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N. 7 - CULTURA MUSICA ARTE AMBIENTE SOCIETÀ - FEBBRAIO 2017 Pentagrammi… per la Creatività Adriana De Serio «Vedo la mente come un vulcano con due bocche: la distruzione e la creatività. Vedo anche che nel- la misura in cui ampliamo il canale creativo, atrofizziamo quello distruttivo» (Ashton-Warner, 1964) Differenti attributi valoriali hanno caratterizzato, nell’evolversi della tradizione storica, il concetto di creatività. La creatività, so- stantivo di latina ascendenza etimologica, indica la capacità, l’at- titudine, a creare, e anche l’operosità dinamica, la forza costrutti- va, l’attività dell’inventare con libera fantasia. L’azione del Crea- re, che senso comune, religioni, pongono all’origine del mondo, è sempre stata considerata peculiare dell’Essenza Divina. Nei seco- li, tuttavia, le diverse culture coltivarono concezioni estetiche mu- tevoli e multiformi nei confronti dell’arte creativa. Così, ad esem- pio, nell’epoca greca e romana, l’opera dei pittori e degli scultori, in quanto lavoro manuale, era relegata ai membri della classe ser- vile. Con Platone si era verificata un’antinomia fra la musica qua- le disciplina scientifica e filosofica, e pertanto degna di onore, foriera di nobili contenuti, e la musica quale arte pratica, più appa- rentata ai mestieri e alle professioni tecniche, caratterizzata da scarsa considerazione. Con l’estetica rinascimentale, l’artista rie- merge con la sua riacquisita dignità, reintegrato nella cultura uma- nistica. Tra le numerose definizioni di creatività, appare interes- sante quella coniata dal matematico Henri Poincaré nel saggio «Scienza e metodo» (1905): «Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili». Per Poincaré, le categorie di nuovo e utile radicano l’attività creativa nella società e nella storia. Il nuovo è relativo al periodo storico in cui viene concepito; l’utile è connesso con la comprensione e il riconoscimento socia- le. Nuovo e utile illustrano adeguatamente l’essenza dell’atto creativo: un superamento delle regole esistenti (il nuovo) che isti- tuisca un’ulteriore regola condivisa (l’utile). Si individuano le due dimensioni del processo creativo, che coniuga disordine e ordine, paradosso e metodo. Infine, le categorie di nuovo e utile ampliano la sfera delle attività creative a tutto l’agire umano a cui sia rico- nosciuta un’utilità economica - estetica o etica. Secondo Guilford, il potenziale creativo, presente in ogni uomo, e misurabile sulla base di criteri quali «fluidità, flessibilità, originalità, elaborazio- ne», non viene utilizzato che in minima percentuale. La creatività è definita da una relazione triadica fra «talento», costituito dall’in- sieme delle risorse possedute, «metodo», per esercitare il talento, ed «energia», per assolvere i propri doveri. Potenziare la comuni- cazione fra i componenti tale relazione triadica rappresenta un ausilio metodologico per l’educazione alla creatività. La creatività è espressione umana, ma non solo. Molte specie di mammiferi, in particolare i Primati, ed alcune specie di uccelli, mostrano intuizioni creative, riuscendo a trasmettere soluzioni altrettanto creative alla prole. Il concetto di creatività non è appli- cabile solo all’ambito delle arti. Sintetizza, infatti, anche la capa- cità e la competenza necessarie per creare, inventare, la propria vita, senza essere costretti a subirla. Il progetto generale di tale cammino è custodito all’interno di ogni uomo, il quale solo è competente a ricercare e a trovare ciò di cui ha bisogno nel pro- prio cammino di autorealizzazione. La pluridimensionalità della nozione di creatività riguarda, pertanto, anche l’ambito formativo. Il compito dell’educazione, della formazione, così come di qual- sivoglia terapia, s’inscrive in un itinerario caratterizzato da creati- vità, consistendo nel sostenere l’individuo tramite un input creati- vo motivazionale, indicandogli percorsi e metodologie, nel recu- pero di proprie latenti risorse creative, e conseguentemente nella rimozione degli ostacoli che gli impediscono il naturale consegui- mento del suo progetto interno. Un’educazione alla creatività può, in tal modo, perseguire l’obiettivo di guidare una ricerca che viene dal soggetto senza orientare esteticamente le sue «trovate» (Delalande, 1984). Non l’educatore, il terapeuta, in posizione «one up», ma processo circolare di scambio d’informazioni, per la fondazione di una metodologia di ricerca pedagogica/terapeuti- ca che avvii e supporti lo sviluppo della curiosità, dell’iniziativa, della creatività. Educazione e terapia che dovrebbero mirare alla sollecitazione, sostiene Piaget, «di questa spontaneità estetica e di questa capacità di creazione delle quali il bambino piccolo manifesta già la presenza; esse non possono, ancor meno che al- tre forme di educazione, accontentarsi della trasmissione e accet- tazione passiva di una verità o di un ideale elaborato: la bellezza, come la verità, non va che ricreata dal soggetto che la conqui- sta». Manlio Chieppa, Dune sabbiose (Ammophila marittima), 2010, cm. 45x38x3 sp. (t.m. pietra calcarea)

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n. 7 - CULTURA mUsiCA ARTe AmbienTe soCieTà - febbRAio 2017

Pentagrammi… per la CreativitàAdriana De Serio

«Vedo la mente come un vulcano con due bocche: la distruzione e la creatività. Vedo anche che nel-la misura in cui ampliamo il canale creativo, atrofizziamo quello distruttivo»

(Ashton-Warner, 1964)

Differenti attributi valoriali hanno caratterizzato, nell’evolversi della tradizione storica, il concetto di creatività. La creatività, so-stantivo di latina ascendenza etimologica, indica la capacità, l’at-titudine, a creare, e anche l’operosità dinamica, la forza costrutti-va, l’attività dell’inventare con libera fantasia. L’azione del Crea-re, che senso comune, religioni, pongono all’origine del mondo, è sempre stata considerata peculiare dell’Essenza Divina. Nei seco-li, tuttavia, le diverse culture coltivarono concezioni estetiche mu-tevoli e multiformi nei confronti dell’arte creativa. Così, ad esem-pio, nell’epoca greca e romana, l’opera dei pittori e degli scultori, in quanto lavoro manuale, era relegata ai membri della classe ser-vile. Con Platone si era verificata un’antinomia fra la musica qua-le disciplina scientifica e filosofica, e pertanto degna di onore, foriera di nobili contenuti, e la musica quale arte pratica, più appa-rentata ai mestieri e alle professioni tecniche, caratterizzata da scarsa considerazione. Con l’estetica rinascimentale, l’artista rie-merge con la sua riacquisita dignità, reintegrato nella cultura uma-nistica. Tra le numerose definizioni di creatività, appare interes-sante quella coniata dal matematico Henri Poincaré nel saggio «Scienza e metodo» (1905): «Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili». Per Poincaré, le categorie di nuovo e utile radicano l’attività creativa nella società e nella storia. Il nuovo è relativo al periodo storico in cui viene concepito; l’utile è connesso con la comprensione e il riconoscimento socia-le. Nuovo e utile illustrano adeguatamente l’essenza dell’attocreativo: un superamento delle regole esistenti (il nuovo) che isti-tuisca un’ulteriore regola condivisa (l’utile). Si individuano le due dimensioni del processo creativo, che coniuga disordine e ordine, paradosso e metodo. Infine, le categorie di nuovo e utile ampliano la sfera delle attività creative a tutto l’agire umano a cui sia rico-nosciuta un’utilità economica - estetica o etica. Secondo Guilford, il potenziale creativo, presente in ogni uomo, e misurabile sulla base di criteri quali «fluidità, flessibilità, originalità, elaborazio-ne», non viene utilizzato che in minima percentuale. La creatività è definita da una relazione triadica fra «talento», costituito dall’in-sieme delle risorse possedute, «metodo», per esercitare il talento, ed «energia», per assolvere i propri doveri. Potenziare la comuni-cazione fra i componenti tale relazione triadica rappresenta un ausilio metodologico per l’educazione alla creatività.

La creatività è espressione umana, ma non solo. Molte specie di mammiferi, in particolare i Primati, ed alcune specie di uccelli, mostrano intuizioni creative, riuscendo a trasmettere soluzioni altrettanto creative alla prole. Il concetto di creatività non è appli-cabile solo all’ambito delle arti. Sintetizza, infatti, anche la capa-cità e la competenza necessarie per creare, inventare, la propria vita, senza essere costretti a subirla. Il progetto generale di tale

cammino è custodito all’interno di ogni uomo, il quale solo è competente a ricercare e a trovare ciò di cui ha bisogno nel pro-prio cammino di autorealizzazione. La pluridimensionalità della nozione di creatività riguarda, pertanto, anche l’ambito formativo. Il compito dell’educazione, della formazione, così come di qual-sivoglia terapia, s’inscrive in un itinerario caratterizzato da creati-vità, consistendo nel sostenere l’individuo tramite un input creati-vo motivazionale, indicandogli percorsi e metodologie, nel recu-pero di proprie latenti risorse creative, e conseguentemente nella rimozione degli ostacoli che gli impediscono il naturale consegui-mento del suo progetto interno. Un’educazione alla creatività può, in tal modo, perseguire l’obiettivo di guidare una ricerca che viene dal soggetto senza orientare esteticamente le sue «trovate» (Delalande, 1984). Non l’educatore, il terapeuta, in posizione «one up», ma processo circolare di scambio d’informazioni, per la fondazione di una metodologia di ricerca pedagogica/terapeuti-ca che avvii e supporti lo sviluppo della curiosità, dell’iniziativa, della creatività. Educazione e terapia che dovrebbero mirare alla sollecitazione, sostiene Piaget, «di questa spontaneità estetica e di questa capacità di creazione delle quali il bambino piccolo manifesta già la presenza; esse non possono, ancor meno che al-tre forme di educazione, accontentarsi della trasmissione e accet-tazione passiva di una verità o di un ideale elaborato: la bellezza, come la verità, non va che ricreata dal soggetto che la conqui-sta».

Manlio Chieppa, Dune sabbiose (Ammophila marittima), 2010, cm. 45x38x3 sp. (t.m. pietra calcarea)

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pag. 2 / Febbraio 2017 Pentagrammi

Con la Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari

Dal volo della Gazza alle acrobazie dei Momix

ASSOCIAZIONE NAZIONALE CRITICI MUSICALIMessaggio del Presidente

A Franco Chieco per i suoi 90 anniAngelo Foletto

Caro Franco, tutti gli amici dell’As-sociazione Nazionale Critici Musicali, e quelli ancora più antichi o vicini, a prescindere dall’associazione, ti sono affettuosamente vicini, in questa impor-tante giornata di festa novantennale.

Obbligati e consapevoli, come iscrit-ti di un’associazione di cui sei stato fondatore, insostituibile Segretario na-zionale e paladino appassionato per quasi tutta la sua ultratrentennale esi-stenza, di doverti «vita» oltre che robu-

sto e generoso svezzamento professio-nale. In alcuni casi anche preziose oc-casioni di ingresso nel mondo della critica musicale e del giornalismo che hai sempre difeso privatamente e uffi-cialmente in ogni occasione, anche at-traverso gli importanti ruoli ricoperti nell’ambito delle istituzioni nazionali.

Ma tutti i colleghi, che credono an-cora con te di fare uno dei lavori più belli del mondo perché di musica e bel-lezza (soprattutto) si occupano, ti de-vono essere grati. Per il modo di con-cepire il mestiere che è stato un model-

lo di pratica giornalistica unica per longevità, vivacità, curiosità intellet-tuale, energia polemica ben mirata e – merce ancor più rara di questi tempi – schiena diritta di fronte al «potere», lasciando qualsiasi genuflessione solo al cospetto della seduzione dell’arte, della cultura, della politica onesta e della musica.

Senza le celebrazioni, che non ami, ma con reale sentimento di debito per-sonale e amichevole vicinanza, brin-diamo con te. Buon compleanno, buon anno. (31.XII.2016).

Adriana De Serio

Nel Teatro Petruzzelli di Bari, auspice la Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, si sono recentemente li-brate produzioni «aeree», con l’opera «La Gazza ladra» di Gioachino Rossini e la compagnia di danza «Momix».

«La gazza ladra», capolavoro del melodramma «semiserio» rossiniano, si è avvalsa di un originale allestimento scenico (del Rossini Opera Festival), con scene di Paolo Fantin, costu-mi di Carla Teti, disegno luci di Alessandro Carletti, regia di Damiano Michieletto ripresa da Eleonora Gravagnola, in cui la «gazza», nelle vesti della ballerina e coreografa Sandhya Nagaraja, compiva complesse evoluzioni acrobatiche su at-trezzi scenici sospesi sul palcoscenico. Con la sua quasi co-stante presenza, osservatrice silenziosa «invisibile» ai perso-naggi interpreti dell’opera, la «gazza» ne chiosava affermazio-ni e azioni con un’efficacissima mimica gestuale, conferman-dosi autentica protagonista della monumentale creazione ros-siniana. Un ulteriore elemento scenico foriero di stupore, per il pubblico, è stato costituito da giganteschi tubi dal colore ar-genteo, alla cui cangiante disposizione spaziale era affidata l’organizzazione dei diversi ambienti richiesti dal plot dram-maturgico. Tali scelte sceniche e registiche hanno apportato un valore di curioso interesse, non inficiando in alcun modo il significato filologico dell’opera, potenziandolo, invece, con eleganti perle di inventiva innovativa. Nell’impegnativa ese-cuzione dell’opera l’Orchestra Sinfonica del Teatro Petruzzel-li, diretta da George Petrou, ha sfoderato una verve sonora che ha compiutamente sostenuto il coro del Teatro, preparato da Fabrizio Cassi, e i cantanti solisti Davide Giangregorio, Loria-na Castellano, Francisco Brito e Christian Collia, Christina Daletska e Alessia Nadin, Simone Alberghini e Alessandro Abis, il superlativo Carlo Lepore, Clemente Antonio Daliotti, Victoria Yarovaya e Antonella Colaianni, Gianluca Bocchino, Marco Miglietta, Stefano Marchisio, Alberto Comes, Gian-franco Cappelluti. Sintesi musicale dell’opera, la celebre Ou-verture, in cui l’Orchestra è stata splendida solista, cogliendo nel profondo la lezione di Rossini, e la testimonianza della sua fluida capacità compositiva, che forse lo scarso arco temporale

a sua disposizione, per comporre, rendeva ancora più feconda e intrigante. «Ho composto l’Ouverture de “La gazza ladra” – scriveva Rossini – il giorno stesso della sua rappresentazio-ne, nello “sgabuzzino” della Scala dove il direttore mi aveva rinchiuso. Ero stato messo sotto sorveglianza da quattro mac-chinisti che avevano l’ordine di recuperare le pagine del mio manoscritto, l’una appresso l’altra, e di gettarle dalla finestra ai copisti che le aspettavano per fare il loro lavoro. I macchi-nisti avevano anche l’ordine di buttarmi dalla stessa finestra se il manoscritto non … avanzava».

Successo strepitoso per tutti gli interpreti dell’opera, e in tutte le repliche.

Per merito della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, è approdata a Bari, nel Teatro Petruzzelli, la compagnia di danza «Momix» (direttore artistico Moses Pendleton, co-direttore artistico Cynthia Quinn), con la spetta-colare produzione «W Momix Forever». Una quindicina di quadri scenici, caratterizzati da coreografie strabilianti, negli acrobatici movimenti degli artisti ballerini, negli avveniristici attrezzi ed elementi scenici, nei variegati effetti di luce, nei dinamismi cromatici, hanno avvinto tenacemente gli spettatori in un viaggio ideale, nonché particolarmente gustoso, nel mondo della fantasia e dell’illusionismo. Trentasette anni di internazionale attività artistica della Compagnia «Momix» si sono condensati nella mirabile rappresentazione, della quale è stato protagonista un mondo di immagini surreali, in cui inte-ragivano corpi umani (di una decina di danzatori, impegnati singolarmente o in gruppi), costumi, luci, colori, musiche (di-rettori tecnici Gianni Melis e Fabrizio Pezzotti, direttore di produzione Woody Dick III). Sulle note del «Concerto Bran-deburghese n. 2» di Bach si è sviluppata la coreografia conclu-siva «If you need somebody», in cui sfilavano tutti i coreuti-acrobati: Rebecca Rasmussen, Catherine Jaeger, Paulaann Procida, Steven Ezra, Jonathan Eden, Sarah Nachbauer, Simo-na Di Tucci, Morgan Hulen, Jacob Stainback. Moses Pendle-ton si è confermato geniale e carismatico fondatore e ispiratore della Compagnia, nonché creatore di percorsi coreutici inusi-tati, proiettati verso lo sviluppo dell’arte della danza, e che, nel contempo, la seducono ed incantano.

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Pentagrammi pag. 3 / Febbraio 2017

Le grandi mani e il cuore di MarthaPierfranco Moliterni

Grande, grandissima musica al Petruzzelli, come da molto tempo non si ascoltava qui da noi, a Bari e in Puglia, e sin dall’apparire di Martha Argerich sul proscenio del nostro massimo teatro, se non ricordiamo male dai tempi d’oro dell’era-Pinto, con Pavarotti, Sinopoli, Prêtre e Muti. La no-stra cronaca ragionata non può assolutamente descrivere le attese, le emozioni, le certezze, di una sorta di «apparizione messianica» della più grande pianista vivente, la ex enfant prodige che viene dall’Argentina, da un altro mondo agli an-tipodi della colta Europa. Sì, proprio così, la terra delle pam-pas e del tango ha partorito non una, ma due dei massimi in-terpreti della musica d’arte (colta) del nostro tempo. E ci rife-riamo al coetaneo pianista-direttore Daniel Barenboim, e a lei, la settantaseienne allieva del crotonese Vincenzo Scara-muzza, un italiano colà esiliato, che per primo la scoprì e la istradò verso una fulgida carriera che ancora oggi dura, nono-stante prove terribili che avrebbero fiaccato la resistenza di una «persona normale», ma non quella di una cariatide della tastiera con le sue grandi mani, nodose ma agilissime, in gra-do di affrontare il grande repertorio romantico e novecentesco (Chopin, Ciaikovsky, Ravel, Prokofiev). Martha è da pochi anni reduce da un’altra battaglia, vinta non a suon di musica, ma a suon di dure terapie anticancerogene…, ed è tutto dire; una vicenda esistenziale che tuttavia l’ha restituita ancora più ferma, battagliera, vogliosa di trasmettere ai giovani pianisti del tempo presente la sua arte, la sua straordinaria sensibilità interpretativa, che fa scuola in tutto il mondo. Lei è infatti protagonista del «progetto Argerich» in quel di Lugano, a quattro passi da Milano, dove si svolge un festival musicale particolarmente originale, un evento incentrato sulla figura carismatica della pianista argentina, che ebbe a diradare per molto tempo le sue esibizioni come solista, ma che continua tuttavia a essere un mito. Con la sua genialità, la Argerich ha voluto infatti creare a Lugano, dove per lo più risiede, una sua «famiglia artistica», trasformando la città sul Ceresio in luogo di incontro, fucina di idee e palestra di musica d’assieme, e laboratorio internazionale, che mette in gioco l’esperienza di artisti affermati come la Argerich e la preparazione di giovani

talenti. Il concerto barese suonava dunque come una ripresa, un suo ritorno sui grandi palcoscenici (e Bari evidentemente lo sta diventando…), insieme con la Filarmonica di San Pie-troburgo, diretta all’occasione da un altro grande mito dei nostri tempi: Yuri Temirkanov. A ben vedere, la scelta di pre-sentare al Petruzzelli il Concerto n. 3 di Prokofiev, seguìto dalla Sinfonia n. 5 di Shostakovic, diretti dalle mani dell’al-trettanto famoso musicista russo di oggi (il quale, si badi bene, non usa mai la proverbiale bacchetta, ma solo l’espres-sività delle proprie mani, come per altro verso fa il suo allievo preferito Gergiev), almeno per noi sapeva tanto di «riflessio-ne spettacolare» sulla musica del periodo stalinista. Il compo-sitore Dmitri Shostakovich era infatti reduce da un mezzo fiasco reso pericoloso dagli ukàse del regime stalinista, piom-bati addosso alla sua opera lirica, Lady Macbeth nel distretto di Mcensk, che venne accusata nel 1937 di essere un prodotto piccolo-borghese affatto lontano dalle esigenze di una (sup-posta) cultura popolare facile e di immediata comprensione. Serghej Prokofiev, per parte sua, s’era intanto appartato e sal-vato andando in giro per l’Europa libero da scelte imposte dal potente ministro della cultura Zdanov, e questo suo Concerto n. 3, insieme con la Sinfonia n. 5 di Shostakovich, sono dimo-strazione di libertà creativa resa ancor più fulgida dai perso-nali tratti stilistici, come i famosi temi «grotteschi» e i ritmi indiavolati.

Tornando a questo memorabile concerto, non possiamo non accennare alla intatta maestrìa tecnico-interpretativa della Argerich, immutabile nel tempo come chiunque può appurare andando a scavare, nei meandri di you-tube/music, le sue ese-cuzioni di Prokofiev; altrettanto dicasi per Temirkanov, con le sue inflessioni, i suoi «respiri» all’interno del fraseggio or-chestrale: cosa non di poco conto e di ardua esecutività. Ma qui c’era una compagine orchestrale numerosa come si con-viene, con 14 primi violini, 10 violoncelli, 8 contrabbassi e due arpe (!), che viene dalla patria di gran parte della musica tardoromantica e primonovecentesca: perfetta disciplina, am-pie sonorità, respiri e fraseggi come un solo strumento, «cat-tiveria» ritmica come si conviene. Una vera goduria per occhi e orecchie del numerosissimo pubblico presente nel teatro. Ad majora dunque, vecchio TeaPET!

Etica e Diritto: fondamenti per educare alla paceDonato Forenza

Notevole successo ha riscontrato il Convegno interna-zionale «Etica e diritto: fondamenti per educare alla pace», svoltosi in Bari, presso il Palazzo Ateneo. Si tratta di un evento interdisciplinare nell’ambito delle attività ac-cademiche del Master in «Etica della pace ed Educazione ai diritti nei contesti formativi». L’incontro è stato orga-nizzato dal Master dell’Università degli Studi di Bari «Aldo Moro» in collaborazione con l’UCIIM Sezione di Bari. La programmazione ha previsto l’introduzione di Michele Indelicato quale Coordinatore del Master dell’Università di Bari «Aldo Moro», mentre la presiden-za è stata affidata a Sebastiano Tafaro (Università di Bari); hanno portato i saluti Antonio Felice Uricchio, Magnifico Rettore Università di Bari, e Milly Chiusolo (Presidente UCIIM, Sezione di Bari).

Gli illustri relatori hanno analizzato le interconnessio-ni complesse tra Etica, pace, Educazione ai diritti e for-mazione, Etica sociale e giuridica, Approcci sistemici tra ambiente, territori e politica della pace e mondo co-mune, Etica e relazione formativa, Etica della comuni-cazione e aspetti interconnessi, apportando notevoli contributi culturali e scientifici alle tematiche sviluppa-te. Al Convegno, il cui Responsabile Scientifico era Michele Indelicato (Università di Bari), hanno aderito i relatori Wojciech Guzewicz (Università di Warmia e Masuria, a Olsztyn), Florian Lempa (Università di Warmia e Masuria a Olsztyn), Francesco Fistetti (Uni-versità di Bari), Ferdinando Parente (Università di Bari), Krzysztof Orzeszyna (Università Cattolica di Lublin), Slawomir Kursa (Università di Warmia e Masuria a Olsztyn), Krzysztof Szczygielski (Università di Bialystok).

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pag. 4 / Febbraio 2017 Pentagrammi

L’Orchestra Sinfonica Metropolitana di Bari in concerto

Il profumo di Nino Rota e prime esecuzioni assoluteAdriana De Serio

La programmazione concertistica dell’Orchestra Sinfonica Metropolitana di Bari, nel mese di febbraio u.s., ha offerto, per merito del direttore artistico Maestro Marco Renzi, numerosi appuntamenti contraddistinti da interesse musicologico e inno-vatività.

In primis, va citato il concerto tenuto, nel Teatro Abeliano, dall’Orchestra diretta da Alexis Soriano, giovane e validissimo musicista spagnolo, la cui formazione professionale affonda radici nella solida ed efficace scuola russa. Con la sua direzio-ne, esemplare nella tecnica gestuale, condotta a memoria per tutti i brani musicali in programma, l’Orchestra ha prodotto un’ottima performance, offrendo all’ascolto «La grotta di Fingal» di Mendelssohn, «Valse e Polonaise» da «Eugene Onegin» di Tchaikovsky, e la Sinfonia n.1 in sol minore op.7 di Carl Nielsen. Se l’ouverture mendelssohniana ha più volte per-meato, in passato, le baresi sale da concerto, con le sue incante-voli suggestioni evocative, le due danze tratte dall’«Onegin» hanno costituito un gradevolissimo cammeo, ripresentificando le atmosfere danzanti dei sontuosi saloni delle principesche corti russe. La Sinfonia di Nielsen ha rappresentato il valore maggiormente attrattivo della serata, trattandosi di una prima esecuzione assoluta nella città di Bari. Nato in Danimarca nella seconda metà dell’Ottocento (1865) e vissuto sino al 1931, Nielsen fu un musicista eclettico, violinista, compositore, diret-tore d’orchestra, docente nel Conservatorio di Copenaghen, e, in ultimo, direttore di questo Istituto. In veste di compositore, Nielsen è stato circondato dall’oblio nei programmi concertisti-ci, a livello internazionale, con l’eccezione dei Paesi nord-euro-pei, ove, e soprattutto in Danimarca, si è affermato anche quale compositore di canzoni. Pertanto, la prima esecuzione assoluta della sua Sinfonia n.1, per merito dell’Orchestra Sinfonica Me-tropolitana di Bari, ha rappresentato un evento artistico-musi-cologico che va iscritto nella storia culturale della città di Bari. La Sinfonia di Nielsen si evolve con un ampio impianto archi-tettonico (non privo di ridondanze), e una cifra compositiva caratterizzata da un’eclettica rivisitazione del percorso musica-le dei secoli precedenti, nonché del tempo dell’autore: memorie di polifonia rinascimentale, stilemi provenienti dalla tradizione musicale russa, gocce di impressionismo, contaminati con ato-nalismo e acquisizioni musicali post-romantiche. L’esecuzione della Sinfonia di Nielsen, e anche degli altri brani in program-ma, ha goduto di un’interpretazione eccellente, da parte dell’Orchestra Sinfonica Metropolitana e del direttore Soriano, i quali hanno riscosso, fra il folto pubblico, un vivissimo suc-cesso, coronato da un bis, con i ritmi di danza dell’«Onegin».

Un’ulteriore prima esecuzione assoluta ha scandito il concer-to dell’Orchestra Sinfonica Metropolitana di Bari, con la dire-zione di Pietro Borgonovo, nel Teatro Kismet di Bari. Il diver-timento per orchestra «Lo sguardo estivo di Apollo», del com-positore contemporaneo Carlo Galante (1959), ha costituito la perla di novità proposta da Borgonovo, direttore di indiscutibi-le e raffinato pregio tecnico-musicale, orientato con interesse verso la produzione musicale dei compositori coevi, dei quali interpreta opere anche in prima esecuzione, spesso a lui dedica-te. Borgonovo, che vanta un cospicuo curriculum artistico di livello internazionale, sia (in passato) quale oboista d’eccellen-za nel concertismo e nella didattica, sia (attualmente) quale di-rettore d’orchestra e direttore artistico di varie istituzioni, ha

inteso introdurre il concerto dell’Orchestra Metropolitana di Bari con il «Divertimento per archi» di Béla Bartòk, brano mol-to complesso nell’intelaiatura dei rapporti ritmici, timbrici, di-namici. I professori dell’Orchestra vi hanno profuso un impe-gno encomiabile, vitalizzando un’esecuzione eccellente, anche nei numerosi passi solistici, non di rado caratterizzati da slanci virtuosistici. È quindi planato sul pubblico «Lo sguardo estivo di Apollo» (il titolo della composizione è tratto da un verso del poeta romantico inglese John Keats), con le sue «galanti» allu-sioni musicali al mitologico mondo greco, e, in particolare, ad Apollo, dio del sole e di tutte le arti, tra cui la musica, spesso raffigurato nell’iconografia recante nella mano uno strumento musicale (lira o cetra). Carlo Galante si «diverte», nel suo evi-dentemente colto impaginato, a trasformare incessantemente il materiale ritmico-musicale che lo nutre, linguisticamente orientato in una dimensione musicale di intelligente e oculata «contemporaneità». L’Orchestra Sinfonica Metropolitana di Bari, con il suo direttore Pietro Borgonovo, ha suggellato la serata concertistica con un’elegante interpretazione della Sin-fonia n. 36 K 425 «Linz» di Mozart, la quale, con la sua festosa imponenza, affermata dalla tonalità di do maggiore e dall’uso di trombe e timpani, ha entusiasmato ulteriormente gli ascolta-tori.

Mozart e Tchaikovsky sono stati gli autori che hanno sostan-ziato, con le proprie musiche, il concerto dell’Orchestra Sinfo-nica Metropolitana di Bari, in cui, con la direzione di Maurizio Colasanti, è stato solista al violoncello il barese Nicola Fiorino, docente nel Conservatorio di Musica di Bari. L’Ouverture dall’opera «Idomeneo, re di Creta» K 366 di Mozart e la Sinfo-nia n. 31 K 297 «Parigi», sempre di Mozart, hanno costituito, per la manifestazione concertistica, quasi una cornice, propo-ste, rispettivamente, in apertura e a conclusione della serata, ospitata nella Chiesa «Maria SS. Addolorata» di Bari. Il fulcro è stato rappresentato dalle «Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33» di Tchaikovsky, in cui il violon-cellista Fiorino ha potuto estrinsecare compiutamente le pro-prie doti strumentali e interpretative, evidenziando, in partico-lare, una tecnica poderosa capace anche di avvincenti sonorità sognanti, riscuotendo molti applausi e concedendo un bis. L’Orchestra Sinfonica Metropolitana di Bari, guidata da Mau-rizio Colasanti con decisa professionalità, ha così regalato al foltissimo pubblico, ancora una volta, un momento musicale di profondo spessore, anche culturale.

Del concerto successivo dell’Orchestra Sinfonica Metropoli-tana di Bari, tenutosi nel salone del Nicolaus Hotel di Bari, sono stati interpreti due pugliesi: Giovanni Rinaldi, quale diret-tore d’orchestra, e l’eccellente pianista Pierluigi Camicia. Mu-siche di Cherubini («Lodoïska Ouverture»), Gounod («Sinfo-nia n.1»), e Rota («Concerto soirée» per pianoforte e orche-stra), sono state gradite protagoniste della serata, e, tra l’altro, da tempo poco presenti nei programmi concertistici sulle scene baresi. «Lodoïska» costituisce una svolta fondamentale nella storia dell’opera francese; Cherubini abbandona definitiva-mente la scuola italiana di Paisiello e Cimarosa e propone con-tenuti drammatici, armonie complesse che precorrono le future opere francesi. Definita «commedia eroica», l’opera «Lodoï-ska» è considerata il prototipo delle cosiddette «pièces au

(continua a pagina 5)

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Pentagrammi pag. 5 / Febbraio 2017

Conservatorio di Musica «N. Piccinni» di Bari

L’OMBRA ILLUMINATA

sauvetage», cioè opere caratterizzate nel finale dall’intervento improvviso e in-sperato di un personaggio che affronta despoti e tiranni, salvando da morte sicu-ra gli altri personaggi. Nessun’opera francese prima di «Lodoïska» aveva osa-to un uso tanto ardito dei mezzi armoni-ci, né l’impiego così ampio e dramma-turgicamente funzionale del linguaggio sinfonico. L’ardore e l’impeto dell’in-venzione tematica e dell’armonia sono stati colti da Rinaldi con partecipata ade-sione, evidenziata anche nella direzione della Sinfonia di Gounod, che, nella sua brillante pulsazione, si nutre della sensi-bilità romantica dell’Ottocento francese, pur contaminata da elementi provenienti dal migliore Settecento francese e dal teatro mozartiano. Il celebre «Concerto-soirée» di Nino Rota ha occupato una posizione centrale nella serata, godendo dell’esecuzione pianistica di Camicia, già docente nel Conservatorio di Musica di Bari, e già direttore del Conservatorio di Musica di Lecce, oltre che concertista e didatta in ambito internazionale. Il «Concerto soirée» si evolve tra post-ro-manticismo e pulviscoli impressionistici (quindi assai lontano da pruriti e fermen-ti delle «avanguardie» musicali nove-centesche), nel segno di una grande chia-rezza espositiva, linearità e lirica canta-

bilità, e, a tratti, un retrogusto epico, de-rivanti anche dall’attività di Rota nell’ambito della musica per il cinema. I cinque tempi della composizione, ispira-ti ad alcune forme di musica da ballo le-gate ai salotti e ai luoghi di ritrovo pub-blici ottocenteschi, riportano, infatti, ti-toli (inusuali nella canonica tradizione del genere musicale del «Concerto»), quali Valzer-Fantasia, Ballo-Figurato, Romanza, Quadriglia, Can-can. Cami-

cia, che ha collaborato con Rota, ha compiutamente estrinsecato dalle pagine rotiane la serena vitalità che le innerva, con la musicalità e il dominio tecnico che costituiscono la sua cifra costante di pianista concertista, ottimamente sup-portato dall’Orchestra diretta da Rinaldi, producendo un’interpretazione che sicu-ramente avrebbe riscosso il consenso compiaciuto di Rota. Successo vivissi-mo e due bis, con Chopin e Debussy.

Vincenzo Nicola Casulli

Nel Conservatorio di Musica «N. Piccinni» di Bari è giunto alla terza edizione l’interessante Progetto artistico-culturale vertente sulla tematica «L’ombra illuminata. Donne nella mu-sica», a cura di Angela Annese e Orietta Caianiello. Il Proget-to ha previsto quest’anno l’«Incontro con Giovanna Marini», in collaborazione con Stati generali delle Donne, articolato in due giorni, 9 e 10 marzo. Il 9 marzo, alle ore 20.30, presso la Chiesa Santa Teresa dei Maschi, si è tenuto un omaggio mu-sicale alla celebre musicista, cantautrice e ricercatrice etno-musicale e folklorista romana Giovanna Salviucci (coniugata Marini, cognome utilizzato per le produzioni artistiche), con l’esecuzione di musiche dei suoi genitori, entrambi musicisti, Ida Parpagliolo e Giovanni Salviucci, a cura di docenti e allie-vi del Conservatorio. Il 10 marzo, alle ore 18, presso la Casa delle Donne del Mediterraneo (Piazzetta S. Antonio, all’inter-no del Mercato Coperto di Bari), si è tenuto l’incontro con Giovanna Marini.

Tra le produzioni artistico-didattiche di cui sono stati fauto-ri docenti e allievi del Conservatorio barese va segnalata, al-tresì, l’esecuzione in forma di concerto dell’opera «Il Barbie-re di Siviglia» di Gioachino Rossini, a cura degli allievi della classe di canto di cui è docente la prof. Flora Marasciulo, con al pianoforte la docente prof. Adriana De Serio. Il concerto è stato tenuto presso l’Auditorium San Domenico, a Molfetta,

nell’ambito del «Febbraio Lirico 2017» organizzato dal Cen-tro Culturale «Auditorium» con la direzione artistica e la pre-sentazione musicologica della prof. De Serio. Sono stati ec-cellenti protagonisti, oltre che la docente Flora Marasciulo (soprano, nel ruolo di Rosina), e la docente pianista De Serio, gli studenti di canto Antonio Marzano (basso-baritono: Barto-lo), Gianvito Ferilli (tenore: Il Conte D’Almaviva), Duan Wei (baritono: Figaro e Fiorello), Zhang Xuanwei (mezzosopra-no: Berta), Tan Zhanyi (basso-baritono: Basilio), Pietro Nu-gnes (tenore: un ufficiale).

(da pagina 4)

Stefania Brancaccio, Pentagrammi innevati, 2017, pastello, acrilico e pennarello, su cartoncino

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pag. 6 / Febbraio 2017 Pentagrammi

Detti e tradizioni baresi nel libro di Antonella Mininni, edizioni La Matrice

«Decève la nonne»Vincenzo Nicola Casulli

Una raccolta sensibile e intrigante di detti, proverbi e frasi ricorrenti riconducibili ad una grande donna, Maria Damia-ni, madre di otto figli e nonna di oltre quaranta nipoti, che dopo tanti anni continuano ad allietare le riunioni di fami-glia ed a circolare in lungo ed in largo per l’Italia, sino a giungere oltre oceano. Il libro «Decève la nonne. Ce stève la nonne mò… …avèv’a dà la respòsta ggiùste!», di cui è autrice Antonella Mininni, con la preziosa collaborazione di Gian-franco Sciannimanico, Simona Ragonese, Anto-nio Ragonese, Danilo Mininni, Gianluca Mi-ninni, Roberto Mininni e Giovanni Manzari, edito nel 2015 a Bari da «La Matrice», pone al centro della simpatica trattazio-ne le più antiche e veraci tradizioni popolari fami-liari e baresi. Un proposi-to, quello della famiglia, di stigmatizzare per sem-pre, nero su bianco, le accorte parole e l’acuto senno della progenitrice, concretizzato in «decève la nonne». Un omaggio alla saggezza popolare, a quell’inestimabile baga-glio di curiosità e cono-scenze che solo una don-na di tal fatta, nata nel lontano 1892, poteva la-sciare in eredità alla sua numerosa ed allargata fa-miglia. La centralità del-la nonna appare sin dalla copertina, dove è stampata una splendida foto a colori che la ritrae sorridente. La pubblicazione è suddivisa in undici se-zioni tematiche («in cucina; tra il sacro e il profano; donne d’oggi; parentele; titolo senza valore; mamme; animali; par-

ti del corpo; cazze; chi, cosa, dove e quando; …e ancora»), in cui emergono oltre cento detti, «un patrimonio inestima-bile, – scrive Simona Ragonese nell’introduzione – un detto per ogni situazione, per ogni giorno, per ogni avvenimento». Tra gli otto figli di Maria Damiani, «donna di media cultura, figlia di tipografo e grande lettrice di romanzi ottocenteschi in voga a quel tempo», vi è Angela, nonna dell’autrice, colei «che più di tutti ha impresso nella nostra memoria e nel no-

stro bagaglio culturale i detti di sua madre». Per-tanto, «Decève la non-ne», precisa Simona Ra-gonese (cugina dell’au-trice), rappresenta ancor oggi, nella loro estesa fa-miglia, «la frase di rito che precede un detto in grado di spiegare con ‘elegante’ saggezza una situazione in corso». Fo-calizzando comporta-menti e situazioni reali-stiche, i detti sono con-notati da eterna longevi-tà, e quindi costante «at-tualità», in ogni epoca storica, con le loro «me-tafore spesso surreali, as-surde e senza far manca-re mai quel tocco di truce volgarità che ci sorpren-de sempre e ci porta un sorriso o una riflessione. L’obiettivo di questa rac-colta – conclude Ragone-se – è il voler conservare per sempre questa eredità che forse sarebbe desti-nata a scomparire negli anni, e soprattutto per ri-derci un po’ su e per pro-vare a smentire il detto

che diceva la nonna: ‘Nore, scìinnere e nnepute, quànde ne fasce iè ttutte perdute…’».

«Decève la nonne» è un libro soave, dedicato dall’autrice alla figlia Ofelia, a sua madre e a tutti i nipoti, scaturito da una ricerca delle frasi, raccolte prevalentemente dall’autrice, at-traverso le testimonianze dei vari parenti. Molti di questi det-ti appartengono alla tradizione popolare barese, altri sono le-gati a personaggi ed avvenimenti di una Bari del 1800, altri ancora a fatti e persone della famiglia dell’autrice. Di facile e veloce consultazione, il volumetto riesce a divertire e far ri-flettere, e rappresenta una fonte di incommensurabile valore, da cui poter attingere in ogni momento e per ogni occasione. Sessanta pagine che scorrono agilmente fra le dita, regalando spazi di grandissima tensione emotiva, tra i quali è possibile respirare a pieni polmoni affetto, sagacia e lungimiranza. Un libro dell’immedesimazione, dove ogni proverbio è parte in-tegrante del compendio emozionale che ognuno di noi con-serva gelosamente nel proprio bagaglio. Il risultato è una pic-cola gemma da leggere e custodire con cura.

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Pentagrammi pag. 7 / Febbraio 2017

Tesori e crimini della memoria nell’anno 2017 dopo Cristo, in una disperante acrimonia

Bari «sotterranea» fra 55 ipogei,chiese (in fiamme) dal IX al XII sec. e un villaggio neolitico

Manlio Chieppa

Se per l’Italia il FAI coagula energie e raccoglie risorse per il recupero e la valorizzazione dell’ingente patrimonio artistico-ambientale, da noi – stante quel che pubblicizzano – appaiono soltanto barlumi di speranze. Per una politica istituzionale d’in-decoroso livello, che imper-versa persino sotto lo sguardo fiero di due opere scultoree del Cozzoli. Quando si va a profanare il «colonnato» dell’ex Palazzo della Provin-cia (1936, anno XV dell’Era Fascista: Prog, Baffa, Dio-guardi, Chiaia, Corradini), ri-dotto a luogo espositivo per fitrow!

Tant’è, l’attenzione corre al territorio della Bari scono-sciuta, extra-moenia, o il suo agro, popolato da ben 55 siti, fra insediamenti ipogeici, co-struzioni rurali, torri, casali, trappeti, cappelle e chiesine, risalenti fra il IX e il XII se-colo. Che a raggiera si snoda-no comprese fra le nove Lame, che dall’entroterra sfociano a mare: dalla prima a nord, Lama Balice in località Fesca, all’ul-tima a sud, Lama Giotta su Torre a Mare.

È trascorso invano un altro decennio di silenzi e incuria ver-gognosa, aggravando l’enorme degrado di quei giacimenti che suscitarono studi già dagli Anni ’60, con documentazioni scien-tifiche, grafici, rilievi, planimetrie. Affinché si avverassero tu-tele giuridiche e dignità storica ed architettonica da recuperare.

Nel 1985 i Quaderni monografici del Comune di Bari «Bari Extra moenia insediamenti rupestri ed ipogei», Adda ed., pub-blicarono la circostanziata indagine condotta dal Centro Ricer-che sul Territorio, con vari studiosi e ricercatori: Carlo e Franco dell’Aquila, Francesco Carofiglio, Francesco Rinaldi, Nicola Amato, Sergio Leonardi, il compianto Enrico Degano (molti confluiti in un Sistema Museale di recupero, tutela e gestione dei Beni Culturali come Cast, Idria, ArTa) e lo scrivente. Esau-stivi sui tesori sotterranei della città e le sue origini, esposti all’immane assalto barbarico. Se non ingoiati nell’espansione urbanistica, per silenzi scellerati dei preposti a preservare, con le speculazioni di una Bari del mattone e del cemento facili. Che azzarda spazzare con le ruspe finanche un villaggio Neoli-tico di 8000 anni fa, scoperto a Palese, di eccezionale rilevanza (fra i ritrovamenti rari la Dea Madre, 8 sepolture e importanti

materiali; l’archeologo Coppola: farne un parco archeologico). Macché, è solo «una sequenza di pietre»!

Della grande mappa dei siti ci soffermeremo su due. Il pri-mo, l’ex Villa Giustiniani, ch’è la più visibile nell’emergenza di una costruzione semidiroccata ottocentesca, dal colore intri-gante di un rosso pompeiano, nel Quartiere S. Pasquale, sulla

biforcazione di via Omodeo e via Fanelli, apice di un triangolo che termina in uno slargo di terra battuta. Solo l’estate scorsa, sembra sia rientrato nella piena proprie-tà del Comune. Per cui si at-tende che chi in dovere assol-va speditamente a lontani progetti per un Parco Archeologico. Giacché dagli ambienti residui del manufat-to (di circa mq. 200), al di sotto, attraverso un dromos con gradoni scavato nella roccia calcarenitica, superan-do una porta, ci si immette in vari impensabili ambienti ir-regolari (che si ipotizza se-polcreto ebraico), estenden-

dosi sotto tutta l’area, che, in luce, è terra battuta da rinverdire. Si pensò che il villino potesse ospitare un Museo della «Civil-tà rupestre», svolgendo una funzione propedeutica e didattica per il sottostante insediamento.

L’altro ipogeo è sull’antica strada per Bitetto o vicinale S. Giorgio Martire, a mt.100 dal bivio di Strada Glomerelli. Che assume denominazione dalla chiesina medievale dedicata al Santo nell’XI sec. (restaurata maldestramente nel 1920), ad-dossata e parte dell’omonima Masseria (proprietà Eredi Scat-tarelli) risalente al ’700. Un gioiellino, che, sebbene sotto vincolo (!), è sommerso da sterpi e rifiuti immondi, preda di bieco abbandono di chi doveva tutelarlo dalle orrende nefan-dezze! A croce contratta a cupoletta, la cui facciata a conci calcarei ed una serie di arcatelle cieche pensili, riecheggia l’ideale contiguità fra la civiltà d’Oriente e quella occidentale, nella semplicità sobria delle linee e l’eleganza di pochi ele-menti decorativi, nel misurato equilibrio delle sue proporzio-ni. Così il portale arcuato a tutto sesto, ora murato, dopo l’in-cendio criminoso del 2014! Che ha reso illeggibile quei pochi reperti del passato, con l’unica navata che si concludeva con un abside semicircolare estroflesso con i resti affrescati di un Santo oltraggiato. Ogni superficie era ricoperta impropria-mente da decori arabescati in stucco, interessando stipiti, in-

tradossi, arcate, pennacchi e la stessa volta a calotta, mentre le pareti, come nastri di romanico toscano, erano d’in-tonaco marmificato bicolore. Del pavi-mento divelto poche tracce. Non resta più nulla in un antro nero pece! Sgo-menti ci stringiamo in una disperante acrimonia, allontanandoci fra mille pensieri di ribellione in questa città di miserabile rispettabilità!

Manlio Chieppa, Bari, S. Giorgio Martire, sec. XI, disegno acquerellato, 2016, mm. 400x300

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pag. 8 / Febbraio 2017 Pentagrammi

La sfida è guardare al futuro. Con tanta speranza

In mostra nel Castello di Conversano il passato e il suo prestigioso patrimonio

Domenico Roscino

Dopo la recente mostra-evento de «La Città delle Don-ne», ancora in atto e fino al prossimo 31 luglio, nell’Abba-zia di S. Benedetto, allestita a cura dell’Archivio Storico Diocesano, diretto da mons. Angelo Fanelli, in occasione del 750° anniversario della straordinaria epopea delle ben note Badesse Mitrate, a Conversano, iniziata il 3 dicembre 1266 con l’insediamento, su mandato del papa Clemente IV, della prima monaca cistercense Dameta (detta Paleologo per una presunta parentela con l’imperatore di Costantino-poli, proveniente con un gruppo di consorelle dal Pelopon-neso), concluso nel 1810 con l’editto di soppressione da parte del re Gioacchino Murat (che intese porre fine a quel-la vicenda, chiamata sin d’allora Monstrum Apuliae), oggi è doveroso annotare che il nostro complesso monumentale di S. Benedetto ancora una volta stupi-sce, dando vita all’ulteriore pre-stigioso evento-rassegna di teso-ri, con cui si intende perseguire altrettanti interessanti attrazioni pubbliche e private, con notevoli risvolti culturali, turistici ed ac-cademici. Senza mancare, tra l’altro, di sottolineare che, anche e soprattutto agli stessi conversa-nesi, l’attuale nuovo evento con-sente di riscoprire e rilanciare, oltre i propri confini, il ricchissi-mo originale patrimonio religio-so, artistico e culturale, nonché architettonico, dell’intero territo-rio della storica Città medievale. E il tutto attraverso un chiaro progetto culturale, costruito in modo armonioso tra le varie isti-tuzioni locali, tra cui lo stesso Archivio Storico Diocesano, la Curia Vescovile, l’arcipretu-ra della Basilica Cattedrale-S.Benedetto, la sezione Sud-Est della Società di Storia Patria per la Puglia, insieme con il Centro Studi «Marangelli», ed in primis la Civica Ammini-strazione, tutti insieme e fattivamente impegnati ad aprire nuovi orizzonti per la vita comunitaria, capaci di infondere rinnovata spiritualità ed idonea attività di studio e di ricerca ad ogni livello. Così come è stato particolarmente rilevato nella serata inaugurale (svoltasi il 26 gennaio nella sala-convegni del Castello normanno-aragonese, e presentata dal giornalista di TeleNorba, Antonio Lorusso) dai vari inter-venti degli organizzatori della stupenda e unitaria Mostra «Il Tesoro di S. Benedetto», con l’eloquente sottotitolo «Storia, Arte, Devozione e Vita quotidiana nel Monstrum Apuliae», visitabile fino al 31 maggio 2017. Pertanto, re-cando il saluto, il sindaco, avv. Giuseppe Lovascio, si è det-to molto orgoglioso della preziosa rassegna, presentata e costruita con tanti sacrifici e lungimirante determinazione da parte dei vari Enti locali impegnati nel lavoro di ricerca e di sostegno (anche in collaborazione con l’Università e il Politecnico di Bari), che ha riguardato la parte archivistica e

storico-artistica conservata soprattutto nella Chiesa di S. Benedetto, i cui interventi di restauro, insieme a quelli dell’annesso antico monastero benedettino, stanno per ter-minare, consentendo finalmente di «regalare» al pubblico un «patrimonio riscoperto» veramente affascinante, dislo-cato in ambienti diversi, con opere di differente natura ma tutte collegate tra loro dal fattore unicità. Sono quindi segui-ti gli interventi del Vescovo della Diocesi di Conversano-Monopoli, mons. Giuseppe Favale, e dell’arciprete della Cattedrale e responsabile della Rettoria di S. Benedetto, don Felice Di Palma. Il Presule, in particolare, si è soffermato sui segni e sugli oggetti preziosi (argenti, paramenti sacri, pergamene, dipinti inediti, insieme ad altri di noti artisti, come Paolo Finoglio, Carlo Rosa, Nicola Gliri, antichi alta-ri, ecc.), raccolti nella mostra, e pure in uno specifico ele-

gante catalogo (Edizioni Gliri); nel corso dei secoli, tali oggetti preziosi sono stati utilizzati per il culto e, pertanto, – ha aggiunto – «durante la quotidiana visita espositiva, la loro finalità non può che essere interpretata come una visita alle radici della fede». L’arciprete Di Palma, da parte sua, dopo aver sottolineato l’effi-cacia solidale della «rete» costi-tuitasi per l’occasione tra i vari Enti ed Associazioni locali, ha rinnovato il suo appello invitan-do tutti i conversanesi a «contri-buire a salvare S. Benedetto per restituire quanto prima possibile l’antico tempio, completamente restaurato, al culto, alla cultura, alla scuola e al turismo». È toc-cato, infine, al prof. Vito L’Abba-te, il coordinatore e l’animatore organizzativo della mostra, an-

che in qualità di responsabile della Sezione conversanese della Società di Storia Patria per la Puglia, di illustrare pun-tualmente il percorso della rassegna, che si articola in due distinti settori (uno all’interno delle sale del Castello e l’al-tro tra le antiche mura della Chiesa e del monastero di S. Benedetto), e che vede esposti oltre 130 «pezzi d’opera» di rilevante valore artistico, oltre che storico, alcuni dei quali per la prima volta portati all’attenzione del pubblico, fra cui i pregiati settecenteschi ricami in oro e seta (risalenti ai se-coli XVII-XIX) della splendida veste della Madonna del Rosario, ed alcune particolarità esclusive dell’antico ceno-bio benedettino. In sintesi, è stato detto, «l’approccio alla Mostra sarà quello di una passeggiata nel tempo per ammi-rare bellezze architettoniche, pennellate sorprendenti, mo-nili preziosissimi ed originali come la mitra, il pastorale e il trono delle Badesse, le mappe degli antichi possedimenti fondiari fino agli aspetti interni della vita quotidiana mona-stica, e tutte le altre opere, che oggi ci son date ancora d’am-mirare per avere un’idea della ricchezza e della magnificen-za del Monstrum Apuliae». Dunque, un esplicito invito alla visita della mostra, da non perdere.

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Pentagrammi pag. 9 / Febbraio 2017

Agricoltura 4.0 e innovazione:un incontro al Politecnico di Bari

Per non dimenticare: la storia dell’umanità nel Giorno della MemoriaVincenzo Nicola Casulli

«Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo.» La frase, che si trova incisa in trenta lingue su un monumento nel campo di concen-tramento di Dachau, sottolinea l’im-portanza del ricordo, con la funzione esegetica di evitare che l’uomo, talvol-ta feroce e brutale, possa ripetere errori drammatici per la sua storia. In tale prospettiva si innesta il «Giorno della Memoria», ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto. Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, im-pegnate nell’offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. L’apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di an-nientamento utilizzati in quel lager na-zista. La data scelta in ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico e non solo, è indicata quale data uffi-ciale agli stati membri dell’ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º no-vembre 2005. L’Italia ha formalmente istituito la giornata commemorativa, nello stesso medesimo giorno, alcuni

anni prima della corrispondente risolu-zione delle Nazioni Unite: essa ricorda le vittime dell’Olocausto, delle leggi razziali, e coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere i perseguitati ebrei, nonché tutti i depor-tati militari e politici italiani nella Ger-mania nazista. Il Giorno della Memo-ria è stato ricordato con eventi in tutte le principali città italiane: infatti a Roma si sono alternate manifestazioni sportive, cinematografiche e musicali, con la quarta edizione del concerto commemorativo, nell’Auditorium Par-co della Musica, mentre a Milano, il 26 gennaio, il concerto commemorativo si è tenuto presso la Sala «Verdi» del lo-cale Conservatorio; a Napoli, invece, il programma ha previsto incontri pub-blici e iniziative culturali, tra cui l’ot-tava edizione di «Memoriae», presso il Teatro Trianon. Manifestazioni com-memorative e conferenze si sono svol-te in tutto il Paese, con l’intervento di personalità della politica e della cultu-ra, impegnate a ricordare l’importanza della giornata della memoria. Il Presi-dente della Repubblica ha invitato ad «esprimere la nostra riconoscenza, profonda e convinta, per quei reduci dei campi di sterminio che ancora oggi ci raccontano e ci tramandano l’indici-bile sofferenza patita», ed ha aggiunto che «Rammentare e onorare i tanti giu-sti, le tante azioni eroiche, non cancel-

la, tuttavia, le colpe di chi, anche in Italia, si fece complice dei carnefici per paura, fanatismo o interesse». Papa Francesco, durante l’incontro con una delegazione dell’European Jewish Congress, ha menzionato «questa gior-nata importante per gli ebrei, ma anche per noi, perché ricordare le vittime dell’Olocausto è importante affinché questa tragedia umana non si ripeta più». Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha esplicitato il proprio pen-siero su Facebook, ribadendo che «Un essere umano, la cui unica colpa era quella di non essere ‘ariano’, veniva considerato alla stregua di un rifiuto da smaltire, di un pezzo di una folle e spietata industria della morte. La Shoah è stata questo: un’atrocità diffi-cile anche solo da immaginare, che ha umiliato l’umanità nella sua intimità e lasciato segni indelebili di dolore e sofferenza. Non dobbiamo dimentica-re. Mai». Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, su Twitter, ha rilan-ciato l’hashtag #Giornatadellamemo-ria, aggiungendo che è assolutamente necessario «non dimenticare l’Olocau-sto, ricordare le terribili lezioni del ‘900, alimentare le ragioni della nostra libertà». Ricordare vuol dire crescere, progredire, ricordare vuol dire cono-scere, volere, saper affrontare in ma-niera critica la storia e la realtà. Per non dimenticare.

Donato Forenza

Si è svolto, presso il Politecnico di Bari, un Seminario di informazione e aggiornamento sulle tematiche interdiscipli-nari di «Agricoltura 4.0». Nella manifestazione, Vittorio Marzi, Presidente dell’Accademia dei Georgofili sezione Sud-est, ha curato l’introduzione di tematiche afferenti alle complesse attività relative alla programmazione regionale per l’innovazione ed il trasferimento tecnologico nel settore agricolo, alimentare e forestale. Notevole importanza inter-disciplinare ha rivestito la mirabile relazione di Eugenio Di Sciascio, Rettore del Politecnico di Bari, su «Le nuove tecno-logie per le sfide del prossimo futuro: l’Agricoltura 4.0», che ha illustrato con chiarezza assiomatica le interconnessioni strategiche tra i differenti settori interattivi per l’ottimizza-zione di risorse ambientali, energia e saperi, nel contesto del-la progettazione integrata e dell’evoluzione dell’informatica applicata ai processi produttivi ed ergonomici. Ha fatto se-guito la ricca presentazione di Luigi Trotta, dirigente della sezione competitività delle Filiere Agroalimentari della Re-gione Puglia, su «La Puglia che verrà. La roadmap regiona-

le per l’innovazione ed il trasferimento tecnologico nel setto-re agroalimentare», che ha ampiamente trattato le differenti fasi programmatiche dei settori interagenti ed ha evidenziato le numerose attività, le poliedriche collaborazioni, i vasti e fruttuosi progetti che dovranno essere implementati sul terri-torio della Puglia, soffermandosi sulle interessanti prospetti-ve del settore agroalimentare pugliese. L’evento del Poli-tecnico ha riscosso particolare riscontro, e si è svolto con la partecipazione di esperti del settore. Il nostro periodico Pen-tagrammi auspica che da questo incontro possa enuclearsi una nuova interconnessione tra i saperi e l’innovazione. Sono almeno tre i fattori che caratterizzano la quarta rivoluzione: big data (potenza di elaborazione di grandi masse di dati); open data (condivisione dati); internet of things (intercon-nessione e gestione di sistemi attraverso una rete globale). La quarta rivoluzione «Agricoltura 4.0» riguarda l’evoluzione dei sistemi informatici, con l’uso della rete internet e l’inte-razione tra sistemi fisici e digitali. Le interconnessioni e l’analisi di grandi disponibilità di dati, e la loro flessibilità applicativa, permettono l’impiego di sistemi intelligenti in reti della globalizzazione.

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pag. 10 / Febbraio 2017 Pentagrammi

L’EURORCHESTRA C’È!

Perché Sanremo è Sanremo?

Francesco Scoditti

«L’Eurorchestra c’è!»: riparte, se pur in ritardo, la diciassette-sima stagione concertistica dell’Eurorchestra da Camera di Bari, e lo fa all’insegna di questo significativo titolo che, se da un lato intende rassicurare il fedele e affezionato pubblico dell’ormai longeva istituzione barese guidata con giovanile entusiasmo dall’inossidabile coppia Lentini-Montemurro, dall’altro è un’or-gogliosa rivendicazione, rivolta alle sempre più insensibili am-ministrazioni pubbliche, di un percorso artistico e musicale che sicuramente ha inciso sulla qualità culturale della nostra città. L’Eurorchestra, in questi diciassette anni, ha sostenuto la crescita musicale del pubblico locale e di tutto il territorio regionale, at-traverso iniziative di ampio respiro, tese a diffondere il grande patrimonio musicale e soprattutto la grande vitalità artistica dei musicisti pugliesi. Ricordiamo le passate collaborazioni con so-listi del panorama internazionale, la fortunata tournée in Francia e Svizzera, la partecipazione alla Via Crucis per il XXIV Con-gresso Eucaristico Nazionale, la riuscita collaborazione con l’Associazione «Parnaso Donne in Musica», i concorsi dedicati ai giovani interpreti, e il Premio Parnaso in Musica, destinato alle più importanti personalità del mondo musicale internazionale. In sostanza, l’orchestra barese ha ormai al suo attivo un curriculum corposo, che la rende indiscusso punto di riferimento per gli amanti della musica di qualità.

A riguardo, il concerto inaugurale, tenutosi presso la sede «sto-rica» del Salone delle Feste dello Sheraton, ha inteso volutamen-te proporre un momento artistico «riflessivo», una sorta di medi-tato omaggio alla pace nel mondo, con una forte impronta cultu-rale sottolineata da brani inusuali e soprattutto da letture di testi importanti, emotivamente coinvolgenti. La voce penetrante e sofferta di Alberto Rubini e il timbro nostalgico di Paola Martel-li hanno contrappuntato le musiche con brani di Brecht, Andrade,

De Luca, Turoldo, raccontando storie di rifiuti, di fanciulli, acco-glienza e sensibilità femminile verso la sofferenza, sempre con estrema attenzione alla parola, sentita come amplificazione del suono strumentale. In sintonia con questo percorso culturale, sono stati selezionati ed eseguiti brani caratterizzanti e adeguati al clima della serata, come la composizione iniziale «Fratres» di Arvo Pärt che, secondo lo stile dell’autore, rispecchia quello che è stato definito mirabilmente «minimalismo sacro», basato su sonorità elementari e trasparenti. A seguire, la nota «Pavane pour une infante défunte» di Ravel, con quel suo andamento «nobile e trattenuto», ancor più esaltato nella sua morbidezza timbrica dal-la direzione intima e attenta ai colori di Francesco Lentini. Una bella sorpresa della serata poi è stata l’esecuzione dell’«Adagio» del belga Lekeu, composizione mirabile che denota una notevole sapienza compositiva nell’uso intensamente romantico, quasi mahleriano, degli archi, con splendidi soli affidati alla brava vio-loncellista Anila Roshi e all’esperta spalla dell’orchestra Diomi-ra Fiore. Dopo l’elegante e paradisiaca partitura di Gluck «Danza degli spiriti beati», il concerto ha offerto un’altra intensa partitura di Angela Montemurro, un brano acceso, corposo, drammatica-mente caratterizzato che, come gran parte delle composizioni della prolifica autrice barese, denota un carattere teatrale, narrati-vo, un’«Ave Maria» ispirata, affidata alla voce interessante di Angela Lomurno, soprano dal timbro espressivo, perfettamente a suo agio nel rendere la difficile partitura ricca di arditi cambi di registro. Infine, quasi un messaggio di speranza e di pace, la lu-minosa Serenata «Eine Kleine Nachtmusik», che, diretta con il solito coinvolgimento da Lentini, ha dimostrato la matura qualità degli strumentisti dell’Eurorchestra e la vivacità del loro timbro strumentale, sottolineata da applausi e richieste di bis da parte del pubblico, accorso numeroso nonostante le concomitanze televi-sive e teatrali. Era necessario ripartire, e lo si è fatto. Nel miglio-re dei modi.

Vincenzo Nicola Casulli

È stato un successo, di pubblico e di cri-tica, pur con qualche inevitabile diatriba. La serata finale del Festival di Sanremo, con uno share che ha superato il 50%, ha segnato il trionfo di Carlo Conti e Maria De Filippi, e ha visto la consacrazione di Francesco Gabbani con «Occidentali’s Karma», motivetto accattivante, accom-pagnato da una coreografia contrassegnata dalla danza di una scimmia. È stato un Fe-

stival delle sorprese, della riflessione, del ricordo delle vittime del terremoto in Abruzzo e della valanga che ha travolto l’hotel Rigopiano, delle testimonianze sui rischi che si nascondono nel web, del giu-sto tributo riservato agli eroi silenziosi (Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine, vo-lontari), sempre pronti a fronteggiare i di-sastri e le calamità. Il livello qualitativo della musica ha oscillato fra le varie can-zoni. Fiorella Mannoia è stata la regina indiscussa di questo Sanremo 2017, il suo brano ha conquistato la critica e anche il pubblico, sebbene quest’ultimo abbia pre-ferito la melodia del collega Gabbani. «Che sia benedetta», quindi, ha conquista-to il secondo posto della classifica genera-le, con al primo posto un brano decisa-mente radiofonico, orecchiabile, che ascolteremo e balleremo per i prossimi mesi. Le carte in regola per essere una hit ci sono tutte: originalità, freschezza, co-reografia accattivante, spensieratezza. Molto bene anche Ermal Meta, che si è classificato terzo, e ha visto finalmente ri-conosciuto il proprio talento, sia come au-

tore sia come cantante, che lo ha portato a vincere il Premio della Critica con il brano «Vietato morire». Questo Festival è stato anche all’insegna delle polemiche inne-scate da Gigi D’Alessio, eliminato nella quarta serata, in merito alla composizione della giuria, troppo «social» e orientata verso un «certo tipo» di musica. Un’altra fragorosa eliminazione è stata quella di Al Bano, escluso con il suo brano «Di rose e di spine», che ha, comunque, portato a casa il riconoscimento per il «Migliore Ar-rangiamento». Le nuove frontiere della comunicazione di massa hanno avuto un sicuro peso nel determinare la classifica finale, e ciò ha creato qualche malumore, per cui qualcuno ha chiesto che ci sia mag-giore «protezione» nei confronti di artisti di lunga carriera che accettano di tornare a sfidarsi con altri colleghi più giovani. Tut-to ciò rientra nel fascino indiscusso del Festival di Sanremo che, giunto alla ses-santasettesima edizione, conserva intatto il suo carisma e catalizza l’attenzione di tutti i media. Questo perché? Perché Sanremo è Sanremo!

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Pentagrammi pag. 11 / Febbraio 2017

Ottavo centenario dell’Ordine dei Frati Domenicani

Vero o verosimile …

Attenzione al web!Mary Sellani

A fine novembre 2016, la Presiden-te della Camera Laura Boldrini ha lanciato l’allarme contro la disinfor-mazione che danneggia tutti, per cui ha dichiarato che le fonti vanno sem-pre controllate e, se occorre, vanno subito smentite. Le cosiddette «bufa-le» non sono una novità dei nostri anni, ma di sicuro il web ne ha reso più veloce e più vasta la diffusione. Una volta pubblicata in rete, poi, una falsità o una calunnia rimane lì, e non è raro che notizie inverosimili venga-no riproposte a distanza di anni, atti-

rando ogni volta un impressionante seguito di creduloni, specialmente i ragazzi. Infatti un recente studio dell’Università di Stanford, in Cali-fornia, ha dimostrato che anche gio-vani e giovanissimi vengono abbin-dolati da chi, per un motivo e per l’altro, vuole confondere le idee al prossimo. I social network, in parti-colare, sono un terreno minato, per-ché molti ragazzi non sono in grado di distinguere tra pubblicità e infor-mazione. E così, se vedono apparire le dichiarazioni di un fantomatico «esperto finanziario» che suggerisce un piano d’investimenti agli studenti

delle superiori, essi corrono dai geni-tori per convincerli ad aderire. Oppu-re, davanti alla foto di un gattino nato con una malformazione, sono pronti a sostenere che si tratta delle conse-guenze di un incidente nucleare, a prescindere dal fatto che nulla venga spiegato del luogo e del momento in cui l’immagine è stata scattata. Le cose non cambiano con parodie e pre-se in giro varie: per esempio, alcuni giovanissimi non sono in grado di co-gliere la differenza tra la vera pagina Facebook di una rete televisiva e quella finta realizzata da un buontem-pone.

Felice Laudadio

«Sull’esempio del fondatore Domenico di Guzman, i frati predicatori, conosciuti come Domenicani, predicano e operano, fedeli alla missione dell’Ordine, il servizio del Vangelo.» Con questo semplice ma efficace «biglietto da visita», l’assessore regionale al welfare Salvatore Negro presenta la pubblicazione di padre Giovanni Distante, «Mendicanti della Verità. Riverberi di predicazione dome-nicana nel meridione d’Italia (2005-2009)», pubblicato a settembre 2016 dalle edizioni Levante di Bari. Da sindaco di Muro Leccese, l’arch. Negro ha conosciuto padre Di-stante nel 1995, in occasione di una delle tante visite al complesso domenicano di Muro del già priore della comu-nità domenicana di San Nicola a Bari e Rettore della Basi-lica Nicolaiana dal 1993 al 1999. L’importante edificio conventuale, con altri diciotto ex-conventi e chiese, è faro di evangelizzazione della cultura ecclesiale nel Salento, oltre che gioiello del patrimonio architettonico religioso salentino. I primi frati si insediarono in Terra d’Otranto agli inizi del XIV secolo, e la fiducia e la devozione delle popolazioni consentirono loro di superare indenni gli ef-fetti delle leggi soppressive napoleoniche del 1806-1809, e l’impatto con il laicismo politico e storico, all’atto dell’unificazione italiana ad opera dei Savoia. Il libro è una raccolta di scritti, realizzati in un quadriennio, sulla predicazione domenicana nel Sud, pubblicati nella ricor-renza dell’ottavo centenario della fondazione dell’Ordine nella Chiesa cattolica (1216-2016): un evento giubilare, fa notare sempre Negro, «che coincide felicemente con il 50° anniversario della prima professione» di padre Gio-vanni (1966-2016). Il titolo deriva dal richiamo al caratte-re libero della catechesi dei confratelli di Guzman: il frate domenicano è predicatore e come tale è un «mendicante di verità».

Da padre Distante si apprende che il particolare caratte-re itinerante della predicazione ha portato ad inglobare i conventi domenicani all’interno delle mura di una città, sebbene collocati in prossimità dell’esterno. Il contatto di-retto con il mondo «laicale», soprattutto universitario, ha permesso all’Ordine di intravvedere anche la cooperazio-

ne di «laici predicatori a servizio della Verità», scrive, una sfida «laica» che si ricollega alle origini della «Santa Predicazione» originale.

In conclusione della prefazione, Totò Negro cita oppor-tunamente papa Francesco, nel ricordare che l’Ordine, nei suoi 800 anni di vita, ha donato alla Chiesa e al mondo «uomini e donne di fede e di lettere, contemplativi e mis-sionari, martiri e apostoli della carità, che hanno portato ovunque la carezza e la tenerezza di Dio».

Per le edizioni Levante, fucina barese di novità, sia sul piano dei contenuti e della proposta letteraria o saggistica, sia per gli aspetti tecnici, è stato pubblicato un libretto di poesie (80 pagine in 17x12 cm), con due copertine, due autori e due sillogi poetiche in una sola rilegatura. Un li-bro in due, o meglio due libri in uno. È una novità dei Quaderni del Ventaglio, la collana di poeti contemporanei a cura di Lucia ed Emilio Coco. Da una parte, «Schegge di Es», raccolta di poesie di Anna Brucoli. Rovesciando e capovolgendo il volumetto, ecco «Marta», antologia di Felice Coviello. Due poeti postelegrafonici, detto senza alcuna ironia, perché entrambi sono dipendenti di Poste italiane. Anna Brucoli, barese, sceglie spunti e sviluppa ispirazioni che le consentono di esprimere spontaneità e semplicità del carattere, che la portano ad una continua sorpresa anche per le cose semplici. Ha pubblicato sui «Quaderni del Gruppo Interventi Culturali», e recita nella Compagnia «Puglia Teatro» di Bari. Coviello, bitontino, autodidatta, impiegato postale, dipinge e scrive poesie, ed è al debutto letterario. Come nei quadri, cerca la massima sintesi per esprimere le sue emozioni: gli basta spesso una manciata di parole, in due o tre versi, nelle sue ventisette poesie.

Una citazione merita, infine, la pubblicazione puntuale, di Levante editori, – in barba alle difficoltà di genere eco-nomico e redazionale che con l’andare del tempo sembra-no moltiplicarsi piuttosto che ridursi – della Rassegna di studi storici «Risorgimento e Mezzogiorno», dell’Istituto per la storia del Risorgimento, Comitato di Bari. Con i suoi approfondimenti, articoli e contributi su svariati temi dell’Ottocento e del Novecento, è giunta all’anno XXVI, numero 51/52, del dicembre 2016.

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pag. 12 / Febbraio 2017 Pentagrammi

AFRICA AUSTRALETerra dai mille contrasti

con affascinanti bellezze naturaliOronzo Scelzi

Terra di affascinanti bellezze naturali, l’Africa del Sud comprende gli stati di Sud Africa, Namibia, Botswana, e Zimbabwe, che offrono ampi paesaggi, maestose montagne, grandi città, deserti, savane, coste dalla bellezza vertiginosa, parchi e immense riserve naturali, popolati da ogni specie di animali. I paesi dell’Africa australe sono stati oggetto, in quest’ultimo decennio, di un grande sviluppo turistico: il Sud Africa, un tempo destinazione elitaria, si è aperto alle fasce di clientela più giovane e dinamica, e costituisce oggi una valida alternativa ad un viaggio negli USA o in Australia. Il Sud Africa si trova all’estremo sud del continente africano, un paese dalle contrastanti meraviglie, una terra dove l’incontro fra due correnti d’acqua e d’aria, una calda da est e una fredda da ovest, ha dato origine a variegate realtà climatiche, zoolo-giche e geologiche. Il suo meraviglioso paesaggio è formato da alte montagne che si alternano a verdi distese, da un deser-to magico ed antico come il mondo, dalla savana ricca di ani-mali, da foreste maestose, e da scogliere e spiagge che si specchiano in oceani ricchi di vita marina. Il sottosuolo è ric-co di oro, diamanti e pietre preziose; inoltre questo è un paese che ospita un caleidoscopio di popoli e culture. Lo slogan dell’Ente del turismo sud africano racchiude perfettamente l’essenza della nazione: «Il mondo in un solo paese». Chi vi-sita questo paese rimane sempre colpito da un’attrazione ma-gnetica, il famoso «mal d’Africa», più che giustificato se rap-portato agli scenari offerti dalla regione più australe del «Continente Nero». La repubblica Sud Africana si estende su un territorio dieci volte più vasto dell’Italia. Le sue città sono vere e proprie metropoli, con ampie strade, negozi per uno shopping raffinato e simpatico, mezzi di trasporto efficienti, strutture ospedaliere con medici preparatissimi; realtà tecno-logiche molto avanzate vengono affiancate ad una natura sel-vaggia e ricca, che offre tutto il suo splendore in numerosi parchi e riserve naturali.

Il viaggio che consigliamo comincia da Cape Town, dopo un comodo volo di circa 10 ore. L’atmosfera magica di questa città si rivela già all’arrivo. Città del Capo fu fondata per es-sere il punto di rifornimento della Compagnia delle Indie, per le navi dirette verso Oriente. È sovrastata dalla Table Mountain, raggiungibile in funivia e dalla cui cima si gode un panorama straordinario. Oltre alla visita della città, consiglia-mo di passare alcune ore nella zona turistica di porto Victoria e Alfred Waterfront, con il nuovo acquario; inoltre da non per-dere sono le escursioni all’isola delle foche, alla regione dei vigneti del capo, e alla penisola del Capo di Buona Speranza, per poter assistere all’incontro dei due oceani: Atlantico ed Indiano.

Johannesburg è una moderna metropoli con oltre due milio-ni di abitanti, ed è il principale centro commerciale e finanzia-rio del paese. Il viaggio continua, e tra Mossel Bay e Port Elizabeth si snoda la famosa Garden Route, tratto di costa affascinante, che si può definire senza dubbio la capitale dell’allevamento degli struzzi. Il top del viaggio è comunque la visita al Parco nazionale Kruger e alle numerose e ben or-ganizzate riserve private. Il parco Kruger si estende su un’area di oltre 19.000 kmq lungo il confine con il Mozambico; è uno

dei parchi africani più estesi, con centinaia di specie, tra le quali «Big Five», le cinque specie animali più pericolose (ele-fante, leone, leopardo, bufalo e rinoceronte).

Al confine tra Zimbabwe e Zambia si trovano le spettacola-ri Cascate Vittoria, maestoso spettacolo del fiume Zambesi che, in un rombo incessante, si tuffa verso il basso in un salto di quasi 100 metri. Le cascate si possono ammirare da due diversi versanti, ma chi non si accontenta soltanto di ammi-rarle può praticare numerose attività: dalla minicrociera sul fiume Zambesi, alla visita del villaggio africano con spettaco-lo di danze tribali.

Se si vuol vivere il grande fascino dei deserti è d’obbligo visitare la Namibia. La Namibia è riconosciuta come «la gem-ma d’Africa», ed è una delle più giovani realtà Africane. Ha una superficie quasi tre volte quella dell’Italia, questo paese, che ha acquisito l’indipendenza nel 1990; tutti i ritmi sono più tranquilli, merito forse degli incredibili panorami che circon-dano i Namibiani. Questo è un paese di irresistibile bellezza, capace di offrire sensazioni di spazi infiniti, e un viaggio in Namibia è senza dubbio il più completo ed eccitante nella vita di un viaggiatore. I grandi orizzonti suscitano un sentimento di libertà e suggestione, in un contesto di paesaggi contrastati da colori unici. Inoltre, le diverse razze che popolano il paese creano un’interessante miscela di culture e tradizioni africane ed europee. Famosa per i suoi paesaggi contrastanti, com-prende il desolato deserto del Namib, con le sue incredibili dune che si spostano di alcuni metri all’anno, e il suo altopia-no centrale caratterizzato da una savana con vegetazione spi-nosa e montagne brulle, che danno vita al Fish River Canyon. Al nord, i paesaggi variano, da una vegetazione rigogliosa ad immensi spazi, tipici del parco Etosha. Inoltre è possibile sco-prire orme di dinosauri, arte rupestre preistorica, antiche pian-te fossilizzate, che testimoniano il trascorso geologico di que-sta terra senza tempo. Il tutto è incorniciato da un limpidissi-mo cielo che di notte offre uno spettacolo unico, con migliaia di stelle che brillano illuminando un paesaggio da fiaba, e, spesso, ci si chiede se non ci si trovi su un altro pianeta.

Un viaggio unico e affascinante che non deve mancare nel bagaglio del vero viaggiatore.

Foto di Oronzo Scelzi