RESOCONTOSTENOGRAFICO...2015/11/04  · riguarda la frequentazione da parte di Morucci delle zone...

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COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL RAPIMENTO E SULLA MORTE DI ALDO MORO RESOCONTO STENOGRAFICO 58. SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 NOVEMBRE 2015 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI INDICE PAG. Sulla pubblicità dei lavori: Fioroni Giuseppe, presidente ...................... 2 Audizione di Gianremo Armeni: Fioroni Giuseppe, presidente . 2, 4, 14, 15, 16, 17 18, 19, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28 PAG. Armeni Gianremo ............. 4, 15, 16, 17, 18, 19 20, 23, 24, 25, 26, 27, 28 Corsini Paolo (PD) ...................................... 17 Gotor Miguel (PD) ........... 21, 22, 24, 25, 26, 27 Grassi Gero (PD) .................... 17, 18, 19, 20, 25 Lavagno Fabio (PD) ............................ 19, 20, 23 Piepoli Gaetano (PI-CD) ............................. 17 Atti Parlamentari 1 Camera Deputati – Senato Repubblica XVII LEGISLATURA DISCUSSIONI COMM. ALDO MORO SEDUTA DEL 4 NOVEMBRE 2015

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  • COMMISSIONE PARLAMENTAREDI INCHIESTA SUL RAPIMENTO E SULLA

    MORTE DI ALDO MORO

    RESOCONTO STENOGRAFICO

    58.

    SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 NOVEMBRE 2015

    PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

    I N D I C E

    PAG.

    Sulla pubblicità dei lavori:

    Fioroni Giuseppe, presidente ...................... 2

    Audizione di Gianremo Armeni:

    Fioroni Giuseppe, presidente . 2, 4, 14, 15, 16, 1718, 19, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28

    PAG.

    Armeni Gianremo ............. 4, 15, 16, 17, 18, 1920, 23, 24, 25, 26, 27, 28

    Corsini Paolo (PD) ...................................... 17Gotor Miguel (PD) ........... 21, 22, 24, 25, 26, 27Grassi Gero (PD) .................... 17, 18, 19, 20, 25Lavagno Fabio (PD) ............................ 19, 20, 23Piepoli Gaetano (PI-CD) ............................. 17

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  • PRESIDENZA DEL PRESIDENTEGIUSEPPE FIORONI

    La seduta comincia alle 14.

    Sulla pubblicità dei lavori.

    PRESIDENTE. Avverto che, se non visono obiezioni, la pubblicità dei lavori saràassicurata anche mediante l’attivazionedell’impianto audiovisivo a circuito chiuso.

    Audizione di Gianremo Armeni.

    PRESIDENTE. L’ordine del giorno recal’audizione del dottor Gianremo Armeni,che ringraziamo per la cortese disponibi-lità con cui ha accolto il nostro invito aintervenire oggi nella seduta della Com-missione.

    Il dottor Armeni ha dedicato numerosistudi all’approfondimento del fenomenodel terrorismo, con particolare riferimentoalla storia delle Brigate Rosse e alle ini-ziative adottate per contrastarne l’azione.Su queste tematiche ha pubblicato nel2004 il volume La strategia vincente delgenerale Dalla Chiesa contro le BrigateRosse e la mafia. Successivamente, nel2009 ha dato alle stampe Romanzo briga-tista, un’opera narrativa definita dallostesso Armeni come « un amalgama di fattistorici ed elementi mitologici scaturitidalla pura fantasia dell’autore », che traespunto dalle dichiarazioni di AlbertoFranceschini. Nel 2010 ha pubblicatoBuone regole. Il vademecum del brigatista,che si sofferma sulle norme di comporta-mento degli appartenenti alle BrigateRosse.

    Per quanto concerne più direttamentela materia oggetto della nostra inchiesta,nel 2015 il dottor Armeni ha pubblicatoQuesti fantasmi. Il primo mistero del casoMoro, che riguarda principalmente la notavicenda della motocicletta Honda con abordo due persone vista transitare daalcuni testimoni il 16 marzo 1978 subitodopo l’agguato.

    Ricordo, inoltre, che il 25 ottobrescorso il dottor Armeni ha inviato aldeputato Lavagno, che l’ha trasmessa allaCommissione, una relazione basata su attigiudiziari dell’istruttoria del 1978 concer-nente alcuni manoscritti di Valerio Mo-rucci rinvenuti presso l’abitazione di Leo-narda Faggioli, con cui Morucci avevaintrattenuto una relazione fino al 1973, epresso il covo di viale Giulio Cesare.

    Nella relazione si prendono in consi-derazione due spunti di indagine. Il primoriguarda la frequentazione da parte diMorucci delle zone limitrofe a via Fani inun periodo ben precedente al marzo 1978,come testimonierebbero appunti di nomi-nativi e indirizzi e l’episodio di un furtod’auto.

    Il secondo spunto d’indagine muovedall’elenco di nomi e indirizzi e da unoschizzo planimetrico che riconducono al-l’area del Portico d’Ottavia. Su tale circo-stanza invito il dottor Armeni a forniremaggiori dettagli, se ne ha, e a soffermarsianche sul tema – che, come ricorderete, civenne segnalato già nell’audizione del se-natore Pellegrino – delle simpatie chesoprattutto nella prima fase della loroattività le Brigate Rosse riscuotevanopresso alcuni ambienti dell’alta borghesiaromana e milanese.

    Chiedo, inoltre, al dottor Armeni diriferire alla Commissione ogni eventualeelemento di novità emerso nel corso delle

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  • sue ricerche, prescindendo tuttavia dallanota questione dell’integrità del para-brezza del motoveicolo dell’ingegner Ales-sandro Marini, con riferimento alla qualela Commissione, sulla base di un auto-nomo percorso, ha acquisito evidenzedocumentali analoghe a quelle da luisegnalate.

    In modo particolare, vorrei che rispon-dere ad alcuni quesiti.

    Sulla base dei suoi studi, le BrigateRosse nell’agguato di via Fani e nellagestione del sequestro Moro seguirono leloro abituali modalità operative, oppure sipossono rilevare aspetti di discontinuitàrispetto alla loro prassi quale risulta dallealtre azioni compiute in quegli anni ?

    La ricostruzione dell’agguato di viaFani contenuta nel cosiddetto memorialeMorucci è attendibile, secondo i risultatidelle sue ricerche, o presenta aspetti pococredibili, ed eventualmente quali ?

    Nel distinguere tra il « cospirazionismoa oltranza », che impedisce la piena com-prensione degli eventi, e la « dietrologia divalore », che invece aiuta a riscontrareogni ipotesi, lei non esclude che nellavicenda del sequestro e dell’omicidio diAldo Moro vi siano aspetti ancora dachiarire. Può dirci, a suo giudizio, qualisono ?

    Alcune delle pagine del suo volumeQuesti fantasmi sono dirette a dimostrareil carattere non genuino della nota letteraanonima recapitata al quotidiano LaStampa nel 2010. In proposito, ritiene chela missiva sia opera di un mitomane che« ha spedito la lettera quando era ancorain vita » e che « voleva si cercasse sestesso »; formula, inoltre, la previsione –con la quale conclude il suo libro – che« altri mitomani continueranno a prolife-rare, proprio perché hanno fiutato la sen-sazionalità e il clamore che orbitano dasempre attorno a questo pezzo di storiaitaliana; hanno anche imparato che èsufficiente un livello di ingegnosità al-quanto mediocre per ottenere udienza ».

    Da queste sue parole sembrerebbe chelei attribuisca la paternità dell’anonimoallo scomparso Antonio Fissore. Confermaquesta nostra impressione ? Le risultano

    altri scritti anonimi ? In caso affermativo,da quale area geografica provengono ?

    Dalle sue ricerche quali eventi sonoemersi con riferimento alla figura delColonnello Camillo Guglielmi e alla suapresenza in prossimità del luogo dellastrage del 16 marzo ?

    Il fatto che il parabrezza del motociclodell’ingegner Marini non sia stato colpitoda colpi d’arma da fuoco non escludenecessariamente la possibilità che gli oc-cupanti della moto Honda abbiano parte-cipato all’agguato di via Fani. Nel suo librodel 2015 sul caso Moro, invece, lei escludeche la motocicletta abbia avuto un qua-lunque ruolo attivo nella strage. Può illu-strare sinteticamente le ragioni di questasua convinzione ?

    Si immagini se io, per vivacizzare, ledicessi che le moto erano due. Qui siaprirebbe un dibattito folcloristico. Pur-troppo, dalle dichiarazioni a verbale –leggo solo quelle – le moto sono descrittecome se fossero due, ma questo saràoggetto di una specie di incidente proba-torio che, me ne vado convincendo, in-sieme con la Procura di Roma dovremofare sul posto con i sopravvissuti.

    Come valuta l’ipotesi che gli occupantidella motocicletta Honda fossero due mi-litanti del Comitato proletario di Prima-valle Giuseppe Biancucci e Roberta Ange-lotti, conosciuti anche con gli pseudonimidi Peppo e Peppa ?

    Con riferimento all’uccisione del-l’agente Iozzino, a pagina 250 del suovolume del 2015 sul caso Moro lei af-ferma: « Credo che Moretti e Morucci lastoria l’abbiano raccontata in modo pun-tuale, ma soltanto con riferimento allaprima parte, quella in cui Bonisoli sparacon la sua pistola. Qualora non esistesseun uomo in più rispetto ai dieci delcommando già noti in sede giudiziaria,resterebbe in piedi un’unica spiegazione: ilsolo ad aver fatto fuoco contro il poliziottopotrebbe essere stato unicamente AlessioCasimirri (sceso dalla 128 bianca proprioin diagonale dietro l’Alfetta ?), e uno deidue mitra FNA 43 era in suo possesso,sconfessando in tal modo sia Moretti cheMorucci ».

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  • Può chiarire le ragioni di questa suavalutazione ? Più in generale, qual è stato,sulla base degli elementi a sua disposi-zione, il ruolo di Casimirri e Lojacononella strage di via Fani e nelle fasi pre-paratorie e poi di gestione del sequestro ?

    Con riferimento alla Austin Morris par-cheggiata in via Fani, a pagina 45 del suovolume del 2015 sul caso Moro lei escludeche l’autovettura, in quella posizione, po-tesse costituire un ostacolo per un’even-tuale manovra di fuga della Fiat 130 cona bordo Moro. Può illustrarci le ragioni diquesta sua valutazione ?

    Le do la parola. Alle domande misembra che abbia tempo per rispondere.Poi ci sono tutti i colleghi che vorrebberofare qualche domanda. Sia sintetico, perfavore.

    GIANREMO ARMENI. Grazie a lei,signor presidente. Buonasera, signor pre-sidente e gentili membri della Commis-sione. In merito ai quesiti che lei mi harivolto io ho redatto una relazione checonsta di 13 pagine in cui ci sono lerisposte alla maggior parte dei suoi quesiti.Qualora ne dovessi dimenticare qualcuno,perché non ho l’elenco sottomano, la pre-gherei di ricordarmelo.

    Le volevo anche dire che la relazioneche ho portato oggi non si basa unica-mente sul testo che ho pubblicato adaprile di quest’anno. Vi sono contenutenuove analisi, relative sia a scoperte cheho fatto in merito alla Honda, sia a unamia – forse – suggestione sulla Renault 4rossa.

    Chiederei di leggerla con calma, perchévi sono spiegati molti dei quesiti.

    PRESIDENTE. La acquisiremo.

    GIANREMO ARMENI. Grazie innanzi-tutto per avermi concesso l’onore diesporre in una sede istituzionale i risultatidella mia ricerca, contenuta nel saggio daltitolo Questi fantasmi. Il primo mistero delcaso Moro, pubblicato da Tra le righe libri.Lo considero un grande traguardo.

    Vorrei iniziare con un breve incipitsulle insidie che nasconde il monumentale

    complesso informativo accumulato sulcaso Moro e su una certa didattica che hotratto da questa esperienza, allo scopo distimolare una dialettica che possa contri-buire a favorire maggiori conoscenze.

    Dagli anni della tesi di laurea, periodoin cui per la prima volta mi sono imbat-tuto nel groviglio dell’affaire, è trascorsoun arco temporale durante il quale conpassione ho studiato e analizzato tutto ilpatrimonio documentale, faldone per fal-done, dalle Commissioni d’inchiesta allemonografie, dalla documentazione relativaai cinque processi Moro ai cosiddetti pro-cessi « 7 aprile » e « Metropoli », forierianch’essi di informazioni rilevanti. Questavisione omogenea mi ha insegnato che lecarte, sterminate, possono nascondere in-dicazioni che potrebbero di volta in voltarimettere in discussione teoremi più omeno condivisi e, in alcuni casi, persino lesentenze giudiziarie.

    Tutti gli organi inquirenti – magistra-tura, Commissioni parlamentari e forzedell’ordine – e tutti gli studiosi che sisono cimentati in questo dedalo dellastoria d’Italia hanno contribuito ad ac-crescere il livello del sapere e a gremiregli archivi di carteggi imponenti. Fram-menti di realtà disseminati nei diversiregistri e schedari potrebbero acquistareun valore probatorio eccezionale, qualorasi riuscisse a metterli in congrua comu-nicazione con contesti di indagine dotatidi maggiore organicità e soprattutto aricongiungerli con l’evoluzione delle co-noscenze in materia.

    Risulta assai ardua l’operazione di in-quadrare in determinate categorie tutte leinformazioni di cui un settore di indaginenecessita per offrire agli inquirenti unquadro sistematico, al fine di aprire nuoviscenari, ma anche per demolire definiti-vamente tesi incontrollate e fantasiose,scarsamente incisive sotto il profilo dellafondatezza e, per questo, agevolmente con-futabili.

    L’inchiesta sulla moto Honda e sulteste Marini è consistita principalmenteproprio nella ricerca ossessiva e detta-gliata di tutte le nozioni che potesserorendere il lavoro il più organico possibile.

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  • Una trattazione basata sull’apporto par-ziale delle fonti avrebbe condotto ineso-rabilmente a conclusioni nebulose, un po’come edificare una casa sulle sabbiemobili. Se io avessi limitato l’apprendi-mento allo studio degli atti giudiziari odei volumi prodotti dalle Commissioni,non avrei trovato il documento connessoall’iter del parabrezza, che nega senzaappello la presenza di indagini peritalisul famoso reperto.

    Il caso Moro viene trattato prevalen-temente dal punto di vista investigativoed è chiaro che non si possa prescindereanche da quegli elementi isolati che po-trebbero inficiare o avvalorare una de-terminata ipotesi di lavoro. Un paio diesempi potranno rappresentare la cartinadi tornasole di ciò che io ho intesosostenere con questa introduzione, checonsidero propedeutica alla discussioneche seguirà.

    La prima dimostrazione è possibilerintracciarla nell’indagine svolta dal-l’ispettore di Polizia Enrico Rossi in me-rito alla famosa lettera anonima. In que-sta sede egli ha espressamente fatto ri-ferimento alle difficoltà incontrate nelreperimento della documentazione e hadetto di aver sopperito a tale impedi-mento attraverso il supporto del web.Sono scogli tangibili, non riconducibili alsuo operato o alle sue volontà, e ha tuttala mia comprensione, come ho avutomodo già di sottolineare nel testo. Qua-lora il signor Enrico Rossi avesse avutola possibilità di avere un accesso privi-legiato non dico a tutto il complessoinformativo, perché gli ci sarebbero voluticomunque anni di studio, ma proprio aquei dati strutturati, omogenei ed esau-stivi di una stessa area di interesse,avrebbe acquisito due informazioni cru-ciali che avrebbero smascherato le realiintenzioni di un anonimo, indaffaratoevidentemente a schernire un pezzo sacrodella storia del nostro Paese.

    In primo luogo, avrebbe intuito, dabuon poliziotto qual è, che le dichiara-zioni del teste Marini presentavano untale livello di confusione e ambiguità dalasciar presagire che l’appendice del ten-

    tato omicidio ai suoi danni potesse esserestata soltanto una suggestione. Per citaresolo un esempio, le inversioni della po-sizione dei due passeggeri della moto daparte di Marini non sono mai state due,come sostenuto dall’ispettore Rossi e,prima di lui, da altri osservatori chehanno rimarcato questa anomalia, bensìun minimo di cinque. Già questo mi pareindicativo.

    Oltre a ciò, l’ispettore si sarebbe resoconto che nella missiva era contenuta unalocuzione che più di ogni altra avrebbeconfutato tutta la costruzione dell’appa-rato scenico allestito dall’anonimo, ossia:« Il nostro compito era quello di proteg-gere le BR da disturbi di qualsiasi ge-nere ». La moto non ha protetto nulla enessuno. L’anonimo ha semplicemente ri-modellato a suo gradimento non il datoreale, che evidentemente non poteva co-noscere, non essendo mai stato presente invia Fani quel 16 marzo, ma quello di-storto.

    La documentazione, difatti, sconfessa letesi più diffuse sulla posizione occupatadalla moto durante l’attacco e sulla fun-zione attiva che avrebbe avuto. Nelle variericostruzioni possiamo trovare le seguentiipotesi sul ruolo della Honda: funzione dicontrollo, di protezione, di staffetta e viadicendo. Stando alle dichiarazioni degliunici due testimoni che notarono il pas-saggio della motocicletta, Intrevado e Ma-rini – nel prosieguo spiegherò perché noncontemplo né Luca Moschini né BrunoBarbaro – mentre l’azione era in corso, ilmezzo non era presente nella zona inte-ressata. Sopraggiunse soltanto a sequestroconcluso, dalla parte alta di via Fani, dopoche le auto del commando avevano giàpreso la via di fuga.

    Un secondo punto fermo delle lorodichiarazioni è costituito dal leggero ri-tardo, forse un minuto, con cui la motogiunse all’incrocio rispetto all’allontana-mento del convoglio brigatista. Questi sonodati di fatto e solo all’interno di questeevidenze io ho ritenuto di dover svolgere lemie analisi.

    Se la moto avesse avuto un ruolo dicopertura, perché non coprire settori più

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  • strategici ? Con buona probabilità la motosi trovava a una distanza superiore a 100metri dall’incrocio, perché, se avesse or-bitato nel segmento compreso tra l’edi-cola e le auto coinvolte nella sparatoria,molto probabilmente sarebbe stata no-tata da tutti quei testi oculari che riportointegralmente nel saggio. Restando lon-tano dalla scena, non avrebbe potutoassolvere a questa funzione, tra l’altrogià ampiamente ricoperta dai due « can-celletti ».

    A maggior ragione sarebbe stato piùindicato piazzare la moto di sotto, dallaparte dell’incrocio, visto che c’era da con-trollare un quadrivio e non due sensi dimarcia, che in realtà poi erano soltantouna direzione, perché dal basso il flussoera già bloccato dalla Balzerani.

    Se avesse dovuto presidiare la parte al-tissima di via Fani, in aggiunta al « cancel-letto », creando quindi una doppia imper-meabilizzazione, alla stessa stregua avreb-bero dovuto piazzarne un’altra in basso euna nelle vie adiacenti. Faccio notare cheoltre il cancelletto superiore non c’eranocomandi di polizia da tenere sotto controlloo settori strategici da piantonare.

    I brigatisti iniziano a sparare, i mitra siinceppano e la moto non c’è. L’agenteIozzino esce dall’auto di scorta, spara duecolpi e la moto non c’è. L’appuntato Do-menico Ricci riesce a fare alcune manovreper tentare la fuga e la moto non c’è.Quale funzione, quindi, avrebbe potutoavere ? Ma soprattutto, cosa avrebbe pro-tetto ?

    I due centauri giungono comodamentealla fine, quando non c’è più alcun con-tributo attivo da dare, e non esercitanoneanche il ruolo di staffetta, perché re-stano dietro. Non si armonizza con glielementi a disposizione nemmeno l’even-tualità che volessero fornire protezionedalla parte posteriore, perché arrivaronodopo la fuga delle auto con a bordol’onorevole Moro, con un leggero ritardo,consentendo ad Antonio Buttazzo di porsiall’inseguimento. Lo stesso Buttazzo allesue spalle vide soltanto la 128 blu.

    La moto non venne mai notata daipassanti che si ritrovarono nelle zone

    interessate dal percorso di fuga, i qualividero le auto e gli avieri, ma nessuno siaccorse di una moto che seguiva il con-voglio. Le auto utilizzate per la fuga ven-nero ritrovate. Della motocicletta nessunatraccia.

    Peraltro, qualora il piano avesse pre-visto l’ingresso in scena della moto soloalla fine, magari per accodarsi alle autodel commando, cosa che non è comunqueavvenuta, visto il ritardo temporale con cuiè giunta – faccio notare che in queifrangenti, con le auto che partirono sgom-mando ad alta velocità, anche dieci se-condi di ritardo avrebbero rappresentatoun tempo enorme per poter fornire unsupporto in coda – comunque questomomento conclusivo dell’azione i motoci-clisti avrebbero potuto soltanto presu-merlo dalla cessazione degli spari, sperareche tutto fosse andato a buon fine senzail loro contributo, calcolare poi il tempodel trasbordo e arrivare con un tempismoperfetto, perché, venendo da un puntooltre l’edicola (non saprei dire dove esat-tamente), la visuale non era ottimale perseguire le dinamiche.

    Insomma, se questa moto avesse avutoun ruolo, quale sarebbe stato ? Non spara,non fa da vedetta, non fa da battistrada,non partecipa all’agguato, non protegge leBR, non viene mai individuata. Su unaventina di testimoni oculari la notanosoltanto in due e in trentasette anni nonsi sono mai fatti passi in avanti nell’ac-quisizione di maggiori conoscenze, tranneillazioni e l’ipotesi della presenza dei dueautonomi romani.

    Al riguardo voglio spiegare perché que-sta tesi, almeno per il sottoscritto, pre-senta tracce di plausibilità, ma anche quivoglio cercare di ragionare, non di per-suadere. Non voglio buttare giù dalla sellain modo arbitrario altri due potenzialicomplici per farci salire a tutti i costiBiancucci e Angelotti. I miei studi sonosempre alla ricerca della massima obiet-tività, in linea con la bontà del metodostoriografico, anche se non ho la presun-zione di focalizzarla sempre.

    Presso l’Archivio di Stato ho trovato unrapporto dei Carabinieri in cui erano pre-

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  • senti i dati anagrafici dei suddetti. Abita-vano entrambi in via Stresa, a poca di-stanza l’uno dall’altra. Alcune fonti, che ioritengo attendibili, – ma sarebbe auspica-bile farlo in forma ufficiale e definitivapresso il PRA – mi assicurano che ilfamoso Peppo nel 1978 possedesse unamoto Honda di grossa cilindrata, nonsaprei dire di quale colore. Questo po-trebbe spiegare perché nessun altro testi-mone vide il mezzo dopo aver svoltatoall’incrocio, compreso Buttazzo, che sipose all’inseguimento delle auto. Corri-sponde la moto, corrispondono gli indi-rizzi di casa. È un po’ difficile immaginareche non fossero loro.

    A maggior ragione la moto non sarebbepassata inosservata se a bordo ci fossestato un uomo con il passamontagna.Questo personaggio, che i testimoni nonvedono sparare un solo colpo – altro chesuper killer – viene notato da una testi-mone, la signora Fantasla Marcelina, nella128 bianca durante la fuga.

    Tornando alla questione che ho lasciatoin sospeso riguardo il medico Luca Mo-schini, dissento da una frase che ha fattostoria: « Una moto è stata vista prima,durante e dopo l’agguato ». Concordo sulfatto che una moto, non la moto, sia statavista prima e concordo sul fatto che lamoto sia stata vista dopo. Escludo nelmodo più assoluto che la moto, non unamoto, sia stata vista durante l’azione stra-gista. Vederla dopo non aumenta comun-que le probabilità di un suo coinvolgi-mento, anzi le riduce, come ho già com-mentato.

    Sono poi in disaccordo sul fatto che lamoto vista prima sia la stessa di quellanotata dopo l’allontanamento delle auto.Nel mio saggio non ho ritenuto congrual’operazione di accomunare la moto vistadal medico a quella avvistata da Marini eIntrevado. Mentre questi ultimi conver-gono sulla cilindrata, il colore, la marca, ladirezione di provenienza della motoci-cletta e il leggero ritardo temporale concui si affacciò in quella che fino a unattimo prima era stata una scena delcrimine, Moschini riferisce una serie didettagli in netto contrasto: diverso il colore

    (bordeaux metallizzato), diversa la cilin-drata (125, massimo 350), diversa la po-sizione (accanto al bar Olivetti), diversol’orario (prima che iniziassero a sparare).Inoltre, egli è certo che fosse una marcagiapponese, meno che si trattasse di unaHonda.

    Questa mia impostazione ha suscitatoun dibattito tra alcuni studiosi. Tuttavia,a chi legittimamente sostiene opinionidifferenti vorrei chiedere di spiegare ame, attraverso argomentazioni solide econvincenti, non supposizioni, perchéavrei dovuto optare per l’altra tesi. Nonposso associare due mezzi che in comunehanno soltanto due ruote. Il fatto cheMoschini abbia aggiunto che la moto sitrovasse accanto a due avieri per menulla toglie e nulla aggiunge, in primoluogo perché il termine « accanto » ètroppo generico – non si capisce a chedistanza fosse e se i due si fossero messicasualmente di fianco a una moto qual-siasi – e soprattutto perché accanto aidue avieri io dovrei posizionare una motodi cilindrata inferiore rispetto all’altra,ma soprattutto di colore bordeaux e nonblu. Attenzione, perché il teste specificòche era metallizzata, sintomo del fattoche il particolare cromatico lo mise benea fuoco, altro che potesse essersi confusocon il colore blu.

    Lo sforzo di associare le due moto nonsi esaurisce qui. Esiste un altro scoglioimponente, perché poi, per farla coinci-dere con quella proveniente dalla partealta di via Fani ad azione conclusa, iosarei costretto a immaginare che, a uncerto punto, la moto si fosse tolta dall’in-crocio, avesse fatto il giro mentre gli altrisparavano e fosse poi nuovamente transi-tata per l’incrocio per farsi notare, nelcaso in cui qualcuno non si fosse fin lìaccorto del suo coinvolgimento, peraltrosenza essere utile alla causa.

    Per potermi rappresentare questeproiezioni dovrei deformare il buon sensoe la logica, nonché stravolgere le parole diun testimone. Come giustifico il compor-tamento così scriteriato dei due motoci-clisti, che, mentre i complici sterminano la

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  • scorta, fanno il giro del quartiere ? Misfuggono proprio lo scopo e la funzione disupporto.

    Suppongo che la magistratura abbiaconsiderato la testimonianza di Luca Mo-schini poco rilevante, perché il teste è statosentito solo in due occasioni, una primavolta dalla polizia giudiziaria, la secondadal giudice istruttore; nella seconda occa-sione si è limitato a confermare quanto giàreso in precedenza. A differenza di Intre-vado e Marini, non fu chiamato a testimo-niare al Moro uno, ma soltanto al quin-quies, dove egli non si presentò. Il presi-dente della Corte disse che l’avrebbero ri-sentito. Tuttavia, non esiste nelladocumentazione un’altra udienza in cuicompare il suo interrogatorio e, per avernecertezza, ho chiesto al cancelliere, PaoloMusio, di fare una verifica più approfon-dita, che ha dato esito negativo.

    Se un giorno dovesse emergere unanuova realtà basata su elementi probatoritali da accomunare verosimilmente questamoto con quella transitata dopo la fugadei brigatisti, ne prenderò atto e saròpronto a rivedere le mie posizioni. Allostato attuale sono costretto a sviluppareanalisi con i dati di cui dispongo.

    Lo stesso discorso vale, più o meno,per Bruno Barbaro, il quale si limitò araccontare di aver visto una macchinascura seguita da una moto. Qui siamoproprio nel campo della massima gene-ricità. Quale metodo storiografico dovreiadottare in questa circostanza ? Dovreiforse dire che Barbaro vide la nostramoto ? Su quali basi dovrei fare que-st’associazione, visto che sono assentitutti gli elementi geografici, caratteristicidel mezzo e temporali ? A parte il fattoche poi, se avesse visto la Honda cheinteressa a noi, l’avrebbe notata al mo-mento della fuga, perché egli si trovavain via Stresa, quindi nulla toglie e nullaaggiunge a quanto già si sapeva.

    Si è anche sostenuto che la moto fossestata vista da Paolo Pistolesi, ma il figliodell’edicolante si limitò a riferire cometra gli aggressori ci fosse un individuoche indossava una specie di passamon-tagna di lana, uno di quei sottocaschi

    da motociclista che servono a ripararsidal freddo. Aggiunse che qualche giornodopo i fatti vide passare davanti alla suaedicola per tre o quattro volte nell’arcodi una mezz’ora un vespone, non unamoto, e di colore grigio, non blu. Alladomanda secca e diretta se avesse vistouna moto durante l’agguato rispose conun laconico « no ».

    Per poter affermare che la moto abbiasvolto un ruolo attivo ci vogliono altreprove che smontino la realtà documen-tale di cui ho parlato, perché l’unicaprova regina che avrebbe costituito unaghigliottina a tutti i dubbi era rappre-sentata dal tentato omicidio ai danni diAlessandro Marini, evento che non si èmai verificato.

    Nella mia ricerca, per ragioni ricondu-cibili unicamente al fatto che le informa-zioni che avevo scovato erano più chesufficienti a sostenere le tesi centrali, hodeliberatamente omesso alcune contraddi-zioni e singolarità che presentano le di-chiarazioni di Giovanni Intrevado, il poli-ziotto a cui si inceppò l’arma di ordinanza.Credo, invece, che sia utile sviscerarle inquesta sede.

    Com’è noto, della sua presenza in viaFani si ebbe notizia soltanto tre settimanedopo i tragici fatti, il 5 aprile, quando sipresentò al suo superiore per raccontaredi aver assistito agli ultimi frammentidell’evento criminoso. Naturalmente, eragià a conoscenza di notizie riguardo unamoto con funzioni operative nell’attaccoalla scorta.

    Non entrerò più di tanto nel meritodella relazione redatta dal capitano, per-ché non si tratta comunque di dichiara-zioni rese da Intrevado sotto giuramento.Faccio però notare, tornando al discorsodi Moschini, che in questo rapporto sisostiene che Intrevado si fosse accorto diuna moto ferma al centro bordo, appenavenne fermato allo stop dalla Balzerani.Io confesso che non ho capito cosa si-gnifichi « centro bordo » dalla posizionein cui era lui.

    Questo significa che probabilmentec’era un’altra moto nei dintorni, ma so-prattutto che avrebbero potuto essercene

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  • altre tre, quattro o cinque nei paraggi. Ciònon dimostra assolutamente nulla, se nonla si riesce ad associare all’altra vista dopola fuga dei brigatisti.

    Intrevado arriva al termine, quandostanno già caricando l’onorevole Morosulla 132 e dopo qualche istante vedeun’altra moto giungere dalla parte alta,perché dice che gli passò accanto mentrelui si avviava verso le auto e che si fermòa passo d’uomo per vedere meglio all’in-terno delle stesse.

    L’escalation informativa di Giovanni In-trevado è insolita. Testimonia dopo ventigiorni dall’accaduto, per ragioni che tutticonosciamo, e personalmente non glienefaccio una colpa, né metto in dubbio lasua buona fede. Tuttavia, nel primo ver-bale, sottoscritto al cospetto del sostitutoprocuratore Infelisi, il 5 aprile, stessa datadella relazione del suo superiore, sonoassenti alcuni particolari fondamentali dicui dirò.

    Il verbale contiene solo una frase ri-guardo la moto: « Mentre io, ancora stra-volto, uscivo dalla macchina e correvoverso le tre macchine ferme, mi sfrecciòvicino una moto di grossa cilindrata condue persone a bordo ». Nient’altro.

    Quattro anni dopo, all’udienza delMoro uno, aggiunse che la moto gli passòaccanto a una distanza di circa tre metri,facendo intuire che provenisse dalla partealta di via Fani, perfettamente in linea conla testimonianza di Alessandro Marini.Alla domanda del presidente Santiapichi,volta a capire se egli fosse in grado didescrivere i due potenziali assassini, ilteste rispose, lodevolmente, che quelgiorno non era interessato a questi detta-gli, bensì ai suoi colleghi, agonizzanti nelleauto, e di non poter fornire alcun ele-mento descrittivo dei due centauri, nem-meno il colore dei capelli, segno chequesta moto la vide per decimi di secondoe in uno stato d’animo in preda al terrore,come da lui stesso confermato in più diun’occasione. Difatti, non fece neanche gliidentikit. Gli vennero mostrate soltantofoto di donne perché raccontò di esserestato fermato e minacciato dalla donna inmezzo all’incrocio.

    Un testimone che non riesce a scorgerenemmeno un impercettibile dettaglio fisio-nomico di due soggetti che egli ritenneparte integrante nell’attacco, che non è ingrado di acquisire un paio di numeri ditarga perché comprensibilmente scossodalla carneficina, e la cui unica preoccu-pazione sono le condizioni di salute degliagenti di scorta come può, quattordicianni dopo – e sottolineo quattordici annidopo – all’udienza del Moro quinquies,affermare di aver notato il particolare delcaricatore che fuoriusciva dall’ascella delpasseggero ? E perché un dettaglio cosìbasilare è stato omesso nelle precedentidichiarazioni ? Vorrei porre l’accento suquest’anomalia perché è proprio da questodato, non da altri, che il teste ritenne chela moto seguisse il corteo, e lo disseapertamente al giudice Marini.

    Ma ci sono altre circostanze singolari dicui dibattere. Tra la dichiarazione del 5aprile 1978 e quella del febbraio 1996esiste un’ulteriore discrepanza degna diattenzione. In un primo momento il testesostenne che la moto gli sfrecciò accanto,mentre successivamente rilasciò questa di-chiarazione: « Quasi a passo d’uomo sisono sincerati della cosa, diciamo, che nonc’era nessuna reazione, hanno preso lastessa direzione che ha preso il corteo e sisono dileguati ».

    Questo è un altro particolare che luiaggiunge soltanto nel 1996, quattordicianni dopo. Ma allora la moto la videsfrecciargli accanto, oppure andare apasso d’uomo per sincerarsi dei corpiesanimi ?

    E ancora, se un caricatore che fuorie-sce leggermente da un’ascella rappresentaveramente un dettaglio, una minuzia a cuiprestare attenzione, e se veramente lamoto si fosse fermata nei pressi delle auto,a tre metri da lui, com’è possibile che eglinon riuscì nemmeno ad avere una visioned’insieme sulla fisionomia dei due passeg-geri – che so io – capelli corti o mori, altio bassi, magri o paffuti, con la magliettao col giubbotto ?

    In buona sostanza, dacché nel 1978 silimitò a dire al magistrato che gli erapassata accanto una moto dobbiamo at-

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  • tendere diciotto anni affinché aggiungadegli elementi che accreditino la presenzaattiva di quel mezzo nel commando ter-roristico; ma perché non riferirli nel 1982al Moro uno ?

    Le curiosità non si esauriscono qui. Se,da una parte, Intrevado aggiunge notizie inmodo progressivo, dall’altra, sempre nelperiodo compreso tra il 1994 e il 1996,Alessandro Marini è impegnato nel pro-cedimento opposto, rettificando alcune sueconvinzioni.

    Il primo cambiamento di rotta av-venne nel 1982, quando in un verbaleinedito, che ho allegato al testo dellarelazione, stranamente mai reso noto danessuno, alla domanda: « A lei chi sparò,quelli della Honda ? », l’ingegnere, dopoche per almeno quattro dichiarazionisotto giuramento aveva accusato il pas-seggero della Honda, tornò sui suoi passi,fornendo questa inaspettata risposta:« Posso ipotizzare che venisse da unadirezione piuttosto che da un’altra, daun’arma piuttosto che da un’altra. Misono trovato lì ».

    Questo documento non è singolaresoltanto per la risposta, ma anche perchéqualcuno – potrebbe forse trattarsi delpresidente della Corte o del pubblicoministero – a suo tempo, rileggendo ilverbale, sottolineò con la penna rossaalcuni brani che più di altri catturaronouna certa attenzione, compreso il pas-saggio appena riproposto. Eppure di que-sta curiosa risposta non esiste traccianemmeno nella sentenza e le autoritàgiudiziarie non ritennero, stranamente, diapplicare il principio dell’oralità del di-battimento.

    A questo primo ravvedimento del 1982ne faranno seguito altri due molto sinto-matici, proprio in quel periodo a cuifacevo cenno prima. Nel 1996 Marini negòche dal mitra di uno dei due motociclistifosse caduto un caricatore, come inveceaveva affermato in tutti i verbali redattinel 1978, e nel 1994 fornì un’ulterioreconferma del fatto che nella sua memoriasi erano affacciati bagliori di realtà diversi,dichiarando: « Adesso non sono più sicuroche uno dei due individui a bordo della

    moto Honda avesse un passamontagna, sedovessi ricostruire la scena in questo mo-mento, dovrei dire che tutti e due erano aviso scoperto ».

    Comprenderete che i due testimonihanno avuto negli anni non soltanto uncomportamento controverso, ma ancheopposto. Quando l’uno aggiungeva notizie,l’altro ridimensionava l’accaduto. Perchéquesto ? Io una mezza idea ce l’avrei, ma,trattandosi di una semplice ipotesi, pergiunta allo stato embrionale, non meritaalcuna attenzione, anche se poi, quandoiniziai l’inchiesta, contro le mie intuizioniavevo una sentenza giudiziaria e le opi-nioni di autorevoli osservatori che nei mieistudi ho preso ad esempio.

    Eppure la tesi che nega il tentatoomicidio non solo è stata corroborata datutti i documenti allegati nel saggio, maanche dalle ultime indagini della DIGOS eda una foto inequivocabile del motorinopubblicata sul sito Insorgenze. Non sonobravo io, sono le carte a essere eccezionalie a fornire il sostegno probatorio di cuinecessitiamo. Non escludo, quindi, che infuturo qualche studioso più attento di mee meno scoraggiato possa dare una rispo-sta anche al quesito precedente.

    È doveroso aprire una parentesi sulpassaggio contenuto nella sentenza rela-tivo al tentato omicidio e sulle ragioni chemi hanno spinto ad affermare che ciò chefino a qualche mese fa era considerato unpilastro giudiziario oggi non è altro che unsintomatico indicatore dell’evidente confu-sione che regnava anche all’interno delleaule di tribunale.

    Se non potessimo mettere in discus-sione le sentenze, allora non ci sarebbenemmeno la necessità di istituire nuoveCommissioni d’inchiesta e dovremmo tuttiaccettare altri pilastri processuali, come ilseguente, tratto dalla sentenza della primasezione della Corte d’assise di Roma, pre-sidente Severino Santiapichi, del 24 gen-naio 1983 (Moro uno e bis riunificati):« Non era mai stato registrato nulla di cosìanormale da lasciare intuire che qualcosastesse maturando e consigliare, quindi,maggiore prudenza. E se qualche volta ilpercorso era stato cambiato, ciò si era

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  • verificato non per ragioni di sicurezza, maper non rimanere bloccati nel traffico. Sideve, per onestà, riconoscere che quellamattina né Oreste Leonardi, né DomenicoRicci avevano messo in bilancio emergenzeda fronteggiare con la massima prontezzaed erano, quindi, persuasi di svolgere uncompito di routine fine a se stesso, tantoche non si premurarono nemmeno disistemare le armi che avevano in dota-zione a portata di mano ».

    Probabilmente l’autorità giudiziarianon aveva il sentore di ciò che avrebbecomportato negli anni a venire la sotto-valutazione di questi aspetti, perché suquella moto è stato piazzato di tutto, daiservizi segreti di qualunque nazione allacriminalità organizzata, fino ai super kil-ler. Questo è un paradosso, perché tutti isostenitori a oltranza del complotto hannosempre accusato gli organi giudiziari e gliinquirenti di aver fatto di tutto per oc-cultare la presenza di questo disegno,quando invece con quella moto l’hannosenz’altro favorito.

    Non si è poi mai tenuto conto deglielementi probatori del tutto assenti chedeterminarono quella sentenza, perché ilreato di tentato omicidio ai danni diAlessandro Marini non è un fatto accla-rato dalla magistratura, è una circostanzascritta nella sentenza direttamente daltestimone. La prima Corte d’assise hafatto passare in giudicato sostanzialmentele parziali – perché non ha tenuto contodell’udienza del 1982 – dichiarazioni diun solo testimone, in assenza di unassoluto riscontro. Il parabrezza del mo-torino non fu mai esaminato da unesperto balistico.

    Quello che nel libro io definisco « ilprimo mistero di via Fani » vanta senzadubbio un triste, tristissimo primato, chenon trova eguali sul palcoscenico dell’af-faire. È la diapositiva condita con ilmaggior numero di distorsioni e omis-sioni rispetto ai dati reali. In una rela-zione parlamentare della Commissionestragi il senatore Granelli affermò che laperizia sul famoso parabrezza avevaidentificato l’arma che aveva sparato aMarini. Nessuna indagine peritale era,

    invece, mai stata eseguita. Per quasi qua-rant’anni abbiamo cercato due centauriche avevano attentato alla vita di uncivile, quando invece si era trattato sol-tanto di una leggenda proliferata grazieanche all’accettazione acritica del pilastroprocessuale.

    È falso anche il fatto che la moto fossepresente nel quadrivio al momento dellastrage. A mistificare la realtà è intervenutoultimamente anche l’anonimo desiderosodi ripulirsi la coscienza.

    Ci sono poi i paradossi che le dichia-razioni di Intrevado e di Marini conten-gono e alcune poco convincenti conclu-sioni di alcuni consulenti della Commis-sione stragi che ritenevano di avere inmano nuovi documenti inoppugnabilisulla Honda, mentre quelli che avevo io,gli stessi, nulla aggiungevano alle dichia-razioni di Alessandro Marini del 16marzo 1978.

    Quel parabrezza era stato visionato danumerosi magistrati appartenenti alleforze dell’ordine, eppure non è mai tra-pelata la notizia che quei due pezzi diplastica non presentavano fori di proiet-tile, anche se poi, per correttezza, credoche, in questo caso, si debba concedereun alibi a queste figure istituzionali: ve-dendo quei due pezzi tenuti insieme dalloscotch, immagino abbiano pensato che ilparabrezza fosse stato diviso in due daicolpi, quando invece solo nel 1994, sedicianni dopo, Alessandro Marini dirà algiudice Antonio Marini che quello scotchl’aveva apposto prima del 16 marzo, inseguito a una caduta del motorino dalcavalletto. Certo, però, che una periziaavrebbe sgombrato il campo da ognidubbio.

    Probabilmente non sapremo mai comesia stato possibile che un senatore dellaRepubblica abbia scritto una cosa ine-satta di quella importanza in una rela-zione parlamentare. Si tratta di una no-tizia che gli è stata riferita in modomaldestro dai consulenti ? Non lo so. Sodi certo che sono state proprio determi-nate forzature che mi hanno insospettito,perché alcuni fatti storici sono irrefuta-bili e smentiscono alla radice molte teo-

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  • rie. Alcuni osservatori hanno sospettatodei periti e della magistratura perché ilcaricatore caduto dalla moto non si eramai ritrovato, senza mai porsi il dubbioche non fosse mai esistito. Lo stessoAlessandro Marini nel 1996, anche inquesto caso diciotto anni dopo, tornò suisuoi passi anche su ciò.

    Si è indagato su un libero cittadinocome Bruno Barbaro, l’uomo con la giaccacolor cammello etichettato dal teste Ma-rini come « soggetto misterioso che tenevauna paletta in mano », quando invece nonl’aveva lui, ma Intrevado, e non si sonovalutate le copiose distorsioni che presen-tavano le dichiarazioni dell’ingegner Ma-rini su tutta la faccenda.

    Allo stesso modo, non essendo statirepertati i bossoli che sarebbero statiespulsi dal mitra del passeggero dellamoto, i sostenitori delle tesi più ardite sisono affrettati a ipotizzare la presenza deiServizi, che avrebbero fatto pulizia, lacomplicità della magistratura e dei periti,senza domandarsi per quale ragione i duemotociclisti avrebbero dovuto attentarealla vita di un civile inerme, totalmenteinoffensivo, ad azione già terminata eandata a buon fine.

    Troppo affaccendati a dimostrare que-ste tesi, non hanno avuto la possibilità diconsiderare un’altra anomalia del compor-tamento di Marini, quando nel corso delprimo interrogatorio del 16 marzo, alle10.15, non fece alcun cenno al parabrezzacolpito, al fatto di essersi accucciato equant’altro, limitandosi a dire che gli ave-vano sparato addosso.

    La parte relativa al parabrezza com-pare solo venti giorni dopo, ma nel 1994,avanti il giudice Antonio Marini, il testefornì ancora un’altra versione, sostenendoche quella mattina stessa il parabrezzavenne prelevato dalla Polizia, quando in-vece soltanto nel settembre del 1978 queidue reperti vennero acquisiti da partedella DIGOS e consegnati al giudice Im-posimato il giorno successivo.

    Se si guarda sempre e soltanto in unadirezione, le informazioni genuine chevanno nell’altra non si vedono nemmenose sono a portata di mano. Io non accuso

    di nulla il signor Alessandro Marini e,come ho sottolineato nel testo, sono con-vinto della sua buona fede. Credo si siatrattato di una pura suggestione. Mi au-guro anche che non abbia alcuna riper-cussione, perché chi deve pagare per queldelitto sono altre persone, che hanno pa-gato e stanno pagando, e non un testimoneche si è trovato lì suo malgrado e ne èuscito terrorizzato. Credo, però, anche chesia giunto il momento di fare piena luce suuna vicenda offuscata per decenni, pernon proseguire in questa direzione peraltri trentasette anni.

    Noi dovevamo cercare gli assassini deicinque agenti di scorta, agenti che sonostati anche miei colleghi, avendo io svoltoil servizio di leva nei Carabinieri. Dove-vamo assicurare alla giustizia gli autori ditanti delitti e sgominare un’organizzazionearmata che ha insanguinato il nostroPaese per più di un decennio. In questadedizione non c’era alcuna necessità diricorrere a simili forzature e distorsioni inmerito al singolo episodio. Non mi riferi-sco, ovviamente, al signor Marini.

    L’opinione che mi sono fatto durante lostudio delle carte è certamente quella dellapresenza di zone grigie nella dinamica delsequestro Moro e, più in generale, all’in-terno di tutta la storia del partito armato.Tranne qualche pentito, neppure troppoeccellente rispetto ai personaggi di mag-gior calibro, i militanti delle Brigate Rossehanno sempre spiccato per reticenza esegretezza, caratteristiche che ne hannofavorito una certa longevità. Del resto, icomponenti del commando di via Fanisono stati resi noti a rate, prima sette, poinove, poi dieci. Sia nel caso di sette, chedi nove, che del quarto uomo di viaMontalcini, nessun BR ha ritenuto di do-ver rettificare il dato numerico a sostegnodi una realtà più autentica.

    Un altro indicatore significativo va rin-tracciato nel fatto che dai brigatisti delnucleo storico non ci è mai stato raccon-tato chi fosse il BR fuggito dalla cascinaSpiotta. È, quindi, plausibile che manten-gano tuttora lo stesso atteggiamento inlinea con il vademecum adottato durantela lotta armata.

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  • Essendo verosimile questa riflessione,non è tuttavia automatica l’ipotesi dicomplotto, come qualche osservatore ri-badisce da almeno tre decenni. La messain discussione della veridicità del memo-riale Morucci non dimostra la sostenibi-lità di alcuni teoremi, ma autorizza ascandagliare alcune aree sino ad oggitrascurate a causa dell’esasperata ricercadi un connubio tra il commando di viaFani e misteriosi e indefiniti apparatistatali.

    Io credo che ci voglia ben altro perinfangare le istituzioni di questo Paese.Credo che, a fronte di grandi accuse, civogliano immense prove, che sino ad oggi,se non alterate, sono sempre state assenti,sebbene abbiano indagato in questa dire-zione tre Commissioni parlamentari e unnumero imprecisato di magistrati, carabi-nieri e poliziotti. Considero assolutamentelegittimo indagare in tutte le direzioni,anche a sostegno della cospirazione, anchea fronte di sospetti e di poche intuizioni,anche sulla base di elementi scarni e pocoplausibili. Ciò che trovo inverecondo èproseguire nelle accuse avendo solo so-spetti dopo aver indagato.

    Vorrei riproporre le parole dell’onore-vole Aldo Moro, il quale, in un discorsoalle Camere, ha inserito questo illumi-nante passaggio, che dovrebbe rappresen-tare per tutti noi un momento aulico diciviltà giuridica: « Ebbene, proprio in que-sto caso, con riguardo alla posizione delsenatore Gui, del quale particolarmente mioccupo, non solo le prove non esistono, magli stessi indizi sono così labili, così arti-ficiosamente costruiti, così arbitraria-mente interpretati da ritrarne la sensa-zione amara di una decisione pregiudi-ziale. In una società democratica, come èla nostra, non si può essere irretiti esoffocati da sottili e arbitrari accosta-menti, da indizi insignificanti, ma utilizzaticon fredda determinazione ».

    Io sono fermamente convinto delle fallecontenute nel cosiddetto memoriale Mo-rucci. Del resto, è stato il capo brigatistaMario Moretti a sostenere che le cono-scenze dell’affaire avessero raggiunto unlivello molto alto, ma non definitivo. An-

    che Bonisoli nel corso del processo Me-tropoli rilasciò una dichiarazione che vasostanzialmente nella stessa direzione: « Cisono tanti compagni che potrebbero par-lare e chiarire tante cose. Non capiscocosa aspettino a farlo ».

    Personalmente sono convinto della pos-sibilità di immaginare la presenza di altribrigatisti oltre ai dieci già identificati.Ipotizzare, per esempio, che ci fosse unavedetta in grado di tenere sgombro daipassanti il lato destro della strada non èun’idea peregrina, perché dopo una pre-parazione così maniacale dell’attentato èdifficile pensare che abbiano salvaguar-dato Spiriticchio e non presidiato queltratto di marciapiede per evitare che ci siimmettessero dei passanti. Eufemia Eva-dini riesce ad arrivare a dieci metri dal-l’Alfetta. Non avrebbero mai rischiato diuccidere un civile, perché ciò avrebberappresentato una catastrofe.

    Io sono sempre più persuaso del fattoche ci fosse uno sparatore in più. Nell’ul-timo capitolo del mio saggio fornisco ele-menti su cui discutere tutti insieme.

    Sarebbe anche interessante che qual-cuno, magari della Commissione, doman-dasse a Franco Bonisoli di chiarire alcuniparticolari di una sua affermazione curiosadurante un’intervista che credo si possaascoltare su Radio Radicale, alla voce « ter-rorismo, Brigate Rosse ». Chiedo scusa senon do certezza sulla fonte perché ho ritro-vato un vecchio appunto e per motivi tec-nici dovuti al sito della radio non ho potutofare le giuste verifiche. Ad ogni modo sonocerto del contenuto delle parole.

    Il brigatista fece un esplicito riferi-mento agli inconvenienti che ebberoquella mattina, tra cui un’auto che siruppe prima della strage, costringendoli aspingere. Io immagino la scena di quattrobrigatisti a spingere una macchina eallora mi pongo la questione: di qualemacchina si tratta e come arrivarono invia Fani ? Forse si tratta di una sugge-stione, ma vorrei citare le seguenti date:la FIAT 132 blu venne rubata il 23febbraio 1978, la FIAT 128 bianca contarga diplomatica venne rubata il giorno8 marzo, il furto della FIAT 128 blu

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  • venne denunciato il 13 marzo e l’altra128 bianca, con funzione di « cancelletto »superiore, venne rubata anch’essa il 23febbraio. La Renault 4 rossa in cui venneritrovato il corpo straziato dell’onorevoleMoro venne rubata il 1o marzo 1978, inun periodo equidistante tra il furto della132 e della 128 blu da una parte e dellaFIAT 128 bianca guidata da Moretti dal-l’altra, esattamente una settimana.

    È così assurdo pensare che, al paridelle altre auto, tutte utilizzate in via Fani,anche la Renault 4 fosse stata rubata perquel tipo di operazione ? Questa macchinanon è mai stata individuata nella zonacircostante l’eccidio. Potrebbe essere l’autodi cui parla Bonisoli ?

    Avrei poi una richiesta da rivolgere alpresidente di questa Commissione, utile afar luce su un’altra vicenda, che non èlimpidissima. Vorrei domandarle, signorpresidente, se la Commissione abbia maiacquisito il verbale del colonnello D’Am-brosio, perché ci sono almeno un paio diaspetti in questa vicenda che mi danno dapensare.

    In primo luogo, l’ho cercato pressol’Archivio storico del Senato, dove è con-sultabile la documentazione della Com-missione stragi, ed è presente soltantoquello del colonnello Guglielmi, così comenon se ne riscontra traccia presso l’archi-vio della Corte d’assise. Anche il giudiceDe Ficchy, durante la sua audizione, a uncerto punto non ha più mostrato le cer-tezze iniziali sull’effettiva escussione delD’Ambrosio. Queste sono le sue parole:« Chiedo scusa. Acquisiamo questo fasci-colo e vediamo se l’ho sentito ».

    Nell’eventuale assenza di questo inter-rogatorio, da dove arriverebbero tutte lesmentite del colonnello che circolano daanni ? Se veramente D’Ambrosio avessenegato di fronte all’autorità giudiziaria lecircostanze verbalizzate da Guglielmi,avrei trovato più logico che la magistra-tura li avesse riconvocati entrambi eavesse disposto un confronto tra i due.Dobbiamo aspettarci che anche questavicenda rientri a pieno titolo nelle tantesupposizioni ?

    In questa relazione io non posso, na-turalmente, affrontare tutti i temi conte-nuti nella ricerca, ma nel testo, per chiavesse interesse, sono presenti valide ar-gomentazioni che inficiano una buonafetta di misteri e sospetti che possonosopravvivere soltanto perché non vengonomessi in relazione con la globalità delleinformazioni. Sono tipici esempi il per-corso delle auto presidenziali, la richiestadell’auto blindata, il contenuto delle borse,il sabotaggio delle linee telefoniche, ilmistero di Radio Città Futura e potreiandare avanti di questo passo.

    Per dirla con le parole del presidenteFioroni: « Andiamo a vedere cosa c’è elasciamo stare cosa non c’è ». Questa Com-missione ha la possibilità storica di met-tere un punto definitivo sui falsi misteri,ma, allo stesso tempo, di esplorare oriz-zonti più aderenti alla realtà. Il mio au-spicio, da cittadino, è che non vi lasciatesfuggire questa opportunità, perché a rin-graziarvi sarà proprio la collettività, sner-vata dalle notizie clamorose e fantasioseche spuntano come fili d’erba. Se vogliamogiocare tutti la stessa partita e indossare lastessa casacca, alla ricerca di quel pezzo opezzone di verità mancante, non dob-biamo più permettere che si deformi lastoria, specie quella sacra. L’amor di veritàdovrebbe rappresentare un valore assolutoe un pilastro del nostro ordinamento giu-ridico e sociale.

    Concludo dicendo che in data 26 otto-bre 2015 ho inviato all’onorevole Lavagnouna relazione a cui ho allegato un docu-mento inedito per quanto riguarda ilcampo della pubblicistica, un autografo diValerio Morucci rinvenuto in casa dellasua ex compagna Leonarda Faggioli, chepotrebbe contenere notizie rilevanti. Nonne ho discusso nella relazione che hoappena letto per il solo motivo che credosia già agli atti della Commissione.

    Grazie a tutti.

    PRESIDENTE. Grazie, dottor Armeni.Ha risposto a quasi tutte le domande.Quanto all’unica che ha posto lei sulverbale dell’interrogatorio di D’Ambrosio,il dottor De Ficchy, che, lo rammento a

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  • tutti noi per amore di verità, è statosottoposto dalla Commissione a una seriedi domande abbastanza ruvide, anzi anchetroppo ruvide, ci ha aiutato a trovarlo.Adesso è desecretato e lo può consultareanche lei. È agli atti della Commissione.

    Delle domande fatte ne restano fuoritre rispetto a quelle che le avevo posto. Ionon le chiedo di entrare sulla relazione diLavagno, che avremo poi modo di appro-fondire noi per quanto riguarda le vicenderelative all’area del Portico d’Ottavia oquelle di Olivetti, ma le chiedo, nell’ambitodelle sue conoscenze, della contiguità coni rappresentanti dell’alta borghesia roma-no-milanese.

    GIANREMO ARMENI. Sinceramentenon sono preparato.

    PRESIDENTE. Volevo sapere se avevaqualcosa in più.

    GIANREMO ARMENI. Infatti nella re-lazione ho messo un punto interrogativo,proprio per questo.

    PRESIDENTE. Rispetto alle modalitàdell’attentato, ossia dell’omicidio degli uo-mini della scorta e del sequestro, in basealle sue ricerche e ai suoi studi, ha rav-visato elementi di discontinuità o è statoutilizzato lo stesso schema ?

    GIANREMO ARMENI. Gli elementi didiscontinuità sono evidenti, perché nonera mai stato eseguito un sequestro diquella portata. Cambiano, ovviamente, ledinamiche, la preparazione, l’inchiesta, ilnumero di uomini approntato per farel’inchiesta, i preparativi (comprare le di-vise e i berretti e rubare le auto). Hannorubato cinque auto, se non sbaglio.

    Detto questo, io non credo che si di-scosti molto da quella che era la loroideologia e da quelli che erano i loro puntifermi, come, per esempio, come ho ricor-dato, cercare di fare l’attentato in unazona...

    PRESIDENTE. Senza terzi.

    GIANREMO ARMENI. Senza terzi.

    PRESIDENTE. Fermo restando che poisparano a casa di De Chiara.

    GIANREMO ARMENI. Sì, quello è vero,ma per impreparazione.

    PRESIDENTE. Mi sembra che ci siaqualcosa di diverso lì. C’erano tre bossolidentro, il che non era possibile con lasventagliata, che sarebbe andata in alto enon in basso. Questa è una mia conside-razione.

    GIANREMO ARMENI. L’accetto.

    PRESIDENTE. Che ruolo hanno avuto,secondo lei – do per scontata la parte dellibro in cui lei ne scrive – Casimirri eLojacono ?

    GIANREMO ARMENI. Sinceramente èla parte del « cancelletto » superiore chepiù mi dà da pensare. Innanzitutto uno deidue suppongo fosse incappucciato. Non hocertezze in questo, ma, riportando le te-stimonianze, tutti descrivono un uomoincappucciato a ridosso della 128 biancache faceva da « cancelletto ». Non lo ve-dono sparare un solo colpo. Consideratoche l’altro, quello che secondo il testeMarini somigliava a Eduardo De Filippo, amio avviso assomiglia molto a Casimirri,per esclusione, ma anche per un confrontoche ho fatto sull’altezza, l’altro mi sem-brava appunto Loiacono.

    Sono due figure misteriose, anche per-ché uno, secondo me, ha il passamontagna.In un interrogatorio del 1994 a Morucciviene chiesto: « Lei quella mattina videqualcuno col passamontagna ? ». Moruccirispose che, quando arrivò, erano tutti avolto scoperto. Se l’ha calzato in quel mo-mento... io questo non lo so. Comunque è laquestione, secondo me, più sospetta di tuttala dinamica, anche perché potrebbe essereche uno dei due abbia sparato in direzioneobliqua. Vedasi il proiettile all’incrocio.

    PRESIDENTE. Scendendo dalla 128.

    Atti Parlamentari — 15 — Camera Deputati – Senato Repubblica

    XVII LEGISLATURA — DISCUSSIONI — COMM. ALDO MORO — SEDUTA DEL 4 NOVEMBRE 2015

  • GIANREMO ARMENI. Esattamente.Anzi, vorrei precisare che nella ricostru-zione che ho fatto Lojacono era già fuori.Casimirri era all’interno, ma potrebbe es-sere sceso proprio...

    PRESIDENTE. Speriamo che, se par-liamo finalmente con Lojacono, almenoquello che ha fatto lui ce lo possa rac-contare, visto che, bontà sua, gli ergastolili ha presi e non ne ha scontato nessuno.Potrebbe non mettere in mezzo gli altri,ma magari se stesso.

    Perché, secondo lei, l’Austin Morris, aprescindere dal fatto che ciò fosse inten-zionale o no – nella nostra ricostruzioneabbiamo visto la non intenzionalità – nonimpediva un’eventuale manovra di fugadella 130 ?

    GIANREMO ARMENI. Innanzitutto ame sembra strano che dieci uomini delcommando preparino l’azione di via Fani– sono loro che devono sparare alla scorta– e poi chiedano a un servizio segreto ocomunque al titolare di un’Austin Morrisdi piazzarla lì per impedire un’eventualemanovra dell’appuntato Ricci. A questaAustin, signor presidente, si assegna unruolo dopo che si conoscono già le dina-miche. Non voglio offendere nessuno, maè un po’ come giocare la schedina dilunedì. Nessuno poteva prevedere che aibrigatisti si inceppassero i mitra. L’appun-tato Domenico Ricci riesce a fare manovrasoltanto...

    Io innanzitutto considero l’indagineassolutamente legittima, anzi do merito achi l’ha fatta. Magari l’avessi fatta io. Miè sfuggita. Dopodiché, però, devo pren-dere anche atto del fatto che l’AustinMorris non ha una posizione strategica,perché, se i mitra non si fossero incep-pati, l’appuntato Domenico Ricci nonavrebbe potuto fare manovra. Se io devochiedere l’aiuto di un servizio segreto,allora gli chiedo cortesemente di fornirmiquattro mitra funzionanti e non dei re-siduati bellici. Inoltre, dalle foto si vedeche lo spazio per fuggire c’era. A maggiorragione, l’auto avrebbe occupato una po-sizione più strategica, più a ridosso del-

    l’incrocio, perché lì avrebbe – sì – im-pedito qualsiasi tipo di fuga.

    PRESIDENTE. Lei ha parlato di RadioCittà Futura. Poiché questo è un argo-mento di cui ci siamo interessati – risultadalle varie dichiarazioni di Rossellini – haqualche elemento particolare per cui l’hacitata oppure no ?

    GIANREMO ARMENI. Sì, perché, comedicevo prima, sostengo l’importanza dellaglobalità delle informazioni. Per esempio,la documentazione pubblicata dalla primaCommissione Moro contiene – credo – treo quattro volumi quasi tutti dedicati al-l’argomento. Se si potessero leggere atten-tamente, come ho fatto io, ci si accorge-rebbe che anche lì le distorsioni sonoall’ordine del giorno.

    Per esempio, con riferimento al misteroche mancasse il nastro della registrazione,non è vero. Posta così, la questione non èvera. L’ha spiegato bene il dottor Improtaall’epoca. A Monterotondo c’era un centrodi ascolto del Ministero dell’interno, odell’UCIGOS – ora non ricordo – cheaveva l’ordine non di registrare, ma diascoltare ed eventualmente di registrare. Ilfatto che sia presente un nastro di quellamattina con la registrazione di Radio CittàFutura si spiega semplicemente perché alleore 8 la radio parlò di temi legati almondo palestinese, e i funzionari di quelcentro d’ascolto ritennero importante pro-cedere con la registrazione.

    Non è vero, quindi, che oltre a quellonon ne esistano altri, facendo intendereche manchi proprio quello che avrebbesuffragato la testimonianza della signoraGiannettino. Esiste soltanto quella perchéconteneva un ascolto di tipo strategico,ma ne esistono altri registrati in giornatediverse.

    Rileggendo il verbale della signoraGiannettino, ci si accorge che lei stavafacendo avanti e indietro con la manopoladelle frequenze alle ricerca di quelle che ildottor Improta definì « canzonette ». Nonera solita ascoltare Radio Città Futura,stava facendo il giro con la manopola. Aun certo punto raccontò di aver udito la

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  • frase che conosciamo. Se fosse stata realel’affermazione di Rossellini, l’avrebberoascoltata non soltanto altre migliaia diradioascoltatori, ma lo speaker non sisarebbe limitato a proferire quattro pa-role. Avrebbe fatto un discorso più orga-nico e nell’ambito di quel discorso orga-nico avrebbe detto: « Questa mattina ra-piscono Moro ». Nessuno ha sentito quelladichiarazione. Ad ogni modo, nei volumidella Commissione Moro che ho preceden-temente citato ci sono le risposte a tutti idubbi.

    PRESIDENTE. Do la parola ai colleghiche intendano intervenire per porre que-siti o formulare osservazioni.

    PAOLO CORSINI. Qual è la valutazioneche lei dà sull’ipotesi della presenza di unsuper killer ?

    GIANREMO ARMENI. Secondo me,non c’era. Non c’è mai stata la presenza diun super killer. Sparano non più di 90colpi, se non erro. Come diceva il presi-dente, alcuni vanno dritti nelle case degliabitanti. L’agente Iozzino riesce a usciredall’auto. L’appuntato Ricci riesce a faremanovra. Se non sbaglio, anche l’agenteZizzi è arrivato vivo in ospedale.

    GERO GRASSI. Soltanto perché non glihanno dato il colpo di grazia.

    GIANREMO ARMENI. Onorevole, ioper colpo di grazia intendo – magari sonoignorante – che è indispensabile un ulte-riore colpo d’arma da fuoco, o più colpi,per accertarsi che la persona sia morta.Non c’è stato il colpo di grazia. C’è statauna carneficina. L’agente Iozzino presentanel corpo non solo i sette colpi del mitraFNA 43 di quel famoso – non so se lei haletto il libro e, in particolare, l’ultimocapitolo, dove io lo ipotizzo – quintosparatore (io sono convinto che ci sia unquinto sparatore), ma un totale, credo, diquindici.

    GERO GRASSI. Diciassette.

    GIANREMO ARMENI. Diciassette.Esattamente.

    PRESIDENTE. In pratica, sostiene chela quantità di fuoco è tale che... Da unsuper killer ci si aspetterebbe un colpo evia.

    GIANREMO ARMENI. Esatto.

    PRESIDENTE. Come è successo perLeonardi, per cui ne sono bastati due.

    GERO GRASSI. Questa non è una do-manda, ma è per la storia. In quel discorsoche lei ha citato, Moro disse anche: « Nonci faremo processare nelle piazze ».

    GAETANO PIEPOLI. Sono circa quin-dici pagine.

    GERO GRASSI. Onorevole Piepoli, nonho capito l’osservazione.

    PRESIDENTE. Parlava della lunghezzadel discorso di Moro.

    GERO GRASSI. Ho capito. Poiché èstato citato un passaggio di Moro, per lastoria, o per la damnatio memoriae – hodetto che non è una domanda – io ag-giungo che il titolo di quell’intervento era« Non ci faremo processare nelle piazze »,perché lì ci fu un processo in Parlamento.Moro non disse quelle cose così. Ci fu unprocesso, inopportuno e sbagliato. Mororispose così e l’interessato poi fu assolto.Questo, per la storia, non c’entra nientecon l’audizione di oggi. Poiché noi siamoabituati a dimenticare la storia, lo dico ame stesso. Tutto qui.

    Detto ciò, passo alla moto. Io dicosubito che sono iscritto al partito dellamoto che c’era, nella stessa misura in cuilei è iscritto al partito della moto che nonc’era, o che non sparava.

    PRESIDENTE. Vi metteremo d’accordo,perché dimostreremo che ce ne sono duee così sarete felici tutti e due.

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  • GERO GRASSI. Io sono iscritto a que-sto partito.

    GIANREMO ARMENI. Io non ho unpartito.

    GERO GRASSI. Ognuno ha il suo par-tito, senza tessera, nel caso di specie.

    GIANREMO ARMENI. Io no. Non houn partito.

    GERO GRASSI. In Commissione c’è unautorevole rappresentante, che oggimanca, che sostiene ironicamente che iofossi uno dei due guidatori della moto. Ilsuo partito della moto che non c’è equivaleal mio che c’è.

    Faccio questa premessa per dirle...

    GIANREMO ARMENI. Chiedo scusa,ma io non ho un partito sulla moto. Ioleggo le carte e quello che viene fuori...

    GERO GRASSI. Anch’io leggo le carte enon ho un partito, esattamente come lelegge lei.

    Attenzione, però: la moto non è stret-tamente da mettere in relazione con leBrigate Rosse. Non si evince da nessunaparte che la moto sia correlata alle BrigateRosse, anzi si evince in molti interrogatorie in molti atti giudiziari che la moto èsconnessa dalle Brigate Rosse, nel sensoche le Brigate Rosse non hanno mai fattoriferimento alla presenza della moto. Daciò si potrebbe evincere che la moto nonsia correlata alle Brigate Rosse, ma puòessere un soggetto terzo rispetto alle stesseBrigate Rosse.

    GIANREMO ARMENI. Con funzioneoperativa ? È importante.

    GERO GRASSI. Questo lasciamolo sta-bilire agli atti. Noi oggi non possiamo inalcun modo correlare le due cose, ma dellamoto ne parla per primo l’equipaggio dellaprima volante, che dice: « Auto in fugaseguita da una moto Honda blu ».

    GIANREMO ARMENI. Sì, ma glielodice Marini.

    GERO GRASSI. Un attimo, dottore. Leiha parlato un’ora.

    GIANREMO ARMENI. Chiedo scusa,ma non lo dice...

    GERO GRASSI. Tenga presente che quile domande le facciamo noi. Mi dia lapossibilità di parlare non un’ora, ma diecisecondi.

    GIANREMO ARMENI. Sto in silenzio.

    GERO GRASSI. Dell’auto in fuga edella moto Honda è l’equipaggio dellavolante che parla, in primo luogo.

    In secondo luogo, noi abbiamo ladichiarazione del vigile del fuoco Leo-nardo che in via Gradoli, quando sta sulbalcone, parla di un’altra moto Honda, dicolore diverso da quella di via Fani.Ricordiamocelo, perché Leonardo diceche, a un certo punto, mentre sta en-trando dal balcone...

    PRESIDENTE. Anche i due col cascoche vivevano a via Gradoli arrivavano conmoto di grossa cilindrata.

    GERO GRASSI. A un certo puntoquella moto fece inversione a U in unazona a senso unico e scomparve.

    Perché io dico questo ? Perché è veroche c’è anche un magistrato che ha dettoqui, e che lo dice anche nella presenta-zione di libri, che io devo dimostrare lapresenza della moto Honda – lo diceinopportunamente – ma della motoHonda noi abbiamo cognizione perché, perquello che può valere, e fino a provacontraria per me vale, in una sentenza ipartecipanti all’agguato di via Fani furonocondannati anche, in concorso con i duedella moto Honda, per il tentato omicidiodell’ingegner Marini. Sentenza di Marinivengono condannati all’ergastolo anche idue della moto Honda. Lasciamo stare se

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  • hanno sparato o meno, questo ci interessapoco, ma quella sentenza ci dice che lamoto c’è.

    Sui colpi io sarei un tantino più pru-dente, perché Franceschini, che non c’era,ovviamente, in via Fani, ci dice che iquattro poliziotti e carabinieri hanno su-bìto un colpo di grazia ed esclude Zizzi,quello che muore al Policlinico un’oradopo.

    Anche qui c’è un particolare da ricor-dare. Non le faccio una domanda e non mipuò rispondere. Zizzi è l’unico che non hamai lavorato con Moro e che quel giornolavora per il primo giorno. Franceschinispiega il colpo di grazia e, quindi, la mancataesecuzione di Zizzi con il fatto – dice Fran-ceschini – che il maresciallo Leonardi e glialtri avrebbero riconosciuto chi sparava.

    Dopodiché, e concludo, c’è un’audizionedi un vigile notturno che la mattina del 16marzo 1978 alle 6.30 passò sotto via delForte Trionfale 79 e che, udito nella primafase del rapimento, dice: « Io sono passatoda via del Forte Trionfale alle 6.30 dimattina e ho visto la giardinetta di Mo-retti. Con Moretti c’erano tre persone chenon mi sembravano riconducibili ai visidei brigatisti accertati in via Fani. Horiconosciuto la macchina di Moretti per-ché sulla portiera sinistra aveva un segnoparticolare ». La macchina di Moretti la-sciata in via Fani aveva questo segnoparticolare sulla portiera sinistra.

    Questo episodio ci potrebbe lasciar inten-dere che Moretti la mattina del 16 marzo siaandato a controllare sotto la casa di Moro setutto era a posto. Sarebbe interessante ca-pire e sapere chi fossero quelle tre persone,visto che il testimone dice di non averle rico-nosciute nei brigatisti. Lo dice il testimone.Io non c’ero.

    Queste cose, che non sono un contrad-dittorio con lei, ci dovrebbero indurre adavere un approccio maggiormente pru-dente, perché è chiaro che le diverseangolazioni dalle quali noi vediamo lostesso episodio possono indurci in unerrore. Personalmente, leggendo esatta-mente gli stessi atti che ha letto lei, io nondico che la moto sia un fantasma.

    GIANREMO ARMENI. Neanche io.

    GERO GRASSI. Non lo dico. Io nonsono in grado di accertare giudiziaria-mente se dalla moto qualcuno abbia spa-rato, ma nel contesto generale del casoMoro, o dell’affaire Moro, perché mi piacedi più la tesi sciasciana, la moto c’è e,guarda caso, della stessa marca c’è piùvolte. Ciò mi suggerisce una domandastrana: a lei e a me è impossibile farequesto, ma nel 1978 o nel 1979 nonsarebbe stato difficile a qualcuno accer-tare se in taluni settori della pubblicaamministrazione ci fossero delle motoHonda a disposizione. Questo lei sa be-nissimo, come me, che non è mai statoaccertato.

    GIANREMO ARMENI. Posso rispon-dere ?

    PRESIDENTE. Raccogliamo prima ledomande e poi risponderà.

    FABIO LAVAGNO. Faccio alcune con-siderazioni generali. Non torno sulle que-stioni appena trattate. Io non appartengoné al partito della moto, né al partito dellanon moto. Credo che questo non ci aiutimolto nella discussione.

    Mi preme segnalare che, quando noifacemmo una seduta serale e ascoltammogli esiti dei rilievi della polizia scientifica,nella Sala del Mappamondo, più di uno dinoi, tra coloro che avevano letto il saggiodel dottor Armeni, constatò una certacorrispondenza tra le tesi sostenute daldottor Armeni e quello che ci venivadescritto. Ricordo in maniera piuttostochiara il senatore Fornaro, non foss’altroperché era seduto vicino a me in quel-l’occasione, dire proprio: « Questa stessatesi è sostenuta da Armeni in Questifantasmi ». Lo segnalo perché mi sembraabbastanza rilevante in uno studio seriocome questo.

    GERO GRASSI. Ti riferisci a quellodella DIGOS ?

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  • FABIO LAVAGNO. Sì, a quello dellaDIGOS. Ricordo che forse eravamo in unadelle parti secretate.

    GERO GRASSI. Io e Fornaro l’abbiamosmontata tutta quella tesi.

    FABIO LAVAGNO. Segnalo solo chec’era una certa attinenza tra quello che cidice la DIGOS, che io ritengo essere og-gettivo, e quello che il dottor Armeniscrive nel suo libro. Che poi l’onorevoleGrassi e il senatore Fornaro abbiano tesidifferenti e contrastanti con quel rilievocredo sia agli atti e che non ci sia bisognodi discuterne.

    Mi collego, a questo punto, a unadelle ultime cose dette dall’onorevoleGrassi. Egli suggerisce di verificare separti dell’amministrazione statale aves-sero a disposizione delle moto, magaridelle moto Honda, e di che colore. Iosegnalo che avevo già richiesto in audi-zione, e poi ho fatto pervenire la richie-sta per iscritto, di verificare se Biancuccie Angelotti possedessero una moto. Se èplausibile la tesi dell’onorevole Grassi, misembra ancor più plausibile quella delcollegamento con personaggi appartenentiall’area dell’Autonomia romana che vive-vano in via Stresa. Potremmo verificarequesto, cosa che mi risulta non essereancora stata fatta lungo questi anni. Misembra un po’ più facile che gente cherientrava a casa si trovasse, suo mal-grado, in un contesto tanto tragico comequello di via Fani in quel momento.

    Faccio un altro rilievo, visto che si èfatto cenno alla relazione che mi è statainoltrata dal dottor Armeni un paio disettimane fa, che io ho consegnato allaCommissione. Invito i colleghi a leggerlaperché è di un certo interesse e di unacerta rilevanza riguardo alla figura diMorucci.

    Segnalo che in questa relazione il dot-tor Armeni fa riferimento a una conti-guità, o a una conoscenza degli ambientidi via Fani e limitrofi, in anni ben pre-cedenti rispetto al rapimento. Ci torneròdopo. Un’altra parte è quella a cui ilpresidente all’inizio ha fatto riferimento,

    ossia a una più generica collusione osimpatia di ambienti altolocati borghesiromani nei confronti di alcuni esponentidella lotta armata in generale.

    Su questo tema io segnalo un passaggio,e lo pongo come domanda. Io immagino –mi può rispondere immediatamente conun « sì » o con un « no » – che il mano-scritto di Morucci, quello con la cartinadella zona del Portico d’Ottavia, abbiadestato un certo interesse perché conte-neva un nome in particolare e che il nomesia Olivetti. Me lo conferma ?

    GIANREMO ARMENI. Sì.

    FABIO LAVAGNO. Olivetti noi tutti locolleghiamo al bar Olivetti. Io, invece,segnalo alla Commissione che esiste unarelazione dei Carabinieri, se non sbagliodel 1998, in cui Olivetti è, invece, RobertoOlivetti, figlio di Adriano, capitano d’in-dustria. In quella relazione esistono altrinomi di un certo rilievo, come LuisaSpagnoli e il regista Sergio Corbucci. Inmerito io invito anche il dottor Armeni aindagare magari in maniera più approfon-dita e non sulla suggestione del bar Oli-vetti, ma su un ambiente ben chiaro e benpreciso.

    La domanda che mi interessa porre èsu una questione che non abbiamo evi-denziato in questa fase. Si suppone nellarelazione che lei mi ha mandato unacerta attinenza... Vorrei sapere quali fattiinducono a ritenere che Morucci, inbuona sostanza, conoscesse, praticasse ofrequentasse le zone limitrofe a via Faniin anni precedenti rispetto al 1978. Que-sto è un fatto abbastanza interessante,secondo me, riguardo a come si costrui-scano la colonna romana e anche a undato ambiente, e a come questo ambientedialoghi o abbia un rapporto abbastanzacomplesso con la direzione più generaledelle Brigate Rosse.

    Io credo che, visto che lei è studiosoattento, che va a leggere le carte e fre-quenta gli archivi, forse questa sia la sedeopportuna per farle un invito: se lei ha unterzo, un quarto o un quinto elemento chesta sottoponendo a indagine, forse vale la

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  • pena che ce lo dica in questa sede, inmodo che evitiamo di andare a rincorrerenotizie di pubblicistica che, ovviamente,seguono legittimamente il loro corso. Vistoche questa è una Commissione d’inchiesta,sarebbe bene sapere se esistono altre pisted’indagine che lei sta seguendo.

    MIGUEL GOTOR. Intervengo su duequestioni.

    Quanto alla prima, vorrei provare asintetizzare le ragioni che militano a fa-vore della presenza di una moto, o di piùmoto, in via Fani la mattina del 16 marzo.La prima è una sentenza della magistra-tura passata in giudicato. Si presume chedei magistrati, nel formulare una sentenzacon delle condanne, abbiano avuto la pos-sibilità di accedere a documenti, di ascol-tare testimoni e di farsi un convincimentoche ha superato i diversi vagli processuali.La sentenza lascia aperta un’enorme que-stione: ci sarebbero due condannati pre-senti, secondo questa sentenza, sullo sce-nario dell’agguato di via Fani che a tut-t’oggi sono sottratti alla giustizia.

    Passo alla seconda questione. Non ri-cordo con esattezza il numero, perchésono passati tanti anni da quando mi sonoconcentrato su queste cose, ma direi chenon sono lontano dal vero se affermo checi sono due o tre testimoni oculari che, inmomenti diversi e in situazioni diverse,hanno testimoniato di aver visto quellamotocicletta, persone che si sono trovate lìquella mattina il 16 marzo.

    C’è poi una terza ragione, direi, ossiala deposizione dell’ingegner Marini. Èvero che il dottor Armeni ne fa un’analisimolto interessante sul piano anche dellametodologia storica e di come le fontigiudiziarie debbano essere trattate congrande cautela. È vero che le deposizionidi Alessandro Marini subiscono nel corsodei mesi o degli anni delle variazioni,impercettibili o grandi, che Armeni conperizia passa a vaglio critico. Tuttavia, iomi sentirei di dire che la sostanza delledeposizioni di Alessandro Marini nonnega il fatto che egli abbia percepito diessere stato oggetto di una raffica dimitra e anche che si assuma la respon-

    sabilità, in mesi e in anni molto difficilie pericolosi, di fornire un identikit di unadelle due persone sedute su questa moto.Fornì, infatti, l’identikit di una figura checorrispondeva al volto, allora estrema-mente noto e caratteristico, di EduardoDe Filippo.

    C’è poi un quarto aspetto. Marini èstato oggetto di minacce telefoniche ano-nime reiterate negli anni. Io direi che sonoqueste le ragioni che fanno pensare chequella moto, o più moto, fossero presentisullo scenario.

    Io chiederei – non ricordo com’è lasituazione – di audire l’ingegner Alessan-dro Marini per sentire la sua voce.

    Registro, inoltre, che una delle acqui-sizioni nuove, secondo me, di questa Com-missione, acquisizioni che vengono pub-blicate negli stessi giorni, o forse nellostesso mese, in cui esce anche il libro deldottor Armeni, è il fatto che effettiva-mente, grazie a una foto, noi siamo ingrado con certezza di dire che non è vero,cioè che è falso, che il parabrezza delsignor Alessandro Marini sia stato attintoda colpi di mitra. Ciò si vede visibilmentein quella foto.

    Certo, sorprende che siano dovuti pas-sare trentasette anni perché un elementocosì semplice sia stato preso in conside-razione. Non solo effettivamente unoscotch teneva insieme il parabrezza, aconfermare ciò che Marini aveva detto,cioè che quel parabrezza era rotto e chelui lo teneva insieme con uno scotch, masi vede anche il motorino parcheggiato,integro.

    Poiché io ho il vago ricordo che neiverbali quel parabrezza sia percepito comerotto...

    PRESIDENTE. Qualcuno l’ha rotto disicuro, perché dalla polizia scientificaviene acquisito spaccato in due.

    MIGUEL GOTOR. Ho questo ricordoanch’io. Mi dovete scusare, ma sono pas-sati 8-9 anni da quando ho visto questidocumenti. Non dobbiamo escludere l’ipo-tesi più semplice, cioè che quel para-brezza, che era già rotto e letteralmente

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  • tenuto insieme con dello scotch, nel mo-mento in cui è stato trasportato o inquestura, o nel garage della questura, odovunque fosse, ed è stato messo sulcavalletto, possa essersi rotto. Secondo me,è importante dare per definitivo che nonè vero che Marini sia stato colpito.

    Motivazioni anche di carattere psico-logico, nervoso, neuropsichiatrico –stiamo parlando di un uomo che hasubìto un trauma gravissimo e indimen-ticabile – possono spiegare questa suadéfaillance nel ricordo. Tuttavia, da qui adire che allora la moto non c’era, se-condo me, c’è un salto logico che do-vrebbe essere meglio indagato.

    Io registro piuttosto, a distanza di tren-tasette anni dalla vicenda, che c’è unagrande volontà o di negare la presenzadella moto, o di metterci sopra un morto.Questo mi sentirei di dirlo: meglio unmorto che appartiene ai servizi segreti,italiani o stranieri non importa. O c’è unatendenza negazionista, cioè quel fatto ènegato in radice, e poi si sviluppano cen-tinaia di ragionamenti, che possono por-tare a negare questo fatto, oppure ci simette un morto sopra.

    Secondo me, la verità è più semplice.Evidentemente poi è difficile chiarirla,perché le implicazioni sono grandi. Sitratterebbe di capire chi c’era lì sopra.Probabilmente la grande reticenza daparte delle Brigate Rosse su questo tema– alle origini del negazionismo sulla motoci sono testimonianze sia di Morucci sia diMoretti, i quali hanno sempre negato que-sta esistenza alla radice – dipende dalfatto che capire chi stava sopra quellamoto probabilmente indurrebbe ad avereun’idea diversa delle dinamiche di funzio-namento e di organizzazione delle BrigateRosse e del ruolo delle Brigate Rosse nelcosiddetto partito armato.

    Questo è un primo punto. Anch’io lometto agli atti. Bisogna continuare a in-dagare e a tenere acceso il fuoco dell’at-tenzione.

    La seconda questione riguarda Olivetti.Io ho avuto modo di leggere la relazioneche è stata inviata dal dottor Armeniall’onorevole Lavagno. Anch’io vorrei

    sgombrare immediatamente il campo dallasuggestione che ci possa essere un rap-porto di identità, di conoscenza o di pa-rentela tra il Tullio Olivetti gestore del barOlivetti e il Roberto Olivetti figlio diAdriano Olivetti. Uno è umbro e l’altro èpiemontese di Ivrea. Sono proprio storiediverse.

    Quel documento è del 1973. Provo adare una spiegazione. È un documentoeffettivamente interessante perché concen-tra una serie di rapporti. In quel docu-mento del 1973 noi abbiamo un nome,quello dello scrittore Goffredo Parise, cheriporta allo scenario di via Fani, perchéabitava in via della Camilluccia, a qualchecentinaio di metri.

    PRESIDENTE. Al numero civico 201;conviveva con una signora che si chiamavaFioroni.

    MIGUEL GOTOR. C’è effettivamenteuno schizzo della zona del Portico d’Ot-tavia e, quindi, c’è la suggestione che lavicenda iniziale e la vicenda finale delsequestro Moro siano condensate in quel-l’appunto del 1973. Inoltre, tutte le per-sone citate, che sono effettivamente del-l’alta borghesia romana e italiana, hannoa che fare con il mondo dell’arte. Sonocollezionisti, appassionati, commercianti.

    PRESIDENTE. Con alcune acquisizioniproletarie...

    MIGUEL GOTOR. Vengo al punto. Nel1973 Potere Operaio – questo è pubblicoe notorio – si finanziava (facendosi rega-lare, estorcendo, rubando, i limiti sonodifficili da definire) con il mercato del-l’arte. È vero che c’erano fior di artisti –penso a Schifano – che regalavano le loroopere. Quelle opere servivano a finanziarele attività di Potere Operaio.

    Io ho l’impressione, ma non vorreiessere minimalista, che quell’appunto del1973 sia relativo a quella stagione. Con-tiene i nomi di una decina di persone chea Roma bazzicano ad alto livello nelmondo dell’arte e che si possono contat-tare per fare scambi, per rubare loro, pervendere e comprare.

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  • Magari – concludo con una suggestione– sarebbe interessante tirare questo filoper scoprire se abbia a che vedere, e inche misura, con Toni Chichiarelli, il fal-sario d’arte, uno dei protagonisti di questastoria, che in quegli anni bazzicava a suavolta quello stesso mondo e si muoveva tracriminalità organizzata e contatti con chipoi quelle opere le vendeva, le rivendeva ele ricomprava. Questo si potrebbe fare, maè soltanto una suggestione.

    FABIO LAVAGNO. Sarò brevissimo,presidente. Intervengo solo in risposta alsenatore Gotor. È vero che l’humus co-mune, il minimo comune denominatoretra tutti questi personaggi è quello delmondo dell’arte e del collezionismo, maalcuni personaggi qualche legame conl’eversione, con il terrorismo e con la lottaarmata in generale ce l’hanno, e in ma-niera anche evidente. Cito solo il tesserinodi Corbucci trovato nella tipografia Triaca.Alcuni elementi sono altrettanto veri.

    Torno solo un attimo sulla moto, nonper gettare nuovamente benzina sul fuocosu questo elemento. A me non interessamolto sapere se la moto ci fosse o non cifosse, quanto la sua funzione. Io credo chepotessero essercene una, due, tre o nes-suna, ma l’importante ai fini della nostraindagine è capire la funzione che ebbequella moto. Credo che questo dovrebbeinteressare tutti. Una volta capita la fun-zione, poi possiamo interrogarci su chic’era, chi non c’era e chi la guidava o seandava da sola.

    PRESIDENTE. Prima di dare la parolaal dottor Armeni per alcune rapide rispo-ste, io condivido l’opinione che dovremmoprima individuare se le moto c’erano, perquanto possibile, e poi capire a che cosasiano servite.

    Senza inficiare le riflessioni del dottorArmeni e degli onorevoli Grassi, Lavagnoe Gotor, ricordo che la lettura delle di-chiarazioni dei soggetti auditi offre unospaccato un po’ più coerente e persistentedi quello dell’ingegner Marini, ma che nonè assolutamente sovrapponibile, sia per ilverso, sia per la descrizione.

    Se un teste descrive che uno porta ilfermacapelli in testa, lo chiama anche conil nome giusto, che io nella mia ignoranzanon so dire, e descrive il modo in cui eraportato un mitra e il modo in cui eraportato un altro, può essere tutto e ilcontrario di tutto, ma io credo che noi,ancora prima di capire a che cosa serva lamoto – non so se ci arriveremo – dob-biamo finire di mettere le dichiarazioni aconfronto. Se la moto c’era, non era una.

    Il « se c’era » è dovuto al fatto che, perquanto mi riguarda, io leggo solo le carte.Non abbiamo la possibilità di fare altro.

    Perché fare questo ? Perché è come ilrullino di Infelisi. Noi abbiamo parlatosempre di uno, ma sicuramente sono tre ec’è un dubbio sul quarto. Teniamo pre-sente che noi siamo riusciti a interrogarepersone che non erano state mai interro-gate e che anche a trentasette anni didistanza ricordano alcune cose. Questonon vuol dire che noi abbiamo scopertol’uovo di Colombo o l’acqua calda, me lodico da solo, ma, per precisione, le dichia-razioni, così com’erano e come sono, ciconsegnano questo.

    Poi c’è domandarci perché, come e chifossero. Io mi accontento di fermarmi allaprima domanda. Ciò che esiste di regi-strato evidenzia che i testi vedono duecose diverse, per quanto riguarda la moto,e ci sono rullini diversi, per quanto ri-guarda i rullini. Il di più lo vedremo.Siamo ancora all