Riassunti Orestano - Il Problema Delle Persone Giuridiche in Diritto Romano

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RICCARDO ORESTANO IL PROBLEMA DELLE PERSONE GIURIDICHE IN DIRITTO ROMANO

CAPITOLO I PREMESSE La giurisprudenza romana non ha formulato il concetto di persona giuridica che di stampo moderno. Con questo concetto si designano unioni di uomini, di beni, o di funzioni ai quali in un determinato ordinamento possibile attribuire diritti, obblighi, poteri. Questo tipo di condizioni concrete: situazioni, si trovano gi formulate nel diritto romano. La presente indagine ha pertanto lo scopo di individuare come fossero previste analiticamente. Per orientarci meglio nel sistema antico ci si avvarr dei dati reali, di fatto che testimoniano dell'attivit e delle finalit dei raggruppamenti umani, dei dati normativi; e quindi delle norme atte a disciplinare questi fenomeni giuridici e dei dati speculativi, cio in che modo la scienza del diritto nei vari temi e luoghi ha concettualizzato questo fenomeno. L'autore avverte subito che non facile usare metodi speculativi che, pur sforzandosi di analizzare il problema dal punto di vista dell'esperienza antica, hanno finito per proiettare concetti moderni ad un contesto diverso. E' bene quindi partire dalla convinzione che non dobbiamo analizzare un istituto confinato giuridicamente, ma un certo gruppo di situazioni al quale dobbiamo noi sforzarci di dare un significato.

CAPITOLO II PERSONA E PERSONE GIURIDICHE NELL'ETA' MODERNA SUL TERMINE PERSONA DALLE FONTI ROMANE AL XVI SECOLO Il diritto romano usa frequentemente il termine persona ma senza alcun significato tecnico, bens come maschera teatrale, quindi come parte da sostenere, per poi farla equivalere a uomo. Solo in alcuni testi post-classici esprime capacit giuridica, ma non in Giustiniano. Nell'esperienza della Glossa la persona non considerata come entit astratta; nell'esperienza canonistica che si configura come entit unitaria: l'universitas come personae fictae, come costruzione intellettuale. L'umanista Duaren applica il termine persona sia alle universitates, sia ai suoi componenti: concetto unitario di personalit giuridica. Nel XVI sec. si assiste al tentativo di chiarire il rapporto naturalistico dell'uomo come soggetto fisico e il concetto giuridico uomo come persona. Vi sono degli Umanisti che tendono a cogliere le nozioni che i Romani avevano dell'uomo: - come essere naturale - come destinatario di uno status (nesso tra condicio personae e trattamento giuridico). Nel XVIII, sotto la spinta ideologica dell'individualismo giusnaturalistico, si fece coincidere lo status hominis naturalis e lo status hominis civilis, cio la nozione di uomo come dato naturalistico e la nozione di uomo in senso giuridico, per cui ogni uomo sarebbe portatore di diritti soggettivi che riflettono la sua volont come dato della sua personalit, per cui tutto rapportato al singolo individuo, le stesse norme non creavano pi nulla, ma si adattavano ad attuare i diritti, considerati come preesistenti e quindi indipendenti dalle norme stesse. Per cui si passa da una concezione essenzialmente oggettiva del diritto ad una soggettiva, ci si realizz nelle costruzioni della Pandettistica tedesca tra la fine del XVIII e il XIX secolo. Il subiectum iuris non era pi sottomesso ad una regolamentazione oggettiva, ma un essere che di per s aveva gi i diritti; si diceva che l'unico soggetto era l'uomo, allora come si potevano regolare le altre situazioni? Due erano le vie d'uscita: - o mantenere l'uomo in un ruolo centrale ed esclusivo per il diritto, per cui tutti gli altri soggetti si ponevano come figure artificiali, intellettuali, pensati dallo stesso uomo, ma diversi da esso: - o dimostrare che anche questi soggetti potessero avere un'esistenza autonoma e una volont altrettanto reale. Da queste due alternative sono nate due teorie: la teoria della finzione e la teoria della realt.

LA TEORIA DELLA FINZIONE Fu elaborata da Savigny: senza la volont dello Stato non si avrebbero persone giuridiche quali soggetti di diritto

divisi in corporazioni con un substrato personale, in fondazioni la cui esistenza basata sullo scopo, solo il singolo uomo capace di diritti. (2 meta del diciannovesimo secolo). Il Puchta raggrupp le varie figure di persone giuridiche sotto l'unico concetto di universitates, distinguendole poi in universitates personarum aventi un substrato di persone e universitates rerum cio le fondazioni che come substrato hanno un complesso di beni. Con la teoria della funzione si veniva a determinare un diritto costruito in funzione dell'individuo e dei suoi diritti, infatti era appunto all'individuo che venivano assimilate attraverso un sistema di finzione queste figure. Ma mentre per le concezioni pi antiche pi antiche la fictio che poneva le universitates era una creazione intellettuale della scienza giuridica (glossa), per il Savigny la fictio era uno strumento tecnico di cui poteva disporre solo il legislatore, e si imponeva come dato reale in quanto escogitato dal legislatore. Gli ideali individualistici del XVIII sec. cui aderiva lo stesso Savigny guardavano con poco favore a questi gruppi cd. intermedi, per questo li avevano ridotti a mere figure di diritto privato, subordinati al riconoscimento da parte dello Stato. Non a caso di questa teoria della finzione si serviranno le dottrine statalistiche del XIX sec. per giustificare le loro tendenze assolutistiche miranti a risolvere tutto il diritto nella mera volont dello Stato.(riconoscimento natura costitutiva da parte dello Stato).

TEORIA DELLA REALTA' La teoria della realt che ha come principale portavoce Otto von Gierke, considera le persone giuridiche come organismi naturali (teoria organica), in quanto dotate di una loro natura giuridica, senza bisogno quindi di ricorrere ad analogie o a finzione. Naturalmente per considerarle come soggetti reali fu necessario valorizzarne l'elemento del sbustrato personale: l'individuo inserito in gruppi sociali per il raggiungimento di scopi, perci l'ente collettivo non si pu pi considerare un'astrazione nei confronti dall persona fisica. La rilevanza giuridica delle persone giuridiche non necessita pi di un riconoscimento formale, in quanto esse hanno gi una loro esistenza. Per cui per la teoria della realt il riconoscimento da parte dello Stato avrebbe una natura meramente dichiarativa, al contrario per la teoria della finzione tale riconoscimento avrebbe una natura costitutiva. (non sempre volont dello Stato). La critica che ad entrambe le dottrine si pu fare che esse vollero dare un'unica definizione a tutte le diverse situazioni rapportabili alla nozione di persona giuridica; cos la teoria della finzione dovette ammettere che accanto a situazioni fittizie, ve ne fossero alcune pre-statali: le comunit, i villaggi, le citt, per cui non sempre queste situazioni nascevano per volont dello Stato in quanto per se stesse esistenti. La teoria della realt, invece, avendo riguardo soprattutto ai fenomeni corporativi, limita moltissimo le fondazioni.. Per cui alcuni sostenitori della stessa teoria finirono per ammettere tale proposito la finzione.

ALTRE PROSPETTIVE Vi furono altre teorie che tentarono di studiare le persone giuridiche indipendentemente dal sbustrato con il quale venivano identificate per pervenire ad una costruzione unitaria comprensiva delle diverse situazioni. Teoria del patrimonio allo scopo: il solo soggetto l'uomo, le persone giuridiche sono solo dei patrimoni destinati ed appartenenti allo scopo (personificazione allo scopo). Teoria della volont: la realt composta da soggetti fisici e giuridici che sono entrambi soggetti di diritto, in quanto l'unico comun denominatore la volont. Con questa teoria si porta alle estreme conseguenze le concezioni del diritto soggettivo come signoria della volont. Teoria dell'organizzazione: ha posto l'accento sul substrato organizzativo personalistico (nell'associazione) o patrimoniale (nella fondazione) e l'organizzazione vista come soggetto di diritto e di volont. LA PUBBLICIZZAZIONE DELLA PROBLEMATICA DELLE PERSONE GIURIDICHE E LE SUE CONSEGUENZE Inizialmente, quando si pose la nuova concezione del soggetto di diritto e dei suoi diritti soggettivi, il problema delle persone giuridiche fu visto solo dal punto di vista del diritto privato, come d'altronde fu in questo versante che si venne costruendo la nozione di soggetto di diritto; abbiamo detto, infatti, che nella esasperata ricerca della liberazione dell'individuo le figure intermedie erano viste con sospetto, per cui le si doveva confinare in un campo che non avesse nessun rilievo pubblicistico. Il Savigny infatti nega aspetti pubblicistici alla nozione della personalit giuridica e che anzi il concetto di persona giuridica si limitava ai soli rapporti e diritti patrimoniali. Ma le dottrine giuspubblicistiche si rifecero alla nozione di persona giuridica facendo del principio della personalit dello Stato il punto di partenza. Attraverso il pensiero di personalit come Laband e lo Jellinek, il pensiero giuspubblicistico sostiene che lo Stato

soggetto di diritto per eccellenza avente diritti e doveri. Il concetto di persona giuridica posto come categoria unitaria comprensiva di tutti i rami del diritto, perci non solo di quello privato per limitate ragioni di indole patrimoniale. Nel campo del diritto pubblico fun individuata la ratio che creava il sorgere delle aggregazioni: essa non riposava nella volont degli associati, ma nella volont dello Stato stesso. I soggetti giuridici pubblici erano stati gi individuati dal diritto canonistico, nell'elaborazione degli instituta, costituiti per intervento autoritativo di una volont superiore, che potevano esser organizzati tanto nel substrato personale, quanto in quello patrimoniale. Accanto a questi due genus se ne individu un terzo: le istituzioni, in cui vi una volont trascendente all'ente stesso che determina il suo sorgere, tipiche figure di istituzioni sono gli uffici, gli organi e le fondazioni, in quanto per queste ultime la volont del fondatore che le fa venire in essere.

COSTRUZIONI ANTROPOMORFICHE E NEGAZIONI DEL PROBLEMA DELLE PERSONE GIURIDICHE Anche se in passato non erano mancati tentativi di assimilare la nozione di persona giuridica all'uomo (hereditas iacens e monologo di Menneo Agrippa nell'esperienza romana, lo Stato come corpo con nervi anima per Hobbes, ecc.) proprio nel sec. XIX che l'espressione persona giuridica venne ad avere contenuti sempre pi simmetrici alla persona fisica. La metafora si materializz nello stesso significato, nella stessa natura attribuita alla persona giuridica, cos la societ finiva per essere considerata come corpo reale, organismo vivente, in cui si realizzava una vita animale superiore. Ragioni di indole ideologico tendono a raffigurare la stessa devozione che intercorreva tra il suddito e il re con quella verso un soggetto-Stato, che addirittura veniva ad essere un'icona (la Francia col berretto frigio, l'Italia tuttira, ecc.). Accanto a questo filone di pensiero ve n'era un altro che si potrebbe definire di teorie negative che tendono a non riconoscere la legittimit del concetto di persona giuridica. Fanno parte di questa visione la teoria individuale e la teoria sociale. La prima porta alle estreme conseguenze l'individualismo, riconosce solo all'uomo in quanto tale la titolarit delle situazioni soggettive dei diritti e degli obblighi. Il Von Jhering, sostenitore di questa teoria, riduce la nozione della personalit giuridica ad uno strumento tecnico, dietro il quale stanno gli individui, i veri titolari o destinatari dei diritti. La teoria sociale del francese Duguit nega l'esistenza di una volont collettiva e quindi la sovranit dello Stato intesa come entit sovraindividuale. Riconosceva solo una solidariet della realt sociale, per cui il fine di una corporazione, di un'associazione, di una fondazione sempre conforme alla solidariet sociale relativa al contesto in cui vive.

LE NUOVE PROSPETTIVE OGGETTIVISTICHE E IL PROBLEMA DELLE PERSONE GIURIDICHE Il paesaggio del concetto di persona giuridica dal campo privatistico a quello pubblicistico avviene grazie alla nuova visione dei problemi giuridici che nella seconda met del XIX sec. prende piede: da una visione soggettivistica si passa ad una oggettivistica, in cui il soggetto non pi portatore di una propria volont, ma la volont dell'ordinamento giuridico, dello Stato che costituisce la sua volont. Le forza creatrice dell'individuo si trasforma in forza creatrice della legge. Il nuovo soggetto lo Stato, i soggetti di diritto diventano oggetti. Per cui il diritto soggettivo cessa di essere una potest di volere e diventa un riflesso del diritto oggettivo. Per cui saputo cosa sia il diritto soggettivo si poteva sapere che cos'era il soggetto di diritto e quindi la persona giuridica, in quanto prima di tutto veniva il diritto (soggettivo e poi il soggetto [giuridico]) e il concetto di personalit.

Le dottrine giuridiche positive Per cui non l'individuo, come essere isolato ad essere portatore di diritti, ma il membro della societ che lo Stato riconosce come persona. Si ha cos una nozione astratta di personalit giuridica, in quanto un mero effetto giuridico previsto dal diritto oggettivo. Queste concezioni che pi che giuridiche sarebbe preferibile qualificare come formalistiche o positivistiche, in quanto si attengono al ius positum, quindi alla volont del diritto, criticavano le precedenti in quanto queste per definire il concetto di personalit avevano fatto riferimento ad elementi pregiuridici; scevri da ogni valutazione normativa, in parole povere le precedenti costruzioni peccavano di extragiuridicit. Essendo la persona il risultato del diritto, persona fisica e giuridica finiscono per essere considerate entrambe come categorie create dal diritto. La personalit, pur essendo un prodotto dell'ordine giuridico, quindi perdendo i connotati di

materialit e di naturalit, non una finzione giuridica, ma una realt cio una forma giuridica, cos come lo sono il contratto, le obbligazioni, realt ideali giuridiche comunque e non realt corporale sensibile.

La concezione normativa Tra le concezioni positivistiche del diritto, spicca quella cd. normativa di Kelsen, che distinguendo le scienze naturalistiche, che studiano l'essere, e le scienze normative, che studiano il dover essere, limita la conoscenza della scienza del diritto alle norme e non alla realt empirica; le norme sono puri giudizi ipotetici, sono cio strutture logicoverbali che esprimono il rapporto specifico (imputazione) di un fatto condizionantecon una conseguenza condizionata. Per cui l'ordinamento giuridico solo un sistema di norme giuridiche, il diritto solo quello positivo. La validit delle norme inferiori dipende da quelle superiori, in una costruzione gerarchica piramidale al cui apice troviamo la norma fondamentale (grundnorm). Per cui si assiste al superamento del dualismo fra diritto soggettivo e diritto oggettivo, in quanto tutto sarebbe diritto oggettivo che trae ispirazione dalla norma fondamentale da cui discendono concatenate tutte le altre norme. Si dissolve cos il concetto di persona giuridica, che altro non che un artificio del pensiero, creato per rendere pi agevole il senso in un linguaggio giuridico antropomorfizzante. Mentre l'uomo un concetto biologico, e quindi un concetto delle scienze naturali, la persona un concetto giuridico che traspare dalle norme come l'immagine di un titolare di diritti e doveri, per cui in definitiva sotto il termine persona si raggrupperebbero tutti i diritti e i doveri, cosicch da quest'ottica perderebbe senso differenziare la persona fisica da quella giuridica, entrambe sono regolate in un ordinamento particolare che regola condotte singole o di pluralit di persone. La stessa personalit dello Stato si risolverebbe nell'ordinamento giuridico, inteso come sistema di norme. La concezione normativa finisce per essere assimilabile alla concezione di finzione, come finzione strumentale concepisce il concetto di persona atto ad esprimere una pluralit di obblighi e diritti che fanno capo sempre ad esseri umani. E d'altra parte, pur presentandosi come una concezione positivistica, finisce per essere una teoria ideologica verso lo statalismo e la sua forza coattiva che assicura l'efficacia della norma. E' eccessivamente formalistica in quanto nega ai dati reali una propria esistenza per relegarli come visione normativa.

Concezione istituzionale Del tutto opposta la teoria istituzionale, la quale muove dalla realt empirica e nega quindi l'idea di diritto come forma e le tesi statalistiche. Gierke e Hauriou impiegano in senso diverso la nozione canonistica di instituta, in quanto la considerano come idea di opera o di impresa, che si realizza e dura giuridicamente in un ambiente sociale, ed ha quindi un'esistenza obiettiva. Il Santi Romano ha elaborato fino in fondo questa concezione: il diritto prima di essere norma organizzazione e quindi ogni istituzione un ordinamento giuridico e viceversa. Non solo, ma vi coesistenza di diversi ordinamenti giuridici, dentro e fuori lo Stato. Da qui i problemi dei rapporti fra i vari ordinamenti, i problemi sulla sindacabilit tra ordinamento e ordinamento, per cui alcuni ordinamenti, pur essendo realt indiscutibili, per operare e produrre effetti abbisognano di riconoscimenti nell'ambito dell'ordinamento generale, cosicch si ha: - l'istituzione che proprio la realt insopprimibile di ogni ordinamento - la personalit che il riconoscimento da parte dell'ordinamento. Il riconoscimento, per, non una finzione posta in essere dallo Stato, ma il realizzarsi di quelle condizioni poste da un ordinamento per rendere rilevante detta istituzione rispetto ad esso. La critica che si pu opporre a questa teoria che essa pecca di eccessivo sociologismo in quanto fa dei dati della realt empirica elementi costitutivi di diritto.

LE PERSONE GIURIDICHE NEL PENSIERO CONTEMPORANEO; SPECIALMENTE ITALIANO In questo caleidoscopio di teorie ci che le accomuna lo sforzo di trovare una visione unitaria a varie figure che comprendesse sia le persone giuridiche che quelle fisiche, indubbio che cos facendo si finiva sempre per dare un concetto astratto alle molteplici situazioni. Giacch il concetto di persona non rendeva del tutto omogenee dette categorie, si ricorse a quello di personalit, distinto dal concetto di persona, infatti fu inteso ora come forma, ora come idoneit astratta ad esser titolare della qualit di soggetto giuridico, ora come pura modalit giuridica di un ente

contrapposto all'ente concretamente fornito di tale qualit, ora come pura qualificazione giuridica soggettiva che esprime la correlazione fra un ente e un determinato ordinamento. Ma era evidente che il concetto di personalit, per quanto dilatato, non poteva ricomprendere tutti i casi, specialmente nel campo del diritto pubblico, spiegandoli in termini di soggettivit giuridica. Si era notato altres che situazioni come facolt, potere, dovere, onore, capacit che erano nozioni che non avevano nulla a che fare, o comunque non erano riconducibili esclusivamente ai diritti soggettivi, infatti anche quando non si era in presenza di un soggetto giuridico per quest'ultimo erano senz'altro riscontrabili tali condizioni. Si cos passati al concetto di centro di riferimento e di figure giuridiche soggettive. Il primo concetto esprime appunto la capacit di tali attribuzioni, il secondo indica direttamente i centri di riferimento che hanno ricevuto una qualificazione giuridica (Giannini). In campo privatistico si avuto il graduale riconoscimento dottrinario giurisprudenziale e talvolta legislativo di attribuzioni di capacit a gruppi che non avevano personalit giuridica. Per essi si coniata una miriade di qualificazioni: personalit imperfetta, quasi personalit, soggetti collettivi, ecc. Per cui ormai il concetto della personalit si era cos dilatato fino a comprendere fenomeni di mera comunione. E ci specialmente nel settore commercialistico, cosicch si parlato di crisi del concetto della personalit giuridica. In realt da pi parti si sostenuto che il riconoscimento ad un gruppo della personalit giuridica significherebbe soltanto attribuire ai suoi membri un privilegio in quanto ci consentirebbe alcune deroghe in materia di propriet ed obbligazioni, concedendo loro la possibilit di una propriet in comune in correlazione ad una limitazione di responsabilit patrimoniale individuale. Quindi secondo questa visione di pensiero le persone giuridiche godrebbero di un trattamento normativo speciale. Attualmente per molti autori come il Pugliatti, il Falzea, il Santoro-Passarelli hanno rivalutato il substrato della personalit giuridica come una combinazione di mezzi e uomini che assurgono ad unit soggettiva ad opera dell'ordinamento giuridico. Molti altri, invece, hanno cercato di reinserire nell'analisi giuridica concetti che per le idee positivistiche erano stati ritenuti privi di fondatezza giuridica e disprezzati fino a ridurli in un significato pregiuridico e sociologico. In questo quadro rilevante la teoria del Mortati, che afferma che non ha nulla di sociologico ma rientra proprio nel campo giuridico l'allargamento a elementi che rientrano nel fenomeno giuridico, in quanto quest'ultimo non si riduce ad una serie di norme, prova ne sia che la stessa Costituzione pur essendo in riferimento a tutte le sue norme il cardine del nostro sistema (Costituzione formale) ha al di sopra una Costituzione materiale che ne fonda e ne provoca i mutamenti; per quanto riguarda i comportamenti umani essi non sono rilevanti sempre e solo se sono previsti da una norma che li precede; a volte, al contrario, sono essi stessi a porsi come efficaci in quanto determinano conseguenze giuridiche. Infine vi sono autori che impostano l'analisi sulla natura linguistica delle persone giuridiche, per cui alla domanda tradizionale cos' al persona giuridica? sostituiscono quella che cosa significa persona giuridica?, per cui le indagini sono ora rivolte ai modi in cui quest'espressione viene usata, la funzione che adempie questa espressione. D'altro canto ora si assiste all'abbandono di trovare a tutti i costi una nozione unitaria di persona giuridica, per cui sia in campo privatistico, sia in quello pubblicistico si cerca di trovare risposte adeguate ad ogni situazione peculiare. Si cos scalzata in dottrina la falsa ed errata convinzione di un concetto unico intorno a tante possibili situazioni, equivoco ingenerato dalla pandettistica dell'800.

IL PROBLEMA DELLE PERSONE GIURIDICHE COME PROBLEMA STORICO Sicch ormai si rende necessario verificare il concetto di persona giuridica sulla base della molteplicit di situazioni diverse in relazione anche ai singoli ordinamenti positivi, in quanto sono essi che pongono come persone giuridiche i soggetti e li raffigurano. Giacch poi il diritto come previsione normativa influenzato o comunque interpretato sulla base di una concezione dottrinaria, lo stesso concetto di persona giuridica veniva interpretato via via in base alla normazione esistente nell'ordinamento che si intendeva studiare. Riguardo al passato non ha senso cogliere in esso una gi presente sensibilit a concetti astratti, che si rifericono invece all'analisi di contemporanei ordinamenti. Per cui la nozione di persona giuridica, comunque intesa, appartiene all'esperienza moderna e non pu esser sovrapposta ad esperienze ed ordinamenti diversi da quelli in cui si formata e ai quali inerisce; il soggetto di diritto non un modulo su cui adattare ogni ordinamento passato, lo sbaglio partire da una definizione preventiva e astratta dei soggetti di diritto.

CAPITOLO III IL PROBLEMA DELLE PERSONE GIURIDICHE E L'ESPERIENZA ROMANA IL PROBLEMA DELLE PERSONE GIURIDICHE NELL'ESPERIENZA ROMANA Sarebbe quindi errato ricercare nell'esperienza romana la presenza di una nozione di persona giuridica. Ma ugualmente erroneo sarebbe sbrigativamente cadere nell'eccesso opposto, e cio il non aver intuito soluzioni in rapporto a figure, per cosi dire, soggettive. Per cui oggetto dello studio dell'Orestano sar proprio la ricerca delle possibili soluzioni che i Romani dettero a situazioni analoghe a quelle che noi modernamente definiamo persone giuridiche.

L'ESPERIENZA ROMANA E IL TIPO DI DISCORSO CHE INTENDIAMO SVOLGERE Siamo erroneamente portati, grazie alle teorie individualisticho-evoluzionistiche del Rosseau, che ai primordi della societ vi sarebbe stato l'individuo, che successivamente si un con altri consimili formando un gruppo. Per cui secondo questa teoria-contrattualistica vi sarebbe stata un'evoluzione dall'individuo alla societ. In realt ci che consideriamo in ordine ai dati pi remoti della nostra civilt sono proprio i gruppi, la presenza rispetto ai singoli di formazioni comunitarie. Infatti sin dall'et pi antica in Roma la vita dell'uomo singolo si sarebbe svolta entro comunit, la quale determinava al singolo la stessa condizione di cives. Accanto a questa comunit ve ne erano altre pi particolari quali quella gentilizia e familiare, quelle civili e militari (assemblee popolari e esercito), a carattere religioso (collegia e solidalitates). Per il fatto che esistessero queste comunit si potrebbe esser tentati di affermare che in Roma fosse quindi presente magari di fatto una persona giuridica. Ma piuttosto che qualificare gi nella realt fattuale un simile evento opportuno analizzare come quest'evento sia stato regolamentato e valutato in questo preciso contesto storico. I Romani di fronte a molteplici situazioni, che si riferivano alla pi generale nozione di capacit giuridica, hanno cercato caso per caso di regolarle, per cui non si avuta in altre parole la nozione di soggetto di diritto proprio perch a queste formazioni non fu concepito e riferita la cd. potest di volere tipica del soggettivismo, per cui da gran parte della romanistica fu negato ai Romani il senso e la nozione di persona giuridica. Piuttosto si ammise che i Romani avessero avuto, riguardo a situazioni collettive, una visione di centro di riferimento di relazioni giuridiche, senza peraltro attribuire ad esse capacit soggettive. Per cui in effetti nell'esperienza romana va colta (ed questo il punto centrale del presente studio) la problematica che si posero i Romani intorno al problema e lo sforzo di superare la considerazione dell'uomo singolo nell'imputare a formazioni collettive quelle relazioni giuridiche regolate da noi contemporanei sotto il nome ed il concetto della personalit giuridica.

CAPITOLO IV LE FONTI PER LA CONOSCENZA DEL PROBLEMA Giurisprudenza e fonti letterarie Le fonti che ci possono aiutare alla comprensione di come i Romani avessero regolamentato queste situazioni si trovano negli scritti giurisprudenziali che vanno dal I sec. a.C. Al III sec. d.C. e che ci son pervenute nel Digesto. Queste fonti contengono purtroppo i rimaneggiamenti dei compilatori giustinianei, che a distanza anche di secoli poterono interpretare o correggere i pensieri dei giureconsulti a riguardo. Ma anche vero che esse rappresentano per noi una cognizione reale di quella che deve esser stata l'esperienza romana al riguardo. Dalla lettura di queste testimonianze non risulta che vi sia stata un'opera monografica su queste situazioni, salvo i libri de iure fisci di Paolo e il de iure fisci et populi di Callistrato. Queste per sono fonti che si riferiscono alla fase pi evoluta della giurisprudenza. La pi antica testimonianza di una considerazione unificata in un passo di Alfeno Varo, giurista della fine della Repubblica. Troviamo testimonianze via via numerose nei frammenti relativi a giusperiti tra la fine del I e l'inizio del II sec. d.C., ma certo che i giuristi della seconda met del II sec. ci offrirono una vasta casistica. Troviamo quindi i commenti dei giuristi sull'editto del pretore urbano che regolava la rappresentanza in giudizio delle comunit principali e delle corporazioni.

Ma queste situazioni non sono trattate in rapporto alle capacit, allo status del singolo, per cui per il giurista romano, accanto all'uomo, non erano ravvisabili altri soggetti come possibili detentori di diritti e doveri. Accanto al materiale tecnico vi un materiale atecnico, fornito dagli storici e dai filosofi romani: Cicerone, Seneca, Livio, Tacito, ecc. che non devono esser scartati da questa ricerca.

CAPITOLO V SITUAZIONI UNIFICATE E IMPUTAZIONI DI RELAZIONI GIURIDICHE NELLA ESPERIENZA ROMANA Situazioni a base personale e situazioni a base materiale Nella terminologia romana non vi lo schematico contrapporsi fra figure concernenti raggruppamenti di persone e figure che riguardano complessi di beni, quelli che la moderna dottrina chiama associazioni e fondazioni. La fenomenologia romana ancora pi complessa. Se noi leggiamo con pi attenzione i testi che si riferiscono appunto a queste situazioni, noteremo che le stesse formazioni di persone che potevano essere municipio o citt, alcune volte sono qualificate con un termine singolare (municipium, colonia), altre invece al plurale (municipes, coloniae). Questo particolare, in relazione al rapporto giuridico scaturente, ci fa cogliere il senso materiale in cui queste collettivit venivano considerate. Pur essendo consapevoli che dietro una civitas o un templum vi fossero pur sempre interessi dei cittadini, dei sacerdoti, essi passavano in secondo piano, sicch le relazioni giuridiche non passavano tramite l'elemento uomopersona sia singolo o collettivo, ma direttamente tramite l'elemento materiale di queste entit. N i Romani distinguevano l'elemento personale dall'elemento materiale il tipo della collettivit, per cui non si aveva la netta distinzione tra corporazioni e fondazioni, in quanto anche le situazioni a base personale erano considerate come quelle a base materiale.

Aspetti materiali e linguistici delle pi antiche imputazioni Per cui abbiamo visto che: - certe imputazioni giuridiche potevano essere riferite direttamente ad entit materiali - certi raggruppamenti di persone, quindi situazioni a base personale, potessero esser configurate entit materiali, res. Per quanto riguarda il primo punto, quindi di imputare a cose relazioni giuridiche, abbiamo l'esempio della teoria dell'accessione intesa come assorbimento di una cosa nell'unit materiale di un'altra, o delle testimonianze che ci presentano in fondo di terra come titolare di villae o casae, o alle antiche concezioni delle servit prediali intese come qualit del fondo, e i diritti di esse: gli iura prediorum e considerate fino alla lex Scribonia entit materiali. Tutte queste situazioni, ed altre ancora, avevano nel loro termine stesso, nella loro unificazione verbale la condizione affinch si potesse attribuire relazioni giuridiche a cose. Il termine res sta ad indicare appunto una unificazione di pi cose aventi tra loro natura diversa, e purtuttavia unite da una sorte comune.

Res publica, nomen Romanum e la problematica del nomen L'espressione res publica si presenta spesso in due versioni: - res Romana, res Latina, res Albana, come appartenenza ad un dato gruppo etnico o nazionale (i Romani, i Latini, gli Albani) - res publica sic et simpliciter, contrapposta a res privata. Per cui il termine res identificazione con un soggetto o pi soggetti fisici, ma non gi vista come traslazione astratta dell'elemento concreto-uomo, ma come visione concreta di una situazione oggettiva. Nell'et repubblicana la res publica una sintesi di elementi personali e reali che trascende dall'aspetto patrimoniale; nell'et imperiale si riferisce invece al patrimonio pubblico. Un'altra espressione che designa in termini materialistici situazioni collettive il nomen. Esso designa un'unit politica nell'ambiente culturale italico gi prima dell'affermarsi di Roma. Dai Romani tale termine viene usato sia per significare l'unione etnica o sia il vincolo organizzativo, per cui il nomen e quanto da esso indicato sono un tutt'uno. Tra i Romani vi era ancora quella concezione primitiva, mitica e materialistica al tempo stesso, per cui era praticato il

realismo nominale, che consiste nel dar nome alle cose creandole cos, per cui all'esistenza del nome si ritiene connessa l'esistenza in concreto della cosa nominata. Il secondo punto del pensiero romano abbastanza peculiare che, come abbiamo detto, certi raggruppamenti di persone possono essere considerati essi stessi entit materiali. La funzione del linguaggio che raggruppa cose che nella loro individualit hanno ben altro significato o rilevanza, ma uniti posseggono caratteri e implicazioni peculiari, cose che possono essere tutte dello stesso genus (come il grex) o eterogenee, ma che avevano in comune una stessa funzione economico-sociale ragiona secondo una concezione cosale, in quanto attribuisce rilevanza giuridica alle unificazioni operate dal linguaggio comune (uso di nomi collettivi). Per cui, in questa visione realistica pi antica l'insieme e i suoi elementi sono dunque tutt'uno, per cui: - l'insieme i suoi elementi - gli elementi nella loro totalit sono l'insieme. Essi come individui possono cambiare, accrescersi di numero o diminuire, ma non l'insieme come entit distinta da essi che li acquista o li perde, l'insieme che si accresce o che diminuisce. Non tutti questi collettivi rappresentano fenomeni d'imputazioni giuridiche: la familia, per es., non mai stata considerata sintesi di relazioni giuridiche, in quanto viene sempre riferito il pater come soggetto d'imputazione. Per cui, nell'esperienza romana, certe situazioni che noi siamo abituati a cogliere come figure soggettive, rimanevano entit materiali, pur suscettibili di imputazioni giuridiche.

LE SITUAZIONI UNIFICATE E I CORPORA EX DISTANTIBUS Non possibile precisare quando il fenomeno dei gruppi e in genere delle varie situazioni si sia imposto all'attenzione dei giuristi. Sembra comunque che gi dalle XII Tavole vi fosse un riferimento su alcune forme associative. Dalla prima met del sec. I a.C., il pretore in due editti consent alle collettivit di municipes di stare in giudizio attraverso un magistrato o un actor. Una cosa certa: il problema di situazioni unificate parte sempre da una nozione di res. Accanto alle testimonianze di testi del Digesto che ci riportano tale concezione, ve ne sono altri che insieme alla distinzione fra res incorporales e res corporales conducono anche a situazioni unificate come universitas, per cui gli interpreti del Corpus Iuris dal medio evo fino ai nostri giorni sono stati portati a dare una versione congiunta da parte della giurisprudenza romana, senza prendere in considerazione le diverse ipotesi, nate anche da diversi contesti storici dell'esperienza romana. Ma la colpa non tutta degli interpreti del Corpus Iuris, bens dei compilatori giustinianei che ricevettero il compito da Giustiniano, nell'accingersi all'opera di recupero dei frammenti giurisprudenziali (iura) e di recepirli cercando di coglierne le assonanze e le coerenze, scartando dunque o correggendo tutto ci che si presentava contraddittorio. Ma se l'odierno interprete supera la cornice giustinianea e si sforza di interpretare i singoli frammenti con valore di testimonianza relativa all'et in cui furono scritti, allora avremo un quadro storico di concezioni che si sono aggiunte le une alle altre, segnando l'evoluzione del diritto attraverso le varie et. La prima serie di testi del Digesto che si occupano del problema, pur appartenendo a giuristi del I sec d.C., quali Celso, Pomponio, Paolo, Ulpiano, sono una testimonianza del secolo precedente, quello della tarda Repubblica, in quanto riportano, commentandole, opinioni relative a Servio, Mucio o Sabino. In questi passi si comincia a intravedere l'implicazione filosofica greca: lo stoicismo sul diritto; eppure non fu la filosofia, nel caso delle situazioni unificate a influenzare il pensiero giuridico, giacch i Romani avevano tradizionalmente riferito alle situazioni unificate la identificazione di res. Essi invece si servirono della filosofia per una elaborazione dottrinaria di concetti che comunque in quanto inquadrati su dati reali e ben determinati come le res ben si presentavano per esser sistemate. Un esempio di ci ci viene offerto da un paese di Alfeno Varo, giurista della fine della repubblica, in cui si chiede se certe situazioni unificate, allorch mutino nei loro elementi costitutivi, continuano a rimanere eadem res o diano luogo ad una res diversa. Per spiegarsi il problema solo strumentalmente si serve di un ragionamento filosofico su cui poggiare e giustificare la soluzione: il problema esaminato se venendo a mutare i giudici che dovevano esaminare la controversia, il iudicium possa rimanere lo stesso. Il giurista affermava di s e citava per rafforzare la sua opinione che lo stesso accadeva anche in altre situazioni assunte appunto come res. Esse erano: - la legione - il popolo - la nave Per controbattere la tesi opposta egli si serve anche delle piccole mutazioni che avvengono nel corpo umano ma che non lo fanno per questo diventare un altro corpo; per cui di tutte queste situazioni ne parlava come di una unit la quale

rimane sempre la stessa, in quanto gli elementi che ne fanno parte, anche se mutano, sono uniti ed espressi da un termine al singolare che consente di nominarli come un tutt'uno: iudicium, legio, populus. In un altro passo Alfeno Varo a proposito delle suppellex, cio delle res che sono adibite ad un uso comune dal padre (di famiglia) e che prese di per s non avrebbero un nomen che le individui. L'unificazione di tali res determinata dalla riconduzione di esse ad un medesimo nomen, il quale consente di trattarle come un tutto unico e di farne oggetto unitario di legato o di altri atti giuridici. La funzione unificante del nome espressa in modo ancor pi convincente da Pomponio, che riporta un passo di un giurista pi antico, Sabino, vissuto nel I sec. d.C.. In questo passo vengono classificate le categorie di corpora: 1) uno spiritu: quelle forati da un unico elemento (l'uomo, la pietra, la trave) 2) ex contingentibus: le cose unite da pi elementi (una nave, un armadio) 3 ex distantibus: quando pi elementi, anche se materialmente separati, sono uniti dal nomen (populus, legio, grex). Questo passo, insieme ad altro di Seneca, che press'a poco dice lo stesso, ci forniscono il senso della costruzione giuridica sulle situazioni unificate che si rifacevano alla teoria delle cose. Accanto a questa teoria che come sappiamo ha trovato nella filosofia la pi degna cornice per essere inquadrata, vi anche la differenza fra res corporales e res incorporales, anche se in un momento successivo. Ma i Pandettisti hanno riferito riguardo a questo testo che solo per i corpora continua ed ex contingentibus fosse usata un'accezione concreta, per quelli ex distantibus il termine corpora aveva un significato astratto. Ma sarebbe stato inammissibile usare nello stesso contesto un termine con contenuti diversi, per cui corpora nei primi due casi aveva un significato e nell'ultimo genere ne aveva un altro. Altrove si sostenuto che la differenza tra i corpora non determina la differenza tra le res, cosicch non vi equazione tra corpora e res, perch se cos fosse sarebbero state anche res per i Romani gli uomini liberi, il populus e le legio. Allora per gli storiografi di stampo individualistico era inammissibile pensare ad una situazione che implicava res e soggetti di diritto come ad un tutt'uno, per cui con l'espressione corpus ex distantibus non si poteva designare la cosa collettiva, poich essa si riferiva sia ad oggetti sia a soggetti di diritto, che si pongono come contraddittori al concetto di cosa. Ma c' da dire che anche se ai tempi di Pomponio l'uomo non mai esplicitamente paragonato ad una res, in et pi antica ci avveniva. Non un caso che fino alla lex Poetelia papiria dell'anno 326 a.C.; il corpus del debitore era considerato oggetto dell'obbligazione o che l'acquisto della manus per l'usus annuale muoveva dalla assimilazione della donna alle res in fatto di usucapione. E' un fatto, comunque, che aggregati di uomini liberi fossero denominati come corpora e che corpora erano le res in senso reale. I due passi citati, quello di Pomponio e di Seneca a proposito dei corpora ex distantibus li caratterizzano il primo come uni homini subiecta, il secondo come corpora che iure aut officio cohaerent. A prima vista sembrerebbe pi tecnica la definizione offerta da Seneca, ma Pomponio pi tecnicamente offre la nozione nominalistica unificante, mentre in Seneca vi un concetto di coesione come conseguenza derivante dall'ordinamento o dalla funzione degli uomini. Non dimentichiamoci, inoltre, che Pomponio commenta Sabino, e che quindi riporta il suo pensiero, quindi datato fine della Repubblica - inizio principato, che si collega quindi alla concezione nominalistica che in quel periodo andava per la maggiore. Anche in altri due brani, il primo di Pomponio che commenta Quinto Mucio, il secondo di Ulpiano che commenta Sabino, il loro contenuto va riferito all'autore commentato che al commentatore. Entrambi i passi concernono la materia ereditaria ed entrambi impiegano l'espressione iuris nomen. In questi passi, specialmente in quello di Sabino-Ulpiano, nomen indica una situazione complessiva, per cui attraverso il nome di hereditas si unificano le universae res hereditariae. Di fronte a questi brani si usa interpretare l'hereditas come una cosa diversa e contrapposta rispetto ai singoli elementi che la compongono, ma ci non , in quanto la hereditas, pur cambiando gli elementi, non muta, in quanto la situazione rimane la stessa: eadem res, per lungo tempo del resto l'hereditas stata considerata come una res, cos come i sacra che ne facevano parte; infatti essa era oggetto di mancipatio familiae e di usucapio pro herede. Un altro istituto che ci conforta circa la nozione di hereditas come res la bonorum possessio riportata proprio nel passo di Pomponio a Quinto Mucio. La bonorum possessio era una particolare posizione riconosciuta a coloro che il pretore chiamava alla successione, pur difettando la loro nomina di eredi, per vizi di forma e in base ai principi dello ius civile, secondo un ordine diverso stabilito dal suo editto: la cd. successione pretoria. Essi seppur non si potevano qualificare heredi iure civile, godevano di una possessio autorizzata e tutelata e la bonorum possessio sta ad indicare il possesso dei beni (i bona. patrimonio ereditario) ereditari, ecco qui riaprire il termine all'uso collettivo e reale che avevamo visto anche per termini pi antichi; ed proprio per questo valore concreto che il pretore consider l'eredit come oggetto di una vera e propria possessio.(fine Repubblica - inizio impero: si vede ancora l'hereditas come una res. Hereditas nomen ereditario unificante di cose anche diverse tra loro).

LE SITUAZIONI UNIFICATE E LA DISTINZIONE FRA RES CORPORALES E RES INCORPORALES La nozione di res e di corpora in senso materiale con l'evoluzione del pensiero si distingue in res corporale e res incorporales. Due brani meritano la nostra attenzione; uno di Cicerone, l'altro di Gaio. Nel primo (Cicerone), la distinzione fra i due tipi di res fondata. Per quanto riguarda le res corporales sulla loro esistenza, sul loro esse, mentre per le res incorporales si fonda sul quae intelleguntur, sulle cose quindi che si possono comprendere mediante un atto intellettivo, che quindi diventano concetti. Nella prima categoria ricomprende complessi unificati quli la Suppelex, nella seconda categoria mette altri complessi unificati come la gens, spezzando cos la categoria unitaria dei corpora ex distantibus. Gaio vede la questione in maniera pi giuridica, in quanto, pur servendosi della filosofia, pone oggettivamente e giuridicamente il suo parametro: le res incorporales sunt quae tangi non possunt, qualia sunt ea quae iure consistum, quindi le cose incorporali sono quelle che non si possono toccare, quali sono quelle che hanno esistenza nel diritto. Questa affermazione stata interpretata invece come se Gaio volesse dire che le cose incorporali consistono in rapporti giuridici o di diritti, infatti se si inserisce in vicino a iure (come era stato trascritto nel manoscritto veronese) allora si pu agevolmente fare questa traduzione. Ma non la stessa cosa: infatti un conto dire che le cose corporali consistono in diritti, in cui l'analisi alla maniera di Cicerone si limita agli elementi della stessa res, un conto dire che le res incorporales hanno un fondamento nel diritto, perch a questo punto un quid esterno, il diritto, che le individua e le qualifica come tali; si nota la differenza con l'antica concezione dei corpora per la quale la res si individuava in relazione ai suoi elementi. Cicerone usa un criterio soggettivo: ci che si pu percepire da ogniuno; Gaio un criterio oggettivo. Gaio ci avverte che l'hereditas posta ormai tra le res incorporales, per cui l'usucapio pro herede vista ormai come relitto. Cos anche in tema di servit prediali che erano annoverate tra le res mancipi, per cui per un lungo tempo fu ammesso l'acquisto per usucapione, esse sono ora considerate tra le ceterae res. Successivamente, verso la fine della Repubblica, la lex Scribonia ne viet l'usucapione e ci va interpretato come un accogliere, sul piano legale, ci che ormai si era verificato nel pensiero giurisprudenziale: la smaterializzazione delle res che prima erano concepite come corpora ex distantibus. Rapiniano, invece, in un altro passo usa l'intelligere di Cicerone ma in un'accezione oggettiva: un iuris intellectus, nel senso che siccome l'hereditas non pi considerata nella categoria dei corpora ex distantibus, poteva esser formata sia da cose materiali che di cose materiali, senza per questo perdere la sua natura che unificava i suoi elementi in un tutto concreto, essa ora considerata come una nozione giuridica, non ha pi bisogno di un corpo, infatti pu esistere etiam sine ullo corpore. Ma una volta che si smaterializzava l'eredit, andava in crisi un istituto pretorile che proprio dal carattere concreto dell'eredit aveva tratto la sua ratio: la bonorum possessio. Era difficilissimo in questo nuovo contesto mantenere l'antico istituto e fu cos che si venne delineando l'ibrida figura della iuris possessio, la quale se raramente si trover in alcuni scritti dei giuristi classici, comparir con pedantesca usualit nel diritto giustinianeo, arrovellandosi la dottrina per cercare un nesso logico tra il tradizonale carattere del possesso legato necessariamente alla materialit della res e questa nuova concezione che l'ammetteva anche in presenza di res incorporales. Ritorniamo adesso al vecchio concetto dei corpora ex distantibus. Non c' alcun dubbio che con la progressiva smaterializzazione da parte dei corpora per effetto della contrapposizione tra res corporales e res incorporales, abbiamo un quadro pi giusto per poter cogliere i due primi brani di Alfano Varo che cita Rufo e di Pomponio che cita Sabino. Il primo riflette tutta la tematica legata al periodo che va dalla fine della Repubblica all'inizio del Principato, il secondo le concezioni che abbiamo visto proprie dei giuristi della seconda met del II sec. d.C. e il principio del III, cio l'et degli Antonini e dei Severi. Alcuni corpora per ex distantibus, per effetto di questa sovrapposizione di pensiero che tende verso la smaterializzazione, rimangono tra le maglie delle res incorporales: la gens, l'hereditas e cos anche il grex. Ma per quest'ultimo corpora vi nella lezione giustinianea un'antinomia. Infatti in molti testi il grex poteva essere fatto oggetto di vindicatio proprio nel suo insieme; come cosa unica e materiale, ma riguardo all'usucapio del grex, vi un testo di Pomponio che nega l'ammissibilit, ritenendola possibile solo se riferita a singoli capi, se ed in quanto legittimamente posseduti. Questo testo unito a quello relativo all'esposizione dei tria genera corporum che abbiamo gi visto. Ma come si spiega questo regime cos anomalo rispetto alla nozione del grex e alla possibilit che dalla dottrina e dallo stesso Pomponio della vindicatio offerta al grex? Il nostro Autore, come la maggior parte deli Autori, giustifica tale anomalia con un rimaneggiamento del testo ad opera dei compilatori, che comunque rimane sempre stridente anche se attribuita all'et di Giustiniano. Fino al giurista Giuliano, anch'esso citato nelle Istituzioni di Giustiniano, il gregge era considerato un corpus ex distantibus, per cui senz'altro usucapibile. I dubbi si affacciano quando tutti i corpora ex distantibus, e quindi anche il grex, vengono assimilati alla categoria delle res incorporales. Per cui nasce il rilievo sula usucapione del grex. Sicuramente si tratta di un nuovo giudizio. Per cui la soluzione negativa in tema di usucapio come anomalia con la possibilit del grex ad oggetto di vindicatio, si spiega nella stessa maniera in cui si spiega l'istituto della usucapio pro

herede, della hereditas bonorumve possessio, nella mancipatio delle servit prediali, un'anomalia che si spiega con un diverso pi antico modo di considerare queste situazioni.

LE SITUAZIONI UNIFICATE E LA NOZIONE DI UNIVERSITAS Le situazioni unificate, diversificate come res corporales ed incorporales, cominciarono ad essere ulteriormente analizzate mediante l'uso di termini elevati a categorie dogmatiche che realizzeranno compiutamente quel processo di astrazione. Tra questi termini uno fondamentale senza dubbio quello di universitas. Se in principio fu usato per intendere l'insieme di qualche cosa, e quindi tutto o intero ma in senso concreto rispetto quindi a cose determinate, successivamente acquista un significato come qualcosa di distaccato dagli stessi elementi che componevano l'universitas. Quando sia accaduto ci, se nel periodo del Principato o nel periodo giustinianeo non dato saperlo, certo che non sia stato un cambiamento repentino. Sicuramente la scienza del diritto (classica, postclassica o giustinianea che dir si voglia) ha proceduto per gradi attraverso ripensamenti ed esitazioni ad applicare categorie generiche che hanno assunto il valore dogmatico. Vi sono infatti due frammenti sempre di Ulpiano, riferentesi al grex e al peculium castrense, in cui ai due istituti viene data la nomenclatura di universitas. Ma una anomalia, in quanto altrove questa qualificazione non la si ritrova, per cui non sembra addebitabile ci ai compilatori giustinianei. In altri due frammenti Gaio, introducendo la trattazione della successione testamentaria, parla di adguirere per universitatem. Gaio, dopo aver parlato dell'acquisto di singoli beni, nella successione per testamento contrappone l'acquisto di un bene singolo con un acquisto in blocco, per cui, pur usando il termine universitas, non lo usa in senso astratto, ma per contrapporre i due tipi di acquisto. Per cui sembra che per esclusione, l'unico motivo e l'unica strada che conduca al concetto di universitas come qualifica astratta passa per la concezione certamente classica che aveva portato a ritenere res incorporales i corpora ex distantibus.

CORPUS E UNIVERSITAS COME QUALIFICAZIONI DI SITUAZIONI UNIFICATE Abbiamo notato come l'uso dei termini fosse determinante per i Romani per sostenere una concezione, per cui il termine stesso era, per meglio dire, diventava una vera e propria categoria, riflettendo la concezione stessa. Due termini che ci hanno colpito in modo sorprendente rispetto agli altri sono il corpus e l'universitas. Tra i due corre un'evoluzione concettuale che da una visione schiettamente materialistica espressa con il primo termine porta ad un sistema pi concettuale e meno concreto nella visione del diritto, sicuramente maturato in epoca successiva. Il termine corpus viene adoperato in epoca antica e sicuramente in un'accezione concreta in ogni caso per avvicinare una situazione al corpus umano. Ma solo con gli Antonini il termine corpus viene impiegato per indicare certe forme di raggruppamento di persone, ma giacch nel termine corpus concorrono due significati; uno metaforico per indicare implicazioni umane, l'altro immediatamente qualificativo e sintetico. Esso era un termine che si prestava ad esprimere al contempo un contenuto materiale e l'idea di una unit organica e vivente. Diverr uno dei termini tecnici per indicare le situazioni a base personale. Certo, data la dualit dei significati nel termine corpus, difficile distinguere e cogliere in chi lo impiega se egli animato da una visione materialistica o antropomorfistica. In entrambi i casi comunque tale termine non poneva una contrapposizione tra la situazione unificata dall'uso del termine stesso e i singoli elementi che la componevano, in quanto ne esprimeva appunto una sintesi unificandoli in una situazione. Ma nel III sec. d.C. questo termine viene adoperato in assoluto, quasi per tener distinta la nozione unitaria con gli elementi che la compongono, sembra per quello stesso fenomeno di smaterializzazione che aveva gi interessato i corpora ex distantibus. Un esempio ci viene offerto da Ulpiano a proposito del servus municipum che appartiene alla municipalit e non ai singoli cives. Per cui anche i corpora hominum divennero universitates. Dalla giurisprudenza dell'ultimo principato vi erano gi i presupposti, ma alla fine del III sec. d.C. i corpora hominum e le universitates divennero sinonimi. I compilatori giustinianei si sforzarono poi di comporre le diverse figure di aggregati a base personale in una disciplina comune e uniforme. Questa in fondo la novit della compliazione giustinianea rispetto alle trattazioni classiche. Ed da questa novit che si comincer a costruire la teoria generale della personalit giuridica da parte dei moderni studiosi e teorici.

DAL CONCRETO ALL'ASTRATTO Per cui sulle situazioni unificate i Romani offrirono quattro interpretazioni. La prima che anche la pi antica la concezione materiale ed la pi durevole nel tempo, tanto da essere adoperata perfino in et giustinianea ed oltre. Vengono attraverso questa concezione considerate situazioni come la civitas, i templa, l'eredit giacente. La seconda la concezione totalistica, in cui i componenti di una situazione a base personale venivano percepiti e regolati come un insieme costituito nella loro totalit, espressa attraverso un sostantivo plurale o aggettivi quali omnes, universi, ecc.. La terza la concezione corporalistica, che come quella materiale si riferisce sia a situazioni a base personale sia a situazioni a base materiale o complessi di cose, conia termini come corpora ex distantibus e qualificava un'unit ancora non separata dai suoi elementi, che quindi non aveva ancora assunto un valore astratto ma aveva un significato concreto e numerale. La concezione astratta avvertibile in tutte le possibili situazioni sia a base personale che in quelle a base patrimoniale. Tramite questa concezione, le situazioni vengono concepite come aventi una propria esistenza distinta dagli elementi che la costituiscono, per cui esse diventano figure astratte. Gli elementi che costituiscono tali insiemi finiscono per essere degradati al substrato della stessa situazione. Queste concezioni non sono slegate in tempi diversi, esse potevano ben convivere e difatti s'intrecciano fra loro in ragione dell'utilit e delle esigenze che portavano per ragioni storiche e politiche ad impiegarle. In et Imperiale si cerc comunque di scalzare la concezione totalistica servendosi della concezione materiale e della concezione corporalistica. In effetti la concezione totalistica induceva a vedere lo ius omnium diviso in tanti diritti dei singoli. Pur essendoci frequenti contaminazioni fra concezione totalistica e concezione corporativistica, vi sono anche due linee di pensiero totalmente diverse: nella concezione totalistica i singoli elementi sono, pur considerati come una totalit, separati; nella concezione corporalistica gli elementi si unificano in un tutt'uno, per cui si parla dell'insieme perdendo di vista i singoli componenti. Ma comunque le due teorie non rappresentano una evoluzione storica.Anzi, fra le due teorie vi come un diaframma, una separazione costante, cosicch ancor oggi costituiscono due visioni antitetiche e inconciliabili. Ci significa che la linea storica che porta alla concezione astratta non parte dalla concezione totalistica, ma da quella corporalistica, e cio dalla considerazione che certe situazioni unificate in un insieme-corpus abbiano in s degli elementi che, unificati dal nome corpus, si giunge alla considerazione di tale insieme come contrapposto ai suoi elementi. Per cui il passo che conduce alla nozione di universitas breve.

CAPITOLO VI L'IMPUTAZIONE DI RELAZIONI GIURIDICHE D'INTERESSE GENERALE NEL QUADRO DELL'ORGANIZZAZIONE PUBBLICA ROMANA LE IMPOSTAZIONI CORRENTI E LA NECESSITA' DEL LORO SUPERAMENTO I problemi che in questo ed in altri capitoli sar sviscerato riguarda la storia delle imputazioni di relazioni giuridiche nel quadro dell'organizzazione pubblica romana, dall'et della Repubblica a quella dell'Impero assoluto. Non possiamo riferire l'oggetto dei nostri studi allo Stato romano n al populus Romano, in quanto nel primo caso, come or ora spiegheremo, non c' stato (scusate il gioco di parole!) nell'esperienza romana la presenza dello Stato, naturalmente inteso nel senso pi vero del termine, nei confonti del populus nemmeno in quanto non si pu esaurire in esso. Ma torniamo al primo riferimento mancato: lo Stato. Esso, come ente sovrano, come persona giuridica, nasce in un determinato periodo della nostra storia: il XVI secolo, dando vita ad un diritto di imperio originario e sovrano su tutto e su tutti, fornito di pi organi costituzionali ed amministrativi, ciascuno provvisto di competenze e limitazioni, ma tutti subordinati alla sua legge, che li crea e li disciplina. E' evidente che tutto questo non esisteva per i Romani, che pur avendo comunque creato molti concetti fondamentali per il diritto pubblico, dai quali trarranno spunto dal medioevo in poi molte forme istituzionali (la cd. tradizione romanistica), tali concetti sono valsi solo per l'esperienza romana, per cui il loro impiego nel corso delle epoche storiche dava luogo ad altre costruzioni di diritto pubblico e quindi a nuovi ordinamenti. Tantomeno il riferimento, come abbiamo gi avvertito, pu consistere nel populus Romanus, in quanto esso non

rimane l'unico centro di riferimento nell'intera esperienza romana: da una data epoca in poi esso sar superato da altri centri di imputazioni. Ma anche nel periodo in cui era reputato centro d'imputazione, non era l'unico. Accanto ad esso si posero figure organizzatorie minori: dalle collettivit che in origine erano insediate fuori di Roma, forse pi antiche della citt stessa, alle organizzazioni soprattutto a base personale che si formarono all'interno dell'ordinamento generale e senza il suo intervento. Altre situazioni si vennero creando per precise esigenze con peculiari attivit amministrative tali da fale diventare centri autonomi di riferimento, come sar il fiscus. Altri centri d'imputazioni in certa misura autonomi saranno creati per un preciso disegno di politica legislativa: le colonie civium romanorum le colonie latine, le corporazioni del Basso Impero. Ci che accomuna tutte queste situazioni che molte non sono un portato diretto dell'ordinamento pubblico romano, furono man mano inserite nella sfera pubblicistica, ma per molte strutture vi una normativa tipicamente privatistica, anche se la loro funzione fu preminentemente di carattere pubblico.

IL POPULUS ROMANUS E LA PROBLEMATICA STATUALISTICA La Romanistica, specialmente ad opera del Savigny, ha impostato il problema intorno al concetto di persona giuridica dello Stato nei soli rapporti patrimoniali, in quanto la persona giuridica era esclusivamente riguardata nel settore privatistico, e non in quello pubblicistico, per cui lo Stato romano era la principale persona giuridica. Lo Stato romano peraltro si identificava col populus, per cui a quest'ultimo spettavano diritti innati di natura privatistica. Altre figure giuridiche non ve ne erano, specialmente non erano riconducibili a schemi pubblicistici, in quanto la persona giuridica era esclusivamente per il Savigny una figura di diritto privato. Per cui la personalit giuridica del populus romanus era considerata solo limitatamente alle imputazioni di rapporti patrimoniali. Ecco che l'ager publicus e l'aerarium si riconducono necessariamente al populus. Tutti gli storiografi hanno identificato lo Stato romano con il suo populus, ma non colgono il suo genuino carattere di questa organizzazione, in quanto descrivono sempre questa identificazione in termini di uno Stato astratto, usando quindi concetti non conosciuti dai Romani. E' bene invece impostare il problema per individuare quali fossero davvero i centri di imputazione nell'organizzazione pubblica romana, procedere senza pregiudiziali statalistiche, riducendo pi che si pu l'intrusione di concetti moderni e analizzare i rapporti tra l'ordinamento generale e gli altri ordinamenti minori in esso operanti.

CIVES ROMANI E POPULUS ROMANUS NELL'ESPERIENZA REPUBBLICANA Con il termine civis Romanus si indicava l'esser membro di quella comunit a cui ciascuno partecipava con diritti che nessuno poteva far venir meno e che con termine unificante era qualificata populus; per cui sovente le espressioni cives e populus sono fungibili. Il problema stesso della cittadinanza si risolveva nella semplice qualificazione di civis romanus. Il dirsi civis, pi che uno status, equivaleva a dichiararsi parte costitutiva di quel corpus ex distantibus che era il populus Romanus. Il popolo, quindi, per tutto il periodo repubblicano, prima della grande crisi che porter l'ordinamento instaurato da Augusto, ci appare come il protagonista della storia costituzionale di Roma, anche se l'ordinamento era strutturato in modo tale da rendere difficile stabilire poi in che termini il poter appartenesse al populu o al Senato. L'imperium inteso come potere di comando spettava, in realt, al magistrato e si configurava come potere personale non riferito ad una funzione indipendente dalla persona che lo gestiva, ma proprio in funzione della persona fisica che ne era titolare, per cui ogni magistrato iniziava ex novo un altro imperium che non si poneva come continuazione di quello precedente. Ma sia l'ideologia politica, sia le forme giuridiche ci testimoniano come il populus fosse il fondamento e la fonte del potere, in antitesi anche con il Senato, anche se comunque la forma adottata riposava nella comune potest nota con l'endiadi Senatus Populusque Romanus, che poi si sostituir con la dizione Populus Senatusque Romanus. L'attribuzione al populus romanus rientra in tutti i campi, nel potere legislativo, in quanto la legge era iussum del popolo Romanus; nel campo religioso in quanto si parlava di auspicia populi romani; nel campo penale, come ci attestato dall'istituto antico della provocatio ad populum; nel campo finanziario, tutte le entrate e le spese facevano capo all'aerarium populi Romani; nel campo dei rapporti esterni, i fetialis operavano come nunci populi Romani, in nome del quale concludevano i foedere. Lo stesso sacrificio che facevano, per investire di sacralit un patto (l'abbattimento di un porco con una pietra) era riferito al populus romanus, in quanto si invocavano le divinit affinch se il popolo romano fosse mancato ai suoi impegni esse lo dovevano colpire come il feziale colpiva l'animale. Per cui il populus Romanus, per tutta l'et repubblicana, il centro d'imputazione massimo del corrispondente ordinamento generale che con esso si identifica. Il populus non era visto come astrazione, ma in modo realistico: un aggregato di uomini che rimane sempre il medesimo nel mutare i suoi componenti, un aggregato di uomini che nei comitia esprimono la loro volont, come volutas omnium o volont collettiva. Per cui prima dell'ascesa di Augusto il

populus Romanus considerato dai Romani come dotato di una volont propria, che esso manifesta direttamente o di cui sono portatori i suoi magistrati e i suoi nuncii. Una volont che del popolo e perci del suo ordinamento. Infatti in questo periodo l'ordinamento-comunit e l'ordinamento-organizzazione coincidono, in quanto il populus ci appare come il baricentro dell'intero sistema.

IL PRINCEPS E L'ORDINAMENTO GIURIDICO Con Augusto, se formalmente tutto sembra rimanere cos com'era, l'ordinamento si trasforma: non pi il populus il destinatario di tutte le relazioni giuridiche, poich vi un graduale ma continuo sovrapporsi ad esso da parte del princeps. Questa nuova figura che per il Mommsen non altri che un magistrato speciale, dato che Augusto nel 27 a.C. si era formalmente esautorato da ogni potere limitandosi alla tribunicia potestas e all'imperium proconsulare maius et infinitum, funzioni che erano ricoperte normalmente da magistrati; ma le due funzioni in lui avevano avuto una colorazione diversa: intanto erano perpetue e poi non avevano nulla a che vedere nella sostanza a quelle ricoperte dai magistrati, che continuavano ad essere eletti e a ricoprire questi ruoli. E' senz'altro un ordinamento sui generis quello che si va delineando con Augusto e il Principato: un ordinamento che vede nel singolo visto come primus inter pares il protettore, il campione della Repubblica, ma che di fatto l'ha gi snaturata, prendendo via via preminenza e auctoritas nei confronti di tutti gli organi repubblicani. Dapprima, quindi, assistiamo al dualismo Populus Romanus-Princeps e poi, attraverso una rete di organi e di burocrazia imperiale, ad un progressivo spostamento delle imputazioni dal populus al princeps. I segni del dualismo sono gi evidenti con Augusto. Gi sotto di lui una Lex Iulia maiestatis aveva esteso al princeps la tutela contro il crimen maiestatis, che in precedenza veniva riferito al populs Romanus; ora tender a qualificarlo come criumen maiestatis romani imperii. Accanto alle provinciae populi Romani si pongono subito le provinciae Caesaris. Sotto i Giulio-Claudi e sotto i Flavi, quindi per tutto il I sec d.C., determinati atti sono ancora di prerogativa del populus Romanus, ad es. la famosa lex de impero Vespasiani, in cui Vespasiano si richiamava alla lex curiata de imperio, quindi all'assenso del popolo nella nomina del princeps. Ma ormai le assemblee popolari vengono convocate sempre di meno e molte loro attribuzioni passano al Senato. In campo penale la provocatio ad populum cede il suo posto alla provocatio o appelatio ad imperatorem. Alla leges populi Romani si sostituiscono le constitutiones principis. Le guerre sono ormai intraprese iussu principis, la milizia sotto il potere del princeps. Successivamente il princeps viene ad assumere anche un carattere divino, per cui egli ormai il dominus della res publica. Questo appellativo che comincia ad essere usato sotto Domiziano, con Traiano ed Adriano si diffonder. IL PROBLEMA DELLE ISTITUZIONALITA' DEL PRINCEPS Molti parlano a proposito del princeps come di un organo che rappresenta una novit nell'assetto istituzionale romano; ma parlare di organo non ha senso nell'esperienza romana. In quanto l'organo una nozione moderna che implica l'idea dello Stato che in Roma non esisteva, almeno nel senso inteso e concepito dai moderni, per cui ogni collettivit costituirebbe una sorta di organismo vivente che opererebbe mediante suoi organi. Parlare in tali termini significa snaturare quel concetto del tutto materiale relativo alla figura di ordinamento di Roma, che almeno fino ad Augusto era stato concepito in termini prettamente realistici. Certo, con Augusto non cambia solo la forma di governo, come direbbero gli storici che usano termini moderni per spiegare fatti antichi, ma proprio l'ordinamento a non essere pi quello di prima, in quanto le sue strutture sono mutate.Cos mentre nel periodo repubblicano l'ordinamento si rifletteva nel populus Romanus, ora si riflette sempre pi nella persona fisica dell'imperatore. Dal punto di vista giuridico si sostiene che se anche formalmente non si pu parlare a proposito del principe come un'istituzione, in quanto le competenze e le potest dell'imperatore non gli derivano da un ufficio dello Stato, dal punto di vista sostanziale, tenuto conto della stabilit del Principato, che dur addirittura tre secoli, sembra proprio che si possa parlare di istituzione, ma l'Orestano non d'accordo con questa tesi, in quanto la nozione di istituzionalit si ha nell'esprimer competenze all'ufficio in quanto tale, per cui il titolare di queste competenze le esercita non in senso personale ma appunto istituzionale, in quanto funzioni proprie dell'ufficio. Ci non accadeva per gli imperatori, in verit non esiste il Principato in senso astratto, esistono singoli principi ed il loro carattere personale conferito a tale potere, che andr ad accrescersi, ad accentrarsi nell'assolutismo del dominus et divus, che trovava nell'investitura divina il suo fondamento. Non bisogna lasciarsi ingannare da certe espressioni che si rinvengono spesso negli Antonini e i Severi, che facevano del populus il titolare dell'imperium per legittimare, attraverso un'investitura popolare, la potest normativa imperiale.

Questi passi sono un evidente bluff politico, tendente a dare una continuit tra le forme repubblicane e quelle imperiali. Ormai proprio il princeps il nuovo baricentro del sistema.

L'APPARATO AMMINISTRATIVO IMPERIALE E L'ORGANIZZAZIONE DEL FISCUS La struttura dell'ordinamento imperiale deve esser analizzata anche rispetto alla sua organizzazione finanziaria, che ormai un vero e proprio apparato amministrativo, via via sempre pi articolato per ovviare ai problemi che afflissero l'ultimo periodo della Repubblica, in cui la gestione delle risorse non era amministrata con controlli idonei, in quanto non era ancora stata burocratizzata tale funzione. Ecco quindi apparire il fiscus che se dapprima si porr in rapporto dualistico con l'antico aerarium populi Romani da un punto di vista formale, tender via via con l'accentrarsi del potere imperiale che far del fiscus un patrimonio privato dell'imperatore (in quanto le due masse, quella personale dell'imperatore e quella legata alla funzione stessa, si uniranno in un'unica scrittura amministrate da un unico procurator) ad essere l'unica cassa finanziaria, in quanto l'aerarium sar ridotto a comprendere solo la competenza finanziaria della citt di Roma. Gi con Augusto si ha l'autorizzazione da parte del Senato a dargli la competenza amministrativa di alcune provinciae, tramite il procurator (un governatore) nominato direttamente dal princeps, dall'Egitto, in quanto considerato diretto successore dei Tolomei, riceveva direttamente i proventi, avendo nel 23 a.C. ricevuto l'imperium proconsulare maius, egli doveva essere in grado di sopperire alle esigenze e alle spese in campo militare e civile, via via che subentrava alle funzioni magistratuali connesse al governo della citt. Di qui il processo di fusione fra le due masse patrimoniali, che se non di nome, almeno di fatto veniva presupposto. Successivamente con gli altri imperatori, nelle casse del fisco confluivano tutti i beni vacanti, tutti i caduca (beni distolti dal suo titolare, in quanto aveva perso la capacit giuridica) e i vacantia (beni di un defunto che non avesse avuto eredi), le pene pecuniarie, i tesori, i proventi dell'ager publicus e di alcune provincie senatorie, sembra comunque prima dei Severi.

IL FISCUS RISPETTO ALL'IMPERATORE I Romanisti, rispetto al problema della qualificazione giuridica del fiscus, hanno congetturato varie ipotesi: - il fiscus sarebbe appartenuto allo Stato, mentre l'imperatore avrebbe avuto solo il potere di amministrarlo - il fisco sarebbe appartenuto all'imperatore, ma ne avrebbe avuto una disponibilit limitata, concetto simile al magistrato vittorioso sul bottino di guerra - il fiscus sarebbe stata una persona giuridica autonoma Riguardo poi al rapporto tra il fiscus, patrimonium e res private principis, alcuni hanno cercato una spiegazione cronologica, affermando che per tutta la durata della dinastia Giulio-Claudia ci sarebbe stata una contrapposizione solo tra il fiscus e il patrimonium, ma con il passaggio del principato ai Flavi, i beni che un tempo erano dei Giuli-Claudi, sarebbero stati pubblicizzati a favore dei Flavi, per cui vi sarebbe stata una nuova qualificazione dei beni privati, chiamata res privata, altri hanno inteso la res privata come patrimonio della corona e il patrimonium come il patrimonio privato del princeps. Secondo il nostro Autore, bisogna rifarsi alla definizione del populus Romanus come centro di riferimento di relazioni giuridiche, che poi sar sostituito dalla persona del princeps; si badi bene dalla persona e non dall'istituzione o dall'ufficio del princeps, per cui come l'aerarium apparteneva al popolo romano, il fiscus appartiene all'imperatore. Il Mommsen ha cercato di spiegare contraddittoriamente che, premesso che il princeps non era altro che un magistrato, il fiscus gli apparteneva in quanto privato. In realt il princeps Res publica speciale, per cui gli compete la titolarit dei beni man mano sottratti all'aerarium, senza distinzioni tra essi e quelli provenienti dalla sua fortuna personale. Non dimentichiamoci che in quanto Res publica egli solutus legibus: solutus proprio perch ordinamento. - Nella Costituzione di Caracalla, il fisco non considerato n res oggetto di ius privato, n di ius publicum, in quanto il rapporto princeps-fiscus era al di fuori di queste sfere, era al di sopra. Gli imperatori nei loro testamenti disponevano liberamente del fiscus e lo qualificavano come patrimonium. - Ulpiano ci informa che i loca fiscalia, in quanto appartenenti all'imperatore, non possono qualificarsi pubblici, ma neppure privati, in quanto il princeps non homo da porsi allo stesso livello dei singuli. Nella frase di Ulpiano: le res fiscales quasi propriae et privatae principis sunt, non si pu cogliere il quasi con un valore approssimativo, ma con un valore di vera approssimazione. Equiparazione e non completa assimilazione, in quanto ribadiamo che il princeps non un privato qualsiasi. Per cui tra il fiscus e patrimonium principis vi sar una semplice differenza che corre tra partite contabili, non a caso anche i beni privati avevano lo stesso trattamento privilegiato goduto dal fisco.

Un passo di Gaio e di Mauriciano potrebbero portarci ad avviso opposto, quando a proposito di un rescritto di Antonino Pio, ci informano che il legato istituito a favore del princeps dovesse essere acquistato dal successore, nel caso di premorienza dell'imperatore onorato rispetto al disponente; ci non era previsto nell'ipotesi di legati a favore dell'imperatrice. Questa disposizione si spiega con la politica dinastica intrapresa dal principato di Adriano, Antonino Pio, e Marco Aurelio, mediante il sistema delle adozioni di successori designati, tant' vero che per la linea femminile dell'imperatrice questa deroga non era prevista. Per cui in conclusione possiamo affermare che il fiscus oggetto di un diritto dell'imperatore di cui egli titolare, non in quanto princeps o in quanto organo dello Stato, ma per la sua preminenza nell'ambito dell'organizzazione pubblica, in quanto egli ordinamento; la differenziazione tra fiscus e patrimonium si risolve in una differenziazione di partite contabili; il princeps, infatti, al di sopra del carattere pubblico, per cui appartengono al princeps tutto ci che non appartiene ai privati. Secondo Adriano, se il tesoro fosse stato rinvenuto in un posto che non era di propriet dell'inventore o in un luogo del principe, doveva esser diviso met all'inventore e met a Cesare, o al proprietario del suolo. Dopo qualche decennio i divi fratres (Marco Aurelio e Lucio Vero) stabiliscono che il fiscus ha diritto alla met del tesoro rinvenuto trovato in qualsiasi luogo che non appartenga all'inventore o ad un privatus domini.

IL FISCUS RISPETTO AI PRIVATI Nell'ambito esterno il fisco si pone come apparato amministrativo, organizzato in modo indipendente rispetto al princeps da una vastissima burocrazia, che serviva da paravento al princeps per quell'attivit odiosa che era l'esazione, per cui era politicamente assai vantaggioso richiamare la figura e la presenza dell'Imperatore nei casi di remissione o di liberalit che l'imperatore concedeva, e riferirsi direttamente alla nozione di fiscus in tema di tasse e di tributi. La dottrina ha cos finito di vedere nel fiscus una persona giuridica, ma ci osterebbe l'impossibilit di inquadrarlo in ambito di diritto privato, in quanto esso in ogni momento e in ogni rapporto ha una tale supremazia da annullare ogni rapporto privatistico paritario. Infatti: 1) non ammessa l'usucapione per i beni fiscali (a differenza del regime previsto per il diritto privato) 2) se il procurator Caesaris avesse assunto l'impegno che in caso di evizione avrebbe corrisposto il duplum o il triplum, il fisco non sarebbe stato obbligato da questo impegno, sicch verificandosi l'evento avrebbe rimborsato il prezzo percepito (questo impegno invece avrebbe obbligato un qualunque rappresentato privato) 3) se il fisco fosse stato dichiarato soccombente, la causa si sarebbe potuta riaprire con un'impugnazione anche a distanza di 3 anni (deroga solo a vantaggio del fisco) Queste e altre deroghe al diritto comune previste a favore del fiscus rappresentano privilegia, che rendono pertanto il fisco centro di riferimento di relazioni giuridiche distinto dall'imperatore. Inoltre per esso era previsto un foro speciale. Esso poi poteva presentarsi come attore o come convenuto avendo quindi la capacit processuale attiva e passiva, in quanto portatore di interessi propri. In un rescritto di Alessando Severo si prescriveva che i fideiussori del privato debitore potevano esser liberati immediatamente, se nei loro confronti il fisco debitore e creditore al contempo, anche se i relativi rapporti facciano capo a stationes (uffici( diversi. Caracalla invece in un rescritto precedente aveva limitato la previsione di questa compensazione solo se la confusione di debitore-creditore del fisco fosse relativa ad una stessa statio. Questa diversit di prescrizioni si spiega per una pi spiccata preoccupazione di Caracalla nel percepire la riscossione del credito, dato il ritardo che avrebbe provocato se in sede giudiziale il debitore avesse potuto eccepire che era creditore di un ufficio diverso da quello che lo aveva chiamato in giudizio.

I PRIVILEGIA FISCI Il fisco presenta nei confronti dei terzi, quindi nell'ambito esterno, nel rapporto di diritto privatistico, una certa supremazia, che mette in evidenza il suo carattere pubblicistico, per cui la natura giuridica del fisco non privatistica, in quanto non vi parit di posizione tra fisco e privati. Per provare ci, prendiamo ad esempio tre privilegi o deroghe al sistema del diritto civile a tutto beneficio del fisco: - E' fatto divieto di acquistare la propriet di beni fiscali per usucapione (per cui i bona vacatia non erano facilmente usucapibili) - In tema di compravendita: l'impegno assunto dal procurator Caesaris di corrispondere all'acquirente di un bene fiscale il doppio o il triplo del prezzo in caso di evizione (tale garanzia che era vista come elemento naturale del negozio di compravendita, insieme alla garanzia per i vizi occulti, si riferisce al caso in cui il bene fosse stato oggetto da parte di un terzo di un'azione di rivendica, dalla quale il terzo avesse ottenuto la condanna del'acquirente), non

obbligava il fisco, per cui verificandosi l'evizione (la condanna alla restituzione del bene da parte dell'acquirente da parte del proprietario del bene stesso) l'acquirente aveva diritto al simplum, e cio al prezzo che aveva pagato per quel bene; un impegno del genere (cio il patto di corrispondere il duplum o il triplum in caso di evizione), invece, sarebbe stato oggetto di obbligazione se fosse stato assunto da un privato - Per quanto riguarda la res iudicata (la sentenza), se fosse stato soccombente il fisco, la causa poteva essere riaperta oltre ai dies fatales, il secondo grado anche oltre i tre anni. Tutti questi privilegi o deroghe al sistema del diritto civile ci fanno comprendere il secondo volto del fisco, inteso come centro di riferimento distinto dalla persona dell'imperatore, per cui ad esso veniva imputata la legittimazione attiva e passiva nei processi. Oltretutto il fisco, anche se organizzato in diversi uffici o stationes, era considerato un tutt'uno: come si evince da un rescritto di Alessandro Severo, secondo cui i fideiussori del privato debitore possono essere liberati immediatamente allrquando figurano creditori e debitori del fisco (per cui si genera quel fenomeno della cd. confusione, che estingue l'obbligazione), anche se in stazioni diverse (in uffici territoriali diversi). Precedentemente Antonino Caracalla aveva invece negato la compensazione fra crediti e debiti quando ci si riferiva a stationes diverse, ma questa concezione opposta si giustifica solo per esigenze organizzative. In conclusione, quindi, ribadiamo che il fisco non considerato come persona giuridica in senso privatistico, perch comunque appartiene al princeps.

ASSOLUTISMO E ORDINAMENTO. LE FORZE CENTRIFUGHE Dopo il III sec d.C., in cui vi fu il buio periodo di anarchia militare, Diocleziano ristabil l'ordine con un'organizzazione nuova: la tetrarchia, la divisione in quattro parti dell'Impero tra i due Augusti e i due Cesari, l'esclusione per il suolo italico dell'esenzione del tributo previsto per il suolo provinciale, un'amministrazione centralizzata. Tutto questo port parte della dottrina a valutare ormai una visione impersonale della carica imperiale per garantire l'unit dell'Impero. Ma questa impersonalit secondo l'Orestano pi apparente che reale, in quanto lo stesso Costantino divider l'impero tra i suoi figli (alla maniera dei monarchi francesi). La stessa unit non stato affatta assicurata, la tetrarchia anche se non riguardava una divisione dell'impero che rimaneva unico, ma era piuttosto un'organizzazione fra sedi imperiali, aveva minato l'unit stessa dell'impero, che dopo Teodosio II diventer definitiva con Arcadio e Onorio. Parlare quindi di Impero in senso impersonale e vederlo anzi come un'entit superindividuale, proprio nella sua fase pi tarda, sembra all'Autore una visione anacronistica, non suffragata dai fatti che invece dimostrano come l'Impero fosse attaccato in pi fronti, non solo rispetto alla sua unit, ma anche dalla Chiesa che rivendicava una preponderanza ed una rilevanza rispetto ad esso, dalla presenza sempre pi minacciosa dei barbari.

L'ASSOLUTISMO IN ORIENTE E LA POSIZIONE DI GIUSTINIANO Con Diocleziano si parla di assolutismo o di dominato, l'imperatore ormai un dominus et deus, oggetto di adoratio da parte dei sudditi, la sua volont legge, ed egli a sua volta si ritiene investito dalla divinit. Sotto Costantino, notiamo che se non era pi possibile per lui farsi chiamare divus, dato che aveva una vocazione divina, per cui grazie alla Chiesa che diventer un instrumentum regni per l'imperatore, egli potenzier al massimo grado la sua dignit, in quanto ormai rappresentante di Dio, unto del Signore, per cui i sudditi non sono coloro che scelgono il proprio imperatore, ma coloro che ricevono l'imperatore da Dio. Mentre comunque in occidente la Chiesa si oppone al cesaropapismo imperiale, in Oriente l'imperatore si porr come suprema autorit anche in campo religioso; e ci specialmente con Giustiniano. Egli riflette il suo potere da Dio, Dio che gli ha affidato il compito di rendersi portavoce della sua volont, per cui egli legge vivente inviata da Dio (Deo auctore). Tutti i beni pubblici sono dell'imperatore, la res publica non qualcosa di sovraordinata a lui, ma l'oggetto del suo potere. Per cui non si pu davvero parlare di una funzione impersonale, di un impero spersonalizzato: tutto, in realt, ruota intorno alla figura di Giustiniano, lui l'ordinamento.

DISSOLUZIONE DEL POPULUS ROMANUS E TRASFORMAZIONE DEI CIVES IN SUBIECTI Con l'impero assoluto si assiste alla dissoluzione del populus Romanus, non solo sul piano politico, ma anche in quello giuridico. Non c' pi il populus inteso come un insieme concreto ed operante. Pur continuando a parlare di civis, ma ormai con la Costituzione di Caracalla nel 212 viene data la cittadinanza a tutti i sudditi dell'impero, per cui i cives sono equiparati agli alii, e cio ai peregrini. La cittadinanza romana si trasforma in cittadinanza dell'impero, per cui ora non vi saranno pi differenze fra cives e alii: saranno tutti sudditi. Naturalmente questa nozione non fu sbandierata apertamente, ancora si continua a parlare in termini di cives, ma ora usando quest'espressione in riferimento all'appartenenza di una certa civitas o altra organizzazione territoriale, ora come condizione giuridica, ma con un signficato stereotipato, come una mera clausola di stile, che significava in soldoni capacit giuridica. Le espressioni cives romani si ritrovano solo nel Digesto che come antologia degli antichi iura riporta certe nozioni che sono solo ormai uno sbiadito ricordo. Interessante il confronto che l'Autore ci propone dello stesso testo che si riferisce a Gaio ripreso e adattato dai compilatori giustinianei nel Digesto e nelle Istituzioni. Al termine cives Romani e populus romanus vengono sostituiti i subiecti: qui sub imperio nostro, anzi pi propriamente fra i tre testi vi sono tre passaggi, infatti nel testo di Gaio si parla di cives Romani, gi nel Digesto essi scompaiono per lasciare il posto al pi astratto imperim che nel testo di Gaio era pi specificamente chiamato imperium populi Romani, nelle Istituzioni cade pure la dicitura di imperium Romanum, ma vi pi esplicitamente il riferimento all'imperio nostro. L'imperium Romanum di cui Giustiniano parla spesso, non che il suo imperium personale, col quale si identifica e coloro che sono sotto di esso non hanno altra condizione che quella di essere subiecti. L'uso del termine subiecti che sostituisce il termine cives, sembra essere avvenuto specialmente con Teodosio II, dopo la promulgazione del suo Codice, infatti gi con le Novellae il suo uso piuttosto pronunciato.

POPULUS ROMANUS, RES PUBLICA, PRINCEPS COME CENTRI DI RIFERIMENTO DI RELAZIONI GIURIDICHE Quindi, giacch non dato di trovare luogo in tutta l'esperienza ormana in concetto di Stato, cos come noi moderni siamo abituati a sentirlo, proprio perch nella struttura delle nostre istituzioni lo Stato concepito e reso operante, come qualcosa di diverso e di pi da noi, a termini come populus Romanus, res publica e princeps che dobbiamo guardare come altrettanti centri di riferimento anche se si sono trovati nella organizzazione dell'ordinamento romano. Il populus Romanus il primo e il pi antico centro di riferimento. Esso corrisponde per tutto il periodo repubblicano all'ordinamento romano. L'unica perplessit che abbiamo perch non vi sia stata un'analisi pi specifica riguardo ad esso da parte della giurisprudenza romana. La spiegazione di questo silenzio pu essere interpretata sia nel fatto che l'elaborazione dottrinaria si sia sviluppata sotto l'impero dei Severi, in un'epoca in cui ormai il populus Romanu aveva perso il ruolo di centro di riferimento dei rapporti giuridici, ma sia perch nell'ipotesi che eventuali spunti di elaborazione vi siano stati, essi naturalmente non vennero recepiti dai compilatori giustinianei, proprio perch parlare del populus Romanus come centro di riferimento non avrebbe avuto pi senso. La res publica sinonimo di res romana, e si riferisce appunto a quella visione materialistica che i Romani avevano intorno alle situazioni unificate. Tra la res publica e populus Romanus vi stretta corrispondenza. I due termini significavano l'ordinamento romano, meglio ancora i centri di riferimento dell'ordinamento romano. Con la prima espressione si descriveva l'aspetto oggettivo: genere, amministrare, defendere rem publicam; con la seconda espressione si voleva sottolineare il momento dinamico di una qualche attivit dell'ordinamento. Dopo il crollo dell'ordinamento repubblicano, la res publica viene a perdere quei connotati di centro di riferimento, per assumere due significati: una come l'oggetto dell'imperium del princeps o viene adoperata come formula di stile, come mera abitudine verbale; l'altra in riferimento alle singole unit cittadine, come equivalente di civitas.

IL PROBLEMA DELL'IMPUTAZIONE DEGLI AGRI PUBLICI Tra la fine della Repubblica e gli inizi dell'Impero la situazione degli agri publici era che le terre che formavano il suolo italico erano oggetto di dominium ex iure Quiritium e quindi di propriet romana, le altre terre che formavano il territorio provinciale erano agri publici populi Romani erano oggetto di tributi, poich se il principio tipico della propriet romana quello per cui non vi possono essere pi propriet su un unico bene, gli agri pubblici di propriet del popolo romano non erano di dominio che dello stesso popolo romano, per cui nei confronti di coloro cui veniva data l'utilizzazione di tali beni non vi era dominium, tant' vero che questa utilizzazione era condizionata, mediante speciali

contratti obbligatori, al versamento di un vectigal, o al pagamento di un'imposta gravante direttamente sui fondi, sottoforma di stipendium (per le provincie senatorie), di tributum (per le provincie imperiali). Per cui gli utenti di questi beni non erano considerati domini, ma possessores, in quanto dominus era il populus Romanus. Questa appartenenza al populus Romanus, rispetto agli agri publici, comport la loro inalienabilit (a meno che non fosse consentito ci da una legge) ed inusucapibilit. Per cui questi beni avevano come centro di imputazione un elemento unificato: il popolo, visto come solo titolare. Per cui quando si venne a sostituire il prin