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Riassunto “ Copisti e filologi” (Reynolds L. – Wilson N.) 1 1. L’antichità 1. I libri antichi Per meglio ripercorrere le tappe dello sviluppo della letteratura classica bisogna ripercorrere quale del commercio librario. Prima di ciò vale la pena ricordare che in Grecia la lettura precedette la scrittura, per questo motivo il nucleo dei poemi omerici fu tramandato oralmente per molti secoli e non si riteneva necessario mettere per iscritto tale tradizione. Il primo testo scritto delle due epopee fu preparato ad Atene per ordine di Pisistrato, questo non significa che cominciarono a circolare copie dei poemi ma che il tiranno volesse conservare le opere che dovevano essere recitate nelle feste Panatenaiche. Perciò i libri rimasero una rarità fino al quinto secolo. Tuttavia lo sviluppo di forme letterarie che si allontanavano dalla recitazione fece crescere la necessità di mettere per iscritto le opere, così si dice che Eraclito abbia depositato il suo famoso trattato in un tempio dove lo leggerà persino Aristotele. Le copie si moltiplicarono però in modo molto limitato, si potrebbe congetturare però che le prima opere fossero state quelle dei filosofi, storici ionici e sofisti. Per questo si può dire che solo dalla metà del quinto secolo o poco dopo in Grecia nacque il commercio di libri e nelle specifico tramite il mercato d’Atene. Riguardo l’aspetto dei libri non si può dire molto poichè di libri del quarto secolo sono pervenuti così pochi esemplari da non poterli prendere come campione rappresentativo. Le affermazioni generali si basano più che altro su materiale ellenistico e si può supporre che lo stesso vada bene per il materiale classico. La forma normale era quella del rotolo e la scrittura si consuma in una serie di colonne, chi leggeva il rotolo doveva svolgerlo gradualmente. Alcuni rotoli erano molto lunghi, dunque ne consegue la scomodità di questa forme in edizioni come il Simposio di Platone che si dice che doveva misurare circa 6 metri. Inoltre un altro considerevole problema era il materiale che era poco resistente e ne seguivano facilmente dei guasti. Il materiale scrittorio abituale era il papiro preparato nel delta del Nilo e nel primo secolo dopo cristo anche a Babilonia; due strati di questo midollo fibroso di una canna venivano compressi insieme per formare dei fogli che potevano essere incollati insieme in una lunga fila. Si facevano fogli di diverse dimensioni e un libro poteva accogliere una colonna di testo alta fra i venti e i venticinque centimetri. Ora il commercio di libri veniva ovviamente esposto alle oscillazioni della guerra o dei desideri dei vari produttori. Tali difficoltà si deducono anche da Erodoto che infatti dice che quando il materiale scrittorio scarseggiò molti adoperarono pelli di pecora e di capra (uso orientale) ma il cuoio non era certamente come il papiro ed era usato solo in caso di emergenza. Sappiamo peraltro che in periodo ellenistico il governo egiziano pose un divieto dell’esportazione del papiro e sembra che questo abbia stimolato la ricerca di altre fonti. Fu allora che a Pergamo fu inventato un trattamento particolare delle pelli d’animale allora scopo di dare una superficie migliore per la scrittura, la pergamena appunto. Ma fino ai primi secoli dell’era cristiana la pergamena non ebbe un gran uso i primi esempio sono frammenti dei Cretesi di Euripide e di Sulla falsa ambasceria di Demostene. Infine bisogna notare che il testo era per il lettore molto più difficile da interpretare per vari motivi: - Non esisteva la punteggiatura

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Riassunto “ Copisti e filologi” (Reynolds L. – Wilson N.)

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1. L’antichità

1. I libri antichi

Per meglio ripercorrere le tappe dello sviluppo della letteratura classica bisogna ripercorrere quale del commercio librario. Prima di ciò vale la pena ricordare che in Grecia la lettura precedette la scrittura, per questo motivo il nucleo dei poemi omerici fu tramandato oralmente per molti secoli e non si riteneva necessario mettere per iscritto tale tradizione. Il primo testo scritto delle due epopee fu preparato ad Atene per ordine di Pisistrato, questo non significa che cominciarono a circolare copie dei poemi ma che il tiranno volesse conservare le opere che dovevano essere recitate nelle feste Panatenaiche. Perciò i libri rimasero una rarità fino al quinto secolo. Tuttavia lo sviluppo di forme letterarie che si allontanavano dalla recitazione fece crescere la necessità di mettere per iscritto le opere, così si dice che Eraclito abbia depositato il suo famoso trattato in un tempio dove lo leggerà persino Aristotele. Le copie si moltiplicarono però in modo molto limitato, si potrebbe congetturare però che le prima opere fossero state quelle dei filosofi, storici ionici e sofisti. Per questo si può dire che solo dalla metà del quinto secolo o poco dopo in Grecia nacque il commercio di libri e nelle specifico tramite il mercato d’Atene. Riguardo l’aspetto dei libri non si può dire molto poichè di libri del quarto secolo sono pervenuti così pochi esemplari da non poterli prendere come campione rappresentativo. Le affermazioni generali si basano più che altro su materiale ellenistico e si può supporre che lo stesso vada bene per il materiale classico. La forma normale era quella del rotolo e la scrittura si consuma in una serie di colonne, chi leggeva il rotolo doveva svolgerlo gradualmente. Alcuni rotoli erano molto lunghi, dunque ne consegue la scomodità di questa forme in edizioni come il Simposio di Platone che si dice che doveva misurare circa 6 metri. Inoltre un altro considerevole problema era il materiale che era poco resistente e ne seguivano facilmente dei guasti. Il materiale scrittorio abituale era il papiro preparato nel delta del Nilo e nel primo secolo dopo cristo anche a Babilonia; due strati di questo midollo fibroso di una canna venivano compressi insieme per formare dei fogli che potevano essere incollati insieme in una lunga fila. Si facevano fogli di diverse dimensioni e un libro poteva accogliere una colonna di testo alta fra i venti e i venticinque centimetri. Ora il commercio di libri veniva ovviamente esposto alle oscillazioni della guerra o dei desideri dei vari produttori. Tali difficoltà si deducono anche da Erodoto che infatti dice che quando il materiale scrittorio scarseggiò molti adoperarono pelli di pecora e di capra (uso orientale) ma il cuoio non era certamente come il papiro ed era usato solo in caso di emergenza. Sappiamo peraltro che in periodo ellenistico il governo egiziano pose un divieto dell’esportazione del papiro e sembra che questo abbia stimolato la ricerca di altre fonti. Fu allora che a Pergamo fu inventato un trattamento particolare delle pelli d’animale allora scopo di dare una superficie migliore per la scrittura, la pergamena appunto. Ma fino ai primi secoli dell’era cristiana la pergamena non ebbe un gran uso i primi esempio sono frammenti dei Cretesi di Euripide e di Sulla falsa ambasceria di Demostene. Infine bisogna notare che il testo era per il lettore molto più difficile da interpretare per vari motivi:

- Non esisteva la punteggiatura

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- Mancava la divisione delle parole - Il sistema di accentazione non fu inventato fino al periodo ellenistico e divenne

d’uso comune solo nel Medioevo - L’alternarsi degli interlocutori nei testi drammatici non veniva indicato al massimo

lo si faceva con una lineetta orizzontale all’inizio di un verso con due punti - I versi lirici erano scritti come in prosa, fu infatti Aristofane di Bisanzio ad inventare

la tradizionale colo metrica. Le stessi difficoltà si presentavano ovviamente anche per chi volesse fare un copia di suo pugno e non va sottovalutato il rischio di interpretare il testo in maniera erronea e quindi di corromperlo.

2. La biblioteca del Museo e la filologia ellenistica Lo sviluppo del commercio librario permise anche ai privati di formarsi una libreria, dunque è certo che alla fine del quinto secolo esistevano biblioteche private. Non c’è traccia ad Atene di biblioteche pubbliche ma probabilmente copie ufficiali venivano conservate negli archivi di stato, soprattutto copie delle opere messe in scena durante le feste più importanti per la città. Lo stesso pseudo-Plutarco atribuisce la proposta di questo metodo di conservazione delle copie a Licurgo anche perchè erano di utile consultazione per gli attori che dovevano mettere in scena una data rappresentazione. Con lo sviluppo della scienza e della cultura a partire dal quarto secolo cominciarono a sorgere degli istituti accademici con proprie biblioteche sappiamo che lo stesso Aristotele radunò un gran numero di libri per il Liceo. Questa collezione insieme a quella dell’Accademia furono prese a modello poi dal re d’Egitto quando fondò la biblioteca d’Alessandria. Furono molto importanti infatti gli studi intrapresi al Museo d’Alessandria, un vero e proprio tempio in onore delle Muse. Più formalmente si trattava di una comunità letteraria e scientifica dove vi era infatti un bibliotecario Eratostene che era sia un uomo di lettere che uno scientifico, famosi infatti i suoi tentativi di misurare la circonferenza della terra. Questa comunità fu fondata attorno al 280 a.C e veniva mantenuta a spese del re, i membri avevano una sala di studio e una sala dove pranzavano. Una parte essenziale di questa fondazione era certamente la biblioteca, sembra che qualche passo verso la costruzione di quest’ultima fu compiuta già da Tolomeo. Crebbe molto velocemente e affidandoci ciecamente alle fonti sembra che vi erano contenuti almeno 200.000 o 490.000 volumi tenendo sempre conto che un rotolo non poteva contenere più di un dialogo di Platone e non sappiamo quanto era in uso l’abitudine di tenere più copie di un’opera. Quello che è certo è che si fecero grandi sforzi per radunare tale collezione completa della letteratura greca e che c’era una grande ansia nel collezionare opere e nel completare la collezione che molto spesso venivano venduti dei falsi. Per quanto riguarda la catalogazione di un così gran numero di volumi sappiamo che Callimaco e Zenodoto si servivano dell’ordine alfabetico. Callimaco addirittura non essendo nemmeno capo bibliotecario compilò una sorta di guida bibliografica i Pinakes per tutti i rami della letteratura greca. Vi era però un problema e cioè che i testi copiati a mano erano facilmente soggetti a corruttele in molti passi non si riusciva più a capire ciò che l’autore volesse intendere e in altre copie che confluivano al Museo vi erano numerose divergenze. L’incentivo a

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sistemare il testo condusse ad un progresso culturale nei metodi filologici. In tal caso possiamo notare chiaramente quali influenze esercitarono gli studiosi del Museo nelle opere circolanti, per esempio in alcune copie di Omero il testo è nettamente diverso da quello ora normalmente stampato. Probabilmente meno gravi invece sono le discrepanze in altri autori, quello che è certo è che gli Alessandrini fecero di tutto per preparare un testo modello di tutti gli autori comunemente letti. Un altro aspetto della filologia alessandrina è aver apportato migliorie per la fruizione del testo

- Si assicurarono infatti che i testi provenienti dall’Attica e quindi scritti con l’antico alfabeto fossero traslitterati in quello ionico corrente

- Si apportarono migliorie nel metodo di punteggiatura e venne inventato il sistema di accentazione da Aristofane di Bisanzio

ma molto più importante è significativi furono gli sviluppi nel metodo filologico. La necessità infatti di stabilire il testo di Omero e degli autori classici favorì l’applicazione dei sistemi filologici letterari in modo sistematico e venivano quindi discussi problemi testuali e difficoltà interpretativi. Tali lavori esegetici costituivano sempre libri a sè a quell’epoca infatti i commentari su un autore non venivano aggiunti al margine del testo ma in un altro volume. Di questo genere sopravvive molto poco in forma originale , la conoscenza di questi lavori ci giunge tramite frammenti che sono stati incorporati nella posteriore forma di commento, nota come scoli. Venivano poi spesso applicati dei segni critici sui commenti come l’obelos che indicava un verso spurio; la diple che indicava un passo notevole per lingua o contenuto o la diple puntata che indicava un passo in cui Aristarco differiva da Zenodoto; l’asteriskos che segnava un verso ripetuto erroneamente in un altro luogo e l’antisigma che segnava invece l’ordine delle righe turbato. Ovviamente un tale complicato sistema di segni non doveva essere fruibile a tutti ma solo a pochi eruditi, infatti esempi di questi segni sono pochissimi. Il più famoso è il codice Veneto dell’Iliade il cui emanuense si propose di copiare pedissequamente il testo. La caratteristica principale degli Alessandrini era la loro prontezza a rigettare versi come spuri adducendo motivazioni vane non significative. Fortunatamente le successive generazioni di alessandrini non caddero nuovamente in questa tentazione, tutti i cambiamenti che suggerivano, venivano infatti annotati nei commenti ed oltretutto la maggior parte di queste divergenze non veniva accettate da altri lettori.Vi sono però anche motivi di lode, uno di questo è il principio critico sviluppato da Aristarco, per cui la miglior guida all’uso di un autore è il corpus dei suoi scritti quindi dov’è possibile modifiche e discrepanze dovevano essere spigate con riferimenti ad altri passi o ad altre opere dell’autore stesso. In secondo luogo i letterati del tempo non erano interessati solo a note linguistiche o antiquarie ma sapevano anche ben commentare passi significativi delle opere. La maggior parte di questo profilo della filologia alessandrina riguardava Omero ma apportò migliorie anche a:

- stabilire il testo della commedia e della tragedia - invenzione della colometria da parte di Aristofane di Bisanzio - numerosi trattati su vari aspetti del teatro

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- sono fioriti gli ‘argomenti’ con il sunto della trama messi all’inizio delle opere - scoperta di versi mutati o aggiunti nelle tragedie da parte degli attori, interpolazioni

piuttosto numerose - edizioni della commedia, di Pindaro e dei poeti lirici.

3. Altre forme di cultura nel periodo ellenistico

L’attività alessandrina fiorì nel terzo e nel secondo secolo e dapprima il Museo non ebbe rivali fino a quando per opera del re di Pergamo Eumene II vennero costruiti vasti edifici e così nacque la biblioteca di Pergamo. I bibliotecari intrapresero studi bibliografici su larga scala e gli eruditi gradirono consultare le loro opere accanto a quelle degli alessandrini. Ma le opere degli studiosi di Pergamo sembrarono limitarsi a brevi monografie su punti specifici, molto spesso di contrasto rispetto agli alessandrini. Da ricordare Polemone che si occupò di tipografia e di iscrizioni e Cratete che lavorò su Omero e nello specifico della geografia omerica, alcuni suoi emendamenti sono conservati in alcuni scoli e inoltre fu il primo a tenere lezioni di letteratura a Roma. Insieme agli studi omerici si occuparono anche di grammatica e linguistica. Anche se la prima vera grammatica greca fu redatta da un alessandrino Dionisio Trace, questa grammatica comincia con il definire i singoli argomenti, l’ultimo dei quali definito dall’autore come il più nobile è la critica poetica. Questa grammatica ebbe durevole diffusione e rimase come fondamento delle grammatiche greche. Con questo libro si chiudeva il periodo più fiorente dell’attività alessandrina. Infatti già con Tolomeo Evergete II iniziò il declino della scuola, egli infatti iniziò a perseguitare gli studiosi di letteratura greca. Rimane il nome di Didimo, l’unica figura di rilievo nella rimanente età ellenistica, il suo nome è infatti spesso menzionato negli scoli e la sua opera si vede che copriva l’intera poesia classica. La sua attività non consistette nella composizione di commenti originali ma più che altro si occupò di una compilazione tratta dalla compilazione già enorme di lavori critici, questa costuì una delle principali fonti per gli studiosi. Didimo va ricordato anche per i suoi lavori sui prosatori quali Tucidide e gli oratori, famosa infatti la sua monografia su Demostene.

4. I libri e la filologia in Roma repubblicana La letteratura latina iniziò dal terzo secolo a.C in poi, benchè documenti scritti esistettero già prima. Ispirata dal modello greco la sua diffusione venne affidata al papiro, e così alla metà del secondo secolo Roma aveva una sua notevole produzione di poesia, teatro e prosa. E’ chiaro che questo sviluppo di una società letteraria e filosofica sia dipesa anche dalla formazione del circolo degli Scipioni, e ciò a sua volta implica che i testi, entro una cerchia certamente, circolassero liberamente. Incerto è sicuramente lo sviluppo della letteratura latina nei primi 200 anni di vita quando non esisteva una organizzazione per produrre e diffondere i libri e nemmeno biblioteche per conservarli, i canali dovevano essere stati sicuramente occasionali e rischiosi. E’ chiaro che alcune opere ebbero poi più fortuna di altre, la poesia nazionale di Nevio ed Ennio fruì certamente di una posizione privilegiata, mentre la prosa fu meno privilegiata, di Catone c’è giunta per via diretta soltanto il De agri cultura e anche questo pare che sia parecchio modernizzato e sfigurato; e sembra che non fosse in circolazione nemmeno un corpus dei discorsi catoni anni ai tempi di Cicerone che sembra averne di sua spontanea

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raccolto almeno 150. Mentre per quanto riguarda i testi drammatici, lì la situazione diveniva più complicata poiché ad esempio Plauto era molto famoso e dunque le aggiunte spurie erano più facili, sappiamo infatti che circolava 130 commedie plautine. Mentre per Terenzio la cosa fu diversa e ristretta solo a poche commedie. Ciò che abbiamo della letteratura latina dei primi secoli sembra essere dovuto più che altro all’interesse che ne nacque nell’ultimo secolo della Repubblica. Per quanto riguarda lo studio della grammatica latina secondo Svetonio sembra essere stato introdotto per la prima volto da Omero Cratete che si trovò a Roma in convalescenza e lì tenne lezioni di poesia; questo ovviamente è il sintomo e insieme la conseguenza dell’infiltrazione graduale della cultura ellenistica a Roma. Egli nomina due grammatici di questo primo periodo, uno fu Ottavio Lampadione che sembra si occupò del Bellum Punicum di Nevio e anche di Ennio, l’altro fu Vargunteio che si dice si sia occupato degli Annali. Il primo dei grandi grammatici fu sicuramente L. Elio Stilone che seguendo Metello Numidico a Rodi sembra aver imparato la filologia alessandrina niente di meno che da Dionisio Trace, infatti fu il primo ad usare i segni critici convenzionali alessandrini a Roma. Famoso è il suo interesse verso Plauto, inoltre il testo aveva bisogno di essere regolazzato, c’erano un gran numero di commedie spurie mentre quelle genuine avevano segni di continue interpolazioni. Elio influì molto sul suo allievo Varrone che Ebe un ruolo decisivo nelle commedie plautine, egli infatti isolò 21 commedie come plautine, questo canone conosciuto come le fabulae Varronianae deve coincidere con le commedie giunte a noi. Inoltre Varrone era perfettamente al corrente dei problemi testuali che ciò comportava, questo lo testimonia sicuramente la sua definizione dell’emendatio come recorrectio errorum qui per scripturam dictionemve fiunt. Il primo lessico latino di deve invece a Verrio Flacco, di questo trattato però sopravvive in parte un sunto fatto da Pompeo Festo è un’epitome compilata da Paolo Diacono. Lo sviluppo della letteratura e della filologia fu accompagnato da altri progressi, di natura pratica, quali progetti per la costruzione di una biblioteca a Roma e di una maggiore organizzazione nel pubblicare libri. Esistevano ovviamente già biblioteche private e c’era molta circolazione di materiale soprattutto greco. Lo stesso Cicerone si impegnò nella ricerca di libri e mise insieme una bella collezione. La prima biblioteca pubblica a Roma fu fondata nell’Atrium Libertatis da Asinio Pollione nel 39 a.C.

5. Progressi nei primi tempi dell’Impero Alla fine della Repubblica romana le i stituzioni e i processi che governavano la trasmissione di scritti erano già in vita e soprattutto sotto Augusto questi fiorirono e si raffinarono. Il commercio di libri era infatti fiorente e sono giunti a noi anche nomi di librai affermati quali Sosii, Trifone e Attreto. Al tempo di Seneca collezionare libri era diventato molto dispendioso, oltretutto lo stesso Augusto fondò due biblioteche pubbliche, una nel 28 a.C sul Palatino ed una non molto dopo nel Campo Marzio; una delle più rinomate fu la Biblioteca Ulpia fondata da Traiano (è ovvio che il mecenatismo favorì la filologia e la letteratura). L’insegnamento secondario a Roma era impartito dal grammaticus e consisteva nella lettura e interpretazione delle poesie; la prosa era invece più di competenza del rhetor. Un

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progresso importante fu iniziato nel 26 a.C da Cecilio Epirota che istituì l’uso di studiare Virgilio nel normale programma scolastico, questo ingresso ovviamente fu ai danni di Ennio. Da allora un Orazio o un Ovidio vedevano i loro componimenti passare i sui libri scolastici prima della loro morte. Due erano gli autori più studiati Virgilio e Terenzio, mentre per la prosa Cicerone e Sallustio. Sono noti degli studiosi del I sec che rivolsero le loro attenzioni a Cicerone, Sallustio e Virgilio, uno dei più famosi fu M. Valerio Probo di Beirut. Sulla sua vita ci informa Svetonio sappiamo infatti che raccolse un gran numero di testi antichi e li corredo con i metodi alessandrini di punteggiatura e di segni per aiutare il lettore. Non sappiamo con certezza se ebbe degli allievi, quello che è certo è che aveva alcuni seguaci con cui qualche rara volta leggeva dei testi. In commentatori successivi si trovano tracce del suo lavoro, non sappiamo con certezza se abbia collezionato manoscritti ma sembra che sia stato in possesso di una codice corretto di pugno da Virgilio stesso. Sicuramente fu d’ausilio per ricostruire molti testi dell’antica storia, gli sono state attribuite autorevoli dizioni di Virglio, Terenzio, Orazio, Lucrezio e altri.

6. L’arcaismo nel secondo secolo Nel secondo secolo si diffuse una generale decadenza della letteratura creativa e come effetto di ciò venne registrato un diffuso interesse accademico per gli autori del passato , soprattutto per i primi autori romani. Tutto ciò fu incoraggiato da Adriano e tracce di ciò si riscontrano in Frontone, Gellio e Apuleio. Questo culto per l’antico fece dunque sì che gli scrittori dei primi tempi della Repubblica furono tirati giù dagli scaffali e studiati. Nelle Notti Attiche di Gellio si vede quali mirabili libri potevano essere ritrovati al suo tempo, egli trovò infatti gli Annali di Fabio Pittore, un’opera di Elio Stilone, una veneranda copia di Livio Andronico e un manoscritto dello storico sillano Claudio Quadrigario. Frontino poi conferma l’interesse per l’antiquario che ne conseguì e del prestigio che assunsero opere di Catone, Ennio e Cicerone. Inoltre si diffuse ancora di più l’uso di correggere là proprio copia confrontandola con quelle di altri studiosi in un lavoro erudito e di professione, abbiamo prova di tale lavoro da Statilio Massimo.

7. I compendi e i commentari La decadenza iniziata nel II sec si acuì molto nel III sec aggravata dalla crisi economica e dal caso politico, non troviamo infatti nessuna figura letteraria di spicco fino a Claudiano. Molti lavori prodotti di questo periodo hanno avuto conseguenze sulla storia dei testi classici. Alcuni sono importanti perchè assicurano la continuità della conoscenza latina nel Medioevo, altri invece hanno valor perchè le loro fonti sono perdute o mutilate, esempio è il compendio. Florio scrisse un sunto di storia romana, Giustino scrisse un’epitome all’autore augusteo Pompeo Trogo, troviamo poi storie abbreviate di Eutropio, Aurelio Vittore e altri. Il periodo di fioritura di manuali elementari e stereotipati fu anche quello di fioritura dei commentari e degli scoli; i più famosi sono Acrone e Porfirione per Orazio, poi Servio e Donato il quale fu anche autore di due grammatiche l’ Ars minor e maior e le Istitutiones grammaticae. Vanno poi ricordate due compilazioni il De compendiosa doctrina di Nonio Marcello e il De nuptiis un racconto allegorico sulle sette arti liberali che compaiono come damigelle al

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matrimonio di Mercurio e la Filologia. Verso la fine del IV sec si stabilizzarono le arti liberali che furono sette e furono trasmesse così al Medioevo.

8. Dal rotolo al codice Fra il secondo e il quarto secolo si compì una rivoluzione fondamentale per la storia dei libri: il rotolo di papiro sparì per fare spazio al codice, un libro essenzialmente simile a quello in uso oggi. Dino al secondo secolo D.C infatti veniva impiegato il rotolo di papiro, ma esisteva anche l’alternativa delle tavolette cerate che venivano usate per appunti ed esercizi scolastici. Successivamente i romani estesero l’uso di queste tavolette per i documenti legali e inoltre sostituirono la cera con la pergamena. Questi quaderni pergamenacei erano in uso fino alla fine della Repubblica. Testimone della diffusione di opere papiracee fu sicuramente Marziale ma il codice non venne in uso definitivamente per la letteratura pagana fino al secondo secolo, nel terzo poi guadagnò terreno e nel quarto trionfò. La pergamena infatti era un materiale più resistente e col tempo instituì un presenza fondamentale nella conservazione della letteratura classica. I vantaggi di questo uso erano sicuramente la più facile consultazione e praticità, e la facilità con cui potevano essere realizzati i riferimenti numerando le pagine. E soprattutto vi era la possibilità di copiare un intero corpus in un libro o raccogliere diverse opere dell’autore in una sola copertina, cosa allettante per una società volta a conservare la propria tradizione in modo maneggevole. Tuttavia il passaggio dal rotolo al codice avvenne non senza danni fu infatti la prima strozzatura sotto cui dovettero passare i classici. Alcuni scritti ritenuti poco importanti infatti non venivano ricopiati, e se nel testo mancavano parti non ci si sforzava di reintegrarle. Per quanto riguarda le principale scrittura utilizzate vanno ricordate:

- La capitale rustica quadrate e vergata la principale utilizzata nel periodo classico - L’onciale più raffinata e arrotondata venne in uso nel IV sec e ci rimase fino a metà

dell’VIII - La semi onciale comparve invece insieme alla comparsa delle minuscole fu usata

specialmente per papiri e per testi cristiani.

9. Paganesimo e Cristianesimo nel IV secolo Il quarto secolo segnò lo scontro finale tra Cristianesimo e Paganesimo. Nel 312 Costantino rovesciò la politica del suo predecessore Diocleziano e permise ai Cristiani la libertà di culto e in poco tempo si diffusero guerre contro il mondo pagano. Una dignitosa disputa avvenì nel 384 tra il vescovo di Milano Ambrogio e Aurelio Simmaco, scrittore e funzionario pagano che si battè perchè fosse ricollocato nella Curia l’altare della Vittoria. Ancora nel 394 Flaviano venne sconfitto da Teodosio e si uccise. È ancora furono i senatori romani a rivendicare lo spirito dei loro antenati e si schierarono in loro difesa. Microbio poi ricreò nostalgicamente l’alta società pagana del passato prima che quel mondo franasse attorno a loro discutendo delle minuzie della vita e della letteratura romana. Le grandi famiglie romane della tarda antichità che professavano entrambe le religioni perseveravano nel difendere la loro tradizione mentre i barbari riversavano a ondate nell’Impero.

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I cristiani erano fondamentalmente contrari alla letteratura latina, alla poesia che era politeista e parlava del padre degli dei in modo non edificante e immorale spesso, alla retorica che professava una facilità di parola e di pensiero che non poteva avvicinarsi agli ideale Cristina e pure i filosofi contenevano pensieri e parole tutt’altro che vicini alla fede religiosa. D’altro era innegabile il debito che i cristiani avevano nei confronti dei classici.

2. L’oriente greco 1. Filologia e letteratura sotto l’Impero Romano

Nei primi secoli dell’Impero la vita intellettuale delle province greche era in declino e perciò si conseguirono pochi risultati nel campo filologico e letterario. Il Museo alessandrino esisteva ancora anche se non era più il re d’Egitto ad occuparsene ma lo finanziava l’imperatore romano. Solo la biblioteca tuttavia continuò a rendere servigi come materiale utile a dotti e studiosi, ma anche questa si dice sia stata danneggiata da Cesare in una sua visita, le fonti tuttavia non concordano, sappiamo tuttavia che Antonio poi trasferì la biblioteca di Pergamo ad Alessandria. Dunque una distruzione totale della biblioteca non potrebbe essere sostenuta dato che molti studiosi attinsero ai testi della biblioteca Teone commentò molti testi poetici tra cui quelli di Teocrito, Apollonio Rodio e Callimaco; Apione preparò un glossario da Omero a Eschilo; Eliodoro invece commento i metri di Aristodane. Per quanto possiamo notare nessuno di questi lavori migliorò i metodi filologici o i principi critici, e la cosa di potrasse fino al terzo secolo. Gli unici che apportarono migliorie furono i grammatici, tra cui ricordiamo Apollonio che fu il primo grammatico che scrisse di sintassi, avvicinandosi al termine moderno. Tra l’altro definì il carattere del perfetto greco come la descrizione di uno stato presente dimostrando così per la prima volta la differenza tra il presente e l’aoristo. Il declino della filologia e della critica non fu solo una decadenza generale dell'epoca ma fu dovuta anche ad un ritrovato interesse verso la retorica e il suo studio, vennero scritti un gran numero di manuali sull’eloquenza e sugli oratori, specialmente su Demostene. Fondamentalmente l’interesse si distolse dai poeti. Le cause di questo cambiamento vanno sicuramente ricercate nel fatto che la Grecia era debole e impoverita soprattutto nei confronti delle sfere d’azione di Roma, e dunque ricercò ammirazione nei frutti del periodo classico. Questo sentimento si rintraccia già sotto il regno di Augusto quando nacque il desiderio di scrivere in stile lessico, questo alimentò il bisogno di manuali per lo studio. A proposito vengono ricordati i dizionari di Elio Dionisio e Pausania e opere di Pollice e Frinico. Questi manuali offrivano precetti per l’aspirante scrittore di prosa classica attica, quindi erano completi di liste di parole d’uso corrente affiancate dall’espressione classica corrente. Questa pratica era molto artificiosa ed ebbe effetti indesiderati sui componimenti letterari, anche perchè fu il principio ispiratore per molto tempo fino ai bizantini. Questo ebbe come conseguenze:

- Comunque i classici attici venivano studiati nelle scuole e quindi sorgeva l’esigenza di farne molte copie

- La ricorrenza di alcune parole non attiche in alcune opere spingeva alla ricerca e molto spesso furono scovate opere spurie

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- Molti studiosi però incontrando parole non attiche le correggevano con il corrispettivo, ciò si vede in opere come gli Idilli di Teocrito o nell’opera di Senofonte.

2. La chiesa cristiana e gli studi classici

Bisogna però considerare effettivamente quali furono gli effetti dello sviluppo della fede cattolica sullo studio e conservazione dei classici greci e latini. È vero che una buona parte della gerarchia ecclesiastica detestava gli infedeli e la letteratura greca che essi studiavano con entusiasmo, infatti consigliavano alle comunità cristiane di non leggere tali libri. Non c’è poi alcun dubbio che la causa della perdita di molti classici è dovuta al disinteresse diffuso in epoca cristiana, ma tuttavia non vi furono opposizioni di distruzione dei classici come spesso si dice. I pregi letterari dei classici infatti spesso tentarono molti cristiani anche perchè esistevano veramente pochi scrittori della loro fede accettabili per essere studiati a scuola. Di qui allora l’interpretazione allegorica nata soprattutto dalla necessità di attirare i pagani colti per dimostrare che potevano essere dimostrati alcuni termini religiosi attraverso quelli filosofici e specialmente tramite gli Stoici e Platone. (Inizio della fusione del pensiero greco e cristiano). Taumaturgo incoraggiava i suoi allievi a prendere visioni dei testi classici, in particolare i filosofi, solo gli autori che negavano l’esistenza di Dio o della Provvidenza divina. Ed anche S. Basilio scrisse addirittura un trattato per consigliare i giovani sul modo migliore per interpretare e consultare un testo della letteratura greca. L’interpretazione dell’Antico Testamento era divenuta ormai oggetto di pesanti polemiche che ebbero fine solo quando Origine usò i segni marginali usati dagli alessandrini: un obeso segnava un passo che trovava in greco, ma non nell’ebraico, un asterisco i passi in cui l’ebraico si accordava con altre traduzioni. Ne conseguì dunque un’edizione a colonne parallele con le diverse edizioni in ebraico, ebraico grecizzato e le traduzioni greche. Per quanto riguarda il programma scolastico non vi furono tentativi di modifica solo Apollinare tentò un nuovo metodo. I principali testi antichi venivano letti ugualmente da credenti e non credenti, mentre la conservazione di altri veniva messa in discussione non appena la religione divenne universale e il pubblico fondamentalmente non si interessava ai testi dopo lo studio. L’atteggiamento della Chiesa rimase sostanzialmente inalterato fino all’epoca bizantina.

3. Gli inizi del periodo bizantino Nonostante la decadenza generale del mondo antico, gli studi ad alto livello nella parte orientale dell’impero erano più che mai fiorenti. Ad Alessandria, Antiochia, Atene, Beirut, Costantinopoli e Gaza troviamo scuole che costituivano le università del mondo antico ed erano diverse per tipo di studi, ad Alessandria per esempio Aristotele costituiva il principale soggetto di studio mentre a Beirut la materia base è il diritto. La necessità di simili organizzazioni fu creata dal moltiplicarsi degli uffici civili romani nel IV sec che richiedevano funzionari ben preparati, come confermò un editto di Costanzo. Nelle scuole continuò lo studio della poesia classica e dell’oratoria, i lavori dei primi scrittori atticisti erano guardati come modelli da imitare alla stessa stregua di quelli arcaici e così la cultura letteraria si sostenne per qualche tempo contro le rivendicazioni di altre discipline. Una per

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una in seguito le scuole decaddero o vennero chiuse tanto che alla metà del VI sec rimanevano soltanto Costantinopoli ed Alessandria. L’accento riposto sulla retorica e sull’atticismo non favorì certo la filologia come la intendiamo noi oggi, il lavoro riconosciuto in questo periodo fu solo la riduzione di antichi commentari a scolii che vennero posti ai margini del testo invece che in libri separati; alcuni lavori su Demostene e altri oratori furono condotti a Gaza. Questa idea di copiare i commenti in scoli a margine del testo però non entrò completamente in diffusione se non dal IX sec in poi. L’ultima caratteristica di questo periodo fu il progressivo restringimento della gamma di letteratura normalmente letta. Riguardo a ciò Wilamowitz e prima Barthold, sostenne che nel secondo o terzo secolo un eminente maestro di scuola abbia selezionato un programma scolastico divenuto tanto autorevole ed utilizzato che all’infuori di questo nessun testo veniva più copiato. Questa teoria è molto attraente ma tuttavia non possediamo nessuna testimonianza di ciò e nemmeno nessun nome di maestro che abbia potuto fare ciò. Verso la fine del secolo la decadenza degli studi e dell’istruzione si era aggravata a tal punto che vi era soltanto la scuola di Costantinopoli e la nuova accademia religiosa. L’impero stremato non incoraggiava più gli studi e la contesa per l’iconoclastia non aiutò certo il progresso della cultura e degli studi. Le uniche opere sono quelle di Cherobosco che scrisse una grammatica e i Canoni di Teognosto.

4. Testi greci in Oriente Occorre soffermarsi sulla storia della traduzione che vennero fatte dei testi greci in lingue orientali. Opere greche infatti cominciarono ad essere volte in siriaco, soprattutto in città quali Edessa e Nisibi. Probabilmente il primo testo tradotto fu il Nuovo Testamento ed altre opere patristiche; i manoscritti più antichi di questo lavoro risalgono al IV e V secolo e sono di grande aiuto per i teologi. Furono tradotte anche altre opere della letteratura greca, ad Edessa per esempio furono eseguite versioni di Aristotele e della Metereologia di Teofrasto, vennero tradotti anche un pò di Luciano e di Dionisio Trace. Le traduzioni arabe tuttavia furono maggiori è meglio conosciute, lo stimo ad eseguirle sembra sia nato dall’esigenza di apprendere sulla scienza e sulla filosofia i pensieri dei greci. Bisogna a sottolineare però il periodo di tali traduzioni perchè l’inesattezza di un traduttore poteva guastare l’originale per questo in campo filologico si può dire che tali versioni non aiutano di certo lo studioso a giungere al testo originale. Gli Arabi rivolgevano il loro interesse soprattutto sulla scienza e la filosofia quindi su Platone, Aristotele e Teofrasto, sui matematici e sugli scritti medici di Ippocrate e Galeno. Risulta che nel IX sec ci fu un erudito Hunain ibn Ishaq che fu competente in arabo, persiano, greco e siriaco, costui fisse a Bagdad dove fondò una scuola di traduttori e testimonia anche di una comunità greca che continuava ad usare la sua lingua probabilmente nei monasteri. I commenti sui suoi predecessori sono importanti in quanto egli parla spesso sulla competenza linguistica di questi uomini che lavoravano spesso su manoscritti corrotti e illeggibili. Bisogna infine menzionare le traduzioni in armeno le quali cominciarono senza dubbio sotto l’impulso della Chiesa e dopo i testi sacri furono tradotti anche testi profani e letterari come alcune opere di storici, di Callimaco e di Euripide.

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5. La rinascita del nono secolo

I primi veri frutti della filologia bizantina apparirono a partire dal IX secolo quando nel 863 il Cesare Barda fece risorgere l’università imperiale fondando nella capitale una scuola che era diretta da Leone, un raffinato filosofo e matematico. Il temperamento di questo filosofo e studioso è di gran fama si dice infatti che abbia navigato per il continente alla ricerca di libri rari per la sua biblioteca. La rinascita della cultura fu in concomitanza ad alcuni mutamenti nell’aspetto della fabbricazione dei manoscritti:

- Fino ad allora veniva usata l’onciale per copiare i testi ma questa comportava oltre che un gran dispendio di tempo anche dispendio di spazio, infatti in un foglio a causa della grandezza della scrittura poco poteva essere ricopiato. Per questo motivo nacque la ‘minuscola’ che occupava molto meno spazio e che un abile copista riusciva a scrivere velocemente. Il primo esempio di questa scrittura furono i Vangeli di Uspensky. Tuttavia c’è da pensare che l’adozione di questo stile risalga anche a mezzo secolo prima, così l’onciale fu abbandonata poco per volta fino a scomparire completamente nel X sec.

- Un’altra forse più importante scoperta si deve agli arabi che apprendendo da alcuni prigionieri cinesi a Samarcanda l’arte di fabbricare la carta la esportarono anche a Bisanzio.

Così cominciò l’opera di traslitterazione dei testi nella nuova scrittura, in questo passaggio si commisero talvolta degli errori dovuti soprattuto ad una cattiva lettura della scrittura precedente. Si accetta poi l’ulteriore presupposto che una volta fatta la copia quella in ondale venne poi eliminata e così la copia in minuscola divenne padre delle successive. Tuttavia durante il Medioevo gli studiosi erano soliti confrontare spesso le diverse copie e perciò vennero fatte delle copie di cui qualche traccia sembra esserci stata nella biblioteca fondata da Barda che ricordiamo venne fondata sotto favorevoli auspici e divenne presto il centro di un vivace gruppo di studiosi che si proponevano di recuperare e tramandare la tradizione. I suoi professori furono del tutto messi in ombra dal contemporaneo Fozio, uomo di eccezionale cultura di grande importanza nella Chiesa è molto appassionato di studi. Sedette sul trono patriarcale di Costantinopoli ben due volte, da giovane era stato educato ad una vasta gamma di studi, fu subito favorito a corte e si dice che abbia fondato un circolo di letterati. Egli scrisse un riassunto di libri che forse erano subiti degli incontri del circolo, un’utilissima raccolta chiamata Bibliotheca dove Fozio si propone inventore della recensione di libri sia pagani che cristiani. Inoltre vale la pensa di citare anche un’altra opera il suo Lessico un’opera tipica, preziosa per le brevi citazioni di altre opere. Da allora in poi si trova a Bisanzio una tradizione di studi classici mai più interrotta. Le opere letterarie furono così copiate e studiate a fondo. Il primo grande frutto di questi nuovi interessi filologici si può riscontrare in Areta. Esistono per altro parecchi volumi della biblioteca di Areta e si conoscono copie derivate da altre perdute, quelle che possediamo sono capolavori di calligrafia si pergamena di fine qualità. Sappiamo infatti che Areta commissionava codici a scribi di professione e giungono così a noi opere di Platone, Euclide, Aristotele e alcuni scrittori cristiani.

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6. Il tardo periodo bizantino Con la morte di Areta inizia un periodo dove diventa sempre più difficile identificare studiosi e bibliografi eminenti. L’attività dell’erudito imperatore Costantino VII Porfirogenito diede qualche stimolo alla cultura, egli stesso compose vari trattati di politica. Egli non svolse da solo quest’attività ma ebbe degli aiuti di cui però non sappiamo nulla. Forse durante il regno di Giovanni Zimisce un gruppo di studiosi collaborò ad un’opera preziosa, la Suda che si può descrivere come la combinazione di un dizionario e un’enciclopedia elementare; contiene infatti un gran numero di articoli su personaggi e soggetti classici, tramandando notizie per noi molto utili. Il suo valore deriva sostanzialmente dalle fonti perdute e questo lavoro segna sicuramente qualche progresso perchè è molto di più di un lessico in lingua attica anzi è uno dei libri che può essere a pieno titolo definito enciclopedia. Vi sono manoscritti di classici dai quali risulta che all’inizio del X sec si era ripresa la lettura di Omero, di Teognide e Museo. Alla metà del secolo si leggevano molti altri testi poetici e ne resta la testimonianza in alcuni dei più importanti manoscritti che abbiamo: il testo dell’ Antologia Palatina, l’Iliade di Venezia, l’Aristofane di Ravenna, il Laur. 32,9 che oltre ad essere l’unica copia medioevale di tutte le sette tragedie di Eschilo, è pure di capitale importanza per Sofocle e Apollonio Rodio. Per quanto riguarda gli autori di prosa invece vale la pena citare Efrem, un monaco che scrisse un codice fondamentale di Polibio e due copie di Demostene. Efrem si riconosce come emanuense di altri tre volumi : l’Organon di Aristotele, Atti ed Epistole e i Vangeli dell’anno 948. La cultura e gli studi classici continuarono anche nel XI sec per lo più come prima. Il cambiamento principale segnato da quest’epoca fu dovuto alla riorganizzazione dell’università imperiale , con il nuovo assetto infatti vennero messe in piedi altre facoltà di legge e di filosofia. (Costantino IX 1045) La scuola filosofica fu diretta di Michele Psello che si distinse come pubblico funzionario, consigliere, nonchè filosofo e storiografo. La sua celebrità come insegnante condusse a studi più approfonditi su Platone e Aristotele. Presto però i maestri caddero in disgrazia e lo stesso Psello dovette ritirarsi un monastero per un certo periodo, anche se in seguito tornò ad occupare importante posizioni. Un successivo risveglio della filosofia si può datare invece nel XII sec, quando Anna Comnena fu in relazione con due studiosi che scrissero commentari su Aristotele, Eustrazio di Nicea e Michele di Efeso. I loro trattati sono per lo più dedicati all’Organon, alla Politica e a opere zoologiche. Dal XII sec in poi si può procedere a singoli riferimenti di personalità. La più eminente fu quella di Eustazio, un insegnante di retorica, che si interessò ai classici pur adempiendo a doveri sacerdotali. Egli era a conoscenza di molti testi che sono stati perduti come risulta da suoi testi e da qualche citazione specie dell’Antigone di Sofocle, e sembra da un appunto a Pindaro che abbia letto più di noi degli Epinici. Tuttavia i suoi lavori più importanti furono i commentari di Aristofane, Dionisio Periegeta e soprattutto di Omero su cui si spese molto se pensiamo che solo il commento al primo verso occupa circa 10 pagine. Due minori contemporanei di Eustazio furono Giovanni Tzetzes che si occuopò di tre commedie di Aristofane, Esiodo e in parte di Omero; e Michele Coniate che era l’orgoglioso possessore dell’Ecale di Callimaco.

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Dopo il 1204, con la presa e il sacco di Costantinopoli della quarta crociata, furono causati gravi danni alle biblioteche, furono infatti distrutti i testi sopra menzionati. Mentre la capitale era occupata dai Franchi e la Grecia era divisa tra i baroni occidentali, gli imperatori Giovanni Duca Vatatzes e Teodoro Lascaris si occuparono di promuovere scuole e biblioteche così fondarono una vera e propria istituzione secondaria. La fine del XII e l’inizo del XVI secolo nonostante le contese e le invasioni dei Turchi, vide alcune delle migliori opere bizantine su testi classici, risulta inoltre che esistettero parecchie scuse a Costantinopoli e Tessalonia presiedute da due uomini:

- Massimo Planude (1255-1305) che lavorò nella capitale conseguendo grandi risultati, fu mandato anche a Venezia dove acquistò una buona conoscenza del latino. Così lesse molte opere in latino eseguendo buone traduzioni fra le quali vanno annoverate quelle di Agostino, Boezio, Macrobio e le Eroidi e Metamorfosi di Ovidio. Per quanto riguarda la tendenza conservativa della lingua greca letteraria possiamo dire che alcune versioni del Planude si potrebbero stampare con pochi cambiamenti. E perciò di importanza maggiore il suo studio sui testi greci, si attribuisce a lui la paternità di un grosso volume che raccoglie poeti classici. Soprattutto si deve allo studioso un’edizione riveduta dell’Antologia Palatina che raccoglie però epigrammi non presente nella precedente. Egli usò un metodo sofisticato per preparare le edizioni di Plutarco: precisò infatti la lunghezza di ogni lacuna e il numero delle lettere mancanti. Tuttavia questo metodo non è sempre utile agli studiosi moderni perchè molto stesso non ristette alla tentazione di integrare le parti mancanti. Inoltre scrisse un opuscolo a favore dell’introduzione delle cifre arabe.

- Demetrio Triclinio (1305-20) fu il primo tra i bizantini ad aver padronanza della metrica classica, si imbattè infatti in un antico trattato di Efestione e ne ricavò l’essenziale proponendosi così di correggere negli autori classici i molti passi sospetti o corrotti. Tuttavia le sue conoscenze metriche non erano affatto perfette, talvolta raggiunse risultati utili e riconosciuti dai moderni ma spesso ripiegò su facili rimedi come inserire parole di riempitivo per sanare errori, il tutto fatto però senza un’approfondita conoscenza dello stile e della lingua in poesia classica. Il suo secondo grande lavoro fu quello di redigere una nuova nuova forma di scolii a vari autori, vagliò il vecchio materiale e selezionò quello che gli sembrava più utile e in questo modo mise insieme dei commenti che contenevano un certo numero di glosse in più di altre da lui stesso aggiunte, che sono le più preziose per gli studiosi moderni. Compose un commento metrico a se stante su molti drammi tra cui Aristofane. Per questo motivo il Triclinio merita di essere annoverato fra i precursori dei moderni editori. Un’altra scoperta fu un manoscritti che conteneva ben 9 tragedie di Euripide che egli fece copiare e che sono quelle che altrimenti non sarebbero giunte a noi.

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3. L’occidente Latino

1. L’alto Medioevo Il sesto secolo vide il crollo finale di ciò che rimaneva dell’Impero Romano d’Occidente. In Italia il governo di Teodorico si distinse per Boezio e Cassiodoro, ma fu seguito dalla distruzione del regno Ostrogoto. Nelle provincie andava poco meglio, in Africa per esempio alcuni prodotti come l’Antologia Latina furono effettivamente trasmessi in Europa, in Spagna si doveva assistere ad una rinascita della cultura ed effettivamente ad un buon punto si giunse con Isidoro di Siviglia, in Gallia invece la rinascita della dinastia dei Merovingi fu del tutto incapace di favorire qualunque continuità culturale. Le devastazioni della conquista e delle barbarie eliminarono ogni speranza di progresso nella vita di studi e di cultura. La cura della scuola e dei libri passò infatti in poco tempo al patrocinio della Chiesa che in questo periodo era più ostile alla letteratura pagana. Tuttavia possiamo affermare che c’erano ancora libri, c’erano avanzi della biblioteche private soprattutto dell’età dei Simmachi e fondi cospicui venivano conservati a Roma, Ravenna e Verona. Le lussuose copie di Virgilio ci testimoniano come in Italia il commercio di libri esisteva ancora e perciò troviamo resti di Plauto e Terenzio, Ovidio, Virgilio e Cicerone e Sallustio. ( era possibile ancora nel 500 ottenere qualche copia della latinità) La maggior parte della letteratura latina veniva conservata nelle biblioteche o scriptoria monastici; i centri del monachesimo infatti venivano destinati a sostenere la preservazione nel tramandare ciò che restava dell’antichità pagana. Un primo e cospicuo esempio fu Vivario, che Cassiodoro fondò dopo il 540. Egli arrichì la sua fondazione di una buona e funzionale biblioteca, il suo programma è tracciato chiaramente nelle Istitutiones divinarum et specularium litterarum. Quest’uomo appare in retrospettiva un uomo lungimirante che aveva anche della attitudini pratiche, egli infatti comprese la necessità di tradurre in latino autori greci di esegesi, filosofia e scienza e questo contribuì effettivamente ad aumentare il corpus di letteratura greca disponibile in latino. Anche autori pagani erano dunque presenti nella sua biblioteca e nei programmi di studio. Certo è però che il suo contemporaneo Simmaco valutava in maniera più positiva la cultura pagana. Non risulta nemmeno che Vivario abbia avuto qualche merito nella trasmissione dei classici visto che per lo più presero la via di Roma. Successivamente troviamo la fondazione di Montecassino nel 529, ad opera di S. Benedetto da Norcia, questa gettò sicuramente le basi su cui poi si sarebbe fondata la vita monastica occidentale. Per quando rigurda invece la figura di Isidoro di Siviglia è importante perchè la diffusione delle sue opere in Europa fu rapida. Si ricordano soprattutto le sue Etimologie che erano l’ultimo prodotto della tradizione enciclopedica romana e il puto di partenza delle compilazioni medioevali; l’opera è sistematica è piena di informazioni vere ed erronee, molto spesso vengono proposte false etimologie troppo mirabolanti. Da parte sua è chiaro un certo astio verso le opere pagane , si sentiva più a suo agio nelle opere neutre di scoliasti e compilatori. Il periodo che va dal 550 al 750 fu un vero e proprio periodo buio per i classici latini che essenzialmente non vennero più ricopiati. Il destino dei libri dell’antichità molto spesso fu

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quello di essere raschiati via per fare spazio a testi che in quel momento erano più richiesti, non c’era effettivamente interesse a leggerli.

2. Irlanda e Inghilterra Un nuovo movimento cultura era già iniziato in Irlanda, paese di cultura latina fino al tardo quinto secolo, destinato ad avere una parte essenziale nella storia della cultura europea. Quello che caratterizzava davvero gli irlandesi era la passione intensa priva di inibizioni con cui leggevano i testi classici, la loro prontezza ad imparare e la loro peculiarità nell’arte; ricordiamo che infatti dai manoscritti semi-onciali che avevano acquistato dalla Gallia svilupparono una bellissima semi-onciale loro propria. Oltretutto la fondazione di Iona come centro della cristianità celtica al di fuori dell’Irlanda segnò l’effettivo della conversione con la Scozia e condusse in breve termine quest’influenza a dare vita a ricchi e importanti monasteri. Mentre la cultura irlandese si preoccupava di penetrare anche in Inghilterra , nella parte meridionale si rafforzavano i rapporti con Roma prima quando fu mandato Agostino che riuscì a portare a Canterbury il primo centro della cristianità e poi Teodoro Tarso e Adriano di Niridano che riuscirono ad esportare la Chiesa Romana in tutto il paese. Un aspetto importante di tutto ciò fu l’afflusso di libri che ne conseguì. Teodoro ed Adriano vennero con un programma di scuole e di studi letterari ma non abbiamo notizie precise.

3. I missionari anglo-sassoni La ricca e vigorosa cultura che nacque in Inghilterra si irradiò presto sul continente. Gli Irlandesi infatti avevano presto comunicato con la loro voglia missionaria il loro modo soprattutto tramite prima Willibrord che si accupò dei Frisioni e divenne arcivescovo, e poi Bonifacio che stabilì la sua sfera di attività in Germania aiutato dai successori Carolingi soprattutto Carlo Martello. Fra i suoi avversari in teologia c’era Virgilio vescovo di Salisburgo, un uomo di vasta cultura con uno spiccato talento per la satira che richiama il nostro interesse soprattutto per la sua parodia cosmologica, la cosiddetta Cosmographia di Etico Istro costruisce un anello in una catena di trasmissione che conduce dall’antica Ravenna la Rinascimento. Il risultato di ciò fu il sorgere di importanti centri episcopali come Magonza e Wurzburg.

4. Influenza insulare su testi classici La spinta della cultura anglo-Latina non influì soltanto sulla pratica libraria e sulle biblioteche ma soprattutto sulla ripresa della letteratura latina. Restano due codici scritti proprio nell’ottavo secolo in Northumbria, i quali mostrano che effettivamente ad un certo punto passarono attraverso l’Inghilterra settentrionale: sei libri della Storia Naturale di Plinio ed un unico foglio di Giustino. Per alcuni autori abbiamo copie in scrittura insulare di qui troviamo i ‘sintomi insulari’ errori compiuti per una cattiva interpretazione delle lettere o abbreviazioni peculiari mal riportate.

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5. La rinascita carolingia Il rifiorire dei classici alla fine dell’ottavo secolo e all’inizio del nono si svolse sullo sfondo di un impero riconosciuto che si estendeva dall’Elba all’Ebro, saldato da un’unità politica e spirituale grazie ad un imperatore e la benedizione di Roma. Il movimento culturale comunque mantenne il suo impeto nel nono secolo e sopravvisse nel decimo. La Chiesa fu lo strumento naturale per realizzare il programma di istruzione ma molto spesso il livello di conoscenza culturale non era sufficiente e fu allora che Carlo Magno decise di alzare il livello culturale del clero. Gli anglo-sassoni furono i maestri dato che in quel momento il centro culturale era l’Inghilterra, lo studio fu elementare e utilitaristico. Questo metodo di studi non arrivò effettivamente ad istituzionalizzassi ma tuttavia grazie alla nascita di scuole e monasteri annessi si garantì un livello minimo di istruzione. Alcuni potè innalzarsi ad altezze maggiori quando la corte divenne il centro di fruttuosi scambi tra poeti e studiosi, ricordiamo infatti uomini di invettiva come Pietro di Pisa o Paolo Diacono. Una conseguenza importante della riforma scolastica fu sicuramente il bisogno di libri i quali infatti furono apprestati in misura senza precedenti.

6. La formazione della minuscola carolina La fine del settimo e l’inizio dell’ottavo secolo segnò un pò ovunque un periodo di sperimentalismo nell’arte dello scrivere. Mentre gli Irlandesi e gli Inglesi crearono dalla semi-onciale una loro minuscola, altre ne erano sorte in Europa:

- La visigotica che fiorì in Spagna di cui ci rimangono però pochissimi codici - La beneventana che fiorì invece in Italia a sud di Roma era un forma completamente

di elementi corsivi che ebbe la massima fioritura nell’undicesimo secolo; il centro principale fu Montecassino.

- Le antiche minuscole della Gallia merovingica sono invece importanti nella trasmissione dei classici e soprattutto come precorrittrici delle caroline; da esse l’istanza calligrafica degli emanuensi sviluppò una minuscola destinata a diventare la scrittura normale dell’Europa occidentale. Il risultato fu limpido e splendido e deve aver avuto un ruolo importante nella convenzione della scrittura dei testi classici, sistemandoli in una forma che sarebbe potuta essere fruibile a tutti.

7. Le biblioteche caroline e i classici latini

Recenti ricerche dimostrano che nel cuore della rinascita carolingia di sviluppò un elenco di autori conservati in un monastero di Berlino straordinariamente ricco e raro, annovera infatti la maggior parte di autori della latinità classica e alcuni dei libri saranno stati codici antichi in onciale e capitale. E’ chiaro che questo si deve alla facilità con cui abati o vescovi potevano arricchire la loro biblioteca dai libri che erano conservati alla Palatina della quale si sa che molti volumi finirono nei monasteri. Altri volumi di classici in Francia rivelano il contenuto della stessa feconda sorgente, così la scienza della paleografia getterà più luce sullo spostamento dei libri. L’uso di copiare codici nell’impero di Carlo Magno si diffuse rapidamente in ogni luogo e in ogni direzione. Tutti gli esemplari di antichi manoscritti venivano trasformati in copie minuscole e queste presto generarono discendenti ramificando si in complessi schemi. La

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diffusione di questi testi portò inevitabilmente il contenuto di queste biblioteche ad essere un pò monotono. Se si dovesse fare un inventario dei classici disponibili alla fine del nono secolo risulterebbe che alcuni autori erano solidamente legati alla tradizione letteraria e scolastica e quindi a Orazio, Virgilio, Lucano, Terenzio e Sallustio, mentre meno considerati erano Marziale, Svetonio, Plauto e Lucrezio.

8. La filologia nel nono secolo Una delle cose davvero sbalorditive di quest’epoca fu la gran quantità di pergamena che venne usata, dilagarono infatti un’infinità di pubblicazioni che trattarono un gran numero di materie e di interessi, qualunque cose richiedesse uno studio o un uso della lingua più raffinato favorì la tradizione classica. Il codice Oblongo fu uno dei principali manoscritti di Lucrezio oltre ad essere uno dei principali esempi dell’attività erudita rivolta ai testi classici, fu corretto ed insieme supplito in scrittura insulare. Un altro irlandese, Sedulio Scoto, si guadagnò un posto importante nella storia della filologia, fu versatile e dotato. Ci interessa maggiormente come compilatore di un Collectaneum , una collezione di estratti da vari autori, e vi traspare un certo interesse per lo stile degli autori e una grande cultura letteraria. Per le orazioni di Cicerone sembra abbia usato uno dei manoscritti più importanti che rimangono, copiato in Italia. Adoardo invece ci ha lasciato un florilegio analogo anche se egli mostra molto meno rispetto per gli autori, usando frasi fuori dal contesto, senza citarne l’autore o l’opera. L’ampiezza delle sue fonti è invece notevole per le opere ciceroniane. Un documento più vivo che riflette tutta l’attività e i gusti del compilatore è il libro di appunti di Walafrido Strabone. Lo studioso che invece troneggia sui suoi temporanei è Lupo di Ferrières, egli solo sembra preannunciare il Rinascimento. Le sue lettere sono del massimo interesse, dominate da passione erudita. Il suo particolare merito consiste nel fatto che fu avido di ottenere codici di opere che già possedeva così da confrontarle e correggere mediante collazione. Tuttavia scrisse poco è il monumento del suo umanesimo sono i manoscritti di autori classici che rivelano il lavoro svolto soprattutto per il De Oratore di Cicerone. Quest’uso di collazionare manoscritti era stato forse anticipato da Teodolfo il quale aveva preparato una edizione della Vulgata usando sigle nei margini per distinguere le fonti delle sue varianti. Lupo fu maestro di Heiric di Auxerre che fu il primo ad attingere agli estratti di Petronio che circolava adesso raccolto in un volume a Berna e gli va attribuita una raccolta he seppur piccola raccoglie importanti opere di Valerio Massimo e Pompenio Mela.

9. Il crepuscolo carolingio Nel corso del nono e decimo secolo l’impero sopportò ripetuti attacchi da molti fronti dai Vichinghi, Saraceni e Ungheri; intere regioni furono devastate e le molte discordie interne condussero nell’843 ad un scissioni in tre separate unità politiche. Nonostante questo il sistema di studi carolingio aveva impeto sufficiente a marciare finchè una nuova età fosse in grado di raccogliere la tradizione classica e sfruttarla più intensamente.

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Il X secolo fu veramente un periodo di transizione in cui si verificò un abbassamento generale del livello di cultura e un calo nella produzione di manoscritti classici. Tuttavia tra gli studiosi di questa età ce ne furono due davvero rilevanti:

- Raterio dal carattere impetuoso e dalla lingua feroce che aveva imparato bene dai satirici latini e che contribuì al rendersi insopportabile al clero. Richiama la nostra attenzione in particolar modo perchè conosce due testi abbastanza rari, Plauto e Catullo.

- Gerberto fu invece al centro dei risveglio culturale in Germania. Dal sorgere del SRI derivano fruttuosi contatti tra Italia e Germania e testimonianze dei risultati filologici conseguiti nelle scuole tedesche furono sicuramente un manoscritto di Livio è un importante volume contenente svariate opere di Cicerone.

10. La rinascita di Montecassino

L’avvenimento più grandioso di questo periodo fu sicuramente lo stupefacente risveglio di Montecassino. La splendida fioritura di attività artistica e intellettuale si ebbe sotto l’abate Desiderio e questa fu accompagnata da un rinnovato interesse per i classici e tra l’XI e il XII secolo fu scritta una meravigliosa serie di importanti codici beneventani di codici classici, inoltre furono recuperati parecchi testi.

11. Il rinascimento del dodicesimo secolo L’insegnamento stava passando lentamente dai modici e dai monasteri al clero secolare nelle scuole delle cattedrali e delle città. Una vita intellettuale più vivace passò nelle mani delle scuole capitolari e crebbe rapidamente fino a sfociare nelle prime università. Il centro più importante per la ripresa del diritto romano fu Bologna, la prima scuola di medicina nacque a Salerno e il regno Normanno e di Sicilia favorì la versione di opere tecniche greche in latine, mentre la Spagna diventava la capitale dell’attività di traduzione. Nel nord invece la vita intellettuale si consumava in Inghilterra ma soprattutto a Parigi dove crebbero la filosofia e la dialettica. Così il patrimonio dell’antica Roma continuò ad essere materia fondamentale alla base della cultura nonostante altri interessi in diritto, medicina, retorica e logica. Nello stesso tempo furono ampliati ed intensificati gli studi di letteratura antica, si ravvivò l’interesse a testi che non erano stati ideati per il chiostro. Era diffusissime le poesie d’amore e gli scritti morali satirici. Col tempo però le cose cambiarono e Virgilio fu allegorizzato, Ovidio moralizzato e i satirici incrostati di glosse e commenti. Seneca fu mescolato con materiale di scrittori cristiani, Ovidio subì prestiti per le scene erotiche dell’elegia del tempo e con tono grottesco furono distorti i Remedia Amoris. Qualche idea sulla familiarità con la letteratura latina si può ricavare dalle opere di due inglesi:

- Guglielmo di Malmesbury che aveva a disposizione una biblioteca eccellente che egli stesso si curò di arricchire e fu uno dei primi ad approcciarsi con l’Apocolocyntosis di Seneca e con le Epistole dello stesso. Il suo particolare campo di attività era quello di cercare testi affini e riunirli, ne è un buon esempio una silloge storica con Vegezio, Frontino ed Eutropio.

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- Giovanni di Salisbury come stilista non ebbe rivali in tutto il Medioevo, assimilò una gran quantità di letteratura patristica. Le sue letture preferivano Cicerone, Seneca e Valerio Massimo, straordinaria fu la sua conoscenza del testo superstite di Petronio.

- Will invece va comunque ricordato perchè concepì l’ambizioso progetto di riunire tutto Cicerone in un solo volume ed effettivamente ci riuscì e fu un importante fonte per il testo è una magnifica testimonianza dell’umanesimo dell’epoca.

12. L’epoca della Scolastica

Alla fine del XII secolo e durante tutto il XIII le università e le scuole si occuparono di assimilare e organizzare il materiale delle idee già portate a galla piuttosto che dedicarsi a nuove scoperte. Le armi impegnate furono la logica e la dialettica, scienze che dominavano non solo la filosofia ma anche la grammatica e l’esegesi. In questo modo la lettura di autori antichi cedette il posto a cose più pratiche, le artes. I classici rimasero una valida fonte per aneddoti morali, non si faceva più attenzione però alla forma e allo stile, così la materia era più semplicemente ridotta agli exempla. Gli eroi del momento furono così i costruttori di sistemi filologici e teologici tra cui Vincenzo di Beavais, il più monumentale enciclopedista del Medioevo e il suo Speculum mais fu un tentativo di ridurre tutto lo scibile sotto un unico corpus. Egli era anti-pagano ma come molti capì il valore dei testi profani così attinse da Ovidio e Seneca. Un altro fu Riccardo di Fournival che componeva la sua Biblionomia esponendo la letteratura e la saggezza del mondo a guidi dei suoi concittadini. Questa bibliografia sistematica altro non è che l’effettivo catalogo della biblioteca, pazientemente costruita, dallo stesso Riccardo. Sopravvivono i manoscritti di Properzio e delle Tragedie di Seneca che cominciano a mostrare segni di vita. Lo stesso Properzio è un nome nuovo per i Medioevo tanto che l’esemplare che Fournival si fece allestire è quello a cui noi attingiamo. Le Tragedie non furono l’unica opera di Seneca ad apparire in questo periodo, vanno infatti annoverati anche i Dialoghi. Li conosceva Giovanni di Garlandia tuttavia i primi a farne effettivo uso, sebbene il testo circolasse già in Francia, furono Giovanni di Galles, che scrisse trattati quali il Communuloquium è il Compendiloquium, pieni di richiami agli antichi che aprivano u a finestra sulla gratitudine verso i classici; poco dopo Nicola Trevet legato sia ad Oxford che a Parigi fu il commentatore a Livio e alle Tragedie di Seneca. Importante infine la figura di Tommaso Waleys che arriva ad essere quasi un umanista, egli afferma infatti di aver visto una copia delle Metamorfosi di Apuleio, può citare la rara quarta decade di Livio. In questo modo di gli studi classici continuavano e progredivano adattandosi a nuovi gusti e condizioni.

13. Il greco in Occidente nel Medioevo L’Italia era stata per ogni riguardo un paese bilingue, ma con il declino dell’impero greco questo cadde in disuso, eccetto che nell’estremo sud della penisola e in Sicilia, colonie elleniche. Si sa che il monastero di Cassiodoro ebbe un nucleo di testi greci ma non c’è traccia che questo abbia contribuito alla conservazione della lingua nel resto dell’Europa occidentale; cos’ divenne un traguardo estremamente raro nel Medioevo.

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Per un breve periodo nel IX secolo si manifestò un certo interesse per il greco, resistono ancora alcuni manoscritti biblici bilingui che si pensa provengano dallo scriptorium di S. Gallo. Nel XII secolo la quantità di testi tradotti era sensibilmente aumentata per merito di due personaggi Burgundio da Pisa e Giacomo Veneto. Così un pò meglio conosciute sono le versioni di Platone, Euclide e Tolomeo eseguite in Sicilia sotto l’egida di Enrico Aristippo. Egli stesso tradusse il Fedone e il Menone di Platone e alcune opere di Aristotele; inoltre gli va reso il merito delle versioni di Euclide, Proclo e Tolomeo. Mentre l’ammiraglio Eugenio tradusse l’Ottica di Tolomeo dall’arabo al latino, è chiaro che l’interesse di questi uomini era chiaramente la scienza. Così ricordiamo altri uomini ed il loro lavoro:

- Gerardo da Cremona che tradusse l’Almagesto di Tolomeo. - In Spagna ebbe più fortuna l’aristotelismo così troviamo traduzioni e commenti

arabi di Avicenna e Averroè. - Roberto Grossatesta studiò Aristotele e tradusse lo ps. Dionigi. - Ruggero Bacone scrisse una grammatica greca. - Guglielmo di Moerbeke tradusse parti di Archimede e di Aristotele. - Un greco di nome Nicola invece tradusse molte opere attribuite a Galeno delle quali

sopravvivono solo in versione latina.

4. Il Rinascimento

1. L’umanesimo Conviene a questo punto considerare il Rinascimento come il periodo che si estende dal 1300 alla metà del 500. Un movimento culturale che si distingue fu appunto l’Umanesimo che era già in atto in Italia alla dina del XIII, così a metà del XVI secolo si era diffuso in quasi tutta l’Europa. Uno studioso del tardo Rinascimento così poteva disporre di tanto della letteratura latina e greca quanto noi oggi possiamo leggerne, mentre le traduzione del greco e del latino nelle lingue della nazione aiutò a rendere accessibile il corpus degli autori greci ad un più vasto pubblico. L’Umanesimo fu dal principio un’attività letteraria e fu strettamente connessa allo studio e l’imitazione dei classici. Così l’origine del termine ‘umanesimo’ va ricercata nella parola umanista ad indicare il professore di discipline classiche, gli studia humanitatis che erano cristallizzati nella grammatica, storia poesia e filosofia morale. Molti umanisti, soprattutto nel 400, esercitavano la professione di professori di discipline letterarie, e così presero il posto dei dictatores medioevali, ricordando che questo fenomeno fu del tutto medioevale, stereotipato ed elaborato. Importante sottolineare ora la natura profana dell’istruzione in Italia, grazie alla possibilità di una cultura urbana e una classe di professionisti che potevano permettersi di coltivare i propri interessi classici pur essendo parte della vita cittadina. Così gli scrittori di Roma furono ripresi non solo come materia di studio ma anche come base d’eloquenza; proprio questa padronanza della lingua latina permise agli uomini del Rinascimento da far colpo sui loro pari, distinguendosi e dando l’impulso ad una stagione

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di studio più appassionato e globale della vita antica nel sentimento nostalgico di identificarsi con gli ideali degli uomini e del mondo antico. Infine sottolineano come la letteratura fu emancipata dal ruolo a cui era stata malamente ridotta, l’umanesimo infatti ebbe un carattere profano e contribuì all’insegnamento laico in Italia.

2. I primi umanisti

Gli inizi dell’Umanesimo sono chiaramente ricercabili in una piccola cerchia di letterati sorta a Padova nella seconda metà del duecento. La figura principale tra questi preumanisti fu Lovato Lovati (1241-1309) che aveva mostrato un sincero interesse per la poesia classica ed un notevole fiuto per i testi sepolti e sconosciuti da secoli nonché una certa abilità nell’influenzare un circolo di amici. Delle sue opere ci restano le Epistole metriche che sono davvero importanti per la conoscenza di autori romani che rivelano, Lovati infatti con una generazione d’anticipo ha conosciuto le opere del maggior parte degli autori latini. È così Petrarca non è il primo conoscitore di Properzio e nè Salutati quello di Tibullo. Inoltre sappiamo che altri membri dello stesso circolo avevano familiarità con una simile schiera di poeti latini. Una straordinaria indicazione sulla sorgente di alcuni dei testi di Lovato è stata trovata in un manoscritto del British Museum, un’altra fonte fu sicuramente la biblioteca di Verona. Lovato ci ha pure lasciato appunti sulla metrica e sulla prosodia delle tragedie di Seneca. Presente un certo contrasto un altro giudice padovano dello stesso circo, Geremia da Montagnone (1255-1321), il suo Compendium moralium notabilium, godette infatti di una vasta diffusione e infine fu stampato a Venezia nel 1505. Fu una minuziosa distinzione tra scrittori classici e medioevali in cui si trovavano anche preziose citazioni da Catullo a Marziale, dalle Odi di Orazio a Seneca. Il successore spirituale di Lovato fu Albertino Mussato (1262-1329) che riuscì a distinguersi in molti campi, lesse gli stessi autori latini letti da Lovato e studiò le tragedie di Seneca; scrisse pure delle Historiae modellate su Livio, Sallustio e Cesare. Inoltre per aprire gli occhi ai Mantovani sulla minaccia del signore di Verona, compose una tragedia, ispirandosi a Seneca, che narra a tinte fosche l’ascesa e la caduta dell’antico tiranno di Padova. È così l’Ecerinide fu la prima opera del suo genere scritta in metro classico dopo l’antichità. L’umanesimo padovano filtrò nella vicina città di Vicenza, dove Benventuro Campesani (1255-1323) compose il suo famoso ed enigmatico epigramma che celebra il ritorno a Verona del poeta Catullo, perso da lungo tempo. Verona allevò una tradizione di umanesimo più filologico nutrito da una biblioteca che annoverava tra i suoi tesori il perduto Veronese delle Epistole di Plinio e il manoscritto del nono secolo dell’Historia Augusta. Entrambi i testi furono usati da Giovanni de Matociis che oltre alla sua opera principale, l’Historia Imperialis, compose il primo lavoro critico di storia letteraria, la Brevis adnotatio de duobus Pliniis.

3. Il consolidarsi dell’umanesimo : Petrarca e la sua generazione Bisogna ricordare lo splendore con cui Petrarca (1304-74) fa la sua comparsa nel mondo dell’Umanesimo. Egli fu infatti un uomo e un poeta i cui orizzonti furono più vasti di quelli di chiunque altro e la sua influenza si estese nella maggior parte dell’Europa occidentale,

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egli ebbe l’intuizione e l’abilità di unire i due fili esistenti dell’umanesimo, quello letterario e quello filologico; si spinse così oltre da far rivivere attraverso il diaframma di una società prettamente cristiana gli splendori di quella Roma pagana. Fu una fortuna per Petrarca che proprio in quel periodo la Chiesa avesse trasferito la sua sede da Roma ad Avignone, un centro situato in una località perfetta per essere il punto di contatto tra nord e sud, e inoltre cominciarono a convergere verso la corte pontificia un gran numero di persone differenti, così colti uomini di chiesa e di legge con una crescente tendenza verso le opere classiche cominciarono ad attingere all’eredità medioevale del nord. Così furono a portata di mano le biblioteche monastiche e capitolari della Francia e molti studiosi si rivolsero a Nicola Trevet a Oxford; debitore fu dunque Petrarca per questa società soprattutto grazie ad un importante contribuito che gli permise di capire quanto fosse inadeguato guardare all’antichità con lo stesso occhio utilizzato durante il Medioevo. Al British Museum di conserva un manoscritto di Livio che testimonia l’importanza di Avignone quale ponte fra il Medioevo e l’Umanesimo e il ruolo che riveste Petrarca in tutto questo; questo volume infatti fu riunito da lui quando aveva poco più che vent’anni. Questo nucleo contiene la terza decade di Livio, più successivamente una copia della prima e della quarta, nel 1329 egli era l’orgoglioso possessore del Livio più completo e curato. L’intero testo fu supplito, corretto e postillato dallo stesso Petrarca. Importante è adesso sottolineare come per questi libri fu di vitale importanza un esemplare della stessa tradizione di quello perduto della cattedrale di Spira usato da Beato Renano e Gelenio. Nel 1328 Landolfo Colonna dalla quale famiglia lo stesso Petrarca ottenne protezione, portò ad Avignone una copia dell’antico manoscritto di Livio che aveva trovato in quella cattedrale. Questo grande volume venne più tardi in possesso di Lorenzo Valla, di cui si vedono nei margini i famosi emendamenti. Questa felice Unione di raccoglitore di libri e di filologo portò Petrarca a procurarsi presto una biblioteca classica che per vastità superò qualsiasi sua contemporanea. Possiamo così ricostruire la sua collezione di Cicerone, un autore che considerava un suo alter ego e di cui raccoglieva quasi tutte le opere filosofiche, quelle retoriche, le Epistole è un folto corpus di orazioni. Ancora più importante fu l’intensità con cui lesse e rilesse i libri che egli riteneva più importanti, la pazienza con cui corresse e postillò i suoi testi per dare alla luce edizioni embrionali del Livio Harleiano e del Virgilio Ambrosiano. Uno dei primi a cedere sotto la sua influenza fu Boccaccio (1313-1375), le sue prime opere appartengono alla tradizione medioevale di retorica e romanzo; certo è che come studioso rimase molto al di sotto del suo modello, fu soprattutto un raccoglitore di fatti di vita e letteratura antica e i suoi trattati enciclopedici sulla mitologia e geografia godettero di una grande fama. Nutriva un interesse per la poesia confrontandosi con Ovidio e Virgilio, ma si interessò anche alla prosa avvicinandosi a Tacito ma soprattutto ad Apuleio una ricchezza chiusa a Montecassino. Queste scoperte vanno attribuite ad un umanista, Zanobi di Strada. Di sua mano sono i marginalia in tutti e tra i più antichi manoscritti di Apuleio. Questi testi conservati attraverso il Medioevo a Montecassino furono presto nelle mani degli umanisti fiorentini. Il Boccaccio pose il suo genio ed il suo entusiasmo al servizio del movimento umanistico e soprattutto lo portò a Firenze e fece un primo tentativo di restaurare lo studio del greco.

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4. Coluccio Salutati (1331-1406) Coluccio Salutati ebbe uno scarso talento letterario e la sua filologia non fu di altissima classe, tuttavia costituì un anello critico nell’evoluzione dell’umanesimo. Si ispirò sicuramente alla generazione che lo aveva preceduto e trasmise la fiaccola alla successiva ondata di studiosi molti dei quali vennero in seguito considerati suoi allievi, quali Poggio Bracciolini e Leonardo Bruni. Sulla sua personalità vale la pena dire che sfrutto molto la potente alleanza sorta tra l’umanesimo e la politica, impiegando il latino e la sua cultura contro i pretendenti e i nemici. Lesse gli antichi autori con passione e conseguì una profonda intimità con essi, fu infatti un attivo collezionatore di manoscritti, e mostrò interesse nell’individuare i modi in cui i testi possono essere corrotti e così offrì lodevoli contributi alla critica testuale è ben noto infatti il suo emendamento di Scipione Nasica in Scipione Asina in Valerio Massimo 6,9,11. Non si può poi trascurare la sua biblioteca di cui sono stati identificati più di 100 volumi, uno di questi è una copia eseguita di suo pugno delle Tragedie di Seneca. Fra i pezzi migliori c’è anche un manoscritto completo di Tibullo, uno dei tre testimoni primari per il testo di Catullo e una copia delle Ad familiares di Cicerone. Queste furono trovate a Vercelli e dopo qualche anno Salutati ottenne anche le Epistole ad Attico.

5. L’età delle grandi scoperte: Poggio Bracciolini (1380-1459) Quanto alla pura abilità di riportare alla luce testi perduti sopra tutti si ergeva Poggio Bracciolini quando fu convocato il Concilio di Costanza (1414-1417) per sanare il Grande Scisma e l’intera corte papale dovette trasferirsi a Costanza così molti umanisti poterono dedicarsi alla ricerca di testi classici. Poggio compì parecchi viaggi: -andò al monastero di Cluny in Borgogna dove trovò un antico manoscritto di orazioni ciceroniane; questo codice che risale almeno all’XVIII sec è chiamato vetus Cluniacensis e la sua copia è forse il risultato più grande conseguito dal filologo inglese studioso di Cicerone A. C. Clara. -successivamente si diresse a San Gallo e da lì seguirono tre importanti scoperte, un Quintiliano completo, il Commentario di Asconio a Cicerone e un codice contenente quattro libri delle Argonautiche di Valerio Flacco. -nel 1417 invece insieme ad un amico Bartolomeo da Montepulciano ritornarono a San Gallo dove scoprirono opere di Lucrezio, Silio Italico, Manlio e Ammiano Marcelino. In questo stesso periodo Poggio acquistò un famoso volume di Ammiano che portò in Italia -ottenne un esemplare di Columella -compì inoltre lunghi viaggi in Francia e in Germania dove scoprì otto orazioni di Cicerone e le Silvae di Stazio -trascorse anche un periodo in Inghilterra dove l’unica scoperta fu gli exempla vulgaria, mentre poco tempo dopo trovò la Cena Trimalchionis, dalla copia eseguita per lui discende la nostra unica fonte per la Cena completa. I risultati conseguiti nel compo delle scoperte furono davvero prodigiosi, Poggio sembra essere stato anche l’inventore della scrittura umanistica quando con il passare del tempo la Carolina era diventata poco bella ed elegante trasformandosi in quella che è chiamata scrittura gotica. Altre scoperte pag. 145

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6. La filologia latina nel ‘400: il Valla e Poliziano

L’animato interesse verso tutti gli aspetti della vita e della letteratura antica condusse ad un vigoroso progetto nelle principali discipline e tecniche volte alla piena comprensione dell’antichità classica, cos’ la critica storica e testuale furono esercitare con particolare vivacità di ingegno da due umanisti che si possono considerare i migliori umanisti della filologia del XV sec. I metodi critici di questo tumultuante umanesimo furono attentamente vagliati da Lorenzo Valla. Egli fu istruito in latino e greco dai migliori insegnanti del tempo data la sua eccezionale abilità. Una prima vittima della sua capacità critica fu la Donazione di Costantino, un famigerato documento, che rafforza le pere pontificie al potere temporale registrando il leggendario dono di Roma e delle provincie d’Italia da parte di Costantino al Papà, nel 1440 Valla dimostrò che si trattava di un falso; ugualmente egli attaccò la falsa corrispondenza tra Seneca e S. Paolo che aveva goduto di molta fortuna dai giorni di S. Girolamo. La sua opera più famosa sono le Elegantiae che trattano argomenti di stile, locuzioni e grammatica latina. Nel 1446-47 furono seguite delle Emendationes sex librorum Titi Livi, questo capolavoro filologico fu ideato per screditare altri due studiosi alla corte di Alfonso e rese dolorosamente evidente che solo i migliori potevano emendare Tito Livio. Una delle armi nel suo arsenale era il grande volume delle Storie messo insieme da Petrarca. Egli osò emendare la stessa Vulgata e le sue postille e correzioni basate su uno studio dellìoriginale greco e dei più antichi testi patristici (egli trovò infatti il tempo di essere un prolifico traduttore dal greco). Poliziano invece nacque a Montepulciano e fu educato a Firenze e subito entrò alla corte di Lorenzo de’ Medici, che lo nominò tutore dei suoi figli; così a trent’anni era un professore di tale fama che attirava dotti da tutta l’Europa alle sue lezioni di letteratura greca e latina. Fu inoltre il migliore poeta del suo tempo. Egli inoltre si guadagnò un’eminente posizione nella storia della tradizione classica tanto per la sua precisa filologia quanto per il modo in cui aprì gli occhi della sua generazione su tutto il panorama della letteratura antica. Egli infatti rigettò fermamente il ciceronianismo e preferì creare un suo proprio stile eclettico che sfruttava l’intera gamma del latino. Allo stesso modo fu il primo a rivolgere una seria attenzione alla prosa e alla poesia dell’età argentea. La grande opera di filologia del Poliziano furono i Miscellanea, un gruppo di cento capitoli di varia lunghezza su differenti argomenti filologici, l’opera si avvicina molto nello stile alle Notti attiche di Aulo Gellio. Il libro raccoglie lìorigine dei nomi dei giorni della settimana, il valore etimologico della parola ‘panico’ è il significato di una moneta battuta da Bruto. Importante è un capitolo in cui rileva che il codice delle Epistule ad familiares eseguito per Coluccio nel 1392 è una copia di quello di Vercelli e dimostra che lo stesso P, in alcuni fogli sono stati spostati per un errore nella legatura, deve essere padre di un’intera famiglia di manoscritti posteriori. Questo metodo del principio dell’ eliminatio codicum descriptorum non ricomparirà più fino al diciannovesimo secolo. Il suo ricorrere costantemente ai più vecchi codici disponibili e la sua sfiducia verso le copie umanistiche erano destinati a produrre solidi risultati. Fu

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aiutato moltissimo dalle maggiori facilitazioni offerte dalle biblioteche del suo tempo, sia pubbliche che private, in particolare quella dei Medici. Si sa che esaminò o collazionò uno sterminato numero di manoscritti classici, importante tra tutte una grossa edizione di Plinio il Vecchio ora ad Oxford che continente una copia delle sue postille e collazioni.

7. Lo studio del greco: diplomatici, profughi e bibliofili Si potrebbe supporre che dato lo sviluppo nello studio del greco nelle isole meridionali e soprattutto in Sicilia favorì l’espansione di questo studio nel resto d’Italia, ma in realtà non fu così e lo stato di cose rimase immutato. Di tanto in tanto uomini di talento si recavano nel settentrione in missioni diplomatiche. Sappiamo bene che il Petrarca prese lezioni dal Monaco Barlaam tuttavia le sue capacità di insegnante lasciarono un poco a desiderare, così Petrarca non riuscì mai ad imparare la lingua e a leggere la sua copia di Omero. Un’altra occasione di apprendere il greco si presentò nel 1360 per Boccaccio quando un allievo di Barlaam, Leonzio Pilato, fu bloccato a Firenze e fu indotto a restare e ad insegnare il greco, era però un uomo di carattere irrequieto e impaziente. Fu persuaso a tradurre furono qualcosa di Omero e alcuni versi dell’Hecuba di Euripide e alcune Vite di Plutarco. Più fruttuosi furono i contatti con Costantinopoli. Un diplomatico bizantino, Manuele Crisolora, fu il primo a tenere lezioni regolari di Greco in Italia. Cominciò a Firenze e continuò i suoi corsi per parecchi anni; uno dei suoi allievi fu Guarino e Leonardo Bruni. Un ottimo risulto fu che si prepararono traduzioni latine di testi greci, e soprattutto indice della sua influenza è che la sua grammatica greca, intitolata Erotemata, raggiunse una diffusione considerevole e venne stampata nel 1471. Durante il ‘400 per un italiano esistevano buone possibilità di imparare il greco, molti bizantini vennero a vivere in Italia dopo la disfatta del 1453 e tutti aspiravano a guadagnarsi da vivere insegnando la loro lingua o diventano emanuensi. Si sa che alcuni italiani inoltre impararono da sè prendendo una traduzione latina e usandola come chiave per delucidare il testo greco, ma va sottolineato che molti si accontentarono di leggere traduzioni latine , però molte altre ne furono eseguite in gran numero sotto la protezione di papà Niccolò V. Un altro motivo di viaggiare in Oriente fu la speranza di riportare alla luce dei manoscritti che potevano presentare testi nuovi. Alcuni ricercatori ebbero notevole successo come Giovanni Aurispa ritornò in Italia con 238 libri greci, senza dubbio però alcuni erano duplicati. Non bisogna quindi sopravvalutare la sua biblioteca e ricordare invece quella del Filelfo e quella di Lorenzo a Firenze.

8. La filologia greca nel Quattrocento: Bessarione e Poliziano Un ampio resoconto degli studi greci del XV sec dovrebbe trattare di molti umanistici, ma è sufficiente scegliere due dei più rilevanti studiosi, l’uno che rappresenta la cultura dei Greci, l’altro dimostra quanto gli Italiani invece seppero imparare dai loro maestri.

- Il primo è il cardinal Bessarione che nacque a Trebisonda e fu educato a Costantinopoli . Successivamente si fece Monaco e visse a Mistra nel Peloponneso presso il circolo del razionalista Giorgio Gemisto Pletone, da cui imparò ad ammirare

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Platone. Tramite Pletone fu presentato alla corte dell’imperatore che lo creò abate e divenne funzionario negli affari governativi. Nel 1438 venne in Italia come membro della delegazione mandata al Concilio di Firenze a Ferrara per negoziare l’unione fra le chiesa Romana e quella Greca. Tuttavia le sedute si protrassero ma alla fine si raggiunse un accordo fra le due parti soprattutto frazione al Bessarione, tutto però svanì in un fallimento quando la massa della popolazione greca rifiutò di accettare l’atto di unione. Nel frattempo i servizi che il cardinale aveva reso alla Chiesa non sfuggirono al Papa, fu creato cardinale e risiedette stabilmente in Italia dove la sua casa divenne centro di attività letteraria in cui si mescolavano greci e italiani, tra i primi Teodoro Gaza e Giorgio Trapezunzio, che tradussero molte opere in latino, e fra gli italiani Poggio e Valla. La sua biblioteca era di ampiezza eccezionale, i soli libri greci erano quasi 500 e ne ebbe molta cura come si può notare dalle segnature e da altre postille. Questo perchè egli dice in una lettera che la caduta dell’impero d’Oriente lo spinse a riunire un fondo più completo possibile di testi greci e portarli in Italia. Testimone di ciò è che donò ancora vivo i suoi libri alla biblioteca di Venezia. Le opere letterarie di Bessarione comprendono una traduzione latina della Metafisica di Aristotele è un lungo lavoro contro i detrattori di Platone. Ma il suo gran successo si ebbe quando trovò un passo nel trattato di S. Basilio Contro Eunomio che enunziava la dottrina di Roma e avrebbe perciò posto le basi per una riconciliazione, tuttavia membri della delegazione greca sostennero che fosse un falso ad opera di italiani. Allora il Bessarione quando tornò a Costantinopoli cercò e trovò una precedente edizione cartacea e una pergaminacea ed entrambe sostennero le affermazioni del cardinale. Un alto suo lavoro si ebbe quando dopo la lettura del Vangelo di S. Giovanni sorsero vivaci conversazioni sul testo di Giov. 21,22 dove appariva sic invece di sì; il Bessarione allora dimostrò che si trattava di un errore del copista.

- Accanto al vescovo greco si stabilì in Italia un erudito che dedicò molte attenzioni alla teologia e alla filosofia, Poliziano. Egli cambiò l’indirizzo degli studi greci e latini incoraggiando l’attenzione verso autori post classici così tenne corsi su Callimaco e Teocrito. Fu il primo italiano riconosciuto da molti a sapere il greco come i nativi greci. Inoltre fu il primo a svolgere su un testo greco un lavoro di validità permanente, il suo nom si può ancora vedere nell’apparato critico di un’edizione moderna. A solo 17 anni compose anche epigrammi in greco. Fra i suoi scritti si annoverano una scorrevole versione del tardo storiografo Erodiano e alcuni brevi saggi di Epitteto e Plutarco. Mentra nei Miscellanea, e soprattutto in un capitolo, presenta il quinto inno di Callimaco, Il Bagno di Pallade accompagnato da una traduzione in distici elegiaci dove egli stampa in greco senza accenti per rispettare la tradizione evitando un anacronismo.

9. I primi testi greci a stampa: Aldo Manuzio e Marco Musuro

Per quanto riguarda la nuova arte della stampa essa diede vita ad un’improvvisa corrente di edizioni di classici latini, mentre per quelli greci le cose furono più complicate. Uno dei motivi stava innanzitutto nel disegnare i caratteri tipografici, e la difficoltà nell’abbinare la lettera all’accento. Per fortuna non tutti i primi stampatori furono deludenti, si ricorda

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infatti il lavoro del famoso francese Niccolò Jenson che svolse la sua attività a Firenze, ma anche Poliziano apportò migliorie nella stampa dei Miscellanea, la facilità in questo caso era che non c’erano accenti e furono evitate le legature. Più grave della difficoltà tipografica fu la mancanza di richiesta di copie greche per supplire alle spese editoriali. Aldo Manuzio (1449-1515) ebbe l’idea di fondare una casa editrice soprattutto per stampare testi greci, scelse Venezia per la sua sede visto che aveva una biblioteca fiorente e ricca di testi greci ed era famosa come centro di stamperie. Così dal 1494 al 1515 le edizioni Aldine fecero uscire un gran numero di serie di testi classici ma con la morte del fondatore iniziò il declino. Per quanto riguarda il greco gli va reso merito di aver stampato per la prima volta quasi tutti i principali autori. Successivamente l’uomo che intraprese la parte di gran lunga più importante del lavoro erudito fu Marco Musuro (1470-1517) che insieme ad Aldo fondò un circolo per promuovere gli studi greci sotto cui nome poi verranno stampate tutte le prefazioni. Il primo libro greco che apparve fu un’opera breve, Museo, scelta sicuramente per la sua facilità. Dopo questa vennero Teocrito ed Esiodo , dopodiché si procedette alla preparazione dell’edizione di Aristotele e Teofrasto. Gli anni più importanti furono tra il 1502-04 che videro l’editing princeps di Sofocle, Euripide , Tucidide e Demostene.

10. Erasmo (1469-1536) Erasmo fu originariamente un monaco a Steyn e successivamente ottenne un congedo permanente che gli permise di recarsi a Parigi e lì cominciò ad occuparsi del greco senza però grandi risultati. Nel 1506 si recò così in Italia con l’intenzione di migliorare la sua conoscenza del greco. A quel tempo era abbastanza conosciuto per aver pubblicato la prima edizione dell’Adagia e dell’ Enchiridion militis Christiani. Era perciò naturale che Erasmo dovesse presto incontrare Aldo dove alloggiò molto tempo. Scrisse poi anche un opuscolo sulla pronuncia del greco che condusse all’adozione di quella che viene chiamata pronuncia erasmiana. Tuttavia Erasmo non rivendicò a sè l’invenzione che si presuppone sia venuto a conoscenza mentre dimorava con Aldo. I contributi di Erasmo al greco furono l’editio princeps di Tolomeo. Il suo monumento maggiore è la prima pubblicazione del testo greco del Nuovo Testamento nel 1516 infatti cominciò a lavorare sul testo già in Inghilterra e allora trovò quattro manoscritti del testo greco, uno dei quali venne identificato come codice di Leicester. Nonostante le deficienze che possiamo rintracciare nel testo da lui emanato bisogna ricordare che questa edizione erasmiana rappresenta un grande passo avanti nella filologia contro testarde opposizioni si stabilì quindi che i testi bisogna studiarli nella lingua originale piuttosto che nelle traduzione e la Scrittura va discussa allo stesso modo e con le stesse regole che si usano per tutte le altre opere.

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5. Alcuni aspetti della filologia dopo il rinascimento

1. La Controriforma; il tardo Rinascimento in Italia La battaglia tra Lutero e i suoi oppositori era diventata una tale preoccupazione nei circoli letterari da contagiare anche il mercato librario; nei paesi tedeschi era quasi impossibile vendere libri di un differente argomento. Mentre in Italia le energie si esaurivano in una controversia di cui già si erano occupati molti letterari, la questione se Cicerone doveva venir considerato un vero ed unico modello per la prosa; fu Erasmo che riuscì a ridare vita all’argomento pubblicando a Basilea un dialogo intitolato Ciceronianus che metteva alla berlina alcune forme di entusiasmo fuori luogo di certi ammiratori di Cicerone. Alla metà del secolo sembrava che gli estremisti pro-ciceroniani fossero in maggioranza ma in seguito cambiò il gusto e così i letterati presero ad interessarsi più a Seneca e Tacito che a Cicerone e così ne rimase influenza anche il loro stile sia in latino che in volgare; uno dei più illustri fu il filologo Giusto Lipsio. Le prospettive della filologia classica e biblica non furono migliorare dalla Controriforma, anzi l’abolizione della libertà intellettuale implicita nelle soluzioni del Concilio di Trento non poteva portare altro se non un ristagno. Si affermò quindi l’autorità della Vulgata come testo della Bibbia e i testi di Erasmo furono messi all’indice, così il cima non invogliava certo agli studi critici. Tuttavia bisogna ricordare che la maggior parte dei testi latini erano già apparsi in stampa mentre non erano ancora largamente accessibili quelli greci quando Erasmo morì. Giuseppe Flavio e Archimede uscirono nel 1544, in questo decennio fu particolarmente attivo a Parigi lo stampatore reale Roberto Stefano (1503-1559) la cui impresa produsse una prima edizione della storia ecclesiastica di Eusenio e delle storie romane di Dionigi di Alicarnasso e Dione Cassio. Aumentò poi la sua fama studiando presso al facoltà teologica della Sorbona. Così fra il 1532 e il 1540 si sa che condusse qualche ricerca della Vulgata e fa un’interessante osservazione, nella Prefazione altrimenti nota per la divisione in versetti ancora oggi utilizzata, sul valore della Vulgata come testimonianza del greco. Il valore di una traduzione relativamente antica era già stato sottolineato da Pier Vettori (1499-1585) che nella sua edizione della Retorica di Aristotele si era servito di una traduzione latina medioevale di Guglielmo di Moerbeke, dimostrando che la forma letterale e non elegante di questa può essere sfruttata per rivelare esattamente com’era il testo greco. Questo suo metodo di trattare la tradizione indiretta o secondaria risponde a una competenza filologia di alto livello anche se Vettori dimostra di non conoscere o di non aver capito che il codice di Parigi è più antico di quello di Moerbeke. Egli era in rapporti con gli Stefani e proprio sotto Enrico pubblicò un’edizione di Eschilo dove per la prima volta era dato l’intero testo dell’Agamennone. Il più capace e attivo italiano fra i contemporanei di Vettori fu Francesco Robortello di Udine (1516-67) noto particolarmente per l’editio princeps di Longino, Del sublime e per un’importante edizione della Poetica di Aristotele. Poi nel 1557 scrisse una breve dissertazione De arte critica sive ratione corrigendi antiquorum libros disputatio, che costituisce a quanto pare il primo manuale di critica del testo. Così Robortello afferma di essere stato il primo a formulare una teoria dell’emedazione.

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Così elenca i principi che governano l’arte della congettura: il critico deve verificare le sue idee alla luce della paleografia, dello stile e della comprensione globale del soggetto, segue poi una serie di otto categorie in cui si posson classificare gli emendamenti; vi sono incluse nozioni fondamentali come l’intrusione di glasse che hanno preso il posto delle lezioni originali e la possibilità di errori dovuti ad una scorretta divisione delle parole. Lo studio dei più vari aspetti dell’antichità classica in Italia è ben rappresento da Fulvio Orsini (1529-1600), studioso e collezionista seconda l più tipica tradizione del Rinascimento, si devono a lui importanti pubblicazioni quali il Virgilius illustratus, opere sull’iconografia e sulla numistica, e l’editio princeps della maggior parte di libri di frammenti di Polibio. La sua grande raccolta archeologica finì a Napoli e i suoi libri e manoscritti costituirono parte delle acquisizioni del Vaticano. Bisogna ricordare che la lotta contro l’eresia non poteva certamente giovare alla filologia che subì una battuta d’arresto nel 1587 quando papa Sisto V fondando la Tipografia Vaticana fece pubblicare un edizione della Vulgata Latina accompagnata dalla minaccia di scomunica per chiunque osasse cambiare le lezioni o stampare varianti. Fu poi Clemente VIII a ritirare le copie e mise fuori un’altra edizione che sarà quella ufficiale fino a quella benedettina del 1926. I migliori risultati negli studi patristici vengono da un ambiente totalmente diverso, da Oxford dove Thomas James (1573-1629) mise su una squadra di collaboratori per collazionare codici di S. Gregorio, S. Cipriano e S. Ambrogio per dimostrarne gli errori e soprattutto per criticare il metodo collazionastico adottato dall’Europa cattolica. Anche più importante fu l’edizione di S. Giovanni Crisostomo fatta da Sir Henry Savile (1549-1622),questa è una dei più autorevoli di tutti i padri sia greci che latini, ancora in larga parte insuperata.

2. Gli inizi delll’umanesimo e della filologia in Francia In Francia il classicismo rimase di stampo tradizionale nonostante fu molto aperto ad influenze italiane soprattutto attraverso Avignone. Bisogna comunque sottolineare che questo umanesimo francese si distinse perchè da un lato assorbì dall’Italia ciò che aveva bisogno senza dipenderne troppo dall’altro invece fece in modo di correre da solo nell’ampio solco della tradizione francese. Ricordiamo adesso alcuni importanti umanisti francesi:

- Pierre Bersuire (1362) fu uno dei primi a godere dei vantaggi degli scambi con Avignone, conoscendo in prima persona Petrarca. La sua traduzione di Livio fu importante per rinforzare la recente popolarità dello storiografo, mentre il suo Ovidius moralisatus rivela una certa influenza petrarchesca; gli mancava molto però per essere a pieno considerato un umanista.

- Jean de Montreuil (1334-1418) e Nicola di Clamanges (1360-1437) benchè dovessero molto all’umanesimo italiano, nutrivano il loro umanesimo con solide radici nel nord e seppero trovare nuovi testi da soli.

- Guglielmo Budè (1468-1540) fu il primo grande filologo francese e dopo anni di duro lavoro mise fuori la sua traduzione in latino di tre trattati di Plutarco, e successivamente si impose come uno dei fondatori della scienza del diritto con un importante lavoro in cui tentò di tagliare via le sedimentazioni medioevali di

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commenti e glosse. Nel 1515 venne il De asse, uno studio sulla monetazione e sulle misure antiche. I suoi Commentarii linguae gracae erano di carattere più lessicografico e furono in gran parte incorporati nel Thesaurus di Enrico Stefano. Le sue opere successive rappresentano un tentativo di definire il posto degli studi classici e greci giustificando la posizione dell’umanista nella società cristiana. Un monumento al suo lavoro costituisce il Collège des lecteurs royaux che fu istituito nel 1530 da Francesco I e che diede una certa indipendenza agli studi classici.

- Giulio Cesare Scaligero (1484-1558) scrisse due velenose orazioni contro il Ciceroniano di Erasmo. I suoi lavori si estendono da commenti a opere botaniche e zoologiche di Aristotele e Teofrasto, alla filologica e critica letteraria. Il suo libro De causis linguae latinae si distingue perchè punta ad un anali scientifica; vera fama ottiene con la Poetica un’opera che tenta di formulare una teoria della poesia, che viene considerata come una linea ininterrotta dai poeti classici fino a quelli suoi contemporanei.

- Adriano Turnebo (1512-1565) fu lettore reale di greco e pubblicò una serie di autori greci, fra cui Eschilo, Filone e Sofocle; lavorò anche sui latini preparando unìimportante lezione del De Legibus di Cicerone. La sua opera più importante sono sicuramente gli Adversaria, miscellanea di passi tolti da antichi autori, emendati e commentati. Inoltre la sua edizione di Sofocle continente anche l’editio princeps degli scolii di Triclinio. Il suo metodo di emanazione è la normale emendatio ope codicum, egli però comprese la necessità di usare manoscritti migliori e più antichi. A lui dobbiamo un importante esemplare di Plauto i Fragmenta Senonensia (codex Turnebi).

- Denis Lambin egli si diede a pubblicare una grande serie di testi latini di Orazio, Lucrezio e tutto Cicerone.

- Pierre Daniel (1530-1603) il cui grosso colpo fu quello di riuscire a comprare codici di Fleury. La sua raccolta conteneva reliquie importanti come il Valerio Massimo di Lupo. Egli curò anche l’editio princeps del Querolus e della redazione più lunga di Servio.

- Pierre Pithou (1539-1596) che stampò le edizioni principi del Pervigilium Veneris e delle Favole di Fedro ancora oggi fondamentali per ricostruire il testo.

- Jacques Bongars (1554-1596) la cui enorme biblioteca comprendeva pezzi scelti quali il famoso Orazio irlandese e un esemplare di Petronio.

- Giuseppe Giusto Scaligero (1540-1609) la cui forza stava nel trattare un autore o un argomento alla stregua di un insieme organizzo, come appare chiaro nella sua grande edizione di Manilio e nel Thesaurus tempo rum ove ricostruì i sistemi di cronologia in uso nell’antichità e apportò un grande contribuito nello studio della storia.

- Isaac Casaubon (1559-1614) fu un grande filologo che decide di impiegare il suo innato ingegno nelle opere di Diogene Laerzio, Strabone e Ateneo. Le sue Animadversiones sopra Ateneo furono per lungo tempo lo scheletro del commento di Schweighauser del 1802. Per un certo periodo fu anche nella biblioteca reale dove si trovò molto a suo agio.

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3. I Paesi Bassi nel ‘500 e ‘600 Nei Paesi Bassi l’istruzione di base fu ampiamente diffusa. Gran parte del merito di questo va resa ai fratelli della Vita comune a Deventer, che dedicavano larga dose di energie a imprese educative e a trascrivere libri. Nelle università e nelle stamperie va ricercata l’origine della potente tradizione classica dei Paesi Bassi; infatti l’università di Lovanio e il Collegium Trilingue furono fondate per lo studio del greco e del latino nella stessa città che la fece diventare uno dei massimi centri intellettuali dell’europa del nord. Vale la pena annoverare alcuni dei più importanti studiosi:

- Lodewijk Elzevier che cominciò la sua attività a Leida e grazie al suo primo libro, Eutropio, si annunciò una forte sollecitudine per i libri dell’antichità. Inoltre vasta risonanza ebbe la sua piccola colla di classici che viaggiarono in tutta l’Europa e assicurarono il nome di Elzevier a una solida tradizione filologica.

- Wilhelm Canter (1542-1575) che si occupò invece maggiormente della critica testuale in greco, è conosciuto infatti per l’editio princeps delle Eclogae di Stobeo. La sua edizione di Euripide è la prima dove si presti attenzione alla responsi one strofica,adoperandola per emendare. Scrisse anche un breve manuale di critica del testo, Syntagma de ratione emendandi scriptores Graecos in cui troviamo una classificazione sistematica di diversi tipi di errori in testi greci, una guida sistematica agli sbagli dei copisti.

- Franz Modius (1556-1597) è degno di nota per la forza con cui sostenne che la congettura da sola è inutile e perfino pericolosa e che occorre una certa autorità tra manoscritti e emendamenti. Esplorò inoltre i codici conservati in una vasta zona. Il suo lavoro è notevole per ampiezza, mentre le lezioni dei suoi lavori acquistano importanza quando mancano i codici stessi.

- Giusto Lipsio fu il più grande filologo dei Paesi Bassi, fu anche professore di storia ed il suo successo si basa soprattutto su questo, egli infatti basava la sua conoscenza sulla storia e sulle antichità di Roma, inoltre tutto questo era aumentato da una penetrante lettura dei testi. Lavorò con buoni risultati su Plauto, Properzio e sulle Tragedie di Seneca e per questo fu portato a modificare il suo modo di scrivere e sviluppare uno stile spezzato che influenzò anche gli scrittori suoi contemporanei. Il suo capolavoro è sicuramente Tacito , il suo nome infatti compare ancora nelle edizioni moderne degli apparati critici, perchè fu capace di trasformare il testo stando però sempre cauto di fronte agli emendamenti.

- G. J. Voss (1577-1649) trattò una vasta gamma di argomenti in maniera sistematica ed enciclopedica. Fu professore a Leida e scrisse un grosso trattato sulla retorica e contribuì agli studi sulla grammatica e sulle particolarità del latino.

- Daniel Heinsius (1580-1655) pubblicò un’edizione della Poetica di Aristotele e un breve opuscolo sulla tragedia dove succintamente riafferma delle opinioni di Aristotele riguardo a punto la tragedia.

- J. F Gronovius viaggiò molto e colse questa occasione per prendere visione di molti testi latini, vide il codice Etrusco delle Tragedie e ne capì immediatamente il valore e ne stabilì l’autorità. Lavorò anche sulla poesia latina facendo famose edizioni di Livio, Plinio il Vecchio e i due Seneca.

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- Nicolaas Heinsius (1620-1681) la cui forza risiede maggiormente nel sottile senso dell’eleganza nella poesia latina e le sue principali edizioni furono di Ovidio, Virgilio, Valerio Flacco.

4. Richard Bentley (1662-1742): gli studi classici e teologici.

Richard Bentley fu rettore al Trinity College di Cambridge. Cominciò a farsi un nom pubblicando l’Epistula ad Joannem Millium , una serie di osservazioni sul testo di Giovanni Malala, oscuro e mediocre cronista bizantino. Egli seppe emendare molti luoghi del testo e fornire spiegazioni ed emendamenti ad altri più noti autori. La sua fama si diffuse facilmente anche perchè faceva parte di un ristretto circolo a cui aderivano personalità come Newton, Locke e Wren. Alcuni anni dopo pubblicò degli scritti sulle epistole di Falaride un testo oscuro anche questo, pieno di pregi letterari che attrassero i suoi migliori sforzi. Le epistole però sono in realtà una falsificazione dell’età della seconda Scolastica, ricordando che il primo a avanzare tale ipotesi fu Poliziano, così infatti Bentley argomentò dicendo che era una misera e spregevole falsificazione, guastata da molti anacronismi è un dialetto sconosciuto al supposto autore. Ottenne grande riconoscimenti anche nell’edizione del poema astronomico di Manilio, è opinione diffusa infatti che contribuì molto all’interpretazione dei passi più difficili di questo poema. Bentley effettuò molti altri emendamenti anche se due dei suoi più importanti studi non trovarono mai fine, il primo su Omero, di cui la sua scoperta più notevole fu il metro di molti versi che si poteva spiegare soltanto postulando l’esistenza della lettera di gamma. Si dedicò attivamente anche al Nuovo Testamento annunciando tramite un libriccino che il testo sarebbe stato fondato sui più antichi manoscritti dell’originale greco e della Vulgata.

5. La storia della paleografia Sicuramente è possibile attribuire al Poliziano e al Bessarione una discreta conoscenza di paleografia, questa aiutò, ricordiamo, il vescovo a confutare le posizioni dei suoi oppositori al Concilio di Firenze. Diciamo che scarso interesse fu rivolto a definire la data e l’origine dei codici che si andavano usando. Ancora una volta fu una controversia religiosa che spinse a progredire, infatti scoppiò una disputa tra gesuiti e benedettini quando Daniel van Papenbroeck (1628-1714) dimostrò come una carte che utilizzavano i benedettini per garantire alcuni privilegi, fosse in realtà un falso. Lì un benedettino Dom Jean Mabillon (1632-1707) spese parecchio tempo a studiare carte e codici, attingendone anche per verificare dei documenti medioevali: ne risultò il De re diplomatica, dal quale viene la nostra parola ‘diplomatica’, vengono trattati anche i codici in minor misura, ma soltanto quelli latini. Fra i progetti della congregazione maurina erano comprese delle edizioni dei Padri greci e latini. La conoscenza delle carte medioevali aveva applicazioni alquanto ristrette, ma le osservazioni di Mabillon stimolarono un suo giovane collega Dom Bernard de Montfaucon (1655-1741). Egli lavorò all’edizione dei padri greci e soprattutto S. Anastasio. Pubblicò poi la Palaeographia Graeca con la quale oltrepassò perfino l’opera di Mabillon, poichè rimase la migliore opera sull’argomento è costituì anche il primo tentativo di capire l’evoluzione

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formale delle singole lettere. Egli potè anche dedicarsi a studi sui codici e mantiene una certa validità il suo esame degli esemplari che possono essere datati con certezza. Un altro suo contributo fu sicuramente la Bibliotheca Coisliniana, una descrizione approfondita di un fondo di manoscritti. Tuttavia egli non si occupò soltanto di manoscritti ma fra le sue opere troviamo anche un dizionario di antichità classiche. Mabillon e Montfaucon trovarono anche il tempo di viaggiare molto, soprattutto in Italia e a Verona dove sappiamo che c’era una delle più fiorenti biblioteche italiane. Tale stato di cose sappiamo che sollecitò un altro nobile Scipione Maffei (1675-1755) che già si era guadagnato una certa fama con la tragedia Merope, che fu una pietra miliare del teatro italiano. Egli era molto ansioso di entrare in possesso dei libri che erano stati conservati alla biblioteca di Verona ed effettivamente quando una mattina furono rinvenuti in breve potè studiare tali codici direttamente da casa sua. Risultato di questi studi fu sicuramente la spiegazione delle diverse scritture latine che catalogò in gotiche, longobarde, sassoni, merovingica e e romane; inoltre seppe spiegare la diversità di queste scritture che sta nell’esistenza di certi tipi base nella tarda antichità, minuscola, maiuscola e corsiva che quando cadde l’Impero si svilupparono indipendentemente. L’unico altro progresso eccezionale in seguito fu quello connesso al nome di Ludwig Traube (1861-1907) a cui va attribuito il grande merito di mostrare che i codici, fonti primarie per i testi della letteratura classica e medioevale, possono venire trattati come documenti che mostrano al storia della cultura medioevale.

6. Scoperte di testi dopo il Rinascimento

a) I PALINSESTI Bisogna ricordare che per quanto riguarda i palinsesti questi non presero vita fino all’Ottocento. I principali fattori furono l’energia instancabile di Angelo Mei (1725-1854) e la sua fortuna di venire nominato bibliotecario dell’Ambrosiana e poi della Vatica è inoltre fu il primo a che seppe usare con successo i reagenti. Nel giro di pochi anni pubblicò un’intera serie di testi nuovi, tra cui i frammenti di alcune orazioni di Cicerone e gli Scholia Bobiensia, le epistole di Frontone e dal gran palinsesto Ambrosiano di Plauto ciò che rimane della Vidularia. Quando poi si trasferì a Milano in Vaticano trovò un opera fino a quel tempo sconosciuta, il De re publica di Cicerone. Egli però era stato frettoloso e spesso poco scrupoloso, seguì le sue orme un altro studioso Barthold Georg Niebuhr (1776-1831) il quale a Verona usando il reagente riuscì a leggere la scrittura inferiore del palinsesto di Gaio e rese così la prima edizione delle Istituzioni complete. Non si può poi omettere il nome dello studioso Wilhelm Studemund (1844-1889) che dedico la sua vita all’attività paziente e meticolosa dei testi rescritti, le più note sono quelle di Gaio e del Plauto Ambrosiano. Infine all’inizio del 900 J.L Heiberg a Costantinopoli rinvenì un esemplere del palinsesto di Archimede che conteneva opere in rilievo Dei corpi galleggianti e Sul metodo. Ricordiamo poi due palinsesti scoperti di recente, uno a Gerusalemme che contiene molte parti delle tragedie Euripidee e un altro a Leida che contiene invece alcuni drammi di Sofocle

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b) I PAPIRI Importante per quanto riguarda i papiri è sottolineare la grande e rilevante scoperta degli scavi di Ercolano, avanzi carbonizzati di rotoli di papiro che per lo più rivelarono gli astrusi scritti del filosofo epicureo Filodemo. Un cambiamento ancora più importante di ebbe quando gli archeologi portarono alla luce mucchi di libri antichi, papiri che più cospicui furono ad Ossirinco; troviamo qui molte antiche copie di testi noti, fra essi vi sono la Costituzione di Atene di Aristotele, le Odi di Bacchilide, il Dyscolus di Menandro e la Samia. Altre scoperte affascinanti includevano molti importanti papiri biblici.