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BIBLIOTECA MEDIEVALE / Collana diretta da Mario Mancini, Luigi Milone e Francesco Zambon

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BIBLIOTECA MEDIEVALE /

Collana diretta da Mario Mancini,Luigi Milone e Francesco Zambon

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Desidero ringraziare Mario Mancini per aver voluto accogliere questolibro nell’ambito delle ricerche comparative fra poetiche medievaliorientali e occidentali da lui dirette e prepotentemente incoraggiate.

Un grazie particolare, poi, a Wasim Dahmash; quel poco che sonoriuscito a intravedere della complessità di un testo letterario arabo me-dievale lo devo al privilegio della sua amicizia.

L. C., aprile

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Ab) Nuwas

Così rossa è la rosa

Scenari d’amore pre-cortese,a Baghdad

Saggio introduttivo, traduzione e notedi Leonardo Capezzone

Carocci editore

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Indice

Scenari d’amore pre-cortese, a Baghdad (VIII-IX secolo) /

TRENTAQUATTRO VERSIONI DA ABU NUWAS /

I. Riconosco nel buio una luna / II. Gota che taglia la notte ricciuta /

III. Tu che privi del bacio la guancia / IV. Tu che cancelli il mio bacio /

V. Scrivano di prima mattina al lavoro, mi offendi / VI. Risparmia dunque il biasimo,

che suona come invito / VII. Per te ho ormai esaurito figure e attributi / VIII. Il volto di Hamdan – Dio ve ne scampi /

IX. Mi è dolce bere all’ombra di un velario / X. Se tu fossi, censore, di Durr innamorato / XI. Ho visto giù a Baghdad una bizantina /

XII. Dammi vino, coppiere, di vino dissetami /

XIII. Gioia di vivere, di rossa castità lo fai tacere /

XIV. Mi dà da bere, all’ora in cui l’alba d’avorio /

XV. C’è un cerbiatto sulla soglia dell’aurora / XVI. La lingua dell’amore

pronuncia solo lacrime / XVII. Gazzella bianca,

che a caccia vai armata /

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XVIII. Come se il volto suo fosse una coppa / XIX. O gioia che giungi con la festa /

XX. Nudo di stoffe imperfette nel volto / XXI. Stregone è il tuo sguardo, collare di perle il sorriso /

XXII. La luna riflette il tuo splendore / XXIII. Se tu me lo consenti,

sarò per te riscatto / XXIV. Fragrante gioventù trabocca ambita /

XXV. Attento, compagno mio: Giuseppe va versando /

XXVI. Basta appena uno sguardo a svelarmi / XXVII. Riccio scorpione, la guancia vestita / XXVIII. Tu badi solo al dire mio più turpe /

XXIX. Amore mi sbeffeggia, e dopo mi compiange /

XXX. M’inebriano i conviti d’amore d’un persiano /

XXXI. Dimmi sì: pel battesimo e la fonte / XXXII. Il corpo mio è preda di un malore

che a brani lo dilania / XXXIII. Vedo le cose del mondo che,

logore, cambiano / XXXIV. Dimmi che è Vino, quel vino che versi /

Note ai versi /

Bibliografia /

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Scenari d’amore pre-cortese,a Baghdad (VIII-IX secolo)

Il vero e il falso Abu Nuwas

Nel Libro dei monasteri di al-Shabusht¤ (X secolo) fra le tante sce-ne di corte ricorre una celebrazione della festa di Nawr)z, il ca-podanno persiano, in presenza del califfo al-Mutawakkil (r. -). Con l’artificiosa teatralità che sempre le fonti letterarie at-tribuiscono a questi quadri di vita cortese, l’autore dell’antologiacosì scrive in un passo dedicato al poeta Husayn al-]ahhak:

Nel corso del convito, si mostrarono i doni al califfo; fra questi, vi era-no delle statuine scolpite nell’ambra. Fra gli invitati, il paggio Shafi‘, av-volto in un manto rosa, spiccava per la bellezza della sua figura slancia-ta. Al-Mutawakkil passò, un pezzo dopo l’altro, le statuine d’ambra aShafi‘, sussurrando: «Porgile a Husayn, e sfioragli la mano».

Il bellissimo paggio fece quanto il califfo gli aveva sussurrato, e pas-sò una scultura dopo l’altra al poeta, sfiorando con la punta delle dita ilpalmo della sua mano. L’ultimo pezzo che Shafi‘ gli porse era lavoratoe dipinto in forma di rosa rossa; al contatto dell’ambra e delle dita delpaggio, Husayn, benché ormai già vecchio, arrossì, e recitò questi versi:

Bianchissima rosa è il tuo voltoe sa come rosa arrossire,velato bocciolo che notte protegge.Così il tuo saluto sa essere lieveche basta all’amore esortare chi pazzo non t’ama.A me basterebbe, e mi strugge l’attesa,che infine quel sorso che svegli il ricordodi antica promessa d’amato obliatavenisse versato da accorto coppiere.Venisse versato un sorso di tempo:ed io di quel tempo la nottesaprei mantenere promessa d’amante.

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Al-Mutawakkil ordinò allora che venisse riempita la coppa al poeta, e aquesti disse, imitando l’incedere di un coppiere: «Bevi, poeta, ché il tuodesiderio lo abbiamo esaudito» .

Nel corso della sua lunga e comodissima vita, Husayn al-]ahhak(circa -), detto al-Khal¤‘ (“lo spudorato”), ebbe modo divedere avverarsi molti dei suoi desideri. Proveniente da una fa-miglia persiana trasferitasi in Iraq, si formò nella città di Basso-ra, e da lì tentò la fortuna come poeta a Baghdad. La capitale del-l’impero abbaside era centro di gravità potentissimo per chiun-que si muovesse nell’ambito delle lettere alla ricerca di mecena-ti: la città e il suo centro – la corte – erano il luogo in cui tuttosuccedeva e da cui tutto si propagava: le correnti di pensiero cheanimavano la vita intellettuale, dalla letteratura alla filosofia allascienza; i maestri e le scuole, che dettavano legge in materia distili di vita e di mode. Husayn al-]ahhak attraversa tutto ciò as-sorbendo e interpretando il clima culturale di cui la poesia diquel tempo è riflesso. La corte che lo accoglie è popolata di com-mittenti califfali e di figli della nuova aristocrazia mercantile (ara-ba e non araba) che trovano nel patronato una forma visibilissi-ma di esibizione del proprio potere; e soprattutto è luogo in cuisi muovono i critici letterari, figure altrettanto potenti e influen-ti, arbitri temutissimi che decretano i destini di coloro che dalleprovince dell’impero vengono a inserirsi in quella disputa chevede antagonisti, fra la seconda metà dell’VIII secolo e il IX, i clas-sicisti e i modernisti. Schierato nelle file dei poeti che in queltempo vanno elaborando una sorta di stilnovo, in aperta pole-mica anticlassica, egli gode del favore di (quasi) tutti i califfi chevede succedersi al trono nei cent’anni della sua esistenza (unicaeccezione è al-Ma’m)n, r. -, che alla teatralità frivola dellavita di corte e agli “stilnovisti” aveva sempre preferito gli auste-ri dibattiti fra aristotelici e teologi dialettici e la magniloquenzadella poesia classica pre-islamica, e al poeta non perdonò certeelegie in morte del suo odiato fratello al-Am¤n, straordinarioprotettore degli spiriti più trasgressivi del suo tempo).

. Al-Shabusht¤, Kitab al-diyarat, ed. K. ‘Awwad, Maktaba al-Muthanna,Baghdad , pp. -.

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Una vita, dunque, trascorsa da vero sornione (malgrado il so-prannome) negli agi elargiti a profusione dai suoi protettori, in-crinata però da una piccola sfortuna, alquanto decisiva per lesorti della sua raffinatissima produzione poetica. Husayn al-]ahhak, infatti, fu tanto apprezzato dai suoi contemporaneiquanto bistrattato, se non dimenticato, dalla critica letterariaaraba, che ancora vede in lui un poeta minore. A spiegare que-sta specie di oblio probabilmente una ragione c’è: un po’ comeper il destino di Ben Jonson, contemporaneo di Shakespeare, ilpoeta che (forse) contribuì in grande misura a porre le fonda-menta di quel grande discorso poetico che in Occidente sarebbepoi stato chiamato amor cortese ebbe la iattura di nascere, vive-re (e dover competere) nel tempo e nei luoghi in cui si muovevaAb) Nuwas, ovvero il più grande poeta dell’età abbaside.

La tradizione letteraria che accompagna Husayn al-]ahhakè come segnata da una sorta di allegra maledizione lanciata daAb) Nuwas nei confronti del suo antico compagno, insieme alquale si formò a Bassora nello studio dei classici e con cui si lan-ciò nell’avventura bagdadina, nel corso della quale, a dire il ve-ro, Ab) Nuwas non ricevette altrettanto costante accoglienza acorte. Tutte le grandi antologie poetiche che nel IX-X secolo sta-bilirono il canone della poesia araba medievale, dalle ¥abaqat al-shu‘ara’ (Le classi dei poeti) di Ibn al-Mu‘tazz al Kitab al-aghan¤(Libro dei canti) di Ab)’l-Faraj al-Isfahan¤, registrano la grandestima che Ab) Nuwas nutriva per il suo collega espressa in que-sti termini: «Husayn al-]ahhak? È un grande. Quando saròmorto attribuiranno a me i suoi versi migliori».

Queste agghiaccianti parole di Ab) Nuwas rendono esplici-ta una dinamica assolutamente peculiare alla poesia araba classi-ca, intesa sia come pratica del poeta all’opera sia come teoria ela-borata dalla critica. La spinosa questione dell’attribuzione di unverso a un poeta, croce e delizia dei filologi e dei critici letteraridel Medioevo arabo-islamico, riflette un delicato rapporto – stu-diato magistralmente da Abdalfattah Kilito – fra genere lettera-

. A. Kilito, L’auteur et ses doubles. Essai sur la culture arabe classique, Seuil,Paris (trad. it. L’autore e i suoi doppi, Einaudi, Torino ). Ben più mode-sto è il contributo alla questione apportato da chi scrive: Dalla preminenza dei ge-

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rio e autore che, nella poesia araba classica, è totalmente sbilan-ciato a favore del primo. Un poeta è grande quando sa misurar-si, ed eccelle, in un genere poetico la cui canonicità è stata stabi-lita in termini formali e contenutistici dal sapere dei critici – unsapere in cui confluiscono la lessicografia, la grammatica, la re-torica, la filologia, e da cui emana una teoria, diversificata dascuola a scuola, dei complessi rapporti tra forma e contenuto, trasegno e significato . Tuttavia, un poeta è veramente grande quan-do rinnova il genere, introducendo figure retoriche e stilisticheinusitate e ardite; fare e disfare il genere, e di conseguenza il ca-none, è dunque un segno di talento che costringe i poeti succes-sivi ad adeguarsi. Ma come collocare, all’interno di questa stra-tegia della comunicazione poetica, un poeta che produce inno-vazioni talmente inaudite da generare non solo un nuovo stile,ma di riflesso un nuovo linguaggio, a cui è sottesa una rete di re-lazioni fra segno e significato che esige una nuova teoria dell’in-terpretazione? Torneremo, in queste pagine, su queste proble-matiche, ma per introdurre Ab) Nuwas è necessario insinuaresubito il ragionevole dubbio che ha ossessionato generazioni difilologi arabi (tentando, sempre sul filo del dubbio, di restituirequalcosa di ciò che a Husayn al-]ahhak è stato, pur nella legit-timità delle regole imposte a chi allora poetava, sottratto): sonodavvero tutte di Ab) Nuwas, le sperimentazioni e le figure deldiscorso poetico che questi ha introdotto?

neri all’onnipresenza dell’Io narrante. Note sul canone letterario (e sul romanzo)nella cultura araba, in “Critica del Testo”, III, , , pp. -.

. Per avere un’idea della complessità teoretica che accompagna la storia let-teraria araba classica cfr. A. Trabulsi, La critique poétique des Arabes jusqu’au Ve

siècle de l’Hégire (XIe siècle de J.-C.), Institut Français de Damas, Damas ; K.Abu Deeb, Literary Criticism, in J. Ashtiany et al. (eds.), The Cambridge History ofArabic Literature: Abbasid Belles-Lettres, Cambridge University Press, Cambridge, pp. -; W. Ouyang, Literary Criticism in Medieval Arabic Islamic Culture:The Making of a Tradition, Edinburgh University Press, Edinburgh . Per unesempio di teoria classica del genere letterario cfr. A. Arazi, Une épître d’Ibrah¤m b.Hilal al-Sab¤ sur les genres littéraires, in Studies in Islamic History and Civilization inHonour of Professor David Ayalon, Brill, Jerusalem-Leiden , pp. -.

. Il dubbio, in ogni caso, si riverbera sullo stesso Husayn: quanto di Ab)Nuwas c’è nei versi che la tradizione letteraria gli ha attribuito? Si noti che di que-sto poeta, a tutt’oggi, manca una vera e propria edizione critica del canzoniere.

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Stabilire con certezza, ad esempio, chi sia l’inventore di unanuova figura dell’amante, lo schiavo d’amore (alla lettera: as¤r al-hubb), che partecipa, col fascio di elementi differenziati che es-sa veicola, della costruzione di un discorso d’amore completa-mente nuovo che si va affermando, artefici gli anti-classicisti diBaghdad, fra l’VIII e il IX secolo, di per sé non è un interrogativofecondo se lo si riduce a un semplice problema di storia lettera-ria. Piuttosto, provare a vedere in quale luogo del mondo, e inquale contesto, un poeta può produrre un’etica della deriva d’a-more e una semiotica del corpo pericolosamente innamoratoche produce conoscenza, come forse sembrano dire questi versiabunuwasiani :

L’amore porta in sé tormento e meravigliae in questo risiede, gente, il suo mistero.Chi pena d’amore non ha mai esperito,con me ragioni, che d’amor m’intendo.È vero amante solo chi in volto porta scritto «costui d’amore è schiavo»,marchiato a fuoco

ebbene, questo può essere un modo diverso di impostare una ri-flessione ormai vecchia più di un secolo sulle origini dell’amorcortese, e sulle dibattutissime influenze della poesia araba anda-lusa sulla lirica trobadorica medievale; influenze dietro il cuiviaggio potrebbero stagliarsi, in verità, non solo possibili model-li letterari che superano dal Sud verso Nord la frontiera tra An-dalusia islamica e Occidente latino , ma anche modelli socialicristallizzati intorno alla concezione dell’amore, che l’Andalusia,periferia che dal centro a cui si ispira, l’Oriente islamico, avevaereditato: un secolare discorso sull’amore in cui convergevano ilsapere medico, il sapere filosofico, il sapere mistico, il sapere giu-ridico, per i quali il sapere poetico fungeva da saldatura, da veri-

. DS, p. .. Il termine e il concetto geografico-culturale di frontiera non sono usati in-

nocuamente; cfr. Ph. Senac, Islam et chrétienté dans l’Espagne du haut MoyenAge, in “Studia islamica”, , , pp. -; L. Capezzone, Catastrofi e testi,storia e contaminazione, in “Psiche”, , , pp. -.

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fica, da prova argomentativa, da dispositivo di espressione quan-do l’esperienza si fa indicibile. Lo storico – che magari si occu-passe della trasmissione di idee oltre che di testi, dei dislivelli cul-turali fra società a contatto e dei modelli culturali che le societàegemoni trasmettono (o impongono) alle società subalterne –avrebbe ragione di stupirsi che la questione delle presunte in-fluenze letterarie cui si accennava sia stata per lo più trattata, econfutata, sulla base di argomenti di carattere formale – come adesempio la metrica –, trascurando invece quelli che sono i con-tenuti, le immagini, le idee, le metafore: materiali, cioè, che con-sentirebbero una profonda e inquietante analisi comparativa cherimanderebbe di forza ai contesti culturali – di nuovo, il saperemedico, filosofico, mistico, giuridico – entro cui l’amor cortesein Occidente ha preso forma.

Ab) Nuwas, e il suo alter ego Husayn al-]ahhak, sono esem-pi particolarmente autorevoli di quel paradossale stratagemmamesso in opera da una cultura del testo letterario che finge di pri-vilegiare i generi a scapito dei singoli autori e si accorge poi cheuna pletora di autori reclama la paternità e l’attribuzione dei te-sti che conducono il genere a un livello tale di perfezione perfor-mativa da poterlo solo riprodurre, o imitare. Nei limiti che que-ste pagine non vogliono superare, essi sono dunque il pretestonon già per riaprire l’annosa questione dei profondi legami – dicui la letteratura è solo un aspetto –, affermati o negati con rigo-re filologico e ardore ideologico, tra due macroscopiche societàche nel Medioevo, e in particolare in quel mito storiografico cheè l’Andalusia, hanno avuto modo di interagire e di osservarsi, inun quadro storico connotato da un innegabile dislivello: se è ve-ro, come qualcuno ha detto, che la modernità è il modo nuovo se-condo cui si impostano problemi antichi, in quel dislivello i mo-delli della modernità – e le sue ricadute: la filosofia, la scienza, latecnologia – dispongono di una vettorialità verso occidente cheparte dagli arabi. Piuttosto, qui interessa ciò che è avvenuto pri-

. Sulle questioni relative alla modernità medievale del mondo arabo-isla-mico la bibliografia comincia per fortuna a essere imponente. Potrebbe però es-sere di un certo interesse capire in quali termini l’Occidente latino osservava epercepiva, e spesso non comprendeva appieno, e pertanto ammirava e detesta-

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ma che si possa davvero parlare di amor cortese, della sua etica (aBaghdad come a Cordova) e delle sue peregrinazioni. AttraversoAb) Nuwas e la sua scuola, il percorso che si vuol seguire è quel-lo che interseca un genere, la poesia amorosa araba dei primi se-coli, che il nostro poeta innova in una maniera così profonda ecomplessa nella lingua, nei tropi, nei temi e nei motivi da crearetutte le premesse per un genere di poesia amorosa particolare, chenascerà a Baghdad nel IX secolo ampliando a dismisura la pro-blematizzazione letteraria dell’amore e di chi ne è colpito; se lamedicina studia, in quel tempo, l’amore come malattia, Ab)Nuwas conferisce alla figura dell’amante disperato, il “folle d’a-more” della tradizione poetica precedente, un nome e una citta-dinanza nuovi: lo schiavo d’amore anticipa il martire per amore.

Se dunque in questa sede ci sembra più interessante porrel’accento sul contesto storico entro il quale la poesia d’amore ara-ba sperimenta le sue trasformazioni per arrivare a qualcosa che daBaghdad si diffonde fino a giungere in Andalusia, in cui la rap-presentazione e la concettualizzazione dell’amore, dell’amato edell’amante ricorda in maniera (troppo) impressionante cose stu-diate abitualmente dai filologi romanzi, ebbene, tutto sommato èforse secondario accertare se a comporre una sorta di manifestodell’amore pre-cortese come questo, scelto fra molti altri di attri-buzione incerta, sia stato Ab) Nuwas o Husayn al-]ahhak:

Così rossa è la rosa che sulla gota splendeche sa ingannare il cuore.Si imprime nello sguardo e lo cattura,bellezza che altera illude chi ti guardae alla tua mano consegna in servitù il suo cuore.Bellezza che vezzeggiando offende: che importase il pugno cui affido un cuore innamorato

va, quel dislivello per voce di alcune delle sue menti più ricettive; cfr. ad esem-pio J. Jolivet, L’Islam et la raison, d’après quelques auteurs latins des XIe et XIIe siè-cles, in L’art des confins. Mélanges offerts à Maurice de Gandillac, Presses Uni-versitaires de France, Paris , pp. -; A. Murray, Ragione e società nel Me-dioevo, trad. it. Editori Riuniti, Roma , pp. -. Per una visuale più ampiabasterà rimandare allo splendido paesaggio intellettuale disegnato da A. de Li-bera, Penser au Moyen Age, Seuil, Paris , pp. -.

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ha dita come spine? Che importa se poi il cuore si fa liutoe in musica convertono le dita il suo lamento?E infine quel mio cuore si fa freccialanciata dalla mano d’un arciere che a morte lo stringeva:del sangue del mio cuore dardeggiatoio me ne vanto, e rido.

Il curatore della vecchia raccolta di versi di Husayn al-]ahhak dacui la poesia è tratta annota che l’attribuzione all’autore è cosadubbia, e cita l’autorevole parere del filologo Ab) Hatim al-Siji-stan¤ (morto nell’), secondo il quale i versi sarebbero in realtàdi Ab) Nuwas: l’argomento su cui il filologo poggiava la sua de-duzione era costituito dalla particolare arditezza (secondo lui nonproprio del tutto riuscita, in cui egli rinviene comunque uno sti-lema tipico di Ab) Nuwas) del triplo passaggio di metafora cuo-re-liuto-freccia, che implica come punto d’arrivo la tacita, ulte-riore trasformazione metaforica del cuore in bersaglio di se stes-so, decisamente troppo cervellotica . L’edizione critica dell’ope-ra poetica di Ab) Nuwas, iniziata da Ewald Wagner e proseguitapoi da Gregor Schoeler (da cui proviene la maggior parte dei ver-si inseriti nella nostra antologia), è basata sulla recensione di unaltro grande filologo medievale, Hamza al-Isfahan¤ (morto dopoil ), che a sua volta incamera, a mo’ di glossa, molte osserva-zioni erudite di al-Sijistan¤. Per ironia della sorte, nella recensio-ne di al-Isfahan¤ di questi versi non vi è traccia.

I luoghi di una biografia scellerata:

la corte, la taverna, il monastero

La poesia è quel luogo dello spazio culturale della città islamicaclassica in cui ogni fuga, ogni dissidenza, ogni eresia, ogni tra-sgressione è lecita – purché sia detta secondo le austere regole dellinguaggio poetico. La dimostrazione più ovvia di questo equili-brio estetico e sociale è forse data dalla constatazione che, in una

. D¤wan Ab¤ ‘Al¤ Husayn al-]ahhak al-Bahil¤ al-Khal¤ ‘, ed. M. Husayn¤,Maktaba al-Madan¤, Baghdad s.d., p. .

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società in cui vige il divieto coranico di assumere bevande ine-brianti, il canone letterario celebra fra i suoi generi più frequen-tati quello della khamriyya, ovvero la poesia in lode del vino. Se-gno evidente, questo, di una differenziazione dei codici di com-portamento, e di una società complessa in cui convivono e l’eticareligiosa e l’etica profana – e di quest’ultima, la cultura cortese èuna delle emanazioni più visibili. Di nuovo, un altro paradosso:se la trasgressione è ancora un fatto di canone, il poeta deve vive-re una vita scellerata. Se Ab) Nuwas è il più grande poeta dell’etàabbaside, la sua biografia non può che essere la più scellerata ditutte. Le fonti letterarie – principalmente gli Akhbar Ab¤ Nuwasdi Ibn Manz.)r (morto nel ) – ci hanno consegnato una vita delpoeta in cui risuona il paradigma del libertino, la cui esistenza, omeglio il cui stile di vita, è essenzialmente debilitante e antisocia-le: debilitante in quanto costantemente sprofondato in un’aliena-zione d’amore mai realizzato; antisociale perché tutto si traducein una celebrazione della figura dello schiavo d’amore e del pote-re destabilizzante e distruttivo della sua perdizione. Da questopunto di vista, la biografia di Ab) Nuwas è di una ordinarietà per-sino noiosa, uguale a quella di tanti altri poeti e letterati di cui ri-mane sommerso il periodo formativo.

Dietro il paradigma, si intravede la vicenda di un modesto pro-vinciale, figlio di un militare arabo e di una donna persiana, che daAhwaz, in Iran, si trasferisce nei centri iracheni – prima Kufa, poifinalmente Baghdad – e si sottopone al rigore degli studi di gram-matica e di filologia, di retorica e di prosodia, e all’apprendimen-to dell’arte poetica. Ben più interessante è ciò che si prolunga die-tro il paradigma, ciò che davvero lega Ab) Nuwas a Baghdad, cittàche il poeta lascerà solo per un breve periodo di esilio in Egitto.La capitale che vive nei suoi versi è un luogo di puro artificio, cheproduce da sé quel gioco infinito di specchi fra biografia e versi;un gioco che finisce con l’identificare più di quanto non sia il ca-so di credere l’arte con l’esistenza. Andras Hamori ha dedicato pa-gine acutissime a quella rappresentazione poetica dell’esistenza

. Lo studio più completo sul poeta è ancora oggi E. Wagner, Ab) Nuwas.Eine Studie zur arabischen Literatur der frühen Abbasidenzeit, Franz Steiner,Wiesbaden .

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che, in Ab) Nuwas, sembra essere l’evocazione di ciò che il criti-co letterario ha chiamato «un saturnale permanente» .

I luoghi del saturnale sono luoghi virtuali, proiezioni esisten-ziali di una poesia che prende vita in forma di città, e in essa alle-stisce un teatro ove ogni abitante, ogni elemento della natura,ogni oggetto della quotidianità, nel momento in cui è immesso inquesto orizzonte di urbanità che è poi sostanzialmente un’anti-città, acquisisce quello statuto glaciale di eternità che tocca in sor-te a ciò che è segno, a ciò che è presente perché significa . Se lacittà è implicitamente il luogo dell’ordine e della legge, la poesiasi muove essenzialmente in due anti-luoghi: la taverna e il mona-stero – quest’ultimo inteso non come spazio di meditazione e diautoesclusione dal mondo, bensì come meta, storicamente atte-stata, di gite e di visite, da parte musulmana. Fermandoci un mo-mento sul secondo dei due luoghi, esso rappresenta da un lato l’e-stensione della corte, spazio altro in cui la politica califfale di in-tegrazione delle comunità cristiane (che nella corte si elabora gra-zie alla pratica del confronto intellettuale e teologico) proseguesotto un diverso segno, carico di visibilità, della convivialità (edella donazione) e dove gli apparati della corte, poeti e poetichecompresi, si trasferiscono realizzando il senso più pieno dell’ideadi vacanza e di sospensione controllata delle regole. Il monaste-ro, infatti, dall’altro lato è anche estensione della città, immersonell’idillio di una natura tuttavia culturalizzata, perché soggiace aun’estetica delle rovine e del senso connettivo del passato. Tra idue luoghi in dialogo, la città/corte e la natura/monastero, si spa-lanca la taverna; se nei primi due l’amore è disperatamente sospi-rato, è evocazione, consunzione e mai congiunzione, nel secondo,anti-luogo per eccellenza, esso è altrettanto disperatamente con-sumato; è manifestazione, alienazione e sempre promessa di un’e-stasi. La taverna, orgoglio dei bassifondi, è il teatro in cui il sim-

. A. Hamori, La littérature arabe médiévale, Sindbad, Paris , pp. ss.. Cfr. il saggio fondamentale di J. Bencheikh, Poésies bachiques d’Ab) Nuwas:

thèmes et personnages, in “Bulletin d’Etudes Orientales”, , -, pp. -.. Cfr. L. Capezzone, La politica ecumenica califfale: pluriconfessionali-

smo, dispute interreligiose e trasmissione del patrimonio greco nei secoli VIII-IX, inB. Scarcia Amoretti (a cura di), Percorsi e luoghi di trasmissione di idee, numeromonografico di “Oriente moderno”, nuova serie, , , pp. -.

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posio (immagine di un’esperienza che produce conoscenza) si di-spone nel tentativo empio di rappresentare l’idea del paradiso.

Un interrogativo posto da diversi studiosi, e apparentemen-te irrisolvibile – come sia possibile che una poesia tanto raffina-ta nelle immagini e nel portato interpretativo, e tanto trasgressi-va nei contenuti, possa aver acquisito una dimensione e una dif-fusione popolare –, spinge inevitabilmente a chiedersi almenoquali fossero i luoghi reali della biografia abunuwasiana; qualifossero, cioè, i luoghi sociali in cui una visione eretica e così pre-meditatamente alienata alla realtà assumesse l’amore come fon-damento di un discorso sulla dissidenza. Non è possibile desu-mere dalle fonti in maniera inequivocabile e costante se e quan-to la produzione, o meglio l’esecuzione, del testo poetico, bac-chico e amoroso – soprattutto quando la trasgressione alla mo-rale passa attraverso il ricorso all’oscenità – fosse condizionatadall’implicita destinazione; vi è certamente una richiesta su com-missione, che patrocina l’attività poetica e ne costituisce il so-stentamento naturale; ma vi è anche una pluralità nella destina-zione, e nel livello della ricezione, ed entrambe rimandano alruolo e alla posizione sociale dei poeti in una società che para-dossalmente sembra affidare loro una funzione di dissidenzacontrollata . Non sapremo mai con certezza quanto larga, al difuori del sistema della corte, fosse la diffusione della poesia d’a-more: sappiamo però che essa nasceva, anche con una probabi-le intenzione sperimentale, all’interno di circoli poetici privati,spesso dominati da interessantissime figure femminili , e so-

. Le questioni relative ai rapporti fra tematiche d’amore e società abbasidesono state ampiamente dibattute: M. F. Ghazi, Un groupe social: les Raffinés, in“Studia Islamica”, , , pp. -; L. A. Giffen,Theory of Profane Love among theArabs: The Development of a Genre, New York University Press, New York ; S.Enderwitz, Liebe als Beruf. Al-‘Abbas ibn al-Ahnaf und das Gazal, Franz SteinerVerlag, Stuttgart ; J. E. Bencheikh, Les secrétaires poètes et animateurs de céna-cles aux IIe et IIIe siècles de l’Hégire, in “Journal Asiatique”, , , pp. -.

. Per le poetesse animatrici di questi circoli poetici, un caso emblematicodel periodo di cui ci stiamo occupando è quello di ‘Inan, per la quale cfr. J. Ben-cheikh, ‘Inan, in Encyclopédie de l’Islam, vol. III, Brill, Leiden , p. . Altrocaso, più direttamente legato ad Ab) Nuwas, è costituito dall’enigmatica pre-senza di Janan, poetessa e cantante, che il poeta spesso si compiace di indicarecome sua musa ispiratrice, e forse suo unico vero amore.

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. Sui circoli poetici cfr. ad esempio J. E. Bencheikh, Les musiciens et la poé-sie, in “Arabica”, , , pp. -.

prattutto caratterizzati da un intenso rapporto, di natura socialee artistica, con la musica e i musicisti .

In questi luoghi di produzione poetica in cui si muove Ab)Nuwas, la trattazione dei temi d’amore non è affatto prerogativamaschile; se si accoglie la teoria della poesia amorosa portatricedi una carica al contempo di protesta dissidente e di alienazione,è un fatto che il canone poetico sembra imporre un unico lin-guaggio omologante anche quando a dar voce all’alienazioneamorosa è una poetessa. Questo aspetto lascia trapelare una spe-cificità dell’amore pre-cortese e cortese arabo: da un lato, esistenella letteratura classica arabo-islamica una dimensione amoro-sa femminile, gestita e narrata dalle donne – anche ammesso chel’affabulazione femminile sia un discorso maschile attribuito al-le donne; dall’altro, la specificità, e la complessità della questio-ne, posta in termini di genere, è legata alla visibilità della donnanella città islamica medievale: la donna come corpo e la donnacome Altro; la tangibilità del corpo femminile; la pseudo-confu-sione, tanto celebrata in poesia, tra corpo femminile e corpo ma-schile. Temi, questi, che la biografia letteraria di Ab) Nuwas sfio-ra e non permette in questa sede di approfondire, ma che lascia-no aperta una riflessione sui percorsi lungo i quali uno studiocomparativo fra modelli d’amore medievale, orientali e occiden-tali, può inoltrarsi quando sceglie la letteratura come fonte distoria sociale, delle mentalità, e delle donne. Ancor più, semmai,risulta spinoso affrontare in maniera univoca il tema dell’amorecome figura del discorso dissidente in un contesto storico di cui,nei fatti, poco ancora sappiamo delle reali fratture tra le pratichesociali e le idealizzazioni intellettuali.

Intersecando queste due dimensioni – la partecipazione fem-minile alla costruzione del discorso sull’amore, la musica e i cir-coli artistici privati all’ombra degli ambienti di corte –, è possi-bile dunque individuare, almeno, i segni di un intorno storico nelquale Ab) Nuwas colloca la portata innovativa dei suoi versi. In-fatti, è proprio da un ambiente di corte, dominato da una cultu-ra musicale e poetica che vive di patrocinio aristocratico, già nel-

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la seconda metà dell’VIII secolo, che circolano i versi pionieristi-ci di ‘Ulayya (-), figlia del califfo al-Mahd¤, poetessa e mu-sicista, protettrice di Ishaq ibn Ibrah¤m al-Mawsil¤, consideratodalla critica coeva il più grande musicista del tempo. Sappiamoche non contrasse mai matrimonio e che amò di un amore con-trastato il suo paggio ¥all, a cui dedicava versi come questi :

Amarti è la prova che il tempo m’impone, e mi basta.Costringe il mio passo a farsi furtivo,a incedere muto da morte a altra morte,quando verso di te avanzo.Fino a te il desiderio si estende, cipresso: c’è forse un sentiero più breveche al tuo ombroso riparo conduce?Là l’ombra s’allunga e incontra chi amacolui a cui mai si proibisce l’uscita,a cui sempre è interdetta l’entrata.

Amore si fonda su iniqui precetti.Seppure l’amato vi vede giustizia, di fatto è crudele tiranno.Chi intrepido ama è tratto a operarenel verso in cui pena d’amore lo spinge,eppure è mal visto da chi stabilisce le leggi d’amore,che in prona umiltà dell’amante disonore ravvede,e non sa che alla gioia si apre chi amase per chiave dispone di schiava obbedienza.Raccolto abbondante che mescola il puro e l’impuro non valeun chicco di grano che puro non teme il setaccio.

Rispondi all’amore, ché amore a chi ama si fa messaggero,se pure lontana ti appare quella dimorache a farti vicino ti chiama.Ascolta chi d’amore salvifico ama,chi da gioia d’amore a salvezza è innalzato.Se non fosse in amore talvolta disciolta amarezza,a che gioverebbe affidare all’inchiostro, alla carta,dolcezza che, letta, redime?

. Ab)’l-Faraj al-Isfahan¤, Kitab al-aghan¤, Dar al-kutub, Cairo , vol. VI,pp. e -.

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I delicatissimi versi di ‘Ulayya bint al-Mahd¤ forse vanno letti co-me un esperimento cortese, pur se dotato di un richiamo all’ele-mento realistico che proviene dalla propria esperienza soffertad’amore. Di queste premesse, evidentemente, Ab) Nuwas e lasua scuola si nutrono per trasformare la sperimentazione in unapratica poetica stabile, rigorosa e coerente; quanto questa nuovapratica letteraria sia veramente specchio di una pratica sociale didissidenza che attraverso l’amore veicola una rete differenziatadi istanze di ribellione è ancora una questione tutta da indagare.

In questo quadro, dove sembrano procedere di pari passouna teatralità giocosa e scandalosamente frivola e una messa insimbolo del potere disgregante dell’amore come sintesi supre-ma di ogni ipotesi di dissenso, la volontà di confondere la figu-ra pubblica con quella privata dei poeti “canonicamente scelle-rati” – così come risalta dalle fonti biografiche – potrebbe ave-re un senso. All’interno del dibattito sul ruolo sociale di unapoesia, a sua volta, canonicamente trasgressiva, sembrano mol-to pertinenti le osservazioni di Julie Scott Meisami, quando scri-ve che questo genere di poesia potrebbe benissimo essere ungioco letterario sapientemente costruito; domandarsi se sia sin-cero oppure no (realistico oppure no) potrebbe parimenti esse-re irrilevante. Altrettanto irrilevante appare, agli occhi della stu-diosa, dedurre da questa poetica una riflessione di genere, fo-calizzata sull’orientamento sessuale di Ab) Nuwas e dei suoiimitatori: ciò che le fonti ci hanno consegnato, essenzialmente,è la fisionomia di una persona poetica . Rimane tuttavia apertaun’ultima questione: quali ragioni, squisitamente di ordine so-ciale, abbiano reso così popolare, e allo stesso tempo così gravi-do di ulteriori interpretazioni all’interno della storia letterariamedievale non solo araba, ma islamica tutta – con tutti i percorsisecondo i quali l’amor profano genera i simboli di cui si nutrel’amore sacro (o mistico, se si vuole) –, un semplice gioco lette-rario così ben costruito.

. J. S. Meisami, Arabic Muj)n Poetry: The Literary Dimension, in F. De Jong(ed.), Verse and the Fair Sex: Studies in Arabic Poetry and in the Representation ofWomen in Arabic Literature, M. Th. Houtsma Stichting, Utrecht , in parti-colare pp. -.

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Classico, anticlassico, arcieri e coppieri

È noto che il clima poetico in cui Ab) Nuwas si muove è sostan-zialmente contro un ideale classico del fare poesia: la querelle fraantichi e moderni che l’umanesimo arabo svilupperà in altri con-testi letterari fra il IX e il X secolo è anticipata dalla crisi dei mo-delli poetici classici, e Ab) Nuwas è riconosciuto unanimementecome uno dei principali artefici della nuova poetica. Contro la no-stalgia degli accampamenti in rovina, contro l’amore che si allon-tana con la carovana che riparte, la poetica degli “stilnovisti”d’età abbaside oppone la stabilità della città, la permanenza – enon di meno l’imperturbabile lontananza – delle figure amate nel-l’orizzonte senza futuro di un amante che diventa il nuovo eroe diuno spazio urbano, eminentemente limitato, entro cui egli misu-ra il paradosso dell’amore, che dovrebbe essere congiunzione, einvece prende sempre l’unica, dicibile forma della separazione.

La critica anticlassica di Ab) Nuwas si articola indistricabil-mente sul doppio binario della forma e dei contenuti. Alla pro-liferazione lessicale della poesia pre-islamica, che opera orizzon-talmente nel campo dell’esperienza dicibile, finendo così per for-nire un vocabolario estenuante, vastissimo ma mortifero, Ab)Nuwas preferisce affrontare un meticoloso lavoro di raffina-mento della lingua, in grado di ridurre volontariamente il reper-torio del descrivibile; muovendosi lungo una traiettoria vertica-le che agisce non più sull’estensione del rapporto fra le parole ela cosa, ma sull’intensione del nome e del senso, egli aumentavertiginosamente il repertorio del conoscibile.

Alla purezza della lingua (valore di risonante pertinenza alclassico), Ab) Nuwas, cittadino di una città che per antonomasiaè cosmopolita, oppone uno strategico ricorso alla contaminazio-ne: con una determinazione sfrontata, i versi vengono resi indeci-frabili dall’inserzione di parole che più risultano oscure e aliene,più assolvono una funzione di parole-chiave. Medio-persiano, si-riano, greco (pare); parole che si scrivono in caratteri arabi ma nonsi sa come leggere (eventualmente il rigore del metro può fungereda ausilio permettendone la vocalizzazione e quindi la lettura – maè pur sempre lettura di puri suoni che smentisce l’univocità di una

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percezione istantanea del significato in rapporto al segno). Questepresenze aliene sono relitti archeologici, trastullo erudito di unasocietà che si sente erede della storia del mondo, o piuttosto sonosegni metropolitani di una modernità che attualizza quella stessaeredità carica di sapienza, seppur in maniera frammentata, sotto ilsegno della molteplicità (etnica, confessionale, linguistica)?

Eppure, nella sua negazione del classico, nel suo ricorso al di-svalore per interpretare un mondo che ormai non pertiene piùall’antico che opprime, si insinua una debolezza archeologica (oun amore smisurato per quella poesia classica che egli sente nonappartenere più al suo tempo), che il suo maestro subdolamen-te deve avergli insegnato. C’è un aneddoto, quanto meno auten-tico tanto più paradigmatico perché attribuito solo ad Ab)Nuwas, che vede il poeta spedito dal suo maestro – al quale ave-va chiesto, alla fine dell’apprendistato, licenza di comporre – neldeserto, fra i beduini, ritenuti depositari di quei valori inutili, va-lidi solo per il loro valore referenziale, di citazione . Nei luoghiin cui la cultura urbana individuava la perpetuazione della clas-sicità, e in cui filologi e poeti dovevano fare i primi ricerca sulcampo, i secondi un nuovo apprendistato, Ab) Nuwas dovràmemorizzare almeno un migliaio di componimenti. Quello stes-so poeta che più tardi scaglierà la sua polemica anche contro lasterile e fredda retorica della “beduinità” , si sottopone al tiro-cinio della memoria di un mondo finito, che nessuno in realtàrimpiange sul serio, mantenuto in vita dalle velleità etnologichedi una schiera di grammatici, filologici, lessicografi ed eruditi chevedono nei beduini gli ultimi preziosi, insostituibili informatoridelle vestigia del passato. Al suo ritorno nel mondo delle città edei nuovi saperi, egli recita al maestro alcuni fra le migliaia di ver-si mandati a memoria. Il maestro, forse anche annoiato, tagliacorto, lo interrompe e gli dice: «Bravo, adesso dimentica».

Nella solitudine di un monastero, Ab) Nuwas dimentica cosìla sapienza acquisita. Come si possa dimostrare, se non altro a sestessi, di aver dimenticato, è quanto meno contraddittorio, almeno

. Citato in Trabulsi, La critique poétique, cit., pp. -.. Cfr. ad esempio i versi tradotti in F. Gabrieli, La letteratura araba, Sanso-

ni, Firenze , p. .

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perché è impossibile non ricordare mentre si pensa; eppure, qui, letecniche della dimenticanza assumono un’importanza anche mag-giore di quelle dell’apprendimento. Se pensare è ricordare, e ricor-dare è riconoscere, l’equazione dell’oblio paradossalmente non sirisolve in una negazione degli elementi che alimentano il ricordo.Obliare è ancora una volta pensare, ma ne deriva istintivamente unpensiero raffinato e sublimato: pensare diventa concepire, ricono-scere diventa discernere. Nella cella della dismemoria entra un ano-nimo provinciale, aspirante poeta; ne esce il padre ri-fondatore ditutti i generi post-classici delle letterature islamiche.

Dicevamo, dunque, di un’opera di raffinamento della lingua,di una compressione del dicibile; e ancora, contaminazione lin-guistica e culturale, privilegio della sinonimia. Che cosa dovevadimenticare, di preciso, Ab) Nuwas? Non sappiamo; se egli di-mostra fedeltà alla regola fondamentale, nella poesia classica ara-ba, della variazione nella ripetitività, ciò che emerge è una ten-sione – affine all’oblio – a spezzare le forme. Il vocabolario ara-bo classico estende i confini del dicibile per raggiungere un’in-fallibile precisione descrittiva; Ab) Nuwas si adopera a confon-dere l’intelligenza della descrizione, non garantendo mai che ilsegno sia davvero secondo l’ordine dei rapporti fra significantee significato. Il lessico classico comunica un forte senso di illimi-tatezza, nella quale ogni nome va pronunciato univocamente;Ab) Nuwas introduce il germe della finitudine, esaspera le pro-prietà dell’equivoco (comunque e problematicamente presenti)della lingua araba. La poesia pre-islamica paragona le cose perdescriverle meglio; Ab) Nuwas simula un’insufficienza lessicaleper ricorrere, piuttosto, alla somiglianza come strumento cogni-tivo. Le figure del discorso poetico, in lui, ruotano come varian-ti della similitudine: ma è sempre una somiglianza percepita, aldi là della parola, nella cosa entro l’ordine della differenza e del-l’inferenza . Dalla somiglianza alla rappresentazione il passo èbreve (la poesia medievale neopersiana erediterà la finitudineabunuwasiana, trasformando definitivamente la similitudine inmetafora permanente). Passando dalla descrizione alla rappre-sentazione, Ab) Nuwas svela l’intima qualità di quest’ultima: es-

. Cfr. M. Foucault, Les mots et les choses, Gallimard, Paris , p. .

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sa è a un tempo indicazione e apparizione. Dei due termini, il se-condo prende il sopravvento: la presenza dell’oggetto dietro ilsimbolo è ciò di cui va detto perché sia esperito:

Per te ho bandito dal mio vocabolarioparole che parlino del mio soffrire.Invano esploro dicibile e indicibile,ma tu non te ne curi, di me che frugo fra i concetti .

Per il poeta che deve imparare a dimenticare, il vino è il vino è ilvino – come per Gertrude Stein una rosa è una rosa è una rosa;così, egli può comporre versi come questi:

Dimmi che è Vino, quel vino che versi:non toglie mai sete un segretose non lo riveli.Il nome preciso di Amore voglio sentire:l’enigma è perfetto soltantose dietro si staglia altro velo .

Ma procedendo per rappresentazioni, la presenza dell’amato – ri-sultante di tutti i segni di cui è composta la sua presentificazio-ne – diventa epifania; la sua apparizione, frutto di una finitudi-ne che esclude la fermezza di quella presenza, è sempre porta-trice di un’alterazione nella percezione del reale – oltre che dibatticuori, di malintesi. L’operazione anticlassica di Ab) Nuwasè racchiusa in questa finzione dell’oblio. Una finzione piuttostocervellotica, come dimostra lo straordinario esercizio di stile diquesti versi:

Dammi vino, coppiere, di vino dissetami:non senti il clangore dell’aurora?L’esercito notturno retrocede,illumina l’alba la sua fuga.Placami la sete mattutinacol puro cristallo della coppa,

. DS, p. .. Ivi, p. .

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dai puri riflessi adamantini,lampada al labbro di chi beve.Di identica natura cristallinaè il dardo che mi lancia la tua manodi copto, la cui fede è rivestitadi un panno che ricorda antichi arcieri.Da frecce di cristallo è aperto il giornoed ebbri a chi ci giudica diremo:«Non frangete il turcasso del coppiere» .

L’atmosfera realizzata è quella, moderna, della poesia urbana; lospazio è quello della taverna; le figure che animano lo scenario so-no quelle che ci si aspetta dal genere poetico praticato: il coppie-re, il vino, il simposio d’amore che volge al termine, con la ma-linconia dell’alba che mette fine al saturnale. Dietro l’aderenza algenere, vi è però un’operazione archeologica, giocata intorno auna stupefacente confusione, o sovrapposizione, lessicale tra cop-pe e turcassi, da cui emerge un ipotesto. In questo ipotesto, chesi protende lungo la superficie dei versi, tutto si trasfigura. Perrealizzare questa epifania, per far capire a chi legge il senso delleparole che, più sono familiari, più sono spesse e plurali, è neces-sario simulare un crollo della forma evocata. L’artificio sospendeil momento della rivelazione, racchiuso in uno scintillio di cri-stallo che ricorda altre opalescenze – l’iridescenza della lama, nes-so obbligato per stabilire il patimento d’amore, il soggiacere del-l’amante allo sguardo acuminato come dardo dell’amato – fino adimenticarsene e a rimpiazzarla con un’altra rivelazione: sarà pro-prio vero che un coppiere è un coppiere è un coppiere, se poi Ab)Nuwas indica coppe, e appaiono frecce?

Nel caso dei versi – qui maldestramente tradotti, perché si èdovuta operare una progressione di immagini per riprodurre unatrasfigurazione affidata, nel testo, solo a nomi di cose che im-provvisamente cambiano contestualmente di senso – la coppa èsempre ka’s: sempre, fino a quando non cade nelle mani di uncoppiere copto, non musulmano, dunque ornato – e segnato nel-la sua alterità religiosa – dallo zunnar, la cintura che contrasse-

. DW, vol. III, p. .

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gnava l’appartenenza a una delle religioni a statuto protetto. Unattimo prima che le dita del coppiere l’afferrino, la coppa cam-bia nome, diventa qadah. Saremo più precisi: un attimo primache essa venga stretta dalla mano sinistra del coppiere, venendospontaneo pensare che con la destra si versi il vino e con la sini-stra si porga la coppa: ed è quella mano, non i fianchi, a esserefasciata dallo zunnar, che in questa sordida e sublime osteria bag-dadina il giovane indossa come la salvietta sul braccio di un ca-meriere. Da quel momento, la coppa esaurisce la sua funzioneunivoca, oggetto evocatore dei coppieri del paradiso, e cominciaa diventare un nome al plurale: aqdah.

Le strategie oblique dell’oblio innescano un processo inferen-ziale che conduce a un’epifania diversa da quella prevedibile e at-tesa, che precipita in controluce staccandosi dal testo, per richia-mare alla visione l’ipotesto “antico”: nel loro plurale, le coppe di-ventano frecce, di cui è assente nel testo il singolare qidh (tuttaviaomografo di qadah), ma il cui plurale è ancora aqdah: e il coppie-re diventa un arciere. Nella costruzione del nuovo contesto in cuiil segno cambia di senso, affiora la memoria di un sapere divenu-to esperienza passata. Aqdah, ormai stabile plurale di frecce, è unaparola antica, tanto quanto un gioco d’azzardo pre-islamico chia-mato maysir, condannato dal Corano in un’associazione così stret-ta al vino da diventare, di quest’ultimo, se non proprio un sinoni-mo sul piano lessicale, almeno un termine di puntuale richiamo re-ferenziale. Al maysir si giocava così: scopo del gioco era vincereil migliore dei tagli di carne di cammello – probabilmente in rap-porto a sacrifici nell’ambito di un culto astrolatrico – che funge-vano da bersaglio. Ogni giocatore era abbinato a una freccia, iden-tificata da un contrassegno; la figura centrale del gioco era il gio-vane che, dopo averle mischiate, estraeva una a una le frecce (aq-dah) dalla faretra con la mano sinistra (al-yusra, da cui forse il no-me del gioco), completamente avvolta in un panno di stoffa pernon riconoscere al tatto il contrassegno, e le porgeva al tiratore.

. Attenzione: qadh contempla, fra i significati connessi alla sua radice,quelli di “biasimo”, “condanna”, “censura”: la nostra versione ne tiene contocontestualizzando forse un po’ troppo arditamente e frecce e coppe e disappro-vazione moralista.

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A fornirci i dati relativi al gioco del maysir e alla sua termi-nologia, fra gli altri, è Ab) ‘Ubayd al-Qasim al-Sallam al-Haraw¤,uno dei tanti eruditi, archeologo del sapere morto nell’. Tut-te le informazione che egli raccolse erano desunte da testi di au-tori che prima di lui avevano indagato in quell’“archivio dei no-stri fasti” – così veniva definito, in epoca islamica, il periodo delpaganesimo –, armati dell’unico strumento che potesse in qual-che modo perpetuare, integrandolo alla costruzione di un’ideadi classico che in quel tempo si andava consolidando, quel sape-re antico: la volontà filologica. Volendo saperne di più sulle mo-dalità del gioco, al-Haraw¤ se ne andò viaggiando per i desertid’Arabia, interrogando la memoria (supponendola antica) deibeduini. Il filologo “sul campo” dovette restare assai deluso,constatando che i suoi informatori, del maysir, sapevano ben po-co: ormai, avevano dimenticato quasi tutto .

L’inizio della fine del cosmo aristotelico

(e di una nuova poetica)

Una situazione, non v’è dubbio, paradossale: per ben sette secoli neicentri urbani dell’islam si venne elaborando in lingua araba una ricercascientifica e matematica fra le più avanzate della storia. Può mai essereverosimile che i filosofi [...] siano restati isolati nella loro attività filoso-fica, indifferenti ai mutamenti che si producevano sotto i loro occhi, unodopo l’altro? Di fronte a una messe senza precedenti di successi e di in-novazioni disciplinari [...] è davvero legittimo immaginare che i filosofise ne siano rimasti insensibili fino al punto di autoconfinarsi nel camporelativamente ristretto della tradizione aristotelica e del neoplatonismo?L’apparente povertà della filosofia dell’islam classico è senza alcun dub-bio un fatto che riguarda i suoi storici piuttosto che la storia .

Il paradosso storico-culturale cui allude Roshdi Rashed può esse-re allargato fino a includere chiunque, fra l’VIII e il IX secolo, fra

. Per il gioco del maysir e i beduini smemorati cfr. T. Fahd, La divinationarabe, Brill, Leiden , pp. -.

. R. Rashed, Filosofia della matematica, in AA.VV., Storia della scienza, vol.III, La scienza araba, a cura di R. Rashed et al., Istituto della Enciclopedia Italia-na, Roma , in particolare pp. -.

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Bassora, Kufa e Baghdad, portava col proprio contributo intellet-tuale una traccia, o un riverbero, di quella complessità culturaleche contraddistingue il quadro della prima età abbaside – un qua-dro di cui Ab) Nuwas è protagonista. La questione sollevata dal-lo storico della scienza, infatti, si presta – credo – volentieri aespansioni e sconfinamenti a partire da quello che sembra essereveramente l’oggetto del mutamento epocale: i linguaggi della rap-presentazione del mondo – scientifica, filosofica o poetica. Lin-guaggi che danno corpo alle esperienze diversificate dei rapportifra parole (antiche) e cose (nuove), fra le reliquie e i discontinui re-liquiari (libri, e più spesso idee in forma di biblioteca...) della clas-sicità da un lato, e dall’altro l’elaborazione di un archivio che pri-ma non c’era per collocare i reperti che da quella classicità giun-gono e sistemarli entro la propria storia, e la propria storiografia.

La nuova enciclopedia del sapere, le relazioni fra i saperi e lemetafore costitutive delle nuove conoscenze, come pure la plu-rivocità dei margini di condivisione fra i saperi, tutto ciò inglobala dimensione ellenistica, avvertita – secondo le rappresentazio-ni con cui le fonti ci hanno restituito i diversi modi arabo-isla-mici di fruire del discorso sulla/della classicità – o come model-lo irripetibile, stagliato in un illo tempore, in cui i dotti sapevanoveramente tutto, o come una forma di sapienza degna del massi-mo rispetto, ma suscettibile di critica, di revisione, a volte di su-peramento, secondo quel modo di guardare al passato perproiettarsi inconsapevolmente verso l’avvenire.

In entrambi i casi, devozione filosofica e approccio scientificodisinvolto sono atteggiamenti difficilmente etichettabili come tar-do-antichi, o medievali. Forse potrebbero essere chiamati post-classici, per dare conto non solo del recupero di un patrimonioquale quello ellenistico, ma anche di una sua utilizzazione in chia-ve consapevolmente ideologica e culturalizzata. Siamo di frontealla costruzione di un discorso storiografico sull’avvenuta appro-priazione del sapere greco, che quanto meno si manifesta comestoria di una tradizione ininterrotta ; sappiamo qualcosa del ver-

. Su alcune modalità con cui l’etica dei filosofi diventa tema letterario “au-toctono” cfr. J. Jolivet, L’idée de la sagesse et sa fonction dans la philosophie des e

et e siècles, in “Arabic Sciences and Philosophy”, , , pp. -.

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sante “mitico” di questo discorso, che a tratti assume i caratteridi vetusta leggenda metropolitana – i secoli bui di Bisanzio ico-nizzati in forma di libri seppelliti, chiusi a doppia mandata in tem-pli ove giace e si consuma la dismemoria del sapere ordita dal cri-stianesimo. Le procedure di una siffatta dismemoria, provocatadalla proibizione del sapere e dal naufragio dei testi (cfr. la storiadei saperi proibiti in al-Nad¤m, nelle prime pagine del settimo ca-pitolo del Fihrist), sono sempre evocate secondo i modelli giuri-dici musulmani, oggetto di controversia dottrinale, con i quali silimita la liceità della distruzione dei libri: «Io preferirei che ve-nissero seppelliti», rispondeva il giurista al-Awza’¤ a chi gli chie-deva se fosse meglio vendere o bruciare libri presi come bottinodi guerra in terra bizantina. Al-Shafi‘¤, invece, riteneva che, inquelle condizioni, si imponesse l’obbligo di conoscerne il conte-nuto, fondando così l’istanza giuridica della traduzione – e la-sciando forse aperto uno spiraglio per capire l’intreccio tematicofra saperi proibiti e saperi riscoperti, tradotti, legittimati.

Tradurre, dunque, diventa un dispositivo inaugurale e legitti-mante del mito della riscoperta del passato, ma, a volte, anche diuno sguardo polemico sul presente («Chi ti assicura che ciò cheassumi a fondamento del tuo sapere sia stato tradotto bene?», di-ce in sintesi, fra certe altre obiezioni, il grammatico Ab) Sa‘¤d al-S¤raf¤ al logico filelleno Ab) Bishr Matta, nel corso della celebredisputa bagdadina: anche quella era una maniera, piuttosto luci-da, post-classica, di guardare a una classicità sentita al contempocome di gran moda. Del resto, al-Tawh¤d¤, l’autore che ha conser-vato memoria di quella disputa, si ritrova spesso a conversare colsuo visir mecenate di “sapere greco”, cioè di stili di pensiero. For-se non è un caso che per aprire la collezione di discussioni del-l’Imta‘ wa’l-mu’anasa egli scelga il tema del confronto tra i mo-derni e gli antichi, annosa querelle che qui sembra offrire una cor-

. Al-¥abar¤, Kitab ikhtilaf al-fuqaha’, ed. J. Schacht, Brill, Leiden ,pp. -.

. Al-Tawh¤d¤, al-Imta‘ wa’l-mu’anasa, eds. ‘A. Am¤n et al., Lajnat al-ta’l¤fwa’l-tarjama wa’l-nashr, Cairo s.d., vol. I, pp. ss. Il testo della disputa è tra-dotto da D. Margoliouth, The Discussion between Ab) Bishr Matta and Ab) Sa’¤dal-S¤raf¤ on the Merit of Logic and Grammar, in “Journal of the Royal Asiatic So-ciety”, nuova serie, , , pp. -.

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nice, un ideale assetto unitario, un filo al discorso che si dipana,notte dopo notte, fra due tra gli spiriti più tormentati dell’umane-simo arabo). Un mito, quello della Grecia, nutrito abbondante-mente di polemica politica nei confronti dell’altro grande impero,che pure soltanto al califfo, com’è noto, riservava il pari titolo dibasileus negli atti ufficiali della cancelleria e ai suoi ambasciatori ilposto d’onore nel cerimoniale di corte (i bizantini? Degli artigia-ni, scriveva al-Jahiz., fornendo esempi non troppo imparziali del-l’incomparabilità abissale fra i greci antichi, veri artisti, e i nuovi).

Un mito, dunque, quello del sapere ritrovato, che trascende,e a noi confonde, il reale profilo ricettivo, da parte arabo-islami-ca, delle rotture e decadenze altrui e delle proprie ricuciture; que-ste ultime spesso sembrano farsi metafora sapiente, veramente ar-tificiosa, e spesse volte ironica, di una consapevolezza della por-tata ideologica che il mito dispiegava ogni volta che affiorava e sirielaborava. Si pensi alla compiaciuta dimensione teatrale con cui,una sera a Baghdad, in casa del barmecide Yahya ibn Khalid, gliospiti si accingono a recitare il Simposio, secondo Mas‘)d¤ (su cuitorneremo). Il passo, proprio perché, come vedremo, plausibilis-sima fiction, può prestarsi a diverse interpretazioni intorno aicriptici dati contenuti in questo testo, che sembrano sottintende-re una sorta di coscienza storiografica dei passaggi di testi e d’i-dee che esso contiene. In un convivio che vede riuniti alcuni rap-presentanti delle diverse correnti di pensiero teologico musulma-no, il compito di illustrare il nesso, o la compatibilità, fra saperiarabi e saperi stranieri dispiegati intorno al tema dell’amore è af-fidato al sommo sacerdote mazdeo, dunque un persiano, che in-troduce nel dibattito la descrizione medica dello stato d’amore,cui Mas‘)d¤ può agevolmente agganciarsi per illustrare a sua vol-ta le idee “moderne”, cioè quelle dei filosofi (incluso il mito del-l’androgino dimidiato necessariamente attratto dall’altra metà).

A noi risulta abbastanza semplice cogliere queste sfumatureideologiche, perché, a nostra volta, abbiamo edificato un mito del-la Grecia ideologicamente orientato. Ne risulta, però, anche unamaggiore, ingenua inclinazione a cogliere, di quel passaggio dalgreco all’arabo, i plausi e le adesioni (letti trionfalmente come il se-gno di un’illuministica apertura – al-Kind¤, al-Farab¤, Averroè, lebiblioteche che accolgono il “sapere degli antichi”), oppure le

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condanne e le abiure (viste riduttivamente come manifeste punta-te dell’oscurantismo – al-Ghazal¤ dopo la crisi mistica, le madraseche escludono le “scienze straniere”). Simili letture, che di tantoin tanto ancora oggi riaffiorano nonostante dichiarazioni di muta-ti approcci, presuppongono una compattezza, a duplice, monoli-tica direzione, nell’accoglienza o nel rifiuto, riflesso di una biuni-voca disposizione dell’episteme (lo spirito dei tempi, si diceva pri-ma di Foucault), che non si riassume solamente nella rigida, fre-quente dicotomia filosofia vs. religione; più nascostamente, uncerto “fare storia” dell’islam classico ci presenta un mondo di cuisi accentuano i grandi schieramenti e non lascia vedere le commi-stioni – forse celate persino alla consapevolezza di chi in quel mon-do si muoveva: o tutti platonici o tutti aristotelici (che non è comedire o mistici o materialisti, ma qualche cosa di più interessante).Quanto abbia significato il neoplatonismo per la critica “scientifi-ca” alla fisica aristotelica, da Filopono in poi sostando a lungo interra arabo-islamica , è cosa nota; meno evidente, perché proba-bilmente subentra qui un elemento di soggettività, potrebbe esse-re, da parte di un autore, la percezione di sé (scienziato o filosofo,o entrambe le cose) all’interno di questa o quella tradizione e delrelativo corpo del sapere, e l’effettivo risultato cui l’opera del taleautore perviene, in cui l’indagine moderna rinviene chiarissimi se-gni di superamento: purtroppo ignoriamo che cosa contenesse labiblioteca filosofica di Ibn al-Haytham – il quale fonda nell’XI se-colo la scienza (sperimentale) dell’ottica componendo le scienzefisiche e quelle matematiche –, ma allorché Shlomo Pinès pre-senta il progetto dello scienziato come un compromesso volto al-la risoluzione dell’«enigma della posizione della matematica al-l’interno dello schema aristotelico delle scienze» , sorge il dub-bio che vi sia una differenza non documentata dalle periodizza-

. H. A. Davidson, John Philoponus as a Source of Medieval Islamic andJewish Proofs of Creation, in “Journal of the American Oriental Society”, ,, pp. -.

. S. B. Omar, Ibn al-Haytham’s Optics: A Study of the Origins of Experi-mental Science, Bibliotheca Islamica, Minneapolis .

. Sh. Pinès, Philosophy, Mathematics and the Concepts of Space in the MiddleAges, in Y. Elkana (ed.), The Interaction between Science and Philosophy, Hu-manities Press, Atlantic Highlands (NJ) , p. .

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zioni adottate dagli storici fra l’essere aristotelici e il credersi ta-li. Anche di questa differenza è forse fatto quello spazio indeter-minato che contiene il passaggio dalla tarda antichità alla pre-modernità senza un Medioevo dell’islam classico. Ancora nel XIII

secolo, Nas¤r al-D¤n al-¥)s¤, neoplatonico per fede, edita perl’ennesima volta l’Almagesto, ma su base trigonometrica rinnovala tradizione di studi dei “dubbi su Tolomeo” (gli Shuk)k ‘alaBa†lamiy)s inaugurati da Ibn al-Haytham), verificando per sin-goli casi l’errore del maestro alessandrino.

Non v’è dubbio che Ab) Nuwas e la sua scuola abbiano im-messo nel codice poetico della nuova città abbaside una notevolequantità di topoi che cambiano radicalmente il modo di concepi-re la rappresentabilità dell’amore. Ma è decisamente impressio-nante il parallelismo cronologico che emerge dal confronto fra lenuove immagini con cui la corrente dei muhdath)n, i moderni, co-struisce lo spazio della critica anticlassica della propria poetica e leimmagini che ci giungono dai rapporti fra la critica dei dialettici(mutaziliti e non) antiaristotelici e la filosofia naturale; la nuovapoesia dice cose antiche usando concetti nuovi. È interessante os-servare come una tematica quale appunto l’amore, per la quale èabitudine mutuare dal sapere medico la sintomatologia anche insede poetica, non di rado adotti nozioni e concetti peculiari delleteorie atomiste mutazilite. Dalla malattia d’amore si slitta, in altreparole, verso una fisica del corpo innamorato. Sembra possibile di-segnare una tavola di corrispondenze puntuali fra i nuovi topoi let-terari – corpo/corporeità (jism/jirm), essenza-sostanza (ma anche“atomo”, jawhar) , movimento/quiete (haraka/suk)n), inclina-zione/attrazione (mayl/jadhb), spazio/locazione (makan/kawn) –e le principali tematiche intorno a cui, fra VIII e IX secolo, i teolo-gi dialettici e i filosofi aristotelici (cristiani, ebrei, musulmani, dua-listi e manichei) si confrontavano, in un dibattito sulla costituzio-ne dell’universo alle cui fasi sono stati dedicati lavori importanti .

. Sull’uso di jawhar inteso sia come “sostanza” sia come “atomo” nel lessi-co mutazilita cfr. A. Dhanani, The Physical Theory of kalam: Atoms, Space, andVoid in Basrian Mu’tazili Cosmology, Brill, Leiden , pp. ss.

. J. Van Ess, Theologie und Gesellschaft im . und . Jahrhundert Hidschra.Eine Geschichte des religiösen Denken im frühen Islam, vol. III, de Gruyter, Berlin-

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In particolare, un recente articolo di Marwan Rashed ricostruiscei rapporti fra il kalam (lo stile del ragionamento dialettico) e lescienze del tempo avvalendosi di una lettura delle fonti dossogra-fiche che mette in luce il ricorso innovativo, da parte dei dialetti-ci, i mutakallim)n, ad argomenti matematici a sostegno delle loroteorie fisiche. Così l’autore conclude la sua trattazione :

A livello epistemologico, la fisica del kalam ha riattivato e sviluppato indirezioni nuove alcune questioni sui fondamenti della scienza che era-no rimaste addormentate per secoli. È in particolare il caso della rifles-sione sul continuo e dell’appropriazione dell’atomismo matematico chepone il quadro in cui il problema sarà formulato fino a Leibniz nel .A livello propriamente scientifico, alcune osservazioni fisiche dei mu-takallim)n [...] sono altrettanti esempi dell’attitudine dei teologi a leg-gere anche “il grande libro della Natura”. [...] A livello ideologico, la fi-sica del kalam segna l’inizio della messa in questione del sistema delmondo aristotelico. Il Cosmo di Aristotele non è più che una concezio-ne del mondo fra le altre, soggette a critica. Gli argomenti dei mutakal-lim)n, trasmessici attraverso le confutazioni che ne hanno dato i peri-patetici (Avicenna, Averroè e Maimonide principalmente), innervano inmodo diffuso l’antiaristotelismo medievale e rinascimentale.

Ciò che appare interessante è la puntualità con cui si rintraccia,in alcune fonti, la consapevolezza dell’avvenuto salto di qualitàcon cui i teorici del kalam tentavano di descrivere ogni rapportoesatto delle sostanze, degli accidenti e degli eventi del mondo fi-sico con l’onnipotenza divina, avvalendosi di prove matematichea sostegno di dottrine che, almeno stando all’ispirazione teologi-ca di partenza, avevano a che fare senza dubbio più con l’onto-logia che con la geometria. È il caso di al-Juwayn¤, che coglie ri-chiami espliciti alla matematica nello sviluppo della disputa fraAb)’l-Hudhayl e al-Naz.z.am (personaggio che incontreremo an-cora) sul continuo fisico . Nel complesso, un dato affiora in ma-

New York ; R. Frank, Beings and Their Attributes: The Teaching of the BasrianSchool of the Mu‘tazila in the Classical Period, State University of New York Press,Albany ; Dhanani, The Physical Theory, cit.

. M. Rashed, Kalam e filosofia naturale, in AA.VV., Storia della scienza, vol.III, cit., pp. e .

. Ivi, p. .

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niera generalizzata: la convergenza antiaristotelica fra mutakal-lim)n e matematici, fra dottrine e rappresentazioni geometrichedello spazio e della sua discussa finitezza, era già notata all’epo-ca (X-XI secolo). Di fatto, a una lettura che non abbia alle spalleuna vera e propria formazione scientifica, i mutakallim)n sem-brano “solo” dire cose nuove ricorrendo a immagini antiche.

Eppure, il superamento di determinati paradigmi cognitiviche si andavano inserendo nel dibattito classico sulla costituzio-ne del creato – non più solo un’opera di commento, quand’an-che critica, alla fisica aristotelica, ma una revisione dall’internodi nuovi quadri concettuali che ne mostravano i limiti – non ve-niva recepito all’unisono come un passaggio dall’interpretazioneal cambiamento di prospettiva. Semmai, risalta più spesso lo stu-pore, o lo sdegno, degli aristotelici di fronte al consumarsi di unfraintendimento madornale, riflesso di una cronica, inavvertitaconfusione dei piani del discorso .

È possibile che tutto questo fermento intellettuale, di di-mensioni epocali, che nell’VIII-IX secolo appare già dotato di unasua vigorosa maturità, non abbia esercitato una qualche influen-za anche sui linguaggi poetici?

Nel caso della poetica dei moderni capitanati da Ab) Nuwas,la corrispondenza con l’universo descrittivo dei mutakallim)nnon pare esaurirsi al semplice (ma altrettanto problematico) li-vello del prestito, o dell’analogia lessicale. Alla condivisione diuno stesso lessico – parte integrante della ricerca formale da par-te del poeta – sembra affiancarsi la medesima congruenza con-cettuale, sorta di traduzione, o di esemplificazione (o banalizza-zione?) della teoria in figura del discorso poetico. Particolareevidenza di un simile processo di transfert semiotico dall’ambitodel discorso filosofico-scientifico a quello poetico ci giunge, co-me vedremo, dai rapporti fra al-Naz.z.am e Ab) Nuwas.

. Nella storia dei rapporti fra kalam e filosofia naturale, e dei tormentatidibattiti fra mutakallim)n e filosofi di stretta ortodossia aristotelica, un caso diconclamata denuncia dell’irriducibilità fra le due tradizioni di pensiero è costi-tuito dalla replica dell’aristotelico Yahya ibn ‘Ad¤ a una perduta confutazione delDe caelo sostenuta da Ab) Hashim al-Jubba’¤. La si veda in Rashed, Kalam e fi-losofia naturale, cit., pp. -.

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Primo intermezzo: un simposio a casa del visir

Vi sono buoni motivi per pensare che l’immissione, nel linguag-gio poetico, di immagini, concetti e teorie provenienti dalla nuo-va fisica elaborata dalle correnti antiaristoteliche di Baghdad ar-ricchisse il repertorio dei poeti non solo dal punto di vista este-tico e formale, ma anche – e qui forse la percezione, o la com-prensione, non è esplicitamente espressa dai critici del tempo –nei contenuti. Nel momento in cui Ab) Nuwas, dialogando conle avanguardie della produzione intellettuale del suo tempo, in-venta nuovi motivi, nuove metafore, ed espande le frontiere deldicibile poetico, ridisegna e rinomina soprattutto il genere dellapoesia amorosa, concettualizzando la fenomenologia dell’amoree del tormento d’amore. Evidentemente il poeta si muove nonsolo su un piano di puro e semplice utilizzo di immagini e con-cetti ad alto tenore estetico, che sembrano meravigliosamenterappresentare lo stato d’amore; vi è, forse, anche condivisione diun medesimo orizzonte concettuale.

I primi tentativi di teorizzazione dell’amore in arabo pren-dono forma secondo il modello tardo-antico dei dotti a conve-gno: in certi casi, questo modello si presenta come un convito(majlis); in altri si presenta come una disputa (munaz.ara). Megliodocumentate risultano le discussioni fra esponenti del corpo delsapere legato alle tradizioni di studi delle scienze islamiche: filo-logi, grammatici, giuristi e teologi trovavano in queste due formedi comunicazione intellettuale adeguato spazio d’intervento perl’esercizio del proprio sapere. Le numerose immagini storiogra-fiche che, fra IX e X secolo, illustrano il fenomeno nel loro com-plesso definiscono, per i diversi settori del sapere, sia la pluralitàdegli spazi sociali (la moschea, l’abitazione privata del maestro odel mecenate, la biblioteca), sia l’incontro in uno spazio comune(la corte), là dove la logica aristotelica fissava in positivo o in ne-gativo i territori e i limiti dell’interdisciplinarità.

Un famoso remake bagdadino del Simposio viene collocato daMas‘)d¤, autore del X secolo, nella corte barmecide: alcuni fra imutakallim)n più in voga, maestri nell’arte rigorosa della dialet-tica, vengono invitati dal visir Yahya ibn Khalid a ragionare sulla

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natura dell’amore . Pur rappresentando correnti di pensieropiuttosto differenziate e in polemica fra loro (vi sono mutaziliti,antropomorfisti, kharigiti, murgiiti, nonché il capo del clero zo-roastriano), essi esprimono pareri su ciò che è amore (‘ishq, hawa)rivelando una certa uniformità nelle immagini evocate; le asser-zioni degli ospiti, in fondo, non sono altro che variazioni intornoa tematiche classiche: l’amore è affinità (mushakala) e congiungi-mento (tamazuj) fra due anime, l’amore è ricerca e godimento del-la bellezza. Non vi è alcun ricorso a singole autorità; è la culturadell’amore cortese, qui espressa attraverso un convenzionalismofocalizzato sugli effetti della passione sull’amante, che omoge-neizza l’asistematicità di immagini apparentemente provenientidalla sapienza greca in un tessuto coerente con le regole retorichedella discussione. In realtà, queste immagini dell’amore sembra-no greche per via della cornice in cui sono collocate.

Lo splendido saggio di Julie Scott Meisami dedicato a questocelebre passo di Mas‘)d¤ chiarisce senza bisogno di aggiungerealtro che, in tale rappresentazione letteraria, quando si contrap-pongono le asserzioni sull’amore espresse durante il convivio(VIII-IX secolo) alle spiegazioni dell’amore offerte dalle teoriemoderne introdotte dall’autore (X secolo), è in atto una distin-zione (non troppo ordinata) fra corpi del sapere, fra stili del ra-gionamento: la dialettica dei teologi di fronte al sillogismo dei fi-losofi, i mutaziliti di fronte ai fisici aristotelici, la sintesi del di-scorso retorico di fronte all’analisi del discorso medico .

Non sembri superfluo ricordare che le pagine dedicate daMas‘)d¤ al convivio barmecide, alle teorie moderne sulla naturadell’amore e alla dimostrazione della sostanziale inadeguatezza,da parte dell’antica ragione discorsiva e delle sue risorse, a defi-

. Mas‘)d¤, Mur)j al-dhahab, ed. B. de Meinard-Pavet de Courteille, Im-primerie Nationale, Paris , vol. VI, pp. -.

. J. S. Meisami, Mas‘)d¤ on Love and the Fall of the Barmakids, in “Journalof the Royal Asiatic Society”, nuova serie, , , pp. -. Nel convivio de-scritto da Mas‘)d¤, il sacerdote zoroastriano è l’unico a parlare dell’amore in ter-mini medico-astrologici di causa-effetto. Non a caso egli è l’ultimo a intervenire,permettendo all’autore di aprire direttamente la sua digressione sulle teorie mo-derne dell’amore (Ippocrate, Galeno, Aristotele, Tolomeo, e poi gli astronomi-astrologi, i poeti, i mistici e, come vedremo, le tradizioni attribuite al Profeta).

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nire esaurientemente che cosa sia amore, sono una lunga digres-sione alla storia di un amore infelice: l’amore (molto cortese) nonricambiato di ‘Abbasa, sorella di Har)n al-Rash¤d, per il figliodel visir Yahya ibn Khalid.

Nessuno dei convitati chiamati a discettare d’amore sembraattingere a un determinato corpo testuale che sappia riflettere lapropria specializzazione intellettuale, la tradizione di studi di cuiè esponente, la corrente di pensiero cui appartiene. Quali sono,dunque, le fonti su cui alcuni intellettuali di Baghdad, una seradell’VIII secolo, a casa del visir, avrebbero inscenato un conviviocosì singolare e atipico?

Il modello, senza dubbio, è il Simposio, cioè un testo maigiunto ai traduttori arabi nella sua integrità: in altre parole, sem-bra che i convitati del circolo barmecide abbiano voluto rievo-care – o recitare? – un’atmosfera greca ispirandosi a un testo adessi sconosciuto. Sappiamo che, del Simposio, agli arabi era no-to soltanto il mito della creatura sferica narrato da Aristofane.Mas‘)d¤ può dimostrare di conoscerlo (e di fatto lo inserisce frale teorie moderne) perché la più antica fonte a noi giunta che te-stimoni della conoscenza in ambito arabo di questo brano delSimposio è l’Adab al-falasifa (La condotta dei filosofi) di Hunaynibn Ishaq (morto nell’) . I convitati nominati da Mas‘)d¤, nelmomento in cui si apprestano a rivisitare questo luogo della cul-tura greca (o semplicemente a rievocarne l’atmosfera), dimo-strano di non conoscere quel mito: infatti, l’ipotesi dell’esistenzadi una fonte ignota all’origine di questa diffusione, forse un in-tero trattato sulla natura dell’amore redatta in arabo sulla base dimateriale composito, in greco , è verosimile soltanto se la si col-loca nella messe di pseudoepigrafi, sillogi e compendi di prove-nienza greca che circolava a partire dal IX secolo.

È indubbio che l’amore non occupasse un posto di rilievo frai temi delle discussioni accademiche del tempo: la scarsa impor-

. Le fasi dell’ingresso del frammento del Simposio platonico, relativo al di-scorso di Aristofane sui corpi sferici tagliati a metà, sono ricostruite da D. Gu-tas, Plato’s «Symposion» in the Arabic Tradition, in “Oriens”, , , pp. -.

. Cfr. anche W. Raven, Ibn Daw)d al-Isbahan¤ and his Kitab al-zahra, s.e.,Amsterdam .

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tanza della materia, utile semmai come esercizio di stile, è testi-moniata dal fatto che tale soggetto risulta all’ultimo posto nellalista delle questioni teologico-filosofiche discusse in varie occa-sioni nell’entourage cortese, come l’anfitrione del resto ricorda aisuoi ospiti. Di conseguenza, è chiaro che mancasse un’adeguatatradizione di studi e di autorità in proposito.

Mas‘)d¤, comunque, ci dice che dalla fine del IX secolo, fra levarie teorie moderne, anche la ragione fondata sulla tradizionedotta, autoctona, araba, cominciava a fornire qualche argomen-to in proposito: alcuni dotti che professavano l’islam avevano ac-colto l’idea di certi filosofi (ahl al-falasifa) «secondo cui Dio inorigine aveva dato a ogni anima una forma sferica, e poi le avevadivise in due parti, dando un corpo (separato) a ciascuna di es-se. Se un corpo incontra quel corpo in cui risiede l’altra metà del-la propria anima, l’amore fra essi è inevitabile, a causa dell’anti-ca unione e affinità». L’idea, continua Mas‘)d¤, veniva giustifi-cata sulla base del Corano e delle tradizioni profetiche (sunan) ecol ricorso al ragionamento analogico (qiyas) .

Se la digressione di Mas‘)d¤ fosse un’intera operazione di fic-tion posta solo a commento di un amore infelice (uno scorcio diamore cortese realmente avvenuto, realmente infelice), vi sarebbe,nella mancata citazione del passo platonico “noto” durante il con-vivio, un elemento di prudenza (non potevano conoscerlo) che suo-nerebbe eccessivo anche al più astuto falsario. Si potrebbe pensa-re che la storicità di convivi sull’amore in età abbaside svolti cosìcome Mas‘)d¤ ce li descrive possa essere provata proprio dal fattoche questo autore, pur conoscendo egli stesso il mito delle creatu-re sferiche, resiste alla tentazione di inserirlo fra le argomentazionidegli ospiti di Yahya ibn Khalid. In ogni caso, i convitati del visir

. Mas‘)d¤, Mur)j al-dhahab, cit., vol. VI, p. . L’autore cita Cor. LXXXIX,- e una tradizione secondo la quale il profeta disse: «Le anime sono come le-gioni che incedono a passo marziale; quelle che si riconoscono si uniscono, equelle che si respingono combattono».

. Non escludo la possibilità che Mas‘)d¤ menta, narrandoci un convito maiavvenuto: è ancora la stranezza di un convito che si ispira a un testo sconosciutoa muovere questo dubbio. Resta, in questa rappresentazione, la verità storica cuisi vuole alludere, cioè un conflitto fra metodi della conoscenza realmente datisinella cultura arabo-islamica fra il IX e il X secolo: il convivio di Mas‘)d¤ potreb-be essere una fiction retrodatata (resa più verosimile, “antichizzata” proprio dal-

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barmecide non citano alcunché; Meisami, del resto, ci invita a fa-re il punto su ciò che un autore non dice: l’importanza di ciò chesi sarebbe potuto invocare come riferimento e invece viene taciu-to – non tanto dai ragionamenti dei convitati quanto, soprattutto,dallo stesso Mas‘)d¤ – è infatti tanto enigmatica quanto cruciale. Ilcronista, quando parla dei diversi ambiti della conoscenza in cui èpossibile ragionare sull’amore, omette sia il dato tradizionistico in-torno al tema del martire per amore, sia il cospicuo esempio dellapoesia d’amore cortese, che raggiunge il suo massimo splendore altempo di Har)n al-Rash¤d. Tace cioè sull’intero corpo del sapere– nutrito dalle risorse della lessicografia, della filologia, della poe-sia, dei had¤th, ossia le tradizioni attribuite al Profeta – che, dal Xsecolo in poi, di fatto dilaterà i confini entro cui si può ragionaned’amore fino a includere la filosofia e il diritto.

Non è del tutto esatto dire che i partecipanti al convito noncitino alcunché: in realtà, nel corso del loro simposio, essi inter-pretano (in tutti i sensi, ma senza dirlo) in una cornice classica(in tutti i sensi, ma senza dirlo) i topoi della moderna poesia ara-ba cortese . In questo senso, l’omissione del riferimento allapoesia, da parte del cronista, appare un dato ovvio. I convitatinon hanno bisogno di citare direttamente questo o quell’autore:quando il codice letterario impone un rapporto poetico con ilreale, la dimensione fittizia della citazione viene esperita assu-mendo degli atteggiamenti sociali e mentali capaci di parafrasa-re il codice stesso, ordinando i concetti chiave secondo le lineedi un pensiero che aspira a essere sistematico, e riproducendoloin uno stile di vita ideale che ricuce i frammenti del discorsoamoroso tessuto dai poeti. Non si citano versi, ma si “recita” unostile di vita descritto dalla poesia d’amore. Questa attitudine, co-me ha scritto Lois Anita Giffen , guarda all’amore

l’assenza della precisa citazione platonica) utile a illustrare nei termini generaliun dibattito in corso nel X secolo fra “scienze arabe” e “scienze straniere”.

. Meisami, Mas‘)d¤ on Love, cit., p. .. G. E. von Grunebaum, Avicenna’s «Risala f¤ ’l-‘ishq» and Courtly Love,

in “Journal of Near Easter Studies”, , , pp. - pone l’accento sul paral-lelismo fra le definizioni dell’amore espresse dai mutakallim)n del convito bar-mecide e quelle desunte dalla poesia di al-‘Abbas ibn al-Ahnaf (morto nell’).

. Giffen, Theory of Profane Love, cit., pp. -.

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as a complex and exceedingly interesting but mysterious human expe-rience. Authors writing from this point of view describe ‘ishq, analyzeit, speculate upon it, and celebrate it in anecdote, story, and verse [...]They tend to emphasize the positive side of ‘ishq, speaking of its virtues[...] and relating the stories of prophets, caliphs, and other great andgood men who loved passionately. Yet they do not overlook that darkand negative side of ‘ishq which is just as much a part of the literary tra-dition: suffering, violence, madness, and death. It is, in fact, the emo-tional heights and depths of ‘ishq which give it dramatic appeal as a lit-erary subject, and which arouse the amazement [...] of the reader. Herethe dark depths of passion are essentially tragic rather than evil; as longas one conducts oneself honorably such love appears to be a noble ad-venture of the spirit or at least a noble form of suffering.

Questa attitudine, questo stile discorsivo – che Meisami defini-sce descrittivo, retorico e figurativo – non si discostano di moltodalle opinioni sull’amore espresse dai mutakallim)n a convegno.Va però aggiunto che quando i mutakallim)n teorizzano davve-ro sull’amore, in realtà, prendono l’amore a pretesto per confer-mare, con le risorse della lessicografia, della grammatica e dellalogica, le loro idee sulle facoltà cognitive del linguaggio; l’esem-pio ci arriva da Jahiz. , il quale scriveva che i mutakallim)n «sele-zionano espressioni atte a definire i loro concetti derivandoledalla tradizione lessicale degli arabi, e formulando una termi-nologia adeguata per quelle cose che non hanno ancora un no-me in arabo: facendo così, essi creano un precedente per tutticoloro che verranno, e un modello per i posteri». Proprio nel-la Risala f¤ ’l-qiyan (Epistola sulle cantanti), come nota ancoraGiffen , lo stesso Jahiz. teorizza sull’amore ritraendolo

in such a way that it seems that lovers, real or feigned, experienced oracted out the extravagances of the love poetry which the qiyan sang.There is no boundary between the fancies of poetry and the real life con-

. Lo si veda, nel contesto dello stretto legame fra mutaziliti e scienze del lin-guaggio, congeniale al nostro discorso, in S. P. Stetkevytch, Towards a Redefinitionof Bad¤ ’ Poetry, in “Journal of Arabic Literature”, , , pp. -. Più in genera-le cfr. M. Mahdi, Language and Logic in Classical Islam, in G. E. von Grunebaum(ed.), Logic in Classical Islamic Culture, Harrassowitz, Wiesbaden , pp. -.

. Giffen, Theory of Profane Love, cit., p. .

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duct of those smitten by ‘ishq or pretending it. Art imitates life and lifeimitates art.

Se dunque la poesia cortese riveste un ruolo decisivo come fontedi determinati comportamenti sociali, non è da meno la sua effi-cienza come fonte testuale vera e propria del simposio. Quando sicomincia a “ragionare” (takallama) d’amore – e l’avvio di una teo-ria dell’amore in arabo è rappresentato entro la cornice di un sim-posio cortese – gli intellettuali interessati (i mutakallim)n) nonguardano all’esperienza greca, ma attingono al ricco patrimoniopoetico; le immagini dell’amore che emergono dai conviti bagda-dini sono un condensato dei temi della poesia cortese, che davve-ro permette un salto epistemologicamente congeniale fra il narra-re e il teorizzare. Il tentativo messo in atto dagli ospiti è infatti te-so a riordinare la frammentarietà del discorso poetico entro la nor-ma di un discorso accademico. Il codice poetico viene dunque in-serito, e verificato, in un dispositivo di formalizzazione del saperequale quello dei dotti a convegno: l’amore così come viene de-scritto dai poeti fornisce materiale a un corpo del sapere – afferentealle cosiddette scienze arabe, centrate sul linguaggio e sulla filolo-gia – affinché se ne possa dedurre conoscenza.

Se pensiamo per un momento alla famosa disputa, avvenutanel IX secolo, tra il grammatico al-S¤raf¤ e il logico Ab) BishrMatta , ci rendiamo conto che alle origini del “conflitto” tra idue corpi del sapere vi era una critica alla pretesa di assumere unpensiero formulato in greco come misura di verità di pensieriformulati in arabo: il grammatico sentiva che il greco non pote-va garantire un grado soddisfacente di verità etimologica alle re-lazioni fra parole e cose concepite e indagate in arabo . Il pun-to di contatto, l’universale che si presta a ogni approccio episte-mico, là dove la ragione filologica e la sapienza greca convergo-no senza dover dare luogo a dispute (dando ragione al logico sen-

. Cfr. supra, nota .. Rubo a piene mani, e continuerò a farlo nel corso di queste pagine, que-

sto concetto a U. Curi, La cognizione dell’amore. Eros e filosofia, Feltrinelli, Mila-no , dove ricorre in una lettura suggestiva del Simposio. Va detto, però, che iomi fermo a una considerazione positiva del concetto, mentre il discorso di Curiporta a saggiarne anche la fallacia (ad esempio pp. ss).

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za dare torto al grammatico), là dove c’è somiglianza e affinità frai due pensieri, è il concetto di natura – physis – †ab¤ ‘a. Attraver-so la nozione di natura dell’amore (†ab¤ ‘at al-‘ishq), la cognizio-ne dell’amore dedotta dal discorso poetico (afferente alle scien-ze arabe) può essere paragonata ai dati della conoscenza offertidalla sapienza greca (la scienza straniera).

Abu Nuwas e al-Naz.z. am: teologie a confronto,

metafore scientifiche e poetiche della mescolanza

Il tenore sperimentale delle innovazioni messe in atto da Ab)Nuwas permette, forse più agevolmente che con altri poeti, di co-gliere nel testo poetico dell’età abbaside una specifica valenza do-cumentaria che, dal punto di vista storiografico, riflette in manie-ra problematica ma feconda il contesto sociale e culturale entro ilquale il lavoro del poeta dialoga più di quanto non sembri con lealtre forze che agivano nel paesaggio intellettuale di Baghdad fral’VIII e il IX secolo. Permette, in altre parole, di uscire dall’appa-rente autoreferenzialità del discorso poetico arabo classico, cri-stallizzato in una canonicità delle figure e dei simboli dominata daun cerebralismo formale che si direbbe conchiuso in se stesso. Ta-le presunta fissità sembrerebbe celare piuttosto un’apertura e unaricettività dei linguaggi a disposizione del poeta agli stimoli intel-lettuali che giungevano da campi della conoscenza posti peraltroa distanza dalle classificazioni medievali del sapere, e una capacitàdi assorbire contenuti innovativi provenienti dal nuovo che si af-facciava sul panorama dei dibattiti intellettuali del tempo.

Muovendosi fra i due confini operativi, altamente teorizzatidalla critica letteraria, del lafz. (l’espressione, il livello formale deldicibile poetico; in termini che rendono merito alla modernitàdegli strumenti di analisi degli studi arabi medievali legati alle di-scipline del linguaggio: il significante) e del ma‘na (il significato,la sfera concettuale, contenutistica, dunque la controparte se-mantica del lafz.) , il sapere del poeta – e qui Ab) Nuwas forse

. Cfr. C. H. M. Versteegh, O. N. Leaman, J. E. Bencheikh, Ma‘na, in Ency-clopédie de l’Islam, vol. VI, Brill, Leiden , pp. -.

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dice più di altri – appare spesso in relazione con la circolazionedi idee e di dottrine teologiche e filosofiche, tanto da subire, erielaborare entro il quadro del canone letterario, l’influenza delsapere filosofico e scientifico che circola intorno a lui .

Questa mutazione rivela una comunicazione tra i due ambitidi produzione intellettuale e una condivisione di risorse concet-tuali e linguistiche al di là della diversa natura o funzione socia-le dei due discorsi: il discorso accademico del teologo-filosofopresta immagini e motivi che vengono inseriti dal poeta nel ca-none dei contenuti del discorso poetico; quest’ultimo pare cosìassumere la forma ultima, didascalica, se vogliamo divulgativa,del dicibile intellettuale: il poeta in certo qual modo visualizza isignificati del lessico accademico, ma nel frattempo ne riformu-la i temi e i concetti fornendo loro nuove configurazioni, nuovicampi d’applicazione, nuovi approdi discorsivi nel momento incui essi hanno accesso al canone regolato dal sapere letterario, la-sciati al libero uso degli altri poeti.

Ab) Nuwas esemplifica questo spazio di interscambio, in cuisi assiste a un’indubbia influenza della scienza e della filosofia sul-la poesia, perché il poeta vive in un periodo, a cavallo tra l’VIII eil IX secolo, particolarmente significativo della storia della cultu-ra arabo-islamica medievale, e in una città, Baghdad, che, comedicevamo, rappresenta il centro di ogni dibattito e di ogni fer-mento intellettuale. E lo esemplifica proprio perché egli è unodei protagonisti di questo spazio e interagisce in maniera signifi-cativa con un altro fra i più brillanti rappresentanti del clima cul-turale di quel tempo e di quel luogo: l’antiaristotelico Ab) IshaqIbrah¤m al-Naz.z.am (morto tra l’ e l’), caposcuola della cor-rente di pensiero teologico razionalista nota come mutazilismo.

Passiamo subito a osservare un termine apparentemente in-nocuo come quello di latenza (kum)n). «Come latenza di fiam-ma nella pietra»: così recita un verso di Ab) Nuwas, col quale ilpoeta immette nel suo canzoniere, e nel discorso poetico di cuiegli si fa carico – peraltro quasi timidamente, senza mai più ri-

. Legami fra il pensiero mutazilita e i poeti dell’età abbaside sono stati messiin luce, ad esempio, da J.-C. Vadet, L’esprit courtois en Orient dans le cinq premierssiècles de l’Hégire, Institut Français de Damas, Damas , p. .

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peterlo, quasi come un hapax –, un concetto denso di storia e diriferimenti che portano dritto a una tradizione di pensiero filo-sofico e scientifico e alle dispute teologiche interconfessionaliche animano i luoghi della cultura cortese del tempo . Non uni-co, ma comunque raro, e tuttavia inusitato nel lessico di Ab)Nuwas, è l’aggettivo kamin, “latente”, “invisibile”; in un altroluogo del canzoniere, ad esempio, leggiamo :

Vino in cui arde invisibile fuoco:li mescola il bacio di chi ben sa ammaliare.

Fra alcuni aggettivi di cui l’arabo dispone per evocare la fascinosapregnanza di un’invisibile presenza, e di cui Ab) Nuwas più spes-so fa uso, qui il poeta sceglie sicuramente il meno sfruttato, il me-no poeticamente risonante per definire la presenza del fuoco nel-la liquida natura del vino; il verso successivo contiene un verbo(mazaja, “mescolare”, “comporre”, “fondere”) – che ricorre pe-raltro con le sue forme derivate e i relativi sostantivi con altissimafrequenza nel lessico dell’autore (e vedremo all’interno di qualegenere poetico esso compare, assumendo il carattere di una vera epropria figura del discorso poetico) – che sintetizza con un’imma-gine, assai cara ai filosofi della natura e agli alchimisti , l’intimamescolanza di due sostanze da cui scaturisce un fenomeno, o una

. DW, vol. I, p. . Rendendo con “canzoniere” il termine d¤wan si acco-glie la scelta già operata da A. Arioli, Antologie arabe medievali, in “Critica delTesto”, II, , , p. , nota : «canzoniere [...] inteso nel senso di raccolta esau-stiva della produzione di un poeta e privo quindi di qualsiasi carattere selettivodella medesima».

. DW, vol. III, p. .. In altre parole, egli usa un termine che non è nel repertorio relativo al ge-

nere della poesia bacchica; se l’immagine evocata dal termine produce un effettoformale esteticamente rilevante, quel termine entra nel repertorio.

. Il verbo mazaja, e più spesso imtazaja, e i relativi sostantivi astratti mizaj eimtizaj, sono termini abituali, ad esempio, del corpus alchemico attribuito a Jábiribn Hayyan, che si tende a datare tra la fine del IX e il X secolo. Questo corpus in-clude tra l’altro un intero trattato, oggi perduto, dedicato ai procedimenti di fu-sione di sostanze di diversa composizione al fine di ottenere una sostanza nuovache contenesse le proprietà dell’una e dell’altra, intitolato appunto Kitab al-mizaj;cfr. P. Kraus, Jábir ibn Hayyan. Contribution à l’histoire des idées scientifiques dansl’Islam. II. Jábir et la science grecque, “Mémoires présentés à l’Institut d’Egypte”,, , p. .

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proprietà, o una nuova sostanza. Qui, il calore che il vino contie-ne scatena il suo effetto grazie a un fattore che risveglia le ardentiproprietà di una simile mistura: il bacio dell’amato.

Questi elementi lessicali, evidenziati in corsivo nel verso chesembra legarli in una dipendenza semantica, sono due metaforescientifiche presenti in alcune dottrine, tanto fisiche quanto co-smologiche, attraverso cui si illustrava la compresenza di qualitàcontrarie, impercettibili alla rilevazione empirica, all’interno diun’unica sostanza, o, più estesamente, nelle sostanze costituentiuno stesso corpo, dalla cui mescolanza scaturiscono fenomeni fi-sici, esperibili mediante la percezione sensoriale. Si tratta di dot-trine diverse, che attingevano a comuni immagini del sapere e acomuni paradigmi cognitivi, attualizzate nell’VIII-IX secolo in uncomune stile del ragionamento dialettico, il kalam , tipico dellascuola mutazilita; la diversificazione delle dottrine veniva affron-tata, in ultima analisi, nell’ambito della disputa teologica – di-scorso accademico per eccellenza al tempo di Ab) Nuwas – frai rappresentanti delle diverse confessioni religiose presenti nell’e-cumene arabo-islamica.

Stiamo ovviamente parlando di immagini del sapere che cir-colano grazie alla diffusione della scienza greca e che, grazie alviaggio dei testi aristotelici per terra siriaca e iranica, fornisconoun apparato di riferimento (da accogliere o da confutare) per tut-te le teologie presenti nell’impero abbaside: la teologia delle di-verse Chiese cristiane, quella dualista degli zoroastriani e dei ma-nichei, quella ebraica e, ultima, quella musulmana. Il IX secolo,del resto, vede l’inserzione del mondo fisico, e delle teorie sog-giacenti alla sua osservazione, nel pensiero teologico – soprat-

. La qualifica di mutakallim (che fa uso del kalam) definiva il ricorso allerisorse dialettiche della ragione come metodo di indagine intellettuale, e non ave-va nulla a che fare con l’appartenenza confessionale. Definendo il kalam come“teologia dialettica”, si deve tener conto del fatto che vi erano anche mutakal-lim)n non musulmani. Cfr. un’interessante osservazione in proposito di D. Gu-tas, Paul the Persian on the Classification of the Parts of Aristotle’s Philosophy: AMilestone between Alexandria and Baghdad, in “Der Islam”, , , p. .

. Sulle dispute come forma di spettacolarizzazione della cultura e come mo-mento prestigioso delle politiche califfali interreligiose cfr. J. Van Ess, Disputation-praxis in der islamischen Theologie. Eine vorläufige Skizze, in “Revue des EtudesIslamiques”, , , pp. -; Capezzone, La politica ecumenica califfale, cit.

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tutto quello della scuola mutazilita, impegnata in una critica an-tiaristotelica di cui le fonti successive (se ne è accennato prima)avrebbero notato la convergenza col pensiero matematico e geo-metrico . La presenza di Aristotele in arabo (tanto l’autenticoquanto l’apocrifo), in questo periodo, è già attestata da un’atti-vità di traduzione e di studio che si rivolge prima all’opera scien-tifica e poi all’opera logica dello stagirita. Le perdute confuta-zioni del mutazilita ]irar ibn ‘Amr (morto nell’), rivolte con-tro i filosofi naturali (gli ashab al-†aba’i‘) e contro Aristotele “sul-le sostanze e sugli accidenti”, testimoniano della discreta fami-liarità, da parte di intellettuali arabi e arabofoni, con alcune par-ti della fisica aristotelica già dalla fine dell’VIII secolo. Non di-mentichiamo poi la conoscenza “indiretta” del pensiero aristo-telico, riflessa nella circolazione di antiche e nuove enciclopediedi scienze naturali: testi autorevoli, e di grande impatto nei cir-coli intellettuali del IX secolo, come il De natura hominis di Ne-mesio di Emesa (V secolo), il Libro dei tesori di Giobbe di Edes-sa (IX secolo) o l’enigmatico Kitab sirr al-khal¤qa (Libro del se-greto della creazione) dello Pseudo-Apollonio; quest’ultimo inau-gurerà una fitta serie minore di opere dedicate alla scienza delleproprietà degli elementi, continuando e sviluppando la lettera-tura tardo-antica di physikai dynameis ed esercitando una gran-de influenza sull’alchimia organica in arabo.

Tornando ora al nesso evocato da Ab) Nuwas tra latenza efusione, queste metafore si ritrovano nelle teorie del mutazilitaal-Naz.z.am, al quale il poeta era legato, in gioventù, da una rela-zione d’amicizia e di insolita discepolanza (il poeta era più an-

. Cfr. Rashed, Kalam e filosofia naturale, cit. Per un quadro generale cfr.Dhanani, The Physical Theory of kalam, cit.

. In generale cfr. D. Gutas, Greek Thought, Arabic Culture, Routledge,London-New York (trad. it. Pensiero greco e cultura araba, Einaudi, Torino); C. d’Ancona (a cura di), Storia della filosofia nell’Islam medievale, voll.,Einaudi, Torino .

. Si allude qui a due testi refutativi attribuiti a questo autore nel catalogodi al-Nad¤m, Fihrist, ed. R. Tajaddud, Marw¤, Teheran , p. ; cfr. J. Van Ess,Une lecture à rebours de l’histoire du mutazilisme, in “Revue des Etudes Islami-ques”, , , pp. -.

. In generale, sulla circolazione di questi testi e le loro reciproche relazioniè ancora un punto di riferimento Kraus, Jábir ibn Hayyan, cit., pp. ss. e ss.

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ziano del dialettico): il poeta aveva infatti studiato presso di lui ifondamenti dell’arte del ragionamento dialettico. Ma c’è di più:in quel frammento poetico retto sull’endiadi lessicale posta inevidenza sembra possibile scorgere una rappresentazione, oun’illustrazione (o confutazione? vedremo...), di quelle stesseteorie formulate da al-Naz.z.am. In ogni caso, l’immagine evocatanel primo dei versi qui citati (il fuoco latente nella pietra) è esat-tamente una di quelle cui ricorreva al-Naz.z.am, a mo’ di esempio,per descrivere la presenza invisibile di una qualità contraria allanatura della sostanza che la contiene (pietra focaia fredda, fiam-ma calda) e dalla quale si sprigiona.

Giobbe di Edessa, aristotelico nestoriano attivo alla corte delcaliffo al-Ma’m)n, dedica lunghe pagine della sua influente enci-clopedia di scienze naturali redatta in siriaco, il Libro dei tesori,alla dottrina della latenza. Allo scopo di confutarla, egli descri-ve una teoria secondo la quale i corpi sarebbero costituiti non daisoli quattro elementi aristotelici (aria, acqua, terra, fuoco) e dallequattro relative proprietà primarie (freddo, umido, secco, caldo),ma da una realtà più complessa fatta di una pluralità di elementie di qualità, anch’essi definiti “corpi”. Una simile nozione dicorpo è chiaramente antiatomistica e antiaristotelica: il calore, adesempio, è qualcosa che non può essere definito soltanto in rela-zione al suo contrario. Tutti gli attributi di una sostanza sono a lo-ro volta elementi corporei della sostanza stessa. Vi sono certa-mente sostanze che sembrano essere soltanto calde o soltantofredde, ma questo dipende dal fatto che la qualità contraria è “na-scosta”, “latente” in una certa sostanza. Tale qualità è presente,esiste come “corpo”, ma è talmente compenetrata con gli altri ele-menti da risultare impercettibile, invisibile ai nostri sensi. Contro

. L’esempio è riportato da al-Jahiz., Kitab al-hayawan, ed. ‘A. M. Har)n, al-Halab¤, Cairo -, vol. V, p. . L’opera di al-Naz.z.am è ricostruibile solo at-traverso i numerosi frammenti contenuti nelle fonti dossografiche. Il saggio piùcompleto dedicato a questo autore è in Van Ess, Theologie und Gesellschaft, cit.,vol. III, pp. -.

. Job of Edessa, The Book of Treasures (Encyclopaedia of Philosophical andNatural Sciences, as Taught in Baghdad about A.D. or Book of Treasures, by Jobof Edessa), ed. A. Mingana, Heffer & Sons, Cambridge , capp. -.

. Ivi, p. .

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la teoria atomistica, che postula una giustapposizione di atomi,questa dottrina particolare del corpo sostiene che vi sia una “me-scolanza”, una “fusione” fra le qualità invisibili. Queste ultime so-no permeabili, e si compenetrano. Ecco dunque la teoria delkum)n, con i corollari del mizaj e della mudakhala (“compene-trazione”), che, stando a quanto scrive Giobbe di Edessa, attira-va fortemente l’attenzione dei contemporanei.

È ancora Giobbe di Edessa che, illustrando questa teoria, lapresenta come l’insegnamento dei «nuovi filosofi» (hakkim‰hadth‰ ), i quali raccolgono un ampio seguito, dibattono nel cor-so di simposi e hanno libero accesso a corte. Di costoro, egli so-stiene di aver incontrato il rappresentante più eminente. Il dot-to nestoriano non dice il nome di questo nuovo filosofo, ma lacritica è concorde nel ritenere, senza ombra di dubbio, che sitrattasse di al-Naz.z.am.

Probabilmente, il punto più interessante della testimonianzadi Giobbe di Edessa, oltre al fatto che questo passo restituisce al-la dottrina una seppur schematica unitarietà – che altrimenti an-drebbe ricostruita attraverso i frammenti dell’opera (perdutanella sua integrità) di al-Naz.z.am sparsi in una molteplicità di fon-ti dossografiche –, è il riconoscimento, da parte di un contem-poraneo, del carattere prettamente filosofico delle speculazionidel dialettico e del suo circolo. Ma questa era anche l’opinionedi Ab) Nuwas: in un verso che più avanti vedremo, il poetaschernisce il suo antico amico e le sue pretese da filosofo.

Di fatto, la metafora del kum)n è ben più antica di al-Naz.z.am, come del resto lo sono gli assiomi su cui il “nuovo filo-sofo” elabora la sua teoria antiatomistica del corpo. Joseph VanEss ha rinvenuto le radici di questo lessico e di queste specula-zioni nelle dispute sostenute dal teologo sciita Hisham ibn al-Hakam (morto nel -), molto probabilmente uno dei primimaestri di al-Naz.z.am, contro una setta dualista nota all’eresio-grafia musulmana come daysaniyya. La setta rivendicava una

. Ivi, pp. -.. Kraus, Jábir ibn Hayyan, cit., p. ; Van Ess, Une lecture à rebours, cit.,

p. .. J. Van Ess, ]irar ibn ‘Amr und die Cahmiyya. Biographie einer vergessenen

Schule, in “Der Islam”, , , pp. -; Id., Une lecture à rebours, cit., p. .

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genealogia di maestri che risaliva allo gnostico Bardesane (mor-to nel ); in uno dei pochi frammenti conosciuti dell’opera diquesto eresiarca dualista, contenuto nel commento alle Catego-rie di Sergio di R‰sh ‘Ayna nel VI secolo, si scopre non solo chela nozione di corpo proposta da al-Naz.z.am, di dimostrata deri-vazione stoica, somiglia fortemente a quella che Sergio deducefosse propria di Bardesane (anch’essa, sempre secondo il tradut-tore siriaco, influenzata dallo stoicismo), ma anche che l’ere-siarca ragionava di qualità (colori, sapori: esempi cari ad al-Naz.z.am) chiamandole muzzaj‰, “mescolanze” .

Un tratto peculiare dello stile di ragionamento dialettico, chegià sembra attestato in Hisham ibn al-Hakam nelle sue confuta-zioni dei dualisti e che al-Naz.z.am eredita e raffina, è l’assunzio-ne delle altrui categorie per meglio confutarle: il nuovo filosofosi appropria delle metafore della latenza e della mescolanza del-le sostanze per confutare le conseguenze che da esse traggono idualisti. Sappiamo infatti da al-Jahiz. – acutissimo testimone ecronista dei dibattiti intellettuali del suo tempo – che, contro ladaysaniyya, evidentemente ancora viva, se non proprio prospera,a Baghdad nella prima metà del IX secolo, al-Naz.z.am aveva in-dirizzato il suo sofisticato armamentario polemistico confutandola convinzione assiomatica del dualismo secondo la quale l’uni-ca mescolanza, l’unico mizaj da cui tutti i fenomeni scaturiscono,è quello tra la luce e la tenebra . Ma questa setta era sicuramen-te una componente del più ampio fronte manicheo con il qualeal-Naz.z.am polemizza in suo testo perduto, il Kitab al-radd ‘alaashab al-ithnayn (Confutazione dei seguaci del dualismo) .

. Cfr. G. Furlani, Sur le stoïcisme de Bardesane d’Edesse, in “Archiv Orien-talni”, , , p. : secondo Sergio di R‰sh ‘Ayna, Bardesane seguiva la dottri-na di «qualche» stoico che affermava che tutto ciò che esiste è corporeo. Sulle in-fluenze stoiche nella nozione di corpo in al-Naz.z.am cfr. Van Ess, ]irar ibn ‘Amrund die Cahmiyya, cit., pp. -.

. Furlani, Sur le stoïcisme, cit., pp. ss.. La confutazione è riportata in al-Jahiz., Kitab al-hayawan, cit., p. . Sui rap-

porti fra i daisaniti e le altre sette riconducibili al manicheismo in territorio musul-mano cfr. G. Vajda, Le témoignage d’al-Maturid¤ sur les doctrines des Manichéens,des Daysanites et des Marcionites, in “Arabica”, , , pp. -.

. Al-Nad¤m, Fihrist, cit., p. . La fonte di al-Nad¤m (X secolo) contieneanche la più importante descrizione in arabo delle dottrine manichee, ora tra-dotta in italiano in G. Gnoli (a cura di), Il Manicheismo, vol. II, Fondazione Lo-

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Assumendo e facendo proprie le categorie e le definizioni del-l’avversario, con un rigore metodologico spinto all’eccesso al pu-ro scopo di dimostrare le contraddizioni in cui l’interlocutore ca-deva, egli suscitò anche dubbi, o equivoci: persino all’interno del-la sua scuola, alcuni mutaziliti lo accusarono infatti – stando aquanto registra al-Khayya†, autore dell’unico testo di refutazionemutazilita giunto a noi nella sua integrità – di aver sostenuto opi-nioni manichee. Lo stesso autore, tuttavia, riconosce in un altropasso che, per al-Naz.z.am, il kum)n è in verità prova assoluta dimonoteismo. In questo senso, ciò che Giobbe di Edessa aveva de-finito come l’insegnamento di un nuovo filosofo ci mostra il suodoppio indirizzo, verso la fisica e verso la teologia: nella confuta-zione contro i dualisti daisaniti, al-Naz.z.am si serve dell’argomen-to fisico caro ai bardesaniti per negare che dietro il fenomeno del-l’interpenetrazione delle sostanze o delle qualità latenti di un cor-po vi siano due principi assoluti che si mescolano e si compongo-no fra loro, dando così origine alla molteplicità e alla differenzia-zione della natura fisica a partire da una sola, monotona variazio-ne di due supreme qualità opposte, quali la luce e la tenebra. Eglivede piuttosto una natura già infinitamente differenziata non solonelle sostanze e nei corpi, ma anche nell’innumerevole, invisibileserie di mescolanze, posta in essere da un principio creatore uni-co, causa prima di ogni mizaj e di ogni coincidenza dei contrari.

A questo punto, torna utile volgere lo sguardo ai rapporti fraal-Naz.z.am e Ab) Nuwas. Le pagine del Fihrist che al-Nad¤m de-dica alla vita e alle opere del dialettico gettano una certa luce sulrapporto intellettuale e di amicizia che legava il nuovo filosofo algrande poeta . Sappiamo così che al-Naz.z.am era anche un fine

renzo Valla-Mondadori, Milano , pp. -. In generale, sulla presenza ma-nichea a Baghdad cfr. M. Chokr, Zandaqa et zanadiqa au second siècle de l’Hégi-re, Institut Français de Damas, Damas .

. Al-Khayya†, Kitab al-intisar, ed. A Nader, Les Lettres Orientales, Beyrouth, p. . Sul manicheismo di fondo della concezione del kum)n cfr. Van Ess,]irar ibn ‘Amr und die Cahmiyya, cit., p. . Anche la comunità alchemica riuni-ta sotto il nome di Jabir ibn Hayyan riconosce come manichea la teoria del kum)nin una sezione del Kitab al-khawass al-kab¤r dedicata all’arte del mizaj: P. Kraus,Jabir ibn Hayyan. Contribution à l’histoire des idées scientifiques dans l’Islam. I. LesCatalogues, “Mémoires présentés à l’Institut d’Egypte”, , , p. .

. Al-Nad¤m, Fihrist, cit., pp. -.

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poeta e un letterato; Ab) Nuwas nutriva dell’affetto per lui, e alpiù giovane amico si era rivolto in un certo numero di versi. Al-Nad¤m aggiunge che al-Naz.z.am dedicava i suoi versi per lo piùal vino e all’amore per i ragazzi – proprio i temi in cui Ab) Nuwasesercitava la sua opera innovativa –, introducendo in poesia lo sti-le del discorso filosofico (‘ala madhhab al-kalam al-falsaf¤ ). Dob-biamo proprio alla pazienza di questo libraio di Baghdad, cheannota nel suo Fihrist libri, autori, correnti di pensiero, tenden-ze culturali d’ogni tipo, la sopravvivenza di alcuni di questi ver-si. Eccone due esempi:

Sostanza sua è la luce del cieloche in corpo umano ha preso forma.La bellezza del mondo di sua beltà si nutre:come rappresentarla è l’ardua impresa,poi che mai trova adeguata descrizione.Forgiandola il Creatore ha decantatofusione delle luci dell’Empireo:chi iperboli produce nel ritrarloè colto immantinente da afasia.

Il mio sguardo lo sa raffiguraredal dolore che imprime la sua gota:è dunque l’occhio quel luogoin cui la fantasia lascia la traccia?Sottile il cuore a lamina somiglia,così robusto è il palmo della manoche delicato sa tenerlo in pugno,taglienti come lame son le dita.Se in cuore il mio pensiero lo figura,pensarlo si fa arma da ferita.Scivola come zucchero il suo dolce sembiantee come zucchero sfregato sulla pelle graffia.

I testi tradiscono un certo qual gusto per un nominalismo che a vol-te è presente anche in Ab) Nuwas, come quando il poeta scrive:

Se a dire brace il labbro si incendiassecreeresti il fuoco addosso chiamandolo per nome.

. DF, p. .

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Versi come questi mostrano chiaramente un intento sperimentale,che alimenta il motivo del ritratto dell’amato e la celebrazione del-la sua pericolosa bellezza con procedure, dispositivi e figure (fracui spicca il paradosso) dell’argomentazione dialettica cara ai nuo-vi filosofi. A questo proposito, quando al-Nad¤m ci ricorda che al-Naz.z.am, oltre a essere un brillante dialettico, si cimentava nellapoesia utilizzando espressioni riprese dal linguaggio filosofico, ag-giunge un dato assai interessante: egli scrive che «ciò nonostante»(ma’a dhalika), in poesia faceva un buon uso della retorica e dellefigure del discorso. Perché «ciò nonostante»?

I frammenti poetici di al-Naz.z.am sembrano non essere altroche esercizi di stile, e quel «ciò nonostante» vuol forse dire che,a parere della critica, troppo cerebralismo in poesia non riscuo-teva lo stesso successo clamoroso che il nostro dialettico ottene-va nel corso delle dispute teologiche che lo vedevano impegna-to. Se pure il bibliografo ravvisava nell’opera poetica del mu-takallim una diretta influenza della corrente di pensiero a cui ap-parteneva, e avverte la necessità di prevenire l’eventuale riservamentale scrivendo che, in fondo, lo stile poetico non era troppomalvagio, sembra possibile dedurre che l’innovazione non susci-tasse l’approvazione dagli austeri guardiani del canone letterario;è come se il giudizio personale di al-Nad¤m tentasse di smussaregli spigoli che impedivano, almeno secondo un sentire esteticomaggioritario, l’accostamento dei due campi di elaborazione dellinguaggio. Un che di incompatibile e di irriducibile sembra se-parare le tematiche del mutakallim, e le immagini evocate a illu-strarle, e quelle del poeta – come dire: a ciascuno il suo mestie-re. Il dubbio che la poetica sperimentale di al-Naz.z.am non fossecompresa (ma forse è più preciso dire: non fosse apprezzata) insede estetica dai critici letterari medievali è lecito, ma la questio-ne, e il dubbio, si riverberano su Ab) Nuwas, che pure ebbe pro-prio al-Naz.z.am come maestro di dialettica e che di quella fisicadell’amore e del corpo innamorato di cui sopra si diceva, tantointellettualizzata dal ricorso al linguaggio d’avanguardia filosofi-co (‘ala madhhab al-kalam al-falsaf¤, si potrebbe dire), è statospudorato artefice e caposcuola, nel quale di fatto la critica let-teraria medievale araba ha riconosciuto un modello. Dando perscontato che, a differenza dello scarso favore ottenuto da al-

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Naz.z.am quando questi gioca a fare il poeta, quando Ab) Nuwasgioca a fare il nuovo filosofo raggiunge un risultato poetico chefa di lui un grande poeta, possiamo dunque chiederci: quandoAb) Nuwas ricorreva a immagini della fisica del kalam, venivacompreso? In altre parole: come veniva recepito, prima ancorache interpretato, quel processo mediante il quale il poeta esem-plificava con immagini antiche, cioè classiche, del discorso poe-tico (il vino, l’amore) concetti derivati dal moderno dibattito frafilosofi della natura e mutakallim)n (o, detto in termini più ge-nerici ma congrui e familiari, tra aristotelici e antiaristotelici)?

All’interrogativo sembra dare risposta un esempio di manca-ta ricezione di senso, che in maniera sfumata rivela una certa ina-deguatezza dell’interpretazione all’oggetto interpretato. Il pun-to di partenza è ancora il passo di al-Nad¤m, dove il bibliografodocumenta i rapporti fra il poeta e il dialettico; accennando allarottura del sodalizio fra i due, egli riporta un verso di Ab) Nuwasindirizzato contro l’antico maestro di dialettica ed ex amico: «Maa chi va sostenendo sapere di filosofo / di’ che di ciò che sa spes-so perde memoria». Questo verso chiude una famosa khamriyyadi Ab) Nuwas – in cui la critica araba medievale ha riconosciu-to unanimemente un’invettiva del poeta contro al-Naz.z.am – cen-trata su tre cavalli di battaglia della teoria antiatomista dei corpidel grande mutakallim: il mizaj (“complessione”, ma in questicontesti più precisamente “fusione degli elementi costitutivi del-le sostanze, o delle sostanze/attributi”), la mudakhala (“interpe-netrazione delle sostanze/attributi”) e il tawallud (“generazio-ne”, ma, nel linguaggio del kalam, causa secondaria, risultato deidue processi precedenti e indipendente da una causa prima):

Risparmia dunque il biasimo, che suona come invito,e curami piuttosto con vera medicina:dorato è il fiele ambito che scansa ogni mestizia,che a spargerla sui sassi dà gioia anche alla pietra,servito dalle grazie di donna in maschia guisa –

. DW, vol. III, pp. -. Una trattazione “non scientifica” del tawallud èpresente in molti altri luoghi del canzoniere di Ab) Nuwas, ad esempio, dovecompare il topos della bellezza che genera nuova bellezza: cfr. DS, pp. e .

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due amanti la contendono: di certo il donnaiolo,senz’altro il sodomita.Turgido s’alza il bricco, fuori la notte avanzama il volto suo è di perla, e abbaglia la taverna.Dal labbro di caraffa purezza somministra,infonde al solo sguardo ebbrezza e sonnolenza.Gentile è anche con l’acqua, e l’acqua s’insuperbisce;se al vino denso poi mescoli lucesi fondono l’un l’altro, e fusi insieme generanobagliori e nuove luci.Ma a chi va sostenendo sapere di filosofodi’ che di ciò che sa spesso perde memoria;non vada a negar mercede, se ha zelo di credente,perché troppo rigore è offesa alla religione.

I versi sembrerebbero banalizzare – ma forse perché non ne ca-piamo a sufficienza la cifra esatta – la consistenza dei dibattiti in-torno a questi concetti: si parla di vino fuso a luce (mizaj), del re-ciproco interagire delle due sostanze (mudakhala) e della conse-guente nascita (tawallud) di nuove luci.

Non sappiamo fino a che punto Ab) Nuwas fosse introdot-to nei circoli filosofico-teologici della sua città; i versi in que-stione, comunque, hanno tutta l’aria di essere una critica ad al-Naz.z.am, come anche i recensori del canzoniere affermano achiare lettere. Ma una critica a che cosa, e secondo quale stile?La disputa filosofico-teologica o l’invettiva poetica? Vi è in-nanzi tutto un problema di classificazione: a quale genere lapoesia appartiene, al genere bacchico o al genere dell’invettivasatirica – o è una fusione di generi, da cui si genera un nuovogenere (o sottogenere) poetico?

I versi sono costruiti in maniera assai canonica, secondo lapeculiare modalità di Ab) Nuwas di decostruire il modello clas-sico sconvolgendolo dall’interno: in apertura compare il tributoal topos della cura con la medicina che pure è causa della malat-tia (e dunque al poeta che lo ha introdotto nel canone poetico,in questo caso, il poeta pre-islamico al-A‘sha’). Il filologo Ab)Hatim al-Sijistan¤, citato da Hamza al-Isfahan¤ nelle glosse allasua recensione del d¤wan di Ab) Nuwas, classifica senza alcundubbio i versi come appartenenti al genere del hija’, cioè la poe-

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sia satirica ; Hamza al-Isfahan¤, invece, nel dubbio, la collocanel genere delle poesie bacchiche. Entrambi i critici letterari suuna cosa sono d’accordo: l’occasione dei versi. Per Hamza al-Isfahan¤

con i due ultimi versi il poeta apostrofava Ibrah¤m al-Naz.z.am un gior-no che lo sentì impegnato in una disputa sul tema del castigo divino do-po la morte. Così andava dicendo al-Naz.z.am: «Colui che muore aven-do gravemente peccato e senza pentirsi, non beneficerà del perdono diDio, e sarà gettato nel fuoco». Sicché Ab) Nuwas si rivolse a lui dicen-do: «Ma a chi va sostenendo sapere di filosofo» ecc.

Il filologo aggiunge di seguito la versione di Ab) Hatim al-Siji-stan¤, leggermente più attenta al rapporto personale fra i duepersonaggi:

Ab) Nuwas, negli anni della giovinezza di al-Naz.z.am, gli era stato ami-co, e da lui aveva appreso l’arte della dialettica. Per un periodo si separòda lui, poi tornò di nuovo a frequentarlo. Al-Naz.z.am lo invitò a unirsialla corrente mutazilita, gli illustrò la dottrina del castigo divino, lo am-monì per la sua condotta peccaminosa e gli prefigurò un’eterna con-danna nel fuoco dell’inferno. Ma Ab) Nuwas di nuovo si separò da lui,lanciandogli contro i versi satirici in cui si dice: «Ma a chi va sostenen-do sapere di filosofo» ecc.

Entrambi dunque vedono nei versi un rimprovero del poeta ri-volto a una certa qual abitudine del mutakallim a razzolare be-ne, come si suol dire, e a predicare male. In particolare, i due cul-tori dell’opera del poeta mettono in rilievo un Ab) Nuwas giu-stamente seccato di doversi sentire rimproverato e ammonito perla propria condotta licenziosa proprio da quel noto intenditoredi vino e amante dei ragazzi. Si direbbe che tanto al primo quan-to al secondo commentatore dell’opera poetica di Ab) Nuwassia sfuggito l’altro aspetto, quello confutativo secondo la regoladei grandi dibattiti intellettuali.

. DS, p. .. Ibid.

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Sappiamo infatti da al-Ash‘ar¤, l’autorevolissimo teologo edossografo morto nel , che al-Naz.z.am negava alla mescolanza(mizaj) dei corpi la proprietà di produrre (tawallada) nuovi corpi;secondo la sua teoria, le qualità costitutive di un corpo (gli esem-pi più cari al nuovo filosofo, qui riportati, sono quelli dei colori edel calore) sono anch’esse corpi (corpi sottili, ajsam la†¤fa); questi,nel loro fondersi e nel loro “produrre” qualità diverse, non inge-nerano corpi nuovi o qualità nuove (la mutawallada). Giungendodalle premesse fisiche alle conclusioni teologiche, al-Naz.z.am cosìargomenta la sua confutazione della pretesa origine del mondo apartire dalla fusione di luce e tenebra sostenuta dai dualisti bar-desaniti. Vi è, nella replica del poeta, una criptica adesione allatesi manichea? Probabilmente no: più semplicemente, Ab)Nuwas confutava al-Naz.z.am (esattamente come questi era solitofare, cioè adottando paradossalmente le tesi dell’avversario) sulpiano dell’esperienza poetica e del suo peculiare linguaggio. Ab)Nuwas forse non amava i filosofi: il termine falsafa è sempre inse-rito in contesti satirici. Si vedano i versi in cui in un gioco, a dir po-co intraducibile, di immagini fra il nero dell’inchiostro di una let-tera spedita al poeta da amiche che lo scherniscono per l’ennesi-mo amore infelice, il nero del saio di un giovane monaco di cui ilpoeta è appunto innamorato e il volo dei corvi, la lettura del mes-saggio diventa un atto di divinazione, e chiudono così: «Che ne di-ci del mio divinare? Non sono forse, tra i filosofi, il più grande?».

Il carattere confutativo dei versi, peraltro, non deve essereandato del tutto perduto: l’ultimo verso della polemica kham-riyya ha conosciuto una particolare fortuna, diventando la cita-zione proverbiale di chiunque, nel corso di una disputa, volessemostrare all’interlocutore la contraddizione in cui incorreva e lasostanziale incoerenza del suo pensiero: «a chi va sostenendo sa-pere di filosofo / di’ che di ciò che sa parte ricorda e molto di-mentica». Se ne ritrova, in verità, citato solo il secondo emisti-chio, dando per scontata, da parte di chi ascolta, la conoscenza

. Al-Ash‘ar¤, Maqalat al-islamiyy¤n, ed. H. Ritter, Franz Steiner, Wiesba-den , pp. -; cfr. i passi relativi al mizaj in al-Jahiz., Kitab al-hayawan, cit.,vol. V, pp. , , , .

. DS, pp. -.

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del primo. Fra i molti esempi in cui il verso ricorre ad hoc, qui ri-sulta particolarmente pertinente notare che se ne servì il gram-matico Ab) Sa‘¤d al-S¤raf¤, nel corso della disputa, prima ricor-data, in cui egli refutava, contro Ab) Bishr Matta, la presuntauniversalità della logica greca.

Ma un altro interrogativo si giustappone al primo: l’esempiopoetico apporta nuovi elementi di discussione della dottrina fi-sica o il ricorso a nuovi concetti produce un mutamento di sen-so negli antichi motivi poetici? E ancora: sono davvero chiari imotivi che ispirarono tanta veemenza nei versi visti prima, e sucui torniamo ora a soffermarci, che Ab) Nuwas lanciava control’amico di un tempo, il cui pulpito non sembrava essere proprioesemplare? Non è detto: può darsi che, dietro l’aneddoto a cui idotti recensori mostrano di credere, vi sia un disaccordo più cir-costanziato; può darsi che, dietro quei versi, non vi sia solo la ri-duzione a gioco letterario di una controversia, ma piuttosto vi siadavvero una controversia in atto fra Ab) Nuwas e al-Naz.z.am, de-cisiva per comprendere l’apparato concettuale che informa lateoria del corpo innamorato secondo il poeta.

Il filologo Ab) Hatim al-Sijistan¤, lo si è visto nelle glosse diHamza al-Isfahan¤, classificava quei versi contro al-Naz.z.am comeappartenenti al genere del hija’, luogo del canone poetico riser-vato al vituperio e all’invettiva satirica. Una diversa sensibilità fi-lologica spinge invece il recensore “ufficiale” del poeta, appuntoHamza al-Isfahan¤, a riconoscere in questi versi una khamriyya ea collocarli, grazie alla rima in alif, in apertura della sezione delcanzoniere dedicata alla poesia in lode del vino. In questa sceltadeve aver inciso, stando alla distribuzione delle diverse unità te-matiche secondo cui i versi si strutturano, la centralità di un par-ticolare tema del discorso poetico, ovvero la mescolanza (mizaj /mumazaja / imtizaj) del vino con l’acqua – vero e proprio toposdella poesia bacchica di Ab) Nuwas e dei suoi continuatori.

Questo topos – posto esattamente al centro della poesia – è quisviluppato in una progressione semantica che, in maniera assoluta-mente circostanziata, riproduce un segmento del discorso accade-mico: l’argomentazione dimostrativa della ragione dialettica («se alvino denso poi mescoli luce / si fondono l’un l’altro, e fusi insiemegenerano / bagliori e nuove luci»). I verbi mazaja, mazaja (in terza

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forma, che esprime reciprocità) e tawallada inseriscono nella for-ma canonica della khamriyya e nello scenario, altrettanto canonico,della taverna la discussione di una teoria fisico-teologica.

La teoria del tawallud, ovvero della generazione di effetti nondirettamente legati alla causalità degli atti dipendenti dalla vo-lontà creatrice divina, era stata tenacemente dibattuta fra i so-stenitori filoaristotelici di una teoria degli accidenti (gli ashab al-a‘ra[, fra i quali spiccava Ab)’l-Hudhayl al-‘Allaf, zio e primomaestro di al-Naz.z.am) e gli antiatomisti antiaristotelici guidatidallo stesso al-Naz.z.am: questi, convinto che tutto fosse “corpo”,e solo al movimento disposto a riconoscere lo statuto di acci-dente , contro i primi si era tenacemente scagliato in diversi suoitrattati con un’abilità e un rigore dialettici unanimemente am-messi dalle fonti .

In questi versi Ab) Nuwas sembra dispiegare, affidandola al-l’eloquenza e alla coerenza diversamente orientata del discorsopoetico, una confutazione in piena regola. Il poeta accoglie lepremesse teoriche del mizaj professate da al-Naz.z.am, per poi di-mostrarne l’incoerenza analizzando – sub specie poetica – unaspetto delle conseguenze a cui quel discorso accademico giun-geva. Tuttavia, nel momento in cui Ab) Nuwas fa sue quelle pre-messe teoriche, esse diventano così un tema, su cui il poeta eser-citerà a suo piacimento il dispositivo estetico della variazionenella reiterazione del contenuto; arduo qui segnare tutte le oc-correnze del tema. Tuttavia, vale la pena ricordare che la mesco-lanza fra acqua e vino si carica, nello spazio del canzoniere delpoeta, di analogie e metafore cromatiche fra principi opposti: lu-ce e tenebra, oro e argento, sole e luna, fino a espandersi – «cor-po di luce che l’anima contiene, e insieme si fondono» – e ad as-

. Al-Ash‘ar¤, Maqalat al-islamiyy¤n, cit., p. ; cfr. Van Ess, Une lecture àrebours, cit., pp. -.

. Cfr. al-Nad¤m, Fihrist, cit., p. : fra i testi attribuiti ad al-Naz.z.am spic-ca anche un Kitab al-tawallud. I termini dello scontro fra gli aristotelici da un la-to e al-Naz.z.am e i suoi discepoli dall’altro sono riportati in un passo di al-Jahiz.,Kitab al-hayawan, cit., vol. V, pp. ss., tradotti e commentati da Van Ess, ]iraribn ‘Amr und die Cahmiya, cit., pp. -. Per una storia dei dibattiti intorno al-la teoria del tawallud cfr. Id., Theologie und Gesellschaft, cit., vol. III, pp. -.

. DS, p. .

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sumere significati che rendono esplicita l’avvenuta decostruzio-ne del genere della lode del vino, ormai trasformata da Ab)Nuwas come luogo di transito della poesia amorosa, e che si af-facciano infine nei territori dominati dal neoplatonismo: queiterritori alle cui soglie Ab) Nuwas conduce la poesia d’amorepre-cortese da lui portata a compimento, come premessa inelu-dibile ai poeti che dopo verranno, e da lì si inoltreranno nei per-corsi dell’amor cortese. Quando, dal IX-X secolo – o se si prefe-risce, da Avicenna in poi –, il motivo della fusione verrà trasferi-to dai corpi alle anime (dalle anime gemelle alle quattro naturearistoteliche) , esso diventerà metafora ricorrente nella rappre-sentazione letteraria delle discussioni sulla natura e sul senso del-l’amore: la teoria medica e il repertorio poetico arabo costitui-ranno finalmente due serie di “fonti” differenziate, e autorevoli,per impostare il discorso filosofico e giuridico sull’amore.

Secondo intermezzo: un’incoerenza di al-Naz.z. am,

o la parodia del canone

Un improbabile aneddoto vorrebbe che un famoso filosofo, at-tratto dall’aria virtuosa di un ignoto giovanotto intento a passeg-giare per le strade della città, lo apostrofasse facendo appello al-la bellezza del suo sembiante, sicuro specchio di chissà qual al-tra venustà dell’anima, invitandolo a conversare di cose sublimi.Non capita tutti i giorni – più o meno così il filosofo illustra laragione del suo ardire – di riconoscere nelle altrui fattezze tantaaffinità di aneliti e di intenti. «Non oserei», precisa, citando unverso di Ab) Dulaf, «se non fosse che il tuo posto nel mio cuoreè pari a quello dell’anima in un corpo generoso».

Il filosofo in questione è al-Naz.z.am, ma somiglia sorpren-dentemente a Socrate; nel passo consegnatoci da Ab)’l-Faraj al-Isfahan¤ , il tentativo di creare un’atmosfera classica è palese:classica, evidentemente, non solo per noi, che riconosciamo im-mediatamente, negli elementi costitutivi della narrazione messi

. Cfr. von Grunebaum, Avicenna’s «Risala f¤ ’l-‘ishq», cit.. Ab)’l-Faraj al-Isfahan¤, Kitab al-aghan¤, cit., vol. VIII, pp. -.

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in atto dall’autore musulmano del X secolo, qualche frammentodel nostro immaginario spicciolo: una certa aria ateniese, l’efeboche sembra uscito dalla palestra, il discorso altisonante del sag-gio marpione che allude alla bellezza di chi serba in cuore filo-sofiche virtù. È classica anche per chi, fruitore medievale arabo,riconosce il passaggio canonico del personaggio dal rigore dellabiografia all’estetica della caratterizzazione letteraria. Non man-ca, soprattutto, la propensione maieutica del filosofo, che verràfin troppo soddisfatta dalle parole del giovane, al quale è ignotoil volto, ma non le dottrine che hanno reso famoso sino alla pro-verbialità il suo illustre interlocutore. Così l’aneddoto continua:

Quel che tu dici – replica il giovane – è ciò che va insegnando il nostromaestro (ustadhuna), Ibrah¤m al-Naz.z.am: le nature attraggono ciò chesomiglia loro per affinità, e inclinano verso ciò che ad esse è vicino perconsonanza. Cosicché tutto il mio essere è incline al tuo. Ma se pure ciòche lo avvolge fosse un mero accidente, io non lo considererei amore;anzi, la sua è sostanza corporea, che persiste al persistere dell’anima, eal suo annientarsi s’annienta. Ti dirò ciò che ha detto il poeta:

accertati prima ch’io t’ami per davveroe poi fa’ quel che vuoi di questo [tuo] sapere.

Ritrovandosi citato, confutato e rifiutato nel medesimo tempo, al-Naz.z.am non fa una piega; constatando l’inesorabile referenzialitàdel saccente discepolo, e la sistematica coerenza del suo diniego,il filosofo si defila non prima di aver detto l’ultima parola: «Ti stodunque invitando a ragionare di ciò che già hai imparato a me-nadito. Se solo avessi saputo che il tuo posto è simile a quello diMa‘mar nel campo della dialettica, mai t’avrei fermato».

Si sarebbe tentati di vedere, nel passo di Ab)’l-Faraj al-Isfahan¤, un fulmineo frammento di storia della filosofia e, al con-tempo, di storia della scienza; fulmineo, nella sua brevità, tantoquanto lo è l’incrociarsi dei due corpi del sapere che documenta.Quanto tutto ciò sia intenzionale, da parte dell’autore, è chiara-mente un mistero; probabilmente, si tratta di un riflesso di quel

. Ma‘mar ibn al-Muthanna al-Tayyim¤ (morto nell’ circa), eminentegrammatico chiamato a corte dal califfo Har)n al-Rash¤d.

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processo di decostruzione e di assorbimento del sapere greco (ogrecizzante) nelle forme familiari di un tema letterario («unefaçon bien déterminée de représenter les philosophes grecs; [...]une manière de dramaturgie culturelle où ces philosophes sontautant de personnages à qui sont assignés des rôles divers maisqui tous concourent à ce même effet tacite de persuasion») . Lapercezione “nostra” di quei frammenti di grecità è certo data dal-l’aderenza a un canone icono-testuale della rappresentazione isla-mica classica del convivio di filosofi; ma la solennità del simposio,quale ci giunge, ad esempio, dai dotti che ragionano d’amore nel-la fiction grecizzante che abbiamo visto, ad opera di Mas‘)d¤, eancor più, perché non mediata dalle risorse retoriche della lette-ratura, dagli asciutti resoconti di dispute e confutazioni che sa-rebbero andate altrimenti perdute, diligentemente redatti daidossografi, in questa finzione manieristica si stempera nella paro-dia: la fonte, o meglio il modello, dell’imitazione socratica sem-brerebbe essere Aristofane, più che Platone.

Il canone classicheggiante, tuttavia, induce in inganno: i seg-menti discorsivi, infatti, prendono corpo da immagini scontatis-sime, che sembrano “antiche”, e come tali gabellate dal filosofo– l’amore come metafora della cognizione, il tema ambiguo deisimili che si attrarrebbero e il soggiacente mito dell’anima sferi-ca, spettro del testo platonico mai giunto in arabo nella sua inte-grità eppure così a fondo recepito e riformulato, e confutato, nel-le teorie arabo-islamiche dell’amore –, ma che al-Naz.z.am nonpoteva ancora conoscere . E tuttavia, il giovane riconosce al vo-lo l’incoerenza subdola dell’argomentazione pretestuosa di al-Naz.z.am: le parole chiave della replica sono mayl e jadhb, “incli-nazione” e “attrazione” di alcuni corpi verso altri corpi – qui, co-me si evince, non ancora debitamente distinte –, che costituiva-no il fulcro di una teoria di al-Naz.z.am tesa a superare la nozionearistotelica di luogo naturale . A dire il vero, il passo è mossopiù da sollecitazioni parodistiche che da una cura filologica; leparole attribuite dal giovane al maestro di dialettica echeggiano

. Jolivet, L’idée de la sagesse, cit., p. .. Sull’influenza del Simposio e del mito dell’anima sferica divisa nel di-

scorso arabo-islamico sull’amore si tornerà più avanti.. Van Ess, Theologie und Gesellschaft, cit., vol. III, pp. ss.

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certe discussioni posteriori (ad esempio, il dibattito sulla persi-stenza e l’annichilimento degli atomi e dei corpi, più o meno con-temporaneo ad Ab)’l-Faraj al-Isfahan¤, conservato fra le contro-versie raccolte nel XII secolo da Ab) Rash¤d al-N¤sab)r¤) . Ri-salta inoltre un certo senno del poi – o meglio, una diacronia del-lo sviluppo delle tematiche che qui viene spacciata per sincronia,quando la statica e la dinamica del X secolo contribuiscono aespandere le risorse euristiche di queste suggestive nozioni; saràcon Ibn al-Haytham e soprattutto con Avicenna che si passeràdalla nozione di attrazione alla formulazione di una serie di teo-rie sul movimento nel vuoto e sulla caduta dei gravi, preludendoalla teoria rinascimentale dell’impetus .

Qui, dunque, sembra che di tutt’altro che di amore si parli, edi tutt’altra attrazione dei corpi sia (o cominci a essere) questio-ne: le immagini sono scontate se poste a illustrare idee antiche,ma assumono una diversa risonanza e una differente significa-zione se descrivono nuovi oggetti del sapere. Proprio come neiversi di Ab) Nuwas, che rimproverava al filosofo di ricordare so-lo una parte del suo sapere, al-Naz.z.am qui si vede confutato coisuoi stessi argomenti – inclusa la dottrina secondo cui tutto è cor-po e niente è accidente – proprio perché il giovane allude, fin-gendosi ingenuo ma non idiota, a un mutato rapporto tra paro-la e cosa, tra figura del repertorio poetico antico e sostanza deldiscorso filosofico moderno, che grazie al lessico dei mutakal-lim)n – di cui, a Baghdad, l’incauto talent scout è uno dei capi-scuola più brillanti – sembra essersi verificato. Nel momentostesso in cui dimostra di aver colto, nella temporanea incoeren-za dell’antiaristotelico al-Naz.z.am, il rischio di una residua persi-stenza di antichi significati nelle metafore invocate a illustrareconcetti scaturiti da nuovo sapere, il giovane dà notizia (più nel-la pratica che nella teoria) della fine della tarda antichità a unodi coloro che, di quella fine, furono artefici.

. Ab) Rash¤d al-N¤sab)r¤, al-Masa’il f¤’l khilaf bayn al-basriyy¤n wa’l-baghdadiyy¤n, ed. A. Biram, Brill, Leiden .

. A. Hasnaoui, La dynamique d’Ibn S¤na (La notion d’“inclination”: mayl),in J. Jolivet, R. Rashed (éds.), Etudes sur Avicenne, Les Belles Lettres, Paris ,pp. -.

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La religione dell’amato, o la poetica

degli amori interconfessionali

Che l’immagine della mescolanza avesse acquisito diritto di cit-tadinanza nei confini del discorso poetico, e che dunque potes-se essere ripresa e rielaborata da altri poeti, basterebbero a di-mostrarlo questi raffinatissimi versi di Husayn al-]ahhak :

Nel punto più recondito in cui gli opposti giaccionol’anima in sé li fonde,così come si mescola bagliore a nuova luce.Il senso coglie appena, se mai vuole descriverla,la brezza sua che emana, il fuoco che vi arde,fragranza sua che alita, presenza che l’olfatto solo avverte.Sollecita fusione di luce in altra luce,ebbrezza che muove a danza se musica richiama,risveglia dal profondo lo spirito sopito.[...]Non può regger lo sguardo quel lampo luminososenza che poi sovvenga fulminea cecità:l’opera che compone siffatta mescolanzasembra fulgida pelle di serpe opalescente,che pure scuoiata il sangue raggela.Perché avvenga fusione, non v’è che il palmodi mano gentile e saggia,che come vascello scorre e a notte fonda arriva,diafano bastimento che carico di perle approda.Saggia è la mano di colui che il vino versa,e marca chi sceglie col segno dell’infamia:che importa se poi a rovina il nome mi condanna,quand’anche fosse effimera gaiezza che reclama?

Non v’è dubbio, stavolta, che i versi siano di Husayn al-]ahhak,e non di Ab) Nuwas: la recensione di Hamza al-Isfahan¤ li vuo-le pronunciati nel corso di una tenzone poetica fra i due, in cuiil primo rispondeva – stessa rima, stesso genere – al secondo, che

. D¤wan Ab¤ ‘Al¤ Husayn al-]ahhak, cit., p. ; DW, vol. I, p. .

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invitava a improvvisare sul modello (ancora una volta) dei versilanciati contro al-Naz.z.am.

Dall’assunzione dei processi di trasformazione delle pro-prietà dei corpi fisici – così come il discorso accademico li de-scrive, e così come il canone poetico li riconcettualizza – al lorotrasferimento sul corpo dell’amato il passo è breve. Il tema dellafusione delle due religioni, rappresentato attraverso l’immagineamorosa della fusione dei corpi, è così formulato da Ab) Nuwas,affinché i poeti dopo di lui se ne servano nei propri versi (e ma-gari, a lui si attribuiscano quei versi):

Se tu fossi, censore, di Durr innamoratoche cosa chiederesti?Medesime virtù sapresti ritrovarein chi non cinge il panno dell’altra religione?Nient’altro che un bacio, a Durr io chiederei;un bacio in cui ravvedo eterna redenzione:se solo lei volesse, così sarei salvato.Alla fede dei greci la mia fede fondereicome l’acqua si scioglie in liturgico vino.Non voglio, censore, per lei cambiar fede:dei due credi faremmo semmai una sola religione.

A questo proposito, una notizia diffusa nel X secolo dall’ereticoIbn al-Rawand¤ farebbe di al-Naz.z.am l’autore di un trattato sullasuperiorità del trinitarismo sul monoteismo, composto per amoredi un giovane cristiano. La notizia, o diceria, è ancora attestata duesecoli dopo dal cordovano Ibn Hazm, autore di quel Collare del-la colomba, sull’amore e sugli amanti che costituisce forse il più im-portante – o solo il più celebre – trattato di amor cortese in arabo;«nonostante la sua eccellenza come teologo e la sua sicura e saldadottrina», così egli la commenta, evidentemente reputandola ve-rosimile. È probabile che questo trattato fosse un altro eserciziodi stile, di quelli che circolavano nella cerchia – neanche tropporistretta – dell’élite di liberi pensatori della Baghdad del tempo.

. DS, p. .. Ibn Hazm, Il collare della colomba, trad. it. di F. Gabrieli, nuova ed., ES,

Milano , p. .

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Saremmo, comunque, ancora una volta in tema di influenze frapoeti e “nuovi filosofi”, e non sarebbe nemmeno la prima volta:sembra che al-Naz.z.am abbia scritto il suo trattato Sul movimentoispirato da alcuni versi di Ab) Nuwas con i quali il poeta si di-fendeva dall’accusa di eresia. Ma in questo caso si direbbe che,in maniera speculare ad Ab) Nuwas, che da poeta specialista d’a-more filosofeggia sul concetto di corpo e sostanza e quant’altro,al-Naz.z.am pieghi alle regole dell’arte dialettica del polemista in-veterato uno dei temi poetici inventato proprio dal suo antico al-lievo: la celebrazione dell’amato non musulmano.

Ab) Nuwas partecipava in maniera assai originale al dialogodi alto livello fra religioni – ma sarebbe più esatto dire al con-fronto fra teologie – che si svolgeva fra l’VIII e il IX secolo nellacapitale dell’impero abbaside, sotto il diretto auspicio del califfo,con un genere poetico minore, che potremmo chiamare d’amo-re interconfessionale, emanato dal più vasto genere della poesiad’amore. Al centro di questo nuovo esercizio lirico, inventato dalpoeta e diffuso nel corso del tempo fino a ritrovarlo nella poesiaamorosa araba andalusa (dove i poeti che lo praticano sono an-cora fedeli al modello coniato da Ab) Nuwas), è posta la cele-brazione dei simboli, delle valenze culturali e delle consuetudinireligiose di personaggi amati appartenenti alle cosiddette reli-gioni del libro. Nei testi che Ab) Nuwas dedica a questi amori,tutti occasionali, tutti travolgenti, a volte emerge un nome: il gia-cobita Ab) Yash)‘, lo zoroastriano Bihr)z, il manicheo Hamdan,distinti dall’anonimato che invece avvolge schiere di anonimedame di palazzo, cantatrici, musici, aulici coppieri d’osteria egiunoniche proprietarie di taverne di religione ebraica e cristia-na. Tuttavia, sono il cristiano e lo zoroastriano che, quando as-surgono a oggetto d’amore e di affabulazione poetica, danno aquesto particolare genere un titolo preciso: nascono così, nellaproduzione abunuwasiana, le raccolte di nasraniyyat (quandol’amato è un nasran¤, cioè appartenente a uno qualsiasi degliorientamenti che contraddistinguono il cristianesimo orientale)

. Cfr. C. Brockelmann, Geschichte der arabischen Literatur, Suppl. I, Brill,Leiden , p. , nota . Il trattato è citato da al-Nad¤m, Fihrist, cit., p. .

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e di farisiyyat (quando l’amato è un faris¤, cioè un persiano fede-le alla religione di Zoroastro e dei Magi).

In questi numerosi versi, certamente, più che l’apparato teolo-gico prevale il potenziale estetico, icono-testuale della religionedell’altro – i Vangeli e l’Avesta, le processioni, i calendari e le fe-stività, i miti, i santi, le chiese e i pirei, le croci e i mosaici; versi che,nella maggior parte dei casi, si concludono col motivo, anch’essoripreso da altri poeti arabi d’Oriente e d’Occidente, dell’abiuradall’islam per amore. Esattamente come la ricorrenza del motivodella luce contrapposta alla tenebra – corpi fatti di luce, sorrisi esguardi che squarciano il buio e introducono il motivo fortunatis-simo dello sguardo-che-come-freccia-uccide – sembra essere stru-mentale a esigenze di rappresentazione poetica più che costituireuna professione di fede manichea, la celebrazione della fede del-l’altro è occasione per esibire una strategia dell’invenzione poeti-ca in cui le “cose” che fanno la religione altrui si tramutano in or-namento linguistico e semiotico, a partire dal tessuto lessicale: so-no testi, questi, in cui la rappresentazione dell’amato ricorre a unuso volutamente oscuro di parole siriache (nelle nasraniyyat) e inmedio-persiano (o pahlavi, nelle farisiyyat). Testi, dunque, la cuiricezione non si affida alla decifrazione del senso, ma a una sortadi potere epifanico che la parola straniera evoca nel momento incui, dietro la sua preziosa presenza nel testo, si staglia implicita-mente l’universo culturale che essa trascina con sé.

Anche in questo caso, ancora una volta, Ab) Nuwas è inter-prete per eccellenza del suo mondo e del suo tempo; nel mo-mento in cui la società abbaside, dal suo centro, Baghdad, esibi-sce e definisce una rappresentazione di sé, sceglie la grandiosalogica culturale degli imperi, e costruisce la propria autoperce-zione storica come storia dei saperi di cui essa è erede. Un com-plesso sistema di relazioni con il passato, con la classicità, e la ri-cerca di senso che quel passato ridisegna – e forse inventa, comeogni elaborazione culturale di ciò che deve aver senso perché èstato, e adesso per di più è nostro –, emergono dai testi con cuila civiltà arabo-islamica in questo periodo ha riflettuto su se stes-sa e sulla coscienza del prima di sé. Ab) Nuwas non fa che regi-strare una mutata disposizione dell’episteme – e lo avevamo giàvisto all’opera nei confronti dei linguaggi della teologia e della fi-

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sica filo e antiaristotelica –, là dove egli ci dà conto di un mo-mento di rottura nella delicata relazione di dipendenza conun’antichità che si postula modello insuperabile di perfezione.Tutta la sua polemica anticlassica, di fatto, esemplifica la com-plessità di quella relazione: una polemica che, in verità, coinvol-se tutti i poeti della prima generazione abbaside, dividendoli inclassicisti irriducibili – legati ai modelli solenni della poesia pre-islamica – e sperimentalisti della nouvelle vague. La grande le-zione della poesia classica permane, non v’è dubbio, indiscussa:ne è prova la persistenza del sistema prosodico, dalle leggi ferreema insostituibili. Ma la cultura umanistica realizzata in seno allasocietà arabo-islamica di età abbaside si accorge che la classicitàè una nozione di genere plurale; esistono eredità del sapere delcui asse essa si sente partecipe. L’islam, al di là dei miti che essostesso ha diffuso, è l’ultima espressione del mondo tardo-antico,ellenistico, urbanizzato e con qualche tendenza gnostica; l’elle-nismo è ancora un’avventura da vivere, sentita come canonica vi-sione di un mondo che, se in Occidente era il frutto di una de-cadenza, in Oriente non emana da un’attesa della fine, ma cele-bra ancora i suoi trionfi: il trionfo del sapere greco, iniziato conla dinastia siriana degli Omayyadi e portato a compimento dagliAbbasidi, e che infine ritrova il suo alter ego, l’Iran del mito. Mail mondo che si estende sotto gli occhi di Ab) Nuwas, lo abbia-mo visto, guarda all’eredità del passato appunto come un meta-discorso capace di proiettarne la portata ideologica, storiografi-ca o semplicemente estetica, verso l’avvenire.

Dal punto di vista formale il bilinguismo è, in questa sezioneoriginalissima della produzione del poeta, il tratto che più visi-bilmente ne segna il carattere sperimentale; ma guardando alladiffusione di questo motivo inventato da Ab) Nuwas, quel mo-do di descrivere l’Altro dentro il suo mondo, con frammenti del-la sua lingua, proprio perché esperimento, era destinato a esau-rirsi. Proiettato al futuro, invece, ad uso dei poeti successivi, re-sta il motivo; la celebrazione dell’amato/a cristiano/a, anche per-ché incastonata in un luogo così pregnante della topografia let-teraria come il monastero, verrà riprodotta come un vero e pro-prio prodotto di scuola – fino a ritrovarla in Andalusia – in quan-to portatrice di un microcosmo di valori letterari e culturali in cui

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risuona tutta l’ambiguità di cui è sempre intriso ogni discorsosull’Altro e sull’amore per l’Altro.

Anticipare, prefigurare: queste, fra molte altre, sembrano es-sere pertanto funzioni di cui la persona poetica di Ab) Nuwas èstata investita, nell’uso, diretto o filtrato, che la cultura arabo-islamica del tempo ha fatto delle sue invenzioni e delle sue inno-vazioni, e delle conseguenze che una certa radicalizzazione, se co-sì si può dire, delle sue immagini lasciava intuire. La rete dei se-gni messa in opera dalla poetica d’amore di cui Ab) Nuwas eraartefice conteneva in sé quella capacità di opacizzarsi, sempre ne-cessaria affinché il segno, da trasparente, divenga anche simbolo,e parola che rimanda ad altri piani del molteplice discorso sull’a-more; l’amor cortese vero e proprio, post-abunuwasiano, di queldiscorso, è solo un esito, o una conseguenza, o una radicalizza-zione, inerente al campo del sapere poetico. Ma è anche un ter-ritorio neutro, a cui altri saperi attingono, nella duplice, contro-versa maniera in cui in ogni caso il discorso d’amore si presenta:come aspirazione e come rovina, come elevazione verso l’empi-reo e come precipizio verso l’abisso. Se l’Avicenna filosofo daràuna concettualizzazione teoretica all’amore dei poeti – quell’a-more in cui il linguaggio poetico prefigurava una modalità di con-giunzione umana al dominio degli intelligibili, fornendo una le-gittimazione filosofica alle vie dell’amore mistico –, l’Avicennamedico tratterrà tuttavia l’amore come malattia e debilitazione.Di nuovo, riaffiora il problema sociale dell’amore a cui questogioco letterario ben costruito inevitabilmente non può non ri-mandare; tutto è gioco, tutto è saturnale – almeno così sembra –,o se si preferisce: tutto è profondissimo grido di protesta subli-mato, che culmina forse con quel verso misterioso con cui il poe-ta, ubriaco fino al delirio, dice «vieni, alzati con me, ribellati conme al despota dei cieli», anche quando Ab) Nuwas scivola dal-la raffigurazione dello schiavo d’amore alla prefigurazione del

. J. N. Bell, Avicenna’s «Treatise on Love» and the Nonphilosophical Mus-lim Tradition, in “Der Islam”, , , pp. -; von Grunebaum, Avicenna’s«Risala f¤ ’l-‘ishq», cit., p. , nota .

. Qum sayyid¤ na‘si jabbar al-samawat: DW, vol. III, p. .

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martire per amore. La sostenibilità di una vita così vissuta, co-sì giocata, può però diventare un modello condiviso di consun-zione, di deriva esistenziale, di scelta insalubre di trionfo. Ci sipuò dunque ragionevolmente chiedere perché il sapere giuridi-co, da ultimo dopo la medicina e la filosofia, si sia appropriatoepistemologicamente del discorso sull’amore: un discorso che,così impostato, è inequivocabilmente un discorso sociale sull’a-more. Nel Collare della colomba, dove più evidente appare un’a-derenza consapevole dei comportamenti al modello letterariodell’amore (ormai pienamente) cortese, Ibn Hazm (un giurista)non sembra giocare quando scrive che «l’amore, Dio ti esalti, co-mincia in scherzo e finisce come cosa seria».

Quando i giuristi ragionano d’amore

a M. A. G.

Intendersi di cose d’amore non fa parte del sapere di un giuri-sta, né ci si aspetta da lui un parere competente in merito: que-sta, almeno fino al IX secolo, è l’immagine culturale che ci giun-ge. Come dire che i campi d’indagine relativi alla cognizione del-la natura e delle manifestazioni di questo sentimento restano aldi fuori di un sistema della conoscenza fondato sulle fonti del di-ritto e sulla loro esegesi. Quando però l’amore si insinua anchenell’orizzonte della riflessione giuridica, la discussione che essoingenera introduce una crepa nel metodo stesso del confronto,poiché questo dovrebbe fondarsi su un linguaggio comune: aquale corpo del sapere appartiene la riflessione sulla natura del-l’amore? L’interrogativo sembra essere sottinteso già nella scel-ta del modello tematico, il Simposio platonico, a cui abbiamo vi-sto ispirarsi alcuni discorsi conviviali sull’amore dell’età abbasi-de, a Baghdad e dintorni. Un convito sull’amore analogo a quel-lo di Mas‘)d¤, con interventi simili quando non identici nei con-

. Su questo passaggio, di cui forse Ab) Nuwas non aveva immaginato leconseguenze, cfr. Wagner, Ab) Nuwas, cit., pp. -.

. Ibn Hazm, Il collare della colomba, cit., p. .

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tenuti, e con analoghe conclusioni – sapere antico contro saperenuovo, ragione dialettica vs. ragione filosofica – viene descrittoda un suo contemporaneo, Ab)’l-Hasan al-Daylam¤ . Stavolta,però, la sede è la corte del califfo al-Ma’m)n, e l’autore si mostradecisamente più esplicito nell’assumere l’amore e le sue argo-mentazioni a discriminante fra i differenti corpi del sapere. In ge-nerale, egli denuncia l’asistematicità e la frammentarietà delleopinioni sull’amore (in quei tempi) osservando che i mutaziliti,tutto sommato, non si spingono al di là di un innocuo nozionismonelle loro definizioni dell’amore. Tuttavia, nel convito narrato daal-Daylam¤ è proprio un mutazilita, Thumama ibn Ashras, a ri-volgersi al giurista Yahya ibn Aktham in questi termini: «Il tuocompito dovrebbe essere quello di risolvere problemi di divor-zio, o di pellegrini che [in stato di purezza rituale] sgozzano unabestia. Questo [definire la natura dell’amore] mi sembra piutto-sto il nostro mestiere (fa-amma hadha fa-sina‘atuna)» .

Se il convito barmecide di Mas‘)d¤ era un tranquillo simpo-sio, quello alla corte di al-Ma’m)n descritto da al-Daylam¤ cor-re il rischio di trasformarsi in una disputa leggermente surri-scaldata, o, quanto meno, diventa preludio, o allusione, a unadiatriba storica di ben altre dimensioni, durata due o tre secoli;qui al sapere del giurista viene negata quella congruenza alleproblematiche dell’amore che costituisce la condizione di ac-cesso al dibattito. Scrivevamo, qualche pagina fa, che il punto di

. Ab) Hasan al-Daylam¤, Kitab al-‘a†f al-al¤f al-ma’l)f ‘ala al-lam al-ma‘†)f,ed. J.-C. Vadet, s.e., Cairo , pp. - e ss. Così come la fiction di al-Mas‘)d¤poteva essere la rappresentazione retrodatata di un dibattito in corso fra corpi eimmagini del sapere, il convivio di al-Daylam¤ potrebbe essere un’analoga fiction,anch’essa retrodatata, assunta a metafora dello scontro (ovviamente arbitrato daal-Ma’m)n) fra ragione giuridica e ragione filosofica. Riguardo al sommario dei“saperi nuovi”, al-Daylam¤ fornisce versioni più lunghe di quelle riassunte daMas‘)d¤, spesso dipendenti da fonti diverse e differenziate nell’attribuzione al-l’autorità di turno. Là dove a volte Mas‘)d¤ è generico, al-Daylam¤ è più preciso,o almeno fa mostra di esserlo: quando ad esempio il primo attribuisce alcune teo-rie fisiologiche relative all’origine del desiderio d’amore ai filosofi della natura(†ab¤ ‘iyy)n), il secondo le attribuisce direttamente ad Aristotele (pp. e ss.).Allo stesso modo, citando il mito della creatura sferica, Mas‘)d¤ lo attribuisce ge-nericamente ai filosofi, al-Daylam¤ a Platone.

. Ivi, p. .

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contatto che mette in comunicazione saperi di origine diversa,l’universale che si presta a ogni approccio epistemico, là dove laragione filologica, la sapienza greca, e lo sguardo ordinatore delgiurista che definisce gli spazi del lecito e dell’illecito anche se-condo un implicito imperativo che distingue fra cultura e natu-ra, è offerto dal concetto di natura – physis – †ab¤ ‘a. L’obiezio-ne che il mutazilita muoveva al giurista – come può il tuo sape-re intendersi d’amore? – poteva avere un senso fino a quandonon compare il Kitab al-zahra (Libro del fiore), primo, vero,compiuto trattato teorico sull’amore, scritto dal giurista IbnDaw)d al-Isfahan¤ (morto nel ), principale esponente dellascuola giuridica zahirita – cioè la più strettamente dipendenteda un’interpretazione letterale (z.ahir¤ ) delle fonti canoniche(Corano e tradizioni profetiche) nella loro elaborazione legale –e vittima di un amore infelice o, meglio, partecipe di una mo-dalità dell’amore che egli sente fautrice di infelicità. Il Kitab al-zahra è concepito come un’antologia poetica, ampiamente com-mentata dall’autore; fra gli ospiti d’onore del florilegio, dettoper inciso, non poteva mancare Ab) Nuwas.

Il termine physis entra nel vocabolario filosofico arabo in duefasi: all’inizio, i traduttori alle prese con versioni siriache scelgo-no di renderlo con kiyan, calco dal siriaco kiyúnú, che l’arabo ri-conduce al campo semantico della radice k-w-n: la condizionedell’essere e dell’esistere in sé . Restano poche testimonianze diquesto calco, soppiantato dal più efficace termine †ab¤ ‘a, recanteil senso etimologico di impronta, stampo, marchio, disposizioneinnata, carattere. Entrambi i termini mantengono non solo unarelazione semiotica con ciò che è per nascita, ma anche un’impli-cazione psicologica nella natura individuale di ogni essere; tutta-via, †ab¤ ‘a meglio esprime, in arabo, quella speculare particolaritàsemiotica che il concetto di natura, così denso di significati e co-sì poco determinato in sé, conserva, e conserverà, in tutte le lin-gue legate all’episteme dell’Occidente greco-latino-semitico: un

. Altra storia ha visto la resa del verbo einai con wajada e aysa; cfr. P. Thil-let, La formation du vocabulaire philosophique arabe, in D. Jacquart (éd.), La for-mation du vocabulaire scientifique et intellectuel dans le monde arabe, Brepols,Turhnout , pp. ss.

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riferimento generale all’ente che l’essere umano non è/un riferi-mento individuale all’ente che l’essere umano è . A differenza dikiyan, infatti, il senso etimologico di †ab¤ ‘a, “carattere”, “mar-chio”, permette all’indeterminato significato del concetto di con-tenere anche l’idea che tutte le cose, nascendo, si realizzano sem-pre secondo una loro caratteristica propria e immanente.

Stando a una vecchia accentuazione da parte di coloro chehanno studiato l’influenza del lessico di origine greca sull’episte-me arabo-islamica, si sarebbe portati a pensare che la scelta di†ab¤ ‘a abbia avuto un impatto rilevante solo nell’ambito dei filo-sofi e dei fisici aristotelici . In realtà, l’insieme dei concetti for-mulati originariamente in greco e ripensati dai traduttori arabi hamodificato e alimentato anche l’impostazione dei problemi dellaconoscenza da parte dei teologi (i mutakallim)n) e dei giuristi.

Il giurista Ibn Daw)d, infatti, accetta la polisemia del termi-ne †ab¤ ‘a, riconoscendo in esso la definizione calzante di una qua-lità, di un attributo dell’anima umana così come è nata, cioè cosìcome è stata creata. Egli innalza la nozione di †ab¤ ‘a a parola chia-ve della sua trattazione e articola la sua teoria dell’amore (unateoria dell’amore infelice?) intorno al nesso cognitivo fra amoree natura. È probabile che questa scelta sia stata influenzata, purse in maniera non dichiarata, anche dall’incidenza del termine (alsingolare e al plurale) nella trattazione medica dell’amore, cheguarda ad esso come a una vera e propria sindrome patogenacausata da un’alterazione dell’equilibrio delle quattro nature fi-siche del corpo; il concetto indeterminato di †ab¤ ‘a poteva con-sentire un approccio diversificato al problema dell’amore, costi-tuendo un termine comune a chiunque partisse dal dato empiri-

. Si confronti l’identico esito di questo concetto col modo in cui i latinihanno tradotto physis: cioè appunto natura, da nasci, “nascere”, “scaturire”. «Daallora, il nome “natura” è la parola fondamentale che nomina riferimenti essen-ziali dall’uomo storico occidentale all’ente che egli non è, e all’ente che egli stessoè», scriveva M. Heidegger, Segnavia, trad. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, p. (corsivi miei).

. Cfr. ad esempio L. Massignon, La Nature dans la pensée islamique, in“Eranos Jahrbuch”, , , pp. -, in particolare pp. -; G. Anawati, Laphilosophie de la nature chez les penseurs musulmans au Moyen Age, in Etudes dephilosophie musulmane, Vrin, Paris , pp. -, in particolare pp. ss.

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co (o autobiografico) della sofferenza d’amore. Nell’introduzio-ne al Kitab al-zahra, dedicato a un suo anonimo amato, IbnDaw)d immette la problematica dell’amore all’interno dell’an-nosa questione del libero arbitrio, e così scrive :

Io non dico che amore (‘ishq) sia qualcosa che sopravviene in manieraineluttabile, poiché allora dovrei ammettere di non essere io a sceglier-lo, di mia volontà. Né dico che sia io a fare in modo che amore soprav-venga, a mo’ di acquisizione a mio beneficio, perché allora sarei un bu-giardo, e negherei che esso appartenga alla mia natura (†ab‘¤ ).

Che si tratti seriamente di trarre conoscenza da ciò che è amore,e di porre quel sapere entro un metodo della cognizione, è fuordi dubbio; interprete di un’esigenza epistemologica di classifica-zione delle scienze, avvertita dal sapere giuridico e da quello lin-guistico in anticipo rispetto ad altri campi della conoscenza, e inlinea con certa trattatistica del tempo, centrata sulla definizionedei campi d’indagine di ogni singola scienza, Ibn Daw)d chiari-sce il suo oggetto d’analisi :

Ogni scienza ha la sua sfera d’indagine (hadd), che in genere viene con-divisa e accettata dagli specialisti. Essa non dovrebbe mai essere confu-sa, soprattutto dal momento che il nostro intento, con questo libro, è diparlare di ciò che è causato dalla rassomiglianza [delle anime] (mu-shakala) e determinato dall’incontro di quelle nature [reciprocamente]complementari (al †aba’¤ ‘ al-muta‘adila).

Fin dalle prime pagine dell’antologia poetica, le classiche nozio-ni di mushakala e munasaba, “somiglianza” e “affinità”, vengo-no desunte dai versi d’amore cortese che Ibn Daw)d sceglie per

. Ibn Daw)d al-Isfahan¤, Kitab al-zahra, ed. I. al-Samarra’¤, voll., Mak-tabat al-Manar, al-Urdun .

. Ivi, vol. I, p. . W. Raven, Ibn Daw)d al-Isbahan¤, cit., p. traduce«Every science has its limits», secondo me equivocando sul senso del terminehadd e forse lasciandosi sfuggire l’allineamento del giurista Ibn Daw)d a quelle ten-denze intellettuali del tempo, essenzialmente espresse dal corpo del sapere giuridi-co, che iniziavano a porsi il problema teorico della classificazione delle scienze. Cfr.M. A. S. Abdel Haleem, Early Islamic Theological and Juristic Terminology, in “Bul-letin of the School of Oriental and African Studies”, , , pp. -.

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illustrare la sua teoria; molte delle idee filosofiche che ricorrononei simposi narrati da Mas‘)d¤ e al-Daylam¤ trovano già spazioin Ibn Daw)d, con la differenza che in questo caso (che è più an-tico) esse vengono date come supporto diretto, in accordo con ildiscorso poetico arabo. Ecco così comparire immediatamente ilpasso derivato dal Simposio :

Certi filosofi sostengono che Dio abbia creato in origine anime di for-ma sferica, poi le abbia tagliate in due parti [...] E quando le due metàsi incontrano, fra loro è amore, per via di quell’antica affinità (kana bay-nahuma ‘ishq li’l-munasaba al-qad¤ma).

Se la sua fonte, come sembra, è quel compendio di detti dei“maestri di verità” greci messo a punto da Hunayn ibn Ishaq, èpur vero che Ibn Daw)d inserisce una significativa variante in-terpretativa, che immette direttamente la citazione nella dimen-sione aristocratica del pensiero cortese: là dove Hunayn scrivevache la reciproca attrazione fra le due metà varia da individuo aindividuo «a seconda dell’intensità della loro natura (‘ala qadr†aba’i‘ihim)», il giurista rettifica e scrive che essa è più forte«quanto più è raffinata la loro natura (‘ala riqqat †aba’i‘ihim)» .

Ibn Daw)d è riconosciuto come «the first of the Arabic writ-ers on love theory (whose work we have) to quote the opinions ofGreek thinkers» ; si può problematizzare questo dato, dicendoche egli è il primo autore in arabo («whose work we have») checontestualizzi excerpta di sapienza greca all’interno di un discor-so peculiare alla cultura arabo-islamica del tempo – l’amore cor-tese come forma più elevata di relazione fra i sessi – e fondato suun codice culturale autoctono come quello della poesia araba.Come dire che, pur raccogliendo il pallido riassunto di un mo-mento centrale del discorso greco sull’amore (è evidente che, nel-la breve versione in arabo del mito narrato da Aristofane, va per-duta la complessità dei significati, a partire dall’assenza dall’e-

. Ibn Daw)d al-Isfahan¤, Kitab al-zahra, cit., vol. II, p. .. Ivi, vol. I, p. ; Hunayn ibn Ishaq, Adab al-falasifa, ed. ‘A. Badaw¤,

Kuwayti City University Press, Kuwayt , p. .. Giffen, Theory of Profane Love, cit., p. ; cfr. anche Vadet, L’esprit cour-

tois en Orient, cit., pp. -. Meisami, Mas‘)d¤ on Love, cit., p. giustamentenota che «he does so as an apologist for love, not as a supporter of falsafah».

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splicita menzione dell’androginia della creatura sferica) , IbnDaw)d riconosce la compatibilità e la rassomiglianza dei due di-scorsi, fra i tanti possibili sull’amore: come se cogliesse anche lesignificazioni perdute. E infatti, alla citazione platonica segue unverso di Jam¤l (morto nel ) che allude agli amanti come a unasola, doppia anima saldata da prima della nascita (ta‘allaqa r)h¤r)haha qabla khalqina). E subito dopo, secondo un ordine sottiledi consequenzialità, egli cita alla lettera il famoso passo del Fedro:«Io non so che cosa sia amore (hawa) se non che è una mania di-vina (jun)n ilah¤ ), e che non merita né elogio né condanna» : l’a-more, dunque, come ineffabile attrazione delle nature che si so-migliano, pertiene a un ambito moralmente neutro. A dirlo, apensarlo, è un giurista; l’inferenza, che in Ibn Daw)d sembra de-linearsi in forma di domanda retorica, è quasi spontanea: l’amo-re non è, dunque, giuridicamente neutro?

Sulla stessa linea di consequenzialità, o di rassomiglianza,quando il ricorso alla sapienza greca si esaurisce nel momentostesso in cui apre uno spiraglio sull’amore come malattia , IbnDaw)d si inoltra nella riflessione sulla natura d’amore, sull’a-more come natura/marchio genetico dell’anima («perché amar-lo è la mia natura», hubb¤-hi †ab‘ li-nafs¤, dicono versi che egli at-tribuisce «a un contemporaneo», e sicuramente sono suoi) , esull’amore come effetto di un’affinità naturale (mushakala†ab¤ ‘iyya). Prendendo a riscontro passi del Corano, Ibn Daw)dsostiene che l’amore deve necessariamente essere ricambiato, al-trimenti non è amore . In questo modo, egli si avvicina semprepiù al punto in cui la sua teoria dell’amore – la teoria dell’amorcortese – spiega l’infelicità del suo amore: compare infatti unatradizione profetica “rivelata” da Ibn Daw)d, già malato di quel-la malattia d’amore che lo farà morire, al filologo Nif†awayh :

. Più precisamente, va perduto ciò che pertiene al mythos, avvertito dallamentalità logocentrica musulmana come un pensiero selvaggio.

. Ibn Daw)d al-Isfahan¤, Kitab al-zahra, cit., vol. I, p. .. Sulle fonti astrologiche e mediche greche, forse ancora dipendenti dal

compendio di Hunayn ibn Ishaq, cfr. Raven, Ibn Daw)d al-Isbahan¤, cit., pp. -.. Ibn Daw)d al-Isfahan¤, Kitab al-zahra, cit., vol. I, pp. -.. Ivi, pp. -.. Ivi, p. .

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«L’amore che nutro per chi sai mi ha ridotto in questo stato». DisseNif†awayh: «Che cosa ti impedisce di soddisfare il tuo desiderio amo-roso?». «Il desiderio d’amore ha due aspetti: il primo è lo sguardo leci-to ; il secondo è il piacere proibito. Il primo mi ha ridotto così; quan-to al secondo, mi trattiene da esso ciò che a mio padre fu trasmesso daSuwayd ibn Sa‘¤d, al quale lo trasmise ‘Al¤ ibn Mushir, da Abu Yahyaal-Qattat, da Mujahid, da Ibn ‘Abbas, a cui il Profeta disse: “Chi ama,tace e nasconde il suo amore come un segreto, ed è casto, e sopporta,costui è un martire (shah¤d)”».

Questo manifesto dell’amore cortese che equipara gli amanti chemuoiono d’amore ai martiri del jihad verrà indissolubilmente le-gato al nome di Ibn Daw)d (ed egli verrà accusato di averlo in-ventato) . Al di là di un’ottica romantica di martirio, resta il fat-to che la sua teoria, riconoscendo la portata patogena dell’amo-re, non contempla la guarigione, cioè il ricongiungimento nel-l’uno che eravamo in virtù di quell’antica affinità. Ibn Daw)d,giurista zahirita, non potrebbe giungere ad altra conclusione.

La verità etimologica , secondo natura (la natura dell’animacosì come è stata creata da Dio), deve necessariamente trovareuna sua collocazione all’interno, non all’esterno, dei confini diquella legge, di quella verità assiologica donata da Dio, apparen-temente interpretata dalla scuola zahirita nella maniera più re-strittiva, ma che invece, sviscerata secondo il suo metodo di iden-tificazione della verità, alla ricerca dell’evidenza testuale (zahir)di ciò che Dio ha dato alle sue creature, rivela inaspettate istan-ze di liberazione. Distaccandosi radicalmente da quelle accen-tuazioni di intransigenza che abitualmente accompagnano glistudi sulla scuola zahirita (o, meglio, su quel poco che ne sap-piamo, vista anche la carenza di fonti dirette), Roger Arnaldez ha

. Sull’intera problematica giuridica della liceità dello sguardo cfr. i nume-rosi passi di J. N. Bell, Love Theory in Late Hanbalite Islam, State University ofNew York Press, Albany . Ma, da un altro punto di vista, cfr. anche J. C. Bür-gel, The Lady Gazelle and Her Murderous Glance, in “Journal of Arabic Litera-ture”, , , pp. -.

. La critica all’autenticità di questa tradizione è un luogo ricorrente dellateoria giuridica dell’amore: cfr. Bell, Love Theory, cit., passim.

. Cfr. supra, nota .

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mostrato in maniera lucida e suggestiva come il rifiuto di ogni ra-gionamento analogico, la ricerca del senso normativo solo entrola cifra comprensibile del testo originario (asl, forse altro modo diintendere l’a priori che avremmo potuto essere) e la confutazio-ne di ogni dilatazione a dismisura delle condizioni lecite e illeci-te – la pratica interpretativa dei giuristi, fondata sul carattere ar-bitrario della ragione, con cui essi non fanno altro che moltipli-care e definire il numero delle obbligazioni e delle interdizioni –divengano strumenti di liberazione :

Tout le domaine des fur)‘ [la pratica giuridica], dans lequel la raison hu-maine légiférait au nom de Dieu, tout ce qui n’est pas explicitement, tex-tuellement codifié par l’entremise du Prophète, se voit libéré de touteobligation ou interdiction. Les textes révélés eux-mêmes nous autori-sent à considérer comme licite tout ce qui ne tombe pas manifestement,selon le critère zahirite, dans une des catégories connues des prescrip-tions divines. [...] Car le licite [...] c’est la région d’équilibre indifférententre l’obligatoire et l’interdit.

L’identificazione della verità data da Dio agli uomini deve quin-di essere sondata esclusivamente sui testi che Dio ha donato tra-mite il Profeta: senza dubbio, la verità deve essere evidente. Nonè la ragion d’essere della legge, ovvero la natura della legge, diper sé insondabile, e vanamente inseguita (secondo la scuola diIbn Daw)d) dai giuristi delle altre scuole, a dover essere indaga-ta; unico scopo della ragione discorsiva è quello di portare allaluce dell’evidenza la commensurabilità della parola di Dio al lin-guaggio degli uomini . Ibn Daw)d fornisce, parlando d’amo-

. R. Arnaldez, La raison et l’identification de la vérité selon Ibn Hazm deCordoue, in Mélanges Louis Massignon, vol. I, Institut Français de Damas, Damas, pp. -.

. Su questo senso della prova, evidente nella scuola zahirita, cfr. ancora ivi,pp. ss. Riconoscendo solo al Corano e alla Sunna del Profeta, in quanto prin-cipio, lo statuto supremo di fonte del diritto, e negando la validità delle innume-revoli conseguenze dedotte dalla ragione umana in analogia ai casi indicati da Dioper voce del Profeta, la scuola zahirita di fatto non ammette alcun fondamento intutte quelle obbligazioni e in tutte quelle interdizioni che non sono esplicitamen-te indicate nel testo sacro. Ciò che il Corano e la Sunna non indicano con eviden-za come obbligatorio o interdetto è lecito. Arnaldez mostra quali siano le conse-

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re, due esempi di ragionamento zahirita. La tradizione dell’a-mante-martire sarebbe sufficiente a chiarire in quali termini lalegge ordinatrice di Dio possa contemplare la liceità dell’amorecortese, cioè di un amore al di fuori del vincolo coniugale; gliamanti devono astenersi dal commettere adulterio (‘iffat al-mu-tahabbib¤n ‘an al-adnas) sulla base di ciò che si evince dalla tra-dizione pronunciata dal Profeta, ma anche in base alle consue-tudini dei popoli (‘urf kaffat al-nas), alle interdizioni di (qualsia-si) sistema legislativo (muharraman f¤ ’l-shara’i‘), e a ciò che si ri-tiene riprovevole in natura (mustaqbahan f¤ ’l-†aba’i‘) : la castitàè più saggia, perché rende durevoli gli affetti. L’altro sembra discorgerlo nel metodo con cui Ibn Daw)d lavora sul dato del con-senso degli antichi al fine di individuare la certezza comprensi-bile di un dato della conoscenza: il senso implicito (su cui lascuola zahirita indaga) dell’amore come affinità e rassomiglianzaviene dimostrato ponendo sullo stesso grado di affidabilità (sul-lo stesso grado di verità trasmessa) versioni diverse di uno stes-so costrutto portatore di conoscenza. Pertanto, quella stessa for-mazione tradizionista che accetta la validità di un had¤th mu-tawatir, cioè un detto del Profeta trasmesso da tanti suoi com-pagni in maniera indipendente l’uno dall’altro, convalida la ve-rità sull’amore sulla base dell’intrinseca congruenza fra il discor-so poetico e quello filosofico intorno alla separazione di due ani-me dalla natura complementare (al-†aba’i‘ al-muta‘adila).

La verità etimologica che Ibn Daw)d, seguendo la scuola zahi-rita, coglie nell’analisi letterale delle fonti del diritto, cioè nel suoapproccio letteralista all’evidenza della legge, è la stessa che lospinge a cercare una spiegazione “genetica”, primordiale (asl¤ )dell’amore, e a ragionare su ciò che esso è per nascita. Il drammadi Ibn Daw)d è interamente vissuto all’interno di due codici di

guenze di un simile, semplice ragionamento giuridico: il campo del lecito non de-finito dalla religione può inglobare tutte le attività umane religiosamente o giuri-dicamente indifferenti. In altre parole, ogni nuova acquisizione della civiltà e del-la storia, non menzionata dalla rivelazione, va ad arricchire il campo del lecito. Lascuola giuridica giudicata come la più intransigente sembrerebbe quindi, secon-do Arnaldez (ivi, p. ), essere stata l’unica in grado di affrancare l’islam da quelcarattere totalitario che le altre scuole tendevano a conferirgli.

. Ibn Daw)d al-Isfahan¤, Kitab al-zahra, cit., vol. I, p. .

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astrazione dal reale – quel reale che, in accordo con i comporta-menti sociali del tempo, assumeva, fra l’altro, l’omoerotismo (cosìcome gli amori adulterini) a modalità d’amore tuttavia possibile edesperibile, e che quando elabora un discorso letterario – la poesiaerotica come l’erotologia – non evoca relazioni fra i sessi, ma no-mina il rapporto fra i sessi; non teorizza l’erotismo, ma lo narra.

Da un lato, Ibn Daw)d si identifica nel codice poetico del-l’amor cortese, un codice che dall’indifferenziazione nell’orien-tamento quale risulta dai versi di Ab) Nuwas da cui esso trae ori-gine va assumendo un orientamento prevalentemente eteroses-suale, perché in esso egli può mimetizzarsi senza dover dire chiè il suo oggetto d’amore (laysa min al-z.arf imtihan al-hab¤b bi’l-wasf: l’amante cortese non deve mai descrivere l’amato), e la suainfelicità autobiografica può trovare una risposta in uno stileideale di vita galante (man kana z.ar¤f fa’l-yakun ‘af¤f: l’amantecortese deve essere casto). Indipendentemente dalle inclinazionierotiche, l’amore cortese, che è una piega, un timbro, un mar-chio, una disposizione, una natura dell’anima raffinata, è unacondizione aristocratica di infelicità.

Dall’altro lato, anche la legge, in fondo, è un codice di astra-zione. Il giurista, però, vede nella legge concessa da Dio un ta-glio con la condizione naturale: grazie alla legge, Dio strappa lesue creature all’indistinto disordine della natura; l’assoluto pri-mato che Dio ha concesso agli esseri umani (creati in coppia, se-condo due generi) prevede una separazione originaria fra natu-ra e cultura: Adamo guarda all’insieme delle cose e dà loro unnome. Il diritto non si occupa di stabilire che cosa sia conformea natura , perché esso stesso è positivamente “contro” la natu-

. Vale la pena ricordare che, in termini generali, il diritto classico musul-mano omologava l’omosessualità e l’adulterio entro un’unica categoria di tra-sgressione alla shar¤ ‘a, cioè quella dei rapporti sessuali illeciti perché al di fuoridei principi di legalità stabiliti dal vincolo matrimoniale. Curi, La cognizione del-l’amore, cit., p. , nota non manca di alludere, nel contesto del Simposio, auna controversia fra nomos e physis anche nel pensiero greco. Non è indifferen-te il fatto che il passo del mito di Aristofane giunga in arabo privo di ogni speci-ficazione sulla costituzione sessuale delle creature sferiche. Sul fronte greco, il di-lemma fra natura dell’amore e cultura della legge, cui Aristofane non può sot-trarsi, è ben descritto da Curi, ivi, p. , nota : «La netta differenza – e la po-

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ra; liberando l’umanità dallo stato di natura, la legge permetteuna disciplina delle passioni tale da redimerle, da accomodarlesecondo cultura, e guarirle. Proprio la guarigione dal male diamare secondo una mushakala †ab¤ ‘iyya (che riguarda tutti i ve-ri amanti, uomini e donne) è il punto di rottura dell’equilibrio fraciò che è compreso entro i limiti dell’obbligatorio e dell’inter-detto. La teoria dell’amore infelice di Ibn Daw)d si ferma qui,non osando inoltrarsi in una controversia fra shar¤ ‘a e †ab¤ ‘a, al-le soglie di una concezione della natura che a un moderno sguar-do occidentale può sembrare monca perché priva di quella di-mensione mitologica che possa illusoriamente spiegare la nostal-gia della metà perduta: se il pensiero selvaggio dei greci, almeno,spiegava perché la creatura sferica fosse stata tagliata in due, ilgiurista zahirita non sa darsi pace del perché, in un momento ori-ginario, Dio abbia voluto il congiungimento di due anime similie poi l’abbia negato con quel taglio, escludendolo dall’ordineperfetto della sua creazione. La ragion d’essere della legge es-sendo insondabile, resta il dato della natura umana per nascita,cioè ab origine scagliata al di qua del taglio, nell’ordine ineffabi-le e privilegiato che Dio ha concesso alla sua creatura più subli-me: da quella stessa sublimità, da quello stesso privilegio geneti-co deve per forza dipendere anche quella mushakala †ab¤ ‘iyya,affinità di natura e per natura, che ingenera amore. Per IbnDaw)d, la legge del giurista, che ha in odio il pensiero selvaggio

tenziale contrapposizione – fra la dimensione “naturale” e quella “culturale” [...]è implicita in quanto lo stesso Aristofane afferma a proposito dell’androgynon,distinguendo fra l’eidos originario, non dissimile e altrettanto “conforme a natu-ra”, rispetto a quello del maschio e della femmina, e l’onoma, unica sopravvi-venza residua del “terzo sesso” – che oggi “s’ha ad infamia” (oneidos). Come phy-sis, l’androgino è dunque del tutto legittimo, mentre, ridotto a semplice onoma,esso è diventato qualcosa di disonorevole». Sul fronte arabo-islamico, l’assenzadi ogni menzione dell’androgino “semplifica” l’utilizzazione della citazione; ve-dendo in quel taglio una condizione universale, che non produce di per sé alcunesito “contro natura”, ma è solo una spiegazione della natura dell’amore, l’ac-cento è posto sull’attrazione tout court, non sul genere verso cui si è attratti. Ciòpermette a Ibn Daw)d di evitare da un lato l’insostenibilità giuridica della suateoria, dall’altro di mantenere vivo un discorso generale, ma sicuramente allusi-vo, sull’amore, che si ferma alla sostanziale inguaribilità del male d’amore, cioèall’impossibilità dei corpi di congiungersi secondo la natura dell’anima, imper-fetti a riprodurre l’“antica affinità”.

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del mito, consola l’infelicità dell’amante, liberandolo dalla no-stalgia di una natura disunita; il codice dell’amore cortese, checelebra l’assenza dell’amato strappato ab origine da sé, proteggela solitudine del giurista, liberandolo dal sospetto di una sua in-commensurabilità all’amore fra gli uomini e le donne.

* * *

«Non è possibile che ogni morto d’amore sia un martire, perchéa ben guardare [la maggior parte di costoro] amava di un amoredegno di biasimo». Così scrive Ibn Qayyim al-Jawziyya (mortonel ), autore col quale la teoria giuridica dell’amore, postasotto il segno della critica all’amor cortese, raggiunge uno degliesiti più importanti; il commento giunge a conclusione del pas-so della Raw[at al-muhibb¤n (Il giardino degli innamorati) in cuiil giurista damasceno dimostra l’apocrificità della tradizione suimartiri d’amore .

Ibn Qayyim al-Jawziyya passa in rassegna le note idee dell’a-more come fusione delle anime che si riconoscono in virtù diun’affinità reciproca, ma osserva che, nonostante tutte le asser-zioni sull’ineluttabilità della reciprocità in presenza di amore, larealtà dimostra esattamente il contrario . Tale critica passa pro-prio attraverso il riferimento al mito della creatura sferica, di cuiIbn Daw)d al-Isfahan¤ è considerato un sostenitore convinto:Ibn Qayyim al-Jawziyya ricorda che c’è disaccordo fra le opinio-ni relative al desiderio d’amore causato da una separazione ori-ginaria e condivide la critica rivolta da Ibn Hazm (anch’egli giu-rista della scuola zahirita andalusa), nel suo Collare della colom-ba, al frammento di sapienza greca «cui si riferisce Ibn Daw)d».Secondo Ibn Hazm, così come lo cita Ibn Qayyim al-Jawziyya,l’amore è fondamentalmente unione fra le parti delle anime (chesono state) divise, in questa creazione, all’origine della loro spe-

. Ibn Qayyim al-Jawziyya, Raw[at al-muhibb¤n wa-nuzhat al-mushtaq¤n,s.e., Aleppo s.d., pp. -. In generale, cfr. ancora Bell, Love Theory, cit.

. Al-waqi‘ yashhadu bi’l-khilaf: Ibn Qayyim al-Jawziyya, Raw[at al-muhibb¤n, cit., p. . È in questo contesto che la linea possibilista di Ibn Qayyimal-Jawziyya conduce a respingere l’affermazione apodittica di Ibn Daw)d secondocui l’amore non ricambiato non è veramente amore.

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cie . Il termine “unione” (ittihad) è del tutto assente dalla pro-spettiva di Ibn Daw)d (come, del resto, da quella della poesiad’amore che costituisce la sua fonte); è interessante, poi, l’inser-zione in Ibn Hazm del termine khalqa come sinonimo di †ab¤ ‘a eil rinvio costante a un tratto genetico dell’anima umana, non in-dividuale ma universale, mediante il termine ‘unsur (“specie”).

La teoria giuridica dell’amore, invece, essendo una teoria del-l’amore felice (in quanto portatore di ordine sociale), è tutta ri-volta alle possibilità di guarigione: eros veramente può ricucirelo strappo (ammesso che vi sia stato). Ibn Qayyim al-Jawziyya,che è medico oltre che giurista (secondo una formazione intel-lettuale tipica dal XII secolo in poi), è esplicito; criticando i pun-ti deboli della teoria di Ibn Daw)d, egli scrive ad esempio: «noisappiamo che il segreto della fusione e della differenziazione frale creature è l’unione e la separazione. Il simile da sempre attirail proprio simile» . Interessato per formazione al dato medicosui malesseri provocati dall’amore, Ibn Qayyim al-Jawziyyaespone la terapeutica delle passioni a partire dal concetto con-creto dell’unione fra gli amanti – unico modo di ristabilire inunità quell’affinità avvertita da chi ama –, la quale può realizzar-si soltanto grazie al coito, con tutti i benefici che esso apporta al-la mente e allo spirito . Infatti, i corpi degli amanti sono spintia riprodurre quell’affinità e quella rassomiglianza delle anime:l’imtizaj, la fusione che ristabilisce l’antica affinità dell’anima, ècompiuta grazie al coito dei corpi . La cura degli amanti consi-ste nel wisal, nell’unione dei corpi, ma ovviamente nell’ambitodi ciò che Dio ha reso lecito. Si insinua così, nella teoria del-l’amore hanbalita, contro la natura disgregante e perniciosa del-l’amor cortese, la salubre felicità dell’amore coniugale.

. Ibid.: ‘Ishq ittihad bayn ajza’ al-nuf)s al-maqs)ma f¤ hadhihi’l-khalqa f¤ asl‘unsuriha.

. Ivi, pp. -.. Ivi, pp. ss. e ss. . Ivi, p. .. Ivi, p. . Desidero ringraziare Samuela Pagani: queste rapide osserva-

zioni sulla teoria giuridica dell’amore sono solo un pallido riflesso delle nostreconversazioni nell’estate damascena del .

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Trentaquattro versioni da Ab) Nuwas

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I

II

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I

Riconosco nel buio una lunase al buio ti bacio:bastasse baciarti a eclissare l’aurora.Se solo la veglia disvela una luna che dorme,ch’io muoia d’insonnia,e nel sonno ti bacio.Luna di seta pungentedi morbida ruvida setaintessuta a vestirti.Invidio chi copri di baci,chi scopre il segreto vestitodei tuoi pantaloni di seta.

II

Gota che taglia la notte ricciutacome lampo di luna piena.Dita di scriba sul volto col calamotracciano segni di muschio.

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III

IV

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III

Tu che privi del bacio la guanciadopo averla già offerta:temi forse che agli occhi di chi ti possiedesia evidente quel segno sul viso, e lo legga?Se davvero si dà calligrafica prova,si dovrà cancellare ogni bacio scambiato,lasciare al suo posto impalpabile improntavisibile solo a chi sa celebrarla.Altrimenti dovremo raschiare per sempre quel bacioe il suo segno funesto;che importa, se a me poi resterebbe la famadi un’effimera impresa:la conquista della tua gota.

IV

Tu che cancelli il mio baciohai timore che addosso ti leggano lettererese motivo di scherno?Ahi, gazzella, su cui resta impressoe si vede! –il graffito di un bacio...Guardate come si asciuga le labbra:le crede lavagne coperte di scritte.Ma è scrittura che resta, scritta per sempree lui la cancella!

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V

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V

Scrivano di prima mattina al lavoro, mi offendi:chi più di me se ne intende, di calligrafia?Tu, non contento di mettere i punti,vocalizzi persino e i verbi e i pronomi.Hai paura nel farlo di erronee letture,o di me non ti fidi se leggo?Se pure smembrassi ogni lettera, io capireidal vuoto che unisce ogni piede del verso.Hai voluto spiegarmi per filo e per segno,ma so leggere, io:il tuo tratto è perfetto, e non so replicare.

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VI

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VI

Risparmia dunque il biasimo, che suona come invito,e curami piuttosto con vera medicina:dorato è il fiele ambito che scansa ogni mestizia,che a spargerla sui sassi dà gioia anche alla pietra,servito dalle grazie di donna in maschia guisa –due amanti la contendono: di certo il donnaiolo,senz’altro il sodomita.Turgido s’alza il bricco, fuori la notte avanzama il volto suo è di perla, e abbaglia la taverna.Dal labbro di caraffa purezza somministra,infonde al solo sguardo ebbrezza e sonnolenza.Gentile è anche con l’acqua, e l’acqua s’insuperbisce;se al vino denso poi mescoli lucesi fondono l’un l’altro, e fusi insieme generanobagliori e nuove luci.Ma a chi va sostenendo sapere di filosofodi’ che di ciò che sa spesso perde memoria;non vada a negar mercede, se ha zelo di credente,perché troppo rigore è offesa alla religione.

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VII

VIII

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VII

Per te ho ormai esaurito figure e attributiche sappiano dar voce al mio patire.Sconvolti sono i limiti del dire,ma tu non te ne curi, nulla che a te significhi.Enumero quei tropi del soffrireche invano scartabello a uno a uno.Allora affido il cuore al tuo confortotrovando in te segreta vicinanza.Potrei volgermi pure a orecchio umanoche sappia un po’ lenire il mio pensare,ma preferisco il duro della pietrache il pianto non consola, ma lo tempra.Da te, gazzella, piangi oppure ridi,dipendono, del mondo, la tenebra e la luce.

VIII

Il volto di Hamdan – Dio ve ne scampi –è un libro manicheo.Dev’esserci qualcosa, così si dice in giro,che fa dannare il cuore.Se appena osi guardarlo, hai condannato l’animaa eterna perdizione.Poi basta che sorrida, e il riso si fa lampo:è folgore che acceca.

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IX

X

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IX

Mi è dolce bere all’ombra di un velario,ma ancor più dolce è bere se sto accantoal nero angelicale degli occhi di un’ebrea,lunare, notturna viaggiatrice.Ti versa vino, e tenera è la manodi tenero midollo screziato della palma,fin quando lentamente ti pervadetirannica, dispotica, l’ebbrezza.

X

Se tu fossi, censore, di Durr innamorato,che cosa chiederesti?Medesima virtù sapresti ritrovarein chi non cinge il panno dell’altra religione?Io a Durr non farei questua che di un bacio.Un bacio in cui ravvedo redenzione:se solo lei volesse, così sarei salvato.Fonderei la mia fede alla fede dei greci,come l’acqua si scioglie in liturgico vino.Non voglio, censore, per lei cambiar fede:faremmo semmai di due religioni una sola.

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XI

XII

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XI

Ho visto giù a Baghdad una bizantina:soltanto fedeltà le fa difetto,lo sguardo ha delle donne di palazzo,di Siria è il suo monastico distacco,di negra ha la fragranza,le gambe ha di Sogdiana, le braccia sono turche,tokhara è la statura,indiano è il sopracciglio,le cosce ha da nubiana.Superbia ha avuto in dote dai Lakhmìdi,da Hira proviene la bellezza,e iranico è il gluteo tondo e sodo.

XII

Dammi vino, coppiere, di vino dissetami:non senti il clangore dell’aurora?L’esercito notturno retrocede,illumina l’alba la sua fuga.Placami la sete mattutinacol puro cristallo della coppa,dai puri riflessi adamantini,lampada al labbro di chi beve.Di identica natura cristallinaè il dardo che mi lancia la tua manodi copto, la cui fede è rivestitadi un panno che ricorda antichi arcieri.Da frecce di cristallo è aperto il giornoed ebbri a chi ci giudica diremo:«Non frangete il turcasso del coppiere».

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XIII

XIV

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XIII

Gioia di vivere, di rossa castità lo fai tacere:eppure ogni suo dire è segno e vaticinio.Quando lo guardo negli occhi color rameserra le ciglia, come setaccio che monda della crusca il grano.Osai sfiorarlo con la mano, dissi:«Attento, signore dei conviti e dei simposi,se nel bere ardisse venir meno il mio timore,e un sorso elevasse all’empireo chi lo versa».Mentre l’alba respingeva il fronte della notte,la voce assottigliata dall’ebbrezza, lui rispose:«Capisco quel che intendi». E l’unica rispostafu a immagine del vino.

XIV

Mi dà da bere, all’ora in cui l’alba d’avorioil nero dei nottambuli dissipa.Riempie una coppa, e dopo un’altra ancora,gazzella nei cui occhi il bianco chiudenegra iridescenza di pupilla.Le dita serra come argentea morsa,è argento che soltanto tinta d’hennaè in grado di arrossire.Così mi appare bella, se l’abitole spalle casto vela,se annoda la cintura,la tunica sui fianchi va stringendo.Così cinge il suo ventre,così restringe i fianchi,nel vivere che lento si dilatae lei, sottile si allontana.

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XV

XVI

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XV

C’è un cerbiatto sulla soglia dell’aurorasul broccato delle guance ha come acqua:è acqua che sgorga dalla giara, e inebria chi la guarda.È acqua che sussurra, sa catturare il cuore.Tortura chiunque voglia,sa fare gli occhi queruli,e quel che brama ottiene.

XVI

La lingua dell’amore pronuncia solo lacrime,e castità è un segreto che lontananza svela.Ma lacrime che pure distendono altri veliinfrangono il segreto di chi tacendo t’ama.

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XVII

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XVII

Gazzella bianca, che a caccia vai armatadi angelici occhi neri,di un sopracciglio scritto per sovrastare l’occhio,di palpebre, che dico, di luccicante argento,di guance su cui splende, di verde paradiso,peluria – altrui vergogna –ma a te perlacea veste luminosa.La gente che ti è attorno, signore, mi disprezza,nel separarci gode a sputar fuoco,ma è un fuoco che le viscere divorae mai chiede altra acqua che lo estinguache non sia il miele ambito del tuo labbroche cura la mia febbre e il mio malanno.Guariscimi la sete che mi brucia,estingui questo incendio con un bacioche doni refrigerio alla mia bocca.Domani sarò morto per amore:di notte e poi di giorno mi consuma,di giorno nel pensiero, nei sogni quando è notte.Chi scettico mi ascolta ragionareper ora sappia questo del mio stato:il mio corpo d’amore è logorato,curarlo può soltanto ciò che ammala.

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XVIII

XIX

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XVIII

Come se il volto suo fosse una coppanell’attimo in cui al labbro si avvicina:Coppa nel cui cristallo luna splende,o lampada che oscilla.Brandisce poi le armi dell’amore,protervo si fa scudo di bellezza.Ti guarda, e il dardo scocca,sorride, ed è una spada:il sopracciglio è l’arco, le frecce son pupille,e già l’acuto dardo dei suoi riccia morte ti trafigge.

XIX

O gioia che giungi con la festa,promessa d’amato ti ha resa perfetta.L’amore mio è arrivato, nascosto a occhi altrui,dopo che un giorno intero l’ho aspettato.Dal pulpito al califfo si auguravafortuna e lunga vita, e a megiurava lunga vita il vino, e il liuto.Per noi la coppa faceva da moschea,il dono della vite devoti immolavamo.Divenne per me pulpito la schiena d’un cerbiatto,sermone si fecero i liuti, meglio persino di luce su luce.Lontani dalla gente, due volte quella festanoi due festeggiavamo.

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XX

XXI

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XX

Nudo di stoffe imperfette nel volto:così avanza al mattino, schiavovestito di sola seduzione.Solitaria bellezza, la sua, sembra dire:di questa sostanza è la Terra,da questa delizia procedo.Dio demiurgo di lune creò teallorché il primo quarto fu fatto,ma ha limato nel taglio il profilo di falce.Ora trema, la luna, al confronto.E trema la falce, diviene virgultocontro turgida duna eretta dal vento.

XXI

Stregone è il tuo sguardo, collare di perle il sorriso,la pazienza si arrende, dichiara disfatta,azzardato io oso, e mi svelo,scoprendo bellezza là dove è avventura.Se pure la gente censura e mi sbrana,il tuo volto mi basta a concedermi venia.Per me è eterno quel tempo che a te vale un’ora.

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XXII

XXIII

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XXII

La luna riflette il tuo splendore,e osserva il plenilunio chi ti vede.Tronfia di bellezza, riverbera la lunabeltà che le è concesso di imitare.Se l’ira, tua virtù, sa farsi leggiadria,riscatto, se vorrai, è la mia vita.Lunare somiglianza, a stentopazienza mi sostiene nell’amarti.

XXIII

Se tu me lo consenti, sarò per te riscattoin cambio del saluto che concedi.Puoi sottoporre al giudice il mio caso,nel dubbio se sia lecito o proibito.Sarà un giurista a dirti che son morto:luna assassina, resterai impunita.

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XXIV

XXV

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XXIV

Fragrante gioventù trabocca ambitadall’umida tua guancia di barba primiziale.Bellezza ora è diffusa sul volto come erba,ma spessa il tempo rende al tocco della mano.Persino il succo raro dell’uva più preziosadopo il piacere volge all’aspro dell’aceto.

XXV

Attento, compagno mio: Giuseppe va versandovino che fa tremaredi dolce, emaciato vacillare.Consuma, questo vino, il corpo miod’un male che lentamente scavacome luna che in pienezza segnila prima metà del digiuno.Se cedono gli occhi a un sonno di pietra,a decadi accoglilo, fino a mese compiuto.

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XXVI

XXVII

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XXVI

Basta appena uno sguardo a svelarmial cospetto di chi dallo sguardo rifuggo.Non sa mantenere, lo sguardo,celata passione d’amante.Anzi sa dimostrare che gli occhid’amore hanno pianto.Se ti guardo – e il mio occhio null’altro contiene –apprendo dall’anima miaciò che a me pure è occulto.

XXVII

Riccio scorpione, la guancia vestitadi tela di seta fiorita,gemma a cui l’anima sfiorala pelle, e respira.Non avere a temere se a vivere,avversa, la vita ti chiama.Hai chiusa l’anima in un corpo di luce:ma insieme si fondono in nuvola,e il vento ti muove.

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XXVIII

XXIX

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XXVIII

Tu badi solo al dire mio più turpe,perché gli occhi, tu, li usi per stregare.Se a dire brace il labbro si incendiasse,creeresti il fuoco addosso chiamandolo per nome.

XXIX

Amore mi sbeffeggia, e dopo mi compiange,mi spinge allo scoperto il desiderio.Paradisiaco nero di pupillastagliato contro albina cornea,sembra di latte il braccio,polso da falconiera,è donna di palazzocreata a perfezione in paradiso.Capelli ben legatiper farsi mascolina,soddisfa il puttaniere e il sodomita.La sua bellezza accosto a quelle perleche affioran dalla mano del vinaio,ad ambra miscelata con il muschio, a mazzi di basilico pregiato.

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XXX

M’inebriano i conviti d’amore d’un persiano,stirpe di sacerdoti, Bihruz il Magio.Nulla che intacchi e macchi cotanta sua purezza:non è come il cristiano, che alle orge degli scapolidi notte si dà al prete;né come l’israelita, che prima circoncide,poi lecca la ferita mischiando al sangue il vino. Nobile come pochi, di stirpe e di natura,ha rinunciato così come convienea Hir e a La’is, e ad altre donne ancora.Tra quelli che sulle libagionisussurrano parole misteriose e sacre,è lui che dolce l’anima mia tormenta.Cinto di zunnar, guardate come posa gli occhi curiosi,come ferisce chi complice lo guarda:anima preziosa, che nella tunica fiorisce,antilope gentile cui il vino illanguidisce gli occhi.Reclamavo la sua veste, pazzo d’amore,quel giovedì che c’incontrammo.Gli dissi, colto da folle paura:«Sii felice con me, talmente poco è il tempo d’amarti.Fallo, ti prego, per le sfere celesti, per Venere e Mercurio,per la luna, per il sole al culmine del giorno,per il fuoco vorace, fuoco solare che buio e luce separa,lume di cielo, Empireo prezioso dove gli angeli han dimora.Per i santi ramoscelli che consacranoi suoni mormorati dai custodi del fuoco di Astanùs.Per l’invito regale alla mensa sublime,per la coppa rotonda, la coppa di vino invecchiato.Per l’avvento dell’anno e dell’inverno,e i giorni benedetti di nuova primavera,per l’inizio dell’anno bisestile.Per le arene ove combattono le belve,pei cavalli dei sigilli in ceralacca.Per quello che si dice sia scritto nell’Avesta,per i segni segreti che rivelò Zoroastro, nunzio dei Magi,nel libro a te sacro,per le antiche storie di Sharvìn, e Dastabì, di Ramìn e Vis.Ma tu taci, non mi rispondi ancora;è tempo di iniziare, ma tu sei freddo e per di più mi sdegni».«Vattene via, reietto», così lui mi rispose. «Supplichi forsechi sai che può dire soltanto “non toccarmi”?».

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XXXI

Dimmi sì:pel battesimo e la fonte,per il diacono e il metropolita,per i santi Giovanni e Simeone,per san Sergio e per Gesù,per il monaco che officiaper Natale e i re magi,pel digiuno di Quaresima,e il perdono dei peccati,per la vergine Maria, per la Pasquae per l’ostia, e il santo vino,per le croci come lance, come lampi,sfavillanti in processione, per il tuo pellegrinaggiofino all’eremo di Fiq.Per l’altare della chiesa, per il Dio misericorde,per i dolci chierichetti,prostrati a un Dio lontano,pei batacchi e i campanili,per i salmi e l’offertorio,per la Madre e per il Figlio,per il vescovo zelante,che converte al vero credo,per i frati e gli eremiti,sui pinnacoli in preghiera.Pel Vangelo, per le palme,per la Bibbia e le letture,per la croce e per la cintache distingue la tua fede.Per la lieve tua clemenzache non coglie redenzioni,che disdegna la mia penadentro il fuoco, nella sete:che ne è della tua fedese non vedi in me Passione?Tu, gingillo dei conventi,così altero ma insolente,quanti amanti musulmaniavrai fatto già abiurare?

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XXXIII

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XXXII

Il corpo mio è preda di un malore che a brani lo dilania.Il cuore poi è consunto da un fuoco che divampa.Innamorato sono d’un amato che solo a dirne il nomele lacrime dagli occhi mi sgorgano a ruscelli.La luna è il suo sembiante, il sole la sua fronte;alla gazzella ha preso e gli occhi e i fianchi.Vestito col panno che cingono i cristiani, a messa se ne va: dice che il Figlio è Dio, e il crocifisso adora.Fossi io il metropolita della Chiesa – no,fossi io per lui Vangelo e Bibbia –che dico, fossi io l’eucaristia che gli vien porta,o il calice da cui sorseggia il vino. Così congiunto in comunione, redento guarireinell’anima e nel corpo.

XXXIII

Vedo le cose del mondo che, logore, cambiano.E io che logoro t’amo d’un amore mai logoro.

XXXIV

Dimmi che è Vino, quel vino che versi:non toglie mai sete un segretose non lo riveli.Il nome preciso di Amore voglio sentire:l’enigma è perfetto soltantose dietro si staglia altro velo.

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Note ai versi

I. DS, p. .Se solo la veglia disvela una luna che dorme (law kana f¤ ’l-yaqz.ati ta’w¤luhu:

letteralmente: «se solo nella veglia avvenisse il suo svelamento»). La parola chia-ve di questo passaggio – tipico del ricorso del poeta al linguaggio religioso peroperare un ribaltamento di valori – è ta’w¤l. Il termine, denso di significati, indi-ca l’ermeneutica del Corano, che per molte correnti di pensiero religioso e filo-sofico islamico (dalla mistica allo sciismo ismailita) è volta a sondare il senso al-legorico, profondo, simbolico contenuto nell’enunciazione letterale del testo sa-cro. Se la rivelazione è tanz¤l, “discesa” della parola letterale di Dio, il ta’w¤l, let-teralmente “riportare al significato primo”, è una risalita, di cui non sfuggano an-che le implicazioni neoplatoniche, del significante al segno emanatore di signifi-cati. Se la ricezione del significato letterale – qui la luna, segno corporeo dell’a-mato – è apprendimento diurno, manifestazione portatrice di enigmi, l’erme-neutica che coglie nella luna un’ipostasi della bellezza dell’amato è riconosci-mento nel buio, frammento di un linguaggio notturno che esorcizza l’alba. Siconfrontino questi versi con un altro, tipico del procedimento “corpo amato >significato che dà accesso alla comprensione del segno riposto nel significante >luna”, spesso messo in atto dal poeta: «“In me vedi una luna?”, mi dice. “Se pu-re non sei luna”, rispondo, “ne sei comunque il senso”» (DS, p. ).

Luna di seta pungente [...] tessuta a vestirti (ya qamaran ka’l-khazz f¤ ’l-laynihi[...] tashhadu bi’l-layn sarab¤luhu): letteralmente «o luna, come la seta nel suo esse-re morbida e pungente, la sua veste ne è testimone con la sua morbidezza pun-gente». Solo chi veglia può svelare la vera essenza di una luna che dorme. Chi sa ri-conoscere la luna, anche a costo di vegliare, saprà che la vera luna ha una natura diseta, il cui attributo fondamentale è espresso da una parola – layn – dai due signi-ficati opposti (una radice che contiene un senso e il suo contrario è un fenomenofrequente in arabo), intorno al quale ruota tutta l’operazione del ta’w¤l. La testi-monianza della veste è allusione alla testimonianza diretta, oculare, con cui il mu-sulmano constata la comparsa in cielo della luna nuova, che segna la fine del mesedi digiuno. Di seta, morbida e pungente, sono fatti vestiti, e corpi: sta al vero aman-te scoprire qual è la vera seta, di cui l’altra è solo allusione e manifestazione. È quel-la dell’abito, copertura preziosa, o quella della luna, che si allunga sotto un paio dicalzoni di seta? Felice è chi sa riconoscere la seta che veste da quella vestita.

II. DS, p. .I versi sono un esempio della celebrazione della prima barba sul volto del-

l’amato. Il portato iconografico, e iconologico, della scrittura è qui evidente nelmomento in cui il ritratto dell’amato coincide con un atto di scrittura creativa; ilpoeta, come uno scriba, disegna – evocandola col paragone del muschio – la pe-luria che adorna la luna del volto, circondata dalla notte della capigliatura.

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III. DS, pp. -.Qui, e nella poesia che segue, ricorre il motivo della scrittura di un bacio. Il

bacio, benché rubato, si imprime sulla guancia di chi lo riceve in maniera inde-lebile. La poetica del kha††, del marchio calligrafico che segna, e rinomina lo sta-tuto dell’amato perché lo rende visibile, avrà grande fortuna nello sviluppo del-la successiva poesia in neopersiano.

IV. DS, p. .V. DS, pp. -.In questi versi, il motivo del bacio calligrafico è rovesciato. Non è più omaggio

all’amato, ma segno di rivincita del poeta insultato. L’occasione dei versi ci è illu-strata dalle glosse di Hamza al-Isfahan¤: «A chi gli chiese il motivo di questi versi, ilpoeta rispose: “Un tipo di cui mi ero invaghito un giorno mi insultò, chiamandomi‘figlio di puttana!’, scandendo a una a una le consonanti [letteralmente: ya ibn al-zaniyya bi-i‘jam al-zay wa’l-n)n wa’l-ya’]. Così replicai scrivendogli questi versi”».Allo scriba che si intende delle regole ortografiche, il poeta ha stampato, e glielo ri-corda, in volto il segno calligrafico del bacio, che diventa così marchio d’infamia.

VI. DW, pp. -.Di questa celebre invettiva si è dato ampio commento nell’Introduzione.VII. DS, pp. -.Il fallimento del lavoro poetico, rappresentato dall’insufficienza del lin-

guaggio («i limiti del dire», afaq al-kalam – alla lettera, «gli orizzonti del discor-so» amoroso) e delle figure retoriche e stilistiche che costituiscono il repertoriocanonico a disposizione del poeta per la celebrazione della figura amata, qui di-venta motivo poetico esso stesso.

VIII. DF, pp. -.Altro esempio, piuttosto inquietante (perché richiama per molti versi la pro-

blematica questione delle immagini nell’islam), del rapporto fra scrittura e ri-tratto dell’amato. Nel periodo in cui viveva il poeta, segnato da un intenso con-fronto polemistico con le dottrine dualiste e manichee, i testi manichei erano fa-mosi per la straordinaria bellezza delle illustrazioni che li impreziosivano. Del fa-scino esercitato da queste miniature ci parla ad esempio al-Jahiz., Kitab al-hayawan, ed. ‘A. M. Har)n, al-Halab¤, Cairo -, vol. I, pp. -. Dal puntodi vista formale, qui il predicato nominale è dispositivo di superamento della si-militudine: il volto di Hamdan non è bello come un libro manicheo; è un libromanicheo. Probabilmente, l’evocazione della bellezza e del fascino pericoloso èlegata alla fittiva assunzione, da parte del poeta, delle dottrine di cui quel volto(quel libro), di cui è innamorato, è veicolo.

IX. DF, p. .Nero angelicale: così traduco hawra’, che letteralmente indica l’effetto cro-

matico – assurto a topos nella lirica amorosa abunuwasiana – dello stacco fra ilbianco della cornea e il nero della pupilla. La bellezza a cui si rende tributo è av-vertita come qualità angelica poiché alla stessa radice della parola appartiene iltermine coranico h)r¤, simbolo della femminile bellezza del paradiso.

X. DF, p. .Sarebbe un errore leggere i versi in una prospettiva, peraltro anacronistica,

di ecumenismo interreligioso, sul modello dei famosissimi versi del grande mi-stico andaluso Ibn ‘Arab¤ (tratti da G. Scarcia, a cura di, Poesia dell’Islam, Selle-rio, Palermo , p. ): «Il mio cuore è capace di accogliere tutte le forme: /è prato ove gazzella bruca, / monastero ove il monaco prega. / Per ogni idolo è

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tempio, per il pellegrino è la Ka’ba, / è tavola della Torah, è il libro del Corano. /Io professo la religione dell’amore / [...] Perché amore è la mia religione, mia uni-ca fede». Piuttosto, ciò che sembra interessante, all’interno di una precisa poeti-ca dell’amore in cui oggetto d’amore è l’Altro per eccellenza, e in cui l’alterità èrappresentata mediante l’altrui religione, è il lessico, e le dottrine ad esso legate,che troviamo per la prima volta (in versi come questi) stabilito a definire un par-ticolare discorso sull’amore; è il lessico che ritroviamo nel neoplatonismo di fon-do che informa il discorso filosofico sull’amore, e di cui fra il IX e il X secolo l’O-riente musulmano vedrà la massima fioritura.

XI. DF, p. .Un omaggio alla natura cosmopolita di Baghdad? Sembrerebbe di leggere,

in questa bellezza femminile che assembla tutte le diverse qualità fisiche geogra-ficamente distribuite, una sorta di mappa dell’impero. Vi è sicuramente un ri-chiamo al genere letterario, allora molto in voga, dedicato ai difetti e alle virtù,fisiche e morali, dei diversi popoli.

XII. DW, p. .Nell’Introduzione si è già visto il doppio livello su cui i versi si articolano,

fondato sulla stupefacente semplicità di una parola, qadh (“coppa”), che al plu-rale (aqdah) significa anche “frecce”: il motivo classico, pre-islamico, dell’arcie-re che tira le frecce del gioco d’azzardo (proibito) del maysir, emerge dal conte-sto anticlassico, urbano, della taverna, dove il doppio dell’arciere è il coppiereche tende la coppa di vino (anch’esso proibito).

XIII. DF, p. .Tipica scena in cui la taverna, luogo di simposi d’amore, nel sistema di anti-

valori che la poetica abunuwasiana del vino mette in atto, assurge a simbolo delparadiso. Vale la pena ricordare che il paradiso coranico, nella lettura mistica efilosofica, è un luogo altamente suscettibile di una lettura neoplatonica, in cui ilpiacere dell’atto sessuale è cifra simbolica, sottolineata dall’eterna verginità del-le h)r¤, di una raggiunta immortalità proprio perché eternamente emancipatodalla procreazione. Ulteriore simbolo di immortalità paradisiaca, diretta ereditàdell’immagine classica e tardo-antica di Ganimede, è la figura del coppiere. Sul-la poetica del vino, si veda P. F. Kennedy, The Wine Song in Classical Arabic Po-etry: Ab) Nuwas and the Literary Tradition, Clarendon Press, Oxford .

XIV. DF, p. .Gazzella nei cui occhi il bianco chiude / negra iridescenza di pupilla: anche qui,

a indicare il contrasto fascinoso fra il nero della pupilla e il bianco della cornea, èl’aggettivo hawra’. Qui il coppiere è donna. Interessante, per un’analisi di genere,che il canone descrittivo della bellezza non contempli mai alcuna differenza tra ilmaschile e il femminile. Si direbbe anzi che la maggior parte della poesia d’amoredella scuola di Ab) Nuwas insegua un ideale di bellezza androgina, che corri-spondeva a una moda in voga a quei tempi a Baghdad, molto celebrata e nota neitesti letterari, che ne danno frequenti attestazioni: la moda della mar’a ghulamiyya,cioè delle ragazze vestite in foggia maschile; alcune fonti, poetiche e letterarie, par-lano persino di un taglio di capelli “alla maschietta” (cfr. H. Zayyat, al-Mar’a al-ghu-lamiyya f¤’l-islam, in “al-Mashriq”, , , pp. -). Dall’altra parte, il fenome-no del travestitismo maschile risulta ancora più attestato. Particolarmente famoso,ai tempi di Ab) Nuwas, era ‘Abbada (morto nell’ circa) – «una delle personepiù sopraffine e amabili del tempo», così lo introduce ai suoi lettori al-Shabusht¤nel suo Kitab al-diyarat, ed. K. ‘Awwad, Maktaba al-Muthanna, Baghdad ,

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pp. ss. –, che passò la sua vita indisturbato, en travesti, presso la corte califfale,dove divenne l’inseparabile confidente della califfa madre Zubayda.

XV. DF, p. .XVI. DS, p. .Il tema dello “schiavo d’amore” è qui trattato secondo il motivo, assai fre-

quentato da Ab) Nuwas e dalla sua scuola, delle lacrime rivelatrici, con il loroinequivocabile linguaggio, che svelano pubblicamente la condizione asservita edisperata dell’amante.

XVII. DAW, pp. -.In questi versi, ancora dedicati al tema dello “schiavo d’amore”, compaiono

diversi motivi: l’immagine della guerra d’amore, in cui l’amato appare armatodelle micidiali armi – sostanzialmente il sopracciglio, con il quale lancia le frec-ce dello sguardo; di conseguenza, qui appena accennato, viene introdotto il mo-tivo dello sguardo che uccide. Fulcro dei versi, però, è il magniloquente omag-gio a un topos classico, quello del paradosso dell’amore come malattia mortalepeggiorata dalla sola medicina con cui l’amante può curarsi.

XVIII. DS, p. .La figura retorica che, secondo la critica – stando alle glosse di Hamza al-

Isfahan¤ –, qui viene realizzata con particolare successo è il paragone (taqs¤m); ilcuratore del canzoniere del poeta registra infatti alcune fra le imitazioni di que-sta felice costruzione abunuwasiana (il potere inebriante e intossicante del vinoche connette il mistero della coppa al mistero della bellezza di un volto amato),ad opera di grandi poeti: fra questi Ab) Tammam (morto nell’) e Ibn al-Mu‘tazz (morto nel ).

XIX. DS, pp. -.Qui la strategia dei valori rovesciati si fa più esplicita; i riti della festa reli-

giosa vengono celebrati in maniera dissacratoria.Sermone si fecero i liuti: letteralmente «meglio di liuto su liuto» (ahsan min

‘)d ‘ala ‘)d); si tratta di una cripto-citazione coranica, che riprende e modifica ilfamoso versetto della luce (Cor. XXIV, ): «e si rassomiglia la sua luce a una nic-chia, in cui è una lampada, e la lampada è in un cristallo, e il cristallo è come unastella lucente, e arde la lampada dell’olio di un albero benedetto, un olivo néorientale né occidentale, il cui olio per poco non brilla anche se non lo tocchi fuo-co. È luce su luce (n)r ‘ala n)r)»: n)r è (quasi) omografo di ‘)d.

XX. DS, p. .Altro motivo (che quando ricorre è sempre retto dal paragone/equivalenza fra

volto amato e luna) è l’idea di Dio creatore che assume la figura dell’amato a mo-dello della bellezza del creato. È in passi come questo che emerge un Ab) Nuwasneoplatonico, solitamente disertato (o non colto?) dai suoi commentatori moderni.

XXI. DS, p. .È la celebrazione delle umiliazioni cui lo schiavo d’amore si sottopone, pri-

ma fra tutte la riprovazione di cui è oggetto da parte di chi condanna la sua per-dizione; il biasimo e la condanna, però, diventano a loro volta motivo di vanto,volto a magnificare la condizione scellerata dell’amante.

XXII. DS, p. .Altro motivo anticipatore di una poesia pienamente d’amor cortese è la pazien-

za dell’amante nel sopportare il volere lunatico, spesso irascibile, dell’oggetto d’a-more. Il miglior allievo di Ab) Nuwas, in questo genere, è al-‘Abbas ibn al-Ahnaf(morto nell’), considerato il vero padre della poesia d’amor cortese araba. L’in-

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fluenza abunuwasiana è evidente in versi come questi (al-‘Abbas ibn al-Ahnaf,D¤wan, ed. M. Rash¤d, Dar al-Ma’arif, Cairo , pp. e ): «L’occhio all’amorsoggiace prosciugato / con lacrime d’inchiostro però potrei strappare / al calamoscrittura che in luogo dello sguardo / possa all’amata mia dire il mio male. / [...] / Ocuore del mio cuore, così folle è il mio amore / da stringere il silenzio del segreto /intorno a altro segreto che rifiuta l’altrui amore»; o ancora: «Dunque la mia signo-ra risparmia sull’inchiostro: / è avara di scrittura al mio indirizzo, / mutevole d’u-more, ostile di natura, e fiera. / Intanto l’anima mia lascia piombare / nel baratro do-lente che dà nome all’amore, / e non si cura mai che all’apparir mi duole / financol’occhio, non più da lacrime parato. / Prima mi prende il cuore, dopo se ne distan-zia, / poi se ne incollerisce, e la puntuta stretta molla. / Che cosa sarà mai, poi in fon-do, amore? / Però con quanta cura la mezzana / compare a dirmi. “Ancora sulla so-glia osi sostare? / Fawz mi manda a dirti ch’è proibito!” / Che replica è concessa achi, devoto amante, / si vede tagliar la lingua, e pure l’ombra? / Maledizione a meche l’ho cercata, / maledizione a me se non la cerco: mezzana, / ascolta bene, te neprego, / un pugno di terra del giardino, / che il piede di madama ha calpestato, / al-meno quello concedimelo in dono, / poiché ne annusi prono la fragranza».

XXIII. DS, p. .Lo schiavo d’amore immagina processi intentati, egli ormai morto, contro

l’oggetto d’amore: l’accusa è di assassinio, e si preannuncia (qui Ab) Nuwas nonlo dice, ma altrove sì: cfr. E. Wagner, Ab) Nuwas. Eine Studie zur arabischen Li-teratur der frühen Abbasidenzeit, Franz Steiner, Wiesbaden , pp. -) il mo-tivo tragico del martire d’amore (al-shah¤d li’l-hubb). Si confronti quest’altro ver-so di al-‘Abbas ibn al-Ahnaf (D¤wan al-‘Abbas ibn al-Ahnaf, cit., p. ): «Non me-rita rispetto chi più da vivo t’ama / che ogni altro morto martire d’amore?».

XXIV. DS, p. .Il poeta celebra, con una malinconia non sempre notata nei versi abunuwa-

siani, la fine dell’amore omoerotico, tollerato (se mantenuto entro quel limite dietà) da buona parte della morale profana: la fine è appunto segnata dalla com-parsa della prima peluria sul volto dell’efebo.

XXV. DF, p. .Giuseppe: è il personaggio biblico che il Corano accoglie come profeta; il se-

gno precipuo della sua profezia è la bellezza. Lo straordinario passo coranico, incui Zulaykha, la moglie di Putifarre, folle d’amore, lo presenta alle sue ancelle in-tente a sbucciare arance, e queste, prese da confusione, si feriscono le dita colcoltello (Cor. XII, ), ha costituito un principio generatore di poesia – mistica enon – fondata sul mito di una bellezza a cui Zulaykha strappa la tunica da dietro(Cor. XII, ). Qui, il digiuno a cui si allude è ovviamente quello del mese di ra-madan; un ramadan passato interamente nell’ebbrezza e offerto in dono, col suovalore purificatore (ma cambiato di segno), all’amato.

XXVI. DF, p. .Di nuovo, versi che lasciano presupporre (pur con un semplice accenno) un

probabile presentimento, nelle immagini poetiche dell’amore, della teoria di ma-trice neoplatonica dell’amore come attrazione suscitata dall’affinità delle anime,che da lì a poco avrebbe dominato gli spazi della trattatistica d’amore nell’oriz-zonte intellettuale arabo-islamico.

XXVII. DF, p. .In questi versi, di una delicatezza che contraddistingue l’Ab) Nuwas “neo-

platonico”, è possibile cogliere il ricorso giocoso alla metafora gnostica (se non

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proprio precisamente manichea) del corpo che è involucro di luce, e in quantotale tradisce la sua origine celeste.

XXVIII. DF, p. .Esempio di un nominalismo preso in prestito dai cerebralismi tipici del ra-

gionamento dialettico in voga nei circoli intellettuali bagdadini del tempo. Per irapporti fra Ab) Nuwas e i “nuovi filosofi” dialettici rimando alle pp. ss. del-l’Introduzione.

XXIX. DS, p. .XXX. Il testo è edito da M. Minuw¤, Ihda farisiyyat Ab¤ Nuwas, in “al-Di-

rasat al-adabiyya”, , , pp. -. I versi sono intessuti di parole persiane cherendono spesso incomprensibile il senso, ma nello stesso tempo, con la loro pre-ziosissima presenza, innescano processi di semiosi che partono dal corpo del per-siano celebrato – corpo portatore di alterità storica? – e a lui ritornano incorpo-randolo in un procedimento di creazione letteraria fondato sulla traduzione disegni; processi che, prima di essere interpretativi, sono percettivi.

Non è come il cristiano, che alle orge degli scapoli / di notte si dà al prete: è l’at-testazione di un pregiudizio piuttosto in voga in quel tempo, dalle origini antiche,noto come “notte del mash)sh”. La diceria compare in questi termini in al-Shabu-sht¤, Kitab al-diyarat, cit., p. : «la notte della festa è la famosissima notte del ma-sh)sh, durante la quale nel monastero [di Ikhwat, fuori Baghdad] ha luogo una gran-de orgia. Di fatto, però, benché tutti ne parlino, nessuno vi ha assistito personal-mente, e tanto meno vi ha preso parte». Sembra che la prima attestazione della di-ceria compaia in Michele Siro e che originariamente colpisse, con il suo intento in-famante, l’eresia cristiana dei borboriani, diffusasi tra il e il sotto il regno diGiustiniano. Nel suo commento a questo passo, Hamza al-Isfahan¤ così glossa: «Ma-sh)sh è una parola di origine siriana, significa convivio. Si dice che presso i cristianivi sia una notte in cui si riuniscono celibi, preti e monaci, e insieme attendono l’al-ba. Gli abitanti dell’Iraq la chiamano “notte del mash)sh”, e i Persiani shab-i gulhar-zan; i cristiani, però, sembrano non saperne nulla» (Minuw¤, Ihda farisiyyat Ab¤Nuwas, cit., pp. -). Cfr. F. De Blois, Laylat al-mash)sh. Marginalia to al-Bayr)n¤,Ab) Nuwas and Other Authors, in “Journal of Semitic Studies”, , , pp. -.

Né come l’israelita, che prima circoncide / poi lecca la ferita mischiando al sangueil vino: è un’allusione al rito ebraico della metziza, cfr. M. Chebel, Histoire de la cir-concision, Perrin, Paris , p. .

Nobile come pochi, di stirpe e di natura: letteralmente: «nobile di natura e dilignaggio, della fascia dei Kayanidi», antica stirpe regale iranica. Per dire che ilpersiano Bihr)z è uno dei pochi kayanidi che ancora si incontrano per strada, ilpoeta scrive rah† al-kay)s. Il significato di kay)s, nonostante sia una parola ara-bizzata (ma più per esigenze metriche che di comprensione), a un lettore, il letto-re modello di Ab) Nuwas, è prevedibile che sfuggisse; è abbastanza sicuro, inve-ce, che il nostro lettore, in prima battuta, decodificasse rah† nel senso di “gruppodi persone”, legate da un comune antenato («a man’s people, and tribe consistingof his nearer relation [...] and a number of men less than ten, among whom is nowoman», così rendeva il termine E. W. Lane, Arabic-English Lexicon, Williamsand Norgate, London , vol. I/, p. ). Ma accanto alla parola oscura kay)s,il valore sintagmatico di rah† al-kay)s probabilmente sparisce, ed è possibile cheriaffiori un altro significato di rah†: può ancora darsi che quel lettore non sapesseper filo e per segno che esso fosse «a waist-wrapper made of skin, or leather, slitin several placet, except in the place of pudendum» (ivi, p. ), ma, come mini-

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mo, nel codice arabo-islamico classico, rah† è una fascia che cinge i fianchi, e for-se a quel lettore sarà venuto in mente che, in epoca pre-islamica, quello era l’uni-co indumento indossato nella circumambulazione della Ka‘ba – già meta di pel-legrinaggi pagani prima della nascita dell’islam – dalle donne, mentre gli uominicompivano il rito completamente nudi (ibid.). In persiano, manco a dirlo, rah† si-gnifica genericamente vestito. Pochi versi dopo, Bihr)z compare, cinto di zunnar.

Sussurrano parole misteriose e sacre: è un’allusione al rito mazdeo dellazamzama.

Quel giovedì che c’incontrammo: è un giovedì prima di sera, ovvero la vigiliadella festa settimanale del venerdì (si tenga presente che il giorno semitico co-mincia al tramonto).

Per il fuoco vorace, fuoco solare che buio e luce separa: nella sequenza di elementiche compongono l’universo culturale e religioso dell’amato, compare un verso chein arabo, in realtà, è molto più sintetico, e molto più enigmatico: haqq al-adhur al-khawra’. Nel commento di Hamza al-Isfahan¤ (che forse cade nel tranello teso dalpoeta al suo lettore), si legge che Adhur Kh)ra è un luogo di culto zoroastriano; sitratta infatti di un importante tempio del fuoco, identificato con Adhur Farnbag.Niente di strano, se non fosse che la lezione di Hamza al-Isfahan¤ è kh)ra, mentrenel testo abunuwasiano c’è un altro segno, cioè khawra’. La vocale “a” sulla primalettera, dando luogo a un dittongo, fa di questa parola un lessema inesistente sia inarabo che in persiano. Se immaginiamo ancora il lettore modello, questi non puòfar altro che ricorrere al suo codice, in cerca di somiglianze. Se il lettore conosce ilpersiano, al di là dell’associazione col tempio del fuoco, potrà riferirsi a campi se-mantici compatibili, dai quali affiorano sememi come khwar = sole, luce, est, nomedi un angelo, undicesimo giorno di ogni mese solare, oppure khwara = vorace, cheregge un possibile nesso logico con adhur = fuoco. Penserà, dunque, a una serie diinferenze entro un codice essenzialmente zoroastriano. Se invece la percezione delsegno riesce a decodificare e a risignificare in termini di integrazione culturale, sipuò interpretare khawra’ come l’arabizzazione di khwar (sole) con valore aggetti-vale, accordato nel genere (femminile) con fuoco; al-adhur al-khawra’ starebbequindi per “fuoco solare”. Ab) Nuwas sceglie un aggettivo femminile la cui formaindica colori e particolarità fisiche. Non finisce qui, però. Può capitare che un copi-sta un po’ alienato trascriva non quello che è scritto, ma quello che lui crede di leg-gere. Il copista di cui stiamo parlando è l’“autore” di due importanti codici, decisi-vi per lo stemma dell’edizione critica del canzoniere di Ab) Nuwas (mss. Fatih e , Istanbul, cfr. l’apparato critico di Minuw¤, Ihda farisiyyat Ab¤ Nuwas, cit.,p. , nota ), il quale sembra portare a compimento un processo semiotico che ilpoeta aveva solo istigato. Il copista infatti inverte la posizione di un punto diacriti-co e scrive hawra, parola ben connotata in arabo, e che abbiamo già incontrato inaltri versi: la parola esprime il contrasto netto fra l’iride nera e la cornea bianca, ecome tale è un attributo delle h)r¤. In senso lato, esprime il contrasto fra il biancoe il nero. Intenzionato a orientare il lettore verso una significazione percettiva deisegni, il poeta ha realizzato, col contributo interessantissimo del copista, un codicebinario: quello che parla nella lingua dell’amato, nel mondo del quale esiste un se-gno (Adh)r Kh)ra) che può essere codificato secondo schemi poetico-cognitivi col-laudati (ogni oggetto d’amore ha occhi di h)r¤ – che dividono la luce dal buio co-me il fuoco di un pireo zoroastriano); quello che parla nella lingua di chi legge, nelmondo del quale esiste un segno (khawra’, “decodificato” dal copista con hawra)

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che può essere percepito e compreso per analogia (il bianco-nero degli occhi delleh)r¤ equivale al bianco-nero del fuoco zoroastriano, e di tanto altro Iran).

Ram¤n e V¤s: amanti che danno il titolo a un romanzo partico, il V¤s e Ram¤nappunto, di cui il poeta qui attesta ancora la diffusione. Mentre Ab) Nuwas in-voca il persiano citando un romanzo appartenente alla tradizione letteraria ira-nica, il persiano risponde citando il Corano (Cor. XX, : «E a te in questa vitaterrena toccherà in sorte di dire a chi ti si appressa: “Non mi toccare”!»).

XXXI. Al-Shabusht¤, Kitab al-diyarat, cit., pp. -.Meno complicati dei precedenti dal punto di vista filologico e dal punto di

vista del rapporto fra comprensione del senso e percezione del segno, questi ver-si ne rappresentano la variante “cristiana”.

XXXII. DF, pp. -.Ancora nel genere dei versi d’amore rivolti a un cristiano, qui la progressione

verso la perdizione d’amore che, capovolta di segno, conduce alla salvezza ripro-duce le fasi di una messa, forse di rito nestoriano, al culmine della quale il poeta di-venta egli stesso eucaristia per unirsi all’amato. Per il cospicuo ricorso, in questiversi, a un vocabolario coranico – ad esempio, il fuoco che divora il poeta in aper-tura è al-nar, nome che designa abitualmente l’inferno nel Corano –, cfr. l’analisiproposta da A. Hamori, La littérature arabe médiévale, Sindbad, Paris , p. .L’analisi formale condotta da J. E. Montgomery, For the Love of a Christian Boy: ASong by Ab) Nuwas, in “Journal of Arabic Literature”, , , pp. - ha mes-so in risalto una musicalità, favorita tra l’altro dall’abbondante ricorso ad allittera-zioni che scandiscono il testo, che avvalora l’ipotesi di un testo pensato per esseremusicato. Il tema dell’amato/a cristiano/a si ritrova nella produzione di molti poe-ti, contemporanei e non, di Ab) Nuwas; per tutti valga l’esempio dell’andaluso Ibnal-Haddad (morto nel ; i versi sono presi da Scarcia, a cura di, Poesia dell’Islam,cit., pp. -): «Ho visto fra i cristiani una samaritana, / scintilla nel bagliore del-le croci in processione. / Potrà mai avvicinarla chi come me proclama l’unicità diDio? / La Trinità lei invoca, ma Una l’ha resa Dio con la bellezza, / ed io come idualisti del duplice principio d’amore e di tristezza / mi trovo prosternato a ragio-nare. / Celata sotto il velo che entrando in chiesa indossa, / riunisce trina beltà diluna, notte ed ombra. / Nel nodo della fascia che i fianchi cinge / s’annoda l’amormio. / Guardate la gazzella che nel petto mio la tana s’è scavata, / tortora che den-tro il cuore mio s’è fatta il nido. // In nome del vero credo in Cristo, potresti / con-ceder guarigione al mio malanno? / Bellezza tua ha il potere di riportarmi in vita /dopo che di passione sicura morte infligge. / Per amor tuo amerò la croce che ado-rano gli asceti, / ramingo me ne andrò per chiostri e per conventi, / al vescovo cheregge la croce e l’ostensorio / il dì di Pasqua darò piena confessione, / tra i fogli delVangelo salmodiati / redento tra le file dei credenti, / purché il tuo volto mostri enon nasconda / fra il marmo e fra l’incenso delle chiese».

XXXIII. DS, p. .Il distico si regge su un gioco di allitterazioni intorno alla radice b-l-w: baliyan

(logorato), yabla (è logorato), yubliyu (è logorante).XXXIV. DS, p. .Con versi come questi, Ab) Nuwas sembra rendere esplicito il presenti-

mento dell’ambigua natura di una poesia che, nel momento in cui nomina le co-se, le trasforma in simboli che il lavoro di interpretazione rischia di rendere im-mobili e statici; è forse la denuncia del rischio di una deriva ermeneutica, che su-pera e dissolve la volontà del poeta di garantire la realtà di ciò che egli nomina?

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