Riassunti Mandrioli Primo Libro e Secondo Libro

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UNITA’ DIDATTICA 1 L’ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE. I REQUISITI DEL PROCESSO. I POTERI DEL GIUDICE. LITIPENDENZA, CONTINENZA E CONNESSIONE. L’attività giurisdizionale E’ l’attività che viene esercitata dai giudici (organi dello Stato). Nel momento in cui un soggetto ritenga che un proprio diritto sia stato leso, per ottenere la tutela di questo diritto ha la possibilità di rivolgersi ad un organo giudiziario che ha il potere di giudicare su quella determinata questione. Di solito l’attività giurisdizionale presuppone la lesione di un diritto. Ma vi sono delle ipotesi in cui è possibile instaurarla anche in assenza di tale lesione: è il caso dell’attività di mero accertamento (quando un soggetto si rivolge ad un giudice al solo fine di far accertare l’esistenza o meno di un determinato diritto), o quella che viene definita come attività giurisdizionale costitutiva necessaria (attività attraverso cui si tende ad ottenere modificazioni, o effetti “costitutivi”, che l’ordinamento prevede come realizzabili esclusivamente ad opera dell’organo giurisdizionale, es. l’interdizione o l’inabilitazione, la separazione personale dei coniugi, il disconoscimento di paternità). Dall’attività giurisdizionale costitutiva necessaria, differisce quella “costituiva non necessaria” nel senso che gli effetti costitutivi attuabili da essa, avrebbero potuto verificarsi indipendentemente dall’opera dell’organo giurisdizionale; di conseguenza tale attività si rende necessaria solo in mancanza di un’attuazione spontanea della prestazione dovuta (es. art. 2932 c.c. esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto). Tipi di attività giurisdizionale L’attività giurisdizionale che verrà affrontata dal presente manuale è quella posta a tutela dei diritti soggettivi. Essa si distingue in: 1) Attività di cognizione o contenziosa: è un tipo di attività che implica l’esistenza di un contenzioso tra le parte, quindi di un contraddittorio; a sua volta si distingue in attività di mero accertamento, di condanna e costitutiva a seconda di quello che si chiede al giudice. Mero accertamento: attività con cui si chiede al giudice solo di accertare l’esistenza (mero accertamento “in senso positivo”) o l’inesistenza di un diritto (mero accertamento “in senso negativo”). Condanna: tale attività giurisdizionale implica 1

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UNITA’ DIDATTICA 1L’ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE. I REQUISITI DEL PROCESSO.

I POTERI DEL GIUDICE. LITIPENDENZA, CONTINENZA E CONNESSIONE.

L’attività giurisdizionaleE’ l’attività che viene esercitata dai giudici (organi dello Stato). Nel momento in cui un soggetto ritenga che un proprio diritto sia stato leso, per ottenere la tutela di questo diritto ha la possibilità di rivolgersi ad un organo giudiziario che ha il potere di giudicare su quella determinata questione.Di solito l’attività giurisdizionale presuppone la lesione di un diritto. Ma vi sono delle ipotesi in cui è possibile instaurarla anche in assenza di tale lesione: è il caso dell’attività di mero accertamento (quando un soggetto si rivolge ad un giudice al solo fine di far accertare l’esistenza o meno di un determinato diritto), o quella che viene definita come attività giurisdizionale costitutiva necessaria (attività attraverso cui si tende ad ottenere modificazioni, o effetti “costitutivi”, che l’ordinamento prevede come realizzabili esclusivamente ad opera dell’organo giurisdizionale, es. l’interdizione o l’inabilitazione, la separazione personale dei coniugi, il disconoscimento di paternità). Dall’attività giurisdizionale costitutiva necessaria, differisce quella “costituiva non necessaria” nel senso che gli effetti costitutivi attuabili da essa, avrebbero potuto verificarsi indipendentemente dall’opera dell’organo giurisdizionale; di conseguenza tale attività si rende necessaria solo in mancanza di un’attuazione spontanea della prestazione dovuta (es. art. 2932 c.c. esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto).Tipi di attività giurisdizionaleL’attività giurisdizionale che verrà affrontata dal presente manuale è quella posta a tutela dei diritti soggettivi. Essa si distingue in:

1) Attività di cognizione o contenziosa: è un tipo di attività che implica l’esistenza di un contenzioso tra le parte, quindi di un contraddittorio; a sua volta si distingue in attività di mero accertamento, di condanna e costitutiva a seconda di quello che si chiede al giudice. Mero accertamento: attività con cui si chiede al giudice solo di accertare l’esistenza (mero accertamento “in senso positivo”) o l’inesistenza di un diritto (mero accertamento “in senso negativo”). Condanna: tale attività giurisdizionale implica un qualcosa in più rispetto al normale accertamento, oltre all’accertamento della violazione di una norma giuridica anche la condanna per tale violazione (tre ipotesi di condanna, condanna generica, condanna in futuro e condanna condizionale). Costitutiva: con essa si chiede al giudice l’emanazione di una sentenza che vada a costituire, modificare o estinguere una determinata situazione giuridica sostanziale (es. dichiarare risolto un contratto per inadempimento).

2) Attività esecutiva : è l’attività giurisdizionale mediante la quale si tende ad ottenere coattivamente l’adempimento di un determinato obbligo nel momento in cui il soggetto obbligato non dovesse adempierlo spontaneamente (es. esecuzione coatta dell’obbligo alla restituzione di una somma di denaro disposto con sentenza, in caso di mancato adempimento spontaneo della parte soccombente). Presupposto dell’azione esecutiva è l’esistenza di un titolo esecutivo giudiziale (provvedimento del giudice1) o stragiudiziale (cambiale, assegno bancario, circolare o altro titolo di credito, e atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale).

3) Attività cautelare : è quel tipo di attività giurisdizionale mediante la quale si tende a garantire il regolare svolgimento nonché il proficuo risultato del giudizio di merito. I presupposti per agire cautelativamente sono due: il fumus boni iuris, ossia la probabile esistenza del diritto per cui si agisce, ed il periculum in mora, che tale diritto sia soggetto a un pregiudizio imminente e irreparabile.

1 L’unico tipo di sentenza che ha efficacia di titolo esecutivo è quella di condanna.

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4) Giurisdizione volontaria : non presuppone nessun contraddittorio tra le parti; difatti, può definirsi come una sorta di amministrazione pubblica - ossia da parte dello Stato - di interessi che riguardano i singoli privati. Ipotesi di volontaria giurisdizione sono la separazione consensuale dei coniugi, la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione di un soggetto.

Il processo e i suo requisitiI presupposti processuali“Presupposto” significa requisito che deve esistere prima di un determinato atto perché da quell’atto discendono determinate conseguenze. Riferendosi al rapporto giuridico processuale, i presupposti processuali sono quei requisiti che debbono esistere prima dell’atto col quale si chiede la tutela giurisdizionale, che è la domanda. Essi si distinguono in: presupposti di esistenza e presupposti di validità o di procedibilità del processo. I presupposti di esistenza del processo: requisiti che debbono sussistere prima della proposizione della domanda perché la domanda stessa possa dar vita ad un processo. È costituito da un unico requisito: la giurisdizione, ossia che quel soggetto al quale la domanda verrà proposta, sia un giudice, e quindi sia dotato del potere di giudicare.I presupposti di validità o procedibilità del processo: requisiti che debbono esistere prima della proposizione della domanda, affinché il giudice sia tenuto a rendere una pronuncia che giunga fino al merito. Essi sono due: la competenza, e quindi che il giudice abbia effettivamente il potere di decidere quella controversia; la legittimazione processuale, ossia il potere di compiere atti nel processo, con riguardo sia al soggetto che chiederà la tutela giurisdizionale sia a quello nei cui confronti la domanda verrà proposta. Esiste un altro ordine di requisiti che non sono presupposti perché la loro esistenza non è richiesta prima della proposizione della domanda, ma della domanda stessa costituiscono requisiti intrinseci con riguardo al suo contenuto: le condizioni dell’azione.Le condizioni dell’azione sono tre:

a) Possibilità giuridica (o esistenza del diritto): che consiste nella esistenza di una norma che contempli in astratto il diritto che si vuol far valere.

b) Interesse ad agire (art. 100 c.p.c.): l’interesse per cui si agisce o contraddice deve essere concreto (ossia deve sussistere concretamente) ed attuale (ossia deve esistere al momento della pronuncia del giudice). Mancando l’interesse ad agire, il giudice non avrà motivo di portare il suo esame sul merito, ma dovrà arrestarsi al rilievo di tale difetto: difetto di interesse e, quindi, difetto di azione.

c) Legittimazione ad agire: consiste nella corrispondenza tra colui che agisce (attore) ed il titolare del diritto fatto valere, e tra colui contro il quale si agisce (convenuto) ed il soggetto che ha violato tale diritto. Si possono far valere soltanto quei diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità passiva si afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda. Quindi “un soggetto agisce in nome proprio per un proprio diritto”. Tale condizione, si può desumere, indirettamente, dall’art. 81 c.p.c., secondo cui “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. Si parla di legittimazione straordinaria2 o sostituzione processuale. Un esempio di legittimazione straordinaria è l’azione surrogatoria, prevista dall’art. 2900 c.c., a favore del creditore nel caso che il debitore trascuri di far valere i propri diritti.

Principio della domanda e poteri del giudiceIl processo civile si instaura su domanda di parte: è necessario che sia il titolare del diritto soggettivo a proporre la domanda all’organo giurisdizionale competente (art. 99 c.p.c. “Principio della domanda”).Nel processo entrambe le parti si confrontano attuando ciascuna il proprio diritto di difesa. Il principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), è una manifestazione del “diritto alla difesa” ex art. 24

2 Definita così per distinguerla dalla legittimazione ad agire, detta anche “legittimazione ordinaria”.

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Cost., e risponde all’esigenza di garantire coloro che dovranno subire le conseguenze della sentenza un ruolo attivo che gli consenta di far valere le proprie ragioni. Il giudice non può decidere sulla domanda se non è stata data al convenuto la possibilità di intervenire (ad esempio con la notificazione dell’atto di citazione).I poteri del giudice Principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.): il giudice deve pronunciare ex art. 112 c.p.c. su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. Pronuncia secondo diritto: nel pronunciare la decisione il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità (artt. 113, comma secondo, e 114 c.p.c). Il giudice, inoltre, è libero di scegliere la norma da applicare al caso, anche fuori da quelle indicate dalle parti (“iura novit curia”).Principio del dispositivo (art. 115 c.p.c.): al potere di porre la domanda si aggiunge l’onere per l’attore di fornire la prova dei fatti che giustificano le ragioni della domanda, così come il convenuto ha l’onere dell’eccezione. La raccolta del materiale probatorio è, quindi, nella disponibilità delle parti, principio che si sintetizza nell’antica massima latina “iudex secundum alligata e probata iudicat debet”, il giudice deve giudicare secondo le cose allegate e provate (salvo i casi in cui il giudice d’ufficio può disporre l’assunzione di mezzi di prova).Valutazione delle prove (art. 116 c.p.c.): il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento (“prova libera”, es. prova testimoniale), salvo che la legge disponga altrimenti (“prova legale”, es. atto pubblico).Gli elementi individuatori delle azioniGli elementi individuatori dell’azione si distinguono in:- elementi soggettivi (o personae): soggetto attivo (attore), colui che propone la domanda, e soggetto passivo (convenuto), colui contro il quale la domanda è proposta;- elementi oggettivi: oggetto (o petitum) e titolo (o causa petendi).Il petitum si distingue in “mediato”, il bene della vita che si chiede al convenuto (es. somma di denaro che si chiede a titolo di risarcimento danni), ed “immediato”, il provvedimento che si chiede al giudice di emanare (es. sentenza di condanna al risarcimento dei danni subiti). Causa petendi significa ragione del domandare (o meglio l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che stanno a fondamento della propria domanda), e, quindi, ragione giuridica o titolo giuridico, su cui la domanda si fonda.Può accadere che tra due o più azioni vi sia comunanza di tutti od alcuni degli elementi identificativi dell’azione (soggettivi ed oggettivi). A seconda di quali elementi abbiano in comune è possibile individuare tre distinte figure processuali: litispendenza, continenza e connessione.LitispendenzaLa litispendenza (art. 39, comma primo, c.p.c.) è la situazione che si determina quando due o più cause identiche (ossia che abbiano tutti e tre gli elementi identici: stessi soggetti, stesso oggetto e stesso titolo) pendono dinanzi a giudici diversi. Ai sensi del citato comma primo, è competente il giudice adito per primo mentre quello adito successivamente, “in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo”. Per giudice adito per primo, si intende il giudice “preventivamente adito”. Il criterio della prevenzione (art. 39, comma terzo), si determina in base alla notificazione della citazione; pertanto, si considera adito preventivamente, il giudice il cui relativo atto di citazione sia stato notificato per primo. Qualora la stessa causa viene proposta per la seconda volta di fronte allo stesso giudice, questi ne ordina la riunione (art. 273 c.p.c.).ContinenzaLa continenza di cause (art. 39, comma secondo), si verifica in presenza di due cause che hanno in comune i soggetti e la causa petendi, ma il petitum di una è più ampio in modo da “contenere” il petitum dell’altra (ad es.: in un processo si chiedono tutte le rate di un mutuo ed in un altro processo se ne chiede una sola). Se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa

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proposta successivamente, il secondo giudice con sentenza deve dichiarare la continenza e fissare un termine per la riassunzione della causa davanti al primo giudice (criterio della prevezione). In caso contrario - ossia quando il primo giudice non è competente anche per la causa proposta successivamente - è quest’ultimo ad emanare la sentenza di continenza ed a fissare un termine per la riassunzione davanti al secondo giudice (criterio dell’assorbimento). Sia la sentenza sulla litispendenza, sia quella sulla continenza possono essere impugnate con regolamento necessario di competenza ConnessioneLa terza ed ultima figura è la connessione, che consiste nella coincidenza di taluni, ma non di tutti, gli elementi di identificazione di due o più azioni3. La connessione tra le azioni può dipendere sia dalla comunanza di entrambi gli elementi soggettivi (connessione soggettiva) e sia dalla comunanza di almeno uno degli elementi oggettivi, stesso petitum e/o stessa causa petendi (connessione oggettiva). La connessione soggettiva si verifica quando due o più cause hanno in comune entrambi i soggetti (es. art. 104 c.p.c. “Pluralità di domande contro la stessa parte”). In tal caso le cause possono essere proposte davanti allo stesso giudice competente, purché il cumulo delle domande (c.d. cumulo oggettivo) non ecceda la sua competenza per valore.La connessione oggettiva si distingue, a sua volta, in connessione oggettiva propria e connessione oggettiva impropria: è “propria” quando le cause hanno in comune l’oggetto o il titolo; “impropria” quando la decisione delle cause dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni di diritto (è detta impropria perché le cause connesse non hanno alcun elemento oggettivo in comune). La connessione oggettiva, a sua volta può dar luogo al c.d. cumulo soggettivo ossia pluralità di parti nel processo: pertanto, possibilità per più soggetti di agire, ossia assumere la qualità di attori, insieme, nello stesso processo, o, viceversa, possibilità per l’attore di convenire nello stesso processo più persone. Tale fenomeno della presenza di più parti nello stesso processo si chiama litisconsorzio facoltativo, art. 103 c.p.c.Ai sensi dell’art. 40, comma terzo, c.p.c., la connessione può essere rilevata anche d’ufficio, non oltre la prima udienza (183 c.p.c.)La sentenza con la quale il giudice dichiara la connessione è impugnabile con il regolamento necessario di competenza.

SINTESIRequisiti del processo: presupposti processuali, elementi necessari perché un processo nasca; condizioni dell’azione, requisiti di fondatezza del processo.Casi di comunanza di elementi individuatori dell’azione: litispendenza (cause identiche), continenza (quando vi sono due cause che costituiscono frammenti di un procedimento unico) e connessione (quando le cause hanno in comune almeno uno degli elementi di identificazione). Principio della congruità della forma allo scopo (art. 112 c.p.c.): principio della libertà delle forme, importante è che l’atto abbia la forma idonea al raggiungimento dello scopo a cui è destinato.

3 Lo scopo della connessione, è quello di riunire più domande in un unico giudizio, affinché possano, appunto, essere decise nello stesso processo.

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UNITA’ DIDATTICA 2LA GIURISDIZIONE

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Legittimazione processuale.b) Differenza tra interesse ad agire e legittimazione ad agire.c) Litispendenza, continenza e connessione.d) Criterio della prevenzione.e) Ipotesi di connessione.

La giurisdizioneLa giurisdizione (potere di decidere una determinata controversia), è la funzione esercitata da organi dello Stato (i giudici) per applicare le norme, generali e astratte, ai singoli casi concreti. È una funzione solo statale (non esiste ad esempio una giurisdizione regionale); ed è esercitata in maniera pubblica ed autonoma (i giudici sono organi indipendenti dal potere politico).Per far valere un nostro diritto, dobbiamo innanzitutto stabilire se adire un giudice ordinario (giudice civile o penale) o un giudice speciale (giudice amministrativo, Corte dei conti, Corte costituzionale, ecc…).Giurisdizione ordinaria e speciale Ai sensi dell’art. 1 c.p.c., la giurisdizione civile (che è posta a tutela dei diritti soggettivi di tutti i cittadini), è esercitata dai giudici ordinari, salvo diverse disposizioni di legge. Con questa norma, che riprende il dettato dell'art. 102, comma primo, Cost. - “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario” - si dice in sostanza che, nel nostro ordinamento, i giudici sono diversi, e che, quelli della cui attività si occupa il codice di procedura civile, sono soltanto quelli ordinari (Giudice di Pace, Tribunale, Corte d’Appello, Corte di Cassazione).Una prima distinzione è quella tra giurisdizione ordinaria e speciale. La prima ha carattere generale, ossia riguarda le materie che la legge non attribuisce espressamente ai giudici speciali. La giurisdizione speciale è regolata da leggi, appunto, “speciali”, che le attribuiscono la competenza a giudicare su determinati rapporti che in astratto spetterebbero al giudice ordinario. La Costituzione stabilisce il divieto di istituire nuovi giudici speciali al di fuori di quelli attualmente esistenti (art. 102, secondo comma). Tra i giudici speciali si menzionano: Tribunale superiore delle acque pubbliche, Corte dei Conti, Tribunale militare.Dai giudici speciali, bisogna differenziare le “sezioni specializzate” che appartengono alla giurisdizione ordinaria e si occupano soltanto di certe materie e/o soggetti (es. Tribunale dei minori, Sezione specializzate agrarie presso il Tribunale ordinario e le Corti d’Appello).Rientrano nella giurisdizione speciale, anche i giudici amministrativi, posti a tutela degli interessi legittimi del cittadino di fronte alla pubblica amministrazione (i quali, di solito, trovano tutela attraverso un giudizio col quale i loro titolari possono ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo che lede tali interessi, con la conseguente possibilità di esercizio dell’azione risarcitoria). Nel rapporto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, si evidenzia come abbia rilevanza, non tanto il fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione (p.a.), quanto la natura della causa stessa. Pertanto, qualora la p.a. con i suoi atti violi diritti soggettivi, essa può essere convenuta davanti al giudice ordinario come qualsiasi altro soggetto giuridico. Attualmente, la regola generale è nel senso che contro la p.a. i diritti soggettivi possono essere fatti valere davanti al giudice ordinario. Mentre gli interessi legittimi possono essere fatti valere davanti a giudici speciali, quali sono i giudici amministrativi: in primo grado il Tribunale amministrativo regionale (T.A.R.), ed in secondo grado il Consiglio di Stato. Giurisdizione civile e penale

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Una delle contrapposizioni più importanti, è quella che vede da una parte la giurisdizione civile e dall’altra quella penale. In proposito, occorre subito precisare che la giurisdizione penale tutela l’interesse generale all’osservanza e conservazione di un determinato ordinamento, mentre nel giudizio civile si tutelano i diritti soggettivi.Il giudice penale è chiamato ad esercitare una funzione di sanzione di fatti penalmente illeciti, dove il diritto soggettivo, se c’è, non rileva (es. se vengo derubato non posso disporre dell’irrogazione della sanzione penale, posso, semmai, disporre dei rimedi civili del risarcimento del danno).In passato, vigeva il principio di “unicità della giurisdizione”, che si ricollegava all’idea di “unicità del fatto”, ossia trattandosi di un unico fatto valutabile sia sotto l’illiceità penale che civile, era ritenuto sufficiente un unico esame del caso da parte di un solo giudice, e si finiva per dare prevalenza a quello penale. In tale sistema, il giudizio civile veniva sospeso in attesa della sentenza penale irrevocabile che influiva (faceva stato) sul processo civile per la restituzione o il risarcimento.Oggi, questo principio è stato abbandonato, ritenuto lesivo del diritto di difesa dei soggetti nei confronti dei quali si verificavano gli effetti del giudicato penale, venendo pregiudicati da un processo a cui non avevano partecipato.È applicato attualmente il principio dell’autonomia della giurisdizione, apportato dalla legge 26 novembre 1990 n. 353, che ha modificato l’art. 295 c.p.c. (disciplinante la “sospensione necessaria”): i due processi, penale e civile, si svolgono in piena autonomia. La sospensione necessaria del processo civile si ha quando vi è una relazione di pregiudizialità tra i due processi. Il processo civile si sospende in due casi:

1) l’azione civile di risarcimento dei danni derivanti dal reato è proposta nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale;

2) l’azione civile è esperita dopo la sentenza penale di primo grado.Lo scopo di tale istituto è di evitare giudicati contrastanti.Giurisdizione italiana e straniera Altra distinzione rilevante è tra la giurisdizione italiana e straniera. Tale rapporto è regolato dalla legge 31 maggio 1995 n. 218 (che ha riformato il sistema italiano del diritto internazionale privato), con cui sono stati abrogati gli artt. 2, 3, 4 e 37, comma secondo, del c.p.c. L’art. 2 c.p.c., sanciva “l’inderogabilità della giurisdizione italiana”; attualmente la legge n. 218, riconosce alle parti la possibilità di derogare la giurisdizione italiana in favore della straniera, ponendo però due condizioni:- una di forma, la deroga deve risultare da atto scritto;- una di contenuto, la causa deve vertere su diritti disponibili.L’art. 3 c.p.c. (abrogato dall’art. 7 della legga n. 218), dettava la c.d. “irrilevanza della litispendenza straniera”, situazione che si verifica quando dinanzi al giudice italiano venga instaurata una causa con oggetto e titolo uguali a quella già in corso davanti al giudice straniero. Si rendeva, così, possibile lo svolgimento di due processi uguali con il pericolo di giudicati contrastanti. Oggi, invece, la litispendenza è rilevante qualora una parte la eccepisca innanzi ad un giudice italiano. Quest’ultimo dovrà sospendere il giudizio ove ritenga che il provvedimento possa produrre effetti per l’ordinamento italiano.Anteriormente alla citata legge n. 218/95, ai fini della determinazione della giurisdizione aveva rilevanza il luogo di cittadinanza del convenuto (soggetto passivo dell’azione, colui contro cui l’azione è proposta); ossia il potere di giudicare su una determinata controversia spettava al giudice italiano, soltanto nel caso in cui il convenuto avesse la “cittadinanza” italiana. In seguito all’entrata in vigore di detta legge (che ha abrogato l’art. 4 c.p.c.), invece, dal criterio della cittadinanza, si è passati al criterio del domicilio o della residenza del convenuto. (“la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 c.p.c. e degli altri casi in cui è prevista dalla legge”, art. 3 legge n. 218/1995). La qualità di straniero ha perciò, nel nuovo sistema, un rilievo solo marginale e residuale.

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A questa enunciazione di portata generale segue nello stesso art. 3, un esplicito richiamo ai criteri stabiliti con riguardo all'ambito comunitario, dalla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, con la conseguente applicazione dei suddetti criteri anche allorché il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione (materia civile e commerciale), mentre rispetto alle altre materie, la giurisdizione sussiste anche in base a criteri stabiliti per la competenza per territorio; ossia, in queste “altre materie”, la giurisdizione sussiste in quanto sussiste la competenza per territorio. Momento determinante della giurisdizione Criterio di ordine generale è quello enunciato dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione (come anche la competenza) si determinano con riguardo “alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda”, restando senza conseguenze gli eventuali mutamenti successivi (c.d. perpetuatio jurisdictionis). Non avendo, quindi, alcuna rilevanza ai fini della determinazione della giurisdizione, i mutamenti che dovessero intervenire nel corso del giudizio sia di fatto che di diritto.Le questioni di giurisdizione. Regolamento di giurisdizione In relazione ai limiti della giurisdizione, possono sorgere questioni intorno alla sussistenza o meno della giurisdizione rispetto ad una determinata controversia. Il “difetto di giurisdizione”, consiste nella mancanza del potere di giudicare in capo al giudice ordinario: tale difetto si ha quando la causa venga instaurata davanti al giudice ordinario, ma in realtà doveva essere proposta al giudice amministrativo o al giudice speciale. È un difetto talmente grave che può essere rilevato “anche d’ufficio” (ossia non solo dalle parti ma anche dal giudice), in ogni stato e grado del processo (art. 37 c.p.c.).Per risolvere tale difetto, la legge riconosce alle parti uno strumento che consiste nel regolamento di giurisdizione, disciplinato dall’art. 41 c.p.c., ed imperniato sulla possibilità, concessa a ciascuna delle parti, di sottoporre immediatamente alle Sezioni Unite della Corte Cass., le questioni di giurisdizione di cui all’art. 37. Esso consiste in un mezzo “preventivo”, e non di impugnazione. Preventivo in quanto presuppone che il giudizio di merito sia ancora pendente e che non sia stata emanata nessuna sentenza (difatti, l’art. 41, comma primo, stabilisce che il regolamento di giurisdizione può essere proposto dalle parti fino a che la causa non sia decisa nel merito in primo grado).Prima della legge n. 353/90, l’art. 367 c.p.c. prevedeva l’automatica sospensione del giudizio di merito in caso di esperimento del regolamento di giurisdizione. Attualmente, il novellato testo del citato articolo, prevede la sospensione soltanto qualora il giudice istruttore di merito non ritenga “l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata”. Lo scopo di tale modifica, è stato quello di contrastare i numerosi abusi di detto istituto, con la proposizione di regolamenti infondati, al solo reale scopo di provocare la sospensione del giudizio. La proposizione dell’istanza di regolamento è soltanto una facoltà per le parti. Se essa non viene esercitata, il processo prosegue normalmente e la pronuncia sulla giurisdizione avverrà secondo le regole ordinarie e sarà assoggettata, eventualmente insieme con la pronuncia sul merito, ai normali mezzi di impugnazione. Una forma del tutto particolare di regolamento di giurisdizione è quella prevista dal secondo comma dell’art. 41 (c.d. conflitto di attribuzione), che consente alla p.a. che non è parte in causa, di rivolgersi alla Corte di cassazione a Sezioni Unite, affinché venga dichiarato il difetto del giudice ordinario, in ogni stato e grado del giudizio, fino a che la giurisdizione non venga affermata con una sentenza passata in giudicato. Tale comma prevede un’ipotesi a parte nel caso in cui la p.a. non sia parte in causa, perché qualora dovesse essere parte del giudizio, ad essa si applicherà il primo comma (ossia la stessa potrà proporre il regolamento fino a che non sia pronunciata la sentenza di primo grado).

SINTESI

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Il processo civile è una sequenza di atti (che si condizionano a vicenda e sono connessi l’uno all’altro) attraverso cui viene esercitata l’azione civile.Giurisdizione: potere di decidere una determinata controversia. Pertanto, la giurisdizione è la funzione esercitata da organi dello Stato (giudici) per applicare le norme generali ed astratte ai singoli casi concreti. È un sistema di limiti, es. tra giudici italiani e stranieri, tra giudici ordinari e speciali, ecc..Difetto di giurisdizione (art. 37 c.p.c.): consiste nella mancanza del potere di giudicare in capo ad un giudice ordinario; infatti in alcuni casi tale potere è attribuito dalla legge ad altri giudici (es. speciali, amministrativi, o addirittura ad altri sistemi giudiziari).Regolamento di giurisdizione (art. 41 c.p.c.): è un mezzo “preventivo” per risolvere le controversie sulla giurisdizione.

UNITA’ DIDATTICA 3LA COMPETENZA

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Difetto di giurisdizione.b) Regolamento di giurisdizione.c) Criterio per la determinazione della giurisdizione italiana.d) Principio della perpetuatio jurisdictionis.e) Sospensione del processo civile in pendenza di quello penale.

La competenzaLa competenza può essere definita come la misura della giurisdizione spettante a ciascun organo giudiziario, cioè la quantità di giurisdizione che egli può esercitare. Anche con riguardo alla competenza, opera il sopracitato criterio generale della perpetuatio jurisdictionis, già visto a proposito della giurisdizione, ossia la regola - enunciata dall’art. 5 c.p.c. - secondo cui si deve aver riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda.I criteri di distribuzione della competenzaI criteri per la determinazione della competenza sono tre: - valore: determinato dal valore economico della causa, così come indicato nella domanda;- materia: determinato in relazione alla natura della causa o al tipo di diritto;- territorio: determinato in base al rapporto tra territorio e giudice che ivi esercita la propria giurisdizione.Il valore e la materia sono dei criteri verticali, in quanto comportano la distribuzione delle cause tra giudici che appartengono a diversi uffici giudiziari (Giudice di pace e Tribunale), il territorio è un criterio orizzontale, in quanto comporta la distribuzione delle cause tra giudici appartenenti allo stesso ufficio giudiziario ma dislocati lungo il territorio dello Stato (es. Tribunale di Roma e Tribunale di Firenze).La distribuzione delle cause avviene, in primo grado, tra il Giudice di pace (art. 7 c.p.c.), ed il Tribunale (art. 9 c.p.c.). In precedenza la legge prevedeva anche la figura del Pretore, soppressa dal d.lgs. n. 51/98, le cui funzioni sono passate al Tribunale in composizione monocratica (ossia costituito da un unico membro).Competenza per materia e per valore Ai sensi del primo comma dell’art. 7, disciplinante la competenza del Giudice di pace, questi è competente per le cause relative a beni mobili che abbiano un valore non superiore ad euro 2.582,28 (la legge parla esplicitamente di beni mobili, poiché le questioni riguardanti beni immobili, sono di competenza esclusiva del Tribunale).

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L'art. 7, comma secondo, riserva al Giudice di pace le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli o di natanti (ovviamente nei confronti sia dei danneggiati che delle società assicuratrici), nei limiti di euro 15.493,71 (oltre i quali la competenza è del Tribunale).Senza limiti di valore è invece l’attribuzione della competenza al Giudice di pace delle cause nelle materie elencate nell’art. 7, terzo comma, e cioè: 1) quelle relative ad opposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi; 2) quelle relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case; 3) quelle relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissione di fumo o di calore, esalazioni, rumori o scuotimenti che superino la normale tollerabilità (rapporti di buon vicinato).La competenza del Tribunale è, invece, una competenza “residuale”; difatti ai sensi del comma primo art. 9 c.p.c., il Tribunale è competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice (attualmente il solo Giudice di pace).Il secondo comma dell’art. 9, stabilisce, inoltre, dei casi di competenza esclusiva del Tribunale: in materia di imposte e tasse, stato e capacità delle persone, diritti onorifici, querela di falso, per l'esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile. Per quanto riguarda il Tribunale dobbiamo ricordare che questo di norma svolge le sue funzioni in composizione monocratica, ma nei casi previsti dall’art. 50 bis c.p.c. la composizione del tribunale sarà necessariamente collegiale.Determinazione del valoreL’art. 10 c.p.c., stabilisce, al primo comma, che il valore della causa si determina in base alla domanda dell’attore. Il secondo comma dell’art. 10, stabilisce che qualora dovessero essere proposte all’interno dello stesso processo più domande nei confronti della stessa persona (cumulo oggettivo), il valore della causa verrà determinato in base alla somma delle stesse (es. capitale, interessi, spese e danni). Questo criterio base va poi integrato con le regole particolari fissate negli artt. 11 e ss. c.p.c.La competenza per territorioLa regola generale (c.d. foro generale), inerente la ripartizione della competenza per territorio è quella degli artt. 18 e 19 c.p.c., disciplinanti rispettivamente il “foro generale delle persone fisiche” ed il “foro generale delle persone giuridiche”. Viene effettuata tale distinzione a seconda che parte convenuta in giudizio sia una persona fisica o giuridica.Ai sensi dell’art. 18, è competente il giudice del luogo dove il convenuto ha la residenza, il domicilio o la dimora; solo nel caso in cui lo stesso non abbia residenza, né domicilio, né dimora nella Repubblica o non si conosca la sua dimora, è competente il giudice del luogo in cui ha la residenza l’attore. Se parte convenuta è una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove la stessa ha la sede, o dove si trova un organo autorizzato a rappresentarla in giudizio. Agli effetti della competenza, gli enti privi di personalità giuridica hanno sede dove svolgono la loro attività in modo continuativo (art. 19, comma secondo). Accanto al criterio generale, ossia quello dei fori generali, operano le regole eccezionali della indicazione di fori speciali che sono determinati in applicazione di criteri per lo più oggettivi. I fori speciali si distinguono, a loro volta, in fori facoltativi ed esclusivi. L’unico foro facoltativo espressamente disciplinato dal codice è quello delle cause relative a diritti di obbligazione (art. 20), secondo cui è “anche” competente il giudice del luogo dove l’obbligazione è sorta o deve essere adempiuta (facoltativo, in quanto viene riconosciuta all’attore la possibilità di scegliere tra il foro generale e quello speciale facoltativo).Dagli artt. 21-27, vengono disciplinati i fori speciali esclusivi; esclusivi, in quanto le norme che le disciplinano li indicano come i soli fori competenti (es. per le cause relative a diritti reali su beni immobili è competente il giudice del luogo dove è posto l’immobile, art. 21, comma primo, c.p.c.).Ulteriore distinzione all’interno del foro territoriale è quella tra foro derogabile ed inderogabile.

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La competenza per territorio, al di fuori dei casi previsti dalla legge, può essere derogata dalle parti mediante un atto scritto. La deroga può risultare o da un accordo anteriore al processo, oppure da un accordo successivo all’inizio del processo.I casi in cui la deroga non è ammissibile, sono elencati nell’art. 28:

1) nelle cause previste nei numeri 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70, ossia nei casi di intervento obbligatorio del pubblico ministero;

2) nei processi di esecuzione forzata e di opposizione alla stessa;3) nei procedimenti cautelari e possessori;4) nei procedimenti in camera di consiglio;5) e in generale in ogni altro caso in cui l’inderogabilità sia disposta espressamente dalla

legge (es. foro in cui parte è la p.a., art. 25 c.p.c.).Incompetenza e regolamento di competenzaL’incompetenza e le modalità per eccepirla, sono disciplinate dall’art. 38. In base a quanto delineato da detto articolo, è possibile distinguere tra diversi tipi di incompetenza: per materia, per valore, per territorio inderogabile e derogabile.Come disciplina il primo comma dell’art. 38, le prime tre possono essere rilevate anche d’ufficio non oltre la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.). Mentre la competenza per territorio derogabile (ossia al di fuori indicati nell’art. 28), può essere rilevata solo dal convenuto e, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta (primo atto difensivo del convenuto stesso), purché indichi il giudice che ritiene competente, altrimenti, l’eccezione si avrà per non proposta e la causa proseguirà dinanzi al giudice adito. Nel momento in cui viene sollevata l’eccezione di competenza, il giudice adito potrà risolverla in due modi: accogliere (dichiarando la propria incompetenza) o rigettare (confermandola, invece) l’eccezione stessa, decidendo in entrambi i casi mediante una sentenza.Tale sentenza, può essere impugnata attraverso un mezzo riconosciuto alle parti: il regolamento di competenza. Tale mezzo si propone alla Corte di cassazione a sezioni semplici.Si può considerare un mezzo di impugnazione, in quanto presuppone una precedente sentenza sulla competenza, al di fuori del caso indicato nell’art. 45 c.p.c. (c.d. regolamento necessario d’ufficio).Il regolamento di competenza si distingue in: - necessario (art. 42): quello proposto contro le sentenze che hanno pronunciato soltanto sulla competenza; ed è “necessario” nel senso che esso è l’unico mezzo col quale tali sentenze possono essere impugnate (possono essere impugnate con regolamento necessario, anche i provvedimenti che dichiarano la sospensione necessaria, ex art. 295 c.p.c., nonché le sentenze che abbiano deciso sulla litispendenza, continenza e connessione); - facoltativo (art. 43): nel caso in cui la sentenza abbia pronunciato non solo sulla competenza ma anche sul merito; è “facoltativo” nel senso che, in questo caso, il regolamento non è l’unico mezzo di impugnazione proponibile, ma concorre con i “modi ordinari” (in pratica, per lo più con l’appello). Difatti, le parti hanno due possibilità: o impugnare tutta la sentenza (ossia sia la parte che ha statuito sul merito che quella che ha statuito sulla competenza) con il mezzo ordinario, oppure impugnare la parte che ha statuito sul merito con il mezzo ordinario, e quella sulla competenza con il regolamento facoltativo. Se è proposto subito il regolamento, l’impugnazione ordinaria potrà investire soltanto il merito, ed il termine per la proposizione di quest’ultima rimane sospeso; se invece viene proposta subito l’impugnazione ordinaria, ciò non impedisce alle altre parti di chiedere il regolamento, ma in tal caso il giudizio sull’impugnazione ordinaria resta sospeso (art. 42, comma secondo, c.p.c.).L’art. 45, disciplina il c.d. conflitto negativo di competenza, il quale si verifica nel caso in cui il giudice adito dovesse dichiarasi incompetente, indicando come competente altro giudice dinanzi al quale le parti riassumono la causa; se anche quest’ultimo dovesse dichiararsi a sua volta incompetente si verifica allora quella situazione che la legge chiama “conflitto di competenza” - o regolamento di competenza d’ufficio - che rappresenta l’unico caso in cui il regolamento di competenza non ha le caratteristiche del mezzo di impugnazione. Tale secondo giudice, davanti al

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quale la causa è stata riassunta, e che si ritiene a sua volta incompetente, può richiedere d’ufficio il regolamento di competenza, soltanto, però, nei casi di incompetenza per materia e territorio inderogabile. Il regolamento di competenza, deve essere proposto dalle parti mediante ricorso alla Corte di Cassazione, entro il termine perentorio di 30 gg. dalla comunicazione della sentenza (del giudice di merito) che abbia deciso sulla competenza, o, nel caso in cui venga proposta prima l’impugnazione ordinaria (art. 43), entro 30 gg. dalla notificazione dell’atto introduttivo dell’impugnazione stessa. La proposizione del ricorso, comporta l’automatica sospensione del giudizio di merito (a differenza del regolamento di giurisdizione, si veda art. 367 c.p.c.). Tale procedimento si conclude mediante una sentenza della Corte, in cui viene indicato il giudice competente, davanti al quale le parti dovranno riassumere la causa nel termine stabilito dalla pronuncia o, in mancanza, in quello di 6 mesi dalla comunicazione della sentenza della Corte di Cassazione. In caso contrario, il processo si estingue.Modificazioni della competenza per ragioni di connessione (artt. 31-36 c.p.c.) Il codice disciplina delle ipotesi particolari di connessione - disciplinate dagli artt. 31-36 - a causa delle quali si potrebbero verificare degli spostamenti della competenza. Gli artt. 31, 32 e 33 dispongono lo spostamento della competenza “originario”.Art. 31 c.p.c. “Cause accessorie”L’accessorietà che è il rapporto che intercorre tra due cause connesse oggettivamente (ma anche soggettivamente), nel senso che la decisione su una di esse (quella c.d. accessoria) dipende dalla decisione sull’altra (quella c.d. principale). Ad es. l’accoglimento della domanda di pagamento degli interessi dipende dall’accoglimento della domanda di restituzione di una somma data a mutuo: perciò la prima è accessoria rispetto alla seconda. In questi casi l’art. 31 c.p.c prevede che la competenza territoriale possa modificarsi, difatti, la causa accessoria può essere proposta davanti al giudice territorialmente competente per la principale.Art. 32 c.p.c. “Cause di garanzia”La domanda di garanzia è quella rivolta dalla parte che fa valere il suo diritto (sostanziale) di essere “garantita” da un terzo, ossia risarcita delle conseguenze della sua eventuale soccombenza. È il caso del compratore che, convenuto in giudizio da un soggetto che si vanta proprietario della cosa, ha diritto di essere garantito dal venditore (art. 1483 c.c.). Anche nei casi rientranti nell’art. 32 vi può essere uno spostamento della competenza territoriale per la causa di garanzia davanti al giudice competente per la principale.Art. 33 c.p.c. “Cumulo soggettivo”Ipotesi in cui una parte abbia intenzione di proporre causa nei confronti di più persone; cause che, ai sensi degli artt. 18 e 19 c.p.c. dovrebbero essere proposte davanti a giudici territorialmente diversi. Tale norma, nel caso in cui le diverse cause siano connesse per oggetto o titolo, dà la possibilità alla parte attrice di proporle tutte davanti al giudice del luogo dove uno dei soggetti convenuti ha la residenza o il domicilio.Gli artt. 34, 35 e 36 dispongono lo spostamento della competenza “sopravvenuto”.Art. 34 c.p.c. “Accertamenti incidentali”Riguarda le questioni pregiudiziali. Con l’espressione “questioni pregiudiziali” si intendono quelle questioni (di merito) che, pur potendo costituire oggetto autonomo di una decisione, si inseriscono nell’iter logico-giuridico, che conduce alla decisione sulla domanda principale, e che perciò, per decidere su quest’ultima, non si può fare a meno di affrontare4. Così ad es., rispetto ad una domanda di alimenti da padre a figlio, è certamente pregiudiziale la questione relativa alla sussistenza del rapporto di paternità, ove sia contestato. L’art. 34, nel dettare la regola (in tema di competenza) secondo la quale se la questione pregiudiziale appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, quest’ultimo attrae nella propria competenza anche la causa principale, coglie l’occasione per disporre che la questione pregiudiziale sia decisa con efficacia di giudicato se ciò è

4 Si tratta del c.d. rapporto di pregiudizialità-dipendenza: dalla risoluzione della questione pregiudiziale dipende la decisione della causa principale.

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richiesto “per legge o per esplicita richiesta di una delle parti”. Ed in questo modo dispone anche che, al di fuori di queste ipotesi, la questione pregiudiziale può essere decisa incidenter tantum (ossia solo per quel caso specifico).Art. 35 c.p.c. “Eccezione di compensazione”La norma si riferisce all’ipotesi in cui il convenuto eccepisca l’esistenza di un credito in compensazione. Credito che deve essere contestato e che deve eccedere la competenza per materia o valore del giudice adito (altrimenti il problema non sorgerebbe). La norma dispone che se la domanda principale è fondata su un titolo non controverso o facilmente accertabile, il giudice può compiere rispetto ad essa una pronuncia con riserva rimettendo la questione sull’eccezione al giudice superiore; quando invece non sussistono quelle condizioni, si segue il sistema già veduto per le questioni pregiudiziali: il giudice superiore attrae nella propria competenza l’intera causa.Art. 36 c.p.c. “Connessione per riconvenzione”Tale norma fa riferimento alla “domanda riconvenzionale” del convenuto, ossia quando quest’ultimo non si limita a chiedere il rigetto della domanda dell’attore, ma propone un’autonoma azione. Anche qui, la legge applica la medesima regola - attrazione dell’intera causa nella competenza del giudice superiore - all’ipotesi di domande riconvenzionali che eccedono la competenza per materia o valore del giudice adito. Tale norma pone anche i limiti della domanda riconvenzionale: difatti quest’ultima deve dipendere dallo stesso titolo dedotto in giudizio dalla domanda principale o da un’eventuale eccezione sollevata, anche dal convenuto stesso. Con riferimento a tutte le particolari ipotesi di connessione, se tra le cause connesse ve ne è una assoggettata al rito del lavoro, tutte saranno trattate e decise con tale procedimento.

SINTESICompetenza: distribuzione del potere di decidere tra giudici appartenenti allo stesso ordine (civile, penale o amministrativo). Rappresenta un presupposto processuale, ossia uno dei requisiti minimi per instaurare un processo.Incompetenza (art. 38 c.p.c.): si ha quando la causa viene instaurata dinanzi al giudice che non la competenza su quella determinata questione.Regolamento di competenza (art. 41 e ss. c.p.c.): viene posto in essere in tutti i casi in cui si verifica un “conflitto” tra due o più giudici in ordine alla competenza.

UNITA’ DIDATTICA 4L'IMPARZIALITÀ DEL GIUDICE.

GLI AUSILIARI DEL GIUDICE. LE PARTI E I DIFENSORI.

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Differenza tra regolamento necessario e facoltativo di competenza.b) Casi di competenza per territorio inderogabile.c) Conflitto negativo di competenza.d) Differenze tra regolamento di giurisdizione e regolamento di competenza.e) Come si determina il valore della causa.f) Cosa si intende per competenza “residuale” del Tribunale?g) Differenza tra foro generale e foro speciale.

Le garanzie dell'imparzialità del giudice e i limiti della sua responsabilitàUna delle caratteristiche del giudice (oltre l’indipendenza da ogni altro potere dello Stato) è la sua imparzialità: nello svolgimento della sua attività deve comportarsi da organo super partes. Detta imparzialità viene garantita attraverso due strumenti: atensione e ricusazione.Astensione (art. 51 c.p.c.)Consiste in un’iniziativa spontanea del giudice. L’astensione si distingue in obbligatoria e facoltativa.

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I motivi di astensione obbligatoria sono tassativamente previsti dalla legge (art. 51, comma primo: es. qualora il giudice abbia interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; qualora egli stesso o il coniuge abbiano rapporti di parentela entro il quarto grado o sia convivente di una delle parti o dei loro difensori; ecc...).Nel caso in cui, al di fuori di tali ipotesi tassative, il giudice ritenga che esistano gravi ragioni di convenienza, può astenersi. In tal caso sarà necessaria l’autorizzazione del capo dell'ufficio(art. 51, comma secondo). Ricusazione (art. 52 e ss. c.p.c.)Rappresenta un mezzo riconosciuto alle parti, nel caso in cui abbiano motivo di dubitare dell’imparzialità del giudice. Nei casi di astensione obbligatoria, quando il giudice non si sia astenuto, le parti possono richiederne la ricusazione mediante ricorso proposto al giudice competente (art. 53): al presidente del tribunale se sia ricusato il giudice di pace, al collegio se è ricusato uno dei componenti del tribunale o della corte. La ricusazione dà luogo ad una sorta di procedimento incidentale che inizia con un ricorso e si conclude con un’ordinanza non impugnabile con la quale viene eventualmente designato il giudice che deve sostituire quello ricusato (art. 54 c.p.c.). Il ricorso per ricusazione sospende il processo (art. 52, comma terzo, c.p.c.).Responsabilità civile del giudiceÈ disciplinata dalla legge n. 117 del 1988. Nel caso in cui il giudice abbia posto in essere un atto o un provvedimento giudiziario con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni (“negligenza inescusabile”), o qualora vi sia stato diniego di giustizia (che, per la legge, sussiste in caso di “rifiuto, omissione o ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio” e sempre in quanto sia decorso inutilmente un termine di 30 giorni dal deposito in cancelleria di un’istanza della parte per ottenere il provvedimento), la parte può agire per ottenere il risarcimento dei danni subiti. L’azione di risarcimento del danno si instaura con un ricorso al Presidente del Consiglio dei Ministri. La competenza spetta al Tribunale del luogo ove ha sede la Corte d’Appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l’ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato al momento del fatto. La proposizione della domanda presuppone una pronuncia di ammissibilità della stessa da parte del Tribunale che, sentite le parti, delibera in camera di consiglio dichiarando, con decreto motivato, l’inammissibilità dell’azione quando essa è manifestamente infondata. Se l’azione è dichiarata ammissibile, si svolge il relativo giudizio nel quale il magistrato interessato, può intervenire in ogni fase e grado del procedimento. In caso di accoglimento della domanda, lo Stato, dichiarato responsabile e condannato al risarcimento, può esercitare, entro un anno dall’avvenuto risarcimento, l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato, nella misura non superiore al terzo di un’annualità dello stipendio, salvo il caso di dolo.Il cancelliere, l’ufficiale giudiziario e gli ausiliari del giudiceNell’assolvimento della sua funzione, il giudice si avvale della collaborazione di taluni uffici complementari impersonati da organi, ai quali la legge attribuisce specifiche funzioni. Alcuni di questi organi (il cancelliere e l’ufficiale giudiziario) appartengono in modo permanente all’organizzazione strutturale dei singoli uffici giudiziari; altri (il consulente tecnico, il custode) - chiamati dalla legge “ausiliari del giudice”- sono estranei a tale organizzazione ed assolvono la loro funzione a seguito di un incarico specifico affidato loro occasionalmente di volta in volta. Il cancelliere (artt. 57 e 58 c.p.c.), è il principale collaboratore del giudice. Nell’esercizio delle sue attività ha piena autonomia. Caratteristica principale dell’attività del cancelliere è la documentazione che consiste nell’attribuire pubblica fede, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, fino a querela di falso, alle proprie attività ed a quelle degli organi giudiziari e delle parti. Gli atti tipici del cancelliere sono: il processo verbale (art. 126 c.p.c., documenta le dichiarazioni delle persone intervenute, le attività svolte e i fatti verificati nel processo), la pubblicazione delle sentenze (l’attestazione dell’avvenuto deposito mediante l’apposizione della data e della firma del

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cancelliere), le comunicazioni (destinate a portare a conoscenza delle parti i provvedimenti del giudice attraverso i biglietti di cancelleria).L’ufficiale giudiziario (art. 59 c.p.c.) assolve, nel processo esecutivo, a funzioni che sono centrali ed essenziali, in quanto impersona il c.d. “organo esecutivo”. Altra attività di particolare rilievo è la notificazione degli atti (che consiste nella consegna al destinatario di una copia conforme all’originale dell’atto che, appunto, gli deve essere notificata, art. 137 e ss.). Sia il cancelliere che l’ufficiale giudiziario sono civilmente responsabili quando, senza giustificato motivo, rifiutano od omettono di compiere gli atti inerenti all’ufficio, o quando hanno compiuto un atto nullo con dolo o colpa grave (art. 60 c.p.c.).Il consulente tecnico (art. 61 e ss.), è l’ausiliario del quale il giudice si serve quando la sua attività si svolge in un campo nel quale si richiedono particolari cognizioni tecniche non giuridiche. È scelto di volta in volta tra persone iscritte in albi speciali (art. 61 c.p.c.) ed al quale affida determinate indagini (i c.d. “quesiti”), sulle quali il consulente riferisce di solito con una relazione scritta o anche con chiarimenti verbali in udienza o in camera di consiglio. Il custode è la persona alla quale viene affidata la conservazione e, talora, l’amministrazione dei beni pignorati o sequestrati (art. 65 c.p.c.). Ha diritto ad un compenso da liquidarsi con decreto del giudice che lo ha nominato. Infine, l’art. 68 c.p.c. prevede il ricorso ad altri più generici ausiliari, nonché la possibilità di ricorrere all’assistenza della forza pubblica.Le partiLa legge non definisce il concetto di parte. Parte è chi compie gli atti del processo e ne subisce gli effetti, ed è perciò destinatario dei provvedimenti del giudice. Più precisamente, parti nel processo sono rispettivamente colui che propone la domanda (“soggetto attivo”), e colui nei cui confronti la domanda è proposta (“soggetto passivo”). Esse prendono un diverso nome a seconda dell’azione esercitata (es. rispettivamente: attore e convenuto nel processo di cognizione; appellante e appellato nel processo di appello; ricorrente e resistente in quello in Cassazione).La parte e la giusta parteLa dottrina maggioritaria è unanime nel distinguere la parte dalla giusta parte: per “parte” si deve intendere colei che ha proposto la domanda, per “giusta parte” colei che è legittimata ad agire o a contraddire.Capacità processualeInnanzitutto dobbiamo distinguere la capacità di essere parte (che appartiene a tutti i soggetti, anche le persone fisiche incapaci d’agire), dalla capacità processuale (vale a dire la capacità di stare in giudizio, ponendo in essere atti processualmente validi).L’art. 75, comma primo, c.p.c., afferma che sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere. Vale a dire che sono capaci di stare in giudizio i soggetti che non devono essere rappresentati. Ai sensi del secondo comma del citato art. 75, le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non sono rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la capacità. La rappresentanza (legale) si riferisce all’incapace totale (minore non emancipato, interdetto), l’assistenza all’incapace parziale (inabilitato, minore emancipato, che stanno in giudizio insieme al curatore). Infine, con riguardo alle persone giuridiche, la norma stabilisce che le stesse stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge e dello statuto (art. 75, comma terzo).Il “difetto di rappresentanza” è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio; e può essere eccepito per la prima volta anche in Cassazione. Tale difetto è, comunque, sanabile in qualunque stato e grado del giudizio con effetto retroattivo. La sanatoria si realizza sempre con la costituzione nel successivo grado di giudizio del rappresentante legittimato.Dalla rappresentanza legale - in cui, per l’incapacità dei rappresentati, o per altre cause, è la legge che conferisce il potere rappresentativo al rappresentante - differisce la rappresentanza volontaria (art. 77 c.p.c.), in cui il potere rappresentativo è conferito dal titolare del diritto (che così diverrà il rappresentato) attraverso un negozio (la procura).

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Infine, la legge ha preso in considerazione un’eventualità contingente, ossia l’ipotesi che, per una ragione qualsiasi, manchi la persona alla quale spetti la rappresentanza o l’assistenza e, d’altra parte, esistano ragioni di urgenza. Per questa eventualità, l’art. 78, comma primo, prevede la nomina - su istanza dell’interessato, ancorché incapace, dei suoi prossimi congiunti o del p.m. (art. 79 c.p.c.) - di un curatore speciale all’incapace, alla persona giuridica o all’associazione non riconosciuta, con i poteri di rappresentanza o di assistenza in via provvisoria, ossia finché subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza.Il codice chiude la regolamentazione della parte con l’art. 81 c.p.c. relativo alla sostituzione processuale. Tale articolo afferma che fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui. I difensoriLe parti possono stare in giudizio soltanto con l’assistenza di un difensore legalmente esercente, al di fuori di ipotesi tassative, in cui possono agire personalmente:- davanti al giudice di pace, nelle cause il cui valore non ecceda euro 516,46 (art. 82, comma primo);- il giudice di pace, tenuto conto della natura e dell’entità della causa, su istanza di parte, può autorizzare la stessa a stare in giudizio di persona (art. 82, comma secondo);- quando la parte ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore (art. 86).Davanti alla Corte di Cassazione le parti devono farsi assistere da avvocati iscritti nell’apposito albo. Quando le parti stanno in giudizio con il ministero di un avvocato, questi deve essere munito di procura generale o speciale. La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non è espressa volontà diversa. La procura si conferisce mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. La procura può essere sempre revocata dalla parte, o il difensore può rinunciarvi. Il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti che la legge non riservi espressamente.Il nostro ordinamento ammette l’istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato, affinché anche le persone meno abbienti possano adire gratuitamente la giustizia o difendersi dalle altrui pretese.Sia le parti che i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità (onestà e integrità morale). Non devono utilizzare frasi sconvenienti od offensive. Se violano tali prescrizioni questi possono incorrere al pagamento del risarcimento del danno (artt. 88 e 89 c.p.c.).La condanna delle speseCirca le spese processuali vigono due principi fondamentali: il “principio dell’anticipazione delle spese”, in quanto ciascuna parte provvede ad anticipare le spese del giudizio; il “principio dell’onere della soccombenza”, secondo cui le spese sono poste a carico, appunto, della parte soccombente e a favore della parte vittoriosa (art. 91 c.p.c.).La regola della soccombenza può talora essere, al contrario, resa più rigorosa, fino ad assumere i caratteri propri di un autentico risarcimento dei danni. È questa la fattispecie della c.d. responsabilità aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. Tale fattispecie si configura quando viene accertato che la parte soccombente abbia agito (in caso di soccombenza dell’attore) o resistito in giudizio (in caso di convenuto) con mala fede o colpa grave (comportamento che si suole qualificare come temerarietà della lite).

SINTESIAstensione (art. 51): procedimento interno di carattere amministrativo, che riguarda il solo organo giudiziario e non le parti in causa.Ricusazione (art. 52 e ss.): strumento processuale con cui le parti hanno la possibilità di ricusare il giudice nei casi di astensione obbligatoria.Parte: chi compie gli atti nel processo e ne subisce gli effetti ed è, pertanto, destinatario dei provvedimenti del giudice.

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UNITA’ DIDATTICA 5PLURALITA’ DI PARTI. IL PUBBLICO MINISTERO.

GLI ATTI PROCESSUALI

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Differenza tra astensione obbligatoria e facoltativa.b) Diniego di giustizia. c) Capacità processualed) Responsabilità aggravata.e) Casi in cui la parte può agire personalmente in giudizio.

Pluralità di partiSi ha litisconsorzio quando nel processo vi è una pluralità di parti, e cioè quando vi sono più attori (litisconsorzio attivo) o più convenuti (litisconsorzio passivo). Il litisconsorzio è ammesso per due ragioni: il principio dell’economia dei giudizi, e quello della non contraddittorietà dei giudicati.Rispetto al momento in cui si verifica la presenza di più parti il litisconsorzio può essere “originario” o “successivo” (c.d. intervento).Rispetto al rapporto che lega le parti tra loro, il litisconsorzio originario può essere necessario o facoltativo.Il litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.): esso si ha quando la decisione non può essere pronunciata che nei confronti di più parti, in tal caso queste devono agire o essere convenute nello stesso processo (es. la domanda di divisione deve proporsi nei confronti di tutti gli eredi, o di tutti i condomini). Nel caso in cui il giudizio viene promosso senza la presenza di tutti i litisconsorti - e cioè da alcune parti o soltanto nei confronti di alcune di esse -, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito, decorso inutilmente il quale si avrà come conseguenza, l’estinzione del processo. Inoltre, qualora il giudice dovesse proseguire il giudizio nonostante la mancanza di un litisconsorte necessario, la sentenza pronunciata sarà come inutiliter data, ossia non produrrà effetti neanche nei confronti delle parti costituite.Il litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.): questo si verifica quando per ragioni di convenienza pratica, due azioni vengono esercitate nello stesso processo; non si tratta però di una riunione imposta dalla legge. Questo può essere proprio (più persone possono agire o essere convenute nello stesso processo a condizione che fra le cause proposte esista connessione per l’oggetto o per il titolo); e può essere improprio (quando la decisione dipende totalmente o parzialmente dalla soluzione di identiche questioni). Nel litisconsorzio facoltativo le azioni connesse, sebbene proposte nello stesso processo, rimangono distinte e possono essere decise in modo differente: a norma dell’art. 103, comma secondo, c.p.c., il giudice può disporre, nel corso dell’istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, o quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza.L’intervento (litisconsorzio successivo)L’intervento si verifica quando in un processo già iniziato subentra un soggetto estraneo, diverso dalle parti originarie. Con l’intervento il terzo acquista la qualità di parte, e determina spesso un ampliamento dell’oggetto processuale. La ragione pratica di tale istituto è data dal fatto che la posizione del terzo potrebbe subire delle conseguenze indirette dalla sentenza altrui. La legittimazione all’intervento si fonda su una connessione oggettiva tra l’azione in corso e quella che il terzo vuole proporre, ovvero che si vuole esercitare contro di lui.L’intervento può essere di tre tipi: volontario, coatto su istanza di parte e coatto per ordine del giudice.L’intervento volontario (art. 105 c.p.c.): è l’intervento dovuto all’iniziativa spontanea del terzo, che, potendo in qualche modo risentire delle conseguenze derivanti da un processo di cui non è parte, ha interesse allo svolgimento e all’esito del processo stesso. Si tenga comunque presente che il terzo

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potrebbe attendere la fine del processo e proporre l’opposizione di terzo (ex art. 404 c.p.c.) contro la sentenza. Tale intervento a sua volta può essere: 1) principale, quando l’interveniente afferma un diritto proprio in contrasto sia con l’attore che con il convenuto (es. Tizio rivendica una cosa nei confronti di Caio, Sempronio interviene sostenendo che quel bene è il suo); 2) adesivo autonomo o litisconsortile, quando l’interveniente, pur facendo valere un diritto autonomo, assume una posizione uguale a quella di una delle parti; la sua difesa, pur coincidendo con quella di una delle parti, comunque rimane sempre distinta da essa. Proprio per tale motivo l’interventore adesivo autonomo può proporre domande nuove o impugnare autonomamente la sentenza; 3) adesivo dipendente (ad adiuvandum), anche qui il terzo sostiene le ragioni di una delle parti, ma non potrebbe agire da solo, non vantando nessun diritto, ma avendo solo un interesse nella causa (es. il sub-conduttore che interviene nella causa pendente tra il locatore ed il conduttore altro condebitore.). Per tale situazione di dipendenza processuale, l’interventore non può proporre impugnazione autonoma se la parte adiuvata vi abbia rinunciato.L’intervento coatto su istanza di parte (art. 106 c.p.c.): tale tipo di intervento può essere di due tipi: 1) intervento coatto su istanza di parte “in senso proprio”, il quale si verifica quando una delle parti ritenga la sua causa comune ad una terzo. Siamo davanti ad un’ipotesi di connessione oggettiva per oggetto o titolo. Si tratta di chiamare in causa i terzi che avrebbero potuto spiegare intervento principale o adesivo autonomo; 2) “chiamata in garanzia”, che ricorre quando il convenuto chiama in causa il proprio garante per essere coadiuvato nella difesa e, in caso di soccombenza, per esercitare nei suoi confronti l’azione di regresso.L’intervento coatto per ordine del giudice (art. 107 c.p.c.): il giudice può disporre l’intervento quando ritiene che il processo si debba svolgere nei confronti di un terzo al quale la causa sia comune. L’ordine di intervento non è diretto al terzo, ma alla parte che deve provvedere alla chiamata, mediante citazione. Se la parte non ottempera la causa viene cancellata dal ruolo. Il giudice può ordinare l’intervento per economia dei giudizi, per garantire unità e uniformità di decisione sui rapporti connessi, oppure per tener conto dell’interesse del terzo e tutelare le sue ragioni.L’estromissioneFenomeno inverso all’intervento è quello dell’estromissione, che consiste nell’uscita di una parte dal processo per effetto di una pronuncia del giudice, ed ha luogo quando si accerti il difetto dei presupposti che condizionano la presenza della parte nel processo. L’estromissione può colpire tanto una parte originaria quanto una parte intervenuta o chiamata nel processo già pendente; e presuppone la pluralità di convenuti. Il codice regola espressamente due casi di estromissione. Estromissione del garantito (art. 108 c.p.c.): tale articolo regola l’ipotesi di chiamata in causa del garante; se questi compare e accetta di assumere la causa in luogo del garantito, quest’ultimo può chiedere, qualora le altre parti non si oppongano, l’estromissione; in tal caso il processo prosegue contro il garante, che assume la veste di sostituto processuale del garantito ex art. 81 c.p.c. , ma la sentenza di merito spiega i suoi effetti anche contro il garantito estromesso.Estromissione dell’obbligato (art. 109 c.p.c.): quando si contende a quale di più parti spetti una prestazione e l’obbligato si dichiara pronto a eseguirla a favore di chi ne ha diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta, e può estromettere l’obbligato dal processo.La successione nel processo (art. 110 c.p.c.)Si ha successione nel processo, o “universale”, quando nel corso del processo una delle parti viene meno per morte o per altra causa5, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto, a seconda che a venir meno sia parte attrice o convenuta.La successione nel diritto controverso (art. 111 c.p.c.)Diversa è la conseguenza nel caso in cui il diritto controverso sia trasferito per successione a titolo particolare mentre è pendente il processo. Se il trasferimento avviene con per atto inter vivos, il processo prosegue tra le parti originarie. Se il trasferimento avviene mortis causa, il processo è proseguito dal successore universale o nei suoi confronti. In entrambi i casi la parte (alienante, o

5 Esempio di altra causa, è la fusione di società.

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successore universale), non è più il titolare del diritto che lo stesso difende nel processo: pertanto, è - ex art. 81 c.p.c. - un sostituto processuale del successore a titolo particolare . Successore a titolo particolare è l’acquirente in caso di trasferimento “inter vivos”, il legatario in caso di trasferimento “mortis causa”. Il Pubblico MinisteroIl Pubblico Ministero (P.M.), è un organo dello Stato destinato ad operare accanto agli organi giurisdizionali nell’interesse pubblico rappresentato dall’attuazione della legge.La legge distingue tra due diverse figure di P.M.: agente ed interveniente.P.M. agente (o attore): l’art. 69c.p.c. dispone che il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge. Nel vasto gruppo di situazione in cui il P.M. deve agire, si distingue un gruppo in cui tale azione tende ad ottenere dal giudice un provvedimento favorevole ad una determinata persona (es. la nomina del curatore dello scomparso), ed un gruppo in cui essa si pone come il limite di ordine pubblico alla libera esplicazione della volontà delle parti (es. opposizione al matrimonio).P.M. interveniente: ai sensi dell’art. 70 c.p.c., l’intervento del P.M. può essere obbligatorio o facoltativo. Il P.M. deve intervenire a pena di nullità (“intervento obbligatorio”, art. 70, comma primo) rilevabile anche d’ufficio in una serie di ipotesi, che sono tassativamente elencate nel testo della norma: nelle cause che egli stesso potrebbe proporre; nelle cause matrimoniali comprese quelle di separazione personale dei coniugi; nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone, e negli altri casi previsti dalla legge6. Ha inoltre l’obbligo di intervento in ogni causa davanti alla Corte di Cassazione (art. 70, comma secondo).Infine, il P.M. ha la facoltà di intervenire (“intervento facoltativo”), in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse (art. 70, ult. comma).Affinché, il P.M. sia posto in condizione di poter intervenire, l’art. 71 c.p.c. contempla l’obbligo del giudice davanti al quale è proposta una delle citate cause, di ordinare al cancelliere la comunicazione degli atti del processo al P.M. stesso. L'intervento può essere utilmente compiuto fino al momento che precede il giudizio, ossia il momento nel quale le parti precisano le conclusioni. I poteri del P.M. (art. 72 c.p.c.)Qualora si tratti di P.M. agente o interveniente nelle cause che avrebbe potuto proporre (n. 1, comma primo, art. 70), al P.M. vengono riconosciuti gli stessi poteri che competono alle parti e li esercita nelle forme che la legge stabilisce per queste ultime. Negli altri casi di intervento, tranne che nelle cause davanti alla Corte di Cassazione, il P.M. può produrre documenti, dedurre prove, dare conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti. Inoltre, può proporre impugnazioni contro le sentenze relative a cause matrimoniali, salvo che per quelle di separazione personale.Infine, l’art. 73 c.p.c. stabilisce che al P.M. si applica la norma relativa all’astensione del giudice (art. 51 c.p.c.), ma non quella relativa alla ricusazione (art. 52 c.p.c.).Gli atti processualiIl processo, da un punto di vista strutturale è un procedimento cioè una sequenza di atti finalizzati ad uno scopo. Il processo può svolgersi in un’unica udienza o in più udienze. L’udienza è diretta dal giudice singolo o dal presidente del collegio. L’udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità, ma il giudice che la dirige può disporre che si svolga a porte chiuse se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume. Il cancelliere redige processo verbale sotto la direzione del giudice. Questo sarà sottoscritto dal giudice e dallo stesso cancelliere. Il nostro ordinamento all’art. 121 c.p.c. prevede la “libertà delle forme” degli atti: gli atti del processo per le quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo; questo è il principio della “congruità della forma allo scopo”.Gli atti del giudice

6 Un esempio di intervento obbligatorio previsto dalla legge, si ha nel procedimento della “querela di falso”.

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Gli atti del giudice (c.d. “provvedimenti”) possono avere la forma della sentenza, ordinanza o decreto. La legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia, appunto, sentenza, ordinanza o decreto. In mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo. Ai sensi dell’art. 132, la sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano, e deve contenere l’intestazione Repubblica italiana. Tra gli elementi si possono menzionare la motivazione, il dispositivo e la sottoscrizione del giudice (elemento quest’ultimo richiesto a pena di inesistenza). La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria.L’ordinanza (art. 134 c.p.c.) può essere emanata dal giudice istruttore o dal collegio. É pronunciata nel contraddittorio dalle parti, in udienza o fuori dall’udienza. L’ordinanza pronunciata in udienza è inserita nel processo verbale; di quella pronunciata fuori dall’udienza ne sarà data notizia alle parti mediante comunicazione. L’ordinanza deve essere succintamente motivata.Il decreto è pronunciato d’ufficio o su ricorso della parte (art. 135 c.p.c.). Non è motivato salvo che la legge espressamente lo stabilisca. A differenza dell’ordinanza, non presuppone il contraddittorio, ossia può essere emanato inaudita altera parte.I terminiI termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge; normalmente sono termini “ordinatori”, salvo che la legge in casi particolari preveda dei termini “perentori”. Questi ultimi non possono essere modificati nemmeno con l’accordo delle parti, e la loro decorrenza comporta la decadenza automatica del soggetto dalla facoltà di compiere l’atto. Mentre i termini ordinatori possono essere prorogati anche d’ufficio. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario.Le nullitàLa nullità è la conseguenza dell’inosservanza delle prescrizioni stabilite dalla legge per il compimento dell’atto e, più esattamente, rende l’atto inidoneo al raggiungere il suo scopo.L’art. 156 c.p.c. stabilisce che non può esserci nullità per violazione della forma di un atto, salva espressa indicazione della legge. Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. Se l’atto viziato raggiunge il suo scopo, neanche in questo caso si potrà pronunciare la nullità (la nullità è sanata).L’art. 157 c.p.c. regola il modo con cui la nullità può essere rilevata. Tale articolo pone un principio importantissimo: cioè la nullità può essere eccepita solo su istanza di parte (c.d. nullità relative) a meno che la legge non disponga che possa essere rilevata d’ufficio (c.d. nullità assolute, di norma “insanabili”).Il successivo art. 158, prevede due ipotesi di nullità insanabile: quella derivante dall’irregolare costituzione del giudice o dal mancato intervento del P.M. ai sensi dell’art. 70 c.p.c. L’eventuale nullità di un atto si estende solamente agli atti successivi e dipendenti (“limiti esterni” dell’atto invalido). Mentre, la nullità parziale di un atto non si estende alle altre che ne siano indipendenti (“limiti interni” dell’atto invalido) (art. 159). Se l’atto è nullo ai fini di un determinato effetto, ne può produrre altri ai quali sia invece idoneo (“principio della conservazione degli atti nulli”).La nullità delle sentenze soggette agli ordinari mezzi di impugnazione (appello e ricorso per cassazione), può essere fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie di detti mezzi. La nullità della sentenza, si “assorbe” in vizio oggetto di gravame (art. 161, comma primo, c.p.c.). pertanto, l’eventuale decadenza dal mezzo di impugnazione, determina la sanatoria della nullità per effetto del passaggio in giudicato. Da questo regime si sottrae l’ipotesi in cui la sentenza sia priva della sottoscrizione del giudice (ossia inesistente).Il giudice, quando viene rilevata la nullità di un atto, può o disporre la rinnovazione degli atti laddove possibile, al fine di consentire la prosecuzione del processo, oppure emettere una sentenza che dichiara la nullità del processo e concludere il giudizio (art. 162).Inesistenza: essa è l’effetto dell’atto che manchi di quel minimo di elementi necessari perché possa riconosciuto come tale.

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SINTESIIl processo civile può essere caratterizzato da una pluralità di parti che può essere originaria, nel caso del litisconsorzio, o successiva, nel caso dell’intervento. Tale pluralità può essere, inoltre, necessaria può facoltativa.Pubblico Ministero: organo dello Stato destinato ad operare accanto agli organi giurisdizionali nell’interesse pubblico rappresentato dalla attuazione della legge. Nel processo civile può svolgere sia la funzione di agente che di interveniente.Principio della congruità della forma allo scopo (art. 121 c.p.c.): principio della libertà delle forme, importante è che l’atto abbia la forma idonea al raggiungimento dello scopo a cui è destinato.

UNITA’ DIDATTICA 6FASE INTRODUTTIVA E FASE ISTRUTTORIA

DEL GIUDIZIO DI COGNIZIONE

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Litisconsorzio facoltativo e connessione oggettiva.b) Intervento volontario e coatto.c) Successione a titolo particolare nel diritto controverso.d) Esempio di nullità insanabile.e) Principio di assorbimento delle nullità nei vizi di gravame.

Prima di iniziare lo studio del processo di cognizione, è bene effettuare un ripasso approfondito dei principi generali affrontati nelle precedenti unità didattiche, nonché una precisa consultazione degli artt. 163-190 contenuti nel codice di procedura civile, con particolare riguardo degli artt. 180, 183 e 184 modificati dalle leggi n. 80/2005, n. 263/2005 e n. 51/2006 entrate in vigore il 1° marzo 2006.

Il processo di cognizione può essere definito come quel processo in cui il giudice è chiamato ad accertare la situazione di fatto esistente tra le parti in causa, ad individuare la norma giuridica che deve essere applicata nella fattispecie, a decidere con sentenza definendo la questione controversa tra le parti. Il codice di procedura civile distingue nettamente tre fasi del processo di cognizione: 1) fase introduttiva; 2) fase istruttoria (che a sua volta si distingue in “fase di trattazione”, che consiste nell’attività svolta per individuare e discutere le domande e le eccezioni, e “istruzione probatoria”, in cui si realizza la raccolta e la valutazione delle prove); 3) fase decisoria, caratterizzata dall’emissione della sentenza da parte del giudice.Il Tribunale decide in composizione monocratica assumendo in se le funzioni di giudice istruttore ed organo giudicante (c.d. giudice unico), tranne nelle ipotesi previste dall’art. 50 bis c.p.c. in cui la decisione spetta al tribunale in composizione collegiale (riforma introdotta dal d.lgs. n. 51/98).

FASE INTRODUTTIVAL’atto introduttivo del giudizio di cognizione è l’atto di citazione 7 . Per citazione si deve intendere la chiamata in giudizio della parte contro la quale la domanda è proposta. L’atto di citazione è un atto doppiamente recettizio: nei confronti del convenuto mediante la notificazione (c.d. vocatio in ius), e nei confronti del giudice adito (c.d. edictio actionis). Ai sensi dell’art. 163 c.p.c. l’atto di citazione deve contenere: 1) l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2)

7 O meglio, una citazione a comparire a udienza fissa (art. 163, comma primo), in quanto la data della prima udienza è fissata dall’attore nell’atto di citazione.

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l’indicazione delle parti e delle persone che le rappresentano o le assistono8; 3) l’oggetto della domanda; 4) le ragioni della domanda e le relative conclusioni; 5) l’indicazione dei mezzi di prova; 6) le generalità del procuratore e l’indicazione della procura; 7) l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione, l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di legge, con l’avvertimento che la costituzione oltre tale termine implica le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. (preclusione della possibilità di proporre domande riconvenzionali, eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio o chiamare in causa in terzo). Termine per comparire (art. 163 bis)Tra il giorno della notificazione e quello dell’udienza di comparizione devono intercorrere termini liberi non inferiori a 90 giorni (150 se la notifica deve essere fatta all’estero). Nelle cause in cui sussistono particolari ragioni di urgenza, il Presidente del tribunale, su istanza di parte, può abbreviare i termini sino alla metà.La notifica della citazione al convenuto, comporta due diversi tipi di effetti:- Effetti processuali: sono quelli che la domanda giudiziale produce sul rapporto processuale (esistenza giuridica del rapporto processuale, fissa il momento in cui devono ricorrere tutti i presupposti processuali, fissa la materia oggetto del contendere);- Effetti sostanziali: in base al principio che il tempo necessario allo svolgimento del processo non deve danneggiare la parte che ha ragione (interrompe la prescrizione, impedisce la decadenza).Nullità della citazione (art. 164 c.p.c.)Si possono distinguere due ipotesi di nullità della citazione a seconda che siano viziati gli elementi della vocatio in ius o della edictio actionicìs. Riguardo alla vocatio in ius, l’atto di citazione è nullo: se è omesso o risulta assolutamente incerto uno dei requisiti stabiliti nei punti 1) e 2) dell’art. 163; se manca la data dell’udienza di comparizione; se al convenuto è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito nell’art. 163 bis; se manca l’avvertimento delle decadenze previste al punto 7) dell’art. 163. Si possono verificare due diverse conseguenze: 1) se il convenuto si costituisce in giudizio, allora si verifica la sanatoria dei vizi con efficacia retroattiva; 2) se il convenuto non si costituisce, il giudice rileva la nullità dell’atto, e dispone d’ufficio la rinnovazione dello stesso entro un termine perentorio; se la rinnovazione viene eseguita, si verifica la sanatoria dell’atto con efficacia retroattiva, se non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo ed il processo si estingue. Mentre, si ha nullità circa l’edictio actionis, quando l’atto di citazione è privo delle indicazioni ai punti 3) e 4) dell’art. 163. Anche qui possono verificarsi due ipotesi: 1) se il convenuto si costituisce, il giudice concede all’attore un termine perentorio per integrare la domanda in quelle parti mancanti; 2) se il convenuto non si è costituito, il giudice fissa un termine perentorio per la rinnovazione dell’atto di citazione, pena l’estinzione del processo. In dette ipotesi, a differenza della vocatio in ius, la sanatoria ha efficacia “non retroattiva”, ossia restano fermi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione. Costituzione delle parti in giudizioLa costituzione in giudizio è l’atto con cui la parte si presenta per mezzo del suo difensore (o personalmente nei casi in cui la legge lo consente), innanzi al giudice davanti al quale pende il processo.Ai sensi dell’art. 165 c.p.c., l’attore deve costituirsi entro 10 giorni dalla notificazione della citazione al convenuto (o 5 gg. nel caso di abbreviazione dei termini), depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo9 e il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione notificata (con la relata di notifica), la procura e i documenti che offre in comunicazione.

8 Ad esempio, in caso di incapace il rappresentante legale.9 Istanza rivolta al cancelliere, di iscrivere la causa nel “ruolo generale degli affari contenziosi civili”.

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Il convenuto deve costituirsi (ex art. 166) a mezzo del procuratore (o personalmente) almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione (10 giorni nel caso di abbreviazione dei termini), depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la copia dell’atto di citazione notificatogli, la comparsa di risposta, la procura e i documenti che offre in comunicazione.La comparsa di risposta è il primo scritto difensivo del convenuto (art. 167). In essa, il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, deve indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e deve formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e deve dichiarare se intende chiamare un terzo in causa.Ritardata costituzione delle parti (art. 171 c.p.c)Qualora entrambe le parti non si costituiscono entro il termine stabilito il processo si estingue (ex art. 307 c.p.c.) per inattività delle parti. Se invece una delle parti si è costituita nel termine a lei assegnato, l’altra parte può costituirsi entro l’udienza di prima comparizione (arti. 180 c.p.c.), ma restano ferme per il convenuto le decadenze di cui al citato art. 167. La parte che non si costituisce in tale udienza è dichiarata contumace con ordinanza dal giudice istruttore.Iscrizione della causa a ruolo e formazione del fascicolo d’ufficioAll’atto della costituzione dell’attore, o se questi non si è costituito del convenuto, su presentazione della nota di iscrizione a ruolo, il cancelliere iscrive la causa nel ruolo generale del contenzioso civile. Contemporaneamente questi forma il fascicolo d’ufficio al fine di trasmetterlo “senza indugio” al Presidente del Tribunale, affinché questi possa designare il giudice istruttore (art. 168 bis).

FASE ISTRUTTORIAI poteri del giudice istruttoreIl giudice istruttore (G.I.) esercita tutti i poteri necessari per il più sollecito e leale svolgimento del procedimento; egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti devono compiere gli atti processuali.Tutti i provvedimenti del G.I., salvo che la legge disponga diversamente, hanno la forma dell’ordinanza. Le ordinanze pronunciate in udienza si presumono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi; quelle pronunciate fuori dall’udienza sono comunicate a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi. Tali ordinanze (sempre motivate) non possono mai pregiudicare la decisione della causa, e possono essere sempre modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate (art. 177). La legge, però, prevede tre ipotesi di ordinanze immodificabili e irrevocabili: a) ordinanze pronunciate sull’accordo delle parti in materia di cui possono disporre; b) ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge (es. ordinanza con cui il giudice decide sull’istanza di ricusazione, art. 54 c.p.c.); c) ordinanze per le quali la legge predispone uno speciale mezzo di reclamo (es. il reclamo proposto contro le ordinanze che dichiarano l’estinzione del processo, pronunciate dal giudice istruttore che non opera in funzione di giudice unico).Trattazione della causaLe modifiche apportate, dalle citate leggi - legge n. 80/2005, legge n. 263/2005, legge n. 51/2006 -, alla fase di trattazione del giudizio di cognizione, ne hanno trasformato profondamente la fisionomia10. In primo luogo, è stata soppressa la prima udienza di sola comparizione delle parti disciplinata dal precedente art. 180 c.p.c.; alcune facoltà sono precluse se non esercitate prima dell’udienza (non solo le domande riconvenzionali e la richiesta di chiamare in giudizio il terzo, ma

10 Con la riforma de qua, non si ha più la distinzione tra l’udienza di prima comparizione e la prima udienza di trattazione. Quello che in precedenza era previsto dagli artt. 180 e 183 c.p.c., attualmente è regolato nel solo novellato art. 183. Difatti, il nuovo testo dell’art. 180, si limita a disciplinare la forma della trattazione, stabilendo che “la trattazione della causa è orale e che della stessa si redige processo verbale”. Inoltre, non si ha più l’obbligo della comparizione personale delle parti, comparizione che viene autorizzata dal g.i. qualora le parti ne facciano concorde richiesta. Altra differenza rilevante, è la riunione dei doppi termini ex artt. 183 e 184 c.p.c.

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anche le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio11 devono essere proposte nella comparsa di risposta tempestivamente depositata in cancelleria). Pertanto, la prima udienza è ora disciplinata interamente dall’art. 183 c.p.c. Inoltre, il novellato testo dell’art. 184 (che in precedenza disciplinava l’udienza per le deduzioni istruttorie), regola l’udienza in cui si procede all’assunzione dei mezzi di prova ammessi dal giudice. Mancata comparizione delle parti12 (art. 181 c.p.c.)Nessuna delle parti regolarmente costituite compare all’udienza di prima comparizione: il giudice istruttore fissa un’udienza successiva; qualora le parti non compaiono neanche a questa udienza il giudice con ordinanza non impugnabile dispone la cancellazione della causa dal ruolo e la causa viene a trovarsi in uno stato di quiescenza per un anno, entro il quale le parti devono riassumere la causa. Decorso inutilmente tale anno il processo si estingue (“estinzione mediata”).L’attore costituito non compare in udienza: se il convenuto è interessato alla definizione della causa, la stessa procede in assenza dell’attore; in caso contrario, il giudice fissa una nuova udienza la cui data deve essere comunicata all’attore, ma se l’attore non compare neppure in questa udienza, la causa viene cancellata dal ruolo e il processo si estingue immediatamente. Il convenuto costituito non compare in udienza: il giudizio prosegue in sua assenza.Prima comparizione della parti e trattazione della causa (art. 183 c.p.c.)In tale udienza, il G.I. verifica la regolarità del contraddittorio, (ossia la regolare costituzione delle parti, in caso di litisconsorzio necessario che siano presenti tutti i litisconsorti, ecc.) emettendo, quando occorre, i relativi provvedimenti. Nel caso in cui il giudice debba emettere tali provvedimenti, o qualora si debba procedere al tentativo di conciliazione13, verrà fissata una nuova udienza di trattazione.Nell’udienza di trattazione o in quella ulteriore eventualmente fissata, il G.I. richiede alle parti i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.Il quinto comma dell’art. 183, stabilisce che nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto (c.d. reconventio reconventionis). Può altresì essere autorizzato a chiamare un terzo in causa, solo se tale esigenza deriva dalle difese del convenuto.Entrambe le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. Tale facoltà però consente alle parti una semplice modifica di ciò che è stato già formulato (emendatio libelli), e non anche di mutare completamente le domande o addirittura di proporne delle nuove (mutatio libelli).Su richiesta delle parti il giudice fissa loro un triplice ordine di termini perentori: di 30 giorni per il deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; di altri 30 giorni per replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dell’altra parte e per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime, per l’indicazione dei mezzi di prova e per le produzioni documentali; un ulteriore termine di 20 giorni per le sole indicazioni di prova contraria. Con ordinanza fissa l’udienza di cui all’art. 184 c.p.c. per l’assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti.

I provvedimenti anticipatori di condannaAl fine di accelerare la tutela dei diritti, la legge n. 353/90 ha introdotto la possibilità per il G.I. di emettere provvedimenti di condanna in corso di causa, che anticipano in tutto o in parte gli effetti dell’eventuale sentenza di condanna. Funzione essenziale di tali provvedimenti è quella di

11 Tali eccezioni, prima della riforma, dovevano essere rilevate dal convenuto entro un termine perentorio che gli veniva concesso dal g.i. nella udienza di prima comparizione (disciplinata dal precedente testo dell’art. 180 c.p.c.).12 Per comparizione si intende la presenza in udienza della parte regolarmente costituita. La mancata costituzione determina la contumacia, mentre la mancata comparizione determina l’assenza.13 A differenza di quanto previsto prima della riforma, (in cui nella prima udienza di trattazione, ex art. 183, le parti avevano l’obbligo di comparire personalmente affinché il G.I. potesse interrogarle liberamente e tentare la conciliazione), la comparizione personale della parti è prevista solamente nel caso in cui siano le stesse a richiederlo.

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soddisfare esigenze immediate di tutela, scoraggiando la prosecuzione di giudizi dettati da finalità dilatorie.- Ordinanza per il pagamento delle somme non contestate (art. 186 bis c.p.c.): su istanza di parte14

il G.I. può disporre, fino al momento della precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite. Tale ordinanza è revocabile, e costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia anche in caso di estinzione del processo. Il presupposto che è alla base di questa ordinanza è quello della non contestazione “consapevole” della somma da pagare, e pertanto non può essere pronunciata nei confronti della parte contumace.- Istanza di ingiunzione (art. 186 ter c.p.c.): anche tale ordinanza viene pronunciata su istanza di parte15, fino al momento della precisazione delle conclusioni. Essa si basa sugli stessi presupposti previsti per il decreto ingiuntivo (procedimento speciale disciplinato dagli artt. 633 e ss.): deve avere ad oggetto o una somma liquida di denaro, o una determinata cosa mobile o una determinata quantità di cose fungibili, e deve basarsi su prova scritta. È provvisoriamente esecutiva quando si basa su titolo di credito o atto ricevuto da pubblico ufficiale (art. 642). Può essere emanata anche nei confronti di un contumace, ma in tal caso l’ordinanza deve essergli notificata, con l’avvertimento che se non si costituisce entro 20 gg. dalla notifica, questa diventa esecutiva.- Ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione (art. 186 quater c.p.c.): esaurita l’istruzione, il G.I., su istanza di parte, può disporre il pagamento di una somma di denaro, la consegna di un bene mobile o il rilascio di un bene immobile nei limiti in cui ritiene raggiunta la prova. L’ordinanza acquista efficacia di sentenza sia se il giudizio si estingue, sia se l’intimato rinuncia alla pronuncia della stessa16. Passaggio dalla fase istruttoria alla fase decisoriaL’art. 187 c.p.c. analizza le ipotesi che si possono verificare durante lo svolgimento della causa: se il G.I. ritiene la causa matura per la decisione di merito, senza l’assunzione dei mezzi di prova, rimette la causa in decisione (rimessione totale); può rimettere la causa parzialmente in decisione, quando deve essere risolta una questione di merito avente carattere preliminare (es. eccezione di prescrizione), o una questione attinente alla giurisdizione o alla competenza o ad altra pregiudiziale; infine, qualora il G.I. ritiene necessario procedere all’istruzione probatoria, ammette i mezzi di prova proposti dalle parti, che ritiene ammissibili e rilevanti, ed ordina gli altri mezzi che può disporre d’ufficio.In seguito alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 51/98, la causa viene rimessa al collegio, nei soli casi indicati nell’art. 50 bis c.p.c.; in tutte le altre ipotesi la causa prosegue dinanzi al G.I. che decide in funzione di giudice unico)Rimessione della causa al collegio (art. 189-190 c.p.c.)Il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre a quest’ultimo, concedendo alle stesse un doppio perentorio ai sensi dell’art. 190 c.p.c.: un primo termine di 60 gg. per il deposito delle comparse conclusionali, ed un ulteriore termine di 20 gg per il deposito delle memorie di replica.

SINTESICitazione (art. 163 c.p.c.): atto introduttivo del giudizio di cognizione ordinario. Doppia funzione: rivolto sia al convenuto che al giudice.

14 Se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone con decreto la comparizione della parti, assegnando un termine alla parte istante per la notificazione del decreto stesso (periodo aggiunto dalla legge n. 263/2005).15 Se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone con decreto la comparizione della parti, assegnando un termine alla parte istante per la notificazione del decreto stesso (periodo aggiunto dalla legge n. 263/2005).16 La legge n. 263/2005 ha modificato le modalità con cui l’ordinanza ex art. 186 quater acquista l’efficacia della sentenza impugnabile: non è più richiesta l’attivazione della parte intimata (che dichiari di rinunciare alla pronuncia della sentenza con atto notificato alla controparte), ma è sufficiente che la parte intimata non manifesti entro 30 giorni la volontà che sia pronunciata la sentenza.

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Costituzione: è l’atto con cui la parte, per mezzo del difensore o personalmente nei casi previsti dalla legge, si presenta innanzi al giudice adito.Comparsa di risposta (art. 167 c.p.c.): primo atto difensivo del convenuto, che deve contenere, le eccezioni, l’eventuale domanda riconvenzionale e la chiamata di un terzo in causa.

SCHEMATIZZAZIONE

FASI DEL PROCESSO DI COGNIZIONE

RIPASSO Per fissare le idee sugli argomenti trattati si cerchi di rispondere ai seguenti quesiti:

1) Cosa si intende per atto doppiamente recettizio?2) Cosa determina la mancanza dell’avvertimento al convenuto ai sensi del n. 7, art. 163?3) Da chi viene designato il G.I.?4) Ordinanze anticipatorie di condanna.5) Entro che termine l’attore può chiamare in causa un terzo?

UNITA’ DIDATTICA 7ISTRUZIONE PROBATORIA E DECISIONE

DEL GIUDIZIO DI COGNIZIONE.VICENDE ANOMALE DEL PROCESSO

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Nullità della citazione.b) Termini per comparire.c) Ritardata costituzione delle parti.d) Ordinanze non modificabili e non revocabili.e) Prima udienza di trattazione. f) Differenze tra il 186 bis ed il 186 ter.

L’istruzione probatoriaL’istruzione probatoria è quella parte della fase istruttoria diretta a raccogliere le prove necessarie per la decisione delle questioni individuate e discusse in fase di trattazione. È una fase meramente eventuale.L’onere della prova, ex art. 2697 c.c., spetta alle parti; se la parte non fornisce tale prova soccombe nella causa. Ci sono dei casi espressamente previsti dalla legge, in cui è il giudice che può disporre d’ufficio l’assunzione di una prova (es. ordinanza d’ispezione).L’assunzione dei mezzi di prova riguarda le prove costituende (vale a dire quelle che si devono formare nel corso del processo), e non anche quelle precostituite (che si costituiscono fuori del giudizio, es. prove documentali) che devono essere messe a disposizione del giudice mediante il loro deposito. L’assunzione della prova è disposta con ordinanza, previo accertamento

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PREPARATORIAISTRUTTORIA

Trattazione

DECISORIA

Essa è costituita da due udienze:- Prima comparizione e trattazione

della causa (art. 183)- Udienza di assunzione dei mezzi

di prova (art. 184)

Istruzione probatoria

In tale sottofase si procede all’assunzione dei mezzi di prova ammessi dal giudice

nella trattazione

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dell’ammissibilità e della rilevanza della stessa. L’ammissibilità è il requisito di legalità della prova, in quanto questa per essere ammessa deve essere consentita dalla legge. La rilevanza implica invece un giudizio preliminare di utilità della prova, nel senso che la prova deve essere efficace e non superflua per la dimostrazione di ciò che si vuole provare.I mezzi di provaProve precostituite (o prove documentali )In relazione all’efficacia il codice civile distingue due tipi fondamentali di prova documentale: l’atto pubblico e la scrittura privata.Atto pubblico (art. 2699 e ss. c.c.): l’atto pubblico è il documento redatto con le richieste formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo in cui l’atto è formato. Esso fa piena prova fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato e delle dichiarazioni e dei fatti che questi attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.Scrittura privata (art. 2702 e ss. c.c.): la scrittura privata è qualunque documento scritto, che non proviene da un pubblico ufficiale, ma è sottoscritto dalla parte. Essa ha la stessa efficacia dell’atto pubblico, ossia fa piena prova fino a querela di falso, quando è autenticata (sottoscritta dinanzi ad un notaio o ad altro pubblico ufficiale), riconosciuta in giudizio (ossia la parte contro cui è depositata la riconosce in udienza) o verificata (in seguito ad una istanza di verificazione). Verificazione della scrittura privata (art. 214 e ss., c.p.c.)Nel caso in cui la parte contro cui è prodotta la scrittura privata la disconosce, la controparte (quella che ha depositato in giudizio il documento disconosciuto) se intende valersene, può proporre istanza di verificazione: chiedere che venga accertata l’autenticità della scrittura disconosciuta o della sua sottoscrizione. Insieme all’istanza devono essere depositati i documenti utili per la comparazione; in mancanza di questi il giudice può ordinare alla parte di scrivere sotto dettatura dinanzi ad un perito calligrafico. Se la parte invitata a comparire personalmente non si presenta, o si rifiuta di scrivere senza giusto motivo, la scrittura si ritiene riconosciuta . Sulla verificazione si pronuncia l’organo decidente con sentenza.Querela di falso (art. 221 e ss. c.p.c.)La querela di falso è l’istanza diretta ad ottenere l’accertamento della falsità materiale (contraffazione) o ideologica (contenuto) di un atto pubblico o di una scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata. È proposta dalla parte contro cui il documento è stato depositato. La querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità, e deve essere proposta personalmente dalla parte o a mezzo di procuratore speciale con atto di citazione (se è proposta in via principale), con dichiarazione da unirsi al verbale di udienza (se è proposta in corso di causa). In quest’ultimo caso, il G.I. interpella la parte che ha prodotto il documento chiedendo se intende utilizzarlo in giudizio. Se la risposta è negativa il documento non è utilizzabile; se è affermativa, il giudice che ritiene quel documento rilevante, autorizza la presentazione della querela. É obbligatorio l’intervento del P.M. nel processo, e la decisione spetta al Tribunale in composizione collegiale.Esibizione delle proveLa parte che intende avvalersi di una prova documentale che, però, è nella materiale disponibilità di un terzo o della controparte, può chiedere al giudice di ordinare l’esibizione di quel documento. La parte nell’istanza deve indicare il documento da esibire ed i fatti di causa cui fa riferimento. L’esibizione non è ammissibile se comporta, per la parte o il terzo che possiede il documento, la violazione di un segreto professionale o d’ufficio.Prove costituendeLa confessione (art. 228 e ss. c.p.c.): è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte (art. 2730 c.c.). Oggetto della confessione possono essere soltanto i fatti della causa. La confessione può essere giudiziale (quando è resa in giudizio, in questo caso forma piena prova contro colui che l’ha fatta) o stragiudiziale (quando è fatta fuori dal giudizio, essa se è resa alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia di quella giudiziale -

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ossia di prova legale -, se è resa ad un terzo o se è contenuta in un testamento può essere liberamente valutata dal giudice). La confessione giudiziale può essere: spontanea, quando è contenuta in un qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente, o provocata, cioè ottenuta mediante l’interrogatorio formale. Tale interrogatorio è il mezzo di prova che tende, appunto, a provocare la confessione. La parte che intende far interrogare l’avversario deve proporre le domande formulando articoli separati e specifici. Quando il G.I. ammette l’interrogatorio, non può fare domande su fatti diversi da quelli formulati nei capitoli, può solo chiedere chiarimenti sulle risposte ricevute (tranne accordo diverso delle parti). Se la parte non si presenta o non risponde senza giustificato motivo, il giudice potrà, valutato ogni altro elemento di prova, ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio.Il giuramento (art. 233 e ss. c.p.c.): è la dichiarazione con cui una parte asserisce come vero un fatto nel rispetto di precise formalità. Il fatto su cui è stato fatto giuramento, costituisce prova legale. Esistono tre tipi di giuramento:- giuramento decisorio, è quello che una parte deferisce all’altra per farne dipenderne la decisione totale o parziale della causa. La parte alla quale il giuramento è stato deferito, finché non abbia dichiarato di essere pronta a giurare, può riferirlo all’avversario. La parte che ha deferito o riferito il giuramento non può più revocarlo quando l’avversario dichiara di essere pronto a giurare. Il giuramento è prestato dalla parte ed è ricevuto dal giudice istruttore. La parte alla quale il giuramento è deferito, se non si presenta senza giustificato motivo all’udienza fissata appositamente, o comparendo rifiuta di prestarlo o non lo riferisce all’avversario, soccombe rispetto alla domanda.- giuramento suppletorio, è quello che è deferito d’ufficio dal giudice ad una delle parti al fine di decidere la causa. È un mezzo di prova “integrativo”, difatti il giudice ricorre ad esso quando non abbia una piena e totale cognizione della causa. Potendo essere deferito solo dal giudice ad una delle parti, questa non può a sua volta riferirlo alla controparte.- giuramento estimatorio, è una particolare specie del giuramento suppletorio. Viene deferito dal giudice al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non è possibile accertarlo in altro modo.La prova testimoniale (art. 244 e ss. c.p.c.): è la narrazione dei fatti della causa compiuta davanti al giudice nel corso del processo e con determinate forme, da soggetti che non sono parti e che non hanno neanche un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati. Il testimone prima di fare la dichiarazione deve prestare il giuramento davanti al giudice. Successivamente il G.I. richiederà le generalità al testimone ed eventualmente se esistono dei rapporti di parentela con alcuna delle parti. Se il testimone regolarmente intimato non si presenta, il giudice può ordinare una nuova intimazione o l’accompagnamento coattivo.La testimonianza non è ammissibile quando è diretta a provare: contratti il cui valore ecceda euro 2,58 (ma il giudice può valutare diversamente); patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, purché stipulati anteriormente o contemporaneamente al documento stesso; documenti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam.Al contrario, è sempre ammissibile: quando vi è un principio di prova scritta; quando il contraente dimostri di essere stato nell’impossibilità materiale o morale di procurarsi la prova scritta; quando il contraente ha smarrito senza sua colpa la prova scritta.

FASE DECISORIASi giunge alla fase decisoria, nel momento in cui il G.I. ritiene la causa matura. Al di fuori dei casi indicati nell’art. 50 bis c.p.c., in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, la causa viene decisa sempre dal tribunale monocratico, in funzione di giudice unico. Tribunale collegiale (art. 275 c.p.c.)

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Rimessa la causa al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria entro 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica di cui all’art. 190 c.p.c. (c.d. “trattazione scritta”). Ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente davanti al collegio. Tale richiesta deve essere riproposta al Presidente del Tribunale alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. Il presidente provvederà con decreto fissando la data in cui si terrà l’udienza di discussione, da tenersi entro 60 giorni (c.d. “trattazione mista”). La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa potranno partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione. Il collegio sotto la direzione del presidente decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e poi il merito. La decisione è presa a maggioranza dei voti. Chiusa la votazione il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo; la motivazione è stesa dal relatore. Il collegio nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni definendo il giudizio.Forma dei provvedimenti del collegio (art. 279 c.p.c.)I provvedimenti pronunciati dal collegio possono avere la forma di: sentenza definitiva, sentenza non definitiva e ordinanza .È definitiva la sentenza che decide tutte le domande proposte dalle parti e le relative eccezioni, definendo il giudizio. In quanto tale è immediatamente impugnabile. Il collegio pronuncia sentenza definitiva: 1) quando definisce il giudizio decidendo positivamente su questioni di giurisdizione e competenza; 2) quando definisce il giudizio decidendo questioni preliminari di merito (es. accoglimento dell’eccezione di prescrizione); 3) quando il collegio decide totalmente il merito.È non definitiva la sentenza che non definisce il giudizio, ed esso prosegue per l’emanazione della sentenza definitiva (es. rigetto dell’eccezione di incompetenza e del difetto di giurisdizione). Un esempio di sentenza non definitiva è la c.d. condanna generica (art. 278 c.p.c.), che si ha quando il giudice decide sull’an, ossia sull’esistenza del diritto, ma non anche sul quantum debeatur. Nel momento in cui il collegio pronuncia una sentenza non definitiva, contestualmente emette un’ordinanza con cui dispone la prosecuzione della fase istruttoria.

Tribunale in composizione monocraticaNel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni inerenti la decisione dinnanzi al Tribunale collegiale (art. 281 bis c.p.c.). Rimessa la causa in decisione, la sentenza è depositata in cancelleria entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica di cui all’art. 190 c.p.c. (art. 281 quinquies, primo comma, c.d. “trattazione scritta”). Il giudice, quando una delle parti lo richiede, dispone lo scambio delle sole comparse conclusionali e fissa l’udienza di discussione non oltre 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie medesime; la sentenza è depositata in cancelleria nei 30 giorni successivi all’udienza (art. 281 quinquies, secondo comma, c.d. “trattazione mista”). Se però, il giudice ritiene la causa già matura per la decisione, può ordinare la discussione orale, senza scambio di memorie scritte, e pronuncia la sentenza direttamente in udienza (art. 281 sexies, c.d. “trattazione orale”).Esecutorietà delle sentenzeL’art. 282 c.p.c., modificato dalla legge n. 353/90, stabilisce che la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti. Il giudice d’appello però su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando ricorrono gravi motivi, “anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza “con o senza cauzione” 17 (art. 283 c.p.c., c.d. inibitoria della sentenza).Il procedimento in contumaciaLa contumacia è la situazione in cui si viene a trovare la parte che dopo aver proposto la domanda o dopo essere stata regolarmente citata, non si costituisce in giudizio.Contumacia dell’attore (art. 290 c.p.c): se l’attore non si costituisce il convenuto può fare richiesta di prosecuzione del giudizio, altrimenti il giudizio si estingue.

17 I periodi inseriti tra le virgolette, sono stati introdotti dalla legge n. 263/2005.

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Contumacia del convenuto (art. 291 c.p.c): se il convenuto non si costituisce, il giudice deve verificare la regolarità dell’atto di citazione e della sua notificazione. In caso di regolarità il giudice dichiara contumace il convenuto; altrimenti concede all’attore un termine perentorio per rinnovare la citazione, decorso inutilmente il quale il processo si estingue.Ai sensi dell’art. 292, vi sono degli atti che devono essere notificati personalmente al contumace (es. ordinanze che ammettono l’interrogatorio formale o il giuramento, le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali, ...). La parte dichiarata contumace può costituirsi tardivamente fino all’udienza di precisazione delle conclusioni dovendo, però, accettare la causa nello stato in cui si trova; qualora il contumace dimostra di non essersi potuto costituire nei termini per cause a lui non imputabili, può essere rimesso in termini (art. 294).Vicende anomale del processoLe vicende anomale del processo sono quelle che rendono impossibile, in modo temporaneo o definitivo, che la causa giunga alla sua conclusione normaleSospensione del processo (art. 295 e ss. c.p.c.): è l’arresto temporaneo del suo svolgimento, disposto dal giudice quando la decisione della causa dipende dalla risoluzione di un’altra controversia (sospensione necessaria, art. 295), oppure su istanza di tutte le parti (sospensione concordata, art. 296). In quest’ultima ipotesi la sospensione non può essere superiore a 4 mesi. Durante la sospensione rimangono interrotti i termini per il compimento di atti processuali. L’art. 297 c.p.c. regola la disciplina della riassunzione del processo sospeso. L’ipotesi normale è che il g.i. con l’ordinanza con cui dispone la sospensione, fissa l’udienza in cui il processo deve proseguire. In caso contrario, se si tratta di sospensione necessaria, entro 6 mesi dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione le parti devono chiedere al giudice la fissazione dell’udienza. Nel caso di sospensione concordata invece, la domanda deve essere proposta 10 giorni prima della scadenza del termine dei 4 mesi. Il termine dei 10 giorni non è perentorio. La forma dell’istanza di riassunzione è quella del ricorso diretto al G.I.. L’inosservanza del termine per l’istanza di riassunzione fa estinguere il processo.Interruzione del processo (art. 299-305 c.p.c.): è un istituto volto a regolare la situazione che si determina quando un certo evento colpisce uno dei soggetti del processo medesimo. I soggetti presi in considerazione sono la parte, il suo rappresentante, e il suo difensore. Gli eventi rilevanti ai fini dell’interruzione sono, per la persona fisica la morte e la perdita della capacità di stare in giudizio (si aggiunga la radiazione o la sospensione dall’albo per il difensore); per la persona giuridica sono i fatti che determinano il venir meno del soggetto (es. estinzione) o quelli che incidono sul suo modo di partecipazione alla vita giuridica (es. fallimento). L’efficacia dell’evento dal punto di vista dell’interruzione è diversa a seconda del tempo in cui esso avviene e della persona che ne è colpita (art. 299-301). L’interruzione del processo produce gli stessi effetti della sospensione: si può dire che l’interruzione è una forma di sospensione. Nessun atto può essere compiuto, nessun termine può venire a maturazione. La prosecuzione del processo successivamente al fatto interruttivo si ha per costituzione spontanea della parte rispetto alla quale si è verificato il fatto medesimo. La parte che intende proseguire il processo deve chiedere al giudice la fissazione dell’udienza. La riassunzione ha invece luogo per iniziativa dell’altra parte. La riassunzione deve avvenire davanti allo stesso tribunale dinanzi al quale era pendente il processo al momento in cui si è determinata l’interruzione. Sia la prosecuzione che la riassunzione devono avvenire nel termine di 6 mesi dalla data in cui le parti abbiano avuto conoscenza dell’interruzione, altrimenti il processo si estingue.Estinzione del processo (artt. 306-310 c.p.c.): è la cessazione anticipata del processo per una causa che impedisce la sua prosecuzione. Può essere determinata dalla rinuncia agli atti, o dall’inattività delle parti. La rinuncia agli atti è l’espressa dichiarazione di volontà dell’attore di porre fine al processo senza giungere alla sentenza definitiva di merito sulla domanda da lui proposta. Tale dichiarazione per produrre effetto deve essere accettata dalla controparte, la quale potrebbe avere interesse a proseguire il processo (art. 306). L’inattività delle parti costituisce un altro modo di

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estinzione del processo che può verificarsi immediatamente o dopo un periodo di quiescenza. L’estinzione si determina immediatamente se le parti, alle quali spetta rinnovare la citazione, proseguire riassumere o integrare il giudizio, non vi provvedono nel termine perentorio stabilito dalla legge o fissato dal giudice (es. il convenuto non si costituisce per nullità della citazione e l’attore non provvede a rinnovarla). L’estinzione non si determina immediatamente, ma sopravviene ad un periodo di quiescenza, quando ad esempio le parti non compaiono all’udienza successiva alla quale esse non erano intervenute (art. 181 c.p.c.). In tali casi la causa viene cancellata dal ruolo e solo se non viene riassunta davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di 1 anno, il processo si estingue (“estinzione mediata”). L’estinzione è dichiarata con ordinanza dal G.I., e questa viene comunicata alle parti a cura del cancelliere. Contro di essa è ammesso reclamo al collegio, e su di esso il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza se respinge il reclamo, con ordinanza non impugnabile se l’accoglie.L’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti eccezion fatta per le sentenze di merito pronunciate nel corso della causa, per le sentenza che regolano la competenza, per le prove raccolte (art. 310).Processo di cognizione davanti al giudice di pace (art. 311 e ss. c.p.c.)Il processo di cognizione davanti al giudice di pace si presenta più semplice e diverso da quello davanti al tribunale soprattutto nella fase introduttiva. Innanzitutto, è previsto che la domanda può essere presentata anche oralmente. In questo caso l’attore si presenta davanti al giudice di pace in giorni prestabiliti esponendo i fatti: di tale esposizione sarà redatto processo verbale che lo stesso attore dovrà notificare alla controparte con l’invito a comparire ad udienza fissa. Inoltre, davanti al giudice di pace ci si può costituire anche senza il difensore nelle cause di valore non superiore ad euro 516,46 o se si è autorizzati dallo stesso giudice (art. 82 c.p.c.). Infine i termini di comparizione delle parti sono ridotti alla metà rispetto a quelli previsti dall’art. 163 bis c.p.c.

SINTESIL’istruzione probatoria, quella in cui si procede all’assunzione dei mezzi di prova, è una fase eventuale del processo di cognizione. I mezzi di prova sono gli strumenti per realizzare la prova (che è lo strumento di rappresentazione ed accertamento di fatti storici e di ricerca della verità). Nel momento in cui il giudice ritiene la causa matura per la decisione, in seguito o meno alla fase istruttoria in senso stretto, rimette la causa in decisione (a se stesso o al collegio ex art. 50 bis).Vicende anomale del processo: sospensione e interruzione, che rappresentano un arresto temporaneo del processo, ed estinzione, cessazione anticipata del processo stesso.

SCHEMATIZZAZIONE

RIPASSO Per fissare le idee sugli argomenti trattati si cerchi di rispondere ai seguenti quesiti:

1) Differenze tra prove precostituite e costituende.2) Cosa succede in caso di mancata prestazione del giuramento decisorio?3) Chi è legittimato a proporre querela di falso?4) Differenza tra sentenza definitiva e non definitiva. Fare anche degli esempi.5) Interruzione del processo.

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Notifica della

citazioneUdienza di

prima comparizione e trattazione della causa

Udienza di assunzione dei mezzi di

prova Udienza di precisazione

delle conclusioni

Costituzione delle parti ed

iscrizione della causa a ruolo

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UNITA’ DIDATTICA 8LE IMPUGNAZIONI

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Querela di falso.b) Differenza fra esibizione e comunicazione. c) Confessione provocata.d) Limiti della prova testimoniale.e) Inibitoria della sentenza.f) Sospensione necessaria.g) Effetti dell’estinzione del processo.

Prima di iniziare lo studio delle impugnazioni, leggere attentamente la sezione prima del capitolo VIII del secondo libro del Manuale di diritto processuale civile, Mandrioli, inerente i mezzi di impugnazione in generale, nonché consultare i relativi articoli del codice di procedura.

Impugnazioni in generaleCon il termine “impugnare”, si indica il potere conferito ad una parte di rimuovere, riformare, il provvedimento del giudice che essa ritiene ingiusto o illegittimo. Condizioni per l’impugnazioni sono: 1) legittimazione ad impugnare, essere stati parti nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata; 2) interesse ad impugnare, interessa dato dalla soccombenza (parziale o totale); 3) possibilità giuridica ad impugnare, il provvedimento deve essere impugnabile.I mezzi di impugnazione sono: il regolamento di competenza, l’appello, il ricorso per Cassazione, la revocazione, l’opposizione di terzo (art. 323 c.p.c.).Le impugnazioni si possono distinguere in ordinarie, la cui proposizione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza (regolamento di competenza, appello, ricorso per Cassazione e revocazione ordinaria), e straordinarie, che possono proporsi anche contro un sentenza passata in giudicato (revocazione straordinaria e opposizione di terzo). S’intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta ai mezzi di impugnazione ordinari (art. 324 c.p.c.).I termini per l’impugnazioneI termini per impugnare possono essere brevi e lunghi. Il termine lungo è previsto per i soli mezzi di impugnazione ordinari, ed è di un anno dalla pubblicazione della sentenza. Il termine breve decorre dalla notificazione della sentenza, ed è di 30 gg. per l’appello e la revocazione ordinaria (n. 4 e 5 art. 395 c.p.c.), e di 60 gg. per il ricorso per Cassazione. Per la revocazione straordinaria (art. 395 n.1-2-3-6 c.p.c.) e per l’opposizione di terzo revocatoria (art. 404, comma secondo, c.p.c.) il termine per impugnare è di 30 gg. che decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo, la falsità, ecc..L’acquiescenza totale o parziale: colui il quale fa decorrere inutilmente il termine per l’impugnazione decade dal diritto di proporla. Ma decade altresì da tale diritto colui che accetta espressamente o tacitamente (compiendo atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni) la sentenza (c.d. acquiescenza).Pluralità di parti nel giudizio di impugnazioneIntegrazione del contraddittorio in cause inscindibili (art. 331 c.p.c). Le cause inscindibili si hanno nell’ipotesi in cui le apparenti più cause sono in effetti una sola causa (es. litisconsorzio necessario). In tali casi se la sentenza pronunciata tra più parti in cause inscindibili o tra loro dipendenti non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio fissando il termine entro il quale la notifica deve essere fatta. L’impugnazione è inammissibile se nessuna delle parti provvede all’integrazione entro il termine fissato.

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Notificazione dell’impugnazione relativa a cause scindibili (art. 332 c.p.c.). Le cause scindibili sono quelle riunite per litisconsorzio facoltativo. In questi casi se l’impugnazione di una sentenza è stata proposta soltanto da alcuna delle parti o nei confronti di alcune di esse, il giudice ne ordina la notificazione alle altre in confronto delle quali l’impugnazione non è esclusa entro un termine perentorio. Se la notifica ordinata dal giudice non viene eseguita, il processo rimane sospeso fino a che non siano decorsi i termini entro cui le parti escluse possono proporre impugnazione o fino a che non vi sia stata acquiescenza dalle stesse.Le impugnazioni incidentali e incidentali tardive (artt. 333 e 334 c.p.c.)Le parti alle quali sono state fatte le notificazioni ai sensi dei citati artt. 331 e 333, devono proporre a pena di decadenza le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo. L’impugnazione incidentale è quella proposta dalle parti che non hanno impugnato in via principale (è principale l’impugnazione proposta per prima). L’impugnazione incidentale è “tardiva” se proposta fuori dei termini; in tal caso l’impugnazione incidentale, è condizionata alla regolare proposizione dell’impugnazione principale. Di conseguenza se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, anche l’impugnazione incidentale tardiva perde ogni efficacia.Esecutività della sentenza impugnata (art. 337 c.p.c.)Nessuna impugnazione ha un effetto sospensivo automatico, affinché si abbia sospensione è necessaria l’istanza di parte. Bisogna specificare però che nel caso dell’appello l’istanza va proposta al giudice di appello quando ricorrono gravi motivi; nel caso del ricorso per Cassazione, della revocazione e dell’opposizione di terzo, l’istanza va proposta al giudice della sentenza impugnata, qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno.L’estinzione del processo di appello e della revocazione ordinaria (art. 395 n. 4-5 c.p.c.), fa passare in giudicato la sentenza impugnata.L’appelloInnanzitutto l’appello ha natura di gravame, cioè con esso si ha un riesame totale della controversia ed è sempre concesso al soccombente. È un mezzo di impugnazione a critica libera, vale a dire che si prescinde da particolari motivi per la proposizione di esso. Ha effetto devolutivo, in quanto devolve al nuovo giudice la cognizione dello stesso rapporto sostanziale conosciuto dal primo giudice.Per l’appello è competente il giudice del grado immediatamente superiore a quello che ha pronunciato la sentenza impugnata (il tribunale per le sentenze del giudice di pace, la corte d’appello per le sentenze del tribunale). Appellabilità delle sentenze (art. 339 c.p.c.): possono essere impugnate con appello: le sentenze pronunciate in primo grado, purché l’appello non sia escluso dalla legge o dall’accordo delle parti, o qualora le sentenze siano state pronunciate secondo equità18.La riserva di appello (art. 340 c.p.c): tale riserva consente il differimento dell’impugnazione contro le sentenze non definitive, ossia di riservarsi il diritto di impugnarle in un momento successivo, insieme alla sentenza definitiva. Riserva che deve essere esercitata a pena di decadenza, entro il termine per appellare, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa. Se una parte propone immediatamente impugnazione, l’altra non può più esercitare la riserva, e nel caso l’avesse già esercitata la stessa perde valore.La forma dell’appello principale e l’appello incidentale L’appello si propone con citazione contenente l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione, nonché le indicazioni prescritte nell’art.163 c.p.c. Il termine per comparire è lo stesso previsto nell’art, 163 bis.L’appello incidentale si propone, analogamente alla domanda riconvenzionale del convenuto in primo grado, e anche qui a pena di decadenza nella comparsa di risposta che l’appellato deve

18 Con la riforma sono divenute appellabili al tribunale le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, esclusivamente, però, “per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie o dei principi regolatori della materia” (art. 339, comma secondo, come modificato dal d.lgs. n. 40/2006).

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depositare in cancelleria, all’atto della costituzione in giudizio, almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di appello.L’intervento di terzi in appello (art. 344 c.p.c.): l’intervento di terzi in sede di appello è generalmente inammissibile perché in tal modo si introdurrebbero domande nuove dal terzo o contro il terzo. L’unico intervento ammesso nel giudizio di appello è quello dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell’art. 404 c.p.c.Il divieto dello “jus novorum” in appello (art. 345 c.p.c.): rappresenta il divieto di proporre in appello nuove domande e nuove eccezioni (divieto dello jus novorum). Possono tuttavia essere chiesti gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la pronuncia della sentenza stessa. Non possono essere proposte eccezioni nuove, tranne che siano rilevabili anche d’ufficio. Inoltre, non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il giudice d’appello li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero la parte dimostri di non averli potuto proporre nel corso del giudizio di primo grado per causa a lei non imputabile. Inammissibilità e improcedibilità dell’appelloL’appello è “inammissibile” quando i presupposti per appellare vengono a mancare in un momento antecedente o contestuale alla proposizione della domanda: appello proposto oltre i termini stabiliti dalla legge; difetto delle condizioni di impugnare (es. non c’è soccombenza); mancata integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c.Invece, è dichiarato “improcedibile”, anche d’ufficio, se l’appellante non si costituisce nei termini, oppure se, regolarmente costituitosi, non compare alla prima udienza né all’udienza successiva fissata dal giudice con ordinanza non impugnabile, della quale il cancelliere dà comunicazione all’appellante (art. 348). L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se il termine non è ancora decorso.La trattazione (artt. 350-351 c.p.c.)Se l’appello è stato proposto davanti alla Corte di appello, la causa sarà trattata dal collegio; se il giudice di appello è il tribunale, questo tratterà la causa in composizione monocratica. Nella prima udienza di trattazione il giudice verifica la regolarità del contraddittorio.La parte poi può, con ricorso, chiedere al giudice che la decisione sulla sospensione dell’efficacia della sentenza, sia pronunciata prima dell’udienza di comparizione, se vi sono motivi d’urgenza. Il giudice deciderà con decreto.La decisione (art. 352 c.p.c.)Il giudice una volta esaurita la trattazione della causa, ove non provveda all’assunzione dei mezzi di prova, invita le parti alla precisazione delle conclusioni disponendo lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ex art. 190 c.p.c. La sentenza è depositata entro 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, a meno che le parti richiedono la fissazione dell’udienza di discussione.Rimessione al primo giudice (artt. 353-354 c.p.c.)Vi sono alcune ipotesi in cui il giudice d’appello è tenuto a rinviare la causa al primo giudice: quando il giudice di primo grado ha negato la propria giurisdizione confermata, invece, dal giudice di appello; quando viene dichiarata la nullità della notificazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado; quando doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte; quando è dichiarata la nullità della sentenza di primo grado; quando il giudice d’appello riforma la sentenza che ha dichiarato l’estinzione del processo.La causa deve essere riassunta dalle parti davanti al primo giudice entro il termine perentorio di 6 mesi dalla notifica della sentenza, pena l’estinzione del processo.Il ricorso per cassazione

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Il ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione che non dà luogo ad una nuova valutazione del merito della causa: la Corte di Cassazione è giudice della sola legittimità, ovvero è solo giudice del diritto19.Sentenze impugnabili e motivi del ricorso per CassazioneIl ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione a critica vincolata nel senso che può essere esperito solo per i motivi specificati dalla legge.Secondo l’art. 360 c.p.c., possono essere oggetto di impugnazione le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (s’intendono quelle per cui non è previsto l’appello), e le sentenze su cui le parti si sono accordate per omettere l’appello (c.d. ricorso per saltum).I motivi di ricorso sono tassativamente indicati dal citato art. 360: 1) per motivi attinenti alla giurisdizione; 2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento necessario di competenza; 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e “dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”; 4) per nullità della sentenza o del procedimento; 5) per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”20. Con tale ricorso inoltre possono essere denunciati in ogni tempo i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari, e i conflitti negativi di attribuzione tra la P.A. e i giudici ordinari (art. 362 c.p.c.).Altra ipotesi, è quella del ricorso proposto dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione nell’interesse della legge, qualora le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato. In tal caso le parti non possono giovarsi della cassazione della sentenza (art. 363 c.p.c.).Riserva facoltativa del ricorso contro le sentenze non definitive (art. 361 c.p.c.)L’istituto della riserva facoltativa del ricorso per Cassazione contro le sentenze non definitive è regolato in maniera analoga a quello previsto nel caso di appello.Il contenuto del ricorso ed il ricorso incidentaleLa forma che assume la domanda diretta ad ottenere la cassazione della sentenza è quella del ricorso. Esso è rivolto alla Corte e deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito albo e munito di procura speciale a pena di inammissibilità (art. 365 c.p.c.). Deve inoltre indicare, sempre a pena di inammissibilità: il nome delle parti, la sentenza o la decisione impugnata, l’esposizione dei fatti della causa, i motivi per i quali si chiede la cassazione con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, gli atti processuali, i documenti ed i contratti o accordi collettivi su cui si fonda il ricorso (art. 366 c.p.c.). Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena di improcedibilità, nel termine di giorni 20 dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è stato proposto. Insieme al ricorso debbono essere depositati la copia autentica della sentenza, la procura speciale e gli atti e documenti relativi al ricorso.La parte contro la quale è diretto il ricorso (resistente), se intende contraddire deve farlo mediante controricorso (art. 370 c.p.c.). Il controricorso deve essere notificato al ricorrente entro 20 giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, e deve essere depositato in cancelleria con i documenti e con la procura entro 20 giorni dalla notificazione. La parte che non presenta il controricorso, può soltanto partecipare alla discussione orale.Se la parte che propone il controricorso vuole a sua volta impugnare la sentenza per motivi diversi da quelli indicati dal ricorrente, può proporre ricorso incidentale con il medesimo atto contenente il controricorso (art. 371 c.p.c.). Per resistere al ricorso incidentale il ricorrente principale può a sua volta notificare un controricorso. Un particolare tipo di ricorso incidentale è quello condizionato all’accoglimento del ricorso principale. Tale ricorso è proposto dalla parte vittoriosa che abbia interesse a sottoporre alla Corte

19 La Corte di Cassazione svolge funzioni di nomofilachia, vale a dire la funzione con la quale è assicurata (o comunque si cerca di assicurare) l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto nazionale.20 Le parti poste tra le virgolette sono state inserite o modificate dal d.lgs. n. 40/2006.

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questioni pregiudiziali o preliminari sfavorevolmente risolte nelle fasi di merito. Poiché tale ricorso è proposto dal non soccombente21, questo sarà esaminato solo nel caso di accoglimento del ricorso principale.Sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata (art. 373 c.p.c.): anche il ricorso per Cassazione, come avevamo già visto per l’appello, non sospende automaticamente l’esecuzione della sentenza impugnata. È però prevista la possibilità che, su istanza di parte, lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, può disporre la sospensione dell’esecuzione quando da questa possa derivare grave e irreparabile danno. Procedimento e provvedimentiLa Corte di Cassazione pronuncia in camera di consiglio a sezioni semplici. Pronuncia a sezioni unite solo per motivi attinenti alla giurisdizione o per i casi previsti dall’art. 362 c.p.c., o per decidere su questioni di diritto di particolare importanza e su quelle decise in senso difforme da più sezioni semplici (art. 374 c.p.c.).La Corte pronuncia in camera di consiglio senza previa pubblica udienza, nei casi indicati nell’art. 375 c.p.c. (dichiarazione d’inammissibilità del ricorso principale o di quello incidentale eventualmente proposto, pronuncia sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione, ecc...); negli altri pronuncia previa udienza di discussione (art. 379 c.p.c.). Almeno 20 giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio o della udienza di discussione, il cancelliere deve comunicare alle parti le conclusioni del P.M., affinché le stesse possono presentare memorie scritte non oltre 5 giorni prima dell’adunanza o dell’udienza.Cassazione senza rinvio o con rinvio Il carattere tradizionale del giudizio della Corte di Cassazione è quello di essere rescindente, vale a dire di mirare a togliere di mezzo, annullandola, la sentenza del giudice di merito, in modo da rendere possibile un nuovo esame della controversia (giudizio rescissorio) da parte di un altro giudice di merito (c.d. “cassazione con rinvio”).In caso di accoglimento del ricorso, si ha la cassazione della sentenza che può essere con rinvio (art. 382 c.p.c.) o senza rinvio (art. 383 c.p.c.).La Corte cassa senza rinvio: se riconosce che il giudice del quale si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione, e in ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva essere proposta (es. per mancanza di legittimazione ad agire) o il processo non può proseguire (es. perché doveva essere dichiarata l’estinzione).Invece, quando accoglie il ricorso per motivi diversi da quelli appena citati, rinvia la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata . Nel caso di saltum di appello, la causa sarà rinviata al giudice che si sarebbe dovuto pronunciare sull’appello; qualora la Corte riscontra una nullità del giudizio di primo grado per la quale il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice, rinvia la causa al giudice di primo grado (c.d. “rinvio improprio”).In caso di cassazione con rinvio per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, la Corte enuncia specificatamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi (art. 384, comma primo, c.p.c.).Cassazione sostitutiva (art. 384 c.p.c.)Se la Corte accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, e riconosce che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, non dispone il rinvio, ma decide nel merito (comma primo).La cassazione sostitutiva con correzione della motivazione (sentenza di rettificazione), si ha quando la sentenza è erroneamente motivata in diritto, ma il dispositivo è conforme al diritto (comma secondo).Il giudizio di rinvio (art. 392 e ss. c.p.c.)

21 In tal caso la giurisprudenza parla di soccombenza “teorica”.

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Con il giudizio di rinvio si tende a sostituire alla sentenza cassata una nuova sentenza: per questo viene considerato come una prosecuzione del giudizio nel quale la sentenza fu cassata, anche se mantiene caratteristiche proprie che lo rendono autonomo rispetto ai precedenti giudizi.La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti, prima che decorra 1 anno dalla comunicazione della sentenza della Corte. La riassunzione si fa con citazione. Se la riassunzione non avviene entro il termine sopra indicato, o si avvera una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue; ma la sentenza della Corte di Cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione di una nuova domanda.La revocazioneLa revocazione costituisce un mezzo di impugnazione limitato a singole ipotesi tassativamente indicate dall’art. 395 c.p.c. (impugnazione a critica vincolata). Essa è fondata sull’esistenza di particolari circostanze che se fossero state conosciute dal giudice, avrebbero portato ad un giudizio diverso. La revocazione si propone allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Essa si distingue in revocazione ordinaria (art. 395 n. 4-5 c.p.c. - quando impedisce il passaggio in giudicato della sentenza), e revocazione straordinaria (art. 395 n. 1-2-3-6 c.p.c. - quando è proponibile anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza).Sentenze impugnabili e motivi della revocazioneSono impugnabili per revocazione le sentenze pronunciate in grado di appello ed in unico grado, e le sentenze pronunciate in prima istanza, una volta scaduto il termine per l’appello (ma solo per i motivi di revocazione straordinaria).I motivi specifici per cui è possibile proporre la revocazione sono indicati nell’art. 395 c.p.c.: 1) se la sentenza è l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra; 2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state dichiarate tali prima della sentenza; 3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; 4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa; 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata; 6) se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.Il termine per la proposizione della domanda di revocazione è di 30 gg. che decorrono dalla notificazione della sentenza in caso di revocazione ordinaria, dal giorno in cui è stato scoperto il dolo, la falsità, la collusione, è stato recuperato il documento, o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice in caso di revocazione straordinaria.La competenza e la forma della domandaLa domanda si propone con citazione allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Questa a pena di inammissibilità rilevabile d’ufficio, deve indicare il motivo di revocazione, le prove dei fatti allegati e del giorno in cui si è verificata la loro scoperta.Revocazione proponibile dal P.M. (art. 397 c.p.c.) Nelle cause in cui è obbligatorio l’intervento del P.M., le sentenze possono essere impugnate per revocazione dal pubblico ministero stesso quando sono state pronunciate senza che egli sia stato sentito, e quando la sentenza è l’effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge.Costituzione delle parti (art. 399 c.p.c.)Le parti (attore e convenuto) si costituiscono rispettivamente depositando nella cancelleria del giudice adito, a pena di improcedibilità entro 20 giorni dalla notifica, l’atto di citazione e la comparsa contenente le proprie conclusioni. Davanti al giudice adito si osservano le disposizioni stabilite per il procedimento davanti a lui.Sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata (art. 401 c.p.c.)La sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata può essere pronunciata dal giudice della revocazione, su istanza di parte inserita nell’atto di citazione.

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Divieto di “revocatio revocationis” (art. 403 c.p.c.)La sentenza della revocazione non può essere a sua volta impugnata mediante revocazione, ma soltanto con i mezzi ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione.L’opposizione di terzoL’opposizione di terzo è un mezzo di impugnazione concesso a chi non sia stato parte in causa al fine di rimuovere gli effetti pregiudizievoli che una sentenza, pronunciata tra altre persone, può avere sui suoi diritti.Provvedimenti opponibili (art. 404 c.p.c.)La sentenza per essere opponibile dal terzo deve essere passata in giudicato o deve essere comunque esecutiva. L’opposizione si distingue in: - ordinaria (art. 404, comma primo, c.p.c.): è quella concessa ai terzi che siano titolari di un diritto autonomo assolutamente incompatibile con quello dichiarato con la sentenza a cui ci si oppone. Essa non è soggetta a termini;- revocatoria (art. 404, comma secondo, c.p.c.): è quella concessa ai terzi - creditori o aventi causa di una delle parti - quando la sentenza è effetto di dolo o collusione a loro danno. Va proposta entro 30 gg. dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la collusione.Il procedimento di opposizioneL’opposizione di terzo va proposta davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza a cui ci si oppone. La domanda è proposta con citazione secondo le forme prescritte per il giudice davanti al quale è proposta. Nell’atto di citazione, in caso di opposizione revocatoria, occorre indicare il giorno in cui il terzo è venuto a conoscenza del dolo o della collusione, e le relative prove.Qualora il giudice dichiara inammissibile o improcedibile l’opposizione, o la rigetta per infondatezza dei motivi condanna l’opponente al pagamento di una pena pecuniaria (art. 408 c.p.c.).La sentenza pronunciata sull’opposizione è impugnabile con tutti i mezzi ai quali era soggetta la sentenza impugnata, e quindi anche con opposizione da parte di altri terzi.

SINTESIL’impugnazione è lo strumento posto a disposizione di una parte interessata a chiedere la rimozione di un atto ad essa pregiudizievole, affidando all’esame di un giudice diverso la pronuncia impugnata. Tale esercizio è limitato nel tempo (termine per impugnare). Si possono distinguere tra: ordinarie e straordinarie. La sentenza passa in giudicato, quando non è più soggetta alle impugnazioni ordinarie.

SCHEMATIZZAZIONE

RIPASSO Per fissare le idee sugli argomenti trattati si cerchi di rispondere ai seguenti quesiti:

1) Quali sono le condizioni per impugnare?2) Differenza tra termine breve e termine lungo.3) Differenza tra impugnazioni ordinarie e straordinarie.4) Chi è legittimato a proporre impugnazione incidentale?5) La sentenza che definisce il giudizio di revocazione può, a sua volta, essere impugnata per

revocazione?

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Impugnazioni ordinarie

- Regolamento di competenza- Appello- Ricorso per cassazione- Revocazione ordinaria

- Revocazione straordinaria- Opposizione di terzo

Impugnazioni straordinarie

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UNITA’ DIDATTICA 9IL PROCESSO DI ESECUZIONE

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti: a) Aquiescenza.b) Divieto di jus novorum.c) Quando l’appello viene dichiarato improcedibile?d) Motivi di ricorso in cassazione.e) Ricorso per saltum.f) Cassazione sostitutiva.g) Termini per la proposizione della revocazione.h) Terzi legittimati a proporre opposizione ex art. 404.

Il processo esecutivo è diretto ad ottenere coattivamente l’adempimento di un diritto di credito, qualora il soggetto obbligato (debitore) non vi adempia spontaneamente. Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni, presenti e futuri (art. 2740 c.c.). Il codice di procedura prevede due forme di esecuzione: esecuzione forzata in forma generica (o espropriazione forzata) ed esecuzione in forma specifica (o esecuzione diretta).Atti “propedeutici” alla procedura esecutiva: titolo esecutivo e atto di precettoSono due atti comuni ad entrambe le forme di esecuzione, e necessari all’inizio della procedura.Titolo esecutivo (art. 474 e ss. c.p.c.)Presupposto fondamentale del processo esecutivo è l’esistenza di un titolo esecutivo. L’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un credito certo (non vi siano dubbi sulla sua esistenza), liquido (determinato nel suo ammontare) ed esigibile (non sottoposto né a condizione, né a termine). I titoli esecutivi possono essere “giudiziali” e “stragiudiziali”I titoli giudiziali, quelli che si sono formati attraverso l’intermediazione di un giudice, sono le sentenze e i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (es. decreto ingiuntivo, ordinanza di convalida di licenza o sfratto, ordinanze ex artt. 186 bis, ter e quater).I titoli stragiudiziali, che hanno natura negoziale, sono le cambiali nonché gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge attribuisce la stessa efficacia, e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute. Al di fuori dei titoli di credito, per rendere esecutivo il titolo è necessaria la c.d. “spedizione in forma esecutiva” (art. 475).Precetto (art. 480 e ss. c.p.c.)Il precetto consiste nell’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, entro un termine non minore di 10 gg. con l’avvertimento che in mancanza si procederà all’esecuzione forzata. A pena di nullità deve contenere: l’indicazione delle parti; la data di notificazione del titolo esecutivo (se è stata fatta separatamente); la trascrizione integrale del titolo, se è richiesta dalla legge (es. la cambiale); la dichiarazione di residenza o l’elezione del domicilio della parte istante nel comune dove ha sede il giudice dell’esecuzione; la sottoscrizione della parte. Il precetto diventa inefficace se nel termine di 90 gg. dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione.Notificazione del titolo esecutivo e del precettoSe la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto. Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta alla parte personalmente.

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L’espropriazione forzata L’espropriazione forzata è quel tipo di processo esecutivo costituito da un complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parti del suo patrimonio ed a convertirli in denaro, con cui soddisfare il creditore procedente. È, quindi, una forma di esecuzione indiretta, a differenza dell’esecuzione in forma specifica, che può definirsi diretta, in quanto ha ad oggetto proprio il bene dovuto.L’espropriazione forzata a seconda dell’oggetto, si distingue in espropriazione mobiliare ed espropriazione immobiliare.Il creditore può valersi di diversi mezzi espropriativi contemporaneamente, ma se la tutela eccede l’effettivo credito, il debitore può domandare al giudice dell’esecuzione che il procedimento sia limitato ad uno soltanto dei mezzi (art. 483 c.p.c.).Giudice dell’esecuzione è il Tribunale, che ha funzioni del tutto analoghe a quelle del G.I. nel processo di cognizione. Le differenze tra l’uno e l’altro sono date dal diverso fine che si persegue nell’espropriazione: mentre nel processo di cognizione il G.I. deve preparare la causa per la decisione, il giudice dell’esecuzione è del tutto autonomo, e autonomi sono gli atti che questo emana. Assume invece la posizione precisa dell’istruttore nei giudizi sulle opposizioni, in quanto, come vedremo, le opposizioni danno luogo ad un vero e proprio giudizio di cognizione. L’esecuzione forzata si distingue in quattro fasi, di cui una eventuale: pignoramento, intervento dei creditori (fase eventuale), vendita o assegnazione e distribuzione della somma ricavata.1) Pignoramento L’espropriazione forzata inizia con il pignoramento (art. 491 c.p.c.), ma se essa ha od oggetto cose date in pegno e mobili soggetti ad ipoteca si può procedere direttamente alla fase dell’assegnazione o vendita (art. 502 c.p.c.).Il pignoramento consiste in un’ingiunzione dell’ufficiale giudiziario al debitore, previa esibizione del titolo esecutivo e dell’atto di precetto ritualmente notificati, di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre beni alla garanzia del creditore (art. 492 c.p.c.). La funzione del pignoramento è quella di vincolare i beni da assoggettare all’esecuzione, vale a dire di sottrarli alla libera disponibilità del debitore. La scelta delle cose da pignorare spetta all’ufficiale giudiziario se si tratta di beni mobili, ma in caso di beni indicati dal debitore il pignoramento deve essere eseguito preferibilmente su quest’ultimi (art. 517 c.p.c.); se si tratta di beni immobili, i beni devono essere indicati esattamente dal creditore (art. 555, comma primo, c.p.c.). Nell’espropriazione immobiliare il pignoramento è costituito da due momenti: notifica e trascrizione dell’atto di pignoramento nei registri immobiliari (art. 555, comma secondo).Pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario (art. 494 c.p.c.)Sono due le ipotesi attraverso le quali il debitore può evitare il pignoramento:

1) nel caso in cui il debitore evita il pignoramento versando nelle mani dell’ufficiale giudiziario la somma per cui si procede e l’importo delle spese, con l’incarico di consegnarli al creditore (art. 494 comma primo);2) quando, invece, il debitore evita il pignoramento di cose depositando nelle mani dell’ufficiale giudiziario, in luogo di esse, come oggetto di pignoramento, una somma di denaro eguale all’importo del credito o dei crediti per cui si procede e delle spese, aumentato di due decimi (2/10), (art. 494 comma terzo).

Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.)Il debitore può chiedere, in qualsiasi momento anteriore alla vendita, la sostituzione dell’oggetto del pignoramento, con una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese. A pena di inammissibilità, unitamente all’istanza deve essere presentata in cancelleria una somma non inferiore ad un quinto (1/5) dell’importo dei crediti (sia del pignorante che degli intervenuti).La somma da sostituire al bene pignorato è determinata con ordinanza dal giudice dell’esecuzione, entro trenta giorni dal deposito dell’istanza di conversione.È possibile il “versamento rateale” quando si tratti beni immobili, per termine massimo di 18 mesi.

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Riduzione e cessazione dell’efficacia del pignoramentoIl debitore può chiedere la riduzione del pignoramento quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti. La riduzione è disposta dal giudice (art. 496 c.p.c.).Non prima di 10 gg. ma entro 90 gg. dal pignoramento deve essere presentata istanza di assegnazione o vendita, a pena di inefficacia dello stesso (art. 497 c.p.c.). Detti termini possono essere modificati se si tratta di cose deteriorabili.2) Intervento dei creditoriIl concorso dei creditori - fase eventuale del procedimento esecutivo -, cioè l’esigenza che tutti i creditori partecipino alla distribuzione del ricavato, nasce dal principio consacrato dall’art. 2741 c.c.: i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore (par condicio creditorum).Ai sensi dell’art. 498 c.p.c., è prevista una sorta di tutela a favore dei creditori che vantano sui beni pignorati un diritto di prelazione risultante da pubblici registri (es. ipoteca, pegno). Il creditore pignorante è tenuto a notificare ad essi, entro cinque giorni dal pignoramento, un avviso contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate. In mancanza della prova di tale notificazione, il giudice non può provvedere sull’istanza di assegnazione o di vendita.Possono intervenire anche i creditori non privilegiati, muniti o non di titolo esecutivo; quelli non muniti di titolo esecutivo non possono, però, provocare nessun atto esecutivo.L’intervento dà diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata. Esso si propone mediante ricorso che deve essere presentato anteriormente alla prima udienza di autorizzazione alla vendita o alla assegnazione (intervento tempestivo); l’intervento può essere presentato anche successivamente a tale udienza (intervento tardivo). L’intervento tardivo obbliga i “ritardatari” a soddisfarsi sui beni del debitore solo dopo il pignorante e gli intervenuti tempestivamente (salvi i diritti di prelazione).3) Vendita e AssegnazioneSubito dopo il pignoramento il creditore ha l’obbligo di inoltrare istanza al giudice dell’esecuzione per chiedere la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati. Il giudice dell’esecuzione dopo l’istanza fissa l’udienza per la vendita o l’assegnazione; la data dell’udienza è importante perché segna il momento preclusivo per l’intervento tempestivo dei creditori.La vendita forzata è l’atto con il quale si compie l’espropriazione del bene soggetto a pignoramento. Essa trasforma i beni in denaro è può effettuarsi sia all’asta, sia senza con un vendita tramite commissionario (per i beni mobili, art. 532-533 c.p.c.), o deposito di offerte d’acquisto presso la cancelleria del giudice (per i beni immobili, art. 571 e ss. c.p.c.).L’assegnazione consiste, invece, in un trasferimento del bene direttamente nel patrimonio del creditore per la soddisfazione di un suo credito, e deve avvenire su accordo di tutti i creditori (art. 505 c.p.c.). Il valore minimo dell’assegnazione non può essere inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti privilegiati aventi data anteriore a quello dell’offerente (art. 506 c.p.c.). Sull’eccedenza rispetto a questo valore si apre il normale concorso dei creditori, compreso l’assegnatario.L’assegnazione può essere richiesta solo dopo il fallimento dei tentativi di vendita; ma se oggetto di pignoramento sono beni il cui valore risulta da listini di borsa o di mercato, è possibile chiedere direttamente l’assegnazione degli stessi (art. 529, comma secondo, c.p.c.).Effetti della vendita e dell’assegnazioneGli effetti sono due: - traslativo: il passaggio di proprietà del bene a chi è stato assegnato o aggiudicato il bene. Nell’espropriazione mobiliare il momento in cui si realizza l’effetto traslativo è quello del pagamento del prezzo, nell’espropriazione immobiliare è quello del “decreto di trasferimento” (art. 586 c.p.c.); - estintivo: si cancellano le trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni di ipoteca sul bene per ordine del giudice dell’esecuzione.4) Distribuzione della somma ricavataÈ l’ultima fase dell’espropriazione forzata, e consiste nella ripartizione tra i creditori della somma ricavata dalla vendita forzata o dall’assegnazione dei beni del debitore.

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L’art. 511 c.p.c., dà la possibilità ai creditori di un creditore avente diritto alla distribuzione, di poter chiedere di essere a lui sostituiti.Qualora, in sede di distribuzione del ricavato sorgono delle controversie circa il progetto di riparto, si instaura un giudizio di cognizione incidentalmente a quello esecutivo. Il giudice dell’esecuzione provvede all’istruzione della causa, se è competente anche per valore; altrimenti rimette le parti davanti al giudice competente a norma dell’art. 17 c.p.c. Il giudice se non sospende totalmente il procedimento, provvede alla distribuzione della parte della somma ricavata non controversa (art. 512 c.p.c.).L’espropriazione forzata si distingue in:a) espropriazione mobiliare presso il debitore (artt. 513-542 c.p.c.), che ha ad oggetto beni mobili o somme di denaro del debitore che si trovano nella sua casa o negli altri luoghi a lui appartenenti; b) espropriazione presso terzi (artt. 543-554 c.p.c.), che ha ad oggetto beni mobili del debitore ma che sono in possesso di un terzo, o crediti che lo stesso vanta nei confronti di un terzo (es. pignoramento dello stipendio del debitore presso il suo datore di lavoro); c) espropriazione immobiliare (artt. 555-598 c.p.c.), che ha per oggetto beni immobili con le loro pertinenze, nonché i diritti reali di godimento su beni immobili; d) espropriazione di beni indivisi (artt.599-601 c.p.c.), quando il debitore è proprietario insieme ad altri di un bene, in tal caso oggetto di pignoramento è la “quota ideale” di appartenenza del debitore;e) espropriazione contro il terzo proprietario (artt. 602-604 c.p.c.), in tal caso oggetto di pignoramento sono beni che appartengono ad un terzo22 (terzo datore di pegno o di ipotesa, o terzo che ha acquistato dal debitore un bene la cui alienazione è stata revocata per frode).Esecuzione in forma specificaL’esecuzione in forma specifica si differenzia dall’espropriazione forzata in quanto mira a dare concreta attuazione ad una pronuncia di fare o non fare, oppure di consegna o rilascio di un bene.Esecuzione per consegna o rilascio (artt. 605-611 c.p.c.)Consiste nel procedimento esecutivo diretto a far riottenere il possesso di una determinata cosa mobile o immobile, oggetto della consegna o del rilascio, contro la volontà di chi la detiene in violazione del diritto accertato nel titolo. Decorso il termine per la consegna o il rilascio indicato nel precetto, l’ufficiale giudiziario munito di esecutivo e precetto, si reca nel luogo in cui si trovano le cose e le ricerca per consegnarle alla parte istante. In caso di rilascio di bene immobile, l’ufficiale giudiziario deve dare comunicazione all’obbligato dell’esecuzione, almeno 10 gg. prima della stessa.Esecuzione forzata di obblighi di fare o non fare (artt. 612-614 c.p.c.)Consiste nel procedimento esecutivo diretto a far conseguire all’istante la medesima specifica prestazione (es. costruire un muro), o l’eliminazione di quanto fatto (es. demolire un fabbricato), rispettivamente in violazione di un obbligo di fare o di non fare. Titolo esecutivo è, quindi, una sentenza di condanna per la violazione di un obbligo di fare o di non fare. Dopo la notificazione della sentenza, chi vuole ottenere l’esecuzione in forma specifica deve proporre ricorso al giudice chiedendo che siano determinate le modalità dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza designando l’ufficiale giudiziario che procederà materialmente all’esecuzione.Le opposizioniL’opposizione è il rimedio esperibile dal debitore o dal terzo nel caso in cui si dolgano di aver subito una lesione di un loro diritto in conseguenza di un atto di esecuzione che ritengono ingiusto. Una volta proposta, dà luogo ad un ordinario processo di cognizione, “autonomo”, che si inserisce nell’ambito del processo di esecuzione in via incidentale. Si distinguono due tipi di opposizioni: a) le opposizioni proponibili dall’esecutato (debitore o terzo assoggettato all’esecuzione) che a loro volta comprendono, l’opposizione all’esecuzione e

22 Secondo parte autorevole della giurisprudenza, SATTA, nel momento stesso in cui viene iniziato il processo esecutivo nei confronti del terzo, questi sul piano processuale diventerà l’effettivo soggetto passivo dell’espropriazione, e dunque sarà parte. Il terzo proprietario, pertanto, è parte nel processo esecutivo, ma terzo sul piano sostanziale.

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l’opposizione agli atti esecutivi; b) le opposizioni di terzi, estranei all’esecuzione, ma che vantano diritti sui beni pignorati.Opposizioni all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): con cui si contesta il diritto della parte istante a procedere all’esecuzione forzata. Si può contestare: 1) la legittimazione attiva e passiva all’esecuzione; 2) l’inesistenza o l’invalidità del titolo esecutivo; 3) l’inesistenza o l’invalidità del diritto contenuto nel titolo che di per sé è valido (c.d. “opposizione di merito”); 4) l’impignorabilità dei beni sottoposti ad esecuzione.Nei primi tre casi se la contestazione avviene prima dell’inizio dell’esecuzione prende il nome di “opposizione a precetto”, ed è proposta con atto di citazione al giudice competente per materia, valore e territorio. Se proposta in pendenza del processo esecutivo, l’opposizione si instaura con ricorso al giudice dell’esecuzione stessa.Opposizioni agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): con cui si contesta la regolarità formale dei singoli atti esecutivi, difatti è detta anche “opposizione formale”. Competente è il giudice che ha emanato l’atto, ossia quello dell’esecuzione. È diretta a contestare: a) la regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto; b) la regolarità formale dei singoli atti di esecuzione. L’opposizione deve essere proposta entro il termine perentorio di 20 gg. che decorrono o dalla notifica del titolo e/o del precetto, o dal momento in cui è stato compiuto l’atto contro cui essa si dirige. Se l’opposizione è proposta prima dell’inizio dell’esecuzione, si propone con citazione davanti al giudice competente; se è proposta dopo l’inizio dell’esecuzione, deve aver la forma del ricorso al giudice dell’esecuzione. Qualora si contesta il precetto o la regolarità formale del titolo esecutivo, è competente il giudice della residenza dichiarata o del domicilio eletto nel precetto; in mancanza, il giudice del luogo ove il precetto è stato notificato.Opposizioni di terzi (art. 619 c.p.c.): sono quelle opposizioni che possono essere proposte dal terzo che “pretende” avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. L’opposizione deve essere proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni. Nel caso di opposizione tardiva il terzo, che abbia avuto ragione, può soddisfarsi solo sulla somma ricavata.

SINTESIIl processo esecutivo è diretto a soddisfare la pretesa del creditore, ossia alla realizzazione coattiva di un risultato pratico equivalente a quello che avrebbe dovuto produrre un altro soggetto, in adempimento di un obbligo giuridico. Presuppone la notifica del titolo esecutivo e dell’atto di precetto. Si distingue in esecuzione in forma generica (quella caratterizzata dal pignoramento) ed in forma specifica (diretta ad ottenere l’adempimento di quella determinata prestazione dovuta).

SCHEMATIZZAZIONE

RIPASSO Per fissare le idee sugli argomenti trattati si cerchi di rispondere ai seguenti quesiti:

1) Quali sono gli atti preparatori del processo esecutivo?2) Differenze tra espropriazione forzata ed esecuzione diretta.3) Quando il pignoramento diviene inefficace?4) Termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi.5) Termine entro cui possono intervenire i creditori.6) È previsto l’istituto dell’interruzione nel processo esecutivo?

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ESPROPRIAZIONE FORZATA

Pignoramento Intervento creditori

Distribuzione somma ricavata

Vendita o Assegnazione

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UNITA’ DIDATTICA 10I PROCEDIMENTI SPECIALI

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Titolo esecutivob) Efficacia dell’atto di precettoc) Domanda di sostituzioned) Espropriazione mobiliare presso terzie) Vendita con incanto nell’espropriazione immobiliaref) Opposizioni nell’esecuzioneg) Opposizione di terzo nel processo esecutivo

Il libro IV del codice di procedura civile, disciplina una serie di procedimenti che hanno in comune esclusivamente la loro “specialità” ossia la divergenza rispetto al procedimento di cognizione ordinario. In realtà, però, in tale libro non sono disciplinati tutti i procedimenti speciali; infatti, alcuni sono regolati da leggi speciali o dal codice civile. Inoltre un importante procedimento speciale, il processo del lavoro, è disciplinato nel libro II del codice di procedura civile.I procedimenti speciali anticipano la tutela del diritto, ne garantiscono il risultato o addirittura si sostituiscono al procedimento ordinario se quest’ultimo non viene invocato dagli interessati.Tra i procedimenti speciali assumono particolare rilievo i c.d. “procedimenti sommari”: sommari per l’incompletezza della cognizione (decisi allo stato degli atti) o per la superficialità della cognizione in quanto basati sulla probabilità del diritto. La durata intollerabile dei processi di cognizione ordinaria è alla base di questi istituti, come lo è per le tutele in corso di causa ex artt. 186 bis, ter e quater.Tra i procedimenti sommari si distinguono due categorie:

A) procedimenti non cautelari;B) procedimenti cautelari.

Procedimenti sommari non cautelari I provvedimenti sommari non cautelari, mirano all’emanazione di un provvedimento con cui si perviene immediatamente alla fissazione della normativa del caso concreto in modo semplificato.Il provvedimento che ne deriva nasce provvisorio, ma può divenire definitivo se il soggetto passivo non promuove il processo di cognizione ordinaria. Il collegamento con il processo ordinario è, dunque, “eventuale”.Tra i procedimenti sommari non cautelari: - procedimento di ingiunzione;- procedimento per convalida di sfratto.Procedimento di ingiunzione (artt. 633-656 c.p.c.)Il procedimento di ingiunzione è accertamento a cognizione sommaria (in quanto superficiale), non necessaria, poiché il soggetto che è in possesso di una prova scritta dal suo diritto può scegliere se attivare il procedimento sommario o quello ordinario, con prevalente funzione esecutiva in quanto finalizzato ad ottenere il rapido formarsi di un titolo esecutivo, ossia il decreto ingiuntivo. Lo schema della procedura è dunque lineare: - il giudice, su ricorso del creditore, ordina, con decreto, al debitore di pagare (entro un termine stabilito) una somma o di versare una determinata quantità di cose fungibili, o una cosa mobile determinata;- il debitore può proporre opposizione, e solo in mancanza di essa il decreto acquista il valore di una sentenza passata in giudicato;

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- a seguito dell’opposizione, invece, si apre un normale procedimento di cognizione; per questo si parla di procedimento a contraddittorio eventuale.Le condizioni di ammissibilità (artt. 633-634): l’istanza deve avere ad oggetto una somma liquida di denaro o una determinata quantità di cose fungibili o una cosa mobile determinata, e deve basarsi su prova scritta. Può riguardare anche onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione del processo, nonché onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata. Giudice competente (art. 637): per l’ingiunzione è competente il giudice di pace oil tribunale, in composizione monocratica, che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria. Forma della domanda (art. 638): la domanda di ingiunzione si propone con ricorso. Il ricorso è depositato in cancelleria insieme con i documenti che si allegano. Il giudice emette la decisione sulla base delle prove documentali fornite.ProcedimentoAl riguardo si possono verificare due ipotesi: 1) r igetto della domanda (art. 640 c.p.c.), se il giudice ritiene non sufficientemente giustificata la domanda, dispone che il cancelliere ne dia notizia al ricorrente, invitando a provvedere alla prova. Se il ricorrente non vi provvede o, comunque, se la domanda non è accoglibile, il giudice lo rigetta con decreto motivato. Il rigetto, non pregiudica un’eventuale proposizione della stessa domanda;2) accoglimento della domanda (art. 641 c.p.c.), se esistono le condizioni previste, il ricorso è accoglibile. Il giudice pronuncia decreto motivato con il quale ingiunge all’altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose richieste, nel termine di 40 gg23, dalla notificazione del ricorso e del decreto, con l’avvertimento espresso che nello stesso termine può essere fatta opposizione e che, in mancanza di questa, si procederà ad esecuzione forzata. Il decreto ingiuntivo è munito di efficacia esecutiva provvisoria su istanza del ricorrente, se l’istanza è fondata su cambiale, assegno bancario o circolare, su certificato di borsa o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale; inoltre, se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, il giudice può concedere la provvisoria esecutività imponendo al ricorrente una cauzione (art. 642).Il decreto, insieme con il ricorso, deve essere notificato all’ingiunto entro 60 gg. dalla pronuncia, a pena di inefficacia del decreto stesso. Opposizione: l’opposizione è il mezzo con cui l’ingiunto, che ritenga ingiusta la condanna, impugna il decreto24; si propone con atto di citazione davanti al giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, che deve essere notificato al ricorrente entro nel termine di 40 gg. dalla notificazione dal ricorso. L’atto di opposizione sarà formulato come un comune atto di citazione; il giudizio si svolge nelle forme ordinarie, ma i termini per la comparizione sono ridotti alla metà. L’opposizione può essere proposta anche tardivamente, e cioè anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se l’intimato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del medesimo per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore (art. 650 c.p.c.). L’opposizione, anche tardiva, non è più ammessa decorsi 10 gg. dal primo atto di esecuzione. Se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito o se l’opponente non si è costituito, il giudice, su istanza del ricorrente, dichiara esecutivo il decreto, che acquista autorità di giudicato sostanziale (art. 647). L’esecutività provvisoria non concessa al momento della pronuncia, può essere data in sede di opposizione (art. 648) se l’opposizione non è fondata su prova scritta, o di pronta soluzione. Di contro, se l’esecutorietà provvisoria è stata concessa già in sede di emissione del decreto ingiuntivo,

23 Termine che può essere ridotto a 10 gg. o aumentato a 60 gg. quando concorrono giusti motivi (art. 641, comma secondo, c.p.c.).24 Secondo il SATTA l’opposizione al decreto ingiuntivo va considerata un vero e proprio mezzo di impugnazione.

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il giudice può, su istanza dell’opponente, e quando ricorrono gravi motivi, concedere la sospensione di essa (art. 649).Il giudizio di opposizione si conclude con una sentenza che può essere di: - rigetto, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto (art. 653, comma primo);- accoglimento parziale, con conseguente modifica del decreto opposto; - accoglimento integrale, in tal caso si ha revoca del decreto ingiuntivo, e gli atti esecutivi eventualmente compiuti sono caducati immediatamente.Procedimento per convalida di sfratto (artt. 657-669 c.p.c.)Tale procedimento è diretto ad ottenere dal giudice l’emanazione di un provvedimento (ordinanza), che convalidi la licenza ovvero lo sfratto per scadenza del termine o per mancato pagamento del canone pattuito, dichiarando altresì la risoluzione del contratto.Il procedimento per convalida di sfratto, come quello di ingiunzione, ha carattere non necessario, potendo l’intimante scegliere tra la tutela in esame e quella ordinaria. Presupposti: possono valersi della procedura di convalida di sfratto soltanto il locatore o il concedente in caso di: 1) locazione, 2) affitto a coltivatore diretto, mezzadria, colonia parziale. Soggetto passivo della procedura sarà nel primo caso il conduttore, nel secondo l’affittuario coltivatore diretto, il mezzadro o il colono.La legge prevede tre ipotesi in cui applicare tale procedimento:- licenza per finita locazione, che si intima prima della scadenza del contratto, per impedire la rinnovazione tacita di esso;- sfratto per finita locazione, che si intima dopo la scadenza del contratto;- sfratto per morosità, che si intima per mancato pagamento dei canoni alle scadenze stabilito.Procedimento: in tutti e tre i casi il procedimento inizia con una intimazione, rivolta dal locatore (o concedente), di lasciar libero l’immobile, con contestuale citazione del conduttore per convalida. La citazione per la convalida deve contenere l’avvertimento al conduttore-intimato che in caso di mancata comparizione o di mancata opposizione il giudice convalida la licenza o lo sfratto (art. 660). Inoltre tra il giorno della notificazione dell’intimazione e il giorno dell’udienza, devono intercorrere non meno di 20 gg.La competenza “inderogabilmente” il tribunale in composizione monocratica del luogo in cui si trova la cosa locata (art. 661 c.p.c.).Gli effetti dell’intimazione cessano se il locatore non compare all’udienza fissata nell’atto di citazione (art. 662).All’udienza possono verificarsi due ipotesi: a) se l’intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto con ordinanza, che, in caso di mancata comparizione dell’intimato, produce effetti dopo 30 gg. dalla sua emanazione (art. 663 c.p.c.); b) se l’intimato compare e propone opposizione all’intimazione, il giudice dispone il mutamento del rito ex art. 667, essendo la materia locatizia disciplinata con il rito del lavoro (art. 447 bis). Lo sfratto per morosità subordina la convalida all’attestazione, resa in giudizio dal locatore, che la morosità persiste (art. 663, comma terzo, c.p.c.). Inoltre, il locatore, con lo stesso atto, può chiedere anche l’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e di quelli che scadranno fino al rilascio; in questo caso il giudice emette decreto ingiuntivo in calce ad una copia dell’atto di intimazione (art. 664 c.p.c.). Procedimenti sommari cautelari I procedimenti cautelari hanno una funzione di garanzia (garantire il regolare svolgimento ed il proficuo risultato del giudizio di merito), si concludono con un provvedimento avente la funzione di salvaguardare il diritto in attesa che si giunga ad una pronuncia di merito al termine del processo di cognizione. Tali procedimenti hanno il carattere della provvisorietà e strumentalità rispetto alla cognizione ordinaria. Provvisori perché sono sempre legati ad un processo di cognizione ordinario, non hanno possibilità di divenire definitivi; strumentali in quanto sono collegati alla tutela di merito in quanto devono assicurarne gli effetti.

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Presupposti: presupposti indispensabili per l’accoglimento della misura cautelare sono il fumus boni iuris (parvenza dell’esistenza del diritto a cautela del quale si agisce) ed il periculum in mora (pericolo di danno derivato dalla durata del processo ordinario).Tra i procedimenti sommari cautelari: 1) sequestri, 2) denuncia di nuova opera e danno temuto, 3) procedimenti di istruzione preventiva, 4) provvedimenti d’urgenza. Gli artt. 669 bis-669 quaterdecies (introdotti dalla legge n. 353/90), disciplinano il c.d. “rito cautelare uniforme”, ossia un procedimento valido per tutte le forme cautelari; in precedenza ogni misura aveva propri termini, forme e contenuti diversi. Forma della domanda e giudice competente: la domanda volta ad ottenere un provvedimento cautelare, si propone con ricorso (art. 669 bis c.p.c.). Competente a pronunciare sulla domanda è ante causam (ossia prima dell’instaurazione del giudizio di merito) il giudice che sarebbe competente a conoscere del merito (art. 669 ter); in corso di causa, la competenza spetta al giudice della stessa (art. 669 quater). Il giudice di pace non può emanare provvedimenti cautelari: le sue competenze passano al tribunale.Procedimento: il procedimento di regola si svolge in contraddittorio, e solo in casi particolari inaudita altera parte (art. 669 sexies). In caso di accoglimento il giudice autorizzerà l’adozione della misura cautelare (art. 669 octies).; in caso di rigetto dell’istanza, il provvedimento negativo non preclude la riproposizione dell’istanza quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto (art. 669 septies). Inefficacia del provvedimento (art. 669 novies c.p.c.): il provvedimento cautelare perde la sua efficacia: se il procedimento di merito non viene iniziato entro 60 gg. dalla sua pronuncia, ovvero se successivamente al suo inizio si estingue; se è dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale è stato concesso; se non è stata versata la cauzione che il giudice ha imposto alla parte istante.Revoca e modifica del provvedimento (art. 669 decies): nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze.Reclamo contro i provvedimenti cautelari (art. 669 terdieces): il reclamo contro i provvedimenti del giudice singolo del tribunale si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato; quando il provvedimento è stato emesso dalla Corte di appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa Corte o, in mancanza, alla Corte di appello più vicina. Il reclamo si propone entro 15 gg. dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento cautelare, se anteriore. Non sospende l’esecuzione del provvedimento, tranne quando il presidente del tribunale o della Corte investiti del reclamo, ravvisino un possibile grave danno per motivi sopravvenuti (art. 669 quaterdecies, comma quinto).Sequestro (artt. 670-687)Il sequestro costituisce il provvedimento cautelare più caratteristico e di più largo impiego nella prassi giudiziaria. Il codice prevede due tipi di sequestro: il sequestro giudiziario, diretto ad assicurare la conservazione della cosa intorno alla quale si contende mediante la sua custodia o eventualmente la sua gestione temporanea, e può avere ad oggetto beni di cui è controversa la proprietà o il possesso, e prove; il sequestro conservativo, richiesto dal creditore quando ha il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, ha per oggetto beni mobili o immobili del debitore o somme o cose a lui dovute. Il provvedimento che autorizza il sequestro perde efficacia nel caso in cui non venga eseguito entro 30 gg. dalla pronuncia (art. 675). Il sequestro giudiziario si esegue con le forme dell’esecuzione per consegna o rilascio; mentre, il sequestro conservativo con le forme proprie del pignoramento. Il sequestro conservativo, si converte in pignoramento nel momento in cui il creditore sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva (art. 686).Procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto (artt. 688-691)Le azioni di denuncia di nuova opera e denuncia di danno temuto (“azioni di nunciazione”), sono tipici strumenti di tutela anticipata del diritto, tendenti a prevenire o arrestare in itinere un danno che se giungesse a determinarsi, sarebbe antigiuridico. La denuncia di nuova opera è l’azione concessa a chi abbia ragione di temere che da una nuova opera da altri intrapresa sulla proprietà

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vicina stia per derivare un danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso, e mira ad ottenere dal giudice un provvedimento che sospenda l’esecuzione dell’opera. Tale azione non può essere proposta se l’opera è terminata e, comunque, non deve essere trascorso un anno dal suo inizio. La denuncia di danno temuto è diretta contro il pericolo di un danno grave e prossimo derivante da un edificio, albero o altre cose già esistenti nel fondo vicino, per ottenere dal giudice un provvedimento che consente di ovviare al pericolo. L’azione si propone con ricorso al giudice del luogo in cui p avvenuto il fatto denunciato (art. 688).Procedimenti di istruzione preventiva (artt. 692-699)L’istruzione preventiva è un istituto che si differenzia in molti punti dalle altre misure cautelari. Infatti non tutela un diritto leso o sottoposto a pericolo, ma l’assunzione di prove fuori dal processo di cognizione. Questa assunzione anticipata è fondata sul pericolo che il ritardo possa far perdere per sempre determinate prove (es. la testimonianza di un moribondo, c.d. a futura memoria), oppure l’imminente modificazione di determinati luoghi od oggetti (accertamento tecnico preventivo). Provvedimenti d'urgenza (art. 700)La procedura del provvedimento d'urgenza è azionabile in tutti i casi in cui non sono utilizzabili, per la mancanza dei relativi presupposti, le misure cautelari sopra viste. Caratteristiche principali di questa misura sono perciò l’atipicità, e la sussidiarietà. I presupposti per l’emanazione di tali provvedimenti sono: 1) un fondato motivo di temere l'insoddisfazione del proprio diritto; 2) un pregiudizio imminente ed irreparabile, che minacci il diritto, durante il tempo occorrente per farlo valere in via ordinaria; 3) l’inesistenza di un altro provvedimento cautelare tipico, idoneo, nel caso concreto, ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Essendo il provvedimento d’urgenza comunque una misura cautelare, il giudice dovrà preliminarmente accertare il fumus boni iuris, cioè la sussistenza del diritto posto a fondamento della tutela cautelare. La decisione consiste nell’emanazione dei provvedimenti più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Procedimenti possessoriLe azioni possessorie hanno funzione di tutela del possesso, nel senso che hanno come finalità immediata la tutela del possesso contro qualsiasi turbativa. I procedimenti possessori sono: 1) l’azione di reintegrazione (o di spoglio); 2) l’azione di manutenzione.Azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.): è l'azione con cui il possessore, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiede di essere reintegrato nel possesso di cui è stato spogliato. La funzione dell’azione di reintegrazione è dunque essenzialmente recuperatoria, in quanto mira esclusivamente a reintegrare nel possesso del bene chi ha subito lo spoglio. Presupposto dellazione di reintegra è uno spoglio violento o clandestino. Elementi essenziali per l’esistenza dello spoglio sono: a) l’animus spoliandi (la consapevolezza dello spogliante di operare contro la volontà espressa o presunta del possessore); b) la privazione del possesso (che consiste nella perdita del potere di fatto esercitato dal possessore sulla cosa per il fatto dello spogliante, cui può accompagnarsi, o meno, l'acquisto del possesso da parte dello stesso spogliante o di altra persona). Il termine per proporre l'azione è quello di un anno dalla sofferta lesione. Tale termine decorre dalla data dello spoglio se si tratta di spoglio palese, dal giorno della sua scoperta se si tratta di spoglio clandestino, dal compimento del primo atto in caso di più atti continuativi di spoglio.Azione di manutenzione (art. 1170.c.): è diretta a tutelare i possessori contro quella particolare forma di lesione che è costituita dalla molestia di fatto o di diritto; essa è altresì concessa contro lo spoglio non violento o non clandestino. Con questa azione è tutelabile soltanto il possesso avente ad oggetto un bene immobile o un’universalità di beni mobili. È legittimato a proporre l’azione colui che ha il possesso in modo continuo ed ininterrotto da oltre un anno, e che non l’ha acquistato con violenza o clandestinità. Il termine per esperire tale azione è quello di un anno dalla molestia o dallo spoglio. Sia l’azione di reintegrazione che di manutenzione si propongono con ricorso al giudice del luogo in cui è avvenuto il fatto denunciato.

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RIPASSO Per fissare le idee sugli argomenti trattati si cerchi di rispondere ai seguenti quesiti:1) Quali sono i presupposti per il procedimento di ingiunzione?2) Quando viene emesso un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo?3) Che forma ha l’atto introduttivo del procedimento per la convalida di sfratto?4) Qual’è il giudice competente per il rito cautelare?5) Differenza tra riesame e reclamo dei provvedimenti cautelari6) Come si attua il provvedimento che autorizza il sequestro?

UNITA’ DIDATTICA 11L’ARBITRATO.

IL PROCESSO DEL LAVORO

Con riferimento agli argomenti trattati nell’unità didattica precedente si risponda ai seguenti quesiti:a) Procedimento d’ingiunzioneb) Chi è il giudice competente per il procedimento per la convalida di sfratto?c) Presupposti per i procedimenti cautelarid) Inefficacia del provvedimento cautelaree) Conversione del sequestro conservativo in pignoramentof) Art. 700 c.p.c.

ArbitratoÈ potere delle parti “compromettere” la controversia, ossia affidare la decisione a giudici privati scelti da loro o scelti in un modo da esse stabilito. La possibilità di ricorrere a tale strumento non è assoluta, ma è circoscritta alle sole controversie riguardanti diritti disponibili, essendo espressamente sottratte alla disponibilità delle parti le controversie individuali di lavoro e quelle in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, nonché quelle concernenti questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e le altre che non possono formare oggetto di transazione (art. 806 c.p.c.).Arbitrato rituale ed arbitrato irrituale: l’arbitrato rituale presenta i caratteri strutturali e funzionali propri del giudizio, configurandosi, più precisamente, come un giudizio privato effettuato da soggetti che, in virtù dei poteri conferitigli contrattualmente, operano come giudici pur essendo privi dei poteri autoritativi di questi. L’arbitrato irrituale o libero è una forma di risoluzione convenzionale delle controversie, nel senso che le parti conferiscono agli arbitri il compito di comporre una lite mediante atto negoziale, impegnandosi a considerare come espressione della propria volontà quanto deciso dagli arbitri.Si deve infine specificare che l’arbitrato rituale e l’arbitrato irrituale sono diversi dall’arbitraggio: questo si configura quando le parti, in sede di conclusione di un contratto abbiano deferito ad un terzo la determinazione della prestazione in esso dedotta (art. 1349 c.c.).Arbitrato rituale (art. 806 e ss.)Il compromesso (art. 806), è l’accordo tra due o più persone di far decidere da un terzo (arbitro) la controversia insorta. La clausola compromissoria (art. 808), è l’accordo che le parti stipulano nel contratto 8° in un atto separato) con il quale stabiliscono chi dovrà dirimere le loro controversie nascenti dal suddetto negozio, quindi future.La forma del compromesso e della clausola compromissoria deve essere scritta a pena di nullità.Gli arbitri: gli arbitri devono essere determinati in numero dispari. Il compromesso o la clausola compromissoria deve contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero di essi e le modalità di nomina. In caso di indicazione di un numero pari di arbitri, l’ulteriore arbitro se le parti non hanno diversamente convenuto è nominato dal presidente del tribunale del luogo in cui ha sede

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l’arbitrato. Qualora manchi l'indicazione del numero degli arbitri e le parti non si accordino al riguardo, gli arbitri saranno tre (art. 809 c.p.c.).Quando per qualsiasi motivo vengono a mancare tutti o alcuni degli arbitri nominati, si provvede alla loro sostituzione.Gli arbitri possono essere sia cittadini italiani che stranieri. Non possono essere arbitri i minori, gli interdetti, gli inabilitati, i falliti e coloro che sono sottoposti a interdizione dai pubblici uffici.L’accettazione degli arbitri deve essere data per iscritto e può risultare dalla sottoscrizione del compromesso. Gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all’onorario per l’opera prestata, salvo che vi abbiano rinunciato al momento dell’accettazione o con atto scritto successivo. La parte può ricusare l’arbitro che essa non ha nominato per i motivi previsti dall’art. 51 c.p.c. La ricusazione è proposta mediante ricorso al presidente del tribunale entro il termine perentorio di 10 gg. dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente del tribunale deciderà con ordinanza non impugnabile.ProcedimentoLe parti possono stabilire, finché non sia iniziato il giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri dovranno applicare nel procedimento. In mancanza di tale indicazione, gli arbitri hanno al facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno. Gli arbitri devono in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie, e per esporre le loro repliche.Se nel corso del procedimento sorge una questione incidentale che per legge non può costituire oggetto di giudizio arbitrale, gli arbitri, qualora ritengano che il giudizio ad essi affidati dipenda dalla definizione di tale questione, sospendono il procedimento. Il giudizio resta sospeso fino al giorno in cui una delle parti notifichi agli arbitri la sentenza passata in giudicato che ha deciso la causa incidentale.Se le parti non hanno disposto altrimenti, gli arbitri devono pronunciare il lodo (la decisione) nel termine di 240 gg. dall’accettazione della nomina. Il termine decorre dall’ultima accettazione. Questo è sospeso quando è proposta istanza di ricusazione, fino alla pronuncia su di essa. È interrotto quando occorre procedere alla sostituzione degli arbitri.Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati con qualsiasi espressione a pronunciare secondo equità.Lodo arbitrale: il lodo è deliberato a maggioranza di voti dagli arbitri ed è redatto per iscritto. Esso deve contenere: l’indicazione delle parti; l’indicazione dell’atto di compromesso o della clausola compromissoria e dei quesiti relativi; l’esposizione sommaria dei motivi; il dispositivo; l’indicazione della sede dell’arbitrato e del modo in cui è stato deliberato; la sottoscrizione di tutti gli arbitri, con l’indicazione del giorno, mese e anno in cui è stata apposta.Il lodo ha efficacia vincolante tra le parti dalla data della sua ultima sottoscrizione.Gli arbitri redigono il lodo in tanti originali quante sono le parti, dandone comunicazione a ciascuna di esse. La parte che intende far eseguire il lodo è tenuta a depositarlo in originale o in copia conforme, insieme con il compromesso o la clausola compromissoria, nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Contro il decreto che nega l’esecutorietà del lodo è ammesso reclamo, entro 30 gg. dalla comunicazione, mediante ricorso alla Corte d’Appello, che pronuncia in camera di consiglio con ordinanza.I mezzi di impugnazione: il lodo è soggetto soltanto all’impugnazione per nullità, per revocazione straordinaria o per opposizione di terzo. I mezzi di impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo.L’impugnazione per nullità del lodo si propone nel termine di 90 gg. dalla notificazione del lodo, davanti alla Corte di Appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. I casi di nullità sono elencati dall’art. 829 c.p.c. (es. se il compromesso è nullo, se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro, se il lodo ha pronunciato fuori dai limiti del compromesso, ...)

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Arbitrato internazionale e i lodi stranieriL’ambito di applicazione della nuova disciplina, relativamente all’arbitrato internazionale, è definito dall’art. 832 c.p.c.: la condizione che tale norma richiede è che, alla data della sottoscrizione della clausola compromissoria o del compromesso, almeno una delle parti risieda o abbia la propria sede effettiva all’estero (criterio soggettivo), o che all’estero debba essere eseguita parte rilevante delle prestazioni nascenti dal rapporto cui si riferisce la controversia (criterio oggettivo). Chi voglia far valere nel territorio dello Stato il lodo straniero, deve ricorrere al presidente della Corte di Appello nella cui circoscrizione risiede l’altra parte. Il presidente, accertata la regolarità formale del provvedimento, ne dichiara con decreto l’efficacia nella Repubblica, salvo che la controversia non potesse formare oggetto di compromesso secondo la legge italiana o il provvedimento stesso contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico (art. 839 c.p.c.). Contro il decreto che accorda o nega l’efficacia del lodo straniero è ammessa opposizione da proporsi con citazione davanti alla Corte di Appello entro 30 gg. dalla comunicazione (nel caso di decreto che nega l’efficacia), ovvero dalla notificazione (nel caso di decreto che accorda l’efficacia) (art. 840 c.p.c.).Processo del lavoroI caratteri di questo rito sono: l’oralità, la concentrazione delle udienze e l’immediatezza della decisione. Esso è disciplinato dagli artt. 409-432 c.p.c.; tali disposizioni si applicano: rapporti di lavoro subordinato privato, rapporti agrari, rapporti di collaborazione, rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici impiegati in enti economici e rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici impiegati in enti non economici (art. 409). Il processo vero e proprio deve essere preceduto da un tentativo di conciliazione “obbligatorio” davanti ad apposita commissione (istituita presso l’ufficio provinciale del lavoro) oppure in sede sindacale (art. 410). Se la conciliazione riesce, viene redatto apposito verbale e depositato presso la cancelleria del tribunale territorialmente competente che con decreto lo dichiara esecutivo. Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con le indicazioni delle ragioni del mancato accordo. L’espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva e può essere rilevata dal giudice non oltre l’udienza di discussione di cui all’art. 420 c.p.c.. Il giudice ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione, sospende il giudizio e fissa il termine perentorio di 60 gg. entro il quale le parti devono promuoverlo (art. 412 bis).Procedimento: ai sensi dell’art. 413, in primo grado è competente (per materia) il tribunale in funzione di giudice del lavoro; territorialmente, il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera nel momento in cui il rapporto è finito. La domanda si propone con ricorso che deve contenere: l’indicazione del giudice competente, le generalità delle parti in causa, l’oggetto della domanda, l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni, l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi (art. 414). Il ricorso deve essere depositato in cancelleria insieme ai documenti in esso indicati. Il giudice entro 5 gg. dal deposito fissa con decreto l’udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente. Tra il giorno del deposito del ricorso e l’udienza di discussione non devono decorrere più di 60 gg. Il ricorso con il decreto del giudice dovrà essere notificato al convenuto, a cura dell’attore entro 10 gg. dalla data della pronuncia del decreto. Tra la data di notificazione e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di 30 gg. (art. 415).Il convenuto deve costituirsi almeno 10 gg. prima dell’udienza, mediante il deposito in cancelleria di una memoria difensiva. Se il convenuto propone domanda riconvenzionale, deve chiedere al giudice che venga fissata con decreto una nuova udienza. Il decreto che fissa la nuova udienza insieme alla memoria difensiva contente la domanda riconvenzionale, devono essere notificati all’attore a cura dell’ufficio (art. 418).

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L’intervento volontario del terzo, non può avere luogo oltre il termine previsto per la costituzione del convenuto (almeno 10 giorni prima dell’udienza di discussione).L’udienza di discussione della causa è regolata dall’art. 420 c.p.c. In tale udienza, il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione della lite. La mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione.Se la conciliazione riesce, viene redatto processo verbale dell’avvenuta conciliazione, e la controversia si chiude.Se la conciliazione non riesce, il giudice ha due alternative: 1) se il giudice ritiene che la causa sia matura per la decisione senza necessità di istruttoria, invita le parti alla discussione e pronuncia la sentenza dando lettura del dispositivo; 2) se invece ritiene che sia necessaria l’istruttoria, o ammette e assume le prove nella stessa udienza e poi decide, o fissa un’altra udienza per l’assunzione delle prove e la conseguente discussione.I poteri istruttori del giudice: nel rito del lavoro, il giudice istruttore dispone di poteri d’ufficio molto più ampi di quelli normali; difatti, può disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio (art. 421).Ordinanze per il pagamento di somme: indipendentemente e prima della sentenza, a norma dell’art. 423 c.p.c., il giudice su istanza di parte, in ogni stato e grado del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate. Ugualmente il giudice, su istanza del lavoratore, può, in ogni stato e grado del giudizio, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene raggiunta la prova. Tali ordinanze hanno efficacia di titolo esecutivo. Solo la seconda ordinanza suindicata può essere revocata dalla sentenza che decide la causa.Passaggio dal rito ordinario al rito speciale (art. 426 c.p.c.): quando il giudice rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti indicati dall’art. 409 c.p.c., lo stesso deve disporre il cambiamento del rito con ordinanza con la quale vengono fissati l’udienza di discussione della causa (come causa del lavoro) ed il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria.Passaggio dal rito speciale al rito ordinario (art. 427 c.p.c.): quando, invece, il giudice rileva che una causa promossa nelle forme del rito speciale riguarda un rapporto diverso da quelli previsti dall’art. 409 c.p.c., occorre distinguere due ipotesi: 1) se la causa rientra nella sua competenza, dispone la regolarizzazione formale degli atti con l’avvertimento che le prove acquisite avranno l’efficacia consentita dalle norme ordinarie; 2) se la causa non rientra nella sua competenza, deve rimettere la causa al giudice competente fissando un termine perentorio non superiore a 30 giorni per la riassunzione della stessa.Incompetenza del giudice (art. 428 c.p.c.): quando una causa relativa a rapporti di lavoro sia proposta davanti ad un giudice incompetente, l’incompetenza può essere eccepita dal convenuto soltanto nella comparsa di risposta, ovvero rilevata dal giudice d’ufficio non oltre l’udienza di discussione della causa. Quando l’incompetenza sia stata in tal modo eccepita o rilevata, il giudice rimette la causa al tribunale in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore ai 30 giorni per la riassunzione con rito speciale.Decisione: raccolte le prove, il giudice invita le parti alla discussione orale, al termine della quale ciascuna precisa le proprie conclusioni. Nella stessa udienza, il giudice pronuncia la sentenza, dando lettura del dispositivo (art. 429). Se il giudice lo ritiene necessario e le parti ne fanno richiesta, può concedere un termine non superiore a 10 gg. per il deposito delle note difensive, rinviando la causa all’udienza successiva. La sentenza deve essere depositata entro 15 gg. dalla pronuncia. Il cancelliere né da immediata comunicazione alle parti.Le sentenze che pronunciano condanna, per crediti derivanti dai rapporti di cui all’art. 409 c.p.c., a favore del lavoratore o del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive. Nel caso della

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sentenza che condanna il lavoratore, l’esecuzione di questa sarà sospesa con ordinanza non impugnabile del giudice di appello, se ricorrono gravi motivi. Nel caso della sentenza che condanna il datore di lavoro, l’esecuzione sarà sospesa con ordinanza del giudice di appello, se da questa derivi un gravissimo danno per la controparte.Appello: l’appello contro le sentenze pronunciate nei processi relative alle controversie in materia di lavoro, deve essere proposto con ricorso davanti alla Corte di appello territorialmente competente. Quando l’esecuzione della sentenza sia iniziata prima della notificazione della stessa, l’appello può essere proposto con riserva dei motivi che dovranno essere presentati nel termine di 30 giorni che decorrono dalla notifica della sentenza.Sono “inappellabili” le sentenze che hanno deciso una controversia di valore non superiore ad euro 25,82 (art. 440).Il ricorso deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione, e deve contenere altresì i requisiti richiesti per il ricorso che apre il giudizio di primo grado. Questo va poi depositato nella cancelleria della Corte di appello entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza. Il presidente della Corte di appello fissa, non oltre 60 gg. dalla data della notificazione della sentenza, l’udienza di discussione davanti al collegio. L’appellante nei 10 gg. successivi al deposito del decreto provvede alla notifica del ricorso e del decreto stesso all’appellato. L’appellato deve costituirsi almeno 10 gg. prima dell’udienza. La costituzione dell’appellato si effettua mediante deposito in cancelleria del fascicolo e di una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta dettagliata esposizione di tutte le sue difese. Se è proposto appello incidentale, l’appellato deve esporre nella stessa memoria i motivi specifici su cui si fonda l’impugnazione. L’appello incidentale deve essere proposto a pena di decadenza nella memoria di costituzione, da notificarsi a cura dell’appellato, all’appellante almeno 10 gg. prima dell’udienza.Nell’udienza il giudice incaricato fa relazione orale della causa. Il collegio sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza (art. 437, comma primo, c.p.c.).La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro 15 gg. dalla pronuncia. Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti.Per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze in grado di appello, si deve far riferimento all’art. 431 c.p.c.La Corte di appello se ritiene che il procedimento in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto procederà a norma degli artt. 426-427 c.p.c.Le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorieIl rito speciale dettato dagli artt. 409 e ss. c.p.c., si applica altresì in tutti i procedimenti aventi ad oggetto controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie (art. 442 c.p.c.). Tali controversie sono di tre tipi: 1) controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e gli assegni familiari; 2) controversie derivanti dall’applicazione delle norme che riguardano ogni altra forma di previdenza e assistenza obbligatoria; 3) controversie relative all’inosservanza degli obblighi di assistenza e di previdenza derivanti da contratti e da accordi collettivi.Per quanto riguarda il procedimento valgono le stesse norme già esaminate per le controversie di lavoro, con alcune particolarità. Prima di tutto la domanda non è procedibile se non siano esauriti i procedimenti prescritti da leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o, siano decorsi 180 gg. dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo. Poi il giudice competente per tali controversie è soltanto il tribunale nella cui circoscrizione risiede l’attore.Per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze, si deve ricordare che queste sono provvisoriamente esecutive con la possibilità di far sospenderne l’esecuzione se ricorrono i requisiti di cui all’art. 431 c.p.c.

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SCHEMATIZZAZIONEPROCESSO DEL LAVORO

RIPASSO Per fissare le idee sugli argomenti trattati si cerchi di rispondere ai seguenti quesiti:1) Come vengono nominati gli arbitri?2) Che cos’è il lodo arbitrale?3) Differenza tra compromesso e clausola compromissoria4) Differenza tra arbitrato ed arbitraggio5) Domanda riconvenzionale nel rito del lavoro6) Udienza di discussione7) Differenza tra appello con riserva dei motivi e riserva facoltativa d’appello.

Legge n.69/2009 - La recente riforma del processo civile

Il 4 Luglio 2009 è entrata in vigore la Legge n.69/2009, norma che riforma in

molte parti l'attuale codice di procedura civile e che ha come finalità principale

quella di rendere più snello il procedimento ordinario di cognizione ed in

generale di accelerare la conclusione delle controversie anche mediante

l'introduzione di nuovi strumenti di risoluzione alternativa delle controversie

(ADR) “conciliazione e mediazione”.

Tra le novità più rilevanti si segnala l'introduzione del procedimento sommario di cognizione, che può essere utilizzato per tutte le cause di competenza del giudice monocratico (con esclusione quindi delle cause nelle quali il Tribunale giudica in composizione collegiale art. 50 bis cpc).

Tale procedimento consente nei casi previsti di ottenere in tempi molto contenuti un ordinanza del giudice monocratico che se non appellata in 30 giorni acquista efficacia di giudicato sostanziale e quindi definisce il giudizio.

Si riporta di seguito un estratto della normativa:

«Capo III-bis

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Tentativo obbligatorio

di conciliazione

Ricorso depositato in cancelleria

Se ha esito positivo, redatto processo verbale

Eventuale udienza per l’assunzione delle prove

Udienza di discussione

Se ha esito negativo Decreto

fissaz. ud.

Ricorso e decreto notificati a convenuto

Sentenza

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DEL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE

Art. 702-bis. - (Forma della domanda. Costituzione delle parti). - Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può essere proposta con ricorso al tribunale competente. Il ricorso, sottoscritto a norma dell'articolo 125, deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l'avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell'articolo 163.

A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento.

Il giudice designato fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione.

Il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio.

Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell'udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del quarto comma.

Art. 702-ter. - (Procedimento). - Il giudice, se ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza.

Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell'articolo 702-bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale.

Se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l'udienza di cui all'articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II.

Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un'istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione.

Se non provvede ai sensi dei commi precedenti, alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande.

L'ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione.

Il giudice provvede in ogni caso sulle spese del procedimento ai sensi degli articoli 91 e seguenti.

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Art. 702-quater. - (Appello). - L'ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell'articolo 702-ter produce gli effetti di cui all'articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione. Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Il presidente del collegio può delegare l'assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio».

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