del Parlamento europeo del 12 dicembre 2006, n. 123, sia per la realizzazione e la modifica di impianti produttivi di beni e servizi;

c) l'attestazione della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa può essere affidata a soggetti privati accreditati («Agenzie per le imprese»). In caso di istruttoria con esito positivo, tali soggetti privati rilasciano una dichiarazione di conformità che costituisce titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attività. Qualora si tratti di procedimenti che comportino attività discrezionale da parte dell'Amministrazione, i soggetti privati accreditati svolgono unicamente attività istruttorie in luogo e a supporto dello sportello unico;

d) i comuni possono esercitare le funzioni inerenti allo sportello unico anche avvalendosi del sistema camerale;

e) l'attività di impresa può essere avviata immediatamente nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della dichiarazione di inizio attività allo sportello unico;

f) lo sportello unico, al momento della presentazione della dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti previsti per la realizzazione dell'intervento, rilascia una ricevuta che, in caso di d.i.a., costituisce titolo autorizzatorio. In caso di diniego, il privato può richiedere il ricorso alla conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241;

g) per i progetti di impianto produttivo eventualmente contrastanti con le previsioni degli strumenti urbanistici, e' previsto un termine di trenta giorni per il rigetto o la formulazione di osservazioni ostative, ovvero per l'attivazione della conferenza di servizi per la conclusione certa del procedimento;

h) in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l'amministrazione procedente conclude

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in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso; in tal caso, salvo il caso di omessa richiesta dell'avviso, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione degli avvisi medesimi.

4. Con uno o più regolamenti, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa, sono stabiliti i requisiti e le modalità di accreditamento dei soggetti privati di cui al comma 3, lettera b), e le forme di vigilanza sui soggetti stessi, eventualmente anche demandando tali funzioni al sistema camerale, nonche' le modalità per la divulgazione, anche informatica, delle tipologie di autorizzazione per le quali e' sufficiente l'attestazione dei soggetti privati accreditati, secondo criteri omogenei sul territorio nazionale e tenendo conto delle diverse discipline regionali.

5. Il Comitato per la semplificazione di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 4 del 2006 predispone un piano di formazione dei dipendenti pubblici, con la eventuale partecipazione anche di esponenti del sistema produttivo, che miri a diffondere sul territorio nazionale la capacità delle amministrazioni pubbliche di assicurare sempre e tempestivamente l'esercizio del diritto di cui al comma 1 attraverso gli strumenti di semplificazione di cui al presente articolo.

6. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

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