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CAPITOLO PRIMO DIRITTO GIUDICI E POLITICA 1. Inquietudini del civilista contemporaneo. Al civilista spetta il compito di introdurre lo studente alle scienze giuridiche, compito più difficile di quanto lo sia stato nel passato a causa: - della crisi della tradizionale distinzione tra diritto privato e pubblico; - per il rapido mutamento delle condizioni sociali, dello stile di vita, della legislazione e dei valori fondamentali dell’ordinamento; - la pluralità delle fonti giuridiche e la loro complessità. Quindi l’approccio alle scienze giuridiche non può non comportare inquietudini ed interrogativi: se nel campo del diritto esistono concetti e categorie indiscutibili; se è perseguibile una microanalisi separata dall’inserimento del singolo istituto in un discorso complessivo e globale, nell’intera realtà giuridica e sociale; se esiste un monolitismo metodologico, cioè il metodo vero contrapposto a quello falso. 2. Scienza giuridica e cultura giuridica. Quindi diventa difficile introdurre gli studenti alle scienze giuridiche; occorre acquisire la capacità critico argomentativa, essenziale al giurista, e la consapevolezza che la cultura giuridica è espressa da problemi e possibili soluzioni in una prospettiva storica e relativistica . Lo esigono la continua produzione legislativa ed il mutamento delle condizioni e degli stili di vita presenti nella società perché il diritto è innanzitutto cultura di una determinata società, sintesi dei problemi e delle loro soluzioni cioè un universo di possibili soluzioni, purché caratterizzate dal rigore di metodo e dal rispetto dei canoni giuridici. Dunque, la cultura giuridica è frutto dell’attività interpretativa di tutti gli operatori del diritto. Non basta conoscere la legge o la sua interpretazione, né ricostruire 1

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riassunto dei primi tre capitoli

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CAPITOLO PRIMO

DIRITTO GIUDICI E POLITICA

1. Inquietudini del civilista contemporaneo. Al civilista spetta il compito di introdurre lo studente alle scienze giuridiche, compito più difficile di quanto lo sia stato nel passato a causa: - della crisi della tradizionale distinzione tra diritto privato e pubblico; - per il rapido mutamento delle condizioni sociali, dello stile di vita, della legislazione e dei valori fondamentali dell’ordinamento;- la pluralità delle fonti giuridiche e la loro complessità. Quindi l’approccio alle scienze giuridiche non può non comportare inquietudini ed interrogativi: se nel campo del diritto esistono concetti e categorie indiscutibili; se è perseguibile una microanalisi separata dall’inserimento del singolo istituto in un discorso complessivo e globale, nell’intera realtà giuridica e sociale; se esiste un monolitismo metodologico, cioè il metodo vero contrapposto a quello falso.

2. Scienza giuridica e cultura giuridica. Quindi diventa difficile introdurre gli studenti alle scienze giuridiche; occorre acquisire la capacità critico argomentativa, essenziale al giurista, e la consapevolezza che la cultura giuridica è espressa da problemi e possibili soluzioni in una prospettiva storica e relativistica. Lo esigono la continua produzione legislativa ed il mutamento delle condizioni e degli stili di vita presenti nella società perché il diritto è innanzitutto cultura di una determinata società, sintesi dei problemi e delle loro soluzioni cioè un universo di possibili soluzioni, purché caratterizzate dal rigore di metodo e dal rispetto dei canoni giuridici.Dunque, la cultura giuridica è frutto dell’attività interpretativa di tutti gli operatori del diritto. Non basta conoscere la legge o la sua interpretazione, né ricostruire gli istituti, i concetti ma è necessario confrontare il sistema con il fatto, con la realtà sociale, con i problemi concreti. Bisogna dunque porre a confronto il sistema normativo con la realtà dei fatti, la scienza e la prassi. Sotto questo profilo l’interpretazione giuridica non è tanto quella dottrinale, fatta sui libri, ma quella giurisprudenziale dove può avere luogo questo confronto.

3. Filosofi e civilisti a confronto: la filosofia nel diritto. In questa prospettiva un ruolo centrale assume il tema “ Soggetti e norma, individuo e società”. Si parla di SOGGETTI al plurale, in quanto sotto il profilo metodologico, non è possibile costruire una soggettività in forma unitaria, ma è d’obbligo intenderla in forma plurima distinguendo i problemi della persona umana di problemi di quei soggetti che non sono tali (persone giuridiche). La nozione di NORMA al singolare non si identifica con la disposizione legislativa, ma è intesa come confronto tra disposizione legislativa e fatto. La norma non può essere compresa fuori dalla SOCIETÀ, storicamente determinata, e la società civile non può essere valutata separatamente dalla norma. Questa in tanto ha un senso in quanto l’INDIVIDUO non si ponga in contrapposizione con essa (la norma). La coesistenza degli individui nella società giustifica l’esistenza del diritto e della norma. I quattro termini rappresentano una problematica unitaria, la ragione dell’esistenza del diritto.

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La filosofia è presente nell’ordinamento vigente, infatti molte delle espressioni presenti nella Costituzione sono il frutto di opere filosofiche. Il costituente si è mostrato contrario all’esclusività dell’ordinamento statale, la pluralità delle fonti rappresenta una rottura rispetto alla concezione tradizionale della norma. Anche il filosofo del diritto deve essere attento al profilo storico politico e quindi all’ordinamento vigente. La Costituzione pone la persona in una posizione primaria rispetto agli interessi patrimoniali.

4. Finalità pratiche della scienza giuridica e educazione del giurista. Il diritto è scienza pratica, perché ha scopi pratici. La scienza giuridica si caratterizza per il confronto dialettico tra norma e fatto che si configura storicamente in forme diverse secondo: il significato che si attribuisce alla norma giuridica; 2° la teoria delle fonti giuridiche (possiamo avere una sola fonte o più fonti); 2° la gerarchia delle norme; 2° il ruolo che viene attribuito all’autonomia negoziale 2° le tecniche legislative adoperate, 2° il valore della decisione giurisprudenziale. Quindi massima attenzione va riservata alle prassi dei legali, dei tribunali, dei notai, che pongono in risaldo una varietà di atteggiamenti e strumenti di conoscenza della norma e del fatto, del loro significato, quale risultato dell’attività interpretativa.L’attività del giurista, pertanto, si avvale non di uno strumentario predeterminato e rigido, ma di una cultura ampia e di una conoscenza globale dell’ordinamento ravvivata dall’analisi minuziosa del fatto; quindi l’attività del giurista deve essere animata dalla interdisciplinarietà dell’ordinamento inteso come pubblico e privato; dalla convinzione che la conoscenza dell’ordinamento è per definizione sistematica e globale. L’interdisciplinarietà nell’ambito dell’ordinamento non può essere separata dall’interdisciplinarietà del diritto con le altre scienze sociali. Quindi la formazione del giurista non deve essere settoriale ( non deve essere un tecnico specializzato che sà tutto di un settore) perché comporta la poca conoscenza dell’ordinamento nel suo complesso. Da qui l’importanza dell’educazione del giurista. Se è necessario fare leggi adeguate è altrettanto necessario formare giuristi che la sappiano interpretare e sappiano conoscere la realtà ed individuare la norma applicabile. In questa direzione è possibile scorgere oggi, i sintomi di un cambiamento fondato sul rispetto dell’uomo in quanto tale.

5. Interpretazioni unilaterali della giuridicità:il particolarismo come forza degenerativa del pluralismo. Le interpretazioni unilaterali della giuridicità non sono idonee a conferire unitarietà culturale al sistema giuridico. Il formalismo che attribuisce eccessiva prevalenza alla forma ed alle categorie generali è interpretazione unilaterale della giuridicità, cosi come il politicismo che è prevaricazione del politico sul giuridico, dei gruppi di persone sull’uomo. Se è vero è che il giurista nell’attività che svolge non può non esprimere la sua personalità, ma è pur vero che non può stravolgere ciò che a lui non piace, chiamato com’è non ad esprimere gradimenti ma a fornire la conoscenza dell’ordinamento; difatti, compito del giurista è: preventivamente suggerire comportamenti e attività; in via successiva, dirimere e giudicare secundum legem. Fin qui il giurista. Oltre vi è la politicizzazione, la volontà di proporre letture soggettive, ne consegue la soggezione del giudice alle pressioni con conseguente venir meno della sovranità popolare. Dunque il particolarismo, come forza degenerativa del pluralismo, il quale non può sfuggire nella propria organizzazione al giudizio di meritevolezza costituzionale.

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6. Crisi dello Stato sociale di diritto. Lo Stato sociale di diritto rappresenta il tentativo di coniugare legalità e giustizia sociale. Non è sufficiente che lo Stato si astenga da comportamenti invasivi della libertà individuale (libertà dello Stato), ma si richiede che lo Stato assicuri, mediante proprie azioni, l’effettivo esercizio delle libertà (libertà mediante lo Stato). Libertà individuale, libertà dal bisogno, libertà e solidarietà sociale, eguaglianza formale e sostanziale divengono inseparabili. Alle libertà negative si affiancano le libertà positive, che configurano la pretesa dei cittadini ad una serie di prestazioni da parte dei poteri pubblici, finalizzate a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno e libero sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese (art.3 cost.). Emergono i diritti sociale: istruzione, salute, lavoro ambiente.Lo Stato sociale non si contrappone allo Stato di diritto, presuppone la separazione dei poteri tipica dello Stato di diritto. L’ordinamento vigente configura un avanzato Stato sociale di diritto. Stato sociale significa realizzazione delle strutture necessarie alla formazione della persona, della sua cultura, della sua professionalità. Lo Stato sociale si deve fondare sui diritti e sui doveri sociali, ma la cultura dei doveri non è ancora diffusa e questo ha causato la crisi dello Stato sociale. Si danno letture differenti della Costituzione, da un lato la si interpreta in modo che essa configuri uno Stato socialista, dall’altro vi sono interpretazioni conservatrici che sembrano non rispondere più ai bisogni della società attuale.

7. Centralità della “questione giudiziaria”. Nel dibattito attorno al diritto assume rilevanza la “questione giudiziaria”, la lentezza del processo, la frattura tra principi che vengono insegnati nelle università e realtà quotidiana. Si auspica la legislazione per principi e si sottolinea il frequente ricorso ad un simile tipo di tecnica legislativa; si discorre dell’incertezza del diritto come disvalore e della prevedibilità della decisione come un valore, si esalta il nuovo ruolo del giudice arricchito di nuove attribuzioni e si critica la tendenza a riconoscere al magistrato funzioni amministrative. Manca una visione chiara del che fare.

8. Terzietà ed efficienza della magistratura: esigenza di un recupero etico dei ruoli. Necessaria è una riforma, ma nell’attuarla si devono seguire alcune direttive: innanzitutto non si deve pesare l’opera di riforma come alibi alla mancanza di impegno nella quotidiana applicazione delle leggi; non trascurare l’importanza di una riconversione professionale degli operatori di giustizia e di un loro aggiornamento culturale; dedicare maggiore attenzione al reclutamento e alla preparazione dei giuristi. L’EDUCAZIONE DEL GIURISTA PUO’ SUPPLIRE ALL’IMPERFEZIONE DEL’ORDINAMENTO, ALLA MANCANZA DI STRUTTURE E MEZZI.La questione giudiziaria non può essere risolta se non si riscopre il ruolo individuale del magistrato, bisogna ritornare al ruolo del giudice come servitore della legge. Ciò che bisogna fare è guardare i problemi dall’esterno, dal punto di vista dell’utente della giustizia cioè del cittadino. E’ necessario un recupero etico dei ruoli. Quando gli altri poteri tentano di interferire o intimorire la magistratura questi dovrebbero essere fermati. Il sistema giudiziario è istituzione che assicura la legalità, e questo può portare conflitti con decisioni politiche e anche legislative soprattutto nel terreno dell’attuazione dei valori fondamentali

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dell’ordinamento al servizio dei cittadini. E’ necessaria una riflessione sulla riscoperta della terzietà della magistratura al servizio dei cittadini e non nell’interesse di casta. L’indipendenza della magistratura (libera da pressioni) è un requisito indispensabile per il rispetto della legalità costituzionale. Autonomia e indipendenza hanno lo scopo di assicurare l’imparzialità del giudizio e la giustizia (ragionevolezza, proporzionalità, congruità) delle decisioni.

9. Stato di diritto e politica della giustizia. Il civilista vorrebbe che la magistratura avesse una presenza forte sul fronte della garanzia dei diritti e dei controlli di legalità, in un corretto ed autonomo rapporto con l’opinione pubblica, la società civile e le istituzioni. Il filosofo e il sociologo vorrebbero che il CSM non dovrebbe limitarsi ad amministrare la giustizia, ma avere anche la funzione di politica della giustizia. Questo dibattito fa nascere una distinzione tra Stato di diritto e Stato di giustizia, che però deve fare i conti con i valori della Costituzione, tra i quali il principio di legalità inteso come dovere di interpretare e applicare la legge nel rispetto delle norme costituzionali con l’obbligo della corretta motivazione e argomentazione. Sovranità popolare e legalità rappresentano il fondamento della vigente democrazia costituzionale ed è per questo che lo Stato di diritto è ad un tempo stesso Stato di giustizia costituzionale. Realizzare questo compito spetta all’ordine giudiziario che deve attuarlo imparzialmente, in una posizione di autonomia e indipendenza dagli altri poteri della Repubblica, perché le garanzie non consentono spazi a giudizi sommari ed emotivi o a interpretazioni suggerite da prassi emancipatorie. Il magistrato deve controllare che vengano garantiti i diritti e adempiuti i doveri e controllare la validità e meritevolezza dei comportamenti; le diverse tecniche e modalità per attuare il controllo costituiscono l’aspetto più rispondente ad un ruolo giudiziario moderno ed attivo. D’altra parte attribuire al CSM il ruolo non soltanto di amministratore del potere giudiziario ma anche il ruolo politico di tale potere è affermazione poco realistica perché il CSM non è potere politico. Quello che serve è una nuova legislazione che consenta al CSM di svolgere in maniera più adeguata le proprie funzioni. La questione della rappresentatività dell’organismo di autogoverno e la sua estraneità dalle influenze politiche sembra in parte risolta con l’attuale riforma della composizione del CSM. Si ripropone tuttavia l’istituzione di un centro di riferimento per le magistrature ordinarie e non ordinarie.

10. Uscita dall’emergenza e giustizia civile. Nel nostro ordinamento centrale è il valore della persona, le strutture pubbliche sono strumentali e serventi rispetto a tale valore. In un ordinamento come questo la giustizia civile esige un ruolo primario rispetto a quella penale repressiva e sanzionatoria.Giustizia civile intesa come sede privilegiata della garanzia, promozione e tutela dei diritti civili: quelli fondamentali e inviolabili di natura esistenziali e quelli economici (proprietà e iniziativa economica). Tuttavia nella realtà la giustizia civile non trova il primato rispetto a quella penale e ciò non solo per la scarsa cultura degli operatori del diritto ma anche per le contraddittorie scelte legislative rispetto al quadro dei valori costituzionalmente garantiti e soprattutto per la disorganizzazione degli uffici giudiziari. L’uscita dall’emergenza si realizza quando anche nella prassi si ha il primato della promozione rispetto alla repressione e la sanzione. L’uscita dall’emergenza, intesa come fase del terrorismo organizzato e delle associazioni criminali, non è ancora verificata in forma definitiva. Tale emergenza non svanirà agevolmente se non si recuperano i valori espressi dalla Costituzione cd. formale,

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diversa dalla Costituzione cd. materiale che si è venuta a creare identificando interessi dei singoli come interessi generali, portando alla crisi della Stato sociale.

11. Funzione ermeneutica e giudiziaria quale mezzo per uscire dal’emergenza.L’uscita dall’emergenza è resa difficoltosa da una legislazione speciale intervenuta in questi anni, strumento di particolarismi, cioè di degenerazione del pluralismo politico ed economico. Nel settore della giustizia civile la legislazione dell’emergenza ha costituito statuti speciali privilegiati, (diritti singolari) per la parte non sempre più meritevole, ma astrattamente più debole e meglio rappresentata ed ha modificato il contenuto comune delle relazioni intersoggettive specie contrattuali, favorendo l’una parte a carico dell’altra spesso senza tener conto della pari meritevolezza di entrambe e quindi della necessità di chiamare in causa solidarietà e responsabilità ben più ampie. In questo modo si allarga la microconflittualità e si assiste ad una nuova forma di incertezza e di atti normativi spesso in contrasto tra loro (leggi sperimentali, leggi a durata temporanea, incentivi e poi disincentivi; lotta all’abusivismo e poi condono, nullità degli atti e dichiarata loro efficacia). In realtà la produzione legislativa non è conforme al disegno del costituente. La legislazione dell’emergenza nel settore civile è criticabile per aver perso di mira, da un lato, il disegno costituzionale e, dall’altro, le direttive europee, tentando di costruire un microsistema destinato a fallire per le evidenti contraddizioni. Bisogna programmare un intervento complessivo che tenga in considerazione la realtà economica e sociale e che non abbia paura di risolvere problemi di produttività e di giustizia distributiva. La giustizia sociale si realizza intervenendo sulla normativa contrattuale, e incidendo sulle cause che al di fuori creano una ingiustizia già nella partenza (fallimento dell’equo canone). Proporre di realizzare la giustizia sociale solo con strumenti e tecniche volti ad alterare gli istituti civilistici, invece che di adeguarli e di modificarli, comporta lo sradicamento di quegli istituti di garanzia delle libertà e del pluralismo ideologico, economico e politico che caratterizzano il patto costituzionale. Dunque l’emergenza ha la duplice immagine dell’attacco dall’esterno alle istituzioni, e il cattivo uso delle istituzioni stesse. Non si deve negare l’influenza che ha avuto la legislazione dell’emergenza su istituti e intere discipline, occupando spazi di discrezionalità riservati al legislatore ordinario. Ad es: l’influenza che hanno avuto le leggi contro la criminalità organizzata, sul segreto bancario; o come la legislazione fallimentare, nata a tutela dei creditori, è stata, nella prassi, interpretata come strumento posto preminentemente a tutela dell’occupazione, interesse certamente primario nella costituzione. Ma tra i due interessi, quello dei lavoratori e quello dei creditori, non vi può essere conflitto né possibilità di una scelta aprioristica: l’interesse di tutela dei creditori è pur sempre tutela di un’altra impresa la quale, se perde la possibilità di recuperare i propri crediti, può cadere in crisi con pregiudizio sull’occupazione. Tra interesse dei creditori e l’interesse dell’occupazione occorre pertanto trovare un contemperamento; senza menzionare l’incidenza che la legislazione dell’emergenza ha avuto sullo status personae e sulle sue garanzie. L’emergenza non deve indurre ad attribuire alla legislazione speciale un ruolo centrale, perché la gerarchia delle norme e dei valori impone che le leggi speciali siano lette alla luce dei principi fondamentali e non viceversa. La stessa funzione ermeneutica e giudiziaria può

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rappresentare uno strumento per uscire dall’emergenza o, per continuare a restarvi intrappolati.

12 La giustizia civile nella legalità costituzionale e comunitaria. Le controversie relative alla microeconomia vengono risolte dalla giustizia statale, mentre quelle relative alla macroeconomia vengono risolte dalla giustizia privata di natura arbitrale. Questo a causa della lentezza dei processi e dell’emergenza economico-politica. La negoziazione delle modalità e di contenuti dei rapporti economici e civili rafforza l’idea dell’autotutela anziché la fiducia nelle istituzioni. Ma sono le istituzioni che hanno il compito di tutelare gli interessi e questo comporta una crisi di identità della funzione del giudizio giuridico.L’uscita dall’emergenza potrebbe essere favorita da un rafforzamento della tecnica di controllo sugli atti e le attività, specie sotto il profilo della loro meritevolezza.Bisogna realizzare, attraverso una teoria dell’interpretazione assiologicamente orientata, una giustizia civile nella legalità costituzionale e comunitaria utilizzando i valori che caratterizzano tale legalità nell’applicazione dei valori costituzionali. Su tale strada sembra si siano incamminate sia la dottrina sia la giurisprudenza di merito che di legittimità. Difatti i magistrati sono stati invitati ad applicare direttamente le norme costituzionali in “ossequio alla essenziale funzione interpretativa del giudice a quo, funzione che va effettivamente esercitata e non demandata alla Corte costituzionale”.

13. Uscita dall’emergenza come operazione socio-culturale. L’uscita dall’emergenza si prospetta come una operazione socio-culturale complessa che richiede una convergenza di interventi su tutti gli aspetti che caratterizzano il fenomeno: economici, politici e relativi all’educazione dei consociati. Parallelamente acconto al rinnovamento degli apparati statali e giudiziari ed ad uno snellimento del rito e delle procedure occorre individuare e diffondere tra gli operatori, un adeguato strumentario teorico, un bagaglio di concetti rispondenti alla nuova tavola dei valori caratterizzanti l’ordinamento. In questo senso l’uscita dall’emergenza si prospetta come un dovere imposto dalla solidarietà costituzionale. Il principio della legalità costituzionale nella giustizia civile, viene rispettato quando, sugli atti che esprimono autonomia viene effettuato un controllo di meritevolezza con la volontà di superare il conflitto tra Stato di diritto e Stato di giustizia. Occorre il coraggio di porsi in atteggiamento critico rispetto alla legislazione dell’emergenza, perché anche questa deve essere interpretata sistematicamente nel confronto con il sistema italo – comunitario espresso nelle fonti gerarchicamente superiori. L’uscita dall’emergenza si realizza costruendo una giustizia civile che rispetti il principio di legalità, principio a fondamento dell’autonomia e indipendenza del giudice.

14. La giustizia sconfitta. La giustizia è sconfitta quando la società si basa sul particolarismo dei singoli o dei gruppi, sulla raccomandazione, sull’estorsione, sulla corruzione, sul sistema della spartizione dei posi senza alcun rispetto per il merito e le competenze dei singoli. Molto grave è la crisi tra i

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componenti della giustizia (avvocati e magistrati), come lo è nella docenza e nella ricerca, nel settore delle scienze umani e sociali dovuta allo scarso impegno nella formazione propria e altrui. Questo comporta la perdita di credibilità nelle istituzioni. Le riforme intervenute o sono state inadeguate, o non venivano sostenute da mezzi e strutture sufficienti. La sconfitta della giustizia sarà evitabile solo quando vi sarà un rinnovamento culturale dei giuristi, nei metodi e nei contenuti; rinnovamento che deve essere ancorato a 2 principi cardine: il principio di libertà e quello di solidarietà.

15. Arbitrato e Costituzione. La crisi dell’organizzazione amm.va e giudiziaria dello Stato da luogo a processi di destrutturazione dell’ordinamento, classificabili come “produzione alternative” del diritto e della giustizia, come l’arbitrato: da un lato il potere decisionale viene attribuito a soggetti che non sono magistrati ordinari; dall’altro vi sono i presupposti per creare una giurisprudenza ed una prassi negoziale riferibile ad ordinamento non nazionali come, ad esempio, la lex mercatoria quale insieme di regole di disciplina uniforme dei rapporti commercial internazionali. Ma la dottrina è orientata in modo diverso, sostiene che l’arbitrato rituale non sostituisce integralmente la funzione giurisdizionale e che questo coinvolgimento dell’arbitrato nel giudizio ordinario non è in contrasto con l’art. 102 Cost. solo se viene visto come cooperazione dei privati alla formazione delle premesse logiche della sentenza. Leggendo invece gli artt. 806 ss. Cpc alla luce della Cost. emergono alcuni aspetti interessanti. In particolare la specificità del giudizio arbitrale, che rimane peculiare per l’assenza dell’elemento della coercibilità, non sempre è giustificata. Ed in questa prospettiva sono da accogliere con favore alcune recenti modifiche normative (operate dal d. lg. 2.2.2006 n. 40) che hanno allineato la disciplina del processo arbitrale a quella del giudizio ordinario: ad es. il nuovo art. 815 in tema di ricusazione degli arbitri: nel 1957 Andrioli scriveva che anche l’arbitro che ancora non ha ancora accettato l’incarico può essere ricusato. Il nuovo art. 815 co.2 stabilisce invece che la parte “non può ricusare l’arbitro che ha nominato o ha contribuito a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina”.Non può dirsi lo stesso per quanto riguarda l’ipotesi di morte della parte, alla quale dovrebbe estendersi la disciplina prevista per il giudizio ordinario sull’interruzione del processo (art. 299 ss. cpc). Il nuovo art.816 sexies cpc prevede invece che se la parte muore “ gli arbitri assumono le misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio” e possono sospendere il procedimento o rinunciare all’incarico qualora non siano osservate le disposizioni dettate per la prosecuzione del giudizio.Nella realtà tra processo amm.vo e processo arbitrale viene preferito il primo.Bisogna tener conto invece che nel processo amm.vo mancano alcune garanzie essenziali nel giudizio arbitrale: la giurisdizione amministrativa dovrebbe essere rivista. Si profilano problemi di microconflittualità che potrebbero essere risolti dall’arbitrato. Il dlgs 40 del 2006 favorisce l’arbitrato prevedendo un procedimento più elastico e svincolato dai formalismi procedurali che ne pregiudicavano l’efficacia. Il legislatore ha riformato il capo I dell’arbitrato, ha introdotto anche dei limiti oggettivi (i diritti indisponibili) e ha definito la natura contrattuale della decisione assunta con arbitrato irrituale. Ha inoltre rafforzato alcune garanzie come la difesa e il contraddittorio (art. 816 bis co1).

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Sarebbe opportuno prevedere meccanismi che assicurino la precostituzione del giudice naturale (albi dai quali disegnare l’arbitro). Altro aspetto rilevante è quello economico, l’arbitrato è troppo costoso, occorre stabilire tariffe più congrue. Si prospetta la necessità di un intervento complessivo con l’introduzione dell’arbitrato obbligatorio e questo potrebbe risolvere il problema dei giudici di pace, che costano molto alla giustizia, si eliminerebbero molte spese di cancelleria, segreteria.Al contrario, un arbitrato obbligatorio ex lege, per le problematiche della microconflittualità e della microeconomia, avrebbe come sede lo studio di un professionista (senza organizzazione di cancellieri, segretari, spese locali), con la possibilità per il Consiglio dell’ordine di avere una lista di persone proprie, certe, sicure, capaci di intervenire come arbitri, e con l’applicazione di una tariffa professionale particolare e di vantaggio per le parti, sì da incentivare l’utilizzazione di tale strumento. Il processo, il giudizio, qualunque esso sia, deve garantire i valori e i principi costituzionali. A tale aspetto del problema va data maggiore importanza, individuando i caratteri generali del modello di processo giustiziale previsto dalla Costituzione. L’introduzione del “giusto processo” (art. 111 cost. come modificato dalla L. 23.11.99) rappresenta una riforma molto importante perché stabilisce le garanzie indefettibili di qualsiasi giudizio, compreso quello arbitrale difatti l’art. 111 co2 recita:”ogni processo si svolge nel contraddittorio (inteso come elemento essenziale) tra le parti, in condizione di parità (difesa), davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata del processo”(La durata del processo non rappresenta solo uno dei vantaggi legati all’arbitrato, ma è una necessità di adeguare i giudizi ordinari ai livelli di giustizia presenti nella realtà comunitaria). Infine “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”cioè il giudice deve non solo disporre, ma anche motivare anche se parte della dottrina vorrebbe limitare la portata dell’obbligo di motivazione al fine di assicurare una maggiore speditezza processuale. All’esigenza costituzionale del giusto processo risponde la disciplina di riforma del procedimento arbitrale che all’art. 816 bis co1 enuncia il principio di contraddittorio, assicurando alle parti “ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa”. Necessario è fare riferimento al principio di eguaglianza (art.3cost.) per superare la concezione dell’arbitrato quale privilegio e realizzare l’accessibilità di tutti allo strumento arbitrale, la garanzia della parità delle parti, aspetti poco tutelati nella giustizia statale, mediante il gratuito patrocinio. Il principio del contraddittorio deve consentire alle parti pari opportunità di contribuire alla formazione del convincimento del giudice e del provvedimento finale (contraddittorio dinamico e rispetto della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato). Bisogna realizzare il diritto di difesa, l’effettività e l’adeguatezza della tutela. Ciò si evince dall’esame delle norme costituzionali che costituiscono un sistema che non è in contrasto con l’arbitrato, anzi l’arbitrato è necessario ed idoneo a realizzare quanto previsto dalla Costituzione e cioè il rispetto della persona, i diritti alla giustizia e al giusto processo.

16. Il primato della politica. La crisi dello Stato è un tema attuale. La sovranità, espressione suprema dello Stato, viene esercitata da istituzioni che Stato non sono e che ancora non si caratterizzano per una loro natura precisa. La sovranità dello Stato sta perdendo la sua immagine classica, non è più sovranità statale, ma si distribuisce tra soggetti diversi. Viene meno la potestà dello Stato

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sulla moneta, la difesa è diventato un aspetto comunitario, la giurisdizione viene esercitata a livello europeo dalla Corte di Giustizia e dalla Corte dei Diritti dell’Uomo. Gran parte dei poteri prima attribuiti allo Stato, ora sono concessi alle regioni (infatti art. 117 cost. IV “ spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”) . Le grandi strategie politiche ed economiche non sono più assunte dallo Stato e dal Parlamento nazionale, ma dall’istituzione Europa che trascende il potere statale. La sovranità assume articolazioni sempre più complesse sino a rinvenirsi in soggettività diverse, a volte gerarchicamente organizzate e tendenti a sostituirsi, le une con le altre, secondo il principio di sussidiarietà. Si ché se lo Stato non può esistere senza sovranità, ciò non significa che la sovranità si identifichi con lo Stato. Sorge al tempo stesso la necessità della globalizzazione della politica, il problema che nasce è: con quali istituti governare affinché l’economia non prenda il sopravvento sulla politica. Il primato dell’economia risponde alle sole ragioni di mercato, il primato politico rappresenta il primato delle finalità generali, realizzare i valori superiori tutelati dalla Cost. cioè dignità dell’uomo e il libero sviluppo della persona.Parlare oggi di primato politico significa che si deve rispettare la persona e i suoi diritti inviolabili (personalismo), e attuare la solidarietà (solidarismo) perché il fine della politica, il fondamento del suo primato, è il pieno e libero sviluppo della persona. L’immodificabilità della Cost. copre, oltre i tradizionali diritti fondamentali della persona, anche una serie di diritti politici che costituiscono un limite al primato della politica, ma anche un successo della politica perché la loro origine è in una scelta politica. Si tratta di un minimo di norme e di valori in mancanza dei quali un ordinamento non potrebbe essere definito come democratico: la sovranità popolare, la responsabilità del governo, la divisione dei poteri, il principio di legalità delle garanzie giurisdizionali, il principio di eguaglianza. L’introduzione nella nostra Cost. di diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino sono divenuti immutabili perché una volta entrati nell’ordinamento giuridico costituzionale, diventano tratti identificativi dello Stato Repubblicano e quindi immodificabili da qualunque procedura di revisione costituzionale (Falzea).Il pluralismo informativo è importante per la democrazia e per il primato della politica, ma è ancora più importante il pluralismo formativo. Ognuno deve assolvere il proprio dovere di studiare e informarsi, questo è la prima forma di solidarietà in un paese democratico. I giuristi sono positivisti quando le norme hanno contenuto morale ( il diritto ha contenuto morale perché l’osservanza delle sue regole non sarebbe possibile se mancasse il consenso morale di fondo).Se la politica ha radice nella legge ed è la ragione della politicità della legge, la giuridicità non è identificabile soltanto con la legge. Non tutto il diritto nasce nel sistema della politica, la quale non è l'unica deputata ad individuare decisioni e regole perché i fenomeni di autodisciplina, della contrattazione collettiva e della concertazione tra le parti sociali interessate, smentiscono che il diritto abbia fondamento solo nel sistema della politica. La giuridicità non si fonda esclusivamente nelle leggi dello Stato, la modernità della giuridicità sta proprio ad indicare il risorgere del pluralismo delle fonti e delle giurisdizioni, non più espressioni della sovranità statale. La pluralità delle fonti del diritto si traduce in una presenza di normative che tendono a formare un sistema articolato nel quale il potere politico non è protagonista esclusivo. Il principio di sussidiarietà stabilisce tra fonti interne e quelle esterne un rapporto di fungibilità ispirato alla ragionevolezza e proporzionalità delle soluzioni. Qui la produzione normativa prescinde dalla politica, quindi il primato del diritto è più ampio del primato della politica. Primato del diritto significa che non si deve

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identificare il diritto nella legge. Falzea sostiene che il rapporto tra politica e diritto è cosi strutturato: si afferma il primato della politica nell’interpretazione e determinazione dell’interesse fondamentale; mentre si afferma il primato del diritto nella garanzia della correttezza delle interpretazioni e determinazione dell’interesse fondamentale e la sua realizzazione. In questo modo politica e diritto si condizionano reciprocamente.

DIRITTOCIVILE

PERLINGIERI TOMO 1

Capitolo V

Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente

56. Realtà sociale e ordinamento

Lo studio del diritto non può prescindere dall’analisi della società e del ruolo che la scienza

giuridica assume in relazione ad essa: la giurisprudenza è infatti una scienza sociale

sensibile a qualsiasi modificazione della realtà ed ha come punto di riferimento l’uomo nel

suo evolversi storico e sociale, la cui esistenza è coesistenza. L’insieme di regole che ordina

la coesistenza unitariamente e gerarchicamente disposte è l’ordinamento giuridico o realtà

normativa, ed ogni trasformazione della realtà sociale interessa la scienza del diritto atteso

che agisce sulla realtà normativa. Credere che il diritto sia immodificabile, eterno,astorico

ed insensibile a qualsiasi ideologia è un atteggiamento formalista.

57. Regole giuridiche e sociali

Il diritto positivo (cioè il diritto prevalentemente scritto, posto da fonti predeterminate e

riconoscibili) si può adeguare alle regole già presenti nella società (cd regole spontanee) con

un’operazione di conservazione o porsi in antitesi alla situazione di fatto costringendo il

destinatario della norma al rispetto non più delle regole spontaneamente sorte, ma di quelle

imposte. Può assolvere perciò una duplice funzione: conservare le situazioni presenti nella

società, conformando le proprie regole a quelle sociali preesistenti; trasformare la società

in base ad interessi alternativi; ogni norma specie se promozionale (cioè innovatrice del

reale) è frutto di bisogni ed esigenze cui l’ordinamento cerca di adeguarsi, può capitare però

che il legislatore disattenda o interpreti diversamente le esigenze sociali, sarà comunque

sempre possibile un controllo di legittimità formale o costituzionale sulla sua attività.

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Page 11: riassunti perlingieri

58. Diritto come struttura

La concezione del diritto come sovrastruttura della società non ha fondamento

(giustificazione), esso è condizionato e condizionante la società e una tesi opposta è

smentita dalla prassi e dalla realtà; il diritto è dunque struttura della società ed espressione

della sua cultura, non è dunque modificabile ad nutum con un atto arbitrario. Infatti

l’esperienza conferma che non basta il mutamento di una legge scritta per mutare la cultura

giuridica di un paese. La stagione del diritto come sovrastruttura che presupponeva

un’identità tra diritto e legge e non tra diritto e cultura è da superare, il rapporto con le altre

scienze sociali non può esaurirsi nella morte del diritto come affermato dall’impostazione

liberista crociana o dal pensiero marxista (diritto come sovrastruttura), per cui il diritto è

radicato nella società ed espressione della sua cultura e valori e ha un rapporto dialettico con

le scienze sociali.

59. Giurista e scelte legislative

 Talvolta il potere legislativo si è posto al di sopra della legge,violando i diritti fondamentali

e sfociando nell’autoritarismo, a questo punto il giurista può rispettare le norme ingiuste (si

pensi alle norme fondate sulla distinzione dell’individuo in razze o in base al sesso) o

rifiutarsi di svolgere la sua professione facendo opera di resistenza. Il giurista è colui il

quale interpreta, individua ed applica le leggi: qualora le disapplicasse svolgerebbe

un’attività talvolta meritevole ma diversa, anche se c’è da dire che molti giuristi italiani e

tedeschi durante le dittature hanno posto un freno all’ingiustizia del potere applicando

restrittivamente alcune norme ingiuste o interpretando estensivamente alcuni principi

garantistici.

La funzione del giurista è complessa e la sua valutazione coinvolge un insieme di aspetti

politici, ideologici, sociale etico, religioso egli deve valutare il fatto e applicare la norma

secondo i principi dell’ordinamento, egli infatti è si libero e indipendente ma vincolato alla

legge, non la lettera ma il suo spirito cioè dal suo significato nella globalità

dell’ordinamento..

60. Norma costituzionale

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Page 12: riassunti perlingieri

L’insieme dei valori, beni, interessi prevalenti e la loro gerarchia qualifica il tipo di

ordinamento, non esiste infatti l’ordinamento in astratto ma gli ordinamenti giuridici ognuno

caratterizzato da una filosofia di vita cioè dai valori e dai principi fondamentali che ne

costituiscono la struttura qualificante; il nostro è costituito da codici e leggi espressioni di

diverse visioni del mondo rispetto alla società attuale ma anche alla costituzione, il contrasto

fra queste visioni è risolvibile solo nella consapevolezza che l’ordinamento è unitario

per cui la soluzione della singola controversia va data considerando il singolo articolo di

legge che sembra contenerla e risolverla ma alla luce dell’intero ordinamento. Il ruolo della

costituzione ha avuto diverse riflessioni: per la scuola dell’esegesi la cost. ha valore

ideologico politico, un programma per il legislatore futuro; nel nostro sistema invece è apice

dell’ordinamento (si trova in una posizione di supremazia) per cui può essere modificata

solo con maggioranze qualificata del Parlamento; la corte cost., ha l’ufficio di dichiarare

l’eliminazione di tutti quegli atti aventi forza di legge che siano in contrasto con i principi

costituzionali e ciò va tenuto presente nella risoluzione di un problema concreto (54cost.).

61. Il disegno costituzionale. Le categorie dell’essere e dell’avere

In contrasto con l’essenza del nostro ordinamento è il pensiero di chi rinviene nella

costituzione un insieme eterogeneo e contrastante di valori inutile e dannoso all’attività

ermeneutica, allo stesso modo è in contrasto chi isola la norma rispetto al sistema, ad

esempio chi legge la cost. in chiave classista quando è un testo interclassista e pluralista, o

chi vuole neutralizzare la proprietà privata nonostante le garanzia costituzionali. L’assetto

sociale può essere analizzato sotto due profili: l’avere (che attiene alle strutture economiche

e produttive, all’aspetto patrimoniale e mercantile dell’organizzazione sociale) e l’essere

(che riguarda l’aspetto esistenziale della persona con i suoi diritti e doveri). La prima

categoria racchiude la problematica della proprietà, dell’iniziativa economica privata e

dell’impresa; l’altra la problematica dei diritti fondamentali della persona: diritto al lavoro,

allo studio, ad una vita libera e dignitosa, all’eguaglianza sostanziale nei confronti degli altri

cittadini, al rispetto della propria dignità. La risposta degli ordinamenti al contrasto tra le

due categorie ha privilegiato, nelle diverse epoche, ora la modalità dell’avere ora quella

dell’essere. La cost. con numerosi limiti e compromessi ha risposto a questo conflitto in

modo diverso rispetto alle codificazioni civili.

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Page 13: riassunti perlingieri

62. Cenni storici sulla codificazione

La necessità dei codici non è stata sentita in tutti gli ordinamenti e ogni tempo, ad esempio i

paesi anglosassoni non conoscono questo fenomeno (o almeno non strutturalmente);

nell’Europa continentale le codificazioni sono frutto di esigenze che affondano le loro radici

in diverse correnti ideologiche e filosofiche tutte però con il medesimo fine: la certezza del

diritto. Le consuetudini (leggi non e scritte tramandate da generazione in generazioni), editti

e legislazioni locali e nazionali, collegate a svariate situazioni, rendevano gravosa la

conoscenza del diritto e facilitavano l’arbitrio dell’interprete. Con l’avvento dello stato

assoluto, apparentemente articolato secondo il principio della divisione dei poteri –

legislativo, esecutivo e giurisdizionale - si è cercato di eliminare tale confusione ed il

richiamo ancora al corpus iuris di Giustiniano, e di creare un corpus normativo nazionale.

Ciò è avvenuto in Austria ma soprattutto in Francia con il code napoleon, il primo codice

civile moderno.

63. Codificazioni in Italia

In Italia si assiste ad una situazione diversa dovuta alla pluralità di Stati e nonostante la

presenza di scuole contraria alla codificazione ogni stato si detta un proprio codice. Quindi

nell’Italia preunitaria ogni stato si da un proprio codice, con l’unità è necessario però

uniformare le leggi, ed a tale esigenza risponde il codice civile del 1865, che può dirsi il

codice dell’unità italiana perché sugella una uniformità politica che esige l’abolizione dei

codici preunitari. È molto vicino al code napoleon seppure in parte adeguato alle esigenze

locali e pone al centro dell’ordinamento la proprietà privata soprattutto terriera (l’avere

prevale sull’essere), vi è diffidenza verso le comunità intermedie ( non vi è spazio per

partiti, sindacati, associazioni e società, è un codice individualista soltanto la proprietà

individuale è presa in considerazione.

Diversa è l’ispirazione del codice civile del 1942 che privilegia alla staticità della proprietà

privata la dinamicità dell’impresa e della produzione sempre però sotto la guida dello stato,

fondamentali principi sono la solidarietà economica e l’interesse superiore della nazione, il

diritto di famiglia è armonizzato all’organizzazione gerarchica del regime fascista, l’avere di

nuovo prevale sull’essere. Negli anni del regime fascista si completa il processo di

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codificazione si realizzano anche altri codici: navigazione, procedura civile e penale, codice

penale.

64. La coscienza democratica e costituzione repubblicana

La fine del regime porta un nuovo fermento ideologico e culturale, dal liberismo al

marxismo al personalismo al solidarismo, in questa ricca fucina di idee nasce una delle più

avanzate costituzioni che non abbatte lo stato ma lo riforma gradualmente e pacificamente.

Nasce la coscienza democratica, i partiti, i sindacati e nonostante il codice fascista resta in

vigore (seppur depurato) lentamente viene influenzato e interpretato alla luce dei valori

costituzionali alla luce dei quali sono eliminate le norme contrastanti.

65. Legislazione speciale e integrativa

Il primo ventennio di democrazia punta alla riorganizzazione dello stato, al superamento

degli squilibri territoriali, alla ripresa economica e la riforma agraria con l’assegnazione ai

contadini di terreni sottratti al latifondo, alla razionalizzazione dei suoli urbani, si tenta la

ricodificazione ma si preferisce la novella del codice e la legislazione speciale. Svolta

decisiva si ha nel 1964 con la tipizzazione dei contratti agrari, in un periodo di espansione

economica il sindacato acquista grande forza e svolge un ruolo fondamentale nella

contrattazione collettiva e nella lotta dei lavoratori che porta ad una maggiore attuazione dei

valori costituzionali ad esempio con lo statuto dei diritti dei lavoratori, il nuovo processo del

lavoro, legge sulla casa e le adozioni, sulla capacità d’agire, il divorzio e il diritto di

famiglia, l’accesso all’abitazione, lo studio e la salute, la riforma fiscale e il decentramento

amministrativo. La fine degli anni 70 con la crisi economica, politica, sociale e di ordine

pubblico prende consistenza una legislazione speciale che assume i caratteri della

sperimentazione: legge sull’equo canone, nuova regolamentazione dei rapporti agrari,

adozione, riordino del settore sanitario, titoli mobiliari e impresa. Poi si continua con le più

recenti norme sul trattamento dei dati personali, lavoro interinale, intermediazione

finanziaria, legge Biagi, codice del consumo…

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Page 15: riassunti perlingieri

66. La decodificazione

Il codice civile del 1942 ha perso la centralità di un tempo mentre ruolo unificante ha la

costituzione cui i vari microsistemi e micrordinamenti sorti devono sempre ispirarsi; il

codice rappresenta comunque riferimento per molte materie, e inoltre il ricorso a testi unici

e codificazione in diversi settori, così come uno sguardo ad altri paesi nel mondo non può

far parlare di fine dell’epoca dei codici.

 I problemi non vanno dunque risolti alla luce della collocazione delle norme (codici o leggi

speciali) ma alla luce dei valori e principi dell’intero sistema.

67. Dinamicità dell’ordinamento d pluralismo ideologico nella costituzione

Nei momenti di transizione e passaggio si producono contraddizioni nella società e di

riflesso nell’ordinamento, quando invece una concezione è dominante l’ordinamento è

statico e uniforme. In un momento di trasformazione come quello attuale nei paesi

democratici si ravvisano norme che si ispirano a diverse concezioni tra loro eterogenee

necessarie però al processo storico. Nella nostra stessa costituzione vi è un pluralismo di

valori che non sfocia però nel qualunquismo, ma nell’incontro di diverse e a volte opposte

ideologie con il punto fermo però del rifiuto della concezione fascista; nelle costituzioni

contemporanee viceversa vi è una scelta ideologica monistica.

68. Dallo stato di polizia allo stato costituzionale contemporaneo

Lo stato moderno ottocentesco risponde all’esigenza di ordine della società, di conservare lo

status quo. Lo stato ha soltanto la funzione di mantenere l’ordine: è lo stato di polizia che

si identifica nel codice del 1865 (significativo è che non si parla di esproprio ma di dovere

di cessione da parte del privato, si iniziò con l’affermare che il proprietario doveva “cedere”

il bene allo Stato nell’ipotesi di necessità impellente e inevitabile, per parlarsi poi di

“necessità”, di “utilità” ed infine di “interesse generale”) ; la libertà del cittadino è intesa

come libertà dallo stato. Il codice del 1942 esprime valori diversi, vi è un clima di

solidarietà nazionale produttivista, il corporativismo supera i contrasti fra le categorie in

nome della produttività nazionale; l’interesse nazionale è superiore a quello individuale e ai

diritti individuali, l’uomo si annienta nella famiglia, nelle corporazioni, nello stato. In

presenza di siffatta concezione sopraggiunge la costituzione che ridà dignità ai diritti

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Page 16: riassunti perlingieri

individuali, non è punto di arrivo della società ma modello di riferimento specie sul punto

che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione (non tanto intesa come forma

di stato ma come principio democratico).

 

69. Ordinamento giuridico e complessità: ius e societàs

Nell’affrontare il tema dell’ordinamento come complessa esperienza giuridica non può

risolversi in prospettive teorico – generali che non aiutano a comprendere la prassi. Lo

studio della complessità e dell’unitarietà dell’ord. giuridico vigente non può

prescindere ,anzi, dipende dalla portata valutativa dei fenomeni economico –sociale e quindi

dall’esperienza giuridica. Il metodo teorico-generale rivela i propri limiti quando,nel

desumere i concetti dalle norme secondo procedimenti di astrazione, considera trascurabile

il “dato di fatto”, “la fattispecie concreta” incamminandosi verso forme di vero e proprio

ononismo giuridico.

Se è possibile che il tema della complessità sia affrontato da angolazioni diverse resta pur

sempre da privilegiare per il giurista l’angolazione dalla quale l’interprete ed il giudice si

deve porre nel momento nel quale è chiamato a risolvere un caso concreto. Cioè a decidere a

quale normativa la soluzione deve ispirarsi, traducendo principi e regole appartementi ad un

complesso sistema nell’”ordinamento del caso concreto”, operaizone in apparenza semplice

ma molto complessa nella effettiva concretizzazione. Bisogna chiarire che fa parte

dell’ordinamento giuridico tutto ciò che concorre a ordinare i fenomeni della comunità, il

diritto non può esistere senza la societas ed è parte della stessa, derivano da ciò taluni

principi:

- storicità della societas e dello ius sono tutt’uno;

-lo ius coincide con la societas senza esaurirsi nella pura normatività;

- la complessità dello ius esige che la sua analisi tenga conto della sua unitarietà;

- tale unitarietà è individuabile solo nella sua effettiva applicazione

70. Tipi di complessità dell’ordinamento giuridico

Vi sono diverse tipologie di complessità:

- uniforme: senza ricorso a diversi livelli normativi, i principi fondamentali dell’ord. sono

contenuti in norme dello stesso rango delle altre e non vi è gerarchia normativa

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Page 17: riassunti perlingieri

- composita : cioè articolata in più livelli normativi per cui norme inferiori devono essere

conformi e quindi compatibili con quelle superiori (tale complessità è tipica dei sistemi con

cost. rigida),tale complessità può essere a sua volta:

* rigida: non consente integrazioni fra i diversi livelli

* flessibile: ripartisce competenze integrative anche a fonti inferiori (Italia)

- chiusa al sistema normativo nazionale e le sue fonti

- aperta a principi di altri paesi o al diritto internazionale (art.10 cost.)

71. Complessità e dinamicità

L’ordinamento giur. non si esaurisce nella complessità della sua genesi legislativa e

normativa, ma la complessità dell’ordinamento è data anche dall’impatto sulla realtà cioè

con il sistema socio-culturale di appartenenza. La concezione “realistica”, secondo la quale

“il diritto è un modo di essere della vita umana e sociale”, unitariamente alla tesi che “gli

ordinamenti giuridici riflettono il condizionamento delle società umane all’ambiente

naturale in cui esse si trovano a condurre la loro esistenza” separa la realtà sociale dalla

realtà giuridica, dimenticando che “l’unitarietà del fenomeno sociale è tale che non consente

separazioni tra diritto e società.

Societas è cultura, e questa vive nel momento applicativo, creativo dell’ordinamento del

caso concreto, anche attraverso la cultura e l’esperienza degli operatori (giudici, avvocati,

notai funzionari) che arricchiscono la norma, in tal modo l’esperienza arricchisce la norma,

la plasma e la rende effettiva. Questa complessa attività è senza fine; tale complessità è

l’unica veramente ineludibile e sempre presente; essa attiene tanto al momento fisiologico

delle vicende umane e giuridiche quanto a quello patologico del processo. La cultura, intesa

come insieme di valori etici, religiosi, tecnologici, economico-sociale funge ora da

parametro esterno ora da contenuto esplicito al sistema stesso; ciò si crea quanto più è

ridotta la discrasia fra cultura di un paese e quella che riesce a consolidarsi

nell’ordinamento.

La dinamicità dell’ordinamento è dunque intesa nel duplice senso: incrementativo delle

regole e dei principi introdotti di giorno in giorno nel sistema e condizionato dall’evolversi

delle esigenze e delle abitudini cioè dalla cultura come attualità di problemi e di possibili

soluzioni. Tale dinamicità è l’aspetto più interessante della complessità cioè quello

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Page 18: riassunti perlingieri

procedimentale, è il rifiuto della concezione della complessità come statica quando invece è

per definizione dinamica e va analizzata nel suo evolversi. La dinamicità di questa

complessità a volte asseconda scelte sociali e politiche a volte no; ed è accaduto che i

giuristi abbiano tentato di avvalersi delle garanzie formali per arrestare, o comunque

ritardare, scelte da essa ritenute involutive o contraddittorie (come nel nazismo).

72.Complessità, realtà fattuale e unitarietà dell’ordinamento

La complessità dell’ordinamento dipende strutturalmente dal tipo di istituzioni esistenti,

dall’architettura dei poteri che “governano” ed in particolare dall’assetto effettivo del

legiferare e del giudicare quali veri e propri motori dell’ordinamento e aspetti non secondari

della sua complessità. Produzione della legge e produzione della decisione (sentenza)

finiscono col rappresentare una vicenda inscindibile che, insieme alle tante altre che si

verificano in una comunità, realizzano la sintesi, il bilanciamento tra la conservazione dei

valori legali contenuti della legge e la dirompente realtà fattuale. Quest’ultima portatrice di

valori, è anch’essa assiologicamente valutabile infatti è per definizione sempre innovativa,

originale, imprevedibile espressione della complessità dei fatti concreti, sollecitatori a loro

volta di nuovi interventi legislativi.

Legge, fatto concreto, lite e decisione della lite si configurano come un procedimento senza

fine, dove la situazione finale diventa iniziale.

La complessità dell’ordinamento diventa a tal punto metodo relativistico, dove i precedenti

hanno un ruolo importante ma non decisivo e dove l’argomentazione giuridica non è mai

ripetitiva, perché è la complessità dinamica dell’insieme, nel quale consiste l’ordinamento,

che non lo consente. È qui che affondano le ragioni della storicità delle leggi e delle

decisioni, come di qualsiasi comportamento umano. Questo va valutato per quel che ha

significato e non già per quel che oggi significa; una prospettiva in cui trova giustificazione

il principio della non retroattività della legge. Cioè la complessità dell’ordinamento richiede

che la norma non sia valutata secondo il momento attuale ma in base alle circostanze di

quando fu emessa, tale complessità non deve però far sfuggire il carattere essenziale

dell’ordinamento che è la sua unità, così come non deve confondersi la pluralità di fonti con

l’unità del sistema. L’ordinamento nel suo divenire è continuo adattamento alla societàe alla

cultura e insieme degli ordinamenti dei casi concreti.

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Page 19: riassunti perlingieri

In una scienza giuridica che è scienza pratica, l’ordinamento, per quanto complesso sia, non

può che essere uno, anche se risultante da una pluralità di fonti e componenti.

L’ordinamento realmente vigente è l’insieme degli ordinamenti, dei casi concreti, come si

prospettano nella esperienza di ogni giorno, e vive quindi, esclusivamente in quanto

individuato ed applicato ai fatto e agli accadimenti.

73.Complessità e articolazione normativa

La complessità dell’ordinamento è anche articolazione su più piani normativi: norme

ordinarie, del caso concreto e ausiliarie (o standards valutativi) (lo standard inteso quale

“criterio giuridico normale del comportamento sociale” una “misura media di condotta

sociale corretta” implica sia un rinvio a valutazioni sociali, sia un invito ad impiegare lo

standard quale norma di delega del potere di creare la norma a partire da principi

extragiuridici, rischiando di assurgere a parametri di giustificazione di una attività

interpretativa svincolata da principi costituzionali e conforme alla mera opinione della

maggioranza o del ceto culturalmente dominante; la dottrina ordinaria ritiene che le norme

ordinarie sia concepite solo per fattispecie astratte ma determinate, che i principi comuni

siano desumibili dalla loro generalizzazione e gli standards valutativi siano solo norme di

adattamento, in realtà gli standards sono presenti anche in legislazioni tipicamente per

principi come nella normativa costituzionale ed anche in quella comunitaria.

Una complessità dell’ordinamento, questa fondata su una articolazione tra norme rigide e

flessibili, a contenuto determinato o indeterminato che non trova riscontro nel rango di

appartenenza della regola o del principio (per norma ordinaria è da intendere ogni regola

giuridica che disciplina situazioni di interesse dominante mediante precetti determinati. È

per contro da riservare il nome di principio alla regola giuridica caratterizzata dalla

indeterminatezza quanto al momento dell’azione o anche quanto al momento del risultato

dell’azione). La natura derogabile o inderogabile, normale o eccezionale, che la norma

assume nel sistema è frutto di interpretazione assiologia e sistematica; la qualificazione del

fatto concreto non è un dopo ma è, unitamente alla normativa di riferimento che si individua

come adeguata ad esso, aspetto costante ed ineliminabile del fenomeno normativo (se

l’interpretazione è corretta, la legalità vive correttamente nell’applicazione del diritto al

fatto e da tale applicazione esce rinforzata la legittimità dell’ordinamento) .

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Page 20: riassunti perlingieri

In questo quadro assumono un ruolo + convincente la prassi ( le decisioni dei giudici, i

pareri pro veritate, gli statuti, gli accordi), gli atti normativi e provvedimentali di enti

esponenziali di interessi qualificati (le ccdd autorità amministrative indipendenti) che

concorrono ad integrare il sistema con il loro approccio casistico e settoriale, laddove la

diversità di tecnica legislativa, presente a più livelli, disperde la sua importanza per essere

strumentale e servente alla gerarchia dei valori.

74. Assiologicità, razionalità e unitarietà dell’ordinamento: la centralità della

costituzione

Le norme ordinarie vanno analizzate alla luce dei principi costituzionali, altrimenti sarebbe

la costituzione a dover essere letta alla luce delle norme ordinarie in quanto a contenuto più

determinato, invece la costituzione è apice della gerarchia normativa e suo fondamento;

assiologicità e razionalità costituiscono caratteri della cost. e dell’ordinamento (in quanto

non si può separarli).   L’interpretazione logica, assiologia e sistematica è un dato che

riguarda l’intero ordinamento (sì che il “singolo enunciato legislativo diventa norma quando

è letto e confrontato con l’intero ordinamento in dialettica con i fatti storici concreti, con i

rapporti individuali e sociali).

L’introduzione dei valori normativi incide sui comportamenti e sul dover fare a prescindere

dalla mediazione di norme inferiori o di standards valutativi; anzi questi, letti nella

prospettiva costituzionale, assumono funzioni e significati diversi: difatti i valori

costituzionali sono valori reali anche se fortemente ideali destinati tuttavia a trovare

attuazione nel tempo, condizionati come sono, dalla cultura degli interpreti, dalla funzione

conservativa del diritto che prevale su quella innovativa e riformatrice. Secondo FALZEA i

valori costituzionali, in quanto valori pratici, posseggono l’attitudine a realizzarsi mediante

l’azione e quindi a dimensionarsi nel terreno della prassi. Per questa loro attitudine alla

realizzazione ed in quanto nell’insieme si realizzano effettivamente sono anche valori reali.

Essi prevalgono sui valori legali di rango diverso e i modelli di validità degli atti inferiori

devono confrontarsi sol modello costituzionale di legittimità. Tale primato della

costituzione si riassume nella sua centralità, pur se dotata di forte carica potenziale e non

precipuamente attuattiva. (Falzea non esita ad affermare che se “la gerarchia dei valori

giuridici non va confusa con la gerarchia delle fonti del diritto è vero però che la gerarchia

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Page 21: riassunti perlingieri

delle fonti si riflette sulla gerarchia dei valori, nel senso che i valori costituzionali

prevalgono sui valori legali proprio perché posti dalla fonte costituzionale. È il rapporto

gerarchico tra la regola costituzionale e la norma ordinaria a fondare il rapporto gerarchico

tra il valore costituzionale ed il valore comune). La complessità per divenire sistema, deve

avere una centralità sulla quale fondarsi

75.Critica all’ordinamento come struttura polisistemica o insieme di microsistemi

I rapporti fra norme costituzionali e ordinarie non sono rapporti fra sistemi normativi ma

componenti dell’unitario sistema ordinamentale al quale l’interprete deve sentirsi vincolato.

Non si tratta di una complementarietà tra sistemi singoli ma di una coessenzialità strutturale

che si risolve in una completa integrazione dei suoi elementi, sì che ogni norma è norma di

un medesimo e unico sistema. Non sono accettabili tesi tendenti a spezzare l’unità

dell’ordinamento e a prospettarlo come un insieme di microsistemi, le norme hanno

significato solo nella totalità dell’ordinamento altrimenti si avrebbero nette separazioni tra

diritto civile e costituzionale, fra pubblico e privato. Qualsiasi istituto o materia è sempre il

risultato ermeneutico dell’intero diritto positivo, frutto di interpretazione sistematica in cui i

sistemi parziali sono al più un primo risultato provvisorio interpretativo al quale l’interprete

non può arrestarsi, specie in presenza di valori fondamentali destinati a e funzionalizzare

ogni istituto e alla luce dei quali è doveroso esprimere valutazioni di validità e di legittimità.

76. Complessità aperta a norme di provenienza esterna

La dottrina indica a parte la diversa forma di complessità dell’ordinamento “quando nel suo

ambito si formano plessi normativi di provenienza esterna” aventi “una fondazione

assiologia diversa da quella sulla quale si erige il diritto di provenienza interna”. In questa

ipotesi la complessità comporterebbe una ulteriore suddivisione del diritto positivo in “due

sistemi normativi”; l’uno autonomo, costituito dalle sole norme di fonte interna integrate

dai loro principi comuni; l’altro eteronomo, prodotto dagli insiemi normativi di fonte

esterna, “retti da principi generali propri e diversificati dai principi generali del sistema

interno”. Tuttavia, questa impostazione dualistica, attiene più alla diversità delle fonti che

non all’ordinamento chiamato ad essere applicato dal giudice e dall’interprete; difatti,

distinguere, tra un ordinamento in senso stretto, quello autonomo, e in senso lato, prodotto

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Page 22: riassunti perlingieri

dal primo in aggiunta agli insiemi normativi eteronomi, significa descrivere

dogmaticamente un fenomeno attinente alle fonti e al loro pluralismo; significa, altresì,

segnalare la funzione di un ordinamento a complessità aperta, non necessariamente una

complessità configurata da una pluralità di ordinamenti. Tant’è che gli insiemi normativi

vengono definiti “complementari all’ordinamento” e, pur “dotati di propria autonomia” sono

parte integrante del diritto positivo.

Nell’ordinamento sono immesse norme provenienti da fonti esterne: internazionali e

comunitarie, che sono applicate e hanno efficacia nel sistema italiano; ciò non in forza

dell’applicazione di diversi ordinamenti ma perché queste norme sono parte integrante

dell’ordinamento e con il loro bagaglio culturale e valoriale lo completano. Vanno

dunque applicate dal giudice in quanto parte integrante di un unico ordinamento.

In questo senso anche il ribadire l’unità dell’ordinamento assume valenza di effettivo

rispetto della legalità costituzionale.

77. Integrazione dell’ordinamento interno e critica al dualismo degli ordinamenti

Qualche ulteriore precisazione esige l’analisi della complessità dell’ordinamento interno

dello Stato, dovuta al riferimento che esso prevede alle regole transazionali e

sovranazionali. La prospettiva che interessa è individuare come il contenuto normativo

dell’ordinamento interno possa arricchirsi autonomamente, e non mediante il compimento di

atti di recezione interna, della tutela di valori e di interessi regolati da normative

transnazionali e sovranazionali.

Circa il rapporto fra ordinamento e principi di diritto internazionale generalmente

riconosciuti dalle nazioni civili e norme comunitarie vi è un adeguamento diretto e

costituzionalmente legittimo, ciò conferma l’unità dell’ordinamento e che sono da

rigettare teorie che ne propugnino il dualismo (anche se manca un articolo analogo al 10 per

le norme comunitarie); soprattutto le norme comunitarie hanno una naturale destinazione a

far pare di un ordinamento di un Paese membro dal quale non possono prescindere,sì che

non possono essere pensate da sole, senza integrazione in un ordinamento statale. Le norme

comunitarie formano un sistema normativo ma non un ordinamento diverso come ribadito

dalla corte costituzionale nell’interpretazione dell’art 134 che sottopone i regolamenti al

controllo di legittimità e valuta come viziate da illegittimità le norme nazionali contrastanti

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Page 23: riassunti perlingieri

col diritto comunitario. La stessa dottrina unitamente ha convenuto che è impossibile parlare

di una configurazione dualistica pura perché non avrebbe senso affermare due ordinamenti

autonomi quando vi è un tale grado di compenetrazione.

78. Interpretazione normativa in funzione applicativa e controllo di legittimità non

configurano sistemi normativi diversi.

L’unità dell’ordinamento esclude separazione dell’interpretazioni; difatti, altro è la pluralità

delle giurisdizioni ovvero la diversa funzione che i diversi “giudici” assolvono

nell’applicare principi e regole contenuti nell’ordinamento. Altro è l’interpretazione che

mira ad individuare la normativa da applicare al caso concreto. Tuttavia questa diversità non

può certo portare a discutere di sistemi diversi e quindi di un dualismo ordinamentale anche

sotto il profilo ermeneutico. L’attività ermeneutica del giudice è infatti sempre agganciata ai

principi costituzionali e l’interpretazione in chiave dualistica non risponde alla prassi

giurisprudenziale anche alla luce delle pronunce della corte costituzionale.

 

79. Centralità e supremazia delle norme costituzionale

Il nostro ordinamento è caratterizzato dalla supremazia delle norme costituzionali e dalla

loro centralità come fonte di valori e principi su cui costruire il sistema; centralità e

supremazia sono concetti che male si adattano alle norme ordinarie (la centralità non

dipende dal suo maggior grado di finitezza (perfezione) ma dal suo ruolo nel sistema) e che

potrebbero riferirsi alle norme comunitarie anche se la loro supremazia rispetto alla

costituzione è almeno dubbia. I principi costituzionali sono caratterizzati dalla

incondizionalità e applicabili con la mediazione di una norma ordinaria, ciò si concilia con

la loro centralità in virtù della loro supremazia, e tutto questo ha portato alla perdita della

centralità dei codici che esisteva nella fase precostituzionale.

80. Totalità dell’ordinamento e unitarietà del processo ermeneutico

La complessità dell’ordinamento trova conferma nella interpretazione sistematica che

richiede l’adeguamento della norma ordinaria a quella costituzionale e soltanto qualora tale

adeguamento non fosse praticabile richiede l’intervento della consulta, giudice delle leggi;

l’interpretazione sistematica non può essere separata in due fasi cioè procedere prima

all’interpretazione sistematica delle norme ordinarie e poi in prospettiva costituzionale e 23

Page 24: riassunti perlingieri

comunicaria. Il controllo di conformità alla costituzione e al diritto comunitario è esigenza

dell’unitarietà dell’ordinamento ed è inadeguata un’interpretazione che faccia perno

esclusivo sugli articoli 12 e 14 delle preleggi; è parimenti inadeguato se non incostituzionale

il principio “in claris non fit interpretatio” (non è data interpretazione laddove v'è chiarezza).

81.Lacune non dei sottosistemi ma dell’ordinamento: il ricorso ai principi

L’approccio dualistico conduce ad affermare che l’analogia iuris ritiene che il recupero

della norma ordinaria mancante deve avvenire sullo stesso piano normativo in quanto “il

recupero della norma mancante deve avvenire nel medesimo spazio normativo in cui si

accusa la mancanza” e qualora il ricorso al sistema ordinario normativo non fosse

sufficiente a colmare la lacuna sarebbe inevitabile ricorrere ai principi costituzionali; ciò

non è adeguato in un’ottica di un ordinamento unitario in cui se vi è una lacuna non è del

singolo piano normativo ma dell’intero sistema, per cui l’interprete deve colmare la lacuna

ricercando la soluzione nell’intero sistema e combinando e collegando fra loro le diverse

disposizioni dei diversi livelli per trovare la soluzione più adeguata. Tale applicazione,

tuttavia, diventerebbe residuale e subordinata all’assenza della norma ordinaria, la quale

impedirebbe l’applicazione della norma costituzionale.

82. Equità e ordinamento

L’equità pervade l’ordinamento nella sua unitarietà, la contrapposizione fra equità giuridica

ed una non giuridica è formalistica dell’ordinamento che non è separabile dalla cultura

extragiuridica; in un ordinamento complesso l’equità è nozione riferita all’intero sistema

giuridico nella sua totalità, essa non è arbitrio del giudizio ma adattamento ai valori che

pervadono il sistema. L’equità non diviene però integrativa o correttiva, ma la stessa ragione

giustificativa della norma scritta in quanto costituzionalmente legittima; l’equità diviene

bilanciamento dei valori che alimenta e arricchisce l’ordinamento. L’equità appartiene tanto

allo ius quanto alla societas e non è costituzionalmente accettabile la costruzione di due

distinti ordinamenti: positivo e sociale; l’equità non può ledere però il principio di

uguaglianza, ma è comunque elemento sostanziale della produzione del giudizio: non ha

senso contrapporre il giudizio sillogistico (cass.) con quello equitativo, per cui ius ed

aequitas non si contrappongono ma si integrano e si completano nella consapevolezza che lo

24

Page 25: riassunti perlingieri

ius è struttura della societas, dunque il giudizio secondo equità è possibile e legittimo in

quanto rientri nella legalità costituzionale.

Capitolo VII: Sistema italo comunitario delle fonti

 

103. Gerarchia e competenza nel sistema delle fonti

Fondamentale è il rapporto fra fonti interne ed esterne, superata la dottrina per cui gli atti

con forza di legge in un territorio possono essere solo nazionali si è modificato l’assetto

delle fonti con una ripartizione delle competenze fra i vari sistemi. Nel processo di

unificazione europea l’integrazione normativa ha una storia a sé per ciascuno stato membro.

104. Ordinamento italiano e obblighi internazionali

È noto che l’ordinamento italiano, fino alla legge costituzionale n. 3/2001, non presentava

disposizioni costituzionali di garanzia degli obblighi assunti medianti trattati internazionali e

che mancava, nella nostra costituzione, un limite all’attività legislativa richiesto dal rispetto

degli obblighi internazionali pattizi. La stessa corte costituzionale ha escluso le norme

internazionali pattizie, ancorchè generali, dall’ambito normativo dell’art 10 cost.,

affermando la propria competenza ad esercitare il controllo di legittimità (art. 134 cost.)

sulle leggi di ratifica (la corte cost. ha ribadito che l’art. 10 cost. non contempla il principio di adeguamento

automatico dell’ordinamento italiano alle norme internazionali pattizie, ancorché generali. La posizione della Corte

cost. rispecchia la diffusa interpretazione dottrinale tendente a circoscrivere l’operatività dell’art. 10 cost. al solo diritto

internazionale generale). Quindi, il nostro sistema non si è mostrato adeguatamente affidabile sul

piano internazionale e non ha offerto certezze sulla norma da applicare nell’ipotesi di

conflitto tra norme pattizie internazionali e fonti interne ad esse contrarie. Il problema ha

investito anche le ccdd fonti secondarie previste da accordi (es. atti vincolanti UE) per cui si

è discusso su come assicurarne il primato su leggi successive lasciando all’interpretazione la

risoluzione dei problemi. Ma l’insufficiente regolamentazione interna della materia dei

trattati, specie a livello costituzionale, e particolarmente l’assenza di esplicita

costituzionalizzazione dell’unione europea, hanno rappresentato una debolezza in un

ordinamento fondato su una Costituzione rigida.

Ciò è stata una debolezza dell’ordinamento, per cui considerando le norme internazionali

pattizie “derivanti da fonti riconducibili ad una competenza atipica e come tali,

25

Page 26: riassunti perlingieri

insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria”

si è dibattuto dell’apertura della costituzione al riconoscimento dell’integrazione

comunitaria e internazionale nell’attuare la riforma del titolo V parte II della nostra

costituzione, riconoscendo insufficiente l’art 11 come base normativa (cioè il convincimento

che l’art. 11 non offrisse + una adeguta base giustificativa all’impatto del diritto comunitario sul diritto

interino) . La nuova formulazione dell’art 117 risponde a tali esigenze; infatti sancisce

l’obbligo di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (co.1); attribuisce

alle regioni la competenza ad attuare ed eseguire gli atti comunitari nelle materi di loro

pertinenza (co. 5); rende costituzionalmente dovuta la partecipazione delle Regioni alla fase

ascendente dei processi comunitari di decisione (co. 5); riconosce allo Stato, nel rispetto dei

principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, poteri sostitutivi nell’ipotesi

d’inottemperanza regionale agli obblighi comunitari (co. 5 in combinato con l’art. 120)

105. Fonti interne e fonti esterne

I rapporti fra fonti comunitarie e fonti interne attengono da un lato ad una prospettiva

internazionale per quanto riguarda gli accordi istitutivi, dall’altro l’individuazione della

normativa da applicare al cosa concreto in una prospettiva del tutto peculiare che non può

esaurirsi nella prima in quanto non è possibile individuare nell’ordinamento interno e in

quello comunitario (atti derivati) due sistemi distinti, giacché il diritto comunitario per

funzionare ed essere applicato deve necessariamente calarsi ed integrarsi nel sistema

giuridico di ciascun Stato membro nel rispetto delle sue peculiarità, delle sue articolazioni

interne, delle sue fonti normative cioè per la sua esistenza necessita dell’applicazione negli

stati membri. L’incontro tra la produzione normativa comunitaria e quella nazionale

configura il “sistema italo-comunitario delle fonti”, distinte in fonti interne ed esterne

secondo una gerarchia compatibile con il diritto internazionale, la Costituzione e la

produzione secondaria comunitaria, nazionale e regionale. In questa prospettiva, anche a

voler insistere sulla distinzione degli ordinamenti, non si potrebbe certo attribuire a quello

comunitario un’autonomia operativa separabile dal sistema giuridico nazionale: non a caso

la sovranità comunitaria ha origine in una autolimitazione della sovranità statale (sull’art. 11

cost. che da un lato consente le autolimitazioni di sovranità “in condizioni di parità con gli altri stati” e in

quanto “necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” e, dall’altro,

26

Page 27: riassunti perlingieri

sancisce il principio in base al quale l’ordinamento “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali

rivolte a tale scopo”, si fonda l’adesione alle Comunità sovranazionali).

Quindi il sistema italo – comunitario delle fonti nasce da questa compenetrazione che trae

origine dall’autolimitazione dell’art 11cost ma che non può esaurirsi in quest’unica base

giuridica. Difatti l’esercizio della sovranità comunitaria, che produce norme e principi

uniformi crea problemi diversi nelle distinte realtà ordina mentali secondo il peculiare

assetto delle fonti che le caratterizza.

L’integrazione è molto più semplice in Gran Bretagna dove non vi è una costituzione scritta

per cui il parlamento ha piena libertà di regolare la questione della coesistenza del diritto

nazionale con il diritto comunitario; cioè accoglie con semplicità il diritto comunitario e con

l “European Communities Act del 1972” ha potuto stabilire che tutti i diritti, le facoltà, la

responsabilità, gli obblighi e le limitazioni man mano creati dai Trattati comunitari o che

possono sorgere in base ai Trattati hanno nel Regno Unito efficacia giuridica immediata, vi

saranno riconosciuti e possono essere esercitati, e debbono di conseguenza essere ammessi

ed applicati. E soprattutto l’eventuale conflitto tra norme comunitarie e diritti fondamentali

tutelati dalla Costituzione (diritto interno) non è percepito dai giuristi e dai giudici.

Diversamente in Irlanda in cui la costituzione prevedeva solo fonti interne (prevedeva che

nessuna altra autorità legislativa avesse il potere di fare leggi per lo Stato) è stata necessaria una

riforma costituzionale; in Francia invece l’eventuale contrasto tra norme comunitarie e

norme costituzionali è risolto con una valutazione di compatibilità ex ante della corte

costituzionale che ne stabilisce la compatibilità.

106. Tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento e strumenti costituzionali di

garanzia

Un’esigenza di prudenza di fronte al possibile rischio di lesioni dei diritti fondamentali

dell’uomo da parte del diritto comunitario è stata sentita dai paesi a costituzione rigida come

Italia e Germania, le corti costituzionali di tali paesi si sono confrontate e scontrate con la

corte di giustizia europea sul punto. Pur apprezzando il riconoscimento da parte delle

istituzioni europee dei diritti fondamentali la corte costituzionale tedesca pone due rilevanti

problemi: 1) dubita che la tutela sui dritti umani a livello europeo sia equivalente a quella

costituzionale per cui non rinunzia completamente al potere di controllo ma lo considera

solo sospeso ( la Corte cost. tedesca si è riservata di intervenire unicamente se la tutela comunitaria dei

27

Page 28: riassunti perlingieri

diritti fondamentali divenga insufficiente; “sino a quando” i diritti fondamentali sono protetti nel quadro del

diritto comunitario, la Corte “non eserciterà” più “la sua giurisdizione” e non procederà più al controllo del

diritto comunitario, derivato e non, in relazione ai diritti fondamentali contenuti nella costituzione.

Sostanzialmente affine è la posizione assunta dalla Corte costituzionale italiana nella sentenza del 1989 nella

quale la stessa si riserva il compito di verificare che “una qualsiasi norma del Trattato, così come

interpretata e applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in contrato con i principi

fondamentali del nostro ordinamento o attenti ai diritti inviolabili della persona”.

2) la seconda preoccupazione è che considera un male il deficit democratico della comunità,

anche se in verità pur non potendosi parlare di un’Europa dei cittadini alla luce delle recenti

riforme non si può neanche parlare più di un’Europa dei soli governi vista la partecipazione

sempre maggiore del Parlamento europeo a elezione diretta. Quindi un chiaro invito a

superare il deficit democratico dell’unione. (invito raccolto dal recente Trattato  costituzionale

europeo là dove dispone che il Parlamento europeo è composto non +, come recita il Trattato CEE, dai

rappresentanti dei popoli degli Stati, bensì dai rappresentanti dei cittadini dell’Unione, a sottolineare il

rapporto diretto tra Unione e suoi cittadini senza la necessità di una intermediazione degli Stati).

È lo stesso principio democratico che limita poi le competenze della comunità per cui anche

se la Corte di giustizia si pronunziasse nel senso della validità della norma comunitaria, non

si esclude che un altro giudice o un cittadino possa rivolgersi alla Corte costituzionale,

lamentando l’interpretazione errata o ultra vires della corte di giustizia; la Corte cost.

italiana è stata più prudente riconoscendo alla Corte di giustizia il compito di risolvere i

contrasti interpretativi in merito alla normativa comunitaria ma riservandosi di intervenire a

depurare l’ordinamento da norme incompatibili con quelle comunitarie in virtù dei valori

costituzionali di chiarezza normativa e certezza del diritto.

107. Il controllo di costituzionalità sulla normativa comunitaria primaria e secondaria

Il diritto internazionale e comunitario come la corte cost. ha precisato più volte non può

intaccare i valori costituzionali fondamentali; una diversa opinione configura le norme, i

principi costituzionali ed i valori che essi esprimono subordinati al diritto comunitario e si

ritiene che in un futuro sviluppo dell’unità europea le costituzioni degli Stati membri

saranno ridotte meri statuti locali dove non sarà più possibile costruire il diritto privato sui

principi della costituzione.

Senza entrare nelle previsioni future tale teoria è da rigettare per 2 motivi:

28

Page 29: riassunti perlingieri

1) non è da accettare l’idea che l’economia primeggi sulla politica, che

l’internazionalizzazione dei mercati porti ad applicare le leggi che ne derivano nei relativi

territori; la scelta di non limitarsi alle decisione del mercato è volontà politica espressa nel

trattato di Maastricht.

2) non è possibile tale ampio potere in mano ad organi espressione dei governi e non dei

popoli, per cui fondamentale è il rispetto dei valori democratici dello stato costituzionale

L’art 11 non consente uno stravolgimento dell’assetto costituzionale e dei principi

fondamentali dello stato, ed è questo il limite invalicabile imposto dalla corte cost. al diritto

comunitario; ciò non vuol dire che la legalità costituzionale non consenta una integrazione

tra principi comunitari e costituzionali, anzi è auspicabile una modifica della Costituzione

“tale da assicurare la tutela dei valori costituzionali fondamentali con l’inserimento,

nella norma che stabilisce la primauté delle norme internazionali e comunitarie sulle

norme interne, di una espressa clausola di salvaguardia, che sin d’ora invero si può

implicitamente considerare presente”. La stessa Corte di giustizia ha avvertito la

questione degli eventuali conflitti tra la normativa comunitaria c.d. secondaria ed i principi

fondamentali sanciti nelle Carte costituzionali dei vai Stati membri ed è intervenuta,

cercando di fugare ogni timore sulla possibilità di lesioni dei diritti inviolabili garantiti dalle

Costituzioni ad opera del legislatore comunitario e si è dimostrata rispettosa dei valori

costituzionali fin dalla sentenza Stauder con la quale era stato deciso che “i diritti

fondamentali della persona …… fanno parte dei principi generali del diritto comunitario,

dei quali la Corte garantisce l’osservanza”, pur affrettandosi a puntualizzare che tale

garanzia va realizzata “entro l’ambito della struttura e della finalità della Comunità” e che

“appare legittimo sottoporre tali diritti a taluni limiti giustificati dagli obiettivi di interesse

generale perseguiti dalla Comunità, purché non resti lesa la sostanza dei diritti stessi” .

In gioco è il potere: potere di determinare e applicare il contenuto dei principi fondamentali

della persona, delle libertà. Trasferire questo potere fuori della Costituzione significherebbe

togliere all’ordinamento giuridico il suo fondamento di legittimità. Infatti le fonti

comunitarie sono poste da organi nominati dai governi degli Stati membri: manca

un’autentica rappresentatività democratica (dialettica tra maggioranza e minoranze), propria

della legge, la quale è invece imputabile, mediante le Camere, alla volontà popolare. Al

contrario, la normativa comunitaria, esercita notevole influenza sull’interpretazione della

29

Page 30: riassunti perlingieri

legislazione ordinaria e incide sulla complessiva ricostruzione del sistema, fino a toccare

materie, quali la proprietà e l’impresa, che rientrano nelle competenze comunitarie. I

principi costituzionali relativi all’attività economica sono pertanto attuabili anche mediante

la normativa comunitaria; restano escluse le materie non patrimoniali, attinenti a principi

fondamentali ed estranee alle competenze comunitarie. (L’esigenza avvertita è che l’Europa “non

può essere costruita ad ogni costo, senza adeguate garanzie per il rispetto dei valori sui quali si fondano i

singoli Stati membri”. In realtà, essere europei “non significa seguire l’ultima direttiva o la decisione della

Corte di giustizia senza atteggiamento critico. Il processo di unificazione europeo si deve svolgere nel

rispetto delle norme convenzionali che lo regolano e delle competenze e prerogative degli Stati membri. Il

discorso dunque è di metodo e di garanzia e tende a snidare chi pretende di svolgere funzioni

sostanzialmente legislative senza legittimazione giuridica e senza adeguati controllo democratici”)

 

108. “Poteri impliciti”, principio di sussidiarietà e ripartizione

delle competenze

Problema centrale nell’attuale sistema delle fonti è la ripartizione delle

competenze fra autorità interne ed esterne (comunitarie), dove la prassi

si è dimostrata poco rispettosa della lettera dei trattati, la comunità ha

esteso le sue competenze superando quelle previste esplicitamente, ha

utilizzato nuovi strumenti o vecchi ma in maniera diversa, sino ad

introdurre una sorta di fungibilità fra regolamenti e direttive, non soltanto

non prevista, ma vietata dal Trattato. Centrale in questo processo è stata

l’elaborazione dei poteri impliciti (art 308 TCE) con cui la comunità

interviene in settori non espressamente di sua competenza per il

funzionamento del mercato; così come il principio di sussidiarietà (art 5

TCE) che prospettano un futuro di fungibilità delle fonti per il

raggiungimento degli obiettivi necessari.

109. Ricostruzione del sistema italo - comunitario delle fonti e

rifondazione della teoria dell’interpretazione

Nell’attuale processo di rinnovamento e cambiamento del sistema delle

fonti è necessario anche modificare la teoria ermeneutica, che perde

come esclusivo punto di riferimento lo stato in favore del decentramento

30

Page 31: riassunti perlingieri

regionale e delle fonti internazionali e sovranazionali. Si rende necessario

per i governi rifondare i rapporti con le regioni, snellire l’intervento del

parlamento, prendendo atto che le decisioni politiche andranno sempre

+ assunte a livello sovranazionale, democratizzare le istituzioni

comunitarie. l’interprete invece deve abbandonare i vecchi brocardi e

l’interpretazione letterale, e adottare come metodo l’interpretazione non

solo in chiave costituzionale ma anche di legittimità comunitaria (che

spesso entrano in contatto). In definitiva, cambia il modo di argomentare.

Al controllo di costituzionalità delle norme si aggiunge il controllo di

legittimità comunitaria delle disposizioni, la loro corretta applicazione nel

rispetto della gerarchia delle fonti. I due controlli di legittimità hanno

punti di contatto, sebbene due Corti distinte, Corte di Giustizia e Corte

Costituzionale, siano deputate al controllo. Tuttavia ciò comporta che

l’interpretazione letterale no ha più senso: l’interpretazione deve sempre

tendere ad individuare qual è la ratio, a quale principio si ispira

quell’articolato e se tale principio è legittimo sotto il profilo costituzionale

e comunitario. Occorre la consapevolezza che oggi la ricostruzione del

sistema italo – comunitario delle fonti è la premessa essenziale per una

reinterpretazione degli istituti giuridici, anche civilistici, non più

comprensibili se non in una logica costituzionale e comunitaria. Un ruolo

impegnativo attende la dottrina e la giurisprudenza in un momento di

forte scaro tra ciò che s’insegna, si studia e il funzionamento della

giustizia sempre più lenta, bloccata da difficoltà oggettive, da formalismi

e da protagonismi. Anche il giurista deve essere rieducato verso un

nuovo metodo e sensibilità, in modo da poter reinterpretare gli istituti

anche civilistici, altrettanto delicato è il ruolo del legislatore che deve

intervenire evitando i fenomeni del social dumping e del law shopping.

Capitolo VIII: L’autonomia nella pluralità e gerarchia delle fonti e dei valori

110. Pluralità delle fonti normative

31

Page 32: riassunti perlingieri

Sono fonti di diritto gli atti o fatti mediante l’interpretazione dei quali si determina la norma.

Le fonti, a loro volta, sono individuate da altre norme (ccdd norme sulla produzione

giuridica). Ogni norma è posta da una norma superiore: al vertice della gerarchia vi è la

Costituzione (norme costituzionali) il fondamento della quale risiede nella sua legittimità.

(la legge statale è “ valida soltanto se rispettosa e attuativa dei valori costituzionali. Legge incostituzionale equivale a

legge invalida in quanto è esercizio del potere in violazione del suo principio di legittimazione e quindi esercizio non

giustificato. La legittimità non è assorbita nella legalità, ma la fonda: la legalità è rispetto della legge unicamente se la

legge è conforme alla Costituzione”).

Legalità è non solo rispetto della legge ma esprime anche l’esigenza di ricostruire i nessi

tra le molteplici fonti operanti sul medesimo territorio; ciò significa che ogni forma di

potere che si esprima attraverso regole o principi deve operare all’interno dell’unità

costruita dalla Costituzione.

Ogni potere, in un contesto costituzionale fondato sulla divisione dei poteri va esercitato nel

rispetto delle competenze e dell’esercizio degli altri poteri, cosicchè anche l’autonomia

privata si integra con gli altri poteri e confluisce nell’ordinamento costituzionale, quale

insieme di principi e di regole predisposte ed attuate con la funzione di dettare ordine nella

società. Anche l’autonomia, esercitata iure privatorum, è sintesi di valori scelti e di valori

imposti, è auto ed etero regolamentazione.

L’unitarietà dell’ordinamento non esclude, quindi, la pluralità e l’eterogeneità delle fonti:

tale pluralità ha il suo momento unificante nell’ordinamento che concorre a produrre.

Quando lo Stato esaurisce in sé tutta la produzione legislativa, la teoria della pluralità delle

fonti non ha spazio: la fonte formale e la fonte sostanziale tendono a identificarsi nello

Stato accentrato, il quale soltanto ha il potere di individuare le esigenze della collettività e di

legiferare.

Al contrario, là dove si dà spazio ad un pluralismo di entità decentrate e autonome che non

si esauriscono nello Stato (si pensi agli enti locali o a quelli sovranazionali che dettano

norme immediatamente vigenti nello stato) e che legiferano in virtù di un potere proprio, si

produce un pluralismo delle fonti.

L’ordinamento, unitariamente considerato, è composto di norme diverse, che hanno

origine nei poteri più disparati, e tra tali norme determina una gerarchia:

- FONTI COSTITUZIONALI (Costituzione e leggi costituzionali);- FONTI COMUNITAIRE e talune FONTI INTERNAZIONALI;- FONTI PRIMARIE (leggi ordinarie, d.lgs., d.legge, leggi regionali…);- FONTI SECONDARIE (regolamenti amministrativi)

32

Page 33: riassunti perlingieri

- FONTI TERZIARIE (consuetudine e, secondo taluni, regolamenti e statuti di impresa, condominio, associazione).

Una ridefinizione di una ridefinizione delle fonti normative si desume se si tiene conto di

alcuni fenomeni:

a) rilevanza normativa dei principi costituzionali e loro incidenza sui rapporti intersoggettivi;

b) efficacia immediata del diritto comunitario nei confronti dei cittadini;c) c.d. contrattazione collettiva, che tende ad investire tutti i settori della società. Infatti,

il legislatore ha scoperto che essa, non solo costituisce la forma aggiornata dell’autonomia privata nell’epoca della contrattazione di massa, ma anche che essa può rivelarsi un utile strumento per realizzare importanti obiettivi di politica del diritto;

d) diffusa abitudine di legiferare mediante l’atto amministrativo e il regolamento che cagionano problemi sia sotto il profilo della gerarchia che della sindacabilità costituzionale delle stesse, in quanto è discussa la loro natura di atti “aventi forza di legge”.

L’accentuata pluralità delle fonti è in gran parte dovuta al decentramento c.d.

amministrativo, attuato sia riconoscendo agli enti locali territoriali poteri autonomi ed

esclusivi, sia delegando loro taluni poteri. La ristrutturazione amministrativa, accentuata

dalla riforma del titolo V della seconda parte della Cost., è destinata a produrre una

diversificata “geografia giuridica” caratterizzata da un disegno politico di regionalizzazione

e localizzazione del diritto, che ispirato al principio di sussidiarietà realizzino un

adeguamento, un avvicinamento della normativa alle esigenze locali. (il preambolo della

Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. esalta le diverse identità locali e afferma che, in un

mondo globalizzato, la regione rappresenta il momento di avvicinamento tra la domanda

sociale e le autorità che sono chiamate a soddisfarla).

La Corte cost. ha ripetutamente affermato che la legislazione regionale non può riguardare

materie di diritto privato volte a salvaguardare l’unità e l’eguaglianza. A tale affermazione

occorre sollevare un’obiezione: un diritto civile regionale è giustificabile non soltanto

perché il sistema è unitario, sicché è impossibile separare diritto pubblico e diritto privato,

ma anche perché il superamento delle differenze locali di fatto potrebbe essere realizzato

con una formazione che la “compensi” con reciproci trattamenti diversificati o di favore:

non si può escludere a priori che l’eguaglianza si realizzi mediante il pluralismo locale. A

tal riguardo occorre ricordare come la stessa Cost. attribuisca alla normativa regionale il

compito di rimuovere “ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle

donne nella vita sociale, culturale ed economica” (art. 117, 7°co. Cost.).

In epoca di crisi della sovranità e, dunque, della legge, l’autonomia privata (o meglio

negoziale) è chiamata a svolgere un ruolo organizzativo di sottosistemi sociali. Si pensi alla

33

Page 34: riassunti perlingieri

c.d. autodisciplina che consente, quando difetta una disciplina eteronoma, di provvedere a

regolare talune categorie di interessi con atti di autonomia; emblematica, al riguardo, è la

vicenda che ha contrassegnato i cc.dd. codici di autodisciplina che consistono in un

complesso di regole che talune categorie di operatori economici si danno e si impegnano ad

osservare nello svolgimento della loro attività, sotto pena di misure sanzionatorie irrogate da

organismi da esse creati (l’autodisciplina diventa nella teoria delle fonti non + un aspetto

semplicemente accessorio ma ontologico. Così le norme della deontologia professionale non sono norme alle

quali si fa riferimento in maniera residuale ma possono. Negli ultimi tempi le materie regolate da norme di

autodisciplina sono state essere punto di riferimento di un magistrato, di un giudice, statale o no, per dare una

risposta al problema). Negli ultimi tempi le materie regolate da norme di autodisciplina sono

state oggetto di interventi “esterni”: i settori economici regolati da codici di autodisciplina

sono stati progressivamente governati da fonti eteronome (in materia di pubblicità ingannevole, di

contratti negoziati fuori dai locali commerciali). Queste, tuttavia, non hanno sottratto ai codici ogni

spazio di operatività, tant’è che non di rado vi si richiamano in funzione integrativa,

delineando così un concorso di fonti (autonome ed eteronome) nella regolamentazione dei

rapporti tra operatori e consumatori/utenti.

Rilevante nel quadro delle fonti è anche l’attività di supplenza e di stimolo svolta da tempo

dalla Corte cost. la quale può innovare il sistema cancellando una disposizione (sentenza di

accoglimento), imponendo (sentenza interpretativa di accoglimento) o consigliando

(sentenza interpretativa di rigetto) una certa interpretazione, ampliando il quadro dei

soggetti titolari di un diritto di prestazione (sentenza additiva di accoglimento). Sulla teoria

delle fonti hanno un’influenza particolare le sentenze c.dd. interpretative di una disposizione

mediante le quali la Corte, tra le possibili interpretazioni di una disposizione avente forza di

legge, fissa quella che appare costituzionale e pertanto non la elimina, oppure considera la

norma costituzionalmente illegittima, benché non sia tale in tutte le sue possibili

applicazioni. Dunque, la dottrina delle fonti deve essere integrata con quella della

giurisprudenza costituzionale: teoria dei poteri normativi e teoria del giudizio sul loro

corretto esercizio sono un tutt’uno.

Non meno importante sono, nell’ottica del sistema italo-comunitario delle fonti, le sentenze

interpretative emanate dalla Corte di Giustizia dell’UE. Queste pronunce hanno la stessa

forza normativa della fonte comunitaria interpretata (regolamento o direttiva): quando la

34

Page 35: riassunti perlingieri

fonte esprime un regolamento o una direttiva applicabile, anche la sentenza ha la forza

precettiva di un regolamento o di una direttiva.

Rilevante è poi l’apporto c.d. interpretativo della prassi giurisprudenziale e notarile. Difatti

i precedenti giurisprudenziali, le prassi giudiziaria e notarile, finiscono col diventare punti di

riferimento privilegiati, ovviamente nei limiti della loro rispondenza ai principi giuridico-

formali.

È necessario, infine, valutare il ruolo delle cc.dd. Autorità indipendenti, dette anche

Authorities. Ad esse sono state affidate funzioni di garanzia, controllo e regolamentazione in

materie di particolare rilevanza per lo sviluppo dei rapporti giuridico-sociali: il mercato dei

valori mobiliari (Consob), la concorrenza tra imprese (Autorità garante della concorrenza e

del mercato), la riservatezza ed il trattamento dei dati personali (Garante per la protezione

dei dati personali). ( Il controllo non è estraneo al mercato, rappresenta un momento di legittimazione

della correttezza e della trasparenza dell’attività economica e questa non è un bene oggetto di tutela in sé, ma

lo è in quanto realizza un funzione meritevole, nel rispetto della trasparenza e della correttezza. Da questo

peculiare punto di vista, le Authorities appaiono pienamente conformi ai valori della Costituzione).

Molteplici gli interrogativi sollevati attorno alla natura e alle funzioni delle autorità: accanto

al sospetto di illegittimità costituzionale di tali organismi (ignoti alla Costituzione), delicata

è la questione della dichiarata “indipendenza”. Inoltre, l’emanazione di norme regolamentari

o provvedimenti anche singolari nelle materie di competenza, ha messo in luce la necessità

di collocare nell’attuale assetto delle fonti tale “normazione atipica” anche se è dubbio se

considerarla atto amministrativo o normativo avente forza di legge (perplessità: molti di questi

enti finiscono lo sottrarre la tutela dei diritti alla giurisdizione statale. Spesso, però, non si tratta di diritti

disponibili e patrimoniali, ma di diritti indisponibili collegati allo status personae. D’altra parte , con

riguardo alla questione dell’accesso alla giurisdizione non è chiaro se le Autorità rappresentino o no il

momento finale della giurisdizione; se venisse negata al possibilità di ricorrere alla giurisdizione ordinaria

contro le decisioni ti tali enti, sarebbe menomato l’art. 24 della cost., cioè il diritto di difesa degli interessi

legittimi e dei diritti soggettivi).

Le questioni restano aperte. Perlingieri, pertanto, auspica l’introduzioni di Autorità garanti

di rilevanza costituzionale.

111. Gerarchia delle fonti e armonizzazione

L’ordinamento, unitariamente considerato, è composto di norme diverse, che hanno origine

nei poteri più disparati, e tra tali norme determina una gerarchia rigida raffigurabile con una 35

Page 36: riassunti perlingieri

piramide. All’apice di questa v’è la norma costituzionale come previsto negli artt. 134 e

138 della cost.. Le leggi ordinarie dello Stato , espressioni sia del Parlamento che del

Governo, si devono armonizzare con la Costituzione. Se ciò non avviene si pone un

problema di legittimità costituzionale da sottoporre al giudizio della Corte Costituzionale, la

quale, se considera la legge in contrasto con i principi della costituzione, la elimina

dall’ordinamento. Sullo stesso piano delle leggi statali si collocano le leggi regionali che, a

loro volta, si devono armonizzare sia con le leggi ordinarie sia con i principi costituzionali.

Le leggi provinciali, a loro volta, non possono essere in contrasto con quelle regionali,

quelle dello Stato e con i principi costituzionali. Così gli atti di autonomia, sia collettiva

sia individuale, non possono contrastare con le leggi regionali, statale e con i principi

costituzionali.

In una posizione privilegiata rispetto alle norme statali sono gli atti normativi dell’Unione

europea (cioè il diritto comunitario): così i regolamenti emanati dal Consiglio e dalla

Commissione della CE sono direttamente obbligatori e immediatamente applicabili

all’interno degli stati membri, senza necessità di leggi interne di recezione. Essi hanno per

destinatari i soggetti dell’ordinamento comunitario e, quindi, i soggetti di diritto interno

e nazionale; per oggetto specifici settori; per finalità la creazione di una legislazione

uniforme. Il diritto internazionale pattizio è recepito con un atto-fonte di recepimento. Ciò

avviene o con una legge apposita che da l’ordine di esecuzione del trattato internazionale

ratificato dall’Italia (ordine di esecuzione), o con specifici atti normativi che immettono

nell’ordinamento interno una disciplina corrispondente a quanto il trattato stabilisce

(adattamento speciale ordinario). L’opinione prevalente reputa che le norme internazionali

pattizie abbiano lo stesso valore dell’atto normativo che le recepisce: quello di legge

ordinaria che può essere modificata da una legge ordinaria successiva e possono essere

dichiarate incostituzionali qualora queste contrastino, ad esempio, con il principio di tutela

della persona. Tuttavia, le fonti interne che recepiscono il diritto internazionale resistono

all’abrogazione da parte di fonti interne successive quando la loro osservanza risponda ad

un interesse costituzionale dell’ordinamento.

112. Gerarchia dei valori

36

Page 37: riassunti perlingieri

La gerarchia delle fonti non risponde solo ad una ragione di certezza formale

dell’ordinamento per risolvere i conflitti tra le norme poste da diverse fonti, ma è ispirata

soprattutto ad una logica sostanziale, cioè ai valori e alla loro rispondenza alla filosofia

della vita presente nel modello costituzionale: è lo strumento mediante il quale il sistema

normativo assicura l’attuazione dei propri principi.

Non è semplice reperire un criterio di individuazione della nozione di “valore”. Il termine è

usato abitualmente in due accezioni:

- come qualsiasi cosa ritenuta oggettivamente importante o soggettivamente

desiderata;

- come criterio di valutazione, come principio generale in base al quale approviamo o

disapproviamo una certa azione.

Nel linguaggio comune i “valori”, al plurale, indicano gli ideali a cui gli esseri umani

aspirano.

Il valore è unitario ma i suoi aspetti sono molteplici: politici, sociali, etici, filosofici,

giuridici. Quindi il valore è espressione non di un unico criterio, ma di un criterio sincretico

dovuto a tanti profili tutti concorrenti.

Tuttavia, al di fuori di questa soluzione v’è soltanto un criterio al quale il giurista può e deve

fare riferimento: il dato normativo, espressione e sintesi della molteplicità dei criteri che

tendono ad individuare il valore. La norma, quella interpretata, vivente, si presenta come

criterio che tende ad uniformare la realtà attraverso un continuo adeguamento della norma al

fatto e del fatto alla norma. Quanto più l’ordinamento giuridico s’identifica con quello

sociale, politico, economico, tanto più l’identificazione del valore fondata sul criterio

normativo sarà rispondente alla realtà.

I valori ai quali si deve far riferimento sono dunque giuridici; valori giuridici che si

rinvengono, innanzitutto, nelle norme costituzionali.

113. Fonti sovranazionali: i regolamenti e le direttive comunitarie

37

Page 38: riassunti perlingieri

La Comunità europea, istituita con Trattato reso esecutivo nel 1957, ha il compito di

promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e

monetaria, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche , un

elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, un alto

grado di competitività, il miglioramento del tenore e della qualità della vita. Tutto ciò

soprattutto realizzando la libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali,

garantendo la libera concorrenza, promuovendo il riavvicinamento delle legislazioni

nazionali e instaurando una politica comune nei settori dell’agricoltura e dei trasporti.

Sicché tutti gli accordi tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire,

restringere o falsare il gioco della concorrenza sono vietati e quindi nulli di pieno diritto.

Per l’assolvimento di tali compiti gli organi comunitari, oltre a prendere decisioni e a

formulare raccomandazioni e pareri, stabiliscono regolamenti e direttive.

I regolamenti, obbligatori in tutti i loro elementi, hanno portata generale e sono

direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri anche nei rapporti interprivati; essi

vanno sempre applicati, che seguano o precedano nel tempo le leggi ordinarie con loro

incompatibili. Dovere del giudice è di individuare la normativa da applicare considerando

l’insieme delle disposizioni purché il procedimento di produzione giuridica trovi la sua

legittimazione formale nell’ambito dell’ordinamento di appartenenza

La pluralità delle fonti non comporta necessariamente una concezione pluralistica o

atomistica dell’ordinamento: questo ha una sua unitarietà allorché è fondato su valori unitari

e sulla gerarchia delle fonti che concorrono a formarlo. Ciò significa che in tale gerarchia i

regolamenti comunitari hanno una peculiare vigenza e prevalgono sulle leggi nazionali.

Il problema si pone in relazione alla loro possibile non conformità a principi costituzionali;

occorre cioè chiedersi se il regolamenti comunitari siano suscettibili di controllo di

legittimità costituzionale.

La risposta positiva discende dal fatto che per “legge dello Stato”, di cui all’art. 134 Cost., si

deve intendere non soltanto la legge approvata dagli organi statali, ma qualsiasi disposizione

avente forza di legge nel territorio statale.

In caso contrario, i regolamenti comunitari finirebbero con il rappresentare variabili

indipendenti, interpretabili dalla sola Corte di Giustizia.

38

Page 39: riassunti perlingieri

I diritti fondamentali e i principi dell’ordinamento costituzionale, invece, rappresentano i

limiti all’attività normativa dell’UE, la quale non può con i suoi regolamenti toccare la

struttura e i valori caratterizzanti la nostra Cost.

Affinchè il rapporto tra diritto comunitario e diritto interno possa essere impostato

diversamente, occorrerà attendere che sia sovraordinata alle costituzioni e ai principi

costituzionali nazionali degli Stati membri una costituzione dell’UE con le relative garanzie.

Resta comunque la necessità di sottoporre alla nostra Corte cost. la questione di legittimità

per come la fonte comunitaria è interpretata dalla Corte di giustizia.

Quanto alla direttiva, essa non è immediatamente applicabile ma richiede che ciascuno

Stato la attui, emanando disposizioni interne corrispondenti, sotto responsabilità del danno

che l’inerzia o il ritardo nella recezione provoca al cittadino. Da qualche tempo la prassi ha

individuato una categoria di direttive con efficacia diretta: quando esse siano

incondizionate, sufficientemente precise e sia scaduto il termine concesso allo Stato

membro per il recepimento, la direttiva è direttamente applicabile nei rapporti tra cittadino e

autorità statale (c.d. efficacia verticale), mentre ne è esclusa l’applicabilità diretta nei

rapporti tra cittadini (c.d. efficacia orizzontale). Le direttive con efficacia diretta prevalgono

sulle leggi ordinarie interne ma sono comunque sottoposte alla Costituzione italiana.

La totale identificazione tra regolamenti e direttive direttamente applicabili è però esclusa

perché il Trattato distingue tra interventi di unificazione e interventi di armonizzazione

legislativa e quindi gradua gli interventi secondo che sia necessaria la stessa disciplina

(regolamento) o basti l’omogeneità, l’analogia di disciplina (direttiva). Invece l’ordinamento

comunitario non è provvisto di una rigorosa distinzione tra atti legislativi e atti

amministrativi, non dispone di un’autentica separazione tra potere legislativo e

amministrativo e non differenzia le funzioni normative del potere amministrativo da quelle

strettamente esecutive. Si tratta di distinzioni essenziali per uno stato di diritto: la loro

mancanza è un ulteriore freno al preteso superamento della legalità costituzionale da parte

della legalità comunitaria.

La direttiva direttamente applicabile pone problemi dal punto di vista della teoria delle

fonti. Essa, anche quando non direttamente applicabile, vale come criterio per

l’interpretazione del diritto interno. Dipende dell’interpretazione del giudice nazionale,

chiamato ad individuare il diritto applicabile, se la direttiva sia idonea a prevalere sulle fonti

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Page 40: riassunti perlingieri

primarie nazionali o se costituisca un mero parametro di preferibilità tra le molteplici

interpretazioni possibili delle fonti interne. Il giudice, se valuta la direttiva direttamente

applicabile, disapplica la legge ordinaria statale con essa contrastante; diversamente, applica

soltanto la legge statale, interpretandola in modo conforme alla direttiva.

Pertanto, le direttive hanno forza normativa in dipendenza del loro contenuto, cioè di un

criterio sostanziale (direttiva dettagliata e quindi direttamente applicabile). Ciò rappresenta

un’anomalia nel nostro sistema perché introduce, ad un livello superiore a quello delle fonti

primarie, criteri di identificazione della fonte non formali.

Nel rispetto del Trattato, occorre insistere sulla vincolatività soltanto di principio delle

direttive: il suo contenuto normativo è vincolante solo per quanto riguarda il conseguimento

dello scopo. Pertanto, la legislazione ordinaria interna deve rispettare solo lo scopo mentre

può derogare alla normativa di dettaglio eventualmente inserita nella direttiva, purché non

siano messi a repentaglio i principi della stessa

114. Dall’ autonomia privata all’autonomia negoziale

La definizione di autonomia privata non è semplice e non va determinata in astratto ma in

relazione allo specifico ordinamento giuridico. La tradizionale definizione intende per

autonomia privata il potere riconosciuto dall’ordinamento a un individuo o gruppo di

determinare vicende giuridiche in conseguenza di comportamenti liberamente tenuti; dietro

queste parole però vi è la semplice volontà di regolare da soli le proprie azioni cioè di

consentire a tutti gli individui coinvolti in un comportamento comune di determinare le

regole mediante una concorde intesa quindi espressione del liberismo economico e frutto dei

rapporti di forza mercantili. Questa concezione è radicalmente cambiata nell’ambito della

gerarchia costituzionale dei valori ove la libertà della persona subordina a sé l’iniziativa

economica. Il quadro attuale va quindi rimeditato con attenzione.

Si ritiene superata la distinzione tra natura privata o pubblica del soggetto che compie l’atto

di regolamentazione dell’interesse, sicché è esplicazione di autonomia anche quella di un

ente pubblico che decide di agire, non iure imperii ma iure privatorum – ad es. un comune

che vuole acquisire un immobile può concludere un contratto di compravendita col

proprietario anziché ricorrere ad un provvedimento autoritativo. Emerge, quindi,

l’inesattezza della tradizionale definizione di autonomia privata come potere riconosciuto o

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Page 41: riassunti perlingieri

attribuito ad un “privato”: il potere spetta in realtà a tutti i soggetti giuridici, siano esse

privati o pubblici.

Inoltre, c’è da considerare che la regolamentazione degli interessi può anche essere frutto

dell’incontro di volontà di enti pubblici, talvolta previsto espressamente dalla legge. Si

pensi al rinvio ai principi del codice civile per la disciplina degli accordi tra p.a. e cittadini.

Pertanto gli strumenti offerti dallo ius civile, utilizzati anche e sempre più dal da enti

pubblici, hanno acquisito la fisionomia di strumenti di diritto comune svincolato dalla rigida

dicotomia “diritto privato-diritto pubblico”.

Alla luce di ciò, la locuzione “autonomia privata” può addirittura essere fuorviante.

Quanto all’espressione “autonomia contrattuale”, essa coglie esclusivamente quell’attività

che si manifesta con il compimento di un negozio bilaterale o plurilaterale a contenuto

patrimoniale. Sicché la locuzione più idonea a cogliere la vasta gamma delle estrinsecazioni

dell’autonomia e quella di “autonomia negoziale”, perché può riferirsi anche ai negozi a

struttura unilaterale e ai negozi a contenuto non patrimoniale.

Possiamo definire l’autonomia negoziale come il potere riconosciuto o attribuito

dall’ordinamento al soggetto di diritto, pubblico o privato, di regolare con proprie

manifestazioni di volontà interesse privati o pubblici, comunque non necessariamente

propri.

115. Autonomia privata come dogma

L’autonomia privata è tuttora considerata un dogma: la sua nozione è strettamente legata a

quella di iniziativa privata e di attività dei soggetti come espressione della propria libertà. La

sua origine storica ed ideologica può essere ricondotta alle dottrine che, in una prospettiva

individualistica, pongono la volontà dei soggetti al centro dell’ordinamento.

Sul presupposto che ciascuno è il miglior giudice dei propri interessi, l’autonomia privata e

innanzitutto autodeterminazione, autoregolamentazione, potere della volontà.

Circa la natura dell’atto di autonomia privata, si contendono il campo 2 teorie:

- La teoria volontaristica che considera l’atto negoziale come potere della volontà, con i limitidell’affidamento e della responsabilità. L’atto negoziale è vincolante in quanto espressione del soggetto, sicché è prevalente la tutela di colui il quale manifesta la volontà. Tale manifestazione è vincolante se risponde alla volontà effettiva del soggetto o alla sua volontà reale. Il destinatario è tutelato nei limiti nei quali la volontà manifestata è conforme all’effettiva volontà del dichiarante. Questa teoria trascura l’esigenza di sicurezza e di

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Page 42: riassunti perlingieri

correttezza nella circolazione dei beni e sacrifica la tutela dei destinatari delle offerte all’altrui volontà interna, non a quella manifestata.

- La teoria precettiva o normativa secondo la quale l’affidamento del destinatario si realizza su ciò che il dichiarante ha manifestato all’esterno, non su ciò che ha voluto. Si evitano così gli svantaggi insiti nella concezione precedente. Considerare il negozio come precetto, dichiarazione normativa, autoregolamento significa riconoscere all’autonomia negoziale il ruolo di fonte di diritto.

La differenza tra le due opinioni consiste nel fatto che, mentre nella teoria della volontà vi è

corrispondenza tra effetti voluti ed effetti giuridici, nella teoria precettiva vi sarebbe

corrispondenza tra effetti dichiarati ed effetti giuridici.

In sostanza, in entrambe vi è la tendenza ad instaurare una rispondenza tra volontà, reale o

manifestata, ed effetti giuridici.

L’autonomia negoziale si traduce, tendenzialmente, nelle libertà di negoziare, di scegliere il

contraente, di determinare il contenuto del contratto o dell’atto, di scegliere, talvolta, la

forma dello stesso. Ora, in uno stato sociale di diritto, rivolto alla solidarietà,

all’eguaglianza, al rispetto della persona e della sua dignità, non è giustificabile

un’autonomia negoziale quale dogma in sé perché non tutto ciò che è voluto dalle parti è

meritevole di tutela, lecito, ragionevole e proporzionato, cioè conforme ai principi e ai

valori dell’ordinamento.

116. Atto di autonomia e atto di iniziativa

L’elemento costante nella teoria degli atti e dell’attività dei soggetti è l’iniziativa non

l’autonomia negoziale poiché in concreto l’autoregolamento può mancare. Tuttavia, sono

stati addotti molti argomenti a giustificazione dell’autonomia come dogma o come valore.

1) Un primo argomento fa leva sulla necessità di preservare l’eguaglianza formale: soltanto con la garanzia dell’autoregolamentazione concessa a ciascuno, a prescindere dalle condizioni o circostanze individuali, sarebbe possibile mantenere la parità di trattamento.

L’opinione è smentita dall’attuale legislazione sociale che rifiuta l’eguaglianza formale e,

sulla base della diseguaglianza sostanziale, tende a privilegiare la parte debole nei confronti

dell’altra più forte. Difatti se si lasciasse la possibilità di autoregolamentazione ai soggetti

interessati, probabilmente il risultato sarebbe opposto, nel senso che sarebbe più favorevole

al contraente forte: il legislatore interviene per stabilire una disparità di trattamento a favore

42

Page 43: riassunti perlingieri

del contraente + debole nell’intento di porre i soggetti su un piano di parità sostanziale di

diritto.

2) Un secondo argomento si ricava dal dogma del parallelismo delle fonti, secondo il quale ciò che è nato per contratto, per libera volontà delle parti, non può essere modificato o estinto che per volontà altrettanto libera e concorde delle parti stesse. Questo dogma trova numerose smentite. In realtà la struttura di un negozio modificativo o estintivo non dipende dalla struttura dell’atto costitutivo ma dalla valutazione dell’assetto di interessi, sicché anche una sola parte ha il potere di modificare o estinguere ( si pensi alla remissione del debito art.1236 c.c., ove nel momento il cui il creditore comunica la sua volontà di rinuncia estingue l’obbligazione fermo restando il diritto del debitore di dichiarare di non volerne profittare). Inoltre, sono numerose le ipotesi di intervento di fonti diverse dalla volontà delle parti nella formazione del regolamento contrattuale. Si pensi ad es. all’art. 1339 c.c. il quale dispone che le clausole apposte dalle parti ma difformi dalla previsione legale, siano automaticamente sostituite da quelle predisposte dalla legge, ovvero alla contrattazione collettiva che si riflette sui contratti individuali di lavoro.

L’autonomia si prospetta, quindi, come atto di iniziativa di almeno una delle parti

interessate alla negoziazione. Attuazione non soltanto di diritti soggettivi ma anche di doveri

di solidarietà e a volte di specifici obblighi legali a contrarre. La negoziazione si prospetta

sempre più in tecniche e forme diversificate, sì da escludere che si possa costruire una figura

negoziale unitaria.

117. Fondamenti dell’autonomia negoziale nel sistema italo comunitario delle fonti

Il tentativo di individuare il fondamento dell’autonomia negoziale nella garanzia

costituzionale dell’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), è parziale: l’autonomia

negoziale non si identifica e non si esaurisce con gli atti d’impresa. La negoziazione, avente

per oggetto situazioni soggettive non patrimoniali, non si può non collegare al principio

generale di tutela della persona umana (art. 2 Cost.).

Gli atti di autonomia hanno dunque fondamenti diversificati in funzione dei valori e degli

interessi da realizzare: gli atti esistenziali trovano sostegno,non nell’art. 41, ma negli artt. 2-

3-13 e 32 Cost.; gli atti associativi hanno quali referenti normativi gli artt. 2-3 e 18 Cost.; gli

atti di famiglia hanno fondamento negli artt. 2-29 e 30 Cost.; gli atti di lavoro subordinato

trovano supporto negli artt. 1 e 35 ss. Cost.

L’autonomia negoziale trova fondamento anche nei principi di diritto comunitario, ispirato

a mercato, alla concorrenza, all’ordine pubblico economico comunitario. Tuttavia, gli atti di

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Page 44: riassunti perlingieri

autonomia hanno un comune denominatore nella necessità di essere volti a realizzare

interessi e funzioni meritevoli di tutela e socialmente utili; e nell’utilità sociale c’è sempre e

comunque l’esigenza che atti e attività non siano in contrasto con la sicurezza, la libertà, la

dignità umana (art. 41, 2°co., Cost.).

Ovviamente, al diverso fondamento (costituzionale e comunitario) corrisponde una diversa

collocazione nella gerarchia dei valori.

Non è possibile dunque un discorso unitario sull’autonomia negoziale: l’unitarietà è

assiologia, poiché unitario è l’ordinamento incentrato sul valore della persona. Pertanto,

piuttosto che individuare “il” fondamento dell’autonomia contrattuale, sono da ricercare “i”

fondamenti (costituzionali e comunitari) dell’autonomia negoziale.

118. Autonomia contrattuale e diritto comunitario

L’autonomia negoziale, ed in particolare l’attività contrattuale, deve essere esaminata anche

dal versante del diritto comunitario. L’obiettivo di promuovere l’unione economica e

monetaria e lo sviluppo delle attività economiche dei Paesi membri si è tradotto in una

normativa che incide sull’autonomia contrattuale nel senso non tanto di “limitarla”, quanto

di “modularla” in funzione del progressivo conseguimento di tali finalità.

E’ dunque intervenuto circa la pubblicità ingannevole e comparativa (dir 84/450/CE),

imponendo ai professionisti particolari obblighi informativi, da fornire per iscritto, e

conferisce ai consumatori/utenti efficaci strumenti di tutela in particolare circa il diritto di

ripensamento nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali (dir 87/577/CE), poi circa

le informazioni dovuta prima della conclusione di un contratto di vendita di pacchetti

turistici (dir 90/314/CE), circa i contratti di investimento (dir 93/6/CE), le vendite di

multiproprietà in cui il venditore è tenuto a consegnare un documento che legittimi il

secondo recesso anche senza ragioni (dir 94/47/CE). Di rilievo sono gli obblighi gravanti

sulle imprese di investimento e sulle banche di comportarsi con diligenza , correttezza e

trasparenza e di operare in modo che i loro clienti siano sempre adeguatamente informati;

infine nei contratti a distanza l’onere per il professionista di fornire tutte le informazioni per

iscritto o altro supporto durevole. 

44

Page 45: riassunti perlingieri

Tutte queste normative tendono ad attenuare o rimuovere la disparità fra il professionista e il

consumatore, fondamentale per questo fine è la depurazione delle clausole cc.dd. abusive o

vessatorie che generano un eccessivo squilibrio a scapito del consumatore;

In conclusione:

- Nell’ambito della disciplina comunitaria un ruolo decisivo è attribuito alla veste che assume e con la quale è “veicolata” l’informazione (alla forma della informazione): la forma scritta; sicché anche nell’ordinamento comunitario si discorre di “rinascita” del formalismo o di “neoformalismo”;

- appare sempre più concreta l’opportunità di una diversificazione dell’autonomia contrattuale, da operare in ragione della natura dei soggetti: autonomia del “professionista” e autonomia del consumatore/utente;

- si va concretando la rilevanza dello stato di debolezza economica dei soggetti, anche se “professionisti”, nei confronti di chi comunque sia in grado di determinare un eccessivo squilibrio;

- il processo di “riavvicinamento” degli ordinamenti dei Pesi membri della Comunità è meno incerto.

119. Limiti all’autonomia negoziale e giudizio di meritevolezza

L’atto di autonomia negoziale ha valore se risponde a un interesse meritevole di tutela

verificando di volta in volta e accertando se possa essere regolato da fonte che non sia legge

(es. il giudice può ridurre la penale ex 1384 se eccessiva) prospettando una pluralità di

regimi contrattuali a seconda del singolo rapporto, del soggetto, dell’oggetto e dell’ambiente

nel quale si svolgono.

Si parlò di profanazione dell’autonomia privata dovuta a disposizioni quali l’art. 1339 c.c.,

che prevede l’inserzione automatica di clausole nei contratti, o l’art. 1419, 2° co., il quale

stabilisce che la nullità di una clausola non importa la nullità del contratto se la clausola

invalida può essere sostituita automaticamente. Queste norme limitano l’autoregolamento

perché prevedono l’inserimento automatico di una regola esterna in un contratto,

rispondente al fenomeno di integrazione del contratto mediante norme, usi ed equità

secondo l’art. 1374 c.c. Il regolamento contrattuale ha le sue fonti, oltre che nel contratto,

nella legge, negli usi, nell’equità.

Costituisce un limite positivo all’autonomia privata la previsione dell’esecuzione specifica

dell’obbligo a contrarre sia in caso di inadempimento che non adempimento anche per

giusta causa. Con l’art. 2932 si tende al risultato concreto voluto dalle parti, anche se una di

esse non può o non vuole più concludere il contratto.45

Page 46: riassunti perlingieri

Così come norma decisiva è il 2597 (collegato al 1679) che pur se formulata in maniera

restrittiva al monopolista legale è estendibile al monopolista di fatto. Non si giustificano le

preoccupazioni di chi considera tali norme retaggi del fascismo e incostituzionali, sia perché

sono armonizzabili con i principi costituzionali sia perché possono essere impiegate oltre

per una maggiore produttività anche per superare le disuguaglianze di fatto; inoltre va

ricordato che l’iniziativa economica privata è si libera ma sottoposta a controlli e interventi

del  legislatore che potenziano l’autonomia privata in quanto un mercato che indica regole

non controllabili è come se non le avesse. La costituzione ha capovolto l’assetto normativo

in quanto i limiti all’autonomia a tutela del contraente debole non sono più esterni ed

eccezionali ma interni, e l’atto va valutato nell’ambito dell’attività svolta.

Il giudizio di meritevolezza va espresso sull’iniziativa concreta, verificando tra l’altro

l’adeguatezza dell’atto e degli strumenti adoperati per raggiungere il risultato nella

concatenazione degli atti, in una visione procedimentale

120. Gerarchia dei valori meritevolezza dell’atto

Si assiste a un più moderno modo di considerare il rapporto tra legge e autonomia negoziale,

sulla loro meritevolezza secondo l’ordinamento giuridico; per cui la gerarchia di valori in

base alla quale esprimere il giudizio di meritevolezza è prestabilita nelle fonti normative

gerarchicamente superiori mentre l’iniziativa è rivendicata in una sorta di sussidiarietà, alla

libertà delle parti interessate.

Tutto ciò va collocato nell’esperienza di una economia globale, che tende invece ad essere

rappresentata mediante una prassi mercantile, rivolta ad identificare il contenuto dell’ordine

pubblico con i “principi comuni alle nazioni civili”. Si pensi alla lex mercatoria, quale

diritto creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati,

e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme i rapporti commerciali che si

instaurano entro l’unità economica dei mercati.

Occorrerebbe riconoscere che “ciò che è valido” nelle nazioni di civiltà affine non può non

essere valido nella nostra nazione. Al di là della problematicità di definire “civili” le

nazioni, al fondo v’è una diversa accezione di mercato che, oggi, può essere definito come

uno statuto normativo complesso destinato a garantire il suo regolare funzionamento

mediante un’adeguata tutela sia del produttore che del consumatore e nell’assoluto rispetto

delle primarie, indifferibili esigenze dell’uomo. 46

Page 47: riassunti perlingieri

Quindi, occorre un ripensamento della nozione di mercato come non già una semplice lex

mercatoria ma uno statuto normativo complesso in cui vanno rispettate norma

extracommerciali come il rispetto delle esigenze umane. L’esigenza di un consenso

informato sta portando un ritorno delle garanzie formali e un ripensamento del modo di

valutare un accordo non già solo secondo buona fede e correttezza (come evidenziato dalla

consulta) ma sulla base di parametri che possano combattere lo squilibrio delle parti, e sulla

base di ciò vanno ripensati i rimedi.

121. Tipicità e atipicità nei contratti: a) preliminare superamento della bipartizione tra

contratto in generale e singoli contratti

Il tema dell’autonomia contrattuale (negoziale) è ricondotta alla bipartizione contratti tipici

e atipici derivante dalla nozione di causa come funzione economico-sociale; ulteriore

distinzione è fra la disciplina generale del contratto (titolo II libro IV) e le singole discipline

dei contratti tipici (tipi che hanno una disciplina particolare)(titolo III libro IV).

Il nostro codice civile dedica una prima parte al contratto generale e, a seguire, mostra

attenzione verso i singoli contratti, definiti “tipici” o, meglio, “tipi che hanno una disciplina

particolare”. Tale netta distinzione è oggetto talvolta di interpretazione rigida ed eccessiva

che prescinde dalla necessaria interdipendenza che deve invece sussistere tra le due

discipline, per risolversi nella riconduzione meccanica del fatto al tipo legale. (se un contratto,

ad es., è sussumibile nello schema della compravendita, automaticamente ad esso si applica, in maniera

esclusiva, quella disciplina).

Una tale metodologia fa sì che la parte generale del contratto e, ancor di più, i principi

generali di derivazione non soltanto codicistica, ma anche speciale e comunitaria, rischiano

di non trovare corretta applicazione. Tale rischio è frutto del metodo meramente deduttivo

della sussunzione sillogistica, basato sulla distinzione tra fattispecie astratta e fattispecie

concreta. Sicché è apparso preferibile discorrere, più che di fattispecie astratta, di “tipo”, di

“sottotipo”, di fattispecie dotata di “elasticità”.

Un ulteriore argomento utile per superare la netta distinzione tra contratto in generale e

singoli contratti (c.dd. tipi normativi), si trae dall’art. 1323 c.c., secondo il quale “tutti i

contratti, ancorché non appartengono ai tipi che hanno una disciplina particolare sono

sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo”. L’interpretazione di tale

disposizione non è pacifica: taluni, giustamente, considerano la disciplina del singolo tipo

47

Page 48: riassunti perlingieri

incompleta, perché da integrare con la disciplina del contratto c.d. generale; altri,

diversamente, tendono a considerarla esaustiva. Quest’ultimi sostengono che al concreto

contratto si applica esclusivamente la sua disciplina particolare. Questa impostazione non è

accettabile perché la disciplina particolare non esclude il suo inserimento nel sistema, anzi

lo presuppone: non è possibile individuare la disciplina del singolo contratto se non lo si

colloca nella disciplina generale del contratto.

Sotto questo profilo, lo studio dei contratti lamenta (è sbagliata) anche la netta separazione

tra disciplina del contratto (generale o particolare) e disciplina delle obbligazioni o, meglio,

delle situazioni patrimoniali. Al riguardo, occorre tener presente che la disciplina di un

singolo contratto non è affatto esaustiva, ma va completata con le discipline del contratto in

generale ed anche delle situazioni patrimoniali.

Va superata anche la polemica alimentata dal pregiudizio che nel nostro ordinamento

esisterebbe solo la figura del contratto in generale e non vi sarebbe spazio per la categoria

del negozio giuridico. Nel codice civile si è scelto di disciplinare il contratto, ma anche del

contratto in generale non c’è traccia nella realtà (è un insieme di principi e regole applicabili

ai contratti). Il legislatore non ha certo voluto disciplinare qualcosa che non c’è quanto

piuttosto ha voluto stabilire un insieme di principi e di regole tendenzialmente applicabili ai

contratti, compresi quelli c.dd. tipici. Inoltre la tesi dell’inutilità della categoria del negozio

è superata quando si considerano alcuni atti come l’affitto di utero non riconducibili al

contratto, o alcune operazioni realizzabili con strutture come l’atto unilaterale (concessione

di ipoteca) molto più semplici del contratto. Pertanto l’autonomia delle parti non può essere

solo autonomia contrattuale (pancontrattualismo) specie in un’economia moderna che tende

alla semplicità e all’agilità, basti pensare alla costituzione di s.r.l. con negozio unilaterale.

122. Segue: b) distinzione tra liceità e meritevolezza dell’atto

 La dottrina tradizionale,ormai superata, asseriva che solo i contratti potevano essere atipici

mentre i negozi unilaterali erano sempre tipici, confondendo così la tipicità con la

tassatività; tale confusine porta ad escludere che l’autonomia negoziale possa realizzare

interessi meritevoli di tutela tramite strutture unilaterali, e ragionando così la tipicità dei

negozi unilaterali diviene un dogma (al contrario ad es. la dichiarazione di saldo apposta

sulla quietanza).

48

Page 49: riassunti perlingieri

L’autonomia negoziale è meritevole di tutela se risponde non soltanto ai principi presenti a

livello ordinario ma a quelli gerarchicamente superiori che operano nel sistema italo-

comunitario delle fonti.

In questa prospettiva liceità e meritevolezza non si identificano. Il problema di traduce

nell’alternativa: riservare autonomia concettuale e normativa al complessivo art. 1322 c.c. o

affermare, come propone parte della dottrina, l’inutilità del secondo comma (1° co.: “le parti

possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”; 2° co.: “le parti

possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare purché

siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”).

Quest’ultima soluzione trova spazio quando si identifica il disposto di cui al 2° co. dell’art.

1322, con la valutazione di non illiceità e, quindi, con le norme che discorrono di causa

illiceità per contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (art.

1343), di contratto in frode alla legge (art. 1344) e di motivo illecito (art.1345).

Non appare però corretto esaurire la portata dell’art. 1322, 2°co., nel giudizio di liceità. Tale

soluzione è contraddetta dalla consapevolezza che il contratto, anche tipico, va sempre

sottoposto al controllo di meritevolezza: che le parti possano anche concludere contratti

atipici purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento

giuridico è principio generale. Non basta che l’atto sia lecito, è necessario che sia meritevole

di tutela in quel contesto particolare (in considerazione di quei soggetti, di quel momento, di

quella clausola aggiunta...): l’atto negoziale è valido non tanto perché voluto ma se, e

soltanto se, destinato a realizzare, secondo un ordinamento fondato sul personalismo e sul

solidarismo, un interesse meritevole di tutela.

L’affermazione, secondo la quale il concreto negozio è tipico se corrisponde ad una

fattispecie astratta disciplinata dalla legge, mentre è atipico se non è previsto da alcuna

norma, ha una mera valenza classificatoria, descrittiva. È necessario sempre dare prevalenza

alla concretezza del contratto, anziché alla sua astratta previsione. Occorre, dunque,

ragionare per problemi non per concetti. Del resto il diritto comunitario introduce nuovi

modelli contrattuali quasi mai rispondenti alla terminologia italiana rispetto ai quali già

l’art. 25 preleggi prevedeva la possibilità per le parti di scegliere la normativa da applicare

al contratto, e se in essa non vi è la fattispecie astratta sarebbe impossibile la sussunzione

L’atteggiamento mentale deve cambiare: occorre individuare il contratto concreto mediante

un’attenta analisi di tutti i suoi aspetti e peculiarità.

49

Page 50: riassunti perlingieri

In primo luogo è doveroso compiere un’analisi meticolosa del caso concreto (metodo

casistico); poi, anziché sussumerlo nella fattispecie astratta o in un tipo secondo

l’ordinamento di riferimento, va individuata la normativa da applicare in modo che risulti la

più ragionevole ed adeguata.

È basilare, altresì, interpretare i commi 1 e 2 dell’art. 1322 c.c., senza separarli, ma

collegandoli fra di loro. La loro lettura disgiunta ha indotto ad asserire la superfluità per i

contratto tipici del controllo di meritevolezza, necessario soltanto per la clausola atipica o il

contratto atipico. In realtà, non si può compiere un controllo di meritevolezza di una

clausola atipica, contenuta in un contratto tipico, se prima non si comprende come essa

incide su quel contratto. Ad es. se in una compravendita il pagamento del prezzo è rinviato

di cent’anni, si è dinanzi ad una clausola che finisce col trasformare la normale funzione di

quel contatto.

Nel codice civile del ’42 l’autonomia negoziale non si identifica più col voluto, né è fondata

sull’obbligo di rispettare il patto (secondo l’antico brocardo pacta sunt servanda); si

introducono il controllo di meritevolezza, l’integrazione e la sostituzione di autorità degli

effetti voluti dalle parti con effetti legali ragionevolmente collegabili a quel contratto.

L’autonomia negoziale, dunque, non è soltanto autoregolamentazione, ma sintesi tra

autoregolamentazione ed etero regolamentazione. La rispondenza al tipo non è richiesta: è

sufficiente riferirsi all’interesse perseguito e giudicato meritevole di tutela.

123. Segue: c) crisi della distinzione tra contratti tipici e atipici

Il superamento della netta demarcazione tra tipicità e atipicità dei contratti trova numerosi

riscontri nella fenomenologia negoziale. Si pensi al radicale cambio di atteggiamento nei

confronti delle patologie negoziali. Dalla netta contrapposizione tra le figure della nullità ed

annullabilità hanno tratto via via importanza le eccezioni: la nullità non è soltanto assoluta,

ma relativa; non è soltanto totale, ma parziale; s’individuano ragioni per derogare alla

disciplina dell’annullabilità. Ciò in quanto i “rimedi” devono essere adeguati agli interessi,

sicché la prevalenza della nullità parziale, quale espressione della prevalenza del principio

di conservazione degli effetti, è condivisibile ogni qualvolta è bene che il contraente

(debole) raggiunga il risultato, almeno in parte. La nullità è divenuta per lo più nullità di

protezione, di garanzia; sicché, non più “chiunque vi ha interesse” è legittimato a far valere

la nullità, ma soltanto colui che è garantito dalla nullità. 50

Page 51: riassunti perlingieri

Ne deriva la necessità di ricostruire la nozione di parte del contratto non in termini generali

ed astratti ma sottolineando l’interesse regolato, il fenomeno sostanziale, fatto da tante

circostanze che non possono essere tutte previste. Si pensi che un specifica operazione, se

conclusa fuori da locali commerciali, ha una disciplina diversa rispetto alla medesima

operazione realizzata in un locale commerciale; e qualora sia conclusa da un contraente

“debole”, deve essere sottoposta alle normative che tutelano costui. Emergono in modo

sempre più intenso principi che esigono applicazione non solo nei confronti del

consumatore, ma ovunque vi sia un contraente debole nei confronti di un contraente forte e

ovunque vi sia un approfittamento, una mancanza di equilibrio, un regolamento ingiusto.

Emblematico si rivela il contratto di subfornitura che ha introdotto il principio fondamentale

secondo il quale va assicurata tutela anche all’imprenditore-subfornitore che si trovi in una

posizione di debolezza nei confronti di un altro imprenditore.

Si tratta di normative a protezione di chi, in concreto, subisce una imposizione ingiusta,

irragionevole, squilibrata, sproporzionata.

Il controllo di meritevolezza si ispira sempre più al principio di proporzionalità.

Proporzionale non vuol dire che deve esserci equivalenza di prestazioni né netta

corrispettività, ma equilibrio, proporzione nel regolamento. Si pensi al caso di chi, volendo

acquistare l’appartamento confinante per ampliare il proprio, è disposto a pagare un surplus

rispetto al valore di mercato. Nessuno potrebbe affermare che l’acquirente, pagando di più,

conclude un contratto non meritevole per la mancata corrispondenza del prezzo con il valore

di mercato.

Non concorrono all’individuazione del tipo contrattuale:

- La struttura negoziale, in quanto la medesima funzione può essere realizzata mediante più

strutture secondo il principio dell’economia degli atti e delle dichiarazioni. La variabilità della

struttura induce a concludere che quest’ultima non incide sulla individuazione della funzione e

prescinde del tutto dalla tipicità o atipicità del contratto. Si pensi alla remissione del debito. È un

negozio che produce il proprio effetto (estinzione dell’obbligazione) con strutture diverse: a volte

occorre una struttura bilaterale; altre è sufficiente una struttura unilaterale. In particolare, occorre

accertarsi se ogni dichiarazione di volontà delle parti sia necessaria. Nell’esempio precedente,

occorre verificare se il debitore abbia o meno un interesse giuridicamente rilevante alla non

estinzione dell’obbligazione. Se ha tale interesse, deve partecipare alla struttura ed il negozio sarà

bilaterale. Se manca, si avrà la struttura unilaterale.

51

Page 52: riassunti perlingieri

- anche la forma della manifestazione non concorre all’individuazione del tipo . Si pensi alla

donazione: purché fatta per spirito di liberalità, sarà donazione sia quella che si realizza mediante

atto pubblico, sia quella di modico valore possibile anche senza atto pubblico. La donazione sarà

tale a prescindere dalla forma mediante la quale si esterna, là dove realizzi comunque la funzione

sua propria.

- L’oggetto del contratto, che non è decisivo per l’individuazione del tipo, ma concorre a

delimitarne la portata e la disciplina. In proposito si può fare riferimento alla definizione legislativa

di vendita (art. 1470 c.c.) quale “contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di

una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”. La vendita può

avere ad oggetto non soltanto il diritto di proprietà ma qualsiasi altro diritto, sicché l’art. 1470 va

correlato agli artt. 1260 e ss. c.c., contenenti la disciplina del trasferimento del credito. Secondo

l’art. 1260, però, “il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito”.

È la funzione, dunque, ad incidere sull’identificazione del contratto, è la causa a qualificare

il contratto, non l’oggetto, né tanto meno la forma o la struttura.

Il contenuto del contratto, l’insieme delle pattuizioni, invece è necessario perché concorre,

all’individuazione degli effetti della fattispecie e, quindi, alla sua interpretazione e

qualificazione. Ciò che rileva è individuare l’insieme della clausole contrattuali e degli

affetti legali quale contenuto di quel particolare determinato contratto, a prescindere dalla

tipicità o dalla atipicità.

Talvolta si confondono tipicità e tassatività. In un noto trattato sulla proprietà, Gambaro

afferma che la presenza di un sistema di pubblicità legale (la trascrizione) esclude già di per

sé che la sola autonomia privata possa generare nuovi diritti reali. Ma tipicità dei contratti e

tassatività della pubblicità sono concetti diversi. L’art. 2643 c.c., nello stabilire che “si

devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione: 1) i contratti che trasferiscono la

proprietà di beni immobili”, intende che si debba trascrivere non soltanto la compravendita,

riferendosi così ad un tipo, ma anche, ad esempio, un mandato ad alienare o ad acquistare un

bene immobile che produce ugualmente il trasferimento del diritto. Ancora, secondo l’art.

2643 c.c., vanno trascritti “i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata

superiore a nove anni”. Tale norma intende riferirsi non al tipo locazione ma alla funzione

di dare in godimento un bene immobile. Pertanto, sarà applicabile anche in caso di leasing o

comodato di durata superiore a nove anni.

52

Page 53: riassunti perlingieri

Un cenno meritano i negozi costitutivi di società. Al riguardo si rinvengono forme

transazionali o contratti societari comunitari (GEIE) non previsti dal codice civile. Sarebbe

pertanto riduttivo considerare contratti di società soltanto quelli tipici. La giurisprudenza, in

un caso di s.r.l., ha contribuito a distinguere il contenuto tipico da quello atipico: la s.r.l. si

caratterizza per la limitazione di responsabilità, sicché una clausola statutaria che

prevedesse l’estensione della responsabilità ai soci sarebbe nulla. Tuttavia, si asserisce la

validità di un patto parasociale nel quale i soci si impegnano a sottoscrivere un aumento di

capitale qualora la società si trovasse in difficoltà. La differente soluzione è giustificata

dalla circostanza che le questioni attengono a due piani diversi: lo statuto è affidamento per i

terzi; il patto parasociale impegna solo i soci. Si profila, quindi, la possibilità che sotto

l’etichetta “s.r.l.” si rivelino assetti societari diversi che, però, non saranno legali, bensì

“sociali” o “giurisprudenziali, cioè nati da una prassi

Ma che è caduta la contrapposizione fra contratti tipici e atipici lo si evince da tre

importanti figure: i negozi collegati, misti e indiretti.

a) Negozi collegati. Mediante l’uso di più negozi, ognuno con una funzione tipica o atipica

che sia, si persegue non la realizzazione degli effetti ad essi individualmente attinenti, ma un

unico scopo, e ciò in virtù della sequenza logica e cronologica mediante la quale viene a

prodursi il collegamento tra i negozi: risultato finale non realizzabile altrimenti in mancanza

anche di uno solo di essi. L’atto non può essere più valutato nella sua individualità e, quindi,

non ha senso definire ancora il singolo atto “tipo”. L’operazione è destinata a produrre un

certo effetto: la funzione realizzata non si può identificare con le singole funzioni degli atti,

ma con la funzione complessiva. E lo stesso controllo di meritevolezza va effettuato sul

complesso dell’operazione.

b) Contratti misti. Anche per i contratti misti è’ da ritenersi superata la distinzione tra

tipicità e atipicità. Si pensi al contratto di parcheggio o di portierato, entrambi misti perché

sarebbero nient’altro che la somma si più contratti tipici. Tuttavia, potrebbe risultare misto

anche un contratto costituito dall’insieme di uno legalmente tipico e di uno socialmente

tipico o neppure socialmente tipico perché frutto dell’autonomia negoziale.

c) Negozio c.d. indiretto. Si ha negozio indiretto quando si utilizza uno schema tipico per

raggiungere uno scopo che non è quello normalmente riconducibile a quel dato tipo

negoziale ma è ulteriore o addirittura diverso. Questa non è una situazione anomala perché il

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Page 54: riassunti perlingieri

modello di organizzazione degli interessi è quello tipico ma il concreto interesse è diverso

da quello normalmente perseguito, verificandosi una divergenza tra scopo pratico e funzione

tipica. Ad es. il ricorso al mandato ad alienare può realizzare in concreto un trasferimento

della proprietà. Non vi è nulla di anomalo: si avrà un uso indiretto del mandato, tipicamente

destinato a conferire un incarico. Pertanto, è corretto discorrere, anziché di negozio

indiretto, di “uso indiretto del negozio”.

124. Nuovi profili del contratto

Le forti trasformazioni sociali, l’internazionalizzazione dell’economia, le innovazioni

tecnologiche hanno avuto sulla nozione di contratto un effetto dirompente. Paradigmatica

(che fa da modello, che esemplifica) è l’evoluzione dell’uso dello strumento contrattuale

nelle relazioni industriali, nella materia del lavoro, da parte delle pubbliche amministrazioni.

Oggi il fenomeno contrattuale può essere definito plurimo, riconducibile ad una unità

minima sempre più arricchita dalla circostanze peculiari delle singole fattispecie. Ciò

comporta, da un lato, l’insufficienza e la scarsa utilità della disciplina c.d. generale,

dall’altro, la necessaria stretta integrazione di questa con le discipline di settore e con quelle

concernenti i singoli contratti, in un unico sistema aperto dal quale trarre i principi e regole

più ragionevoli ed adeguati agli interessi in gioco secondo un’interpretazione che si

allontani dal meccanismo della sussunzione del fatto nella fattispecie astratta.

Non sembra idoneo, tuttavia, nemmeno il procedimento opposto rispetto alla sussunzione,

consistente nel c.d. metodo tipologico. Questa tecnica fa sì che si producano gli effetti legali

enunciati per un tipo contrattuale, purché vi sia identità tra le singole parti del contratto e le

singole attribuzioni costitutive del tipo legale, anche se hanno una funzione diversa. Al

contrario, nel procedimento analogico condizione di operatività degli effetti di una

fattispecie legale è non tanto l’affinità con il fatto concreto, quanto soprattutto la stessa

ratio, l’identità degli interessi da contemperare.

L’esigenza di rapidità delle contrattazioni e, ancor di più, il principio di economia degli atti

hanno consentito l’elaborazione di una teoria degli atti più articolata, ispirata al

superamento di una concezione pan contrattualistica, secondo cui ciò che nasce per contratto

dovrebbe estinguersi per contratto. Pluralità di strutture unilaterali, bilaterali e plurilaterali si

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Page 55: riassunti perlingieri

prospettano come una gamma utilizzabile secondo una regola di adeguatezza al rapporto

concreto e secondo la funzione che esso si propone di realizzare.

Questa prospettiva consente, da un lato, il ridimensionamento dell’assoluto valore del

principio dell’intangibilità delle sfere giuridiche patrimoniali, in virtù del quale l’atto

sarebbe idoneo a produrre effetti soltanto entro la sfera giuridica dell’autore; dall’altro,

l’enunciazione del principio della variabilità della struttura, sicché una vicenda costitutiva,

modificativa, estintiva si prospetta realizzabile in astratto mediante strutture negoziali

diverse.

Si profilano i tratti distintivi tra contratto e contrattazione e assume significati nuovi la fase

delle trattative, fortemente ridimensionata dal fenomeno della standardizzazione e delle

predeterminazione del contenuto ad opera della concertazione, quale espressione

dell’autonomia collettiva, e del legislatore comunitario eliminando le fonti spontanee. Si

fanno più incerti i confini tra la fase precontrattuale e quella contrattuale vera e propria e

quindi anche la distinzione tra responsabilità contrattuale e precontrattuale.

Il fenomeno dell’integrazione contrattuale, ben collegato al principio di conservazione, si

traduce sempre più nella prevalenza del raggiungimento dello scopo e quindi

dell’esecuzione specifica rispetto alla risoluzione e al risarcimento. Ne consegue una

rifondazione del sistema delle patologie del contratto che ripropone in forme nuove i

rapporti tra annullabilità e nullità, tra invalidità assolute e relative senza attribuire a ciascuna

di esse il ruolo di regola o di eccezione, ma riconoscendo dell’interesse sostanziale che

domina la fattispecie concreta.

125. Autonomia negoziale tra “libertà” e “giustizia contrattuale”

L’autonomia negoziale si colloca tra libertà e giustizia contrattuale. Secondo la Corte cost.,

i principi di correttezza e buona fede nelle trattative e nella formazione ed esecuzione del

contratto, le regole della correttezza professionale ed i doveri correlati alla responsabilità

extracontrattuale non sono sufficienti alla tutela della libertà di scelta del contraente e di

determinazione del contenuto del contratto; non sono, pertanto idonei a sopperire

all’alterazione dell’equilibrio tra le parti che consegue all’essere una di esse in posizione di

supremazia; che ostacola, altresì, l’eliminazione delle disuguaglianze (anche verso poteri

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Page 56: riassunti perlingieri

privati) ex art 3II co cost. Ciò induce a rivedere le posizioni dottrinali che esauriscono il

controllo dell’autonomia negoziale nella clausola di buona fede.

L’autonomia negoziale si colloca altresì tra libertà e mercato libero. Ma il mercato è uno

statuto normativo, sicché il problema è quale sia lo statuto normativo conformativo del

mercato e quindi dell’autonomia negoziale: la regolamentazione dell’autonomia negoziale

diventa ad un tempo regolamentazione del mercato. In questo contesto è opportuno

collocare il principio di proporzionalità, verso il quale la dottrina mostra una certa

diffidenza. A tal proposito, una risalente opinione sosteneva che, al fine di costituire il

contratto a titolo oneroso, non è sufficiente che da esso derivino vantaggi per entrambe le

parti, bensì occorre che tra questi vi sia un rapporto di equivalenza intangibile. L’equilibrio

contrattuale però potrebbe corrispondere ad un’eguaglianza obiettiva di valore tra vantaggi e

sacrifici rispettivi delle parti. È, dunque, assolutamente necessario distinguere la valutazione

economica della prestazione dagli interessi, a volte non patrimoniali, che caratterizzano il

contratto.

126. Autonomia contrattuale, proporzionalità e ragionevolezza

Oggi, sotto la spinta della normativa comunitaria e soprattutto ad opera dell’elaborazione da

parte della Corte di giustizia, è entrato a far parte dell’ordinamento, specie in materia

contrattuale, il principio di proporzionalità. Esso è destinato ad incidere profondamente

sulla moderna concezione de contratto che, in tal modo, si allontana definitivamente dalla

tradizionale interpretazione volontaristica del principio pacta sunt servanda (i patti devono

essere osservati). La giurisprudenza italiana ha affermato che la proporzionalità costituisce

il precetto più importante dell’art. 3 cost. La portata del principio è divenuta tale da poterlo

applicare ben oltre le materie disciplinate dal diritto comunitario.

Prima di individuare la disciplina della sproporzione contrattuale nella normativa nazionale

è necessario procedere alla verifica del grado di autonomia del principio di proporzionalità

rispetto ad altri principi, utilizzati spesso in combinazione con esso: la ragionevolezza e

l’adeguatezza

L’operatività del principio di proporzionalità nei contratti appare affidata ad un

collegamento tra elementi di raffronto omogenei, comparabili e quantificabili. La

proporzionalità ha valenza sul piano quantitativo e determina, ma non sempre (si pensi alla

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Page 57: riassunti perlingieri

disciplina della multiproprietà nella quale, alla violazione del principio di proporzionalità,

non segue la riduzione bensì la nullità delle clausole contrattuali o dei patti aggiunti), la

conseguenza della riduzione del contratto. Viceversa, quando il collegamento è tra elementi

disomogenei, non comparabili, che coinvolgono interessi non quantificabili, ad esempio

non patrimoniali, ne consegue un bilanciamento tra questi che non può tradursi sul piano

della quantità, ma esige necessariamente una valutazione qualitativa. In tale ipotesi entrano

in funzione sia il principio della ragionevolezza sia il principio di adeguatezza.

La proporzionalità consiste nella giusta proporzione o quantificazione e configura, quindi,

un parametro ulteriore e successivo rispetto a quello della ragionevolezza (intesa come

astratta giustificabilità), una diversa modalità di valutare l’entità dell’interesse patrimoniale.

Il principio di proporzionalità è, quindi, una norma applicabile anche quando manchino

regole ad hoc, da coordinare con altri principi sistematicamente collegati ad esso.

Nell’analisi tesa ad individuare i fondamenti costituzionali del principio di proporzionalità

emergono alcune norme:

- L’art. 53 Cost., in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in

ragione della loro capacità contributiva, costituisce un limite al potere legislativo sia in

termini di ragionevolezza che di proporzionalità,

- L’art. 36 Cost., che esprime il principio della retribuzione proporzionata alla quantità

e alla qualità del lavoro prestato, non sembra ispirato solo al principio di proporzionalità in

chiave quantitativa, ma anche, all’adeguatezza e alla ragionevolezza, sì da assicurare al

lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

- L’art. 97 Cost., che, secondo parte della dottrina, assume il principio di

proporzionalità quale criterio di buona amministrazione.

Quindi, il principio di proporzionalità non soltanto è compatibile con il nostro sistema

costituzionale ma è altresì presente nello stesso.

Il principio di proporzionalità, assumendo portata generale nel sistema, è destinato a

svolgere un ruolo ancora più rilevante sia nell’interpretazione contrattuale sia nel delicato

controllo di meritevolezza delle clausole contrattuali sia nel più ampio processo di

individuazione della normativa da applicare al caso concreto. Il principio si propone, altresì,

come parametro di una nuova classificazione delle norme in materia, in modo da attribuire

ad esse una qualificazione diversa quanto alla loro natura eccezionale o regolare e da

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Page 58: riassunti perlingieri

consentire la loro più ampia o più ristretta applicazione. Così in materia di garanzie: in tema

di ipoteca si afferma il principio della riduzione proporzionale della garanzia quando sono

stati eseguiti pagamenti parziali tali da estinguere almeno 1/5 del debito. La previsione, alla

luce del principio di proporzionalità, dovrebbe essere applicato non solo nella fase di

esecuzione ma anche in quella genetica. In tale direzione è andata anche la legge speciale

come per i mutui usurai che con la legge antiusura fa si che il mutuatario abbia l’obbligo di

pagare gli interessi solo nei limiti del tasso soglia (un tasso usuraio è appunto un tasso

sproporzionato!).

Per quanto attiene al rapporto tra diritti ed obblighi, il principio di proporzionalità vale non

ad imporre una equivalenza ma a vietare una sproporzione eccessiva ed ingiustificata. La

giurisprudenza, già sotto il codice del 1865, aveva elaborato la rescissione e la risoluzione

per eccessiva onerosità, che il codice del ’42 ha fatto proprie. La rescissione è caratterizzata,

nella fase genetica, sia dalla sproporzione tra le rispettive prestazioni, sia da ulteriori

elementi, quali lo stato di bisogno. Nella risoluzione per eccessiva onerosità, viceversa, la

sproporzione si realizza nel momento funzionale che, a differenza di quanto accade nella

rescissione, non è predeterminato da una sproporzione c.d. legale, consentendo

l’applicazione di criteri giurisprudenziali.

Il problema consiste nel verificare se, anche in chiave di giudizio di meritevolezza, possa

valere non soltanto il criterio della ragionevolezza – cioè la proporzionalità qualitativa nel

bilanciamento tra interessi non solo patrimoniali –, ma anche la proporzionalità in senso

quantitativo. Il discorso si complica perché molto spesso lo squilibrio si determina in

combinazione con altre circostanze: stato di pericolo e possibile danno alla persona, stato di

bisogno e approfittamento. Tuttavia, il principio di proporzionalità si può realizzare a

prescindere dallo stato di bisogno o di approfittamento o di altre situazioni. Il principio di

proporzionalità dovrebbe valere, altresì, a prescindere sia dall’adempimento degli obblighi

di informazione, trasparenza e parità di trattamento sia da ogni considerazione relativa

all’integrità del consenso e alla capacità di agire dei contraenti. Soprattutto la

proporzionalità dovrebbe prescindere dalla clausola generale di buona fede (ad esso

subordinata specie nei contratti ex 33 c. cons. “malgrado buonafede”), e il principio sarebbe

poi azionato d’ufficio come per la nullità ex 36 c. cons.

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Non appaiono, inoltre, superabili le diversità tra la rescissione e l’usura. L’una, infatti, non

sembra sostituita dall’altra, ma concorrono entrambe, in quanto: a) nella rescissione occorre

dimostrare sia il nesso tra lo stato di bisogno e le condizioni inique subite sia

l’approfittamento, mentre nell’usura è sufficiente che la parte si trovi in condizioni di

difficoltà economico finanziarie; b) lo stato di bisogno può essere del tutto passeggero e non

si identifica con lo stato di difficoltà economico finanziarie; c) lo stato di bisogno costituisce

un’aggravante e non un elemento costitutivo della fattispecie “usura”. Si tratta di rimedi

diversi che consentono di introdurre nel nostro ordinamento il principio di proporzionalità

quale principio a sé.

Il principio ha rilevanza anche in sede ermeneutica e argomentativa, quale applicazione

proporzionata della norma.

In conclusione, il principio di proporzionalità si realizza con modalità diverse secondo i

contratti e i soggetti. La conseguenza normale, ma non esclusiva, della violazione del

principio di proporzionalità è la riduzione ad equità, rectius, a proporzione. Spesso a questa

si affiancano ora l’inefficacia relativa rilevabile d’ufficio, ora la nullità della clausola

squilibrante e la conservazione del contratto.

127. Pluralità di fonti normative, integrazione del contratto e sussidiarietà

Alla luce della pluralità delle fonti, dovuta al fenomeno del decentramento, l’integrazione

contrattuale assume oggi una complessità maggiore e ben più problematica diventa la stessa

interpretazione del contratto. Quest’ultimo, infatti, da un lato deve salvaguardare le sue

peculiarità locali, di fatto e di diritto, dall’altro deve aprirsi al nuovo ius gentium composto

dalle norme scelte dalle parti o comunque applicabili al contratto.

I principi del diritto comunitario producono conseguenze dirette sui rapporti giuridici tanto

da condizionare ed orientare lo stesso intervento normativo sulla sfera di libertà ed

autonomia negoziale, intervento giustificato dal principio di sussidiarietà senza superare i

limiti necessari per il conseguimento degli obiettivi del Trattato . Da tale principio traggono

origine i fenomeni del decentramento delle competenze e della pluralizzazione delle fonti

normative ( Il pluralismo delle fonti, oggi, no si realizza soltanto mediante il principio della gerarchia e

mediante il principio della competenza per materia, ma anche attraverso il principio di sussidiarietà). La

stessa Costituzione discorre oggi di sussidiarietà dell’autonomia negoziale: il nuovo art.

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118, comma 2 cost., intende l’attività dei privati, singoli o associati, come attività di

regolamentazione in termini di sussidiarietà.

Tutto ciò assottiglia la separazione fra interpretazione del contratto e interpretazione della

legge che lo integra: entrambi i procedimenti portando ad un unico processo ermeneutico

che salvaguardi la legge straniera salvo sia contraria all’ordine pubblico.

128. Autonomia singolare e collettiva

Con riferimento al tipo di interesse regolato distinguiamo:

a) L’autonomia “individuale”, che indica il potere di regolare interessi di pertinenza esclusiva dei soggetti agenti o dei loro rappresentanti, siano essi persone fisiche o enti.

b) L’autonomia “collettiva”, che designa il più specifico potere riconosciuto o attribuito agli enti cd. esponenziali di regolare interessi delle categorie professionali o sociali che essi rappresentano. Vanno ricondotti all’autonomia collettiva, ad es. il potere delle associazioni sindacali dei prestatori e dei datori di lavoro di concludere contratti collettivi di lavoro per le categorie da esse rappresentate. Pertanto, ai fini della distinzione tra autonomia “individuale” e “collettiva” è rilevante non

la struttura del soggetto agente (individuo o ente) bensì il tipo di interesse da regolare. Così

mentre l’autonomia collettiva, per sua intrinseca natura, non può di certo competere al

soggetto-individuo, quella c.d. individuale va riconosciuta non soltanto a quest’ultimo ma

anche al soggetto-ente. Ad esempio l’associazione sindacale che intende acquistare un

sistema informatico da installare nella propria sede, esplica, con la conclusione del relativo

contratto di compravendita, il potere di autonomia “individuale”; laddove esercita il potere

di autonomia collettiva qualora stipuli un contratto collettivo di lavoro al fine di regolare gli

interessi dei propri iscritti, dei quali ha la rappresentanza.

L’importanza dell’autonomia collettiva è notevole anche grazie alla giurisprudenza che

considera applicabili a tutti gli appartenenti alla categoria le norme favorevoli al lavoratore,

specie per quanto attiene alla determinazione del minimo inderogabile. Dunque, l’accordo

collettivo concorre ad integrare l’ordinamento.

Da quanto esposto emergono due corollari.

1. Sul piano sostanziale, è semplicistica la tendenza a cogliere la distinzione tra autonomia individuale ed autonomia collettiva nella mera circostanza che la prima spetta a soggetti individuali, cioè a persone fisiche, e la seconda a soggetti collettivi, cioè ad enti o gruppi;

2. Sul piano descrittivo, per fugare l’errata convinzione che l’autonomia individuale spetti esclusivamente alle persone fisiche, è preferibile discorrere di autonomia “singolare”.

60

Page 61: riassunti perlingieri

129. Autonomia negoziale assistita

La legislazione speciale ha affermato di recente l’autonomia assistita ricorrendo a forme di

condizionamento e di controllo dell’autonomia negoziale rivolte ad attribuire alle

associazioni professionali e sindacali un ruolo legittimante o convalidante di atti compiuti

da soggetti privati appartenenti o no a dette associazioni di categoria.

Particolarmente significativo è l’art. 45 della L. 203/82, in materia di contratti agrari. Esso

stabilisce che, in deroga alle norme vigenti, sono “validi” gli accordi stipulati tra le parti

“con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole maggiormente

rappresentative a livello nazionale”.

Tale “assistenza”, concerne la tutela sostanziale dell’assistito e si esaurisce in un vero e

proprio controllo di convenienza. Il sindacato partecipa alla fase della determinazione dei

contenuti e delle modalità: esso, pur non assumendo il ruolo di parte, si deve costituire per

la validità del negozio. Il potere di autoregolamentazione delle parti è ammesso se

considerato positivamente dal sindacato che vi attribuisce il crisma della vincolatività.

L’autonomia negoziale assistita, infatti, ha reso possibile la realizzazione di una serie di atti

preclusi dal precedente regime che aveva ridotto tutti i contratti agrari all’affitto di fondi

rustici; così che nel settore la tipicità addirittura si identificava con la tassatività (v.122

differenza).Invece, grazie all’assistenza delle forze rappresentative delle parti, nonostante si

affermi che l’unico contratto agrario ammissibile sia l’affitto di fondo rustico, si possono

stipulare contratti a contenuto atipico.

Sotto questo profilo, una “riespansione” dell’autonomia negoziale si registra anche nel

rovente settore delle locazioni di immobili ad uso abitativo. La legge sulle locazioni prevede

che alla disciplina legale di protezione dell’inquilino possa derogarsi soltanto se il singolo

contratto derogatorio è conforme al “contratto tipo” concordata in sede locale tra le

contrapposte organizzazioni di categoria

130. Autonomia delle comunità intermedie

Si possono riscontrare fonti che non coincidono né con gli atti di autonomia “singolare” né

con quelli di autonomia “collettiva”: si tratta dell’autonomia comunitaria propria delle

61

Page 62: riassunti perlingieri

istituzioni intermedie. Si pensi allo statuto del partito, dell’associazione religiosa, culturale,

sportiva.

Gli statuti sono non soltanto espressione dell’autonomia singolare ma la risultante del volere

di una pluralità, di una comunità. Un gruppo di persone, quando si esprime con atti

giuridicamente rilevanti, può concorrere talvolta non soltanto alla propria regolamentazione

ma anche a quella di altri soggetti. L’associazione, la società concorrono a regolare con un

insieme di clausole, di norme, di principi certi aspetti della vita sociale, come i rapporti tra il

socio e la società, l’associato e l’associazione, l’iscritto al partito e il partito. Queste

relazioni sono disciplinate da una regolamentazione non soltanto individuale, ma

comunitaria.

Il problema dell’autonomia familiare si propone in una duplice direzione: all’esterno, nei

confronti dello Stato come libertà di una peculiare comunità intermedia; all’interno come

libertà della famiglia quale luogo-comunità ove confluiscono i problemi dei suoi

componenti. Entrambi i profili dell’autonomia concorrono a formare il quadro entro il quale

individuare fondamento e limiti dei diritti dei componenti il nucleo familiare.

L’art. 2 Cost., nel riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo

sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, detta la regola fondamentale: è

la tutela di tali diritti la ragione dell’intervento e del controllo dello Stato sulla formazione

sociale. Questa non può non ispirarsi a quei valori dell’ordinamento (pari dignità,

democraticità) che sono in funzione di un pieno e libero sviluppo della persona

Lo stesso art. 29 Cost. riconosce “i diritti della famiglia” fondata sul matrimonio non si

sottrae a tale garanzia.

Libertà della famiglia e libertà nella famiglia si configurano come l’unitaria condizione

storica e culturale indispensabile e servente per formare e realizzare le persone.

131. Interesse pubblico e privato: loro comparazione e graduazione nel quadro dei

valori costituzionali

L’individuazione del ruolo dell’interesse pubblico nell’ordinamento ha grande rilevanza

riguardo gli atti di autonomia negoziale,l’interesse secondo la nozione normativa è esigenza

di beni o valori da realizzare o proteggere; ora nella società è necessario comparare gli

interessi e stabilire un grado di preferenza in base alla rilevanza giuridica.

62

Page 63: riassunti perlingieri

Fra questi l’interesse pubblico è il risultato di valutazioni normative individuate

nell’ambito dell’intero ordinamento secondo il canone ermeneutico della sistematicità,

contenutistica e funzionale, degli istituti e dei principi fondamentali.

In questa prospettiva, il pubblico e il privato non sono termini inseparabili e

necessariamente opposti. La loro esasperata contrapposizione spinse ora a superare il

contrasto tra comunità ed individuo, tra Stato e società, nella concezione fascista e

nazionalsocialista, ora a proclamare in un’accezione marxista, che “non vi è più niente di

privato, tutto è pubblico”.. Dimenticando però che l’interesse pubblico si realizza anche con

norme di comportamento(es. 522 cost) e l’interesse privato si realizza spesso con norme

organizzative. L’esasperata contrapposizione pubblico/privato ha portato una giustizia

amministrativa separata da quella ordinaria, tutto ciò dimenticando che la norma serve

sempre all’interesse collettivo e privato allo stesso tempo e che la gerarchia di tali interessi

non può avvenire in astratto ma di volta in volta in concreto.

Viene, pertanto, proposta una ricostruzione dell’ordinamento anziché in chiave antagonista

e separata degli interessi pubblici e privati, in una prospettiva che ne analizzi di volta in

volta la loro graduazione o gerarchia normativa non soltanto in astratto ma in relazione al

concreto assetto.

132. Incidenza dell’interesse pubblico sul profilo funzionale degli atti anche non

patrimoniali

Se ogni ramo del diritto trae il suo fondamento dal quadro costituzionale, gli atti, le attività

non possono non essere influenzati, nei loro requisiti di validità e di efficacia e negli stessi

loro presupposti, dalla gerarchia degli interessi risultante dalla Costituzione.

Questa analisi ha indotto a identificare l’interesse pubblico con la realizzazione e

l’attuazione dei diritti inviolabili dell’uomo: un interesse pubblico caratterizzato sempre più

da istanze personali e dall’attuazione di più equi rapporti sociali, fondato sul solidarismo e

sul personalismo.

Interesse pubblico e privato non possono essere fisiologicamente in conflitto e devono

essere presenti in ogni attività giuridicamente rilevante, in tale ottica si inseriscono

interventi legislativi tesi a depatrimonializzare la teoria del negozio emancipandolo dallo

scambio, valorizzando aspetti come il contenuto non patrimoniale del testamento, o il

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Page 64: riassunti perlingieri

fenomeno associativo, o gli atti di diritto familiare, o i recenti contratti di cura odi chirurgia

in un approccio al negozio moderno. Esaurita la riflessione sul contratto in generale va data

attenzione agli atti di iniziativa a contenuto non patrimoniale come le dichiarazioni non

negoziali.

 

133. Interesse pubblico e struttura del negozio

Con riguardo alla struttura del negozio (unilaterale, bilaterale, plurilaterale) e alla

variabilità della stessa è utile ricordare l’affievolimento dell’indipendenza delle sfere

giuridiche, specie patrimoniali, dovuto all’utilizzazione sempre maggiore di poteri formativi

legali tendenti a riconoscere e a garantire a certi soggetti, titolari di situazioni

particolarmente meritevoli, la facoltà unilaterale dell’acquisto, della modificazione e

estinzione di rapporti senza che il destinatario della vicenda abbia la possibilità giuridica di

opporsi.

A fondamento di questo meccanismo c’è un interesse meritevole di tutela. La valutazione

degli interessi snelliscono o rendono più complessa la struttura negoziale tipica che non è

più collegata in astratto ad una funzione ma in concreto alle circostanze di fatto. L’interesse

pubblico finisce con l’incidere sulla negoziazione e la prevalenza dell’interesse pubblico

non può non rispondere a un giudizio di meritevolezza in base alla gerarchia costituzionale.

134. Incidenza diretta e indiretta dell’interesse pubblico sulla causa del negozio

Più lineare è l’incidenza dell’interesse pubblico sulla causa negoziale.

Si parla di incidenza diretta quando l’’interesse rientra direttamente nella funzione del

contratto: ciò accade sia quando il negozio contiene originariamente, nella previsione legale,

l’interesse pubblico entro la funzione – si pensi al contratto di trasporto pubblico di persone;

sia quando lo schema negoziale tipico viene adattato e vincolato inderogabilmente ad un

interesse specifico – si pensi al mutuo per l’abitazione o per l’avvio dell’attività lavorativa,

c.d. mutuo di scopo.

Si discorre di incidenza indiretta quando l’interesse incide direttamente su un altro requisito

del negozio, come l’oggetto, e solo indirettamente sulla funzione, sulla causa.

Si affiancano a tale ultima modalità d’incidenza le ipotesi nelle quali l’interesse precede la

negoziazione – si pensi all’obbligo a contrarre.

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Page 65: riassunti perlingieri

Esempi di predisposizione originaria dell’interesse pubblico all’interno della funzione del

contratto si ravvisano nella locazione ad uso abitativo, nel contratto di trasporto pubblico di

persone. L’incidenza dell’interesse pubblico rileva soprattutto sulla disciplina delle vicende

modificative ed estintive dei rapporti e, a volte, sulla stesa vicenda costitutiva come nelle

fattispecie nelle quali vige l’obbligo sia di contrarre sia del trattamento paritario.

Ipotesi di incidenza diretta attraverso l’introduzione dell’interesse in uno schema negoziale

che nella previsione legale non conteneva già tale interesse entro la funzione, si traggono dal

vasto settore delle leggi di incentivazione alle persone e alle imprese. Si pensi ad es. al

mutuo per l’abitazione o per l’avvio all’attività lavorativa.

L’interesse pubblico dell’utente è cronologicamente precedente la negoziazione e ne

rappresenta la giustificazione; esso si può riferire a qualsiasi tipo di funzione contrattuale

senza mutarne i connotati. Ogni volta vi è un’attività d’impresa, regolata dall’ordinamento

in funzione del soddisfacimento dell’interesse dell’utente al godimento dei risultati di

quell’attività, si può applicare la regola dell’art. 1679. Ciò spiega l’uso dell’istituto

dell’obbligo legale a contrarre che la dottrina propone in riferimento a servizi e attività sino

ad ora rimasti esenti. Sì che la tendenza ad estendere l’obbligo legale a contrarre risponde

all’esigenza di sottrarre all’alea del giuoco della domanda e dell’offerta quei beni e servizi

che, sono diretti a soddisfare esigenze essenziali dell’individuo

L’incidenza più immediata dell’interesse pubblico sulla negoziazione si realizza mediante il

controllo di liceità e di meritevolezza dell’affare e, in particolare, con la verifica della non

contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. Controlli di liceità e

di meritevolezza interessano tanto la causa e l’oggetto, quanto le condizioni e i requisiti di

efficacia negoziale in generale.

 In tale prospettiva va riletto l’art 28 l. notarile alla luce di un ordine pubblico che non è più

quello del 1913,ordine pubblico di polizia o meramente economico, ma derivato da principi

costituzionali. Così come va riletto il buoncostume non più esclusivamente quale morale

esteriore; così l’interesse pubblico, da elemento negativo a tutela delle situazioni più forti

assurge a strumento positivo a tutela delle situazioni più meritevoli.

135. Connessione tra interessi pubblici e oggetto del negozio: l’impossibilità giuridica

65

Page 66: riassunti perlingieri

Un discorso a parte esige il tema dell’impossibilità giuridica dell’oggetto, verso il quale

scarsa è l’attenzione della dottrina. Le posizioni oscillano tra chi propone di valutare la

possibilità dell’oggetto alla stregua delle leggi di natura e identificare la possibilità giuridica

con la liceità, e chi invece riconosce all’impossibilità giuridica una qualificazione autonoma

dall’impossibilità materiale e dall’illiceità. L’art. 1347 induce un ripensamento sull’utilità di

tale distinzione difatti,esso considera valido il contratto sottoposto a condizione sospensiva

o a termine, se la prestazione inizialmente “impossibile diviene possibile prima

dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine”.Norma che rileva in tema

di abusivismo edilizio in cui l’oggetto è giuridicamente impossibile e non illecito, e tale

inidoneità è relativa e destinata a incidere solo sui negozi indicati all’art 17 della l 47/1985.

Altra questione è verificare se tali soluzioni legislative siano conformi ai valori

costituzionali della tutela del territorio e del paesaggio (9 cost.) e della persona (2 cost.), per

cui si rileva che la legislazione speciale in materia non è certo attuativa dei valori

costituzionali, per cui ruolo decisivo ha l’interprete nell’integrazione di tali norme alla luce

della costituzione.

136. Pluralismo degli ordinamenti e limiti derivanti dall’ordine pubblico e dal

buoncostume

Un punto fondamentale della problematica del “pluralismo degli ordinamenti” si ravvisa nel

conciliare la pluralità delle fonti con l’unitarietà dell’ordinamento, nell’armonizzare le

diverse fonti. L’art.31 c. c., nelle disposizioni preliminari contribuiva a risolvere il problema

stabilendo che …in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli

atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni e convenzioni possono aver

effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon

costume”.

L’art. 31 disp. prel. È stato abrogato dalla L.218/95. L’art. 16 di tale legge, intitolato

all’ordine pubblico, recita: “La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari

all’ordine pubblico”.

Ordine pubblico e buon costume, uniti alla formula “norma imperativa”, cioè norma che si

impone alla volontà dei privati, sono richiamati più volte, soprattutto in sede di contratti e di

altri atti compiuti dai privati, laddove a proposito dell’oggetto, della causa e di particolari

66

Page 67: riassunti perlingieri

eventi è imposta la non contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon

costume.

Restano da individuare le norme di ordine pubblico e di buon costume.

 Il buon costume in particolare è concetto sfuggevole e in continuo mutamento adattandosi

all’evoluzione sociale; difatti per la nozione di buon costume si rinvia alla concezione del

costume di una determinata società. Si tratta di una nozione non astorica ma relativa (che

muta col tempo e da luogo a luogo) e generica, priva quindi di un contenuto specifico e

determinato.

Più complesso è individuare la nozione di ordine pubblico. La moderna nozione di ordine

pubblico non si esaurisce in un limite negativo ma è anche un impegno positivo della

Repubblica all’attuazione dei principi fondamentali. Pertanto, l’ordine pubblico pone un

limite positivo alla possibilità di regolamentazione o di autoregolamentazione. L’atto di

autonomia lesivo delle direttive costituzionali, contrastando con la nozione stessa di ordine

pubblico, non è meritevole di tutela e non ha effetto nell’ordinamento repubblicano. L’atto

non soltanto non deve contrastare con un concetto negativo di ordine pubblico, ma deve

altresì armonizzarsi con le scelte e i valori di fondo dell’ordinamento.

La riforma del diritto internazionale privato recettiva della Convenzione di Roma del 1980

ha dato la possibilità di scelta della normativa da applicare all’accordo, per cui il concetto di

ordine pubblico va rivisitato in base ai principi di ordine pubblico europeo.

137. Pretesa natura eccezionale delle prescrizioni sulle forme legali

Sulla natura eccezionale delle prescrizioni delle forme legali la dottrina è pressoché

unanime. Tale eccezionalità è considerata come deroga al principio della libertà delle

forme, a sua volta espressione del più ampio principio dell’autonomia privata, sicché le

prescrizioni legali sulla forma vincolata si prospettano come limiti alla libera negoziazione.

Mentre si costata che l’ammissibilità di prescrizioni legali formali non è mai stata contestata

in quanto si è sempre riconosciuta la necessità sociale che taluni negozi siano rivestiti di

forme particolari, si afferma che la limitazione formale, riguardando esclusivamente il modo

di esercizio dell’autonomia negoziale, non incide in misura rilevante sul contenuto di essa.

Ciò spiegherebbe come le prescrizioni di forma si siano sottratte alla problematica della

costituzionalità dei limiti legali alla libertà negoziale.

A tale impostazione vanno mosse due critiche:67

Page 68: riassunti perlingieri

a) In primo luogo, alla pretesa eccezionalità si affianca l’inderogabilità delle prescrizioni

sulla forma e ciò implicherebbe l’automatica nullità di ogni patto contrario. Ma questa

posizione è criticabile non solo perché all’interno della sanzione della nullità si avverte una

diversa graduazione delle conseguenze in ragione degli interessi violati, ma soprattutto va

respinta perché ispirata ad una concezione meccanicistica della norma inderogabile, alla

quale sarebbe connaturata la nullità. Al contrario, come l’inderogabilità rappresenta non il

dato iniziale ma il risultato dell’interpretazione, così la determinazione della sanzione è il

risultato di un’attenta considerazione dei valori e degli interessi coinvolti. Cioè la funzione

della norma non si ricava dalla “sanzione” nullità, ma è la nullità che deve essere

giustificata in base alla funzione della norma.

b) La seconda critica riguarda l’asserita indifferenza delle prescrizioni di forma rispetto al

quadro costituzionale. Opinione, questa, inaccettabile in un ordinamento unitario. E’ utile

rammentare altra dottrina che, pur asserendo l’eccezionalità delle prescrizioni formali le ha

collocate in un ambito regolato dal 41 cost. in cui sono eccezionali e tassative, per cui non

basta l’imperatività della norma per la nullità ma che questo rimedio sia esplicitamente

previsto

Questa impostazione va ricondotta a Prosperi secondo il quale la forma degli atti giuridici

privati deve essere, normalmente libera, sia per favorire l’iniziativa economica privata sia

per non creare ostacoli di ordine economico. Pertanto, le forme legali vincolate, eccezionali

e tassative, sarebbero ammesse soltanto quando gli atti di autonomia contrastano con

l’utilità sociale e identificate esclusivamente come strumenti di tutela di interessi generali o

fini sociali. Anche a tale impostazione vanno mosse delle critiche:

a) Innanzitutto, il vizio di impostazione è nella sopravvalutazione della matrice liberistica

della Costituzione: l’autonomia negoziale non ha un fondamento unico, identificato con

l’iniziativa economica privata, ma affonda le proprie radici in principi diversi,

b) In secondo luogo, si configura l’autonomia negoziale come un valore in sé, e tutto ciò che

è destinato a specificarlo come limite esterno, per di più eccezionale. Tuttavia, le modalità

che concorrono ad individuare il contenuto dell’atto di iniziativa rappresentano limiti interni

alla stessa autonomia. Quest’ultima non è il prius, la regola; e la forma vincolata dell’atto

non è il limite esterno, il posterius, eccezionale e tassativo.

68

Page 69: riassunti perlingieri

c) In terzo luogo, la prospettazione della forma vincolata per legge non è necessariamente

un limite all’autonomia: la funzione della prescrizione sulla forma può essere ispirata a

ragioni di garanzia e di promozione di interessi e di valori anche se diversi dalla generica e

formale libertà. Si pensi alla forma scritta per il licenziamento individuale.

Pertanto, il programma costituzionale non è di un’assoluta libertà delle forme negoziali: esse

ricevono una diversa valutazione, secondo che gli interessi sui quali si fondano siano più o

meno costituzionalmente rilevanti ma senza generalizzazioni.

138. Sul principio di libertà di forma

È opportuno considerare anche la posizione di Irti che ha negato l’eccezionalità delle norme

sulla forma ma in base ad opzioni di metodo diverse.

L’opinione tradizionale non sarebbe accettabile perché l’unica norma in materia è l’art.

1325, n°4, c.c. il quale prescrive la nullità per violazione di una forma ad substantiam; non

sussisterebbe invece alcuna norma dalla quale ricavare la libertà della forma. Se non è

possibile individuare una norma, che esprima tale generale libertà, non si potrebbe

qualificare eccezionale l’art. 1325, n°4, in quanto difetterebbe il termine di raffronto.

(l’art.1325 c.c. designerebbe due strutture contrattuali: l’una debole, composta da 3 elementi –accordo,

causa,oggetto-; l’altra forte composta di 4 elementi –accordo, causa, oggetto, forma-, quando la forma è

prescritta dalla legge sotto pena di nullità)

Sul presupposto che il rapporto regola-eccezione sarebbe un rapporto tra due norme, non

sarebbe possibile individuare, in materia di forma, la norma eccezionale e la norma regolare:

la norma di cui all’art. 1325, n°4, sarebbe unica ed esclusiva.

Il dissenso verso questa impostazione concerne sia il metodo che le tecniche giuridiche.

È incontestabile che norme non sono soltanto quelle di tipo casistico o regolamentare,

caratterizzate da una ben definita fattispecie astratta: norme sono anche i principi. Inoltre

eccezionale è la norma che si presenta tale nel contesto delle regole generali e delle altre

leggi, cioè dell’intero ordinamento storicamente condizionato: non semplicemente una

rigida contrapposizione tra una fattispecie normativa e un’altra, ma un confronto tra la

singola previsione e l’ordinamento.

139. Variabilità della forma e della struttura del negozio

69

Page 70: riassunti perlingieri

La natura regolare o eccezionale di una forma legale del negozio va posta in relazione non

tanto al 1325 n. 4 né esclusivamente al principio di libertà di forma ma alle singole

previsioni formali unitariamente considerate individuando da un lato le esigenze che ne

giustificano la previsione e verificando dall’altro la meritevolezza, adeguatezza,

compatibilità. Tale analisi presuppone l’individuazione della ragione sufficiente della

prescrizione formale e la ricerca di una ragione sufficiente può condurre a diverse esigenze:

a) Nella legittimazione, capacità e qualificazione del soggetto (imprenditore, persona fisica…);

b) Nella funzione negoziale (causa donandi, mortis causa…);c) Nell’oggetto (beni mobili, immobili, crediti…).

La forma può essere collegata ad uno o più di tali profili, cumulativamente o

alternativamente, secondo la ratio della norma che la statuisce. Ogni forma negoziale ha

necessariamente una funzione, anche se composita nè si può addurre al contrario che l’art.

1325 indichi la forma degli atti come semplice elemento di struttura. La struttura, quale

“totalità in sé raccolta” non sarebbe legittimata da fini esterni. Ogni come del diritto ha

sempre un perché giuridicamente rilevante: l’art. 1325 n.4 è soltanto un frantume di norma

che si integra di volta in volta con la disciplina del singolo atto. Il perché (la funzione) si

ricava non dalla “sanzione” nullità, ma dal necessario fondamento della previsione

normativa.

140. Unità di forma e contenuto: necessità di un giudizio di meritevolezza sulle forme

Il rifiuto di un’analisi solo strutturale della forma e la necessità di valutarne la funzione

portano a concludere per la necessaria unità di forma e contenuto; per cui anche la forma

volontaria va sottoposta al controllo di meritevolezza che non può limitarsi al solo contenuto

interpretando alla lettera all’art. 1322.

Se la forma è un profilo essenziale dell’accordo e quindi del contenuto, non può essere

assente o rimanere insensibile agli aspetti funzionali dell’assetto negoziale. Il problema

della forma non si esaurisce nella nullità dell’atto, né della forma legale: la forma diventa

funzione negoziale e come tale sottoposta al controllo di meritevolezza.

La forma è inseparabile dal contenuto e lo stesso negozio è da considerare quale

ordinamento del caso concreto. La prospettiva funzionale incide sull’interpretazione sia

della normativa legale sia del regolamento negoziale sulla forma.

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Page 71: riassunti perlingieri

La forma dunque non può essere insensibile agli aspetti funzionali del negozio, accanto ai

negozi a forma legale rigida o esclusiva o relativamente variabile (testamento) vi sono

negozi a forma assolutamente libera, a forma volontariamente rigida, a forma relativamente

variabile ex 1352, e proprio questa norma esprime la libertà di forma come aspetto della

libertà di iniziativa.

L’interpretazione del patto o della norma sulla forma non può prescindere dalla storia e

dalla funzione del negozio inserito nel sistema dell’ordinamento, ne è conferma la rinascita

del formalismo nella legislazione speciale circa gli atti unilaterali a garanzia della parte e

per la certezza della vicenda (sia nella fase costitutiva che modificativa o estintiva). Senza

un’indagine sulla funzione non può applicarsi neanche il generico principio di

conservazione non potendo operare una scelta in termini di prevalenza tra la conservazione

della volontà tesa a modificare o estinguere il rapporto e la conservazione del rapporto.

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