RESOCONTOSTENOGRAFICO - Gero Grassi · risma sono non solo calunniose e frutto delle estemporanee...

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COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL RAPIMENTO E SULLA MORTE DI ALDO MORO RESOCONTO STENOGRAFICO 35. SEDUTA DI MERCOLEDÌ 6 MAGGIO 2015 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI INDICE PAG. Comunicazioni del presidente: Fioroni Giuseppe, presidente ...................... 3 Sulla pubblicità dei lavori: Fioroni Giuseppe, presidente ...................... 6 Audizione del dottor Gian Carlo Caselli: Fioroni Giuseppe, presidente .. 6, 12, 18, 19, 21 22 23, 24, 25, 27, 28, 29, 30 Caselli Gian Carlo ... 8, 12, 17, 18, 19, 21, 22, 23, 24 25, 26, 27, 28, 29 Cervellini Massimo (Misto) .................... 27, 28 Corsini Paolo (PD) ...................................... 17 Lavagno Fabio (PD) .................................... 26, 27 Atti Parlamentari 1 Camera Deputati – Senato Repubblica XVII LEGISLATURA DISCUSSIONI COMM. ALDO MORO SEDUTA DEL 6 MAGGIO 2015

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  • COMMISSIONE PARLAMENTAREDI INCHIESTA SUL RAPIMENTO E SULLA

    MORTE DI ALDO MORO

    RESOCONTO STENOGRAFICO

    35.

    SEDUTA DI MERCOLEDÌ 6 MAGGIO 2015

    PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

    I N D I C E

    PAG.

    Comunicazioni del presidente:

    Fioroni Giuseppe, presidente ...................... 3

    Sulla pubblicità dei lavori:

    Fioroni Giuseppe, presidente ...................... 6

    Audizione del dottor Gian Carlo Caselli:

    Fioroni Giuseppe, presidente .. 6, 12, 18, 19, 21 2223, 24, 25, 27, 28, 29, 30

    Caselli Gian Carlo ... 8, 12, 17, 18, 19, 21, 22, 23, 2425, 26, 27, 28, 29

    Cervellini Massimo (Misto) .................... 27, 28

    Corsini Paolo (PD) ...................................... 17

    Lavagno Fabio (PD) .................................... 26, 27

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  • PAGINA BIANCA

  • PRESIDENZA DEL PRESIDENTEGIUSEPPE FIORONI

    La seduta comincia alle 14.30.

    Comunicazioni del presidente.

    PRESIDENTE. Comunico che, con notapervenuta il 23 aprile, il dottor Allegriniha depositato una relazione riservata con-cernente l’esito delle ricerche sinora effet-tuate presso l’Archivio centrale dello Stato.Nella relazione si segnala, tra l’altro, chein base ai documenti consultati, « all’in-terno delle carte del Gabinetto » del Mi-nistero dell’interno « esisteva un fascicolo11001/145 con intestazione “Aldo Moro”che, pur elencato sia per il quinquennio1976-1980 che per il successivo 1981-1985,non è mai giunto in Archivio centrale ». Inquel fascicolo potrebbe essere stato archi-viato anche il noto appunto originaria-mente classificato « segretissimo » riguar-dante la provenienza da un deposito delNord del munizionamento rinvenuto in viaFani. Nella citata relazione si sottolineaaltresì che, benché vi siano agli atti dellaCommissione stragi presieduta dal sena-tore Pellegrino numerosi documenti ricon-ducibili al citato fascicolo, non si puòavere la certezza che sia stato trasmessoalla suddetta Commissione l’intero fasci-colo e « non è possibile accertare l’integritàdel fascicolo “Aldo Moro” che doveva es-sere versato in originale all’Archivio cen-trale dello Stato ».

    Ciò premesso, nel corso dell’odiernariunione, l’Ufficio di presidenza, integratodai rappresentanti dei gruppi, ha conve-nuto di inviare una richiesta di chiari-menti al Ministro dell’interno e all’Archi-vio centrale dello Stato, nonché per cono-scenza alla Presidenza del Consiglio.

    Il 30 aprile è pervenuta una nota – dilibera consultazione – dell’avvocato Boni-facio Giudiceandrea, legale di GiovanniSenzani. Nella nota si comunica, tra l’al-tro, la decisione di Senzani « di chiarireformalmente in via istituzionale (e dunquealla Commissione ) di essere totalmenteestraneo alla vicenda del rapimento e dellamorte dell’on. Aldo Moro ». L’avvocatoGiudiceandrea osserva, inoltre, che qual-siasi notizia che attribuisca a Senzani « unruolo nella vicenda non solo è falsa macontrasta con gli esiti – conosciuti da tutti– dei cinque o sei processi istruiti dallaautorità giudiziaria romana (senza consi-derare che all’epoca il professor Senzaniaveva consapevolmente scelto di non di-fendersi tecnicamente nei processi e chedunque non tutte le condanne da luisubite sono il frutto di un reale contrad-dittorio fra accusa e difesa) ».

    Nella nota si afferma, altresì, che« tutte le altre illazioni sui contatti fra ilprofessor Senzani e i servizi segreti di ognirisma sono non solo calunniose e fruttodelle estemporanee rivelazioni di qualchepentito, ma contrastano con il trattamento– non certo di favore – subito dal Senzaninegli anni della sua detenzione ». Il legaledi Senzani sottolinea, quindi, « la vera epropria efficacia calunniosa della escala-tion di notizie false, molte delle qualiprovengono dai membri – protetti dallaimmunità [...] – della Commissione ».

    La nota si conclude con la richiesta diportare le suddette considerazioni a co-noscenza dei membri della Commissione.A tal fine, copia della suddetta lettera saràinviata a tutti i componenti della Com-missione.

    Sulla base delle prime risultanze dialcuni accertamenti in corso di perfezio-namento da parte della dottoressa Giam-

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  • maria e del colonnello Pinnelli, nel corsodell’odierna riunione, l’Ufficio di presi-denza, integrato dai rappresentanti deigruppi, ha altresì convenuto di richiederealcuni chiarimenti al Ministero della giu-stizia e di affidare alla dottoressa Giam-maria, con l’ausilio degli organi di poliziagiudiziaria e delle altre autorità compe-tenti, il compito di compiere ulterioriapprofondimenti istruttori, anche me-diante acquisizione di informazioni daparte di persone informate dei fatti.

    Nella medesima riunione si è altresìconcordato di calendarizzare nelle pros-sime settimane le audizioni di alcuni stu-diosi che hanno effettuato ricerche dedi-cate al caso Moro: Valdimiro Satta, MarcoClementi, Gianremo Armeni, Stefania Li-miti, Sandro Provvisionato e Pino Casa-massima.

    Su richiesta degli interessati, si è invecedeciso di non procedere, almeno per ilmomento, alle audizioni di Giovanni Gal-loni e di Nicolò Amato.

    Ricordo, inoltre, che – come già co-municato lo scorso 15 aprile – sono statiacquisiti presso gli uffici giudiziari diRoma alcuni reperti e atti processuali; essisaranno trasmessi alla Direzione centraledella polizia di prevenzione-Servizio anti-terrorismo, affinché proceda a taluni ac-certamenti.

    L’Ufficio di presidenza, integrato dairappresentanti dei gruppi, ha inoltre de-liberato di avvalersi della collaborazione, atitolo gratuito e a tempo parziale, di tresottufficiali dei Carabinieri: il luogotenenteGiuseppe Boschieri, il maresciallo GaetanoLamberti e il maresciallo Mario Lauri.

    Comunico, quindi, che è stato affidatoalla dottoressa Tintisona l’incarico di espe-rire, con l’ausilio delle competenti strut-ture della polizia, alcuni accertamentiistruttori.

    Nel quadro delle verifiche riguardanti itentativi di trattativa per la liberazione diMoro e l’ipotizzata intenzione del Presi-dente Leone di concedere la grazia allabrigatista Paola Besuschio, la dottoressaPicardi è stata incaricata di esaminare,presso l’Archivio storico del Senato, la

    documentazione del fondo « GiovanniLeone », limitatamente al quadriennio1977-1980.

    Sempre nel corso della odierna riu-nione, l’Ufficio di presidenza, integrato dairappresentanti dei gruppi, ha altresì con-venuto di affidare tre incarichi alla poliziascientifica, lo svolgimento di alcuni accer-tamenti istruttori al colonnello Pinnelli etalune attività investigative allo S.C.I.C.O.della Guardia di finanza.

    L’avv. Nunzio Raimondi e il maresciallocapo Danilo Pinna hanno prestato, rispet-tivamente il 23 aprile e il 6 maggio, ilprescritto giuramento e hanno quindi for-malmente assunto l’incarico di collabora-tori della Commissione. Tali incarichi sa-ranno svolti secondo gli indirizzi già co-municati all’Ufficio di presidenza.

    La dottoressa Picardi ha trasmesso il 23aprile una relazione riservata nella qualesegnala l’interesse per l’inchiesta parla-mentare di alcuni fascicoli processuali cu-stoditi presso gli uffici giudiziari di Fi-renze. Al fine di consentire la visione el’eventuale acquisizione della suddetta do-cumentazione, l’Ufficio di presidenza, in-tegrato dai rappresentanti dei gruppi, haautorizzato lo svolgimento una missione aFirenze e a Prato del colonnello Occhi-pinti, per la durata massima di due giorni.

    Sono altresì pervenute alcune relazionida parte di collaboratori della Commis-sione. In particolare:

    il dottor Donadio ha presentato il 22aprile una relazione – di libera consulta-zione – concernente tematiche di interesseper l’audizione del senatore Manca; il 28aprile due relazioni segrete contenenti al-cune proposte operative, alle quali si èconvenuto di dare seguito; il 30 aprile unaulteriore relazione segreta;

    la dottoressa Picardi ha depositato il23 aprile un’audiocassetta, rinvenutapresso gli uffici giudiziari di Roma, chesarà trasmessa al RIS di Roma qualepossibile termine di raffronto ai fini degliaccertamenti in corso sulle altre audiocas-sette già acquisite dalla Commissione; il 27aprile copia di un verbale segreto di in-terrogatorio, per rogatoria, acquisito

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  • presso la Procura della Repubblica diRoma;

    il 29 aprile il dottor Siddi ha depo-sitato il verbale delle dichiarazioni rese dapersona informata dei fatti;

    la dottoressa Giammaria ha deposi-tato il 22 aprile una relazione concernentele dichiarazioni rese da alcune personeinformate dei fatti presenti a via Fani ilgiorno della strage, una nota relativa al-l’acquisizione di documentazione presso laCorte di assise di Roma, le trascrizioni, acura del RIS di Roma, delle registrazionicontenute nelle audiocassette rinvenutepresso l’ufficio corpi di reato del Tribunaledi Roma; tutta la suddetta documenta-zione, riguardando indagini in corso, èsecretata;

    il colonnello Pinnelli ha depositato,con nota secretata del 23 aprile, la letteracon cui il comando della Legione Laziodell’Arma dei carabinieri risponde ad unarichiesta di informazioni della Commis-sione; con successive note secretate per-venute il 29 aprile e il 4 maggio, il fogliomatricolare di due sottufficiali dell’Armadei carabinieri; con nota del 5 maggio, ilverbale delle sommarie informazioni ac-quisite, insieme alla dottoressa Giammariada una persona informata dei fatti;

    sullo stesso argomento, il 5 e il 6maggio la dottoressa Giammaria ha pre-sentato due note, con annessa documen-tazione, entrambe secretate;

    il generale Paolo Scriccia ha deposi-tato il 27 aprile documentazione di liberaconsultazione concernente il generale Ni-colò Bozzo;

    sempre con riferimento al generaleBozzo, con nota riservata pervenuta il 30aprile, il colonnello Pinnelli ha depositatouna lettera del Comando generale del-l’Arma dei carabinieri;

    il tenente colonnello Giraudo ha pre-sentato il 5 maggio una relazione riservataconcernente talune notizie riportate dallastampa con riferimento alla perizia au-

    toptica eseguita sul corpo di Aldo Moro econtenente alcune proposte operative, allequali si è convenuto di dare seguito;

    il colonnello Occhipinti ha deposi-tato, in data 23 e 28 aprile, documenta-zione riservata riguardante alcuni accer-tamenti condotti;

    con nota del 22 aprile l’onorevole-Claudio Martelli ha fatto pervenire, come

    convenuto nel corso della sua audizionedel 15 aprile, il capitolo del suo libro« Ricordati di vivere » riguardante AldoMoro, che sarà inviato a tutti i componentidella Commissione;

    facendo seguito a quanto concordatoil 18 marzo nel corso dell’audizione delViceministro Luigi Casero, con nota per-venuta il 30 aprile il generale EdoardoValente, vicecapo di gabinetto del Mini-stero dell’economia e delle finanze, hacomunicato il completamento del versa-mento degli atti riguardanti il caso Moroagli Archivi di Stato e ha trasmessol’elenco degli atti versati; nella nota si fapresente che, entro la fine di maggio, saràtrasmessa alla Commissione anche copiadigitale di tutti gli atti versati;

    il generale Nunzio Antonio Ferla,direttore della Direzione investigativa an-timafia, ha trasmesso, il 23 aprile, unarelazione riservata contenente alcune in-formazioni richieste dalla Commissione;

    il comandante del RIS di Roma,colonnello Ripani, con nota pervenuta il24 aprile, ha informato la Commissioneche – ove nulla osti e previa verifica dellaritualità degli avvisi che, nel rispetto dellegaranzie previste dal codice di procedurapenale, devono essere inviati alla Procuradella Repubblica di Roma e alle partioffese – il 19 maggio avranno inizio alcuniaccertamenti tecnici non ripetibili; al ri-guardo, il colonnello Pinnelli, con notapervenuta il 4 maggio, ha depositato gliavvisi notificati alla Procura della Repub-blica di Roma e alle parti offese;

    il 27 aprile e il 5 maggio sono per-venuti due esposti;

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  • con nota pervenuta il 30 aprile, ildottor Giovanni Salvi ha comunicato cherisponderà ai quesiti scritti formulati dallaCommissione a seguito della sua audizionenon appena avrà potuto consultare alcuniatti presso la Procura di Roma;

    il 4 maggio è pervenuta la nota concui il capo di gabinetto del Ministero delladifesa comunica l’autorizzazione della col-laborazione, con incarico a titolo gratuitoe a tempo parziale, del maresciallo capodei Carabinieri Danilo Pinna;

    il 5 maggio sono pervenute due notedella Direzione centrale della polizia diprevenzione: la prima, classificata « riser-vata », concerne l’organigramma dellaDIGOS di Roma nel 1978, mentre laseconda, secretata, alcune informazioni ri-guardanti un brigatista.

    Sulla pubblicità dei lavori.

    PRESIDENTE. Avverto che, se non visono obiezioni, la pubblicità dei lavori saràassicurata anche mediante l’attivazionedell’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

    Audizione del dottor Gian Carlo Caselli.

    PRESIDENTE. L’ordine del giorno recal’audizione del dottor Gian Carlo Caselli,che ringraziamo per la cortese disponibi-lità con cui ha accolto l’invito a intervenireoggi in Commissione.

    Con l’odierna audizione la Commis-sione amplia lo spettro dei propri accer-tamenti istruttori andando ad approfon-dire i risultati di inchieste giudiziarie che,pur non riguardando direttamente il se-questro e l’omicidio di Aldo Moro, pre-sentano comunque profili di obiettivo ri-lievo e interesse ai fini della nostra in-chiesta.

    Com’è noto, nel corso della sua attivitàil dottor Caselli non si è, infatti, occupatodel caso Moro, ma ha svolto a Torino percirca un decennio, a partire dalla metà

    degli anni Settanta, estese indagini riguar-danti esponenti di primo piano delle Bri-gate Rosse.

    È, dunque, d’interesse per la Commis-sione conoscere gli elementi raccolti nelcorso di questa sua esperienza che pos-sono essere utili per l’inchiesta parlamen-tare da un duplice punto di vista, in primoluogo perché ci possono aiutare a com-pletare il profilo di singoli aderenti alleBrigate Rosse che sono stati poi coinvoltinel sequestro e nell’assassinio dell’onore-vole Moro e, in secondo luogo, perchéconsentono di delineare con maggiore pre-cisione il quadro complessivo dell’organiz-zazione terroristica che compì la strage divia Fani.

    Ricordo, inoltre, che il dottor Caselli haricoperto l’incarico di procuratore capodalla Repubblica di Torino dal 2008 e che,in tale veste, ha avuto modo di seguireanche le prime indagini che vennero con-dotte con riferimento alla nota letteraanonima recapitata al quotidiano LaStampa, nella quale si prospettava uncoinvolgimento di appartenenti a organi-smi di intelligence nella strage di via Fani,oggi oggetto di ulteriore approfondimentoda parte della Procura generale dellaCorte d’appello di Roma.

    A tale proposito la Commissione ha giàsvolto le audizioni dell’allora procuratorepresso la Corte d’appello di Roma, dottorLuigi Ciampoli, e di Enrico Rossi, giàispettore della polizia di Stato, che al-l’epoca curò i primi accertamenti. Sarebbeestremamente utile acquisire maggiori det-tagli su come venne valutata dalla Procuradi Torino la suddetta lettera anonima esugli accertamenti che la stessa Procuraritenne di condurre per il tramite delprocuratore aggiunto, dottor Sandro Au-siello.

    Mi permetto anche di sottoporre alnostro ospite alcuni quesiti che credopossano essere utili, per poi dare la parolaal dottor Caselli e integrarli con tutti ivostri.

    L’8 settembre 1974, nell’ambito delleindagini coordinate dal pubblico ministeroBruno Caccia e da lei in qualità di giudiciistruttori, i Carabinieri del generale Dalla

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  • Chiesa arrestarono a Pinerolo due capistorici delle Brigate Rosse, Renato Curcioe Alberto Franceschini. Secondo quantolei ha dichiarato nel corso di un’intervistaa La Repubblica il 6 settembre 2014, ècerto che nelle ore precedenti le opera-zioni di Pinerolo uno sconosciuto chiamòil medico Enrico Levati, l’uomo che avevamesso in contatto Silvano Girotto, dettoFrate Mitra, con i capi delle BR. Latelefonata diceva: « Curcio sarà arrestatodomenica a Pinerolo ». Levati chiamò Mo-retti, ma nessuno dei due riuscì ad avvi-sare Curcio. Furono condotte indagini peridentificare l’autore della telefonata ?

    Nella sua audizione del 10 febbraio2000 dinanzi alla Commissione stragi, pre-sieduta dal senatore Pellegrino, SilvanoGirotto confermò la telefonata anonima aLevati, lasciando tuttavia intendere, sullabase di alcune confidenze ricevute dalcapitano dei Carabinieri Pignero, cheaveva curato la sua infiltrazione nelle BR,che essa potesse provenire da ambientivicini al Ministero dell’interno.

    Leggo uno stralcio di quell’audizioneche mi sembra rilevante: « Presidente: “Le-vati chi avverte ?”

    Girotto: “Gli chiesi che cosa aveva fattoe lui mi rispose che aveva avvisato subitoi compagni, ma non mi dice quali com-pagni. Il capitano Pignero mi aveva dettoche i nominativi dei carabinieri che face-vano parte di quel nucleo non eranoconosciuti neanche all’interno dell’Arma,almeno così mi disse. Gli stessi carabinieriche avevano partecipato all’operazionedell’arresto, il mattino dell’8 settembre aPinerolo, avevano saputo dell’obiettivo del-l’operazione poche ore prima di eseguirla.Un contesto del genere, che addirittura ilgiorno prima fossero stati avvisati, mi haturbato e ho visto che ha turbato anche ilcapitano. Disse che poi avrebbe verificato,ma con mio stupore, nell’incontro se-guente con il capitano, quando ripresil’argomento (perché mi aspettavo che fossediventato un argomento di primo piano dachiarire), gli chiesi se stavano indagandoper quella fuga di notizie, perché era unacosa grave. Ricordo che ho ricevuto unarisposta vaga, ha lasciato cadere il di-

    scorso, non ha voluto approfondire l’ar-gomento e mi ha detto che stavano ve-dendo”.

    Presidente: “Il Ministero dell’internoera stato informato ? Lei lo ha scritto”.

    Girotto: “Lui disse che era stato infor-mato qualcuno al Ministero dell’interno,che lo sapevano lui, il generale DallaChiesa e qualcuno al Ministero dell’in-terno, erano pochissimi a saperlo. Poitutto questo non viene più ripetuto”.

    Presidente: “Questo sembrerebbe pre-supporre un doppio tradimento: da unlato, gli apparati di sicurezza informano leBrigate Rosse dell’agguato cui Curcio po-teva sfuggire, dall’altro chi riceve un in-dizio all’interno delle Brigate Rosse noninforma Curcio. Nel libro lei nota chesarebbe bastata una telefonata per direche a Pinerolo c’era una bomba e la zonasi sarebbe riempita delle forze dell’ordine,Curcio avrebbe fiutato la trappola el’avrebbe schivata”.

    Girotto: “Certamente” ».Cosa le risulta in proposito ? Le chiedo

    un commento.Aggiungo ancora qualche altra cosa.

    Nel libro Mara, Renato e io. Storia deifondatori delle BR, Alberto Franceschiniracconta che, quando fu arrestato, glivennero da lei mostrate alcune foto cheraffiguravano gli incontri di Girotto conCurcio, accompagnato dallo stesso Fran-ceschini, e con Moretti. Osserva sul puntoFranceschini: « Era facilmente riconosci-bile anche Mario Moretti e lui – il dottorCaselli – mi chiese: “Conosce questo ?”,indicando con l’indice la sua faccia. Iorisposi che non sapevo chi fosse e Casellimi disse: “Provi a chiedersi perché hannodeciso di arrestarvi quando c’era lei in-sieme a Curcio. Lei non è l’unico che si èincontrato con Girotto. Anche quello dellafoto si è incontrato con lui. Anzi, lei conGirotto non ci ha praticamente mai par-lato. L’ha visto a distanza”. Infatti, quandoRenato incontrò Girotto, prima del nostroarresto, io aspettai in macchina, ma noncapivo cosa volesse dirmi Caselli. Forsevoleva insinuare che Mario era protettodai Carabinieri. La sua frase mi mise adisagio, ma non volevo farmi vedere in

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  • difficoltà, così gli risposi che probabil-mente i Carabinieri avevano arrestato meperché gli stavo più simpatico ».

    Conferma l’episodio ricordato da Fran-ceschini ed era questo il senso della suapreoccupazione ?

    In relazione al sequestro di Aldo Moro,il quotidiano l’Unità, il 19 marzo 1978,pubblica un articolo dal titolo Fotografatii killer dopo la strage, a firma di tal SergioCriscuoli. Nell’articolo si fa esplicito rife-rimento a una pista investigativa, ossia alnoto rullino. Lo dico per i membri dellaCommissione. « Passiamo, dunque, alla se-conda novità: la foto scattata pochi istantidopo la strage. Il rullino è stato impres-sionato da un inquilino di un palazzo chesi affaccia in via Mario Fani, il quale l’haconsegnato ai magistrati. Si è appreso cheè stato fatto un ingrandimento delle di-mensioni di una parete e, in questo modo,si è riusciti a distinguere i particolari. Conun pennarello sono stati cerchiati nume-rosi volti, poi si è cercato di identificarliuno per uno. Oltre ai passanti e ai soc-corritori sono stati notati alcuni volti checorrisponderebbero alle foto segnaletichedi noti presunti brigatisti del Nord. Alleindagini si è affiancato per questo il giu-dice torinese Marciante, che segue l’inchie-sta sull’assassinio del giornalista Casale-gno. Il procuratore è giunto per questo aRoma ».

    È mai venuto a conoscenza di questoepisodio o di connessioni tra il caso Moroe l’omicidio Casalegno ?

    Nell’audizione citata del 10 febbraio2000, Silvano Girotto manifesta sorpresaper la capacità operativa dimostrata dalleBR a via Fani rispetto alla scarsa prepa-razione militare che aveva constatato du-rante il periodo delle sue infiltrazioni.« Manca: “Nel 1974 quale era l’addestra-mento operativo militare delle BrigateRosse ?”.

    Girotto: “Scarsissimo era non soltantol’aspetto militare, minore, ma propriol’impostazione, la gestione di un’organiz-zazione clandestina”.

    Presidente: “A queste domande lei hagià risposto dicendo che la preparazioneprofessionale, quanto alla difesa dall’infil-

    trazione, era scarsa. Quanto alla prepara-zione militare, Moretti disse: ’L’odio diclasse che abbiamo dentro arma le nostrepistole e le fa sparare da sole’, ma Curciodisse: ’Qualche volta, però, ci spariamo suipiedi’. Quindi, il grado di preparazionemilitare delle Brigate Rosse che ha cono-sciuto sembrava scarso e, d’altronde, nonl’ha mai visto in azione, avendoli incon-trati solo tre volte. Quindi, con questaesperienza, non rimase sorpreso dell’effi-cacia militare dell’attacco di via Fani ?”

    Girotto: “Rimasi molto colpito. Nonriconoscevo le Brigate Rosse come le avevoviste io. Le mie, ovviamente, erano soloriflessioni che feci per via Fani e che nonsono presenti nella parte scritta che le hoinviato. Si tratta di riflessioni che nasconodall’esperienza” ».

    A suo giudizio, è plausibile che leBrigate Rosse, senza alcun supportoesterno, abbiano compiuto un simile saltodi qualità nell’arco di poco più di treanni ?

    Do la parola al dottor Caselli.

    GIAN CARLO CASELLI. Grazie, presi-dente, di questa opportunità di interlo-quire con la Commissione. Ovviamente,saluto, insieme al presidente, tutti i com-missari.

    Devo dire subito che mi si chiede unesercizio non soltanto di memoria – anchedi memoria – ma anche di caratterecontenutistico-qualitativo che non mi èmai appartenuto. Mi si chiedono impres-sioni, sensazioni, giudizi e valutazioni. Ilmio mestiere è sempre stato un altro, ossiaragionare sulla base dei fatti, delle provee dei riscontri. È quello il perimetro alquale io mi sono sempre rigorosamenteattenuto. Chiedo scusa se lo anticipo, maanche oggi, nel rispondere a queste do-mande, entro questo perimetro devo ne-cessariamente, per rispetto anche dellaCommissione, rimanere.

    Comincio con la prima domanda,quella che riguarda l’anonimo. Consenti-temi di utilizzare, come si dice quando sidepone davanti a un tribunale – questa èuna Commissione d’inchiesta e, quindi,

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  • anche qui devo chiedere l’autorizzazione –appunti scritti come aiuto alla memoria.

    Io mi sono occupato di terrorismorosso, ossia di Brigate Rosse e di PrimaLinea, banda armata di non minore peri-colosità e capacità di colpire, per diecianni pieni: sostanzialmente, dal 1974 al1982. Ero giudice istruttore a Torino.

    In una prima fase ho lavorato, cometutti i giudici istruttori di allora, comemagistrato monocratico. Poi, dal 1976 inpoi, con l’omicidio Coco e l’assegnazionedella causa del processo da parte dellaCassazione a Torino, il mio capo, il mioconsigliere dirigente, Mario Carassi, decidedi creare un pool di tre magistrati, di cuifaccio parte anch’io, perché un po’ diBrigate Rosse avevo cominciato a capire,con altri due magistrati.

    Si comincia, quindi, a lavorare in pooldal 1976 in poi. Tutti i processi relativi alleBrigate Rosse e a Prima Linea sono affi-dati a un pool di cui ho sempre fatto parteanch’io, insieme ad altri colleghi.

    Quello che delle Brigate Rosse io so, seposso rischiare addirittura il ridicolo ecitare me stesso, l’ho condensato in unlibro, che sicuramente molti di loro cono-sceranno, Terrorismi in Italia, società edi-trice Il Mulino, a cura di Donatella DellaPorta. Proprio con Donatella Della Portaho scritto una breve storia delle BrigateRosse che è sempre stata, da chi si intendedi queste cose, « apprezzata » per la pe-riodizzazione, per la distinzione. Le Bri-gate Rosse durano quindici anni. Non sipuò capire qualcosa delle Brigate Rosse senon si distinguono le varie epoche, i variperiodi, le varie fasi e anche le variegenerazioni.

    L’omicidio Moro, oggetto della Commis-sione, cade nella terza fase, nel terzoperiodo, quello che qui noi abbiamo de-finito « strategia dell’annientamento », nel1977-1978, quando le Brigate Rosse, cheavevano dichiarato guerra al cuore delloStato con il sequestro Sossi e l’omicidioCoco, impegnano ancora di più la loroazione militare e criminale cercando l’an-nientamento dello Stato. Il sequestro Moroha sicuramente anche questi obiettivi.

    I momenti centrali di questa mia atti-vità sul versante Brigate Rosse, trala-sciando Prima Linea, sono il processo aicapi storici – l’inchiesta abbraccia gli anni1974-1975 – e poi il tormentatissimo pro-cesso in Corte d’assise, che si snoda dal1976 al 1977, al 1978, e subisce varieinterruzioni e rinvii.

    Su quel processo le Brigate Rosse, chepartivano dall’assunto che la rivoluzionenon si processa, che la lotta armata non sicondanna e che bisognerà fare di tutto –e di tutto hanno fatto – per impedire ilprocesso, hanno scaricato un volume difuoco semplicemente impressionante. Ilnumero di morti di quel processo è senzauguali rispetto a quello di qualunque altroepisodio della storia delle Brigate Rosse.

    Il secondo momento è la confessione diPatrizio Peci, che prima opera come con-fidente dei Carabinieri, a termini di legge,a termini di Codice di procedura penale. Icolloqui del generale Dalla Chiesa e deisuoi ufficiali delegati con Peci sono auto-rizzati dal sottoscritto, d’accordo con isuoi colleghi dell’Ufficio istruzione.

    Nell’allora Ufficio istruzione il giudiceistruttore poteva fare questo e di più. Oggiil giudice istruttore non esiste più, losapete, ma all’epoca il giudice istruttoreera il dominus del processo da tutti i puntidi vista, compresa l’autorizzazione o menodi colloqui con Tizio e Caio in carcere.

    Peci decide poi di collaborare formal-mente con la magistratura il 1o aprile1980. Non è un pesce d’aprile, ma è unadata molto importante, perché è l’iniziodella fine delle Brigate Rosse, del lorocrollo verticale e, di conseguenza, anche diPrima Linea.

    Peci parla di un « piellino » che volevaessere reclutato dalle Brigate Rosse. Si sco-pre poi che è Roberto Sandalo, il quale diPrima Linea sa di tutto e di più e, conse-guentemente, un altro filone dell’indagineporta alla fine anche di Prima Linea.

    Il processo ai capi storici si intrecciacon il caso Moro nella terza tornata,celebrata davanti alla Corte d’assise diTorino con presidente Guido Barbaro,quando finalmente il processo si conclude,nel 1980.

    Atti Parlamentari — 9 — Camera Deputati – Senato Repubblica

    XVII LEGISLATURA — DISCUSSIONI — COMM. ALDO MORO — SEDUTA DEL 6 MAGGIO 2015

  • In questa tornata il primo giorno del-l’udienza le BR uccidono il marescialloBerardi, che aveva lavorato con il nucleospeciale del questore Santillo. L’ultimogiorno d’udienza, quando stanno per en-trare in camera di consiglio i magistratidella Corte d’assise, a Genova uccidono ilcommissario Esposito, un altro uomo, que-sta volta strettissimo collaboratore – unodei più intelligenti collaboratori – delquestore Santillo.

    Durante il sequestro c’è l’agguato al-l’agente di custodia Cutugno, che reagiscesparando. Cutugno viene ucciso e Pian-cone, un militante BR, viene catturato. Isuoi compagni lo caricano in macchina elo scaricano davanti a un ospedale.

    Viene « gambizzato » – orribile neolo-gismo che ormai, per fortuna, si sta di-menticando – l’ex sindaco di Torino,Picco. C’è un attentato anche contro unuomo della DIGOS di nome Demartini. Cisono altri attentati minori, probabilmentesollecitati dalle Brigate Rosse, con gruppidi altra denominazione.

    Nel bel mezzo di questa tornata delprocesso, che è quella che si concluderàcon le condanne, nel totale rispetto delleregole e persino – fu un colpo di genio delpresidente della Corte d’assise – nel ri-spetto dell’identità politica dei terroristi,cui fu consentito di controinterrogareSossi, per esempio.

    Questo fu, ripeto, un colpo di genio.Quando io lessi sul giornale che il giornodopo sarebbe stato consentito di controin-terrogare Sossi, feci un salto sulla sedia,dicendo « Stiamo diventando matti ». In-vece fu, ripeto, un colpo di genio, perchéin quel modo, oltre al rispetto delle regoleprocessuali, fu fatto toccare con manoaddirittura il rispetto dell’identità politicadei brigatisti. Il loro assunto, ossia che larivoluzione non si processa e la lottaarmata non si condanna, salvo che loStato getti via la sua maschera falsamentedemocratica, rivelando il suo volto auten-ticamente fascista, autenticamente reazio-nario, autenticamente repressivo, questoassunto, partendo dal quale, credendoci,essi uccidevano, crolla e le cose per leBrigate Rosse cambiano.

    Nel bel mezzo di quel processo piombail sequestro Moro. Sicuramente loro ricor-dano, loro sanno, anche per il lavoro chestanno svolgendo, che la prima rivendica-zione del sequestro avviene nell’aula dellaCorte d’assise di Torino, forse dallo stessoCurcio, dalla gabbia di quella Corte d’as-sise.

    In uno dei volantini che cadenzano ilsequestro Moro c’è la richiesta di libera-zione – questo è il loro linguaggio – dialcuni prigionieri politici – questo è sem-pre il loro linguaggio – e, se non ricordomale, uno o forse anche due degli imputatidi Torino rientravano nell’elenco.

    C’è poi un intreccio che riguarda learmi usate. Io mi sono occupato in pooldell’omicidio Coco (assassinato insieme al-l’agente Saponara e all’appuntato Deiana,l’8 giugno 1976, a Genova). La Cassazionemanda gli atti a noi. Viene usato unKalashnikov, che è, se non sbaglio – laseconda perizia, quella sul caso Moro, nonl’ho fatta io, non l’ha fatta il nostro ufficio– lo stesso che sarà poi usato per Moro.C’è questa identità di arma (Kalashnikov)adoperata per gli uni e per gli altri.

    C’è poi un intreccio tra il caso Sossi eil caso Moro, che ho scoperto – franca-mente, non ne sapevo nulla – quando miè stato chiesto di scrivere una prefazione,che ho scritto, a un libro edito da Rizzoli:Annachiara Valle Parole, opere e omissioni.La Chiesa nell’Italia degli anni di piombo.Vi si parla delle trattative all’epoca delsequestro Moro.

    Sono questioni sulle quali state lavo-rando voi, non è che debba esporre nulladi nuovo, penso. Invece, io scopro unacosa, per quanto riguarda il sequestroSossi, nuova per me, cioè che c’era statoun signore, che nel libro è indicato pernome e cognome, Corrado Corghi, cheaveva incontrato due volte Franceschini ealtri brigatisti. La cosa che maggiormentemi colpisce, leggendo quelle pagine, è chequesto intermediario di qualcuno con leBrigate Rosse – il titolo del libro fapresumere chi potesse essere, la mogliedi... Non la voglio fare troppo lunga, però,e soprattutto non voglio divagare, altri-menti poi non mi potete più seguire.

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  • Corrado Corghi dice, tra le altre cose,che la Corte d’assise di Genova libererà idetenuti della « 22 ottobre », cosa che poipuntualmente si avvererà. Come sicura-mente tutti voi conoscete, quell’ordinanzadi scarcerazione dei detenuti della « 22ottobre », di cui le Brigate Rosse in cambiodi Sossi avevano chiesto la liberazione,non viene eseguita dal Procuratore gene-rale Coco perché, anche se l’appiglio for-male era diverso, egli ritiene questa ordi-nanza emessa sotto costrizione, sotto unaspecie di ricatto, e quindi nulla.

    Le Brigate Rosse gliela faranno pagaredue anni dopo, nel 1976. Il sequestro Sossiè del 1974, l’omicidio Coco del 1976.L’omicidio Coco è sicuramente una rap-presaglia delle Brigate Rosse nei confrontidi Coco perché non aveva eseguito l’ordi-nanza.

    Il mio interrogativo, al quale però nonso dare una risposta, è il seguente: se nonè mai stato detto nulla di quelle trattative,se non è mai stato detto nulla dell’antici-pazione che alle Brigate Rosse sarebbestata fatta della liberazione da parte dellaCorte d’assise dei detenuti della « 22 ot-tobre »... Questa è una questione su cuiinterrogarsi. Se Coco non ne sapeva nullae non gli era mai stato detto nulla, a parteche Coco avrebbe fatto esattamente lastessa identica cosa, perché era un magi-strato tutto d’un pezzo e addirittura dipiù... C’era la magistratura che si occu-pava di queste cose. Il processo vennetrasferito a Torino dopo la liberazione diSossi, non prima. A me è sempre sembratauna cosa un po’ singolare che i magistratidi Genova, o dopo di Torino, perlomeno aquanto mi risulta, non sapessero nullamentre qualcuno parlava con esponentiautorevolissimi delle Brigate Rosse di que-sto sequestro e – poi non se n’è fatto nulla– dell’asilo politico, che non era tale e chei prigionieri liberati avrebbero dovutoavere a Cuba o in qualche altro Paese, nonso più quale, magari con l’intermediazionedi questo o di quello.

    L’intreccio Sossi-Moro, che sono duefacce della stessa medaglia che si contrap-pongono, che fanno a pugni, io lo vedonella gestione dei sequestri. Le Brigate

    Rosse hanno sempre sicuramente avutocome obiettivo delle loro azioni criminaliquello di spaccare il fronte che essi defi-nivano nemico, il fronte avversario, ilfronte istituzionale, il fronte che a loro siopponeva.

    Quando hanno sequestrato Ettore Ame-rio, un dirigente FIAT, il primo episodioriguardante le Brigate Rosse di cui misono occupato a Torino, hanno chiesto lafine della cassa integrazione. Ci sono statiurla e strepiti da una parte e dall’altra (sideve fare, non si deve fare). Il frontecontrapposto alle Brigate Rosse era spac-cato.

    Quando sequestrano Sossi, utilizzandoalcune cose che Sossi dice nei suoi « ver-bali », ossia negli interrogatori da parte del« tribunale del popolo », denunziano untraffico di armi che, secondo loro – credoche mai nulla di concreto e di effettiva-mente accaduto sia stato provato –avrebbe fatto capo addirittura alla que-stura di Genova, con la connivenza diquesto o di quello. Così però riescono acreare uno sconquasso terrificante, e an-cor più lo creano quando chiedono eottengono la liberazione dei prigionieripolitici della « 22 ottobre », questa libera-zione viene concessa dalla Corte d’assise epoi non eseguita dal procuratore. Il loroscopo è comunque ottenuto: hanno spac-cato, hanno creato delle tremende divari-cazioni.

    Io credo che lo scopo fosse questoanche per quanto riguarda il caso Moro,prima con la strage degli uomini che loscortavano e poi con la lunga prigionia diMoro e, alla fine, con la sua esecuzione –posso dire – di stampo nazista. Io cosìvedo alcune esecuzioni delle Brigate Rosse,al di là della coloritura politica che ave-vano.

    Devo smetterla con le divagazioni. Quidico cose che nascono esclusivamentedalle letture che ho fatto su questi argo-menti, cioè le lettere di Moro e il memo-riale di Moro, anche se, da buon torinese,le mie letture sono qualificate. Non vogliocitare un componente della Commissioneinimicandomi magari tutti gli altri, ma ioGotor l’avevo letto ben prima di questa

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  • Commissione e ben prima che diventassenoto alle cronache e alla pubblicistica.

    Nel memoriale di Moro ci sono coseche, brutte o sbagliate... Per me Moro èstato anche in prigionia un grandissimouomo, un uomo libero nonostante la pri-gionia, un uomo che ha saputo governarese stesso e che cercava di governare anchei brigatisti, tentando, nei limiti del possi-bile, di orientare anche il discorso al-l’esterno con i familiari e con altri cheeventualmente potessero essere o fosserostati raggiunti dai brigatisti. Moro avevauna lucidità e un’intelligenza politica cheha dimostrato mille volte nella sua vita eche in quella circostanza ha dimostratoforse più che in tutte le altre occasioni,perché era particolarmente difficile, senon impossibile, mantenere i nervi a postononostante la pressione emotiva straordi-naria e terribile che quella prigionia eser-citava.

    Io ho scritto una volta, e lo ripetoadesso perché può servire forse anche allaCommissione, che di Sossi nell’inchiestasui capi storici delle Brigate Rosse siscopre il luogo di prigionia. È una villettadalle parti di Alessandria, a Serrazzano.Quando con i carabinieri si entra in quellavilletta, è completamente spoglia ma in unsottoscala si trovano ancora delle tavolenumerate di quel materiale che sembracompensato, ma che compensato non è. Icarabinieri ci mettono cinque minuti asistemare le tavole seguendo la numera-zione. Quella è la cella di Sossi. Io l’hoscritto tante volte. Prima Caccia, che eracon me come pubblico ministero ed era ilmio maestro investigativo-giudiziario, e poiio ci siamo fatti chiudere dentro quellacella. Potete credere che io sono stato inquella cella due minuti. Non ho gridato« tiratemi fuori » perché avevo un minimodi rispetto di me e non volevo fare unasimile figura con i carabinieri, ma avevouna gran voglia di farlo, perché la costri-zione anche fisica – figuriamoci quellapsicologica – stando chiuso in un cubo chea me sembrava di mezzo metro per mezzometro, anche se sicuramente era piùgrosso, è davvero eccezionale, straordina-ria e difficilissima da reggere.

    Nel memoriale, nonostante o proprioper questa lucidità, per questa gestionestraordinariamente lucida e intelligenteche Moro cercava di attuare, sono scrittecose che io mi sono sempre stupito, e mistupisco ancora adesso nel constatarlo, chele Brigate Rosse non abbiano mai utiliz-zato per quei fini di rottura, di spaccatura,di smembramento, di lacerazione delfronte avversario, che è il fine loro tipico.

    Io del caso Moro non mi sono maidirettamente occupato, se non come let-tore di giornali, di libri e nei colloquifrequentissimi che avevamo per scambiodi informazioni con i colleghi romani: noidicevamo loro quello che veniva fuoridall’inchiesta Peci e loro ci raccontavanoalcune cose di quello che veniva fuoridalla loro inchiesta, ma quello che potevaservire soprattutto riguardo alla colonnadi Torino, nella misura in cui ciò cheavevano appreso poteva integrare le cono-scenze che Peci ci stava fornendo. Misembra però di ricordare (ne sono prati-camente certo) che, se non nel primo, inuno dei primissimi volantini di rivendica-zione, le Brigate Rosse scrivono sostan-zialmente: « Al proletariato, al popolonulla sarà nascosto. Tutto ciò che Moro cirivelerà nel corso del processo lo diffon-deremo ».

    PRESIDENTE. Poi non è stato fatto.Dissero che erano tutte cose banali, cheavrebbero fatto la controinformazione.

    GIAN CARLO CASELLI. Se per loroquelle che si leggono nel memoriale sonocose banali, allora sono terroristi diversida quelli che sono sempre stati descritti eimmaginati.

    Io credo che Moretti, nella sua inter-vista a Rossanda e Mosca, che è una sortadi biografia, sia stato interpellato anche suquesto punto e risponda: « Non avevamocapito ». Se non si capiscono le cose chesono scritte lì – faccio un nome soltanto,perché loro sanno che io mi sono occupatoanche processualmente, come procuratoredi Palermo, di questo caso: Andreotti –allora è meglio cambiare mestiere. Sa-rebbe stato meglio per tutti se questi

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  • terroristi avessero cambiato mestiereprima di spargere tanto sangue in Italia.Non sapevano ancora quello che dal pro-cesso di Palermo sarebbe venuto fuori.

    Apro una brevissima parentesi. Chec-ché se ne dica, se ne pensi e gran parte deimedia abbia cercato di contrabbandare –uso questa parola e me ne assumo tutta laresponsabilità – il senatore Andreotti, al-l’esito del processo di Palermo, con sen-tenza di Cassazione, che conferma la sen-tenza della Corte d’appello di Palermo, èstato dichiarato penalmente responsabileper aver commesso (nel dispositivo c’èproprio l’espressione « reato commesso »)il reato di associazione a delinquere conCosa Nostra fino al 1980; reato commesso,ma prescritto. Non scatta, quindi, la con-danna, ma il reato è commesso. Non cisono dubbi: la responsabilità penale delsenatore Andreotti, stando agli atti pro-cessuali e a queste sentenze, è assoluta-mente fuori discussione.

    Non si sapeva ancora, evidentemente,ma del senatore Andreotti sono scrittecose che, giuste o sbagliate, credibili o noncredibili, verificate o non verificate, ri-scontrate o non riscontrate, sono, nell’ot-tica delle Brigate Rosse, cose che nonpossono e non si dovrebbero tenere per sé.Invece, così è avvenuto.

    Questa è la differenza, ripeto, rispettoal sequestro Sossi. Con riferimento alsequestro Sossi, tutto è stato divulgato,tutto è stato disvelato, vero o sbagliato chefosse. Sembra che fosse tutto sbagliato,che questo traffico d’armi non ci fosse, chesi trattasse di calunnie. Erano voci checircolavano, che erano arrivate anche aSossi. Nel sequestro Moro, invece, nulla èstato disvelato.

    Quando si pente, Peci fa qualche ac-cenno, molto sommario, al caso Moro, allastrage della scorta e al sequestro. Nonappena c’è questo accenno, noi prendiamo,come nostro dovere, gli atti e li trasfe-riamo a Roma, che è territorialmentecompetente. Tanto più che Peci, se ricordobene, parlava soprattutto di quelle che sichiamano responsabilità morali, anche sequi la parola « morale » è totalmente fuoriluogo, è una parola soltanto tecnica.

    Peci aveva ricostruito la composizionedel comitato esecutivo e della direzionestrategica dei vari fronti e, quindi, c’erasicuramente, o perlomeno si riteneva checi fosse (così diranno molte sentenze), unaresponsabilità decisionale di tutti i verticidelle Brigate Rosse per quanto riguarda leoperazioni di particolare rilievo, comequella riguardante Moro.

    Quindi, vi era la necessità di informarein toto la Procura di Roma o, meglioancora, l’Ufficio istruzione di Roma. Noieravamo collegati con il consigliere Gal-lucci, che allora dirigeva l’Ufficio istru-zione. Poi, naturalmente, c’erano frequentirapporti anche con Sica, Imposimato ePriore.

    Ricordo, sempre che i miei ricordisiano esatti, che Peci ebbe a indicareanche il capo colonna. Voi sapete che laripartizione territoriale delle Brigate Rosseavveniva per colonne. Ogni città aveva lapropria. Il capo colonna di Torino primadi Peci, che fu arrestato ben prima di Peci,era un certo Fiore che, se non ricordomale, avrebbe fatto parte del commando.

    Sul memoriale di Moro non ho nienteda dire, perché, ripeto, sono tutte cose derelato, apprese indirettamente, leggendo ecercando di informarmi. In realtà c’è statauna brevissima occasione nella mia vita incui me ne sono occupato direttamente. Èstato quando la Commissione presiedutadal senatore Gualtieri e poi dal senatorePellegrino ha nominato il collega Ghe-rardo Colombo e il sottoscritto – all’epocanon avevamo altri impegni, eravamo inuna fase di stand-by – consulenti esterniad hoc di quella Commissione, proprio peresaminare alcune lettere di Moro.

    Noi l’abbiamo fatto come meglio ciriusciva ed è in quella occasione, in quellacircostanza, che io ho maturato quellaconvinzione riguardo alle qualità eccezio-nali di Moro di cui ho parlato in prece-denza. Leggendo le sue lettere, mi sem-brava di respirare la sua forza, il suocoraggio, la sua intelligenza politica, no-nostante le grandi difficoltà che in quelmomento sicuramente lo angosciavano.

    Tralascio altre cose e vengo subito aPinerolo. Su Pinerolo mi ero « preparato »,

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  • immaginando una domanda al riguardo,insieme a quella relativa al libro Mara,Renato e io di Franceschini. Sono le uni-che due su cui mi ero preparato, sullealtre confesso di no.

    Dopo il sequestro Sossi oso dire chefinalmente lo Stato italiano si attrezza, nelsenso che, invece di trattare le impresecriminali delle Brigate Rosse come cose« qualunque », si cerca di specializzarsi percapirne di più, per raffinare sempre di piùla propria sensibilità, per sapere quantepiù cose possibili e, quindi, per cercare dipenetrare più in profondo nella realtà diquella organizzazione e delle organizza-zioni simili che operavano sul versante delterrorismo rosso.

    È proprio dopo il sequestro Sossi che iCarabinieri creano il Nucleo specialepresso la Corte d’appello di Torino. LaCassazione assegna il processo Sossi aTorino e, poco dopo, la Polizia di Statocrea un analogo Nucleo speciale, affidan-dolo a un grandissimo poliziotto, che erail questore Santillo. Questi due Nucleimettono in campo le carte vincenti, sem-pre. L’esperienza ci insegna. Si può esserepiù o meno fortunati o più o meno abili,i risultati possono venire anche a secondadi queste variabili, ma le carte vincenti chedanno speranza di venire a capo delcrimine organizzato, che si tratti di ter-rorismo o di mafia, sono due: specializ-zazione e centralizzazione. Occorrono uo-mini, che si tratti di poliziotti, magistratio carabinieri, che facciano solo questo, inmodo da capirne sempre di più. Quantoalla centralizzazione, occorre che tutti idati siano fatti confluire in un unicomotore di raccolta, in modo da non per-dere nessuna ipotesi di conoscenza, diintervento, di approfondimento.

    I Nuclei speciali di Dalla Chiesa eSantillo mettono in campo quotidiana-mente questi parametri. Sono « speciali »nel senso di specializzati, di specialistici almassimo possibile per quei tempi, in cuinon esistevano ancora i personal computere altre tecnologie avanzate. Si scrivevatutto a mano e si facevano le schede amano.

    I risultati arrivano, anche perché ilgenerale Dalla Chiesa... Io sono un suoammiratore, perché ho lavorato con lui ecoi suoi uomini per molti anni, fianco afianco, gomito a gomito, superando diffi-coltà anche non da poco. Poi l’ho moltoapprezzato quando è andato a lavorare aPalermo, come superprefetto antimafia.Non ho il tempo per raccontarvi la storiadei rapporti tra il generale Dalla Chiesa eil sottoscritto. È una storia molto lunga,che parte forse in un certo modo, poi sisviluppa progressivamente e alla fine siconclude con reciproca, assoluta e incon-dizionata stima, con tutte le conseguenzeche ne possono derivare.

    Il generale Dalla Chiesa – lo dico conrispetto, addirittura con affetto; ho fattoquella premessa proprio perché mi sicapisca – ha un grande merito, che èquello di non obbedire (udite udite) al-l’Arma. Lo statuto, cioè l’atto istitutivo, delNucleo speciale antiterrorismo era – sin-tetizzo – individuare, trovare, catturare esottoporre ai necessari accertamenti giu-diziari gli autori del sequestro Sossi. Eracircoscritto al sequestro Sossi.

    Il merito di Dalla Chiesa è disobbedire.Egli non cerca prima di tutto gli autori delsequestro Sossi. Prima di tutto cerca leBrigate Rosse. È la prima volta che sicerca di capire, e i carabinieri di DallaChiesa ci riescono, e con loro gli uomini diSantillo e di conseguenza noi. Se non cifosse il continuo gettito delle acquisizionidi polizia giudiziaria, la magistratura(pubblico ministero e giudice istruttore) dasola potrebbe fare ben poco, per non direnulla.

    Dalla Chiesa cerca e trova le BrigateRosse, come organizzazione, come strut-tura organizzativa, come sistemi di reclu-tamento, di proselitismo, di propaganda –anche se armata, naturalmente, era pro-paganda – di finanziamento, di addestra-mento e via seguitando. Realizza schedearticolate per ciascuno di coloro che oerano già stati individuati tempo prima,con un’inchiesta di Milano, o erano co-munque sospettati di poter essere, o diessere stati effettivamente, appartenentialle BR, o di poterlo essere diventati nel

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  • frattempo, o di essere a rischio di diven-tarlo. Sono schede molto articolate emolto precise.

    Da un lato, usava la tecnica di indivi-duazione dei covi, uno dopo l’altro, perchési scopre come se li procacciavano. Se liprocacciavano comprandoli regolarmente– si fa per dire – da un notaio. Ilbrigatista di turno, brigatista regolare...Loro sanno che i regolari sono i clande-stini a tempo pieno e gli irregolari sonoquelli che non erano affatto clandestini.Avevano il loro lavoro, ma facevano ibrigatisti fuori dell’orario di lavoro nor-male, facendo però cose importanti per leBrigate Rosse. Peci comincia come mili-tante irregolare e, quando decide di pen-tirsi, racconta prima di tutto la sua espe-rienza milanese di militante irregolare.Anche lì è un fiume di rivelazioni impor-tanti.

    Qui la parentesi la voglio aprire perchépuò essere interessante anche per cono-scere, visto che questo mi avete chiesto trale righe, e non soltanto tra le righe.Regolari e irregolari – i regolari sonoclandestini; gli irregolari, invece, svolgonouna normale attività – hanno un nome dibattaglia, conosciuto soltanto all’internodelle Brigate Rosse. Peci racconta tuttoquel che sa, ed è davvero tutto, ed èimportantissimo, decisivo e definitivo,della colonna di Torino, che ha comandatocome militante regolare. Militante regolarediventa, però, soltanto quando arriva aTorino. Prima era transitato a Milano e lì,come irregolare, aveva conosciuto soltantoaltri irregolari e qualche regolare, perchéc’era la compartimentazione.

    Quando noi sviluppiamo, sul piano giu-diziario, le dichiarazioni di Peci, questaparte milanese tocca svilupparla a me e aun collega bravissimo, giudice istruttoreanch’egli, che si chiamava Mario Griffey.Andiamo a Milano e convochiamo, a piederigorosamente libero, perché avevamo ap-pena cominciato e non avevamo elementisufficienti per fare niente più di unaconvocazione, un’informazione di garan-zia, se si chiamava già così, e poi uninterrogatorio, tutti quei militanti irrego-lari, che erano i brigatisti della porta

    accanto, chi professore, chi operaio, chiimpiegato, chi infermiere, persone « nor-malissime ».

    Ciascuna si presentava col suo avvocatodi fiducia, avvocati che erano di solitoappartenenti anch’essi culturalmente emagari anche politicamente a una deter-minata area – culturalmente e politica-mente: nient’altro – e devo dire (sarà peri rapporti non sempre facili tra Milano eTorino, che adesso sono un po’ più distesi,ma all’epoca c’era molta rivalità) questiavvocati, e con gli avvocati anche gli im-putati, non nascondono niente di ciò chepensano: « Guarda un po’ questi signori »– forse pensavano qualcosa di diverso –« che vengono qui a farci perdere tempoprezioso e a spendere malamente i soldidello Stato per chiederci se Tizio, Caio,Nevio o Sempronio, mio cliente, che ioconosco personalmente, e che è una per-sona per la quale metterei la mano sulfuoco, sia brigatista ».

    Le prime fasi degli interrogatori eranoproprio così: « Che cosa volete da noi ?Perché ci fate perdere tempo ? Ci pos-siamo salutare e andare ? », finché, fa-cendo il nostro mestiere, noi contestavamouna determinata circostanza: « Scusi, si-gnor Mario Rossi le risulta che qualcunola chiami Riccardo ? » Riccardo era ilnome di battaglia, conosciuto soltanto al-l’interno delle Brigate Rosse. In quel mo-mento capivano e non avevano più dubbiche noi fossimo « dentro » l’organizza-zione, perché il nome di battaglia potevaconoscerlo soltanto qualcuno interno al-l’organizzazione che aveva parlato.

    Lo capivano, se ne rendevano conto, e,poiché avevano pochissimo da perdere –perché i militanti irregolari rispondevanodi associazione e basta e di qualche fat-terello minore assolutamente non grave-mente punito – hanno confessato, parlato,riscontrato in maniera formidabile Peciuno per uno.

    Apro una parentesi sull’importanza deicollaboratori di giustizia, sia per la mafia,sia per le Brigate Rosse. Se non ci fosseroi collaboratori di giustizia, non conosce-remmo i segreti di quelle organizzazionicriminali e, senza conoscere i segreti, vuoi

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  • delle Brigate Rosse, vuoi di mafia, non sientra dentro l’organizzazione, si gira in-torno. Si scalfisce qualcosa in superficie,ma sostanzialmente quelle organizzazioninon vengono avvicinate come serve perpoterle, se tutto funziona bene, disartico-lare.

    Stavo dicendo di Pinerolo. Il Nucleo diDalla Chiesa non soltanto lavora sco-prendo il segreto dell’approvvigionamentodi alloggi, che era l’acquisto con regolarerogito notarile, documento abilissima-mente falsificato con modulo autenticorubato in questo o quell’altro ufficio co-munale di paesini lontani, ma utilizzaanche il metodo tradizionale dell’infiltrato.È la storia di quello che non so sechiamare Frate Mitra o Silvano Girotto.Lo chiamo Silvano Girotto, ma era meglionoto, almeno per chi navigava nell’entou-rage in cui Girotto si inserì, come FrateMitra. Aveva avuto una lunga storia, checonoscerete. La storia di Girotto sicura-mente è conosciuta.

    Girotto si infiltra. Non lo accolgonosubito. Incontra un po’ di gente nella zonadi Borgomanero, dove aveva operato comefrate, prima di andare a fare il guerriglieroin America meridionale. Frate Mitra nasceda qui. Nella zona di Borgomanero avevaancora molti personaggi che lo avevanostimato, ammirato, conosciuto. A questi sirivolge Girotto. Uno di questi è Levati, dicui voi avete già parlato facendo la do-manda. Levati lo mette in contatto conaltre persone ben più autorevoli di lui.Levati era un medico. Era il tipico mili-tante irregolare, irregolarissimo. Non eraregolare, di sicuro. La persona più signi-ficativa e importante – parlo, natural-mente, nell’ambito delle Brigate Rosse –che incontra, è un avvocato, Giovambat-tista Lazagna, una persona meritevole.

    Lazagna era decorato di medaglia d’ar-gento della Resistenza, partigiano vero,autentico. Ha scritto un bellissimo libro,Ponte Rotto, che racconta la lotta parti-giana molto bene da parte di chi l’ha fattae non l’ha soltanto sentita raccontare daqualcuno. Poi si è avvicinato a Feltrinelli,si è avvicinato a quegli ambienti. Dicosubito che fu poi sottoposto a processo e

    condannato in primo grado, in appello e inCassazione. Qui interessa ricordare cheLazagna è colui che, secondo l’accusa chenoi sostenevamo – che sarà poi confer-mata nei tre gradi di giudizio – ha fattouna specie di esame del sangue, una speciedi esame di affidabilità a Girotto, eviden-temente superato da Girotto perché poi hacontatti con uno o due in montagna e poiil terzo contatto a Pinerolo.

    Gli uomini del Nucleo di Dalla Chiesa– lo chiamo Nucleo di Dalla Chiesa, per-ché, anche se formalmente il comandanteera il colonnello Franciosa, di fatto, èinutile negarlo, il comandante era il ge-nerale Dalla Chiesa – con il colonnelloFranciosa si trovano di fronte a un di-lemma. L’appuntamento di Pinerolo serveper fare entrare Girotto in clandestinità,per farne un militante regolare, perchépotesse addestrare. Ecco perché Girottodirà, in risposta a una delle domande:« Non erano granché preparati ». Difattivolevano lui come istruttore.

    Il dilemma è: consentiamo che Girottoentri come clandestino, come militanteregolare, nelle Brigate Rosse e che, quindi,sicuramente, prima o poi – più prima chepoi – uccida ? Oppure no, perché nonpossiamo consentire lo sviluppo di un’ope-razione che può portare, e sicuramenteporterebbe, a commettere dei reati ?

    Decidono che debba assolutamente pre-valere – non c’è scampo – il profiloistituzionale, ragion per cui decidono diintervenire e di arrestare Curcio e Fran-ceschini, che vengono catturati l’8 settem-bre.

    Girotto, però, che è un temerario, unospregiudicato e ha conosciuto bene Levatie, quindi, se lo può permettere, cercaancora Levati, il quale accetta ancora diessere incontrato. Levati non sospetta chesia stato Girotto a far arrestare Curcio eFranceschini. Anzi, Levati racconta unaserie di cose a Girotto, che sono quelle cheformano oggetto della domanda, ossia lafamosa telefonata in cui si dice: « Dome-nica sarà arrestato Curcio ».

    Levati non incontrerà mai più Girotto,perché, subito dopo quegli incontri, me-ramente successivi all’arresto di Curcio e

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    XVII LEGISLATURA — DISCUSSIONI — COMM. ALDO MORO — SEDUTA DEL 6 MAGGIO 2015

  • Franceschini, le Brigate Rosse diramanoun volantino in cui rivelano il ruolo che haavuto Girotto in questa vicenda. È ilvolantino comunemente noto come: « Sottola toga del frate si nasconde il serpente »,o un concetto del genere, che usano leBrigate Rosse.

    Finalmente ci siamo. Quella telefonatache era e – per quanto mi riguarda –rimane tuttora un mistero, chi l’abbiafatta io non lo so. Credo che nessunol’abbia mai potuto accertare, anche sequalcuno immagino ci abbia provato atutti i livelli. Anche a livello giudiziario ciabbiamo provato. C’è un fascicolo controignoti, naturalmente, sul quale si è lavo-rato.

    Caccia ed io sapevamo che ci sarebbestata un’operazione importante, ma nonsapevamo né dove, né quando: domenica ePinerolo per noi erano dati assolutamentesconosciuti, prima; saranno noti dopo.

    Chi fa la telefonata sa più di quantonon sapessero in quel momento i duetitolari dell’inchiesta, che con i Carabinierilavoravano davvero gomito a gomito,fianco a fianco, ventiquattr’ore su venti-quattro, quando era necessario, insieme.

    Levati dice anche a Girotto che hacercato di fare in modo che Curcio venisseavvertito. Il suo obiettivo era avvertireCurcio, ma non ci è riuscito. Ha ancheavuto modo di contattare Moretti, il quale,però, non ha potuto avvertire Curcio eFranceschini.

    PAOLO CORSINI. Non ha potuto o nonha voluto ?

    GIAN CARLO CASELLI. Secondo me –lo dico col massimo rispetto di questomondo; vi prego di crederlo, nonostante lamia fretta di essere conciso – porci questadomanda è molto ingenuo, per non direpeggio. È positivo che Moretti sia stato av-vertito. Se Moretti lo avesse potuto fare enon l’avesse fatto, lo avrebbero scannato ilgiorno dopo, o l’avrebbero scannato in car-cere quando è stato arrestato anche lui.Non ci piove. Non esiste alternativa. Vienefuori, pubblicato anche da tutti i giornali,che tu sai – è provato, riprovato, riscon-

    trato – e non hai avvertito nessuno: allorasei come minimo un delinquente e un fara-butto e io ti ammazzo; io, Brigate Rosse, tela faccio pagare.

    Non è avvenuto nulla di tutto questo,per fortuna del signor Moretti e anche perfortuna del rispetto delle leggi dello Stato,perché non tocca alle Brigate Rosse farsigiustizia da sé, ma sarebbe avvenuto.

    C’è anche una leggenda metropolitana,una favola, ossia che Moretti fosse addi-rittura a Pinerolo e che fosse sfuggitoall’arresto. Scherziamo ? Questo non puòesistere. È assurdo e impensabile, in primoluogo perché a Pinerolo ci sono già duecapi del livello di Curcio e Franceschini.Se ci fosse stato anche un terzo capo,sarebbe stata follia pura, dal punto di vistadell’organizzazione brigatista. Sarebbestato impensabile In secondo luogo, perché– l’avrei detto comunque da solo – c’èl’avvertimento che Levati trasmette a Mo-retti. Rispondevo soltanto alla secondaparte della domanda che mi sono fatto dasolo. Se Moretti fosse stato davvero aPinerolo e poi fosse venuto fuori che luisapeva, non solo lo avrebbero scannato,ma lo avrebbero pelato vivo. Non esiste.

    Allo stesso modo, se avesse avuto mododi avvertire, un « processo », secondo me –di questo non ho certezze e non dovreidirlo, perché non ho un riscontro e nonme sono mai occupato – sarebbe statoprobabile e verosimile. Lo facevano sem-pre, come facevano un’inchiesta sul sotto-scritto per vedere di ammazzarlo. Poimagari intitolavano « Casella postale » que-sta inchiesta, lo riferisco tanto per aprireuna parentesi leggera, banale, persino fri-vola e ridicola.

    Interrogando Peci, tra le altre cose, unavolta, nell’intervallo, gli dissi: « Scusi, maio ho un buon concetto di me medesimo.Non mi aspettavo che intitolaste il dossierche mi riguardava – che loro chiamavano« inchiesta » e in cui erano monitorati tuttii movimenti miei e della scorta, evidente-mente in vista di qualcosa di poco piace-vole – Number One, Zorro, Nembo Kid oqualcosa del genere, ma neanche mi aspet-tavo che la intitolaste proprio soltanto“Casella postale” ».

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  • Peci mi guarda e mi fa: « Non è ungioco di enigmistica, con cambio di vocaletra Caselli e Casella. Si ricordi, dottore,che chi ha fatto l’inchiesta su di lei è – equi ne dice nome e cognome – che dimestiere faceva il postino ». A questopunto chiamare l’inchiesta del postino« Casella postale » era logico.

    Facevano le inchieste e avevano fior didossier su tutto e su tutti. Figuriamoci senon hanno cercato di sapere come sonoandate le cose quando qualcuno avvisaMoretti e l’avvertimento non arriva a Cur-cio. Moretti avrà dovuto dare – penso, èverosimile e logico; poi magari non èavvenuto niente di tutto questo, per carità– delle spiegazioni precise, altrimenti loavrebbero scannato. Sono le Brigate Rosse,non le Dame di San Vincenzo.

    In carcere, le Brigate Rosse, ma forsesoprattutto Prima Linea – diamo a cia-scuno il suo – hanno ammazzato fior dicompagni di militanza semplicemente per-ché c’era il sospetto che potessero comin-ciare a collaborare. Li hanno scannati amani nude, nel cortile, durante l’ora dipasseggio. Non si scherza con queste cose.

    Chi ha fatto circolare la storia cheMoretti fosse a Pinerolo e che i Carabinierihanno arrestato soltanto gli altri due – ilche non è possibile, non esiste – io non sochi sia. Sicuramente, però, fra coloro chemettono in giro questa voce ci possonoessere anche, se non proprio dei brigatisti,dei nostalgici, degli irriducibili della lottaarmata, perché questa è una manieracome un’altra per ripetere ancora unavolta che la lotta armata è invincibile, nonsi processa.

    Vedere a tutti costi un traditore, vederea tutti i costi qualcuno che ha tradito icapi, come erano Curcio e Franceschini inquel periodo, è un po’ come dire: « Perfregarci, per fregare la lotta armata, perarrestare la rivoluzione ci vogliono com-portamenti di questo tipo, altrimenti nonce la farete mai ». Non è così.

    PRESIDENTE. Che idea si è fatto di chiha dato la notizia di cose che neanche imagistrati sapevano.

    GIAN CARLO CASELLI. Non mi sonofatto nessunissima idea.

    PRESIDENTE. Quali magistrati erano aconoscenza dell’operazione ?

    GIAN CARLO CASELLI. Due magi-strati: Caccia ed io, soltanto noi.

    PRESIDENTE. Ma non eravate al cor-rente di ulteriore dettagli ?

    GIAN CARLO CASELLI. Ripeto, nonsapevamo la data e il luogo. Chi ha fattola telefonata ha parlato di domenica ePinerolo. Noi sapevamo essere in prepa-razione un’operazione importante, ma cheriguardasse Curcio e Franceschini...

    PRESIDENTE. C’era una fonte autore-volissima tra gli investigatori. Non puòessere diversamente.

    GIAN CARLO CASELLI. Presidente, leiè troppo intelligente per farmi delle do-mande alle quali non posso rispondere. Seproprio pretende una risposta, le dirò, puressendo un cattolico con molti limiti, chele vie del Signore sono infinite anche inquesto caso. Non ci sono soltanto gliinvestigatori. Ci sono obblighi di segnala-zione, obblighi di rapporto, gli spifferi evia seguitando. Non lo so e non lo possosapere. Se lo sapessi, avrei fatto quello chemi competeva come magistrato.

    PRESIDENTE. Un fascicolo sulla fugadi notizie fu aperto ?

    GIAN CARLO CASELLI. Fu aperto, siapure contro ignoti, e non furono ottenutirisultati. Mi pare che di questo problemasi sia già occupato ampiamente qualcunonella Commissione presieduta dal senatorePellegrino. Anche lì, se ricordo, i risultatisono che non si trovò alcun elementoobiettivo, niente di niente.

    Ripeto, a me Moretti – dico delle coseche non dovrei dire – per la mancatagestione del memoriale qualche interroga-tivo me lo suscita, se è lui che non lo ha

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  • gestito, insieme agli altri. In questo caso,francamente e sinceramente, non mi su-scita interrogativi. Non può.

    PRESIDENTE. Le dico perché: è veroche la cosa più ovvia sia pensare che, seavessero ritenuto Moretti responsabile delmercato avvertimento a Curci, l’avrebbero« suicidato ». È innegabile, però, che hannouna notizia... O le BR erano in grado di« infiltrare » le forze dell’ordine, o avevanodegli informatori. Questa è la vicenda diPinerolo.

    Delle due l’una: o quando interroganoMoro non sono in grado di capire le coseche leggono perché non erano in grado discrivere neanche le domande che venivanofatte e, quindi, erano dei poveretti sprov-veduti che stavano lì; oppure, quelli chehanno avvertito di Pinerolo sono gli stessiche hanno detto: « Questa roba qui tene-tevela ». È questo il motivo per cui noiabbiamo solo fotocopie, fotocopie parziali,e non abbiamo registrazioni autentiche.Questo è il sospetto che aleggia. Uno puòanche pensare che qualcuno il patto primao poi l’avrà fatto.

    GIAN CARLO CASELLI. Presidente, ionon sono in grado di rispondere a unadomanda di questo tipo. Io ho scritto, conmio figlio Stefano, un libro intitolato Ledue guerre. Anzi, l’ha scritto lui. Io hoparlato, lui registrava e poi scriveva. È unlibro in cui io ho anche raccontato moltedelle mie esperienze all’epoca delle BrigateRosse, compreso l’episodio di Levati e diGirotto. È tutto raccontato, in termini chea Girotto, tra l’altro, non sono neanchepiaciuti. Ho dovuto spiegargli che io lecose le vedevo così. In quel libro iopremetto – è la mia premessa di sempre– che io non conosco misteri, non conoscosegreti. Non so niente più di quello che c’èscritto nelle carte processuali. Di più nonho mai voluto sapere niente. Se qualcunoprovava a dirmi qualcosa che non eranelle carte processuali lo stoppavo imme-diatamente.

    Torno al mio ricordo dei due minutinella prigione di Sossi. Io ho avuto un’im-pressione così forte di costrizione che mi

    sono sempre detto, ed è la prima volta chelo dico in pubblico – per spiegare – chenon voglio sapere niente di quello che nonmi riguarda direttamente attraverso i mec-canismi processuali, perché non sono si-curo della mia tenuta – allora; adessospero che non debba mai più succedere,ma vivo ancora sotto scorta – in caso disequestro. Io non sono Moro.

    Queste sono domande, per carità, do-verose da parte soprattutto della vostraCommissione, che deve avere – non puònon averlo – anche un taglio politico enon soltanto un taglio strettamente e squi-sitamente giudiziario, ma io non sonoassolutamente in grado di rispondere. Nelcaso di specie, però, rispondo, ancora unavolta, secondo logica e buonsenso. Insistosulla logica e sul buonsenso e sulle risul-tanze processuali, provate e straprovate.

    Levati la telefonata la riceve. Levati –dice lui – parla con Moretti. Non puòesserci spiegazione diversa negativa perMoretti, altrimenti (lasciamo perdere loscannamento) la logica e il buonsensoandrebbero a farsi benedire. Le cose,quando si ricostruiscono, con riferimentoa questo episodio, secondo logica e buo-nsenso, possono avere soltanto questaspiegazione e questa risposta.

    Adesso vado alle domande che eranostate formulate. Su Pinerolo ho risposto.Quanto a Mara, Renato e io, mi dispiaceper il signor Franceschini – credo diaverlo anche scritto da qualche parte, nonso più dove – ma ricorda male.

    Devo dire, onestamente, che io sonoprevenuto nei confronti di Franceschini,perché mi ha aggredito nel carcere diSaluzzo, e mi ha aggredito a freddo, percosì dire. Si stava avviando alla conclu-sione l’inchiesta sui capi storici delle BR eio stavo facendo il giro di tutti i detenuti,perché, prima di chiudere l’inchiesta, do-vevo contestare anche tutti i fatti minori,altrimenti non potevo rinviare a giudizio.Allora era il giudice istruttore che rinviavaa giudizio, una procedura che chi non èstato uomo di legge allora non riesceneanche a capire. Ecco perché noi racco-glievamo le prove e poi su quelle provedecidevamo chi mettere o non mettere in

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  • carcere, chi rinviare o non rinviare agiudizio. Il giudice istruttore era arbitrodelle prove da lui stesso raccolte. Era unibrido – a dire davvero poco – che ilnuovo Codice ha giustamente cancellato.Come giudice istruttore, io dovevo fare ilgiro di tutte le carceri italiane in cui eranodetenuti allora brigatisti rientranti, o comecapi storici, o comunque come brigatisti,nel processo ai capi storici per contestareloro tutto, in modo da poter legittimare ilrinvio al giudizio. Dovevo contestare ma-gari un’auto rubata che era sfuggita agliinterrogatori, oppure una detenzione abu-siva di armi e via di seguito.

    Quando vado a interrogarlo nel carceredi Saluzzo, Franceschini mi accusa di averosato pronunziare il nome di Mara Cagolnon so più in quale circostanza, cosaassolutamente destituita di qualsivogliafondamento. Io questi nomi li pronunciavoallora soltanto in sede di interrogatorio,negli atti processuali, anche se poi mi sonooccupato molto anche di pubblicistica.Allora erano soltanto cose processuali eniente di più. Dopo avermi contestatoquesta orribile colpa, si alza e fa perdarmi un pugno. Franceschini dice diavermi preso, tra l’altro. Invece non èvero, mi ha soltanto sfiorato, per miafortuna, perché c’è un maresciallo deiCarabinieri, il maresciallo Baldassi, che siinterpone e lo ferma.

    Io lo denuncio, naturalmente. Nonposso non farlo. Ci fu poi un processo aMilano – i processi di Torino ancora oggivanno a Milano – in cui io depongo eFranceschini viene condannato.

    L’aggressione di Franceschini era fina-lizzata a far saltare i termini massimi dicustodia cautelare, perché eravamo moltoprossimi. Se il giudice istruttore titolare inquel momento del processo fosse statosostituito da un altro giudice, anche sol-tanto per i tempi burocratici per la sosti-tuzione, i termini massimi di custodiacautelare sarebbero scaduti e il processosarebbe morto. Il processo senza detenuti– a parte il fatto che sarebbero tornatitutti clandestini – come sapete, non hacorsie, obbligatoriamente, per legge, pre-ferenziali rispetto a quello con detenuti,

    che passa avanti a tutti gli altri. Quindi,chissà quando mai si sarebbe celebrato.

    Io, però, secondo il nostro dovere e lanostra prassi, metto il mio mandato digiudice istruttore nelle mani del mio con-sigliere istruttore Mario Carassi, che, a suavolta, avrà interpellato il presidente dellaCorte d’appello. Mi rispondono, comequasi sempre avviene in questi casi –altrimenti sarebbe troppo facile disfarsi diun magistrato aggredendolo, insultandoloo facendo altro: i processi non si farebberomai – « Lei si è tutelato con una denunzia,che seguirà il suo corso. È perfettamentein grado... » Avrebbero potuto eventual-mente ricusarmi, ma non l’hanno fattomai.

    Poco tempo dopo, le requisitorie del-l’allora sostituto procuratore generale –che poi diventerà procuratore della Re-pubblica, il pubblico ministero del mioprocesso, Bruno Caccia – vengono pub-blicate da una casa editrice, che adessonon esiste neanche più. Quel libro hoavuto il torto di prestarlo e ora non sitrova. Esso riporta integralmente, perchéerano ormai pubbliche, essendo state de-positate agli atti del processo, le requisi-torie di Caccia, le richieste di rinvio agiudizio, con le motivazioni e le prove. Illibro si intitola Banda armata, o qualcosadel genere, ed è preceduto da tre prefa-zioni, una dell’avvocato Giannino Guiso,storico difensore di brigatisti rossi, l’altradi un certo Tommei, che per quelli dellamia generazione non è un nome qualun-que. Tommei è figlio di un protagonistadella radio di tantissimi anni fa, moltodivertente, molto capace e molto intelli-gente. Questo Tommei è suo figlio e gra-vitava nell’area di Controinformazione, lapatinatissima rivista diretta da un’altrapersona molto intelligente, che si chia-mava Bellavita, se non sbaglio, poi ripa-rato in Francia, e molto ben fatta dalpunto di vista contenutistico, letterario etipografico. Controinformazione era, però,una rivista delle BR. Di lì non si scampa.La terza prefazione era di Alberto Fran-ceschini. Delle cose che Alberto France-schini ha detto di me in quella prefazione,uno un po’ masochista potrebbe anche

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  • esserne orgoglioso, perché mi definisce « laruota più efficiente del triciclo sganghe-rato della controrivoluzione ». Il « triciclosgangherato della controrivoluzione » eracostituito dal procuratore generale titolaredell’ufficio del pubblico ministero, Revigliodella Veneria, che aveva delegato l’inchie-sta al pubblico ministero, cioè la secondaruota sgangherata, che era Bruno Caccia,mentre la terza ruota ero io.

    È un attacco, nell’ottica brigatista, al-l’inchiesta e ai protagonisti dell’inchiesta, ame in particolare, in realtà tutt’altro chepiacevole per un magistrato che ha semprefatto, come io ritengo e rivendico di aversempre fatto, solo ed esclusivamente il suodovere, applicando solo ed esclusivamentela legge, senza obbedire, né mentalmente,né inconsapevolmente, neppure in questomodo, ad altro.

    Io sono convinto che – anche questol’ho scritto, ragion per cui non c’è motivoperché non lo dica – quando Franceschiniviene arrestato...

    PRESIDENTE. Avrà capito o avrà in-terpretato in malafede.

    GIAN CARLO CASELLI. Sì, ma devospiegare anche che non mi voleva beneFranceschini. Appena viene arrestato... Seavete capito, non sto a raccontare que-st’altro episodio.

    PRESIDENTE. Non è che non cre-diamo. La vicenda del pugno l’abbiamocapita. Qualche sospetto che non la ami ciè venuto.

    GIAN CARLO CASELLI. Io so che nellibro Mara, Renato e io, per la parte cheho potuto verificare, cioè la parte che miriguarda, Franceschini afferma, perché ri-corda male, delle cose che non esistono,per esempio, riguardo ad alcune fotogra-fie. Io non faccio vedere nessuna fotogra-fia, oppure, se faccio vedere delle fotogra-fie – può anche darsi che i Carabinieriavessero delle fotografie – Franceschini siè avvalso della facoltà di non rispondere.Non ha detto una parola che sia una e ionon gli ho fatto domande, anzi.

    PRESIDENTE. Mi sembra che anchequesto ruoti intorno al dare l’idea cheMoretti fosse una specie di protetto, at-tribuendo a lei l’idea che fosse protetto.

    GIAN CARLO CASELLI. Se c’è qual-cuno che dice che le Brigate Rosse hannoperso perché c’era un bieco traditore alloro interno, è Franceschini. Sicuramenteè Franceschini. Io non voglio parlar maledi Franceschini, se non per quello che miriguarda. Per il resto...

    PRESIDENTE. Delle foto non ha maiparlato, né tanto meno ha fatto commentisu Moretti.

    GIAN CARLO CASELLI. Quando iosono diventato capo del DAP (Diparti-mento dell’amministrazione penitenziaria)e partecipavo a dibattiti anche all’internodelle carceri, una volta ho incrociato Fran-ceschini, che mi ha avvicinato, mi ha tesola mano e io gliel’ho stretta. Non hodell’astio particolare. Racconto le cose percome le ho vissute e dette.

    C’è subito un contatto brusco con Fran-ceschini, quando si presenta, cosa cheCaccia mi rimproverava ancora allora.Franceschini, in sostanza, si siede davantia me e la prima cosa che mi chiede è: « Malei non è di Magistratura Democratica ? »,come per dire: « Tu dovresti essere dallaparte mia, non da quest’altra parte ». Io,occhi negli occhi, gli rispondo: « Sì, per-ché ? ». Capisce l’antifona e se ne starigorosamente zitto.

    Non potevo fargli vedere, non credo,non ricordo di avergli fatto vedere dellefoto, ma soprattutto non posso aver fattocommenti di quel tipo. Non appartengonoallo stile, al ruolo del giudice istruttore,che questi atti oltretutto li compiva con ilsostituto procuratore generale Caccia se-duto accanto a lui, che era di un rigore edi una correttezza... Io ho imparato da luirigore e correttezza, se li ho mai avuti.Spero di averli avuti. Caccia non avevaniente da imparare da nessuno. Questecose non si dicono. Si fanno domande e siverbalizzano risposte. Queste cose nonesistevano.

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  • Comunque, nel libro Mara, Renato e ioFranceschini dice una cosa che storica-mente è impossibile. Non esiste, ancorauna volta. È il segno che non ricorda bene,perché, nel libro Mara, Renato e io affermaanche che io gli avrei detto: « Questo èOgnibene », oppure: « Mi parli di Ogni-bene, mi dica quello che sa di Ognibene ».

    Ognibene, in quel momento, io nonsapevo ancora neanche chi fosse, non soloche esistesse. Non avevo mai visto unascheda relativa a Ognibene, che magariesisteva. Non l’avevo mai vista. Di Ogni-bene sentii parlare per la prima volta nelsettembre del 1974, verso la fine, quandosi scopre il covo di Robbiano di Mediglia.È un momento tragico.

    Non sto a raccontarvi come si arriva alcovo di Robbiano di Mediglia, l’opera-zione. Si era capita la tecnica di procac-ciamento delle sedi e, quindi, quandoavevano un indizio di un dato tipo, anda-vano quasi a colpo sicuro.

    La faccio breve, sperando di non esserepreso in giro per questa mia forma. Farlabreve non è il mio forte, in questo caso,perché sono cose importanti. La sintesinon è mai il mio modo.

    PRESIDENTE. Neanche il nostro.

    GIAN CARLO CASELLI. C’è un con-flitto a fuoco. I Carabinieri arrestano Bassie Bertolazzi, due capi storici delle BrigateRosse, nella zona del Lodigiano, serbatoiodelle BR dell’epoca. Poi si chiudono dentroil covo, dentro l’appartamento, per vederese arriva qualcuno e intanto cominciano aesaminare le prime carte.

    Arriva effettivamente qualcuno, maviene intercettato e affrontato lungo lescale. Segue un conflitto a fuoco in cuimuore un brigatista. Un altro uccide ilmaresciallo Maritano e viene, a sua volta,ferito.

    Ognibene io ho fatto fatica anche aidentificarlo, perché che fosse Ognibenesarà venuto fuori contattando quelli delLodigiano. Era una persona sconosciuta.Forse il primo verbale dice proprio « per-sona che rifiuta di fornire le sue genera-lità ». Io sono andato in ospedale a sentirlo

    subito, perché volevo vedere se potevavenirne fuori qualcosa. Non è detto che ilverbale cominci così. Può darsi che in quelmomento avessero già accertato chi era.Comunque, c’è una fase in cui non si sachi è quello che ha sparato a Maritano,uccidendolo.

    Faccio ancora una divagazione. Mi av-vertono nel cuore della notte che c’è statoquel conflitto a fuoco. Io avverto Caccia.Dopodiché, chiediamo ai Carabinieri diaccompagnarci, se possono, se vogliono,immediatamente a Robbiano di Mediglia,perché volevamo essere sul posto. Uncarabiniere ucciso, un lutto di questa gra-vità all’interno della nostra inchiesta, ciaveva duramente colpiti.

    Lo dico fingendo di scherzare su coseche non sono assolutamente possibile og-getto di scherzo: il viaggio che abbiamofatto – i carabinieri erano molto nervosiquella mattina, comprensibilmente – daTorino a Robbiano di Mediglia è stato unviaggio allucinante. Erano le prime ore delmattino, quindi non c’era traffico. Ci sipoteva anche permettere un po’ di velo-cità. Io ho sempre detto che vivo con lascorta dal 1974 e la pelle l’ho rischiatamolte volte, ma forse, senza scherzaretroppo, quella mattina l’ho rischiata piùche in qualunque altra occasione.

    Quando arriviamo a Robbiano di Me-diglia, facciamo tutte le cose. Una cosa chevi può interessare – molto indirettamente,ma vi può interessare – è che i carabinieridevono interrompere l’analisi e la catalo-gazione del materiale di quella base, che èquella più ricca e piena zeppa di materialiche io abbia mai incrociato nelle mieinchieste. C’era di tutto e di più delleBrigate Rosse. C’era tutto quello che po-teva interessare il sequestro Sossi: auto-grafi di Sossi a non finire, registrazioni dichi era stato con Feltrinelli sul traliccio,registrazioni di quel che era accaduto inTrentino con Pisetta, altro personaggio cheindirettamente può interessarvi. Nonfanno in tempo a continuare il lavoro dicatalogazione. Il risultato è che, soltantoventiquattr’ore dopo la celebrazione delfunerale, quando la situazione si è « nor-

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  • malizzata », ricominciano il lavoro e vienefuori un’indicazione preziosa che porta aun altro covo a Piacenza.

    Quando si arriva a Piacenza, il covo,purtroppo per noi, è ormai svuotato. Sitrattava di un covo che avrebbe dovutoessere interessante, perché era l’unico covodelle Brigate Rosse con il telefono. Nessunaltro mai aveva un telefono fisso.

    Dico soltanto che c’era sul pavimento –se l’abbiano lasciata cadere, se l’abbianodimenticata, se l’abbiano voluta far tro-vare non lo so – una cassetta con novantaminuti di registrazione degli interrogatoridi Sossi. È provato, quindi, che registra-vano, è provato che avevano le cassette, èprovato che le tenevano e che le custodi-vano da qualche parte. Erano novantaminuti.

    Il testo integrale di quell’interrogatorioè riportato in un libro famoso, o famige-rato – dipende dai punti di vista – che fula prima storia articolata delle BrigateRosse. Lo ha scritto un giornalista moltoinformato e documentato, Vincenzo Tes-sandori, giornalista de La Stampa ed èstato pubblicato da Garzanti. Una delleappendici contiene la trascrizione inte-grale di quei novanta minuti di interro-gatorio di Sossi.

    Ripeto, io non potevo parlare a Fran-ceschini di Ognibene. So che avevo anchelitigato con gli autori del libro che sonodue giornalisti che conosco bene.

    PRESIDENTE. Anche questo secondopunto credo che l’abbiamo capito bene.

    GIAN CARLO CASELLI. Voglio direche c’erano delle altre cose. Questa diOgnibene era clamorosa e me la ricordoancora adesso. Altre ne avevo evidenziatesubito, leggendo il libro.

    PRESIDENTE. La parte che a noi in-teressava era quella relativa alle foto, cherimetteva in mezzo Moretti. Veniamo allavicenda più recente.

    GIAN CARLO CASELLI. Se posso ri-spondere alle domande che mi avete fatto,Marciante, per quanto ne so io, non si è

    mai assolutamente occupato di questecose. Sono portato a escludere che abbiamai fatto un viaggio a Roma per questo.

    PRESIDENTE. Come potremmo fareper appurarlo ?

    GIAN CARLO CASELLI. Sentite Mar-ciante. Deve essere in pensione come me,perché è magistrato mio coetaneo. Puòdarsi che l’abbia mandato qualcuno, percarità, non lo so. Era un pubblico mini-stero. Non mi risulta che si sia maioccupato di Brigate Rosse.

    PRESIDENTE. Si riferisce al famosorullino che fu ritenuto inutile. Il giorna-lista, praticamente un ragazzo, che facevasolo la cronaca giudiziaria, scrive un ar-ticolo che riferisce quello che è stato detto.L’unica possibilità è sentire Marciante. Leinon ha memoria che qualcuno si fosseinteressato di questo.

    GIAN CARLO CASELLI. Posso anche,con riserva, essere male informato. Perricordare, ricordo bene. Marciante non siè mai occupato di Brigate Rosse. I pubbliciministeri di Torino che si occupavano diBrigate Rosse erano tanti, ma lui nonc’era.

    PRESIDENTE. Neanche dell’omicidiodi Casalegno ?

    GIAN CARLO CASELLI. Penso propriodi no. Le cose funzionavano in una ma-niera un po’ complicata e qui potrebbeaprirsi una piccola breccia.

    Per un lungo periodo questi processi lifacevano soltanto i giudici istruttori diTorino, salvo il processo ai capi storicidelle Brigate Rosse, che ha fatto Caccia,insieme a me, insegnandomi il mestiere dimagistrato, di inquirente.

    Dopo, soprattutto con il pool, le inchie-ste successive, ossia Coco, gli omicidi...

    PRESIDENTE. Quindi, ci si poteva pureessere trovato Marciante, sta dicendo ?

    Atti Parlamentari — 23 — Camera Deputati – Senato Repubblica

    XVII LEGISLATURA — DISCUSSIONI — COMM. ALDO MORO — SEDUTA DEL 6 MAGGIO 2015

  • GIAN CARLO CASELLI. Voglio direche, come sempre, la segnalazione delfatto di reato, del crimine, in questo casodell’omicidio, arrivava sul tavolo della Pro-cura. C’era un pubblico ministero intesta-tario del processo, ma questo processoveniva trasferito subito praticamente al-l’Ufficio istruzione. Quando Caccia diventaprocuratore della Repubblica di Torino, lecose cambiano, perché Caccia costituisceun pool anche lui e, quindi, conseguente-mente, i pubblici ministeri seguono... Pecilo interroghiamo in tre: il collega Griffey,di cui vi ho già detto, il sottoscritto eAlberto Bernardi, un pubblico ministerodesignato da Caccia.

    PRESIDENTE. Per quello che ci ri-guarda, ci conviene sentirlo.

    GIAN CARLO CASELLI. Penso di sì.L’omicidio del giornalista Casalegno è suc-cessivo al sequestro dell’onorevole Moro,se non sbaglio. Se non ricordo