Riassunti Chirurgia toracica

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1 Chirurgia Toracica Esofago e diaframma Esofago Si sviluppa partire dal XII giorno dalla fecondazione, come tubo che si estende dalla doccia tracheale alla dilatazione dell’intestino primitivo. Inizialmente i tronchi vagali decorrono ai lati dell’esofago ma, in seguito alla rotazione verso destra dello stomaco, il tronco destro si posiziona posteriormente, quello sinistro anteriormente. Lunghezza 25-30 cm, dal margine inferiore della cartilagine cricoide (C6) allo stomaco (T10). Presenta tre restringimenti: o Restringimento aortico (22 cm dagli incisivi) o Restringimento bronchiale (27 cm) o Giunzione esofago-cardiale (40 cm maschio; 37 cm femmina). Occupa la porzione posteriore del mediastino e presenta delle deviazioni verso sinistra a livello cervicale e distale. Tali deviazioni dalla linea mediana sono importanti chirurgicamente essendo l’esofago cervicale aggredibile con un’incisione laterocervicale sx, la porzione toracica, tramite toracotomia dx e porzione distale aggredibile con toracotomia sx. L’esofago riceve l’irrorazione da piccole arterie provenienti da aa. Tiroidea inferiore, carotide comune, costo cervicali, bronchiali, aortici, gastrica sx. il drenaggio venoso affluisce alle vv. tiroidee inferiori nel collo e alle vv. azygos ed emiazygos nel torace, ad eccezioni della porzione terminale che drena nella v. gastrica sx. L’esofago distale costituisce il più importante distretto in cui avviene la comunicazione tra sistema portale e sistema cavale; è il sito in cui possono presentarsi le varici nei pazienti affetti da ipertensione portale. Semeiotica clinica e strumentale I sintomi tipici di malattia esofagea sono: o Disfagia, sensazione di arresto della progressione del bolo durante la deglutizione. La disfagia per i cibi solidi indica una patologia importante sia organica che funzionale, mentre la disfagia per i liquidi è in genere dovuta a disordini della motilità esofagea. I pazienti riferiscono che il passaggio del cibo è facilitato dal sorseggiare liquidi o dall’esecuzione di altre deglutizioni. Una disfagia persistente e progressiva, associata a rigurgito è indice di restringimento organico del lume esofageo. o Rigurgito, risalita spontanea ed emissione dalla bocca di materiale inghiottito ma non pervenuto allo stomaco, senza attivazione della muscolatura in senso antiperistaltico. Il rigurgito non è preceduto da nausea, ma da una sensazione di distensione retro sternale. Si presenta quando il pz è in posizione supina nel corso della notte. Il materiale che refluisce può essere aspirato inavvertitamente dal pz provocando una polmonite ab ingestis. o Scialorrea, aumento della secrezione di saliva. o Odinofagia, comparsa di dolore localizzato nella regione sternale conseguente alla deglutizione di cibi solidi. Comunemente associata ad esofagite. o Pirosi, sensazione urente localizzata al terzo inferiore dello sterno. Può essere dovuto al reflusso di succo gastrico, lesivo per la mucosa esofagea. o Dolore toracico, anteriore, descritto come costrittivo o a spasmo, simile all’angina pectoris. Può irradiarsi al dorso, alla mandibola e al braccio sx. può presentarsi in associazione coi pasti e persistere per un’ora. o Sintomi atipici:

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Chirurgia Toracica

Esofago e diaframma

Esofago Si sviluppa partire dal XII giorno dalla fecondazione, come tubo che si estende dalla doccia tracheale alla dilatazione dell’intestino primitivo. Inizialmente i tronchi vagali decorrono ai lati dell’esofago ma, in seguito alla rotazione verso destra dello stomaco, il tronco destro si posiziona posteriormente, quello sinistro anteriormente. Lunghezza 25-30 cm, dal margine inferiore della cartilagine cricoide (C6) allo stomaco (T10). Presenta tre restringimenti:

o Restringimento aortico (22 cm dagli incisivi) o Restringimento bronchiale (27 cm) o Giunzione esofago-cardiale (40 cm maschio; 37 cm femmina).

Occupa la porzione posteriore del mediastino e presenta delle deviazioni verso sinistra a livello cervicale e distale. Tali deviazioni dalla linea mediana sono importanti chirurgicamente essendo l’esofago cervicale aggredibile con un’incisione laterocervicale sx, la porzione toracica, tramite toracotomia dx e porzione distale aggredibile con toracotomia sx. L’esofago riceve l’irrorazione da piccole arterie provenienti da aa. Tiroidea inferiore, carotide comune, costo cervicali, bronchiali, aortici, gastrica sx. il drenaggio venoso affluisce alle vv. tiroidee inferiori nel collo e alle vv. azygos ed emiazygos nel torace, ad eccezioni della porzione terminale che drena nella v. gastrica sx. L’esofago distale costituisce il più importante distretto in cui avviene la comunicazione tra sistema portale e sistema cavale; è il sito in cui possono presentarsi le varici nei pazienti affetti da ipertensione portale. Semeiotica clinica e strumentale I sintomi tipici di malattia esofagea sono:

o Disfagia, sensazione di arresto della progressione del bolo durante la deglutizione. La disfagia per i cibi solidi indica una patologia importante sia organica che funzionale, mentre la disfagia per i liquidi è in genere dovuta a disordini della motilità esofagea. I pazienti riferiscono che il passaggio del cibo è facilitato dal sorseggiare liquidi o dall’esecuzione di altre deglutizioni. Una disfagia persistente e progressiva, associata a rigurgito è indice di restringimento organico del lume esofageo.

o Rigurgito, risalita spontanea ed emissione dalla bocca di materiale inghiottito ma non pervenuto allo stomaco, senza attivazione della muscolatura in senso antiperistaltico. Il rigurgito non è preceduto da nausea, ma da una sensazione di distensione retro sternale. Si presenta quando il pz è in posizione supina nel corso della notte. Il materiale che refluisce può essere aspirato inavvertitamente dal pz provocando una polmonite ab ingestis.

o Scialorrea, aumento della secrezione di saliva. o Odinofagia, comparsa di dolore localizzato nella regione sternale conseguente alla

deglutizione di cibi solidi. Comunemente associata ad esofagite. o Pirosi, sensazione urente localizzata al terzo inferiore dello sterno. Può essere dovuto al

reflusso di succo gastrico, lesivo per la mucosa esofagea. o Dolore toracico, anteriore, descritto come costrittivo o a spasmo, simile all’angina pectoris.

Può irradiarsi al dorso, alla mandibola e al braccio sx. può presentarsi in associazione coi pasti e persistere per un’ora.

o Sintomi atipici:

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A. Anemia, legata a stillicidio cronico; B. Ematemesi o melena. C. Accessi di tosse e infezioni polmonari ripetute, nei pz con reflusso e rigurgito.

L’esame obiettivo dei pazienti con malattia esofagea deve controllare anche la presenza di:

o Segni di calo ponderale; o Pallore secondario ad anemia; o Tumefazioni laterocervicali o sovraclaveari; o Anomalie alla percussione e all’auscultazione del torace; o Presenza di massa epigastrica; o Epatomegalia.

La semeiotica strumentale, comprende:

o Radiografia del torace, necessaria per: o poter escludere la possibilità di polmonite ab ingestis; o individuare un allargamento mediastinico; o evidenziare ombre nei tessuti molli o livelli idroaerei (acalasia); o nei pz con perforazione esofagea, evidenziare la presenza di enfisema mediastinico e

versamento pleurico. o Radiografia con pasto opaco, utile nei casi di:

o Disfagia legata a disordini di motilità esofagea; o Stenosi organiche maligna o benigna; o Reflusso gastroesofageo.

o TC, utile nella stadi azione preoperatoria della patologia maligna esofagea. o Ecografia, permette di osservare la paralisi di un emidiaframma e i suoi movimenti

paradossi, indici di paralisi del n.frenico, espressione di una lesione maligna mediastinica ( CA esofageo o bronchiale) in fase avanzata.

o Studi radio isotopici, utilizzati per valutare l’efficienza della giunzione esofago-gastrica nei pz con sintomi di reflusso e per studiare il tempo di transito di boli liquidi e solidi nei disordini di motilità esofagea. Gli individui normali eliminano il 90% del liquido attraverso l’esofago in 4-15 secondi.

o Endoscopia, con strumento flessibile ha sostituito quella con tubo rigido, oggi limitata alla rimozione di corpi estranei. È di fondamentale importanza nell’identificazione di neoplasie esofagee.

Si possono effettuare anche prove di funzionalità:

o Manometria o Test di perfusione acida di Berstein, che indaga la sensibilità della mucosa esofagea in

ambiente acido; o Test standard del reflusso acido; o Test della detersione dell’acido, stabilisce la capacità della porzione distale dell’esofago di

eliminare un carico tramite una serie di deglutizioni. La normalità sono 3-10 deglutizioni. o pH-metria di lunga durata.

Affezioni congenite Sono dovute ad errori di sviluppo dell’abbozzo embrionario dell’esofago e comprendono:

o assenza totale dell’esofago; o impervietà totale,; o esofago doppio; o atresia;

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o fistola tracheoesofagea; o esofago breve

Atresia

Legata ad un difetto di canalizzazione dell’esofago durante la vita intrauterina. Frequente si associa a fistole tracheoesofagee. Vengono distinte in sei tipi:

o Tipo I – Atresia senza fistola; o Tipo II – Atresia con fistola tra segmento prossimale e trachea; o Tipo III – Atresia con fistola tra segmento distale e trachea; o Tipo IV – Atresia con doppia fistola prossimale e dustale; o Tipo V – Fistola ad H senza atresia; o Tipo VI – Stenosi

Trachea ed esofago sono separati, nel II-III mese dal concepimento, da un setto frontale che si sviluppa dal basso verso l’alto. L’atresia con fistola distale è la più frequente, rappresentando il 90% delle malformazioni. L’incidenza di queste malformazioni è 1:1000 nati vivi. Circa il 50% dei neonati affetti da atresia esofagea, presenta altre anomalie, più frequentemente a livello muscolo-scheletrico, cardiovascolare o gastrointestinale. Deve far sospettare di atresia dell’esofago:

o Addome globoso

o Salivazione profusa

o Crisi di soffocamento al

primo tentativo di

alimentazione del neonato a

poche ore dal parto. Nelle atresie di tipo I e II non vi è immissione di aria nello stomaco, tuttavia la saliva, una volta riempita la sacca prossimale, invade l’apparato respiratorio provocando gravi crisi di tosse. Nel tipo III ogni atto respiratorio determina l’immissione di aria nello stomaco con progressivo distensione addominale. Nel tipo IV tutti i sintomi descritti sono presenti e si sovrappongono. Il neonato deve essere tenuto col capo sollevato ed un sottile sondino naso-gastrico viene introdotto con delicatezza. L’arresto del sondino a 10 cm dalla narice, con assenza di succo gastrico nell’aspiratore indica la presenza di atresia. La radiografia diretta dell’addome evidenzia la presenza o meno della bolla d’aria nello stomaco. La chirurgia d’urgenza deve per prima cosa mirare a salvare la vita del neonato, adottando misure che evitino la compromissione dell’apparato respiratorio attraverso la chiusura della comunicazione esofago-tracheale, rendendo possibile la nutrizione del neonato. Se la distanza tra i due monconi dell’esofago è breve si procede all’anastomosi termino-terminale; se la distanza non permette l’anastomosi diretta, la continuità del tubo digerente viene ristabilita con l’interposizione di un’ansa colica o digiunale.

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Stenosi

Consiste in un restringimento del lume esofageo costituito da un diaframma più o meno sottile. Si distinguono:

o Stenosi membranose, con conformazione a cercine, con apertura centrale o eccentrica, in genere impiantata sulla parete posteriore. In alcuni casi sono presenti vere pliche valvolari. È più frequente a livello cervicale, subito sotto il m.cricoioideo e a livello distale, sopra il cardias.

o Stenosi fibrosa, il restringimento è concentrico. Si riscontrano occasionalmente in indagini radiologiche o endoscopiche per disturbi motori.

La sintomatologia consiste in disfagia associata a rigurgiti, legati soprattutto al disturbo motorio. La terapia è quella della malattia di base. L’anello di Schatzki è un restringimento concentrico a livello della giunzione easofago-gastrica, associato ad ernia iatale e reflusso gastroesofageo. La sintomatologia è caratterizzata da disfagia e dolore epigastrico. L’exeresi di questi anelli deve sempre essere associata alla correzione chirurgica dell’ernia iatale e del reflusso. Discinesie Con il termine discinesia esofagea s’indica un disturbo motorio caratterizzato da alterazioni della normale attività peristaltica senza ostruzione organica del lume. Discinesie dello sfintere esofageo superiore

Primarie

La più frequente è l’acalasia idiopatica dello UES, caratterizzata da uno stato ipertensivo conseguente ad un mancato o incompleto rilasciamento dello sfintere con la deglutizione. Si manifesta con attacchi ricorrenti di disfagia a livello cervicale, aggravati da stati di ansia. La manometria evidenzia una discinesia tra arrivo dell’onda faringea e rilasciamento dello UES. L’aumento della pressione faringea, per superare l’ostacolo, può determinare una erniazione nel triangolo di Killian, con formazione di un diverticolo. Il trattamento è inizialmente medico con miorilassanti. L’aggravamento della sintomatologia disfagica pone l’indicazione alla chirurgia, con intervento di miotomia extramucosa del m.cricofaringeo. Secondarie

Si possono presentare in corso di: o Malattie neurologiche; o Malattie metaboliche; o Reflusso gastroesofageo; o Neoplasie dell’esofago cervicale o Lesioni dei nervi laringei superiori durante interventi alla tiroide.

Discinesie del corpo dell’esofago

Possono essere primarie (idiopatiche) o secondarie a malattie sistemiche. Acalasia

Alterazione motoria caratterizzata da mancato rilasciamento del LES durante la deglutizione, assenza o in coordinata attività peristaltica e dilatazione dell’esofago. Le principali alterazioni sono:

o Assenza di onde peristaltiche nel terzo distale; o Incompleto rilasciamento del LES; o Pressione del LES a riposo elevata.

Il bolo viene normalmente introdotto nell’esofago ma, mancando la coordinazione tra onda peristaltica e apertura del LES, si arresta alla giunzione cardiale che rimane chiusa, aprendosi solo

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quando la pressione intraesofagea supera l’ostruzione. Con la progressione della malattia, l’esofago si dilata fino ad assumere vari aspetti: a fiasco, fusiforme, sigmoideo. L’alterazione peristaltica è la conseguenza di un danno dell’innervazione parasimpatica dell’esofago, in seguito a degenerazione, riduzione o assenza di cellule gangliari. L’incidenza della malattia è uguale nei due sessi, colpendo individui di età compresa tra 20 e 60 anni. I sintomi principali sono:

o Disfagia, sia per i liquidi che per i solidi. Inizialmente è occasionale; o Rigurgito; o Calo ponderale; o Dolore toracico ad insorgenza spontanea che possono simulare l’angina pectoris; o Odinofagia.

Successivamente, la maggiore dilatazione esofagea riduce i sintomi dolorosi; è frequente in questa fase alitosi, eruttazione e rigurgito di saliva mucoide. Nella fase avanzata abbiamo:

o Disfagia grave e persistente; o Episodi frequenti di rigurgito; o Calo ponderale; o Anemia; o Segni di compromissione respiratoria.

L’infiammazione cronica della mucosa può determinare epitelioma squamoso. Le indagini da eseguire sono:

o Radiografia del primo tratto con mezzo di contrasto, che mostra la dilatazione dell’ombra mediastinica con livelli idroaerei. Il bario scende per gravità e aspetto “a coda di topo” della giunzione esofago-gastrica.

o Endoscopia, rivela un’esofagite prodotta dal ristagno di cibo e conseguente proliferazione batterica. La biopsia è utile per escludere la trasformazione neoplastica su esofago acalasico.

o Manometria. Il trattamento medico con calcio-antagonisti o nitroderivati è inefficace per lunghi periodi. Sono utili gli accorgimenti dietetici con pasti piccoli, lenti e frazionati. I trattamenti di elezioni rimangono la dilatazione della giunzione esofago-gastrica per via endoscopica e la miotomia extramucosa per via chirurgica, riservato nei casi:

o Stadio avanzato; o Coesistente patologia chirurgica (ernia iatale); o Insuccesso della dilatazione o recidiva; o Pazienti pediatrici.

Spasmo esofago diffuso

Più raro dell’acalasia, è caratterizzato da ipertrofia della tonaca muscolare esofagea e della muscolaris mucosae nel tratto distale, con degenerazione walleriana delle fibre vagali e ipersensibilità della muscolatura a stimoli colinergici. I sintomi predominanti sono:

o Dolore toracico retro sternale, di tipo costrittivo, che si presenta più spesso in modo spontaneo;

o Odinofagia, o Disfagia di grado variabile, ad intermittenza.

L’esame radiografico conferma la presenza di contrazioni terziarie ripetitive che conferiscono l’aspetto a cacaturaccioli. Occorre un’indagine endoscopica per escludere patologie organiche. Come prima scelta va considerato il trattamento medico con antispastici, nitroderivati ad azione prolungata e tranquillanti. L’intervento chirurgico è preso in considerazione solo dopo l’insuccesso dei trattamenti precedenti e prevede una miotomia longitudinale.

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Acalasia vigorosa

Presenta caratteristiche sia dell’acalasia classica che dello spasmo esofago diffuso. Il dolore toracico, la disfagia e il rigurgito sono i sintomi più importanti. Si può osservare dilatazione della porzione distale e stenosi cardiale. Terapia medica e dilatazione pneumatica sono inefficaci. La terapia chirurgica prevede la miotomia longitudinale. Malattia di Chagas

Endemica in America Latina è la conseguenza dell’infezione da Tripanosoma cruzi, che a livello esofageo distrugge il plesso mioenterico di Auerbach. Esofago “schiaccianoci”

Nota come peristalsi esofagea sintomatica, è caratterizzata da normali onde peristaltiche indotte dalla deglutizione ma di larga ampiezza e lunga durata. I pz presentano episodi saltuari di dolore toracico, senza disfagia. Discinesie dello sfintere esofageo inferiore

Sono rare e comprendono: o Ipertonia del LES, in cui lo sfintere si rilascia in modo incompleto e per brevi periodi in

seguito allo stimolo deglutitorio. Può essere asintomatico o manifestarsi come dolore retro sternale alla deglutizione e disfagia.

o LES ipercontrattile, in cui è aumentata la risposta alla deglutizione. Si associa spesso alla precedente.

o Ipotonia del LES (calasia), caratterizzata da sintomatologia sovrapponibile all’ernia iatale, con dolori epigastrici e retro sternali, pirosi, rigurgito ed aggravamento posturale dei disturbi.

Discinesie secondarie a patologie sistemiche

Comprendono: o Malattie neurologiche; o Malattie del collagene, di cui la principale è la sclerodermia che determina a livello

esofageo incompetenza del LES con progressiva scomparsa dell’onda peristaltica nel tratto di muscolatura liscia. I pz, oltre ai sintomi tipici della malattia di base (Raynaud, calcinosi, scleroatrofia della cute, presentano disfagia marcata e bruciori retro sternali. La radiografia con bario mostra un organo inerte, lievemento dilatato nella porzione distale. Una terapia medica specifica non esiste. La stenosi può essere trattata con dilatazione pneumatica. L’alternativa chirurgica nelle fasi avanzate con dilatazioni e stenosi irreversibili, è rappresentata dalla resezione esofagea con sostituzione di un segmento di colon o di ansa digiunale.

o Sindrome di Plummer-Vinson, che comprende anemia, disfagia ed esofagite, è presente in pazienti con carenza di ferro resistenti alla terapia sostitutiva. Colpisce prevalentemente il sesso femminile dopo la menopausa ed è caratterizzata da:

o Disfagia, legata alle contrazioni spastiche diffuse; o Anemia ipocromica microcitica; o Glossite;

o Atrofia della mucosa faringea ed esofagea prossimale;

o Secchezza cutanea ed oculare;

o Splenomegalia;

o Stomatite delle commissure labiali. Il rischio elevato di insorgenza di carcinoma esofageo richiede un monitoraggio prolungato dei pz.

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Diverticoli dell’esofago Possono essere:

o Congeniti, sono molto rari e rappresentano forme di duplicazione dell’esofago.

o Acquisiti, si distinguono in diverticoli: o Da pulsione, dovuti a graduale

estroflessione, in punti di bassa resistenza della parete muscolare, per effetto dell’aumento della pressione intraluminale.

o Da trazione, dovuti all’attrazione esercitata da un processo cicatriziale esterno secondario a processi infiammatori (in genere tubercolare). Sono solitamente piccoli, multipli e hanno una direzione orizzontale.

I diverticoli esofagei sono suddivisi in:

o Faringo-esofagei (di Zenker); o Medio-toracici; o Epifrenici.

Diverticolo faringoesofageo (di Zenker)

Si ritiene sia legato a discinesie: o Mancato rilasciamento del m.cricofaringeo dopo l’inizio della deglutizione o Contrazione dell’UES prima che la contrazione faringea si sia completata. o Ipertono dello sfintere secondario a reflusso gastroesofageo; o Discinesia secondaria ad altri disordini di motilità.

È il più frequente, da pulsione, secondario a incoordinazione faringo-esofagea. Si presenta come un’estroflessione della mucosa e sottomucosa sulla parete posteriore, a livello della giunzione faringo-esofagea, tra le fibre del m.costrittore inferiore del faringe e le fibre trasversali del m-cricofaringeo (triangolo di Killian). Essendo limitato posteriormente dalla colonna vertebrale, il diverticolo si viene a trovare a sx, dietro l’esofago. La tasca, crescendo tende ad assumere una posizione longitudinale e declive, comprimendo o dislocando l’esofago anteriormente. Il cibo entra più facilmente nel diverticolo che nel lume esofageo. I sintomi, sempre più frequenti comprendono:

o Disfagia, inizialmente a livello cervicale, successivamente, la compressione dell’esofago la rende più grave;

o Rigurgito posturale; o Ruminazione; o Tosse all’assunzione di cibo. o Alitosi; o Faringiti

o Incostanti fenomeni compressivi: o Disfonia o Miosi e enoftalmo; o Disturbi sincopali

Tre volte più frequente nei maschi, insorge in età media e avanzata. La diagnosi viene fatta con esame radiologico con bario che, in proiezione laterale, evidenzia il diverticolo, il colletto e il grado

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di spostamento anteriore dell’esofago. L’endoscopia è sconsigliata in quanto si rischia di perforare il diverticolo. La manometria e la pHmetria sono utili per valutare, rispettivamente, le alterazioni motorie e la presenza di reflusso. Le possibili complicazioni sono di tipo settico per l’apparato respiratorio e la perforazione. L’intervento chirurgico può essere rivolto sia al diverticolo che alla discinesia, se presente, e prevede un approccio laterocervicale sx. Le soluzioni possibili sono la miotomia cricofaringea senza resezione del diverticolo, la divertilectomia o la diverticolopessi. Diverticoli medio-toracici

Rappresentano il 15% e sono spesso asintomatici. Possono essere:

o Congeniti, sono rari, compaiono in età adulta e sono determinati da un meccanismo di trazione o da fistola congenita;

o Da trazione, rappresentano la maggioranza e sono secondari ad aderenze fibrose tra parete dell’esofago e linfonodi sclerotici in seguito a processi infiammatori, in genere tubercolari. Spesso sono multipli, di piccole dimensioni e non aumentano di volume. Si caratterizzano radiologicamente per la forma triangolare ad apice verso l’alto e l’ampio colletto.

o Da pulsione, secondari a disordini della motilità esofagea con aumento della pressione intraluminale e conseguente erniazione. La sintomatologia è legata al disordine motorio primario. Si presentano radiologicamente come sacche col colletto stretto, col fondo in posizione declive. La manometria deve essere eseguita per rilevare il livello e il grado di compromissione del disordine motorio. Le complicanze sono legate all’infiammazione della sacca e alla perforazione.

I diberticoli asintomatici non necessitano di terapia. Nei sintomatici, l’intervento prevede la toracotomia dx,con resezione del diverticolo ed eventuale miotomia. Diverticoli epifrenici

Sono quelli situati negli ultimi 10cm dell’esofago toracico. Non sono molto frequenti e vengono classificati come acquisiti da pulsione. Insorgono in seguito ad aumento di pressione intraesofagea secondario a discinesia o ad ernia iatale con reflusso gastroesofageo. Può essere del tutto asintomatico o essere identificato occasionalmente ad un esame radiologico. Nei pazienti sintomatici si distinguono:

o Fase oligosintomatica prodromica o Pirosi;

o Digestione difficile;

o Singhiozzo;

o Fase sintomatica tipica: o Alitosi;

o Disfagia;

o Dolore toracico;

o Rigurgito;

o Pirosi.

Il quadro radiologico mostra un’estroflessione sacciforme, con piccolo colletto, adagiata sul diaframma. Il trattamento è quello del disordine motorio primario. Se il diverticolo è piccolo, tale trattamento risolve il problema. La resezione chirurgica è indicata qualora il colletto non permetta un adeguato svuotamento del diverticolo o è presente infiammazione.

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Esofagiti Sono un complesso di lesioni esofagee, acute e croniche, caratterizzato da lesioni di tipo irritativo e non neoplastico. Possono essere prodotte da agenti di diverso tipo (batterico, micotico, chimico e fisico). Molte forme sono asintomatiche o paucisintomatiche. Quelle d’interesse chirurgico sono le esofagiti da agenti fisici o chimici e le esofagiti peptiche. Esofagiti da agenti chimici e fisici

L’ingestione di caustici è accidentale nei bambini, mentre negli adulti avviene a scopo suicida e provoca una necrosi coagulativa dei tessuti, la cui estensione dipende dalla quantità e dalla concentrazione della sostanza. I caustici alcalini comportano una necrosi dei tessuti con liquefazione e successiva saponificazione; comprendono idrossido di sodio, carbonato di sodio, metasalicilato sodico e ammoniaca. Le sostanze acide non provocano gravi danni nell’esofago in quanto l’ambiente è alcalino e comprendono acido tannico, acido borico, acido formico, acido muriatico ed acido fosforico. Le caratteristiche fisiche della sostanza determinano la localizzazione e l’estensione del danno:

o Agenti solidi, aderiscono alla lingua, al palato e al faringe determinando danni profondi ma più limitati nei tratti sottostanti;

o Agenti liquidi, transitano rapidamente nell’esofago, determinando danni maggiori nei restringimenti fisiologici del tubo.

Le lesioni molto gravi possono estendersi in profondità alla parete tracheale determinando la formazione di fistole esofago tracheale. La gravità delle lesioni è classificata in:

o I grado, iperemia mucosa; o II grado, ulcerazioni trans mucosa; o III grado, ulcerazione profonda con perforazione a livello mediastinico, pleurico o

peritoneale. Nelle lesioni sono riconoscibili tre fasi:

o Acuta, nei primi giorni dopo l’evento lesivo, è presente coagulazione tissutale, reazione infiammatoria, trombosi intravasale ed infezione batterica secondaria.

o Subacuta, può durare sino a 2 settimane, vi è la lisi del materiale necrotico con sostituzione di tessuto di granulazione;

o Cronica, la maturazione e la retrazione del tessuto fibroso esitano nella formazione di stenosi cicatriziali di vario grado.

Possibili conseguenze a distanza comprendono carcinoma, disturbi della motilità, ernie iatali e reflusso gastroesofageo. Bisogna accertare la natura del chimico ingerito. Al momento del ricovero si deve provvedere ad un’attenta endoscopia dell’orofaringe, dell’esofago e dello stomaco. Raucedine, stridore e dispnea sono indici di edema laringeo. L’esame obiettivo e radiologico diretto di torace e addome deve cogliere eventuali segni di una perforazione del mediastino e del peritoneo. Il trattamento terapeutico è indicato in casi di:

o Stenosi estesa e persistente; o Refrattarietà al trattamento dilatante; o Stenosi cervicali; o Fistole esofago tracheali; o Displasia grave, carcinoma in situ o invasivo in sede di lesione.

Precocemente si fornisce una terapia di supporto con somministrazione per via parenterale di liquidi, antibiotici e steroidi. Nelle lesioni di I grado si somministrano antiacidi; in quelle di II

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grado si associano i corticosteroidi. Vengono tenuti a regime di nutrizione parenterale totale sino alla stabilizzazione delle lesioni. Le lesioni di III grado richiedono accertamenti diagnostici. L’intervento chirurgico in caso di esteso processo cicatriziale esofageo prevede l’esofagectomia totale e ristabilimento della continuità per mezzo di ansa colica o digiunale. Esofagite da reflusso

È la più frequente affezione esofagea. S’intende la presenza di alterazioni istologiche dovute a reflusso patologico, associate ad alterazioni macroscopiche ben evidenti endoscopicamente. Non riconosce un’unica causa, ma la sua genesi è multifattoriale con prevalenza di uno o più fattori causli, tra cui:

o Reflusso gastroesofageo, è la condizione primaria. Si verificano in tutti i soggetti ma divengono patologici quando l’entità e la frequenza di comparsa sono rilevanti. Possono verificarsi per transitori rilasciamenti del LES o aumenti di pressione intraddominale.

o Volume gastrico, sembra che la presenza di abbondante succo gastrico induca un netto aumento di rilasciamento del LES.

o Capacità lesiva del refluito, l’acido cloridrico è in grado di indurre lesioni epiteliali quando il suo pH è < a 3; la presenza di pepsina nel succo gastrico aumenta la capacità lesiva del refluito.

o Clearance esofagea, determina la durata dell’esposizione all’effetto lesivo del materiale refluito. È importante la peristalsi del viscere; se alterata, la clearance dipende dalla gravità ed è efficace in posizione eretta. Un’azione complementare di detersione è svolta dalla saliva.

o Resistenza tissutale, influenzata dall’età e dallo stato nutrizionale del paziente. I meccanismi di protezione della parete comprendono:

o Secrezione di muco e bicarbonati; o Trasporti ionici che mantengono il pH normale; o Tempi di duplicazione cellulare.

o Situazioni particolari: o Gravidanza, in cui l’elevato livello di estrogeni e progestinici riduce il tono del LES; o Iperemesi; o Anestesia; o Intubazione naso-faringea, può provocare RGE per difetto di detersione. o Discinesie esofagee

I sintomi comprendono:

o Pirosi, avvertito come bruciore restrosternale, è il più frequente; o Dolore retrosternale accessionale, può essere intenso; o Rigurgito; o Scialorrea, da ipersecrezione legata al reflusso acido; o Disfagia, indica la presenza di una stenosi cicatriziale. Inizialmente verso i cibi solidi, poi si

estende ai liquidi; o Sono possibili:

o Anemia microcitica sideropenica da sanguinamento occulto; o Sintomi respiratori, legati ad aspirazione di materiale.

Se il RGE è presente nei primi mesi o anni di vita, prevalgono i sintomi di grave rigurgito, anemia sideropenia, arresto della crescita e problemi respiratori. Il decorso è vario in quanto si possono avere remissioni spontanee o la comparsa di complicanze malgrado una corretta terapia. Le possibili complicanze comprendono:

o Stenosi (10%), dovuta alla fibrosi cicatriziale conseguente all’infiammazione cronica protratta, progredisce lentamente. Il tratto stenotico è presente nell’esofago distale.

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o Emorragia, è rara e può essere dovuta alla presenza di ulcerazioni diffuse della mucosa, o ad un’ulcera unica e profonda;

o Esofago di Barrett, rappresentata dalla sostituzione del normale epitelio squamoso pluristratificato esofageo con un epitelio cilindrico monostratificato. È una metaplasia, importante in quanto ha un rischio di trasformazione neoplastica. Si associa spesso a stenosi peptica.

o Disturbi respiratori, rappresentati da raucedine, tosse, crisi dispnoiche e polmoniti. Frequenti in età pediatrica.

L’anamnesi è molto indicativa, tuttavia, in presenza di sintomi atipici, diviene importante la valutazione strumentale. L’esame di prima scelta è l’endoscopia, che permette di quantificare lo stadio e l’estensione dell’esofagite, oltre a permettere di eseguire biopsie, necessarie per la diagnosi di metaplasia di Barrett o di lesioni sospette. L’esame radiologico diviene importante nella valutazione di complicanze stenotiche o per la presenza di un’ernia iatale. La manometria assume impotanza nello studio dei deficit dei meccanismi antireflusso. La pHmetria è indispensabile per definire con completezza un RGE; viene anche eseguito per verificare l’efficacia di una terapia medica o chirurgica. La terapia medica mira a:

o Diminuire il RGE, attraverso l’istruzione del pz a non consumare pesti copiosi, riducendo la quota lipidica che rallenta lo svuotamento gastrico. Possono essere utili i farmaci pro cinetici che incrementano lo svuotamento gastrico e aumentano la pressione basale del LES.

o Neutralizzare il refluito, attraverso l’uso di antiacidi ad alte dosi o la somministrazione di farmaci anti-H2.

o Potenziare la detersione esofagea, ad esempio attraverso il sollevamento di circa 20-30cm della testa.

o Proteggere la mucosa esofagea, attraverso farmaci come il sucralfato (crea una barriera che previene ulteriori aggressioni) e l’acido alginico (forma una barriera di schiuma galleggiante al di sopra del succo gastrico).

Qualora la malattia risulti refrattaria alla terapia medica o si associ a complicanze respiratorie, deve essere considerata la terapia chirurgica. In caso di stenosi, si può procedere al trattamento di essa direttamente nella seduta di valutazione. Nelle stenosi gravi, la dilatazione, associata a maggiori rischi di perforazione, deve essere fatta in modo graduale. La terapia chirurgica è indicata in:

o Giovane età (<40 aa); o Intolleranza alla terapia medica prolungata; o Recidiva sintomatica e clinica precoce dopo terapia; o Complicanze da reflusso.

Le procedure chirurgiche antireflusso mirano a ricostruire il segmento intraddominale di esofago e a creare un meccanismo valvolare all’estremità che ostacoli il reflusso. Le due tecniche più usate sono la fundoplicatio secondo Nissen e la riparazione di Belsey Mark IV.

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Lesioni traumatiche Le lesioni traumatiche dell’esofago, oltre le ferite e le perforazioni, comprendono anche affezioni in cui l’elemento determinante è di origine endogena. Perforazioni

Rappresenta una condizione gravata da alta mortalità e morbilità. La sopravvivenza dipende da un tempestivo riconoscimento della lesione e dal provvedimento terapeutico. Le cause di perforazioni sono numerose, ma quelle più comune è in corso di endoscopia. Perforazioni accidentali possono aversi in corso di interventi chirurgici. Le perforazioni da corpo estraneo possono verificarsi dopo ingestione volontaria di corpi taglienti o dopo deglutizione accidentale, durante il pasto di lische o schegge di ossa. In quest’ultimo caso, possono determinare perforazione a distanza di settimane o mesi. Dal punto di vista clinico, le perforazioni si distinguono in:

o Precoci, riconosciuta immediatamente o entro le 24 ore. La prognosi è buona in quanto la riparazione chirurgica può avvenire su tessuto consistente. La precocità della correzione può evitare la sepsi generalizzata.

o Tardiva, quando la diagnosi avviene oltre 24 ore dall’evento scatenante. È presente edema della parete esofagea che preclude la possibilità di una sicura sutura primaria della lesione. La mortalità è del 40-0%.

I segni precoci sono: o Dolore, la cui sede e proiezione varia in base al tratto esofageo coinvolto. o Tachicardia; o Febbre.

Nelle lesioni cervicali sono presenti disfagia dolorosa e ematemesi, caratteristica delle lesioni incomplete dell’esofago. Nelle lesioni toraciche è presente dispnea con ottusità alla percussione e rumori respiratori all’auscultazione. Un quadro peritonitico indica la perforazione del tratto endoaddominale dell’esofago. Le manifestazioni tardive comprendono:

o Febbre; o Instabilità cardiovascolare; o Shock settico conclamato, da infezione polimicrobica.

La diagnosi è confermata con esame radiologico che mostra enfisema nella regione cervicale ed espansione della ombra mediastinica con aumento della distanza tra trachea e colonna vertebrale. La presenza di aria diaframmatica è indice di perforazione dell’esofago addominale. L’esame endoscopico è indicato quando persiste un sospetto clinico non confermato dalla radiografia e nelle seguenti condizioni:

o Perforazione incompleta (intramurale); o Sindrome di Mallory-Weiss; o Corpi estranei o Controllo di eventuale sanguinamento; o Valutazione della gravità dell’ustione da caustici.

Rotture spontanee

Ematoma intramurale

Evenienza rara, insorge in seguito a lacerazione della mucosa esofagea con sanguinamento sottomucoso e dissezione delle due tonache. Il quadro clinico è caratterizzato da: conati di vomito, disfagia, dolore urente a localizzazione epigastrica e irradiazione al dorso, ematemesi. La condizione è autolimitante.

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Sindrome di Mallory-Weiss

Comparsa di ematemesi da rottura del plesso venoso sottomucoso in seguito a ripetuti conati di vomito, indotti da eccessiva assunzione di alcool. La lesione è longitudinale e può interessare sia mucosa che sottomucosa; si associa spesso ad altre patologie del tratto gastroenterico: ernie iatali, esofagite, varici esofagee, duodeniti ed ulcere peptiche. È più frequente nel sesso maschile con anamnesi positiva per abuso di alcool o acido acetilsalicilico. La diagnosi è confermata dall’endoscopia che va effettuata in condizioni di stabilità emodinamica. Il trattamento è conservativo con farmaci bloccanti i recettori H2 ed antiacidi. L’elettrocoagulazione e la chirurgia sono riservate ai casi di sanguinamento grave ed incontrollabile. Sindrome di Boerhaave

È dovuta alla rottura spontanea della parete. Si caratterizza per violenti conati di vomito, dolore improvviso, violento, lacerante, collasso cardiocircolatorio. Più frequente tra i 40 e i 60 anni. Nell’anamnesi si osserva una lunga storia di disturbi dispeptici e spesso la presenza di ulcera peptica, esofagite ed ernia iatale. La sindrome si può osservare durante sforzi eccessivi per una defecazione difficoltosa. La diagnosi differenziale va posta con l’IMA, l’ulcera peptica perforata, l’embolia polmonare, l’aneurisma dissecante dell’aorta o la pancreatite acuta necrotico-emorragica. In molti casi di perforazione esofagea si rende necessaria la correzione chirurgica precoce, dopo aver ottenuto la stabilità emodinamica e respiratoria del paziente. In alcuni casi si può optare per un atteggiamento conservativo, allo scopo di attendere una riparazione spontanea della lesione. Questo trattamento consiste nella cessazione dell’alimentazione, nel trattamento antibiotico, nell’aspirazione naso-gastrica, nella nutrizione parenterale totale e nel drenaggio pleurico, se necessario. Terapia chirurgica precoce: in assenza di patologie associate la lacerazione viene suturata in uno o due strati con materiale a lento assorbimento e posizionamento di due tubi di drenaggio in posizione intra ed extraluminale. Se le condizioni generali del pz sono compromesse, la ricostruzione definitiva viene rimandata e ci si limita ad una esofagostomia cervicale provvisoria. Terapia chirurgica differita: non è possibile la sutura diretta della lacerazione per la presenza di ispessimento ed edema locale della parete lesa. Le opzioni sono:

o Chiusura del difetto con apposizione e fissazione di adeguato lembo di copertura; o Diversione dell’esofago tramite esofagostomia cervicale.

Corpi estranei

Sono oggetti che per le loro dimensioni e caratteristiche fisiche si arrestano nell’esofago determinando disfagia e successivamente lesioni della parete di gravità variabile, sino alla perforazione. In molti casi, il corpo estraneo può transitare nell’intestino sino all’espulsione spontanea per via anale. L’ingestione di corpi estranei è in genere accidentale. Spine di pesce e ossi sono spesso ingeriti e possono rappresentare corpi estranei a livello esofageo di difficile rimozione. Nella maggior parte dei casi, il corpo estraneo si arresta a livello del restringimento cervicale dell’esofago. Corpi estranei con margini acuti, provvisti di punte o taglienti possono ancorarsi alla mucosa ledendola. La lesione è aggravata dalle contrazioni peristaltiche che tendono a rimuovere l’oggetto. La perforazione a distanza dall’ingestione avviene per un lento attraversamento del corpo estraneo attraverso la parete. L’esofagite che si forma può determinare la formazione di fistole o lesioni di grossi vasi mediastinici. La sintomatologia è polimorfa. Occorre distinguere tra:

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o Sintomi iniziali, legati all’arresto del corpo estraneo o Dolore toracico;

o Disfagia;

o Odinofagia;

o Rigurgito;

o Scialorrea. o Sintomi tardivi dovuti alla compromissione flogistica del viscere leso che possono portare a

stenosi della parete. Le indagini strumentali prevedono una radiografia diretta del torace e dell’addome per localizzare corpi estranei radiopachi. Un attento esame endoscopico è essenziale in quanto consente, oltre che localizzare il corpo estraneo, anche la rimozione dell’ingesto. La maggior parte dei corpi estranei viene rimossa in endoscopia. La rimozione chirurgica deve essere eseguita solo in casi di:

o Complicanze; o Impossibilità di rimozione per via endoscopica; o Rimozione endoscopica troppo rischiosa.

Tumori Sono prevalentemente maligni; le lesioni benigne sintomatiche sono di difficile riscontro diagnostico. Tumori benigni

Il più comune è il leiomioma (tumore della muscolatura liscia), che insorge comunemente nell’esofago distale, come neoformazione ovale, aggettata nel lume dell’esofago rivestito da mucosa intatta. È solitamente ipocellulato, ipovascolarizzato e con intensa fibrosi. Il sintomo più comune è la disfagia, ma è possibile la comparsa di sanguinamento dovuto ad ulcerazione. Essendo ben capsulati, i tumori possono essere enucleati in toracoscopia senza dover ricorrere alla resezione esofagea. Altri tumori benigni comprendono i papillomi, i tumori a cellule granulose, i polipi infiammatori e adenomatosi. Tumori maligni

Sono relativamente frequenti e prevalente costituite da carcinomi “epidermoidi”. Colpisce prevalente individui in età avanzata con incidenza di 10-20 casi ogni 100000 abitanti all’anno. I fattori maggiormente coinvolti nell’incidenza del tumore sono:

o Abuso di bevande alcoliche; o Fumo; o Carenze dietetiche; o Ingestione di sostanze cancerogene; o Infezioni da virus.

L’eziologia rimane sconosciuta e va considerata multifattoriale. I composti cancerogeni sono le nitrosamine, i polifenoli, l’alcool e gli esteri del “pharbol”. I tumori possono assumere i seguenti aspetti macroscopici: polipoide; stenosante; ulcerato.

o Carcinoma in situ, è caratterizzato da polimorfismo e disordine architetturale in ogni strato dell’epitelio.

o Carcinoma squamocellulare, rappresenta il 95% dei tumori esofagei. Il tumore tende ad infiltrare i piani sottomucosi, estendendosi longitudinalmente. Insorge con incidenza

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superiore nel tratto medio ed inferiore. Dopo l’invasione della parete muscolare, il tumore si estende alle strutture mediastiniche adiacenti, nervi laringeo ricorrente e frenico, bronchi, trachea, aorta e pericardio. La disseminazione nelle stazioni linfonodali avviene secondo la sede del tumore. La diffusione per via ematica raggiunge osso e fegato. Il carcinoma squamocellulare è sensibile alla radioterapia.

o Adenocarcinoma, insorge su un epitelio di Barrett, compromesso da esofagite da reflusso di lunga data. Si localizza maggiormente nel tratto distale. Poco sensibile alla radioterapia, dissemina come i tumori squamosi.

o Tumori esofagei maligni secernenti peptidi, sono rari e costituiti da piccole cellule contenenti granuli secretori, classificabili come squamosi, in grado di secernere ACTH, calcitonina, paratormone e VIP.

La disfagia è il sintomo che conduce il pz dal medico e insorge quando il tumore occupa 1/3 del lume esofageo.

o Disfagia, tende ad aggravarsi in tempi brevi e si associa a scialorrea e rigurgito. o Calo ponderale, conseguente alla difficoltà di alimentazione. o Dolori epigastrici, irradiati al dorso, sono indice di estensione della neoplasia; o Singhiozzo, indica l’infiltrazione del n.frenico o del diaframma. o Raucedine, segno d’infiltrazione del n. laringeo superiore.

Le indagini essenziali sono lo studio radiografico con mezzo di contrasto, che permette la localizzazione della lesione ed una buona valutazione della sua estensione. L’endoscopia fornisce precise indicazioni sulla sede e sull’estensione del tumore solo se la stenosi è superabile. L’ultrasonografia endoscopica è ottima nella valutazione della penetrazione in profondità del tumore e della meta statizzazione ai linfonodi regionali. La stadiazione della malattia è necessaria per la valutazione prognostica e per un programma terapeutico adeguato. Si usa comunemente il sistema TNM che si basa sull’invasione della parete esofagea o dello stomaco, se si tratta di carcinoma del cardias e sulla presenza di linfonodi infiltranti. La paralisi delle corde vocali o segni diretti e indiretti di interessamento polmonare indicano spesso l’inoperabilità della lesione.

La terapia dipende dallo stadio della malattia e dalle condizioni generali del paziente. Nei pz denutriti l’intervento chirurgico deve essere preceduto da un periodo di nutrizione enterale di alcune settimane. Le possibilità di trattamento comprendono:

o Resezione chirurgica curativa; o Resezione chirurgica palliativa; o Derivazione chirurgica interna, con intento palliativo, sono meno comuni rispetto

all’endoprotesi. Hanno elevata mortalità e spesso sono ingiustificati in pz in stadio avanzato;

o Radioterapia, ritenuta trattamento primario del carcinoma squamoso a livello cervicale. Risultati soddisfacenti si ottengono in stadio I e II;

o Chemioterapia, utile nel trattamento preoperatorio con cicli di cisplatino e 5-FU; o Intubazione, è il trattamento palliativo più rapido ed efficace. Sono posizionati sotto

controllo endoscopico e previa dilatazione;

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o Elettroresezione palliativa con laser, utilizzato in pz con carcinoma esofageo avanzato a livello cervicale, cervico-toracico e esofago-cardiale;

o Trattamento combinati. Ernie iatali È la dislocazione intratoracica di una porzione dello stomaco attraverso lo iato esofageo del diaframma. Lo iato esofageo permette il passaggio dell’esofago e dei n.vaghi, e si localizza a livello di T9-T10. è formato dalle fibre del pilastro diaframmatico dx che origina da L2, L3 ed L4. Ha la forma di una fionda che circonda l’esofago distale, angolando il passaggio tra questo e la cupola gastrica. È fissato al diaframma dalla membrana frenoesofagea di Bertelli, formata da peritoneo e fascia endotoracica. L’eziologia è sconosciuta, anche se si ritengono coinvolti fattori congeniti, traumatici e iatrogeni. La dieta occidentale, povera di scorie, che causa la formazione di feci dure, può essere chiamata in causa come causa di aumentata pressione addominale. Lo stesso fattore può spiegare anche la triade di Saint, rappresentata da ernia iatale, diverticolosi colica e litiasi biliare. Sulla base di criteri anatomici e fisiopatologici, si riconoscono due tipi di ernia iatale:

o Da scivolamento o assiale; o Paraesofagea o da rotazione.

Ernia iatale da scivolamento

Lo iato si allarga e la lassità della membrana esofagea determina il passaggio del cardias e di una parte dello stomaco nella cavità toracica. Rappresenta il 90-95% delle ernie. La presenza è spesso intermittene, evocata dalla postura. L’età maggiormente colpita è quella medio-alta con massima incidenza dalla V decade. La maggior parte dei pz è asintomatica. Alcuni pazienti possono accusare:

o Pirosi, dopo pasti abbondanti o Sensazione di ingombro epigastrico postprandiale e frequenti eruttazioni. o Sindromi dolorose toraciche anginoidi, riconducibili a stimoli vagali o a stiramento

diaframmatico. Le manifestazioni cliniche divengono specifico se l’ernia si associa a RGE patologico. La prognosi dell’ernia iatale da scivolamento asintomatica e non accompagnata da RGE è eccellente.

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Ernia paraesofagea

Sembra legata alla presenza di un’area di minor resistenza della membrana frenoesofagea. In genere ernia il fondo gastrico. La differenza di pressione tra cavità toracica e addominale fa sì che questa ernia s’ingrandisca sempre più, determinando allargamento dello iato. La frequenza è bassa (5-10%) ma può determinare gravi complicanze. I pz sono frequentemente asintomatici. Tipica è la dispepsia. Alcuni pz riferiscono dolore improvviso epigastrico dopo un pasto abbondante. L’ernia paraesofagea va incontro a progressivo ingrandimento, fino all’erniazione intratoracica di gran parte o tutto lo stomaco. Il rischio di complicanze gravi è elevato Sulla base del tipo morfologico, si distinguono tre tipi di ernie iatali:

o Tipo I, ernia iatale con brachiesofago, in cui l’erniazione è legata d un esofago corto di tipo congenito;

o Tipo II, ernia iatale paraesofagea, in cui si ernia una porzione del fondo gastrico. La giunzione esofago-gastrica rimane in posizione endoaddominale;

o Tipo III, ernia esofago-gastrica, in cui l’esofago endoaddominale, la giunzione esofago-gastrica ed una porzione di stomaco sono dislocati in sede toracica.

Le piccole ernie da scivolamento generalmente non presentano complicanze. Le ernie di grosse dimensioni possono determinare emorragie, sia gravi con ematemesi e melena, che sottoforma di stillicidio; la causa può essere un’ulcera gastrica o una congestione flogistica resa ischemica per una stasi venosa da compressione. Raro ma temibile è il volvolo, per rotazione dello stomaco sull’asse longitudinale; può comportare gravi alterazioni vascolari e ostruzione completa di una porzione gastrica con sintomatologia dolorosa da sovra distensione. L’evoluzione può essere verso l’infarto del viscere, con perforazione, mediastinite e peritonite. Per la diagnosi, decisiva è la dimostrazione radiologica con pasto baritato, capace di mettere in evidenza anche le ernie piccole, con la tipica immagine del fondo gastrico situato al di sopra del diaframma. Le ernie iatali di grosse dimensioni sono evidenti come masse occupanti spazio, a contenuto aereo o idroaereo, situate nel mediastino posteriore, da porre in diagnosi differenziale con altre masse (neoplasie, cisti broncogene). La presenza di dispepsia o dolore addominale o toracico, in un pz con piccola ernia, non è necessariamente da attribuire ad essa, ma vanno escluse altri condizioni con sintomatologia simile, quali calcolosi biliare, ischemia miocardica, ulcera peptica gastrica. L’ernia iatale da scivolamento, in assenza di complicanze non richiede alcun trattamento. Se sintomatica, è trattata con riduzione e procedura antireflusso. La maggior parte delle ernie paraesofagee può essere aggredita per via laparoscopica, dal momento che è facilmente riducibile. I pz che si presentano con sanguinamento acuto da ulcera peptica della porzione intratoracica, richiedono gastroresezione d’urgenza e riparazione del difetto erniario. Per le ernie paraesofagee strangolate è necessaria una toracotomia d’urgenza. Se lo stomaco è congesto ma vitale, viene derotato e riportato in addome; quindi viene riparato lo iato diaframmatico.

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Ernie diaframmatiche traumatiche È la dislocazione toracica di uno o più organi addominali, attraverso una soluzione di continuo del diaframma conseguente ad un evento traumatico, più frequentemente in sede postero-laterale sinistra. L’ernia diaframmatica è un reperto intraoperatorio incidentale nei casi in cui il traumatizzato è sottoposto ad intervento chirurgico per lesioni ad altri organi. In altri casi, la patologia può rimanere sconosciuta fino alla comparsa di dolore postprandiale o occlusione intestinale. Nei pz asintomatici, il dubbio può essere avanzato dal reperto casuale in un’indagine radiologica del torace, di una lesione con livello idroaereo all’interno. Le complicanze sono rappresentate dall’ostruzione o dalla distorsione dell’organo; se si tratta di organo cavo, temibile è l’infarto conseguente al volvolo. La storia naturale dell’ernia è il progressivo ingrandimento della soluzione di continuo con dislocazione maggiore di organi addominali. Una volta diagnosticata, la correzione chirurgica del difetto è obbligatoria.

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Parete Toracica

Limiti:

o Apice, posteriormente T1, anteriormente incisura giugulare, lateralmente I costa; o Base, posteriormente T12, anteriormente processo tifoideo, lateralmente, in senso postero-

anteriore abbiamo XII, XI, X costa e arcata costale, costituita da X, IX, VIII e VII cartilagine costale. È occupata dal diaframma.

Linee di riferimento: o Anteriormente:

o Verticali: � Linea mediana; � Linea merginosternale; � Linea parasternale; � Linea emiclaveare

o Orizzontali: � Linea angolo-sternale, corrisponde alla II costa; � Linea xifo-sternale.

o Lateralmente: � Linea ascellare anteriore; � Linea ascellare media; � Linea ascellare posteriore

o Posteriormente: o Verticali:

� Linea vertebrale; � Linea para-vertebrale; � Linea angolo-scapolare.

o Orizzontali: � Linea sovrascapolare (corrisponde a T3); � Linea della spina scapolare; � Linea dell’angolo inferiore della scapola (corrisponde a T8)

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Malformazioni Le malformazioni congenite della gabbia toracica, vengono classificate in:

o Petto scavato, la più frequente; o Petto carenato; o Sindrome di Poland; o Schisi dello sterno; o Coste soprannumerarie.

Petto escavato

È una malformazione caratterizzata da una depressione mediana ad asse verticale, a carico del corpo dello sterno, con invaginazione delle coste, dalla III alla VIII. Ha una frequenza di 1 caso/300-400 nati vivi, con prevalenza nel sesso maschile. Si manifesta alla nascita o entro il primo anno di vita. L’ipotesi eziologia più accreditata ritiene che un’aberrante crescita condro-sternale, deformi l’asse sternocondro-costale; le cartilagini troppo lunghe spingono lo sterno indietro. È ben tollerato nell’infanzia e nell’adolescenza. In seguito a sforzi, nel corso degli anni, può comparire dolore nella sede della depressione, accompagnata da precordialgie. I sintomi sono legati alla riduzione del diametro antero-posteriore e compressione del cuore che determina la comparsa di modificazioni emodinamiche, palpitazioni ed episodi sincopali. Il trattamento chirurgico consiste in una sterno-condroplastica, che si realizza mediante la rimozione della cartilagini interessate e liberazione dello sterno che viene fissato anteriormente. L’intervento deve essere posticipato, idealmente, fino all’età di 5 anni. Petto carenato

Caratterizzato dalla protrusione anteriore dello sterno e della porzione mediale delle cartilagini costali, associata a una depressione laterale delle coste. Meno frequente del torace ad imbuto, si può manifestare in quattro varietà:

o Condro-gladiolare simmetrico, più frequente, lo sterno protrude anteriormente, mentre le coste formano anteriormente una depressione ai lati dello sterno.

o Condro-gladiolare asimmetrico, lo sterno è solo leggermente ruotato sul suo asse maggiore. Il punto più sporgente è dato dalla protrusione delle cartilagini costali.

o Misto escavato-carenato, lo sterno è in posizione mediana, ruotato sul suo asse maggiore; o Condro-manubriale, sporgono anteriormente lo sterno e le prime due coste. Lo sterno si

piega bruscamente all’indietro per poi riprendere la direzione anteriore. Il sesso maschile è più colpito e spesso si associano malformazioni muscoloscheletriche, come la scoliosi e le anomalie del rachide. La diagnosi viene fatta il più delle volte in età puberale, eccetto la forma condro-manubriale, riscontrabile alla nascita e associata ad anomalie cardiche. È solitamente asintomatico, ma talora può comparire dolore determinato da traumatismi della regione. La terapia chirurgica consiste nella resezione delle cartilagini ipertrofiche, rispettando il pericondrio-periostio. Sindrome di Poland

Malformazione congenita caratterizzata dalla mancanza monolaterale dei mm. Grande e piccolo pettorale, associata a brachidattilia della mano omolaterale. Si possono inoltre associare: ipoplasia della II, III e IV costa, ipoplasia dello sterno, ipoplasia della mammella omolaterale. Ha una prevalenza di 1/30000 nati vivi e si manifesta alla nascita. Non è stata dimostrata l’ipotesi relativa all’ipoplasia dell’a. succlavia omolaterale.

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La terapia chirurgica è legata alla gravità. La mancanza della muscolatura e della mammella richiedono un intervento chirurgico plastico. Nelle manifestazioni più complessa è necessaria la ricostruzione della parete toracica con rete protesica e trasposizione di lembi muscolari. Schisi dello sterno

O sterno bifido, è una malformazione rara, caratterizzata da una mancata o parziale fusione dello sterno sulla linea mediana. Il torace ed il pericardio rimangono aperti. È necessario l’intervento di ricostruzione della parete addominale toracica. La mortalità è elevata. Coste soprannumerarie

È una malformazione comune e solitamente asintomatica. Le più frequenti sono: o Costa cervicale. È un segmento osseo che si stacca dall’ultima vertebra cervicale,

dirigendosi verso lo sterno, attraversando la fossa sopraclaveare. Si possono manifestare sintomi da compressione neurovascolare, la sindrome dello stretto toracico superiore.

o Costa lombare, asintomatica, caratterizzata da un moncone osseo che si stacca lateralmente da L1.

Traumi Da vedere sezione VIII Tumori La parete toracica è una struttura costituita da tre componenti: ossea, cartilaginea e muscolare. Tutte possono dare origine ad un tumore. Le neoplasie maligne possono essere primitive o metastatiche, sia per via ematica che per contiguità. La sintomatologia delle neoplasie della parete toracica è caratterizzata dalla comparsa di una massa palpabile, asintomatica, ma che aumenta di volume. La sintomatologia dolorosa non è necessariamente connessa alla malignità del tumore. Al dolore, si possono associare altri sintomi generali:

o Febbre;

o Astenia;

o Calo ponderale;

o Leucocitosi con eosinofilia. Attraverso l’esame obiettivo si deve accertare la sede della neoformazione e la sua mobilità, sul piano cutaneo, muscolare e in profondità. L’accertamento diagnostico necessita della radiografia su due proiezioni e della TC; tuttavia, oggi si preferisce la RMN per la maggiore sensibilità e specificità nella valutazione dell’infiltrazione del rachide, del diaframma e dei grossi vasi. Assai utile è la diagnosi citologica con agoaspirato dei tumori. Tumori benigni

I più frequenti sono: o Ostecondroma, origina dalla corticale delle diafisi delle ossa lunghe, erodendola e formando

osso compatto alla periferia. è la neoplasia benigna più frequente. Colpisce maggiormente il sesso maschile e origina in età infantile, crescendo in modo lento. La comparsa di dolore ne indica la trasformazione maligna, situazione frequente nelle forme a localizzazione multipla. La terapia è chirurgica e si effettua nell’età adulta, eccetto le forme sintomatiche, in cui l’asportazione si effettua a qualunque età.

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o Condroma, origina dalle cartilagini costali. Colpisce in qualunque età entrambi i sessi. Si

manifesta come un piccola massa asintomatica o poco dolorante. Essendo, soprattutto nelle forme poco differenziate, difficilmente distinguibile dal condrosarcoma, deve essere sempre asportato con un margine di sicurezza di 2cm.

o Fibrodisplasia ossea, rappresenta il 30% delle neoplasie benigne della parete toracica. Si manifesta come una tumefazione del tratto postero-laterale della costa. È asintomatica fino alla comparsa di sintomi da compressione di strutture adiacenti. La terapia chirurgica è indicata solo nelle forme sintomatiche.

o Tumore desmoide, origina dall’aponeurosi dei muscoli della parete toracica. Nel 70% dei casi si osserva nelle giovani donne. Raramente presenta caratteri di invasività locale. Si manifesta come una massa dura sottocutanea con margini mal definiti e in lento accrescimento. In genere asintomatica, diviene dolorosa in seguito a fenomeni compressivi. La terapia chirurgica richiede un margine di sicurezza di 3cm.

Tumori maligni

o Condrosarcoma, rappresenta il 50% delle neoplasie maligne della parete toracica. Origina più frequentemente dalla cartilagine costale. Colpisce maggiormente il sesso maschile nella terza o quarta decade. Si manifesta con una massa di consistenza dura con margini non definiti, inizialmente asintomatica. Durante l’accrescimento, infiltra le strutture adiacenti, quali timo, pericardio o polmone. Risulta chemio e radioresistenti, pertanto la terapia è solo chirurgica, con ampia exeresi, con margine di sicurezza di

almeno 4cm. Permette una sopravvivenza a 5 anni dal 40 al 90%.

o Sarcoma di Ewing, rappresenta il 12%. Insorge nella cavità midollare della metafisi delle

ossa lunghe. Colpisce maggiormente i maschi nell’età infantile o adolescenti. Già al momento della diagnosi sono presenti metastasi. Si manifesta come tumefazione dolente a rapido accrescimento, accompagnato da:

o Dolore locale spontaneo

o Febbre;

o Anemia;

o Leucocitosi. Frequentemente si forma in modo reattivo osso disposto a strati concentrici attorno al tumore, che conferisce l’aspetto radiologica “a bulbo di cipolla”. In assenza di metastasi, la terapia è chirurgica; il trattamento della malattia in fase metastatica sfrutta l’elevata radio e chemiosensibilità. La sopravvivenza a 5 anni è del 40-50%.

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o Osteosarcoma (6%). Ha una prognosi meno favorevole rispetto al condrosarcoma, legata alla rapidità di crescita. Colpisce maggiormente i maschi nell’adolescenza. Il dolore può precedere la comparsa della tumefazione, di consistenza dura. La terapia chirurgica consiste in un’estesa exeresi della neoplasia e delle strutture adiacenti. La sopravvivenza a 5 anni è del 20%.

o Liposarcoma e istiocitoma fibroso maligno, sono le neoplasie più frequento dei tessuti molli della parete toracica. L’istiocitoma è caratteristico dell’età adulta, manifestandosi dopo il cinquantesimo anno di età. Si manifesta clinicamente come una massa a lento accrescimento, asintomatica. Presenta una elevata tendenza alla metastatizzazione loco-regionale, con elevata % di recidive. La terapia è solamente chirurgica e la sopravvivenza a 5 anni è circa il 40%.

o Rabdomiosarcoma, è la seconda neoplasia, per frequenza, dei tessuti molli della parete toracica, ma la più frequente nell’infanzia e nell’adolescenza. È una massa a rapido accrescimento, sottofasciale, originante dalla muscolatura scheletrica. La terapia chirurgica, seguita dalla chemio e radioterapia adiuvante, comporta una sopravvivenza a 5 anni del 70%.

Indicazioni generali alla chirurgia:

o Neoplasie benigne o Molto voluminose; o Antiestetiche; o Sintomatiche; o Per escludere la malignità.

Nelle neoplasie maligne spesso la terapia chirurgica è l’unica alternativa e occorre un margine di resezione a distanza di almeno 4-5 cm, asportando tutte le strutture che potrebbero essere infiltrate. Per ovviare alla perdita di materia, si possono usare, nella ricostruzione, lembi muscolari o, se il diametro è > a 10cm, materiali plastici artificiali, unitamente a lembi muscolari.

La parete toracica è anche sede di tumori metastatici, frequentemente per contiguità da strutture adiacenti. Anche i tumori della mammella e della cute possono infiltrare la parete toracica. Il caso particolare è il tumore di Pancoast, neoplasia maligna dell’apice polmonare che infiltra le prime coste ed ingloba nel processo neoplastico sia la catena del simpatico, determinando enoftalmo, miosi e ptosi palpebrale, sia la prima radice del plesso brachiale, che determina fenomeni di parestesie e dolori della regione del n. ulnare. La terapia è fondamentalmente palliativa, mediante radioterapia o chemioterapia, associata a terapia antalgica al bisogno. Raramente vi è l’indicazione all’exeresi chirurgica.

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Pleura Tra le malattie della pleura si classificano sia le affezioni dei foglietti pleurici, sia le affezioni caratterizzate dalla formazione di raccolte o versamenti nello spazio pleurico. Possono essere a lungo a sintomatiche; la sintomatologia si distingue in locale e generale:

o Sintomi locali: o Dolore, per irritazione della pleura parietale e diaframmatici:

� Irradiazione alla spalla; � Inibizione degli atti respiratori; � Dolore alla palpazione nella flogosi acuta.

o Dispnea � Antalgica, nella pleurite; � Da riduzione dello spazio respiratorio, nel versamento.

o Esame obiettivo: o Ipomobilità del torace; o FVT diminuito (se versamento o pneumotorace) o Ottusità percussoria (se versamento) o Iperfonesi plessoria (pneumotorace); o Sfregamento auscultorio (pleurite); o MV diminuito

o Sintomi generali: o Febbre; o Cianosi; o Anemia; o Aumento VES; o Leucocitosi; o Alterazioni emogasanalisi (ipercapnia e ipossia).

Pneumotorace S’intende la presenza di aria nella cavità pleurica. Può avvenire da una soluzione di continuità della parete toracica o da una lacerazione delle vie aeree comunicanti con il cavo pleurico. È frequente e si può manifestare come:

o PNX spontaneo, più comune in seguito a rottura di una bolla enfisematosa. Più frequente nel sesso maschile tra III e IV decade, longilineo.

o PNX acquisito in seguito a malattie toraciche o polmonari vicine alla superficie pleurica, oppure a lesione iatrogena.

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Il PNX si può classificare, oltre che su base eziologia, anche sulla patogenesi. Si riconoscono due tipi di PNX:

o PNX aperto, caratterizzato da importante squilibrio della meccanica ventilatoria. L’aria entra nel cavo pleurico durante l’inspirazione, causando il collasso del polmone che sposta il mediastino e impedisce l’espansione del controlaterale; in espirazione, il movimento pendolare del mediastino ostacola l’uscita di aria dal polmone controlaterale. Lo spostamento del mediastino ostacola il ritorno venoso. Si avrà un’insufficienza respiratoria con insufficienza cardiocircolatoria. Il primo trattamento è l’occlusione della breccia.

o PNX chiuso, se in seguito ad una piccola lesione polmonare, si ha ingresso di aria nel cavo; la retrazione elastica del polmone è in grado di provvedere alla chiusura funzionale della breccia, stabilizzando la condizione.

La penetrazione di aria può avvenire con meccanismo a valvola con formazione di un PNX iperteso: si ha un progressivo aumento della pressione nel cavo pleurico per continuo afflusso di aria in inspirazione, ma che non riesce ad uscire in espirazione. Abbiamo riduzione della gittata cardiaca ed ipotensione. Occorre intervenire d’urgenza pungendo con ago-cannula in modo da mettere in comunicazione il cavo con l’ambiente esterno. Successivamente si deve porre un drenaggio con valvola ad acqua.

La diagnosi viene fatta mediante radiografia in ortostatismo che evidenza zona iperdiafana, in cui non è riconoscibile la trama bronco-alveolare ed iperespansione dell’emitorace corrispondente. Se di modesta entità è più utile la TC. Il PNX bilaterale è difficile da riconoscere all’esame obiettivo e il riconoscimento può essere solo radiologico. È una condizione assai grave che pone a rischio di vita il paziente, presenta intensa dispnea giunge all’osservazione asfittico e in coma. Se presenti raccolte voluminose di liquido (emotorace, empiema), l’esame Rx mostra un livello idro-aereo nel campo polmonare: un livello appena visibile all’angolo costo-frenico indica una raccolta di liquido superiore a 500ml. Il drenaggio per il trattamento del PNX va posizionato nel II spazio intercostale, all’incrocio con l’emiclaveare. Se il PNX è associato ad importante versamento ematico, è opportuno posizionare un secondo drenaggio in V-VI s.i. all’incrocio con l’ascellare anteriore. Un corretto posizionamento del drenaggio prevede:

1. incisione cutanea; 2. confezione di un tunnel attraverso la parete toracica fino alla pleura, tenendo il tubo sul

margine superiore della costa; 3. penetrazione in cavo, evitando di lesionare le strutture presenti.

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Nel 10% dei casi il PNX spontaneo persiste o recidiva. In questi casi, le indicazioni all’intervento chirurgico sono:

o persistenza di aria nel cavo; o PNX ricorrente; o I episodio in pz con rischio professionale

La terapia chirurgica prevede la chiusura della perdita, con resezione di eventuali bolle, associata a procedure mirate a provocare la saldatura pleurica viscero-parietale dell’apice:

o Abrasione pleurica; o Pleurectomia parietale; o Pleurodesi tramite iniezione di colla di fibrina o di talco sterile.

L’intervento viene effettuato in video-pleuroscopia. Versamenti pleurici Inizialmente occorre distinguere se il versamento è formato da essudato o trasudato. Quando il paziente presenta un versamento pleurico clinicamente rilevante, che determina la riduzione dei volumi respiratori, è necessario effettuare una toracentesi per evacuarlo. Il volume del versamento può essere stimato esaminando la radiografia del torace eseguita in ortostatismo; un’opacità basale che supera di 10cm la cupola diaframmatica è segno di importante versamento. I trasudati sono la conseguenza di un’aumentata pressione idrostatica o ridotta produzione oncotica; mentre i versamenti essudatizi risultano da aumentata permeabilità pleurica, conseguenza di pleuriti o neoplasie. La differenziazione tra essudato e trasudato può essere fatto mediante:

o Prova di Rivalta, positiva nell’essudato; o Proteine LP/siero > 0,5

o LDH LP/siero > 0,6;

o LDH LP > 2/3 limite superiore della norma dell’LDH sierico. Se nessuno di questi criteri è presente, il liquido è di tipo di trasudativo. Una volta distinta la natura del versamento, occorre determinarne la causa, ricordando che le cause più frequenti di versamento pleurcio sono polmonite, tumori maligni ed embolia polmonare. L’eziologia si determina misurando nel LP i livelli di:

o Glucosio (< 60 mg/dl, TBC, tumori, malattia reumatica); o Amilasi se > dei limiti sierici, si sospetta pancreatite, tumore o rottura esofagea; o LDH, indicatori della gravità della flogosi; o CEA aumenta nell’adenocarcinoma.

Ulteriori precisazioni sono possibili con: o Esame citologico; o Analisi cromosomica delle cellule maligne; o Conta leucocitaria; o Conta linfocitaria; o PH del LP se compreso tra 7,2 e 6, si deve sospettare:

o Versamento parapneumonico; o Rottura esofagea; o Pleurite secoondaria ad AR; o TBC; o Tumori; o Emotorace; o Acidosi metabolica

o Livelli di ANA; o Livelli di ADA o Livelli di FR o Concentrazione lipidica.

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I versamenti essudatizi possono essere secondari a: o Embolia polmonare; o Patologia gastroenterica; o Interventi chirurgici; o AIDS; o AR, LES; o Asbestosi; o Uremia.

Nei versamenti pleurici in cui non è chiara l’eziologia, occorre eseguire:

o Agobiopsia pleurica; o Pleuroscopia; o Broncoscopia; o Biopsia a cielo aperto.

Emotorace

S’intende la raccolta di sangue nel cavo pleurico. L’origine del sanguinamento è in genere dai vasi intercostali, dai vasi mammari interni o dal lacerazioni polmonari, in seguito a fratture costali o schiacciamento. Può anche essere una complicanza di manovre iatrogene se è in corso una terapia anticoagulante.

Se insorge acutamente, l’emotorace può portare a morte il pz per shock da ipovolemia, anemia e insufficienza respiratoria per impossibilità all’espansione polmonare. Un emotorace sterile e di modica entità può essere riassorbito dalla pleura; se si complica con l’infezione, dà origine all’empiema. Radiologicamente si visualizza un’opacità più o meno sfumata verso l’alto; ECO e TC, associate a toracentesi esplorativa forniscono la certezza della natura ematica del versamento. Nel caso di emo-pneumotorace, la radiografia visualizza un livello idro-aereo.

Il trattamento dipende dall’entità delle perdite ematiche:

o Se limitato al seno costo-frenico senza sanguinamento in atto, il pz si tiene sotto osservazione;

o Sanguinamento > 500ml, si posiziona un drenaggio, attendendo la riespansione del polmone.

o Sanguinamento continuo > 200ml/h richiede la toracotomia d’urgenza per il controllo dell’emorragia.

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La perdita massiva di sangue la reinfusione o la trasfusione: il sangue raccolto tende a defibrinarsi e non coagulare, quindi è possibile raccoglierlo, trattarlo e reinfonderlo. Chilotorace

È la raccolta di liquido linfatico nello spazio pleurico, di aspetto lattescente, con microaggregati lipidici. Anche se di entità ridotta, indica una patologia in atto, denunciando l’ostruzione o la rottura dei dotti linfatici maggiori, in genere connessa a neoplasia del mediastino. Le cause traumatiche possono essere accidentali (80%) o iatrogene chirurgiche (20%) conseguente ad esofagectomia. Esistono forme di chilotorace congenito conseguenti ad anomalie di sviluppo del sistema linfatico. Se la lacerazione del dotto toracico è superiore a T6-T7, si avrà un chilotorace sx, mentre al di sotto di questo limite, si avrà un versamento dx. Le conseguenze sono:

o Depressione dell’immunità cellulare;

o Ipoproteinemia;

o Dispnea.

La diagnosi viene posta sulla base dell’esame del LP prelevato in toracentesi; la sede della lacerazione si può individuare con linfografia, RX e TC del torace. La diagnosi differenziale si pone con il versamento chiliforme che presenta cristalli di colesterolo. Il trattamento comprende il digiuno, in modo da ridurre il flusso linfatico, e la decompressione dello spazio pleurico mediante toracentesi o drenaggio. Il fallimento dei trattamenti conservativi pone l’indicazione per l’intervento chirurgico. Se il chilotorace permane dopo 3-4 settimane è indicato la pleurodesi. Empiema

S’intende la raccolta di pus nello spazio pleurico. L’eziologia varia comprende:

o Infezione pleurica per contiguità da polmonite o ascesso polmonare; o Sovrainfezione di un emotorace inizialmente sterile; o Infezione del cavo pleurico da lacerazione polmonare o fistola broncopleurica; o Propagazione per via ematica o linfatica di un’infezione; o Perforazione esofagea; o Propagazione transdiaframamtica di una infezione del cavo peritoneale.

I batteri più frequentemente coinvolti sono: lo S.Aureus, streptococchi, G- (Pseudomonas, K.pneumoniae, E.Coli, Salmonella), anaerobi. L’empiema, che può essere localizzato o coinvolgere l’intera cavità pleurica, può essere distinto in:

o Essudativo, fluido poco denso, con il polmone che riespande velocemente;

o Fibrino-purulento, presenza di PMN, materiale necrotico e di batteri. Vi è deposizione di fibrina che favorisce la cronicizzazione dell’empiema; si ha la fissazione della pleura viscerale con la parietale, attorno alla raccolta empiematosa.

Il pus si raccoglie nella parte declive della sacca dell’empiema, dando origine ad un livello idroaereo ben evidente all’esame Rx del torace. La pleura che circonda l’empiema s’ispessisce e diviene fibrotica, impedendo la riespansione del polmone.

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L’empiema cronico è la conseguenza di empiema acuto non trattato o trattato con terapia inefficace. L’esame radiografico documenta un opacamento pleurico o scissurale interlobare, compatibile con la presenza di fluido o un livello idro-aereo. Si deve eseguire la toracentesi aspirativa che confermerà la presenza di pus; l’esame microbiologico colturale e l’antibiogramma consentono di identificare l’agente eziologico, permettendo d’instaurare il trattamento antibiotico mirato. Negli empiemi recenti, la sottile capsula infiammatoria permette la riespansione del polmone, nel giro di qualche settimana. Negli empiemi cronici la cavità è sepimentata da tralci fibrosi connettivali e circoscritta da un guscio infiammatorio fibroso. Tale condizione, definita fibrotorace, impedisce la riespansione del polmone e occorre pertanto procedere alla decorticazione pleurica, consistente nell’asportazione della pleura viscerale rivestita dalla capsula fibrosa. Fistola bronco-pleurica

Comunicazione patologica tra l’albero bronchiale ed il cavo pleurico. Topograficamente si distinguono:

o Fistole centrali, a carico dei bronchi di grosso-medio calibro; o Fistole periferiche, legate a perdite di aree periferiche.

Può determinare numerose complicanze. Vi può essere contaminazione del cavo pleurico con conseguente empiema, emoftoe, PNX con cronicizzazione, piopneumotorace. Le cause più frequenti sono esiti di sutura del parenchima polmonare; deiscenza della sutura bronchiale. TBC, ascesso polmonare, PNX secondario a broncopneumopatie, infezioni in pz immunodepressi. Il trattamento è inizialmente conservativo con posizionamento dei drenaggio pleurico. L’intervento chirurgico può essere necessario al fine di suturare la deiscenza della sutura bronchiale. Tumori Sono più frequenti quelli metastatici (90%) che quelli primitivi (10%). Tumori benigni

Possono essere sia mesoteliali che sottomesoteliali e presentarsi in forma localizzata o diffusa. Sono poco frequenti, e prevale il mesotelioma fibroso localizzato. È una neoformazione capsulata, simile al fibroma. Può derivare sia dalla pleura parietale che da quella viscerale e tende a protrudere negli spazi pleurici come una masserella peduncolata di alcuni cm di diametro. È ricoperto da cellule mesenchimali. Può essere asintomatico o associarsi ad artralgia, ippocratismo digitale, febbre e ipoglicemia. Si asporta, in genere, senza difficoltà. Tumori maligni

Sono più frequenti quelli derivanti dalle cellule mesoteliali pleuriche, denominati mesoteliomi maligni. È una neoplasia aggressiva che inflitra la pelura e può interessare entrambi i foglietti pleurici. L’insorgenza è stata correlata all’esposizione all’asbesto, in quanto dal 2 al 10% dei soggetti esposti manifestano un mesotelioma, con periodo di latenza da 20 a 50 anni. Il mesotelioma inizia in modo localizzato, provocando un versamento; nel tempo si diffonde ampiamente per crescita contigua o disseminandosi nel liquido pleurico, per poi colonizzare tutta la parete. In seguito può invadere la parete toracica o il tessuto polmonare subpleurico, estendendosi alle scissure interlobari e ai linfonodi ilari.

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Le metastasi, non frequenti, si limitano ai linfonodi regionali. La sopravvivenza media è 1-1,5 anni. Istologicamente si distinguono tre aspetti: sarcomatoide, con cellule fusate che crescono in tralci; epiteliale, cellule cuboidee delimitanti spazi tubulari; bifasica, caratterizzata da entrambi gli aspetti. I sintomi sono i seguenti:

o Dolore toracico e alle spalle; o Versamento pleurico recidivante dopo toracentesi.

In fase tardiva subentrano anche le manifestazionio respiratorie: o Tosse;

o Dispnea;

o Clubbing;

o Perdita di peso;

o Osteoartropatia polmonare.

Nella fase asintomatica, la diagnosi avviene casualmente in seguito ad un esame radiografico del torace. In presenza di sintomi, l’accertamento diagnostico inizia con un esame Rx del torace che evidenzia versamento pleurico e masse pleuriche, che vengono precisate con la TC. A questo punto si esegue la biopsia pleurica, con esame istologico supportato dalla ME e dall’immunoistochimica per la ricerca di CEA e MPG2. La pleuroscopia con biopsia è diagnostica nel 90% dei casi. Può andare in diagnosi differenziale con le placche pleuriche, che sono ispessimenti appiattiti della plaura, con diametro da qualche mm a 3-4cm, di colorito bianco.

Per il trattamento del fibroma sottomesoteliale, l’exeresi chirurgica offre una cura radicale. Nel mesotelioma maligno diffuso, l’exeresi a scopo radicale può essere fatto solo quando la diagnosi è precoce e le condizioni generali buone. In alcuni casi si attua terapia chirurgica palliativa, che si ottiene con talcaggio del cavo pleurico. La polichemioterapia con regime CYVADIC (ciclofosfamide, vincristina, adriamicina, decarbazina) e la radioterapia hanno dato risultati modesti dal punto di vista curativo. Attualmente la migliore prospettiva è l’associazione polichemioterapia-radioterapia-chirurgia che porta la sopravvivenza a 30 mesi. Tumori metastatici

Sono molto più frequenti di quelli primitivi e comprendono metastasi per contiguità da tumori del polmone e quelle in seguito ad arresto del drenaggio linfatico toracico per metastasi linfonodali mediastiniche. Si manifestano con versamento pleurico, evidenziabile con l’Rx del torace, di tipo sdiero-emorragico, recidivante dopo toracentesi.

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Diagnostica è la ricerca di cellule neoplastiche nel liquido raccolto: se assenti, la diagnosi può essere accertata con una biopsia dei nodi mediastinici a livello della pleura in pleuroscopia. La terapia dei versamenti pleurici è essenzialmente sintomatica, fondata sul drenaggio, per attenuare la dispnea, e sulla pleurodesi chimica, ottenuta con talcaggio. In alcuni casi si può instaurare trattametno chemioterapico, che attenua il versamento.

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Mediastino

È la parte di spazio toracico compresa tra le due cavità pleuriche, delimitato:

o Anteriormente dallo sterno; o Posteriormente dalla colonna vertebrale (da T1 a T11) o Lateralmente dalla pleure mediastiniche; o Superiormente dallo stretto toracico superiore; o Inferiormente dal diaframma e comunica con l’addome tramite vari orifizi.

La classificazione più semplice prevede tre comparti: antero-superiore, medio, posteriore.

la metà circa delle neoformazioni mediastiniche sono asintomatiche, evidenziate casualmente all’esecuzione di una radiografia standard o di una TC eseguiti per altri motivi.

o Radiografia standard del torace su due proiezioni, antero-posteriore e laterale, è l’indagine iniziale. Permette di evidenziare solo masse voluminose perché modificano il profilo di radiopacità, o dislocano organi toracici.

o TC, con o senza mezzo di contrasto, è utile per precisare la diagnosi fatta con l’Rx. Possiamo anche valutare i rapporti di contiguità e l’infiltrazione del tessuto connettivo.

o RMN, consente di differenziare le strutture vascolari da quelle non vascolari, senza mezzo di contrasto.

Per lo studio di organi o strutture specifiche, abbiamo a disposizione l’arteriografia, l’esofagoscopia, l’ECO transesofagea, la tracheo-broncoscopia, per valutare l’infiltrazione neoplastica della trachea e dei bronchi; scintigrafia con tecnezio e MIBI, per lo studio delle paratiroidi e del gozzo retrosternale. La tipizzazione istologica di un tumore mediastinico è assai importante, anche in caso di neoplasia in operabile, al fine di valutare la scelta terapeutica più adeguata. L’esame citologico si può eseguire mediante:

o agoaspirato con ago sottile, per via percutanea TC-guidata; o agobiopsia, per via percutanea o mediante video-toracoscopia; o biopsia incisionale o biopsia escissionale, mediante mediastinotomia anteriore paratsernale al II s.i. o mediastinoscopia.

Sindromi mediastiniche Sono complessi sintomatologici causati da compressione e infiltrazione delle strutture mediastiniche da parte di una massa neoformata. Le strutture più facilmente compressibili sono le vene, tardivamente giunge anche la stenosi della trachea e dell’esofago. Sindrome della vena cava superiore

È caratterizzata da un ostacolato deflusso di sangue dal distretto cavale superiore, per ostruzione parziale o totale del lume della vena cava superiore. La sede in cui avviene l’ostruzione e la sua estensione endoluminale determinano le varie possibilità di compenso del deflusso venoso e condizionano i sintomi.

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Un fattore importante è la pervietà o meno del sistema azygos-emyazigos. L’ostruzione in sede distale o prossimale rispetto allo sbocco dell’azygos consente un buon compenso emodinamico; se si associa l’occlusione del sistema azygos-emiazygos, le vene mammarie e della parete toracica non sono in grado, da soli di garantire un adeguato ritorno venoso e i segni di stasi venosa sono marcati. La sindrome è spesso causata da linfoadenopatia neoplastica o infiammatoria, oppure da un tumore maligno primitivo che infiltra e occlude la v.cava superiore per invasione diretta. L’esordio della sintomatologia è variabile, potendosi manifestare in modo brusco o graduale. Nel primo caso, il mancato sviluppo dei circoli collaterali determina:

o turgore delle vene giugulari;

o edema

o cianosi cervico-facciale e degli arti superiori;

o mancato svuotamento delle vene nel braccio sollevato;

o collare di Stokes, con scomparsa delle depressioni cutanee alla base del collo.

Questi disturbi si attenuano in seguito allo sviluppo dei circoli collaterali venosi. La diagnosi di sede di ostruzione si può precisare attraverso l’angio-TC. Sindrome da compressione tracheale

Compare di solito tardivamente rispetto alla sindrome della v.cava superiore. La compressione della trachea in senso antero-posteriore dà luogo alla trachea piatta; la compressione in senso laterale dà origine alla trachea a fodero di sciabola. Tali alterazioni sono evidenziabili dalla Rx, con ulteriore precisazione con TC e RMN. La stenosi tracheale oltre la metà del diametro normale determina:

o cornage, stridore respiratorio; o tirage, caratterizzato dalla contrazione dei mm. Inspiratori accessori e aumento della

depressione inspiratoria della fossa del giugulo. Il peggioramento della condizione determina tosse, cianosi, ristagno di secrezioni e morte per asfissia. Sindrome disfagia

Può comparire in seguito a compressione dell’esofago da una massa nel comparto mediastinico posteriore. La mobilità del tubo fa sì che la stenosi si verifichi tardivamente, quando l’esofago è spinto contro la colonna vertebrale. Tra le cause più frequenti, vi sono le metastasi linfonodali mediastinche paraesofagee del cancro del polmone.

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La diagnosi si accerta con esofagografia, esofagoscopia e TC toracica. È utile anche un prelievo bioptico per definire la natura della massa che comprime l’esofago. Sindromi neurologiche

Derivano da compressione o infiltrazione neoplastica di strutture nervose importanti. Comprendono:

o sindrome dispnoica da paralisi del n.frenico, che determina paralisi e innalzamento del diaframma;

o sindrome di Claude Bernard-Horner, legata a paralisi della catena del simpatico toracico prossimale;

o sindrome disfonia, da paralisi del n. laringeo superiore, in genere sinistro. La terapia della sindrome mediastinica consiste nella rimozione della compressione da parte della neoformazione che ha dato origine all’ingombro mediastinico, che si può ottenere mediante exeresi chirurgica, chemioterapia o radioterapia. Tumori e cisti Le neoplasie rappresentano la patologia mediastinica più frequente. A seconda del viscere da cui originano prediligono una localizzazione in uno dei tre comparti.

Spesso hanno un decorso clinico asintomatico. I segni clinici locali (sindrome mediastinica, tosse, dispnea, dolore) in genere compaiono tardivamente, accompagnati da sintomi sistemici, quali febbre, astenia o calo ponderale. La presenza di sintomatologia soggettiva acompagna il 70% delle lesioni maligne e il 10% delle benigne. I tumori del mediastino di osservazione più frequente comprendono:

o Tumori neurogeni, (25%). La sede tipica d’insorgenza è la doccia costovertebrale. Può avere origine dalle cellule:

o Dei nervi periferici,e comprendono: � Schwannoma, benigno, insorge dalle guaine nervose; � Neurofibroma, benigno, si associa a malattia von Recklinghausen. � Schwannosarcoma, forma maligna dello schwannoma, ha una prognosi

severa e un’incidenza maggiore nei giovani. � Neurofibrosarcoma

o Dei gangli e delle catene simpatiche. Sono tumori aggressivi con maggiore incidenza nell’età infantile.

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� Ganglioneuroma;

� Ganglioneuroblastoma;

� Neuroblastoma, può secernere catecolamine e dare sintomi di diarrea, sudorazione e vampate cutanee.

� Feocromocitoma, capace di provocare crisi ipertensive. Il 10% dei tumori neurogeni si estende per continuità nel canale midollare attraverso i forami di coniugazione, assumendo la configurazione a clessidra o a tappo di champagne. Può essere documentato dalla TC. La terapia d’elezione è l’exeresi chirurgica. Nelle forme maligne, il carattere invasivo pone gravi problemi tecnici, impedendo di ottenere la radicalità oncologica. o Neoformazioni del timo, con sede nel mediastino antero-superiore. Rappresentano il 20%

dei tumori. Comprendono: o Iperplasia timica, può essere vera o follicolare. È rara e si osserva in corso di che

mio. o Cisti timiche, hanno sede lungo la linea di migrazione del timo. L’exeresi chirurgica

è risolutiva. o Timomi, distinti, sulla base della componente cellulare in: timoma linfocitico (25%),

timoma epiteliale (45%) timoma misto (30%). È importante valutare l’aspetto macroscopico. Le varietà maligne infiltrano le strutture limitrofe, rendendo impossibile l’exeresi radicale. Il timoma ben capsulato è presente nel 60% dei casi e il trattamento è associato ad exeresi. La diagnosi è spesso casuale in corso di radiografia o TC del torace. È rara la sintomatologia compressiva, talora con tosse e dolore toracico. L’asportazione chirurgica offre i migliori risultati.

o Carcinoma del timo, maligna di derivazione epiteliale. Sono neoplasie a prognosi molto grave, legata alla loro elevata tendenza all’invasività. La chemioterapia d’induzione preoperatoria è la più indicata nelle forme infiltrate.

o Carcinoide timico, appartiene ai tumori APUD, determina sintomatologia locale compressiva e raramente da sintomi legati agli ormoni secreti. La terapia è chirurgica, ma non riesce ad essere radicale. È resistente alla radio e chemioterapia.

o Timolipoma, insorge dalla componente adiposa della ghiandola. La terapia di scelta è chirurgica.

o Linfoma timico primitivo è raro; più frequenti sono i linfomi generati dal tessuto linfonodale mediastinico che si estendono al timo.

o Tumori mesenchimali, rari, ma nel 50% dei casi sono benigni. La terapia chirurgica è

radicale. Nelle forme maligne la prognosi è severa, con frequenti recidive dopo exeresi. o Tumori a cellule germinali (disembriomi), classificati sulla base degli elementi dai quali

originano in: o Omoplastici, benigni, comprendono:

� Cisti broncogene, insorgono in posizione paratracheale; � Cisti pleuropericardiche, localizzate nel mediastino antero-inferiore; � Cisti enterogene, con sede paraesofagea

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� Linfangioma cistico. o Eteroplastici, costituiti da cellule appartenenti ai diversi foglietti embrionali

primitivi. Le forme benigne comprendono cisti epidermidi, a derivazione ectodermica, cisti dermoidi, a derivazione meso-ectodermica, i teratomi, tridermomi. Tendono a recidivare se l’exeresi chirurgica è incompleta. Il teratocarcinoma è la forma maligna del teratoma. Le forme maligne comprendono seminoma, corioncarcinoma, carcinoma embrionario. La terapia chirurgica consente la guarigione definitiva. Radio e chemio possono essere considerate terapie di complemento. Nelle forme maligne la prognosi è molto severa con sopravvivenza inferiore ad un anno.

La terapia chirurgica è la miglior scelta terapeutica. La polichemioterapia trova indicazione solo per la recidiva dopo chirurgia o nei casi non sia stata possibile una exeresi completa. Sembrano efficaci nelle forme avanzate le combinazioni PAC (cisplatino, adriamicina, ciclofosfamide) e ADOC (adriamicina, vincristina, ciclofosfamide, cisplatino). Vi è indicazione alla radioterapia postchirurgica in tutti i casi in cui non sia stata possibile l’exeresi radicale. La radioterapia è riservata, a solo scopo palliativo, nel controllo temporaneo delle neoplasie non aggredibili chirurgicamente. Linfoadenopatie mediastiniche Le patologie che più frequentemente si manifestano con una linfadenopatia primitiva mediastinica sono i linfomi di Hodgkin e non Hodgkin e la sarcoidosi. Più comuni sono le adenopatie secondarie, caratterizzate dallo sviluppo di metastasi linfonodali nella fase avanzata quali cancro del polmone, dell’esofago e dei linfomi localizzati in altra sede. Spesso la linfadenopatia è la sola manifestazione di malattia neoplastica. È necessario quindi un prelievo bioptico delle linfoadenopatie mediastiniche sospette, eseguibile con ago aspirato TC-guidato o con biopsia incisionale in mediastino scopia. Il trattamento consiste nella radioterapia e/o nella chemioterapia. La terapia della sarcoidosi si basa sui corticosteroidi. Struma intratoracico Possono trovarsi nel torace a seguito di migrazione avvenuta dalla regione sottoioidea dopo la nascita e si parla di strumi ptosici, o in seguito allo sviluppo di una matrice tiroidea in sede ectopica, detti strumi ectopici. Generalmente hanno una connessione anatomica e vascolare con il gozzo a sede cervicale di cui rappresenta una migrazione. In alcuni casi si posiziona in posizione pretracheale. Il quadro radiologico è abbastanza suggestivo, con allargamento del mediastino superiore, spostamento o compressione tracheale e calcificazioni all’interno della massa. La TC cervico-mediastinica con mezzo di contrasto offre un reperto patognomonico. La scintigrafia tiroidea ed eventualmente il prelievo citologico confermano il sospetto diagnostico. L’intervento chirurgico di exeresi è indicato in presenza di disturbi da compressione a carico della trachea, dell’esofago o dei nervi. La sternotomia è indicata in caso di carcinoma tiroideo sviluppato nel contesto di un gozzo che abbia infiltrato le strutture anatomiche limitrofe. Mediastiniti Mediastinite acuta suppurativa

Le perforazioni dell’esofago e della trachea sono le cause più frequenti di mediastinite mediastinite acuta purulenta. La ricca rete linfatica presente nel mediastino anteriore e posteriore spiega come un’infezione bronco pneumonica possa determinare la propagazione ascessuale nel mediastino. La mediastinite postoperatoria è una grave complicanza della infezione di ferita chirurgica. Si possono distinguere due forme:

o Mediastinite flemmonosa, si accompagna a pleurite con versamento pleurico purulento e a pericardite, con tendenza a diffondersi per via linfatica nelle varie logge mediastiniche.

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o Ascesso mediastinico, con spiccata tendenza ad accrescersi e a fistolizzare verso il polmone, i bronchi e l’esofago.

Il quadro clinico è quello della setticemia, con febbre intermittente e leucocitosi. o Dolore retro sternale; o Tosse; o Disfagia; o Congestione della rete venosa cervico-brachiale.

Le mediastiniti secondaria a perforazione esofagea può determinare enfisema mediastinico. La diagnosi può essere difficile in fase iniziale. L’esame clinico, l’Rx e la TC toracomediastinica permettono di confermare la diagnosi. Mediastinite cronica

Rara affezione mediastinica ad eziologia tubercolare, a partenza linfatica. Un altro fattore eziologico può essere l’istoplasmosi. Nonostante l’antibioticoterapia, la mediastinite è caratterizzata da elevata mortalità, attorno al 70%. La terapia chirurgica ha lo scopo di drenare il focolaio settico ed è mirato a trattare la causa della mediastinite. Pneumomediastino S’intende la presenza di aria nello spazio mediastinico. Può essere distinto in:

o Idiopatico, non si riesce a individuarne la causa. È secondario a piccole soluzioni di continuità sconosciute.

o Traumatico, è il più frequente, è dovuto a ferite delle vie aeree o a traumi chiusi del torace che possono comportare lacerazioni della trachea o dell’esofago. La continua perdita aerea può dissociare i tessuti e risalire fino al collo. Può avere anche causa iatrogena in seguito a manovre endoscopiche.

o Spontaneo-patologico, costituisce una complicanza di lesioni degli organi mediastinici. Tra le cause più frequenti abbiamo le perforazioni spontanee dell’esofago e le esofagiti da caustici.

Il quadro clinico è vario, da forme asintomatiche a forma gravi con dispnea, tirage, turgore delle giugulari e agitazioni psicomotorie. Deve essere attuata la terapia chirurgica d’urgenza per correggere la causa, rimuovere la compressione sulle strutture e impedire lo sviluppo di mediastinite. Patologia del dotto toracico Il dotto toracico è costituito da tre porzioni: addominale, toracica e cervicale. Permette il trasporto dei grassi assorbiti e il ricircolo dei linfociti. La porzione toracica, più lunga, è quella più interessata da processi patologici. Le affezioni del dotto toracico sono rare, e possono essere:

o Congenite, comprendono atresie e difetti di sviluppo. o Acquisite, costituite da:

o soluzioni di continuità parietale, in genere post-traumatiche e caratterizzate da chilo torace. Abbiamo l’espansione del mediastino, invaso dalla linfa.

o Stenosi, dovuta solitamente a infiltrazione o compressione da parte di neoformazioni tumorali o vascolari. Lo stato ipertensivo si ripercuote a valle con formazione di vere e proprie varici.

Il trattamento del chilo torace consiste nel drenaggio del cavo pleurico e del mediastino. Se la fistola è di modesta entità è indicata una terapia conservativa, sottoponendo il pz a digiuno e a nutrizione parenterale totale per favorire la chiusura della fistola. Se la portata della fistola è elevata (>500 ml) bisogna provvedere alla correzione chirurgica in quanto il pz può andare incontro a ipoproteinemia e linfocitopenia.

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Trachea

Inizia a livello di C6-C7 e termina alla biforcazione, a livello di T4-T5. La lunghezza è di circa 11-12cm. Il decorso è con asse diretto dall’avanti all’indietro, dall’alto in basso sul piano sagittale mediano. Ha una forma cilindrica appiattita in senso antero-posteriore con diametro trasversale di 1,8 cm.

o Trachea cervicale: o Anteriormente è incrociata dall’istmo della tiroide, più in basso le vene tiroidee

inferiori. Sulla linea mediana abbiamo l’arteria e vena tiroidea ima. o Lateralmente si trovano i lobi della tiroide e, più esternamente, le a.tiroidee inferiori,

i n.laringei ricorrenti e il fascio vascolo nervoso del collo. o Posteriormente è in rapporto con l’esofago.

o Trachea toracica: o Anteriormente è in rapporto con i grandi vasi: v.cava superiore a dx, aorta

ascendente a sx; v.anonima sx davanti. o A destra, aderisce all’a.anonima, mentre in basso è incrociata dall’arco della

v.azygos. o A sinistra, è in rapporto con l’a.succlavia sinistra e più in basso con l’arco aortico. o Posteriormente aderisce all’esofago.

o Biforcazione tracheale: o Anteriormente è in rapporto con la biforcazione dell’a. polmonare, il cui tronco

principale si divide sotto e a sx della carena. o A destra è a contatto con la v.cava superiore; o A sinistra con l’arco dell’aorta; o Posteriormente verso il bronco principale sx, decorre l’esofago.

La sintomatologia in caso di:

o Stenosi, è caratterizzata da: o Dispnea; o Tirage inspiratorio; o Tachicardia; o Tosse. o Insufficienza respiratoria se ∅ < 5mm.

o Fistole esofago-tracheali, caratterizzate da tosse associata a polmonite ab ingestis. o Traumi con rottura abbiamo un enfisema sottocutaneo cervico-toracico.

Le radiografie possono identificare solo le lesioni maggiori, ma può essere completata con TC e, soprattutto, RMN che permette di valutare l’estensione longitudinale delle lesioni. La fibrobroncoscopia rappresenta l’indagine diagnostica fondamentale. L’uso dei mezzi di contrasto può essere pericoloso e deve essere limitato solo a casi particolari. Malformazioni congenite Sono rare e si associano spesso ad anomalie di vari organi e apparati.

o Agenesia della trachea, incompatibile con la vita, è caratterizzata dalla totale mancanza della trachea, dalla laringe alla carena.

o Fistole esofago-tracheali, le più frequenti. Si associa nel 990% dei casi ad atresia esofagea. La sede della lesione interessa il III superiore della trachea e l’esofago prossimale. La sintomatologia è caratterizzata da tosse continua e cianosi dalla nascita, a cui si accompagnano episodi di polmonite ab ingestis. La diagnosi è confermata da esofago grafia con mezzo di contrasto idrosolubile ed endoscopia esofagea e tracheale. La terapia è chirurgica e consiste nell’exeresi chirurgica del tratto fistoloso.

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o Diaframmi a membrana, sono rappresentate da setti fibrosi che possono determinare ostruzione del lume dell’organo. La diagnosi è possibile con fibrobroncoscopia. La terapia prevede l’asportazione delle membrane o la loro apertura ed elettrocoagulazione.

o Stenosi congenite, sono rare e se ne distinguono tre tipi: o Ipoplasia generalizzata, la trachea ha in toto un diametro ridotto; o Stenosi a imbuto, caratterizzata da riduzione progressiva di calibro distalmente; o Stenosi segmentarie. La sintomatologia varia con il grado di stenosi e le diagnosi è confermata dalla fibrobroncoscopia. La terapia è chirurgica e riservata all’adulto. Nel neonato si effettuano dilatazioni endoscopiche in attesa del completo sviluppo della trachea.

o Bronco tracheale, caratterizzata dalla presenza di un orifizio e un moncone di bronco accessorio a impianto sulla parete antero-laterale, poco sopra la carena.

Stenosi estrinseche Possono derivare da compressione esercitata da rare anomalie vascolare o, più frequentemente, sono coinvolti:

o Gozzo voluminoso; o Neoplasie maligne della tiroide; o Metastasi linfonodali juxtatracheali. La compressione prolungata può provocare

indebolimento degli anelli tracheali che può portare a collasso della parte in inspirazione. Traumi e stenosi post-traumatiche Si possono distinguere in:

o Aperti, o penetranti, che comprendono le lesioni iatrogene da manovre d’intubazione ed endoscopiche. La parte cervicale è quella più esposta ai traumi penetranti che spesso coinvolgono il fascio vascolo-nervoso del collo e portano rapidamente a morte. Nei pz che arrivano vivi è da sospettare il trauma aperto in presenza di enfisema del collo o perdita aerea da una lesione cervicale o mediastinica.

o Chiusi, si distinguono in diretti e indiretti. Questi ultimi comprendono lesioni da iperpressione endoluminale tracheale in seguito a compressione del torace a glottide chiusa e i traumi da stiramento.

Nei traumi della porzione mediastinica, la sintomatologia è caratterizzata da: o Tosse; o Emottisi; o Enfisema del collo e del tronco; o Dispnea o Insufficienza respiratoria grave.

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Vi può essere, in entrambi i tipi di traumi, l’interessamento dei vasi del collo e del mediastino o dell’esofago. Il trattamento richiede una diagnosi tempestiva, per evitare il rischio di asfissia e può comportare la necessità di procedere a manovre di rianimazione immediata per assicurare la ventilazione. Sono classificabili, tra le lesioni traumatiche anche alterazioni causate dal decubito di tubi o cannule endotracheali; ciò si può verificare sia a livello del punto d’ingresso nella trachea, sia a livello dell’apice del tubo che a livello dell’area di contatto della cuffia gonfiabile con la mucosa tracheale.

Questi traumi sono caratterizzata dalla comparsa di quattro tipi di lesioni:

o Formazione di granulomi, frequente; o Sviluppo di stenosi cicatriziali, quale

esito dell’ischemia della parete tracheale nel decubito tracheale prolungato;

o Infezione necrotizzante ed erosione della trachea che può determinare la formazione di una fistola tra la trachea e l’a. anonima

o Tracheomalacia, cioè l’indebolimento della parete tracheale.

I sintomi che si possono associare a queste lesioni comprendono:

o Cornage;

o Tirage;

o Tosse

o Emottisi.

La terapia si può effettuare con tecnica chirurgica di resezione-anastomosi o con tecnica endoscopica conservativa. La seconda permette dilatazioni periodiche progressive ed eventuale posizionamento di una protesi armata endoluminale. È possibile effettuare una dilatazione del lume tracheale con il laser in endoscopia. Se fattibile, nelle stenosi < 4cm di lunghezza, la resezione-anastomosi è la tecnica che da i migliori risultati a distanza.

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Tumori Tumori benigni

Sono rari e comprendono papilloma squamoso, condroma, amartoma, emangioma e fibroma. Si manifestano in età pediatrica e maggiormente nel sesso maschile. La sintomatologia dipende dall’entità dell’ostruzione. Gli esami indicati per l’accertamento diagnostico sono:

o Rx o Tc o RMN toraco-mediastinca o Endoscopia tracheale e biopsia.

La terapia di scelta è quella di resezione-anastomosi tracheale. Per il trattamento delle lesioni peduncolate si può effettuare l’exeresi endoscopica mediante crioterapia o elettrocoagulazione. Tumori maligni

Più frequenti sono il carcinoma adenoidocistico (circa 50%) e il carcinoma squamocellulare (20-40%). Insorgono maggiormente a livello del terzo inferiore della trachea o alla carena. La crescita è lenta; presentano infiltrazione per continuità e per contiguità agli organi adiacenti con metastasi linfonodali e a distanza (polmone, fegato, osso). La sintomatologia è caratterizzata da:

o Tosse; o Dispnea; o Emottisi; o Disfonia.

La diagnosi richiede le stesse indagini dei tumori benigni. Per mantenere la pervietà della trachea in caso di neoplasia maligna inoperabile è indicata l’applicazione endoscopica di uno stent a maglie metalliche auto espandibile. La prognosi nei tumori di tipo adenoido-cistico asportati in modo radicale è buona (60-70% a 5 anni); meno favorevole è la prognosi del carcinoma a cellule squamose (10-15% a 5 anni). Si deve preferire la terapia chirurgica con resezione-anastomosi termino-terminale. Il trattamento endoscopico è indicato per le formazioni peduncolare, o a scopo palliativo. Per gli interventi è necessaria una competenza specifica anche da parte dell’équipe anestesiologica, poiché l’anestesia e la ventilazione intraoperatoria dipendono dall’entità dell’ostruzione respiratoria. Le vie chirurgiche di accesso sono:

o Cervicale, con incisione a collare sopragiugulare per le formazione del III prossimale;

o Toracotomia dx, con incisione a livello del IV s.i. per i tumori del III distale e della carena.

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Polmone

Organo pari, presenta:

o Apice, oltrepassa lo stretto superiore del torace ed è in rapporto con l’a.succlavia; o Base, è incavata e in contatto con il diaframma, tramite il quale a dx è in rapporto con il

fegato, a sx con il fondo dello stomaco e la milza. o Faccia costale, convessa, contrae rapporti con le coste e i muscoli intercostali. o Faccia mediastinica, concava, in basso e anteriormente forma la fossa cardiaca. A metà,

spostato posteriormente, è presente l’ilo polmonare. o Margine anteriore, divide la faccia costale da quella mediastinica e presenta in basso

l’incisura cardiaca, che si continua nella lingula. o Margine posteriore, separa posteriormente la faccia costale da quella mediastinica. o Margine inferiore, contorna la base polmonare.

Il polmone dx ha tre lobi, il sx due. I lobi sono separati da: - scissura obliqua, separa il lobo inferiore dagli altri due. Si diparte posteriormente dal IV s.i.

e, decorrendo in basso e in avanti, termina alla VI giunzione condro-sternale. - Scissura orizzontale, si stacca dalla principale a livello della V costa, sulla linea ascellare

media e si porta in avanti fino alla IV giunzione condro-sternale. Ogni lobo è suddiviso in segmenti, se ne distinguono 10 nel polmone dx e 8 nel sx. I polmoni hanno una duplice vascolarizzazione:

o Sistema arterioso bronchiale: o Aa.bronchiali, originano dall’aorta e dalle intercostali a livello di T5-T6. Entrano nel

polmone a livello dell’ilo, accompagnando l’albero bronchiale, formando una brana anteriore ed una posteriore per ogni bronco.

o Vv.bronchiali, decorrono nei setti interlobari presenti nella sottomucosa. Il flusso raggiunge il plesso perilare, gettandosi poi nelle azygos.

o Sistema arterioso polmonare: o Aa.polmonari, trasportano sangue venoso dal cuore dx al polmone. L’a principale

origina a dx dell’aorta, dirigendosi in alto e a sx, per poi dividersi, davanti al bronco principale sx, nei rami dx e sx.queste decorrono parallele ai bronchi dividendosi, fino a formare i capillari alveolari.

o Vv.polmonari, sono deputare a portare il sangue arterioso dai polmoni all’atrio sx, originano dia capillari alveolari confluendo in vasi più grandi, fino a formare la vena polmonare singola per ciascun lobo che convergono nella vena comune.

Malformazioni congenite Sono rare e la loro diagnosi viene effettuata alla nascita e nella prima infanzia. Dispnea e infezioni ricorrenti delle vie respiratorie sono i sintomi caratteristici. Malformazioni bronchiali

Sono rapidamente letali, essendo le anomalie incompatibili con la vita; altre necessitano di una rapida correzione chirurgica oppure di terapia medica conservativa. Le malformazioni bronchiali comportano la comparsa di sintomatologia legata a frequenti infezioni polmonari e a ostruzione bronchiale.

o Atresia bronchiale completa caratterizzata dalla presenza di un bronco a fondo cieco. o Origine ectopica di un bronco principale o segmentarlo può avvenire direttamente dalla

trachea o dall’esofago. o Ipoplasia di un bronco lobare è un’anomalia di sviluppo delle cartilagini bronchiali che

determina enfisema lobare congenito; sono più colpiti i lobi superiore e medio. Clinicamente si manifesta con infezione polmonare, insufficienza respiratoria da stenosi bronchiale e

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sovradistensione del parenchima polmonare. La terapia è la resezione chirurgica del lobo polmonare.

Scissure accessorie

Possono essere: o Scissure del lobo cardiaco dx;

o Scissura del lobo dorsale dx o sx; o Scissura della vena azygos, la più frequente. Non determina sintomatologia clinica

specifica. È causata dalla mancata migrazione della vena azygos dalla parete toracica fino all’angolo trache-bronchiale dx. la vena presenta un lungo meso riccamente vascolarizzato che determina il decorso della vena azygos nel parenchima polmonare, dando origine alla parziale suddivisione del lobo superiore dx. radiologicamente la scissura ha la forma di opacità lineare pleurica, a forma di virgola, nel campo polmonare superiore dx. Sono state descritte anche a sx, legate alla v.intercostale superiore.

Displasie polmonari

Rare anomalie di sviluppo, associate a gravi malformazioni congenite, non compatibili con la vita oltre l’età neonatale, comprendenti agenesie unilaterali del polmone o aplasia polmonare. Malattie cistiche congenite

Cisti broncogene

Sono le più frequenti. Originano per sequestro dell’intestino primitivo ventrale. Possono localizzarsi all’ilo polmonare, nel mediastino o nel parenchima polmonare. La parete è formata da cartilagine, ghiandole mucose, muscolatura liscia con un rivestimento interno di epitelio ciliato. Sono in genere asintomatiche, o si associano a segni d’infezione polmonare o di occlusione bronchiale distale. La rottura di cisti voluminose può dar origine ad un pneumotorace iperteso. Radiologicamente appare simile ad un ascesso polmonare. La terapia è recettiva chirurgica. Polmone policistico

Hanno la caratteristica comune di presentare un accrescimento patologico delle strutture bronchiali terminali, senza alveoli normali. Può essere incompatibile con la vita. I bronchioli terminali presentano dilatazioni cistiche rivestite da epitelio cilindrico ciliato. La sintomatologia si caratterizza per le ricorrenti infezioni polmonari in età infantile, talora accompagnate da emoftoe. La terapia è chirurgica e consiste nella rimozione chirurgica della porzione di parenchima malformato. Sequestrazioni polmonari

Malformazione originante da un abbozzo aberrante di parenchima polmonare, localizzato nella parte inferiore del torace, in genere in posizione intralobare. Tale segmento non comunica con l’albero bronchiale. La malformazione può decorrere a lungo in modo asintomatico o manifestarsi con recidive di polmoniti alla base. La diagnosi si basa su Rx e TC del torace. La terapia chirurgica consiste nella resezione del lobo sequestrato, isolando, legando e sezionando l’a.principale, originante direttamente dall’aorta. Malformazioni artero-venose

Le anomalie che s’incontrano più frequentemente sono le fistole artero-venose polmonari. Molto più rari sono gli angiomi. Sono caratterizzate dalla mancata formazione dei setti che separano i plessi arteriosi e venosi primitivi. Esistono numerose varietà di malformazioni artero-venose, classificate in base alla dimensione della fistola, presenza o meno di aneurisma artero-venoso, posizione della fistola.

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Le fistole artero-venose polmonari con vascolarizzazione arteriosa polmonare sono più frequenti nel sesso femminile sono un’anomalia trasmessa con modalità autosomica dominante a penetranza incompleta. Sono in genere uniche. Il loro sviluppo comporta la comparsa di:

o Dispnea da sforzo;

o Palpitazioni;

o Cianosi;

o Policitemia compensatoria;

o Ippocratismo digitale;

o Emottisi.

o Soffio auscultorio continuo a livello della fistola. L’evoluzione della fistola comporta la comparsa di gravi complicanze come la rottura intrapleurica, la tromboembolia cerebrale o la comparsa di ascesso cerebrale. Deve essere sospettata se ai sintomi si associa malattia di Rendu-Weber-Osler e sulla radiografia del torace, in cui appare come addensamento parenchimale a margini lobulati, periferico. La TC con mezzo di contrasto viene richiesta per approfondire la diagnosi di nodulo polmonare solitario. L’angiografia polmonare è necessaria per documentare topograficamente le lesioni, in previsione dell’intervento chirurgico. La terapia consiste nella resezione conservativa del parenchima polmonare sede della fistola o nell’occlusione mediante embolizzazione. Le fistole artero-venose con vascolarizzazione arteriosa sistemica (a.bronchiale, a.mammaria o aorta) sono caratterizzate da emoftoe e, tardivamente, da scompenso cardiaco congestizio. Per la localizzazione si utilizzano TC con contrasto e angiografia selettiva. La terapia consiste nell’embolizzazione o nella resezione chirurgica. Gli angiomi polmonari possono svilupparsi in modo asintomatico. Se interessano la parete di un ramo bronchiale possono determinare emoftoe massiva. La diagnosi si utilizza l’angio-TC del torace. La terapia è la resezione chirurgica che può richiedere l’intervento d’urgenza. Tumori Tumori benigni

Sono poco frequenti rappresentando l’1% delle neoplasie polmonari.

La loro scoperta è in genere occasionale, in corso di esami radiologici. Si presentano come noduli solitari del polmone, asintomatici. Si manifestano clinicamente quando sono localizzati in posizione ilare, determinando sintomi di compressione o ostruzione delle vie aeree. In genere vengono distinte in periferici e centrali (endobronchiali). La distinzione è legata alla differente sintomatologia clinica, in quanto i primi sono in genere asintomatici; i secondi determinano atelettasia, infezioni ricorrenti, bronchiectasia.

È necessaria la determinazione della natura istologica della lesione. L’accertamento prevede la fibrobroncoscopia che, nelle neoplasie centrali, evidenzierà una neoformazione vegetante o una compressione esterna bronchiale. La biopsia si può effettuare con brushing, biopsia escissionale o agoaspirato transbronchiale. Nei tumori periferici, l’esame radiografico viene confermato con la TC. Le modalità di biopsia dipendono dalle circostanze:

o Biopsia con agoaspirato TC-guidato per lesioni < 1-1,5 cm; o Resezione a cuneo del parenchima, comprendente la lesione in videotoracoscopia; o Biopsia con agoaspirato in videotoracoscopia per neoplasie situate in profondità.

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La terapia è chirurgica e prevede, per le lesioni endobronchiali, la resezione in fibrobroncoscopia o la resezione a manicotto (sleeve resection), che permette il risparmio del parenchima polmonare, senza compromissione della funzione respiratoria. Amartoma

È la neoplasia benigna più frequente (80%). Ha localizzazione prevalentemente periferica, costituito da tessuto connettivo, cellule mesenchimali indifferenziate, adipociti e formazioni ghiandolari. In genere è singolo e asintomatico; la diagnosi è occasionale durante Rx. Si rende necessaria la diagnosi differenziale con il carcinoma polmonare o con metastasi polmonare. A tal fine si effettua l’esame TC con mezzo di contrasto; qualora vi sia incertezza si esegue la biopsia TC-guidata. La crescita è lenta. Papilloma

Neoplasia benigna dell’epitelio respiratorio bronchiale, tipico dell’adulto che si sviluppa in soggetti bronchitici cronici. È costituito da un’asse fibro-vascolare rivestito di epitelio squamoso che lo differenza dal papilloma infiammatorio. Si manifesta con:

o Tosse persistente;

o Emoftoe

o Segni di ostruzione bronchiale.

La radiografia evidenzia atelettasia da ostruzione legata al papilloma. La neoplasia può essere rimossa endoscopicamente. Adenoma

Insorge nei grossi bronchi. È costituito da tessuto epiteliale respiratorio con interposizione di tessuto mucoide. Tumori a basso grado di malignita

Sono neoplasie con comportamento maligno, con uno sviluppo infiltrativi locale che determina, tardivamente, la comparsa di metastasi linfoghiandolari o a distanza. Comprende:

o Carcinoide (85%), si osserva a tutte le età ed ha eguale distribuzione nei due sessi. Fanno parte dei tumori APUD che presentano, nel citoplasma granuli neuroendocrini, contenenti ormoni peptidici attivi (5-HT, bradichinina). Si riconoscono una forma tipica, con cellule poliedriche raccolte in gruppi, e una forma atipica (10-15%), aggressiva, con mitosi frequenti e pleiomorfismo nucleare. Hanno una struttura simile a quella del carcinoma neuroendocrino a piccole cellule. Cresce lentamente e si localizza in genere nelle vie aeree principali, causando vari sintomi (tosse, emottisi o stridore). I carcinoidi a localizzazione periferica sono in genere asintomatici, a meno che non siano secernenti, in questo caso caratterizzati da:

o Arrossamenti improvvisi della cute del volto;

o Diarrea;

o Respiro sibilante con crisi asmatiformi;

o Insufficienza valvolare cardiaca

o Alterazioni neuropsichiche (lipotimia).

Può dare metastasi a distanza solo nel 20% dei casi a livello epatico; le metastasi linfonodali insorgono tardivamente nel 50% dei casi.

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Non esiste un quadro radiologico caratteristico e l’accertamento diagnostico prevede la fibrinobroncoscopia. L’iter diagnostico prevede:

o stadiazione mediante TC toracica e addominale per la ricerca di metastasi linfonodali ed epatiche.

o Scintigrafia con octreotide radiomercato In111, simile alla somatostatina che si lega ai recettori del carcinoide.

o Determinazione dei markers bioumorali, NSE, enolasi neurono-specifica e la determinazione della concentrazione urinaria nelle 24 ore dell’acido 5-idrossi-indolacetico, indicativi nelle forme secernenti. Questi dosaggi sono utili nel follow-up per valutare la comparsa di recidive.

La resezione chirurgica è il trattamento di tutti i carcinoidi tipici e atipici senza metastasi linfonodali. Nei carcinomi periferici, la lobectomia è l’intervento di prima scelta in quanto permette la rimozione anche dei linfonodi regionali. In quelli centrali, si può eseguire la resezione endoscopica. La sopravvivenza a 5 anni dopo l’intervento è 90% per i tipici e 50% per gli atipici.

o Carcinoma adenoido-cistico (cilindroma), tumore maligno poco frequente che cresce lentamente a tutte le età. Si localizza nelle vie aeree centrali con tre forme di accrescimento: cribriforme, tubulare, solido. Tende ad infiltrare sottomucosa e linfatici perineurali. La diagnosi si esegue con biopsia broncoscopia. La resezione radicale comporta una sopravvivenza a 5 anni del 100%. La radioterapia adiuvante è utile nelle neoplasie invasive voluminose.

o Carcinoma mucoepidermoide (1-5%), è costituito da elementi squamosi, intermedi e ghiandolari. Ha un basso grado di malignità, localizzandosi a livello tracheale e dei grossi bronchi. Clinicamente si manifesta con:

o Tosse

o Emottisi

o Ostruzione delle vie aeree

La diagnosi istologica si ottiene con la biopsia durante la broncoscopia. La resezione chirurgica porta a completa guarigione la maggior parte delle lesioni a basso grado. L’associazione con radioterapia adiuvante migliora la sopravvivenza nelle forme ad alto grado di malignità.

Il cancro del polmone rappresenta la prima causa di morte nell’uomo; nelle donne, la quarta. La terapia d’elezione, quando possibile, è la resezione chirurgica radicale, la sola in grado di offrire sopravvivenza a lungo termine. Radio e chemioterapia sono utilizzate come terapie complementari e/o palliative. Anche per il cancro del polmone, la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo oncologicamente tempestivo sono di grande importanza per la sopravvivenza a lungo termine. Se la diagnosi è precoce,cioè avviene quando la malattia è in stadio I, la sopravvivenza a 5 anni dopo exeresi chirurgica radicale è circa l’80%. Tra i fattori di rischi per il cancro del polmone al primo posto vi è il fumo di sigaretta. Oltre il fumo sono stati individuati agenti cancerogeni importanti in caso di esposizione professionale, come polveri radioattive, cromo, etere cloro-metilico o fibre di asbesto. L’inquinamento atmosferico è un altro fattore importante in quanto nell’aria delle grandi metropoli sono presenti sia le sostanze cancerogene, sia altre sostanze che possono fungere da iniziatori. Nella cancerogenesi, la mucosa bronchiale, sottoposta a irritazione cronica può andare incontro ad alterazioni morfologiche quali iperplasia, metaplasma e displasia. Tra i fattori protettivi contro il cancro polmonare è da segnalare l’assunzione di vit.A. Dal punto di vista topografico, le neoplasie broncopolmonari si dividono in:

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- neoplasie centrali o parailari. Caratterizzate da emottisi e disturbi ventilatori, fino all’atelettasia di aree parenchimali periferiche alla neoplasia. La stenosi può determinare polmonite e ascesso polmonare.;

- neoplasie periferiche, presentano fenomeni di necrosi intratumorale ed emorragia che condizionano ascessualizzazione e manifestazioni di tipo broncopneumonico.

In oltre il 90% dei casi, la neoplasia ha origine dall’epitelio bronchiale.

I tipi istologici più frequenti sono: o Carcinoma a cellule squamose. Ha

invasività e tendenza a metastatizzare leggermente inferiore agli altri tumori. Ha uno sviluppo di tipo centrale ed è accertata la patogenesi in relazione al fumo di sigaretta. Dal punto di vista istologico è caratterizzato da una disposizione pluristratificati; si distinguono vari gradi di differenziazione:

o ben differenziato, con evidente cheratinizzazione e formazione di perle cornee epiteliali;

o moderatamente differenziato, con modesta cheratinizzazione e perle cornee; o anaplastico, nel quale non sono evidenti ponti intercellulari e formazione di perle

cornee. Le metastasi si diffondono sia per via linfatica, interessando nell’ordine linfonodi polmonari, ilari, mediastinici e, infine extratoraciche; sia per via ematica, interessando ossa, cervello, surreni ed il fegato. Insorgendo a livello bronchiale, il sintomo più comune è la tosse stizzosa, con emoftoe.

o Carcinoma a piccole cellule (20%). È il tipo più maligno in quanto da precocemente metastasi loco-regionali ed ematogene a distanza. Spesso l’esordio clinico è rappresentato da sintomi metastatici, colpendo maggiormente i maschi fumatori nell’età media. L’insorgenza è in genere centrale. Istologicamente è caratterizzato da cellule piccole e monomorfe con nucleo tondeggiante. Possono produrre ormoni, come ACTH, serotonina, calcitonina, MSH. Sono i maggiori responsabili di sindromi paraneoplastiche. Si distinguono tre istotipi:

o Ca. a piccole cellule a grani di avena; o Ca. a piccole cellule intermedie; o Ca. a piccole cellule composto.

o Adenocarcinoma (45%). Possono originare dall’epitelio bronchiale o dai bronchioli terminali e dalle gh. della mucosa. È più frequente a livello periferico. Si osservano strutture simil-ghiandolari e cellule producenti mucine. Il carcinoma bronchiolo-alveolare

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rappresenta una varietà dell’adenocarcinoma e può causare una sindrome iper-secretiva di muco. Può dare metastasi per via linfatica ed ematogena. La prognosi è peggiore e compaiono prima le metastasi a distanza, poi quelle del tumore primario.

o Carcinoma indifferenziato a grandi cellule (5-10%). Le cellule sono di varie dimensioni, con grande nucleo e abbondante citoplasma. Sono frequenti le aree di necrosi emorragica. Sono stati identificati due sottotipi:

o Ca. a cellule grandi con cellule tumorali multinucleate e pleiomorfe; o Ca. a cellule chiare, caratterizzato da grandi cellule con citoplasma chiaro con

abbondante glicogeno. La crescita del tumore è rapida, con tendenza a infiltrazione a livello ilare. Le metastasi avvengono per via linfatica ed ematica.

Occorre ricordare il carcinoma adenosquamoso è una neoplasia con componente squamosa e adenocarcinomatosa. È un tumore raro (1%). Tumori metastatici

Il polmone rappresenta una tra le più frequenti localizzazioni di metastasi di tumori primitivi di altri organi. In generale, si può affermare che l’indicazione alla resezione chirurgica delle metastasi polmonari, viene posta quando:

o La metastasi è unica o È documentato clinicamente un lungo tempo di raddoppiamento delle dimensioni della

neoplasia. o Non vi sono altre lesioni metastatiche; o Non è avvenuta recidiva della neoplasia primitiva. o Il rischio chirurgico è accettabile; o Non vi è altro modo efficace per il trattamento delle metastasi.

L’intervento di metastasectomia polmonare deve essere eseguito con criteri di economia, risparmiando cioè, tessuto polmonare sano; pertanto, gli interventi più comuni sono le resezioni atipiche (resezioni cuneiformi) eseguiti con tecnica mininvasiva, con impiego di suturatici meccaniche lineari. La chemioterapia può essere utile nel trattamento complementare delle lesioni metastatiche di tumori chemiosensibili. Lesioni pseudotumorali

Sono masse e noduli polmonari che simulano radiologicamente le neoplasie. Comprende il granuloma plasmacellulare, lesione pseudotumorale secondaria a processo infiammatorio cronico aspecifico. Presenta un intenso infiltrato plasmacellulare con linfociti ed istiociti. Anche malattie granulomatose come TBC e micosi, tumori amiloidei, linfoangiomatosi, infestazioni da parassiti e malformazioni vascolari. La maggior parte dei pz giunge alla diagnosi con una malattia già sintomatica. Tosse, anoressia, calo ponderale e affaticabilità sono i sintomi più frequenti. L’accrescimento periferico è in genere associato a dolore da infiltrazione pleurica, tosse, dispnea e febbre da ascessualizzazione. Le manifestazioni cliniche tipiche di uno stadio avanzato sono:

o Ostruzione tracheale con dipsnea; o Compressione esofagea con disfagia; o Disfonia da paralisi del n.ricorrente o Dispnea e innalzamento del diaframma per paralisi del n.frenico. o Sindrome di Bernard-Horder per paralisi del simpatico; o Sindrome della v.cava superiore

Il cancro metastatizza al fegato (45%), al SNC (45%), al surrene (35%), alle struttura scheletriche (30%), al cavo pleurico (20%) e al polmone controlaterale (15%).

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Alcune delle manifestazioni più frequenti di sindromi paraneoplastiche sono anoressia, febbre e sindromi endocrine da increzione di PTH, ADH e ACTH.

La diagnosi di cancro del polmone si può sospettare in seguito alla comparsa di sintomi o in seguito al reperto occasionale, in un soggetto asintomatico, di un nodulo o di un addensamento polmonare in esame Rx e TC. Lo screening del cancro del polmone è stato rivalutato, negli ultimi anni per la diagnosi precoce del tumore nei soggetti a rischio. La diagnosi precoce è ottenibile mediante esame Rx del torace in due proiezioni o con TC spirale del torace. La TC ha una sensibilità maggiore rispetto all’Rx, ma ha una specificità minore. In ogni caso di sospetto cancro del polmone è necessario un approfondimento diagnostico che si articola in 2 fasi:

o I fase diagnostica, accertamento dell’esistenza della neoplasia e alla tipizzazione istologica.

o Esame Rx torace in duplice proiezione, indagine di primo livello;

o TC torace con mezzo di contrasto eseguiti in tutti i pz che presentano addensamenti all’Rx.

o Esame citologico espettorato, accuratezza diagnostica variabile dal 70 al 90%. Dipende dall’esperienza del citologo e dalla tendenza esfoliativa del tumore;

o Markers tumorali, sono stati proposti CEA, l’enolasi neuro specifica (NSE), citocheratina 19, ferritina, zinco, rame e l’antigene polipeptidico tissutale (TPA). Tuttavia, nessuno dei marcatori ha sensibilità e specificità tale da poter essere impiegato in fase di screening o diagnosi.

o Fibrobroncoscopia, permette di esplorare fino ai bronchi di IV grado con il vantaggio di esplorare direttamente l’albero bronchiale, definendo l’estensione endoluminale della lesione. È possibile inoltre di raccogliere secrezioni bronchiali, liquido di lavaggio bronchiale e il brushing per l’esame citologico. L’accuratezza diagnostica di tali procedure raggiunge il 95%.

o Esame citologico su ago aspirato con ago sottile per via transcutanea. Eseguito sotto controllo TC, è utile per lesioni periferiche. Sono frequenti le complicanze quali pneumotorace ed emoftoe. L’accuratezza diagnostica è elevata, ma dipende dall’esperienza del radiologo e del citologo.

o Biopsia con video toracoscopia o toracotomia, qualora non è possibile ottenere campioni bioptici coi precedenti metodi.

o Biopsia sopraclaveare. Eseguita quando vi sono linfonodi sospetti palpabili nella fossa sovraclaveare omo o contro laterale alla neoplasia. La positività neoplastica di questi linfonodi è una controindicazione all’intervento chirurgico resettivo.

o II fase diagnostica, per il completamento della stadiazione o Ecografia addominale. In alternativa TC addominale. Hanno sensibilità

sovrapponibile.

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o TC cerebrale; o Scintigrafia ossea. Offre sensibilità superiore alla classica radiografia o Mediastinoscopia per via cervicotomica. È l’esame di scelta per lo studio e la biopsia

di metastasi linfonodali mediastiniche pre e paratracheali. È considerato un intervento chirurgico vero e proprio e richiede l’anestesia generale. La mediastinostomia anteriore è richiesta per indagare i linfonodi sottoaortici e sottocarenali.

o Spirometria ed emogasanalisi. Sono necessarie per valutare la funzionalità respiratoria, al fine di escludere dall’indicazione chirurgica i pz sprovvisti di adeguata riserva funzionale.

Sulla base dei risultati ottenuti dagli esami effettuati nella I e II fase diagnostica, si procede alla stadiazione della neoplasia, che permette di classificare il grado di diffusione della malattia in raggruppamenti utili per l’indicazione delle varie terapie. Per il carcinoma non a piccole cellule, si utilizza la classificazione TNM. Considerazioni a parte vanno fatte per il microcitoma, la cui classificazione si basa su quella proposta dal Veterans Administration Lung Cancer Study Group (VALCSG). È considerato limitato il microcitoma confinato ad un solo emitorace, con o senza coinvolgimento dei linfonodi ilo-mediastinici e sovraclaveari omolaterali. Qualsiasi altra condizione viene compresa nel gruppo di malattia estesa. La stadiazione completa e corretta prevede la classificazione della malattia sulla base dei risultati delle indagini clinico-strumentali preoperatorie, del reperto intraoperatorio e dell’esame istologico. La resezione chirurgica, associata ad accurata linfoadenectomia rappresenta l’opzione di prima scelta nel caso di carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC). La radioterapia e la chemioterapia rappresentano terapie complementari o alternativi alla chirurgia nei pz in cui le condizioni generali o l’estensione della malattia controindicano l’intervento chirurgico. Condizione particola è il carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC), la cui elevata aggressività fa preferire un approccio policheioterapico alla chirurgia. Carcinoma polmonare non a piccole cellule

Chirurgia: indicato in pz in stadio I, II e IIIA, dopo attenta valutazione preoperatoria. L’età avanzata è considerata un fattore prognostico negativo per la chirurgia. Infarto miocardico recente, gravi aritmie non controllabili farmacologicamente, lo scompenso cardiaco, l’insufficienza epatica o renale grave sono controindicazioni assolute all’intervento chirurgico. L’infiltrazione della carena tracheale e della parete toracica sono considerate controindicazioni relative. La valutazione preoperatoria deve riguardare anche la funzionalità respiratoria, per la quale sono sufficienti la spirometria e l’emogasanalisi. In caso di dubbio, sono stati proposti diversi test: scintigrafia polmonare funzionale con 133Xe. broncospirometria separata con blocco di Arnaud, test da sforzo. I parametri più importanti da valutare sono CV, FEV1 e indice di Tiffenau (FEV1/CV) che esprime il grado di ostruzione delle vie aeree. Nel fumatore le complicanze respiratorie aumentano considerevolmente. La clearance muco-ciliare migliora dopo 1 settimana dalla sospensione del fumo, sebbene rimanga alterata per mesi; il volume dell’espettorato si riduce dopo 6 settimane. La fisioterapia respiratoria deve essere iniziata preoperatoriamente e continuata nel postoperatorio. La terapia antibiotica è indispensabile nei pz che presentano colonizzazione cronica delle vie aeree; i mucolitici favoriscono l’espettorazione. La somministrazione di broncodilatatori è indispensabile in pz con malattia ostruttiva.

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Un’accurata conoscenza del drenaggio linfatico e l’affinamento delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche consentono di eseguire interventi come lobectomia o bilobectomia, meno invalidanti di una pneumonectomia. Nel cancro del polmone in stadio I solo la lobectomia consente un’exeresi ontologicamente radicale. La resezione polmonare atipica è indicata per i pz a elevato rischio e con riserva respiratoria limitata. Nei tumori a localizzazione iuxtacarenale, senza metastasi a distanza, si può eseguire la resezione carenale. Il successo di questi interventi richiede un’accurata selezione del pz, la corretta esecuzione dell’atto chirurgico ed un attento monitoraggio postoperatorio. Per la neoplasia a localizzazione periferica che infiltra la parete toracica, senza metastasi linfonodali (N0), la resezione en bloc della neoplasia e del tratto di parete coinvolto, deve prevedere la radioterapia pre e postoperatoria. Recentemente l’applicazione della video toracoscopia operativa si presta all’esecuzione della wedge resection. Per gli stadi I e II è indicata l’exeresi chirurgica. Per lo stadio IIIA l’intervento chirurgico viene indicato per pz accuratamente selezionati dopo una soddisfacente risposta alla chemioterapia di induzione. Per i pz in stadio IIIB e IV vi è indicazione alla sola chemioterapia e /o radioterapia.

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La mortalità dopo lobectomia è compresa tra 1 e 6%. Le fistole e l’empiema sono le complicazioni più temibili; meno frequenti sono le aritmie cardiache, l’insufficienza respiratoria, la polmonite, l’IMA e l’embolia polmonare. Per ridurre le complicazioni postoperatorie occorre una buona toilette bronchiale. Chemioterapia: riveste un ruolo importante negli stadi avanzati. È indicato in casi di:

- carcinoma polmonare localmente avanzato dopo resezione chirurgica (IIIA e IIIB), a scopo adiuvante.

- Carcinoma polmonare localmente avanzato (IIIA), a scopo d’induzione preoperatoria. - Carcinoma polmonare localmente avanzato (IIIB) e disseminato (IV).

I farmaci attivi comprendono: cisplatino, carboplatino, gemcitabina, mitomicina C, ciclofosfamide e taxolo. I pz in stadio IIIA o IIIB hanno una sopravvivenza a 5 anni del 5-30%. In questi casi è necessario far precedere il trattamento chemioterapico al trattamento chirurgico, per ottenere un migliore controllo locale e a distanza della malattia. Radioterapia: preoperatoriamente è utile per ridurre il volume tumorale, di ricondurre alla resecabilità lesioni non resecabili d’emblée, diminuendo la probabilità di disseminazione intraoperatoria. La radioterapia con finalità di eradicazione, può essere presa in considerazione nel I e II stadio in presenza di controindicazioni alla chirurgia. L’irradiazione a scopo palliativo e sintomatico trova indicazioni in pz con neoplasia localmente avanzata, o con sindrome mediastinica, o con metastasi scheletriche. Carcinoma polmonare a piccole cellule

Chirurgia: indicata in tumori di piccole dimensioni che non hanno ancora sviluppato metastasi radiologicamente o clinicamente evidenti (Stadio I). Alla resezione, in tal caso, si associa precauzionalmente la combinazione di radioterapia e chemioterapia adiuvante. Chemioterapia: in associazione a radioterapia è la scelta nelle lesioni inoperabili. Radioterapia: trova indicazioni, come unico trattamento, a scopo palliativo nei pz non responsivi alla chemioterapia e a titolo sintomatico in presenza di lesioni metastatiche, specie cerebrali e ossee. Dopo exeresi chirurgica, i tumori non a piccole cellule a parità di stadio hanno una prognosi simile, indipendente dall’istotipo; i microcitomi hanno invece una prognosi peggiore con sopravvivenza a 5 anni del 3-10%.

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Patologia infettiva I processi polmonitici guariscono in genere con la restitutio ad integrum del parenchima leso, o con esito cicatriziale o fibrotico più o meno esteso. Più raramente il processo evolve in senso necrotico-suppurativo, con distruzione tissutale ed esiti ascessuali e cavitari. Le polmoniti streptococciche sono spesso responsabili (50%) di complicanze pleuriche. In ambiente ospedaliero, sono frequenti le infezioni da G-. La polmonite postoperatoria rappresenta la complicanza infettiva più frequente; i pz maggiormente a rischio sono quello affetti da BPCO e neoplasia. I microrganismi più frequentemente coinvolti sono i G+ aerobi (MRSA). Infezioni micotiche

Le forme primitive non sono di frequente riscontro, ad eccezione di alcune aree geografiche. Nelle valutazioni cliniche iniziali, le infezioni micotiche devono essere poste in diagnosi differenziale con il cancro del polmone e con la TBC polmonare. Sono per la maggior parte patogeni opportunisti che colpisce pz immunodepressi. Alcuni miceti sono patogeni veri e possono infettare gli individui sani.

o Istoplasmosi, causata da Histoplasma capsulatum è la più comune. Determina un’infiltrazione granulomatosa diffusa con aspetto che ricorda le lesioni tubercolari. Negli individui sani può decorrere in modo asintomatico, mentre nei soggetti immunodepressi ha un decorso grave. La sintomatologia è aspecifica, caratterizzata da tosse, febbricola, astenia, calo ponderale e, raramente, emottisi. La diagnosi si ottiene con la dimostrazione del micete nell’escreato. Alla radiografia è frequente il riscontro di un nodulo solitario con calcificazioni “a bersaglio”. La terapia è medica; la chirurgia è riservata alle cavità croniche che non rispondono alla terapia medica.

o Coccidioidomicosi, dovuta a Coccidioides immitis, frequente in aree desertiche dell’America del Nord. Ha una evoluzione benigna e autolimitante. Le lesioni si possono manifestare con cavità a pareti sottili o come granulomi suppurativi, infiltranti. La sintomatologia è aspecifica. Frequente è il riscontro di microrganismi nell’escreato. La terapia chirurgica è necessaria nei casi di grave emottisi e lesioni cavitarie > 2cm.

o Blastomicosi nordamericana, causata dal Blastomyces dermatitidis, endemico nel Canada e zona centrale degli Stati Uniti. Sono frequenti le lesioni cutanee maculo papulose e papulopustolose, singole o multiple localizzate al tronco e agli arti. Sono caratterizzate da microascessi, a evoluzione caseosa, cavitazione e fibrosi. La sintomatologia è aspecifica. La diagnosi si pone con esami sierologici e dell’escreato bronchiale. Gli esami di imaging evidenziano lesioni cavitarie, nodulari, fibrotiche disseminate. La terapia chirurgica è solo nei casi di sospetto di carcinoma broncogeno associato.

o Criptococcosi è in genere opportunistica, legata ad infezione da Cryptococcus neoformans. È conosciuta per le gravi manifestazioni secondarie che interessano il SNC, come la letargia. La diagnosi di certezza si ottiene con l’esame colturale del liquor, del midollo osseo, delle urine e delle secrezioni prostatiche.

o Aspergillosi ha come agente eziologico l’Aspergillus fumigatus, che colonizza le cavità polmonari neoformate (ascessim tumori escavati, caverne TBC). La diagnosi prevede Rx, esecuzione di tests cutanei, determinazione dei livelli sierici di IgE e la coltura dell’escreato. La comparsa di emottisi massiva rende necessario l’intervento chirurgico.

o Candidosi, causata da Candida albicans. Infezioni da actinomiceti e nocardiosi

o Actinomicosi è un infezione cronica da Actinomyces israelii, germe anaerobio, contrassegnata da lesione tissutale torpida che progredisce fino alla formazione di cavità, ascessi e fistole. La lesione è inizialmente rappresentata da un addensamento di tipo

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pneumonitico che evolve rapidamente dando origine ad un ascesso che tende a drenarsi attraverso una fistola.

o Nocardiosi, causata da germi aerobi obbligati, colpisce i soggetti di sesso maschile. La lesione è rappresentata da un addensamento polmonare. L’andamento è più acuto rispetto all’actinomicosi ed esita con la formazione di ascessi e necrosi. Frequenti sono i fenomeni di emottisi e di embolizzazione settica del SNC. Per la diagnosi, sono necessari l’esame dell’escreato e del materiale purulento, l’esecuzione di emocolture seriate e la coltura del materiale ottenuto dalle lesioni cutanee.

Ascesso polmonare È una lesione parenchimale caratterizzata dalla distruzione per suppurazione del parenchima polmonare. Ha la tendenza ad aumentare di volume, distruggendo il parenchima circostante ed erodendo la parete dei bronchi, nei quali si riversa il materiale necrotico purulento. L’ascesso chiuso non è distinguibile da un focolaio polmonitico; quando si stabilisce la fistola con un bronco (ascesso aperto) compaiono il livello idroaereo. L’ascesso può anche svilupparsi superficialmente, fino ad erodere la pleura viscerale e dar luogo ad un empiema pleurico che determina la comparsa di pio-pneumotorace. L’ascesso può essere:

o Primario, raro è legato all’evoluzione di un iniziale focolaio polmonitico infettivo. o Secondario, più frequente, a un processo polmonitico di eziologia varia, o a bronchiectasia

infetta, a trauma penetrante. Può rappresentare l’evoluzione di una polmonite ab ingestis. Le specie batteriche che possono determinare la formazione di un ascesso sono numerose. Nella patogenesi dell’ascesso polmonare, hanno un ruolo importante i fattori predisponenti rappresentati da malattie debilitanti, focolai settici cronici, terapie immunosoppressive. La mortalità è elevata nei pz debilitati o immunodepressi. La sintomatologia è caratterizzata da:

o Febbre di tipo settico;

o Tosse;

o Espettorato purulento;

o Emottisi;

o Dolore toracico

I sintomi sono inizialmente sovrapponibili a quelli di una polmonite, tuttavia l’ascesso dura 6 o 7 settimane e si accompagna a calo ponderale, astenia ed anoressia. La fistolizzazione bronchiale migliora la sintomatologia; in seguito vi è un processo di retrazione cicatriziale della cavità ascessuale che porta a obliterazione fibrotica la cavità stessa. Talora, invece, l’ascesso si svuota parzialmente in quanto localizzato nelle porzioni inferiori del parenchima; si assiste alla cronicizzazione dell’ascesso, che determina un progressivo decadimento delle condizioni generali e all’insufficienza respiratoria cronica, con comparsa di cianosi, tosse ed ippocratismo digitale. La diagnosi si pone in base all’anamnesi, alla sintomatologia e all’esame radiografico su due proiezioni del torace. La TC può aiutare a confermare la diagnosi e la broncoscopia permette di eliminare corpi estranei. La diagnosi differenziale deve essere posta con il cancro ascessualizzato del polmone, con la caverna tubercolare, con la cisti da echinococco, con la bronchiectasia infetta. La terapia è medica nella fasi iniziali; è possibile evitare la cronicizzazione con adeguata antibioticoterapia, con drenaggio posturale dell’ascesso per facilitarne l’evacuazione con bronco-aspirazione in broncoscopia, e con supporto nutrizionale e fisiorespiratorio. Qualora vi sia la cronicizzazione, o coompaia pio-pneumotorace o una fistola bronco-pleurica persistente, vi è indicazione all’intervento chirurgico. Si procede prima al drenaggio trans toracico della cavità, che in genere porta a guarigione. In presenza di fistola persistente può essere indicato l’intervento di exeresi della porzione di parenchima malato.

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Cisti da echinococco del polmone (idatidosi) Malattia parassitaria dovuta alla tenia dell’Echinococcus granulosus, che vive abitualmente nell’intestino del cane. L’uomo è un ospite intermedio. La porta d’ingresso del parassita è la via orale, per contatto con animali infetti o con le feci di animali infetti. Il parassita raggiunge il circolo portale penetrando attraverso l’intestino e da qui invade il circolo sistemico, localizzandosi nel polmone. Il fegato è la sede più colpita. Le lesioni cistiche possono essere uniche o multiple, a carico di uno o entrambi i polmoni. Le dimensioni delle cisti possono variare da pochi mm ad alcuni cm. La cisti idatidea è costituita da tre strati concentrici:

o Pericistio, parete esterna di colore biancastro. Si forma nel parenchima polmonare a ridosso della cisti ed è una membrana fibrosa reattiva costituito da tessuto infiammatorio;

o Membrana chitinosa, riveste la cisti ed è costituita da materiale amorfo prodotto dal parassita. È facilmente dissecabile dalla parete della cisti, ha consistenza molle.

o Strato germinativo, costituito da cellule parassitarie che formano la membrana proligera. La cisti da echinococco ha tendenza all’accrescimento, fino a causare erosione delle strutture adiacenti. Può causare emottisi, fistolizzando nel bronco. La rottura della cisti è una complicanza grave che può provocare la morte del pz per shock anafilattico ed edema polmonare. I sintomi della rottura sono:

o Dispnea;

o Insufficienza respiratoria;

o Alterazioni del ritmo cardiaco;

o Manifestazioni allergiche.

o Vomica idatidea, sintomo patognomonico di rottura. La cisti è in genere asintomatica e rappresenta un reperto occasionale in corso di radiografia eseguita per echinococcosi epatica nota. Nel caso vi siano sintomi, essi sono rappresentati da:

o Tosse

o Emoftoe

o Dispnea

o Febbre

o Eosinofilia

La diagnosi deve essere sospettata sulla base delle caratteristiche radiologiche della cisti: neoformazione rotonda con margine netto, di aspetto capsulato; se la cisti è rotta, si evidenzia al suo interno un livello idroaereo. La diagnosi deve essere confermata dall’accertamento sierologico per la presenza di IgA ed IgE anti echinococco. La terapia è chirurgica e consiste nell’exeresi della cisti polmonare mediante cisto-pericistectomia. L’intervento deve essere conservativo del parenchima sano circostante. Per cisti fino a 3cm di diametro è possibile la rimozione in toracoscopia con resezione atipica. Per il trattamento delle cisti multiple o recidive si può utilizzare il trattamento medico con flubendazolo. Chirurgia della TBC polmonare La terapia della TBC si fonda sull’impiego di farmaci con efficacia antimicobatterica, tra i quali: streptomicina, isoniazide (INH), pirazinamide (PZA), etambutolo e rifampicina. Attualmente, il trattamento iniziale prevede:

o INH e rifampicina per 6 mesi o PZA per due mesi.

In caso di resistenza, s’istituisce la terapia con etambutolo o altro farmaco sulla base dell’antibiogramma. L’indicazione chirurgica si pone per pz con infezione tubercolare resistente al trattamento medico, con distruzione del parenchima polmonare e formazione di caverne. Le altre indicazioni sono emottisi, fistola bronco-pleurica, stenosi bronchiale, fibrotorace in esiti di TBC. Sono possibili tre tipi di intervento:

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o Collassoterapia, cioè l’induzione di un pneumotorace terapeutico. o Toracoplastica, con i quali è possibile realizzare un collasso permanente del parenchima

polmonare. Esistono vari tipi, che prevedono la resezione delle prime 3-4 coste, per realizzare il collasso dell’apice polmonare, sede più frequente di TBC. L’indicazione è limitata ai casi in cui, per le scadenti condizioni del pz non è possibile procedere all’exeresi polmonare.

o Resezioni polmonari possono essere la lobectomia o la pneumonectomia, a seconda dell’estensione delle lesioni.

In preparazione all’intervento è necessario compiere ogni sforzo chemioterapico per eradicare l’infezione attiva, risultato che va attestato dalla negatività dell’esame dell’escreato. La sutura bronchiale, nei casi di TBC è particolarmente a rischio e il chirurgo deve proteggerla con apposizione di lembo pleurico o di lembo di m.intercostale o omentale, per diminuire il rischio di deiscenza. Anomalie strutturali del polmone Enfisema e malattia bollosa polmonare

L’enfisema polmonare è una malattia caratterizzata da aumento permanente del contenuto aereo degli acini e degli alveoli polmonari, associato a distruzione delle pareti alveolari. Si distinguono tre tipi di enfisema, in relazione alla porzione degli acini interessata dal processo:

o Centroacinare, si sviluppa nella parte prossimale degli acini in associazione alla distruzione flogistica dei bronchioli respiratori. Forma microbolle, localizzate in genere nei campi polmonari superiori.

o Panacinare, caratterizzato da distruzione di tutte le porzioni degli acini. La progressione della malattia comporta un aumento irreversibile dello spazio aereo finché il parenchima rimane nell’intelaiatura di supporto. Talora si associa a deficit di α1-antitripsina congenito. Si distribuisce uniformemente nel polmone;

o Parasettale è il risultato della distruzione degli alveoli superficiali, subpleurici. La distruzione dei setti determina la formazione di bolle sempre più grandi. La sede più comune è l’apice polmonare e la rottura di queste bolle determina lo pneumotorace spontaneo.

Questa definizione è valida negli stadi precoci. In tutti e tre i tipi di enfisema si possono formare bolle enfisematose che possono diventare di interesse chirurgico. Per bolla enfisematosa polmonare s’intende uno spazio enfisematoso di ∅ > 1 cm, quando il polmone è ventilato. La bolla è costituita da una sottile membrana di pleura viscerale e di connettivo derivante dal parenchima polmonare enfisematoso distrutto, fornita di un’esile rete vascolare. Alla base d’impianto della bolla aggettano i bronchi che riforniscono di aria la bolla. Le bolle possono avere dimensioni variabili, definendosi giganti se con ∅ > 8-10cm. Le modificazioni dei polmoni enfisematosi comprendono l’aumento del volume e la perdita di elasticità; impallidimento e presenza di bolle translucide. Nell’eziopatogenesi si riconoscono fattori congeniti e acquisiti. Tra questi ultimi abbiamo fattori meccanici ed infiammatori. Ai fini dell’indicazione all’intervento chirurgico le bolle, in base alla presenza o meno di alterazioni strutturali del parenchima circostante, si classificano in:

o Bolle associate ad enfisema diffuso (80%), sono la manifestazione macroscopica e sono multiple e bilaterali. La sintomatologia dipende dal grado di enfisema e può determinare una sindrome da insufficienza respiratoria di tipo restrittivo.

o Bolle associate a parenchima quasi normale (20%), hanno sede apicale e sono ben demarcate.

L’evoluzione dell’enfisema è progressiva, anche se a lungo termine. Può portare a insufficienza respiratoria e scompenso cardiaco congestizio. Aumenta notevolmente lo spazio morto con diminuzione della superficie ventilatoria, con squilibrio del rapporto ventilazione/perfusione.

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Compare ipossiemia e ipercapnia con acidosi respiratoria, compensata da un’alcalosi metabolica e poliglobulia. La riduzione del letto capillare determina ipertensione del circolo polmonare con comparsa di cuore polmonare cronico e possibile scompenso. L’insufficienza respiratoria determina la comparsa del torace “a botte”, permanentemente in atteggiamento inspiratorio, con ampliamento degli spazi intercostali, orizzontalizzazione delle coste, sollevamento delle clavicole e contrazione dei mm.sternocleidomastoidei. La malattia può rimanere completamente asintomatica ed essere diagnosticata casualmente con Rx o TC torace. Abbiamo iperdiafania diffusa dei campi polmonari e presenza di spazi aerei iperdiafani delimitati da setti. L’enfisema diviene sintomatico quando causa insufficienza respiratoria caratterizzata da:

o Cianosi

o Dispnea

o Ippocratismo digitale

o Poliglobulia compensatoria

o Torace “a botte”

o Dolore da rottura di bolla

o Pneumotorace

La TC è sempre necessaria per valutare con cura le dimensioni e i rapporti topografici. Il trattamento è essenzialmente medico, consistente nella fisioterapia e aerosol-terapia, con impiego di fluidificanti delle secrezioni e balsamici. La terapia chirurgica è indicata nelle complicanze delle bolle enfisematose e comprende varie procedure: drenaggio pleurico semplice, bullectomia, resezione del parenchima, pleurodesi. Si eseguono con metodica mininvasiva in video toracoscopia.

Bronchiectasie Sono dilatazioni della parete bronchiale, secondarie ad alterazioni del t.elastico e cartilagineo, che condizionano ristagno di secrezioni, facilitando la comparsa di infezioni suppurative; interessa in genere bronchi di II, III e IV ordine. Possono essere:

o Congenite, rare; malattie che si associano a bronchiectasie sono: o Deficit di IgG; o Ipogammaglobulinemia primitiva o Deficit di α1-antitrpisina o Fibrosi cistica o Sindrome di Kartagener

o Acquisite, in seguito a:

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o affezioni flogistiche croniche o recidivanti delle vie respiratorie, o all’ostruzione bronchiale da corpi estranei o neoplasi o stenosi infiammatorie o sindrome del lobo medio

La morfologia macroscopica può essere cilindrica, ampollare o fusiforme; interessa in genere i lobi inferiori, la lingula e il lobo medio. La sintomatologia è caratterizzata da abbondante espettorato purulento che strati tifica sedimentando, emottisi, febbre. Successivamente compaiono segni e sintomi di insufficienza respiratoria: dispnea, cianosi, ippocratismo digitale, astenia. L’esame radiologico mostra segni indiretti quali la riduzione di volume del polmone interessato ed espansione compensatoria del contro laterale; talora sono presenti segni diretti come l’immagine radiologica di “nido d’api”. La conferma si pone con la broncografia e con la TC del torace. La fibrobroncoscopia ha anche un’utilità terapeutica in quanto permette di eseguire un’estesa aspirazione e campionamento delle secrezioni. Il trattamento è in genere medico e consiste nel drenaggio posturale, nella fisioterapia respiratoria e nella somministrazione mirata di antibiotici. L’intervento chirurgico di resezione è riservato a pz che manifestano episodi recidivanti di broncopolmonite ed emottisi. Sindrome del lobo medio È determinata dalla compressione esercitata da tumefazioni linfonodali sul bronco lobare medio. Ha incidenza maggiore nel giovane ed è caratterizzata da:

o ricorrenti episodi bronco pneumonici;

o febbre

o tosse secca

o emottisi

La diagnosi è posta con fibrobroncoscopia, broncografia e TC. La terapia chirurgica è riservata a casi in cui vi è suppurazione.

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Endoscopia tracheo-bronchiale e toracoscopia

La tracheo-broncoscopia è l’esame visivo diretto delle vie aeree, dalla laringe ai bronchi segmentari. Ci permette di valutare la conformazione delle via aeree, la loro pervietà, il colore della mucosa, ecc. I broncoscopi hanno calibro e lunghezza diversa seconda dell’età del pz. Si utilizza di norma il broncoscopio flessibile a fibre ottiche, preferito a quello rigido, utilizzato per la broncoscopia interventistica. Il fibrobroncoscopio è molto meno traumatizzante, permette di raggiungere i bronchi segmentari e può essere introdotto dal naso, dalla bocca, attraverso una tracheotomia o attraverso il tubo tracheale. All’interno dell’endoscopio è presente un canale operatore attraverso il quale è possibile eseguire prelievi bioptici o esami citologici. I malati candidati ad un atto operatorio, devono essere sottoposti a broncoscopia allo scopo di chiarire la diagnosi e offrire al chirurgo l’esatta definizione dell’estensione patologica.

La broncoscopia si esegue in anestesia generale nei bambini sotto i 10anni, sia per la scarsa tolleranza agli anestetici locali, sia per la mancanza di collaborazione. La premedicazione con atropina o morfina, un’ora prima dell’esame endoscopico, facilita il compito dell’anestesia. Nella maggior parte dei soggetti adulti non è necessaria l’anestesia generale; si esegue l’anestesia della bocca, faringe, laringe, trachea e bronchi con una solzione di lidocaina cloridrato all’1%. Si utilizza la tecnica di introduzione nasale o orale con paziente seduto di fronte all’operatore. Di solito, il fibrobroncoscopio viene fatto scivolare, sotto controllo visivo diretto, lungo il pavimento della fossa nasale, sino alla rinofaringe e fino ad individuare il palato molle. Vengono quindi individuate l’epiglottide e le corde vocali. L’esame broncoscopico è fondamentale per giudicare l’operabilità di un carcinoma bronchiale: la presenza di infiltrazioni neoplastiche a partenza bronchiale che hanno raggiunto la trachea o la carena può controindicare l’intervento. Può anche essere utilizzata intraoperatoriamente per valutare la sede di resezione del bronco o valutare la pervietà di un’anastomosi bronchiale. In età pediatrica l’ostruzione da corpo estraneo è l’indicazione più frequente all’esame fibroscopio. Le dimensioni del corpo estraneo, la conformazione anatomica del pz e l’esperienza dell’operatore guidano l’utilizzo e la scelta dell’endoscopio rigido o flessibile. La fibroscopia è utile per precisare la natura di emottisi e per arrestare il sanguinamento. L’emostasi si può ottenere sotto controllo endoscopico, con l’impiego di sostanze chimiche (adrenalina diluita, atossisclerolo)., di energia elettrica mono o bipolare, elettromagnetica (laser ad argon) o meccanica con tamponamento endobronchiale con palloncino. La broncoscopia dopo trauma può essere utile per valutare la presenza di lesioni della parte o di fistole che alimentano uno pneumotorace.

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In tutte le malattie bronchiali suppurative, l’esame broncoscopico ha la possibilità di localizzare esattamente il bronco dal quale drenano le secrezioni.

Toracoscopia La cavità toracica, a differenza di quella addominale, ha un’impalcatura ossea che permette, una volta collassato il polmone, di operare senza insufflare CO2. Per ottenere il collasso del parenchima polmonare su cui si deve intervenire, viene impiegata la ventilazione artificiale con un tubo a doppio lume (di Carlens) che consente di escludere la ventilazione di uno dei due polmoni, mantenendo il contro laterale ventilato. Il pz è posto in decubito laterale opposto a quello su cui si deve operare, con il letto spezzato in modo da allargare al massimo gli spazi intercostali. L’accesso alla cavità toracica si ottiene attraverso il posizionamento di trocar-cannule negli spazi intercostali. In genere, il primo trocar viene inserito lungo la linea ascellare media al IV s.i.; ispezionata con la telecamera la cavità pleurica verranno posizionati i restanti trocar per il passaggio dei vari strumenti operatori. Una minima toracotomia può essere utile per l’estrazione di pezzi anatomici resecati.

L’evoluzione tecnologica ha permesso di estendere le indicazioni alla toracoscopia anche per l’esecuzione di interventi più complessi. Molti degli strumenti utilizzati sono gli stessi della laparoscopia. La maggior parte degli interventi viene eseguita in anestesia generale. La videotoracoscopia rappresenta una metodica mininvasiva che, attraverso l’ispezione diretta e la biopsia mirata, permette di fare diagnosi nei casi in cui le comuni tecniche diagnostiche non definiscono la natura certa della lesione. I vantaggi della toracoscopia sono molteplici, in quanto pz con ridotta funzionalità respiratoria, non eleggibili di toracotomia, sopportano un intervento toracoscopico. Infatti, l’assenza di grandi incisioni riduce la sintomatologia dolorosa post-operatoria e la degenza postoperatoria.

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Traumi toracici

Si dividono in aperto e chiuso, a seconda che si produca o meno una comunicazione della pleurica con l’esterno. Possono essere prodotti in modo diretto o indiretto. Clinicamente possono essere presenti segni di emorragia, ipossia, polmone umido, enfisema sottocutaneo e mediastinico. Traumi chiusi del torace Contusioni e schiacciamenti del torace

Sono la conseguenza del riflusso di un’onda ipertensiva che viene spinta dalla compressione sul torace o sulla parete addominale verso l’alto. Se l’onda è particolarmente intensa si può avere la rottura dei vasi parietali e mediastinici o lacerazioni pleuropolmonari oppure una limitazione meccanica delle funzioni respiratorie e cardiocircolatorie per compressione di polmoni, cuore o vasi. Il traumatizzato si presenta con maschera ecchimotica cervico-facciale contraddistinta da tumefazione cianotica della pelle del collo e delle palpebre. La terapia prevede un salasso di almeno 500cc e la somministrazione di ossigeno e sedativi. Fratture e lussazioni dello sterno

Sono la conseguenza di traumi diretti (incidenti stradali) o indiretti (contrazione violenta degli sternocleidomastoidei e dei muscoli addominali). Sono rare e rimangono spesso sconosciute. La rima è in genere trasversale e se scomposta, il pezzo superiore va in profondità. Le lussazioni sono caratterizzate dalla perdita dei rapporti tra manubrio e corpo e tra corpo ed apofisi ensiforme. Fratture e lussazioni costali

Fratture frequenti negli adulti come conseguenza di traumi: o diretti, causati dal raddrizzamento della costa per compressione esterna di un agente

traumatico; o indiretti, vi è un aumento della curvatura della costa e la lesione si presenta a distanza del

punto di applicazione della compressione. Possono essere complete ed incomplete. Nel caso di gravi traumi, possono coesistere fratture multiple con un pneumotorace associato ad emotorace. Nel caso di un’interruzione in uno o più punti si può distaccare un lembo parietale mobile con gli atti del respiro. In inspirazione è attratto all’interno mentre il resto del torace si espande; in espirazione si porta in fuori. Questo comporta provoca la respirazione paradossa, caratterizzata da ipossia e ipercapnia.

Le lussazioni costali sono più rare e riguardano le giunzioni condrosternali, costo vertebrali e intercondrali. Il pz presenta:

o respiro superficiale, o dolore accentuato in inspirazione e

alla palpazione,

o emoftoe per lacerazione superficiale. La diagnosi si pone con l’esame radiografico nelle due proiezioni. La terapia prevede l’immobilizzazione dell’emitorace con larghe strisce di cerotto oltrepassanti la linea mediana per 20-30gg.

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Lesioni viscerali chiuse del torace

Traumi del torace possono causare lesioni a carico di tutti gli organi mediastinici. Il meccanismo può essere diretto (costa fratturata che lacera le strutture mediastiniche) o indiretto (per repentina compressione seguita da decompressione). Si possono ledere trachea e polmoni con quadri di emotorace, atelettasia o enfisema. Anche cuore e vasi possono essere lesi e dare un quadro grave. Clinicamente sono presenti dolore di tipo anginoso, alterazioni del ritmo e della ripolarizzazione associati a dispnea e anemizzazione. Un’altra lesione è quella del diaframma che può rompersi perifericamente o centralmente, accompagnata ad erniazione di visceri addominali nel torace. La diagnosi può essere fatta affiancando ad un esame pz, esami radiografici, angiografici ed esam TC. Traumi aperti o ferite del torace Le ferite possono essere superficiali o penetranti. Le ferite penetranti del torace sono suddivise in:

o ferite pleuropolmonari, distinte in ferite da taglio, da punta e da arma da fuoco che possono essere ulteriormente suddivise in penetranti cieche, se è presente solo l’orifizio d’entrata, e trapassanti, se sono presenti sia l’orifizio d’entrata e quello d’uscita. La presenza di una lesione che pone in comunicazione l’ambiente esterno con il torace. In seguito ad un trauma aperto è frequente l’instaurarsi di un emotorace o emopneumotorace, caratterizzati da pallore, cianosi, polso piccolo e frequente e dispnea. Tutti questi fenomeni possono precipitare per concomitanti fatti infettivi.

o Ferite cardiovascolari, si associano in genere a lesioni toraciche. Possono interessare l’aorta e il cuore. In breve provocano emopericardio talmente imponente da portare a tamponamento cardiaco e nella maggior parte dei casi alla morte.

o Ferite toraco-addominali, interessano contemporaneamente l’addome, il torace e il diaframma. Sono la conseguenza di ferite da punta o da arma da fuoco.

La terapia ha l’obiettivo di correggere lo stato d’insufficienza respiratoria e prevede:

o Mantenimento della pervietà dell’albero bronchiale mediante intubazione o tracheotomia; o Liberazione del cavo pleurico mediante toracentesi o drenaggio chiuso continuo; o Stabilizzazione della parete toracica mediante trazione continua o riduzione cruenta ed

osteosintesi del lembo parietale, al fine di ridurre il movimento paradosso.

Fratture

Fratture della clavicola Sono fratture molto frequenti, sia nell’età infanto-giovanile che nell’età adulta. Possono prodursi per trauma diretto, più frequente, o per trauma indiretto, da caduta sul moncone della spalla, sul gomito. Nei bambini sono spesso fratture incomplete. Negli adulti, si tratta spesso di fratture complete a decorso trasversale o obliquo. In genere la sede corrisponde al terzo medio e lo spostamento dei monconi è tipico: il frammento mediale si porta in alto e posteriormente per azione del capo clavicolare del m.sternocleidomastoideo; il frammento laterale si porta in basso per azione del deltoide e del peso del’arto. La frattura si può anche associare a parto distocico con lesioni del plesso brachiale. La terapia consiste nell’immobilizzazione del braccio per 15gg. Clinicamente si ha dolore ed impotenza funzionale. Nelle fratture complete è sempre evidente la deformità del profilo. La diagnosi, nelle fratture incomplete, si basa sull’esame Rx in proiezione antero-posteriore.

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Vista la superficialità dell’osso, non sono rare fratture esposte, lesioni della vena succlavia o, meno frequentemente, dell’arteria e del plesso brachiale. La terapia incruenta si effettua mediante trazione continua in retroposizione della spalla, consentendo una certa mobilità (bendaggio a 8). La terapia cruenta è riservata alle fratture scomposte gravi, presenza di terzo frammento, o nei casi in cui il pz necessita di una sintesi perfetta dei frammenti. In questi casi si riduce la frattura a cielo aperto e si sintetizza con chiodo endomidollare o placca e viti. Fratture della scapola Il meccanismo traumatico più frequente è quello diretto ad alta energia. In molti casi si associano altre lesioni come la lussazione gleno-omerale, fratture costali omolaterali o della clavicola, pneumotorace, lesioni arteriose o del n.ascellare. Secondo la sede interessata, si distinguono:

o Fratture intrarticolari: o Glena

o Fratture extrarticolari: o Collo o Corpo o Apofisi (coracoide, acromion)

Il quadro è aspeficico, con atteggiamento di difesa in adduzione del braccio. È utile uno studio radiografico con le proiezioni antero-posteriore, ascellare e laterale, associato a TC in caso di frattura della glena. Il trattamento consiste nell’utilizzo di un tutore reggi braccio e nella mobilizzazione precoce. L’indicazione chirurgica è solo per le fratture della glena con interessamento della superficie articolare superiore. Fratture vertebrali Gli eventi traumatici della colonna vertebrale possono produrre uno spettro di lesioni molto ampio, variabile dalle lussazioni alle distorsioni e fratture. Le manifestazioni sono pleomorfe, in relazione alla struttura e al livello danneggiato. Il danno neurologico si ha in una percentuale tra il 10% e il 25%. Il sesso maschile è colpito quattro volte di più rispetto ai maschi. Al momento del ricovero, il pz deve essere indagato da un punto di vista anamnestico, in modo da evidenziare la tipologia di lesione traumatica. L’esame obiettivo deve ricercare aree di dolorabilità alla digitopressione lungo i processi spinosi ed eventuali anomalie neurologiche. Le analisi radiologiche partono dalla radiografia standard, ma possono avvalersi anche di TC e RMN, per documentare eventuali fattori di compressione neurologica. Esistono numerose tipologie di classificazione, su base clinica, anatomica o patogenetica.

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Il trattamento del pz affetto da lesione traumatica spinale comincia al momento del primo soccorso e si basa su strategie e comportamenti atti a minimizzare le possibili complicazioni di una gestione incongrua. La terapia è correlata al tipo di frattura, e lo spettro dei trattamenti può variare dal semplice riposo a letto ad interventi chirurgici di decompressione e stabilizzazione. La strategia terapeutica è influenzata dalla presenza o meno di lesioni neurologiche: lesioni mieliche con danno mieloradicolare sono considerate urgenze assolute e richiedono decompressione immediata. Allo stesso modo vanno trattate le fratture correlate ad un coinvolgimento neurologico secondario e ingravescente. Un’altra condizione d’urgenza è rappresentata dalle deformità post-traumatiche che richiedono un tempo di correzione chirurgica e stabilizzazione. Gli interventi possono essere eseguiti mediante vie d’accesso anteriori o posteriori. Le lesioni mieliniche e stabili, vengono trattate con riposo a letto e/o uso di ortesi rigide e tutori gessati, per periodi variabili tra le 4 e le 6 settimane.

Scoliosi Si definisce:

o Scoliosi, la deviazione del rachide sul piano frontale, accompagnata da rotazione dello stesso e da una gibbosità;

o Atteggiamento scoliotico, una deviazione del rachide sul piano frontale, senza rotazione, senza gibbo. Scompare in clinostatismo ed è dovuta, in genere ad eterometria degli arti inferiori o per rigidità dell’articolazione dell’anca.

Cause

Scoliosi idiopatica

È il 70% dei casi; la diagnosi è per esclusione perché un qualsiasi altro segno associato la esclude. Si ritiene siano coinvolti fattori ormonali e alterazioni della propriocezione. Scoliosi congenita

Rappresenta il 15% dei casi; è secondaria ad una malformazione del rachide presente alla nascita, riguardanti:

o Emivertebre (65%) che possono essere libere o fuse; o Vertebre a farfalla o barra congenita unilaterale

Scoliosi paralitica

È il 10% dei casi. Può essere dovuta a: o poliomelite

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o paralisi cerebrale o miopatia o spina bifida o artrogriposi

altre cause (5%)

o malattie neurologiche o malattie cromosomiche (trisomia 21) o sindromi rare (Ehelers Danlos, Prader Willi) o toracogeniche.

Classificazione

Età

o Scoliosi infantili, appaiono prima dei 3 anni. Gravi perché al termine della crescita possono raggiungere angolazione maggiore di 100 gradi.

o Scoliosi giovanili, compaiono dopo i 3 anni e si distinguono in: o I (3/7 anni) o II (7/11 anni) o III (da 11 anni fino al menarca)

o Scoliosi dell’adolescenza, compaiono dopo il menarca fino alla pubertà, prima della completa maturità ossea.

Topografia

o Cervicali, con apice tra C1 e C6; o Cervicotoraciche, con apice tra C7 e T1 o Toraciche, con apice tra T2 e T12 o Toracolombari, con apice tra T12 e L1 o Lombari, con apice tra L2 e L4.

Possono essere presenti una o due curve maggiori: o I curva (70% casi) o II curva (30% casi) o Curve dorsali (25%) o Curve lombari (25%) o Curve dorso-lombari (19%) o Curve cervico-dorsali (1%)

Le più frequenti curve scoliotiche sono:

o Curva toracica dx, se la curva è grave, vi possono essere problemi cardiorespiratori in età adulta;

o Curva toracolombare, squilibrano il tronco e sono responsabili di alterazioni cardiorespiratorie;

o Doppia curva toracica dx, lombare sx, si equilibrano e determinano il tronco corto. o Curve lombari, più frequente a sx.

Determinano una falsa eterometria degli arti inferiori per bascula del bacino. Sono evolutive e determinano artrosi del rachide.

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Anamnesi

o Antecedenti familiari; o Malattie neurologiche familiari; o Dolore (scoliosi rigida e dolorosa – osteoma-osteoide o tumore midollare).

Esame clinico

o Esame obiettivo: o Valutare simmetria del bacino; le creste devono essere parallele ed equidistanti. o Escludere la rigidità dell’anca o Valutare l’eterometria degli arti inferiori o Valutare la presenza del gibbo o Valutare asimmetria di spalle, fianchi, bacino o Valutare iperelasticità cutanea o Esaminare la cute per neurofibromatosi o Esame neurologico: valutare piede cavo, sindrome di Marfan.

o Rx: o Antero-posteriore, rachide in toto; o Latero-laterale, rachide in toto o Antero-posteriore in posizione di bending laterale

o RMN, indicata se risulta una compromissione neurologica all’esame clinico.

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Nell’Rx antero-posteriore, si calcola l’angolo di Cobb, creato da un incrocio della perpendicolare alla tangente della vertebra limitante superiore, con la tangente del piatto inferiore della vertebra limitante inferiore. Valutazione dell’equilibrio della curvatura: una scoliosi è detta in equilibrio quando la somma della controcurva superiore ed inferiore da un’angolazione uguale a quella della curva principale. L’equilibrio si valuta con un filo a piombo che da C7 va al bacino.

È importante prima d’intraprendere la terapia, valutare il bilancio dell’accrescimento, quindi l’evolutività e l’entità della curva. L’accrescimento è più rapido dai 10 anni in poi (altezza aumenta di 12-14 cm all’anno). Una scoliosi che guadagna 1° al mese è una scoliosi maligna che, in un anno, guadagnerà 12°, ed è candidabile per l’intervento chirurgico. Se la scoliosi guadagna 1° ogni due mesi, è da trattamento ortesico. Una scoliosi che guadgna 2° all’anno deve essere tenuta sotto osservazione, ma non trattata. La scelta del trattamento dipende anche da altri fattori:

o Angolo della curva: o 0-20°: attesa; o 20-50°: ortesi o > 50°: chirurgia

o Gibbo

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o Topografia o Squilibrio

Terapia ortopedica Utilizza corsetti con appoggio occipitomentoniero per curve dorsali, corsetti senza appoggio per curve toracolombari e lombari. L’efficacia del tutore è proporzionale al tempo in cui viene indossato. La correzione iniziata al 25° stabilizza la curva, ma non la migliora. S’interviene a 15 anni nell’uomo, a 13 nella donna. La fine della crescita si manifesta ai 18anni d’età ed è segnata dalla fusione delle epifisi radiali e falangee. Terapia chirurgica Comprendono: artrodesi anteriore o posteriore e strumentazione relativa o entambe contemporaneamente. Queste correggono le curve e rendono stabile la riduzione mentre sono in atto le fusioni vertebrali. L’obiettivo è fondere i livelli necessari per avere una curva bilanciata, sul piano sagittale e coronale. Scoliosi idiopatica infantile

Compare prima dei 3 anni, più frequentemente nel sesso maschile. Più spesso si presenta con curve toraciche destro convesse, associate a plagiocefalia e malformazioni cardiache, lussazione congenita dell’anca, ritardo mentale. Una delle cause suggerite è il decubito spontaneo dei lattanti sul fianco dx. Pertanto il decubito prono ha un effetto preventivo-terapeutico. La scoliosi si risolve nel 70-90% dei casi. Per misurare la curvatura si utilizza l’angolo costo vertebrale, formato dalla perpendicolare al piatto della vertebra con una linea che congiunge testa e collo della costa corrispondente. Calcolando l’angolo sul lato concavo e convesso, ottengo la differenza degli angoli (DACV), utile nella scelta terapeutica. Sono trattate:

o Curve elastiche con DACV <20° o Curve rigide con DACV >20°

Se la curva è evolutiva nonostante trattamento ortesico, è candidabile alla chirurgia. Scoliosi idiopatica giovanile

Si può manifestare tra i 3 anni ed il menarca. Simile a quella dell’adolescente per presentazione e trattamento. Nel 70% dei casi è richiesto un trattamento ortopedico o chirurgico. In genere si aspetta il picco di crescita prima di intervenire, a meno di curve > 50°. Scoliosi neuromuscolare

Sono più lunghe, interessano più vertebre e meno facilmente hanno curve compensatorie. Progrediscono più rapidamente, anche dopo la maturità. Sono frequenti le complicazioni polmonari con riduzione della funzione respiratoria, aumento di polmoniti e di atelettasia. Si consiglia ortesi fino ai 12 anni, quindi, se necessario, chirurgia. Scoliosi congenita

Comprendono un difetto di sviluppo del mesenchima alla IV-VI settimana di vita. I principali difetti sono:

o Difetti di segmentazione (barra vertebrale) o Difetto di formazione (emivertebra) o Misti

La TC tridimensionale definisce il tipo di deformità; la RMN definisce le alterazioni spinali prima dell’intervento. Le anomalie associate sono genitourinarie o cardiache.