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1 RIASSUNTO “Corso istituzionale di diritto tributario” di FALSITTA Cap.1 CLASSIFICAZIONE DEL DIRITTO TRIBUTARIO NELL'AMBITO DELLE SCIENZE GIURIDICHE L'Attività finanziaria è l'attività di acquisizione, gestione e spesa delle risorse economico-finanziarie indispensabili, allo Stato ed agli altri enti territoriali, per conseguire le loro finalità istituzionali. Il diritto finanziario è appunto quella branca del diritto pubblico le cui norme regolano l'attività finanziaria, nonché la raccolta, gestione ed erogazione delle risorse economiche da parte degli enti pubblici. Tali norme disciplinano sia istituti di natura privatistica (come quelli inerenti alla gestione delle imprese pubbliche), sia istituti a rilevanza marcatamente pubblicistica come quelli attinenti all'imposizione e alla riscossione dei tributi. La grande eterogeneità di norme ha indotto la dottrina ha scindere il diritto finanziario in due discipline, e così: Contabilità di Stato nella quale rientrano le materie più attinenti al diritto privato; in particolare norme su: Amministrazione dei beni dello Stato; Formazione dei contratti; Approvazione e gestione del bilancio; Gestione della “cassa” e delle operazioni finanziarie in senso lato (emissione dei titoli di debito pubblico); Rendimento dei conti e sulla responsabilità dei pubblici funzionari per i danni recati all'erario. Diritto tributario nel quale confluiscono quelle più correlate al diritto pubblico. Le norme oggetto del diritto tributario disciplinano l'attività dello Stato e degli enti pubblici volta al procacciamento delle risorse finanziarie (tributi) necessarie al conseguimento delle loro finalità.

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RIASSUNTO “Corso istituzionale di diritto tributario”

di FALSITTA

Cap.1 CLASSIFICAZIONE DEL DIRITTO TRIBUTARIO

NELL'AMBITO DELLE SCIENZE GIURIDICHE

L'Attività finanziaria è l'attività di acquisizione, gestione e spesa delle risorse economico-finanziarie

indispensabili, allo Stato ed agli altri enti territoriali, per conseguire le loro finalità istituzionali.

Il diritto finanziario è appunto quella branca del diritto pubblico le cui norme regolano l'attività

finanziaria, nonché la raccolta, gestione ed erogazione delle risorse economiche da parte degli enti

pubblici.

Tali norme disciplinano sia istituti di natura privatistica (come quelli inerenti alla gestione delle

imprese pubbliche), sia istituti a rilevanza marcatamente pubblicistica come quelli attinenti

all'imposizione e alla riscossione dei tributi.

La grande eterogeneità di norme ha indotto la dottrina ha scindere il diritto finanziario in due

discipline, e così:

Contabilità di Stato nella quale rientrano le materie più attinenti al diritto privato; in

particolare norme su:

▪ Amministrazione dei beni dello Stato;

▪ Formazione dei contratti;

▪ Approvazione e gestione del bilancio;

▪ Gestione della “cassa” e delle operazioni finanziarie in senso

lato (emissione dei titoli di debito pubblico);

▪ Rendimento dei conti e sulla responsabilità dei pubblici

funzionari per i danni recati all'erario.

Diritto tributario nel quale confluiscono quelle più correlate al diritto pubblico. Le

norme oggetto del diritto tributario disciplinano l'attività dello

Stato e degli enti pubblici volta al procacciamento delle risorse

finanziarie (tributi) necessarie al conseguimento delle loro finalità.

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Cap. 2

LE ENTRATE COATTIVE DEGLI ENTI PUBBLICI

E IL CONCETTO DI TRIBUTO

Le risorse economiche che lo Stato e gli enti pubblici utilizzano per svolgere le funzioni loro

demandate provengono da due fonti:

A) dall'attività iure gestionis o iure privatorum (entrate pubbliche di diritto privato);

B) dall'acquisizione iure imperii di ricchezza dai cittadini (entrate pubbliche di diritto

pubblico).

Alla categoria di cui al punto A) appartengono le entrate prodotte attraverso l'amministrazione dei

beni pubblici mediante la stipulazione di negozi di diritto privato (affitti, vendite, etc.).

Alla categoria di cui al punto B) appartengono tutte le risorse economiche, consistenti in beni in

denaro o in natura, che pervengono allo Stato in forza dell'esercizio da parte dello stesso della

potestà di prelievo coattivo.

Le entrate di tipo coattivo si possono classificare:

1. Prestazioni a carattere sanzionatorio queste hanno natura pecuniaria (multa,

ammenda) e costituiscono l'oggetto

dell'obbligazione del trasgressione, disposta

dalla legge per la violazione di un dovere

giuridico.

2. Prestiti forzosi sono forme di finanziamento (mutuo) imposte dallo Stato il quale

costringe determinati soggetti a versare denaro o ad acquistare e

conservare titoli del debito pubblico per un certo tempo, con diritto, a

favore dei soggetti stessi, al rimborso della somma mutuata e degli

interessi, secondo termini e modalità determinate dall'ente pubblico

medesimo.

3. Prestazioni parafiscali sono contributi obbligatori di previdenza e assistenza sociale.

Si tratta di prestazioni pecuniarie che i privati sono tenuti ad

effettuare, in base alla legge, a determinati enti pubblici (INPS,

INAIL, etc.) al verificarsi di determinati presupposti di fatto.

4. Espropriazioni per pubblica utilità lo Stato acquista la proprietà di un bene in natura.

Tuttavia tale acquisizione è controbilanciata dal

versamento di un equo corrispettivo dall'ente

espropriante al soggetto che subisce la perdita del

diritto reale sul bene espropriato.

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Il Tributo.

Il tributo si distingue dalle prestazioni patrimoniali coattive suddette per alcuni caratteri essenziali:

a) consiste in una obbligazione che ha ad oggetto una prestazione pecuniaria a titolo definitivo

(che cioè non genera in capo all'ente pubblico obbligazioni restitutorie ed interessi);

b) consiste in una obbligazione che nasce direttamente o indirettamente dalla legge (in tal

senso è coattiva);

c) l'obbligazione nasce solo in presenza di un presupposto di fatto che non può mai consistere

in un illecito.

NB. Alcuni autori sostengono che ulteriore presupposto del tributo sia la finalità preminente di

concorrere alla spesa pubblica. Tuttavia la Corte Costituzionale ha escluso dall'ambito di

operatività dell'Art. 53 Cost. e dal concorso alle spese pubbliche le tasse la cui natura

tributaria è generalmente riconosciuta.

La distinzione tra entrate tributarie e non tributarie è assai rilevante. Infatti dal carattere tributario di

una entrata discendono conseguenze quali:

la sua impignorabilità;

la non assoggettabilità ad altre forme di imposizione;

la competenza esclusiva del Tribunale per le cause relative a tali entrate;

la legittimità di norme che autorizzino ispezioni per l'accertamento di atti di evasione di

imposte e tasse, in deroga al principio della inviolabilità del domicilio.

Nell'ambito del concetto di tributo si suole individuare quattro figure distinte:

L'IMPOSTA;

LA TASSA;

IL CONTRIBUTO (cd. Tributo speciale);

IL MONOPOLIO FISCALE.

L'imposta è una obbligazione pubblicistica indisponibile, generalmente pecuniaria, a titolo

definitivo (o a fondo perduto), che deriva direttamente o indirettamente dalla legge ed ha la

funzione di costringere il soggetto obbligato a partecipare secondo un determinato indice di riparto

al finanziamento delle spese pubbliche.

Dunque l'imposta è un tributo, che si differenzia dalle altre figure per la sua funzione tipica: attuare

il concorso alla spesa pubblica. In tal senso il contribuente è tenuto al pagamento dell'imposta per il

solo fatto che esiste una spesa pubblica da distribuire tra tutti i membri di un gruppo sociale

organizzato (Stato, Regione..).

Per questo motivo, l'imposta è una obbligazione di riparto di oneri economici pubblici e

ciascun contribuente è debitore di una quota insieme alla platea di tutti gli altri contribuenti. Ogni

legge d'imposta determina i soggetti passivi della contribuzione e i relativi indici di riparto ovvero

quei fatti o situazioni dai quali si fa dipendere la determinazione della quota di contribuzione

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relativa a ciascun singolo e alla quale corrisponde il debito individuale di imposta.

L'obbligazione di imposta è una obbligazione coattiva, anche se l'evento imponibile consiste

in un comportamento liberamente posto in atto dal soggetto.

Per quanto riguarda il rapporto tra contribuenti, esso si risolve nella pretesa ad un equo riparto del

carico pubblico complessivo e a non subire un concorso alle spese pubbliche superiore alla propria

capacita contributiva. Sotto questo profilo si comprende il fenomeno della indisponibilità

dell'obbligazione di imposta: in diritto privato il creditore può sempre rinunciare al credito; il

creditore tributario non può farlo perché il suo credito non è a sé stante, ma rappresenta una quota,

una percentuale.

La tassa è una prestazione pecuniaria coattiva che il soggetto passivo è tenuto a corrispondere

all'ente pubblico in relazione alla fruizione di un servizio pubblico o di un'attività pubblica.

Generalmente il servizio pubblico viene fornito su richiesta del soggetto e produce un

beneficio allo stesso. Tuttavia questi due elementi (domanda e beneficio) non sono requisiti

essenziali: alcune tasse vengono versate a fronte di un'attività pubblica provocata ma non richiesta

dal soggetto obbligato (es. tassa giudiziaria dovuta da chi ha subito un processo penale).

Dunque a minare la definizione di tassa concorrono due punti:

l'esistenza di tasse volontarie;

il dubbio sull'appartenenza o meno alla categoria delle tasse di molti corrispettivi di pubblici

servizi (fornitura gas, acqua, elettricità).

L'appartenenza alla categoria di tassa di un dato corrispettivo è svelata dal suo concreto atteggiarsi:

se fonte del rapporto è un contratto, l'elemento qualificante va rinvenuto nell'applicabilità al

medesimo delle norme di diritto privato sull'adempimento e sulla risoluzione. Se tale

normativa risulta applicabile, la contropartita economica del servizio costituisce

corrispettivo di diritto privato; viceversa se non risulta applicabile, si tratta di tassa.

Se non esiste un contratto, e l'atto fonte del rapporto non è previsto ne disciplinato

contrattualmente, l'aspetto qualificante diviene la disciplina dell'adempimento

dell'obbligazione e dell'acquisizione dell'entrata. Se il procedimento acquisitivo prevede

l'utilizzo di strumenti quali l'atto di imposizione, l'autotutela esecutiva, l'autotutela

sanzionatoria, etc, l'entrata che ne deriva è contraddistinta dalla coattività ed è per ciò una

tassa. In caso contrario si tratterà di corrispettivo.

La distinzione tra tassa e corrispettivo consiste nel fatto che solo i corrispettivi si diritto privato

sono assoggettabili ad imposta (IVA, imposta sui redditi, etc) mentre le tasse no.

Da questo deriva che la linea di demarcazione tra tassa e imposta è che:

la tassa è dovuta in relazione alla fruizione di un servizio pubblico o di un'attività

resa dall'ente pubblico all'obbligato;

l'imposta nasce in relazione ad una situazione di fatto che presenta i connotati di indice

di riparto riferibile al soggetto passivo al fine di attuare la contribuzione alla

spesa pubblica.

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Si fonda su questa distinzione l'applicabilità dell'Art. 53 Cost. sulla capacità contributiva, in quanto

tale principio è applicabile alle imposte e non alle tasse. In relazione alle tasse operano dunque altre

regole:

1. la tassa non è dovuta o, se è pagata, deve essere restituita se il servizio non è stato reso per

fatto imputabile all'ente pubblico erogatore;

2. l'ammontare della tassa non può superare il costo del servizio reso;

3. per i servizi che attengono ai bisogni essenziali o irrinunciabili della vita (istruzione

elementare, medicine) deve essere rispettato il canone della capacità contributiva e quindi i

relativi oneri non possono essere addossati a chi difetta di tale capacità.

Il contributo è una prestazione riconducibile sia all'istituto dell'imposta, sia a quello della tassa. In

tal senso distinguiamo:

(a) il contributo di utenza stradale

Tale tributo si cumulava con l'ordinaria tassa di circolazione ed era previsto nei confronti di

soggetti che, in ragione dell'esercizio di una industria o di un commercio, col transito dei

loro veicoli, determinavano un eccezionale logorio delle strade con aggravio degli oneri di

manutenzione a carico dell'ente pubblico.

(b) il contributo di urbanizzazione previsto dalla legge Bucalossi

Tale contributo è collegato a due parametri:

1. all'ammontare dei costi sopportati dall'ente pubblico;

2. al valore economico del diritto ad edificare “concesso” dall'ente pubblico privato

desunto dall'entità dei costi che il privato dovrà sopportare per effettuare la costruzione.

In entrambi i casi ci troviamo comunque di fronte ad una tassa.

(c) il contributo al servizio sanitario nazionale

Si configurava come sovraimposta o come imposta sul reddito, in quanto assumeva a suo

presupposto di fatto il reddito della persona fisica.

(d) i contributi di miglioria generica e specifica

Il contributo di miglioria generica colpiva l'incremento di valore delle aree fabbricabili in

relazione all'espansione dell'abitato e al complesso delle opere pubbliche eseguite dall'ente

locale. Il contributo di miglioria specifica colpiva l'incremento di valore subito dagli

immobili per effetto dell'esecuzione di un'opera pubblica specifica, escluse le aree

fabbricabili.

In entrambi i casi si era in presenza di imposte volte a colpire plusvalori patrimoniali aventi

un duplice carattere:

1. della straordinarietà in quanto il prelievo poteva essere compiuto una sola volta in

riferimento ad un determinato bene del privato e ad una

determinata opera pubblica;

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2. della specialità in quanto l'imposizione era riservata ad una limitata cerchia di

soggetti.

Il monopolio fiscale come normale imposta sulle vendite.

Lo Stato può riservare una determinata attività economica ad un soggetto specifico per perseguire

gli scopi più vari, con il solo limite derivante dall'utilità generale (Art. 43 Cost).

Il soggetto operante in regime di monopolio è l'unico ad avere il diritto di produrre,

commercializzare, importare beni di una certa categoria, con l'effetto di poter fissare prezzi assai

superiori a quelli che si formerebbero in un mercato informato a principi di concorrenza perfetta.

Una delle finalità che può portare all'istituzione di monopoli è quella di attribuire all'erario una parte

dei corrispettivi: la parte di corrispettivo riservata all'erario rappresenta così un tributo vero e

proprio. L'entrata pubblica derivante dal monopolio non configura una categoria autonoma di

tributo, distinta dall'imposta e dalle tasse, poiché è agevolmente inquadrabile nel novero delle

imposte sulle vendite. Infatti:

i prezzi dei prodotti sono stabiliti dal Ministero delle finanze;

sui prezzi così determinati il monopolista applica l'accisa secondo le aliquote fissate dalla

legge (es. sigarette 57%);

l'azienda autonoma è il soggetto passivo tenuto ad assolvere l'obbligazione di imposta.

Il presupposto del tributo si verifica al momento dell'immissione al consumo (vendita). Le

aliquote applicate sono una percentuale del prezzo di vendita.

Il panorama dei monopoli fiscali ha conosciuto un progressivo ridimensionamento a causa dello

sfavore con il quale il fenomeno è disciplinato nel trattato istitutivo della CEE. I monopoli fiscali

attualmente in vigore in Italia sono quello dei tabacchi lavorati e delle sigarette, nonché quello del

gioco del lotto.

Tributo con funzione risarcitoria e indennitaria: i prelievi coattivi ecologici ed ambientali.

Facciamo riferimento ad una sottospecie di prelievi tributari coattivi che trovano presupposto di

fatto in un depauperamento, in un danno, in una iactura, in una perdita patrimoniale.

Nel caso di tributi ambientali il presupposto consisterà nella correlazione causa-effetto tra

l'attività espletata e gli effetti negativi, di danneggiamento, manifestatisi sull'ambiente.

In tal senso si distinguono:

le sanzioni (penali o amministrative) , a cui è estranea ogni funzione tributaria;

i tributi indennitari.

il risarcimento del danno e dell'azione di ingiusto arricchimento (Artt. 2041 ss; 2043 Cc).

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Cap. 3

LE NORME TRIBUTARIE

Le norme sulla produzione del diritto tributario racchiuse nella Costituzione:

Art. 23 Cost. fissa per la disciplina del tributo una riserva relativa a favore della legge

(legge in senso formale, decreti legge, decreti legislativi, regolamenti

comunitari, leggi regionali).

Art. 75, 2°comma Cost. vieta il referendum abrogativo per le leggi tributarie.

Art. 81, 3°comma Cost. vieta di imporre nuovi tributi a mezzo della legge di

approvazione del bilancio statale.

Artt. 117 e 119 Cost. che disciplinano la potestà legislativa concorrente tra Stato e

Regioni.

Art. 120, 1°comma Cost. che dispone il divieto di istituire dazi di importazione,

esportazione o transito tra Regioni.

Queste delineano la competenza delle fonti. Si distinguono gli articoli della Costituzione che invece

racchiudono norme di valutazione giuridica o sostanziali le quali delimitano il contenuto che una

certa fonte può assumere. Ci riferiamo agli Artt. 3 e 53 Cost. che pongono una serie piuttosto

estesa di obblighi e divieti al legislatore ordinario in sede di regolamentazione dell'assetto

sostanziale e distributivo delle singole imposte.

In posizione subordinata rispetto alle leggi costituzionali, ma preminente in relazione a tutte le altre

fonti, si trova la legge in senso formale (e cioè gli atti normativi emanati dal Parlamento e

promulgati dal Presidente della Repubblica in conformità alla procedura ex Artt. 71-74 Cost. Le

leggi in senso formale hanno la caratteristica di:

abrogare le norme contrarie anteriori di pari rango;

abrogare norme contrarie e pregresse, eventualmente emesse da fonti inferiori (regolamenti);

resistere e prevalere sulle norme contrarie e future provenienti da fonti inferiori;

essere assoggettabili solo al sindacato di legittimità della Corte Costituzionale.

L'efficacia attribuita alle leggi in senso formale è estesa anche alle fonti parallele, vale a dire ad atti

normativi emanati da un organo diverso, il Governo. Facciamo riferimento a:

A) Decreti legislativi

Tale fonte è frequente in materia tributaria in quanto rispecchia il tecnicismo e la

complessità della stessa. In merito ai decreti legislativi esistono i seguenti vincoli

costituzionali:

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◦ la delega legislativa deve essere deliberata dal Parlamento mediante procedura ordinaria

(è esclusa la procedura abbreviata ex Art. 72 Cost.).

◦ la delega deve essere rivolta al Governo (non ai singoli Ministri) per un tempo limitato e

per oggetti definiti (Art. 76 Cost.).

◦ la legge di delega deve fissare i principi e criteri direttivi cui il Governo deve

uniformarsi (Art. 76 Cost.).

B) Decreti legge

Sono emanati dal Governo in casi straordinari di necessità ed urgenza. Sono provvisori,

entrano in vigore il giorno stesso della loro pubblicazione e necessitano della conversione in

legge da parte delle Camere. La mancata conversione entro 60 gg dalla pubblicazione ne

determina la perdita di efficacia ex tunc.

In campo tributario anche questa fonte trova ampia applicazione: in particolare, per alcuni

tipi di tributi sui consumi (es. imposte di fabbricazione) consente di elevare il livello delle

aliquote e di applicarle immediatamente senza per questo determinare rendite fiscali e

contrazione del prelievo (cosa che si verificherebbe qualora fossero preannunciate con largo

anticipo).

La potestà legislativa delle Regioni.

Il nuovo Art. 117 Cost. ha equiparato pienamente le Regioni e lo Stato quanto alla titolarità della

funzione legislativa.

A seguito del rovesciamento operato dal 4°comma, lo Stato ha potestà legislativa nelle materie

espressamente riservate alla legislazione dello Stato. Negli spazi non occupati da tale riserva, la

potestà legislativa compete alla Regione.

(a) AUTONOMIA FINANZIARIA (Art. 119 Cost.)

Tale articolo dispone per i Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni:

1. L'autonomia finanziaria di entrata e di spesa;

2. La potestà di istituzione e applicazione di tributi propri, in armonia con la Costituzione e

secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

3. La disponibilità di una compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro

territorio.

(b) AUTONOMIA TRIBUTARIA

Con la riforma del Titolo V è stata attribuita ad alcuni enti territoriali una potestà impositiva

propria che deve essere attuata nel rispetto della Costituzione e dei principi di

coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Si è quindi reso necessario

emanare una serie di atti normativi che assumessero la funzione di “legge cornice” della

fiscalità locale.

L'Art. 117 afferma che il sistema tributario non statale è materia di legislazione

concorrente e che il concorso tra Stato e Regioni si attua riservando:

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◦ allo Stato la determinazione dei principi fondamentali del sistema regionale e locale;

◦ alla Regione quello che residua.

Se però abbandoniamo l'Art. 117 e passiamo all'Art. 119 Cost. la prospettiva muta

sensibilmente. In questo ambito i principi degradano da principi fondamentali del sistema

della finanza regionale e locale a meri principi di coordinamento della finanza pubblica e

del sistema tributario. Divengono quindi una sorta di barriera che però non entra nel merito

della composizione del sistema.

Il problema della potestà normativa degli enti locali deve essere confrontato e coordinato

con il principio di riserva relativa di legge espresso dall'Art. 23 Cost. per cui si può ritenere

che la riserva non è stata scalfita dalla riforma del Titolo V e conserva inalterata tutta la

portata garantista che le si è sempre attribuita.

Fonti comunitarie.

Le fonti di diritto comunitario si definiscono:

1. Primarie quando le disposizioni sono contenute negli atti istitutivi della comunità;

2. Derivate se le norme non vengono prodotte dai vari organi comunitari.

Le fonti primarie della CEE, rilevanti in campo tributario sono le disposizioni contenute negli Artt.

95-99 del Trattato di Roma, che vietano la discriminazione fiscale tra gli Stati membri e

impongono l'armonizzazione delle discipline nazionali in tema di imposizione sulla cifra d'affari.

Le fonti derivate comunitarie sono costituite da:

Regolamenti [Art. 189, 2°comma Trattato di Roma] Hanno portata generale, sono

obbligatori in tutti i loro elementi e sono applicabili in ciascuno degli

Stati membri. I regolamenti hanno efficacia diretta e cioè producono

effetti immediati all'interno degli Stati e sono pertanto idonei ad attribuire ai

cittadini diritti tutelabili davanti ciascun giudice nazionale.

Direttive [3°comma] A differenza dei regolamenti sono destinate agli Stati membri e

non direttamente ai cittadini. Attraverso le direttive gli organo comunitari

(Commissione o Consiglio) promuovono il ravvicinamento delle legislazioni

nazionali in determinate materie e fissano agli Stati nazionali obiettivi da

raggiungere entro un termine determinato.

Il ricorso alle direttive è assai frequente in materia tributaria e ha il precipuo

fine di armonizzare le legislazioni interne. In tal senso si è armonizzata la

prassi di ritenere le direttive, una volta scadute (sempre se sufficientemente

precise e non condizionate), abbiano efficacia vincolante e diretta, per questo

si dicono self executing.

NB. Anche le sentenze interpretative della Corte di Giustizia europea hanno diretta applicabilità

nell'ambito territoriale di ciascuno Stato ed efficacia prevalente sul diritto nazionale

difforme.

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Le convenzioni internazionali.

Il forte sviluppo delle relazioni economiche internazionali rende quanto mai necessario il

coordinamento della normativa tributaria dei vari Stati allo scopo di evitare che una medesima

manifestazione di capacità contributiva sia assoggettata a tassazione simultanea da più Paesi.

Per ovviare a questo problema, sono intervenute numerose convenzioni internazionali

bilaterali dirette ad armonizzare le legislazioni tributarie degli Stati contraenti.

Una volta intervenuta la legge di ratifica, le disposizioni delle convenzioni assumono, all'interno

dell'ordinamento, natura di norme precettive di carattere speciale rispetto alle norme generali

stabilite dal legislatore italiano.

Per ciò la soluzione dell'eventuale conflitto tra norme antinomiche di regola deve avvenire

dando applicazione al principio generi per speciem derogatur, e quindi facendo prevalere la norma

speciale della convenzione.

Fonti normative secondarie: regolamenti governativi e ministeriali.

I regolamenti sono fonti di normazione secondaria in quanto sforniti dell'efficacia di legge formale e

posti in posizione subordinata rispetto alla legge.

Esecutivi Atti normativi volti a introdurre semplici prescrizioni di

dettaglio indispensabili per rendere concretamente

operative norme di fonte primaria.

REGOLAMENTI Attuativi / Integrativi Recano norme di completamento di una

disciplina lacunosa.

Delegati Traggono origine da una norma di legge la quale,

nell'autorizzare l'esercizio della potestà regolamentare

del Governo, da un lato fissa le norme generali r

egolatrici della materia, dall'altro dispone l'abrogazione

delle norme vigenti con effetto dall'entrata in vigore

delle norme regolamentari.

La legge n°400/1988 ha elencato varie tipologie di regolamenti. In materia tributaria, coperta da

riserva di legge ex Art. 23 Cost. possono essere legittimamente impiegati:

dal Governo nel suo complesso;

dal Presidente del Consiglio dei Ministri;

dai singoli Ministri;

da più Ministri in accordo tra loro.

I regolamenti regionali e degli enti locali.

La disciplina dei regolamenti statali può essere estesa ai regolamenti delle Regioni e degli Enti

locali territoriali, rispetto ai quali assumono peculiare rilievo quei regolamenti attuativi o integrativi

con i quali i suddetti enti fissano le aliquote per i tributi di rispettiva competenza (es. ICI).

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Cap. 4

TIPOLOGIA E TECNICA DI PRODUZIONE

DELLE NORME TRIBUTARIE.

LE NORME NEL TEMPO

Norme sostanziali e norme procedurali; tricotomia delle norme sostanziali.

Tutte le disposizioni tributarie appartengono alla categoria delle norme sostanziali o a quella delle

norme procedurali. Ciascuna di tali categorie è suscettibile a sua volta di una triplice partizione.

Impositrici Sono quelle disposizioni che descrivono gli

elementi di ciascuna fattispecie tributaria

(soggetto attivo e passivo, presupposto di fatto,

etc), i cd. Reclami fiscali sostitutivi e le cautele

patrimoniali applicabili.

NORME SOSTANZIALI Sanzionatorie Consistono nelle disposizioni tributarie

che individuano gli elementi costitutivi

di ogni fattispecie di illecito fiscale

penale o extrapenale.

Agevolative Sono norme che accordano esenzioni oggettive

e soggettive in senso stretto, ma anche

esclusioni che dissimulano esenzioni e riduzioni

del quantum debeatur sotto forma di detrazione

dall'imponibile, di non imponibilità di

componenti positive di reddito o di patrimonio,

di detrazioni o di abbuoni di imposta, di

raddoppio di oneri deducibili, etc.

Amministrative Regolano gli atti della procedura per

l'imposizione, l'esazione del tributo e

l'irrogazione ed esazione delle sanzioni

amministrative (avviso di accertamento),

nonché l'assunzione delle prove

(questionari).

NORME PROCEDURALI Giurisdizionali Norme che regolano il processo davanti

ai giudici speciali tributari o ad altre

autorità giurisdizionali fissando, ad

esempio, i criteri di redazione del

ricorso. Per le norme procedimentali e

per quelle processuali trovano

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applicazione il principio del tempus regit

actum e l'integrazione analogica.

Sulle prove Disciplinano l'efficacia dei mezzi di prova (es.

la confessione). La dottrina tradizionale afferma

la natura processuale di tali norme e a questa fa

conseguire l'applicabilità:

1. del principio del tempus regit actum, in base al quale il

regime normativo applicabile è quello in vigore al

momento in cui il singolo mezzo di prova viene assunto.

2. Dell'integrazione analogica.

Le norme di rinvio.

In diritto tributario è frequente il ricorso alla tecnica del rinvio, il quale può essere espresso o tacito.

ESPRESSO quando la stessa norma tributaria rinviante indica testualmente, all'interno

dell'enunciato che reca il messaggio, gli articoli ai quali si rinvia.

TACITO quando l'enunciato si limita ad indicare vocaboli che designano istituti

compiutamente designati in altri sottosistemi dell'ordinamento (es. il diritto

civile).

Il rinvio inoltre viene definito extra settoriale quando le norme oggetto del rinvio appartengono a

branche del diritto differenti da quella tributaria (o ad altri ordinamenti giuridici).

Per converso il rinvio si dice infrasettoriale se la norma fa riferimento a concetti ed istituti

compiutamente regolati da norme appartenenti al diritto tributario medesimo.

Infine il rinvio è mobile (o formale) quando la norma tributaria richiama un insieme di disposizioni,

dello stesso sistema tributario o di un altro settore o ordinamento giuridico, senza accoglierle e

senza trasformarle.

Tecnica di produzione.

La tecnica legislativa seguita in Italia nella redazione delle norme tributarie è oggetto di critiche, a

causa della:

1. Iperproduzione di leggi tributarie;

2. Ipertrofia della legge tributaria;

3. Omeomorfismo legislativo che in sostanza è il rinvio normativo di una legge ad altre

leggi, e modificazioni successive, che vengono individuate

non col richiamo degli enunciati ma con gli estremi della data,

del numero e dell'articolo.

4. Legislazione per casi e non per principi che consiste nel fenomeno di spezzare il fatto

imponibile in un estesa serie di fattispecie

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esclusive che non presuppongono alcuna ratio

unificatrice sottostante.

5. Forma oscura, ambigua o contraddittoria dei messaggi legislativi.

La codificazione tributaria.

L'esigenza di riordino e di codificazione delle leggi tributarie hanno portato molte iniziative dirette

alla realizzazione di una riforma generale del sistema tributario. In particolare, quella collegata alla

legge finanziaria del 2002, ha sancito determinati principi:

(a) Rispetto dei principi costituzionali di legalità, capacità contributiva ed uguaglianza.

(b) Adeguamento ai principi fondamentali dell'ordinamento comunitario.

(c) Rispetto dei principi di chiarezza, semplicità, conoscibilità effettiva ed irretroattività.

(d) Divieto di doppia imposizione giuridica.

(e) Divieto di applicazione analogica delle norme sostanziali.

(f) Tutela dell'affidamento e della buona fede.

(g) Disciplina del soggetto passivo, dell'obbligazione fiscale, delle sanzioni e del processo,

uguale per tutte le imposte.

(h) Minimizzazione del carico di adempimenti sul contribuente.

(i) Riconducibilità della sanzione sul soggetto che ha tratto il beneficio dalla violazione fiscale.

(j) Applicazione della sanzione penale solo ai casi di frode e grave danno per l'erario.

Abrogazione della norma tributaria.

Anche per le leggi tributarie si debbono ritenere applicabili i principi sanciti negli Artt. 10 e 15

delle disposizioni preliminari al codice civile.

Pertanto la norma diviene obbligatoria il 15esimo giorno dopo la pubblicazione (cd. Vacatio

legis), salvo che non sia disposto diversamente, e tale efficacia vincolante viene a cessare attraverso

l'abrogazione.

L'abrogazione si distingue in:

NOMINATA Quando il legislatore indica espressamente tutte le disposizioni delle

quali sancisce l'abrogazione.

ESPRESSA INNOMINATA Quando oltre all'indicazione delle norme espressamente

abrogate viene prevista l'abrogazione di ogni altra

disposizione non compatibile con la nuova disciplina.

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L'abrogazione può essere disposta, quindi:

A) dal legislatore;

B) con referendum (tuttavia ricordiamo che l'Art. 75 Cost. vieta l'abrogazione per referendum

di leggi tributarie);

C) se si tratta di leggi temporanee, quando scade il termine previsto;

D) per effetto di norma comunitaria incompatibile;

E) per effetto di una sentenza di annullamento della Corte costituzionale (con effetto ex tunc).

Il divieto di abrogazione tacita delle norme contenute nello Statuto dei diritti del contribuente.

L'Art. 1 dello Statuto dei diritti del contribuente, sancisce, in relazione alle disposizioni dello

Statuto medesimo:

1. il divieto di ogni deroga o modifica tacita;

2. il divieto di deroga o modifica espressa ad opera di leggi speciali.

Per il disposto dell'Art. 1 la legge posteriore volta a derogare e/o modificare i principi statutari deve

essere una norma di pari rango, ma generale, cioè a dire una norma diretta a disciplinare in modo

organico la materia regolata dallo Statuto.

In tal senso si cerca di impedire che successivi interventi legislativi, saltuari e improvvisati, possano

intaccare la coerenza ed omogeneità della disciplina statutaria.

Lo Statuto non si limita a porre la clausola di auto-rafforzamento, infatti aggiunge anche che le

regole da esso poste sono attuative di principi costituzionali.

La norma tributaria retroattiva: il problema della legittimità costituzionale.

La norma non dispone che per l'avvenire. Non è però escluso che in qualche caso il legislatore

possa ritenere opportuno estendere l'efficacia della nuova legge ai rapporti pregressi attribuendo

pertanto alla medesima efficacia retroattiva.

La dottrina distingue due tipi di retroattività della legge:

PROPRIA che ha luogo quando la legge retroattiva colloca anteriormente alla propria

entrata in vigore la fattispecie ed i suoi effetti.

IMPROPRIA che si verifica allorché la legge collega un nuovo tributo o la

maggiorazione di un tributo esistente a presupposti di fatto verificatisi

anteriormente all'entrata in vigore della legge medesima.

Tuttavia tale distinzione non è condivisibile in quanto non è possibile che una nuova norma vada

indietro determinando effetti giuridici nel tempo già decorso.

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La norma tributaria retroattiva dispone per l'avvenire ma assume a presupposti d'imposta fatti o

effetti accaduti nel passato, modificandone il trattamento (es. creando un prelievo fiscale non

esistente anteriormente).

Per quanto riguarda il problema della legittimità delle norme in questione, sono state prospettate

tre soluzioni:

1. Decorso del tempo e la capacità contributiva inattuale.

Non esistendo un divieto espresso come quello previsto per le leggi penali (Art. 25,

2°comma Cost), le norme in esame possono essere dotate di efficacia retroattiva, purché

ovviamente in tal modo non si infranga alcun principio costituzionale.

La norma impositiva pertanto dovrebbe essere incostituzionale tutte le volte che violi il

principio della capacità contributiva (Art. 53 Cost.). Questo si realizza quando il

presupposto di fatto del tributo o della maggiorazione di un tributo pregresso (oppure la

perdita di una agevolazione) viene fatto risalire talmente indietro nel tempo da rendere

evidente la mancanza di attualità dell'indice di capacità contributiva determinato in modo

retroattivo.

2. Criterio della prevedibilità.

Le norme nuove dotate di efficacia retroattiva debbono essere prevedibili e tali sono quelle

che valgono a determinare una più rigorosa, compiuta e coerente disciplina della materia,

anche, eventualmente, con la previsione di nuove fattispecie, sostanzialmente riconducibili

alla medesima ratio di quelle già disciplinate.

3. Tutela costituzionale dell'iniziativa economica e della certezza del diritto.

La tutela dell'affidamento non è in Italia un limite generale alla retroattività delle leggi. La

sua portata va ridimensionata e circoscritta a talune materie. Una di queste materie è

governata dall'Art. 41 Cost. che garantisce la libertà dell'iniziativa economica privata. La

legislazione tributaria retroattiva, alterando ex post il costo fiscale delle scelte economiche

imprenditoriali, vulnera quel quadro di certezze su cui l'operatore economico deve poter

fare affidamento nei suoi investimenti e finisce per confliggere col parametro racchiuso

nell'Art. 41 Cost.

La retroattività della norma tributaria di interpretazione autentica.

La Corte costituzionale ha elaborato un doppio concetto di legge di interpretazione autentica:

uno più RISTRETTO o RIGOROSO, che affida l'interpretazione autentica alla presenza di:

◦ una legge interpretativa che lasci intatto o inalterato il testo della legge interpretata;

◦ una scelta, da parte del legislatore-interprete di uno dei possibili significati attribuibili al

testo della legge interpretata;

◦ il quid novi recato dalla legge di interpretazione autentica consiste nella espulsione o

cancellazione di tutti i possibili significati dell'enunciato linguistico interpretato

diversamente da quello prescelto dal legislatore-interprete nonché nella obbligatorietà

erga omnes ed ex tunc.

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uno più ELASTICO, qui l'intervento legislativo non è volto a fornire il chiarimento

autoritativo di una formula linguistica oscura o a dirimere contrasti giurisprudenziali, bensì a

sostituire integralmente o parzialmente il testo della legge interpretata. Tale fenomeno

consiste quindi nella di creazione di norme, più che in una effettiva interpretazione per

conferire a queste efficacia retroattiva. In tal senso può risultare viziata solo la legge

tributaria innovativa a cui è stato attribuito abusivamente il nome di interpretativa.

Il divieto di retroattività disposto dall'Art. 3 dello Statuto del contribuente.

Lo Statuto all'Art. 3 sancisce che le disposizioni tributarie, ad esclusione di quelle interpretative,

non possono avere effetto retroattivo.

Tale divieto opera come criterio generale. Tuttavia il legislatore ha sentito la necessità di ampliarlo

ulteriormente in relazione alle modifiche dei tributi periodici (che nono possono produrre effetti

prima del periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore della legge; e rispetto agli

adempimenti a carico dei contribuenti (per i quali è fissata la scadenza non prima del decorso di

sessanta giorni dall'entrata in corso della norma o dell'adozione dei relativi provvedimenti attuativi).

L'interpretazione autentica nello Statuto dei diritti del contribuente.

Le norme interpretative sono le uniche disposizioni che, in campo tributario, in base alla legge

212/2000, possono essere retroattive. Tale retroattività può avere luogo solo al verificarsi di due

presupposti simultaneamente:

a) che si tratti di norme qualificate come disposizioni di interpretazione autentica dalla stessa

legge che le pone in essere;

b) che tali disposizioni siano state adottate con legge ordinaria.

È plausibile ritenere che la qualifica richieda comunque l'effettiva esistenza dei caratteri essenziali

della norma di interpretazione autentica secondo al nozione rigorosa e ristretta espressa dalla Corte

costituzionale.

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Cap. 5

LA NORMA TRIBUTARIA NELLO SPAZIO

Efficacia e validità della norma tributaria nello spazio.

L'efficacia della legge nello spazio è ricollegata a tre problematiche:

A) la determinazione dello spazio entro il quale la legge esplica la propria validità ed efficacia;

B) i limiti entro i quali possono assumere rilevanza in materia tributaria i fatti realizzati in tutto

o in parte fuori dal territorio dello Stato o ad opera di soggetti risiedenti in altro Stato;

C) i limiti territoriali della potestà amministrativa di attuazione del prelievo, da intendersi come

potere di dare concreta ed effettiva attuazione alle norme generali poste dal legislatore.

Per quanto riguarda il punto A), si può dire che la legge tributaria statale è efficace in tutto il

territorio dello Stato salve espresse deroghe legislative.

Per quanto concerne le leggi regionali e le norme tributarie eventualmente emanate dalle

Province e dai Comuni, nell'ambito della propria autonomia regolamentare, occorre sottolineare

come per esse sia indispensabile distinguere le questioni attinenti la loro validità da quelle

concernenti la loro efficacia.

Tali norme devono ritenersi dotate di efficacia limitata entro i confini dell'ente territoriale dal

quale provengono e dovranno essere osservate in ogni parte del territorio nazionale, da parte di tutti

gli organi giurisdizionali ed amministrativi chiamati a dar loro concreta attuazione.

Il principio di stretta correlazione tra sovranità e potestà normativa permette poi di affermare la

esclusività della legge tributaria italiana nel territorio dello Stato. Non vi è dubbio che il legislatore

ordinario possa sottoporre a tributi interni:

sia soggetti (stranieri o non residenti) per fatti che si siano verificati nel territorio dello

Stato;

sia soggetti residenti in Italia per fatti che si siano realizzati all'estero.

Per quanto riguarda il punto B), quello della sussistenza di limiti per il legislatore ordinario, in

relazione al territorio, nella delimitazione dei presupposti d'imposta, questi debbono in ogni caso

rispondere a un determinato criterio di collegamento con il territorio dello Stato.

La doppia imposizione internazionale e i metodi per scongiurarla.

La doppia imposizione internazionale si verifica quando un fatto economicamente rilevante

determina la nascita in capo ad un medesimo soggetto di due obbligazioni tributarie, in relazione ad

imposte dello stesso tipo previste dalla legislazione di due Stati diversi.

Generalmente è causato dal fatto che una medesima situazione di fatto costituisce presupposto

per l'applicazione di uno di questi tributi in un Paese in base ad un criterio oggettivo ed ad un altro

in base ad un criterio soggettivo.

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Criterio oggettivo da rilievo al legame tra fatto e territorio. In base ad esso, le imposte

devono essere applicate a tutte le situazioni di fatto che si verificano

nel territorio dello Stato, prescindendo dal legame esistente tra il

soggetto che le realizza e il territorio medesimo.

Criterio soggettivo valorizza il legame tra soggetto e territorio. In base a tale criterio, le

imposte si applicano a tutte le situazioni di fatto realizzate da soggetti

legati in un certo modo al territorio dello Stato di residenza ed in

alcuni casi anche solo di cittadinanza, indipendentemente dal luogo in

cui le situazioni si verificano.

La doppia imposizione internazionale è un fenomeno unanimemente giudicato indesiderabile e in

tal senso sono state escogitate misure volte a scongiurarlo. Queste misure possono essere distinte in

due categorie:

1. La esclusione dall'imponibile interno dei fatti extraterritoriali tassati all'estero.

Consiste nel sottrarre dal novero dei fatti imponibili quei fatti che si sono verificati fuori dal

territorio dello Stato e in dipendenza dei quali il soggetto tassato in ragione del criterio

soggettivo ha pagato all'estero un'imposta del medesimo tipo di quella dovuta nello Stato.

2. L'attribuzione del credito di imposta.

Consiste nell'attribuire al soggetto tassato in ragione del criterio soggettivo un credito di

imposta pari al minor importo tra l'imposta del medesimo tipo di quella dovuta nello Stato

pagata all'estero in dipendenza di un fatto verificatosi all'estero, e l'imposta o quota di

imposta dovuta nello Stato in dipendenza del medesimo fatto.

Se poi il fatto si è verificato in più Stati esteri sono possibili due soluzioni, nel senso che il

meccanismo del credito d'imposta può operare:

cumulativamente con riferimento a tutte le imposte pagate all'estero e alla imposta o

quota di imposta dovuta nello Stato in relazione a quel fatto;

separatamente in relazione all'imposta pagata in ciascun Paese estero e alla imposta

o quota di imposta dovuta nello Stato (Italia) in relazione alla parte di

fatto verificatasi in ciascun Paese estero.

Questo è il sistema previsto dalla legislazione italiana ai fini

dell'IRPEF e dell'IRPEG e della soppressa imposta sulle successioni.

Grande importanza nella disciplina del fenomeno in esame hanno le convenzioni internazionali

contro le doppie imposizioni, alla cui conformazione e diffusione hanno dato un contributo decisivo

talune organizzazioni internazionali.

A livello convenzionale il problema della doppia imposizione può essere eliminato in primo luogo

tramite l'attribuzione ad uno solo dei due Stati contraenti della potestà normativa tributaria in

relazione a fatti ricollegabili oggettivamente ad uno e soggettivamente all'altro Stato. In queste

ipotesi la potestà in discorso è generalmente assegnata allo Stato cui il fatto si ricollega

soggettivamente.

In ordine ai fatti per i quali la potestà normativa non è convenzionalmente attribuita in via esclusiva

ad uno degli Stati contraenti, e cioè ai datti che possono essere considerati fiscalmente rilevanti

tanto nello Stato cui sono ricollegabili oggettivamente, viene invece riconosciuta una sorta di

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preminenza alla potestà normativa dello Stato della fonte rispetto a quella dello Stato della

residenza.

Quanto all'efficacia delle norme contenute nelle convenzioni internazionali, si può osservare che,

una volta che la ratifica di queste ultime sia stata autorizzata con legge ordinaria dal Parlamento, le

norme di cui trattasi acquistano nel nostro ordinamento forza di norme primarie.

In proposito occorre ricordare che ai sensi dell'Art. 128 del TUIR le disposizioni di questo

documento normativo si applicano se più favorevoli ai contribuenti, anche in deroga alle norme

contenute negli accordi internazionali contro le doppie imposizioni.

La potestà di “polizia tributaria” e i suoi limiti spaziali.

La potestà di polizia tributaria è quell'insieme di poteri di indagine che la legge attribuisce

all'Amministrazione finanziaria per consentirle di adempiere la funzione di controllo del rispetto

delle norme tributarie da parte dei destinatari delle stesse.

In diritto internazionale è pacifica la non collaborazione tra Stati per quel che concerne la materia

dei tributi. Ne consegue che:

L'amministrazione finanziaria di uno Stato non può compiere atti autoritativi di polizia nel

territorio di un altro Stato;

L'amministrazione finanziaria non può neppure obbligare quella di un altro Stato a compiere

atti autoritativi in sua vece.

Pertanto, molte delle convenzioni internazionali sulla doppia imposizione prevedono disposizioni

relative alla collaborazione tra le Amministrazioni finanziarie degli Stati contraenti nell'attività di

polizia tributaria in relazione alle imposte interessate dalle convenzioni medesime.

Il problema della collaborazione tra Stati diversi nell'attività di polizia tributaria è stato affrontato

anche nell'ambito dell'UE, con la direttiva n°77/799 relativa alla reciproca assistenza fra le autorità

competenti degli Stati membri nel settore delle imposte sui redditi e sul patrimonio, e poi con la

direttiva n°79/1070 che ha esteso all'IVA il campo di applicazione della prima.

Nella legislazione italiana costituiscono norme di attuazione delle direttive in questione, fra le altre,

quelle contenute negli Art. 31, 3° e 4°comma dpr 600/1973 e Art. 65 dpr 633/1972, i quali

dispongono che l'Amministrazione finanziaria provveda allo scambio con le autorità competenti

degli altri Stati membri dell'UE delle informazioni necessarie ad assicurare il corretto accertamento

delle imposte sui redditi, sul patrimonio e sul valore aggiunto, e che a tal fine essa possa autorizzare

la presenza nel territorio italiano di funzionari delle Amministrazioni finanziarie di questi altri Stati.

La potestà di riscossione coattiva dei tributi e i suoi limiti territoriali.

Vige, come per la potestà di polizia tributaria il principio di non collaborazione tra le

Amministrazioni di Stati diversi. Ne consegue che:

L'Amministrazione finanziaria di uno Stato non può chiedere all'Amministrazione

finanziaria di un altro Stato di procedere nel suo territorio e secondo le forme e modalità

stabilite dalla sua legislazione di riscossione dei tributi, alla riscossione delle imposte dovute

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da un soggetto nel primo Stato;

l'Amministrazione finanziaria anzidetta non può neppure agire in giudizio nel secondo Stato

per ottenere il riconoscimento del proprio credito e la condanna del debitore, come un

normale creditore poiché il giudice del secondo Stato non è tenuto ad applicare la normativa

di diritto pubblico del primo.

Ancora una volta la strada migliore risulta quella degli accordi internazionali. In genere tali accordi

prevedono che l'Amministrazione finanziaria di uno Stato, su richiesta di quella dell'altro, proceda

alla riscossione delle imposte dovute da un soggetto in quest'ultimo Stato secondo le norme sulla

riscossione dei propri crediti tributari della medesima natura.

La direttiva CEE n°76/308 concernente l'assistenza reciproca fra gli Stati membri nel recupero di

determinati crediti, in materia di crediti tributari risulta applicabile a quelli derivanti dalla disciplina

sui dazi doganali, e la direttiva n°79/1071 ne ha esteso gli effetti anche sui crediti relativi all'IVA.

Misure per combattere l'elusivo utilizzo dei “paradisi fiscali”.

Il legislatore italiano tende a contrastare la sottrazione, da parte dei contribuenti, di materia

imponibile attuata mediante la localizzazione di società “controllate” in paradisi fiscali. A tale

scopo, con la legge 21 Novembre 200 n°342, è stata introdotta una specifica disciplina:

1. Inapplicabilità del regime dell'Art. 89 TU.

L'Art. 89, 3°comma, TU rende inapplicabile l'esclusione da tassazione del 95% da esso disposta

per i dividendi erogati da società collegate, residenti in paesi non appartenenti all'UE, fruenti di un

regime fiscale privilegiato. In sostanza, i dividendi percepiti da società italiane non controllate non

fruiscono né del credito di imposta né dell'abbattimento anzidetto. Pertanto il beneficio ottenuto

grazie al paradiso fiscale scompare non appena gli utili vengano rimpatriati e assoggettati a

tassazione italiana.

2. La normativa “Controlled Foreign Companies”.

Questa disciplina deve essere coordinata con la normativa CFC (Controlled Foreign Companies)

emanata con legge 342/2000. l'elemento fondamentale alla base del regime CFC è l'assenza di un

radicamento effettivo della società controllata nel territorio del paese ospitante. Pertanto, la

localizzazione della società medesima viene considerata finalizzata al risparmio fiscale. Dunque

osserviamo che:

▪ Il soggetto residente in Italia deve detenere il controllo direttamente o indirettamente,

tramite società fiduciarie o per interposta persona;

▪ Il soggetto controllato residente o localizzato nel paradiso fiscale deve essere

un'impresa, una società o un altro ente;

▪ Per la determinazione del limite del controllo si applica l'Art. 2359 Cc in materia di

società controllate e società collegate;

▪ Il reddito conseguito dal soggetto viene sottoposto a tassazione separata;

▪ Per evitare la doppia imposizione si concede un credito a fronte delle imposte pagate

a titolo definitivo nel Paese della controllata ed è esclusa la tassazione straniera, fino

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a concorrenza degli utili assoggettati a tassazione “separata”, nonché automatica.

3. La normativa per le società estere collegate.

L'Art. 168 TUIR è rubricato “Disposizioni in materia di imprese estere collegate”. La disposizione

in esame prevede l'applicabilità della disciplina dettata per le Controlled Foreign Companies alle

ipotesi in cui il soggetto residente in Italia detenga, direttamente o indirettamente anche tramite

società fiduciaria o per interposta persona, una partecipazione non inferiore al 20% agli utili di

un'impresa, di una società o di un altro ente residente o localizzato in uno Stato o territorio a regime

fiscale privilegiato; tale percentuale è ridotta al 10% nel caso di partecipazione agli utili di società

quotate in borsa.

I redditi del soggetto estero sono imputati al soggetto residente.

Esiste tuttavia la possibilità di disapplicare la disciplina Controlled Foreign Companies nel caso in

cui il contribuente italiano possa provare che il soggetto non residente svolge l'attività industriale o

commerciale nello Stato o nel territorio nel quale ha sede effettivamente, come, sua attività

principale. Tale disapplicazione, inoltre, ha luogo anche nella ulteriore ipotesi in cui il contribuente

sia in condizione di dimostrare che la detenzione delle partecipazioni estere non ha comportato il

godimento di un regime fiscale privilegiato. In definitiva il regime CFC crea un trattamento di

trasparenza e di automatica imputazione del reddito della controllata alla controllante e una

presunzione legale relativa, vincibile dal controllante che sia in grado di provare:

◦ L'effettività dell'attività della controllata;

◦ oppure l'assenza del vantaggio del regime privilegiato.

Misure volte a contrastare l'elusivo trasferimento di quote di reddito all'estero.

A) La normativa sui prezzi di trasferimento.

Una prima misura volta a questo scopo è quella per cui i componenti di reddito derivanti da

operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o

indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa

società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni e dei servizi

ceduti o ricevuti se da tali operazioni deriva un aumento di reddito.

In deroga al criterio generale, secondo cui nelle transazioni commerciali ciò che rileva è il

corrispettivo pattuito tra le parti a prescindere dal valore corrente dei beni o servizi

scambiati, quindi, tale disciplina, comunemente definita transfer price, tende a evitare che,

soprattutto all'interno dei gruppi internazionali, si attui una politica di risparmio fiscale

utilizzando opportunamente i corrispettivi praticati tra le società appartenenti al medesimo

gruppo, per cui il rilievo riconosciuto al valore normale rappresenta lo strumento in grado di

ricondurre le oscillazioni dei prezzi infra-gruppo entro limiti tollerabili.

B) L'indeducibilità dei costi di acquisto.

Si statuisce che non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi

derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti in Italia e imprese domiciliate nei

paradisi fiscali. Tuttavia, a seguito di una riformulazione della normativa originaria, è

scomparsa la subordinazione all'esistenza, tra le imprese anzidette, di un legame societario;

sicché, l'indeducibilità può colpire tutte le operazioni compiute a qualunque titolo con

qualsivoglia impresa estera per il sol fatto che quest'ultima risulti domiciliata in un paradiso

fiscale.

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La presunzione disposta dalla nuova legge è però configurata come relativa poiché il

contribuente può fornire la prova del fatto che la società estera svolga prevalentemente

un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un

effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto concreta attuazione.

La deduzione è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei

redditi dei relativi ammontari dedotti.

Tale disciplina non si applica alle operazioni intercorse con imprese estere partecipate alle quali

risulta applicabile la normativa CFC. Anche se tale disposizione si pone come un ostacolo ad

intrattenere rapporti di affari con soggetti residenti in Paesi con regime fiscale privilegiato, inclusi

nella “lista nera”.

L'Art. 10 della legge 448/1998 ha introdotto nell'Art. 2 del dpr n°917/1986 il comma 2-bis a

mente del quale “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani

cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi regime

fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta

Ufficiale”.

È evidente che con il comma 2-bis il legislatore ha introdotto una presunzione legale relativa

di residenza in Italia di quei cittadini che, anche se cancellati dall'anagrafe dei residenti ed iscritti

all'AIRE, hanno stabilito la loro residenza in uno degli Stati o territori della cd. Black List.

La presunzione legale relativa composta un'inversione dell'onere della prova: graverà sul cittadino

italiano residente in un paradiso fiscale l'onere di provare all'amministrazione finanziaria di avere

stabilito la propria dimora abituale nel paese privilegiato, di essere ivi titolare di utenze, etc..

Trasferimento all'estero della residenza o della sede.

A seguito della riforma fiscale, sono interessati dall'Art. 166 TUIR (che riprende i criteri direttivi

già fissati dall'Art. 20-bis del precedente TUIR):

le persone fisiche,

le società di capitali,

le società cooperative,

gli enti pubblici e privati residenti ed aventi per oggetto

esclusivo-principale l'esercizio di attività commerciali.

L'Art. 166 prevede che se i soggetti dinanzi elencati trasferiscono la residenza o la sede all'estero,

devono essere considerati realizzati al valore normale i plusvalori connessi al trasferimento

dell'azienda o del complesso aziendale salvo che tali beni non confluiscano in una stabile

organizzazione ubicata in Italia sempre che non ne siano successivamente distolti.

Tale norma ha quindi lo scopo di frapporre ostacoli fiscali al trasferimento all'estero della

collocazione territoriale del soggetto d'imposta.

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23

Cap. 6

I PRINCIPI COSTITUZIONALI

SEZIONE I

RISERVA RELATIVA DI LEGGE IN MATERIA DI PRESTAZIONI IMPOSTE

La potestà normativa tributaria e i suoi limiti costituzionali. Gli Artt. 75 e 81 Cost.

L'espressione potestà tributaria designa l'insieme delle potestà necessarie per istituire, disciplinare,

applicare e riscuotere i tributi. All'interno si distingue tra:

Potestà normativa tributaria intesa come potestà di produrre atti normativi diretti alla

disciplina del tributo;

Potestà di accertamento tributario con cui si designa il potere amministrativo di applicare le

norme tributarie nei confronti dei singoli contribuenti.

L'esercizio delle potestà normativa in materia tributaria incontra ancora limiti di natura

costituzionale. Tra questi ha rilevanza il disposto dell'Art. 53 che disciplina i requisiti sostanziali

della prestazione imposta, fissando il principio della capacità contributiva.

Il combinato disposto degli Artt. 3 e 53, 1°comma Cost. ha attribuito rilevanza costituzionale al

principio di territorialità, in forza del quale il legislatore può adottare solo presupposti di imposta,

soggettivi o oggettivi, che presentino elementi di collegamento con l'ordinamento italiano

(cittadinanza, residenza, dimora, nazionalità).

Inoltre ricordiamo l'Art. 23 Cost. secondo cui nessuna prestazione patrimoniale o personale può

essere imposta se non in base alla legge.

Infine l'Art. 81, 3°comma Cost. che vieta al Parlamento di stabilire nuovi tributi con la legge di

approvazione del bilancio.

Il principio di riserva id legge in materia di imposte.

Il principio di legalità è diretto a tutelare la libertà e la proprietà dei cittadini a fronte del potere di

imporre prestazioni personali e patrimoniali. Inoltre alla Corte costituzionale è affidato il controllo

di conformità di tali prestazioni con i principi costituzionali.

La giurisprudenza definisce come imposta la prestazione stabilita in via obbligatoria da un atto di

autorità, a carico di un privato, senza che la sua volontà vi abbia concorso.

Pertanto si è in presenza di una prestazione imposta quando la fonte e la disciplina

dell'obbligazione del privato siano costituiti dalla legge o da un provvedimento amministrativo. La

riserva di legge sancita dall'Art. 23 Cost. deve essere applicata ai tributi (erariali o localo o a favore

di enti pubblici diversi da quelli territoriali). Ma il concetto di prestazione imposta è molto più

ampio di quello di tributo.

Infatti la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato prestazioni patrimoniali imposte (rientranti

nella sfera ex Art. 23 Cost) anche in fattispecie contrattuali a carattere sinallagmatico

contraddistinte da:

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disciplina delle reciproche prestazioni integralmente ed inderogabilmente determinata in via

unilaterale da una delle parti;

gestione in monopolio pubblico del servizio in questione;

considerazione di tale servizio quale essenziale al bisogno della vita.

Non sono comprese nell'ambito dell'Art. 23 Cost. prestazioni coattive che risultino disciplinate da

altri precetti costituzionali, quali:

1. sanzioni pecuniarie penali (Art. 25 Cost.);

2. espropriazione per pubblica utilità (Artt. 42, 3°comma e 43 Cost.);

3. prestazioni a contenuto negativo (Art. 41 Cost.).

Per quanto attiene al concetto di legge, è pacifico che le prestazioni personali o patrimoniali

possono essere imposte oltre che in base a leggi in senso formale anche tramite leggi costituzionali

ed atti con forza di legge (decreti legge e decreti legislativi).

Anche la legge regionale è di per sé idonea a soddisfare la riserva di legge di cui a tale

articolo.

Il significato del carattere relativo della riserva.

La riserva di legge in questione riguarda le norme sostanziali e non quelle di natura procedurale.

Tale riserva viene concordemente classificata tra quelle relativi di legge. Sotto il profilo lessicale la

Consulta ha più volte affermato che l'Art. 23 non esige che la istituzione della prestazione

patrimoniale imposta abbia base in una legge.

Sul piano sistematico, si rileva che il precetto dell'Art. 23 Cost. va coordinato con quello sancito

dall'Art. 5 Cost. che riconosce e promuove le autonomie locali: solo una riserva relativa consente di

lasciare spazio alle esigenze di autonomia degli enti locali.

In sostanza quindi, nella legge deve essere racchiusa la disciplina degli elementi necessari ad

identificare le prestazioni (cd. an debeatur), ossia dei fatti al cui verificarsi esse sono dovute

(presupposto del tributo) e dei soggetti obbligati ad effettuarle (contribuente, sostituto, etc).

Per converso, la disciplina relativa alla determinazione quantitativa delle prestazioni in denaro (cd.

quantum debeatur) può essere contenuta in atti diversi dalla legge, purché quest'ultima fissi idonei

criteri direttivi, limiti e controlli.

Dottrina e giurisprudenza costituzionale hanno individuato gli strumenti idonei a delimitare la

discrezionalità delle fonti subordinate. Essi sono:

1. la fissazione del limite massimo dell'aliquota;

2. il fabbisogno finanziario dell'ente per gestire un certo servizio;

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3. l'intervento di un organo tecnico;

4. la partecipazione all'organo cui spetta il potere decisionale dei soggetti

gravati dalla prestazione.

L'integrazione della disciplina legislativa, di regola, avviene mediante regolamento: poiché

l'intervento integrativo normalmente è previsto ed autorizzato dalla legge, trattasi di regolamenti

autorizzati o delegati.

SEZIONE II

PRINCIPIO DI CAPACITA' CONTRIBUTIVA

Significato dell'Art. 53 Cost e sua funzione solidaristica.

Polmone del sistema è la norma racchiusa nell'Art. 53, 1°comma Cost il quale dispone che “tutti

sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

L'Art. 53 Cost. afferma, in primo luogo, il principio della legittimità costituzionale della

imposizione tributaria e correlativamente della doverosità della contribuzione, del concorso dei

privati alle pubbliche spese.

Il termine indefinito “tutti” costituisce l'espressione del principio di universalità del tributo

che, in armonia con il principio di uguaglianza ex Art. 3 Cost. deve colpire, ricorrendone i

presupposti, tutti i soggetti.

In secondo luogo, l'Art. 53, 1°comma Cost. enuncia il principio fondamentale che il concorso alle

pubbliche spese cui tutti sono chiamati, deve avvenire “in ragione della loro capacità contributiva”.

Per cui oltre a sancire l'obbligo di contribuzione, si specifica l'idoneità del privato, sotto il profilo

economico, alla contribuzione.

L'Art. 53 è quindi una sorta di proiezione dell'Art. 2 Cost. il quale chiama tutti i membri della

collettività all'adempimento “dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e

del principio di uguaglianza sancito dall'Art. 3 Cost.

Il 1°comma dell'Art. 53 Cost. svolge nell'ordinamento tributario una duplice funzione:

A) FUNZIONE SOLIDARISTICA chiamando tutti i consociati a concorrere alle spese

pubbliche necessarie alla stessa sopravvivenza;

B) FUNZIONE GARANTISTA vincolando la potestà tributaria a chiamare al concorso solo

coloro che hanno un'effettiva capacità di

contribuzione.

Al 2°comma si afferma il principio secondo cui “il sistema tributario è informato a criteri di

progressività”. Progressività significa maggiore incidenza percentuale del prelievo a mano a mano

che aumentano le ricchezze sulla cui base il prelievo è commisurato.

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La capacità contributiva come capacità economica soggettiva e la sua funzione garantista. La

capacità contributiva come presupposto, parametro e limite quantitativo del prelievo fiscale.

Il principio di capacità contributiva impone il riferimento alla forza economica del soggetto. La

capacità contributiva come forza economica soggettiva opera, in primo luogo, quale presupposto

della contribuzione. Non vi può essere obbligo di contribuzione a carico di un soggetto del tutto

privo di capacità economica.

Secondariamente esse funge da parametro della imposizione posta a carico di ciascuno. Tanto

maggiore è la capacità economica di ciascun soggetto, tanto più elevato è il contributo che a tale

soggetto può e deve essere richiesto.

Infine, la capacità contributiva costituisce il limite massimo all'impostazione. Non è consentito

richiedere al soggetto un concorso alle spese pubbliche superiore a quella che è la sua capacità

contributiva.

Questi tre aspetti evidenziano l'incontestabile funzione anche garantista dell'Art. 53 Cost.

Ulteriore profilo della funzione garantista della capacità contributiva: la tutela costituzionale

del minimo vitale.

È chiaro che chi dispone di mezzi appena sufficienti alla esistenza propria e della propria famiglia,

pur presentando una capacità economica, non può ritenersi contributivamente capace.

Anche se la Costituzione non lo dispone espressamente, il principio dell'esonero da imposta del

minimo vitale deve comunque ritenersi implicito nello stesso concetto di capacità contributiva. Per

cui si ritiene non tassabile quel minimo di capacità economica necessario a soddisfare le esigenze

primarie dell'individuo.

Alle stesse esigenze richiamate risponde il principio dell'esonero per carichi di famiglia. Non può

esistere idoneità alla contribuzione se non dopo che il soggetto, oltre ai bisogni primari propri, ha

soddisfatto le esigenze primarie di sopravvivenza dei propri familiari a carico.

La capacità contributiva come specificazione della uguaglianza in materia tributaria;

uguaglianza e ragionevolezza (o coerenza).

Trasferito in campo tributario, il principio di eguaglianza ha inglobato la capacità contributiva, nel

senso che le condizioni oggettive e soggettive da considerare per stabilire se vi sia o faccia difetto la

parità, sono gli indici di capacità contributiva.

Per ciò la capacità contributiva funge, in capo tributario, da elemento di completamento

dell'eguaglianza.

L'obbligo di ragionevolezza che vincola il legislatore in campo tributario è in sostanza il dovere di

coerenza e di non contraddizione. L'incoerenza in tale ambito può assumere un duplice aspetto:

(a) Incoerenza esterna alla singola imposta e al sistema fiscale.

Si tratta sostanzialmente dell'incoerenza ravvisata dalla Corte tra il regime di diritto civile e

la normativa di diritto tributario. La contraddizione tra regimi è in due campi diversi del

sistema giuridico generale.

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(b) Incoerenza all'interno di una stessa imposta.

Esempio, l'incostituzionalità delle norme sull'imposta di successione che consentivano di

calcolare il valore dell'azienda caduta in successione in base alla differenza tra attivo e

passivo per le aziende commerciali o industriali e vietavano la deduzione delle passività per

le aziende agricole. La sentenza ha eliminato l'incoerenza interna al sistema dell'imposta.

Parità di trattamento e legislazione fiscale condonistica. Incostituzionalità di transazioni,

rinunce, sconti e abbuoni delle imposte.

Sappiamo che quella tributaria è legge di ripartizione. Esiste, senza dubbio, una discrezionalità

politica degli organi titolari della potestà legislativa nella scelta degli indici di riparto da adottare.

Ma una volta che questa scelta sia stata consumata e che la norma di riparto dia venuta ad esistenza,

la discrezionalità si consuma pur essa e la norma diventa intangibile per tutto il tempo della sua

vigenza nei confronti dell'intera platea dei suoi destinatari.

La norma che fissa i criteri di ripartizione, una volta che sia stata approvata ed entri in vigore, è la

base di un diritto soggettivo di ciascun contribuente verso tutti i restanti concorrenti al riparto.

Per ciò è corretto dire che l'intangibilità dei criteri di riparto e la loro vincolatività erga omnes

sia tutelata dagli Artt. 2, 3, e 53 Cost.

A questo punto siamo in grado di toccare con mano l'incostituzionalità della legislazione

condonistica italiana che non si limita come dovrebbe e potrebbe, a rimettere in discussione le

sanzioni irrogabili a fronte delle violazioni discali che si vogliono condonare ma va oltre e altera, a

vantaggio dei trasgressori, gli stessi criteri di ripartizione previamente stabiliti ed applicati all'intera

categoria dei soggetti passivi del tributo che si vuol condonare: ossia modifica questi criteri con

efficacia retroattiva limitatamente ai trasgressori.

A maggior ragione è incostituzionale per violazione degli Artt. 3 e 53 Cost. ogni legge che

attribuisca all'Amministrazione finanziaria il potere di disporre dell'esistenza e dell'ammontare

dell'imposta mediante trattamenti privilegiati da accordarsi a singoli contribuenti con atti di

rinuncia, rimessione, transazioni, concordati, sconti, abbuoni.

Principio di uguaglianza e clausola generale antielusiva.

La norma antielusiva è una clausola generale di giustizia nella ripartizione del carico tributario tra i

consociati. Tende a dare concretezza all'equità tributaria e dunque al principio costituzionale di

eguaglianza.

Esempio:

Se dalla legge tributaria viene disposto che la realizzazione del risultato giuridico-economico X debba essere

tassato, a carico del contribuente Tizio che l'ha posto in essere con l'impiego di negozi che la legge espressamente

prevede, con l'imposta del 10%, lo stesso, preciso trattamento deve riservarsi a chiunque realizzi quello stesso

risultato giuridico-economico anche se, al fine di ottenerlo, il soggetto Caio che l'ha realizzato ha impiegato,

aggirandoli non i negozi “normali” previsti dalla legge ma i negozi “atipici”.

Ferma restando la libertà del soggetto di scegliere i percorsi del suo operare economico, la parità di

trattamento a parità di indice segnaletico della attitudine contributiva, esige che le due sequenze

vengano equiparate nel regime della ripartizione della spesa pubblica perché esse sono equivalenti

negli effetti economici.

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In materia di imposte è preminente e da salvaguardare ad ogni costo l'esigenza della parità di

trattamento nella ripartizione, come si ricava dal combinato disposto degli Artt. 3 e 53 Cost.

L'Art. 37-bis, ricostruito come codificazione della clausola generale antielusiva, assicura in pieno

tale salvaguardia.

I requisiti di effettività e di attualità degli indici di capacità contributiva.

Il concetto di capacità implica che l'idoneità alla contribuzione di un soggetto non possa essere

meramente supposta o remota ma effettiva ed attuale.

Effettiva in contrasto con le presunzioni legali previste dall'ordinamento tributario allo

scopo di assicurare certezza, rapidità e semplificazione all'attuazione del

prelievo. Il problema di legittimità costituzionale con riferimento al requisito

dell'effettività della capacità contributiva non si pone in relazione alle

presunzioni legali relative (che ammettendo prova contraria, comportano solo

un'inversione dell'onere della prova) a meno che non ponga a carico del

contribuente una prova impossibile (probatio diabolica), bensì per le

presunzioni legali assolute, rispetto le quali è escluso l'esperimento di

qualsiasi prova.

Quanto detto vale anche per quei metodi, previsti dalle norme tributarie,

come “di quantificazione forfettaria, sintetici, induttivi, etc”, i quali devono

ritenersi legittimi nella misura in cui sia data la possibilità al contribuente di

provare la propria effettiva capacità contributiva.

La determinazione catastale della base imponibile è parimenti legittima se la

legge prevede la possibilità sia di correggere l'eventuale rilevante

scostamento tra reddito reale del cespite e reddito medio continuativo della

particella-tipo, sia di provare la inesistenza di qualsivoglia reddito.

Altre questioni di costituzionalità sono state poste con riferimento al secondo requisito della

capacità contributiva, ossia quello dell'attualità.

Attuale i problemi di legittimità costituzionale si pongono in riferimento alla questione

delle norme impositive con efficacia retroattiva.

Capacità contributiva e tutela della “ragion fiscale”.

In sede di interpretazione dell'Art. 53 Cost. la giurisprudenza costituzionale ha elaborato un

principio di tutela della “ragion fiscale”, ossia di tutela dell'interesse pubblico primario alla rapida

riscossione dei tributi.

A ben riflettere, essendo l'imposta un'obbligazione di ripartizione o di concorso a spese comuni, la

tutela privilegiata del fisco come “apparato” preposto all'applicazione, non dovrebbe mai alterare la

corretta applicazione dei criteri di riparto.

In tal senso la tutela dell'interesse fiscale deve aver luogo sempre nel rispetto della parità di

trattamento e del criterio di effettività (verità) dell'indice colpito.

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I presupposti di legittimità dell'impiego del tributo come strumento di politica economica.

Si è a lungo dibattuto in dottrina sulla legittimità costituzionale delle norme che accordano a

particolari categorie di soggetti trattamenti agevolativi. Nel nostro ordinamento vige in generale il

divieto di attuare discriminazioni soggettive non basate sulla capacità contributiva.

Tuttavia sfuggono alla censura di legittimità costituzionale quelle norme agevolative che risultano

legittimate da altre disposizioni costituzionali, diverse dall'Art. 53 Cost., ma altrettanto vincolanti

per il legislatore.

In sostanza codeste ulteriori disposizioni costituzionali si pongono come norme speciali rispetto al

precetto generale contenuto nell'Art. 53 Cost: di conseguenza, in applicazione del principio della

lex specialis derogat generali, il conflitto tra precetti costituzionali antinomici va risolto dando la

prevalenza alle disposizioni costituzionali cui risultano ispirate le norme agevolative.

Un ulteriore problema lungamente dibattuto è quello della legittimità dell'utilizzo dell'imposta per

finalità extrafiscali.

Il prelievo tributario rappresenta uno degli strumenti più potenti ed efficaci di cui il Governo

dispone per attuare un dato programma e indirizzo politico. Deve ritenersi che l'utilizzo della

imposizione tributaria per questi o altri fini di carattere extrafiscale sia legittimo a condizione,

peraltro, che allo scopo di perseguire siffatte finalità il legislatore ricorra a forme di aggravio non

espropriativo dell'imposizione e che le finalità che vengono di volta in volta perseguite siano

tutelate da principi costituzionali.

Catalogo dei tipi di obbligazioni pecuniarie di concorso alle spese pubbliche protette dalla

guarantigia dell'Art. 53 Cost.

Parte della dottrina sostiene che l'operatività dell'Art. 53, 1°comma Cost debba limitarsi alle sole

imposte sul reddito.

Tale tesi è inaccettabile. Le prestazioni patrimoniali commutative per la fruizione dei servizi

divisibili (tasse) sono di regola estranei all'area di operatività del principio di capacità contributiva.

Tuttavia, se la prestazione ha ad oggetto servizi essenziali si impone il rispetto del principio di

capacità contributiva, nel senso che non si può porre una prestazione pecuniaria a carico dei fruitori

di questi servizi in assenza di indici di forza economica o con indici corrispondenti (o inferiori) al

cd. minimo vitale.

Costituiscono obbligazioni di concorso alle pubbliche spese non solo quelle a titolo definitivo,

come le imposte ma anche quelle a titolo provvisorio, come le anticipazioni di imposta e i prestiti

forzosi.

In tema di rivalse è bene precisare che sono obbligazioni di concorso assoggettate al vincolo ex Art.

53 Cost. non solo i rapporti esterni, ma anche quelli interni o privatistici, mediante i quali si opera

la traslazione giuridica della obbligazione di concorso esterna ad altri (sostituto, obbligato

principale, etc).

Capacità contributiva ed estensione della soggettività passiva del tributo.

Il legislatore può ampliare la sfera dei soggetti passivi ed imporre il prelievo anche ad altre persone

diverse da coloro cui è riferibile l'indice di forza economica che il prelievo è destinato a colpire, ma

a patto che il soggetto cui viene esteso il dovere di contribuzione abbia la sicura possibilità di far

ricadere l'onere economico del tributo sulla persona che realizza il fatto indice di capacità

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contributiva colpita.

Quando il sistema non offre all'obbligato sicura garanzia di recuperare il tributo, la disciplina che

pone l'obbligazione tributaria a carico di un soggetto diverso dall'effettivo titolare della capacità

contributiva viola l'Art. 53, 1°comma Cost.

In tal senso è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del cd. cumulo familiare dei redditi che

consentiva l'imputazione al marito dei redditi della moglie, quantunque il primo non ne potesse

giuridicamente disporre.

Capacità contributiva e accollo convenzionale d'imposta.

La traslazione del tributo da un soggetto ad un altro può aver luogo, oltre che nelle ipotesi sopra

esaminate, anche per effetto di clausole negoziali di accollo.

L'Art. 53 Cost non impedisce che chiunque lo desideri possa accollarsi il pagamento di debiti

altrui.

Capacità contributiva e rimborso dell'imposta indebita.

Chi ha pagato un'imposta indebita viene definito contribuente, ma al di la dell'usanza linguistica

impropria, contribuente non è e/o non avrebbe dovuto essere. Pertanto avrebbero dovuto essere

dichiarate incostituzionali tutte quelle norme che, in un modo o nell'altro ritardano, impediscono o

limitano la totale cancellazione degli effetti prodotti, sul patrimonio del “non contribuente

accertato”, dall'atto d'impostazione riconosciuta indebita.

Così non è stato, e in particolare nell'ultimo ventennio, si sono succedute diverse pronunce della

Corte costituzionale orientate a considerare pienamente conforme alla Carta costituzionale, la

normativa in materia di rimborsi.

A) Il criterio di calcolo degli interessi afferenti ai crediti d'imposta rimborsabili disposto

dall'Art. 44 del dpr n°602/1973.

L'Art. 44 dispone per l'ammontare dell'imposta indebitamente pagata l'interesse del 2,5%,

per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della

scadenza dell'ultima rata del ruolo in cui è stata iscritta la maggiore imposta e la data

dell'ordinativo o dell'elenco di rimborso.

La Suprema Corte, ha inoltre sancito che lo Stato non può compensare le proprie carenze

organizzative con una legislazione, o una giurisprudenza, “protezionistica”, cioè che

disconosca i diritti del cittadino pretendendo che i tempi dei pagamenti a favore dei

contribuenti siano affidati alla buona volontà dei funzionari incaricati.

B) Il rimborso dell'eccedenza d'imposta mediante assegnazione di titoli di Stato.

Per restare in tema di tecniche di rimborso dell'imposta indebita non contraddistinte da

conformità a criteri di razionalità e di perequazione, possiamo rievocare alcune disposizioni

in materia di rimborso dell'IVA.

In base a tale disciplina, i contribuenti che nell'anno 1992 presentavano determinate

caratteristiche, precisate dalla norma medesima, non potevano computare il loro credito

d'imposta in detrazione negli anni successivi. Mentre, volendo conseguire il rimborso, la

restituzione era ottenibile unicamente e obbligatoriamente tramite assegnazione di titoli di

Stato (con scadenza quinquennale o decennale). Se il soggetto passivo avesse avuto bisogno

di quelle somme di denaro di cui era creditore nei confronti dello Stato a titolo di IVA,

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sarebbe stato costretto a prendere a prestito presso una banca la somma corrispondente

all'eccedenza di IVA, pagando in tal modo elevati interessi passivi.

L'arbitrarietà di una tale soluzione normativa non è sfuggita alla Corte di giustizia UE che

l'ha censurata poiché violava la direttiva comunitaria sulla disciplina dell'IVA.

Così il Governo si è uniformato, ripristinando le ordinarie procedure di rimborso,

sopprimendo l'abuso.

C) L'esiguità del termine decadenziale per il rimborso.

In materia di imposte sui redditi era previsto un termine decadenziale di 18 mesi dalla data

del versamento per chiedere il rimborso, nel caso di errore materiale, duplicazione, o

inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento. La questione dell'esiguità di tale

termine è stata oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, ma è stata giudicata

infondata e conseguentemente rigettata.

È stato lo stesso legislatore a provvedere ad ampliare il ristretto termine: per la decadenza

dal diritto al rimborso. Nella novellata disciplina devono decorrere 4 anni dalla data del

versamento.

L'evanescente vincolo della progressività.

L'Art. 53, 2°comma Cost. pone il vincolo della progressività, ma a ben vedere si tratta di un

vincolo piuttosto evanescente posto che esso non concerne i singoli tributi, ma il sistema tributario

nel suo complesso.

Nulla vieta dunque che i singoli tributi possano non essere progressivi; e nulla assicura che il

sistema nel suo complesso lo sia.

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Cap. 7

L'INTERPRETAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA

L'interpretazione della legge tributaria in generale.

Anche all'enunciato tributario devono ritenersi applicabili le direttive di interpretazione codificate

dal legislatore in termini generali nell'Art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile,

nonché quei criteri ermeneutici che la dottrina e la prassi giurisprudenziale sono venute elaborando

sulla scorta di una plurisecolare tradizione giuridica.

Si suole distinguere tradizionalmente l'interpretazione in:

Dottrinale [ad opera degli studiosi];

Giurisprudenziale [ad opera dei giudici];

Autentica [ad opera del legislatore].

La circolare interpretativa del Ministero delle finanze come fonte di una opinione autoritativa

non vincolante, con efficacia analoga (ma non identica) alle opinioni interpretative della

dottrina e ai precedenti giurisprudenziali.

Con riguardo alla categoria delle circolari, risoluzioni, note, etc, aventi contenuto interpretativo

delle leggi e dei regolamenti, si tratta di stabilire quale efficacia sia da attribuire all'interpretazione

ministeriale, specie per l'ipotesi in cui essa dia corpo alla creazione di vere e proprie norme di

esecuzione volte a completare il lacunoso dettato normativo e a fornire prescrizioni di dettaglio o

alla formulazione di disposizioni che violano la disposizione interpretanda (circolari integrative

contra legem).

L'orientamento pacifico è volto a credere che il giudice sia tenuto ad applicare unicamente le

leggi e i regolamenti e non anche le circolari, risoluzioni e note, alle quali può solo riconoscersi

l'importanza di un utile strumento per la ricerca e la ricostruzione del significato della mens legis.

Quanto fin qui osservato implica che l'interpretazione recata dalla circolare:

1. Non crea vincoli per i contribuenti, i quali restano liberi di non uniformarvisi;

2. Non è vincolante per gli Uffici cui è diretta, i quali possono disattenderla;

questo significa che se il funzionario preposto all'applicazione della legge si rifiuta, nel singolo caso, di seguire

l'interpretazione esternata dalla circolare, il provvedimento nel concreto adottato non può essere annullato per il

solo fatto che è stata violata la circolare, perché se per caso l'interpretazione racchiusa nella circolare è errata, in

quanto in contrasto con la mens legis, l'atto emanato è legittimo perché conforme alla legge e in conflitto con la

circolare; se invece la circolare ha interpretato la legge, l'atto impositivo che viola la circolare è illegittimo non

perché violatore di circolare ma perché violatore di legge.

3. Non è vincolante per la stessa autorità che ha emanato l'atto, la quale può sempre ricredersi e

modificare o correggere o sconfessare l'interpretazione in precedenza avanzata.

Dopo una fase di incertezza, il legislatore è intervenuto a far chiarezza in argomento e con l'Art. 10

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dello Statuto del contribuente ha posto le seguenti regole cardinali:

(a) I rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della

collaborazione e della buona fede;

(b) L'Amministrazione finanziaria può sempre ricredersi e modificare le indicazioni, anche di

natura interpretativa, contenute in atti (circolari, risoluzioni, note, etc) da essa emanati;

(c) In presenza di tali ripensamenti, l'Amministrazione può eventualmente pretendere una

maggiore imposta, ma non può richiedere interessi moratori e neppure sanzioni;

(d) In casi eccezionali, se il contribuente versa in situazione di buona fede oggettiva, non è

dovuta neppure la maggiore imposta.

In definitiva, riassumendo e completando le considerazioni finora svolte, va rilevato:

i. L'opinione interpretativa accolta dal Ministero nella circolare esplica nei confronti dei

giudici di qualunque ordine una efficacia analoga a quella del precedente

giurisprudenziale e dell'opinione espressa dalla dottrina.

ii. Che detta opinione interpretativa è vincolante per i funzionari degli Uffici periferici in

quanto la loro violazione è fonte di responsabilità disciplinare, contabile, aquiliana, ma

non produce alcun effetto rispetto agli atti, i quali conservano piena validità ancorché

collidenti con l'interpretazione accolta nella circolare.

iii. Che rispetto ai contribuenti l'interpretazione della amministrazione è più forte

dell'interpretazione dottrinale e del precedente giurisdizionale.

L'interpretazione autentica.

Non costituisce una vera e propria attività interpretativa, l'interpretazione autentica, ossia quella

interpretazione che proviene dallo stesso legislatore, il quale talvolta emana apposite disposizioni al

fine di chiarire il preciso significato di norme preesistenti.

La norma interpretativa ha pertanto in questo caso la stessa efficacia vincolante di ogni altra

disposizione legislativa (efficacia erga omnes). In più essa ha efficacia retroattiva.

Gli argomenti dell'interpretazione giuridica. Individuazione ed analisi degli argomenti più

frequentemente impiegati dall'interprete della norma tributaria. L'interpretazione lessicale.

Anche per l'interpretazione di una norma tributaria è legittimo l'impiego delle tecniche o dei moduli

argomentativi che sono propri di ogni norma giuridica. Facciamo quindi riferimento alla summa

divisio tra:

a) INTERPRETAZIONE LETTERALE consiste nell'individuazione del significato dei

termini impiegati dal legislatore nell'enunciato,

quale è ricavabile dal significato proprio delle

parole e dalle loro connessioni grammaticali e

sintattiche, tenendo conto dei contesti discorsivi

di cui termini e frasi fanno parte.

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In particolare il procedimento interpretativo:

1. Individuazione dell'enunciato, qualora questo non sia unitario, è necessario procedere alla

ricomposizione o combinazione dei vari frammenti di cui consta l'enunciato. Sarà quindi

necessario individuare il combinato disposto.

2. Individuazione del significato proprio delle parole, facendo attenzione ai termini nel loro

significato tecnico e non in quello comune.

3. Individuazione di eventuali definizioni legislative; queste, se esistono, sono vincolanti per

l'interprete.

4. Rilevanza del contesto discorsivo. In particolare in caso di vocaboli polisensi, per

comprenderne il significato è necessario tener conto del contesto discorsivo in cui sono

inseriti. Il cd. Argomento a contrario, per il quale non è consentito attribuire all'enunciato

linguistico un significato diverso da quello espresso dalle parole, si basa sull'utilizzo

dell'interpretazione lessicale.

b) INTERPRETAZIONE LOGICA è volta ad individuare ciò che l'Art. 12 delle

disposizioni preliminari al codice civile chiama

“intenzione del legislatore”.

Ecco gli argomenti di più frequente uso in campo tributario:

(a) Argomento Teleologico

è quello per il quale ad una norma deve attribuirsi il significato che corrisponde al fine

proprio della disciplina in cui la norma è inserita.

(b) Argomento Psicologico

è rappresentato da quel metodo ermeneutico volto a ricostruire la volontà delle persone

fisiche che parteciparono alla formazione della legge, attraverso l'esame dei lavori

preparatori.

(c) Argomento Apagogico (o per assurdo)

è quello che mette in luce a quali assurde conseguenze conduca l'adozione di una data

ipotesi interpretativa al fine di screditarla.

(d) Argomento Sistematico

presuppone il convincimento che ogni norma giuridica sia parte di un insieme più ampio

di norme costituenti l'ordinamento giuridico e che tale ordinamento sia dotato di

coerenza ed unitarietà. In tal senso l'interpretazione deve ricercare la non

contraddittorietà con le altre norme dell'ordinamento.

L'argomento sistematico presenta notevoli sfaccettature ed applicazioni:

◦ Il criterio concettualistico-dogmatico, il quale consiste nel ricavare da una o più

norme, un concetto-base e nel dedurre da esso una serie di norme consequenziali.

◦ Il criterio dell'interpretazione adeguatrice, volto a preferire il significato più

conforme alle regole costituzionali.

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◦ Il criterio della costanza terminologica nell'ambito dello stesso documento

legislativo, che si basa sulla presunzione che il legislatore, nell'ambito di ciascun

documento normativo e anche di una autonoma branca del diritto impieghi ciascun

vocabolo sempre con lo stesso significato e vocabolo differenti per significati

differenti.

L'utilizzazione da parte delle norme tributarie di espressioni che designano istituti disciplinati

in altri rami del diritto. La presunzione di costanza di significato degli stessi termini.

Si verifica di frequente che le vicende economiche, indici di capacità contributiva, che vengono ad

integrare la fattispecie del tributo, siano già oggetto di qualificazioni normative in altri rami del

diritto, in special modo nel diritto privato.

Atteso che una delle fondamentali direttive di interpretazione attiene la presunzione di

coerenza e unitarietà dell'ordinamento giuridico, dovrà parimenti presumersi l'uniformità dei

significati degli stessi termini qualora contemporaneamente ricorrano in una norma tributaria e in

una norma non tributaria.

Non potrà però escludersi la possibilità di un conflitto con qualificazioni giuridiche di altri

settori normativi, qualora sussista una giustificazione convincente di tale incompatibilità nella legge

fiscale.

In definitiva la costanza terminologica fa presumere l'identità di regolamentazione salvo prova

contraria da ricavarsi esplicitamente o implicitamente dalla norma tributaria.

Relazioni tra interpretazione letterale e interpretazione logica; l'interpretazione dichiarativa,

restrittiva ed estensiva. In quali casi deve prevalere l'interpretazione logica.

Attraverso l'impiego degli argomenti fin qui elencati, diversi da quelli lessicale e a contrario, si può

giungere a conclusioni che confermano i risultati attinti con questi ultimi due. Si parla in tali casi di

interpretazione dichiarativa.

Se invece quelle conclusioni ricostruttive estendono o restringono la portata della norma, si ha

l'interpretazione estensiva-correttiva o quella restrittiva-correttiva.

Interpretazione estensiva ed analogica. Il problema della integrazione analogica delle norme

tributarie impositrici.

L'analogia si identifica con l'interpretazione logica mediante la quale l'interprete individua il

significato della norma in base ad una indagine sulla sua ratio, estendendone la portata oltre la sua

lettera.

Tuttavia la testi della coincidenza tra interpretazione estensiva ed analogia, non è condivisa

dalla prevalente dottrina, né dalla giurisprudenza. Inoltre anche nell'Art. 12 delle preleggi

l'interpretazione estensiva sulla base della mens legis è palesemente distinta dall'interpretazione

analogica e, a fotritiori, dalla integrazione mediante utilizzo dei principi generali (analogia legis e

analogia iuris).

Dobbiamo quindi affrontare il quesito delle condizioni e dei limiti all'ammissibilità dell'integrazione

analogica della norma tributaria.

Il problema non si pone per tutte le disposizioni comunque contenute in una legge concernente la

disciplina dei tributi, ma solo con riguardo a quelle disposizioni che fissano i presupposti

sostanziali, oggettivi e soggettivi, che legittimano il prelievo del tributo (cd. Norme impositive),

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nonché con riguardo a quelle norme che prevedono sanzioni di carattere amministrativo per la

violazione di obblighi tributari, ovvero, relativamente a quelle disposizioni che istituiscono

esenzioni o agevolazioni o aggravi nei confronti di certe situazioni oggettive o di certi soggetti.

Le norme di carattere procedurale sono certamente suscettibili di essere applicate analogicamente al

di là dei casi in esse espressamente previsti.

Quanto al problema dell'applicabilità in via analogica delle norme impositive, semplificando al

massimo possiamo affermare che la soluzione negativa la maggior parte della dottrina è pervenuta

attraverso due diversi itinerari argomentativi:

Coloro che attribuiscono all'analogia una funzione diversa dall'interpretazione, hanno

rinvenuto l'espresso divieto di analogia per le norme impositive nel dispositive nel disposto

dell'Art. 23 Cost. in virtù del quale le prestazioni patrimoniali possono essere imposte solo

in base alla legge.

Coloro che considerano l'analogia una tipica forma di procedimento interpretativo, hanno

rinvenuto il divieto nella stessa formulazione della legge ordinaria nella quale le

disposizioni che individuano le fattispecie dell'imposta si presenterebbero sempre quali

norme a fattispecie esclusiva. In altre parole, gli elementi costituenti la fattispecie legale

impositiva sarebbero sempre individuati dalla norma così da rendere impossibile

l'espansione della medesima oltre ai casi in essa previsti.

Tuttavia nessuna di queste due impostazioni riesce a dimostrare il proprio assunto. Dunque, il

problema della utilizzabilità o non utilizzabilità dell'analogia va risolto con approccio non

deontologico ma realistico.

Sarà la singola legge di imposta a darci, di volta in volta, la chiave di lettura in ordine

all'utilizzabilità o al divieto di utilizzo dell'analogia.

L'Art. 37-bis del decreto n°600/1973 è una disposizione che detta regole sull'interpretazione

analogica. È della stessa natura degli Artt. 12 e 13 delle disposizioni preliminari al codice civile.

Il 1°comma impone all'Amministrazione l'integrazione analogica, ossia l'estensione per via di

analogia di risultati economici, del regime fiscale previsto dalla legge per una sequenza nominata,

ad altra sequenza, questa innominata.

Se la sequenza innominata e atipica realizza (effettuando un percorso di aggiramento) gli

stessi effetti economici della sequenza tipica, ma con minore tassazione, la minore tassazione va

rimossa e deve ripristinarsi la parità.

Nel contesto dell'Art. 37-bis sequenza tipica o nominata e sequenza atipica o innominata sono

coincidenti quanto ad effetti giuridico-economico prodotti ma sono diverse come trattamento

fiscale, che si presenta disallineato o non identico.

La clausola antieusiva rimuove il disallineamento e ripristina la parità. La disparità può permanere e

la estensione analogia è impedita solo se gli effetti economici delle sue sequenze differiscono per

qualche serio e rilevante aspetto (esimente additiva delle “valide ragioni economiche”).

Applicazione in via analogica della norma tributaria esentativa.

Con riguardo alle disposizioni che sanciscono esenzioni ed agevolazioni in favore di determinate

situazioni oggettive o di determinati soggetti, si ritiene che le stesse non debbano considerarsi

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necessariamente norme eccezionali, ma che possano essere espressione di un principio di ordine

generale.

In tal caso, pertanto, esse saranno suscettibili di integrazione analogica o, se si preferisce, di

interpretazione estensiva.

Mentre per le norme impositrici è generalmente ammessa l'interpretazione estensiva ed è negata

l'analogia legis, per le agevolazioni si parte dal presupposto che si tratti di norme eccezionali. Per

cui l'interpretazione deve essere strettamente ancorata alla lettera della legge e ne è vietata

l'interpretazione estensiva.

Tuttavia tale discorso presta il fianco a numerose critiche.

NB. Lo stesso discorso vale per le norme di disincentivo e/o aggravio.

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Cap. 8

L'ELUSIONE E L'INTERPRETAZIONE ANTIELUSIVA

Fenomenologia dell'attività ingannatoria del privato: i contratti e i negozi in maschera.

L'Amministrazione, nell'accertare gli effetti giuridici reali che le parti hanno inteso conseguire

ponendo in essere un negozio, ha il potere-dovere di non lasciarsi irretire dalla denominazione

attribuita ad essi dalle parti per eventualmente disorientare l'Amministrazione stessa, traendola in

inganno.

1. FASE di RICOSTRUZIONE L'Amministrazione deve ricostruire fedelmente gli

effetti giuridici di ogni singola vicenda quali emergono

dal regolamento negoziale posto in essere e dalle

norme ad esso applicabili.

2. FASE di INQUADRAMENTO (o sussunzione) tali effetti reali vengono ricompresi

negli astratti schemi tracciati dalle norme di diritto

tributario. In questa fase gli organi

dell'Amministrazione, ovviamente godono di quel

grado di autonomia che spetta a chiunque sia chiamato

ad interpretare ed applicare la legge.

A riguardo torna utile la partizione seguente:

Il contratto in maschera.

I contribuenti sottopongono a travestimento la loro effettiva volontà negoziale per

disorientare i funzionari del fisco. Lo scopo perseguito è evitare di subire una più onerosa

tassazione o la perdita del diritto al rimborso. In tale fenomeno si verifica una discrasia tra il

nomen iuris aparente e la natura intrinseca del contratto.

La simulazione relativa reale; la simulazione personale o soggettiva (interposizione

fittizia di persona).

L'Art. 1417 Cc consente a qualunque terzo estraneo alla pattuizione del regolamento

contrattuale di far valere la simulazione a mezzo di prove testimoniali o per semplici

presunzioni.

A sua volta l'Art. 37, 3°comma del decreto 600/1973 di riferisce alla interposizione fittizia

di persona o simulazione soggettiva e statuisce che “in sede di rettifica o di accertamento

d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando

sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è

l'effettivo possessore per interposta persona”.

Dunque:

◦ Il fisco non può essere equiparato a un “terzo”;

◦ Il fisco può far valere la simulazione, in ogni forma, davanti al giudice tributario, senza

necessità di previo e autonomo accertamento davanti al giudice civile.

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Circa i rapporti tra il fenomeno del contratto in maschera e il distinto fenomeno della simulazione

relativa oggettiva, la differenza sta nel fatto che:

(a) Nel contratto in maschera tutti gli elementi del travestimento sono già presenti nell'unico

documento contrattuale;

(b) Nella simulazione relativa oggettiva si contrasta l'esistenza di due contratti, uno apparente,

l'altro reale.

Il travestimento della categoria di appartenenza del reddito.

Il travestimento in questione concerne l'inclusione del reddito in una categoria anziché in

un'altra. A neutralizzare un siffatto travestimento provvede l'Art. 6, 2°comma del TU sulle

imposte sui redditi, il quale statuisce che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi”

hanno l'identica natura e ricadono nella stessa categoria di quella spettante ai redditi

sostituiti”.

La definizione dell'elusione; esistenza di una clausola generale antielusiva applicabile

all'intero sistema tributario.

L'elusione fiscale è caratterizzata:

1. dalla anormalità della concatenazione di atti escogitata per raggiungere un dato risultato

economico rispetto a quelle solitamente adottate dagli operatori che versano nelle medesime

esigenze;

2. dall'assenza, dietro la scelta di tale particolare concatenazione, di alcuna plausibile ragione

che non sia esclusivamente quella di conseguire per il suo tramite un certo vantaggio fiscale;

3. dalla circostanza che detto vantaggio sia ottenuto aggirando una determinata regola

tributaria normalmente adottabile e non sia quindi qualificabile come fisiologico o

comunque coerente col sistema.

Evoluzione:

A) PRIMA della legge 408/1990 la dottrine negava l'esistenza di un principio generale

antielusivo espresso o desumibile implicitamente dal

sistema normativo.

B) Legge 408/1990 Forte mutamento che ha individuato gli elementi

[ART. 10] sintomatici di elusione:

◦ Assenza di valide ragioni economiche;

◦ Ha lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale;

◦ Tale scopo risulta esclusivo, ovvero, l'unico

effettivamente perseguito;

◦ Lo scopo è stato perseguito fraudolentemente.

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C) DECRETO 600/1973 Introduce numerose novità in materia di elusione. La nuova

[ART. 37-bis] definizione ha confermato la necessità della presenza di due

degli elementi sopra descritti, quali:

◦ Assenza di valide ragioni economiche;

◦ Ha lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

Ha portato anche notevoli elementi di novità:

Soppressione dell'avverbio “fraudolentemente” e la sua sostituzione con il verbo “aggirare”.

La relazione ministeriale ammette, così, che l'elusione esiga scappatoie, manipolazioni,

stratagemmi, che pur formalmente legali, finiscono per stravolgere i principi del sistema.

Caduta dello scopo elusivo. Ora si può temere che in futuro la concomitante presenza dello

scopo del risparmio valga a legittimare l'applicazione della clausola antielusiva anche se

quello scopo non è né elusivo e neppure principale.

Ampliamento del divieto di elusione. Infatti dai 5 soli casi menzionati dalla legge 408/1990,

di operazioni potenzialmente elusive, l'Art. 37-bis ne ha formalizzati non meno di 15.

Gli effetti della norma antielusiva.

I principali effetti dell'applicazione delle norme antielusive sono:

1. Inopponibilità all'Amministrazione finanziaria ed eliminazione dei vantaggi tributari

ottenuti: il fatto che una vicenda costituisca fattispecie elusiva tributaria non produce

l'invalidità degli atti e negozi ricadenti nella fattispecie e genera solamente l'effetto della

inopponibilità della vicenda all'Amministrazione Finanziaria e perciò la cancellazione dei

vantaggi tributari (ossia patrimoniali) derivanti dall'adozione della condotta elusiva.

2. Detrazione di quanto pagato: dalle imposte calcolate sulla base della applicazione delle

norme eluse debbono essere detratte quelle, necessariamente minori, assolte allorché è stato

realizzato il comportamento elusivo.

3. Rimborso a terzi dell'imposta pagata: la norma antielusiva tende a colpire unicamente i

vantaggi conseguiti attraverso l'elusione, per cui i soggetti diversi da quelli cui sono

applicate le disposizioni antielusive possono richiedere il rimborso delle imposte pagate a

seguito dei comportamenti disconosciuti dall'Amministrazione Finanziaria. Detti soggetti a

tal fine possono proporre istanza di rimborso all'Amministrazione.

La disapplicazione di norme antielusive a valenza particolare.

L'ultimo comma del novellato Art. 37-bis del decreto 600/1973 costituisce una novità assoluta

per il diritto tributario.

Esso consiste nella facoltà accordata all'Amministrazione, di disapplicare le specifiche norme

antielusive, di cui si è appena detto, in presenza di presupposti e con effetti quanto mai incerti.

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I caratteri essenziali dell'istituto della disapplicazione sono:

a) Il presupposto per l'ottenimento il contribuente deve offrire all'Amministrazione

Finanziaria una prova quanto mai ardua e precisamente

deve dimostrare che le ragioni empiriche che indussero

il legislatore ad ostacolare la fruizione di una delle su

elencate posizioni soggettive non sussistono affatto

nella particolare fattispecie che lo concerne.

b) L'effetto La pronuncia favorevole dell'Amministrazione Finanziaria, o il silenzio

assenso, rende non applicabile la norma, che di volta in volta viene in rilievo

nei riguardi del richiedente.

c) La procedura Non è chiaro quali rimedi spettino in caso di rifiuto. Probabilmente si

deve fare riferimento ai principi elaborati in tema di rifiuto all'esercizio di

autotutela.

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Cap. 9

IL PRESUPPOSTO DELL'IMPOSTA E L'ALIQUOTA

Questioni afferenti la definizione del presupposto. La determinazione legislativa de

presupposto.

Secondo la tesi oggi più accreditata, poiché l'imposta si risolve nella nascita ed estinzione di una

obbligazione pecuniaria, il presupposto consiste nei fatti e situazioni previsti dalle singole leggi

d'imposta, riferibili ad un soggetto e verificatisi in un certo spazio e in un determinato lasso di

tempo, che fungono da fonte, immediata o mediata, dell'obbligazione.

Nella ricerca dei fatti da elevare a presupposti di imposta il legislatore gode di vasta libertà di

scelta, fermo il limite della capacità contributiva (Art. 53 Cost).

La più antica e diffusa distinzione delle imposte, è quella tra imposte dirette e indirette:

DIRETTE imposte che assumono a presupposto indici diretti di idoneità soggettiva alla

contribuzione (reddito o patrimonio);

INDIRETTE quelle che colpiscono fatti che tale idoneità palesano in via indiretta o

indiziaria (gli scambi).

L'obbligazione di corrispondere all'ente pubblico una somma a titolo di imposta può essere

periodica o unica, secondo che il presupposto del tributo consista in uno stato di fatto suscettibile di

ripetersi nel tempo o in un solo determinato avvenimento; da qui la distinzione delle imposte in

periodiche ed istantanee.

PERIODICHE queste imposte presentano una duplice caratteristica:

▪ necessitano dell'intervento del legislatore per la delimitazione del tempo,

appunto del periodo di imposta (di regola coincide con l'anno solare);

▪ per ciascun periodo sorge una distinta obbligazione, cosicché una volta

determinato il periodo di imposta, l'obbligazione periodica non si

distingue più da quella istantanea.

ISTANTANEE sono imposte che per ogni singolo avvenimento, che ne forma il

presupposto, sorge una distinta e unica obbligazione cosicché la

ripetizione del medesimo fatto nel medesimo anno solare o esercizio

sociale da origine ad una nuova obbligazione.

Altre distinzioni.

Le accise (imposte di fabbricazione e di consumo) e i tributi doganali, sono tradizionalmente

inquadrati nella categoria delle imposte sui consumi, sulla base della considerazione che per effetto

del fenomeno della traslazione economica esse finiscono col colpire il consumatore finale.

Possono ricomprendersi tra i tributi sui consumi solo quelli che finiscono per gravare sul

consumatore finale a causa di meccanismi di rivalsa giuridicamente rilevanti, in quanto riconosciuti

all'operatore dallo stesso legislatore.

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In mancanza di un diritto di rivalsa, le imposte che finiscono generalmente per gravare sui

consumatori finali possono classificarsi tra quelle sugli atti di immissione al consumo (vendite e/o

fabbricazione).

Un'altra distinzione rilevante è quella tra le imposte generali e speciali sul reddito o sul patrimonio:

Generali imposte che colpiscono l'indice considerato nel suo complesso, in tutte le sue

manifestazioni; esempio, IRPEF in quanto con essa il legislatore ha inteso

tassare tutte le possibili componenti del reddito delle persone fisiche. Non sta

al carattere generale dell'imposta la circostanza che essa faccia riferimento ad

una categoria limitata di soggetti: rispetto ad essi, infatti, l'indice di capacità

contributiva prescelto dal legislatore (il patrimonio) è colpito nel suo

complesso.

Speciali imposte che assoggettano al tributo una sola parte o componente del reddito o

del patrimonio. Esempio, ICI (imposta comunale sugli immobili) poiché

colpisce solamente quella parte del patrimonio posseduto rappresentata dai

beni immobili. Le imposte sul patrimonio, a loro volta, possono essere

distinte a seconda che l'indice sia tassato al lordo o al netto delle passività ad

esso relative.

L'ampliamento del presupposto tipico: le equiparazioni (o assimilazioni).

Non poche leggi d'imposta, dopo avere definito con grande esattezza la fattispecie tipica della

relativa imposta, provvedono altresì ad operare una sorta di ampliamento della fattispecie stessa con

la espressa e puntuale previsione di una serie di ipotesi di equiparazione.

Tratto comune a tutte le equiparazione è l'applicazione della disciplina propria dei presupposti

tipici di imposta a situazioni diverse, che, quanto a rilevanza, vengono assimilate ai primi.

Le norme che dispongono la equiparazione sembrano ispirarsi ad una duplice ratio:

A) Vi sono ipotesi in cui il legislatore reputa che fatti tipici e fatti assimilati siano equivalenti in

termini di indizio di forza economica. Alla base dell'assimilazione c'è in tal caso un giudizio

di corrispondenza o identità, in termine di attitudine alla contribuzione degli effetti che fatti

tipici e datti assimilati sono idonei a produrre.

B) Altre volte la ratio dell'equiparazione è di sbarramento a possibili manovre evasive o

elusive.

Non sempre la ratio antielusiva è presente. A questo riguardo è da notare che nella legislazione

tributaria più recente si assiste ad un continuo proliferare e ad un vero abuso delle equiparazioni

antielusive. Questo abuso può comportare una violazione degli Artt. 3 e 53 Cost.

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Il restringimento del presupposto tipico: esenzioni ed esclusioni di imposta.

Si ha:

ESENZIONE se la norma sottrae all'applicazione del tributo un fatto o un insieme di

fatti (esenzione oggettiva) o una persona o un insieme di persone

(esenzione soggettiva) che, in sua assenza, rientrerebbero naturalmente

nell'area del presupposto tipico;

ESCLUSIONE tutte le volte in cui le disposizioni si limitano ad esplicare una

funzione (talvolta in chiave interpretativa) di mera, più nitida

delimitazione dei confini del presupposto tipico.

La legislazione tributaria più di recente si caratterizza per una non lodevole tendenza a confondere i

due fenomeni, spacciando o travestendo come esclusioni vere e proprie esenzioni.

Vi sono esenzioni oggettive e soggettive, così come vi sono esclusioni oggettive e soggettive. Vi

sono esenzioni nascenti direttamente dalla legge es altre subordinate alla presentazione di una

istanza di parte o alla emissione di un provvedimento autoritario di esonero.

I regimi fiscali sostitutivi.

I regimi fiscali sostitutivi (o imposte sostitutive) consistono in meccanismi impositivi che, per

specifiche fattispecie, sostituiscono le normali imposte applicabili a quelle fattispecie.

Le ragioni che inducono il legislatore ad introdurre i regimi sostitutivi consistono in una

esigenza di alleggerimento del peso del prelievo tributario o in una semplificazione degli

adempimenti formali e/o nella maggior certezza di effettuazione del prelievo col regime sostitutivo

rispetto al regime normale.

In linea di principio il tributo sostitutivo dovrebbe assoggettare ad imposizione lo stesso

presupposto di fatto dell'imposta sostituita, di tal che:

1. In difetto di contraria previsione, gli esoneri, abbuoni, esclusioni ed esenzioni, previsti

per l'imposta sostitutiva, dovrebbero valere automaticamente per l'imposta sostituita;

2. Ove venisse meno la norma che istituisce la sostituzione dovrebbero diventare operanti

le ordinarie regole della imposta sostituita.

Invece frequentemente l'imposta sostitutiva si risolve nella creazione di un tributo avente una

accentuata autonomia dall'imposta sostituita proprio in ordine alla configurazione della fattispecie

dell'imponibile.

Ulteriori classificazioni e distinzioni descrittive.

Si ha sovrapposizione di presupposti quando una fattispecie costituente un presupposto per

l'applicazione di un'ulteriore e distinta imposta.

La sovrapposizione integrale, senza varianti si verifica nel caso della sovraimposta e

dell'addizionale:

Sovraimposizione il presupposto e l'imponibile id un un'imposta costituiscono il

presupposto e l'imponibile anche di un'altra imposta.

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Addizionale vengono applicate non due distinte imposte ad uno stesso presupposto, ma

semplicemente si incrementa di una percentuale l'aliquota di un certo

tributo.

Si ha invece il fenomeno dei presupposti alternativi quando le fattispecie di due imposte diverse

sono disegnate e coordinate dalla legge in modo da escludere la simultanea applicazione di

entrambe.

La doppia imposizione interna.

L'Art. 127 del TU delle imposte sui redditi afferma che “la stessa imposta non può essere

applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti

diversi”.

Allora l'Art. 127 deve essere inteso come enunciazione di un criterio ermeneutico per

l'interpretazione delle disposizioni del TUIR e più in generale delle disposizioni in materia di

imposte sui redditi.

Maggiore spessore assume quando si è in ambito di attività amministrativa di accertamento, nel

quale assume le forme del divieto di ne bis in idem, e cioè del divieto di emanare più atti impositivi

con riferimento al medesimo reddito anche se nei confronti di soggetti diversi.

Ulteriori elementi del presupposto: spazio, tempo, periodo di imposta, periodo di

commisurazione e ascrizione.

Per la completa determinazione legislativa del presupposto occorre ancora che sia precisata la sua

scansione nel tempo. Da questo punto di vista tutti i presupposti si distinguono in due categorie:

1. Quelli consistenti solo in un determinato avvenimento o rapporto che si esaurisce per la

sua natura in un istante o in un certo lasso di tempo.

2. I fatti o le situazioni che si ripetono o possono ripetersi uniformemente o che hanno una

certa durata.

Per quanto riguarda il punto 1) può capitare a volte che la legge stabilisca il momento a cui deve

aversi riguardo per la determinazione del presupposto; per il punto 2) è invece sempre necessario

stabilire l'arco di tempo entro il quale dev'essere circoscritta la situazione di fatto oggetto

dell'imposta.

Questa frazione di tempo è il periodo d'imposta. A ciascun periodo corrisponde una

obbligazione tributaria distinta.

Il presupposto deve inoltre presentare elementi di collegamento col territorio dello Stato. Questi

elementi possono essere i più vari (residenza, domicilio, dimora, sede legale, luogo in cui la cosa da

tassare è situata o in cui il contratto è stato stipulato, etc). La legge di imposta non manca mai di

collegare il presupposto al territorio.

Il debito d'imposta nasce solo allorché la fattispecie oggettiva realizzatasi risulta ascrivibile (e cioè

imputabile ad una persona. In qual modo questa attribuzione si debbia compiere, risulta per lo più

dal contenuto della fattispecie delle varie leggi d'imposta.

Non di rado viene usata come criterio di attribuzione la relazione giuridica tra persona e cosa

chiamata in possesso.

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La base imponibile o parametro.

L'ammontare del debito di imposta deriva (eccezion fatta per l'imposta fissa) dall'applicazione

dell'aliquota o tasso o percentuale, fissata dalla legge, ad una grandezza, variamente denominata

(base imponibile, imponibile, etc).

I criteri per la determinazione dell'imponibile sono necessariamente diversi per le varie specie

di presupposti d'imposta.

La base imponibile può essere totalmente autonoma rispetto al presupposto e influire

esclusivamente sulla misura del tributo (quantum debeatur). Ma è possibile che sia uno degli

elementi costitutivi del presupposto ed in tal caso incide sulla stessa obbligatorietà del tributo (an

debeatur).

In taluni casi il calcolo della base imponibile si presenta come operazione spedita e rapida. Ciò

accade quante volte essa ha struttura semplice, essendo costituita da entità che debbono essere

semplicemente pesate, numerate o misurate.

Più spesso, nelle imposte più impostanti (IRPEF, IRPEG) la base imponibile ha una struttura

composita, essendo la risultante o la somma algebrica di un insieme di elementi positivi e negativi.

In tali casi la legge di incarica sia di definire gli elementi attivi e passivi, sia di fissare i criteri di

tassabilità dei primi e di deducibilità dei secondi.

La distinzione delle imposte dirette sul reddito e sul patrimonio in base alle regole poste dalla

legge per la determinazione degli imponibili. Imposte oggettive e soggettive, reali e personali.

Le imposte dirette si suddividono in personali e reali o, il che è lo stesso, in soggettive e oggettive.

Questa distinzione attiene al modo in cui la legge tributaria definisce il presupposto del tributo.

Imposte soggettive (o personali) sono quelle che colpiscono l'insieme dei redditi o dei

beni del contribuente, o anche una parte di essi, ma in quanto

spettano a una data persona, e quindi avuto riguardo, in misura più o

meno larga, alle sue condizioni personali e familiari.

Imposte oggettive riguardano singoli beni o redditi, anche gruppi di beni o redditi,

considerati nella loro nuda oggettività, senza tenere in alcun conto

la condizione personale del soggetto passivo di imposta.

Questa distinzione rileva ai seguenti fini:

a) Per l'individuazione del momento in cui si veridica la nascita del debito d'imposta;

b) Ai fini della deduzione delle passività, in quanto nelle imposte soggettive si sottraggono dal

reddito del soggetto passivo tutti gli oneri che ne diminuiscono la libera disponibilità,

mentre nelle imposte oggettive si tiene conto solo delle passività strettamente inerenti al

reddito colpito e che lo diminuiscono nella sua oggettività.

Nel nostro ordinamento, nell'ambito delle imposte reddituali, il solo tributo a carattere soggettivo è

l'IRPEF e sono oggettive l'IRPEG e l'IRAP. Elementi di personalizzazione sono presenti anche in

altre imposte, dirette e indirette.

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La personalizzazione dell'IRPEF è realizzata con diversi espedienti tecnici, quali:

1. Gli oneri deducibili la legge elenca una estesa tipologia di oneri sostenuti dal

contribuente, che sono deducibili dal reddito complessivo imputabile

al contribuente medesimo. Essi non vengono equiparati alle normali

spese di consumo del reddito (le quali sono indeducibili) in quanto

sono volti a soddisfare esigenze minime, ma anche imprescindibili ed

irrinunciabili, di sopravvivenza (spese mediche), di cultura, di civiltà,

di sicurezza. Trattasi di spese che non esprimono capacità

contributiva; per ciò le somme impiegate per sostenerle debbono

andare indenni da contribuzione.

2. Le detrazioni soggettive d'imposta dall'imposta che colpisce il reddito complessivo si

deducono:

▪ una somma, definita quota esente, che è volta ad

assicurare al soggetto la non tassazione della

porzione di reddito corrispondente concettualmente

al così detto minimo vitale.

▪ Altre somme, di importo variabile, per il coniuge a

carico non legalmente ed effettivamente separato,

nonché per i figli.

La legge prevede anche detrazioni oggettive di imposta ma queste assolvono a funzioni diverse (es.

discriminazione qualitativa dei redditi).

Anche la progressività concorre alla personalizzazione dell'IRPEF.

Imposte fisse e variabili. Imposte variabili e tasso d'imposta. Tipologie di aliquote e

classificazione dei tributi in base ad esse. Le aliquote progressive e le forme tecniche di

attenuazione della progressività per redditi e incrementi poliennali. Inflazione e rivalutazione

delle aliquote.

L'imposta può essere fissa o variabile:

A) FISSA in questo caso è espressa in una somma determinata di danaro;

B) VARIABILE è espressa in una quota da ragguagliarsi alla grandezza della base imponibile.

Il sistema dominante è quello dell'imposta variabile commisurata alla grandezza della base

imponibile:

se questa è costituita dalla estensione, dal peso dell'oggetto, o dal numero degli oggetti, il

tasso dell'imposta è indicato in una cifra per ciascuna unità di misura o per ciascun oggetto.

Se la base imponibile è formata, come di regola, dal valore dell'oggetto, il tasso dell'imposta

è espresso in una percentuale di questo valore.

L'applicazione del tasso alla base imponibile può avvenire in modo proporzionale o progressivo,

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donde la distinzione delle imposte in proporzionali e progressive.

Secondo il sistema proporzionale il tasso è fissato in un'aliquota che non muta quale che sia in

concreto l'ammontare della base imponibile, e quindi l'ammontare del debito aumenta

proporzionalmente al crescere della base imponibile.

Il criterio della progressività consiste nel fatto che il tasso dell'imposta, per il medesimo tributo,

anziché essere uniforme, varia col variare della base imponibile, la quale quindi è divisa in

scaglioni, per ciascuno dei quali la legge stabilisce un tasso via via più elevato, fine ad un limite

massimo.

Le imposte reali sono ordinariamente proporzionali; le imposte personali sono altrettanto

normalmente progressive.

L'aliquota progressiva può dare luogo a forme di incostituzionalità qualora a formare la base

imponibile entrino elementi (es. plusvalenze) a formazione poliennale e la legge non tenga conto di

tale poliennalità.

Per ovviare a tale inconveniente la legge ricorre a vari sistemi, in specie a quell'espediente

detto “metodo della tassazione separata” mediante il quale i proventi a formazione poliennale

vengono “staccati”dalla base imponibile e assoggettati ad un'aliquota “speciale”.

Altro problema posto dall'aliquota progressiva è quello detto del drenaggio Fiscale. Nell'ambito di

una imposta progressiva il gonfiamento nominalistico del reddito dovuto all'incidenza

dell'inflazione, ma al quale non corrisponde un reale incremento di capacità contributiva, si traduce

in un aumento effettivo del prelievo fiscale.

A ciò si è posto rimedio mediante l'introduzione di meccanismi di indicizzazione dell'aliquota.

Presupposto, base imponibile ed aliquota, esenzioni, esclusioni, etc, come criteri di riparto.

Ogni legge di imposta deve individuare i soggetti passivi della contribuzione. Ma deve altresì

individuare gli indici oggettivi di riparto riferibili a quei soggetti passivi.

Questi indici oggettivi di riparto si identificano con gli elementi analizzati fino ad ora e, oltre

al presupposto, alla base imponibile e all'aliquota includono tutti i regimi sostitutivi di quelli

normali.

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Cap. 10

I SOGGETTI PASSIVI DEL TRIBUTO

La soggettività passiva tributaria.

È oggetto di dibattito il problema se i soggetti passivi dell'imposta si identifichino con i soggetti di

diritto privato ovvero se sussista una soggettività tributaria più estesa rispetto alla soggettività

privatistica.

TEORIA DELLA SOGGETTIVITA' TRIBUTARIA

Un' autorevole dottrina sostiene che la capacità giuridica tributaria nel nostro ordinamento, come in

quella di altri Stati, non coincida con la capacità giuridica del diritto privato. Infatti il diritto

tributario attribuisce la capacità di essere soggetti passivi di imposta anche ad unioni di persone o a

complessi di beni sforniti, secondo il diritto privato, di capacità giuridica.

Secondo altra autorevole impostazione, al contrario, vi può essere un soggetto passivo di imposta

solo in presenza di una persona fisica o di un ente dotato di soggettività giuridica di diritto privato.

Il contribuente.

Con il vocabolo contribuente si individua il soggetto tenuto alla contribuzione, vale a dire il

soggetto passivo della obbligazione di imposta. Contribuente è colui che deve l'imposta perché si

sono verificati fatti e situazioni previsti dalla legge come presupposto tributario, che sono a lui

riferibili o ascrivibili.

L'obbligato solidale paritario nel diritto tributario: principi generali e problemi aperti.

In diritto tributario sono numerose le disposizioni che sanciscono un vincolo solidale tra più

soggetti ai fini dell'adempimento di una medesima obbligazione nel caso in cui gli stessi abbiano

concorso alla realizzazione di un medesimo presupposto di fatto dell'imposta. In tale evenienza il

presupposto è unitario e plurisoggettivo.

Secondo una consolidata giurisprudenza tributaria anteriore al 1968, le norme, proprie della

solidarietà di diritto comune, non sarebbero state applicabili alla solidarietà tributaria, la quale si

assumeva essere retta da principi suoi propri, riassumibili nel concetto della mutua rappresentanza

tra tutti coobbligati passivi.

In questo tipo di solidarietà denominata supersolidarietà tributaria, l'atto di imposizione produceva

gli effetti suoi propri anche riguardo a quei coobbligati che dell'atto ignoravano a ragione

l'esistenza. Pertanto, la solidarietà tributaria appariva caratterizzata dal principio dell'estensività

degli effetti, agli altri condebitori solidali, degli atti compiuti da/o contro uno di essi.

Con le sentenze 48/1968 e 139/1968 la Corte costituzionale ha riconosciuto che i principi riassunti

con il termine di supersolidarietà tributaria urtavano contro la garanzia accordata dal 1°comma

dell'Art. 24 Cost. ed ha accolto, così, la sollevata eccezione di incostituzionalità di alcune norme

dalle quali l'istituto in parola appariva disciplinato.

Tuttavia le due sentenze non risolvono il problema della solidarietà tributaria e anzi sollevano

alcune grandi questioni.

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Appare dunque convincente il recente tentativo di riproporre la tesi della supersolidarietà basandola

sull'assetto che l'estensione alle obbligazioni pubbliche di imposta delle regole civilistiche sulla

solidarietà non regge ad un serio vaglio di legittimità costituzionale (Artt. 3, 53, 97 Cost).

Postulare la necessità che la definizione del rapporto obbligatorio d'imposta, dovendo avvenire

in maniera uniforme per tutti i coobbligati, vada perseguita con il coinvolgimento di tutti, in ogni

momento e fase, e quindi nella prospettiva della realizzazione del litisconsorzio necessario, appare

soluzione conforme ai principi di giusto riparto.

Il coobbligato dipendente illimitato.

Con il termine solidarietà paritaria la dottrina fa riferimento a quel tipo di vincolo solidale

caratterizzato da una pluralità di obbligazioni di pari rango che dal lato attivo fanno capo all'ente

creditore, mentre dal lato passivo sono poste a carico di più obbligati tributari tutti principali.

In questo tipo di solidarietà il presupposto d'imposta si realizza nei confronti di tutti i diversi

obbligati, pur potendo variare il carico d'imposta che, in definitiva, per effetto delle azioni di

regresso, farà capo a ciascuno di essi.

Si ha viceversa, solidarietà dipendente quando i vincoli facenti capo a ciascun singolo soggetto, pur

essendo intrinsecamente uguali (cioè con identico contenuto) sono posti tra loro in un rapporto di

dipendenza.

L'obbligazione facente capo al coobbligato in via dipendente esiste solo in quanto esista

l'obbligazione principale facente capo ad altro soggetto.

Tuttavia nessun beneficio di escussione è previsto di regola a favore dell'obbligato dipendente,

sicché, nei confronti dell'ente creditore, obbligato principale e obbligato dipendente sono sullo

stesso piano.

Alla categoria della solidarietà dipendente viene ricondotta la figura del responsabile d'imposta. È

responsabile di imposta colui che è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatti o

situazioni riferibili esclusivamente a questi ultimi, ovvero alla cui realizzazione il responsabile non

ha partecipato.

L'estraneità del responsabile di imposta alla realizzazione del presupposto imponibile è

l'elemento che diversifica questa figura dalle altre obbligazioni solidali dipendenti.

Il problema se l'ufficio di imposizione sia tenuto a notificare un autonomo atto di accertamento nei

confronti del coobbligato dipendente va risolto nel seguente modo:

L'atto costitutivo dell'obbligazione principale ha efficacia riflessa sulla coobbligazione

dipendente, anche in assenza di notificazione di tale atto al coobbligato dipendente (nella

specie non è invocabile l'Art. 1306 Cc).

Per contro i presupposti specifici sui quali si fonda la solidarietà dipendente esigono

l'emissione di un autonomo atto che li accerti.

Il coobbligato dipendente limitato.

La responsabilità dipendente limitata non è una fattispecie in cui ricorre la solidarietà tributaria.

Tuttavia la legge gli ricollega i medesimi effetti.

Come per il responsabile di imposta, è una responsabilità per il pagamento dell'imposta e/o

delle sanzioni amministrative facenti capo ad un soggetto diverso dal debitore d'imposta;

responsabilità che, per la sua esistenza richiede la sussistenza dell'obbligazione principale.

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Tuttavia tale responsabilità non si estende a tutto il patrimonio del soggetto responsabile, essendo

circoscritta ad uno o più beni determinati.

Una fattispecie tipica in cui ricorre questa figura è rappresentata dalla numerosa serie di privilegi

speciali che garantiscono la riscossione sia delle imposte sul reddito sia delle imposte sui

trasferimenti.

Nel caso dei privilegi speciali, il diritto dello Stato a realizzare il proprio credito permane sul

bene ancorché questo venga alienato a terzi, i quali, perciò, rispondono, limitatamente a quel bene,

di un obbligazione tributaria altrui.

Il sostituto d'imposta. Precisazioni terminologiche e distinzioni preliminari.

Per ragioni di comodità, speditezza, garanzia di più sicura esazione, la legge si preoccupa in taluni

casi di allargare la sfera dei soggetti passivi estendendo in varia guisa l'ascrizione di situazioni

giuridiche soggettive rilevanti ai fini del prelievo a persone diverse da quelle alle quali è

direttamente riferibile la situazione base.

Il più singolare dei modi anzidetti si identifica con la sostituzione tributaria.

IL SOSTITUTO d'imposta è il soggetto obbligato al pagamento di un'imposta o di un

acconto d'imposta in luogo di altri, per i fatti o situazioni a

questi riferibili.

Il SOSTITUITO d'imposta è il soggetto nei cui confronti si è realizzata la situazione base

del tributo.

Con il termine rivalsa si allude al meccanismo attraverso il quale il sostituto procede al recupero nei

riguardi del sostituto, dell'imposta pagata o da pagare all'erario.

Le ipotesi tipiche di sostituzione tributaria previste attualmente nel nostro ordinamento sono:

A) la sostituzione totale con ritenuta di rivalsa facoltativa;

B) la sostituzione totale con ritenuta di rivalsa obbligatoria;

C) la sostituzione parziale con rivalsa obbligatoria (ritenuta d'acconto).

La sostituzione totale con ritenuta di rivalsa facoltativa.

Qui, il sostituto, una volta effettuato il dovuto pagamento all'erario (anche anteriormente, nel

momento in cui paga al creditore i proventi tassabili), non è obbligato a rivalersi sul sostituito, ossia

a procedere al recupero dell'imposta pagata, ma viene lasciato libero di procedervi a sua scelta.

Pertanto in tale ipotesi l'unico soggetto passivo dell'obbligazione tributaria è il sostituto

d'imposta.

Il fatto che il legislatore si disinteressi dei rapporti intercorrenti tra sostituto e sostituito, rimettendo

tutto alla decisione di quest'ultimo in ordine alla rivalsa, altro non significa che estraneità del

sostituito a qualsivoglia rapporto giuridico col titolare del credito tributario.

Tale estraneità porta ad escludere che il sostituto possa essere perseguito dalla Amministrazione

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Finanziaria e questo sia che abbia la ritenuta, sia che non l'abbia subita.

La sostituzione totale con ritenuta di rivalsa obbligatoria (cedolare secca).

In questo tipo di sostituzione totale il sostituto è obbligato a rivalersi (mediante ritenuta o in altro

modo) sul sostituito ossia a procedere al recupero presso di esso dell'imposta pagata o da pagare

(obbligo di rivalsa).

Esclusivamente sulla base delle norme di diritto positivo tributario e in particolare degli Artt.

64 del dpr n°600/1973 e 35 del dpr n°602/1973, occorre procedere alla ricostruzione dei rapporto

che, per effetto di questo particolare tipo di sostituzione, viene a instaurarsi tra sostituto, sostituito e

Amministrazione Finanziaria. A tal fine si configurano quattro situazioni tipiche:

1. Il sostituto non ha esercitato preventivamente la ritenuta di rivalsa ma ha assolto ugualmente

il debito verso l'Erario.

In questo caso il sostituto subirà, in relazione al proprio comportamento omissivo, le

sanzioni espressamente previste per la violazione dell'obbligo di operare le ritenute alla

fonte, ma nessuna conseguenza potrà essere accollata al sostituito, essendo stato il debito

tributario nei confronti dello Stato regolarmente assolto. Al sostituto dovrà peraltro essere in

ogni caso riconosciuto il diritto di esercitare la rivalsa.

2. Il sostituto oltre a non aver esercitato la ritenuta di rivalsa, non ha assolto il debito nei

confronti dello Stato.

Qui l'eventuale accertamento deve essere intestato esclusivamente al sostituto, giacché i

relativi obblighi sono posti solamente a suo diretto carico. Poiché peraltro il sostituito, ai

sensi dell'Art. 35 dpr n°602/1973 è coobbligato in solido con il sostituto per il pagamento

delle imposte dovute, egli ha diritto, riconosciutogli espressamente dal secondo comma

dell'Art. 64 dpr n°600/1973, di spiegare intervento nella procedura di imposizione del

tributo nonché nel processo giurisdizionale instauratisi contro il sostituto.

Il sostituito peraltro non ricevendo la notificazione dell'imposizione intestata e notificata al

sostituto, non ha modo di venire a conoscenza della pretesa vantata dall'Amministrazione

Finanziaria.

Sarà dunque onere del sostituto informare il sostituito dell'avvenuta notificazione

dell'imposizione, si da consentirgli l'esercizio delle facoltà di intervento, pena la perdita del

diritto di rivalsa nei suoi confronti.

Il titolo esecutivo (iscrizione a ruolo) che verrà a formarsi al termine del procedimento così

strutturato, sarà opponibile al sostituto e al sostituito.

3. Il sostituto che ha esercitato preventivamente la ritenuta di rivalsa ed ha assolto il debito nei

confronti dell'Erario.

L'intero rapporto tributario deve considerarsi esaurito in assoluta conformità alla legge.

4. Il sostituto ha esercitato preventivamente la ritenuta di rivalsa ma non ha assolto il debito nei

confronti dello Stato.

Le conseguenze di tale inadempimento ricadono unicamente sul sostituto. In quanto:

il rapporto sostituto-erario in relazione al mancato versamento della ritenuta

eseguita, resta pendente;

il rapporto sostituito-erario deve ritenersi esaurito avendo il sostituito

effettivamente subito il prelievo mediante ritenuta.

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Pseudo sostituzione parziale con rivalsa obbligatoria (ritenuta d'acconto).

Il presenza di determinati presupposti la legge impone al debitore di una somma l'obbligo di operare

una ritenuta e di versarne l'imposto all'erario a titolo di acconto dell'imposta, che sarà

eventualmente dovuta al creditore.

Si parla in tali ipotesi di ritenuta d'acconto e del tutto erroneamente si considera tale ritenuta

una forma di sostituzione.

La ritenuta d'acconto presenta un solo tratto comune con la sostituzione totale con ritenuta

obbligatoria: in entrambi i casi si è in presenza di un soggetto terzo, oltre allo Stato e a colui che

realizza la situazione base dell'imposta, tenuto a operare la ritenuta e a versarla allo Stato.

La ritenuta d'acconto realizza una forma di prelievo anticipato rispetto alla nascita dell'obbligazione

tributaria: il prelievo, infatti ha luogo prima della chiusura del periodo d'imposta, in un momento

assai prossimo a quello in cui il reddito viene conseguito.

La ritenuta è tuttavia strettamente collegata al venire in essere del presupposto

dell'obbligazione tributaria, essendo operata su proventi che concorreranno a formare il reddito

imponibile del soggetto passivo della obbligazione tributaria.

L'obbligo di ritenuta si distingue dall'obbligazione tributaria sotto il profilo qualitativo e

quantitativo, in quanto mentre la ritenuta si applica sui singoli proventi, l'obbligazione tributaria

assume come parametro il complesso delle componenti positive di reddito afferenti il periodo di

imposta al netto delle componenti negative imputabili al medesimo periodo.

Al rapporto tra Stato e il soggetto obbligato alla ritenuta, si affianca sempre quello tra lo Stato e il

soggetto che subisce la ritenuta. Trattasi di rapporti autonomi e distinti, che vanno quindi analizzati

separatamente:

(a) Rapporto tra il soggetto passivo dell'obbligazione tributaria (contribuente) e lo Stato.

L'esecuzione della ritenuta fa sorgere in capo a chi la subisce e riceve la relativa certificazione

documentale, un credito nei confronti dell'ente pubblico di importo pari alla ritenuta subita. Il diritto

alla detrazione della ritenuta rimane fermo anche se la ritenuta viene operata ma non versata.

Per converso, se la ritenuta non è stata operata, il soggetto passivo dell'obbligazione tributaria è

tenuto ad esporre nella propria dichiarazione la somma percepita ma non può scomputare

dall'imposta dovuta sul reddito complessivo l'imposto corrispondente alla ritenuta.

Nell'ambito dell'istituto della ritenuta d'acconto, la rivalsa (da esercitarsi mediante ritenuta o in altro

modo), è sottoposta ad un termine di decadenza costituito dalla scadenza del termine entro il quale

il sostituito deve presentare la dichiarazione nella quale va incluso il provento soggetto a ritenuta.

Decorso tale termine l'esercizio della rivalsa e la relativa certificazione sarebbero inutiliter dati.

(b) Rapporto tra il soggetto obbligato alla ritenuta e lo Stato.

Il soggetto obbligato alla ritenuta diviene debitore del relativo importo nei confronti dell'erario solo

nel momento in cui effettua la ritenuta sulle somme corrisposte al creditore. In altre parole, allorché

la legge pone a carico del soggetto l'obbligo della ritenuta, la violazione di tale obbligo comporta

l'applicazione delle sanzioni amministrative che vi sono connesse, ma non determina

aggiuntivamente l'obbligo di corrispondere l'acconto, non essendo stata operata alcuna ritenuta,

ossia alcun prelievo, in nome e per conto dell'erario.

Il sostituto non è mai soggetto passivo dell'obbligazione tributaria ed è soggetto passivo

dell'obbligazione di pagamento della ritenuta nella sola ipotesi in cui abbia tempestivamente e nei

termini effettuato la ritenuta medesima.

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Il successore.

Anche con riferimento alle obbligazioni di imposta vale il principio di diritto civile per il quale gli

eredi subentrano in tutte le posizioni attivi e passive che facevano capo al de cuius.

Con specifico riguardo alle imposte sui redditi il legislatore ha disposto una deroga al principio

civilistico della divisibilità dell'obbligazione in capo agli eredi del debitore (Art. 752 Cc),

disponendo che “gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è

verificato anteriormente alla morte del dante causa” (Art. 65 dpr 600/1973).

Inoltre è disposto che tutti i termini pendenti alla data della morte del contribuente o scadenti

entro 4 mesi da essa, compresi il termine per la presentazione della dichiarazione e il termine per

ricorrere contro l'accertamento, sono prorogati di sei mesi in favore degli eredi.

In materia di IVA il legislatore ha disposto, a favore degli eredi, una proroga dei termini per

l'espletamento degli obblighi relativi a questa imposta scaduti non oltre sei mesi prima della data

della morte del contribuente fino a 3 mesi dopo tale data.

Per le imposte diverse dalle imposte sul reddito e dall'IVA dovranno applicarsi le norme del codice

civile.

Il rappresentante negoziale e il rappresentante legale.

Le operazioni economiche che rivestono rilevanza agli effetti di diritto tributario possono essere

realizzate, anziché direttamente dal soggetto passivo d'imposta, da un suo rappresentante negoziale.

Il ricorso alla figura della rappresentanza è poi un fatto necessitato nelle ipotesi di rappresentanza

legale ovvero di rappresentanza organica. Qui l'obbligazione d'imposta sorge solo in capo al

soggetto rappresentato.

È tuttavia necessario chiedersi se questa conclusione possa parimenti valere anche con

riguardo alle obbligazioni relative alle sanzioni amministrative applicabili per violazioni alla

normativa tributaria compiute dal rappresentante. La risposta è negativa.

Il rappresentante fiscale.

Il rappresentante fiscale è un figura attinente i soggetti non residenti che realizzino in Italia fatti o

situazioni rilevanti rispetto alle imposte sul reddito o all'IVA.

Con riferimento alle imposte sul reddito è previsto che le società ed enti non aventi la sede legale o

amministrativa né una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, devono indicare nella propria

dichiarazione ai fini IRPEG e ILOR, le generalità e l'indirizzo in Italia di un rappresentante per i

rapporti tributari.

Salvo diversa menzione nell'atto di designazione (da effettuarsi in sede di dichiarazione), il

rappresentante in Italia di soggetti esteri svolge un'attività rappresentativa limitata alla sola

ricezione di atti provenienti dall'Amministrazione Finanziaria e al massimo di collaborazione con

gli uffici finanziari per quanto attiene la comunicazione ai medesimi di dati relativi al soggetto

rappresentato che questi possono legittimamente richiedere.

Con riferimento all'IVA è testualmente prevista la possibilità che per le operazioni effettuate nel

territorio dello Stato da o nei confronti di non residenti questi nomino un rappresentante residente in

Italia per l'adempimento degli obblighi e l'esercizio dei diritti previsti dalla normativa IVA.

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In questo caso il rappresentante fiscale “risponde in solido con il rappresentato nell'ipotesi di

inosservanza degli obblighi medesimi”.

Il domicilio fiscale.

Tutti gli atti, i contratti, le denunce, le dichiarazioni che assumono rilevanza fiscale in quanto

presentati all'amministrazione finanziaria, devono recare l'indicazione del comune di domicilio

fiscale, con la precisazione dell'indirizzo.

Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui

anagrafe sono iscritte.

Le persone giuridiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in

mancanza, la sede amministrativa.

NB. È fatto comunque salvo il potere dell'Amministrazione Finanziaria di stabilire il domicilio

fiscale del soggetto in deroga ai criteri appena menzionati.

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Cap. 11

GLI EFFETTI

Il tributo come obbligazione pecuniaria. Delucidazioni sulla natura pubblicistica

dell'obbligazione d'imposta.

L'obbligazione d'imposta si risolve in una prestazione, normalmente pecuniaria. Avente i caratteri

delle obbligazioni del codice civile.

L'obbligazione definitiva è l'effetto tipico nascente, in via mediata o immediata, dal presupposto.

Questa, inoltre, come le obbligazioni di diritto privato, può estinguersi per compensazione.

Il fenomeno della compensazione si verifica in modo continuo e immancabile nel campo delle

imposte reddituali e dell'IVA.

Ricevendo i versamenti anticipati (ritenute, crediti, acconti d'imposta) l'ente pubblico assume,

quale contropartita del ricevimento in proprietà di tali somme, tutte vincolate al soddisfacimento

dell'obbligazione definitiva futura, l'obbligazione di restituzione del tantumdem, subordinata però

alla condizione sospensiva della mancata nascita dell'obbligazione definitiva d'imposta.

Con la nascita di questa, obbligazione d'imposta e obbligazione di restituzione delle somme che

l'ente ha anticipatamente ricevuto si estinguono per compensazione fino a concorrenza delle

quantità corrispondenti. Per l'eccedenza:

se a favore del contribuente spetta il rimborso o il diritto al riposto in avanti;

se a sfavore del contribuente si ha il versamento del conguaglio.

La peculiarità del fenomeno tributario è che, oltre al rapporto di dare-avere (contribuente-fisco),

esiste un rapporto tra contribuenti. Quest'ultimo rapporto si risolve nella pretesa di ciascuno ad un

equo riparto del carico pubblico complessivo e a non subire un concorso alla spesa pubblica

superiore alla propria capacità contributiva, comparativamente a quella di tutti gli altri soggetti che

debbono partecipare al concorso medesimo.

Solo avendo chiaro questo carattere dell'obbligazione tributaria è possibile comprendere i cd.

Fenomeni di indisponibilità o di irrinunciabilità del credito d'imposta.

In diritto privato il creditore può sempre rinunciare al credito. Il Fisco non può farlo perché é

titolare di un credito che rappresenta una quota, una percentuale. Per ciascun contribuente è

indispensabile che il concorso pro quota di tutti i coobbligati abbia luogo secondo i corretti criteri di

ripartizione.

La compensazione tributaria.

La compensazione in materia tributaria è stata introdotta solo attraverso specifici interventi

normativi. In particolare il d.lgs 241/1997 ha consentito la compensazione tra crediti e debiti

attinenti ad una pluralità di prestazioni pecuniarie disomogenee.

In essa si prescinde dalla coincidenza tra creditore e debitore delle reciproche obbligazioni

richiesta dal codice civile. L'obbligazione d'imposta nei confronti di un determinato soggetto attivo

(Stato, ente locale, altro ente pubblico), può essere estinta tramite crediti sorti in relaizone ad un

altro soggetto tra quelli summenzionati.

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L'Art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede, ora in modo generalizzato, la

possibilità di estinguere l'obbligazione tributaria mediante compensazione. Trattasi di una

regolamentazione della compensazione che è generale ma derogatoria (e dunque speciale) rispetto

alla compensazione di cui agli Artt. 1241 ss Cc.

Le eccezionali ipotesi di tributo come obbligazione facoltativamente non pecuniaria.

L'obbligazione d'imposta, pur sorgendo originariamente quale obbligazione pecuniaria, può, in

ipotesi eccezionali, essere assolta dal contribuente con la dazione di beni diversi dal danaro.

Si consente dunque al contribuente l'assolvimento dell'imposta di successione, donazione e

delle imposte sui redditi (IRPEF, IRPEG, e ILOR) mediante la dazione di beni culturali, cioè di beni

riconosciuti di rilevante interesse storico-artistico.

Con riferimento alle imposte sul reddito, l'Art. 28 del dpr 602/1973 prevede che l'obbligazione

d'imposta possa venire adempiuta, oltre che con danaro, anche con cedole scadute e, in alcuni casi,

non ancora scadute di titoli del debito pubblico, oppure con altri titolo di credito bancario o postale,

purché a copertura garantita.

Versamenti provvisori e obbligazioni definitive.

Una fondamentale distinzione tra obbligazioni d'imposta è rappresentata dalla bipartizione delle

stesse in:

A) OBBLIGAZIONI DEFINITIVE sono le obbligazioni che si fondano su un atto di

imposizione divenuto definitivo (per mancata

impugnazione ovvero per essere intervenuta una

sentenza passata in giudicato nel giudizio di

impugnazione) e sulla dichiarazione annuale divenuta 98

essa stessa intangibile.

B) OBBLIGAZIONI PROVVISORIE ogni altra obbligazione. In tal senso lo sono:

1. Quelle che sorgono da una dichiarazione del contribuente fintanto che non sia

intervenuta la decorrenza del termine di decadenza entro il quale il contribuente stesso

può rettificare in diminuzione quanto dichiarato.

2. Quelle che sorgono per effetto del sistema della riscossione parziale (e provvisoria) del

credito d'imposta in pendenza del giudizio che si svolge avanti le Commissioni tributarie

a seguito del ricorso del contribuente.

3. A pagamenti anticipati e perciò provvisori danno luogo anche gli acconti di imposta.

Ciascun contribuente deve versare, lungo il corso del periodo di imposta, un acconto di

imposta in due rate.

4. Nell'IVA in ragione del meccanismo di liquidazione parziale correlato alla differenza tra

il complesso delle operazioni attive e l'ammontare dell'imposta detraibile relativa agli

acquisti realizzati via via nel corso del periodo di imposta e prima del suo spirare, i

versamenti d'acconto possono essere 4 (IVA TRIMESTRALE), oppure 12 (IVA

MENSILE).

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5. Nell'ambito delle imposte reddituali determinati soggetti, debbono operare una ritenuta

d'acconto sulle somme corrisposte a terzi, aventi natura di redditi di capitale o di lavoro

dipendente o di compenso di lavoro autonomo.

6. Se alla formazione del reddito complessivo concorrono utili distribuiti in qualsiasi forma

e sotto qualsiasi denominazione dalle società di capitali o dagli enti residenti nello stato

che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, al

contribuente è attribuito un credito di imposta, pari all'IRPEG pagata dalla società

sull'ammontare degli utili stessi.

Tali pagamenti sono anticipati rispetto alla obbligazione definitiva che, nel momento di

effettuazione delle anticipazioni, si presenta come vincolo futuro e incerto sia nell'an che nel

quantum debeatur. Da qui la provvisorietà delle relative acquisizioni da parte dell'erario.

Se l'obbligazione futura non viene ad esistenza o è di ammontare inferiore all'imposto

complessivo dei pagamenti anticipati ricevuti a vario titolo dall'erario, la totalità o parte di

tali anticipazioni deve essere restituita agli aventi diritto.

Se l'obbligazione definitiva eccede l'ammontare dei pagamenti anticipati, si procede alla

riscossione della eccedenza.

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Cap. 12

LE CAUTELE PATRIMONIALI DEL CREDITO TRIBUTARIO

E DEL RIMBORSO

La nozione di cautela patrimoniale.

Le cautele patrimoniali sono quelle misure di natura patrimoniale volte a garantire il

soddisfacimento dei crediti tributari e il pagamento delle sanzioni pecuniarie.

Questo obiettivo è ottenuto con il sapiente utilizzo, da parte del legislatore, di molteplici

strumenti, che spaziano dai privilegi generali a quelli speciali, dai diritti reali di garanzia (pegno e

ipoteca) ai diritti personali di garanzia (fideiussioni, etc).

I privilegi.

La più importante e frequente forma di garanzia patrimoniale dei crediti tributari è quella che si

realizza tramite l'istituto dei privilegi. Ai sensi dell'Art. 2746 Cc, i privilegi si distinguono in:

GENERALI sono una causa legittima di prelazione che può essere esercitata su tutti i

beni mobili del debitore.

SPECIALI possono avere ad oggetto specificamente sia beni mobili, sia immobili, e

attribuiscono al creditore il cd. diritto di sequela, il diritto cioè di essere

soddisfatto prioritariamente in ipotesi di esecuzione forzata sul bene

gravato da privilegio anche qualora questo sia passato in proprietà di

terzi.

Sequestro conservativo mobiliare ed ipoteca immobiliare a garanzia dei crediti tributari.

La disciplina dei due istituti è racchiusa nel decreto legislativo n°472/1997. L'adozione della

misura cautelare richiede la presenza antecedente o immediatamente successiva (120 gg come

limite massimo) di un atto di contestazione della violazione o di irrogazione della sanzione, ossia di

uno dei due atti tipici indispensabili per avviare il procedimento applicativo della sanzione

pecuniaria.

Quanto ai presupposti oggettivi per la concessione, facciamo riferimento a:

Periculum in mora fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito.

Fumus boni iuris la verosimile fondatezza della pretesa creditoria.

In tal senso, per verificare la fondatezza della pretesa erariale, è prevista una articolata forma di

contraddittorio preventivo (sono eccezionalmente successivo) scandito nelle fasi di:

1. INIZIATIVA il procedimento è avviato da una istanza motivata dell'ufficio richiedente

al Presidente della Commissione Provinciale, da notificare alle parti

interessate;

2. DEPOSITO nella quale le parti entro 120 gg possono depositare memorie e documenti

difensivi.

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3. DECISIONE l'istanza è trattata in camera di consiglio alla presenza delle parti e si

esprime con SENTENZA.

Altri istituti con funzione cautelare in materia di imposte reddituali, di imposte in genere e di

sanzioni non penali.

La figura di responsabilità prevista dall'Art. 36 dpr 602/1973 ha una funzione in senso lato

cautelare dei crediti di imposta vantati dall'erario ai fini delle imposte reddituali nei confronti degli

enti soggetti all'IRPEG.

La disposizione ora citata sancisce una responsabilità avente natura sanzionatoria in capo ai

liquidatori degli enti predetti i quali non abbiano adempiuto all'obbligo di pagare, con le attività

delle liquidazioni, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima.

Questa responsabilità, limitata all'importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in

sede di graduazione dei crediti, si applica anche agli amministratori che di fatto abbiano compiuto

attività di liquidazione, nonché a soci e associati che abbiano illegittimamente percepito danaro o

beni dalla società prima del soddisfacimento dei crediti in parola.

Per analogia di presupposti, tale responsabilità vige anche in ambito di cessione di azienda. Le

caratteristiche della responsabilità del cessionario d'azienda sono:

1) trattasi di responsabilità sussidiaria, essendo previsto, a favore del cessionario, il beneficio

della preventiva escussione del cedente;

2) la responsabilità è circoscritta entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda

ceduti;

3) la responsabilità è altresì limitata al pagamento delle imposte e sanzioni riferibili alle

violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti;

4) una ulteriore limitazione quantitativa è prevista là dove l'Art. 14 delle preleggi facoltizza gli

interessati a chiedere agli Uffici dell'Amministrazione Finanziaria erariale e a tutti gli enti

preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza il rilascio di un certificato

sull'esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono

stati ancora soddisfatti. L'obbligazione del cessionario è circoscritta all'ammontare dei debiti

risultanti, alla data del trasferimento, dal precetto certificato.

Il certificato, se negativo, ha effetto liberatorio. Tutte le suddette limitazioni quantitative e temporali

vengono meno se la cessione dell'azienda sia stata attuata in frode dei crediti tributari. La frode deve

essere provata dal fisco.

È infine da segnalare, per il suo evidente scopo di garanzia, l'Art. 15 del decreto 472/1997, che in

ipotesi di scissione anche parziale contempla l'insorgere di una obbligazione solidale paritaria in

capo a ciascuna società od ente nel pagamento delle somme dovute per le violazioni commesse

anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto.

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Le cautele nelle imposte doganali e di fabbricazione.

Numerose disposizioni contenute nel TU delle imposte doganali (dpr 43/1973) prevedono il

rilascio, da parte del contribuente, di una polizza fideiussoria a garanzia del pagamento di somme

dovute alla dogana.

Con previsione di carattere generale, l'Art. 87 del TU delle imposte doganali dispone che siffatta

cauzione possa essere prestata oltreché mediante deposito nelle forme di legge delle somme stesse o

di titoli di debito emessi o garantiti dallo Stato, mediante fideiussione rilasciata da un'azienda di

credito ovvero con una polizza fideiussoria emessa da un istituto di assicurazione accreditato presso

l'amministrazione.

Con riferimento poi all'ipotesi della temporanea importazione (cioè all'ipotesi dell'introduzione nel

territorio doganale di merci che debbano essere sottoposte a determinati trattamenti per essere

successivamente riesportate) è previsto l'obbligatorio rilascio di una cauzione corrispondente

all'ammontare dei diritti doganali che sarebbero dovuti in caso di importazione definitiva.

Anche i diversi testi legislativi attinenti le varie imposte di fabbricazione prevedono il rilascio di

una cauzione a garanzia dell'effettivo pagamento dell'imposta.

Le cautele nel rimborso accelerato dell'IVA, annuale o infrannuale.

In materia di Iva è consentito al contribuente di ottenere il rimborso dei crediti di imposta emergenti

dalla dichiarazione annuale, ancorché tale dichiarazione sia ancora suscettibile di venire rettificata

dall'Ufficio, purché lo stesso presti, contestualmente all'esecuzione del rimborso e per una durata

pari al periodo mancante al termine di decadenza dell'accertamento una idonea garanzia.

Per quanto riguarda i soggetti abilitati a prestare la garanzia fideiussoria facciamo a banche,

assicurazioni, consorzi o coop di garanzia collettiva fidi, etc.

Eccezionalmente possono prestare fideiussione anche le semplici imprese commerciali sempre

che con esame caso per caso, a giudizio dell'Amministrazione Finanziaria, offrano adeguate

garanzie di solvibilità.

In talune ipotesi eccezionali in cui può ritenersi fisiologico, cioè normale, il costante formarsi, in

capo al contribuente, di crediti di imposta che gli debbono essere restituiti, il contribuente può

ottenere il rimborso anche in relazione a periodi inferiori all'anno, sempre prestando le garanzie

indicate.

Se successivamente al rimborso viene notificato avviso di rettifica o di accertamento, il contribuente

può evitare il versamento immediato dell'integrale importo rimborsato, maggiorato degli interessi,

prestando le medesime garanzie di cui sopra fino a quando l'accertamento sia divenuto definitivo.

Il fermo amministrativo (sospensione dei rimborsi).

Qualora il contribuente vanti un diritto al rimborso di somme nei confronti dell'Amministrazione

finanziaria, il Ministero delle finanze e la prevalente dottrina ritengono che posa venire

fondatamente invocata dall'Ufficio una disposizione contenuta nella legge del 1923 sulla contabilità

generale dello Stato secondo la quale il pagamento di somme dovute da qualsivoglia

amministrazione deve essere sospeso in attesa del provvedimento definitivo qualora ne sia fatta

richiesta da altra amministrazione che abbia, a qualsiasi titolo ragione di credito verso l'avente

diritto.

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Nella interpretazione prevalente di questa norma, l'istituto dalla stessa delineato e denominato

fermo amministrativo emerge quale misura cautelare di autotutela volta a garantire i diritti

dell'Amministrazione debitrice e diretta a legittimare la sospensione del pagamento di un debito

liquido ed esigibile da parte dello Stato a salvaguardia della eventuale compensazione legale di un

certo credito dello Stato anche se non ancora liquido ed esigibile.

Per l'applicazione dell'istituto in esame si ritiene che l'Amministrazione debba addurre a

dimostrazione una ragionevole apparenza e fondatezza della pretesa vantata.

L'Art. 23 sottopone l'utilizzo della sospensione (o fermo, che dir si voglia) dei rimborsi ai seguenti

presupposti e limiti:

1. il credito tributario deve risultare da atto di contestazione o di irrogazione che siano stati

notificati, ancorché non definitivi;

2. la sospensione opera nei limiti della somma risultante dall'atto o dalla decisione della

Commissione (di qualsiasi grado) ovvero dalla decisione di altro organo;

3. il provvedimento di sospensione adottato deve essere notificato all'autore della violazione e ai

soggetti obbligati in solido;

4. in presenza di provvedimento che rende definitivo il credito tributario, l'ufficio competente

per il rimborso emette provvedimento compensativo di credito erariale e debito per

rimborso;

5. anche il provvedimento compensativo va notificato agli interessati;

6. l'autore della violazione e i soggetti obbligati in solido possono impugnare i provvedimenti di

cui sub 3) e 4) avanti al giudice tributario speciale o al giudice ordinario.

La disciplina dell'Art. 23 è dettata con specifico riferimento ai debiti da rimborsare sospesi a causa

della presenza di un credito erariale per sanzione pecuniaria.

Tuttavia non v'è chi non veda come le stesse regole debbano valere, analogicamente, per la distinta

ipotesi in cui l'Erario vanti crediti non per sanzioni ma per tributi.

L'iscrizione di ipoteca ed il fermo di beni mobili registrati.

Trascorso inutilmente il termine di 60 gg dalla notifica della cartella di pagamento, e sempre che nel

frattempo non sia stata richiesta una sospensione o una dilazione di pagamento, il ruolo costituisce

titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei soggetti coobbligati.

Se entro 6 mesi dalla data dell'iscrizione dell'ipoteca il debito non risulti estinto, sarà possibile

procedere all'espropriazione.

Trascorso inutilmente il termine di 60 gg dalla notifica della cartella di pagamento e sempre che nel

frattempo non sia stata richiesta sospensione o una dilazione di pagamento, il Commissario può

disporre il fermo dei beni mobili iscritti in pubblici registri di proprietà del debitore o dei soggetti

con lo stesso coobbligati.

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63

Cap. 13

SOGGETTI E ORGANI DELL'APPLICAZIONE

L'ausilio dei professionisti, i centri autorizzati di assistenza fiscale (CAAF) e l'assistenza di

fronte agli uffici e alle commissioni tributarie.

Per il contribuente è difficile gestire personalmente i numerosi adempimenti necessari per

mantenere in regola la propria posizione nei confronti del fisco. È quindi assai diffuso il ricorso a

professionisti, prevalentemente ragionieri e commercialisti, i quali impiantano e aggiornano la

contabilità e predispongono le barie dichiarazioni da presentare nel corso dell'anno versandone i

relativi acconti e saldi.

Tale attività di supporto e consulenza può comportare anche la responsabilità civile o penale del

professionista. In particolare, è sanzionato civilmente verso il cliente quando, per effetto di una

condotta gravemente colposa o dolosa, l'assistito subisca accertamenti di imposta e/o irrogazioni di

sanzioni amministrative tributarie.

Il legislatore, per soddisfare l'esigenza delle associazioni sindacali di categoria degli imprenditori e

dei lavoratori dipendenti di avvalersi dell'assistenza di esperti nell'attuazione della norma tributaria

da prestare in forma mutualistica, ha istituito i Centri autorizzati di assistenza fiscale, e li ha

sottoposti a controlli pubblicistici.

I CAF imprese sono centri che svolgono funzioni di supporto nella tenuta della contabilità e

nella predisposizione delle dichiarazioni annuali;

i CAF dipendenti o tra sostituti d'imposta che corrispondono redditi da lavoro dipendente,

normalmente svolgono per conto degli utenti medesimi le attività sostitutive dell'obbligo di

presentazione della dichiarazione dei redditi.

L'attività di assistenza e rappresentanza dei contribuenti di fronte agli uffici finanziari non è

assoggettata a particolari restrizioni né subordinata all'iscrizione del rappresentante in appositi albi

o elenchi.

I soggetti e gli organi: A) l'Amministrazione Finanziaria: 1. il Ministero dell'Economia e delle

Finanze.

Nell'ambito dell'ampia ed eterogenea categoria dei soggetti di parte pubblica chiamati a curare

l'applicazione delle norme tributarie, occorre introdurre una fondamentale distinzione:

A) AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA DELLO STATO, titolare della potestà di

applicazione delle norme tributarie.

B) SOGGETTI e ORGANI DELEGATI dall'Amministrazione Finanziaria, ovvero ausiliari

della stessa che in varia guisa la coadiuvano nel loro svolgimento della propria attività.

L'organizzazione dell'Amministrazione Finanziaria ha subito una profonda ristrutturazione con

l'emanazione del d.lgs 30 Luglio 1999 n°300 e dei relativi decreti di attuazione.

È stato creato il Ministero dell'Economia e delle finanze che deve adempiere i compiti relativi

alla predisposizione degli atti normativi di programmazione e di coordinamento accentuando in

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questo modo il carattere di organo istituzionale di indirizzo politico e di controllo.

La struttura ministeriale è stata ridotta a un ristretto numero di collaboratori del ministro e ad

alcuni esperti di analisi economica delle politiche tributarie. I pregressi uffici tributari, con la

maggior parte del personale, sono confluiti nelle Agenzie.

Il Ministero svolge le attività di indirizzo, vigilanza, controllo e coordinamento nei confronti

delle Agenzie fiscali, nel rispetto dell'autonomia gestionale ad esse attribuita.

Il Ministero determina annualmente, attraverso l'approvazione di un documento di indirizzo,

in armonia con i vincoli e gli obiettivi stabiliti dal documento di programmazione economico-

finanziario approvato dal Parlamento, gli sviluppi della politica fiscale, le linee generali, gli

obiettivi della gestione tributaria e le rimanenti condizioni di sviluppo dell'attività delle agenzie

fiscali.

Per ciascun esercizio finanziario, sulla base del documento di indirizzo, viene stipulata una

convenzione tra ciascuna agenzia ed il Ministero.

Segue 2.

Sono state istituite quattro Agenzie fiscali:

Agenzia delle Entrate;

Agenzia delle Dogane;

Agenzia del Territorio;

Agenzia del Demanio.

Dette Agenzie Fiscali, operative con effetto dal 1° Gennaio 2001 sono dotate di un proprio statuto

ed hanno personalità giuridica di diritto pubblico. È stata loro riconosciuta una ampia autonomia

organizzativa, regolamentare, amministrativa, patrimoniale contabile e di bilancio.

Le Agenzie fiscali devono operare, nell'esercizio delle loro funzioni, secondo principi di

legalità, imparzialità e trasparenza, con criteri di efficienza, economicità ed efficacia nel

perseguimento degli obiettivi.

Sono sottoposte al controllo della Corte dei Conti. Le Regioni e gli enti locali possono

attribuire loro la gestione delle proprie funzioni.

L'Agenzia delle Entrate si occupa della maggior parte dei tributi ed ha il compito di perseguire il

massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali attraverso l'assistenza ai contribuenti e i

controlli volti a contrastare gli inadempimenti e l'evasione fiscale.

Ad essa sono stati affidati tutti i compiti relativi alla amministrazione, riscossione e gestione

del contenzioso inerente alle imposte dirette, all'IVA e a tutte le altre entrate non rientranti nella

sfera di competenza di altri enti o agenzie.

L'Agenzia delle Dogane, articolata in Compartimenti doganali, è competente per tutto quel che

concerne l'amministrazione, la riscossione e il contenzioso relativo ai diritti doganali e alla fiscalità

connessa agli scambi internazionali e alle accise sulla produzione e sui consumi.

L'Agenzia del Territorio esercita compiti relativi ai servizi catastali e alle Conservatorie dei registri

immobiliari.

L'Agenzia del Demanio si occupa dell'amministrazione e della manutenzione dei beni immobiliari

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dello Stato.

Segue: l'Agenzia delle entrate.

L'Agenzia delle entrate ha uffici centrali che predispongono la modulistica, coordinano

l'acquisizione e la gestione di una grande quantità di informazioni e hanno compiti di direzione e

coordinamento dell'attività degli uffici periferici.

Per quanto riguarda l'organizzazione periferica, sono operativi gli uffici delle entrate che sono

preposti all'applicazione, su un determinato territorio, di tutti i tributi di competenza dell'Agenzia.

L'ufficio delle entrate si divide in un'area di controllo ed una di servizi al contribuente, che si

occupa di registrazione degli atti, attribuzioni di codici fiscali, rimborsi rilascia informazioni sulle

cartelle esattoriali, etc.

Gli uffici periferici non hanno contatti diretti con gli uffici centrali, ma con la direzione regionale

delle entrate che è un organo intermedio confluito anch'esso nell'agenzia.

La direzione regionale sovraintende, nella Regione, all'applicazione di tutti i tributi di

competenza dell'Agenzia, rilascia pareri e visti relativi a singole pratiche, ma il suo ruolo principale

è quello di organo consultivo e di coordinamento degli uffici periferici da essa dipendenti.

Il servizio consultivo e ispettivo tributario (SECIT).

Il SECIT è stato istituito nel 1980 con nome di servizio centrale degli ispettori tributari. Ha la

funzione di organo ispettivo alle dirette dipendenze del ministro, autonomo rispetto alla burocrazia

ministeriale.

Oggi il predetto organo sembra sia destinato ad occuparsi principalmente di studi economico-

giuridici e a assistere il ministero , non occupandosi delle Agenzie, che non sembrano più essere

soggette a controllo del SECIT.

Solo in base a specifiche direttive e su richiesta del ministro, effettua valutrazioni sulle

modalità di esercizio delle funzioni fiscali della Guardia di finanza e delle agenzie fiscali ai dini

della vigilanza generale spettante al Ministero.

Gli organi delegati dall'Amministrazione finanziaria: il concessionario del servizio di

riscossione.

L'esempio più significativo di figura estranea all'Amministrazione finanziaria, titolare di rilevanti

funzioni attinenti alla riscossione è rappresentato dal concessionario del servizio di riscossione, di

cui si avvale lo Stato per riscuotere il credito tributario.

Nel sistema vigente il concessionario, in veste di agente della riscossione, oltre ad essere legittimato

a ricevere i versamenti diretti delle principali imposte, in ipotesi di omesso adempimento spontaneo,

provvede a riscuotere coattivamente, sulla base di ruolo appositamente confezionato, le imposte sul

reddito, le imposte indirette sugli affari, i tributi locali, nonché i proventi e i relativi accessori

derivanti dall'utilizzazione del beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato.

La concessione del servizio di riscossione può essere conferita a:

a) Aziende e Istituti di credito;

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b) Speciali sezioni autonome dei predetti istituti e aziende di credito;

c) Società per azioni regolarmente costituite, con sede in Italia e con

capitale interamente versato non inferiore a un miliardo di lire.

A fronte della funzione esercitata il concessionario riceve un compenso determinato con decreto

ministeriale.

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Cap. 14

LE POTESTA' DI APPLICAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA

E LA POTESTA' DI INDIRIZZO

La potestà di attuazione del prelievo tributario e la sua complessità. Tipologia delle distinte ed

autonome potestà che concorrono all'attuazione del prelievo.

La potestà di accertamento tributario si attua a mezzo di operazioni materiali, meri atti,

provvedimenti e procedimenti molto differenziati l'uno dall'altro e assai variegati. Codesta

complessa attività, demandata agli organi dei vari enti impositori deputati all'applicazione della

norma tributaria, ha lo scopo:

1. di determinare previamente se e quanto il soggetto passivo deve pagare a titolo di tributo;

2. di controllare se il soggetto passivo abbia correttamente adempiuto ai suoi doveri, formali o

sostanziali, chiamandolo o costringendolo, nel caso di violazione di quei doveri, a subire il

prelievo secondo le reali dimensioni del presupposto e della base imponibile a lui ascrivibili

e irrogandoli le relative sanzioni o riferendone all'Autorità giudiziaria per gli illeciti

costituenti reato.

Questo implica che la potestà in parola può esercitarsi:

i. Indifferentemente in via preventiva o successiva rispetto alla concreta attuazione del prelievo;

ii. Anche senza il compimento di atti amministrativi di imposizione e/o di contestazione di

illeciti.

La potestà di applicazione della norma tributaria ha carattere complesso in quanto consiste in un

fascio di cinque potestà ben distinte e distinguibili:

(a) Potestà di IMPOSIZIONE o ACCERTAMENTO in senso stretto, il che si esplica mediante

l'emanazione di atti provenienti dal contribuente a mezzo dei quali quest'ultimo determina

l'imponibile e/o liquida e versa l'imposta (auto-imposizione) oppure mediante atti

amministrativi, con i quali l'Amministrazione finanziaria accerta autoritativamente gli

imponibili e le imposte a carico del contribuente.

(b) Potestà di POLIZIA TRIBUTARIA che si estrinseca attraverso lo svolgimento di operazioni

materiali e la formazione di atti istruttori diretti ad appurare e provare fatti costituenti reato,

o illecito amministrativo o evasione tributaria.

(c) Potestà SANZIONATORIA TRIBUTARIA che si concreta nell'emanazione di atti

amministrativi di irrogazione di sanzioni amministrative a fronte delle trasgressioni alla

legge tributaria.

(d) Potestà di RISCOSSIONE sia nella forma di potestà di incassare i tributi, sia sotto il profilo

della potestà di riscossione coattiva. Si estrinseca in una serie di atti volti all'incasso di

tributi e sanzioni.

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(e) Potestà di INDIRIZZO posta nella linea di confine tra amministrazione, attività applicativa

di norme e legiferazione, attività creativa di norme generali ed astratte.

La potestà di indirizzo e gli atti con cui si esercita: gli atti amministrativi.

L'attività di indirizzo mira ad assicurare l'imparzialità e l'uniformità dell'azione amministrativa allo

scopo di garantire il buon funzionamento dell'apparato amministrativo e la più efficiente

utilizzazione delle relative risorse umane e materiali.

La potestà di indirizzo si esprime attraverso atti che spiegano i loro diretti effetti giuridici all'interno

della pubblica amministrazione ed ha come presupposto il rapporto gerarchico che intercorre tra gli

organi dei vari livelli territoriali nei quali si scandisce la complessa organizzazione amministrativa.

L'attività di indirizzo si sostanzia nelle direttive attraverso le quali gli uffici centrali orientano

l'attività degli uffici periferici. Quanto alla forma, atti tipici, espressione dell'attività di indirizzo,

sono circolari, note e risoluzioni ministeriali.

Tuttavia gli atti di indirizzo possono anche assumere forma regolamentare (decreto

ministeriale o decreto governativo).

Gli atti di indirizzo in senso proprio.

Alla categoria degli atti di indirizzo in senso proprio appartengono le circolari. Le circolari

ministeriali promanano dall'amministrazione centrale, sono indirizzate a tutti gli uffici periferici e

vengono emanate generalmente in concomitanza alla pubblicazione di nuove leggi tributarie, al fine

di garantirne l'uniforme interpretazione ed applicazione in tutto il Paese.

Anche note e risoluzioni appartengono alla categoria degli atti di indirizzo in senso proprio. Esse

sono contrariamente alle circolari, atti diretti a singoli uffici, tramite i quali l'amministrazione

centrale impartisce istruzioni per la risoluzione di specifiche questioni.

Con riferimento specifico a note e risoluzioni ministeriali, è da rilevare che producono gli

effetti loro propri solo nei confronti dell'ufficio cui sono indirizzate, e unicamente nel caso di specie

analizzato.

Gli atti di indirizzo possono assumere la forma del decreto ministeriale o del decreto governativo.

Anche i provvedimenti regolamentari possono avere un contenuto tale da produrre effetti solo

interni alla pubblica amministrazione volti al buon andamento e all'imparzialità

dell'amministrazione finanziaria.

È quanto accade ad esempio per la scelta delle dichiarazioni IVA reddituali da sottoporre a

controllo, o l'individuazione dei soggetti che ne hanno omesso la presentazione. Essendo le capacità

operative degli uffici limitate, ci si avvale di criteri selettivi annualmente fissati dal Ministro delle

Finanze con decreto emesso su proposta del Comitato di coordinamento del SECIT.

Nell'ambito dei soggetti individuati con i criteri selettivi all'uopo annualmente determinati dal

Ministero delle Finanze, il decreto ministeriale 23 Dicembre 1982 fissa le modalità per il

sorteggio di contribuenti da sottoporre a controlli globali.

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Atti normativi e/o a rilevanza esterna erroneamente inclusi nella categoria degli atti di

indirizzo. Accanto ai regolamenti con funzione di indirizzo e dotati di efficacia interna (cd. atti di indirizzo in

senso proprio), ne troviamo altri che sono invece diretti a produrre effetti nei confronti dei

contribuenti (muniti di efficacia esterna). Ma se ben si riflette essi non sono atti di indirizzo in

quanto spiegano i loro effetti solo sul rapporto tra amministrazione e contribuenti.

Tali regolamenti sono volti a completare o specificare particolari profili della disciplina sostanziale

dei tributi. E pertanto sono parte integrante della disciplina dei rapporti tra Stato e cittadini. A questa

categoria di atti erroneamente definiti di indirizzo, appartengono:

Decreti ministeriali coi quali vengono classificate per gruppi e specie le attività economiche e

sono stabiliti i coefficienti di ammortamento rilevanti per la determinazione del reddito

d'impresa.

Decreti ministeriali di approvazione del cd. Redditometro.

Atti di revisione degli estimi catastali.

Segue: gli studi di settore.

Gli studi di settore, da emanarsi con decreto del Ministro delle Finanze, costituiscono uno

strumento di determinazione presuntiva del reddito.

Essi nascono da una complessa operazione:

1. SUDDIVISIONE dell'universo di imprese minori e lavoratori autonomi in diversi settori.

2. SELEZIONE per ciascun settore di campioni significativi di contribuenti.

3. INDIVIDUAZIONE di elementi caratterizzanti i campioni di ciascun settore.

Anche gli studi di settore appartengono agli atti erroneamente considerati di indirizzo. Essi hanno

un indubbia efficacia vincolante per i contribuenti.

Inoltre comportano l'emissione di un avviso di accertamento qualora i ricavi esposti nella

dichiarazione dei redditi siano inferiori a quelli derivanti dall'applicazione dello studio relativo alla

categoria economica di appartenenza.

In conclusione si può sostenere che siano atti normativi (o integrativi di altri atti normativi

sopraordinati) dotati di forza cogente per tutti.

L'atto di interpello generalizzato introdotto dallo Statuto dei diritti del contribuente e il ruling

(resi dall'amministrazione finanziaria).

Ciascun contribuente può proporre istanze di interpello all'amministrazione finanziaria concernenti

l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi sia obiettiva

condizione di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse.

La risposta dell'amministrazione, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione

oggetto dell'istanza di interpello, il soggetto richiedente e l'amministrazione stessa.

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Risulta logicamente insostenibile l'asserto che tende a fare rientrare l'attività di interpello tra quelle

di indirizzo in senso stretto.

Atti di indirizzo per la civilizzazione e la trasparenza del rapporto fisco-contribuente.

Da tempo ci si lamenta che in Italia l'attività dell'Amministrazione finanziaria si esplichi senza

riguardo verso i diritti che la legge riconosce ai contribuenti.

Al fine di modificare questo stato delle cose sono stati adottati di recente provvedimenti di indirizzo

volti a migliorare il rapporto fisco-contribuente.

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Cap. 15

LA FATTISPECIE DELL'IMPOSIZIONE

(O DELL'ACCERTAMENTO DELL'IMPOSTA)

SEZIONE I

CARATTERI GENERALI DELL'ATTIVITA' DI IMPOSIZIONE

Carattere eventuale dell'intervento dell'ente pubblico e dell'attività officiosa di imposizione in

tutti i tributi. Scarsa rilevanza dell'imposizione officiosa ai fini del gettito.

Nella pressoché totalità dei tributi il modulo attuativo del prelievo si snoda nel modo seguente:

1. il presupposto di fatto genera l'obbligo di denuncia;

2. l'adempimento dell'obbligo di denuncia genera l'obbligazione tributaria;

3. la denuncia è l'atto che impedisce il sorgere del potere di imposizione officioso e l'instaurarsi

della relativa sequenza di atti.

Potere e attività di imposizione officiosa risultano, così, fenomeni giuridici non necessari, ma

eventuali.

Il potere di imposizione scaturisce sempre da un atto di evasione ed esso è volto a costituire, a

favore della finanza, il titolo per la percezione dell'imposta evasa, se evasione vi sia stata. Dunque il

potere di imposizione, presenta alcune caratteristiche:

(a) è un potere meramente eventuale;

(b) ad iniziativa d'ufficio;

(c) la cui fattispecie costitutiva consiste sempre in un omesso adempimento dell'obbligazione

imposta.

In particolare:

Omesso adempimento dell'obbligo di dichiarazione.

Se il soggetto passivo omette di presentare la dichiarazione, cui era obbligato, il mero fatto

dell'omissione viene assunto a fattispecie costitutiva del potere di imposizione, il cui esercizio

tenderà:

◦ alla constatazione dell'esistenza dell'obbligo di dichiarazione e per ciò della violazione

di detto obbligo da parte dei destinatari;

◦ alla costituzione dell'obbligazione di imposta non denunciata nonché di tutte le altre

obbligazioni connesse al fatto dell'omessa dichiarazione (sanzioni pecuniarie). La

costituzione di queste ultime discenderà dall'esercizio della potestà sanzionatoria.

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Presentazione di una denuncia intempestiva o inesatta.

Se la dichiarazione, pur valida ed efficace, è tardiva o inesatta. Queste sono fonte del potere di

imposizione volto alla costituzione dell'obbligazione evasa (e sussidiariamente dell'obbligazione

sanzionatoria). La funzione di imposizione risulta conferita, dalla legge, alla finanza, per il recupero

di quelle imposte che avrebbero dovuto essere riscosse in base alla dichiarazione dell'obbligato e

che non si poterono esigere a causa della riscontrata non veridicità della denuncia quanto alla

descrizione degli elementi della fattispecie imponibile. L'atto di imposizione dunque è legittimo in

quanto non sussiste corrispondenza tra le due fattispecie (quella dichiarata e quella reale).

La dichiarazione ha la stessa funzione ed efficacia dell'atto di imposizione, per cui, ricevuta la

denuncia, l'ente non può sic et simpliciter, procedere alla determinazione autoritaria dell'imponibile,

sia pure utilizzando i dati forniti dal denunciante o raccolti aliunde.

A parte tutti gli altri effetti di cui è rivestita dalla legge, la dichiarazione è costitutiva di un

particolare vinculum iuris per l'amministrazione pubblica alla quale, in quanto atto recettizio, essa è

destinata, consistente nella facoltà di scelta tra le seguenti due alternative:

1) L'amministrazione può non esercitare alcun controllo del contenuto della denuncia e lasciare

decorrere il termine decadenziale al quale è legato l'esercizio del potere di imposizione. In

tal modo il debito si consolida definitivamente sulla base della denuncia;

2) La finanza può esercitare la potestà di polizia, ma questa deve avere a suo oggetto il

controllo della denuncia. In presenza di una denuncia formalmente regolare la posizione

soggettiva di cui è investito l'ente impositore si configura univocamente come potere di

acclarare la completezza e la veridicità di quanto indicato nell'atto.

Può perciò sostenersi che la dichiarazione è l'atto mediante il quale l'ordinamento consente al

soggetto nei cui confronti si sia verificata la fattispecie imponibile di procedere alla

autodeterminazione degli elementi della fattispecie e di conseguenza, del debito d'imposta.

A sua volta la rettifica della dichiarazione è l'atto mediante il quale l'ente impositore, nel caso di

riscontrata non corrispondenza tra fattispecie reale e fattispecie dichiarata (mediante l'attività

istruttoria o di polizia), procede alla determinazione degli elementi della fattispecie reale e alla

costituzione di un debito corrispondente alla differenza tra l'imposta dovuta sulla base

dell'imponibile dichiarato e quella corrispondente all'imponibile accertato (attività di imposizione).

Analogamente, l'avviso di accertamento d'ufficio è l'atto col quale l'ente impositore, nel caso di

constatata esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'obbligo di dichiarazione, procede alla loro

determinazione in sostituzione dell'obbligato inadempiente.

Nel sistema vigente ben scarsa è l'importanza, ai fini del gettito tributario, degli atti di imposizione

officiosa. La quasi totalità delle entrate tributarie infatti deriva da atti posti in essere dal solo

contribuente.

Nella pressoché totalità dei tributi la fattispecie dell'accertamento si presenta a composizione

variabile, in quanto può risultare costituita, alternativamente, da uno dei seguenti tre atti e

precisamente o dalla dichiarazione del contribuente o dall'avviso di accertamento di ufficio o

dall'avviso di accertamento dell'ufficio in rettifica della dichiarazione inesatta.

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Identità di efficacia della dichiarazione dell'obbligato di imposta e dell'atto di imposizione

dell'ufficio.

Il cd. presupposto di fatto può, quindi, essere definito nei seguenti termini:

è l'insieme dei fatti e delle situazioni,

qualificati dalla legge e collegati a delle situazioni giuridiche soggettive

in base ad un determinato rapporto pure normativamente prefissato,

che fanno nascere in capo ai soggetti tenuti,

l'obbligo di presentazione della dichiarazione tributaria, di autoliquidazione

e versamento del tributo (auto-adempimento).

Presentata la denuncia, tempestiva e completa; e veritieri gli imponibili del periodo di imposta a cui

si riferisce il presupposto di fatto, l'obbligazione tributaria si costituisce integralmente sulla base

della dichiarazione, alla quale deve assegnarsi l'efficacia costitutiva del debito.

La dichiarazione ha un'efficacia di diritto sostanziale o costitutiva del debito di imposta al pari

dell'avviso di accertamento, rispetto al quale non si colloca in una posizione subordinata e servente.

Carattere vincolato e non discrezionale del potere di imposizione officiosa e sua

irrinunciabilità. Il principio di indisponibilità del credito di imposta.

La potestà di imposizione officiosa è la potestà regolata dalla legge in modo da tutelare

efficacemente l'interesse pubblico alla tempestiva, regolare e perequata percezione delle entrate

tributarie occorrenti per finanziare le spese pubbliche.

Questo significa che tale imposizione è una potestà amministrativa vincolata e non

discrezionale.

Non mancano tuttavia, anche in materia impositiva, aree in cui l'Amministrazione gode di un potere

discrezionale di non trascurabile spessore: ciò si verifica nelle ipotesi in cui la legge assume a

parametro dell'imposizione valori medio-ordinari.

Altro carattere essenziale che contraddistingue la potestà di imposizione è quello della

irrinunciabilità del suo esercizio da parte dell'ente impositore, nel senso che una volta verificatisi i

fatti previsti dalla legge come presupposti di obblighi e di obbligazioni tributarie, l'Amministrazione

non può sottrarsi sotto nessun pretesto al dovere di accertare e riscuotere le somme oggetto delle

obbligazioni stesse.

Principio cardine del sistema tributario è dunque l'irrinunciabilità della potestà di imposizione

da parte dell'Amministrazione finanziaria.

Da questo discende che la rinuncia all'esercizio della imposizione può aver luogo solo sulla base di

una apposita norma di legge. In tale quadro si inseriscono i provvedimenti di condono con i quali, in

presenza di determinate condizioni, i contribuenti vengono esonerati dal pagamento delle imposte,

delle pene pecuniarie e degli interessi moratori.

Indipendentemente dalla presenza o assenza di norme di diritto positivo così fatte, l'assenza di

potere dispositivo avente ad oggetto l'obbligazione tributaria discende dagli Artt. 2, 3, e 53 Cost. e

dalla natura stessa dell'imposta come obbligazione di riparto di spese collettive.

L'indisponibilità dell'obbligazione resta uno dei punti cardinali del sistema tributario di un

Paese civile.

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Il potere di autotutela dell'ufficio e la tutela dell'affidamento (buona fede) del contribuente.

In base ai principi generali del diritto amministrativo, la pubblica amministrazione ha il potere di

riesaminare la propria azione e di annullare o revocare d'Ufficio i propri atti che riconosca come

viziati, eventualmente sostituendoli con nuovi provvedimenti immuni dai difetti dei precedenti.

È pacifico ormai che tutti gli atti (e non solo gli avvisi di accertamento) possano essere annullati e

che tale possibilità sussista anche quando siano diventati definitivi.

Quanto ai presupposti, sul piano procedimentale, non si ritiene necessaria un'istanza del

contribuente, anche se sarà di regola questi a richiamare l'attenzione dell'Ufficio sui vizi dell'atto.

Sul piano sostanziale, in base ai principi generali, l'annullamento presuppone la sussistenza, non

solo dell'illegittimità, ma anche di un interesse pubblico alla rimozione dell'atto, richiedendosi

perciò all'organo competente una ponderazione degli interessi coinvolti.

La stessa Amministrazione finanziaria ha ritenuto che costituisca interesse pubblico idoneo a

giustificare l'annullamento l'esigenza che al contribuente non sia richiesto più di quanto da lui

effettivamente dovuto, in conformità ai principi di trasparenza e di giustizia sostanziale immanenti

all'attività amministrativa.

Ovviamente il problema, dal punto di vista dei contribuenti, è non tanto la giustificatezza

dell'annullamento ottenuto, bensì se sussistano casi in cui esso è doveroso, e se essi possano

accampare una pretesa tutelata giuridicamente.

Sotto questo profilo l'Amministrazione finanziaria ha ritenuto che l'istanza del soggetto

passivo non obblighi l'ufficio a provvedere.

La Cassazione a Sezioni Unite nel 2005 ha affermato che rientrano nella giurisdizione del giudice

tributario le controversie relative all'esercizio da parte dell'Amministrazione del potere di

autotutela.

Problema distinto dall'autotutela è si l'Amministrazione finanziaria abbia il dovere di esercitare le

sue potestà secondo buona fede e comunque in modo da non tradire la fiducia (o l'affidamento) che,

con circolari e note, ha antecedentemente ingenerato nei contribuenti.

È certo che l'Amministrazione finanziaria, al pari di qualunque altro operatore

dell'applicazione possa ricredersi e modificare gli orientamenti interpretativi eventualmente espressi

in precedenza (cd. Revirement).

È al pari certo che un siffatto ripensamento non possa ritorcersi a danno di quanti, fino alla

data del revirement, abbiano diligentemente assecondato l'interpretazione ufficiale

dell'Amministrazione.

In tal senso il ravvedimento interpretativo non potrebbe essere retroattivo. Tuttavia ci si deve

domandare se la valenza di tale principio generale non incontri, nella specie, una barriera

insormontabile nella presenza di un principio ostativo di ordine costituzionale racchiuso nell'Art. 53

Cost. il quale importa, per il legislatore ordinario, e per l'Amministrazione finanziaria l'obbligo di

rispettare l'esigenza di prevedibilità o di anticipata conoscenza del costo fiscale di ogni atto che il

privato si accinge a compiere.

Tanto la retroattività di una norma innovativa eventualmente introdotta dal legislatore, quanto la

retroattività della nuova regola ricavata in via interpretativa a seguito del revirement

dell'amministrazione infrangono questo canone avente dignità costituzionale e perciò sono da

condannare.

L'argomento, che è quello della tutela del cd. Affidamento, è importante e merita cenno.

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Nella sentenza 155/1990 la Consulta afferma che il principio della certezza dei rapporti preteriti,

pur non trovando testuale codificazione costituzionale, rappresenta pur sempre una regola

essenziale del sistema, al quale il legislatore ordinario deve prestare ossequio e sottomettersi.

Sempre in tale sentenza emerge il parametro dell'Art. 41 Cost. sulla iniziativa economica

privata, quale parametro da garantire non solo nel momento iniziale, ma anche durante il suo

dinamico sviluppo. A tale garanzia, dice la Corte, si ricollega il principio dell'affidamento.

Il tema della tutela dell'affidamento è stato riconsiderato in ogni suo aspetto e disciplinato dallo

Statuto del contribuente nel seguente modo:

Art. 10 Accorda piena tutela all'affidamento e alla buona fede del contribuente sul piano

della non sanzionabilità di comportamenti adottati da quest'ultimo in conformità ad

indicazioni fornitegli dall'Amministrazione.

Lo stesso articolo dispone la non irrogabilità di interessi moratori negli stessi casi.

Tuttavia non appare convincente che l'Amministrazione finanziaria non possa rivedere mai, con

efficacia retroattiva, le proprie antecedenti prese di posizione interpretative, anche se palesemente

errate.

La virtù sta dunque nel mezzo, e cioè nel principio di buona fede oggettiva. Il contribuente

oggettivamente in buona fede va tutelato anche contro i ripensamenti interpretativi. Ma solo in tal

caso.

La buona fede oggettiva sussiste se l'interpretazione da lui adottata, suffragata dalla presa di

posizione dell'amministrazione, e da quest'ultima poi sconfessata, è munita di caratteri tali da

rendere quanto mai ragionevole l'affidamento sull'intangibilità della interpretazione.

Solo in tali limiti il principio di tutela dell'affidamento non entra in collisione con altri

parametri costituzionali, primo fra tutti l'obbligo universale di concorso alla ripartizione della spesa

pubblica in presenza degli indici di riparto stabiliti dalla legge di imposta, che è legge di

ripartizione. Perciò solo in questi termini la tutela dell'affidamento si estende fino ad includere la

non obbligatorietà dell'imposta.

SEZIONE II

LA DICHIARAZIONE TRIBUTARIA

(O AUTOIMPOSIZIONE)

Per semplificare l'adempimento dei doveri di dichiarazione, le dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA

e del sostituto di imposta vengono presentate contestualmente tramite la dichiarazione unificata

annuale. Questa confluenza nel cd. modello unico non modifica il fatto che si tratti di dichiarazioni

distinte, quanto ai contenuti e alle relative regole.

La dichiarazione dei redditi: requisiti e caratteri fondamentali.

Ai sensi dell'Art. 1 dpr 322/1998, le dichiarazioni devono essere redatte, a pena di nullità, su

stampati conformi ai modelli approvati con provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Le dichiarazioni vanno trasmesse in via telematica all'Agenzia delle Entrate, direttamente dai

soggetti passivi o tramite banche, uffici postali o incaricati abilitati dall'Agenzia.

Il contribuente deve conservarne, fino allo scadere dei termini per l'accertamento, la copia cartacea,

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sottoscritta a pena di nullità. Benché la firma sia necessaria ad identificare nel contribuente l'autore

della dichiarazione, la sua mancanza è sanabile se apposta successivamente, su invito dell'ufficio

tributario.

Il 2°comma dell'Art. 1 del dpr 600/1973 stabilisce che i redditi si considerano non dichiarati se

manca l'indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili

secondo le norme che disciplinano l'imposta.

La legge impone di dichiarare annualmente i redditi posseduti.

È prevista la presentazione di apposite dichiarazioni non aventi carattere annuale in relazione a

particolari vicende che producono una censura nell'elemento temporale del presupposto

(liquidazione volontaria, fusioni, etc) dando luogo ad autonomi periodi di imposta.

La rilevanza della dichiarazione ai fini dell'accertamento, della riscossione e del rimborso.

Normalmente la dichiarazione esaurisce da sola la fattispecie dell'accertamento, non essendo

seguita da un atto di rettifica dell'Amministrazione finanziaria.

Tuttavia, anche nelle ipotesi infrequenti in cui la dichiarazione viene assoggettata a controllo,

essa conserva un forte ruolo probatorio, in quanto l'Amministrazione può giungere ad una diversa

determinazione della base imponibile solo procacciandosi la prova della incompletezza o della

infedeltà o della inesattezza dei fatti dichiarati.

Inoltre quando nella dichiarazione sono effettuate delle scelte relative alla determinazione della base

imponibile, esse condizionano l'an e il quantum dell'imponibile.

La dichiarazione assume rilevanza anche sul piano della riscossione e su quello del rimborso,

perché reca la quantificazione dell'imposta, ossia la liquidazione dell'obbligazione tributaria nonché

l'indicazione delle ritenute, dei crediti d'imposta e degli acconti versati.

Queste voci concorrono a ridimensionare l'imposto dell'imposta dovuta a saldo o

eventualmente ad evidenziare un diritto al rimborso del dichiarante.

Pertanto la dichiarazione funge da titolo giustificativo del versamento effettuato ovvero, in ipotesi

di omesso versamento, da titolo per l'iscrizione a ruolo ovvero, in caso di eccedenza a credito, da

istanza di rimborso.

L’emendabilità della dichiarazione.

La questione della ritrattabilità della dichiarazione concerne i limiti entro i quali il contribuente può

correggere un'erronea dichiarazione da cui risulti un debito superiore a quello effettivo.

In caso di errori materiali o di calcolo emergenti prima facie dalla dichiarazione, l'Amministrazione

finanziaria ha il potere-dovere di procedere d'ufficio alla correzione e all'eventuale rimborso

dell'imposta pagata in più e per sollecitare il rimborso d'ufficio, l'interessato può presentare istanza

di rimborso.

Per quanto concerne invece gli errori di valutazione giuridica si applica la norma generale fissata

dall'Art. 21, 2°comma d.lgs. 546/1992 ai sensi del quale il rimborso deve essere richiesto, salvo

che disposizioni specifiche contenute nelle singole leggi d'imposta prevedano termini differenti,

entro due anni dal pagamento con apposita istanza all'Ufficio tributario competente.

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Se il versamento invece si fonda su un avviso di accertamento o una iscrizione a ruolo illegittimi, il

contribuente ha l'onere di impugnare tali atti, per non perdere il diritto al rimborso.

La Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta di recente sull'argomento e, richiamando i principi di

legalità, capacità contributiva e imparzialità dell'Amministrazione Finanziaria, ha affermato che la

dichiarazione è sempre ritrattabile col solo limite che essa non si riferisca a rapporti esauriti.

Il rapporto risulta esaurito e per questo intangibile in varie ipotesi (accertamento definitivo,

inutile decorso dei termini posti dalla legge per il rimborso, etc). Al di fuori di queste ipotesi il

contribuente può sempre ritrattare e correggere quanto dichiarato.

La possibilità di correzione in bonam partem è stata da ultimo riconosciuta dal dpr 435/2001 il

quale, modificando l'Art. 2 del dpr 322/1998, ha previsto che la dichiarazione possa essere corretta

quanto agli errori od omissioni risolventisi nell'indicazione di un maggior debito di imposta o di un

minor credito, presentando una dichiarazione integrativa entro il termine per presentare quella

relativa al periodo d'imposta successivo, e che l'eventuale credito risultante possa essere utilizzato

in compensazione.

Dunque la correzione fatta secondo tali regole consente di elidere gli effetti della

dichiarazione erronea e recuperare direttamente e rapidamente quanto versato in più.

La natura giuridica e gli effetti delle dichiarazioni ai fini della nascita dell'obbligazione

tributaria.

Nel normale schema attuativo del prelievo, la dichiarazione esaurisce da sola la fattispecie

dell'accertamento.

Inoltre se il contribuente lascia decorrere i termini decadenziali senza esperire i rimedi

accordatigli, l'obbligazione scaturente dalla dichiarazione si consolida anche in difetto totale o

parziale del presupposto.

Se invece nel processo sulla questione del rimborso si riconosca la erroneità della

dichiarazione, l'obbligazione viene meno, perché la pronuncia giurisdizionale annulla (in tutto o in

parte) gli effetti della dichiarazione anche se per avventura gli errori dedotti non sussistano.

Tali questioni sono a supporto dell'attribuzione alla dichiarazione del ruolo di fattispecie fonte

dell'obbligazione tributaria, ossia della stessa efficacia spettante all'imposizione officiosa.

Le relazioni tra la dichiarazione e l'avviso (o i plurimi avvisi) di accertamento ai fini della

costituzione di un solo rapporto (o di un fascio di rapporti complementari) relativamente al

medesimo presupposto di fatto.

In caso di rettifica della dichiarazione mediante uno o più avvisi di accertamento, si pone il

problema se:

Tesi MONISTICA solo l'accertamento è costitutivo dell'intera obbligazione, per cui la

relazione tra avviso di accertamento e dichiarazione deve essere

ricostruita in termini di annullamento/sostituzione.

Tesi PLURALISTICA progressiva costituzione di una pluralità di obbligazioni

complementari relativamente al medesimo presupposto

nascenti dalla dichiarazione e dall'avviso di accertamento.

Dal sistema risulta confermata quest'ultima teoria, in quanto l'iscrizione a ruolo dell'imposta

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dichiarata ma non versata segue regole diverse dall'iscrizione dell'imposta accertata.

L'Art. 17 dpr 602/1973 pone un termine decadenziale per l'iscrizione a ruolo dell'imposta liquidata

in base alla dichiarazione: se l'avviso di accertamento determinasse la sostituzione di un nuova

obbligazione a quella scaturente dalla dichiarazione, in base ad esso si potrebbe iscrivere a ruolo

tutto l'accertato, compresa la quota di imposta corrispondente all'imponibile dichiarato.

Al contrario è pacifico che, decorso il termine per l'iscrizione a ruolo dell'imposta liquidata in

base alla dichiarazione, si può solo riscuotere la maggiore imposta dovuta in base all'avviso di

accertamento.

Inoltre se l'accertamento officioso producesse un effetto caducatorio rispetto all'obbligazione

scaturente dalla dichiarazione nel caso di annullamento dello stesso in sede giurisdizionale,

andrebbe restituito quanto riscosso in base alla dichiarazione. Ma ciò è pacificamente escluso.

Da ultimo l'idea della costituzione di un pluralità di vincoli obbligatori complementari risulta

rafforzata dalla possibilità di una molteplicità di atti di accertamento in relazione allo stesso

presupposto, in base alle norme che disciplinano gli accertamenti parziali e gli accertamenti per

sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Dunque un atto di accertamento, totale o parziale, divenuto definitivo, non può essere più

caducato da un atto successivo.

La dichiarazione nell'IVA.

Gran parte dei concetti esposti fino ad ora in tema di dichiarazione dei redditi possono ripetersi,

mutatis mutandis, con riguardo alla disciplina della dichiarazione ai fini dell'IVA.

Analoghe sono le regole sul formalismo dei modelli, sulla presentazione telematica, sulla

sottoscrizione.

Anche la dichiarazione IVA si contraddistingue per la molteplicità di effetti che ad essa si

riconnettono. Essa obbliga al versamento del conguaglio, ossia della differenza tra imposta dovuta

in base alla dichiarazione e le somme già versate, ovvero legittima la notifica del titolo esecutivo

per il recupero del conguaglio non versato.

In caso di eccedenza dei versamenti mensili e dell'IVA a monte detraibile sull'imposta dovuta

in base alle operazioni imponibili vale come istanza di rimborso.

Essa inoltre è prova di esistenza dei dati e fatti in essa esposti a carico del dichiarante che, se vuole

smentirla, deve dimostrarne l'erroneità.

Dal 2002 è richiesta solo la presentazione in via telematica, entro il mese di Febbraio di ciascun

anno, di una comunicazione dei dati relativi all'IVA esigibile e alle detrazioni operate, riferita

all'anno solare precedente.

Il ravvedimento del dichiarante infedele nell'IVA e nelle imposte reddituali.

Tanto la normativa IVA quanto quella relativa alle imposte sui redditi consentono al contribuente di

accedere al cd. Ravvedimento operoso, ossia prevedono la possibilità di procedere alla

regolarizzazione delle omissioni o irregolarità delle operazioni imponibili ai fini IVA o alla

integrazione della dichiarazione presentata ai fini delle imposte sui redditi.

Il beneficio del ravvedimento è subordinato al pagamento contestuale, da parte del contribuente di

una sanzione la cui misura, via via crescente, dipende dal ritardo con cui si procede alla

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regolarizzazione.

La sanzione di pena pecuniaria più alta è pari ad 1/5 del minimo previsto per l'irregolarità

(omissione, infedeltà, etc) della dichiarazione.

Il contribuente può fruire del ravvedimento operoso a condizione che non siano iniziati accessi,

ispezioni e veridiche, che la violazione non sia stata comunque già constatata e che non siamo già

stati notificati inviti o richieste da parte degli uffici.

È altresì necessario che la rettifica sia in aumento rispetto alla dichiarazione originaria.

La dichiarazione nelle imposte sui trasferimenti e doganali.

In linea di principio, nelle imposte sui trasferimenti il contribuente deve dichiarare presupposto e

imponibile, ma non anche liquidare l'imposta.

Nell'imposta di registro, essendo normalmente l'imponibile un valore semplice (corrispettivo o

valore venale), è sufficiente allo scopo presentare l'atto scritto e la richiesta di registrazione, redatta

su stampato conforme a modello ministeriale.

Nell'imposta di successione e nell'INVIM abrogate nel 2001 era invece necessaria, data la

complessità della base imponibile, un apposita dichiarazione.

Quante alle imposte doganali, con la relativa dichiarazione è manifestata la volontà di dare ad una

merce una certa destinazione (per ad es. importarla o esportarla), immettendola al consumo in un

mercato diverso da quello di origine.

La dichiarazione doganale può essere fatta verbalmente, per iscritto o mediante un sistema

informatico.

Essa dovrà contenere le indicazioni relative al dichiarante, al proprietario, alla merce ed agli

importi da pagare.

SEZIONE III

L'AVVISO DI ACCERTAMENTO (O DI IMPOSIZIONE) OFFICIOSO

Tipologie, requisiti e contenuto.

Le varie figure di atti con i quali viene esercitato il potere di imposizione dell'Ufficio appaiono

riconducibili ad uno schema comune: si tratta di atti autoritativi diretti al contribuente, con i quali si

modifica la rappresentazione della fattispecie tributaria da questi fornita ovvero, si sopperisce alla

mancanza di tale doverosa rappresentazione, determinando gli elementi rilevanti per la

quantificazione del tributo dovuto.

A questi atti è riconducibile l'effetto di legittimare l'Amministrazione finanziaria a riscuotere

le somme dovute in base alla suddetta determinazione.

Le rigorose previsioni concernenti la tipizzazione ed i requisiti formali e sostanziali degli atti di

accertamento si giustificano in quanto atti autoritativi.

Essi sono in primo luogo suscettibili di acquistare efficacia preclusiva se non tempestivamente

impugnati; e in secondo luogo sono idonei ad incidere unilateralmente nella sfera giuridica del

destinatario, in particolare legittimando in vari casi la riscossione delle maggiori imposte pretese,

indipendentemente da un controllo giurisdizionale della loro fondatezza.

Risulta quindi evidente la necessità di adeguate garanzie idonee ad evitare il possibile esercizio

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arbitrario del potere accertativo.

Queste garanzie consistono in limitazioni concernenti l'esplicazione del potere impositivo. A

questo proposito, l'Art. 7 Statuto del contribuente, riferendosi in generale agli atti

dell'Amministrazione finanziaria, dispone che essi siano motivati secondo la disciplina dell'Art. 3

legge 241/1990, concernente appunto la motivazione dei provvedimenti amministrativi.

NB. La garanzia della motivazione è estesa anche al titolo esecutivo (e quindi al ruolo e alla

cartella di pagamento).

Si stabilisce così un livello minimo di garanzie applicabile a tutti gli atti impositivi, che non

pregiudica le garanzie più intense previste da discipline specifiche.

L'Art. 7, 2°comma dello Statuto obbliga inoltre ad indicare negli atti dell'Amministrazione

finanziaria e dei concessionari della riscossione:

1. l'ufficio presso il quale ottenere informazioni sull'atto medesimo,

2. il responsabile del procedimento,

3. l'organo presso il quale è possibile promuoverne un riesame in via di autotutela,

4. [in caso di atti impugnabili] le modalità, il termine e l'organo cui è possibile ricorrere.

Infine, una garanzia fondamentale consiste nel dovere dell'ufficio di raccogliere previamente la

prova dei presupposti specifici dell'emanazione dei singoli atti, cioè delle circostanze che lo

legittimano ad esercitare il potere di accertamento.

Il contenuto è costituito degli elementi dei quali la legge richiede l'indicazione nell'atto e si

identifica con il dispositivo, ossia le statuizioni cui si ricollegano gli effetti di esso, in

contrapposizione ai motivi di fatto e di diritto posti a fondamento delle medesime, nonché afli altri

requisiti formali.

La motivazione.

La motivazione, ossia l'indicazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a base dell'atto di

accertamento, costituisce un elemento di fondamentale importanza, in quanto garanzia:

da un lato del rispetto delle regole sulla formazione del convincimento dell'Ufficio;

dall'altro della possibilità per il contribuente di valutare la fondatezza o meno del

provvedimento e quindi di poter impugnare.

Tuttavia il grado di dettaglio delle indicazioni da fornire in motivazione varia da caso a caso;

pertanto l'osservanza dell'obbligo di motivazione va verificata in concreto in relazione al singolo

atto.

L'opinione della giurisprudenza è che l'ampiezza minima della motivazione debba essere

individuata in relazione alla funzione di essa di consentire l'identificazione dei presupposti materiali

e giuridici cui è correlata la pretesa tributaria, in modo da mettere il destinatario in grado di svolgere

la propria difesa.

L'atto deve dunque permettere di comprendere l'itinerario logico-giuridico seguito dall'Ufficio per

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formare il proprio convincimento intorno alle premesse di fatto e di diritto del dispositivo.

A questo riguardo la giurisprudenza richiama la distinzione tra motivazione e prova per affermare

che la seconda non è elemento costitutivo dell'avviso, in quanto la dimostrazione della fondatezza

delle affermazioni dell'Amministrazione finanziaria deve essere data solo al giudice. Questo per

dire che se l'ufficio non adempie in sede contenziosa il suo onere probatorio, l'accertamento si

considera infondato ma non immotivato.

Questa distinzione non è condivisibile quando è assunta a premessa per affermare la superfluità

dell'indicazione di tali risultati, in quanto questi sono garanzia del rispetto delle regole

sull'istruttoria.

La giustificazione di tale determinazione richiede il riferimento ai risultati dell'istruttoria,

secondo il modello dell'Art. 3 della legge 241/1990 richiamato dall'Art. 7 dello Statuto del

contribuente: dunque la descrizione dell'iter argomentativo seguito deve rendere individuabili

anche le ragioni per le quali l'Ufficio si è convinto della sussistenza dei fatti e circostanze affermati

nella motivazione, e deve trattarsi di un fondamento almeno prima facie sufficiente per procedere.

Nel giudicare se le indicazioni dei passaggi logici su cui si fonda la rettifica siano idonee, occorrerà

tener conto delle peculiarità dei vari casi concreti.

All'esigenza di valutazione in concreto dell'idoneità della motivazione si riallaccia la soluzione di

un altro problema di portata generale, ossia la legittimità dell'indicazione delle ragioni

dell'accertamento officioso tramite rinvio ad altri atti.

La giurisprudenza considerava legittima la motivazione che facesse rinvio ad atti semplicemente

conoscibili dal destinatario.

Tuttavia questo non è più sostenibile alla luce dell'Art. 7 Statuto che non consente di

rinviare ad atti semplicemente conoscibili, o che a loro volta non forniscano informazioni sufficienti

a comprendere le ragioni della pretesa.

Ciò premesso sul piano generale, per quanto riguarda in particolare l'avviso di accertamento delle

imposte sui redditi, occorre precisare che la disciplina della motivazione di tale atto contenuta

nell'Art. 42 del dpr 600/1973, impone di riferire la motivazione non solo ai presupposti di fatto e di

diritto della pretesa, ma anche all'applicazione da parte dell'Ufficio degli articoli precedenti, che

concernono le regole sui singoli tipi e metodi di quantificazione dell'imponibile, confermando così

la funzione del requisito in esame di assicurare il controllo sul rispetto delle regole dell'azione

impositiva.

Dunque attraverso questo rinvio alle regole sulla formazione del convincimento

dell'Ufficio, viene delineata una corrispondente articolazione dei motivi dell'avviso di accertamento.

Per quanto riguarda le ragioni giuridiche, se non è necessario indicare espressamente la disposizione

o il testo normativo applicato, dovranno essere precisate le regole dall'applicazione delle quali

dipende la diversa determinazione contenuta nell'avviso officioso, rispetto a quanto dichiarato dal

contribuente.

Infine, come si è detto, nel caso di riferimento ad altri atti non già conosciuti o ricevuti dal

contribuente, il testo dell'Art. 42 stabilisce che questi siano allegati ovvero ne sia riprodotto

nell'accertamento in contenuto essenziale.

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La competenza.

Tra i presupposti di legittimità degli atti di accertamento vi è anche la competenza dell'Ufficio che li

ha emanati. Al riguardo, va ricordato che tale competenza spetta attualmente, per i vari tributi la cui

gestione è affidata all'Agenzia delle Entrate, ai diversi Uffici locali.

Sotto il profilo territoriale, l'Ufficio competente per l'emissione dell'atto di accertamento ai fini delle

imposte reddituali è quello della cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente, alla

data in cui è stata o avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione.

In caso di incompetenza:

Funzionale è considerata un'ipotesi di carenza di potere;

Territoriale è anch'essa considerata come carenza di potere e l'atto è affetto da

nullità assoluta, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo.

La sottoscrizione.

Altro elemento di disciplina specifica è la sottoscrizione dell'avviso di accertamento. Al riguardo

l'Art. 42 dpr 600/1973 prevede che l'atto debba essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo

dell'Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.

Il termine di decadenza e la notificazione.

Il legislatore pone dei limiti temporali all'esercizio della potestà impositiva, stabilendo i termini

entro i quali gli atti impositivi (compresi quelli integrativi o modificativi di atti precedenti) devono

essere notificati, a pena di decadenza.

In particolare, l'avviso di accertamento per le imposte reddituali deve essere notificato entro il 31

Dicembre:

del 4°anno successivo alla presentazione della dichiarazione;

[in caso di omissione o nullità della dichiarazione] del 5°anno successivo a quello in cui

avrebbe dovuto essere presentata.

L'Art. 37, commi dal 24 al 26, del DL n°233/2006 modifica ai fini delle imposte sul reddito e

dell'IVA, la disciplina dei termini testé riassunta raddoppiandoli qualora i fatti di evasione da

accertare con apposita attività impositrice integrino una delle fattispecie penali disegnate dal

decreto legislativo n°74/2000.

È palese che il raddoppio opera solo se l'illecito sia stato effettivamente consumato e ne venga

data prova con sentenza penale passata in giudicato.

NB. Termini più ristretti sono previsti per le liquidazioni e le rettifiche formali di cui all'Art. 36-

bis e all'Art. 36-ter dpr 600/1973.

Secondo l'opinione prevalente, il vizio di inosservanza del termine rende l'atto solo annullabile, non

già emanato in carenza di potere, in quanto la scadenza del termine non estingue il potere

impositivo, bensì obbliga l'Amministrazione finanziaria a non esercitarlo.

NB. Questo significa che tale vizio non è rilevabile d'ufficio.

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Essendo l'accertamento un atto recettizio, che esiste e produce effetti in quanto sia notificato al

destinatario, da un lato la decadenza è evitata solo dalla notificazione; dall'altro i vizi di essa

costituiscono vizi formali.

La disciplina sulle notificazioni in materia di imposte dirette risulta dall'Art. 60 del dpr 600/1973,

il quale rinvia all'Art. 137 ss Cpc prevedendo però alcune regole speciali, tra queste:

la competenza dei messi comunali o di messi speciali autorizzati dall'Ufficio delle imposte;

la sottoscrizione dell'atto da parte del consegnatario;

l'individuazione come luogo di notifica del domicilio fiscale del destinatario.

Quanto alle conseguenze dei vizi di notifica:

a) da un lato la giurisprudenza più recente ha superato l'indirizzo secondo il quale i vizi

della notificazione sono sanati per raggiungimento dello scopo, quando il

destinatario abbia avuto conoscenza dell'atto entro i termini previsti dalla

legge, o almeno in quanto l'abbia impugnato. Sicché solo una efficace

notifica di esso entro i termini per l'esercizio del potere di accertamento

impedisce la decadenza dell'Erario.

b) Dall'altro assumendosi che l'avviso di accertamento avrebbe due autonome nature,

quella sostanziale e quella processuale di provocatio ad opponendum, si è

affermato che il contribuente avrebbe interesse a far valere l'inesistenza della

notificazione solo per superare l'eccezione di tardività del proprio ricorso o

per eccepire la suddetta decadenza dell'Erario per scadenza dei termini,

tornando così all'idea che i vizi di notifica non bastino di per sé ad annullare

l'atto.

Atto impugnato e atto definitivo.

L'atto di imposizione, in quanto atto autoritativo, produce i suoi effetti anche se impugnato, in base

al generale principio per il quale l'efficacia dei provvedimenti amministrativi è indipendente dal

controllo giurisdizionale della legittimità di essi.

Tali effetti si risolvono, sul piano procedimentale, nella legittimazione dell'ulteriore azione

amministrativa di riscossione.

Tuttavia tali effetti subiscono in vari casi per espressa disposizione di legge, una limitazione in

relazione al fatto che l'accertamento sia impugnabile o il giudizio sia pendente, in quanto la

riscossione degli importi risultanti è parziale e graduata secondo le vicende del processo: ma ciò

incide solo sul piano quantitativo, senza escludere l'immediata efficacia dell'atto.

Piuttosto, questa efficacia è in una certa misura instabile, in quanto suscettibile di venir meno

in caso di accoglimento del ricorso da parte del giudice tributario.

Quando questa instabilità viene meno l'atto diviene definitivo. Questo significa che ne vengono

consolidati gli effetti come titolo della riscossione o della ritenzione delle somme riscosse.

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Alla definitività è spesso ricondotto anche un effetto di incontestabilità della ricostruzione del fatto

contenuta nell'accertamento, od i preclusione di diverse determinazioni del dovuto.

Tuttavia occorre osservare che codesta incontestabilità incontra vari limiti:

1. I fatti su cui si fonda l'accertamento definitivo possono essere rimessi in discussione in

occasione dell'impugnazione di altri accertamenti che pongano tali fatti a base del prelievo

di altre imposte o dello stesso tributo per periodi diversi; né sono impediti accertamenti

integrativi o modificativi per lo stesso periodo di imposta.

2. Gli stessi effetti di attribuzione patrimoniale definitiva possono essere rimossi, in determinati

casi, in base ad una diversa ricostruzione della fattispecie tributaria. es. la definitività

derivante dalla mancata impugnazione del ricorso non impedisce l'annullamento dell'atto,

nell'esercizio del potere di autotutela, da parte dell'Amministrazione finanziaria. Il

contribuente può invocare il giudicato favorevole ottenuto da un coobbligato in solido che

abbia ritualmente impugnato il medesimo accertamento.

L'imposizione concordata o negoziata.

Gli uffici dell'Amministrazione Finanziaria possono definire l'accertamento, ai fini delle imposte sui

redditi e dell'IVA, con l'adesione del contribuente: in tal modo, si forma un accertamento definitivo,

vincolante anche per l'Amministrazione finanziaria, in quanto sono escluse non solo l'impugnazione

da parte del contribuente, ma anche in linea di principio, integrazioni o modificazioni da parte

dell'Ufficio.

Questo meccanismo di imposizione consente di acquisire immediatamente e stabilmente le somme

accertate, grazie al riconoscimento della fondatezza della pretesa da parte del soggetto passivo,

senza conflittualità.

L'adesione viene incentivata mediante benefici sul piano sanzionatorio. Sul piano penale, si prevede

la diminuzione fino alla metà delle pene per i delitti in materia di imposte sui redditi e IVA se prima

dell'apertura del dibattimento siano stati pagati i debiti tributari, anche se ridotti a seguito di

concordato.

Le sanzioni amministrative sono ridotte ad ¼ del minimo per le violazioni concernenti i tributi

oggetto dell'adesione, commesse nel periodo di imposta e il contenuto della dichiarazione (salvo per

quelle applicate in sede di liquidazione).

Non vi sono limiti di contenuto agli accertamenti suscettibili di essere definiti mediante adesione.

Per favorire il raggiungimento del concordato è previsto un contraddittorio tra ufficio tributario e

contribuente.

L'iniziativa può essere presa dall'ufficio, prima della formazione di atti di imposizione,

invitando il contribuente a comparire per definire con la sua adesione i periodi di imposta che sono

suscettibili di accertamento.

Ma anche il contribuente, se ha subito accessi, ispezioni o verifiche, può chiedere all'ufficio di

formulare una proposta di accertamento alla quale possa eventualmente prestare adesione; e se gli è

stato notificato un avviso di accertamento non preceduto dall'invito di cui sopra, può presentare

un'istanza di accertamento con adesione.

Tale istanza sospende per 90 gg il termine per impugnare l'atto davanti alla commissione tributaria e

al riscossione del tributo, e comporta l'invito a comparire per instaurare il contraddittorio.

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NB. Tuttavia l'ufficio non è tenuto a pervenire alla definizione con adesione, se non ritiene che il

contribuente abbia fornito elementi idonei a ridurre la pretesa fiscale.

L'atto di accertamento con adesione è redatto per iscritto e sottoscritto dal contribuente e dal capo

dell'ufficio, con l'indicazione degli elementi e dei motivi su cui si fonda.

Affinché la definizione si perfezioni, è necessario che entro 20 gg il contribuente versi le

somme dovute in conseguenza dell'adesione.

In mancanza, riprende il procedimento ordinario e non perde efficacia l'originario atto di

imposizione.

Per quanto riguarda la natura dell'accertamento con adesione, l'opinione prevalente è nel senso che

si tratti di un atto unilaterale di accertamento cui si aggiunge, rimanendo però distinta da esso,

l'adesione del contribuente.

I pareri resi a seguito di interpello speciale e di interpello ordinario.

La procedura di interpello è stata introdotta nel nostro ordinamento dall'Art. 21 della legge

413/1991 la quale ha permesso ai contribuenti di azionare una speciale procedura volta

all'ottenimento di un parere, da parte di un Comitato consultivo per l'applicazione delle norme

antielusive, istituito presso il Ministero delle Finanze.

In sostanza, attivando la procedura di interpello, il contribuente vuol sapere se una certa

operazione che ha in progetto di compiere (o che ha già compiuto), ricadente nel catalogo di quelle

che la stessa legge considera come potenzialmente elusive, si debba effettivamente trattare come

tale.

Il parere reso dal Comitato ha efficacia inter partes e questo si coglie dal disposto dell'Art. 2-bis,

3°comma della legge 656/1994, la dove stabilisce che l'Ufficio e il contribuente possono stipulare

un concordato avente ad oggetto “l'esistenza, la stima, l'inerenza e l'imputazione a periodo dei

componenti positivi e negativi del reddito di impresa o di lavoro autonomo”.

Questa definizione concordataria non è integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio.

Il responso ministeriale o del Comitato, se conforme alla soluzione interpretativa prospettata dal

richiedente, è pur esso insuscettibile di sconfessione da parte di entrambi i soggetti limitatamente al

caso deciso. In tal senso possono essere seguite due strade:

A) Applicare il disposto dell'Art. 11, 2°comma, ulti.inciso, dello Statuto, che afferma

l'efficacia vincolante inter partes del parere in ipotesi di concordanza di opinione tra

interpellante e interpellato.

B) Sostenere che se l'ufficio potesse sconfessare il parere reso dal Comitato e dunque se il

parere stesso non avesse efficacia impegnativa sul piano della qualificazione giuridica del

caso prospettato dal richiedente, l'efficacia del parere perderebbe qualsiasi consistenza e

l'istituto risulterebbe completamente inutile.

Oltre all'interpello speciale il nostro ordinamento prevede nell'Art. 11 Statuto del contribuente,

una forma di interpello ordinario, di portata generale, attivato sulla base di una istanza per iscritto

del contribuente, concernente “l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e

personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle

disposizioni stesse”.

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Nell'istanza il richiedente dovrebbe prospettare quale interpretazione o quale comportamento egli

ritenga corretto.

Se l'Amministrazione concorda espressamente con la tesi prospettata dal richiedente o fa decorrere

120 gg senza rispondere (silenzio assenso) la risposta espressa o tacita, crea effetti vincolanti, di

guisa che qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, che l'Amministrazione

dovesse emanare in futuro, disattendendo il verdetto, sarebbe colpito da nullità.

non facili problemi di coordinamento sistematico solleva il 3°comma dell'Art. 11 che attribuisce al

silenzio serbato dall'Amministrazione una efficacia più ridotta di quella prevista dal 2°comma

(disapplicazione delle sanzioni).

Ma l'antinomia tra il 2° e il 3°comma può superarsi riconoscendo che il 3°comma si riferisce

al caso di interpello anomalo, nel quale l'istante non abbia indicato l'interpretazione o il

comportamento che ritiene corretti.

È ovvio che il contribuente, se dissente dal parere sfavorevole ricevuto, è libero di conformarvisi o

non. Può dunque realizzare egualmente l'operazione reputata elusiva o applicare la norma di

controversa interpretazione adottando una tesi ricostruttiva diversa da quella indicata

dall'Amministrazione.

Il contribuente che voglia dissentire, subirà l'unica conseguenza di doversi addossare l'onere

di fornire la motivazione della ritenuta erroneità del verdetto ricevuto.

Tipologia dell'accertamento officioso: 1) l'Avviso di accertamento in rettifica e la sua

globalità.

L'avviso di accertamento in rettifica si caratterizza per il suo riferirsi ad una dichiarazione

validamente presentata, dalla quale risultino un imponibile inferiore a quello che l'Ufficio reputa

effettivo o deduzioni o detrazioni non spettanti.

Le differenze tra i metodi di calcolo analitici, induttivi o sintetici non influenzano la natura

dell'atto impositivo, incidendo solo sul contenuto della motivazione di esso.

Anche le differenze tra avvisi di accertamento nei confronti delle persone fisiche e dei

soggetti IRPEG non fanno venir meno l'unitarietà concettuale dell'avviso di accertamento in

rettifica.

Si può invece contrapporre un accertamento in rettifica ordinario, con caratteristiche di tendenziale

globalità ed unicità (in quanto esso deve fondarsi su tutti gli elementi rilevanti acquisiti al momento

dell'emanazione e riferirsi all'intera base imponibile quale risulta da questi, ai fini di un'applicazione

esaustiva del prelievo, ad ipotesi speciali di accertamento, concernenti solo specifici elementi

rilevanti per la determinazione dell'obbligazione tributaria, emersi da controlli di estensione

limitata, anziché da istruttorie di carattere globale.

Il legislatore non consente all'Ufficio di emanare un primo accertamento utilizzando solo una parte

degli elementi disponibili e poi ulteriori atti sulla base dei rimanenti, o di una diversa valutazione di

quelli già utilizzati: il primo accertamento può essere seguito da altri solo in seguito alla

sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Tuttavia questa regola conosce ampie deroghe, in quanto in vari casi il legislatore ha ritenuto

prevalente sugli interessi sopra considerati quello ad una sollecita acquisizione delle maggiori

imposte correlate a singoli elementi della fattispecie tributaria, il cui accertamento sia

particolarmente semplice ed immediato, escludendo che l'atto con il quale si procede ai relativi

recuperi precluda l'emanazione di successivi avvisi di accertamento, anche se basati su elementi già

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allora conosciuti dall'Ufficio.

Segue: 2) L'Accertamento d'ufficio in assenza di dichiarazione.

L'avviso di accertamento di ufficio presuppone l'omissione o nullità della dichiarazione: in questo

caso l'Ufficio procede alla determinazione del reddito e dell'imposta dovuta in totale sostituzione

dell'obbligato inadempiente.

L'accertamento d'ufficio non ha però finalità sanzionatorie, essendo diretto a ricostruire il reddito

effettivo. Vero è che il livello delle garanzie accordate al contribuente è inferiore a quello previsto

per l'accertamento in rettifica: le regole probatorie sono analoghe a quelle dell'accertamento con

metodo induttivo, la determinazione concerne il reddito complessivo.

Tuttavia la ricostruzione per non trasformare l'accertamento d'ufficio in uno strumento

punitivo, può essere sintetica o induttiva solo se non si siano rinvenuti elementi idonei per una

determinazione analitica.

Per quanto riguarda i requisiti formali, valgono le regole generali dell'Art. 42; inoltre il termine per

la notifica di questi avvisi di accertamento è più ampia (1 anno).

Segue: 3) Liquidazione in base alla dichiarazione (Art. 36-bis dpr 600/1973) e controllo

formale della dichiarazione (Art. 36-ter)

l'Art. 36-bis disciplina la liquidazione delle imposte, dei contributi previdenziali e dei premi

assicurativi dovuti dai contribuenti e dai sostituti d'imposta, ovvero dei rimborsi spettanti ai

medesimi, in base alla dichiarazioni da essi presentate.

Su tutte le dichiarazioni presentate tramite procedure automatizzate, è effettuata una serie di

controlli (cd. controlli automatici), in modo da scoprire determinati tipi di errori.

Qualora in seguito a tali correzioni risulti versata una somma inferiore al dovuto, il recupero

si attuerà senza le regole e le garanzie proprie della rettifica della dichiarazione; per converso, la

sanzione amministrativa è del 30% dell'importo versato in meno, ex Art. 13 d.lgs. 471/1997, e non

quella per infedele dichiarazione.

Qualora invece risulti che la somma versata era superiore a quella dovuta in seguito ad errore

materiale o di calcolo, si procederà al rimborso d'ufficio.

Il termine per lo svolgimento di tali controlli è l'inizio del periodo di presentazione della

dichiarazione relativa all'anno successivo.

I risultati di tale liquidazione, divergenti da quanto dichiarato dal contribuente o dal sostituto

d'imposta, sono a questi comunicati.

Per quanto riguarda la comunicazione degli esiti della liquidazione non è un avviso di

liquidazione, tipico atto impositivo.

Essa ha certo rilevanza esterna, in quanto atto finalizzato a rendere esplicite le ragioni e il

contenuto della pretesa fiscale; tuttavia, l'opinione prevalente la ritiene assimilabile ad un avviso

bonario, che da al soggetto passivo la possibilità di evitare la successiva iscrizione a ruolo, o

adempiendo senza bisogno di quest'ultima, ovvero dimostrando l'erroneità della pretesa stessa.

Infatti entro 30 gg è possibile fare presente all'Amministrazione finanziaria dati o elementi non

considerati o erroneamente valutati in fase di liquidazione, si fini del rito o della riduzione della

pretesa, ovvero pagare quanto dovuto.

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In mancanza di pagamento o di dimostrazione dell'infondatezza della pretesa, la somma è

iscritta a ruolo.

I controlli formali disciplinati dall'Art. 36-ter del dpr 600/1973 si svolgono secondo modalità

simili, specie per la previsione di una comunicazione dei conseguenti recuperi, cui segue l'iscrizione

a ruolo se il soggetto passivo tace.

Anch'essi comportano sanzioni amministrative per insufficiente versamento e non per infedele

dichiarazione; anch'essi concernono ipotesi tassative, e a differenza di quelli di cui all'Art. 36-bis,

hanno carattere selettivo e si possono fondare sul confronto tra quanto dichiarato e determinati

elementi esterni alla dichiarazione.

Tali controlli sono effettuabili dagli uffici periferici dell'Amministrazione finanziaria, entro il

31 Dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

Al soggetto passivo può essere chiesto di fornire chiarimenti o presentare ricevute di

versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione.

La rettifica risultante dal controllo formale è comunicata al soggetto passivo indicandone i motivi.

Con l'Art. 25, 3° e 4°comma d.lgs. 472/1997, si è stabilito che prima di notificare la cartella di

pagamento, sia inviata al contribuente una comunicazione degli importi iscritti a ruolo, e se questi

paga entro 30 gg è ridotta a metà la sanzione amministrativa.

Vi sono forti dubbi di costituzionalità, specie per la mancanza di motivazione dell'atto. La Corte

costituzionale li ha però respinti, sul presupposto che, secondo il diritto vivente, l'Art. 36-bis è

applicabile solo se la materia imponibile non sia in discussione, quindi in ipotesi di errori materiali

e di calcolo immediatamente rilevabili dalla dichiarazione, senza necessità di alcuna istruttoria ed

escludendo qualsiasi valutazione giuridica.

In effetti, l'opinione prevalente è che questi interventi non neghino l'intrinseca veridicità dei fatti

esposti nella dichiarazione, quanto agli elementi concorrenti alla determinazione del reddito ed agli

oneri e detrazioni, e che i casi indicati nell'Art. 36-bis siano tassativi e da interpretare in modo da

escludere dalla sua area di operatività le ipotesi di errori dipendenti dall'interpretazione della legge

o da valutazioni o apprezzamenti di fatto diversi da quelli del contribuente.

Per quanto riguarda l'inquadramento dell'istituto, parte della dottrina lo considera estraneo

all'accertamento; o comunque lo ascrive all'area della riscossione. In essa sembra esprimersi talvolta

un potere si imposizione.

Non sembra dunque sempre vero che queste correzioni non contraddicano la rappresentazione

dei fatti fornita nella dichiarazione, né che operino solo su elementi messi dal contribuente a

disposizione del Fisco e debbano quindi essere circoscritte ai casi in cui il carattere indebito della

deduzione è immediatamente ricavabile dalla dichiarazione e dagli allegati e non desunto da prove o

circostanze esterne.

Segue: 4) L'Avviso di accertamento parziale.

Come si è accennato, l'accertamento parziale (Art. 41-bis dpr 600/1973) rappresenta una deroga al

principio di tendenziale unicità e globalità dell'atto di accertamento, in quanto non pregiudica la

possibilità di riversare in un atto successivo elementi già posseduti dall'Ufficio al momento

dell'emanazione di esso.

La giustificazione di tale deroga si fonda sull'esigenza di consentire all'ufficio di procedere subito

all'accertamento, in relazione a singoli aspetti della fattispecie tributaria, quando gli siano pervenuti

elementi che ne consentano determinazioni autonome, in quanto di particolare semplicità ed

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evidenza probatoria.

Esso si distingue per il fatto di basarsi, anziché su un'istruttoria svolta dall'Ufficio, su segnalazioni

provenienti da determinati soggetti, esterni da esso: la Guardia di finanza, l'Anagrafe tributaria, Enti

e Amministrazioni pubbliche.

La ragione per consentire in questi casi all'Ufficio di avvalersi di una disciplina speciale è indicata

dalla dottrina nell'automatismo argomentativo delle determinazioni basate su queste fonti di

conoscenza: perciò si ritiene che le segnalazioni debbano avere un contenuto tale da permettere

senz'altro di procedere alla confezione dell'atto, sulla base di una verifica elementare.

Mantenere fermo questo carattere distintivo appare necessario, perché l'esigenza di delimitare

la sfera di applicazione del parziale non si collega solo ad esigenze nominalistiche, ma alla presenza

di notevoli differenze di disciplina, di fronte alle quali appare necessario evitare che l'applicazione

del regime dell'accertamento ordinario o di quello parziale dipenda da una scelta insindacabile

dell'Ufficio.

Segue: 5) L'Accertamento integrativo o per sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

In forza del principio di tendenziale globalità dell'avviso di accertamento, l'Ufficio deve utilizzare

tutti i dati in suo possesso quando emana un atto in tal senso.

Tale principio emerge dalla regola per la quale, fino alla scadenza del termine di decadenza,

l'avviso può essere modificato o integrato in aumento con ulteriori avvisi, ma solo se questi siano

basati sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (Art. 43, ult.comma, dpr 600/1973).

Esaminiamo ora i presupposti e gli effetti degli atti di accertamento integrativo. Premesso che si

parla di:

Atti di integrazione quando l'aumento si collega ad aspetti non considerati nel primo;

Atti di modificazione quando si incide su elementi del presupposto che siano già stati

oggetto di considerazione nell'atto pregresso.

È pertanto precluso un diverso apprezzamento del materiale probatorio già disponibile al momento

dell'emanazione di questo, anche se un più approfondito esame dovesse porre in luce elementi

trascurati o insufficientemente o erroneamente utilizzati.

A garanzia della controllabilità del rispetto di questo limite, nella motivazione, a pena di

nullità, devono essere indicati i nuovi elementi e gli atti o fatti tramite i quali l'Ufficio li ha

conosciuti.

Si pretende che l'atto integrativo sia basato su prove le quali al momento dell'emanazione del primo

avviso non solo non fossero state rilevate, ma nemmeno rientrassero nella sfera di potenziale

percezione dell'Amministrazione finanziaria; occorre dunque riferirsi alla concreta estensione

dell'istruttoria svolta per il primo avviso, per verificare la suddetta conoscibilità.

Sembra corretto ritenere che i vari atti rimangano autonomi, in quanto produttivi di distinte

obbligazioni tributarie, al fine della progressiva adeguazione della fattispecie accertata a quella

reale: gli effetti del primo non sono dunque assorbiti ed elisi dai successivi.

Perciò, i vari accertamenti seguono vicende distinte: sono suscettibili di consolidarsi

automaticamente, e l'impugnazione del secondo non permette di rimettere in contestazione la

determinazione contenuta nel primo, ancorché questa sia in esso richiamata al fine della

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determinazione del complessivo debito tributario.

SEZIONE IV

ALTRI TIPI DI ATTI DI IMPOSIZIONE OFFICIOSA

La fattispecie dell'accertamento officioso nell'IVA.

La disciplina dell'accertamento officioso nell'IVA è in gran parte simile a quella delle imposte sui

redditi. Anche per l'IVA, dunque, gli Uffici svolgono una funzione di liquidazione delle

dichiarazioni e di controllo su una ridotta percentuale di posizioni, che sfocia nella determinazione

dell'imposta dovuta solo quando sia rilevata l'omissione o l'infedeltà della dichiarazione.

Anche per quanto riguarda gli avvisi di accertamento, attraverso i quali si esplica la suddetta

funzione determinativa, le somiglianze con le imposte reddituali sono notevoli; ma esistono anche

alcune peculiarità che è necessario evidenziare.

In primis l'avviso di accertamento IVA oltre a determinare una maggiore imposta, ne richiede anche

il pagamento entro 60 gg dalla notifica, al soggetto passivo: all'iscrizione a ruolo si procede solo in

caso di inadempimento di questo obbligo.

In secondo luogo, il legislatore, nell'individuare la tipologia degli atti di accertamento, distingue:

Le rettifiche della dichiarazione nelle quali la maggiore imposta dovuta, o la minor eccedenza

detraibile o rimborsabile, è determinata analiticamente;

Gli accertamenti induttivi, in cui viene determinato globalmente l'ammontare delle operazioni

imponibili.

Gli accertamenti induttivi, a differenza degli omologhi accertamenti delle imposte reddituali, sono

ammessi non solo in caso di omissione della dichiarazione o di violazioni che la inficino (mancata

sottoscrizione, mancata delle specificazioni essenziali), ma anche per anomalie concernenti la

contabilità.

Dunque, nell'IVA sono più numerosi i casi in cui l'Ufficio può prescindere in toto dalla

dichiarazione, pur quando sia valida, in presenza di gravi violazioni concernenti la contabilità e la

fatturazione.

Un'altra peculiarità, pure ricollegabile alla minor rilevanza della dichiarazione rispetto ai tributi sui

redditi, è l'ammissibilità, in caso di pericolo per la riscossione del tributo, di rettifiche o

accertamenti induttivi (condizionati ovviamente ai presupposto per essi previsti in via generale)

anteriori alla presentazione della dichiarazione, e suscettibili persino di riguardare solo una frazione

del periodo d'imposta, con riferimento pertanto alle imposte non versate in base alla disciplina delle

liquidazioni periodiche.

Il d.lgs 241/1997 ha introdotto anche nell'IVA una disciplina a sé della liquidazione delle imposte

dovute in base alla dichiarazione, imponendo un procedimento analogo a quello ex Art. 36-bis dpr

600/1973.

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Quanto al contenuto dell'avviso, l'Art. 56 dpr 633/1972, nell'individuare gli elementi che debbono

esservi indicati a pena di nullità, disciplina distintamente le rettifiche analitiche e gli accertamenti

induttivi:

le rettifiche analitiche non è stabilito nulla sul dispositivo, mentre è regolata

minuziosamente la motivazione richiedendosi a pena di nullità la

specifica indicazione non solo delle violazioni sulle quali si

fonda la rettifica, ma anche delle relative prove, ed in particolare

dei fatti assunti a fondamento delle presunzioni.

Accertamenti induttivi si stabilisce che siano indicati l'imponibile determinato, le

aliquote e le detrazioni, nonché le ragioni dell'applicabilità di

questo metodo. Sempre a pena di nullità debbono essere

indicate le ragioni di pericolo per la riscossione che

legittimano gli accertamenti anticipati rispetto alla

dichiarazione. Pertanto, sembra chiaro che anche negli avvisi

di rettifica analitica il dispositivo dovrà indicare, almeno, gli

elementi oggetto della diversa determinazione.

L'ultimo comma dell'Art. 56 ha precisato con riferimento ad entrambi i tipi di accertamento che, a

pena di nullità, devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che li hanno

determinati, ed allegati o riprodotti nel contenuto essenziale (se non già conosciuti o ricevuti dal

contribuente) gli altri atti cui la motivazione faccia riferimento.

Per altri aspetti la disciplina è più vicina a quella delle imposte reddituali. I termini per

l'accertamento sono più brevi.

Sostanzialmente coincidenti sono le regole sugli accertamenti integrativi e modificativi: in

seguito alla legge 413/1991, anche in materia di IVA sono ammessi accertamenti parziali.

Infine si può ricordare che l'accertamento con adesione ai fini delle imposte reddituali, ha effetto

anche ai fini dell'IVA.

L'accertamento officioso nelle imposte sui trasferimenti.

L'accertamento officioso nelle imposte sui trasferimenti vigenti o abrogate (imposta di registro,

sulle successioni e donazioni, INVIM, ipotecarie e catastali) presenta notevoli differenze rispetto a

quello delle imposte sui redditi o dell'IVA.

Anche in questo campo l'applicazione delle imposte dipende in massima parte dagli adempimenti

imposti ai contribuenti; questi, però, sono tenuti a far conoscere all'erario tutti gli elementi del

presupposto e dell'imponibile necessari per la determinazione delle imposte dovute, non anche a

liquidare e versare le imposte stesse come nelle imposte reddituali e nell'IVA.

L'attività impositiva officiosa in questi tributi si esplica dunque come determinazione autoritativa

del regime dei rapporti tributari, attraverso provvedimenti suscettibili di produrre effetti preclusivi

se non tempestivamente impugnati, e aventi l'efficacia di legittimare la successiva azione

amministrativa. Inoltre i suddetti provvedimenti presentano una notevole varietà di contenuti e di

effetti.

In primo luogo, l'attività impositiva si esprime nella qualificazione giuridica degli elementi

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dichiarati e nella conseguente determinazione e riscossione delle imposte dovute in base agli atti

giuridici posti in essere o alle dichiarazioni presentate.

In secondo luogo, gli Uffici svolgono controlli su una parte delle situazioni dichiarate, ed hanno

ovviamente il potere di assoggettare a tassazione quelle occultate o non correttamente dichiarate. Il

secondo tipo di controlli si realizza principalmente attraverso una verifica della congruità degli

imponibili dichiarati rispetto ai valori venali di beni e diritti rilevanti per la determinazione degli

imponibili stessi, secondo la disciplina delle varie imposte.

Infine gli uffici hanno ampie possibilità di richiedere ulteriori imposte (cd. Suppletive) in seguito

alla correzione di errori da essi stessi compiuti in precedenti liquidazioni, senza incontrare i limiti

preclusivi previsti per gli accertamenti modificativi delle basi imponibili nelle imposte dirette e

nell'IVA.

Va inoltre precisato che tra le normative dell'imposta di registro, di quella delle successioni e

dell'INVIM esistono notevoli differenze, quanto alla disciplina degli atti tramite i quali si esplica il

potere impositivo officioso.

Rimane come carattere comune il fatto che l'applicazione di esse non si può esaurire attraverso

l'adempimento degli obblighi del contribuente, consistenti nel sottoporre un atto alla registrazione o

presentare una dichiarazione, essendo necessario come si è detto, l'intervento dell'Amministrazione

finanziaria, quantomeno per la liquidazione del tributo risultante da tali atti, previa determinazione

della disciplina giuridica applicabile.

Ciò non comporta però che queste determinazioni sfocino comunque in un avviso di

liquidazione con gli effetti potenzialmente preclusivi tipici dell'atto di imposizione. Questo infatti

non avviene nell'imposta di registro, in cui la liquidazione è compiuta in modo informale: solo

quando non sia pagata o depositata la somma determinata dall'Ufficio viene notificato l'avviso di

liquidazione.

L'azione di accertamento può in primo luogo esplicarsi nella determinazione dell'imposta dovuta in

base al valore venale, se superiore a quello dichiarato nell'atto o al corrispettivo pattuito, nei casi

consentiti dalla legge.

Gli altri profili del rapporto e l'imposta conseguentemente dovuta sono determinati per mezzo

di atti denominati avviso di liquidazione.

L'oggetto degli avvisi di liquidazione non è necessariamente limitato alla mera liquidazione

dell'imposta, ma può ben coinvolgere la determinazione del presupposto, sia per gli aspetti di fatto

(si pensi alla possibilità di registrazione d'ufficio di atti la cui esistenza è accertata in base a

presunzioni), sia per quelli di diritto.

L'avviso di liquidazione inoltre produce gli effetti dei provvedimenti impositivi, in quanto obbliga i

soggetti passivi al pagamento delle imposte in esso determinate.

In caso di inadempimento legittima l'iscrizione a ruolo, ed è suscettibile di diventare definito se non

impugnato.

La sua natura di atto impositivo comporta dunque che esso debba contenere innanzitutto gli

elementi essenziali per l'esistenza di provvedimenti siffatti.

Pur non essendo stabilite le conseguenze della mancanza, sembra evidente che essa

comporterà, secondo i principi:

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l'inesistenza dell'atto quando riguardi il dispositivo o gli altri elementi essenziali;

l'illegittimità dell'atto negli altri casi.

Quanto ai termini di decadenza per la notifica dell'avviso di liquidazione, l'imposta per gli atti da

registrare d'ufficio deve essere richiesta entro 5 anni.

Va infine ricordato che anche ai fini delle imposte sulle successioni e donazioni, dell'imposta di

registro, ipotecaria e catastale e dell'INVIM è possibile la definizione dell'accertamento mediante

adesione del soggetto passivo. Il procedimento è simile a quello previsto per le imposte sui redditi:

INIZIATIVA d'ufficio tramite un'invito a comparire ai soggetti obbligati;

dal contribuente cui sia stato notificato l'avviso di accertamento, non

preceduto dal suddetto invito di cui all'Art. 11, che

non l'abbia ancora impugnato davanti alla

commissione tributaria.

Le regole speciali riguardano il frequente caso di più soggetti obbligati: la presentazione

dell'istanza, anche se fatta da uno solo, sospende per tutti, per 90 gg, i termini per impugnare l'atto e

quelli per la riscossione e la definizione è efficace pure se è uno solo degli obbligati ad aderirvi.

Per converso, sul piano oggettivo, la definizione deve riguardare tutti i beni o i diritti contenuti

nello stesso atto, denuncia o dichiarazione (salva la considerazione come atto distinto delle

disposizioni contenute nello stesso atto che non derivano necessariamente le une dalle altre) ed ha

effetto per tutti i tributi dovuti dal contribuente in relazione ad essi.

Gli altri tributi: quadro generale.

Per i tributi diversi da quelli finora considerati sono previsti modelli applicativi differenti, anche

all'interno della disciplina di ciascuno di essi. In linea generale la distinzione riguarda il punto di

equilibrio tra gli obblighi del contribuente e l'intervento dell'Amministrazione finanziaria ai fini

della determinazione del dovuto.

In caso di tributi applicati con il sistema del bollo (in particolare l'imposta di bollo e le tasse sulle

concessioni governative), l'intervento dell'Amministrazione finanziaria è diretto alla scoperta delle

fattispecie in cui il tributo sia stato evaso, cosicché in dottrina si parla di tributi senza imposizione e

di fattispecie dell'evasione (anziché dell'accertamento), per la mancanza di atti degli Uffici intesi

alla determinazione del dovuto, aggiungendosi che l'attività impositiva non avrebbe carattere

autonomo rispetto alla repressione delle violazioni.

In questi casi il potere impositivo è meramente eventuale, ad iniziativa d'ufficio, scaturisce

dall'evasione, ossia dalla violazione di un obbligo, ed è diretto a consentire la percezione dei tributi

la cui mancata acquisizione dipende da quella violazione.

L'Art. 16 della legge 408/1990 per le imposte che non rientravano nella giurisdizione delle

Commissioni tributarie, diverse da quelle di:

fabbricazione,

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doganali,

tributi locali,

ha stabilito che in base al processo verbale di contestazione della violazione, viene redatto un atto

di accertamento del tributo evaso e di irrogazione della sanzione, notificato, all'interessato assieme

al verbale, il cui effetto è di dare al contribuente la possibilità di definire la controversia, pagando il

tributo accertato e di legittimare, in mancanza, l'iscrizione a ruolo.

NB. Solo quest'ultima era impugnabile.

Dunque anche qui è espressamente prevista una imposizione del tributo eventualmente dovuto in

relazione alla violazione commessa.

In seguito:

all'attribuzione alle Commissioni tributarie della giurisdizione su tutti i tributi (dal 2002);

ed all'impugnabilità avanti a queste di tutti gli atti aventi la natura oggettiva di avviso di

accertamento, essendo incompatibile con la relativa disciplina il meccanismo dei ricorsi

amministrativi prodromici all'azione avanti il giudice ordinario,

anche la disciplina di questi tributi sembra doversi allineare con i principi generali: l'atto di

accertamento dovrebbe dunque considerarsi autonomamente impugnabile, a pena di decadenza.

Inoltre la suddetta disciplina generale va coordinata con le eventuali più specifiche regole dei

singoli tributi sulle forme e sui termini per l'esercizio del potere impositivo.

Il modulo applicativo in materia di imposte di fabbricazione e consumo, e nelle imposte

doganali.

Anche per le imposte che rientrano nella generale categoria delle accise, l'applicazione si esplica in

linea di principio:

come controllo eventuale sull'esattezza e sulla fedeltà delle dichiarazioni dei soggetti passivi

nonché sui versamenti da essi eseguiti in base alle stesse;

come determinazione dell'imposta qualora tali obblighi risultino violati, in particolare nel caso

di occultamento di fatti imponibili.

Il nuovo sistema di riscossione di cui all'Art. 14 del TU 504/1995 prevede che le somme dovute

siano riscosse a mezzo ruolo, previa spedizione da parte degli uffici di un avviso di pagamento.

Pertanto, in dottrina si ritiene che la funzione di atto di imposizione e liquidazione della

maggiore imposta dovuta sia svolta dai suddetti inviti o avvisi di pagamento, riferendosi perciò a

questi ultimi la necessità della motivazione in forza dei principi generali.

Occorre tuttavia precisare che in questa materia la determinazione degli elementi su cui si fonda

l'imposizione, in relazione alle varie situazioni, risulterà spesso da atti precedenti, quali i processi

verbali di constatazione delle violazioni, o i provvedimenti con i quali sono risolte le controversie

sulla natura delle merci, in base alle regole sulle controversie doganali.

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Orbene, quando nei confronti di tali atti siano dati autonomi rimedi giurisdizionali, è facile cogliere

in essi l'idoneità a consolidare la determinazione di certi aspetti del rapporto tributario che connota

l'atto impositivo, e si può considerare perciò l'avviso di pagamento mero atto consequenziale.

Quando invece si tratti di atti non impugnabili, come i processi verbali, sarà possibile

comunque motivare l'atto impositivo per rinvio agli stessi.

Va inoltre ricordato che spesso le violazioni in materia di imposte di fabbricazione configurano

illeciti penali: in tali casi l'azione penale determina la sospensione dell'attività impositiva e della

decorrenza del termine di prescrizione, e rientrando la controversia d'imposta nella cognizione del

giudice penale, la sentenza irrevocabile di questi contiene l'accertamento definitivo del debito

d'imposta, sulla base del quale l'ufficio può procedere alla riscossione.

Il meccanismo di imposizione nelle imposte doganali presenta una particolare complessità:

Per accertare quantità, qualità, valore ed origine delle merci e gli altri elementi necessari per

l'applicazione del prelievo, l'Ufficio procede all'esame della dichiarazione doganale e della

documentazione allegata, i cui risultati sono annotati sulla bolletta doganale (ossia sulla

dichiarazione accettata e registrata), con la sottoscrizione del funzionario controllante.

Se non emergono difformità rispetto alla dichiarazione, o il dichiarante non contesta le

difformità rilevate, l'accertamento diviene definitivo e sono liquidati i diritti doganali.

Il dichiarante può però sollevare contestazione ed a tal fine gli sono date ampie possibilità di

tutela in via amministrativa. Innanzitutto può:

◦ chiedere una visita di controllo del capo dell'Ufficio doganale;

◦ oppure (nonché se non ne condivide i risultati), che siano sentiti due periti.

Dopodiché il capo dell'Ufficio doganale deciderà sulla contestazione, con provvedimento

motivato.

Se il proprietario non accetta la decisione, deve chiedere entro 10 gg dalla notifica di

essa, la redazione di un verbale, e nei 30 gg successivi a questo presentare istanza affinché

la controversia sia risolta dal capo del Compartimento doganale.

Contro la decisione di questo è ammesso il ricorso al Ministro delle Finanze, la cui

decisione comporta la formazione dell'atto di imposizione definitiva.

Come si è accennato, in questa materia, la definitività dell'accertamento ha un significato diverso da

quelli finora visti:

1.Essa non esclude la possibilità di revisione di tale atto, non solo d'ufficio, ma anche su

richiesta dell'operatore, entro 3 anni da quando si è prodotta la suddetta definitività.

2.La definitività dell'accertamento o della rettifica è condizione per poter agire contro essi, entro

60 gg, in sede giurisdizionale.

3.Essa è presupposto per l'azione di recupero dei maggiori diritti dovuti (o per il rimborso

d'ufficio di quelli pagati in più.

NB. Ai sensi dell'Art. 21 d.lgs. 46/1999 non è più necessario un titolo definitivo per l'iscrizione a

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ruolo dei diritti doganali.

L'accertamento di valore nelle imposte sui trasferimenti.

Si è detto che nell'imposta di registro l'accertamento di maggiore valore ha la funzione di

determinare il valore venale di immobili (o di diritti reali immobiliari) o aziende (o diritti reali su

queste), se superiore a quello dichiarato in atto o al corrispettivo; le ipotesi in cui è ammesso sono

tassative.

Prima del 1996 allo scopo era impiegato un atto (cd. Avviso di accertamento) il cui oggetto

era limitato alla quantificazione del maggior valore imponibile lasciando

all'avviso di liquidazione la determinazione della conseguente imposta. In tal

senso, benché il suo effetto fosse quello di legittimare l'emanazione di

quest'ultimo, anche l'avviso di accertamento di valore corrispondeva al

modello dell'atto di imposizione.

Legge 549/1995 ha eliminato la distinzione tra atto di accertamento e atto di liquidazione. Ora

quindi con lo stesso atto l'ufficio procede sia alla rettifica del valore, sia alla

liquidazione della maggiore imposta, con interessi e sanzioni.

Per quanto riguarda il contenuto, richiede gli elementi indispensabili per l'esistenza del

provvedimento, e inoltre stabilisce che l'atto debba descrivere ciascun bene oggetto di valutazione,

indicando il valore attribuito ad esso e gli elementi in base ai quali è stato determinato.

Inoltre devono risultare le aliquote applicate e il calcolo della maggiore imposta, nonché

quella dovuta in caso di ricorso.

D.lgs. 32/2001 ha previsto l'Art. 52, 2-bis comma ai sensi del quale, a pena di nullità devono

essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno

determinato l'accertamento, ed allegati o riprodotti nel contenuto essenziale

gli atti cui esso faccia riferimento (se non conosciuti o ricevuti dal

contribuente).

Occorre ricordare che il termine di decadenza per la notifica dell'avviso (Art. 76, comma 1-bis TU

imp. Reg.) è di due anni dal pagamento dell'imposta principale (anche in caso di registrazione

d'ufficio) o per l'imposta di successione, dalla notifica della relativa liquidazione e che si è ritenuta

esclusa la possibilità di successive integrazioni o modifiche, mancando qui deroghe al principio di

unicità dell'accertamento.

Pertanto la frequenza delle controversie sugli accertamenti di valore e l'opinabilità delle inerenti

determinazioni ha indotto il legislatore a cercare di ridurre l'incertezza dei contribuenti e il numero

delle liti, escludendo l'accertamento quando i soggetti passivi indichino valori legalmente

sufficienti.

Si è dunque stabilito che non sono rettificabili i valori degli immobili iscritti in catasto

(eccetto i terreni edificabili) dichiarati in misura non inferiore a quella risultante dalla

moltiplicazione del reddito dominicale, per i terreni, e della rendita, per i fabbricati per 75 e per 100

(ma i moltiplicatori sono modificabili con decreto ministeriale in caso di sensibili divergenze dai

valori di mercato).

Il modulo applicativo nei tributi locali.

La disciplina più recente dei tributi locali maggiormente significativi è vicina al modello delle

imposte reddituali:

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da un lato sono imposti ai contribuenti obblighi di autoliquidazione e versamento;

dall'altro se i controlli danno risultati positivi, il potere impositivo si esplica tramite

avvisi di accertamento motivati, in rettifica delle dichiarazioni o d'ufficio.

Per alcune imposte è distintamente previsto un controllo formale delle dichiarazioni e dei

versamenti, sulla base degli elementi da esse desumibili, con il potere di correggere errori materiali

e di calcolo, il quale può dare luogo ad un avviso di liquidazione motivato.

Questo quadro può però essere soggetto a variazioni anche significative nei singoli enti locali,

perché l'ampia potestà regolamentare attribuita da ultimo dal legislatore (TUEL) a Comuni e

Province si estende anche alla disciplina del procedimento di accertamento dei tributi locali.

In materia di ICI le possibilità sono più articolate avendo il Comune il potere di eliminare le

operazioni di controllo formale sulla base delle dichiarazioni, per limitare l'imposizione alla notifica

di avvisi di accertamento motivati, per omesso, parziale o tardivo versamento, con la liquidazione

dell'imposta.

L'Art. 50 della legge 449/1997 conferisce poi un potere regolamentare ancora più ampio, per

“semplificare e razionalizzare il procedimento di accertamento”, riducendo gli adempimenti dei

contribuenti e potenziando l'attività di controllo sostanziale e per introdurre l'accertamento con

adesione secondo i criteri del d.lgs. 218/1997.

Riguardo infine all'imposta regionale sulle attività produttive, l'Art. 24 d.lgs. 446/1997 attribuisce

alle amministrazioni regionali la competenza a constatare le violazioni in materia di IRAP e ai

Consigli regionali il potere di disciplinare con legge, con efficacia a partire dal 2000, il

procedimento di applicazione dell'imposta, nel rispetto dei principi in materia di imposte sul

reddito; ma con tali leggi si può anche prevedere la stipula di convenzioni con il Ministero

dell'Economia e della finanza per affidare agli organi statali lo svolgimento delle attività di

liquidazione, accertamento e riscossione del tributo, secondo le disposizioni in materia di imposta

sui redditi.

Comunque, ai sensi dell'Art. 25 d.lgs. 446/1997, fino a quando non avranno effetto tali leggi

regionali, all'attività di accertamento si applica la disciplina in materia di imposte sui redditi.

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Cap. 16

I METODI DI DETERMINAZIONE DELL'IMPONIBILE

L'imponibile (o parametro) è quella grandezza alla quale va ragguagliato il tasso (o aliquota) al fine

di ottenere l'ammontare del debito da assolvere (liquidazione dell'imposta).

In alcuni casi la determinazione dell'imponibile richiede operazioni estimative molto complesse e

difficoltose che danno luogo a metodi determinativi dell'imponibile basati, sempre più

frequentemente, sull'utilizzo di prove presuntive, nella triplice versione conosciuta: assolute,

relative e semplici.

Quasi tutte le imposte più importanti sotto il profilo del gettito (IRPEF, IRPEG, IRES, IVA)

fanno ricorso all'utilizzo di dette prove presuntive.

I due metodi di calcolo dell'imponibile nell'IRPEF (ora IRE) sono:

A) METODO ANALITICO.

B) METODO SINTETICO.

Per quanto riguarda il METODO ANALITICO, questo è costituito dalla:

Sommatoria dei redditi delle diverse categorie previste dalla legge in quanto posseduti

dal contribuente, determinati in base alle peculiari regole dettate in relazione

a ciascuna categoria

E DALLA

Sottrazione degli oneri deducibili.

Tanto il contribuente in sede di dichiarazione, quanto l'Ufficio, in ipotesi di rettifica della

dichiarazione o di accertamento d'ufficio (ove la dichiarazione sia stata omessa), debbono calcolare

l'imponibile con metodo analitico, ossia conformemente a quanto dispongono gli Artt. 1, 2°comma

e 38 del dpr 600/1973.

In particolare, l'Ufficio ha il potere di rettificare le dichiarazioni presentate quando:

1. Il reddito complessivo dichiarato risulta inferiore a quello effettivo;

2. Non hanno ragion d'essere o non spettano, in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le

detrazioni d'imposta indicate nella dichiarazione.

L'incompletezza, la falsità e l'inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione possono essere

desunte, oltre che dalla stessa dichiarazione, dal confronto con quelle degli anni precedenti, dai dati

e dalle notizie comunque raccolti dall'Ufficio, anche sulla base di presunzioni semplici, purché

assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all'Art. 2729 Cc.

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La determinazione analitica presuppone dunque la conoscenza da parte dell'Ufficio impositore,

della fonte del reddito che è stato occultato o erroneamente indicato dal contribuente,

In metodo analitico tende a determinare il reddito complessivo netto del contribuente nella sua

effettività. A comporre il reddito complessivo lordo possono entrare redditi che effettivi non sono

(es. il reddito fondiario).

Quindi anche il reddito complessivo netto calcolato analiticamente può non essere effettivo in

qualche suo componente.

Per quanto riguarda il METODO SINTETICO, o “per semplici presunzioni”, vediamo che il reddito

del contribuente viene determinato prescindendo dall'individuazione della specifica fonte

produttiva, sulla base della valenza induttiva di elementi e circostanze di fatto certi, segnaletici della

esistenza di redditi occultati.

Questo diverso metodo di determinazione del reddito si fonda sul presupposto logico secondo

cui il sostenimento di una spesa, sia essa causata dalla disponibilità di determinati beni o servizi (es.

uso di case), ovvero destinata ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente

costituisce indice presuntivo, fino a prova contraria, dell'esistenza di un reddito (sfuggito a

tassazione) idoneo a consentire la spesa minima.

Il ricorso a questo tipo di determinazione quantitativa è subordinato alla sussistenza di due

presupposti:

a) Che il reddito complessivo netto sinteticamente accertabile si discosti per almeno ¼ da

quello dichiarato.

b) Che l'incongruità rispetto al reddito dichiarato si manifesti per almeno 2 periodi d'imposta.

Il contribuente può dimostrare, anche prima della notifica dell'avviso di accertamento, che il

maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi

esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo ti imposta, ovvero da smobilizzi patrimoniali.

Il metodo sintetico è un sistema di calcolo posto a favore dell'Ufficio e fondato su presunzioni

semplici, le quali devono presentare le connotazioni di gravità, id precisione e concordanza

prescritte dall'Art. 2729 Cc.

Ma si è visto che il contribuente può fornire la prova contraria in ordine alla provenienza delle

somme spese.

Si è detto che gli elementi e circostanze di fatto su cui può essere basata la ricostruzione sintetica

presentano un connotato comune, consistente nell'esprimere una capacità di spesa. Al riguardo si

distinguono due categorie:

le spese per l'utilizzo o il mantenimento di beni o servizi (autovetture, case, etc.);

le spese per incrementi patrimoniali, ossia quelle spese destinate ad incrementare

durevolmente il patrimonio del contribuente (acquisto abitazioni).

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Con riferimento ai più comuni e significativi indici di spesa appartenenti alla prima categoria, il

Ministero delle Finanze, appositamente delegato, ha emanato un decreto detto redditometro, volto

a quantificare a priori la capacità di spesa connessa alla disponibilità di tali beni e servizi e quindi a

inferirne, attraverso un meccanismo di automatica applicazione, il presumibile reddito attribuibile al

contribuente. Tali indici sono: disponibilità di aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto,

autoveicoli e altri mezzi di trasporto a motore oltre i 250 cc, roulottes, cavalli da equitazione e da

corsa, residenze principali e secondarie, collaboratori familiari e assicurazioni.

Il redditometro ha certamente efficacia vincolante nei confronti degli Uffici accertatori; mentre non

è vincolante nei confronti dei contribuenti.

Tuttavia, in caso di mancato adeguamento del reddito dichiarato a quello risultante dal

redditometro, l'onere di dimostrare la non persuasività e la non correttezza delle predeterminate ed

automatiche quantificazioni reddituali contenute nel decreto è posto a carico del contribuente.

NB. Parimenti il decreto non può considerarsi vincolante per il giudice tributario.

Con riferimento alla seconda categoria, spese per incrementi patrimoniali, il legislatore ha statuito

che esse si presumono sostenute, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti,

nell'anno in cui sono state effettuate e nei cinque precedenti. Si tratta palesemente di una

presunzione legale relativa, in relazione alla quale l'onere di fornire la prova contraria è stato posto

in modo chiaro a carico del contribuente.

Ai fini della determinazione sintetica del reddito dei contribuenti, gli Uffici possono in ogni caso

utilizzare anche indici diversi da quelli appartenenti alle due categorie anzidette (ad esempio

possono essere considerate le spese per effettuare costosi viaggi o per iscriversi a club di golf, etc).

I redditi, di impresa e di lavoro autonomo, in relazione ai quali sussiste l'obbligo di tenuta

della contabilità: i metodi di determinazione contabile, extra contabile e misto.

Regole specifiche di quantificazione dell'imponibile sono dettate per quelle specifiche categorie di

redditi in relazione alle quali esiste l'obbligo di tenuta delle scritture contabili: i redditi di impresa e

i redditi di lavoro autonomo.

In relazione a tali redditi il contribuente è obbligato ad effettuare la dichiarazione analitica; deve, in

altri termini, specificare gli elementi attivi e passivi dalla cui somma algebrica scaturiscono i valori

che concorrono a formare l'imponibile complessivo.

L'Ufficio può rettificare in aumento l'imponibile esposto nella dichiarazione con due diversi metodi:

1. Attraverso il metodo analitico-contabile la rettifica dei dati dichiarate viene effettuata sulla

base delle scritture contabili, le cui risultanze possono essere smentite solo sulla base di

prove dirette ovvero di presunzioni gravi, precise e concordanti.

2. Attraverso il metodo induttivo o extra-contabile, in base al quale il reddito viene determinato

in via indiziaria, prescindendo in tutto o in parte dalle risultanze della contabilità e con

facoltà di far ricorso anche a presunzioni non dotate dei requisiti di gravità, precisione e

concordanza.

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È poi configurabile una sorta di terzo metodo di determinazione del reddito che può essere definito

misto, ovvero analitico-induttivo:

3. Nel metodo misto la determinazione del reddito continua ad essere effettuata nell'ambito delle

risultanze della contabilità, ma con ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o

passivi, di cui risulti provata aliunde la mancanza o l'inesattezza.

La legge prevede quattro diverse fattispecie di applicazione, da parte dell'ufficio, del metodo di

determinazione (di rettifica) analitico-contabile del reddito delle imprese, e precisamente (Art. 39,

1°comma):

a) se gli elementi indicati nella dichiarazione analitica non corrispondono a quelli del bilancio

o del conto dei profitti e delle perdite;

b) se non sono state esattamente applicate le disposizioni che regolano la determinazione del

reddito di impresa;

c) se l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei

relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei

confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell'Ufficio.

d) Se l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei

relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche ovvero

dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla

scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle

notizie raccolti dall'Ufficio. L'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività

dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi,

precise e concordanti.

L'ipotesi prevista alla lettera d), consentendo all'Ufficio di effettuare delle rettifiche anche sulla

base di prove presuntive, si discosta dalle precedenti. Non ci troviamo più nel campo di

applicazione del metodo analitico pure ma di un metodo analitico con inserzione di elementi

induttivi. Per quanto si è in presenza di un metodo misto.

Con l'Art. 62-sexies del dl 331/1993 l'ambito di applicazione dell'Art. 39, lett. d) è stato ampliato,a

l punto da rischiare di stravolgere l'impianto complessivo dell'Art. 39 che come si è visto colloca le

ipotesi considerate pur sempre nell'alveo della rettifica analitica del reddito di impresa.

È stato infatti stabilito che le rettifiche di singole poste che compongono il reddito possano essere

fondate anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati

e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica

attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati dal Ministero delle Finanze.

Le incongruenze devono essere numerose, gravi ed univoche.

Con questo innesto, quindi, il metodo misto viene trasformato in metodo induttivo globale, in

relazione alla presenza delle gravi incongruenze desumibili da varie fonti tra cui gli studi di settore.

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102

Metodo induttivo globale o extra-contabile.

Il metodo induttivo (o sintetico) di quantificazione del reddito di impresa si caratterizza per il fatto

che il reddito viene determinato nella sua globalità (e non in una sua particella) non in base al

bilancio, ma al di fuori del bilancio. Per questo motivo viene comunemente chiamato anche metodo

extra-contabile.

In base al 2°comma dell'Art. 39 i soli presupposti legittimanti il ricorso a tale metodo di

determinazione del reddito sono:

1. che il reddito d'impresa non sia stato indicato nella dichiarazione;

2. che alla dichiarazione non sia stato allegato il bilancio con l conto dei profitti e delle perdite;

3. che dal verbale d'ispezione risulti la mancata tenuta o la sottrazione all'ispezione di una o più

delle scritture contabili obbligatorie, ovvero l'indisponibilità delle scritture medesime per

forza maggiore;

4. che le omissioni e le false o inesatte indicazioni appurate ai sensi del precedente comma

ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione siano

così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse

per la mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica;

5. che il contribuente non abbia dato seguito agli inviti dell'Ufficio ad esibire o trasmettere

documenti o a restituire compilati e firmati questionari relativi a dati e notizie di carattere

specifico rilevanti ai fini dell'accertamento.

Ricorrendo uno o più di tali presupposti, l'Ufficio procede alla determinazione del reddito potendosi

avvalere di facoltà assai più ampie di quelle previste nel caso di calcolo con metodo analitico.

Infatti esso può:

a) prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili;

b) utilizzare presunzioni semplici non qualificate, ossia non assistite dai requisiti di gravità,

precisione e concordanza;

c) utilizzare dati e notizie comunque raccolti.

Il meccanismo induttivo non rende l'Ufficio arbitro assoluto, in quanto la determinazione del reddito

va comunque ancorata a fatti certi o elementi e circostanze da cui derivino presunzioni che, pur se

non qualificate ai sensi dell'Art. 2729 Cc, devono almeno essere assistite dal requisito della

ragionevolezza.

Tuttavia, per il modo in cui è strutturato, il metodo in questione consente di calcolare un reddito che

può essere considerato medio (o paracatastale) ma comunque non effettivo.

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La determinazione dei redditi delle imprese minori (e medie) e delle società non operative.

Il legislatore ha ritenuto di prevedere, nei confronti dei contribuenti con volumi di affari inferiori a

determinati tetti, metodi particolari di determinazione del reddito, su base induttiva.

Si è infatti pariti dai coefficienti presuntivi, passando per la minimum tax e i parametri, per

approdare agli studi di settore.

Più specificamente possiamo individuare, in relazione alla concreta possibilità di utilizzazione degli

studi di settore ai fini dell'accertamento fiscale, quattro categorie di contribuenti:

A) Soggetti in regime di contabilità semplificata.

Nei confronti di costoro gli studi di settore trovano applicazione senza alcuna limitazione.

L'indicazione nella dichiarazione dei redditi di un ammontare di ricavi inferiore a quello derivante

dall'applicazione degli studi di settore composta l'emissione di un avviso di accertamento fondato

sullo studio relativo alla categoria economica di appartenenza.

Alla luce dell'Art. 1, comma 395° della legge 311/2004, l'Agenzia delle Entrate procede in questo

caso alla notifica di un accertamento parziale, da collocare, dunque, nello spettro applicativo

dell'Art. 41-bis del dpr 400/1973.

B) Soggetti in regime di contabilità ordinaria con ricavi e/o compensi superiori a Euro

5.164.569 o al diverso, inferiore limite, fissato per ciascun settore dall'apposito studio.

Nei loro confronti non trovano applicazione gli studi di settore e si applicano le regole ordinarie che

disciplinano l'accertamento fiscale.

C) Soggetti in contabilità ordinaria con ricavi e/o compensi rientranti nel limite per

l'applicazione degli studi (Euro 5.164.569. o valore inferiore se stabilito dall'apposito

studio).

Per tali soggetti a partire dal periodo d'imposta in corso al 31 Dicembre 2004, l'accertamento in

base agli studi di settore trova applicazione quando in almeno due periodi di imposta su tre

consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l'ammontare dei ricavi o dei compensi

determinabili sulla base degli studi risulta superiore all'ammontare dei ricavi o dei compensi

dichiarati per gli stessi periodi d'imposta.

L'accertamento in base agli studi di settore può inoltre essere effettuato, in ogni caso, laddove

emergano significative situazioni di incoerenza.

Per i soggetti in esame l'accertamento in base a studi di settore può essere inoltre eseguito quando

da un verbale di ispezione risulta motivata l'inattendibilità della contabilità in presenza di gravi

contraddizioni o irregolarità delle scritture obbligatorie, ovvero tra esse e i dati e gli elementi

direttamente rilevati in base ai criteri stabiliti col dpr 570/1996.

D) Soggetti in regime di contabilità ordinaria per effetto di opposizione ed esercenti arti e

professioni.

Si applicano le disposizioni di cui al precedente punto C).

Nuova disciplina per i soggetti indicati sub C) e D) a partire dal periodo di imposta per il

quale il termine per la presentazione della dichiarazione scade dopo il 4 Luglio 2006.

Attraverso tale modifica, il legislatore dispone l'applicazione generalizzata dell'accertamento sulla

base degli studi di settore nei confronti dei contribuenti titolari di reddito di impresa e di lavoro

autonomo, prescindendo dal regime di contabilità adottato. Con l'abrogazione delle norme citate,

per sottoporre ad un accertamento i contribuenti interessati, è sufficiente che gli stessi non risultino

congrui anche per una sola annualità rispetto agli studi di settore.

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104

I metodi di calcolo dell'imponibile previsti dalla legge sull'IVA.

Le osservazioni esposte nei precedenti paragrafi con riferimento alla rettifica dei redditi d'impresa e

di lavoro autonomo ai fini delle imposte reddituali valgono, mutatis mutandis, anche ai fini

dell'IVA.

Anche in relazione a tale imposta sono previsti due metodi principali, quello analitico e quello

induttivo, nonché un metodo misto.

L'Ufficio procede all'applicazione del sistema analitico allorché l'infedeltà, l'incompletezza o

inesattezza della dichiarazione emerga direttamente dallo stesso contenuto di quest'ultima, ovvero

dal confronto con le liquidazioni periodiche o con le precedenti dichiarazioni, ovvero dalla

comparazione fra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri degli acquisti

e delle fatture e dal controllo della correttezza delle registrazioni sulla scorta delle fatture e di altri

documenti e delle risultanze di altre scritture contabili.

Anche ai fini IVA il metodo induttivo di calcolo può essere legittimamente attivato solo in talune

ipotesi tassativamente individuate dal legislatore e cioè, in caso di:

omessa presentazione della dichiarazione,

presentazione di dichiarazione non sottoscritta o priva di alcune indicazioni essenziali,

omessa tenuta o sottrazione all'ispezione di scritture contabili obbligatorie,

mancata emissione o conservazione di fatture di vendita

omissioni, inesattezze o irregolarità formali così gravi, numerose e ripetute da rendere

inattendibile la contabilità del soggetto passivo.

Il metodo misto trova infine applicazione allorché:

l'infedeltà, l'incompletezza e l'inesattezza della dichiarazione sia desunta indirettamente in

applicazione delle presunzioni legali di acquisto e di cessione fissate dall'Art. 53 decreto

IVA,

o anche di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti,

ovvero emerga da dati ed elementi acquisiti in occasione di accessi ed ispezioni eseguite nei

confronti di altri soggetti, nonché da altri atti e documenti in possesso dell'Ufficio.

Anche per l'IVA si assiste a un progressivo ampliamento dell'ambito di applicazione del metodo

induttivo di determinazione dell'imponibile.

Questo è avvenuto:

sia con la previsione per le imprese minori e i professionisti in contabilità semplificata, di

metodi particolari di quantificazione, basati sui coefficienti presuntivi di compensi,

corrispettivi e volumi d'affari;

sia con l'estensione dei presupporti di applicabilità del metodo induttivo di rettifica.

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I redditi fondiari e il metodo catastale.

I redditi fondiari sono determinati in base alle risultanze catastali. Essi si distinguono in:

(a) REDDITI DOMINICALI DEI TERRENI;

(b) REDDITI AGRARI;

(c) REDDITI DEI FABBRICATI.

L'unità elementare del catasto è costituita:

per i terreni dalla particella catastale (che rappresenta una porzione continua di

terreno appartenente al medesimo possessore e avente medesima qualità e

classe);

per gli immobili dall'unità immobiliare (costituita da ogni porzione di immobile di per

sé idonea, nello stato in cui si trova, a produrre un proprio reddito).

A ogni unità catastale corrisponde la relativa rendita, rilevante ai fini della applicazione delle

imposte sui redditi (IRPEF, IRPEG).

A tal fine non si fa riferimento al reddito effettivo del singolo terreno o del singolo fabbricato,

individualmente considerato, ma si considera il reddito medio ordinario ritraibile in condizioni

normali da tutti i terreni e da tutti i fabbricati che appartengono alla medesima qualità, categoria e

classe, al netto di particolari detrazioni ammesse dalla legge.

La formazione del catasto consta di due serie di operazioni:

La MISURA con la quale si rileva la figura e l'estensione delle singole proprietà e

delle diverse particelle catastali, rappresentate mediante mappe

planimetriche collegate a punti trigonometrici;

La STIMA che è il procedimento attraverso il quale si perviene alla formazione

della rendita e alla sua attribuzione alla singola unità catastale. Essa

consta di quattro fasi, tre di carattere generale ed astratto (qualificazione,

classificazione, formazione delle tariffe) e una specifica rispetto alla

singola particella che determina in concreto l'estimo (classamento).

Le Fasi:

1. Qualificazione in tale fase le Commissioni Censurarie (unitamente agli Uffici Tecnici

Erariali) individuano, nell'ambito della zona censuraria di rispettiva

competenza, le diverse qualità dei terreni in funzione del relativo tipo

di coltivazione.

2. Classificazione Le Commissioni provvedono alla determinazione, nell'ambito di

ciascuna qualità, delle diverse classi, in funzione dei diversi gradi di

produttività dei terreni appartenenti alla medesima qualità.

3. Tariffe d'esitmo Vengono quindi formate le tariffe, ossia viene individuato in base a

una serie di parametri valutativi legislativamente stabiliti il reddito

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mediamente ritraibile da un ettaro di terreno di ciascuna qualità e

classe.

4. Classamento Qui viene attribuito il relativo reddito a ciascuna unità catastale, in funzione

della qualità e classe di appartenenza (nonché dell'estensione).

Con procedimento analogo si perviene all'attribuzione delle rendite catastali nelle singole unità

immobiliari urbane.

I metodi di determinazione dell'imponibile (valore del bene o dei beni trasferiti) nelle imposte

sui trasferimenti (imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni).

In materia di imposta di registro l'Ufficio non può di regola sottoporre a giudizio di congruità (ossia

a controllo di verità) il valore dichiarato dalle parti nell'atto di trasferimento di beni o diritti

presentato per la registrazione.

Tuttavia l'Ufficio è legittimato a rettificare il valore dichiarato dalle parti qualora possa dimostrare

che le stesse hanno indicato nell'atto, allo scopo di evadere in parte il tributo, un corrispettivo

inferiore a quello effettivamente pattuito (occultazione di corrispettivo).

La regola generale ora indicata subisce delle deroghe con riferimento agli atti che hanno per

oggetto:

immobili o diritti reali immobiliari,

aziende o diritti reali su di esse.

Per tali categorie di cespiti la base imponibile del tributo è costituita dal valore venale in comune

commercio (o valore di mercato).

Con il TU del 1986 è stato introdotto, con riferimento agli immobili iscritti in catasto con

attribuzione di rendita, il principio della valutazione automatica, in virtù del quale il valore o il

corrispettivo del cespite indicato nell'atto non può essere sottoposto a rettifica allorché non sia

inferiore a quello risultante dalla capitalizzazione dei redditi catastali secondo determinati parametri

moltiplicatori.

Con riferimento agli atti di trasferimento aventi per oggetto aziende o diritti reali su queste,

l'Ufficio, attraverso il giudizio di congruità, controlla il valore complessivo dei beni che

compongono l'azienda, incluso l'avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture

contabili obbligatorie o da atti aventi data certa.

I metodi di determinazione della base imponibile nelle imposte doganali, in alcune imposte

straordinarie e nell'ICI.

Sono soggette a dazi doganali le merci dichiarate per l'importazione, ossia destinate al consumo

entro il territorio doganale.

A tal fine occorre:

1. Individuare la voce di classificazione doganale della singola merce secondo la tariffa

doganale comunitaria.

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2. Una volta individuata la voce, la base imponibile su cui applicare l'aliquota è costituita dal

valore di transazione, che si identifica col prezzo

effettivamente pagato o da pagare da parte del compratore.

In particolare, la valutazione delle merci da importare deve essere fatta riferendosi al prezzo di

fattura. Solo se ciò non può essere fatto, allora si farà ricorso ad altri criteri sostitutivi quali:

a) il valore di merci identiche;

b) il valore di merci similari;

c) il valore desunto dalla vendita, nel Paese di importazione, delle merci importate o di merci

similari, previe opportune deduzioni volte a portare il prezzo di vendita sul mercato interno

al prezzo alla frontiera;

d) il valore ricostruito in base ai costi di produzione e di commercializzazione (metodo del

valore calcolato);

e) il valore determinato in base ad altri criteri, purché però vengano rispettati i criteri

dell'accordo GATT (metodo dell'ultimo ricorso).

Le imposte straordinarie, di volta in volta introdotte, hanno fatto ricorso a molteplici criteri per la

determinazione della base imponibile.

Al riguardo viene in rilievo l'imposta sostitutiva sulla valutazione obbligatoria degli immobili, che

ai fini del calcolo della rivalutazione prevedeva tre distinti metodi:

1. per le unità immobiliari classificate nelle categorie A, B e C imponeva il riferimento

all'ammontare delle rendite catastali capitalizzate mediante moltiplicatori prefissati;

2. per gli immobili classificati nelle categorie D e E assumeva il costo storico moltiplicato per

coefficienti prefissati;

3. per le aree fabbricabili il valore di riferimento era costituito dall'80% del valore venale in

commercio. Tale valore poi doveva essere diminuito del costo fisicamente riconosciuto dei

singoli beni al netto degli ammortamenti, nonché della franchigia di un miliardo: la

rivalutazione minima obbligatoria era parti al 38% del valore così ottenuto e non poteva

comunque eccedere il valore venale del cespite.

Viene poi in considerazione l'imposta straordinaria immobiliare (ISI) che per la determinazione

della base imponibile stabiliva il triplica criterio:

i. per i fabbricati iscritti in catasto nelle categoria A, B e C, nonché per quelli classificati in

categoria D purché non posseduti nell'esercizio d'impresa, il parametro cui commisurare

l'imposta era costituito dalla rendita catastale capitalizzata mediante determinati

moltiplicatori;

ii. per le unità immobiliari classificate o classificabili nel gruppo D possedute nell'esercizio

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d'impresa, la base imponibile era costituita dal costo storico, al lordo delle quote di

ammortamento, rivalutato in base a coefficienti prefissati;

iii. per le aree fabbricabili veniva imposto il riferimento al valore venale in comune commercio.

Tali criteri di determinazione della base imponibile dettati per l'ISI, sono stati ripresi dal legislatore

nella disciplina istitutiva dell'imposta comunale sugli immobili (ICI).

Anche con riferimento a tale tributo troviamo tre metodi per la quantificazione del parametro

cui va commisurata l'aliquota:

(a) per i fabbricati classificati nelle categorie A, B, e C, nonché per quelli classificati nel gruppo

D con attribuzione di rendita vale il criterio della capitalizzazione della rendita in base ai

moltiplicatori richiamati per il punto i);

(b) per le unità immobiliari classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto,

interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzabili, opera il criterio della

rivalutazione del costo storico, al lordo degli ammortamenti, in base a coefficienti soggetti

ad aggiornamento con decreto ministeriale;

(c) per le aree fabbricabili la base imponibile è determinata con riferimento al valore venale in

comune commercio.

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109

Cap. 17

LA RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE

SEZIONE I

PROFILI GENERLARI DEL SISTEMA E PROPOSTE DI RIFORMA

La materia della riscossione ha formato oggetto di una radicale riforma con la legge delegata

43/1988 con la quale:

1. E' stata soppressa l'ingiunzione fiscale, affidando al concessionario la riscossione coattiva,

mediante ruolo, della quasi totalità dei tributi indiretti (IVA, imposta di registro, etc).

2. Alla figura dell'esattore è stata sostituita quella del concessionario.

3. È stato ridotto il numero degli ambiti territoriali.

4. È stato innovato il procedimento di determinazione delle remunerazioni dei concessionari

prevedendo tre componenti della remunerazione:

◦ una COMMISSIONE per i versamenti diretti;

◦ un COMPENSO fissato in percentuale delle somme riscosse per i pagamenti

spontaneamente eseguiti;

◦ un COMPENSO fissato in percentuale delle somme riscosse coattivamente.

Successivamente con la legge delega 337/1998 il legislatore ha demandato al Governo

l'emanazione di Disposizioni per il riordino della disciplina relativa alla riscossione.

In attuazione della delega nel corso del 1999 sono stati emanati tre decreti legislativi (nn° 37, 46 e

112):

Con il primo veniva eliminato l'obbligo del non riscosso per riscosso.

Con il secondo si generalizzava l'impiego del ruolo come strumento di riscossione

coattiva di tutte le entrate tributarie ed extra-tributarie;

ridisciplinava il procedimento di formazione e le caratteristiche dei

ruoli;

sottoponeva a completa revisione la normativa della riscossione

coattiva, nonché i rapporti tra esecuzione esattoriale e fallimento.

Con il terzo si rideterminavano i requisiti dei concessionari;

si prevedeva l'obbligo per i concessionari di dotarsi di sistemi informatici

idonei al collegamento con la Pubblica Amministrazione;

si attribuiva ai concessionari il potere di accesso agli uffici pubblici e alle

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110

informazioni dell'anagrafe tributaria;

venivano fissati nuovi criteri di determinazione dei compensi dei

concessionari;

si sottoponevano i concessionari ai controlli della Guardia di Finanza;

si revisionava il sistema delle sanzioni per le violazioni dei

concessionari.

Il conto fiscale e la compensazione.

Gli imprenditori e i lavoratori autonomi sono titolari di un conto fiscale acceso presso il

concessionario della riscossione, nel quale affluiscono i versamenti ed i rimborsi relativi:

alle imposte sul reddito,

alle ritenute d'acconto,

all'IRAP,

all'IVA.

Il concessionario deve inviare annualmente ai contribuenti un estratto conto con evidenziazione

delle singole movimentazioni del conto fiscale.

In materia tributaria la compensazione è ammessa solo nei casi espressamente previsti dalla legge.

L'ambito di applicazione della compensazione come mezzo di estinzione dell'obbligazione tributaria

è stato via via esteso dal legislatore.

In un primo tempo era prevista solo la compensazione verticale nell'ambito di ciascuna imposta: in

altre parole, era ammesso il riporto in avanti del credito d'imposta a compensazione del debito del

successivo periodo d'imposta riguardante il medesimo tributo.

Successivamente è stata introdotta la compensazione orizzontale nell'ambito delle imposte sul

reddito: in tal guisa il credito IPEF (o IRPEG) poteva essere compensato col debito ILOR e

viceversa, e la compensazione era consentita non solo con i saldi ma anche con gli acconti.

Poi la compensazione orizzontale e verticale è stata ulteriormente estesa per i soggetti titolari di

partita IVA.

Da ultimo il sistema dei versamenti unitari con compensazione è stato esteso a tutti i contribuenti

titolari e non titolari di partita IVA, società di persone e società di capitali comprese.

La principale regola della compensazione è che tutto ciò che si deve pagare mediante il modulo di

versamento unificato (F24) può essere oggetto di compensazione con i crediti spettanti al

contribuente.

La riscossione coattiva dei tributi. Individuazione delle ragioni che giustificano l'attribuzione

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in esclusiva di tale funzione ai concessionari.

La riforma attuata con il dpr 43/1998 ha ampiamente dilatato la sfera delle funzioni di riscossione

coattiva demandate ai concessionari. In particolare, con:

L'Art. 67 ha devoluto a tali soggetti la riscossione coattiva delle tasse e delle imposte

indirette (es. IVA); nonché delle sanzioni pecuniarie accessori e penalità relativi ai predetti

tributi.

L'Art. 68 ha conferito ai concessionari anche la funzione di procedere alla riscossione

coattiva dei tributi locali.

L'Art. 69 ha conferito la riscossione anche dei canoni, proventi ed accessori derivanti

dalla utilizzazione dei beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile dello

Stato.

L'Art. 17 d.lgs 46/1999, nel riordinare la materia della riscossione mediante ruolo, ha generalizzato

l'impiego del ruolo per la riscossione coattiva delle entrate dello Stato e degli altri Enti pubblici,

anche previdenziali, disponendo tuttavia la facoltatività del ricorso alla riscossione tramite ruolo per

gli enti locali.

Molteplici ragioni militano a favore della estensione delle funzioni del concessionario anche alla

riscossione coattiva di ogni altra entrata pubblica, presente e futura.

In passato la riscossione tributaria in base a ruolo ha dimostrato un elevato grado di efficienza,

assicurata dalla combinazione di tre istituti:

1. L'obbligo del non riscosso per riscosso;

2. Il rimborso postergato delle quote inesigibili;

3. Il rito privilegiato ella esecuzione affidata al concessionario.

Per quanto riguarda il punto 1), questo costringeva l'esattore a versare le somme a ruolo alle

prescritte scadenze anche se non le avesse ancora riscosse.

Di qui il diritto di quest'ultimo di ottenere il rimborso di quella parte delle imposte da lui

anticipate (in forza del non riscosso per riscosso) che dimostrasse di non aver potuto riscuotere dai

contribuenti.

Inoltre sulle quote inesigibili all'esattore non spettavano né interessi né agio. Questa doppia

caratteristica della disciplina consentiva al sistema una ineguagliabile efficienza. Infatti:

il rischio di perdita del rimborso della quota inesigibile per difettoso svolgimento della

esecuzione costringeva il titolare della esattoria ad organizzare una continua ed attiva

vigilanza sull'operato dei propri dipendenti al fine di scongiurare che un loro errore potesse

pregiudicare la sorte del rimborso del credito, se inesigibile.

La disciplina del rimborso della quota inesigibile costringeva l'incolpevole esattore a subire la

doppia sanzione o la doppia iattura della perdita dell'aggio e della restituzione della somma

anticipata a distanza di anni e senza interessi.

Per l'esattore ridurre a livelli minimi le quote inesigibili diventava una esigenza fondamentale.

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Da ultimo, l'efficienza del sistema esattoriale era accresciuta dalla speciale forma di esecuzione

forzata promossa dall'esattore.

In definitiva, dunque per tradizione storica e per abito acquisito i concessionari (ex esattori)

apparivano e appaiono i soggetti più idonei a conseguire in modo proficuo il risultato della

riduzione al minimo delle quote non riscosse e della neutralizzazione della evasione da riscossione.

Il sistema è stato però rovesciato dalla legge di delega 337/1998 che ha previsto:

1.l'eliminazione del secolare principio del non riscosso come riscosso gravante sui concessionari

(di cui all'Art. 1 lett. c);

2.la revisione delle attuali procedure volte al riconoscimento della inesigibilità delle somme

iscritte a ruolo, con previsione di meccanismi di discarico automatico (lett. l).

la soppressione del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della

riscossione.

Le radicali alterazioni inferte dalla riforma del 1998 al sistema della riscossione mediante

concessione, frutto di improvvisazione e mal pensate, sfociavano inesorabilmente in un fortissimo

decremento delle percentuali riscosse dai concessionari sul carico complessivo loro affidato.

Si arrivava così alla fine, nel nostro Paese, di un sistema esattivo che aveva resistito per un secolo e

mezzo.

Il DL 203/2005 prevede che:

Le funzioni attualmente svolte dalle società concessionarie del sevizio di riscossione siano

trasferite all'Agenzia delle Entrate, che le eserciterà mediante la società di Riscossione SpA, già

costituita dalla stessa Agenzia, con una partecipazione al capitale del 51% e dall'Istituto nazionale

della previdenza sociale (INPS), con una partecipazione del 49%.

Questa soluzione è stata adottata:

sia per poter fruire degli standard di efficienza e di produttività dei due soci costituenti;

sia per unificare in capo ad un solo soggetto l'attività ora esercitata da 42 aziende

concessionarie;

sia per poter saldare la fase dell'accertamento con quella della riscossione.

I poteri di indagine e di informazione dei concessionari.

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Il concessionario, prima della riforma del 1998, risultava sfornito di qualsiasi potere di indagine in

ordine alla situazione patrimoniale dei debitori iscritti a ruolo.

Legge di delega 337/1998 ha previsto:

L'accesso dei concessionari, con le opportune cautele, alle

informazioni disponibili presso l'anagrafe tributaria per i fini

dell'espletamento delle procedure esecutive.

L'accesso dei concessionari agli uffici pubblici con facoltà di

prendere visione ed estrarre copia degli atti riguardanti i debiti

iscritti a ruolo.

L'obbligo dei concessionari di utilizzare sistemi informativi

collegati tra loro.

DL 223/2006 ha esteso ai dipendenti della Riscossione SpA e delle società partecipate dalla

stessa la possibilità di utilizzare i dati di cui l'Agenzia delle entrate dispone ai

sensi dell'Art. 7, 6°comma del DPR 605/1973.

Si tratta dei dati riguardanti i soggetti che intrattengono rapporti con le banche e

gli altri intermediari finanziari o che effettuano, anche a nome di terzi,

operazioni di natura finanziaria.

L'accesso a tali dati da parte dei dipendenti degli agenti della riscossione è

consentito ai soli fini della riscossione mediante ruolo e deve essere

preventivamente autorizzato dai direttori generali di Riscossione SpA e delle

società della stessa partecipate.

Sempre ai fini della riscossione mediante ruolo, gli agenti della riscossione

possono accedere a tutti i restanti dati rilevanti presentando apposita richiesta,

anche in via telematica, ai soggetti pubblici o privati che li detengono, con

facoltà di prendere visione e di estrarre copia degli atti riguardanti i predetti dati,

nonché di ottenere, in cara libera, le relative certificazioni.

Per limitare il numero dei soggetti che possono avvalersi di tali rilevanti

facoltà è stato previsto che i dipendenti degli agenti della riscossione autorizzati

ad accedere ai dati e ad utilizzarli siano individuati in modo selettivo

dall'Agenzia delle Entrate.

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SEZIONE II

L'ADEMPIMENTO SPONTANEO

La tipicità della riscossione.

La riscossione dei tributi obbedisce ad un fondamentale principio di tipicità: l'Ente impositore deve

procedere a riscuotere le imposte tramite gli atti previsti dalla legge e nelle forme da essa stabilite.

Il contribuente può adempiere con effetto liberatorio solo con l'osservanza delle modalità

previste dalla legge.

Il sistema della riscossione assume connotazioni assai differenziate a seconda dei vari settori

impositivi. In particolare, ha fondamentale rilievo la distinzione tra:

imposte sul reddito

imposte indirette

in quanto:

(a) in materia di imposte sul reddito la legge prevede tre modalità di riscossione spontanea:

1. la ritenuta diretta

2. il versamento diretto

3. l'iscrizione a ruolo.

(b) in tema di imposte indirette la riscossione spontanea dell'imposta avviene mediante

versamento diretto.

Per entrambi i settori impositivi, invece, la riscossione coattiva di regola si fonda sul ruolo che è

affidato al concessionario del servizio di riscossione.

La riscossione delle imposte reddituali: la ritenuta diretta.

La ritenuta diretta in alcuni casi rappresenta un semplice acconto della imposta sul reddito delle

persone fisiche, che risulterà dovuta al termine del periodo d'imposta sulla base della liquidazione

del tributo commisurato al reddito complessivo del soggetto.

In tali ipotesi la ritenuta diretta esaurisce la sua funzione nel campo della riscossione,

concretandosi in un obbligo della PA, che corrisponde determinate somme, di trattenere una parte e

di versarla al Fisco.

La ritenuta diretta d'acconto presenta in comune con la ritenuta d'acconto la caratteristica di

costituire un prelievo anticipato rispetto alla chiusura del periodo d'imposta, ma collegato al venire

in essere del presupposto dell'obbligazione tributaria, essendo operata su proventi che concorrono a

formare il reddito complessivo del soggetto che la subisce.

Da questa si distingue sotto un profilo:

Soggettivo in quanto obbligata ad operare la ritenuta è qualsiasi Amministrazione dello

Stato che corrisponda le somme sopra indicate.

Oggettivo in quanto la riscossione avviene secondo le modalità previste dalle norme

sulla contabilità generale dello Stato.

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Altre volte la ritenuta diretta assume la fisionomia di prelievo definitivamente gravante sul provento

corrisposto dall'Amministrazione (es. la ritenuta diretta sui premi e sulle vincite).

La riscossione mediante ritenuta diretta, a titolo di imposta, costituisce un modo di estinzione

dell'obbligazione tributaria per compensazione nei casi in cui vi sia identità tra l'Amministrazione

titolare del tributo e quella titolare del debito.

La sussistenza contemporanea dei due rapporti obbligatori, intercorrenti tra gli stessi soggetti

in senso inverso, fa sì che il debito fiscale, nell'istante stesso in cui sorge, si estingua.

Il pagamento delle imposte reddituali mediante versamento diretto.

Nella riscossione mediante versamento diretto assume un ruolo di centralità la figura del

contribuente: questi dichiara ed assolve il proprio debito tributario; mentre l'Amministrazione si

limita ad assistere all'attività dallo stesso svolto nell'interesse della Finanza.

Il sistema del versamento diretto trova applicazione nei seguenti casi:

a) per il versamento delle ritenute operate dai sostituti d'imposta;

b) per il versamento degli acconti e dei saldi delle imposte sul reddito;

c) per il versamento dell'IRAP in acconto e a saldo.

In base alla disciplina attualmente vigente il versamento diretto è effettuato alla Tesoreria dello

Stato mediante delega irrevocabile ad una banca convenzionata o all'Ente Poste Italiane.

In caso di versamento mediante delega bancaria la quietanza rilasciata dalla banca ha efficacia

liberatoria per il contribuente nei confronti dell'erario.

La riscossione delle imposte reddituali mediante ruoli: ambito di applicazione.

Il ruolo è rimasto come strumento fondamentale per la riscossione di parecchi tributi. Nel vigente

sistema sono infatti riscosse mediante ruoli:

1. le imposte relative ai redditi dichiarati, soggetti a tassazione separata;

2. le somme dovute in ipotesi di presentazione della dichiarazione senza previo versamento

diretto delle imposte in base ad essa liquidate;

3. le maggiori somme liquidate (a titolo di imposte, interessi e soprattasse) in sede di controllo

formale della dichiarazione ai sensi degli Artt. 36-bis e 36-ter del dpr 600/1973;

4. le somme dovute a titolo di imposte, interessi e sanzioni pecuniarie sulla base di avvisi di

accertamento ufficiosi.

Il ruolo è atto plurimo, che esplica i propri effetti in relazione ad una pluralità di contribuenti

domiciliati nello stesso Comune per debiti di imposta da ciascuno dovuti.

Esso contiene:

i nomi e le generalità dei destinatari,

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l'indicazione del domicilio fiscale,

l'indicazione del periodo d'imposta cui iscrizione si riferisce,

l'indicazione dell'imponibile,

l'indicazione dei versamenti e dell'imposta effettivamente dovuta,

l'indicazione degli interessi e delle sanzioni pecuniarie eventualmente dovute.

Il ruolo è confezionato dall'Ufficio delle Entrate che si avvale della collaborazione del Consorzio

obbligatorio dei concessionari della riscossione.

I ruoli si distinguono in:

A) ORDINARI

B) STRAORDINARI quelli che consentono l'anticipata riscossione delle maggiori imposte

accertate in deroga alla disposizioni che regolano l'iscrizione

provvisoria in dipendenza del processo tributario. L'emissione di

codesto tipo di ruolo è subordinata alla sussistenza del presupposto

del pericolo per la riscossione (periculum in mora).

Una volta confezionato, il ruolo viene consegnato al concessionario, il

quale notifica al debitore o al coobbligato la cartella di pagamento

recante l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro

il termine di 60 gg dalla notificazione, con l'avvertimento che, in

mancanza, si procederà ad esecuzione forzata.

Iscrizioni a ruolo delle imposte reddituali a titolo provvisorio e a titolo definitivo.

Nelle ipotesi di iscrizioni:

Definitive si è in presenza di situazioni giuridiche idonee (o tendenzialmente idonee) a

giustificare la stabile acquisizione del tributo da parte dell'Ente impositore.

Provvisorie traggono origine da un titolo essenzialmente precario, destinato a

consolidarsi ovvero ad essere annullato in tutto o in parte: per questa ragione

l'iscrizione provvisoria concerne solo una quota dell'imposta risultante dal

titolo che ne costituisce la fonte, nonché i relativi interessi e si estende ad

una quota della sanzione soltanto a seguito della sentenza sfavorevole di

primo grado.

Nel sistema vigente sono titoli che legittimano l'iscrizione definitiva:

a) la DICHIARAZIONE per le imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base ad essa,

al netto dei versamenti diretti risultanti dalle attestazioni

allargate alla dichiarazione stessa.

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b) L'ATTO DI ACCERTAMENTO OFFICIOSO RESOSI DEFINITIVO, per le imposte, le

maggiori imposte e le ritenute accertate dall'Ufficio;

c) Gli ATTI INDICATI sub a) e b) per i relativi interessi e sanzioni pecuniarie.

In particolare, per quanto concerne l'avviso di accertamento officioso, può affermarsi che esso non è

dotato di immediata esecutività, per l'intera somma liquidata nell'atto: tale somma diviene

integralmente esigibile mediante l'iscrizione a ruolo solo quando sia divenuto inoppugnabile

l'accertamento.

Prima di tale istante l'avviso di accertamento officioso è titolo per la iscrizione provvisoria

solo di quote dell'imposta accertata. In particolare, l'Amministrazione finanziaria ha il potere/dovere

di riscuotere in via provvisoria in pendenza di giudizio:

dopo la notifica dell'avviso di accertamento metà dell'imposta corrispondente all'imponibile o

al maggior imponibile accertato dall'Ufficio;

dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso 2/3

dell'imposta corrispondente all'imponibile o al maggior imponibile deciso;

sopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale che accoglie in parte il ricorso

l'imposta corrispondente all'imponibile o maggior imponibile deciso (e comunque non oltre i

2/3 dell'imposta corrispondente all'imponibile);

dopo la sentenza della Commissione tributaria regionale l'intero ammontare dell'imposta

corrispondente all'imponibile o al maggior imponibile da questa determinato, nonché l'intero

ammontare della sanzione.

NB. Le iscrizioni provvisorie a seguito delle pronunce del giudice tributario hanno a fondamento

l'atto di imposizione. Questo significa che le decisioni delle Commissioni, qualora confermino

o riducano l'imponibile accertato, conferiscono in tutto o in parte esecutività all'avviso di

accertamento, che permane nella misura originaria o in quella ridotta quale titolo per la

riscossione.

NB² È importante notare che, mentre per procedere alle iscrizioni a ruolo provvisorie la legge non

stabilisce limiti temporali, rigorosi termini di decadenza sono previsti per le iscrizioni

definitive.

Efficacia del ruolo rispetto a soggetti diversi dall'intestatario.

Il sistema vigente è ispirato al principio fondamentale dell'inestensibilità soggettiva del ruolo. Non

costituisce deroga a tale principio la regola secondo cui l'iscrizione a ruolo spiega autorità, oltre che

rispetto alla persona iscritta, anche nei confronti degli eredi di questa.

Un diverso ordine di problemi si pone con riguardo ai casi in cui una pluralità di persone sia tenuta,

per legge, in via solidale, al pagamento di un tributo.

Si tratta di chiarire se l'iscrizione a ruolo effettuata a carico di una di esse produca effetti

anche nei confronti di altre. Sul punto ricordiamo che si è consolidato l'indirizzo secondo cui

l'iscrizione a ruolo a carico di uno dei condebitori solidali non può riversare i propri effetti negativi

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nei confronti degli altri. Tali conclusioni valgono per tutte le figure di solidarietà paritaria e

dipendente illimitata.

Per converso, i principi sopra enunciati non trovano applicazione con riguardo all'istituto della cd.

Solidarietà dipendente limitata.

In queste ipotesi infatti si fa riferimento ad una soggezione alla procedura esecutiva

riguardante in primis l'obbligato principale: il titolo esecutivo (ruolo) esplica la sua efficacia non

solo nei riguardi di quest'ultimo, al quale risulta intestato, ma anche nei confronti del responsabile

dipendente limitato con riferimento al bene o ai beni ai quali si estende il predetto vincolo di

soggezione.

L'esazione in materia di IVA.

Nell'IVA il sistema della riscossione dell'imposta dovuta sulla base delle dichiarazioni periodiche

(mensili o trimestrali) e della dichiarazione annuale si impernia sul versamento diretto mediante

delega irrevocabile ad una banca convenzionata o all'Ente Poste Italiane.

Il pagamento delle maggiori imposte e delle sanzioni pecuniarie accertate dall'Ufficio deve

essere effettuato entro 60 gg dalla notifica dell'avviso di accertamento, qualora tale atto non sia

impugnato.

In ipotesi di ricorso del contribuente è prevista una riscossione frazionata in relazione all'andamento

del processo tributario.

In mancanza di adempimento spontaneo del contribuente, l'Ufficio dorma il ruolo che, esplica

la funzione di titolo esecutivo legittimante l'esecuzione forzata esattoriale, nonché quella di

precetto.

L'esazione delle imposte di registro, di successione e di INVIM.

Per queste imposte il pagamento della cd. Imposta principale ha luogo in base al contenuto dell'atto

sottoposto a registrazione ovvero ad apposita denuncia del contribuente, cui segue la liquidazione

operata dall'Ufficio stesso, mediante versamento al concessionario anche tramite delega bancaria o

con versamento su appositi conti correnti postali intestati al concessionario.

Il pagamento dell'imposta complementare e di quella suppletiva avviene a seguito dell'esercizio

della potestà di imposizione officiosa, che in talune ipotesi si concreta nella emanazione del cd.

Avviso di accertamento di maggior valore e nella successiva notifica dell'avviso di liquidazione con

quantificazione dell'imposta e delle sanzioni dovute.

Anche in tale settore la riscossione coattiva avviene in base a ruolo.

L'esazione dell'imposta di bollo.

Con riferimento all'imposta di bollo il meccanismo di attuazione del prelievo si atteggia secondo

diversi schemi. Più precisamente, il tributo è assolto, di volta in volta, mediante versamento diretto

con le modalità descritte al paragrafo precedente ovvero con utilizzo di apposita carta filigranata,

ovvero ancora con apposizione ed annullamento di marche da bollo, ovvero infine tramite visto per

bollo o bollo a punzone.

L'imposta in esame rientra nel novero dei tributi senza imposizione, ossi dei tributi in relazione ai

quali l'esercizio della potestà impositiva non richiede l'emanazione di atti autoritativi: le violazioni

del contribuente sono infatti contestate con processo verbale di constatazione, cui da seguito, in

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difetto di definizione agevolata, la riscossione coattiva mediante ruolo.

L'esazione delle imposte doganali e delle accise.

Il pagamento dei diritti doganali e delle relative cauzioni viene effettuato con versamento diretto

presso il concessionario o per il tramite delle banche o degli uffici postali.

Per i soggetti che effettuano operazioni doganali con carattere di continuità è prevista la

facoltà di corrispondere i diritti, anziché per ogni singola operazione doganale, con riferimento a

periodi di tempo non superiori a 30 gg ed inoltre di operare pagamenti differiti nello stesso

intervallo di tempo.

I diritti dovuti alla dogana e rimasti insoddisfatti in tutto o in parte sono riscossi coattivamente

in base al ruolo.

L'accisa è pagata sempre in un momento successivo a quello in cui si veridica il presupposto del

tributo: in particolare, il suo pagamento deve essere effettuato entro il giorno 15 del mese

successivo a quello in cui si verifica l'immissione al consumo dei prodotti da essa colpiti mediante

versamento presso il concessionario o tramite banche o Uffici postali.

SEZIONE III

L'ESECUZIONE FORZATA IN BASE A RUOLI

Gli organi titolari delle funzioni e dei rapporti nell'esecuzione in base a ruoli. I fenomeni

fondamentali di tale tipo di esecuzione.

Si può affermare che l'esecuzione forzata si concreta in un pluralità di atti tra loro avvinti da un

nesso di sequenza e di progressione, talché ogni atto della serie è il presupposto del successivo, in

quanto fa nascere il dovere o il potere di compiere il successivo.

Gli atti della sequenza rientranti nella fase espropriativa concretizzano un procedimento

amministrativo di autotutela. Nella fase satisfattiva, invece la giurisdizione ha il sopravvento.

Pertanto l'esecuzione forzata in base a ruolo è un processo speciale ed ibrido. La sua disciplina è

racchiusa nelle disposizioni della legislazione speciale tributaria sulla riscossione contenuta nel dpr

602/1973, di recente riformato dal d.lgs 46/1999.

Le norme della legislazione speciale non dettano, però, una regolamentazione compiuta della

materia. Da qui, l'esigenza di integrazione della legge speciale con la legge processuale comune,

purè compatibile con il fine specifico dell'esecuzione forzata esattoriale.

Il principio è stato codificato dall'Art. 49, 2°comma dpr 602/1973 che nell'attuale formulazione

dispone:

Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili

in rapporto al bene oggetto di esecuzione,

in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili.

Il concessionario, per la riscossione delle somme iscritte a ruolo può avvalersi dello speciale

procedimento per tutta la durata della concessione.

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L'organo preminente e stabile dell'esecuzione forzata in base a ruolo è il concessionario, al quale la

legge conferisce, all'inizio e lungo il corso dell'esecuzione, la titolarità di numerosi poteri e doveri il

cui esercizio consente al processo di svolgersi fino all'esito finale.

Cooperatori del concessionario sono l'ufficiale di riscossione e il messo notificatore.

Ufficiale di riscossione esercita le sue funzioni nell'ambito territoriale della

concessione, alle dipendenze del concessionario e sotto la

sorveglianza degli organi dell'Amministrazione finanziaria e

non può farsi rappresentare e sostituire.

Messo notificatore è nominato dal concessionario e provvede alla sola notifica delle

cartelle di pagamento e degli avvisi contenenti l'intimazione ad

adempiere.

Organo dell'esecuzione in esame è anche il giudice dell'esecuzione preposto alla direzione della fase

satisfattiva. Incaricati dell'esecuzione in esame sono il custode dei mobili, gli istituti vendite

giudiziarie e il conservatore dei registri immobiliari.

L'esecuzione comprende diverse attività (fenomeni fondamentali):

1. la formazione del titolo esecutivo (ruolo) e la sua notificazione;

2. il pignoramento,

3. l'ordine di vendita e la vendita;

4. l'assegnazione (al posto della vendita);

5. il riparto;

6. la consegna del ricavato al creditore.

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Cap. 18

IL RIMBORSO DELL'IMPOSTA

Nozioni generali. Le fattispecie generatrici del credito.

Il rimborso d'imposta è quel rapporto giuridico in cui, con una inversione di ruoli rispetto allo

schema paradigmatico del diritto, è il contribuente ad occupare il lato attivo, assumendo nei

confronti dell'erario la posizione di creditore di una determinata somma di denaro in precedenza

trasferita a quest'ultimo.

Le fattispecie dalle quali può scaturire una simile pretesa restitutoria sono molteplici e

possono appartenere alla patologia o alla fisiologia:

Il rimborso fisiologico Viene anzitutto in rilievo l'ipotesi che le somme riscosse

anticipatamente ex lege in pendenza del verificarsi del fatto

imponibile di rivelino, successivamente, superiori

all'ammontare dell'imposta dovuta.

Nell'ambito della legislazione tributaria sono ben numerose le

disposizioni che, nel concorso delle particolari circostanze da

esse previste, obbligano il Fisco a rifondere il contribuente

dell'importo di tributi percepiti in perfetta aderenza al dettato

normativo.

Il rimborso patologico oltre alle fattispecie richiamate, la fonte della posizione

creditoria di cui trattasi può più genericamente risiedere nella

effettuazione da parte del soggetto, di un pagamento non

dovuto, in quanto privo (sin dall'origine, o in forza di un fatto

sopravvenuto) si una causa giustificatrice.

Pur mancando nella legislazione tributaria una disposizione

che in parallelo all'Art. 2033 Cc sancisca in via generale la

ripetibilità dell'indebito, tuttavia non pare possa seriamente

dubitarsi che il divieto di arricchirsi ingiustificatamente ai

danni di altri, in quanto espressione di un principio generale

dell'ordinamento, viga anche nell'ambito del diritto tributario.

Il rimborso dei pagamenti indebiti scaturenti da versamenti diretti.

A parte le ipotesi per le quali è previsto il rimborso d'ufficio, l'attuazione del rimborso presuppone

sempre un atto di impulso da parte dell'interessato.

Tale impulso si atteggia in modo profondamente diverso a seconda che il soggetto

(contribuente o sostituto) abbia versato spontaneamente le somme di cui chiede il rimborso, ovvero

abbia eseguito la prestazione in osservanza di uno degli atti tributari immediatamente impugnabili

elencati nell'Art. 19, 1°comma d.lgs. 546/1992.

Nel primo caso il soggetto che ritiene di avere diritto al rimborso di una determinata somma deve

presentare un'apposita istanza all'Ufficio tributario competente nei termini previsti dalle singole

leggi d'imposta o, in mancanza di disposizioni specifiche al riguardo, nel termine di due anni dal

pagamento, ovvero, se posteriore dal giorno in cui è sorto il diritto di rimborso.

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Trascorsi 90 gg dalla presentazione dell'istanza senza che l'Amministrazione si sia pronunciata su di

essa il soggetto può adire la Commissione tributaria entro l'ordinario termine di prescrizione del

diritto (10 anni) onde ottenere giudizialmente l'accertamento della esistenza e consistenza del

credito, nonché la condanna dell'Amministrazione al pagamento.

Se invece l'Ufficio emette un provvedimento col quale respinge l'istanza di rimborso, per fare valere

la propria pretesa creditoria il soggetto deve impugnare l'atto di diniego nel consueto temine di 60

gg.

L'istanza di rimborso deve essere proposta entro il termine previsto dalle leggi che regolano le

singole imposte e in via solo residuale, qualora manchi una previsione specifica, nel termine

biennale indicato dall'Art. 21, 2°comma, 2°inciso d.lgs. 546/1992.

La disciplina più variegata sotto questo profilo si riscontra nell'ambito delle imposte sui redditi. In

particolare, l'Art. 37 del dpr 602/1973 prevede un termine di 10 anni per la richiesta di rimborso

delle somme assoggettate a ritenuta diretta e al successivo Art. 38 in tema di versamenti diretti

stabilisce invece un termine di 18 mesi.

Il rimborso dei pagamenti indebiti derivanti da atti di imposizione.

Passiamo all'esame del rimborso delle somme pagate in forza di un atto esattivo emesso

dall'Amministrazione, all'uopo distinguendo l'ipotesi in cui l'atto in questione abbia titolo in un

precedente atto impositivo, da quella in cui esso si fondi direttamente sulla dichiarazione del

contribuente.

Titolo in un precedente atto impositivo

Qui l'atto della riscossione è solo riproduttivo dell'atto impositivo, e di quest'ultimo segue

essenzialmente le sorti. Se l'atto presupposto è annullato in sede contenziosa cade anche l'atto

esattivo e le somme eventualmente riscosse per il suo tramite devono essere rimborsate d'ufficio.

Titolo direttamente sulla dichiarazione del contribuente

Qui si discute se la mancata impugnazione dell'atto esattivo precluda o meno il rimborso delle

somme pagate in sua esecuzione; in altre parole, se l'atto esattivo non impugnato né impugnabile

costituisca o meno un titolo giuridico sufficiente a legittimare la ritenzione del riscosso da parte del

Fisco. La soluzione verso cui propendere sembra quella affermativa.

L'inesistenza totale o parziale del debito d'imposta risultante dalla dichiarazione, e dunque la non

doverosità della prestazione oggetto dell'atto esattivo, deve quini essere fatta valere tramite

l'impugnazione di tale atto, con la conseguenza che, in difetto, il trasferimento patrimoniale attuato

in forza di esso si stabilizzerà in capo all'Erario.

Il rimborso d'ufficio.

La fattispecie del rimborso d'ufficio è caratterizzata dal venir meno, per il contribuente, dell'onere

della presentazione dell'istanza entro un termine decadenziale, operando esclusivamente l'ordinario

termine di prescrizione del diritto, decorrente dal momento in cui questo può essere fatto valere. E

questo per il fatto che l'Ufficio è già investito del potere-dovere di provvedere in ordine alla

restituzione delle somme.

Per quanto riguarda le imposte sui redditi l'Ufficio deve provvedere in via autonoma al rimborso

delle imposte versate, e delle ritenute effettuate, in misura superiore rispetto all'imposta che risulta

dovuta in base alla dichiarazione controllata ai sensi dell'Art. 36-bis dpr 600/1973.

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123

Il rimborso deve essere eseguito d'ufficio anche quando la prestazione indebita consegua alla

formazione di atti della riscossione viziati da errori materiali o a duplicazioni dovute alla stessa

Amministrazione, ed inoltre in seguito alla pronuncia giurisdizionale definitiva di annullamento di

un atto in forza del quale si era proceduto alla esazione a titolo provvisorio di determinate somme.

La prescrizione del credito tributario e la prescrizione del diritto al rimborso. La cessione del

diritto al rimborso.

In materia di prescrizione del credito d'imposta e del diritto al rimborso sono pienamente operanti i

principi e le regole emergenti dall'Art. 2934 ss Cc ogni qual volta non siano dettate diverse

disposizioni dalla legge tributaria. Ciò vale in particolare anche in tema di sospensione ed

interruzione della prescrizione.

In tema di cedibilità del diritto al rimborso va sottolineato che l'Art. 5, comma 4-ter, dl 70/1988

con specifico riferimento al settore impositivo dell'IVA ha disciplinato la procedura necessaria a

perfezionare la cessione dei crediti, implicitamente riconoscendo la legittimità della cessione stessa.

La dottrina peraltro concordemente ammette la cedibilità anche dei crediti verso l'Erario

diversi da quelli relativi all'imposta sul valore aggiunto.

Affinché la cessione risulti opponibile all'Amministrazione finanziaria, occorre che il contratto sia

stipulato con atto pubblico o scrittura privata autenticata (con conseguente registrazione) e che

inoltre sia formalmente notificato all'Amministrazione debitrice.

Codeste formalità costituiscono un elemento esterno alla cessione e come tale non incidono sul

momento formativo della fattispecie legale; ne consegue che, in loro difetto la cessione, pur essendo

valida ed operante tra le parti, non è opponibile all'Amministrazione.

L'Art. 43-bis prevede poi che il cessionario abbia diritto agli interessi per ritardato rimborso di cui

all'Art. 44 del medesimo dpr 602/1973 e non possa a sua volta trasferire il credito.

Inoltre, nel caso in cui abbia ottenuto il rimborso, ma la dichiarazione dei redditi sulla cui base

il credito era sorto sia stata rettificata, il cessionario risponde in solido con il contribuente-cedente

fino a concorrenza delle somme indebitamente rimborsategli, purché gli siano stati notificati gli atti

con i quali l'Amministrazione procede al recupero delle somme.

Contestualmente alla normativa in questione, è stata introdotta con l'Art. 43-ter una disciplina per le

cessioni delle eccedenze dell'IRPEG risultanti dalle dichiarazioni delle società e degli enti soggetti

all'IRPEG, ossia di quei crediti per i quali, anziché il rimborso, sia stato scelto dalla società o

dall'ente il riporto a nuovo.

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124

Cap. 19

POTESTA' DI POLIZIA TRIBUTARIA

L'istruttoria e i poteri di indagine dell'Amministrazione finanziaria. Il problema della

discrezionalità.

Nell'attività istruttoria si ricomprendono tutti quegli atti attraverso i quali l'Amministrazione

finanziaria procede alla individuazione ed acquisizione di dati e notizie rilevanti ai fini

dell'acclaramento di eventuali violazioni della normativa tributaria.

L'emissione di un atto di imposizione o di irrogazione di sanzioni amministrative a carico di

un determinato soggetto presuppone infatti che l'organo dotato della potestà impositiva o

sanzionatoria reputi di avere conseguito la prova (diretta o indiziaria) della sussistenza di un

inadempimento degli obblighi sostanziali e/o formali insorgenti dalla predetta normativa.

Nelle imposte di maggior rilievo (imposte sui redditi e IVA) tuttavia, l'elevatissimo numero di

contribuenti rende praticamente impossibile all'Amministrazione l'effettuazione di controlli

approfonditi sulla conformità a legge dell'operato di ciascun soggetto passivo d'imposta.

Da qui la tendenza legislativa a sdoppiare la fase istruttoria, scindendo il controllo:

A) Meramente documentale o formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai

sostituti, da svolgersi con procedure automatizzate;

B) Sostanziale, compiuto utilizzando ampi e penetranti poteri ispettivi conferiti dalla legge, il

quale risulta invece esperibile solo nei confronti di una ridotta percentuale di soggetti.

In particolare, la normativa in materia di accertamento delle imposte sui redditi delinea ben tre

livelli di controlli:

1. La liquidazione delle imposte e dei rimborsi dovuti sulla base delle dichiarazioni presentate

dai contribuenti e dai sostituti, da effettuarsi entro l'inizio del periodo di presentazione delle

dichiarazioni relative all'anno successivo ed in base ai dati ed agli elementi direttamente

desumibili dalle dichiarazioni medesime o in possesso dell'anagrafe tributaria.

2. Il controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti, da effettuarsi

entro il 31 Dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione e sulla base di

criteri selettivi.

3. L'attività di controllo delle dichiarazioni e di ricerca dei soggetti che ne hanno omesso la

presentazione, effettuata, sulla base di criteri selettivi.

Quanto ai controlli più accurati l'acclarata impossibilità di estenderli a tutti i contribuenti ha

suggerito al legislatore il ricorso a strumenti di pianificazione dell'attività inquisitoria degli Uffici,

al duplice scopo di ottimizzare l'impiego delle limitate risorse disponibili e di garantire

l'imparzialità dell'azione amministrativa.

Come rilevato si è pertanto stabilito che tali controlli si svolgano sulla base di criteri selettivi

fissati annualmente con decreto dal Ministro delle finanze, tenendo conto della capacità operativa

degli Uffici stessi.

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Le direttiva tracciate nei decreti si traducono in una concreta linea guida per l'azione degli organi

addetti alla funzione istruttoria principalmente attraverso il filtro delle cd. Liste di posizioni

soggettive e cioè elenchi nominativi di soggetti predisposti dai centri informativi

dell'Amministrazione finanziaria.

Nel condurre le indagini gli Uffici non sono obbligati ad esercitare tutti i poteri messi loro a

disposizione dal legislatore né sono obbligati ad esercitarli secondo un ordine prestabilito (salvo

ipotesi particolari) o con la medesima intensità nei confronti di tutti i soggetti controllati.

Si deve ritenere che nel compimento di queste scelte l'agire degli Uffici non sia libero ma

discrezionale in quanto impone di contemperare l'interesse pubblico affidato alla cura degli Uffici

con gli interessi privati suscettibili di essere vulnerati.

Anche nella scelta del mezzo o dei mezzi istruttori da utilizzare, gli Uffici devono conformarsi

a criteri di adeguatezza o di proporzionalità tra mezzi impiegati e fini perseguiti.

La Pubblica Amministrazione deve esercitare i poteri di cui è dotata in modo da ottenere la

soddisfazione dell'interesse pubblico con il minor sacrificio di quello privato.

Inviti a comparire, richieste e questionari.

Gli uffici delle imposte sui redditi e gli Uffici IVA sono dotati in sostanza dei medesimi poteri. In

particolare sono:

1. Invitare i contribuenti, indicandone il motivo a comparire personalmente o a mezzo di

rappresentante per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti,

anche relativamente ai rapporti con i terzi;

2. Invitare i contribuenti, indicandone sempre il motivo, ad esibire o trasmettere atti e documenti

rilevanti ai fini dell'accertamento;

3. Invitare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini

dell'accertamento nei loro confronti;

4. Richiedere alle pubbliche amministrazioni, agli enti pubblici alle società ed enti di

assicurazione, agli enti e società che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per

conto terzi, ovvero attività di gestione o intermediazione finanziaria, anche in forma

fiduciaria, la comunicazione di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente o per

categorie;

5. Richiedere copie o estratti di atti e documenti depositati presso notai, procuratori del registro,

conservatori di registri immobiliari e gli altri pubblici ufficiali;

6. Richiedere alla società enti ed imprenditori commerciali obbligati alla tenuta delle scritture

contabili dati, notizie e documenti relativi alle vendite, agli acquisti, alle forniture, alle

corresponsioni a titolo di compenso e rimborso spese verificatisi in un determinato periodo

d'imposta con clienti, fornitori, prestatori di lavoro autonomo, nominativamente indicati;

7. Invitare ogni altro soggetto a esibire o trasmettere dati e documenti fiscalmente rilevanti

concernenti specifici rapporti intrattenuti col soggetto indagato e a fornire i relativi

chiarimenti.

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Accessi, ispezioni e verifiche; il processo verbale di constatazione.

Gli Uffici delle imposte sui redditi e gli Uffici IVA hanno inoltre il potere di effettuare nei confronti

del soggetto indagato accessi al fine di eseguire ispezioni, verifiche, ricerche ed ogni altra

rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta.

ACCESSO è l'ingresso e la permanenza dei funzionari e degli impiegati dell'Ufficio in un

determinato luogo anche contro la volontà dell'avente diritto;

ISPEZIONE è un esame della documentazione contabile in possesso del soggetto, esame che

può estendersi a tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei

locali, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie.

VERIFICA consiste in un controllo attinente al personale agli impianti e alle merci al fine di

effettuare un riscontro sulla correttezza della contabilità.

Per accedere in locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o

professionali, gli impiegati devono essere muniti della autorizzazione del capo ufficio indicante il

motivo dell'accesso.

Per accedere in locali adibiti anche ad abitazione, oltre alla suddetta autorizzazione, è necessaria

l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

L'autorizzazione del Procuratore della Repubblica è necessaria altresì per accedere in locali diversi

da quelli ricordati, come ad esempio locali adibiti esclusivamente ad abitazione o a circolo privato.

In questo caso il rilascio dell'autorizzazione da parte del Procuratore della Repubblica è

subordinata alla sussistenza di gravi indizi di violazioni delle norme sulle imposte sui redditi e sul

valore aggiunto e deve apparire funzionale al reperimento di libri, registri, documenti, scritture ed

altre prove delle violazioni in questione.

Al fine di portare a compimento le ispezioni e le verifiche ritenute opportune nel corso dell'accesso

gli impiegati non sono vincolati ad utilizzare unicamente gli elementi e i materiali messi a

disposizione, spontaneamente o dietro richiesta, dal soggetto investigato, ma possono procedere

all'effettuazione di ricerche.

Tuttavia è necessaria apposita autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'autorità

giudiziaria più vicina per procedere a perquisizioni personali, o alla apertura coattiva di pieghi

sigillati, borse casse forti, mobili, ripostigli e simili.

Tutte le attività compiute nel corso dell'accesso devono essere descritte cronologicamente ed

analiticamente dagli impiegati procedenti in un apposito processo verbale, detto processo verbale di

verifica.

Al termine delle operazioni costoro devono inoltre curare la stesura di un processo verbale di

constatazione, nel quale vengono sintetizzati i risultati delle indagini condotte e le violazioni tramite

esse riscontrate.

Entrambi i processi verbali devono essere sottoscritti dal contribuente o dal suo

rappresentante e sono da considerarsi atti pubblici (per cui fanno piena prova fino a querela di falso

della loro provenienza del pubblico ufficiale che li ha formati e degli atti o fatti avvenuti in sua

presenza o da lui compiuti).

Occorre però porre in risalto come alla descrizione delle operazioni compiute dai funzionari ed

impiegati nei processi verbali si affianca una parte definibile come valutativa, nella quale vengono

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elaborati dati e notizie raccolte, formulati ragionamenti e giudizi, ricostruiti e qualificati

giuridicamente i fatti, etc.

NB. La forza probatoria privilegiata di cui all'Art. 2700 Cc è appannaggio esclusivo delle

statuizioni appartenenti alla fase descrittiva del verbale e non si estende a quelle che ne

rappresentano il momento valutativo.

Il segreto bancario e professionale.

La legge 413/1991 ha ridimensionato notevolmente la rilevanza del segreto bancario nella

legislazione tributaria. In particolare essa prevede che, previa autorizzazione della competente

Direzione regionale delle entrate (unica cautela residua), gli Uffici delle imposte dirette e gli Uffici

IVA possano richiedere alle banche copia dei conti intrattenuti con il contribuente indagato, con la

specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da

terzi.

In relazione ai medesimi conti gli Uffici possono poi richiedere alle banche e

all'Amministrazione postale ulteriori dati e notizie di carattere specifico tramite l'invio di appositi

questionari.

Qualora le banche (o l'Amministrazione postale) non trasmettano nei termini i dati richiesti, ovvero

qualora abbiano il fondato sospetto che i dati trasmessi siano inesatti o incompleti, gli Uffici, previa

autorizzazione della Direzione regionale, possono disporre l'accesso di propri funzionari presso le

banche.

Tanto delle richieste che degli accessi deve essere data, a cura della banca o dell'Ufficio postale,

tempestiva notizia al soggetto interessato.

Quanto al segreto professionale, in primis, all'accesso presso locali adibiti a studi professionali, pur

non essendo necessaria alcuna speciale autorizzazione (se non quella del capo dell'ufficio), deve

essere presente il professionista o un suo delegato.

In secondo luogo è necessaria l'autorizzazione del Procuratore delle Repubblica o dell'autorità

giudiziaria più vicina per l'esame di documenti o la richiesta di notizie che il professionista dichiari

coperte dal segreto professionale.

Nonostante la lacunosità della legislazione in proposito si deve ritenere che

quest'autorizzazione non possa essere concessa automaticamente, ma solo ove venga giudicato

insussistente il segreto opposto dal professionista.

La Guardia di finanza. Prova penale ed accertamento tributario.

La Guardia di finanza è organo di polizia tributaria, in particolare è organo sussidiario degli Uffici

finanziari, assolvendo, di propria iniziativa o su richiesta degli Uffici medesimi, a quella funzione di

controllo sulla conformità a legge dell'operato dei contribuenti che è strumentale all'esercizio, da

parte degli organi competenti, della potestà impositiva o sanzionatoria.

La Guardia di finanza è di regola dotata dei medesimi poteri investigativi di cui dispongono, in base

alle singole leggi d'imposta, i diversi Uffici finanziari ed in ogni caso del potere di effettuare accessi

presso pubblici esercizi e locali adibiti ad aziende industriali o commerciali per eseguire

verificazioni e ricerche.

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Il coordinamento dell'attività investigativa della Guardia di finanza con quella condotta dagli Uffici

finanziari è assicurato attraverso degli accordi che intervengono periodicamente.

Inoltre gli Uffici e i Comandi territoriali devono dare immediata comunicazione delle

ispezioni e verifiche intraprese, al dine di consentire all'Ufficio o al Comando che la riceve di

richiedere all'organo inquirente di eseguire specifici controlli comunicandogliene i risultati.

Oltre a servire quale organo di polizia tributaria, la Guardia di finanza è organo di polizia

giudiziaria, operante, in tale ruolo, alle dipendenze e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria,

nelle forme e con i poteri previsti nel codice di procedura penale.

Gli elementi probatori concernenti violazioni della normativa tributaria acquisiti dalla Guardia di

finanza in qualità di organo di polizia giudiziaria, diversamente da quelli reperiti nell'esplicazione di

funzioni di polizia tributaria, si trovano a sottostare alla disciplina del segreto investigativo e

pertanto non possono essere comunicati agli Uffici finanziari.

Tuttavia l'Art. 33 del dpr 600/1973 per quanto riguarda le imposte sui redditi, e l'Art. 63 del dpr

633/1972 per quanto attiene all'IVA, prevedono che in questa ipotesi l'Autorità giudiziaria,

soppesando le contrapposte esigenze del rispetto del segreto e dell'accertamento tributario, possa

autorizzare con provvedimento motivato la trasmissione agli Uffici finanziari di documenti, dati e

notizie raccolti direttamente dalla Guardia di Finanza (come organo di polizia giudiziaria e

valutaria) o da quest'ultima ottenuti dalle altre forze di polizia nell'esercizio dei poteri di polizia

giudiziaria.

Il contraddittorio.

La normativa tributaria non riconosce in via generale al privato il diritto ad essere avvertito

dell'inizio dello svolgimento o (anche solo) della chiusura di un'indagine fiscale a suo carico.

L'esercizio di questi poteri non p obbligatorio, né preordinato a garantire il diritto di difesa

dell'indagato.

Il diritto del privato ad intervenire nella fase istruttoria onde dedurre elementi di prova a se

favorevoli è attualmente previsto solo da talune disposizioni introdotte di recente nell'ambito di

provvedimenti legislativi.

Inoltre l'invio di una “richiesta di chiarimenti” viene ritenuto obbligatorio per l'Ufficio

procedente, in due ipotesi:

A) Negli accertamenti fondati sul metodo sintetico di determinazione del reddito complessivo,

al fine di porre il contribuente nella condizione di esercitare concretamente quella facoltà di

dimostrare l'esistenza di circostanze impeditive all'operare del redditometro che gli è

riconosciuta ai sensi dell'Art. 38, 6°comma dpr 600/1973.

B) Negli accertamenti fondati sulle risultanze di indagini bancarie al fine di consentire al

contribuente di dimostrare di avere tenuto conto dei singoli dati ed elementi emergenti dai

conti nella determinazione del reddito imponibile, o l'irrilevanza di questi ai fini reddituali

(Art. 32, n°2, dpr 600/1973).

Ulteriori esempi di istituzionalizzazione della partecipazione del contribuente alla fase istruttoria

sono rilevabili:

dall'Art. 37-bis, 4°comma dpr 600/1973, in tema di accertamenti basati sul potere di

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disconoscimento dei vantaggi tributari derivanti da determinate condotte elusive;

dall'Art. 76, comma 7-ter, del TUIR in materia di deducibilità dei componenti negativi del

reddito di impresa derivanti da operazioni con società residenti nel cd. Paradisi Fiscali.

A parte queste ipotesi non vi è dubbio che l'indagato possa, ove venga a conoscenza dell'istruttoria

apertasi nei suoi confronti, attivarsi spontaneamente comunicando all'organo inquirente quei dati e

quelle notizie che considera utili ai fini difensivi.

La rilevanza dei vizi degli atti istruttori.

In base al principio di legalità la Pubblica Amministrazione può incidere autoritativamente sulla

sfera giuridica dei privati solo nei casi e nei modi previsti dalla legge, il Fisco non può servirsi di

poteri investigativi diversi da quelli che gli sono espressamente attribuiti dalla legge, ne può

esercitare questi ultimi in divetto dei presupposti legali o con modalità diverse da quelle prescritte.

I vizi degli atti istruttori, derivanti dall'inosservanza da parte degli Uffici finanziari delle norme che

ne regolano l'azione, non si ripercuotono necessariamente sulla validità dell'avviso di accertamento

o di irrogazione di sanzioni.

I dati e le notizie acquisite illegittimamente sono inidonee a fungere da prova. L'avviso di

accertamento o di irrogazione di sanzioni deve invece essere considerato invalido per un vizio di

procedura nelle ipotesi in cui l'atto istruttorio omesso o illegittimo sia uno di quegli atti che l'Ufficio

ha l'obbligo di compiere. Si suole distinguere l'ipotesi in cui l'atto istruttorio viziato:

si estrinseca nella pretesa ad un comportamento attivo del destinatario. Qui il destinatario può

rifiutarsi di attuare il comportamento richiesto e dare valere l'illegittimità dell'atto istruttorio

in sede di impugnazione di un eventuale avviso di irrogazione di sanzioni emesso

dall'Ufficio procedente in relazione al codesto inadempimento.

non si estrinseca in una simile pretesa (ad esempio un accesso). Vista la tassatività dell'elenco

degli atti impugnabili davanti le Commissioni tributarie, appare precluso il ricorso

immediato a queste ultime contro l'esercizio illegittimo dei poteri istruttori o contro

l'esercizio di poteri istruttori diversi da quelli accordati dalla legge.

Dunque non rimane che ritenere che il soggetto danneggiato da un'attività istruttoria illegittima

possa rivolgersi al giudice amministrativo o al giudice civile secondo le ordinarie regole che

presiedono alla ripartizione della giurisdizione.

Le garanzie predisposte per la fase delle indagini dallo Statuto dei diritti del contribuente.

Le disposizioni dello Statuto che riguardano l'attività di indagine dell'amministrazione non hanno

introdotto alcuna restrizione in relazione ai mezzi di indagine utilizzabili né limitazioni alla

potenziale efficacia dei medesimi.

Lo Statuto ha semplicemente introdotto nel tessuto normativo preesistente, una serie di

prescrizioni marcatamente garantiste per porre un argine a possibili abusi nell'esercizio dei poteri

istruttori.

Sono stati introdotti alcuni obblighi e delle limitazioni in capo all'amministrazione. Questi devono:

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1. Informare il contribuente di ogni fatto o circostanza dai quali possa derivare l'irrogazione di

una sanzione (Art. 6, comma 2°);

2. Evitare di richiedere al contribuente documenti e informazioni già in possesso

dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal

contribuente (4°comma);

3. Motivare tutti gli atti secondo quanto prescritto dall'Art. 3 della legge 241/1990 (Art. 7);

4. Informare i rapporti con il contribuente ai principi di buona fede e collaborazione (Art. 10);

5. Compiere accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all'esercizio di attività

commerciale, industriale, agricola, artistica o professionale, solo sulla base di effettive

esigenze di indagine e controllo sul posto (Art. 12);

6. Permanere, presso la sede del contribuente, per effettuare verifiche, per non più di 30 gg

lavorativi, prorogabili per ulteriori 30 gg (5°comma);

7. Ritornare nella sede del contribuente solo per esaminare le osservazioni e le richieste

eventualmente presentate dal contribuente dopo il termine delle operazioni di verifica

oppure, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni;

8. Valutare le osservazioni e le richieste presentate dal contribuente dopo la chiusura del

processo verbale (7°comma);

9. Osservare il termine di 60 gg, salvo casi di particolare e motivata urgenza tra la data del

rilascio della copia del processo verbale di chiusura della veridica e quella di emanazione

dell'avviso di accertamento (7°comma).

Al contribuente è riconosciuto il diritto di:

(a) Essere informato, quando inizia la veridica delle ragioni che hanno giustificato la verifica

medesima e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista

abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli

obblighi che vanno riconosciuti al contribuente (Art. 12, 2°comma);

(b) Chiedere che l'esame dei documenti amministrativi e contabili venga effettuato nell'ufficio

dei verificatori o presso lo studio del professionista (3°comma);

(c) Rivolgersi al garante del contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con

modalità non conformi alla legge (6°comma);

(d) Comunicare entro 60 gg dal rilascio del processo verbale, osservazioni e richieste

(7°comma).

Il Garante del contribuente.

Un ulteriore accenno merita la disposizione che disciplina la figura del Garante (Art. 13). Il Garante

del contribuente è istituito presso ogni Direzione regionale delle entrate. Esso è organo collegiale

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formato da 3 membri scelti e nominati dal Presidente della Commissione tributaria tributaria

regionale, tra gli appartenenti ad alcune categorie precisate dalla norma.

Il collegio deve essere costituito, per i 2/3 da persone di estrazione accademica e forense

(prof. universitari, magistrati, avvocati..).

Per quanto riguarda le funzioni:

1. Rivolgere richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti (Art. 13, 6°comma);

2. Attivare le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di

riscossione notificati al contribuente (6°comma);

3. Rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della

migliore organizzazione dei servizi (7°comma);

4. Accedere agli uffici finanziari e di controllare le funzionalità dei servizi di assistenza e di

informazione al contribuente nonché l'agibilità degli spazi aperti al pubblico (8°comma);

5. Richiamare gli uffici al rispetto delle norme poste a garanzia del contribuente e dei termini

previsti per il rimborso dell'imposta (commi 9° e 10°);

6. Individuare i casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore o i comportamenti

dell'amministrazione determinano un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative

nei loro rapporti con l'amministrazione;

7. Prospettare al Ministro delle finanze i casi in cui possono essere esercitati i poteri di

rimessione in termini per cause di forza maggiore (11°comma).

Ogni sei mesi, il Garante del contribuente presenta una relazione sull'attività svolta al Ministro delle

finanze, al direttore regionale delle entrate, ai direttori compartimentali delle dogane e del territorio

nonché al comandante di zona della Guardia di finanza, individuando gli aspetti critici più rilevanti

e prospettando le relative soluzioni.

Il Ministro delle finanze riferisce annualmente alle competenti Commissioni parlamentari in ordine

al funzionamento del Garante del contribuente.

È di tutta evidenza che il Garante non ha potere di porre fine ad eventuali violazioni dei diritti

fondamentali.

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Cap. 20

LE SANZIONI FISCALI

SEZIONE I

LE SANZIONI AMMINISTRATIVE

La summa divisio tra sanzioni penali e sanzioni amministrative. Rilevanza di detta distinzione.

Per assicurare l'osservanza delle numerose situazioni passive di diverso contenuto e tipo (obblighi,

obbligazioni, etc) posti a carico dei soggetti passivi o di terzi la legge tributaria prevede numerose

sanzioni volte a prevenire e a reprimere le violazioni.

Inoltre allo scopo di completare l'apparato di sanzioni tassativamente contemplate rispetto a

specifici obblighi, vi è sempre una norma generale e residuale che individua una sanzione

pecuniaria irrogabile a fronte delle violazioni di obblighi per i quali non è prevista altra specifica

sanzione.

Pertanto si può affermare che non esiste obbligo la cui violazione vada indenne da sanzione (cd.

Carattere pansanzionatorio del diritto tributario).

Tradizionalmente si distinguono, nella materia tributaria, gli illeciti penali dagli illeciti

amministrativi.

ILLECITI PENALI violazioni di norme che costituiscono delitti o contravvenzioni.

ILLECITI AMMINISTRATIVI violazioni della legge tributaria alle quali il legislatore

ricollega l'applicazione di sanzioni amministrative.

Il d.lgs. 472/1997 ha introdotto un organico sistema di principi generali in materia di sanzioni

tributarie di carattere amministrativo, ha cancellato la dicotomia precedente (pena pecuniaria e

soprattassa) e introdotto la sanzione pecuniaria e le sanzioni accessorie. L'una e l'altra esauriscono

la categoria delle sanzioni amministrative tributarie.

La distinzione tra sanzioni penali e sanzioni amministrative è rilevante sotto molteplici aspetti:

1. Le sanzioni penali sono sempre applicate dall'Autorità giudiziaria a seguito di un processo

giurisdizionale penale. Le sanzioni amministrative invece sono ordinariamente irrogate da

organi dello Stato appartenenti alla Pubblica Amministrazione.

2. Qualora l'illecito sia imputabile a più soggetti, mentre nell'ipotesi di illecito penale troveranno

applicazione le norme sul concorso di persone di cui al capo III del Titolo IV del Cp; nel

caso di illecito amministrativo la situazione è più complessa:

Prima del 472/1997 trovava applicazione il modulo della solidarietà passiva paritaria per

cui tutti i condebitori della stessa soprattassa o della stessa

pena pecuniaria erano obbligati al pagamento dell'intero ma il

pagamento da parte di uno solo aveva effetti liberatori per tutti.

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133

Dopo il 1997 il modulo della solidarietà passiva paritaria è stato abbandonato per la

categoria degli illeciti amministrativi commessi con dolo o colpa grave,

mentre è stato mantenuto, con alcune correzioni a fronte di illeciti

contrassegnati da colpa non grave.

3. Mentre la morte costituisce un'ipotesi di estinzione del reato e della sanzione penale (Artt.

150 e 171 Cp), l'obbligazione derivante dall'irrogazione delle sanzioni amministrative può

sopravvivere alla morte dell'autore dell'illecito e subire vicende traslative.

La riforma delle sanzioni amministrative del d.lgs. 472/1997 ha statuito per la sanzione pecuniaria

il principio di intrasmissibilità agli eredi. Ha, però, fortemente temperato tale intrasmissibilità,

statuendo che si i trasgressori hanno agito quali funzionari e amministratori di società, in ogni caso,

la sanzione si trasmette al soggetto collettivo (società, ente, etc), anche quando al momento della

morte del trasgressore, essa non sia stata ancora irrogata.

Le scelte fondamentali in chiave parapenalistica della riforma organica del sistema

sanzionatorio amministrativo.

La riforma ha completamente stravolto il modello risarcitorio anteriore optando per una soluzione

che ricalca le norme del codice penale, finendo così per conferire alla sanzione amministrativa

pecuniaria le sembianze di una sanzione penale.

Tale riforma ha agito in questi termini:

(a) Le due pregresse sanzioni pecuniarie (soprattassa e pena pecuniaria) vengono unificate e

confluiscono in una unitaria sanzione pecuniaria che si può presentare:

◦ in veste di sanzione fissa com'era la soprattassa;

◦ in veste elastica variabile e quindi tra limiti minimi e massimi, come la precedente

pena pecuniaria.

(b) Non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento della commissione

del fatto illecito, non aveva in base ai criteri indicati dal codice penale, la capacità di

intendere e di volere (cd. Principio di imputabilità).

(c) Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione,

cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa (cd. Principio di colpevolezza).

(d) Quando più persone concorrono in una violazione, non ricorre il fenomeno della solidarietà

passiva e ciascuna di essa soggiace alla sanzione per questa disposta.

(e) La sanzione è direttamente riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a

commettere la violazione, mai a società o enti.

(f) La sanzione non produce interessi.

(g) L'obbligazione al pagamento della sanzione si estingue con la morte del colpevole (cd.

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Principio di intrasmissibilità agli eredi).

I principii peculiari del sistema sanzionatorio amministrativo.

I principi peculiari che caratterizzano l'applicazione delle sanzioni amministrative sono:

Divieto di retroattività, per cui nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di

una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione.

Principio per cui, salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a

sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce una violazione

punibile.

Principio della applicabilità della legge più favorevole se la legge in vigore al momento in cui

è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni differenziate.

Il quadro che ne deriva, in linea con il favor rei, importa:

i. la retroattività dell'abrogazione dell'illecito;

ii. la retroattività della norma più favorevole;

iii. la irretroattività della norma più sfavorevole.

Quanto alla retroattività di cui sub i) e ii), la stessa incontra limiti diversificati:

(1) Se si tratta di abrogazione travolge ogni effetto giuridico pregresso, travolge il

giudicato, blocca la riscossione in corso; non da però

diritto alla restituzione del già riscosso.

(2) Se regime nuovo più favorevole questo è retroattivo ma non intacca il

provvedimento di irrogazione anteriormente

emesso e divenuto definitivo.

Principio di riserva assoluta di legge, il quale comporta il divieto di introdurre sanzioni con

fonti diverse dalla legge. Dal principio di riserva assoluta discendono i due corollari della

tassatività delle previsioni normative sanzionatorie e il divieto della integrazione analogica

(analogia legis e analogia iuris).

Cause di non punibilità. Sono state codificate le cause di non punibilità che a seguito

dell'entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente risulta ampliato con l'aggiunta

di una ulteriore ipotesi.

La punibilità è esclusa, secondo tale ulteriore ipotesi, in caso di violazioni che non arrecano

pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base

imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo.

Aspetti peculiari presenta anche la disciplina dell'elemento soggettivo (dolo o colpa).

In materia di illeciti tributari extrapenali la sola forma di dolo possibile è quello specifico e

diretto. Infatti in base all'Art. 5 è essenziale ai fini della sussistenza del dolo che l'agente

persegua l'obiettivo dell'inesatta determinazione dell'imponibile o dell'imposta o di creare

ostacoli all'attività amministrativa di accertamento.

La definizione di colpa grave è fornita dal 3°comma dell'Art. 51. Essa è grave quando

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135

l'imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare

ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta

evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari.

E' stata predisposta una norma (Art. 10) per disciplinare la fattispecie relativa all'autore

mediato. Essa prevede, fatta salva l'ipotesi di concorso di persone, che chi, con violenza o

minaccia o inducendo altri in errore incolpevole ovvero avvalendosi di persona incapace,

anche in via transitoria, di intendere e di volere, determina la commissione di una violazione

ne risponde in luogo del suo autore materiale.

Regole particolari sono dettate:

◦ Per il concorso formale di più illeciti, che si ha quando con una sola azione od

omissione si violano diverse disposizioni anche relative a tributi diversi (Art. 12,

1°comma, d.lgs. 472/1997).

◦ Per il concorso materiale consistente nella reiterata violazione della stessa disposizione

formale con più azioni od omissioni, in tempi diversi (1°comma).

◦ Per la continuazione (2°comma).

Il ravvedimento da luogo ad una riduzione della sanzione amministrativa, qualora intervenga

anteriormente alla contestazione della violazione, e comunque prima dell'inizio di accessi,

ispezioni, veridiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i

soggetti solidamente obbligati abbiano avuto formale conoscenza.

Il pagamento della sanzione ridotta deve essere contestuale alla regolarizzazione del pagamento

omesso ed al pagamento degli interessi moratori.

Non è più prevista alcuna ipotesi in cui il ravvedimento determini l'esclusione dell'applicazione

della sanzione. Nei cadi di omissione o di errore che non ostacolano un'attività di accertamento in

corso e che non incidono sulla determinazione o sul pagamento del tributo, il d.lgs. 472/1997

prevedeva l'esclusione dell'applicazione della sanzione, se interveniva il ravvedimento, ovvero la

regolarizzazione entro tre mesi dall'omissione o dall'errore. A seguito delle modifiche apportate

all'anzidetto decreto dall'Art. 7 d.lgs. 32/2001 questi illeciti amministrativi non sono più sanzionati.

Pertanto, non occorre alcun ravvedimento.

NB. L'obbligazione sanzionatoria è strettamente legata al rapporto di imposta, tanto che venuto

meno quest'ultimo, case automaticamente anche la prima.

Due tipologie di illecito fiscale disciplinate in modo differente: illecito caratterizzato da dolo o

colpa grave, da una parte ed illecito contrassegnato da colpa lieve, dall'altra.

Distinguiamo:

a) Violazione non commessa con dolo o colpa grave.

In tale caso la sanzione irrogata non può essere eseguita nei confronti dell'autore che non abbia

tratto un diretto vantaggio, per più di 100 milioni, mentre permane, per intero, la responsabilità

prevista a carico della persona fisica, della società, dell'associazione o dell'ente nel cui interesse è

stato compiuto l'illecito. Inoltre, il pagamento di quella più grave, estingue tutte le obbligazioni

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indipendentemente da chi lo abbia eseguito.

b) Violazione commessa con dolo o colpa grave.

Qui la responsabilità grava sulla persona fisica autrice materiale dell'illecito. Infatti come dispone

l'Art. 11 d.lgs. 472/1997 in tema di responsabilità amministrativa, quando l'illecito è ascrivibile ad

una persona che ha operato in qualità di dipendente o rappresentante legale o negoziale di una

persona fisica nell'adempimento del suo ufficio o del suo mandato oppure il qualità di dipendente,

rappresentante o amministratore, anche di fatto di società, associazione o ente, con o senza

personalità giuridica, nell'esercizio delle funzioni o incombenze, la persona fisica, la società,

l'associazione o l'ente nell'interesse dei quali ha agito l'autore della violazione sono obbligati

solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata; tuttavia è fatto salvo il diritto

di regresso della persona fisica, società, associazione o ente nei confronti dell'autore materiale

dell'illecito in questione. Quando la violazione è commessa in concorso da due o più persone, alle

quali sono state irrogate sanzioni diverse, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente sono

obbligati al pagamento di una somma pari alla sanzione più grave (anche in tale ipotesi sussiste il

diritto di regresso nei confronti dell'autore materiale).

Pertanto, la società (ad esempio Alfa) non è mai obbligata principale, bensì coobbligata dipendente,

non assistita da beneficio di escussione, la sua posizione è identica a quella del cd. Responsabile

d'imposta. Può essere subito costretta a pagare la sanzione irrogata e per di più la sanzione di

ammontare maggiore, ma in quanto mera responsabile, può rivalersi sull'obbligato principale

(l'autore dell'illecito) per la totalità del debito pagato.

I caratteri della sanzione pecuniaria.

La sanzione pecuniaria consiste nell'obbligazione di pagare all'ente impositore una somma di

denaro, il cui ammontare viene per lo più determinato dalla legge entro un limite minimo ed un

limite massimo (cd. Elasiticità della sanzione pecuniaria).

Generalmente detti limiti minimi e massimi sono agganciati all'entità dell'evasione

consumata.

Per quanto riguarda la quantificazione della sanzione in concreto irrogabile, è da ricordare che

l'Art. 7 della legge generale del 1997 attribuisce agli organi preposti alla irrogazione della

sanzione pecuniaria un potere discrezionale analogo a quello conferito al giudice penale dall'Art.

133 Cp, atteso che la somma da pagare deve essere determinata avendo riguardo alla gravità della

violazione.

Tale gravità è modulata sull'ammontare dell'evasione ma non solo su di essa. Grande rilievo si

attribuisce alla condotta dell'agente, all'opera da lui svolta per l'eliminazione o l'attenuazione delle

conseguenze nonché la sua personalità e alle sue condizioni economiche e sociali.

Sono previste aggravanti per il recidivo (fino alla metà) e attenuanti (fino alla metà) in caso di

irrisorietà della violazione rispetto alla sanzione irrogabile.

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Il procedimento di irrogazione.

La nuova legge prevede due tipi di procedimento di irrogazione della sanzione:

A) SEMPLIFICATO

E' previsto in caso di sanzioni collegate al tributo, involgenti violazioni che hanno dato luogo ad

evasioni di imposta, le sanzioni stesse possono essere irrogate senza previa contestazione

dell'illecito al trasgressore e con l'applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni che

regolano il procedimento di accertamento del tributo, mediante la notifica di un atto motivato a pena

di nullità, contestuale all'avviso di accertamento o all'avviso di rettifica.

B) SVINCOLATO DALL'ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

Il procedimento prende avvio dalla notificazione di un atto di contestazione della violazione. Tale

atto deve recare l'indicazione, a pena di nullità dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi

probatori, delle norme applicate, dei criteri che si seguiranno per la quantificazione delle sanzioni e

della loro entità, nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni contestate.

Lo stesso atto deve contenere l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine di 60 gg dalla

sua notificazione, con l'indicazione dei benefici di cui al comma3° ed altresì l'invito a produrre nello

stesso termine, se non si intende addivenire a definizione agevolata, le deduzioni difensive e infine

l'indicazione dell'organo al quale proporre impugnazione immediata.

Le alternative che si prospettano per il trasgressore sono tre:

1. il soggetto può definire il contesto entro 60 gg;

2. il soggetto può ricorrere contro l'atto irrogativo entro 60 gg;

3. il soggetto può presentare deduzioni difensive. In tal caso l'ufficio, nel termine di

decadenza di un anno irroga se del caso le sanzioni con atto motivato a pena di nullità

anche in ordine alle deduzioni difensive prodotte. Tale atto è impugnabile entro 60 gg.

Le sanzioni accessorie alle sanzioni amministrative.

Il legislatore prevede sanzioni accessorie alle sanzioni amministrative di tipo interdittivo. Sono:

(a) Interdizione dalle cariche di amministratore, sindaco o revisore di società di capitali e di enti

con personalità giuridica, pubblici o privati; per una durata massima di 6 mesi.

(b) Interdizione dalla partecipazione a gare per l'affidamento di pubblici appalti e forniture, per

la durata massima di 6 mesi.

(c) Interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni o autorizzazioni amministrative per

l'esercizio di imprese o di attività di lavoro autonomo e la loro sospensione, per la durata

massima di 6 mesi.

(d) Sospensione dall'esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa diverse da quelle

indicate dalla lett. c) per la durata massima di 6 mesi.

Deve ritenersi sanzione accessoria alle sanzioni amministrative anche la confisca, purché la stessa

non acceda ad una sanzione penale, nel qual caso assume la natura di misura amministrativa di

sicurezza ai sensi dell'Art. 240 Cp.

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Le sanzioni civili o sanzioni ripristinatorie.

Accanto alle sanzioni amministrative la legislazione tributaria prevede altre sanzioni alle quali

riconosce una natura civilistica, avendo esse la funzione di reintegrare il danno subito dallo Stato in

conseguenza della violazione della norma.

Per queste sanzioni la trasmissione agli eredi è fuori discussione.

Appartengono al novero delle sanzioni civili:

la responsabilità dei liquidatori e degli amministratori di cui all'Art. 36 dpr 602/1973;

gli interessi moratori, i quali decorrono dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile e sono

dovuti, attualmente, secondo il tasso del 3% semestrale;

l'indennità di mora, la quale è dovuta dal contribuente al concessionario competente per la

riscossione qualora sia inutilmente decorso il termine per il pagamento di un'imposta

riscuotibile in base ai ruoli.

I tre raggruppamenti degli illeciti amministrativi nei vari tipi di imposte e la modulazione

delle sanzioni ad esse correlate.

Il d.lgs. 472/1997 dedicato alla sistemazione delle sanzioni amministrative in materia di

imposte sui redditi e IVA;

il d.lgs. 473/1997 in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi, nonché su

altri tributi indiretti

semplificano e razionalizzano la normativa raccogliendo attorno a tre fulcri tutti i tipi di illecito.

A) Illeciti concernenti la violazione di obblighi meramente formali.

Qui la sanzione è elastica, ma varia da un minimo fisso ad un massimo fisso.

B) Illeciti relativi alla dichiarazione tributaria.

Qui la sanzione prevista è pur essa elastica ma oscilla tra un minimo e un massimo che non sono

fissi, ma variabili in funzione della singola fattispecie, essendo correlati all'imposta evasa da

ciascun trasgressore.

C) Illeciti concernenti i versamenti di somme a titolo di imposta.

Qui la sanzione è anelastica (come lo era la soprattassa), ma non è fissa in quanto l'importo dovuto

a titolo di sanzione è pur sempre correlato all'ammontare dell'imposta di cui è stato omesso o

ritardato il versamento.

La inopinata reintroduzione della diretta ed esclusiva responsabilità di società e enti dotati di

personalità giuridica (Art. 7 del dl 269/2003 convertito nella legge 326/2003).

Nel Settembre 2003 il criticabile sistema di responsabilità per la sanzione amministrativa disegnato

dal d.lgs. 472/1997 è stato modificato, limitatamente alle società ed enti personificati, rendendo il

sistema ancora più illogico e frammentario.

Va premesso che la legge 80/2003 di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale,

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aveva fissato il principio per cui:

La sanzione amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto

effettivo beneficio dalla violazione.

Tale principio è incompatibile con la visione parapenalistica contenuta nella legge delega del 1996.

Per ovviare a tale incongruità si è ritenuto di operare un limitato intervento correttivo circoscritto

alla responsabilità per le sanzioni amministrative conseguenti alle violazioni riguardanti i soggetti

dotati di personalità giuridica.

L'Art. 7, 1°comma, d.lgs. 269/2003 ha infatti stabilito che

le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale

proprio di società o enti con personalità giuridica

sono esclusivamente a carico della persona giuridica.

In tal senso è stato reintrodotto nel nostro ordinamento il principio della esclusiva riferibilità alle

società o enti dotati di personalità giuridica delle sanzioni amministrative relative alla violazione

degli obblighi tributari di qualsiasi natura riguardanti le società predette, ed è stato al tempo stesso

stabilito che, per quanto riguarda le sanzioni relative a tali violazioni, le disposizioni del d.lgs.

472/1997 si applicano solo in quanto compatibili (3°comma).

Inoltre, nel caso di violazioni riguardanti le società di capitali risulterà irrogabile un'unica sanzione

anche nel caso in cui più dipendenti della società abbiano concorso tra loro alla commissione

dell'illecito.

L'assurdo cumulo delle sanzioni continua invece a trovare applicazione per gli illeciti

commessi con dolo o colpa grave da più dipendenti di una società di persone in contrasto tra loro.

SEZIONE II

LE SANZIONI PENALI

Evoluzione storica della repressione penale in materia di imposte sui redditi ed IVA e caratteri

essenziali della riforma del 1999/2000.

la legislazione penale in materia di imposte sui redditi fino al 1956 prevedeva reati

contravvenzionali puniti con la sola pena dell'ammenda ed oblazionabili.

L'inversione di tendenza si ebbe, seppure timidamente con la legge 1/1956 che punì con la

detenzione fino a 6 mesi l'omessa denuncia dei redditi superiori ad una certa soglia e previde, per la

prima volta il delitto di frode fiscale, punito anch'esso con la reclusione fino a 6 mesi.

Dopo una prima riforma degli anni 1971/1973, nel 1982 se ne ebbe una seconda tra le più radicali

del sistema sanzionatorio tributario.

L'obiettivo perseguito era quello di evitare di incentrare sull'evento evasione dell'imposta il sistema

penal-tributario e ridurre le fattispecie penali ad un catalogo analitico di fatti semplici, suscettibili di

facile e spedito acclaramento, i prodromici ovvero forniti di idoneità segnaletica rispetto all'evento

di evasione.

La scelta legislativa orientata ad abbandonare il criterio di selezione dei fatti in base alla

gravità dell'offesa al bene protetto e volta a reprimere le condotte prodromiche, ha dato luogo ad un

forte ampliamento della platea degli autori di reati tributari, contribuendo a congestionare il

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funzionamento della giustizia penale.

La legge 25/1999 ha dato delega al Governo di ridisegnare i contorni della disciplina dei reati

tributari in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Con tale legge delega sono stati fissati alcuni criteri direttivi che hanno portato ad una drastica

riduzione dei reati. Inoltre sono state previste delle soglie di punibilità atte a limitare l'intervento

penale esclusivamente alle ipotesi di illeciti economicamente più significativi e introdotti dei

meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento del danno.

Infine onde evitare il cumulo di sanzioni penali ed amministrative, la legge delega ha stabilito

l'applicazione della sola disposizione speciale, nel caso in cui un medesimo fatto risultasse punibile

in base a due differenti disposizioni, irroganti l'una sanzioni penali, l'altra amministrative.

In attuazione di detta legge delega è stato emanato il d.lgs. 74/2000 recante la nuova disciplina dei

reati tributari.

I reati del novellato diritto penale tributario.

Le nuove fattispecie criminose previste dal Titolo I del d.lgs. 74/2000 possono essere catalogate in:

1. Delitti in materia di dichiarazione, i quali si distinguono:

◦ Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti (Art. 2).

Questa ipotesi delittuosa prevede la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni nei confronti di

chiunque, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle

dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o all'imposta sul valore aggiunto elementi

passivi fittizi.

Il reato può essere commesso da qualsiasi contribuente, indipendentemente dal tipo di reddito

posseduto. Il fatto però deve essere commesso al dine di evadere le imposte sui redditi o sul valore

aggiunto (cd. Dolo specifico).

Il reato si configura indipendentemente dall'ammontare degli elementi fittizi indicati nella

dichiarazione. È prevista però l'applicazione di una sanzione ridotta (reclusione da 6 mesi a 2 anni)

nel caso in cui l'ammontare degli elementi fittizi sia inferiore a 300 milioni di lire.

◦ Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (Art. 3).

E' sanzionata con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni verso chiunque, sulla base di una falsa

rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad

ostacolare l'accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi o

dell'imposta sul valore aggiunto, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo

ovvero elementi passivi fittizi.

Il delitto si configura solo se ciascuna delle imposte evase sia superiore a 150 milioni di lire ed al

tempo stesso l'ammontare degli elementi attivi sottratti all'impostazione sia superiore al 5% degli

elementi attivi dichiarati (o comunque superiore a 3 miliardi).

La figura del reato in questione richiede una falsa rappresentazione nelle scritture contabili

obbligatorie, e quindi gli autori dell'illecito possono essere solo i soggetti obbligati alla tenuta della

contabilità.

I mezzi fraudolenti ai quali fa riferimento la norma devono consistere in espedienti oggettivamente

distinti dalle mere violazioni contabili, come ad esempio la tenuta di una doppia contabilità.

Anche questo reato richiede il dolo specifico; e cioè il fatto deve essere commesso con la precisa

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finalità di evadere le imposte sui redditi e IVA.

◦ Dichiarazione infedele (Art. 4).

Questa ipotesi di reato, a differenza delle precedenti, non è caratterizzata da condotte fraudolente e

si realizza semplicemente omettendo di dichiarare comportamenti positivi ovvero dichiarando

elementi passivi fittizi e cioè non esistenti.

Il reato si realizza quando ciascuna delle imposte evase sia superiore a 200 milioni di lire e al tempo

stesso l'ammontare dei redditi non dichiarati o dei componenti negativi fittiziamente dichiarati sia

superiore al 10% degli elementi attivi dichiarati (o comunque superiore a 4 miliardi di lire).

Il reato può essere commesso da qualunque contribuente, e non solo dai soggetti obbligati alla

tenuta della contabilità.

◦ Omessa dichiarazione (Art. 5).

Qui si prevede una reclusione da 1 a 3 anni per omessa presentazione della dichiarazione annuale ai

fini delle imposte sui redditi o dell'imposta sul valore aggiunto nel caso in cui almeno una delle

imposte evase sia superiore a 150 milioni di lire.

Non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 gg dalla scadenza del relativo termine,

non sottoscritta dal contribuente, ovvero redatta su uno stampato non conforme al modello

prescritto.

Il reato può essere commesso da chiunque abbia l'obbligo di presentare una delle predette

dichiarazioni.

Anche in questo caso il fatto deve essere commesso con dolo specifico.

Le valutazioni estimative. L'Art. 7 intitolato Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio,

costituisce una delle disposizioni più controverse e complesse della nuova normativa. La norma

prevede che non diano luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione fraudolenta mediante altri

artifici (Art. 3) e di dichiarazione infedele (Art. 4) le rilevazioni, nelle scritture contabili e nel

bilancio, eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, ma

comunque in base a metodi costanti di impostazione contabile.

La punibilità per tali reati è esclusa quando i criteri concretamente applicati nell'effettuare le

rilevazioni e le valutazioni estimative siano stati comunque indicati nel bilancio.

Non danno inoltre luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione fraudolenta ex Art. 3 ed ex Art. 4,

le valutazioni estimative che, singolarmente considerate differiscono in misura inferiore al 10% da

quelle corrette (2°comma Art. 7).

Questo perché, senza le disposizioni della norma in esame, tutte le alterazioni dei valori che

determinano una sottrazione di materia imponibile, risulterebbero penalmente rilevanti

indipendentemente dal fatto che trovino o meno la loro fonte in una valutazione estimativa.

In tal senso, la norma in questione ha funzione garantista, e cioè di non far ricadere

nell'ambito della rilevanza penale le valutazioni non corrette.

Il tentativo. I delitti previsti dagli Artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. 74/2000 non sono punibili a titolo di

tentativo.

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2. Delitti in materia di documenti, i quali si distinguono:

(a) Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (Art. 8).

Il soggetto che emette o rilascia fatture o altri documenti relativi ad operazioni inesistenti è punito

con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.

Il fatto deve essere commesso al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sui redditi o

l'imposta sul valore aggiunto.

Non è prevista alcuna soglia di rilevanza penale ma si applica la sanzione meno grave della

reclusione da 6 mesi a 2 anni se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei

documenti è inferiore a 300 milioni di lire per periodo di imposta (2°comma).

Il soggetto che emette i documenti in questione non concorre nel reato commesso dal soggetto che

utilizza tali documenti, così come quest'ultimo non concorre nel reato previsto e punito dall'articolo

di cui trattasi (Art. 9).

(b) Occultamento o distruzione di documenti contabili (Art. 10).

E' punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque distrugga in tutto o in parte le scritture

contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la

ricostruzione dei redditi o del volume d'affari.

Autori del reato sono solo i soggetti obbligati alla tenuta della contabilità.

(c) Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (Art. 11).

E' punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque ponga in essere vendite simulate, cioè

caratterizzate da una preordinata divergenza tra la volontà dichiarata e quella effettiva, di beni

propri o altrui o comunque compia altri atti fraudolenti che abbiano per oggetto detti beni e che

siano idonei a rendere totalmente o parzialmente inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Il fatto deve essere commesso per un imposto complessivamente superiore a 100 milioni di lire

(dolo specifico).

(d) Omesso versamento di imposte (Artt. 10-bis, -ter, -quater).

L'Art. 10-bis, intitolato Omesso versamento di ritenute certificate, afferma che è punito con

reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della

dichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai

sostituti, per un ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo di imposta.

L'Art. 10-ter, reca Omesso versamento di IVA, e prevede, nei limiti, lo stesso regime del

-bis a chiunque non versi l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione

annuale; entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta

successivo.

L'Art. 10-quater, reca Indebita compensazione. La disposizione di cui al -bis si applica,

nei limiti previsti, anche a chiunque non versi le somme dovute utilizzando in

compensazione crediti non spettanti o inesistenti, ai sensi dell'Art. 17 del d.lgs.

241/1997.

Page 143: RIASSUNTO “Corso istituzionale di diritto tributario” di ... · PDF file1 RIASSUNTO “Corso istituzionale di diritto tributario” di FALSITTA Cap.1 CLASSIFICAZIONE DEL DIRITTO

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La violazione del principio di alternatività da parte del legislatore delegato.

La legge delega per la riforma delle sanzioni penali conteneva la previsione dell'abolizione del

principio del cumulo fra sanzioni penali e tributarie di natura amministrativa. Tuttavia il legislatore

delegato ha reintrodotto tale principio.

Infatti l'Art. 19 del d.lgs 74/2000 dispone per i soggetti ex Art. 11, 1°comma del d.lgs 472/1997,

che non si siano persone fisiche concorrenti nel reato, la permanenza della responsabilità per la

sanzione amministrativa.

I destinatari dell'effetto giuridico prodotto dalla norma sono società, associazioni ed enti,

dotati o privi di responsabilità giuridica.

Il mancato rispetto del principio di alternatività disposto dall'Art. 19 sembra pertanto configurare il

vizio di eccesso di delega, con annessa violazione dell'Art. 3 Cost per discriminazione tra

dipendente e/o legale rappresentante (nei confronti del quale opererà il cumulo di sanzioni) e altri

contribuenti (verso i quali il cumulo è inoperante).

La prescrizione, la costituzione di parte civile e il risarcimento del danno.

La revisione della disciplina del diritto penal-tributario ha coinvolto anche i termini prescrizionali

previsti per i reati.

Per i reati più gravi (Artt. 2, 3 e 8 d.lg. 74/2000) la cui pena max prevista è 6 anni di

reclusione, sono applicabili i termini prescrizionali ordinari in base ai principi generali del

codice penale. Tali termini sono di 10 anni (fino ad un max di 15 a seguito di atti

interruttivi).

Se in relazione ad una verifica tributaria compiuta prima della scadenza del decennio,

l'Amministrazione finanziaria presenta denuncia all'Autorità giudiziaria, potrà essere aperto un

procedimento penale a carico del contribuente verificato. In tale caso l'Amministrazione stessa potrà

costituirsi parte civile.

Per quanto riguarda il risarcimento del danno, l'Art. 13 prevede che, il pagamento dei debiti

tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di I°grado, sia una mera circostanza

attenuante speciale che non estingue, quindi, il reato medesimo.

Il relazione al rimborso di quanto versato per il pagamento dei debiti tributari, si debbono

considerare due ipotesi a seconda che il pagamento sia avvenuto:

1. in sede penale in caso di assoluzione o proscioglimento, la somma deve essere

restituita.

2. in sede amministrativa in questo caso, l'assoluzione o il proscioglimento in sede

penale non determina la ripetizione di quanto pagato, in virtù

dell'autonomia assoluta tra processo penale e procedimento o

processo tributario.