Rev 2 2/UFO E ALIENI/EBOOK ITA_Complotto... · 2020. 6. 27. · strappata via dalla sua vita. «...

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  •  R.Cifra

    PROLOGO

    L’uomo seduto al centro della sala controllo impartì l’ordine ancora una volta. « Effettuate un nuovo ciclo! » gridò ai suoi sottoposti costretti all’ennesimo turno di straordinario. I programmatori in divisa armeggiarono con i propri terminali seguendo un protocollo che ormai conoscevano alla perfezione. Poi, una alla volta, le loro voci echeggiarono nel locale scandendo le fasi della procedura. Le voci si rincorsero riverberando tra le parerti e l’alto soffitto. « Dati inseriti » « Calibratura del flusso effettuata. »« Controllo del ciclo OK... »« Equazioni di bilanciamento inserite... »« Computer quantici attivi e pronti all’elaborazione. »L’ordine finale giunse tuonò come una fucilata. « Attivate S.C.U! » gridò perentorio l’uomo.Il centro di controllo fu avvolto da un silenzio esasperante, scandito dal brusio emesso dalle apparecchiature elettroniche. Tutti rimasero con il fiato sospeso, in attesa che accadesse qualcosa di grande. Ancora una volta, sullo schermo centrale si susseguirono immagini molto simili a quelle che si ripetevano inesorabilmente da oltre un anno. L’uomo le osservò prestando particolare attenzione all’istogramma di probabilità che continuava a crescere ad ogni cambiamento di scena. Infine il sistema si bloccò sull’ultima sequenza e l’istogramma probabilistico si stabilizzò mostrando un risultato insperato:

    PROABILITÀ DI RIUSCITA: 93,2%

    L’uomo imprecò « Maledizione!» Poi lasciò la sala per rintanarsi nel suo ufficio, portando con sé tutta la sua frustrazione. Aprì un elegante armadietto in legno massello. Prese un bicchiere e una bottiglia contenente un liquido color ambra. Riempì il bicchiere con dell'ottimo scotch invecchiato e s’affacciò all’enorme vetrata posta alle spalle della scrivania. Ammirò il laboratorio sottostante, centro nevralgico del progetto, allestito con tecnologie segretissime e impensabili. Gli addetti ai lavori erano impegnati intorno a un cilindro scuro e opaco che conteneva S.C.U, cuore dell’avanzatissimo sistema quantistico. Trascorse alcuni istanti riflettendo sui dati emersi dall’ultimo ciclo, ma prima che potesse fugare almeno in parte la sua preoccupazione bussarono alla porta. Il nuovo arrivato cercò di sollevargli il morale: « Non dovresti avere quell’aria, i dati sono più che incoraggianti » esordì con il suo solito accento mediorientale. « Non ne sono del tutto convinto. Il nostro margine d’insuccesso è sceso, ma è ancora del sette per cento. Anche se a te può sembrare un dato positivo, si tratta di un valore ancora troppo alto. » rispose lui titubante.« È il risultato migliore che potessimo ottene110re. Secondo le equazioni differenziali non possiamo spingerci oltre. »« Ci serve più potenza di calcolo » « Sai bene che è impossibile. Abbiamo messo in piedi questo laboratorio utilizzando le tecnologie più avanzate che avevamo a disposizione e, se anche potessimo utilizzare sistemi più efficienti, non avremmo mai il tempo che ci serve. Ormai il nostro progetto è giunto alle battute conclusive. Tutto accadrà nei prossimi giorni, e dovremo essere tempestivi nel rispetto dei tempi e delle modalità d’azione indicati da S.C.U. « Forse dovremmo effettuare qualche altro ciclo... »« Forse dovresti cercare di riposare un poco. » replicò il suo interlocutore con aria spazientita. « La giornata di domani sarà determinante e tutto dipende da te, adesso. »A quelle parole, l’uomo si sentì schiacciare dal peso delle sue responsabilità, ma non poteva concedersi il lusso d’indugiare, la posta in gioco era troppo alta.

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  • Si guardò distrattamente intorno fino ad incrociare con gli occhi il Campo di grano con corvi di Van Gogh, appesa sul muro di fronte a lui. “Chissà cosa penserebbero i direttori dei musei" si chiese con un sorriso "se sapessero che la tela che gira per le mostre è un falso d’altissima qualità?”. Poi si concesse di analizzare ancora una volta il colore e la vitalità carica d’angoscia della tela, osservandone i simbolismi nascosti che conosceva bene. Dopotutto, Vincent Van Gogh era stato una delle tantissime pedine inconsapevoli di un progetto che veniva portato avanti da secoli, lo stesso progetto che aveva condotto l’artista a scegliere la via del suicidio. Con lentezza quasi rituale bevve un sorso di scotch e cercò di ricomporre i pensieri. Poi guardò l’amico che era rimasto a fissarlo in silenzio e annuì. Doveva solo stringere i denti per qualche altro giorno, il tempo necessario per portare ogni cosa a compimento. Poi si sarebbe concesso una lunga vacanza per riprendersi da quell'anno estenuante, in attesa di ricevere al momento prestabilito la sua inestimabile gratifica: l’immortalità.

    01

    Riemerse dal sonno faticosamente. Aprì gli occhi sulle lenzuola impregnate di penombra. Lei era li. Come spesso accadeva la domenica, la osservava già da un po’ con aria affascinata.Sorrise a quella visione meravigliosa che riempiva il mattino. I suoi sogni stentavano ancora a dileguarsi, ma il suo cuore era già colmo di gioia... la stessa gioia che già

    da tempo aveva dimostrato la propria consistenza e l’aveva portato ad esistere in una dimensione che non avrebbe mai ritenuto possibile. L’abbracciò strofinandosi sul suo corpo ancora addormentato. Assaporò le dolci fragranze della sua pelle riposata.

    « Buongiorno » le mormorò nell’orecchio. Sara si stiracchiò, gli occhi ancora chiusi, voltandosi verso di lui per baciarlo ed affondare il volto tra le sue

    braccia. Passarono alcuni minuti, quelli necessari per aprire i pensieri al mattino terso, pieno di luce, che entrambi

    intravedevano dalle tende semitrasparenti. Sara si alzò sinuosa e, con un muto invito, trascinò David in soggiorno per fare colazione.

    Il primo sorso di caffé sembrò risvegliare in lei un pensiero ingombrante. Trasse un sospiro eloquente mentre osservava le nubi strappate oltre il vetro della finestra, poi si fece coraggio e, complice la luce del sole, frantumò l’incantesimo notturno: « Tra un anno sarai laureato David. Cosa ci succederà, allora? »

    « In che senso? » rispose lui addentando distrattamente un croissant. « Beh... io sono solo al primo anno di college, mentre tu sei all’ultimo. Quando riuscirò a finire anch’io, tu

    chissà dove sarai. » replicò lei sospirando. « Per allora potremmo non stare più insieme... » sentenziò infine laconica.

    « E così pensi già a liberarti di me! Non credere di riuscirci così facilmente » le rispose David sorridendo e abbracciandola.

    Sara lo osservò in silenzio, esitando sugli occhi dal taglio deciso che esprimevano un magnetismo a cui non aveva mai saputo resistere.

    Per nulla convinta, lo incalzò con una nuova domanda: « Cosa farai dopo la laurea? Dimmelo, dài... »« Potrei fare un sacco di cose diverse, mi piacerebbe insegnare, ad esempio… » fece una pausa di

    qualche secondo, incerto se dirle o meno quello che voleva dirle da giorni. Decise di osare. « La cosa che più di tutte mi piacerebbe, sarebbe quella di vivere e invecchiare con te. »

    Sul viso di Sara comparve un sorriso sincero, spontaneo, che tradì molto più di quanto le sarebbe stato possibile spiegare.

    Trascorse un semplice istante.Poi la sua espressione divenne di colpo cupa, impenetrabile.« Cosa c’è che non va? » le chiese David percependo in sè il turbamento di lei.« C’è una cosa che devo dirti, ma te ne parlerò stasera... »

    Il telefono squillò fragorosamente trascinandolo fuori dal sogno che tormentava le sue notti da quindici anni.

    La tristezza s’impadronì di lui mentre il telefono continuava ad annunciare la chiamata in arrivo. Rispose per fugare almeno in parte il senso di solitudine con il quale conviveva dal giorno in cui Sara era stata

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  • strappata via dalla sua vita. « David Ryan. »Ascoltò in silenzio, respirò a fondo e biascicò: « D’accordo, alle quindici in punto ».Riattaccò senza fretta. Tornò a stendersi sul letto, tra le lenzuola attorcigliate. Il pensiero andò di nuovo alla ragazza del sogno,

    costringendolo a riflessioni che parevano schiaffeggiarlo di continuo. “Cosa ti hanno fatto? Dove sei?” si chiese per l’ennesima volta.

    Ben presto il dolore bruciante lo spinse a ripetere il suo mantra più antico: « Se fossi ancora con me, non dovrei affrontare tutto questo. Invece, sono il fantasma dell’uomo che si nutriva del tuo sorriso.»

    Chiuse gli occhi rievocando l’immagine solare di lei. Lo scorrere del tempo non l’aveva nemmeno scalfita.Si alzò lentamente sospirando e ricacciando indietro la lacrima che sentiva pesare come un macigno sulla

    sua anima, quella lacrima che non aveva mai voluto versare, almeno fino a quando non avrebbe perso ogni speranza. Sentì quel momento pericolosamente vicino.

    Si diresse in bagno. Lo specchio gli restituì l’immagine di un uomo sconosciuto e trasandato. Optò per una doccia bollente. Il passo successivo fu una dose doppia di caffè caldo necessario a rimetterlo in sesto. Passò quindi in rassegna alcune carte e documenti contenenti i punti salienti della sua difesa davanti alla commissione disciplinare. Li scorse velocemente annotando qualcosa con la penna. Quel pomeriggio, alle quindici in punto, sarebbe cominciato l’ultimo atto della farsa messa in piedi per incastralo. Sapeva di non avere nessuna possibilità, ma non avrebbe lasciato nulla di intentato. Lo doveva a se stesso, ma soprattutto lo doveva a Sara.

    Ripensò ai terribili momenti successivi al suo arresto a Groom Lake. Nelle ore di interrogatorio cui era stato sottoposto dai militari, era stato vittima di percosse che avevano rasentavano la tortura. Gli ci erano volute due settimane di ospedale più altri dieci giorni di prognosi per riprendersi solo in parte. Sul corpo, ma soprattutto nello spirito, conservava le cicatrici di quanto accaduto.

    Andò alla finestra e osservò lo scorcio di città che si apriva ai suoi occhi, sorridendo amaramente alla vita che continuava a correre con indifferenza sul nastro del tempo. “Ed io con lei!” disse a se stesso.

    Poi ultimò i preparativi per affrontare quella che sarebbe stata una delle giornate più difficili della sua vita.

    02

    Bere era diventata un’esigenza. Non era alcolizzato e certo nessuno avrebbe mai potuto sostenere che le quantità di alcool che assumeva

    avrebbero potuto renderlo tale. Ma quel dannato lavoro era diventato un’ossessione. Il canonico goccetto serale lo aiutava a stemperare il suo antico dolore e le tensioni accumulate nell’arco della giornata.

    Il suo secondo problema era che non aveva una residenza fissa. Certo, abitava a Washington DC molto vicino alla sede centrale dell’ente governativo in cui operava come agente speciale. Tuttavia la maggior parte del tempo la trascorreva in giro per gli Stati Uniti correndo dietro a... spettri. Il suo ufficio mostrava con chiarezza quanto poco tempo vi trascorresse, pieno com’era di scartoffie che non trovavano mai una sistemazione definitiva.

    L’ultimo caso, quello più importante, l’aveva portato a viaggiare tra Maryland, Nord Carolina e Nevada, e tutto per trovare... niente. O meglio... qualcosa l’aveva trovato. Un guaio colossale! Almeno questa era la sintesi del rapporto dell’indagine disciplinare che i suoi superiori erano stati costretti ad intraprendere contro di lui.

    La questione era tanto intricata quanto delicata e lui lo sapeva bene. L’unico modo che aveva per uscire da quella brutta situazione, la peggiore che si era trovato a fronteggiare da quando era entrato nel Bureau, era quello di presentare delle scuse ufficiali accompagnate dalle dimissioni. In cambio, i suoi superiori si sarebbero dimostrati comprensivi attenendosi ai termini dell’offerta che gli avevano fatto.

    « Bastardi! » mormorò dentro di sé.Non era un alcolista, ma aveva deciso che quella sera ci sarebbe andato pensante. La barba incolta da

    ormai diversi giorni gli prudeva un poco, ma non aveva voglia di radersi: si sentiva abbandonato a se stesso, incastrato. Lasciarlo trasparire per lui non era certo un problema.

    Le poche luci soffuse del suo locale preferito, quello che con gli amici – ne aveva assai pochi per scelta e necessità – chiamava il solito posto, davano all’ambiente un’aria austera. L’arredamento in legno massello decisamente grezzo ne ratificava l’impressione.

    Lo sguardo perso nel vuoto si focalizzò sul bicchiere che fino a qualche istante prima aveva contenuto il terzo Jack Daniel’s della serata. Senza nemmeno alzare gli occhi, fece cenno al barman di versargliene un altro.

    Quando fu servito, si gingillò facendo scivolare l’indice sul bordo del bicchiere, lentamente, seguendone il

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  • profilo come un treno vincolato alle rotaie. Abbassò lo sguardo fino ad incrociare una stecca d’ottone incastonata a ridosso dell’angolo esterno del bancone. Era lucida e graffiata, usurata dal tempo e dalle innumerevoli persone che si erano avvicendate in quel locale trascinando con sé miriadi di storie che lì s’erano incontrate, talvolta sfiorate, spesso neppure quello. Ed ora gli pareva addirittura di sentire l’eco di quelle storie, complice il quarto Jack Daniel’s che stava tracannando tutto d’un fiato.

    « Merda, come ti sei ridotto », disse a bassa voce alla sua immagine deformata riflessa dalla bacchetta d’ottone.

    La testa gli girava già da un po’, ma valutò che non era sufficientemente sbronzo per tornarsene a casa. Improvvisamente il suo sguardo si fece cupo e il metallo che rifletteva il suo volto e i suoi pensieri più

    bizzarri gli presentò una nuova immagine. “Non può essere” pensò. “Forse sono davvero ubriaco. Ma no... se fosse così non sarei in grado di

    chiedermelo”.Una mano si posò sulla sua spalla e solo a quel punto stabilì che l’immagine riflessa nell’ottone era reale

    almeno quanto il barman al quale chiese il quinto whisky della serata. Solo non era altrettanto gradita. « Cristo Dave, ci stai andando pesante... sei ridotto a uno straccio! » esordì il nuovo arrivato.« Sto solo brindando alla mia ultima settimana di lavoro al Federal Boureau, Bob » rispose senza voltarsi e

    alzando il bicchiere in segno di brindisi. « Andiamo Dave, sai bene che la situazione non è così tragica. L’accordo prevede che... » non fece in

    tempo a finire la frase.« Puoi ficcartelo dove meglio credi, il tuo accordo! » sbottò Ryan. « E dire che ti credevo mio amico! »David e Robert si erano conosciuti undici anni prima. Erano stati assegnati alla sezione che tutti

    consideravano una barzelletta, David per espressa richiesta e Robert per tenere sotto controllo il nuovo arrivato che, in base ai rapporti, era una testa calda. Indagine dopo indagine, il lavoro aveva assunto uno spessore sempre crescente fino ad assorbirli completamente. Il loro feeling non era stato immediato, ma nel corso degli anni lo scetticismo di Robert aveva capitolato inesorabilmente.

    Così erano diventati amici. Sul lavoro erano l’uno il guardiano dell’altro. Le strane indagini che portavano avanti erano diventate la loro

    ragione di vita e la letteratura sui fenomeni che dovevano indagare era diventata il loro hobby comune. Quindi, irrimediabilmente, la giornata era interamente dedicata al lavoro.

    Poi, improvvisamente, Robert aveva mollato tutto senza mai dare a David una spiegazione convincente. Dopotutto, quelli erano soltanto fantasmi e, da quando se li era lasciati alle spalle, aveva fatto carriera. A quarantadue anni era già vicedirettore dell’FBI. Nel frattempo si era fatto una vita, aveva messo su famiglia ed era diventato padre di due splendidi bambini. Ma non aveva mai abbandonato del tutto l’amico, anche se quanto stava per fare in quel momento sarebbe stato probabilmente interpretato come un altro voltafaccia.

    « Senti David... io ti ho sempre coperto. Al capo non sei mai piaciuto, e in tutti questi anni certo non ti sei fatto degli amici nelle alte sfere. »

    « Stronzate! Tu sei il vicedirettore, avresti potuto difendermi... »« E l’ho fatto! Credi che quell’accordo che ti hanno proposto sia stato redatto dal direttore? Fosse stato per

    lui, ti avrebbe sacrificato senza pensarci due volte. »« Avresti fatto meglio a scavarmi la fossa. E poi quella carta straccia che chiamate accordo... Mi chiedete

    di rinnegare anni di duro lavoro con delle scuse ufficiali, di presentare delle dimissioni fittizie, di accettare tre mesi di sospensione ed essere reintegrato come consulente. E tutto questo perché? Per aver fatto il mio dovere! »

    « David, sono anni che ti chiedo di non calcare troppo la mano. Con il tuo lavoro hai sempre pestato i piedi ad un sacco di gente, ma stavolta hai davvero passato il limite. Cazzo, i militari vorrebbero processarti e infliggerti il massimo della pena. Mi sono battuto per non farti arrestare e sono anche riuscito a non farti perdere il lavoro. »

    « L’ho perso il lavoro, Bob. Finire a fare il consulente non è il motivo che mi ha spinto ad entrare nell’FBI. »« Quando la smetterai, Dave? Ti sei laureato alla Georgetown con il massimo dei voti e a Langley sei stato

    la recluta migliore. Hai fatto strada, e senza mai sporcarti le mani di sangue. Poi hai deciso di passare dalla CIA all’FBI e, francamente, non ne ho mai capito il motivo. Come agente sei sempre stato migliore di me, ma non hai fatto strada, e sai perché? Perché sei ostinato e arrogante. Credi di essere sopra le parti e te ne freghi altamente dei consigli dei tuoi superiori, consigli che chiunque altro accetterebbe come un ordine ricevuto in via informale. Il capo ti ha definito un’anomalia nel sistema e, per quanto queste anomalie vengano solitamente eliminate, io ho patteggiato per te. Se non fossi così dannatamente testardo, oggi ci saresti tu al mio posto. »

    « Non venire a farmi la morale, Bob. Hai patteggiato il mio riciclaggio e uno stipendio più alto, ma credi davvero che io sia un venduto come te? »

    Robert Charles Seipher, Vicedirettore dell’FBI, stentò a credere alle parole di colui che considerava un

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  • amico. Respirò profondamente evitando di cedere all’ira e, dopo qualche istante di silenzio, sentì di aver

    riacquistato il controllo. Profondamente ferito guardò negli occhi l’agente speciale David Ryan. « Dave, abbiamo lavorato insieme tanto tempo. Tu insegui fantasmi... »« Robert, sai bene quanto me che quegli spettri sono dannatamente reali. Tu sai come stanno davvero le

    cose! »« Sì David, io lo so... per questo ho deciso di mollare. Ho fatto carriera. Più sono salito in alto e più ho

    usato la mia influenza per facilitarti le cose. »« Sei solo un codardo! Se solo avessi confermato il mio rapporto... » « Se avessi confermato il tuo rapporto sbatterebbero fuori anche me accusandomi di essere complice di un

    visionario. » Ryan, infuriato, gli gridò contro: « Tu sai che quello che ho visto è la verità... Per Dio! »« Cos’è la verità, David? Cos’è? È solo ciò che qualcuno ha deciso sia giusto per tutti gli altri. Nel conflitto

    medio orientale noi siamo i buoni e gli arabi i cattivi, no? E chi l’ha deciso? Chi vuole legittimare una guerra per il petrolio presentandola come un conflitto in nome della democrazia e della libertà. Svegliati Dave, svegliati! Qualcuno ha deciso che la verità deve essere un’altra. Non approvando il tuo rapporto ho semplicemente evitato che ci caccino entrambi. Sono anni che ti spingi oltre il tracciato, ma stavolta hai superato ogni limite. Accetta l’accordo che il capo ti ha proposto e salva te stesso come ho fatto io tanto tempo fa. »

    Ryan stava ancora guardando l’amico quando barcollò sotto l’effetto dell’alcool. Robert si allungò cercando di evitare che cadesse ma lui gli spinse via le mani e si appoggiò al bancone del locale.

    « È questo il problema, vero? Salvandomi assolveresti te stesso dal rimorso di avermi abbandonato. Tornatene a casa Bob, qui stai perdendo tempo. »

    « Okay David, pensala come ti pare. Non ho bisogno di assolvere la mia coscienza, l’ho già fatto la decima volta che ti ho salvato il culo. Ascolta... hai il naso in qualcosa di grosso, qualcosa con cui non puoi competere. Sei stato arrestato dai militari a Groom Lake, santo Dio, dopo esserti infiltrato nella base. È stato richiesto l’intervento della CIA, dell’NSA e di Dio solo sa quante altre commissioni governative. Le accuse contro di te parlano chiaro, Dave. Non ho tanto potere per continuare a difenderti. E nemmeno avrei avuto la possibilità di pensare ad un compromesso quale è l’accordo che ti propongo se tu non avessi degli amici nell’Intelligence. »

    Lo sguardo di David si fece perplesso, poi esclamò: « Finder! »« Esatto! Fu lui a reclutarti quando avevi 23 anni, giusto? Senza il suo intervento saresti stato giudicato da

    una corte marziale. Non so fino a che punto ti sei spinto... lo posso immaginare ma non voglio saperlo. Dovresti ringraziare la tua buona stella ed il direttore della CIA, Finder, che ha suscitato notevoli perplessità circa uno dei capi di accusa più gravi, quello di esserti infiltrato in una base militare che ufficialmente non esiste. E se la base non esiste, allora non hai commesso nessun reato. Io ho solo proposto una valida alternativa al processo. Ora puoi accettare l’accordo, respingerlo presentando comunque delle scuse e ritrattando per intero il tuo rapporto, oppure andartene via. Infine, puoi ostinarti restando trincerato nella tua posizione. A quel punto la faccenda non sarà più di mia giurisdizione e non potrò più intervenire. Hai tre possibilità. Sta a te scegliere, non posso obbligarti, ma spero che scarterai la terza. »

    Robert Seipher guardò l’amico negli occhi, poi andò alla cassa e gli pagò il conto. In parte si sentiva responsabile per quella sbornia e desiderava che David avesse almeno i soldi per tornare a casa in taxi. Sapeva bene che di solito Ryan girava con una trentina di dollari, e la corsa gli sarebbe costata i due terzi di quella somma.

    Mentre usciva dal locale gli passò accanto e gli prese la chiave della macchina posata in bella vista accanto al bicchiere mezzo vuoto di Jack Daniel’s.

    Ryan non se ne accorse.

    03

    Alex accese una Marlboro scrutando la veste notturna di Roma. Stordito dal sonno latente e dall’insonnia che da diversi mesi gli impediva di dormire, cercò di focalizzare i pensieri.

    Il tentativo fu vano. La notte gli piaceva, non poteva essere altrimenti: da tempo aveva dovuto accettarla come amica. L’aria

    era fredda e immobile. Un suono echeggiò alle sue spalle squarciando il silenzio notturno. Non vi fece caso più di tanto e, al

    dodicesimo rintocco, l’orologio a pendolo smise di proclamare la mezzanotte, ormai trascorsa da quasi un minuto.

    Era un nuovo giorno, ma diverse ore dovevano ancora trascorrere prima che il sole tornasse a illuminare

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  • quello spicchio di terra. Si accese un’altra sigaretta. I suoi pensieri, per quanto molteplici, divennero più concreti. S’interrogava sulla sua sensazione di non essere di questo mondo e, nel frattempo, andava cercando nuove armonie da utilizzare nel brano che avrebbe presentato per il saggio della classe di composizione e direzione d’orchestra di quell’anno. Passò mentalmente in rassegna tutti gli impegni che avrebbero scandito la giornata successiva. L’anno accademico in corso si stava rivelando il più difficile da quando era entrato nell’Accademia Superiore di Studi Musicali. Cinque anni prima, aveva affrontato i severissimi test di ammissione all’istituto fomentato da una buona dose di ottimismo. Su oltre duecento candidati solo in diciassette erano stati ammessi al corso di studi, ma solo in quattro, lui compreso, erano riusciti ad arrivare all’ultimo anno. Ora, la stanchezza si faceva sentire più che mai, ed era solo il primo semestre dell’anno accademico. Com’era stato negli anni precedenti, lui non avrebbe mollato.

    Il suo sguardo si posò sul tabacco incandescente della sigaretta. Il mondo circostante divenne sfocato, irreale. Un sibilo rimbombò repentinamente nell’orecchio destro. Dopo pochi istanti i suoni divennero molteplici, modulati su frequenze alte, con un segnale portante di base. Non si poteva certo dire che formassero armonie, almeno non nel senso classico del termine. La sigaretta gli scivolò di bocca.

    Immobile, continuò a scrutare il buio. Dopo un lasso di tempo non ponderabile, ma che lui valutò essere di appena qualche istante, un rumore

    improvviso lo fece sobbalzare. Era sua sorella Claire che, alzatasi per bere, l’aveva visto in terrazza e gli aveva bussato dalla finestra.

    Con il cuore in gola si girò di scatto e il suo sguardo incrociò quello di lei. « Ancora in piedi a quest’ora? Sono le tre del mattino, e sono mesi che non ti concedi una notte di sonno! » « Hai ragione Claire, dovrei provare a dormire di notte... qualche volta » rispose abbozzando un sorriso.Fece per rientrare in casa, ma si fermò bruscamente e, voltandosi verso la sorella insonnolita, chiese: «

    Che ore hai detto che sono? »« Le tre del mattino. Anzi, per l’esattezza, mancano due minuti alle tre. » « Le tre » ripeté a bassa voce con aria stupita. « Qualcosa non va? » chiese Claire con tono vagamente inquisitorio. Dopo un istante d’esitazione rispose: « No, solo non mi ero reso conto di quanto tempo fosse passato. »« Alex, stai abusando delle tue risorse psicofisiche. Dovresti prenderti una pausa, staccare la spina per un

    po’. Al diavolo, non hai un attimo di tempo per respirare e quando lo trovi ti ammazzi con quella robaccia che fumi.. »

    Calò il silenzio, quasi a sottolineare quanto Claire avesse ragione. Alex si sentì colpito sul fianco. Claire riprese a parlare.

    « Senti, domani pomeriggio vado al cinema con qualche amico. Perché non vieni con noi? Potresti portare anche Rachel. »

    « Mi piacerebbe Claire, ma non posso. Domani avrò lezione tutto il giorno e alle quattro dovrò essere dal dottor Cover per farmi prescrivere le solite analisi annuali e poi devo tornare a studiare. »

    « Ok, sarà per un’altra volta. Buonanotte Alex. »« Notte a te Claire, sogni d’oro. »

    04

    David uscì dal locale imprecando. Robert gliel’aveva fatta e lui non se n’era nemmeno accorto. Aveva smesso di piovere. Guardò in alto. Proprio in quell’istante, le nubi si aprirono per fare spazio a un

    scorcio di cielo stellato. Respirò profondamente. I polmoni furono inondati d’aria fresca e carica d’umidità. Sentirsi vivo acuì il suo

    malessere. Era difficile spiegare cosa sentisse davvero. Aveva dedicato tutta la vita alla ricerca della verità e, ora che

    l’aveva trovata, questa lo tradiva. I pensieri andavano schiarendosi mentre l’effetto dell’alcool si dissipava lentamente.

    La testa gli girava. Valutò che fosse normale. “Valutare!” Tutto il suo lavoro si era sempre basato sulle sue valutazioni. Nei casi a cui aveva lavorato, gli

    indizi a disposizione erano sempre pochi e spesso non costituivano nemmeno un barlume di prova. In un quadro così complesso ed evanescente, l’unica certezza su cui poteva contare era il suo saper valutare, capacità affinata negli anni attraverso l’istinto. Ma se era arrivato a questo punto, si disse, evidentemente non era stato in grado di dare la giusta importanza ad una serie di fattori.

    Si diresse a destra, avanzando sul marciapiede con passo spedito e incerto. Un chilometro più avanti avrebbe trovato l’area di sosta dei taxi.

    Gli si accostò un fuoristrada scuro, anticipandolo di qualche metro. Riconobbe la targa. Il veicolo era dell’Intelligence, presumibilmente assegnato a qualche dirigente, considerandone la tipologia ed il costo. Lo

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  • sportello dell’autista si aprì. Ne uscì un uomo sulla trentina, vestito elegantemente in abito blu. Il volto sbarbato sembrava porre l’attenzione su una ferita di tre centimetri sullo zigomi destro che si stava rimarginando.

    Conosceva quello sguardo. Gli occhi inespressivi dell’uomo lo riportarono per un istante nel mondo fatto di menzogne e sotterfugi che aveva rinnegato anni addietro: quello della CIA.

    L’uomo avanzò verso il lato opposto della macchina e aprì lo sportello posteriore.« Signor Ryan, si accomodi per favore. » David fu assalito da uno stato d’inquietudine. Non si sentiva al sicuro. Forse nelle alte sfere militari

    qualcuno aveva già predisposto la sua morte. Tuttavia si disse che ciò era improbabile, sarebbe stato molto più facile ed opportuno farlo passare per pazzo, piuttosto che ucciderlo in un incidente misterioso. La sua posizione, per quanto scomoda e pericolosa, era al momento anche la sua garanzia di vita.

    Presso il Bureau c’era un rapporto che conteneva tutti i fatti così come si erano verificati. E, per quanto fosse stato invitato a ritrattare, comunque il suo rapporto era agli atti dell’indagine disciplinare aperta contro di lui. Tutto era rigorosamente avvolto nel più stretto riserbo. Se gli fosse capitato qualcosa, il vice direttore dell’FBI, Robert C. Seipher, avrebbe mangiato la foglia e sarebbe scoppiato il caso. Quella sera aveva disprezzato Robert a sufficienza, ma sapeva bene quanto l’integrità del suo ex collega non fosse affatto programmata per scendere a simili compromessi.

    Tuttavia esitò. L’uomo lo fissò e, senza dire altre parole, gli fece cenno di salire.Si avvicinò alla macchina sfidando con lo sguardo l’uomo che gli si parava di fronte e gli si fermò davanti.

    Questi gli poggiò una mano sulla spalla spingendolo cordialmente verso l’entrata. « Primo errore » disse David, afferrando con un movimento repentino il braccio sinistro dell’uomo

    torcendoglielo poi dietro la schiena. Lo sguardo privo d’espressione dell’autista mutò improvvisamente. Il suo viso era contrito di rabbia adesso. Allungò la mano destra sotto la giacca per estrarre la pistola.

    « Secondo errore » proseguì Ryan che, avendone previsto la reazione, lo colpì alla nuca facendolo cadere in ginocchio. Fu relativamente facile strappargli la pistola di mano e puntargliela contro.

    Ryan proseguì: « Al terzo errore sei morto. In vita mia non ho mai ucciso nessuno ma stasera, credimi, sono sufficientemente incazzato per farlo ».

    L’uomo lo fissò con odio. Poteva sentire il freddo metallo della beretta premergli sulla nuca. Dalla macchina uscì una voce.

    « Fermati David. » La voce lo raggiunse dall’interno del fuoristrada.Riconobbe il timbro familiare, ma gli ci volle qualche secondo per capire di chi si trattava. Lasciò l’uomo e

    gli restituì la pistola. La collera dell’altro si trasformò istantaneamente nello sguardo inespressivo di qualche istante di prima.

    Ryan salì in macchina e guardò negli occhi il suo nuovo interlocutore. La figura si stagliava nella penombra vestita in modo sobrio, informale. Lo sguardo, così come la voce baritonale, era autorevole. I capelli grigi, non troppo folti, tradivano un’età intorno ai sessanta, ma l’assenza quasi totale di rughe sul viso non la confermavano. I lineamenti, nel complesso, restituivano l’immagine di un uomo che nella vita aveva visto molto più di chiunque altro. Questo traspariva anche dai suoi silenzi tenebrosi, perfettamente in accordo con l’aura misteriosa che circondava la persona.

    Ryan lo conosceva bene.« E così, è venuto anche lei a convincermi? »« No, sono venuto per darti una mano. » « Dov’è la differenza? »« La differenza c’è, David. »Il direttore della CIA, George A. Finder, prese dalla tasca laterale della vettura un fascicolo e lo porse a

    Ryan. David lo fissò e cominciò a sfogliarlo. Ad ogni pagina il suo viso divenne sempre più stupefatto. Dopo qualche minuto si rivolse nuovamente al suo ex superiore.

    « Questo cosa significa? »« Significa che avevi ragione. I documenti segreti che hai in mano riguardano altrettanti progetti della

    medesima natura e tutti riconducono a ciò che hai visto alla base di Groom Lake. »« Balle! Perché dovrei prendere per vero quanto mi sta dicendo? »« In effetti hai ragione. Sono tutte balle, o almeno questa è sempre stata la posizione ufficiale del governo.

    Ma non sono le stesse balle a cui stai sacrificando la tua vita? » Replicò l’uomo come se stesse recitando un copione imparato alla perfezione.

    « Lei non sa perché lo faccio. E, con tutto il rispetto, non credo nemmeno sia in grado di capirlo. »« Tutto l’opposto, David. Sono in grado di capirlo eccome! Tu lo fai per Sara. O meglio, tutto è partito da lei.

    »

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  • Ryan guardò l’uomo negli occhi con espressione esterrefatta. Una smorfia di dolore gli si dipinse sul volto.« Ma come... » Non riuscì a finire la frase, mentre la sua mente cercava un appiglio nella memoria.

    Sconfitto, capitolò.« Dovevo aspettarmelo, dopotutto Lei è il direttore della CIA » « Lo sapevo già quando ti reclutai, David. Quello che non sapevo è che sarebbe diventata la tua

    ossessione. Se l’avessi anche solo sospettato, saresti stato scartato a priori, ma dai test psicologici a cui ti sottoponemmo non emerse nulla. »

    « Già, i test psicologici… » Ryan sorrise. « Alla Gorge Town avevo dato quattro esami di psicologia e conoscevo bene la struttura di base dei vari test. Diciamo solo che barai un pochino. Ricorda? Fu il suo primo insegnamento: niente è mai come sembra. »

    « Già, niente è mai come sembra, e anche stavolta non fa eccezione. »« Cosa intende? »« Quello che hai visto a Groom Lake è solo la punta dell’iceberg. Una volta la base era il centro nevralgico

    delle operazioni. Ma da tempo, ormai, tutto si è spostato altrove e la famigerata AREA 51 è solo uno specchietto per le allodole. »

    « Ma lì ho visto... »« So bene cos’hai visto, David » l’interruppe l’uomo con voce ancora più autoritaria. Dopo una breve pausa

    proseguì con tono più pacato. « Ma quello che viene fatto li è marginale rispetto a tutto il resto. Ormai Groom Lake è una base secondaria adibita al supporto logistico. »

    « Non la seguo. »« Vedi, negli anni ‘80 ci fu una fuga d’informazioni e la segretezza delle attività svolte a Groom Lake venne

    messa seriamente a rischio. La zona fu invasa da un numero sempre crescente di avventurieri e di curiosi e ciò fu sufficiente a far comprendere a chi di competenza che occorreva spostare il centro delle attività altrove. »

    « Ma la base è tuttora operativa. »« Te l’ho già detto David, è diventata un centro di supporto logistico marginale. Qualcuno ebbe la geniale

    idea di alimentare comunque le voci di corridoio sulle attività svolte nella base. Così l’attenzione dell’opinione pubblica rimase catalizzata sull’AREA 51, permettendo di proseguire il progetto altrove. Venne comunque stabilito di non perdere totalmente gli investimenti fatti, e la base continuò ad essere utilizzata per scopi meno importanti, ma comunque necessari. Questo permise di continuare ad operare indisturbati in altre basi. »

    « Perché nessuno ne ha mai sentito parlare? »« Perché i vertici del progetto impararono dai propri errori. Evidentemente hanno fatto un buon lavoro,

    tranne per il fatto che ti hanno sottovalutato. Grazie alle tue scoperte, negli alti ranghi qualche testa è già saltata e si è innescata una nuova lotta per il potere. »

    « E chi sono gli alti ranghi? »« Ogni cosa a suo tempo... hai appena sfiorato la verità, ma conoscerla tutta in una volta sarebbe troppo

    persino per te, ti esporrebbe a rischi ancora più seri di quelli che corri adesso. »Nell’abitacolo della vettura scese un silenzio irreale. Quell’istante sembrò durare un’eternità, e l’eternità

    che seguì si consumò in appena qualche istante. La collera s’impadronì di Ryan assieme allo stupore più totale e, soprattutto, al timore di essere diventato la vittima designata di uomini potenti a cui aveva pestato troppe volte i piedi. Seppure a stento, riuscì a dominare le emozioni. L’uomo continuava a fissarlo con pazienza, in attesa che lui si riprendesse dal colpo.

    Stando alle parole del suo interlocutore, quella che lui credeva essere la verità era solo un aspetto marginale di un progetto enormemente più vasto e dai risvolti molto più che oscuri.

    Cercò, senza riuscirci, di ricomporre i pezzi della sua vita. Infine si convinse che non era il momento più adatto per farlo. Decise di rimandare la questione e si rivolse nuovamente all’uomo.

    « Cosa vuole da me? »« Mi serve il tuo aiuto, David. »« Non lavoro più per la CIA, signore. Ora lavoro per il Federal Bureau. »« Non per i prossimi tre mesi, se accetterai l’accordo. »« E se non lo accettassi? »« La pratica tornerebbe in mano ai militari e per te non ci sarebbe più scampo. Loro vogliono la tua testa,

    David. »« Dio mio, in che casino mi sono cacciato... »« Già, ti sei messo in un gran casino. Ma ti sto proponendo una via d’uscita. » David si irrigidì nuovamente. L’uomo che gli sedeva accanto gli stava proponendo un modo per salvarsi.

    Robert glie lo aveva detto poco meno di un’ora prima: George Finder era stato l’elemento fondamentale per giungere a quell’accordo che lui intendeva rifiutare. Ora, nella sua mente, era scattato qualcosa di nuovo, un

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  • primordiale istinto di sopravvivenza, forse. Di qualunque cosa si trattasse, si rendeva comunque conto che Finder proveniva da un mondo in cui nessuno faceva niente senza un preciso tornaconto. Ma per il momento, questo passava in secondo piano, ora doveva solo ascoltare la proposta dell’uomo e cercare abilmente di trarne qualcosa per se stesso che lo aiutasse a salvarsi. Sapeva bene che si stava muovendo su un campo minato.

    Un nuovo pensiero lo folgorò inaspettatamente. Si sentì come se stesse per imboccare una strada alla fine della quale c’erano tutte le risposte che aveva sempre cercato. La sensazione divenne consistente, assillante, e Tanto gli bastò per decidere di proseguire in quella conversazione.

    « Cosa posso fare per lei? » chiese infine. « Ti propongo di tornare a lavorare per me. Intanto per tre mesi, poi, se lo vorrai, e sono convinto che sarà

    così, in via definitiva. » « Perché io? »« Perché io e te vogliamo la stessa cosa David, ma tutti e due siamo schiavi del sistema, sia pure a livelli

    differenti. Tu ti sei spinto appena oltre ed hai scoperto cose che non potrei mai rivelare a nessuno dei miei agenti. Oltretutto sei ancora perfettamente operativo, la scenetta di poco fa l’ha dimostrato chiaramente. Kroltz è uno dei miei uomini migliori, eppure lo hai immobilizzato in pochi secondi. »

    « Non ha ancora risposto alla mia domanda. Cosa vuole da me? »« Ora te lo spiego. »Ryan ascoltò con attenzione. La mezz’ora successiva mise in moto eventi che avrebbero cambiato per

    sempre la sua vita.

    05

    Alex aprì gli occhi. La sveglia gli stava massacrando i timpani. La nottata era stata infernale, per due ore aveva tentato invano di prendere sonno. Era distrutto dalla

    stanchezza ed aveva un bisogno disperato di un lungo sonno ristoratore, ma un pensiero fisso impediva alla mente di lasciarsi andare. Aveva perso tre ore di tempo senza sapere come. Gli era già capitato altre volte, ma stavolta il buco era eccessivo.

    Verso le sei del mattino, quando il chiarore del giorno si affacciò timidamente all’orizzonte, il corpo e la mente cedettero alla stanchezza e il sonno lo sopraffece. Due ore più tardi, l’insopportabile suono della sveglia aveva spazzato via gli strani scenari onirici che aveva sognato nel pochissimo tempo avuto a disposizione per riposare.

    Si mosse. La luce del giorno lo colpì in pieno volto quasi fosse un fendente. Ripiegò sotto il cuscino. La mano sinistra cercò di arpionare la sveglia sul comodino. Ci riuscì solo al quarto tentativo. Senza guardarla, schiacciò l’interruttore che mise fine al fragore insopportabile. Si ripromise che quanto prima ne avrebbe acquistata una con un suono più dolce.

    Respirò imponendosi di mettere in moto i due terzi dei neuroni che ancora rifiutavano di svegliarsi. Dopo qualche minuto sollevò lentamente il cuscino e stavolta la luce del giorno sembrò coccolarlo.

    Si guardò intorno, era circondato da un ambiente familiare. In fondo alla stanza vide l’armadio ad angolo acquistato dai genitori cinque anni prima, proprio nei giorni in

    cui si erano trasferiti a Vienna lasciando lui e Claire nella casa di famiglia.Lentamente, il volto visibilmente stanco, si tirò fuori dalle lenzuola e, ancora intontito, puntò i piedi sul

    pavimento. Si trascinò in bagno con fare goffo e sgraziato. Si chiuse la porta alle spalle e s’infilò sotto la doccia.L’acqua prese a scorrergli sulla pelle risvegliandogli i sensi. La doccia si stava rivelando efficace e poco

    alla volta si sentì nuovamente padrone del proprio corpo. Prese ad insaponarsi quando la sua attenzione fu attratta da una specie di chiazza giallognola

    sull’avambraccio sinistro. Si sentì gelare senza capirne il motivo e un’immagine sfuggevole, una mano esile con dita nodose, s’impresse nei suoi pensieri.

    Non riuscì ad afferrarla. Sfregò la parte con maggiore intensità aggiungendo altro sapone sulla spugna. La macchia si sciolse. Emerso dalla doccia, si concesse una colazione abbondante. In fondo quel giorno avrebbe avuto scarse

    possibilità di riuscire a pranzare, vista la quantità degli impegni che l’attendevano. Salutò Claire e le augurò una buona giornata, ma lei lo fermò sulla porta di casa: « Alex, mi sono dimenticata di dirti che ieri pomeriggio ha chiamato la mamma. Hanno avuto un contrattempo, pare che papà abbia una riunione piuttosto importante il ventiquattro pomeriggio e un’altra il ventisette mattina. Questo Natale non ce la faranno a raggiungerci, ma forse riusciremo a vederli a Capodanno. »

    « Okay, grazie per avermelo detto. Ci vediamo stasera, ciao sorellina! »Uscì velocemente di casa. Il riverbero del sole sull’asfalto lo accecò.

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  • Salì in macchina dirigendosi al campus, dove un quarto d’ora più tardi avrebbe avuto la sua lezione individuale di composizione. La materia principale di quel semestre era la musica dodecafonica.

    Il suo approccio all’argomento non era stato tra i migliori. Aveva avuto la sensazione che la dodecafonia fosse assimilabile più al rumore della sua sveglia che alla musica. Ma poi s’era lasciato progressivamente catturare dalle innumerevoli variabili logiche e compositive insite in quello stile.

    La mattinata corse via veloce e, alle due del pomeriggio, si ritrovò in un’aula insieme a degli strumentisti cui affidò le prime parti del suo brano per il saggio. Quando si congedò dal gruppo, pregò Rachel, una violoncellista, di seguirlo per discutere alcuni passaggi complicati della sua partitura.

    Entrarono in una stanza. Erano soli.Si baciarono con passione, poi lei lo spinse contro il muro e si avvinghiò a lui. Alex sorrise e le sussurrò all’orecchio: « Ce la fai ad aspettare stanotte? »« Perché non ora? »« Ho lezione di orchestrazione. »« Alle quattro? » « Ho un appuntamento dal medico. » « Ok, passa da me stasera alle otto. »Rachel lo baciò ancora e, nel salutarlo, gli strinse dolcemente il naso fra il pollice e l’indice. Alex s’irrigidì istantaneamente, un ricordo fugace sovraccaricò le sue emozioni. Un volto, uno strano volto.

    Una mano, dita sottilissime e lunghe. Dolore al naso. Afferrò Rachel per il polso trascinandole la mano lontano dal proprio viso. « Non toccarmi! » le gridò contro. Lei, spaventata, cercò di controllare la propria reazione. Lui s’irrigidì, stupefatto per il proprio gesto istintivo.

    Il rimorso gli dipinse sul volto una smorfia di dolore. « Perdonami Rachel. Non so cosa mi sia preso! »Lei, ancora ammutolita, l’abbracciò sussurrandogli all’orecchio: « Non ti preoccupare Alex, è parecchio che

    sei sovraccarico d’impegni. Negli ultimi giorni non hai avuto neanche il tempo di respirare. » Poi ridacchiò e aggiunse: « Stanotte sarò la tua infermiera, ok? Ora vai, la tua lezione è cominciata cinque minuti fa. »

    06

    Il ticchettio dell’orologio a parete sembrava rimbombare nella sala d’attesa semivuota. La luce al neon che illuminava la stanza dava all’ambiente un che d’asettico. Lo splendido sole mattutino era ormai scomparso, sconfitto da una coltre di nubi cariche di pioggia e dal maestoso incedere della sera. Qualche goccia d’acqua era già comparsa sull’ampia vetrata che dava sulla piazza.

    Un lampo squarciò il cielo. Dopo qualche istante si udì il tuono. Era arrivato allo studio medico puntuale, cosa piuttosto insolita per lui, e stava ormai aspettando da

    quarantacinque minuti. Spazientito, prese il quotidiano locale appoggiato su di un tavolo alla sua sinistra. Scorse la prima pagina e l’occhio gli cadde su un titolo:

    “AVVISTATO NELLA NOTTE UN OGGETTOVOLANTE NON IDENTIFICATO”

    Aprì il giornale a pagina quindici, dove c’era l’approfondimento della notizia. L’aeronautica aveva affermato che si trattava di un pallone sonda, ma alcuni testimoni affermavano che l’oggetto, dapprima stazionario sul quartiere ovest della città, era poi schizzato via a velocità elevatissima, scomparendo alla vista in pochi secondi.

    “Il mio quartiere” disse tra sé e sé. Con lo sguardo ancora fisso sull’articolo, avvertì un calore repentino nella narice destra. Poi un liquido rosso vivo cominciò ad imbrattare il giornale. Portò la mano al volto: stava sanguinando.

    L’infermiera dello studio se ne accorse e prese prontamente della garza sterile, spingendo poi la testa di Alex all’indietro per tamponare la perdita. Il giovane fu accecato dalla luce bianca al neon. Ancora una volta, in quella giornata caotica fu assalito dal flashback dello strano volto che aveva ricordato quel pomeriggio.

    Stavolta, però, sopra di lui erano in tre. Come era accaduto qualche ora prima quando era con Rachel, afferrò i polsi dell’infermiera che lo soccorreva tirandoli via con forza e gridando: « State lontani da me, non toccatemi! »

    La donna, colta in contropiede, cercò di tranquillizzarlo poggiando le mani sulle spalle e spingendolo verso lo schienale della poltroncina: « Signore, stia tranquillo, si tratta solo di un capillare rotto... »

    Lui la spinse via una seconda volta. « State lontani da me! » gridò nuovamente alzandosi in piedi. Il sangue gli si riversò sulla camicia. Attonito, si guardò intorno. L’immagine dell’ambiente circostante divenne

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  • in pochi istanti sfocata. Comprese di trovarsi ancora nella sala d’attesa dello studio medico. Si sentiva affaticato, respirava affannosamente. L’infermiera lo fissava con sgomento.

    Il dottor Cover, sentendo quel caos, si precipitò fuori dallo studio. Alex si voltò verso di lui. Vedeva Cover muovere la bocca ed avanzargli incontro con cautela senza capire cosa stesse dicendo. Le parole gli giungevano come un’eco lontana. A malapena riusciva a rimanere in piedi.

    Le gambe gli cedettero e si ritrovò in ginocchio. Il naso perdeva ancora sangue, imbrattando inevitabilmente tutti i suoi vestiti ed il pavimento. Cadde rovinosamente a terra. Il mondo attorno a lui divenne buio.

    07

    Quello di Gatwick, dopo Heathrow, è l’aeroporto più importante di Londra. Situato a quarantacinque chilometri a sud della capitale, è collegato ad essa attraverso il Gatwick Express. Le due piste a disposizione sono parallele ed orientate est-ovest, più precisamente a 080 e 260 gradi. La pista 26 sinistra - o 08 destra, a seconda della direzione d’utilizzo - è dotata di ILS o sistema di atterraggio strumentale, ed è quella che viene normalmente utilizzata. Solo quando ha bisogno di manutenzione viene usata quella parallela.

    Pur non avendo più di una pista attiva nello stesso momento, il London Gatwick Airport gestisce un notevole traffico di aeromobili grazie all’eccellente lavoro dagli ATC, i controllori del traffico aereo.

    Thomas Stantford era uno di loro da appena un anno. Inizialmente nessuno sapeva molto sul suo conto, ma la mente umana è sempre alla ricerca d’informazioni che possano dare adito a pettegolezzi. Nei mesi successivi la sua assunzione, il personale dell’aeroporto era venuto a sapere che Thomas era figlio di un diplomatico inglese ed aveva perso entrambi i genitori all’età di nove anni in un tragico incidente automobilistico. Da allora era stato preso sotto l’ala protettrice di un amico di suo padre, un influente burocrate londinese, che aveva dato al ragazzino la possibilità di crescere sano e forte e perseguire le proprie aspirazioni divenendo un ATC. I colleghi lo consideravano un raccomandato ma, quando le voci sul suo triste passato iniziarono a circolare, tutti ammorbidirono le proprie posizioni nei suoi confronti.

    A dispetto delle presunte raccomandazioni, però, nel lavoro Thomas era davvero bravo, il migliore di un’equipe di ATC di altissimo livello. Il modo in cui riusciva a gestire e coordinare il traffico aereo assegnatogli gli aveva fruttato in più di qualche occasione le lodi dei superiori e le invidie di alcuni colleghi. Ma lui non prestava troppa attenzione né agli uni, né agli altri. Il suo compito esigeva dedizione e precisione e la sola cosa che gli interessava era raggiungere il suo vero scopo.

    Alle 20:30 transitò attraverso l’entrata riservata al personale di servizio. Il suo turno sarebbe cominciato mezz’ora più tardi, ma voleva avere tutto il tempo per mangiare un sandwich e prendere un buon caffè, per quanto buono fosse solo un eufemismo, se riferito alle macchinette automatiche dell’aeroporto.

    Alle 20:55 era già seduto davanti alla sua postazione in attesa di cominciare il turno di servizio. In quell’istante entrò in sala controllo un tecnico della manutenzione con il quale Thomas aveva fatto

    amicizia qualche mese prima. « Ciao Thomas, non sapevo fossi in servizio stasera, sul calendario c’è segnato McJohnson. »

    « È una sostituzione, Jack. Pare che quando c’è il turno di notte, i controllori siano più inclini ad ammalarsi » rispose lui con un sorriso malizioso.

    « Eh già, e poi oggi è l’ultima di campionato del girone d’andata. Tra cinque minuti comincia Arsenal-Manchester e, se l’Arsenal dovesse vincere, si qualificherà campione d’inverno. »

    « Per lo meno anche le squadre di calcio a Natale vanno a riposo per un paio di settimane. Incrociando le dita, non ci dovrebbero essere assenteismi sospetti, e il capo accetterà la mia richiesta di ferie. »

    « Senti senti. Thomas Stantford in vacanza. Suona strano. In un anno non hai mai preso un giorno di ferie. »

    « Che ci vuoi fare Jack, anche i più duri prima o poi cedono. »Jack notò distrattamente un cerotto sul lato sinistro del collo di Thomas, immediatamente sotto la mascella.

    Non vi prestò troppa attenzione: con ogni probabilità il provetto ATC si era tagliato mentre si radeva. Thomas tirò fuori da una valigetta un PC portatile e lo collegò via USB alla strumentazione ATC. Jack lo

    guardò di traverso con un sorriso beffardo: « Thomas, dovresti smetterla di registrare le tue sessioni di controllo, è contro le regole! »

    L’altro sorrise e replicò senza nemmeno voltarsi: « E dai Jack, sai benissimo che mi piace ricontrollare il mio lavoro una volta a casa. Non faccio male a nessuno. »

    « Prima o poi qualche pezzo grosso ti darà una bella strigliata. »« Per il momento tessono solo lodi. E se mi beccassero, il mio eccellente stato di servizio gli farebbe

    chiudere un occhio. »« Fossi in te non ci conterei troppo. Ora vado, se c’è qualche problema con la strumentazione, sono nel

    mio sgabuzzino a guardare la partita. »

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  • Jack si allontanò fischiettando. Thomas lo salutò con un cenno della mano, poi avviò il notebook. Mancava un minuto alle 21:00.

    08

    Il capitano Arald Benedict guardò l’esile falce lunare ed i suoi riflessi sulle onde dell’oceano disteso quindicimila piedi sotto di lui. Il mondo, da lassù, era stupendo e lui sapeva bene di essere un privilegiato. Certo non sarebbe durata ancora per molto: l’anno seguente lo avrebbero tirato giù dal suo F16 per limiti d’età e lo avrebbero liquidato con una promozione.

    Avrebbe fatto carte false per poter continuare a volare. L’occasione gli si era presentata quando gli avevano proposto una missione segreta. Se avesse accettato, i suoi superiori avrebbero accolto la sua richiesta di essere assegnato ad una scuola di volo per reclute. Lui non s’era certo tirato indietro: dopotutto era uno dei migliori piloti della US Airforce.

    La cuffia integrata nel casco emise un bip e subito dopo sentì la voce del suo gregario, una recluta fresca di scuola di volo. Un aspirante top gun assegnato come lui alla base Nato di Istres, nel sud della Francia.

    « Falcon Uno, stiamo transitando sullo Stretto della Manica. Dovremmo virare a uno otto zero per rientrare alla base. »

    « Falcon Due, questa è la tua prima assegnazione ad un incarico ufficiale? »« Sì, capitano. »« Che ne diresti, allora, di un po’ di scuola di volo? Niente di particolarmente complicato, giusto un quarto

    d’ora per un paio di manovre. »« Non so, capitano... il piano di volo prevede che... »« Lascia perdere il piano di volo, do io la comunicazione al centro di comando. Il colonnello Faraway mi

    darà senz’altro il consenso. Che ne dici, accetti? » « D’accordo Falcon Uno. Resto in attesa di istruzioni. »« Bene figliolo, l’unica cosa che devi fare è provare a prendermi. »L’ F16 del capitano Benedict virò improvvisamente verso nord lasciando il suo gregario di sasso. Picchiò in

    avvitamento tremila piedi sotto di lui e schizzò via a Mach 1.E così il nonno vuole giocare! disse tra sé il giovane pilota. Imitò alla perfezione la manovra del suo

    superiore e si mise alle sue costole contattandolo via radio. « Capitano, la informo che mi serviranno meno di quindici minuti per prenderla! »

    09

    Era trascorsa poco più di un’ora. Fino a quel momento il lavoro alla torre di controllo era scorso via con rassicurante monotonia.

    Alle 22:08 Thomas Stantford prese in consegna il volo Delta Airlines 7902 proveniente dall’ aeroporto di Roma Fiumicino e diretto a New York via Londra. Sarebbe atterrato all’aereporto di Heathrow per fare rifornimento ripartendo poi alla volta del JFK di New York.

    Quando il volo 7902 si trovò sullo stretto della Manica, il comandante del velivolo contattò il controllo aereo di Gatwick. Era la chiamata che Thomas stava aspettando.

    « Aeroporto di Gatwick, il volo Delta Airlines 7902 è con voi in discesa a 27.000 piedi, passo. »Thomas rispose con tranquillità: « Delta Airlines 7902, qui Aeroporto di Gatwick, avete British Airways

    Boeing 737 a ore 10. Confermate ad avvistamento avvenuto. »« Aeroporto di Gatwick, Delta Airlines ha British Airway Boeing 737 in vista, passo. »« Delta Airlines 7902, virare sulla destra, rotta 050, scendere a 18.000 piedi. »« Delta Airlines 7902, viriamo a destra, rotta 050, ed iniziamo la discesa a 18.000 piedi. »La traversata sullo stretto della Manica proseguì come da manuale. Thomas avrebbe dovuto passare il

    controllo del vettore al suo corrispettivo e parigrado dell’aeroporto di Heathrow, ma evitò di farlo. Guardò l’orologio, erano le 22:15.

    “Ci siamo!” si disse. Aprì il portatile cercando di non farsi notare dai colleghi e con la mano sinistra digitò alcuni comandi. L’immagine sul monitor mostrò una schermata graficamente simile a quella visualizzata dalla sua postazione ATC, tuttavia il tipo di traffico visualizzato era diverso e del tutto singolare.

    Miriadi di triangoli rossi si muovevano a velocità elevatissime, arrestandosi improvvisamente come se una

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  • forza invisibile li catturasse. Thomas aveva visto quelle immagini decine di volte, ma stasera era alla ricerca di qualcos’altro. Armeggiò

    con il sistema di controllo direttamente dal portatile e, dopo appena qualche istante, ciò che stava aspettando comparve sotto i suoi occhi.

    « Bingo! » mormorò. Un quadrato verde si era materializzato sul display occupando la posizione che sullo schermo della torre

    visualizzava il volo Delta airlines 7902. Sotto era visualizzata un’esile scritta: ESCA. Più a nord figurava un triangolo del medesimo colore, stazionario su Londra a circa 18.000 piedi di

    altitudine. Era identificato dalla scritta TARGET, obiettivo. Da sud-sudovest, due triangoli di colore blu in avvicinamento ad ESCA venivano riconosciuti dal sistema

    come GHOST01 e GHOST02. Thomas Stantford era emozionato, aveva lavorato un anno intero solo per essere lì in quel momento.

    S’impose di restare calmo e ci riuscì. Nei giorni precedenti aveva ripassato il piano decine e decine di volte. Utilizzando il portatile visualizzò un log simile a quello di un banale programma di chat. Con un gesto

    naturale sfiorò il cerotto che aveva sul collo attivando così il sistema vocale bluetooth miniaturizzato che vi si trovava nascosto. L’interfaccia del programma visualizzò la richiesta di controllo vocale. Thomas sussurrò: « Firefox, codice di accesso tre due quattro delta due. »

    Quasi nel medesimo istante sullo schermo del portatile comparvero una serie di stringhe:

    IDENTITÀ: CONFERMATAAGENTE: FABIEN LACROIXNOME IN CODICE: FIREFOX

    Osservò il suo vero nome impresso sul monitor e fu assalito da un brivido d’esaltazione. Fino a quel momento non c’erano stati intoppi, tutto sembrava andare per il meglio e quindi il suo compito era ormai quasi giunto alla fine. L’indomani avrebbe lasciato Londra alla volta di Roma, dove avrebbe ricevuto una promozione e istruzioni relative ad una nuova missione.

    Prima, però, si sarebbe goduto qualche giorno di relax totale e di divertimento. Si diceva che le Italiane erano davvero passionali e lui non si sarebbe lasciato scappare l’opportunità di scoprirlo.

    Il notebook emise un lieve bip. L’agente impartì al software dei semplici comandi vocali: « Sintonizzarsi su GHOST01, inviare coordinate scenario. »

    Sul display si susseguirono una serie di stringhe, poi lampeggiò una scritta.

    SINTONIZZATO SU GHOST01COORDINATE SCENARIO INVIATE

    E poi accadde. Il velivolo TARGET, rimasto immobile fino a quel momento sulla capitale, schizzò a velocità impressionante

    attraverso lo schermo in direzione di ESCA.L’agente Firefox, alias Thomas Stantford, esultò ed impartì immediatamente un solo, semplicissimo

    comando: « Caposquadriglia Ghost01, iniziate l’operazione. »

    10

    Il tenente John Gray inseguiva il suo capitano da ormai dieci minuti. Gli furono sufficienti per intuire che intercettarlo sarebbe stato impossibile. Eppure avrebbe dovuto immaginarlo, il capitano Benedict era un veterano ed era considerato dai più come una leggenda. Decine di missioni portate a termine con successo, un curriculum esemplare e lo storico evento che l’aveva esaltato a mito, avrebbero dovuto essere elementi più che sufficienti per non sottovalutarlo.

    Si diede dello stupido. Come se non bastasse, da due minuti aveva perso il contatto visivo con il bersaglio. L’orgoglio gli bruciava

    come mai prima di quel momento. Il vecchio aveva spento il transponder ed ora, complici anche i disturbi generati dall’attività solare di quei giorni insolitamente alta, non poteva più rilevarlo nemmeno via radar. Se solo fosse riuscito a stargli dietro avrebbe potuto fregiarsi d’aver dato filo da torcere alla leggenda. Invece era alla sua mercè.

    Ma adesso il vecchio stava davvero esagerando, aveva già abbondantemente conquistato la sua fetta di gloria. Cercò di contattare il superiore via radio.

    « Falcon Uno, risponda per favore. »

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  • Nessuna risposta. « Capitano Benedict, risponda. Direi che è sufficiente, mi ha fatto fare la figura del novellino, le chiedo

    cortesemente di tornare in formazione. »Un bip repentino riecheggiò nell’abitacolo diventando in pochi istanti un suono acuto. Fu preso dal panico,

    poi realizzò quanto era accaduto. « Falcon Due, sei stato abbattuto. Ero mille piedi sopra di te a ore sei già da tre minuti. Ne hai di cose da

    imparare, ragazzo mio. »“Che stronzo” pensò il giovane. « Capitano, per favore accenda il suo transponder e torni in formazione. »« Va bene Falcon Due, agli ordini. » La voce del caposquadriglia riecheggiava nel suo casco piuttosto

    divertita. Falcon Uno tornò in formazione. Erano sullo stretto della manica, rotta 080, la prua orientata verso i paesi

    scandinavi. « Falcon Uno, ho il permesso di parlare liberamente? »« Parla pure, ragazzo. » Il sentirsi chiamare ragazzo gli stava dando sui nervi, ma si rivolse al capitano Benedict con rispetto e

    sincerità.« Signore, posso chiederle di non parlare con nessuno della nostra scorribanda di stasera? Una volta

    tornati alla base non vorrei diventare lo zimbello della squadra. »« Tranquillo ragazzo. Quanto è accaduto stasera sarà il nostro segreto. Nostro e dello spicchio di luna che

    ci ha osservati stanotte. Ah già, dimenticavo... anche del controllo missione che ha seguito le nostre... com’è che le hai chiamate? Ah sì, scorribande. »

    Il giovane s’irrigidì di colpo: « Cazzo! »« Ragazzo, non hai nulla da temere. Non te la sei cavata affatto male. Mai nessuno dei miei gregari era

    riuscito a starmi dietro per più di due minuti. Tu invece hai retto il confronto per otto. Lascia che te lo dica, Falcon Due, hai davvero stoffa. Credimi, quando la voce circolerà, diventerai la star del momento. »

    Si rilassò e arrossì per il complimento. Colse il tono paterno con cui Benedict lo chiamava ragazzo. Ripensandoci, essere chiamato in quel modo dalla Leggenda non era poi così male.

    Virarono a sud in direzione della base di Istres. La ricognizione era finita.Un istante dopo, l’attenzione del capitano Benedict fu attratta da due macchie scure che silenziosamente

    procedevano alla loro destra. Complice la fioca luce proveniente dallo spicchio di luna, riconobbe le sagome di due velivoli. Guardò sul radar: non erano segnalati.

    Qualunque cosa fossero, era ovvio che disponevano di un sistema d’occultamento. Forse erano due F117. Cercò immediatamente una conferma del suo gregario.« Falcon Due, il tuo radar rileva qualcosa a sud-ovest? »« Nossignore. »« Guarda nella direzione che ti ho indicato. Vedi qualcosa di strano? »il giovane vide due macchie scure, rese più evidenti da una nube che, sullo sfondo, riverberava la luce

    lunare. « Signore, ci sono due velivoli. Se non riusciamo a rilevarli, non sono certo americani o europei. »« Esatto Falcon Due. Chiamo la base per chiedere delucidazioni. Base di Istres, qui Falcon Uno, mi

    ricevete? »« Base nato di Istres, qui il Colonnello Faraway, vi riceviamo forte e chiaro. Arald, hai finito di battezzare il

    nuovo arrivato? Ho visto che ha battuto il record dei tuoi gregari precedenti. » « Lascia perdere Joshua, ho in vista due velivoli non identificati provenienti da sudovest, ma il mio radar

    non li rileva. »« Per noi non c’è nulla. E dai piani di volo Nato e UE non sono previsti velivoli eccetto voi, in quella zona.

    Sicuro che non sia un’illusione ottica? »« L’illusione ottica ora sta virando verso nord, rotta approssimativa tre sei zero e velocità in aumento.

    Credo ci abbiano rilevati e cerchino di evitarci. » « Okay Falcon Uno, Passiamo a Defcon3. Do l’ordine immediato agli squadroni Falcon ed Eagle di

    prendere il volo. Due velivoli non identificati si stanno dirigendo verso l’Inghilterra ed è quasi certo che siano ostili. Falcon Uno e Falcon Due, intercettate i velivoli ma non fate fuoco. Sto per informare il Comando Atlantico e le aeronautiche francese ed inglese. Nel giro di cinque minuti i loro Eurofighter si alzeranno in volo. Cercate di contattare i velivoli sconosciuti ma non aprite il fuoco, ripeto, non aprite il fuoco senza una valida ragione. »

    « Base di Istres, qui Falcon Uno, ricevuto. Passo e chiudo. » Benedict si rivolse a Falcon Due. « Hai sentito, ragazzo? Poco fa sei stato battezzato con l’acqua. Adesso, forse, avrai anche quello del

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  • fuoco. Virare a nord-nordovest. Intercettare i due velivoli. I radar non li rilevano, dovremo procedere a vista. »L’adrenalina crebbe veloce e il tenente John Gray, gregario del capitano Benedict, fu attanagliato da una

    forte emozione. Non vedeva l’ora di cimentarsi in una missione vera per dimostrare di cosa era capace. Dopotutto, era stato la Leggenda a dirlo, non se la cavava affatto male.

    « Falcon Due pronto all’azione, signore. Virare a nord-nordovest. Intercettare gli obiettivi a vista. »« Ragazzo, questa non è un’esercitazione. Non aprire il fuoco senza mio preciso ordine. Qualunque cosa

    accada, rimani in formazione. » « Ricevuto signore. »

    ***

    Avevano rilevato i due F16 già da diversi minuti, ma certo non si aspettavano di incrociarli sulla propria rotta. Secondo i piani forniti dal comando missione, la pattuglia nato si sarebbe già dovuta trovare oltre Parigi e, a prescindere da ciò, non era previsto un loro sconfinamento oltremanica. Per giunta il radar aveva segnalato la presenza di traffico sospetto, ma si riferiva ad un solo velivolo che puntava verso i paesi scandinavi. Poi, d’un tratto, gli aerei erano diventati due ed avevano cambiato direzione. Evidentemente uno dei due aveva il transponder guasto o l’aveva momentaneamente disattivato.

    Simili congetture, però, contavano ben poco: avevano una missione da compiere. Firefox aveva dato il via libera, il dado era tratto e certo non potevano permettersi ritardi.

    Cambiarono rotta in direzione tre sei zero sperando di non incrociare gli aerei di pattuglia. La tecnologia in dotazione sui loro velivoli AURORA X4 consentiva l’occultamento totale dai radar., ma i due F16 avevano comunque virato su una rotta utile all’intercettazione.

    Dannata luce lunare. Qualche istante più tardi, una voce estranea violò il silenzio fuoriuscendo dagli altoparlanti integrati nel

    casco. « Velivoli non identificati, qui è il caposquadriglia Arald Benedict, capitano della US Airforce di stanza

    presso il comando Nato di Istres. Vi preghiamo di identificarvi. »Rifletté un istante. La missione stava rischiando di fallire. La sua preparazione aveva richiesto un anno di lavoro rischioso e

    difficile. Intanto la voce del capitano Benedict continuava a gracchiare nel suo casco. Contattò l’agente Firefox e spiegò velocemente la situazione. Gli ordini ricevuti furono inequivocabili: lui

    avrebbe proseguito verso l’obiettivo con priorità assoluta, mentre Ghost02 avrebbe dovuto invertire la rotta e abbattere gli inseguitori.

    ***

    « Velivoli non identificati, qui è il caposquadriglia Arald Benedict, capitano della US Airforce di stanza presso il comando Nato di Istres. Vi preghiamo di identificarvi. »

    Non vi fu nessuna risposta. Ripeté la comunicazione, ma fu inutile. Poi i due velivoli sconosciuti si tuffarono in un banco di nubi duemila piedi più in basso. Li aveva persi. In un istante realizzò cosa si sarebbe verificato di lì a pochi secondi.« Falcon Due, Al mio segnale rompi la formazione e procedi immediatamente con le manovre evasive.

    Inverti la rotta virando a sinistra, io andrò nella direzione opposta. Diminuisci la quota di cinquemila piedi e preparati a lanciare le contromisure. Ripeto, preparati a lanciare le contromisure. Muoviti ragazzo, questo non è un scherzo! »

    « Ricevuto, signore. »Un istante più tardi, un lampo improvviso si fece strada tra i banchi di nubi sottostanti. « Adesso! Contromisure fuori e manovre evasive. »Gli F16 si allontanarono tra di loro descrivendo due semicerchi in direzioni opposte, lanciarono le

    contromisure e picchiarono verso il basso. Il missile lanciato contro di loro detonò cinquemila piedi sopra le loro teste.

    « C’è mancato un pelo signore, ma come ha fatto a capire che... » La voce del capitano Benedict lo interruppe con tono concitato.

    « Falcon Due, i nostri nemici sono velivoli sperimentali. Niente di ufficiale, solo voci di corridoio. Uno di loro è più che sufficiente per abbatterci entrambi, quindi è molto probabile che, qualsiasi cosa abbiano in mente, uno dei due abbia proseguito verso il suo obiettivo. L’altro sta tornando indietro per abbatterci. Ragazzo, la situazione è critica. I nostri caccia si sono appena alzati in volo, ma solo noi conosciamo la direzione

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  • approssimativa dei due aerei non identificati. Ascolta, è importante che tu faccia ritorno verso la base alla massima velocità e senza uscire dallo strato di nubi sopra di noi. Io proverò ad intercettare l’altro velivolo. Tra dieci minuti dovresti incrociare gli EF francesi e le nostre squadriglie Falcon ed Eagle. A quel punto l’aereo nemico dovrà battere in ritirata. Nonostante la superiorità tecnologica, non avrà abbastanza missili per abbattervi tutti. »

    « Ricevuto signore. Ma lei come pensa di farcela, da solo? »« Non penso, ragazzo. Spero solo che le cose vadano come previsto. Non fare altre domande, il tempo

    stringe. »« Va bene signore. Buona fortuna. Passo e chiudo. »

    * * *

    Virò nella direzione che riteneva più utile per incrociare il velivolo in fuga e disattivò il transponder per la seconda volta in quella strana giornata.

    Quella decisione era stata dannatamente difficile e presa velocemente, troppo velocemente. Ma non esistevano alternative. Il tenente Gray era in gamba ed aveva parecchie probabilità di riuscire a portare il suo aereo in mezzo agli squadroni alleati. Lì, la partita sarebbe stata tutta da giocare ed il ragazzo avrebbe avuto più di una possibilità di tornare incolume alla base.

    Per lui, invece, era tutta un’altra storia. Analizzò la situazione e in un istante vagliò miriadi di possibilità. Il meccanismo era stato innescato, ora tutto era nelle sue mani. La sua missione adesso. Prolungò mentalmente la rotta seguita dagli intrusi al momento dell’intercettazione e si rese conto che costituiva un segmento trasversale all’Inghilterra meridionale che puntava tra i trenta e gli ottanta chilometri a sud di Londra e poi verso la Norvegia.

    Considerando l’ostilità degli aerei dalla provenienza ignota, si convinse che il loro bersaglio dovesse trovarsi non oltre le coste inglesi. Fosse stato più lontano, non avrebbero ingaggiato il combattimento e si sarebbero dileguati.

    Ma se anche le cose stavano come aveva ipotizzato, trovare il proverbiale ago nel pagliaio avrebbe rappresentato un’impresa assai meno ardua che intercettare il suo nemico. Solo un fattore giocava a suo favore: conosceva abbastanza bene alcuni dei modelli teorici di occultamento ai radar e sapeva che molto probabilmente il fantasma che stava inseguendo non poteva raggiungere velocità troppo elevate. Se lo avesse fatto, sarebbe stato rilevato.

    E così, una delle caratteristiche più importanti del velivolo in questione, cioè la possibilità di raggiungere Mak5, era in questo caso totalmente inefficace, almeno secondo le voci ufficiose che circolavano nell’ambiente.

    Sicuro che la sua preda procedesse ad una velocità non superiore a Mak1, stabilizzò il suo F16 su una rotta utile all’intercettazione del velivolo.

    ***

    Falcon Due seguì alla lettera gli ordini. Meno di dieci minuti dopo essersi separato dal capitano Benedict, il radar rilevò l’avvicinamento degli squadroni Falcon ed Eagle. Degli EF francesi, nemmeno l’ombra. Poteva contare ben otto aerei che procedevano nella sua direzione.

    Avrebbe preso contatto con i rinforzi entro tre minuti. Improvvisamente nella sua cabina si diffuse un suono frastornante. Comprese in una frazione di secondo

    che il suo inseguitore aveva sganciato un missile. Fu veloce, il radar stava mostrando la posizione dell’ordigno immediatamente successiva al lancio, perciò stabilì che il velivolo invisibile dovesse trovarsi in quelle immediate vicinanze.

    Il missile, però, era stato sparato da distanza ravvicinata e il tenente Gray si rese conto che evitarlo sarebbe stato quasi impossibile.

    Lanciò le contromisure e virò repentinamente, vedendo dopo un solo istante che il missile sfiorava il suo F16 all’altezza della carlinga e proseguiva nella sua corsa.

    Si rese conto con sollievo che per il momento l’aveva scampata.Contattò gli aerei in arrivo.« May day, may day. Falcon Due sotto attacco nemico. May day, may day. Falcon Due sotto attacco

    nemico. »« Falcon Due, qui Eagle Tre. Resisti, stiamo arrivando. »« Eagle Tre, il mio inseguitore non è rilevabile al radar. Ripeto, non è rilevabile al radar. »« Ne siamo a conoscenza, il comando Nato di Istres ci ha già avvisato. »Fu allora che accadde l’irreparabile.

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  • Il missile che aveva schivato pochi secondi prima aveva virato bruscamente agganciandosi di nuovo agli infrarossi emessi dal suo motore. Per la seconda volta, nella cabina si propagò il suono assordante dell’allarme.

    Il tenente Gray non ebbe il tempo di localizzare l’oggetto in arrivo e iniziò una disperata manovra evasiva. Un’esplosione rischiarò la campagna francese.Falcon Due era stato abbattuto.

    ***

    Stava inseguendo il velivolo sconosciuto da quasi dieci minuti. Ripensò a quando, poco tempo prima, si era reso invisibile al tenente Gray. Ora che la situazione si era invertita ed era costretto a volare alla cieca, la cosa non gli pareva più così divertente.

    Scrutava l’oscurità che gli si parava davanti. Ancora tre minuti e sarebbe giunto sulla capitale inglese. Alzò lo sguardo in alto a sinistra. Circa cinquemila piedi sopra di lui, un aereo di linea procedeva ignaro

    delle inattese vicissitudini di quella notte. Lo vedeva chiaramente anche sul radar. Dalle dimensioni doveva trattarsi di un 777.

    La sua attenzione fu attratta da un riflesso che veniva a crearsi ogni volta che le luci di navigazione del Boeing s’illuminavano.

    Trascorsero alcuni secondi durante i quali, perplesso, cercò di comprendere la natura dello strano fenomeno. Mise ulteriormente a fuoco il riflesso misterioso e, all’improvviso, la sua mente dovette accettare ciò che gli occhi le comunicavano: un oggetto volante sconosciuto di forma discoidale si stava lentamente avvicinando all’aereo dal basso. In realtà, la forma somigliava più ad una porzione di sfera piatta alla base, una specie di cupola a sesto ribassato.

    Era davvero troppo. Mentre gli interrogativi prendevano il posto di ogni possibile pensiero sensato, l’oggetto si avvicinava

    sempre più al volo di linea. E poi lo vide distintamente. Il ventre dell’oggetto iniziò ad aprirsi dal centro verso l’esterno, come un’iride, e più si apriva, più irradiava

    una luce bianca che sembrava avere un proprio volume. Rimase come ipnotizzato da quella visione e, mentre tentava di ricomporre la frattura creatasi nella sua comprensione, decise di avvicinarsi.

    In preda a un profondo senso d’irrealtà, cabrò dolcemente mantenendo una velocità di poco inferiore a quella del nuovo velivolo sconosciuto, in modo da rimanergli leggermente indietro e un poco in basso.

    Ancora una volta, in quella notte stregata accadde una cosa del tutto inaspettata. Un raggiò luminoso, di colore blu, proveniente da destra investì lo strano oggetto e, nel giro di qualche istante, questo si disintegrò sciogliendosi come neve al sole.

    Il capitano Benedict virò repentinamente nella direzione di provenienza del raggio e, nuovamente grazie alla luce lunare, vide chiaramente il velivolo fantasma che aveva inseguito fino a quel momento.

    Era in posizione perfetta per l’attacco. Non ci pensò due volte, aprì il fuoco con la mitragliatrice colpendo ripetutamente l’aereo nemico. Il pilota perse il controllo e, nel tentativo disperato di difendersi, eseguì una strana manovra che lo fece entrare in collisione con l’F16 del suo aggressore.

    Fu l’inferno. Le lamiere si accartocciarono, i motori presero fuoco ed entrambi gli aerei precipitarono al rallentatore

    roteando l’uno intorno all’altro in un walzer grottesco.Arald Benedict fece appello a tutte le sue forze per contrastare la forza centrifuga causata dalla rotazione.

    Tentò più volte di afferrare la leva d’espulsione riuscendoci al terzo tentativo. Un istante dopo essersi catapultato, il suo aereo esplose andando in mille pezzi e generando un’onda

    d’urto tale da fargli perdere i sensi. Tuttavia l’aveva scampata. Il paracadute si aprì automaticamente dopo qualche secondo di caduta libera.L’aveva scampata.

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    L’agente Firefox guardava allibito lo schermo. La missione era stata portata a compimento, ma niente quella notte era andato come previsto.

    GHOST 02 aveva abbattuto uno dei suoi inseguitori per tornare prontamente alla base prima che

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  • giungessero altri aerei nemici. GHOST 01 era riuscito a disintegrare l’oggetto TARGET, ma di lui non v’era più traccia.

    Lo sguardo di Firefox sembrava perso nel vuoto e gli ci volle qualche istante per rimettere a fuoco lo schermo del suo terminale. Quando ciò accadde, vide il riflesso dell’addetto alla manutenzione, il suo amico Jack, che fissava lui e lo schermo a bocca aperta. Si girò di scatto.

    « Dio, Jack, mi hai spaventato. Che ci fai qui? » chiese cercando di dissimulare la tensione. « Il primo tempo della partita è finito. Ero venuto a vedere come te la cavavi. »« Me la cavo benissimo Jack, come sempre. »« Thomas, cos’è quello che ho visto sullo schermo? »« Cosa, questo? È solo il programma per la registrazione delle mie sessioni di volo. »« E il tuo programma, Thomas, visualizza oggetti che superano di dieci volte la velocità di un caccia? »Il sangue di Firefox si gelò nelle vene e il cuore, per un brevissimo istante, smise di battere. Il tempo si

    fermò. Fissò Jack negli occhi, poi tutto iniziò nuovamente a scorrere. In un istante decise il da farsi. « Ok Jack, questo non è posto per parlarne. Il tempo di passare il controllo del mio traffico a Larson ed

    andiamo a discuterne da un’altra parte, ok? »« Ok Thomas, ti aspetto qui fuori. »

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    Il capitano Benedict toccò terra ancora semisvenuto. Si sentiva frastornato, la testa gli girava e aveva il corpo ricoperto di lividi. Non li vedeva, ma ne avvertiva il dolore.

    La gelida aria inglese l’aveva risvegliato durante la caduta e, anche a terra, lo stimolava a ragionare lucidamente.

    Si alzò in piedi cercando di stabilire la sua posizione. Doveva trovarsi a non più di una decina di chilometri dal London Gatwick Airport. Qualcuno doveva essersi accorto dell’esplosione e probabilmente la polizia era già stata avvertita. Tirò fuori dalla cintura un razzo di segnalazione. Lo esplose. Ora non poteva far altro che attendere che lo andassero a recuperare.

    Non ci volle molto. Dopo qualche minuto sentì i suoni delle sirene e vide i lampeggianti delle macchine della polizia. Fu

    circondato e si ritrovò con almeno dieci pistole puntate addosso. Poi sentì gridare alle sue spalle: « Sono il tenente Smith della polizia inglese, tenga le mani bene alzate e faccia dieci passi indietro. »

    Sollevò le mani. Non era il momento di dichiarare la propria identità. Conosceva le procedure delle polizie di mezzo mondo, erano la prima cosa che gli avevano insegnato all’accademia. Un pilota abbattuto in territorio nemico ha sempre bisogno di un’enorme dose di fortuna per riuscire a cavarsela. Per fortuna l’Inghilterra era una nazione amica.

    Con le mani bene in vista si trascinò come meglio poteva verso un punto indefinito alle sue spalle. Come ebbe effettuato il decimo passo, il tenente Smith gli intimò di sdraiarsi faccia a terra e di tenere le mani dietro la schiena. Solo quando l’ammanettò gli chiese di identificarsi.

    « Sono il capitano Arald Benedict, US Airforce, di stanza alla base militare Nato di Istres in Francia. Sono stato abbattuto. I miei documenti sono nella tasca anteriore della tuta. »

    Con fare perplesso Smith aprì la tasca dello sconosciuto. Ne estrasse un contenitore morbido impermeabile, di plastica trasparente. L’aprì tirandone fuori un foglio piegato in quattro che riportava la foto del capitano e tutte le sue generalità. In basso si trovava un testo tradotto in diverse lingue in cui si faceva appello ai trattati internazionali sui prigionieri di guerra, in previsione del caso disgraziato in cui il pilota fosse catturato in territorio nemico.

    La faccia ancora più perplessa, il tenente Smith fece una risata isterica e guardò il capitano Benedict negli occhi.

    « Mi dica Capitano, come cazzo c’è finito in Inghilterra? »« È un’informazione che non posso darle, tenente. Le chiedo di essere scortato presso la più vicina base

    militare per contattare il comando di Istres. »« Senti senti, e così sono informazioni riservate! Bene, allora facciamo una cosa, signor questa è

    un’informazione che non posso darle. Per quanto mi riguarda, il pezzo di carta straccia che ho letto non conferma un accidente, quindi l’unico posto in cui posso scortarla è il nostro commissariato, dove verrà trattenuto fino a nuovo avviso. Da lì, quando ne avrò voglia, farà la sua telefonata del cazzo. »

    « Se è questo che vuole, signore... »« Sì, è questo che voglio. » Si rivolse ad un collega. « Sergente, metta in macchina capitan America e lo

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  • porti al comando. Non gli faccia fare la sua telefonata finché non rientrerò in caserma. Ha già chiamato la scientifica? »

    « Sissignore, saranno qui tra dieci minuti. »« L’altra operazione di recupero a che punto è? »« Ho appena sentito l’Agente Lee, l’uomo è stato ritrovato. Lo stanno scortando alla centrale. » « Bene sergente, può andare. »Benedict fece un sorriso divertito in direzione del tenente. Evidentemente, pensò, l’uomo soffriva di un

    qualche complesso dovuto alla sua altezza insignificante e che cercava di compensare atteggiandosi a comandante di stato maggiore. Smith non ricambiò il sorriso e ad un suo gesto Benedict fu trascinato via.

    13

    Alex non riusciva a prendere sonno. Rachel gli dormiva accanto e mostrava ai suoi occhi tutta la sua nuda bellezza. Con lo sguardo ne seguì il profilo delle gambe e proseguì verso il viso. Si soffermò sul seno. Sorrise al pensiero di quanto fosse dannatamente bello fare l’amore con lei. In quei momenti avvertiva un calore insolito, un tocco d’umanità che mai aveva provato prima di conoscerla. Mentre facevano l’amore emergeva la loro parte migliore. Mentre cedevano all’istinto, il gioco in cui erano complici veniva scandito da un incontro di corpo e spirito. In quelle occasioni le inibizioni di lei scomparivano e spesso prendeva in mano le redini del gioco avanzando richieste molto particolari. Lo faceva con tale ingenua spontaneità, da rendere tutto meravigliosamente semplice e normale.

    Tutto ciò era la magnifica espressione di un’intesa perfetta anche fuori dalle lenzuola; tuttavia nessuno sforzo, nessuna meraviglia era mai riuscita a colmare il senso di vuoto che dilagava da sempre nelle sue emozioni più viscerali.

    C’era qualcosa, nella sua vita, che gli sfuggiva, ed afferrarla non era semplice. Gli eventi occorsi quel giorno e la notte precedente non facevano che complicare una situazione già

    ingarbugliata. Aveva perso tre ore della sua vita e non aveva la minima idea di cosa fosse accaduto. Poi c’erano stati la scenata che, inspiegabilmente, aveva fatto a Rachel qualche ora prima, e il crollo psico-emotivo nello studio del dottor Cover. Lì tutto era precipitato inaspettatamente: il sangue dal naso, l’infermiera, i flashback di quei volti umanoidi. Aveva perso i sensi, s’era svegliato un quarto d’ora più tardi sul lettino dell’infermeria.

    Cover l’aveva visitato. Pressione e battito erano buoni. Poi, con un otoscopio, aveva guardato nella narice destra, quella dalla quale aveva perso sangue. Nonostante la strana ansia che lo pervadeva, stavolta era riuscito a controllarsi. L’esclamazione del dottore non era stata rassicurante.

    « Non è possibile! » aveva sussurrato il medico continuando ad esplorare la sua cavità nasale. « Cosa non è possibile, dottore? »Edward Cover aveva aveva posato l’otoscopio sul tavolo e guardava Alex dritto negli occhi. « Alex, quando eri più piccolo sei mai caduto battendo violentemente la fronte? »« Non so, dottore... da piccoli si cade tante volte. »« È vero, ma io mi riferisco ad una caduta particolarmente violenta. Non ne hai memoria? »L’espressione del medico era visibilmente perplessa.« No dottore, niente che riesca a ricordare. Mi può dire qual è il problema? »« Hai lo sfenoide sfondato, ed è una cosa davvero singolare. »Ancora una volta in quella strana giornata, Alex si era sentito gelare. Dopo qualche istante d’esitazione

    aveva chiesto: « Cosa significa? »Il dottore aveva girato intorno al lettino e si era seduto alla scrivania, tirando fuori da un cassetto un libro di

    anatomia. Lui s’era avvicinato al tavolo senza sedersi. Il tomo emanava l’odore seducente della vecchia carta stampata. Aveva osservato il libro e riconosciuto l’illustrazione delle ossa del cranio, ognuna disegnata con un diverso colore. Sul suo volto si era dipinta un’espressione interrogativa.

    Il dottor Cover l’aveva invitato a sedersi ed aveva proseguito: « Lo sfenoide è formato da un corpo di forma cubica che si fissa a tre sistemi lamellari. In parole semplici, ha la forma di una grossa farfalla, con tanto di ali. È posto dietro il naso, e separa il viso dal cervello. »

    Alex aveva cercato di rispondere razionalmente. « Be’, magari è una frattura accidentale della quale non mi sono reso conto. »« La cosa è un po’ più complicata di così. A prima vista la tua sembra una frattura da sfondamento, non è

    lineare, e oltretutto è li da più di qualche anno, poiché c’è presenza di una vecchia cicatrizzazione dei tessuti che avvolgono l’osso anche se, stranamente, vi sono segni di piccole lacerazioni piuttosto recenti.