Regioni&Ambiente luglio 2010

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periodico Omologato Free Service Edizioni - Falconara M. (AN) - Rivista Mensile di Informazione e Aggiornamento di Cultura Ambientale - Poste Italiane s.p.a. - spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Ancona n° 7 LUGLIO 2010 Anno XI 7,00

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rivista di informazione e aggiornamento

Transcript of Regioni&Ambiente luglio 2010

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Aggiornato al 07/06/2010

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Punteruolo rosso delle palme (Rhinchophorus ferrugineus)il coleottero che sta uccidendo migliaia di palme in Italia

6 CAMBIAMENTI CLIMATICI

Climate Change Talks (Bonn, 31 maggio -11 giugno 2010)Yvo de Boer commina ai negoziatori un “cartellino giallo”Ma la prossima partita, probabilmente ai supplementari,sarà diretta da Christiana Figures

9Comunicazione della Commissione UE sulleopzioni per portare oltre il 20% la riduzione delle quoteAncora divisioni sui limiti della CO2Ma dal Consiglio Ambiente via libera percondurre analisi più dettagliate sulle possibili opzioniper un taglio del 30%, nonostante l’Italia

12Hartwell Paper “Una nuova direzione perla politica climatica dopo il disastro del 2009”Nessun accordo sul clima senza il basso costo dell’energia verdePer gli autori un nuovo Protocollo post-Kyotosulle emissioni di gas serra è destinanta al fallimento

16Un Rapporto indica nuove idee per la diplomazia climatica“Incentivare l’azione, sanzionare l’inerzia”L’Europa deve essere pronta ad assumere la leadershipanche se i politici non vi intravedono consenso elettorale e visibilità

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20 MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Rimini, 8-11 giugno 2010PACKOLOGY: ha centrato gli obiettivi prefissati

22Ferrara, 21-23 settembre 2010REMTECH EXPO 2010

24 INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Presentato il 1° Rapporto sul contrasto all’illegalità ambientaleIn Italia un illecito ambientale ogni 43 minuti

26Pubblicati dall’UNEP due Report sulle scorte e il riciclaggio dei metalliGreen Economy a rischio per l’indisponibilità di metalli rari

30Pubblicato il Rapporto inventario 2010 dell’AEAEmissioni di gas serra dell’UE: Kyoto è più vicino!Diminuiscono anche in Italia, ma non abbastanza

34Presentate le attività e i risultatidegli studi del CNR sui rischi naturaliLe Regioni Italiane a maggior rischio di frane e alluvioniSecondo il NDRI l’Italia, assieme aFrancia e Spagna, tra le nazioni europee più esposte

36 ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

Messo on line dal Ministero dello Sviluppo EconomicoPiano Nazionale per le energie rinnovabiliDa FER il 29% di energia elettrica

40 EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Presentato a Terra Futura 2010 ilManifesto sul futuro dei Sistemi di conoscenzaIntegrare sapere scientifico e sapere tradizionaleLa mancanza di un sapere olistico alla base delle attuali crisi

43Dal 1° giugno 2010 sono entrate in vigorele norme del “Regolamento del Mediterraneo”La Paranza: per la sostenibilitàmeglio la “danza” che la “frittura”Senza Piani di gestione nazionalidi pesca non saranno possibili deroghe

46Rapporto ISTAT “La situazione del Paese nel 2009”Per la prima volta si tenta di incrociare l’economia con l’ecologiaIl miglioramento dell’efficienza energetica ed ecologicanon procede a ritmi necessari perassicurare la sostenibilità ambientale

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50 QUALITÀ E AMBIENTE

Presentata la Guida Blu 2010 di Legambiente e TCILe “5 Vele” sono diventate 14

52Adottata dalla Commissione UE una Comunicazionel’UE raccomanda la raccolta differenziata dei rifiuti organiciIn Italia, sistemi efficienti solo “in alcune Regioni”

54 BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE

Una rete informativa per prevenire e contrastare le IASSpecie aliene: “sottoprodotto indesiderato della globalizzazione”Benessere e densità di popolazionele favoriscono più dei cambiamenti climatici

58 UNO SPAZIO DEDICATO A...

Regione MarchePre waste: un Progetto europeo per ridurre la produzione dei rifiuti

a cura di Regione MarcheGiunta Regionale - Servizio Ambiente e Paesaggio

60Comune di Santa Luce (PI)L’efficienza energetica dei piccoli borghiIntervista al Sindaco, Federico Pennesi

di Alberto Piastrellini

62 A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

La Green Economy in agricoltura:una frontiera avanzata per la valorizzazione del Made in Italy

di Maria Adele Prosperoni

64La Commisione UE ha adottato un PacchettoBiocarburanti sostenibiliMa è meglio passare quanto prima a quelli di 2a e 3a generazione

68 AMBIENTE E ARTE

Disastro nel Golfo del MessicoLa BP si affida a Kevin CostnerIl popolare attore ambientalista ha investito 24 milionidi dollari in una tecnologia per ripulire la marea nera

70 AGENDA 21

Contabilità, quando il bilancio è ambientaleIl Coordinamento delle Agende 21 locali italiane ha realizzatoun’indagine che prende in esame l’esperienza di oltre 100 enti locali

di Elisabetta Mutto Accordi

72 €CO-FINANZIAMENTI

74 I QUESITI DEL LETTORE

74 AGENDA - Eventi e Fiere

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AMBIENTE ABRUZZO NEWS

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CAMBIAMENTI CLIMATICI

“Un grande passo in avanti è ora possibile a Cancún nella forma di un pacchetto completo di servizi operativi in grado di consentire ai Paesi di assumere iniziative più tempestive ed incisive in tutti i settori dei cambiamenti climatici”.Queste parole espresse dal Segretario esecutivo uscente dell’UNFCCC Yvo de Boer, che dal 1° luglio sarà sostituito da Christiana Figueres del Costa Rica, nel corso della Con-ferenza stampa a conclusione dei Climate Change Talks di Bonn (31 maggio - 11 giugno 2010), non sembrano corri-spondere al clima di aperto disaccordo che si è evidenziato sul testo predisposto dal Presidente della X Sessione del Gruppo di Lavoro sulle azioni di cooperazione a lungo termine (AWG-LCA) nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).

Riassumendo le posizioni emerse durante le discussioni in-tervenute, il 10 giugno Margaret Mukahanana-Sangarwe (Zimbabwe) aveva presentato un testo di compromesso su tutti i temi principali di un trattato globale che, nell’intenzione della Presidente AWG-LCA, avrebbe dovuto colmare le prin-cipali divergenze esistenti tra Paesi ricchi e poveri e costituire la base della prossima sessione dei Climate Talks, previsti dal 2 al 6 agosto 2010, sempre all’Hotel Maritime di Bonn.

Nel testo si affermava che i Paesi industrializzati si impegna-vano a ridurre tra il 25 e il 40% entro il 2020 le emissioni di gas serra, senza però indicare su quale anno di riferimento si dovesse operare: i Paesi in via di sviluppo ritengono che la baseline debba essere riferita al 1990 e gli Stati Uniti, assieme ad altri Paesi industrializzati, sostengono il 2005.

Quel che ha pesato di più sul dissenso espresso dei Paesi in via di sviluppo al testo predisposto è stata la mancanza di ogni rife-rimento al Protocollo di Kyoto, che prevede impegni vincolanti e che gli USA vorrebbero fosse sostituito con un altro accordo.I delegati dell’America Latina, in particolare, hanno os-servato che il testo è appiattito sul Copenhagen Accord (cfr.: “Le Major Countries dettano le condizioni”, in Regioni&Ambiente n. 1-2 gennaio-febbraio 2 010, pag. 6 e segg.) del quale l’UNFCCC aveva solamente “preso nota”.Anche i Paesi africani si sono sollevati, guidati dal rap-presentante del Sudafrica che ha osservato che “il testo si concentra troppo sulla riduzione delle emissioni da parte dei Paesi in via di sviluppo”.Neppure gli USA sono stati entusiasti, se il loro capo Dele-gazione ha dichiarato: “pensavamo che il testo di Margaret avesse per scopo l’obiettivo di suscitare pareri per poi stenderne

Ma la prossima partita, probabilmente ai supplementari, sarà diretta da Christiana Figures

Climate Change Talks (Bonn, 31 maggio -11 giugno 2010)

YVO DE BOER COMMINA AINEGOZIATORI UN “CARTELLINO GIALLO”

Il Diretttore esecutivo dell’UNFCCC, Yvo de Boer, si è presentato alla Conferenza stampa finale indossando la maglia della Nazionale di calcio Sudafricana

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un altro formale di negoziazione”.Di certo, anche per i negoziatori statunitensi il compito non è facile, stante l’andamento altalenante, comunque al ribasso, dell’iter del Climate Bill al Senato americano, che non per-mette di assumere posizioni chiare e, al contempo, ingenera un clima di sfiducia.La Presidente AWG-LCA dovrà riscrivere, quindi, il documen-to che sarà discusso nella prossima sessione di lavori.

A far aumentare le tensioni, ci si eran messi pure i Paesi petroliferi della penisola Arabica che, molto probabilmente preoccupati per le negative ripercussioni che la “marea nera” del Golfo del Messico potrebbero provocare sull’industria del petrolio, hanno impedito che venisse incluso nei documenti di lavoro, come chiesto dai piccoli Stati insulari dell’AOSIS (Association Of Small Island States), uno Studio che evidenzia i gravi rischi incombenti sulle loro popolazioni, già con un au-mento della temperatura di 1,5 °C entro la fine del secolo.Raccontava Giorgio Ruffolo in un articolo apparso su La Repubblica nel febbraio 2007 che, in occasione della 1^ Conferenza Mondiale sui Cambiamenti Climatici nel corso della quale era in discussione il 1° Rapporto UNFCCC curato dall’IPCC, egli, quale Presidente del Consiglio Ambiente dell’UE, avendo l’Italia la Presidenza del Consiglio dell’Unio-ne europea, ne presiedeva la seduta.Durante un acceso dibattito in merito alla necessità di limita-re l’aumento delle temperature globali, il delegato dell’Arabia Saudita, per sminuire la portata delle conseguenze, dichiarò che al massimo l’innalzamento degli oceani avrebbe pro-vocato, “se e quando si fosse verificato”, la sommersione di qualche isoletta del Pacifico.Un altro delegato, intervendo di seguito, chiese al Presidente di voler comunicare all’Assemblea che una di quelle isolette era il Paese che lui stava rappresentando.Stupisce che a vent’anni di distanza, nonostante i nefasti impatti che i cambiamenti climatici stanno già provocando nei Paesi poveri e, quindi, più vulnerabili, non sia venuta meno l’arroganza di altri Paesi che si sono arricchiti con l’estrazione del petrolio e che, peraltro, stanno investendo in tutto il mondo le royalties che ne sono derivate nelle tecnologie pulite e nelle fonti rinnovabili.

L’episodio ha destato sorpresa anche alla luce del fatto che, sempre a Bonn, nessuno ha posto il veto alla diffusione dello Studio del Potsdam Institute for Climate Impacts Research che evidenzia l’impossibilità che le proposte di riduzione delle emissioni quali definite dalle Parti entro il 31 gennaio, come previsto dall’Accordo di Copenhagen, raggiungano l’obiettivo di ridurre di 2 °C la temperatura globale entro la fine del secolo, e delle quali analisi e conclusioni avevamo fornito anticipazioni sul numero di marzo (pag. 6 e segg.).

Anche il Gruppo di Lavoro AWG-KP ha avuto i suoi momenti di tensione, quando la Russia, spalleggiata dal Giappone, ha sostenuto che i lavori dovessero iniziare sulla base del principio che i tagli delle emissioni avrebbero coinvolto tutti i Paesi. Questa proposta che può sembrare un punto di mediazione è divenuta nel corso degli anni il punto di maggior attrito, dal momento che i Paesi in via di sviluppo hanno insistito sempre più sul fatto che i Paesi industrializzati hanno il dovere storico di tagliare in modo più consistente le loro emissioni.Il capo negoziatore della Commissione europea Arthur Runge-Metzger ha meditato su quel che potrebbe accadere a Cancún, osservando che “Il caso peggiore è che non ve-dremo alcun risultato e non saremo in grado di concludere alcunché sui molti articoli in discussione”.“È difficile dire quante siano le possibilità che accada ciò, ma ci sono più motivi di divergenza che di convergenza. Abbiamo ascoltato, ad esempio, richieste che prevedono di trasferire il 6% del PIL dai Paesi ricchi a quelli poveri. Ri-chieste esorbitanti e… abbiamo solo altre due settimane di colloqui prima di Cancún”.

Comunque, si è convenuto che prima di Cancún si svolgano altre due tornate di colloqui, ad ospitare una delle quali ha espresso la propria disponibilità la Cina, notizia accolta con grande favore quale espressione del desiderio del Paese di voler svolgere un ruolo attivo nei negoziati. Yu Qingtai, Capo della rappresentanza cinese ai colloqui sul clima, è stato assai duro con i negoziatori che dovrebbero “ritornare indietro alle origini, leggere attentamente la Conven-zione delle Nazioni Unite, familiarizzare con i suoi principi, evitando così di stravolgerne il documento essenziale”.Chiaramente, si è trattato di un avvertimento nei confronti degli USA e degli altri Paesi che volevano “uccidere il Pro-tocollo di Kyoto, ma la questione è ritornata alla ribalta, perché la Cina, sottoscrivendo il Copenhagen Accord, ha evi-tato che negoziati prendessero un’altra direzione. Abbiamo dimostrato la massima flessibilità affinché i Paesi potessero lasciarsi con un risultato acquisito poter ripartire”.

Come si evidenzia nel Comunicato stampa finale dell’UN-FCC, Yvo de Boer avrebbe chiesto ai negoziatori di avviare un esame approfondito sulla natura giuridica di ogni nuovo accordo o serie di accordi, ritenendo che sia indispensabile assumere un “atteggiamento freddo” nei confronti dei 76 impegni di riduzione e di limitazione delle emissioni che sono stati presi dai Paesi sviluppati e da quelli in via di sviluppo, a seguito della Conferenza di Copenhagen: tutti i Paesi industrializzati si sono impegnati per obiettivi di ri-duzione e 39 Paesi in via di sviluppo hanno preso impegni volontari per limitare le loro emissioni di gas serra.“Resta il fatto che gli impegni dei Paesi industrializzati sono ben

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al di sotto del 25-40% (di riduzione delle emissioni entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990) che l’IPCC ha indicato come necessario per mantenere, con una probabilità del 50%, il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C” - ha affermato de Boer - È essenziale che gli impegni attuali crescano nei prossimi anni, altrimenti il mondo si avvierà pericolosamente verso i 2 °C e la porta che introduce ad un mondo a +1,5 °C sarà violentemente chiusa”.

Il WWf per cercare di capire quali erano gli umori della base sull’andamento dei colloqui, ha condotto un sondaggio tra delegati, osservatori, giornalisti, in merito a quando, a loro avviso, si dovrebbe raggiungere e quando ritengono che si raggiungerà un accordo globale sul clima.Ebbene, il 54,7% di coloro che si sono espressi pensano che si dovrebbe raggiungere a Cancún, ma il 53,6% ritiene più realisticamente che si raggiungerà solo in Sudafrica.Ci sono state variazioni poco significative, ha segnalato il WWF Climate Deal Oracle, tra le opinioni espresse dai de-legati e quelle espresse da giornalisti e osservatori.

Il Segretario esecutivo uscente dell’UNFCCC, che nel corso della Conferenza stampa indossava la maglia della nazionale

di calcio del Sudafrica, ha sintetizzato con una metafora calcistica, quanto finora prodotto dai negoziatori: “Per usare immagini da Coppa del Mondo di Calcio, abbiamo preso un cartellino giallo a Copenhagen e l’arbitro ce ne rifilerà uno rosso se falliremo a Cancún e in seguito”.“A Bonn si sono avute buone prestazioni, ma per vincere la World Low Carbon Cup bisogna segnare goal importanti in termini di adattamento ai cambiamenti climatici e alla pro-gressiva deforestazione - ha osservato Kathrin Gutmann, a capo della WWF Global Climate Initiative, giocando sul doppio significato del termine goal - Mentre le squadre di calcio di Messico e Sudafrica stanno per scendere in campo per la partita inaugurale della FIFA Word Cup 2010, i rispettivi Governi hanno un ruolo chiave per il successo della World Low Carbon Cup, dove non si compete per la vittoria di nazione, ma per un futuro migliore per l’intero Pianeta”, alludendo alle sedi delle prossime Conferenze Mondiali sul Clima dell’UN-FCCC che si svolgeranno rispettivamente a Cancún (Messico) nel 2010 e a Joahnnesburg (Sudafrica) nel 2011.Ma molti delegati non vedevano l’ora che terminasse “questa” partita, piuttosto scontata nel risultato, per concentrarsi su “quel-la” in diretta dal Sudafrica, che si annunciava più avvincente.

Gruppi ambientalisti davanti all’Hotel Maritime, sede dei negoziati, hanno indossato le maschere dei leader politici dei Paesi industrializzti, dando vita ad una improbabile squadra di calcio per rimarcare l’inizio della FIFA World Cup 2010 (foto: Oliver Berg)

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La Commissaria europea incaricata dell’Azione per il Clima Connie Hedegaard ha accolto con giustificato compia-cimento la pubblicazione avvenuta il 2 giugno 2010, alla vigilia del Consiglio Ambiente in Lussemburgo, dell’ultimo Inventario delle emissioni di gas serra dell’Unione europea, redatto dalla Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), dal quale si evidenzia che le emissioni hanno subito un ulte-riore e significativo calo nel corso del 2008, primo anno del periodo d’impegno (2008-2012) del Protocollo di Kyoto ndr: per un’analisi più approfondita si veda l’articolo “Emissioni di gas serra dell’UE: Kyoto è più vicino!”, a pag. 30 e segg. di questo numero di Regioni&Ambiente).“Con il proseguimento dei negoziati per un accordo mondiale sul clima per il periodo successivo al 2012 è fondamentale che l’Europa dimostri di essere in grado di tener fede ai propri impegni - ha osservato la Hedegaard - I cali signi-ficativi delle emissioni realizzati negli ultimi cinque anni dimostrano chiaramente l’importanza di fissare obiettivi vincolanti. Tuttavia il 2008 è soltanto il primo anno del periodo di impegno del protocollo di Kyoto e tutti gli Stati membri devono continuare ad adoperarsi per conseguire i loro obiettivi”.La Commissaria ha inoltre affermato: “Le riduzioni del 2008 non sono dovute soltanto alla crisi finanziaria, ma sono anche il risultato di una serie di politiche ambiziose che l’UE e i suoi Stati membri hanno attuato nel corso degli anni e i cui effetti diventano sempre più evidenti. Per tener fede all’impegno di ridurre le emissioni dell’UE almeno del 20% entro il 2020, e dell’80-95% entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990, dobbiamo e intendiamo proseguire la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio”.

Per comprendere il motivo della soddisfazione dell’ex Mi-nistro dell’Ambiente danese per i dati dell’EEA, bisogna ricordare che la settimana precedente la Commissione UE aveva adottato, su iniziativa della stessa Hedegaard, una Comunicazione (COM 265 del 26 maggio 2010) avente

ad oggetto “Analysis of options to move beyond 20% greenhouse gas emission reductions and assessing the risk of carbon leakage”, che contiene un’analisi dei costi, dei benefici e delle possibili opzioni per portare dal 20% al 30% l’obiettivo di ridurre, a determinate condizioni, le emissioni di gas a effetto serra dell’UE rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020.Vi si evidenzia che dal 2008 i costi assoluti per raggiungere entro il 2020 l’obiettivo del 20% sono scesi da 70 a 48 mi-liardi di euro (pari allo 0,32% del PIL) l’anno.Ciò è dovuto a diversi fattori: il rallentamento della crescita economica ha ridotto le emissioni e l’aumento dei prezzi dell’energia ha stimolato l’efficienza energetica e ridotto la domanda di energia; inoltre, il prezzo del carbonio è sceso al di sotto del livello previsto nel 2008 a causa del riporto delle quote UE-ETS non utilizzate nel periodo di recessione. Nel contempo, però, la riduzione dei costi assoluti avviene nel contesto di una crisi economica che ha notevolmente ridotto la capacità degli imprenditori di reperire gli investi-menti necessari per innovarsi a breve termine.Nel 2007 l’UE si è impegnata a portare al 30% la riduzione delle emissioni entro il 2020 se le altre grandi economie accetteranno di dare un equo contributo nell’ambito di un accordo globale sui cambiamenti climatici. I costi connessi alla realizzazione dell’obiettivo del 30% sono attualmente stimati a 81 miliardi di euro l’anno, da qui al 2020, il che corrisponde ad un aumento di 11 miliardi di euro rispetto al costo stimato due anni fa per l’obiettivo del 20%. L’obiettivo del 30% costerebbe 33 miliardi di euro (0,2% del PIL) in più rispetto alla stima attuale del costo per il conseguimento dell’obiettivo del 20%.I Paesi di tutto il mondo riconoscono le potenzialità offerte dalla crescita verde, a basse emissioni di carbonio, per creare nuovi posti di lavoro sostenibili e rafforzare la sicurezza energetica. In un contesto caratterizzato da una concorrenza mondiale sempre più accesa non si può dare per scontato che l’Europa continui a svolgere un ruolo trainante. Con il calo dei prezzi del carbonio al di sotto del livello previsto, l’obiettivo del 20%, un tempo considerato un fattore cruciale per stimolare la modernizzazione dell’economia dell’UE, ha perso parte del proprio potenziale come incentivo al cambiamento e all’innovazione. Inoltre l’Europa, in quanto membro del gruppo dei Paesi sviluppati, deve prepararsi per raggiungere il proprio obiettivo a lungo termine, ossia conseguire una riduzione delle emissioni dell’80-95% entro il 2050 ad un costo ottimale.La Comunicazione prospetta una serie di opzioni per il conseguimento dell’obiettivo del 30% nell’ambito del siste-ma UE-ETS e negli altri settori. Tra queste, la riduzione del numero di quote messe all’asta nell’ambito dell’UE-ETS, un regolamento volto a promuovere una maggiore efficienza energetica, l’uso oculato degli strumenti fiscali, il finanzia-

Ma dal Consiglio Ambiente via libera per condurre analisi piùdettagliate sulle possibili opzioni per un taglio del 30%, nonostante l’Italia

Comunicazione della Commissione UE sulle opzioni per portare oltre il 20% la riduzione delle quote

ANCORA DIVISIONI SUI LIMITI DELLA CO2

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mento della politica di coesione dell’UE riorientato verso investimenti verdi e il miglioramento dell’integrità ambientale dei crediti internazionali di carbonio riconosciuti nell’ambito dell’UE-ETS.Una misura interessante, prima ancora dell’eventuale pas-saggio all’obiettivo del 30%, consisterebbe nell’utilizzare parte delle quote di emissione gratuite, non assegnate alle imprese nell’ambito del sistema UE-ETS, per accelerare l’in-novazione nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio, analogamente a quanto avviene nel caso del programma dimostrativo sulle tecnologie innovative in materia di energie rinnovabili e cattura e stoccaggio del carbonio, finanziato con 300 milioni di quote.La Commissione ha esaminato la situazione delle industrie ad alta intensità energetica per quanto riguarda il rischio del carbon leakage (rilocalizzazione della produzione dall’UE verso Paesi in cui esistono vincoli meno rigorosi in materia di emissioni di carbonio).La conclusione principale dell’analisi della Commissione è che le misure vigenti, volte ad evitare fughe di carbonio da tali industrie (quote gratuite e accesso ai crediti internazio-nali) continuano ad essere giustificate. Essa rivela inoltre che l’innalzamento dell’obiettivo al 30%, se gli altri Paesi attuano i loro impegni di riduzione nell’ambito dell’accordo di Copenaghen, avrebbe un impatto esiguo in termini di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, sempre che vengano mantenute le misure esistenti.La Commissione continuerà a monitorare attentamente il rischio di fughe di carbonio, soprattutto in relazione a paesi terzi che non hanno ancora adottato misure volte a limitare le emissioni. Tra le misure che meritano di essere ulterior-mente esaminate figura l’inclusione delle importazioni nel sistema UE-ETS.

Ha destato, comunque, sorpresa che nel comunicato stampa della Commissione UE si dica che “Attualmente non sussi-stono, però, le necessarie condizioni”, e si riportino queste espressioni della Hedegaard: “Innalzare dal 20% al 30% il nostro obiettivo di riduzione per il 2020 è una decisio-ne politica che i responsabili dell’UE dovranno prendere al momento giusto e nelle condizioni opportune. È ovvio che nell’immediato la priorità politica è rappresentata dalla gestione della crisi dell’euro. Tuttavia, in vista della ripresa, la Commissione ha già fornito il proprio contributo per un dibattito basato su dati concreti. Anche se i tempi non sono ancora maturi per una decisione, mi auguro che l’analisi della Commissione contribuirà ad ispirare il dibattito negli Stati membri sulla via da seguire”.Non sembrava essere questa la posizione della Commissaria dell’Azione per il Clima che in un incontro avvenuto a Lon-dra l’11 maggio 2010 si era così espressa, secondo quanto riportato da BusinessGreen.com, in merito alle necessità di far aumentare i prezzi della CO

2 sul mercato, tali da incenti-

vare gli investimenti verdi: “Con i livelli attuali e un obiettivo del 20% non vedremo un prezzo della CO

2 molto più alto e

questo è un problema perché abbiamo bisogno di innovare. Se costasse 30 euro a tonnellata la gente comincerebbe ad agire diversamente”.

Con ogni probabilità, prima dell’adozione della Comuni-cazione, avuta in mano la bozza, l’attività lobbistica degli industriali, in particolare del settore acciaio e raffinazione

del petrolio, avrebbe avuto la capacità di incidere sul testo, anche attraverso l’azione dei Commissari di quei Paesi che si erano dichiarati apertamente contrari ad un taglio unilaterale al 30% delle emissioni (Italia, Germania, Francia, Polonia, Slovacchia, Malta).Peraltro, durante una conferenza stampa congiunta a Bru-xelles del 25 maggio, i Ministri dell’Industria di Francia e Germania avevano fatto chiaramente intendere che non è proponibile un impegno di riduzione del 30% al 2020 da parte dell’Unione europea senza conoscere quali offerte sono disponibili a fare gli altri Paesi grandi emettitori e che, comunque, una simile decisione dovrebbe essere presa dal Consiglio europeo, non già dalla Commissione UE.Si è trattato di un vero e proprio avvertimento indirizzato alla Hedegaard ad ammorbidire le sue posizioni, tanto che la Commissaria il giorno dell’adozione della Comunicazio-ne ha così giustificato le “ambiguità” insite nella strategia proposta: “La mia posizione è sempre quella che ho esposto nell’audizione di conferma al Parlamento europeo in gen-naio, ovvero pienamente favorevole al passaggio al 30%. Ma se mi chiedete se in questo momento ci sono le condizioni e le opportunità, la mia risposta è no”.

L’argomento è stato posto all’O.d.G. del Consiglio Ambiente svoltosi a Lussemburgo l’11 giugno 2010, e in tale occasione sia Germania che, soprattutto Francia, hanno assunto una posizione possibilista, tanto che il Ministro dell’Ambiente francese Jean Louis Borloo, in un comunicato ha dichia-rato che “La Francia ritiene che il lavoro dovrebbe essere accelerato al fine di produrre uno studio dettagliato delle possibili opzioni per il raggiungimento dell’obiettivo del 30% il più presto possibile”.Così, nelle conclusioni su tale punto, il Presidente di turno, la spagnola Elena Espinosa ha redatto le seguenti note:“Il Consiglio d’Unione europea1. PRENDE ATTO della Comunicazione della Commissione [...]2. RIBADISCE le sue conclusioni del 15 marzo, come ap-

provato dal Consiglio europeo del 25-26 marzo 2010 [ndr: vedi “Molti gli argomenti trattati, ma numerosi i dissensi manifestati”, in Regioni&Ambiente, n. 4 aprile 2010, pag. 18 e segg.].

3. SOTTOLINEA che la Comunicazione copre una vasta gamma di questioni che debbono essere discusse approfon-ditamente in modo da preparare l’UE per il medio-lungo termine alle sfide del cambiamento climatico, e più specifi-camente per le prossime fasi del negoziato internazionale sul clima.

4. CONCORDA di tornare su tali questioni il più presto pos-sibile e in ogni caso non oltre la sua sessione di Ottobre 2010, e ACCOGLIE CON FAVORE l’intenzione della Com-missione di condurre analisi più dettagliate su opzioni politiche, costi e benefici, anche a livello di Stati membri, secondo il caso”.

Il cambio di atteggiamento di alcuni Paesi europei del G8 (la Gran Bretagna si era già dichiarata apertamente favorevole, secondo il programma elettorale del primo Ministro David Cameron, alla realizzazione di un taglio delle emissioni del 30%), secondo quanto riportato nell’articolo del 14 giugno 2009 “I Ministri dell’UE recuperano il sostegno per tagli delle emissioni di CO

2”, comparso su EurActiv.com, network solita-

mente ben informato sulle questioni politiche europee, non è piaciuto al Ministro dell’Ambiente italiano Stefania Presti-

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giacomo per la quale “I colloqui tra i Ministri dell’Ambiente non riflettono i punti di vista dei Governi nazionali”.La Commissaria Hedegaard avrebbe ribattuto che era im-probabile che i Ministri, rappresentando i loro Governi, “parlassero improvvisando” (speak out of the blue).Peraltro, sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare è stato pubblicato l’11 giugno un intervento del Ministro a margine del Consiglio Ambiente: “L’Italia non è assolutamente disponibile ad avvallare il pas-saggio unilaterale dal 20% al 30% di riduzione del CO

2”.

“Con il risultato di Copenaghen, è evidente che le condizio-ni per passare dal 20 al 30% non ci sono - ha osservato il Ministro - Il passaggio non è perseguibile oggi per via della crisi economica mondiale che colpisce duramente anche l’Europa. È fuori dal mondo continuare a sentire proposte di passaggio in maniera unilaterale, sganciandolo addirittura dall’accordo e dal negoziato globale.“Se il consiglio andrà avanti su questa strada “sarà destinato a dividersi. Ciò non significa - ha precisato il Ministro - ne-gare la necessità di andare avanti, ma di pensare ad una tempistica diversa”.Se si regalano agli impianti energetici ed industriali, entrati in funzione nel 2009, le quote di emissioni che sforano la quota prevista nel Piano Nazionale di assegnazione, come previsto dall’art. 2 del D. L. n. 72 del 20 maggio 2010, an-

ticipando crediti derivanti dai fondi messi a disposizione da Bruxelles per adottare politiche a favore del clima, sarà difficile far decollare la Direttiva ETS e, soprattutto, una riconversione verso la Green Economy!

Sul numero del 23-29 aprile 2010 dell’“Internazionale” è stato pubblicato un ampio articolo che ha aperto un ampio dibattito, oltre ad aver dato spunto anche alla copertina del settimanale, “Costruire un’altra economia” del Premio Nobel 2008 per l’Economia, Paul Krugman. Quantunque sia nota la sua avversione nei confronti di quelli che lui definisce “gli imprenditori della politica” che vanno avanti applicando le stesse teorie in ogni problema di politica economica, mantenendo di fatto le cose così come sono, Krugman invita i Governanti ad andare oltre le visioni an-guste degli investitori privati perché per salvare il Pianeta “si possono ottenere buoni risultati a costi modesti anche se non irrisori” per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, senza, peraltro, distruggere l’economia.Le decisioni devono essere prese, secondo il Premio Nobel, tenendo conto della probabilità non trascurabile di una ca-tastrofe: “sappiamo come limitare le emissioni di gas serra. Abbiamo un’idea dei costi e sono sopportabili. Quello che serve adesso è la volontà politica”.

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Per gli autori un nuovo Protocollo post-Kyoto sulle emissioni di gas serra è destinanta al fallimento

NESSUN ACCORDO SUL CLIMA SENZAIL BASSO COSTO DELL’ENERGIA VERDE

Hartwell Paper “Una nuova direzione per la politica climatica dopo il disastro del 2009”

Un accordo internazionale sulla ridu-zione delle emissioni di gas a effetto serra è destinato al fallimento e deve essere sostituito da una spinta verso il basso costo dell’energia verde.

Questo è in estrema sintesi la con-clusione cui giungono 14 Accademici di varie discipline che hanno redatto “Hartwell Paper. Una nuova direzio-ne per la politica climatica dopo il disastro del 2009”.

Gli autori, coordinati dal Prof. Gwyn Prins, Consigliere di una ONG presieduta da Lord Nigel Lawson, ex Deputato che si era segnalato con una lettera scritta nel 2004 a The Times in cui si esprimevano severe critiche al Protocollo di Kyoto, sono di va-ria estrazione, da Mike Hulme, fondatore e direttore del Tyndall Centre for Climate Change Research, a Ted Nordhaus, “am-bientalista scettico”, coautore de “Break Through: From the Death of Environmen-talism to the Politics of Possibility”.

Il documento è il risultato di un Con-vegno tenuto ad Hartwell dalla London School of Economics nel febbraio 2010, teso a fare il punto su tutti gli aspetti della crisi che aveva investito la po-litica climatica globale nell’inverno 2009-2010, con l’inserimento di con-crete raccomandazioni politiche che sono scaturite dalle discussioni inter-venute.Nel documento si sostiene che la po-litica climatica, così come concepita e praticata da molti Governi in base all’approccio del Protocollo di Kyo-to, non è riuscita a produrre alcuna riduzione realmente osservabile delle emissioni di gas serra negli ultimi 15 anni. La ragione, secondo gli autori, è che il modello UNFCCC/Kyoto aveva difetti strutturali in partenza, ed era per-ciò sistematicamente condannato a non cogliere la natura politica del cambia-mento climatico nel suo sviluppo negli anni 1985-2009. Tuttavia, l’approccio che oggi domina ha acquisito un fortis-simo abbrivio per la quantità di capitale politico che vi è stato investito. Ad ogni modo, questo modello di politica cli-matica non può andare avanti, perché è crollato alla fine del 2009.Il crash del 2009 rappresenta un’enor-me opportunità per mettere in piedi una politica climatica finalmente in gra-do di decollare. Lo scopo principale del paper è di spiegare e far avanzare questa opportunità, essendo chiaro ormai che non è possibile avere una “politica climatica” che ha come obiet-tivo totalizzante quello della riduzione delle emissioni. Tuttavia, si sostiene, ci sono molte altre ragioni che rendono assai desiderabile la decarbonizzazione dell’economia globale.Per questo il Rapporto propone un reframing radicale - e un’inversio-ne - dell’approccio: accettando che la decarbonizzazione sia ottenuta sola-mente come effetto di altri obiettivi che siano politicamente attrattivi e assolu-tamente pratici.Il documento propone, quindi, che lo sforzo sia diretto all’innalzamento della

India, Regione Himalayana. Un forno solare a concentrazione che le auorità indiane hanno incentivato per ridurre il disboscamento incontrollato, fornendo alle popolazioni più povere un valido sostituto al ricorso di energia da biomasse per il soddisfacimento di bisogni primari.

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dignità umana attraverso tre obiettivi ad ampio spettro:- assicurare l’accesso energetico a tutti;- garantire uno sviluppo che non

minacci i meccanismi di funziona-mento di base del nostro pianeta;

- assicurarsi che le nostre società siano ben attrezzate per affrontare i rischi e i pericoli dei capricci climatici, qualsiasi sia la loro causa.

Il Rapporto spiega in quali modi, radicali e pratici, si può limitare la pressione umana sul clima, al di fuori del problema della CO

2.

Vi si afferma, infatti, che una più ef-ficace gestione del rischio climatico è un obiettivo politico valido, ma che, semplicemente, non è coerente con la carbon policy.Gli autori spiegano come le strategie per l’efficienza energetica siano un primo passo, un prerequisito politico, e documentano come esse possano portare effettivamente a riduzioni rea-li di emissioni. Ma soprattutto mettono l’accento sulla crescente decarbonizza-zione delle fonti energetiche. Si tratta di aspetti che chiamano in causa un sostanziale aumento di investimenti nell’innovazione e in fonti non fossili, per diversificare le tecnologie energe-tiche. Lo scopo ultimo è lo sviluppo di fonti energetiche che costino, al netto di sussidi, meno delle fonti fossili.

Riproponendo l’approccio della Kaya Identity (vedi Box), come viene chia-mata la strategia che prende il nome del Prof. Yoichi Kaya, l’economista che l’ha sviluppata, per misurare la distanza che separa i diversi Paesi rispetto ai target di Kyoto, il paper si sofferma ad individuare le strade per tirare le leve dell’intensità energetica e dell’intensità di carbonio. Fermo restando che, come eviden-ziato dalla IEA (International Energy Agency), l’utilizzo globale di energia triplicherà di qui al 2050, che le energie rinnovabili stanno crescendo rapida-mente, grazie a sostanziosi e generosi

KAYA IDENTITY

L’identità mostra che ci sono quattro - e solo quattro - leve politiche macro-economiche per mirare alla riduzione di emissioni. In ordine sono: - popolazione (P);- reddito procapite (GDP);- intensità energetica (ossia unità di energia per unità di PIL);- intensità di carbonio (ossia la quantità di carbonio prodotto per unità di energia).Ognuno di questi fattori è sensibile all’azione di una specifi ca leva e ogni leva prescrive uno specifi co approccio in politica.Nel caso della popolazione, la leva è la gestione della popolazione; per la ricchezza, la leva è il ridimensionamento dell’economia; per l’intensità di energia, la leva è l’aumento dell’effi cienza energetica; per l’intensità di carbonio, la leva principale è il passaggio a fonti di energia che generano minori emissioni. L’identità ha tre caratteristiche: è sempre rispettata; non assume alcun legame causale tra le leve da un lato, e le emissioni di CO2, dall’altro; individua, comunque, le leve chiave dalle quali le emissioni di CO2 dipendono. In altri termini, qualsiasi politica venga implementata per raggiungere il target di Kyoto essa avrà un effetto su almeno una delle quattro leve della Kaya identity. In tal senso, l’identità offre anche una rappresentazione sintetica delle leve di policy sulle quali è necessario intervenire per centrare il target.

La relazione tra i quattro fattori di Kaya può essere espressa matematicamente come segue: emissioni di carbonio = C = P x GDP x TE x C P GDP TE

(dove TE sta per Energia Totale)

Rielaborazione Regioni&Ambiente su fonte Hartwell Paper

sussidi governativi, che diventeranno sempre più difficili da mantenere poli-ticamente man mano che le rinnovabili vedranno crescere la loro quota di mer-cato, che fino a quando la tecnologia e il gap di prezzo tra combustibili fossili ed energia a basso contenuto di car-bonio resta ampio, i Paesi in via di sviluppo che stanno vivendo una rapi-da crescita economica, aumenteranno la dipendenza dai combustibili fossili, il Rapporto propone di passare dalle preoccupazioni dei target per le emis-sioni ad un impegno globale e credibile di lungo periodo e a metodi di investi-mento in innovazione energetica.Le risorse deriverebbero da una car-bon tax gradualmente crescente, ma inizialmente bassa (tenendo a mente la lezione più recente, marzo 2010, quan-do è stata buttata a mare la carbon tax proposta dal governo francese), che ha il vantaggio, secondo gli autori, di evitare gli effetti negativi per la cre-

scita. La tassa dedicata verrebbe usata per concepire, sviluppare e dimostrare tecnologie a basso o a zero contenuto di carbonio (aumento dell’efficienza dei pannelli solari; aumento della densità energetica delle batterie e delle celle a combustibile; sviluppo della terza ge-nerazione di biocarburanti cellulosici; risoluzione delle sfide ingegneristiche e costruttive della costruzione in serie di piccole, auto-protette, centrali nu-cleari). Il fatto, poi, che questa tassa cresca lentamente nel tempo fornisce un segnale futuro sui prezzi, spronando le aziende a scegliere tecnologie low carbon e di conseguenza a sviluppare qualsiasi aggiustamento specifico per l’azienda.“Queste due caratteristiche della tassa di scopo a crescita lenta permettono di camminare più spediti lungo la strada di un’economia a basso contenuto di carbonio. Il successo di una tassa di questo tipo dipenderà in gran parte

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dalla capacità dei politici di ricono-scere gli errori del passato, di adottare una bassa imposizione che gli elettori possano accettare, di ipotecare in mo-do convincente le entrate fiscali e in modo altrettanto convincente sostenere e permettere a istituzioni innovative di gestire l’investimento in modo effica-ce. Come già detto, il precedente storico suggerisce che i governi avranno anche importanti ruoli di “tiraggio” delle le-ve in qualità di clienti primari - ruolo da non confondere con un approccio di selezione pubblica delle “tecnologie vincenti” a disposizione, e di distorsioni di mercato per via di sussidi, ciò che generalmente non ha rappresenta-to un successo” (ndr: anche la rivista Regioni&Ambiente si è soffermata di recente sulla questione della tassa del carbonio, focalizzando l’analisi su chi dovrebbe gravare; vedi “Carbon o Green la tassa su prodotti e consu-mi è la madre di tutti i business”, n. 3, marzo 2010, pagg. 36-37).

“Costruire una nuova cornice concet-tuale di riferimento, per far gravitare la questione climatica attorno alla dignità umana. Non solo perché ciò è nobile o bello o necessario, ma anche perché è più efficace dell’approccio che si concentra solo sul peccato originale dell’uomo, approccio che ha appena fallito. Assicurare a tutti l’accesso ad energia a basso costo, inclusi i pove-rissimi, è liberatorio in maniera vera e letterale. Costruire una resistenza alle sorprese e agli eccessi meteorologici è un’espressione pratica di vera soli-darietà globale. Migliorare la qualità dell’aria che la gente respira è un in-negabile bene pubblico”.Inquadrare in una nuova cornice il te-ma climatico, secondo il paper, significa anche “lasciar perdere l’idea che tutti gli altri obiettivi politici possano essere raggiunti smerigliandoli nella gemma brillante e sfaccettata delle politiche glo-bali sul carbonio, destinata a scintillare tanto da ricondurre tutto ipnoticamente a se stessa. Non è così e non è stato così.

Invece, la politica climatica all-inclusi-ve di Kyoto, come emersa alla fine del 2009, necessita di essere sezionata nuo-vamente in due temi separati, e ognuno va maneggiato secondo le sue caratteri-stiche e in modi diversi”.

Per gli autori, il cambiamento clima-tico è solo una parte di un più vasto complesso di condizioni che includono popolazione, tecnologia, disparità di ricchezza, uso delle risorse, ecc.È un problema sia energetico, sia di svi-luppo economico e di uso del territorio, che può essere meglio affrontato attraver-so questi filoni che non come semplice andamento del clima terrestre.“I cambiamenti climatici - sostengo-no gli autori - presentano una sfida che non verrà mai “risolta”, ma pos-siamo fare meglio o peggio nel gestirli. Noi aspiriamo a fare meglio. Pertanto, questo paper viene offerto come una guida di come crediamo l’umanità pos-sa compiere in un modo più efficace questo lavoro”.

Presidio (Texas). BOB (Big Old Battery) la più grande batteria a sodio e zolfo degli USA in grado di immagazzinare 4 MW per un massimo di 8 ore, prodotti dai pannelli fotovoltaici sistemati sul tetto. La batteria è in grado di fornire l’energia per le esigenze degli abitanti (circa 5.000) della città che sta al confine con il Messico e fuori dalle grandi reti di distribuzione. È un valido esempio di consumo di energia nel luogo di produzione da fonti rinnovabili.

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“La cosa più pericolosa che l’Europa e gli Stati Uniti po-trebbero fare in materia di cambiamenti climatici è di ignorare le implicazioni di Copenaghen, perché esse sono politicamente difficili da accettare, e di ricadere in vecchie strategie del tirare a campare” quando invece “è necessa-rio un cambiamento fondamentale nel modo di pensare”: così scrivono i ricercatori del German Marshall Fund nel Dossier “Re-thinking Climate Diplomacy: New ideas for transatlantic cooperation post-Copenhagen”, pub-blicato per i Bruxelles Forum Paper Series.

Secondo il Report, curato da Nigel Purvis, esperto di po-litica ambientale e negoziatore statunitense ad alto livello internazionale sui cambiamenti climatici per il periodo 1998-2002, durante la Presidenza Clinton, e Andrew Ste-venson, assistente ricercatore presso il Centro Risorse per il Futuro, tale rischio sarebbe maggiore per l’Europa, es-sendo maggiormente impegnata nell’obiettivo di giungere

ad una soluzione forte multilaterale, che sembra assai ra-gionevole in teoria, ma piuttosto improbabile nella pratica, perché alcuni uomini politici europei vedranno il rischio di allontanarsi troppo dalle comprovate ortodossie.La negoziazione di formali impegni climatici attraverso colloqui globali deve diventare una priorità importante, ma improntata su aspettative realistiche circa la portata e il ritmo dei progressi probabili. Passare dagli impegni per il clima ad azioni per il clima non è senza rischi. Le nazioni in via di sviluppo hanno aperto la porta, ma questo approccio non è stato “sperimentato”.

Purvis e Stevenson sostengono che dalla COP15 di Co-penhagen sono emerse due fondamentali verità:- gli USA potrebbero far promesse che non sono in grado

di mantenere;- la Cina non farà promesse, ma agirà.Anche se molti hanno dichiarato che la Cina a Copenhagen

L’Europa deve essere pronta ad assumere la leadershipanche se i politici non vi intravedono consenso elettorale e visibilità

Un Rapporto indica nuove idee per la diplomazia climatica

“INCENTIVARE L’AZIONE, SANZIONARE L’INERZIA”

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si è comportata come un “grande predatore”, resistendo strenuamente ad ogni tentativo di un regime internazionale di protezione del clima “top-down” che minacci il controllo dello Stato e gli stessi suoi interessi economici, la maggior parte degli analisti prevede che la Cina manterrà i suoi impegni di ridurre le emissioni di gas serra, centrando o addirittura superando gli obiettivi prefissati.Viceversa, nonostante le espressioni di sostegno usate dal Presidente Obama ad una legge sul clima, gli Stati Uniti non riusciranno presumibilmente ad averla entro l’anno.Anche se il Copenhagen Accord (cfr: “Le Major Countries dettano le condizioni”, in Regioni&Ambiente, n. 1/2 gennaio-febbraio 2010, pag. 6 e segg.) è un passo avanti, sostanzialmente, dicono gli autori, non mutano i calcoli politici nel Senato americano.Secondo gli autori la maggior responsabilità ricade sugli Stati Uniti, perché, parafrasando le parole della parabola del proprietario e dell’amministratore (Vangelo, Luca 12, 47):“A chi fu dato molto, molto sarà richiesto. Gli Stati Uniti devono trovare la forza di agire anche se gli approcci ideali si rivelano politicamente impossibili. Si deve accettare la realtà che la leadership degli Stati Uniti non è solo una garanzia, ma anche una necessità per evitare inaccettabili rischi di un catastrofico cambiamento climatico”.L’Europa deve fare i conti, però, anche con la triste ve-rità che la leadership degli Stati Uniti - anche nell’era di

Obama - non è scontata, perciò, essa deve essere pronta a continuare da sola a far da esempio.

Nel Dossier si sostiene che il principale ostacolo al conse-guimento di un trattato internazionale è costituito dal fatto che i Paesi in via di sviluppo con economie emergenti, quali Cina e India, non saranno d’accordo su qualsivoglia trattato che metta sullo stesso piano le nazioni povere con quelle ricche, dal momento che i Paesi industrializzati sono responsabili di decenni di emissioni climalteranti. D’altra parte, i Paesi industrializzati, come gli USA, non saranno d’accordo su un trattato che non ponga obiettivi di riduzione, vincolanti per i Paesi in rapida espansione economica, come la Cina.Per questo, come si afferma nel titolo del Rapporto, oc-corre adottare un nuovo modo di pensare che non insista sull’inutile tentativo di costruire un programma di prote-zione del clima, basato su impegni internazionali.Il successo dipenderà dalla volontà politica di tutto il mon-do. Da parte sua, l’Europa deve adottare vecchi e nuovi modelli. Essa deve continuare a ridurre le proprie emissioni e sollecitare nello stesso tempo gli Stati Uniti per un’azione interna in cui trovi, per la prima volta, la volontà di mobi-litare ancora di più fondi internazionali sul clima.

La strategia più efficace sarebbe di cominciare a mettere a

Secondo i ricercatori del German Marshall Fund, praticare politiche volte a risolvere i problemi ambientali del Sud del mondo sarebbe il modo migliore per evitare un’ondata migratoria legata agli sconvolgimenti climatici che l’Europa potrebbe non essere attrezzata a gestire (foto: World Vision Australia)

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fuoco, Paese per Paese, la promozione di concrete azio-ni di mitigazione che costituiscano ulteriori e più ampi obiettivi di sviluppo sostenibile. Le chiavi del successo per l’Europa e gli Stati Uniti in questo nuovo approccio saran-no offerte dal sostegno finanziario sulla base del sistema di pagamento a seguito di prestazioni (pay-for-performance) e dall’allineamento della politica commerciale interna-zionale con gli obiettivi climatici: “incentivare l’azione e sanzionare l’inerzia”.Perciò, è necessario che le nazioni ricche individuino modalità di raccolta di fondi per la finanza climatica, tra cui si suggerisce come soluzione praticabile l’introduzione di tasse sui trasporti internazionali.La riduzione delle emissioni è azione urgentemente ne-cessaria che può essere conseguita adesso, se fossero

disponibili le risorse, con vantaggi reciproci in termini economici e di sicurezza per gli USA, l’Europa e il Mondo. Inoltre, scrivono Purvis e Stevenson, nonostante le resi-stenze politiche, i fondi dovrebbero fluire più facilmente verso i Paesi a più rapido sviluppo, quali Cina e India, le cui emissioni stanno crescendo di pari passo alla loro espansione economica.“Garantire le promesse finanziarie senza porre troppe con-dizioni in merito ai colloqui sul clima è determinante. In ciò sta la chiave: comprendere che così facendo non è alzare la bandiera bianca di resa, ma ridurre i costi delle azioni per il clima è una strategia vincente per convincere i Paesi in via di sviluppo ad agire, anche se queste nazioni continuino ad opporsi alle condizioni internazionali sul clima”.

LE POSIZIONI NEGOZIALI DELLE MAJOR COUNTRIES

Cina, India, SudafricaNon disposti ad accettare azioni soggette un forte regime in ogni caso; non disposti a negoziare le proprie azioni di mitigazione a livello internazionale; non particolarmente ansiosi di rendere il proprio livello di mitigazione coerente con un 50% di riduzione delle emissioni globali entro il 2050.

BrasilePosizione negoziale eguale a quella di Cina, India e Sudafrica (anche se meno strenuamente oppositiva ad un forte regime); obiettivi di riduzione delle emissioni nazionali in linea con il 50% di riduzione delle emissioni globali entro il 2050.

Corea del Sud, Messico, IndonesiaDisposti ad azioni soggette a misurazione internazionale, comunicazione e verifi ca; obiettivi più forti di altre economie importanti, ma non negoziabili a livello internazionale.

Unione EuropeaDisposta ad accettare un forte regime, anche unilateralmente, e ciò è molto importante per la loro posizione negoziale; disposta a cambiare l’obiettivo di mitigazione a un livello relativamente forte di ambizione, sulla base dei negoziati internazionali.

Stati Uniti, Canada, RussiaDisposti ad accettare un forte regime, ma solo se anche tutte le altre principali economie siano ad esso vincolate; relativamente debole target al 2020; non disposti ad incrementare entro il 2020 gli obiettivi di mitigazione sulla base di negoziati internazionali; disposti ad accettare l’obiettivo globale di riduzione delle emissioni del 50% entro il 2050 con una più forte mitigazione da parte delle loro economie.

GiapponeDisposto ad accettare un forte regime, ma solo se tutte le altre principali economie faranno altrettanto; garantire un forte regime non sembra essere, comunque, una priorità; disposto ad aumentare le azioni di mitigazione entro il 2020 ad un livello più ambizioso sulla base di negoziati internazionali.

AustraliaDisposta ad accettare un forte regime, ma solo se tutte le altre principali economie siano ad esso vincolate; debole incondizionato limite nazionale al 2020, ma disposta ad aumentare l’ambizione sulla base di elementi scientifi ci e negoziati internazionali.

Piccoli Stati InsulariGrande preferenza per un regime forte di attenuazione sulla base delle indicazione degli scienziati, ma uffi cialmente si oppongono a sottoporsi a limiti di emissione vincolanti, in particolare perché non è stato loro richiesto di farlo; la preoccupazione per gli impatti del clima è probabile che li porti ad accettare ragionevoli obblighi di riduzione giuridicamente vincolanti, in un contesto in cui anche gli facciano lo stesso, se è necessario per garantire un’azione globale.

Paesi meno sviluppatiIn generale preferiscono una forte attenuazione basata sulla scienza, ma uffi cialmente si oppongono a sottoporsi a limiti di emissione vincolanti, in particolare, perché non è stato loro richiesto di farlo; la preoccupazione per gli impatti climatici è probabile che li induca a considerare ragionevoli obblighi di riduzione giuridicamente vincolanti, in un contesto in cui anche gli altri Paesi facciano lo stesso, se è necessario per garantire un’azione globale.

Sintesi elaborata da Regioni&Ambiente su fonte: “Re-thinking Climate Diplomacy: New ideas for transatlantic cooperation post-Copenhagen”.

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MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Per quattro giorni (8-11 giugno 2010), su un’area di 30.000 mq. del quartiere fierstico di Rimini, 180 imprese leader della pro-duzione industriale del packaging hanno proposto le eccellenze tecnologiche e innovative per il confezionamento e l’imballaggio nelle quattro macroaree previste dal lay out espositivo: Food, Be-verage, Chimico/Cosmetico/Farmaceutico, Logistica e Imballi.Promossa da UCIMA (Unione Costruttori Italiani Macchine Auto-matiche) e Rimini Fiera Spa, la prima edizione di PACKOLOGY, il Salone delle tecnologie per il packaging e il processing, ha visto la presenza di 8.378 operatori, per il 19% esteri e 92 gior-nalisti accreditati dei quali 23 di testate straniere, compresa la partecipazione dei vertici della prestigiosa IPPO (International Packaging Press Organization).A un’offerta espositiva altamente qualificata, la Manifestazione ha aggiunto il profilo di un pubblico di visitatori perfettamente aderente, con la presenza dei manager di grandi marchi mul-tinazionali dei settori beverage, food, farmaceutica e chimica. Fra gli altri, autorevoli rappresentanti di Bayer, Barilla, Ferrero, Novamont, Tetra pak, Unilever, Glaxo, Legacoop, ecc.

Il risultato di questo evento è nella soddisfazione degli espositori per la generazione di nuovi contatti, la definizione di innovativi progetti industriali e la firma di ordini, anche a conferma della ripresa che l’industria del packaging sta vivendo sin dall’inizio del 2010.“Con Packology - ha commentato Lorenzo Cagnoni, Presidente di Rimini Fiera - sono state mantenute le promesse fatte otto mesi fa in sede di presentazione, dando prova di capacità organizzativa e di analisi obiettiva del mercato. La soddisfazione va condivisa con il nostro partner UCIMA. Ora analizzeremo insieme e con attenzione gli esiti di Packology, poi tracceremo la traiettoria di sviluppo considerando prioritario l’obiettivo internazionalità”.“Sottolineo l’opinione degli espositori - ha aggiunto Giovanni

Caffarelli, Presidente di UCIMA - fra i quali ho raccolto la sod-disfazione per il lavoro svolto dall’Associazione e da Rimini Fiera, che ha consentito di portare subito al successo Packology. C’è nelle imprese un diffuso gradimento per la location Rimini e per l’impianto fieristico. Si aggiungono le considerazioni strettamente commerciali e professionali: tanti visitatori professionali, centi-naia di business meeting e firma già in fiera di contratti, cosa assolutamente non usuale. Packology è quindi il nuovo luogo dove confluiscono gli interessi dei costruttori italiani di macchine automatiche e s’è concretizzata su basi molto promettenti”.“Già dopo questa prima edizione - ha spiegato Simone Ca-stelli, Direttore business unit 2 di Rimini Fiera - abbiamo gli elementi utili per costruire una prospettiva solida e utile al mercato. Packology ha rispettato gli obiettivi: centrati i mercati esteri emergenti da rendere disponibili agli espositori; alta qualità dei visitatori; produttivi incontri di business per le imprese con ordinativi; nuove prospettive di affari”.“I risultati ottenuti - ha concluso Flavia Morelli, Responsabile nuovi progetti della business unit 2 di Rimini Fiera - sono anche la conseguenza degli investimenti profusi per attrarre su Rimini l’attenzione dai mercati internazionali e dei i servizi messi a disposizione per facilitare la visita a PACKOLOGY”.

Oltre al rilevante numero di operatori stranieri in visita, a PACKO-LOGY sono emersi altri tratti rilevanti di internazionalità. Più di cento i buyers esteri presenti, provenienti da Grecia, Spagna, Turchia, Marocco, Egitto, Ucraina, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Serbia, Montenegro, Croazia, Bosnia Erzegovina, Mace-donia, Slovenia ed Emirati Arabi. Per loro, appositamente invitati a Rimini Fiera, nel corso della manifestazione sono stati 700 i business meeting organizzati, rispetto ai 500 programmati alla vigi-lia. Analoga copertura per quanto riguarda i Paesi di provenienza

Internazionalità, Innovazione e Business, la formula vincente

Rimini, 8-11 giugno 2010

PACKOLOGY:HA CENTRATO GLI OBIETTIVI PREFISSATI

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dei visitatori, tra quali provenienti anche da India, USA, Taiwan, Russia e Giappone. Il risultato è conseguente al lavoro svolto nelle settimane precedenti alla manifestazione attraverso il market placé, lo strumento di matching on line messo a punto da Rimini Fiera che garantisce l’efficacia dell’incontro programmato.In fiera, per tutte le giornate, presenti i vertici di PMMI - Packaging Machinery Manufacturers Institute, l’Associazione americana che rappresenta le imprese industriali delle macchine per il packaging, oltre ad una delegazione della tedesca VDMA Nahrungsmittelmaschinen und Verpackungsmaschinen.“Direi che la prima edizione di Packology è proprio ben riusci-ta - ha commentato Chuck Yuska, Presidente di PMMI - Sono rimasto impressionato dal livello, dalla rilevanza degli espositori e da come si sono presentati qui in Fiera, segno dell’importanza che tale evento riveste per loro. In un momento economico non proprio felice come quello attuale, le aziende diventano molto selettive e su packology hanno investito in tante. Ho percepito una buona atmosfera, dato confermato anche da alcuni dei rappresentanti delle aziende straniere presenti. Infine mi complimento per il lato organizzativo e per la bellezza del quartiere fieristico”.Da PACKOLOGY è anche iniziata la missione italiana dei pro-tagonisti di IPTA (Italian Packaging Technology Award), un evento firmato da UCIMA in collaborazione con l’Istituto per il Commercio Estero (ICE) e l’Institute of Packaging Professionals - IOPP (Illinois - USA). Gli studenti universitari americani, le cui tesi sul packaging sono state selezionate fra quelle presentate negli atenei USA, nei prossimi giorni visiteranno anche gli sta-bilimenti di alcune industrie italiane.

PACKOLOGY è stata anche l’occasione per rappresentare i dati consuntivi 2009 dell’industria italiana del packaging, unitamente alle prime valutazioni sul 2010 e le prospettive internazionali.La presentazione è stata a curata da Giovanni Caffarelli, Presi-dente di UCIMA, che in apertura ha ricordato come nel 2009 la crisi economica internazionale non abbia risparmiato i produttori italiani di macchine automatiche per il confezionamento e l’im-ballaggio. I costruttori italiani hanno, comunque, mostrato una notevole capacità di resistenza, che ha permesso loro di superare lo scorso anno con performance mediamente migliori rispetto ad altri settori. Per il 2009, il fatturato ha avuto un arretramento del 15,6% rispetto al 2008, con un valore di 3.229 milioni di Euro. A partire da ottobre 2009 la raccolta ordini è tornata positiva.

Il 2010 ha ampiamente confermato il rimbalzo degli ordinativi. Nel periodo gennaio-aprile, la raccolta è stata del 37% superiore a quella degli stessi quattro dell’anno precedente. Anche se si tratta di una variazione incoraggiante, non bisogna dimenticare che i risultati del primo trimestre di quest’anno si confrontano con quelli negativi dell’anno precedente. All’incontro, per soprag-giunti motivi istituzionali, non ha potuto partecipare il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, il quale ha fatto pervenire un suo messaggio: “Nella nostra regione ha sede il 50% delle industrie del settore, le quali producono il 70% del fatturato. È un’industria tesa all’innovazione che la Regione continuerà a sostenere investendo nella ricerca e nella formazione, nella internazionalizzazione e sostenibilità della produzione”.

Sul fronte degli eventi collaterali, il programma è stato struttu-rato secondo tre filoni: grandi convegni; lezioni tecniche per gli addetti alle macchine di produzione delle aziende; workshop dedicati all’automazione industriale.Un filo rosso ha collegato gli eventi, ovvero la consapevolezza che la filiera del packaging sia indirizzata verso una produzione funzionale, attraente, sicura, riciclabile, utile e dal basso costo. Elementi emersi già nella giornata inaugurale quando nel pome-riggio sono intervenuti i massimi esponenti di realtà del calibro di Legacoop, Unilever e Glaxo.Inoltre, è stato rilevato nel corso degli incontri che, per un packa-ging all’avanguardia è auspicabile la collaborazione o quanto meno l’interazione in termini di competenza, esperienza e creatività, di tutti gli attori della filiera (progettisti, produttori di materiali, costruttori di macchine, distributori e persino consumatori finali). Insomma, occorre promuovere senza sosta una cultura del packaging.Fra i temi più trattati a PACKOLOGY, la frontiera del packaging “ecosostenibile”, con le testimonianze dei produttori leader che hanno rappresentato le loro strategie. Va ricordato il grandissimo sforzo di innovazione che nella filiera del packaging è alla base di questo settore in quanto ogni scelta va considerata in relazione stretta con il contenuto della confezione. Si pensi ai medicinali, al prodotto alimentare. Alla fine, uno slogan ha accomunato le imprese in questo impegno comune: Yes, we can!Nel corso dell’ultima giornata di appuntamenti si è segnalato quello dell’Osservatorio nazionale PRO (Packaging Retail Ob-servatory), dedicato alle novità del confezionamento relative al fresco alimentare.

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La bonifica di siti contaminati è un problema complesso sia dal punto di vista tecnico sia economico, poiché multi-disciplinare e specifico. Le modifiche introdotte dal D.Lgs. 152/2006 hanno contribuito all’individuazione, in molti casi, di interventi tecnicamente appropriati ed economicamente sostenibili. I siti contaminati di interesse nazionale sono più di 50, ma se si considerano i siti inquinati di compe-tenza regionale il numero aumenta fino a 15.000, per una copertura del territorio di circa il 3%.

Dal 21 al 23 Settembre 2010 si svolgerà a Ferrara la quar-ta edizione di REMTECH il Salone sulle Bonifiche dei Siti Contaminati e sulla Riqualificazione del Territorio, l’unico evento italiano interamente dedicato al settore delle boni-fiche ed alla riqualificazione del territorio.L’Expo è promosso da Ferrara Fiere Congressi, gruppo Bolo-gna Fiere, che negli ultimi anni si sta caratterizzando sempre più per manifestazioni di alto livello nel settore della conservazione ambientale. “REMTECH rappresenta una comunità che ogni anno si ritrova per condi-videre tematiche, strategie, nuove conoscenze sul te-ma della bonifica e della riqualificazione del ter-ritorio - ha sottolineato il Presidente di Ferrara Fiere, Nicola Zanardi - Da questo punto di vista, la specializzazione della manifestazione è un fatto-re importante e il supporto di un Comitato scientifico e di indirizzo autorevoli, dove sono presenti grandi realtà industriali ed asso-ciative, istituzioni ed enti

pubblici, università e centri di ricerca, garantisce la forte presenza espositiva e la qualità del programma congres-suale”.

REMTECH, sponsorizzato da SAIPEM-ENI, vede i contributi del Consiglio Nazionale dei Chimici, di Federchimica, della Ca-mera di Commercio di Ferrara, e conta un panel importante di patrocini tra cui il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, della Regione Emilia-Romagna, della Provincia e del Comune di Ferrara.L’evento presenta un’ampia area espositiva, nella quale si svilupperanno importanti e vivaci momenti di confronto, organizzati dalle aziende espositrici, con un ricco programma congressuale ed una significativa dimensione internazionale grazie al contributo della Regione Emilia-Romagna - con la National Brownfield Association (NBA) degli USA e del Canada - una sessione poster, incontri tecnici visite a im-pianti industriali.

Il mondo dell’università e della ricerca è coinvol-to anche grazie ai Premi di Laurea e Dottorato REMTECH 2010, sponso-rizzati da ANDIS, Unione Petrolifera, ALA, Assore-ca, Consiglio Nazionale dei Chimici e Federam-biente.

Settori Principali- Caratterizzazione Indagini,

Strumenti di analisi, Con-trollo e Monitoraggio

- Bonifica Tecnologie di bonifica acque e terreni

- Bonifica di serbatoi, Vecchie discariche e trasporto dei rifiuti

4° Salone sulle Bonifiche dei Siti contaminati e sulla Riqualificazione del territorio

Ferrara, 21-23 settembre 2010

REMTECH EXPO 2010

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- Impianti di trattamento, rimozione e incapsulamento amianto

- Gestione e trattamento dei sedimenti e attività di dra-gaggio

- Riqualificazione del territorio- Brownfields & Real Estates - Valorizzazione economica e

riqualificazione di aree contaminate- Demolizioni Civili e Industriali & Decommissioning- Strumenti per la gestione e la pianificazione- Certificazioni, Assicurazioni, Consulenze e Servizi Am-

bientali e Comunicazione Ambientale

Tra le novità dell’edizione del 2010.Il Convegno di apertura sugli sviluppi delle attività di bo-nifica in Italia e gli aggiornamenti del Codice Ambientale (D.Lgs. 156/2006) con la presenza del Ministero dell’Am-biente e della Tutela del Territorio e del Mare, dell’Istituto Superiore di Prevenzione e Ricerca ambientale (ISPRA), di Sviluppo Italia.

La Tavola rotonda sul contributo delle bonifiche alla ri-presa economica, con i rappresentanti di SAIPEM-ENI, di SYNDIAL-ENI, dell’Istituto Superiore della Sanità, di ANCE e di Legambiente.

Il Convegno nazionale sulle attività illecite connesse alle bonifiche dei siti contaminati con la presenza di componenti della Commissione parlamentare di inchiesta.

Il Convegno internazionale sulle esperienze internazionali a confronto e case-history nella bonifica dei siti contaminati.

Il Forum della Pubblica Amministrazione sulla bonifica dei siti contaminati.

Il Safety tour di Confindustria-INAIL, dedicato al settore industriale della piccola, media e grande industria, sui temi della sicurezza e dell’ambiente.

Coast Expo 2010, una sezione speciale dedicata alla prote-zione delle coste, promossa in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, con la partecipazione delle aziende.Coast Expo 2010, momento di confronto, di riflessione e di dibattito tra Ministeri, Istituzioni, Università, Centri di Ricerca ed Imprese, sullo stato dell’arte, sugli sviluppi e sulle criticità relativamente alla gestione della fascia costiera che rappresenta un patrimonio unico sia dal punto di vista ambientale sia economico e sociale.L’iniziativa prevede un focus sui settori della gestione, dragaggio, bonifica, ripascimento, gestione del rischio, monitoraggio e difesa della fascia costiera e dei porti e la possibilità di incontri bilaterali tra le parti.

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INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO

Un valido strumento per individuare le aree prioritarie su cui intervenire

IN ITALIA UN ILLECITOAMBIENTALE OGNI 43 MINUTI

Presentato il 1° Rapporto sul contrasto all’illegalità ambientale

“L’Italia è un paese in cui le forze dell’ordine rilevano un illecito ambientale ogni 43 mi-nuti - ha affermato il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Stefania Prestigiacomo presentando il 1° “Rapporto sul Contrasto all’illegalità ambientale” - Nel 2009 sono stati effettuati oltre 12 mila controlli in cui sono state riscontrate attività illeci-te, con oltre 10 mila persone denunciate, 188 arresti e circa 2.800 sequestri. Significa che ogni giorno dello scorso anno in media sono state accertate oltre 30 illegalità ambienta-li, ogni giorno denunciate 29 persone, effettuati 7 sequestri e che ogni 2 giorni una persona è stata arrestata”. Alla presentazione del Rappor-to, realizzato dal Ministero in collaborazione con il Coman-do Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, il Corpo Fore-stale dello Stato, il Corpo Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato, hanno partecipato, infatti, i massimi rappre-sentanti dei corpi dello stato impegnati nel contrasto all’illegalità ambientale e l’on. Gaetano Pecorella, Presidente

della Commissione Parlamentare d’In-chiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.“Le ecomafie - ha osservato il Mi-nistro - rappresentano il fronte più preoccupante e complesso, perché se un’organizzazione criminale svolge il suo business in campo ambientale, i

rifiuti tanto per fare l’esempio più comune e frequente, può farlo solo entrando in relazione con il sistema produttivo e con le istituzioni; con chi produce i rifiuti da smaltire e con chi dovrebbe controllarne e verifi-carne il corretto smaltimento. E’ una attività di tipo mafioso che contamina la parte sana della società creando un intreccio le-galità/illegalità spesso difficile da dipanare, moltiplicando il numero dei soggetti coinvolti, anche estranei alle cosche, e provocando con criminale in-differenza enormi conseguenze sull’ambiente, le falde, i territo-ri, gli ecosistemi. Non a caso i casi di inquinamento del suolo, cartina tornasole principale del racket dei rifiuti, rappresentano la fonte di reati più gravi che ha indotto quasi il 90% degli arresti effettuati nel 2009, ben 163 con 2759 denunce a fron-te di 1652 controlli che hanno

rivelato azioni illegali”.

I dati raccolti dal Rapporto sono stati analizzati ed elaborati attraverso mol-teplici parametri di riferimento:- componente territoriale, ripartita su

base nazionale e base regionale;

Nella foto da sinistra: il Presidente della Commissione bicamerale sulle ecomafie, on. Gaetano Pecorella; il Ministro Stefania Prestigiacomo; il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli e il Vice capo vicario della Polizia di Stato, prefetto Nicola Izzo

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- tipologia dell’impatto ambientale pro-dotto dai fenomeni inquinanti;

- componente temporale mediante la comparazione dei dati riferiti a pe-riodi diversi”.

Quantunque il Rapporto si soffermi particolarmente sul settore del traffico e dello smaltimento di rifiuti che rap-presentano la fonte di reati più grave, sono numerosi i dati sui reati relativi all’inquinamento delle risorse idriche, agli incendi, contro la conservazione e valorizzazione delle aree naturali pro-tette, la biodiversità e la protezione delle coste.Inoltre, uno spazio è stato riservato per trattare, anche se in sintesi, gli aspetti salienti delle problematiche attinenti le materie radioattive che, alla luce delle più recenti politiche adottate dal Paese in direzione di un più frequente utiliz-zo dell’energia nucleare a scopi civili, assumono rilievo primario e meritano una specifica trattazione.Infine, è stato predisposto un capitolo relativo alle attualità emergenziali nel Paese che fa riferimento a realtà regio-nali interessate da specifiche situazioni di criticità reale o semplicemente po-tenziale.In particolare, segnaliamo l’appro-fondimento del Rapporto dedicato al delicato settore del ciclo del ce-mento, in virtù del fatto che esso è strettamente connesso il cosiddetto fenomeno del “Soil Sealing” (imper-meabilizzazione del suolo): “processo

legato alla progressiva urbanizzazio-ne ed infrastrutturazione del territorio che produce la separazione del suolo dalle altre componenti dell’ecosistema mediante la copertura delle aree su-perficiali con materiali impermeabili quali calcestruzzo, metallo, vetro, ca-trame e plastica o anche attraverso la trasformazione della natura del suolo che finisce per comportarsi come un materiale impermeabile”.Tali impatti comportano trasformazio-ni dell’ambiente giudicate da tecnici e studiosi difficilmente reversibili, infatti “la diminuzione dell’evaporazione (solo uno degli effetti del soil sealing) cau-sata dalla minore capacità del suolo di assorbire le acque piovane, ne au-menta lo scorrimento superficiale con conseguente incremento dei fenomeni erosivi ed un conseguente trasporto di grandi quantità di sedimento nei col-lettori naturali ed artificiali”.“Questi fenomeni di cementificazio-ne massiva rappresentano la misura dell’espansione delle aree urbane a scapito dei terreni agricoli e natura-li e sono il segnale del consumo del suolo conseguenti le attività umane. Uno degli elementi che maggiormente salta all’occhio dai risultati di questo studio, rivela che la crescita delle città non sembra essere in rapporto con la crescita di popolazione come avveniva in passato”.Le cause di questa crescita possono essere diverse e tra queste: la ricerca

di una maggiore qualità abitativa in termini di tipologie edilizie e urbane a bassa densità, la necessità di nuove infrastrutture di trasporto stradale e fer-roviario e così via.“Al momento il fenomeno del consu-mo del territorio è contenuto mediante l’iniziativa di alcune regioni che han-no adottato linee di sviluppo idonee a garantire la compatibilità delle scelte di crescita e sviluppo urbanistico, con il mantenimento ed il miglioramento dell’ambiente e la qualità della vita dei cittadini”. Il Rapporto ricorda in proposito che nel 2006 è stato presentato al Senato un disegno di legge recante “Principi fondamentali in materia di pianifica-zione del territorio”.“Nel rapporto - ha rilevato ancora il Ministro - i dati del 2009 vengono paragonati a quelli del 2008. Dalla comparazione emerge una sostanzia-le stabilità del numero delle illegalità rilevate, che anche nel 2008 hanno superato le 12 mila, ma un incremen-to del 31% degli arresti, del 17 % dei sequestri e del 13% delle denunce. Ciò significa, credo, che si sono affinate le capacità investigative e la capacità dello stato di andare a fondo nella repressio-ne delle illegalità, nelle individuazione di legami, intrecci, responsabilità. Ciò significa che nelle forze dell’ordine oltre all’impegno che non è si è mai attenuato, oltre al senso di sacrificio di cui tutti dobbiamo essere grati a questi uomini ed a queste donne che lavorano per noi, per la legalità del nostro paese, si sono rafforzate anche competenze, conoscenze, professionalità specifiche. Capacità operative qualificatissime che traducono l’impegno politico del gover-no sulla tolleranza zero in materia di illeciti ambientali in azioni concrete di repressione e prevenzione i cui risultati sono evidenti”.

Il Ministro ha annunciato che nell’am-bito delle azioni di informazione sul SISTRI, il sistema di tracciabilità dei rifiuti speciali, pericolosi e non peri-colosi, che punta alla trasparenza e alla legalità e che diventerà operativo dalla prossima estate (cfr: “SISTRI si parte!”, in Regioni&Ambiente, n. 3 marzo 2010, pag. 25 e segg. con l’Allegato inserto normativo del testo di Decreto 17 di-cembre 2009), è stato realizzato uno spot televisivo sul sistema, che avrà come testimonial Alberto Angela.

DATI RIEPILOGATIVI RELATIVI ALL’ATTIVITÀ OPERATIVA A LIVELLO NAZIONALE 2008-2009

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Ribadita la necessità di aumentare i tassi di riciclaggio anche di quelli più diffusi

GREEN ECONOMY A RISCHIO PERL’INDISPONIBILITÀ DI METALLI RARI

Pubblicati dall’UNEP due Report sulle scorte e il riciclaggio dei metalli

“In futuro si deve prendere in consi-derazione la possibilità di non poter disporre per i vari usi l’intera tavola periodica degli elementi”.Questo monito è stato lanciato da Thomas Graedel, professore di Ecologia industriale dell’Università di Yale e coordinatore del Gruppo di

Lavoro sui Flussi Globali dei Metalli dell’International Panel for Sustainable Resource Management dell’UNEP, in occasione della presentazione lo scorso maggio di due Rapporti:- “Tassi di riciclaggio dei metalli” (Metal

Recycling Rates), indagine preliminare che sarà completata entro l’anno;

- “Scorte di metallo nella società” (Metal Stocks in Society).

I Report fanno parte di una serie di pubblicazioni sugli stocks e flussi di metalli, commissionato dell’UNEP, l’Agenzia delle Nazioni Unite per la Protezione Ambientale, in vista del Vertice sulla Terra di Rio de Janeiro nel 2012.

Graedel, che della pubblicazione, è an-che il principale autore, ha affermato che le relazioni hanno preso in esame il ciclo di vita di 62 metalli, in pratica tutti quelli della tavola periodica, suddivisi in 4 gruppi. Ebbene, solo alcuni metalli (ferro, platino, rame, alluminio), han-no avuto tassi di riciclaggio compresi tra il 25% e il 75% mentre la maggior parte degli altri, è stata utilizzata per una sola volta: “Questo è chiaramente insostenibile”.Aumentare i tassi di riciclaggio sia dei metalli di uso comune, come il rame utilizzato per connettere le nostre abi-tazioni, che di quelli più specifici, qual è il litio necessario per le batterie delle auto ibride, sarebbe fondamentale per far progredire l’economia globale verso tecnologie pulite ed ecosostenibili.L’indagine, infatti, sottolinea i risparmi energetici e i positivi effetti sui cam-biamenti climatici che si otterrebbero se si aumentassero i tassi di riciclaggio dei prodotti a fine vita per i quali si sono impiegati i metalli più comune-mente conosciuti. In termini di energia, si potrebbe ridurre fino a 10 volte il consumo, utilizzando i metalli ricicla-ti, rispetto all’energia necessaria per la produzione dei metalli, fin dalla loro estrazione.I dati del riciclo evidenziano che, spe-cialmente nei Paesi in via di sviluppo, si sono avuti risultati scarsi, laddove sarebbe stato necessario colmare le lacune in termini di infrastrutture. Il mi-glioramento dei tassi di riciclaggio dei metalli non solo ridurrebbe gli impatti ambientali, ma potrebbe anche dare slancio ad una nuova “ondata verde” dei posti di lavoro.(Fonte: UNEP)

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Nel Rapporto si osserva che telefonini e computer fanno uso fino a 40 elementi, rendendo difficile le attività di riciclag-gio. Nel 1980, Intel aveva utilizzato 11 elementi nei chip dei computer nel 1990, già 15; oggi ne usa più di 60.Se tale impiego ha permesso indu-bitabilmente di aver attrezzature più sofisticate, c’è da osservare poi che all’elevato ritmo di utilizzo degli ele-menti non è seguito un pari tasso di riciclaggio.Il Rapporto fa l’esempio dell’indio, utilizzato nella produzione di semi-conduttori e degli elettrodi trasparenti per i display a schermo piatto, la cui domanda è prevista in forte crescita,

passando dalle attuali 1.200 tonnellate alle 2.600 tonnellate entro il 2010, ma che viene riciclato solo nell’1%.Ma vi sono tanti altri metalli speciali che non vengono riciclati, quali tellurio e selenio, utilizzati per i moduli fotovol-taici, il gallio per i LED, il neodimio per i magneti delle turbine eoliche.Ben l’80% di questi elementi è sta-to estratto negli ultimi 30 anni e si concentra, a volte, in specifiche aree geografiche.

Progettisti di prodotti e scienziati dei materiali non hanno finora preso in considerazione la necessità di prodotti che siano anche facilmente riciclabili,

Uno degli ostacoli principali per determinare la disponibilità del metallo consiste nel fatto che solo 1/3 dei metalli hanno avuto una qualche stima per i quantitativi già estratti e in uso. Di questi, solo per 5 è stata fatta una quantificazione con certezza. (Fonte: UNEP)

mentre la richiesta mondiale di prodotti più sostenibili presuppone un ruolo delle industrie più attivo nella proget-tazione e nell’imballaggio dei prodotti in modo da incrementarne i tassi di riciclaggio a fine vita.Si sottolinea, inoltre che uno dei feno-meni più caratteristici dell’età industriale moderna consiste nel fatto che le scorte di metallo si trovano essenzialmente “fuori dal suolo” (above ground), negli articoli per la casa, nelle strutture degli edifici e delle navi e in prodotti quali telefonini e computer.Questa disponibilità, sia di metalli più comuni sia di quelli più rari, costituisce una straordinaria opportunità per lo sviluppo sostenibile, non solo in ter-mini di risorse, ma quale occasione per ridurre la domanda di energia, limitare i livelli di inquinamento, abbassare i livelli di gas serra.Ma tali scorte non sono distribuite equamente: ad esempio, la quantità di ferro procapite per gli USA è di 11-12 tonnellate, mentre per la Cina è di 1,5 tonnellate.

Da parte sua il Direttore esecutivo dell’UNEP, Achim Steiner, si è augu-rato che i due rapporti contribuiscano a cambiare le prospettive mondiali per quel che riguarda le scorte di metalli e le modalità del loro riciclaggio, so-prattutto in previsione di un’esplosione produttiva per l’aumentato uso di pro-dotti elettrici ed elettronici da parte della fascia medio alta della popola-zione mondiale.“Bisogna agire urgentemente per gestire in modo sostenibile l’approvvigionamen-

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to che già nel ventennio prossimo - ha osservato Steiner - potrebbero penaliz-zare o addirittura arrestare la crescita di un’economia a bassa emissione di carbonio”.In effetti, con tassi di riciclaggio di me-talli d’uso come il ferro al 50% e quelli meno usati all’1%, l’industria mineraria e quella dei prodotti necessitano di un cambiamento di strategia.“Se il mercato moderno ha dato finora prove di essere di sviluppare un’eco-nomia del riciclaggio - ha concluso Steiner - la sfida del XXI secolo consi-ste ora di spingerla ulteriormente verso un’oculata gestione di risorse, flussi e prezzi dei metalli speciali, aumentan-done il riciclaggio”.Intervenendo, a sua volta, il Presiden-te del Panel Internazionale autore dei Rapporti, Ashok Khosla ha voluto mettere in evidenza l’impatto ambien-tale e sociale delle miniere.“In tutto il mondo, ma soprattutto nei Paesi in via di sviluppo le miniere so-no state responsabili di ingenti perdite di vite umane, tra cui quelle dovute all’avvelenamento del sangue o al crollo delle gallerie. Spesso le società estrattive hanno influenzato negativamente le comunità locali. Così se è vero che il riciclaggio ha enorme importanza nel contrastare le emissioni di gas serra, l’impatto delle miniere e dei rifiuti in-dustriali sulla salute, sulle biodiversità, sulle risorse idriche e terrestri dovrebbe essere egualmente affrontato. Queste sono questioni che ci si porranno di fronte molto presto”.

Che l’estrazione dei metalli comporti dei rischi per la salute, specie se non vengono approntate adeguate misure di sicurezza, è stato recentemente ri-badito dalla notizia riportata dalla AFP (4 giugno 2010) secondo la quale nel-lo Zamfara, Stato settentrionale della Nigeria si sono avuti avvelenamenti da piombo.“Abbiamo registrato 163 morti, tra cui 111 bambini, dall’inizio dell’anno in 5 villaggi dove veniva praticata l’estrazio- (Fonte: UNEP)

ne illegale alla ricerca di oro in un’area dove, però, c’è un’alta concentrazio-ne di piombo - ha dichiarato Henry Akpan, Responsabile del settore Epi-demiologia del Ministero della Salute nigeriano - I bambini che giocavano nelle pozze d’acqua vicine alla miniera avevano accusato dolori addominali, vomito, nausea e convulsioni”.

Le autorità, dopo aver compreso quel che stava accadendo, hanno chiuso le miniere illegali e avviato un monito-raggio di tutte le persone sospettate di essere venute a contatto con il piombo, chiedendo anche l’aiuto dell’Organiz-zazione Mondiale della Sanità (OMS) e di Medici Senza Frontiere (MSF) per contenere l’epidemia.

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Diminuiscono anche in Italia, ma non abbastanza

EMISSIONI DI GAS SERRADELL’UE: KYOTO È PIÙ VICINO!

Pubblicato il Rapporto inventario 2010 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente

L’annuale Rapporto inventario sul-le emissioni di gas ad effetto serra dell’Unione Europa (Annual Euro-pean Union greenhouse gas inventore 1990-2008 and inventory report 2010), redatto dall’Agenzia europea dell’Am-biente (AEA), “mostra che l’UE è sulla buona strada per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni con sole mi-sure di politica interna - ha dichiarato la professoressa Jacqueline McGlade, Direttore esecutivo dell’AEA, che il 21 maggio a Firenze ha ritirato il Premio ambientalista internazionale edizione 2010 “Il Monito del Giardino” promosso dall’Ente Cassa di Risparmio di Firen-ze attraverso la Fondazione Bardini e Peyron - Le nostre politiche i nostri strumenti sembrano funzionare. Quan-tunque ci aspettiamo un calo ancora

più netto nel 2009, causato soprattutto dalla recessione, dobbiamo far sì che la tendenza alla diminuzione delle emis-sioni continui e che l’Europa aumenti i suoi investimenti per il clima, con l’obiettivo ultimo di realizzare un’eco-nomia ancora più efficiente in termini di risorse”.

La combinazione di prezzi elevati del carbone e del carbonio, accompagnata da un calo dei prezzi del gas natura-le nel 2008, ha indotto i produttori di energia termica ed elettrica a sostituire il più inquinante carbone con il gas e, di conseguenza, si sono ridotte le loro emissioni di gas serra.L’uso delle biomasse e di altre fonti rin-novabili (energia eolica e idroelettrica) è aumentata in modo significativo nel

2008. La recessione economica, inizia-ta durante la seconda metà dell’anno, ha pure contribuito alla riduzione delle emissioni di diversi settori tra cui il ma-nifatturiero, l’industria delle costruzioni e il settore dei trasporti su strada. Le emissioni dei trasporti stradali sono state inoltre colpite dagli alti prezzi del petro-lio, con un calo continuo dei consumi di benzina e una inversione di tendenza al rialzo per le vendite del diesel.

Nell’UE-27 le emissioni sono in calo costante dal 2003 fino a raggiungere i 4.940 miliardi di tonnellate equivalenti di CO

2 nel 2008. Rispetto alle emissioni

del 2007, si è avuta una riduzione di 99 milioni di tonnellate, pari al 2%. Nel 2008 le emissioni si sono ridotte dell’11,3% rispetto ai livelli del 1990,

Copenhagen. “Europa in fiore”: in occasione della Giornata Mondiale della Biodiversità (22 maggio), la facciata della sede dell’Agenzia Europea dell’Ambiente in via Kongens Nytorv, 6 è apparsa ricoperta da 500 piante di 20 specie floreali che costituiscono un giadino verticale permanente dalla forma dell’Europa.

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per cui l’UE-27 ha già rag-giunto più della metà del proprio obiettivo di riduzione unilaterale delle emissioni del 20% entro il 2020 attraverso le sole politiche interne.In questo primo anno del periodo di impegno del Pro-tocollo di Kyoto, UE-15 ha tagliato le sue emissioni di 76 milioni di tonnellate di CO

2

equivalenti, corrispondenti a un calo dell’ 1,9% rispetto al 2007. Questo risultato ha por-tato le emissioni dell’UE-15 ad una riduzione del 6,9%, ovvero 295 milioni di ton-nellate, rispetto al livello dell’anno base del protocollo di Kyoto, già nel 2008, senza considerare i serbatoi di car-bonio e l’uso dei meccanismi flessibili di Kyoto.Per la prima volta dal 1992, le emissioni derivanti dai trasporti aereo e marittimi internazionali sono diminuite nell’UE-27, in parte a causa della recessione economica. Questi due settori rappresen-tano circa il 5,9% del totale di gas a effetto serra nell’UE-27, ma non sono contabilizzate in relazione alla misurazione dei progressi verso gli obiettivi di Kyoto.Alla Spagna è attribuita la riduzione netta di un terzo di quella conseguita dalla UE-27, principalmente a causa di una sostanziale sostituzione del car-bone con gas naturale e di un netto calo nel consumo di benzina nei tra-sporti su strada, accompagnato da un aumento della produzione di energia rinnovabile.Il Sistema del Commercio delle Emissioni dell’Unione europea (ETS) ha coperto il 43% del totale delle emissioni di gas ser-ra dell’UE-27 nel 2008. Nel 2008, i livelli di copertura dell emissioni nel quadro dell’ETS europeo è risultato più basso di circa il 3% rispetto ai livelli del 2007. La recente pubblicazione dei dati 2009

dell’ETS, rivelano che le emissioni veri-ficate nel 2009 sono diminuite del 11,6% rispetto ai livelli del 2008, riflettendo l’impatto della recessione economica (ndr: dal 20 maggio 2010 è possibile, tramite il facile accesso al Visualizzatore dei Dati sull’ETS Europeo, avere i dati aggregati del 2009 (la copertura è pari al 99% poiché non sono ancora dispo-nibili i dati di Cipro)per Paese, settore ed anno delle emissioni effettuate, le indennità e le unità restituite dagli oltre 12.000 impianti che rientrano nel siste-ma di scambio delle quote di emissione, contenute nella rete delle transazioni ge-stito dalla Commissione UE (Community Indipendent Transaction Log).

Alla fine dell’estate 2010, l’Agenzia pubblicherà le stime preliminari delle emissioni comunitarie totali del 2009

a cui faranno seguito in autunno rapporti più com-pleti di analisi sui trend di emissioni, sull’efficacia delle politiche e sui progressi verso il raggiungimento degli obiet-tivi di emissioni di Kyoto e degli altri dell’UE relativi al cosiddetto triplo 20.

Come si può osservare dalla Tabella riepilogativa, (vedi pagina successiva) anche in Italia le emissioni sono in calo per il 4° anno consecutivo (-2% rispetto al 2007), ma rimane comunque in crescita del 4,7 rispetto all’anno base 1990 a fronte di un obiettivo al 2012 del -6,5%. Anche se le stime del 2009 parlano di un taglio ancora più marcato rispetto al 2008, l’obiettivo del Protocollo di Kyoto rimane ancora lontano. Certo, oltre ai crediti derivanti dall’assorbimento del carbonio ad opera del manto forestale e dai progettti di abbattimento delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo,

c’è sempre la possibilità di fare il massimo uso dei “meccanismi flessibili”, previsti dallo stesso Protocollo, ma il loro accesso può avvenire solo dopo la presentazione ogni anno dell’inventario delle emissioni, accompagnato da una relazione sugli andamenti delle emissioni, su cui un’apposita Commissione dell’UNFCCC verificherà le rispondenze ai requisiti richiesti.Rispetto agli altri Paesi dell’UE-15, dove complessivamente le emissioni sono già diminuite rispetto all’anno base del 6,9, a fronte di un obiettivo dell’8%, secondo l’ISPRA che ha presentato il 22 aprile l’Inventario nazionale delle emissioni, il nostro gap deriverebbe dalla voce “residenziale e servizi” (households/services) che ha visto dal 1990 incremen-ti di emissioni di oltre il 10%, di gran lunga di più di quanto fatto registrare

Copenhagen. Anche la Direttrice dell’Agenzia professoressa Jacqueline McGlade ha partecipato ai lavori di impianto delle specie floreali per la decorazione della facciata della sede. (foto: Ciprian Marius Vizitiu)

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dagli altri Paesi europei, e dalla “ge-stione del ciclo dei rifiuti” (waste), che ha permesso agli altri Paesi di ridurre complessivamente il peso delle relative emissioni del 39%, laddove in Italia si è arrivati solo al 7,4%.La voce “trasporti” (transport) è quella che in valore assoluto appesantisce di più il nostro target rispetto all’anno base (+20%), subito seguita (+16%) dalla “produzione di energia” (energy production).

Il Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente è corredato da un Documento (“Why did greenhouse emissions fall in the EU in 2008?”) che analizza brevemente i principali fattori che hanno determinato la ridu-zione delle emissioni di gas ad effetto serra nell’UE-27 tra il 2007 e il 2008. Senza costituire un’analisi statistica completamente sviluppata degli effetti quantitativi dei singoli fattori, il paper

non mira a fornire una panoramica sul-le tendenze dell’UE, seguita dalla sintesi dei contributi dei singoli Stati membri, in relazione alle tipologie dei gas e dei principali settori di emissione. Inoltre, vengono presi in considerazione altri fattori esplicativi quali popolazione, energia e intensità di carbonio, e si conclude con una breve panoramica del 2009 sul Sistema di Scambio di Emissioni EU-ETS).

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I problemi connessi al rischio idrogeologico diventano anno dopo anno più gravi e preoccupanti per il nostro Paese e rappresentano un problema di grande rilevanza, sia per il numero di vittime sia per i danni causati alle infrastrutture, come confermano anche i dati raccolti in un catalogo storico con informazioni di eventi con danni diretti alla popolazio-ne dal 671 d.C. e aggiornato dall’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del CNR. Se ne è parlato a Roma il 27 maggio 2010, presso la sede del CNR, nel corso della Giornata di studio “La ricerca del CNR per il sistema nazionale di Protezione civile”, organizzata dal Dipartimento Terra e Ambiente (DTA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche e a cui hanno parteci-pato, tra gli altri, il Presidente del CNR, Luciano Maiani, il Vice Capo Dipartimento della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis e Giuseppe Cavarretta, Direttore del DTA-CNR, oltre ai ricercatori del CNR che si occupano di eventi catastrofici.“Abbiamo utilizzato questo catalogo storico, unico nel suo genere - ha spiegato Fausto Guzzetti, Direttore dell’IR-PI-CNR - per aggiornare le statistiche nazionali sulla probabilità che un evento di frana e inondazione causi un dato numero di vittime e ab-biamo prodotto per la prima volta delle statistiche a livello regionale”. Sebbene il pericolo frane e inondazioni colpisca un po’ tutto il territorio nazionale (dal 1950 al 2008 le vittime di eventi franosi sono state 6.380 e quelle delle alluvioni oltre 269), le regioni più esposte sono il Trentino Alto Adige e la Campania. Prendendo in considerazione gli ultimi 60 anni il Trentino si trova al 1° posto per numero di vittime (675), dovute a 198 eventi franosi. Segue la Cam-pania con 431 vittime per 231 eventi. Sempre nello stesso periodo di tempo gli eventi franosi in Sicilia sono stati 33 con 374 vittime. Il Piemonte ha avuto 88 eventi franosi e 252 vittime. Un discorso a par-te merita il Veneto dove, nel 1963, un solo evento (quello

del Vajont) causò più di 1.700 vittime.Se si passa a considerare gli eventi di inondazioni le Regioni più interessate sono Piemonte (73 eventi alluvionali e 235 vit-time); Campania (59 eventi e 211 vittime); Toscana (51 eventi e 456 vittime: un numero caratterizzato dalla inondazione dell’Arno del 1966) e Calabria ( 37 eventi e 517 vittime).“Oltre a questo catalogo storico - ha aggiunto Guzzetti - ab-biamo compilato un catalogo nazionale e stiamo lavorando a una serie di cataloghi regionali su eventi di pioggia che hanno prodotto frane”.Ad oggi ci sono informazioni su 1.025 eventi che serviranno per valutare la stima di soglia pluviometrica per l’innesco di movimenti franosi.Nel corso del Convegno è stato inoltre illustrato il contributo del CNR nell’ambito dei più recenti eventi naturali catastrofici. “Per quanto riguarda il terremoto avvenuto a L’Aquila, per esempio, il contributo del CNR - ha spiegato il Direttore Giu-seppe Cavarretta - è stato utile per il Dipartimento della Protezione Civile che ha potuto contare sui ricercatori dell’Ente:

il giorno stesso del sisma era-vamo già sul luogo e abbiamo immediatamente operato sotto il coordinamento della Prote-zione Civile”.Il contributo tecnico-scientifico, poi, è stato utile soprattutto nella fase successiva al sisma, per la localizzazione dei siti più idonei alla riedificazione. “Abbiamo fornito informazio-ni su come si sia modificata la topografia dell’area interessa-ta - ha continuato il Direttore DTA-CNR - e dati sulla micro-zonazione sismica, al fine di identificare le aree più adatte alla ricostruzione degli edifi-ci. Questo perché, come noto, esistono punti in una stessa area maggiormente soggetti al danno poiché rilasciano in maniera più violenta l’energia sismica accumulata dalle for-mazioni geologiche argillose che possono essere presenti nel sottosuolo”.Anche per la recente eru-zione del vulcano islandese Eyjafjallajökull (cfr: “Ancora un monito dall’Islanda”, in Regioni&Ambiente, n. 6 giu-gno 2010, pag. 52 e segg.)

Secondo il NDRI l’Italia, assieme a Francia e Spagna, tra le nazioni europee più esposte

Presentate le attività e i risultati degli studi del CNR sui rischi naturali

LE REGIONI ITALIANE A MAGGIORRISCHIO DI FRANE E ALLUVIONI

San Benedetto Val di Sambro (BO). La grande frana di Ca’ di Sotto del giu-gno 1994 (fonte: Servizio Geologico, Sismico e dei Suoli, Regione E-R)

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con il conseguente problema delle ceneri nei cieli europei, il Dipartimento ha fornito la sua consulenza. Inoltre, su un aereo dell’Aeronautica Militare si sta montando un’apparec-chiatura in grado di ottenere misure dirette della densità di particelle di origine vulcanica in atmosfera per consentire alle Autorità preposte di decidere se si può volare oppure no sulla base di dati più attendibili rispetto ai modelli ma-tematici fino ad ora utilizzati.“Dal Vice Capo del Dipartimento della Protezione Civile - ha concluso Cavarretta - è venuta una manifestazione di grande soddisfazione per il lavoro svolto e una sollecitazione a una ancor maggiore integrazione del CNR nel sistema nazionale di protezione civile, sia per la mitigazione del rischio sia per la partecipazione alle operazioni nelle aree di emergenza”.

Il giorno prima del Convegno CNR, la Società di Consulenza Maplecroft che svolge analisi per consentire alle imprese e compagnie di assicurazione di identificare i rischi per lo svolgimento di attività imprenditoriali e commerciali, ha pubblicato il Natural Disasters Risk Index (NDRI).L’indice è stato calcolato misurando l’impatto umano dei disastri naturali in termini di decessi per anno e per milio-ne di abitanti in 229 Paesi. La metodologia per il calcolo dell’indice è stata raffinata, poi, per riflettere la probabilità che si verifichi un evento, e copre catastrofi naturali come terremoti, eruzioni vulcaniche, maremoti, tempeste, alluvioni, siccità, frane, temperature estreme.Sono 15 i Paesi classificati a “rischio estremo”, per lo più del Con-tinente Asiatico, con Bangladesh, Indonesia e Iran in testa.“La povertà è un fattore determinante nei Paesi in cui sia la frequenza che l’impatto delle catastrofi naturali sono gravi - ha affermato la Dott.ssa Anna Moss, Maplecroft Environ-

mental Analyst - Nei Paesi poveri di infrastrutture dove è più denso il sovraffollamento nelle zone ad alto rischio, quali le pianure alluvionali, sulle rive dei fiumi, lungo i pendii ripidi, risulta sempre elevato il numero delle vittime”.Anche India (11°) e Cina (12°) si collocano in questo gruppo. L’India è stata investita negli ultimi 30 anni da eventi catastrofici naturali di vario tipo che hanno provo-cato 141.961 decessi della sua popolazione, tra cui 50.000 a terremoti, 40.000 a inondazioni e 23.000 alle tempeste. La Cina ha subito più perdite che dell’India, con 148.417, ma causate per lo più dal terremoto del 2008 nello Sichuan, dove sono decedute 87.476.Sulla base dei risultati ottenuti da Maplecroft, non ci sono so-lo i Paesi in via di sviluppo le cui Organizzazioni dovrebbero avere piani di emergenza, dal momento che nel gruppo “ad alto rischio” troviamo 3 Paesi europei quali Francia (17°), Italia (18°) e Spagna (19°) vulnerabili principalmente a causa delle ondate di calore (quelle del 2003 e 2006 hanno causato oltre 40.000 vittime). Secondo alcuni studi, tali fe-nomeni avranno in futuro maggior incidenza (cfr: “Ondate di calore e alti livelli di ozono nei prossimi decenni”, in Regioni&Ambiente, n. giugno 2010, pag. 37 e segg.).Nel nostro Paese, poi, incidono il dissesto idrogeologico, i terremoti e i vulcani attivi o quiescenti, qual è il Vesuvio che potrebbe in qualsivoglia momento riprendere ad eruttare.“A causa dei cambiamenti climatici, saranno più nume-rosi gli eventi idro-meteorologici estremi - ha osservato la Moss - Paesi che non sono a rischio potranno in seguito essere colpiti da una catastrofe naturale, per cui racco-mandiamo anche ai Paesi più ricchi di concentrarsi sulla riduzione dei rischi da catastrofe”.

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ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI

Da FER il 29% di energia elettrica

PIANO NAZIONALE PERLE ENERGIE RINNOVABILI

Messo on line dal Ministero dello Sviluppo Economico

Dal 14 giugno 2010 è disponibile on line sul sito del Ministero dello Svilup-po Economico, per essere sottoposto a consultazione fino al 29 giugno (i letto-ri leggeranno questa notizia a scadenza intervenuta stante l’esiguità del periodo di consultazione previsto!) prima di es-sere trasmesso alla Commissione UE, il “Piano Nazionale per le Energie Rinnovabili”, previsto dalla Direttiva 2009/28/CE.Redatto secondo le Linee Guida della Commissione UE e realizzato in colla-borazione con i Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il Piano si concentra sul raggiungimento entro il 2020 dell’obiet-tivo vincolante di coprire con energia da fonti rinnovabili il 17% dei consumi lordi nazionali che, secondo lo scena-rio tendenziale dello studio PRIMES, preso a riferimento dalla Commissio-ne UE, aggiornato al 2009, prevede un consumo finale lordo pari a 145,5 Mtep, ma in uno scenario di maggio-re efficienza energetica, potrebbero mantenersi entro un valore di 131,21 Mtep, che significa un consumo fina-le di energie rinnovabili al 2020 di 22,31 Mtep.

L’obiettivo primario per l’Italia, si rileva nel Piano, è, quindi, quello di profon-dere uno straordinario impegno per l’incremento dell’efficienza energetica e la riduzione dei consumi di energia. Una tale strategia contribuirà in maniera determinante anche al raggiungimento degli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni climalteranti e di co-pertura del consumo totale di energia mediante fonti rinnovabili.La recente L. 99/2009 ha previsto il varo di un Piano straordinario per l’efficienza e il risparmio energetico. Gli strumenti operativi saranno mol-teplici:- promozione della cogenerazione dif-

fusa; - misure volte a favorire l’autopro-

duzione di energia per le piccole e

medie imprese;- rafforzamento del meccanismo dei

titoli di efficienza energetica;- promozione di nuova edilizia a

rilevante risparmio energetico e ri-qualificazione energetica degli edifici esistenti;

- incentivi per l’offerta di servizi ener-getici;

- promozione di prodotti nuovi alta-mente efficienti.

Tutti questi obiettivi e misure potran-no confluire nella Strategia energetica nazionale, per la cui definizione è prevista una Conferenza nazionale sull’energia e l’ambiente, che sarà oc-casione anche per stabilire un ampio confronto con le diverse entità territo-riali. Specificamente per le rinnovabili, la Legge 13/09 prevede che gli obietti-vi comunitari circa l’uso delle energie rinnovabili siano ripartiti, con modalità condivise, tra le regioni italiane (ndr: il cosiddetto burden sharing).La recente legge comunitaria 2009 ha conferito delega al Parlamento per il re-cepimento della Direttiva 2009/28/CE, fissando specifici criteri per l’esercizio della delega. In base a tali criteri, sarà istituito un meccanismo di trasferimento statistico tra le regioni stesse ai fini del rispetto della suddetta ripartizione.Le misure da attuare riguarderanno principalmente, oltre alla produzione delle fonti rinnovabili per usi termici e per i trasporti, lo sviluppo e la gestione della rete elettrica, l’ulteriore snelli-mento delle procedure autorizzative, lo sviluppo di progetti internazionali. Fondamentali, secondo il Piano, sono il coinvolgimento e il coordinamento tra le varie amministrazioni ed enti locali, nonché la diffusione delle in-formazioni.

Si ribadisce, comunque, che l’Italia da tempo ha posto notevole enfasi sullo sfruttamento delle energierinnovabili. Pertanto, sono già disponibili numerosi meccanismi di sostegno, che assicurano la remunerazione degli investimenti in diversi settori delle energie rinnovabili

e dell’efficienza energetica e favorisco-no la crescita di filiere industriali.Gli obiettivi e l’ampiezza della diret-tiva 2009/28/CE impongono tuttavia un rinnovato impegno, con criteri che assicurino uno sviluppo equili-brato dei vari settori che concorrono al raggiungimento di detti obiettivi e tenendo conto del rapporto costi-benefici. Parimenti, andrà accresciuto l’impegno sulle infrastrutture, sulla ri-cerca, sulla formazione e, in generale, sugli aspetti che possono concorrere all’equilibrata crescita dei consumi da fonti rinnovabili.In tale ottica il Parlamento ha formulato i criteri per il recepimento della diretti-va. Coerentemente conessi, il presente Piano delinea le misure da aggiungere a quelle già operative: si sintetizzano a seguire gli elementi settoriali salienti.L’efficace realizzazione di tutte le misure e l’integrazione degli effetti delle singole azioni può consentire di arrivare al traguardo, ma con la con-sapevolezza:- della verosimile insufficienza delle

sole misure nazionali, integrabile opportunamente e secondo logiche di efficienza con i programmi di co-operazione;

- della necessità di intervenire lungo il percorso per superare possibili limiti e criticità dell’azione, per modifica-re o migliorare talune delle misure, per adattare i regimi di sostegno ad una realtà economica ed energeti-ca in continua trasformazione, per valorizzare i vantaggi di nuove ap-plicazioni tecnologiche.

Numerosi sono i meccanismi di so-stegno già attivi per sopperire agli insufficienti livelli di remunerazione ad oggi assicurati dai soli meccanismi di mercato agli investimenti nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficien-za energetica.Al fine di raggiungere i propri obiettivi nazionali, l’Italia intende potenziare e razionalizzare i meccanismi di sostegno già esistenti, in un’ottica integrata di:

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- efficacia per concentrare gli sforzi lungo direzioni di massimo contri-buto agli obiettivi;

- efficienza per introdurre flessibilità nel supporto degli incentivi limitando i loro apporti allo strettamente neces-sario a sopperire le défaillances del mercato;

- sostenibilità economica per il consu-matore finale, che è il soggetto che sostiene gran parte dell’onere da in-centivazione;

- ponderazione del complesso delle mi-sure da promuovere nei tre settori in cui agire: calore, trasporti, elettricità.

La quota di copertura del fabbisogno da fonte rinnovabile deriverà da questi macrosettori:- il 15,83% per il riscaldamento e

il raffreddamento;- il 6,38 del consumo energetico del

settore trasporti; - il 28,97% per l’elettricità, di cui:

• idroelettrico all’11,49%;• eolico al 6,59%;• biomasse al 5,74%;• solare al 3,1%;• geotermia al 2,05%.

Usi TermiciDiversi sono gli strumenti, anche indi-retti, operativi a livello nazionale per la promozione delle fonti rinnovabili per usi termici.

I principali sono i seguenti:- detrazioni fiscali del 55% delle spese

sostenute per l’installazione di pom-pe di calore, impianti solari termici, impianti a biomassa (per ora fino a tutto il 2010);

- obbligo per i nuovi edifici, non anco-ra pienamente operativo, di copertura di una quota (50%) dei fabbisogni di energia per la produzione di acqua calda sanitaria mediante fonti rin-novabili, nonché di uso d’impianti a fonti rinnovabili per la produzione elettrica;

- agevolazioni fiscali per gli utenti al-lacciati alle reti di teleriscaldamento da fonte geotermica o biomasse;

- meccanismo dei titoli di efficienza energetica, cui possono accedere tecnologie quali gli impianti solari ter-mici, le caldaie a biomassa e le pompe di calore, anche geotermiche;

- assenza di accisa per le biomasse solide alimentanti le caldaie dome-stiche.

Ai suddetti strumenti, considerati gli elevati tassi di crescita attesi per l’uti-lizzo delle rinnovabili nell’ambito degli usi termici, dovranno essere affiancate ulteriori politiche di promozione nei prossimi anni, funzionali ad incremen-tare i consumi di calore dalle diverse fonti e tecnologie disponibili.Di rilievo, anche per le proprie spe-

cificità, il settore della biomassa, che andrà promosso in maniera organica, individuando misure volte a incremen-tarne la disponibilità e lo sfruttamento indirizzandone gli impieghi non alla sola generazione elettrica, ma a forme più convenienti ai fini della copertura degliusi finali: produzione di calore per il soddisfacimento di utenze termiche e per la cogenerazione.Biocombustibili standardizzati potranno essere indirizzati prioritariamente agli impianti termici civili mentre le biomas-se residuali andranno promosse per la produzione centralizzata di energia.Lo sviluppo dell’utilizzo della biomassa naturalmente non potrà prescindere da considerazioni di carattere ambientale (emissioni, criteri di sostenibilità) e di competitività con altri settori (alimen-tare, industriale).

TrasportiIl principale strumento previsto dalla legislazione italiana per lo sfruttamen-to delle fonti rinnovabili nel settore dei trasporti è costituito dall’obbligo, imposto ai soggetti che immettono in consumo carburanti per autotrazione, di immettere in consumo anche una determinata quota di biocarburanti (il biodiesel, il bioetanolo e i suoi deriva-ti, l’ETBE e il bioidrogeno, sulla base della vigente legislazione). Tale quota di immissione è calcolata come percen-

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tuale del tenore energetico totale del carburante tradizionale immesso in rete l’anno precedente. La percentuale è au-mentata nel tempo. Nel 2010, i soggetti all’obbligo sono tenuti a immettere in rete una quantità di biocarburanti pari al 3,5% del tenore energetico totale del carburante immesso in rete nel 2009.Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali certifica annual-mente l’adempimento dell’obbligo.Per il futuro, si conta di agire princi-palmente con lo strumento dell’obbligo della quota minima, nel rispetto delle condizioni di sostenibilità e con atten-zione allo sviluppo di biocarburanti di seconda e terza generazione, nonché alla sostenibilità sociale dei biocar-buranti. Le condizioni di sostenibilità potranno essere utilizzate in modo da riconoscere maggior valore, ai fini del rispetto dell’obbligo della quota minima, ai biocarburanti di seconda generazione, a quelli ricavati dai rifiuti e da altre materie prime di origine non alimentare e a quelli che presentino maggior vantaggi in termini di emissio-ni evitate di gas serra o garantiscano specifici obiettivi ambientali.Inoltre, si introdurranno misure volte a sostenere l’impiego in extra-rete di biodiesel miscelato al 25% e si proce-derà, anche con norme nazionali, alla revisione delle norme tecniche per un graduale aumento della percentuale miscelabile in rete.

Produzione di energia elettricaPer quanto riguarda il settore elettrico, i principali meccanismi di sostegno in vigore per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili sono i seguenti:- incentivazione dell’energia elettrica

prodotta da impianti a fonti rinno-vabili con il sistema dei certificati verdi, basato su una quota d’obbli-go di nuova produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;

- incentivazione con tariffe fisse om-nicomprensive dell’energia elettrica immessa in rete dagli impianti a fonti rinnovabili fino a 1 MW di potenza (0,2 MW per l’eolico), in alternativa ai certificati verdi;

- incentivazione degli impianti foto-voltaici e solari termodinamici con il meccanismo del “conto energia”;

- modalità di vendita semplificata dell’energia prodotta e immessa in rete a prezzi di mercato prestabiliti;

- possibilità di valorizzare l’energia prodotta con il meccanismo dello

scambio sul posto per gli impianti di potenza sino a 200 kW;

- priorità di dispacciamento per le fonti rinnovabili;

- collegamento alla rete elettrica in tempi predeterminati ed a condizioni vantaggiose per i soggetti responsabili degli impianti.

I sistemi di incentivazione attuali hanno dimostrato di essere in grado di soste-nere una crescita costante del settore, garantendo, nonostante frequenti modi-fiche del quadro normativo, sufficiente prevedibilità nelle condizioni di ritorno dell’investimento e agevolando la fi-nanziabilità delle opere.Essi rappresentano dunque uno strumento consolidato del sistema energetico nazionale, cui si può guar-dare, con i necessari adeguamenti, anche per il prossimo periodo come elemento di continuità importante per il raggiungimento dei nuovi obiettivi comunitari.D’altra parte, gli scenari di forte crescita ed in particolare gli obiettivi specifici attribuibili al settore elettrico richiedo-no una visione di lungo termine ed una capacità, oltre che di razionalizzare gli incentivi attuali sulla base dell’anda-mento dei costi delle tecnologie, anche di promuovere benefici sul piano più complessivo produttivo ed occupa-zionale, in una logica di riduzione progressiva degli oneri e di sempre maggiore efficienza rispetto al costo di produzione convenzionale.Per alcune tecnologie o segmen-ti di mercato è inoltre possibile il raggiungimento in pochi anni, entro il 2020, della cd. grid parity, fattore che richiederebbe evidentemente una revisione dei livelli e dei sistemi di in-centivazione.In tal senso, è molto rilevante l’effetto che avrà la politica di riduzione delle emissioni di CO

2; la modifica del siste-

ma di assegnazione delle quote di CO2

al settore termoelettrico per il periodo post-Kyoto (a partire dal 2013) e delle relative sanzioni potrebbe modifica-re il livello dei prezzi dell’elettricità e influire, quindi, sulla valorizzazione dell’energia rinnovabile sul mercato, riducendo la necessità di un livello spinto di incentivazione. Questo a testimonianza di come le pur diverse esternalità ambientali (fonti rinnovabili, riduzioni emissioni gas serra) intera-giscono ed il loro interagire (positivo o negativo) deve essere attentamente

considerato nel disegnare l’approccio agli obiettivi.

Questi elementi saranno adeguatamen-te considerati per l’aggiornamento del quadro esistente, in modo da incre-mentare la quota di energia prodotta rendendo più efficienti gli strumenti di sostegno, evitando una crescita paral-lela della produzione e degli oneri di incentivazione.A tali fini sono proposti i seguenti in-terventi:- incremento della quota minima di

elettricità da rinnovabili da immettere sul mercato, in modo e con tempi ade-guati ai nuovi traguardi europei;

- revisione periodica (già previ-sta dalle disposizioni vigenti) dei fattori moltiplicativi, delle tariffe omnicomprensive (eventualmente anche modificando, per ciascuna tecnologia, la soglia per l’ammis-sione alla tariffa) e delle tariffe in conto energia per il solare, per tener conto dell’attesa riduzione dei costi dei componenti e dei costi impianti e per espandere la base produttiva contenendo e regolando l’impatto economico sul settore elettrico;

- programmazione anticipata delle riduzioni (su base triennale) degli incentivi e applicazione dei nuovi valori di coefficienti e tariffe solo agli impianti che entrano in esercizio un anno dopo la loro introduzione;

- modulazione degli incentivi in modo coerente all’esigenza di migliorare alcune opzioni dei produttori (ad esempio, il tipo di localizzazione) e ridurre extra costi d’impianto o di sistema;

- miglioramento delle attuali forme di monitoraggio sugli scambi e di informazione sui prezzi, con lo svi-luppo, in particolare, di un mercato a termine regolamentato anche per i titoli “ambientali”, in modo da con-sentire strategie di acquisto e vendita più lungimiranti, assorbire eventuali eccessi temporanei di offerta in modo più efficiente ed evitare bilanciamen-ti in via amministrativa;

- superamento del concetto di rifaci-mento, almeno per alcune tipologie di impianti e di interventi, da sosti-tuire con una remunerazione, anche successivamente al termine del vi-gente periodo di diritto agli incentivi, superiore a quella assicurata dalla sola cessione dell’energia prodotta;

- per le biomasse e i bioliquidi: pos-

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sibile introduzione di priorità di destinazione a scopi diversi da quello energetico e, qualora destinabili a scopo energetico, discriminazione tra quelli destinabili a produzione di calore o all’impiego nei trasporti da quelli destinabili a scopi elettrici, per questi ultimi favorendo in particolare le biomasse rifiuto, preferibilmente in uso cogenerativo;

- valorizzare per gli obiettivi nazionali l’elettricità importata dichiarata rin-novabile.

Il Piano prende poi in esame altri aspetti connessi al raggiungimento degli obiettivi, quali:- l’ammodernamento e poten-

ziamento della rete elettrica di trasmissione e distribuzione, per l’efficiente collegamento degli im-pianti, il dispacciamento dell’energia, la diffusione della generazione distri-

buita e l’interconnessione dell’Italia, con nuove infrastrutture elettriche, con u Paesi dell’Africa settentrionale e dei Balcani;

- la semplificazione delle procedure autorizzative, al fine di rimuovere e attenuare le barriere amministrative, prevedendo un’autorizzazione uni-ca rilasciata dall’autorità competente entro 180 giorni dalla presentazione della richiesta;

- le iniziative internazionali che possano dare un contributo anche in ordine all’assolvimento da parte dell’Italia dell’obbligo di uso delle fonti rinnovabili;

- gli strumenti trasversali dedicati, quali il Programma operativo inter-regionale sulle fonti rinnovabili e il risparmio energetico del Quadro comunitario di sostegno 2007-2013 che finanzia nelle regioni del Mezzo-giorno interventi di filiera e il Fondo

333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333333999999999999999999999999999999999999999999999999999999999

di rotazione per Kyoto che preve-de la concessione di finanziamenti agevolati utili a favorire la diffusione di tecnologie ad alta efficienza e a basse emissioni;

- il monitoraggio sia statistico, al-lo scopo di verificare lo stato di raggiungimento degli obiettivi, sia economico e sociale, con finalità di avere continue e aggiornate infor-mazioni sui costi e benefici connessi all’attuazione del piano verrà effet-tuato dal Ministero dello Sviluppo Economico insieme ai Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Ter-ritorio e del Mare e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con il supporto operativo del Gestore dei Servizi Energetici (GSE) che implementerà e gestirà un apposi-to Sistema Italiano di Monitoraggio delle Energie Rinnovabili (SIMERI).

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EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ

Nata nel 2003 per iniziativa del Presidente della Regione Toscana Claudio Martini e di Vandana Shiva, Direttore esecutivo della Research Foundation for Technology, Science and Ecology/Navdanya, la Commissione internazionale per il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura, che ha sede in Toscana, ha realizzato il “Manifesto sul Futuro dei Si-stemi di Conoscenza. Sovranità della conoscenza per un pianeta vitale”.Il Manifesto, dopo la sua illustrazione avvenuta in ante-prima lo scorso Novembre a Parigi nella prestigiosa sede dell’UNESCO, è stato presentato il 28 maggio 2010 a “Terra Futura”, a cura di ARSIA (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale).Il Manifesto, presentato per l’occasione da Vandana Shi-va e Carlo Petrini, Presidente di Slow Food International, intende promuovere il rilancio del sapere tradizionale con-tro lo strapotere degli esperti che “trasferiscono il sapere frammentato al mondo della produzione ed espropriano i contadini dalla conoscenza delle sementi e dal diritto di conservarle, migliorarle e scambiarle”. L’integrazione tra sapere scientifico e sapere tradizionale, tra ricercatori e agricoltori, costituisce oggi una via per uscire dalle molteplici crisi che attanagliano l’umanità l’implosione finanziaria e il collasso economico, il caos climatico e lecrisi energetiche e alimentari. Oggi viviamo in un’epoca in cui le decisioni adottate in un luogo influenzano tutto il mondo e le scelte sbagliate possono causare una distruzione irreversibile. Secondo il Manifesto, i contadini debbono tornare ad essere

“scienziati sul campo, in grado di garantire la conservazione dell’habitat, del suolo e delle risorse idriche. Il sapere contadi-no in tutto il mondo ha protetto e potenziato la biodiversità, garantendo la sicurezza alimentare alle comunità”. Per raggiungere il massimo livello possibile di integrazione tra le tradizioni contadine e l’aggiornamento del sapere scientifico, il Manifesto propone 6 principi base:1) la mancanza di un sapere olistico e una visione del mon-

do meccanicistica stanno alla base delle attuali crisi;2) l’esclusione delle diverse tradizioni e la conoscenza dei

popoli sta rendendo l’umanità intellettualmente povera e maggiormente vulnerabile a molteplici minacce;

3) il controllo corporativo della scienza e la commercializ-zazione della conoscenza attraverso i brevetti e gli altri “diritti di proprietà intellettuale”;

4) il nuovo paradigma dell’alimentazione e dell’agricoltura deve essere basato su una scienza olistica (le proprietà di un sistema non possono, cioè, essere spiegate tramite le sue stesse componenti) della vita;

5) la diversità e il pluralismo dei sistemi di conoscenza sono fondamentali per l’evoluzione e l’adattamento, special-mente in questa epoca caratterizzata da una crescente instabilità;

6) la sovranità della conoscenza delle comunità deve essere riconosciuta, compreso il diritto di utilizzare liberamente, migliorare e condividere il sapere.

Come diceva Einstein, non possiamo risolvere i problemi con la stessa impostazione mentale che li ha generati. Conscia-

La mancanza di un sapere olistico alla base delle attuali crisi

Presentato a Terra Futura 2010 il Manifesto sul futuro dei Sistemi di conoscenza

INTEGRARE SAPERE SCIENTIFICOE SAPERE TRADIZIONALE

Vandana Shiva al lavoro nella fattoria biologica Navdanya presso Dehradun

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mente o inconsciamente, nelle nostre menti il mondo è stato assimilato a un’enorme macchina, libera di essere migliorata e modificata dall’uomo. Proprio come le macchine vengono montate manipolandone i componenti, abbiamo pensato che lo stesso potesse essere fatto con il mondo intero, vivente e non vivente. Ciò ha portato allo scardinamento di processi ecologici fragili, vitali per la sopravvivenza umana. Si è presupposto che la conoscenza completa del tutto potesse essere ottenuta semplicemente attraverso la conoscenza delle sue singole parti. Questo approccio, che ha dato luogo a una metodologia con scopi pratici, è stato elevato a teoria e addirittura a ideologia, tanto che la metafora “i sistemi natu-rali sono come macchine” si è progressivamente trasformata nell’affermazione “i sistemi naturali sono macchine”.Ma noi non conosciamo affatto tutti i componenti della bio-sfera, al massimo solo la funzione di ciascuno di essi. Questa mancata conoscenza vale sia per i componenti viventi che per quelli non viventi. Anche se la biosfera si comportasse come una macchina, la nostra limitata conoscenza di tutte le sue parti ci renderebbe impossibile conoscere gli esiti della modifica o addirittura dell’eliminazione di una qualsiasi di esse. Data la nostra ignoranza, dovremmo ridurre al minimo i nostri interventi sulla biosfera.Inquinamento, degrado ed esaurimento delle nostre risorse naturali, uniti al cambiamento climatico globale, costituisco-no un chiaro segnale di pericolo.La sopravvivenza della specie umana dipende dalla sua capa-cità di mantenere la resilienza della biosfera e di sviluppare nuovi sistemi di conoscenza per aumentare la sua capacità d’adattamento al cambiamento. Il riduzionismo elevato da metodo a visione del mondo ha causato il collasso econo-mico e le catastrofi climatiche che abbiamo di fronte. Questa visione del mondo ancora dominante è inadeguata a fornire soluzioni ai problemi da essa stessa creati, o a capire pie-namente l’ordine di grandezza e l’entità di questi problemi. Spesso l’applicazione di questa visione del mondo scarica il peso dell’adattamento sui poveri e sui più vulnerabili. Il riduzionismo favorisce il gigantismo, la tutela del potente e del grande, rendendo il piccolo e il diverso invisibili e vulnerabili. Sia la sostenibilità che la giustizia esigono una nuova visione del mondo.

La crescente tendenza a escludere il sapere delle comunità indigene, delle donne, dei contadini, degli anziani e i punti di vista dei giovani sta impoverendo intellettualmente l’uma-nità rendendola più vulnerabile a minacce di vario tipo.La visione del mondo meccanicistica ha preso il soprav-vento sulle visioni del mondo ecologiche e sui sistemi di conoscenza di comunità e gruppi diversi.Il sapere tradizionale è stato falsamente identificato con la mancanza di analisi sistematica, di verifica, di evoluzione dinamica, di innovazione e ciò ha portato a identificarlo con la stagnazione e l’arretratezza. Sulla base di questo pregiu-dizio, il sapere scientifico riduzionista ha progressivamente preso il posto del sapere tradizionale che era sopravvissuto per secoli come parte dei sistemi di conoscenza in evoluzio-ne, che interagiscono intimamente con gli ecosistemi e che sono caratterizzati da un’elevata capacità di adattamento. Il riduzionismo ha portato a una superspecializzazione di discipline e organizzazioni, che trasferiscono poi il sapere frammentato al mondo della produzione. Questo modello crea gerarchie e opera una divisione tra persone normali

ed esperti, tra diverse parti dei sistemi di conoscenza e di produzione e tra le stesse discipline.L’imposizione della visione del mondo meccanicistica e del metodo riduzionista ha distrutto la capacità dei popoli indi-geni di far evolvere continuamente il loro sapere tradizionale nel contesto di un mondo in continuo cambiamento.In effetti i sistemi di conoscenza tradizionali si sono co-stantemente arricchiti attraverso l’interazione dinamica tra comunità e ambiente in cambiamento e per lungo tempo sono stati alla base di una co-evoluzione virtuosa dell’uo-mo e della natura. Anche oggi, in molte parti del mondo, il sapere tradizionale è l’unico mezzo che i popoli indigeni hanno per affrontare le sfide della sopravvivenza.In alcuni casi abbiamo già perso per sempre un tesoro di conoscenze materialmente racchiuso nella biodiversità e in varie tradizioni culturali. La diversità delle lingue è importante nel contesto della diversità delle culture uma-ne. L’eliminazione della diversità linguistica ha impedito il mantenimento della trasmissione del sapere tradizionale da una generazione all’altra. Le lingue sono i veicoli della conoscenza. La loro scomparsa è la scomparsa dell’imma-ginazione.

La rivoluzione industriale e l’utopia meccanicistica hanno imposto la loro visione di un mondo, secondo la quale il pianeta è un deposito di risorse illimitate da sfruttare attraverso la scienza e la tecnologia per creare ricchezza. Pienamente compatibile con le direzioni prese dal capitali-smo globale, l’utopia meccanicistica ha reso grandi servizi anche alle multinazionali. Da un lato ha dato loro l’accesso alle risorse mondiali; dall’altro ha creato un mondo della finanza fittizio, sempre più separato dai bisogni della società. Le grandi imprese capitalistiche hanno progressivamente preso il controllo delle risorse del pianeta, giustificando il loro operato con la capacità di creare ricchezza.Attraverso l’introduzione dei diritti di proprietà intellettuale, istituiti inizialmente per premiare l’innovazione, lo sviluppo della conoscenza scientifica è stato sempre più privatizzato e commercializzato. Con l’alleanza tra le grandi imprese pri-vate e gli organismi di ricerca scientifica pubblici, il sapere è stato cooptato al servizio di interessi privati.I diritti di proprietà intellettuale hanno anche legittimato il processo di appropriazione del sapere tradizionale da parte delle imprese private. Negando il valore scientifico del sapere tradizionale, essi ne permettono l’appropriazio-ne semplicemente codificandolo in un discorso scientifico moderno, poi brevettandolo come un’invenzione e impe-dendone alla fine l’uso da parte dei suoi stessi creatori e custodi. Ciò è quanto avvenuto, per esempio, con i conta-dini che sono stati progressivamente espropriati della loro conoscenza sulle sementi e del loro diritto di conservare, migliorare e cambiare sementi.

La sopravvivenza dell’uomo dipende dalla capacità della nostra specie di mantenere e preservare la plasticità della biosfera con tutti i suoi componenti interagenti, ivi com-presa la specie umana. Poiché l’agricoltura è un sistema di produzione basato direttamente sulle risorse della bio-sfera - suolo, acqua e biodiversità - essa fornisce un buon esempio di non sostenibilità causata dal passaggio dal sapere tradizionale alla scienza tradizionale frammentata. Il metodo riduzionista, nato con la scienza moderna allo scopo di

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semplificare lo studio dei sistemi naturali, ha portato a un enorme progresso in campo tecnologico, ma anche a una profonda frammentazione del sapere e a una mancanza di capacità di sintesi.La costruzione di un mondo semplificato basato su singole versioni di pochi prodotti ottimali, sia viventi che non viven-ti, porta alla creazione di un’unica società omogenea con una sola cultura, una sola ideologia, una sola scienza, una sola tecnologia, un solo modello economico e produttivo. In altri termini significa distruggere gli strumenti e i processi che hanno consentito l’adattamento e la proliferazione dell’uomo in tutte le aree del pianeta. Implica inoltre la distruzione della diversità culturale e biologica.La non sostenibilità dei sistemi alimentari e agricoli basati sulla scienza riduzionista ha creato l’esigenza di nuovi modelli basati su una scienza olistica, sia tradizionale che moderna.In tutto il mondo i contadini stanno rivalutando il sapere tradizionale come fonte di innovazione, stanno seguen-do proprie vie di sviluppo indipendenti in opposizione a quelle suggerite dai sistemi di conoscenza ufficiali e stanno costruendo sistemi di conoscenza paralleli, allineandosi con i segmenti non riduzionisti della ricerca scientifica. Allo stes-so tempo, al cuore di queste stesse istituzioni scientifiche, stanno emergendo correnti di pensiero che sostengono la necessità di incorporare il sapere tradizionale nei sistemi di conoscenza moderni.I successi dell’agricoltura biologica ed ecologica e della produzione basata su sistemi alimentari locali, nati all’esterno delle - e spesso malgrado le - forme convenzionali di produ-zione e distribuzione, stanno accelerando la rivalutazionedel ruolo del sapere tradizionale in nuovi modelli alimentari e agricoli.

Tutti i sistemi viventi evolvono e quando cessano di evol-vere muoiono. Ciò è vero sia per i sistemi naturali che per i sistemi culturali. Il sapere reale è un sistema vivente che cambia e si adatta alla realtà in cambiamento. L’uniformità priva i sistemi di meccanismi e potenzialità evolutivi. Oggi il presupposto semplicistico che la natura è “semplicemen-te meccanica” non è più valido. La diversità del sapere è necessaria per rafforzare i sistemi di conoscenza in modo da poter formulare le domande giuste e fornire le risposte alle enormi sfide del nostro tempo.Il sapere tradizionale e il sapere delle comunità indigene, anche attraverso un’integrazione con una conoscenza scien-tifica in grado di riconoscere la propria parzialità di fronte a fenomeni complessi, sono in grado di aiutare l’umanità ad adattarsi e ad evolvere nei nostri tempi imprevedibili e instabili, grazie al loro intimo collegamento con la diversità biologica e culturale. La capacità di osservazione quotidia-na dei contadini li rende scienziati sul campo, in grado di garantire la conservazione dell’habitat, del suolo e delle risorse idriche. In tutto il mondo il sapere contadino ha protetto e potenziato la biodiversità, garantendo al tempo stesso la sicurezza alimentare per le varie comunità. Nella maggior parte delle culture le attività delle donne sono state direttamente connesse con la vita e quindi con l’adattamento e con la sopravvivenza in contesti ambientali e umani in continuo cambiamento. Le generazioni più anziane sono quelle che mantengono viva la memoria delle conoscen-ze e delle esperienze, fornendo alla comunità l’humus su

cui può basarsi l’evoluzione, l’innovazione e l’identità. I giovani stanno sfidando creativamente i modelli superati di oggi e colgono prontamente i punti critici del sistema. Il loro contributo ai processi multidirezionali dell’appren-dimento e dell’insegnamento può aiutare ad arricchire le conoscenze umane e facilitare i processi di adattamento e di trasformazione.Oggi molti scienziati, soprattutto quando riescono a non cedere alle lusinghe delle grandi imprese private, sanno bene che la soluzione riduzionista non è necessariamente la migliore. Ora che il modello dominante sta mostrando le sue inadeguatezze e i suoi fallimenti, dobbiamo necessaria-mente riconoscere la pluralità dei sistemi di conoscenza e le potenzialità della loro integrazione, essenziale per aumentare la nostra capacità di sopravvivenza come specie.

Tutti gli esseri umani sono soggetti in grado di conoscere, indipendentemente da classe sociale, razza, genere, religio-ne, etnia o età. Tutte le comunità e culture sono creatrici di sapere. Le culture che sono sopravvissute nel tempo hanno costantemente evoluto i propri sistemi di conoscenza, che sono classificati come “sapere tradizionale”. Le strutture e istituzioni dominanti di produzione delle conoscenze nella società contemporanea hanno portato al dominio di “esperti” escludendo il sapere popolare. Il diritto delle comunità e delle culture di sviluppare e potenziare congiuntamente il proprio sapere, ponendo le domande di loro scelta e con-dividendo queste conoscenze liberamente con altri gruppi e reti, costituisce la loro sovranità sulle conoscenze. Il sapere dovrebbe circolare liberamente. La sovranità sulle conoscen-ze non implica il diritto di rifiutare la loro libera circolazione. Essa include la piena partecipazione democratica dei cittadini alla nuova sintesi delle conoscenze basata sull’inclusione di sistemi di conoscenza esclusi.Una nuova consapevolezza dell’importanza della diversità culturale e scientifica e la disponibilità di nuove tecnologie dell’informazione rendono necessaria una profonda trasfor-mazione dei sistemi di conoscenza ufficiali, attualmente non democratici, tecnocratici e separati l’uno dall’altro.I nuovi sistemi di conoscenza devono essere in grado di promuovere sostenibilità, equità e flessibilità mediante:• sistemi di conoscenza che permettano a una pluralità

di approcci e di forme di conoscenza di vivere fianco a fianco e integrarsi;

• apertura garantita, pari dignità di tutte le conoscenze e capacità degli agricoltori e delle comunità rurali locali di essere ascoltati;

• la distribuzione di risorse pubbliche e la regolamentazione della proprietà intellettuale, individuando chiaramente interessi pubblici e interessi privati, dando la priorità ai primi.

Proprio come la Sovranità Alimentare è emersa come il principio organizzativo della nostra sicurezza alimentare, basata sulla piena partecipazione, dove tutti hanno il diritto di decidere che cosa mangiare e il modo in cui produr-lo, così anche la Sovranità sulle Conoscenze dovrà essere pienamente integrata in strutture e istituzioni di creazione del sapere, nelle scelte tecnologiche e nelle scelte di pro-duzione e consumo. La sovranità sulle conoscenze poggia sul dovere di condividere liberamente le conoscenze con altre comunità sovrane e di continuare la libera circolazione delle conoscenze.

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Senza Piani di gestione nazionali di pesca non saranno possibili deroghe

LA PARANZA: PER LA SOSTENIBILITÀMEGLIO LA “DANZA” CHE LA “FRITTURA”

Dal 1° giugno 2010 sono entrate in vigore le norme del “Regolamento del Mediterraneo”

“Le misure adottate con il Regolamento Mediterraneo nel dicembre 2006 do-vrebbero essere ormai integralmente applicate - ha dichiarato Maria Dama-naki, Commissaria UE per gli Affari marittimi e la Pesca - Gli Stati membri hanno avuto un periodo superiore a tre anni per conformarsi alle norme. Si tratta delle norme che gli Stati mem-bri hanno unanimemente adottato nel 2006, sulla base di un compromesso raggiunto, modificando la più ambizio-sa proposta della Commissione”.“È arduo accettare che oggi essi non intendano o non possano attuare neppure il compromesso del 2006. Sono veramente delusa - ha aggiunto la Damanaki - Veglierò sulla rigorosa attuazione del Regolamento per il Me-diterraneo”.Quantunque esplicitamente non li indichi, è facile intuire a quali Paesi rivol-gesse quelle dure parole la Commissaria Damanaki, dal momento che sia in sede europea che a livello nazionale i nostri deputati si sono dimostrati i più solleciti

a rivolgere interrogazioni sulle proble-matiche legate all’entrata in vigore dal 1° giugno 2010 del “Regolamento CE n. 1967/2006 relativo alle misure di ge-stione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar Mediterraneo e recante modifica del regolamento (CEE) n. 2847/93 e che abroga il regolamento (CE) n. 1626/94”.

È una vecchia storia!Si sottoscrivono regole e tempi per la loro entrata in vigore, ma quando questi arrivano si cerca di ricorrere a deroghe e proroghe.Siamo intervenuti più volte su questo “vezzo” nazionale che si esercita, in spe-cial modo nel settore ambientale, che non vale più la pena di ritornarvi, se non per dire che questa volta le attività lobbistiche non avranno molto spazio perché la Commissione europea ha escluso esplicitamente qualsiasi iniziativa legislativa per rivedere le decisioni già prese e rinviare le scadenze fissate.Ciònonostante si tenta egualmente di

“illudere i pescatori che si possa ottenere nuove deroghe. Non è possibile. Qual-cuno lo sta facendo in questi giorni. Ma è quanto di più scorretto possa fare un amministratore: promettere ciò che si sa già che non è possibile”.Con queste franche e corrette, sep-pur politicamente “aspre”, parole sì è espresso il neo Ministro per le Poli-tiche Agricole Alimentari e Forestali, Giancarlo Galan al Question time alla Camera dei Deputati a seguito dell’in-terrogazione a risposta immediata n. 3-01115, dichiarando pure che sa-rebbero state vagliate e intraprese le necessarie e possibili iniziative a sostegno delle imprese e del perso-nale imbarcato, perché nonostante il Regolamento sia del 2006, “la misura ci coglie impreparati e lascia effetti pe-santemente negativi. Tanto perché si sappia riguarda complessivamente il 25% della nostra flotta”.

Dagli articoli apparsi sui quotidiani e dai servizi televisivi effettuati sull’argo-

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mento è sembrato prevalere un senso di rammarico per il rischio di non poter più mangiare una ”frittura di paranza” o un piatto di “vermicelli alle telline”, facendo così cattiva informazione per-ché alcune consuetudini alimentari potranno continuare a perpetuarsi se sostenibili (il piatto di pasta alle von-gole o telline, non pescate sottocosta), altre dovranno essere abbandonate se insostenibili (la fritturina di “ciciarin”, come viene denominato dalle nostre parti il novellame delle sardine). Vediamo, quindi, cosa prevede ef-fettivamente il “Regolamento del Mediterraneo”.

Approvato all’unanimità alla fine del 2006 e in vigore dal gennaio 2007, il Regolamento ha sostituito il precedente “Regolamento sulle misure tecniche nel Mediterraneo”, che risaliva al 1994.Il Comitato Scientifico, Tecnico ed Eco-nomico per la Pesca della Commissione (CSTEP), organismo consultivo indipen-dente composto da scienziati altamente qualificati e riconosciuti a livello inter-nazionale, ha messo in evidenza che oltre il 54% dei 46 stock oggetto di in-tense catture è risultato sovrasfruttato, ovvero sono catturati troppo giovani e troppo elevato è il numero delle loro catture; inoltre, circa il 28% dei 42 stock analizzati è risultato avere un basso li-vello numerico.Molti stock demersali (cioè le specie che vivono in stretta vicinanza con il fondo del mare, ad esempio, naselli, triglie, gamberi rossi, sogliole, ecc.) sono pescati oltre le loro capacità ri-produttive, come altrettanto in cattive condizioni in diverse aree marine si trovano alcuni stock di piccoli pelagici (per esempio, sardine e acciughe).Poiché nel Mediterraneo la pesca viene praticata con attrezzatura varia e con navigli di dimensioni diverse, anche se per lo più sono al di sotto dei 10 m. di lunghezza, che sbarcano il pescato su un notevole numero di approdi, è praticamente impossibile applicare un sistema affidabile di gestione basato

sulla limitazione delle catture, salvo che per il tonno rosso la cui TAC (Total Al-lowable Catch) viene suddivisa in quote ripartite tra i vari Paesi che aderiscono all’ICCAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas), tra cui l’Unione europea che le distri-buisce, a sua volta, tra i 7 Paesi membri mediterranei (Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Grecia, Cipro e Malta).

Obiettivo del Regolamento è, quindi, di garantire lo sfruttamento sostenibile delle risorse attraverso un approccio ecosistemico alla gestione della pesca mediante l’attuazione di alcune misure tecniche (ad esempio distanze minime dalla costa, dimensioni minime delle maglie, massimo ingombro degli attrez-zi da pesca, dimensione minima degli organismi marini catturati, ecc.) e di promuovere un diverso approccio alla gestione della pesca basato su un pro-cesso di decentramento decisionale.Infatti, la flessibilità necessaria per adat-tare i principi di base per le attività di pesca alle diverse situazioni locali è garantita da un approccio integrato “bottom-up”, per cui a differenza di regole applicate “dall’alto in basso” in altri bacini marittimi, gli Stati membri sono invitati a elaborare Piani Nazio-nali di Gestione per la pesca nelle loro acque territoriali, che debbono definire le modalità di pesca condotte con reti da traino, sciabiche da natante, scia-biche da spiaggia, reti di circuizione e draghe, soddisfacendo determinati requisiti.I Piani di gestione nazionali sono deci-sivi per decentrare importanti questioni, perché, pur mantenendo standard comuni per tutti gli Stati membri, co-stituiscono un modo per iniziare ad attuare una strategia a lungo termine per la gestione della pesca nel Medi-terraneo.La prima serie di Piani di gestione na-zionali relativi ai più diffusi attrezzi da pesca avrebbe dovuto essere adottata dagli Stati membri entro dicembre 2007, ma sono stati presentati Piani che non

hanno soddisfatto i requisiti o sono sta-ti presentati in ritardo rispetto a questa prima scadenza. Altri Piani di gestione avrebbero dovuto essere presentati in una fase successiva.Il Regolamento, infatti, aveva previ-sto per alcune disposizioni un lungo periodo di applicazione progressiva che è terminata il 31 maggio 2010. Pertanto, le Amministrazioni nazionali hanno avuto tutto il tempo necessario per preparare la transizione e garantire l’osservanza delle norme. Non solo, nel suo comunicato la Commissione UE ha segnalato che nel corso di Ispezioni recentemente condotte si sono evi-denziate gravi violazioni per quanto concerne le dimensioni minime del-le maglie delle reti da pesca (le reti a strascico debbono avere magli di 40 mm., se di tipo quadrangolare, o di 50 mm., se romboidale), la taglia mi-nima dei pesci e degli altri organismi marini e altri aspetti della selettività, nonostante queste disposizioni siano obbligatorie fin dall’entrata in vigore del Regolamento.Omettere di adottare un adeguato Piano di gestione nazionale per un determinato tipo di pesca è prima di tutto una violazione del Regolamento, ma l’assenza di un Piano esclude la possibilità di ottenere la maggior parte delle deroghe relative alla distanza dal-la costa (ad esempio, i pescherecci da traino, draghe, reti di circuizione, ecc.), alla dimensione delle maglie per sciabi-che da natante e sciabiche da spiaggia, o per operazioni su fondali di alghe con particolari attrezzi da pesca.L’assenza di adeguati Piani di gestione nazionali non consente, pertanto, di autorizzare certi tipi di pesca che cattu-rano sardine molto piccole (bianchetto), il ghiozzo trasparente (rossetto), il sandeel (cicerello) o l’utilizzazione di draghe per molluschi bivalvi a brevi distanze dalla costa, ecc.

Pur essendo necessario un certo gra-do di cambiamento per garantire un futuro sostenibile alla pesca, con una

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maggior produzione e con ecosistemi marini in buona salute, non è vero che non si possa continuare a pescare tel-line o cannolicchi (da noi, cannelli) nelle zone costiere. Se si rispetta la dimensione minima del mollusco, le dimensioni ridotte delle attrezzature e la distanza minima prevista dalla costa, non sussistono ostacoli.È possibile ridurre anche le distanze dalla costa sulla base di caratteristiche locali, a condizione che siano fornite adeguate informazioni scientifiche per le varie aree e che sia stato presenta-to un Piano di gestione nazionale alla Commissione e che, dopo essere stato valutato dal CSTEP, sia stato successi-vamente approvato.Il Regolamento lascia agli Stati membri un maggior margine di manovra per adattare le misure alle specifiche si-tuazioni locali, ma questo metodo non funzionerà e fallirà se non adempieran-no ai loro compiti gli Stati membri, che avrebbero dovuto fornire informazioni esaustive e sufficienti che giustificassero il mantenimento di determinate attività tradizionali di pesca, ma sono piuttosto in ritardo in questo processo. I colloqui tra la Commissione e gli Stati membri interessati sono in corso e sono neces-

sarie maggiori informazioni prima di procedere alla concessione di deroghe per alcune attività tradizionali di pesca tradizionale può essere finalizzato.Nella nota diffusa dalla Commissione UE si sottolinea che gli Stati membri non hanno neppure rispettato i loro obblighi di presentare piani di gestione entro i termini previsti o di designare ulteriori zone di pesca protette come stabilito dal Regolamento. Innanzitutto avvia iniziative intese a integrare le preoccupazioni ambientali nella politica della pesca e a istituire una rete di zone protette, in cui le attività di pesca sono limitate per tutelare le zone di crescita, di riproduzione e l’intero ecosistema marino. Inoltre detto Regolamento fissa norme tecniche riguardo ai metodi di pesca consentiti, dimensioni e distanza dalla costa per svolgere l’attività di pesca e reca disposizioni relative alle specie e agli habitat protetti.

La Commissione europea si rende conto che “non è ragionevole pensare che il Regolamento o l’Unione europea possano da soli assicurare la gestione della pesca nel Mediterraneo, la parteci-pazione di tutti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo è determinante - per-

ciò, si legge nella dichiarazione - l’UE si adopererà attivamente nell’ambito delle organizzazioni multilaterali, tra cui la Commissione generale per la pe-sca nel Mediterraneo e la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico, al fine di migliorare le conoscenze scientifiche e soprattutto di garantire l’uguaglianza delle condizioni, con lo scopo generale di promuovere la sostenibilità”.

Inoltre, era possibile supportare trami-te il Fondo Europeo della Pesca (FEP) l’adeguamento tecnico degli attrezzi di pesca in linea con la legislazione fino a quando non fosse diventato obbliga-torio il Regolamento.Come sarebbero state ben più produt-tive, se fossero state intraprese ben prima iniziative quali quella svoltasi a Teramo il 12 giugno che ha visto le Regioni del medio-basso Adriatico (Marche, Abruzzo, Molise e Puglia) progettare le basi per la definizione di un Piano di gestione locale per le attività di pesca, supportato da studi scientifici, da sottoporre al competente Ministero.

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Il tradizionale e sempre atteso Rapporto ISTAT sulla situa-zione del Paese quest’anno contiene una novità che merita di essere sottolineata.Il Rapporto annuale 2009, infatti, dedica il capitolo 4.4 a “La sostenibilità ambientale: risorse naturali e spesa per la protezione”, nell’ottica di incrociare l’economia con l’ecologia, anche se non mancano lacune quali la mancanza dei dati relativi ai rifiuti speciali che avevamo già lamentato nel Rapporto Rifiuti dell’ISPRA (cfr: “Rifiuti in calo, ma troppi finiscono in discarica”, in Regioni&Ambiente, n. 6 giugno 2010, pagg. 20-21).Nell’impossibilità di proporre per intero le 37 pagine del capitolo, a cui rinviamo per una più approfondita lettura, scaricandolo dal sito del Governo, abbiamo stralciato degli highlights che offrono un quadro esauriente e pertinente della sostenibilità ambientale dell’Italia in termini numerici e statistici.

Il metabolismo socioeconomico e i flussi materialiNel 2008 i prelievi diretti di risorse naturali dal territorio nazionale diminuiscono per il terzo anno consecutivo e

anche l’approvvigionamento di risorse naturali dall’estero, in crescita dal 1996 al 2007, registra nel 2008 una secca battuta d’arresto. Per il terzo anno consecutivo è diminuita anche la quantità di materiali dissipati nell’ambiente naturale o accumulati in rifiuti deposti nelle discariche o in infrastrutture o edifici (circa 765 milioni di tonnellate).La produzione dei rifiuti urbani nel 2008 registra una lieve battuta d’arresto, con un calo dello 0,2 per cento rispetto all’anno precedente. Con circa 543 kg di rifiuti per abitante, l’Italia si colloca sotto la media UE15 (565 kg), ma sopra quella UE27 (524 kg).La raccolta differenziata, in crescita dal 2000, si attesta nel 2008 al 28,5 per cento della raccolta totale, con un aumen-to di tre punti percentuali rispetto al 2007. Le differenze territoriali restano importanti, con valori che raggiungono circa il 40 per cento nel Nord, il 25,5 nel Centro e meno del 15 per cento nel Mezzogiorno. Nel 2008 sono 27 i comuni capoluogo che hanno raggiunto l’obiettivo del 45 per cento di raccolta differenziata, disposto dalla normativa.

Il miglioramento dell’efficienza energetica ed ecologicanon procede a ritmi necessari per assicurare la sostenibilità ambientale

Rapporto ISTAT “La situazione del Paese nel 2009”

PER LA PRIMA VOLTA SI TENTA DI INCROCIARE L’ECONOMIA CON L’ECOLOGIA

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Il sistema energetico italianoNel 2009, con riferimento in particolare ai prodotti petroliferi, hanno contribuito alla determinazione del fabbisogno com-plessivo (73,9 milioni di tep) la produzione nazionale per il 6,2 per cento (4,6 milioni di tep) e le importazioni al netto delle scorte accumulate per il 93,1 per cento (69,3 milioni di tep)). Complessivamente nel 2009 la disponibilità interna lorda di petrolio diminuisce del 6,8 per cento.Analizzando il contributo delle diverse fonti, diminuisce nel 2008 (-3,4 percento) e nel 2009 (-5,5 per cento) il ricorso ai prodotti petroliferi, che comunque continuano a essere la fonte energetica predominante, con un’incidenza sul con-sumo complessivo di poco superiore al 47 per cento (sia nel 2008 sia nel 2009).Gli impieghi di fonti rinnovabili sono cresciuti del 20,5 per cento nel 2009, soprattutto per il maggior utilizzo di legna e biodiesel. Per quanto riguarda l’apporto delle fonti rinnovabili alla generazione di energia elettrica, l’Italia, con il 13,7 per cento, si colloca nel 2007 sotto la media europea (15,6 per cento).La domanda di elettricità, pari nel 2009 a 317,6 miliardi di kWh, è diminuita del 6,5 per cento rispetto all’anno prece-dente, una riduzione senza precedenti dal 1949, quando si registrò una diminuzione dell’8,2 per cento. Il fabbisogno elettrico complessivo è soddisfatto per l’86 per cento dalla produzione nazionale e per il restante 14 per cento dalle importazioni nette (in crescita dell’11 per cento rispetto al 2008). Tra le fonti rinnovabili, cresce l’apporto dell’idroe-lettrico (+3,4 per cento nel 2009).

Le emissioni delle attività produttive: crescita econo-mica, dinamiche strutturali ed effetti della crisiLe emissioni di gas serra dell’Italia continuano a diminuire, soprattutto per effetto della crisi economica (-2 per cento nel 2008 e -9 per cento nel 2009), ma è ancora lontano il conseguimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto (-6,5 per cento rispetto ai valori del 1990 entro il 2012) e della strategia europea integrata su energia e cambiamenti climati-ci (-30 e -85 per cento rispettivamente al 2020 e al 2050).Per quanto riguarda le sole attività produttive, nel 2006 l’Italia ha contribuito per il 13 per cento al totale delle emissioni di gas serra dell’UE15. A fronte della crescita della produzione, tra il 1990 e il 2008 le emissioni di gas serra sono cresciute solo dello 0,9 per cento (disaccoppiamento relativo), mentre le emissioni acidificanti e quelle di pre-cursori dell’ozono troposferico sono notevolmente diminuite (disaccoppiamento assoluto).La produzione e la distribuzione di energia elettrica, gas e acqua, che causano circa il 32 per cento delle emissioni di gas serra delle attività produttive, hanno migliorato no-tevolmente la propria efficienza ecologica rispetto al 1990, con una diminuzione complessiva di gas serra pari a 45,1 milioni di tonnellate. Tuttavia, l’aumento della produzione (+35,2 per cento) ha fornito una spinta in senso contrario ancor più forte (+59,8 milioni di tonnellate). Anche nei trasporti via terra, che contribuiscono a circa il 6 per cento del totale delle emissioni, l’aumento di gas serra dovuto alla crescita dell’economia (circa 12 milioni di tonnellate in più) è solo parzialmente bilanciato dal miglioramento dell’efficienza (-8,8 milioni).

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Il contributo più importante alla riduzione delle emissioni (-15,6 milioni di tonnellate) deriva dalla fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali, la cui quota sul totale delle emissioni passa dal 7 per cento del totale nel 1990 al 3,7 nel 2008, grazie alla maggiore efficienza ecologica, che ha largamente compensato i 6,8 milioni di tonnellate di gas serra emessi in più per la crescita della produzione. La flessione rispetto al 2005 è del 32,6 per cento. Il Nord-ovest è la ripartizione geografica con minori dispersioni (24,7 per cento), mentre le maggiori si riscon-trano al Sud (40,3 per cento).

Verso una mobilità più sostenibileLa mobilità individuale, in continua crescita, rappresenta un fattore di forteimpatto da considerare nell’ambito delle analisi di sostenibilità. Il nostro Paese si distingue per un tasso di motorizzazione delle autovetture tra i più elevati in Europa, che determina pressioni ambientali significative, con evidenti impatti sull’inquinamento atmosferico e l’utilizzo del suolo, nonché costi elevati per la salute, la sicurezza e la qualità della vita delle persone. Roma è il comune più motorizzato d’Italia, con oltre 700 autovetture ogni mille abitanti; tra queste, circa il 40 per cento sono di categoria Euro 4. Nei comuni capoluogo di provincia il tasso di motorizzazione complessivo e quello dei veicoli Euro 4 sono più elevati rispetto alla media nazionale (rispettivamente 616 e 203 autovetture per mille abitanti nel 2008). Soltanto in 16 comuni, tra cui Milano, Verona,

Bologna e Firenze, si manifestano condizioni più favorevoli per lo stato dell’ambiente.Nel 2008 si rilevano mediamente in Italia circa 98 motocicli ogni mille abitanti; in costante crescita il numero di quelli meno inquinanti (categoria Euro 3), pari al 15,6 cento dei circolanti. Si riduce il tasso di motocicli caratterizzati da emissioni nocive più elevate (Euro 0 e 1), con una diminu-zione del 9,8 per cento tra il 2005 e il 2008.La concentrazione dei motocicli nei comuni capoluoghi di provincia è superiore alla media nazionale, con 124 ogni mille abitanti. Il 56,9 per cento del totale è ancora rappre-sentato da motocicli molto inquinanti (71 ogni mille abitanti), a fronte di una quota che rispetta standard emissivi più vincolanti (Euro 3), pari al 18,3 per cento del totale (meno di 23 mezzi ogni mille abitanti).Il rinnovo del parco veicolare contribuisce a ridurre l’in-quinamento da polveri sottili. Nei comuni capoluoghi di provincia, dove l’inquinamento dell’aria è sottoposto a mo-nitoraggio, diminuisce costantemente il numero medio di giornate nelle quali si è verificato il superamento del valore limite fissato a tutela della salute (-27,6 per cento tra il 2005 e il 2008).Nel quadriennio 2005-2008 l’utilizzo dei mezzi pubblici da parte dei cittadini nei comuni capoluoghi di provincia au-menta del 9,7 per cento in termini di passeggeri trasportati. Positive anche le tendenze per altri indicatori relativi alle politiche di mobilità attuate dalle amministrazioni locali: +12,1 per cento del numero di stalli in parcheggi di scambio

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con il trasporto pubblico (per mille autovetture circolanti); +38,1 per cento della densità di piste ciclabili (km per 100 km2 di superficie comunale).

Le spese a protezione dell’ambienteNel 2008 in Italia la spesa per la protezione dell’ambiente è in aumento. In particolare, la spesa per i servizi di gestio-ne rifiuti sale a 21,3 miliardi di euro, quella per i servizi di acque reflue a 3,6 miliardi e quella per l’uso e la gestione delle risorse idriche a 9,5 miliardi, con incrementi dal 1997 rispettivamente del 93,9, del 40,5 e del 52,6 per cento.I consumi finali e intermedi, espressi dalle diverse tipo-logie di utenze (civili domestiche e produttive, pubbliche e private) rappresentano la componente principale della spesa nazionale per i servizi di gestione rifiuti, acque reflue e risorse idriche, con una percentuale nel 2008 superiore all’80 per cento. L’andamento degli investimenti pubblici per la protezione dell’ambiente nel periodo 1997-2008 indica una privatizza-zione della produzione dei servizi relativi e una crescente tendenza delle imprese a investire in attività ambientali. Mentre gli investimenti dei “produttori specializzati” (coloro che hanno per attività principale la produzione di servizi ambientali per la vendita a terzi) presentano una diminu-zione della componente pubblica, gli investimenti privati risultano in aumento nei settori della gestione dei rifiuti e delle risorse idriche, e in diminuzione nel settore della gestione delle acque reflue.

Nel 2008 il prelievo d’acqua a uso potabile ammonta, a livello nazionale, a 9,1 miliardi di m3, in crescita rispet-to al 2005 (+1,7 per cento) e al 1999 (+2,6). Gli aumenti più significativi si registrano nelle regioni del Centro e del Nord-est, mentre in alcune regioni dell’Italia meridionale si osservano riduzioni dovute alla generalizzata carenza di precipitazioni, particolarmente accentuata negli anni centrali del periodo 1999-2008.Nel 2008 il 32,2 per cento dell’acqua prelevata è sottoposta a trattamenti di potabilizzazione, mentre nel 1999 era il 26,3 per cento. La potabilizzazione dell’acqua risente delle caratteristiche idrogeologiche dei territori da cui è capta-ta. Maggiori volumi di acqua potabilizzata si riscontrano nelle regioni dove più consistente è il prelievo da acque superficiali: Sardegna (89,2 per cento), Basilicata (80,5), Liguria (55,6) ed Emilia-Romagna (53,7). I più bassi livelli di potabilizzazione, invece, si osservano in Campania (9,1 per cento), Molise (8,9) e Lazio (2,9), dove sono presenti risorse sotterranee idropotabili di buona qualità.Nel 2008 le dispersioni di acqua delle reti comunali (diffe-renza percentuale tra i volumi di acqua immessa ed erogata) raggiungono il 32,1 per cento, con una leggera.Nel 2008 gli impianti di depurazione presenti sul territorio nazionale, pur avendo una capacità complessiva secondo progetto di 75,2 milioni di abitanti equivalenti, depurano effettivamente, in media annua, acque reflue domestiche per complessivi 59,0 milioni di abitanti equivalenti.

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In Italia, sistemi efficienti sulla separazione dell’organico solo “in alcune Regioni”

L’UE RACCOMANDA LA RACCOLTADIFFERENZIATA DEI RIFIUTI ORGANICI

Adottata dalla Commissione UE una Comunicazione

La Commissione UE ha raccomandato gli Stati membri a perseguire strategie più efficienti nella gestione dei rifiu-ti organici, per la loro prevenzione, per il loro trattamento biologico con produzione soprattutto di compost e biogas.È questo il contenuto della Comuni-cazione al Consiglio e al Parlamento europeo su “Future misure di gestione dei rifiuti organici (Communication on future steps in bio-waste manage-ment)”.

I rifiuti biodegradabili alimentari e i rifiuti di giardino e di cucina rap-presentano ogni anno 88 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e possono avere un grande impatto sull’ambiente. Ma questi stessi rifiuti hanno anche un grande potenziale come fonte rinnova-bile di energia e di materiali riciclati. Con la Comunicazione adottata la Com-missione intende promuovere azioni

dirette a liberare questo potenziale utilizzando in modo ottimale la legi-slazione esistente e lasciando liberi gli Stati membri di scegliere le opzioni più adatte alla loro situazione specifica. Janez Potočnik, Commissario per l’Ambiente, si è così espresso: “Abbia-mo già un vasto corpo normativo che disciplina i rifiuti organici nell’UE. Ma migliorando l’attuazione e il controllo del rispetto di queste norme possiamo trarre ancora più benefici dai rifiuti organici. Se da un lato questo nuo-vo approccio servirà a contrastare il cambiamento climatico, dall’altro la produzione di biogas e di compost di buona qualità contribuirà a salvaguar-dare la salute del suolo e a rallentare la perdita di biodiversità”.

La Comunicazione contiene alcune rac-comandazioni sulla via da seguire per ricavare tutti questi possibili benefici. Tra le strategie più promettenti figurano

la prevenzione dei rifiuti organici e il trattamento biologico con produzione di compost e biogas.Il principale rischio ambientale legato ai rifiuti organici è la produzione di me-tano, un gas che ha un potente effetto serra, 25 volte superiore a quello del biossido di carbonio. Se il trattamento biologico dei rifiuti fosse attuato nella misura massima possibile, il vantaggio più visibile e significativo sarebbe quello di evitare emissioni di gas a effetto serra, stimate a circa 10 milioni di tonnellate di equivalenti CO

2 nel 2020.

Circa un terzo dell’obiettivo che l’Unio-ne europea ha fissato per il 2020, in materia di energie rinnovabili nei trasporti, potrebbe essere conseguito utilizzando il biogas ricavato dai rifiuti organici, mentre circa il 2% dell’obiet-tivo globale fissato dall’UE in materia di energie rinnovabili potrebbe essere raggiunto se tutti i rifiuti organici fos-sero trasformati in energia.

QUALITÀ E AMBIENTE

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Si calcola che la piena attuazione del-le politiche esistenti sui rifiuti organici potrebbe offrire benefici ambientali ed economici per un importo compreso tra 1,5 milardi e 7 miliardi di euro, a se-conda del grado di riciclaggio e delle politiche di prevenzione.Un compost e un digestato da digestio-ne anaerobica (AD) di buona qualità contribuirebbero a rendere più razio-nale l’uso delle risorse sostituendo in parte i fertilizzanti minerali non rinno-vabili e salvaguardando la qualità dei suoli dell’UE.

L’analisi della Commissione non ri-vela alcuna lacuna politica a livello dell’UE che potrebbe impedire agli Stati di prendere provvedimenti ade-guati. I progressi compiuti in diversi Stati membri mostrano che la legisla-zione esistente in materia di rifiuti è una base eccellente per una gestione di punta dei rifiuti organici. Per questo gli strumenti disponibili devono essere utilizzati in tutte le loro potenzialità e se necessario la loro applicazione do-vrà essere oggetto di rigorosi controlli in tutti gli Stati membri.Tra le azioni prioritarie figurano il rispetto rigoroso degli obiettivi sul dirottamento dei rifiuti organici dalle discariche e la corretta applicazione della gerarchizzazione dei rifiuti e di altre disposizioni della Direttiva quadro sui rifiuti (recentemente revisionata con la Direttiva 2008/98/CE che sarà presto recepita anche dall’Italia, considerando che lo schema di decreto legislativo di recepimento è stato approvato il 16 aprile 2010 dal Consiglio dei Ministri), in modo da privilegiare l’introduzione di sistemi di raccolta differenziata.Le iniziative di sostegno a livello dell’UE, come l’elaborazione di norme per il com-post, saranno determinanti per accelerare i progressi e assicurare eque condizioni di concorrenza in tutta l’UE. Saranno, inoltre, introdotti orientamenti e indicato-ri specifici per la prevenzione dei rifiuti organici, associati ad eventuali obiettivi vincolanti per il futuro, nonché norme per il compost e orientamenti sull’appli-cazione del concetto di ciclo di vita e sulla valutazione nel settore dei rifiuti.

Le politiche nazionali in materia di gestio-ne dei rifiuti organici variano molto da uno Stato membro all’altro: in alcuni Stati membri gli interventi sono minimi, in altri si perseguono politiche ambiziose.I benefici ambientali ed economici dei

differenti metodi di trattamento dei rifiuti organici dipendono dalle condi-zioni locali, ad esempio dalla densità di popolazione, dal clima e dalle in-frastrutture.Il compostaggio e la digestione anaerobica sono le opzioni economiche e ambientali più promettenti per i rifiuti organici di cui non è possibile la prevenzione. Tuttavia, un prerequisito importante è la buona qualità dei materiali introdotti in questi processi. Nella maggior parte dei casi questo obiettivo potrebbe essere raggiunto in modo ottimale mediante la raccolta differenziata dei rifiuti organici.Sistemi molto efficienti basati sulla separazione dei diversi flussi di rifiuti organici esistono già in Austria, Ger-mania, Lussemburgo, Svezia, Belgio, Paesi Bassi, Catalogna e “alcune Re-gioni italiane” (il grassetto è nostro). Ancora una volta emerge la disomo-geneità della situazione italiana, dove convivono, spesso una accanto all’altra, realtà eccellenti che integrano la gestio-ne dei servizi di raccolta differenziata dei rifiuti con sistemi industriali per il trattamento e aree territoriali dove si è ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata im-posti dalla legge.

Con il Libro Verde sulla Gestione dei Rifiuti biodegradabili adottato il 3 di-cembre 2008, la Commissione aveva inteso avviare un dibattito sull’oppor-tunità di un’azione comunitaria futura che tenesse conto della gerarchia dei rifiuti e dei possibili vantaggi sul pia-no economico, sociale e ambientale. Si chiedevano pareri su 8 Quesiti in merito a:- ridurre la produzione di rifiuti;- limitare la messa in discarica;- opzioni per il trattamento dei rifiuti

organici biodegradabili non conferiti in discarica;

- migliorare il recupero di energia;- il riciclaggio dei rifiuti biodegrada-

bili;- promuovere l’uso del compost/dige-

stato;- lacune nel quadro normativo vigente;- vantaggi e svantaggi delle tecniche

di gestione dei rifiuti organici bio-degradabili.

Erano stati i Paesi membri, con le Conclusioni adottate dal Consiglio il 25 giugno 2009 in merito al Libro, a sollecitare la Commissione stessa a

presentare entro il 2010 una Direttiva al riguardo.I 27 Ministri, esprimendo preoccupa-zione per il crescente volume dei rifiuti che costituisce una remora alla lotta ai cambiamenti climatici, avevano inco-raggiato la Commissione a continuare la valutazione degli impatti di una pro-posta legislativa sui rifiuti organici.Pur tenendo conto delle situazioni locali e del rispetto del principio di sussidiarietà, il Consiglio aveva invitato la Commissione a prevedere:- misure di prevenzione di tali rifiuti;- misure per l’introduzione della

raccolta differenziata dei rifiuti bio-degradabili al fine di assicurare una elevata qualità per il successivo rici-claggio;

- un sistema di garanzia della quali-tà, basato sul principio della gestione integrata della catena e della trac-ciabilità durante tutto il processo fino al recettore finale, senza che ciò comporti costi sproporzionati e oneri amministrativi;

- la definizione di norme in materia di etichettatura e di criteri di qualità per il compost e digestato, come pure sui cri-teri qualitativi dei rifiuti biodegradabili riciclati da utilizzare in terreni diversi dai terreni agricoli, al fine di facilitare la gestione di tale materiale e contribu-ire a stimolare il mercato aumentando la fiducia dei consumatori.

Ricordiamo che la Direttiva sulle Di-scariche obbliga gli Stati membri a ridurre del 65% entro il 2016 rispetto ai livelli del 1995, la quantità di rifiuti biodegradabili conferita nelle discari-che, ma non forniva indicazioni circa le opzioni praticabili, così che la maggior parte dei Paesi membri ha optato per l’incenerimento.Secondo l’Agenzia Europea per l’Am-biente (AEA) la gestione dei rifiuti biodegradabili varia notevolmente tra i vari Paesi membri che sono stati sud-divisi in 3 gruppi:- quelli che si affidano pesantemente

all’incenerimento, accompagnato da un elevato livello di recupero dei materiali;

- quelli che raggiungono alti tassi di recupero dei materiali, con basso indice di incenerimento ed elevati tassi di compostaggio;

- quelli che inviano soprattutto in discarica, approccio che costituisce una grande sfida a causa della man-canza di alternative.

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BIODIVERSITÀ E CONSERVAZIONE

Sempre più diffusamente i media riportano notizie circa la presenza di specie aliene nel nostro Paese, ma si tratta di notizie che attengono al sensazionalismo di un evento (“Safari nel Lazio, in gabbia la pantera”, Corriere della Se-ra; “Napoli, dagli alberi di Piazza Garibaldi cadono pitoni reali”, Il Mattino), mentre ci sarebbe bisogno di creare un sistema di informazione efficace per sviluppare politiche di prevenzione e mitigazione degli impatti causati dalle specie alloctone, di cui non siamo ancora in grado di valutare appieno i danni ecosistemici che, poi, sono veri e propri danni “economici”.Se per primi furono i Romani ad attuare una sorta di glo-balizzazione del mondo allora conosciuto, importando e diffondendo le varietà colturali e le specie animali dai terri-tori dell’Impero per introdurle in aree che non costituivano il loro habitat originario, ma nelle quali potevano accli-matarsi, il secondo momento di sviluppo del fenomeno si ebbe nel XV e XVI secolo, al tempo delle grandi scoperte geografiche.Ma è soprattutto alla fine dello scorso secolo che la diffusio-ne degli alieni ha avuto una vera e propria accelerazione, sia per le transazioni commerciali tra varie aree geografiche di tutto il mondo, sia per l’incremento dei flussi migratori e turistici transcontinentali, sia per il commercio illegale di specie esotiche, trainato dalla stupida voglia di esibire il possesso di un esemplare, il più raro possibile, come pure (non secondaria come causa) per l’incidenza dei cambia-menti climatici in corso.

Le “specie invasive aliene” che il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha definito “un sottoprodotto indesiderato della globalizzazione” sono diventate uno dei più grandi problemi per la biodiversità, l’equilibrio ecologico e l’economia in tutto il mondo.Durante la Conferenza UNFCCC sul Clima di Copenhagen dello scorso dicembre, esperti dell’ONU hanno rivolto un appello ai partecipanti per sensibilizzarli sulla necessità di prevenire l’ingresso delle specie esotiche nei loro Paesi.“I cambiamenti climatici stanno creando condizioni diffi-cili per diversi organismi viventi - ha avvertito Kalemani Mulongoy, esperto ONU sul fronte della biodiversità - e la maggior parte delle specie invasive aliene sono più resistenti ed opportuniste rispetto agli organismi già presenti”.È evidente che solo la prevenzione rimane il metodo più efficace per contrastare le Invasive Alien Species (IAS).“I governi - ha aggiunto Mulongoy - dovrebbero aumentare i controlli delle merci provenienti dall’estero e le ispezioni sulle navi da carico nonché stabilire severe regole di quarantena per limitare il propagarsi di queste specie pericolose”.Altri strumenti fondamentali a disposizione dei governi sono poi l’educazione e la sensibilizzazione del grande pubblico.

L’anno scorso il tema della Giornata Mondiale della Bio-diversità, che si celebra ogni anno il 22 maggio, è stato la lotta alle specie aliene invasive, identificate come una fra le più gravi minacce alla biodiversità, ma soprattutto al benessere del pianeta e quindi della società umana. Anche l’articolo 8(h) della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (CDB), firmata a Rio del 1992, sprona le parti contraenti a prevenire, controllare e combattere la prolife-razione di piante, animali, patogeni e altri organismi non originari di un ecosistema, che, una volta insinuati in questo, ne pregiudicano l’equilibrio ecologico e possono causare danni economici e ambientali o mettere a repentaglio la salute degli esseri umani che ci vivono.Ad esempio, la zanzara tigre (Aedes albopictus) che, arrivata accidentalmente negli anni ’90 nel nostro Paese proveniente dal Sud-est Asiatico, è riuscita in un paio di decenni a colo-nizzare la nostra penisola, oltre a provocare anche di giorno le fastidiose punture, può inoculare il virus della Chikun-gunya, malattia tropicale che in lingua swahili significa “che incurva”, a causa dei forti dolori articolari che provoca.

Sono soprattutto i danni economici delle IAS introdotte dall’uomo a non essere stati adeguatamente valutati, sop-portando in seguito i costi per rimediarvi. Per esempio, è stato calcolato che per Australia, Brasile, In-dia, Regno Unito, Stati Uniti e Sud Africa, i danni ambientali causati dall’introduzione di insetti alloctoni ammonta a più di 100 miliardi di dollari!L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), citando uno studio pubblicato su “Frontiers of Ecology and Environment”, alla cui stesura aveva parte-cipato Piero Genovesi dell’Istituto stesso, nonché Presidente del gruppo specialistico della IUNC sulle specie alloctone invasive, aveva diffuso in un comunicato stampa quelli che sono i costi economici delle IAS: “Oltre 10.000 specie alloctone esotiche presenti in Europa e oltre 1000 quelle che provocano impatti. L’oca del Canada - che sembrerebbe essere un animale innocuo - il mitilo zebrato, il salmerino, l’acetosella gialla e la nutria, sono tra i 100 peggiori invaso-ri dei nostri ecosistemi. In termini economici significa che, ad esempio nel Regno Unito, la perdita annuale causata dagli artropodi alloctoni sia di 2,8 miliardi di euro e che il costo delle azioni di controllo necessarie a contenere le 30 più comuni erbe alloctone infestanti superi i 150 milioni di euro. Non solo fauna: a queste specie invasive vanno aggiunte le piante acquatiche, come il giacinto d’acqua per il quale si spendono oltre 3,4 milioni di euro e diverse alghe marine introdotte nei nostri mari. Ancora: sulla nu-tria si spendono in Italia oltre 4 milioni di euro all’anno e si stima che questi costi arriveranno presto a superare i 12 milioni di euro”.

Benessere e densità di popolazione le favoriscono più dei cambiamenti climatici

Una rete informativa per prevenire e contrastare le IAS

SPECIE ALIENE: “SOTTOPRODOTTOINDESIDERATO DELLA GLOBALIZZAZIONE”

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Il Punteruolo rosso delle palme (Rhinchophorus ferrugineus) è il nome del coleottero che sta uccidendo migliaia di palme, soprattutto del genere Phoenix, in tutta Italia, dal litorale tirrenico a quello adriatico, e che rischia di compromettere un patrimonio storico-paesaggistico ineguagliabile (sono numerosi i toponimi che hanno includono aggettivi o complementi “palmari”), per le diffi coltà dei metodi di contrasto che debbono puntare essenzialmente sulla prevenzione.Originario dell’Asia Sud-orientale e Melanesia, si è introdotto negli anni ’80, a seguito di importazioni di esemplari di palme, in Medio Oriente e poi lungo la regione dell’Africa mediterranea. Da lì è risalito lungo la Penisola Iberica (la prima segnalazione nel 1994) per raggiungere quindi la Costa Azzurra e la Liguria e, quindi, diffondersi nelle altre regioni.Coleottero della famiglia dei curculionidi la cui caratteristica è, appunto, di avere il capo allungato a forma di proboscide, scientifi camente chiamato rostro, alla cui estremità si trova l’apparato boccale e che serve alla femmina per perforare i tessuti vegetali in profondità dove depone le uova (fi no a 200). Al loro schiudersi, piccole larve dal capo fortemente indurito cominciano a scavare gallerie nella pianta ospitante, alla base dell’apparato fogliare, spolpandola per nutrirsi. Quando ha raggiunto la lunghezza di 4-5 cm (circa 3 mesi) inizia la metamorfosi e, dopo meno di un mese, dal bozzolo esce la pupa che diventa in breve adulto. A quel punto la pianta è ormai spacciata, dopo aver denunciato il suo stato con l’abbassamento a forma di ombrello della chioma, prima di lasciar cadere il rachide fogliare, deve essere abbattuta. Il Decreto 9 novembre 2007 del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali “Disposizioni sulla lotta obbligatoria contro il punteruolo rosso della palma Rhynchophorus ferrugineus (Olivier). Recepimento decisione della Commissione 2007/365/CE” impone “la sradicazione della pianta manifestamente infestate e al corretto smaltimento di tutte le sue parti ad opera di professionisti”.

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L’unione Europea sostiene questi studi nell’ambito del pro-getto DAISIE (Delivering Alien InvasiveSpecies Inventories for Europe) finanziato in riferimento all’area tematica “Sviluppo sostenibile, cambiamento globale ed ecosistemi” del VI Programma quadro, perché è necessario conoscere gli impatti più rilevanti degli organismi alieni, dei quali a tutt’oggi sono noti solo nella misura del 10% delle specie invasive.Era stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) nel dicembre 2009 con il titolo “Plant extinctions and introductions lead to phylogenetic and taxonomic homogenization of the European flora” uno Studio, finanziato nell’ambito di DAISIE, che aveva rivelato che in Europa dal 1.500 ad oggi si sono introdotte circa 1.600 specie floreali, mentre 1.700 specie europee hanno attecchito in altre regioni del continente, di cui non sono originarie, e 500 sono le specie estinte a livello regionale.“Uno dei metodi più comuni per la valutazione della biodi-versità di una certa regione è data dal contare il numero delle specie che vi vivono, nello studio si mettono in evi-denza l’importanza di analizzare il tipo di relazione tra le varie specie all’interno della regione considerata, perché una comunità composta da piante che hanno origine da gruppi diversi ha maggiori probabilità di riuscire a resistere a fattori quali le variazioni di temperatura o la siccità. Al contrario, se la comunità si compone di piante che presenta-no un grado di relazione reciproco più forte, è possibile che se una data specie ha una scarsa resistenza a temperature elevate, anche le altre debbano lottare per la sopravvivenza” (CORDIS, 2009-12-09).

Una recente ricerca, sempre promossa dall’Unione euro-pea in riferimento all’area tematica “Sviluppo sostenibile, cambiamento globale ed ecosistemi” (6° PQ) e del progetto PRATIQUE (“Enhancements of pest risk analysis techniques”), finanziato attraverso l’area tematica “Prodotti alimentari, agricoltura e pesca, e biotecnologie” (7° PQ), ha dimostrato che benessere e densità di popolazione sono tra i fattori che influenzano maggiormente l’aumento delle specie in-vasive in Europa.Gli scienziati che vi hanno partecipato, in un articolo dal titolo “Disentangling the role of environmental and human pressures on biological invasione across Europe”, pubblica-to on line il 7 giugno 2010 sulla stessa PNAS, mettono in guardia sulle potenziali difficoltà legate alla risoluzione del problema rappresentato dalle specie invasive. Studi svolti in precedenza per il progetto DAISIE e pubblicati sempre da PNAS nel dicembre 2009 con il titolo “Plant extinctions and introductions lead to phylogenetic and taxonomic ho-mogenization of the European flora” avevano rivelato che in Europa dal 1.500 ad oggi si sono introdotte circa 1.600 specie floreali, mentre 1.700 specie europee hanno attecchito

in altre regioni del continente, di cui non sono originarie, e 500 sono le specie estinte a livello regionale.“Le specie invasive danno seguito alla crisi ecologica e la amplificano. Noi abbiamo avuto modo di rilevare come la popolazione umana e il benessere favoriscano questo problema - ha commentato Susan Shirley, della Oregon State University (Stati Uniti) uno degli autori dello studio - I modelli regionali delle invasioni da parte di queste specie sono complessi e vi sono variazioni ancora inspiegate. Ma la presenza delle specie invasive è un problema in larga parte imputabile al commercio internazionale, problema che non siamo ancora riusciti a risolvere”.Le attività umane, quali commercio e trasporto, possono favorire l’invasione delle specie aliene in svariati modi: men-tre alcune specie (ad esempio le piante ornamentali e da coltivazione) vengono introdotte deliberatamente, molte altre vengono importate non ufficialmente e molte ancora vengono importate come cuccioli. Gli studi svolti in passato hanno evidenziato il ruolo di fattori, come clima, geografia e copertura del suolo, in queste invasioni biologiche. Tuttavia, questa ricerca dimostra che l’importanza di questi elementi è inferiore rispetto a densità di popolazione e benessere e suggerisce che l’impatto di questi fattori secondari possa essere stato sopravvalutata in passato.“La forte influenza dei fattori economici sul livello delle inva-sioni da parte di specie aliene dimostra che l’individuazione di soluzioni future al problema delle invasioni biologiche sarà un compito complesso - scrivono i ricercatori - L’identi-ficazione delle responsabilità degli attori principali coinvolti nel commercio e l’introduzione di provvedimenti legislativi mirati potrebbero favorire in una certa misura la gestione di queste invasioni”.Per esempio, come suggerisce il team, a livello politico si potrebbe cercare di garantire che i prezzi di mercato per cuccioli e piante ornamentali rispecchino i rischi e i costi legati a una potenziale invasione. Il problema è che l’Organizzazione mondiale del commercio non prevede un meccanismo che consente di considerare i costi comportati dalle invasioni delle specie aliene imputabili al commercio internazionale. L’imposizione di tariffe che riflettono questi costi potrebbe infatti essere interpretata come una misura protezionistica.I ricercatori, inoltre, sottolineano il ruolo svolto dalle infra-strutture di trasporto per quanto concerne la diffusione delle specie invasive. “La valutazione dell’impatto ambientale di questo genere di progetti dovrebbe tenere conto del loro ruolo nelle invasioni di natura biologica e mitigare, laddove possibile, questo fenomeno”: raccomandano i ricercatori.Guardando al futuro, i ricercatori invitano a intraprendere urgentemente studi volti all’identificazione dei fattori econo-mici strettamente associati alle invasioni di specie aliene.“Solo se si riesce a individuare i fattori responsabili, sarà

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Da quando il celebre nutrizionista americano Jonny Bowden, autore di numerosi libri, ha inserito le bacche di Goji (Lycium barbarum) tra i dieci ingredienti vegetali che allungano la vita (“The Healthiest Foods on Earth” - 2007”), ma soprattutto da quando celebrità come la modella Kate Moss e il cantante Sir Mick Jagger hanno dichiarato di fare da tempo uso di questo “superfood”, si è diffusa in Gran Bretagna, e non solo, la moda di coltivare questa pianta. Originaria della regione tibetana, questa pianta perenne decidua dall’altezza fi no a 3 m., appartenente alla famiglia delle Solanacee, viene coltivata nella Regione Autonoma cinese del Ningxia Hui dove si svolge ogni anno una fi era nel mese di agosto, in coincidenza con il periodo di raccolta delle bacche (2-3 cm.) di color rosso-arancio, essendo da secoli largamente utilizzate nella farma-cologia tradizionale cinese perché contengono più aminoacidi del polline delle api, più antiossidanti del mirtillo nero e 500 volte in più di vitamina C delle arance. Per la sua diffusa commercializzazione nel mondo-anglosassone, anche al fi ne di evitare frodi especulazioni che possano incidere sulla sicurezza alimentare, di recente la statunitense Food and Drug Administration (FDA) ha deciso sottoporre ad attente analisi e studi il frutto e la sua commercializzazione per verifi carne i requisiti normativi. Mentre, il britannico DEFRA (Dipartimento per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari Rurali), dopo aver appurato che sono diffuse in orti e giardini inglesi circa 90.000 piante di Lycium, illegalmente importate, ne ha dichiarato l’abbattimento per i gravi e devastanti rischi di introduzione di parassiti alloctoni che comportano, specialmente per le piante di pomodori, melanzane, patate, che appartengono alla stessa famiglia.E pensare che tra le “10 erbe della longevità” c’è la Portulaca oleracea, la porcellana (nelle Marche, sportellacchia), che infesta orti e giardini, ma pochi (fi toalimurgici) ne approfi ttano per introdurre le carnose foglioline nelle insalate crude!

possibile prevedere e gestire - conclude lo studio - Una pre-cisione di molto maggiore nella previsione di questo genere di invasioni si ripercuoterà sugli sforzi attualmente compiuti

in Europa per la definizione di strategie di gestione per le specie aliene”.

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UNO SPAZIO DEDICATO A...

a cura di Regione MarcheGiunta Regionale - Servizio Ambiente e Paesaggio

PRE WASTE: UN PROGETTO EUROPEOPER RIDURRE LA PRODUZIONE DEI RIFIUTI

Regione Marche

In Italia nel 2008 sono state prodotte 32,5 tonnellate di rifiuti solidi urbani, corrispondenti a 541 chilogrammi per ogni abitante. Nel lungo periodo il trend è in crescita (nel 2000 infatti ogni italiano produceva “solamente” 501 chilogrammi di rifiuti urbani), tut-tavia negli ultimi due anni si è registrata un’inversione di tendenza.Nelle Marche la produzione procapite di rifiuti solidi urbani è superiore alla media italiana (551 kg/ab. nel 2008) e anche qui si evidenzia un trend in crescita nel lungo periodo (515 kg/ab. nel 2000) e un’inversione di tendenza, anticipata però di un anno nel caso regionale (fonte dati: ISPRA, “Rapporto Rifiuti 2009”).La prevenzione nella produzione dei rifiuti è l’obiettivo gerarchi-camente superiore ad ogni altra strategia di gestione dei rifiuti: ciò è fissato a livello europeo (Direttiva 2006/12/CE, Direttiva 2008/98/CE e VI Programma di azione per l’ambiente) e ripreso sia dalle leggi nazionali che da quelle regionali.La prevenzione è inoltre l’azione che maggiormente garantisce la sostenibi-lità delle attività economiche in termini di prelievo delle risorse naturali e di restituzione all’ambiente in forma de-gradata. A fronte di questa riconosciuta priorità non si sono però riscontrati si-gnificativi e diffusi risultati sul territorio

dell’Unione. Le ragioni sono molteplici e, in generale, possono essere attri-buite alla complessità delle azioni di prevenzione che spesso comportano un cambiamento delle nostre abitudi-ni. A questo problema si aggiungono poi normative e politiche settoriali che non hanno adeguatamente integrato al loro interno l’aspetto della sostenibilità ambientale, per cui possono contrastare l’efficacia delle politiche di prevenzione rifiuti che gli enti cercano di mettere in campo.Da qui la necessità di incrementare l’efficacia delle politiche pubbliche di prevenzione rifiuti.La Regione (nella struttura del Servizio Ambiente e Paesaggio - P.F. Salva-guardia, sostenibilità e cooperazione ambientale), spinta anche dai nume-rosi tentativi per ridurre la produzione dei rifiuti conferiti negli ultimi anni, ha quindi proposto di lavorare su que-sto fronte, candidando un progetto nell’ambito del Programma europeo Interreg IVC. Lo strumento pensato per incrementare l’efficacia delle politiche è quello della condivisione delle in-formazioni e soprattutto quello dello scambio e del trasferimento di buone pratiche tra i Paesi dell’Unione.

Il Progetto, denominato “PRE WA-STE - Improve the effectiveness of waste prevention policies in Euro-

pean territories”, è stato ammesso al finanziamento europeo: il budget complessivo ammonta a 1,87 mi-lioni di Euro e può contare su un contributo del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) pari a 1,44 milioni di Euro.Il Progetto, il cui evento di lancio si è tenuto ad Ancona il 28 e 29 aprile scorsi, vedrà impegnati per tre anni la Regione Marche (capofila del progetto e rappresentante dell’Italia) e altri otto Paesi comunitari: Belgio (rappresentato da ACR+ Association of Cities & Re-gion for Recycling and for Soustanable Resource e da Brussels Environment IBGE); Bulgaria (Municipality of So-fia); Finlandia (Tampere Regional Solid Waste Management Ltd); Francia (Île de France Region “Waste management Observatory”); Spagna (Municipality of Roquetas de Mar); Romania (Public Cooperation Department of Ilfov Coun-ty); Svezia (Municipality of Karskrona); Malta (WasteServ Malta Ltd).I destinatari del Progetto sono le au-torità locali e regionali e in particolare i principali soggetti, politici o tecnici, coinvolti nel processo decisionale delle politiche pubbliche. Tali soggetti so-no già in parte direttamente coinvolti nell’esecuzione del Progetto in qualità di partner ma, tramite le reti di città e regioni a cui sono affiliati, si prevede di formare/informare un numero ben

I rappresentanti dei Paesi partner del progetto Pre Waste in occasione del kick off meeting di Ancona del 28 e 29 aprile 2010

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più elevato di autorità locali europee. A tal fine riveste un ruolo fondamentale l’attività di comunicazione.L’attività del Progetto, la cui segreteria tecnica è affidata alla società SVIM (Svi-luppo Marche spa), partirà dal confronto sulle “buone pratiche” di prevenzione proposte dai partner e si svilupperà con l’analisi dell’efficacia delle stesse, con l’esame e le valutazioni circa i risultati, fino ad arrivare alla individuazione di indicatori in grado di monitorare l’effi-cacia delle varie azioni, nonché la loro possibilità di diffusione e di applicazio-ne sul territorio europeo.

Nel dettaglio, il Progetto si propone di:1. identificare e scambiare le buone

pratiche in tema di politiche re-gionali/locali per la riduzione delle frazioni più pesanti di rifiuti (es. imballaggi, rifiuti organici);

2. valutare la trasferibilità di una o più buone pratiche nei territori di ogni partner, anche per individuarne i punti di forza;

3. condividere una metodologia per il monitoraggio e la valutazio-ne dell’efficacia delle politiche di prevenzione delle autorità locali a livello europeo;

4. migliorare la conoscenza e le capa-cità delle autorità locali/regionali nel promuovere e sviluppare efficaci politiche di prevenzione dei ri-fiuti;

5. creare uno strumento software in grado di comparare, attraverso l’utiliz-zo degli indicatori individuati con la metodologia del punto 3, le differenti politiche di prevenzione dei rifiuti svi-luppate in ambito europeo.

Le aspettative sul Progetto sono molte e saranno individuati anche canali di comunicazione innovativa per veico-larne i risultati.Presto sarà disponibile il sito internet del Progetto. Altre informazioni sono disponibili nel portale del Servizio Ambiente e Paesaggio della Regione Marche www.ambiente.regione.marche.it nella sezione “progetti europei”.

ALCUNE BUONE PRATICHE DELLA REGIONE MARCHE IN TEMA DI PREVENZIONE RIFIUTI

Di seguito vengono presentate alcune iniziative regionali volte alla prevenzione della produzione di rifiuti:Autocompostaggio domesticoGrazie ai fondi disponibili con il Docup ob. 2 (2000-2006) sono stati finanziati progetti per autorecupero domestico della frazione umida dei rifiuti domestici mediante la pratica dell’autocompostaggio.Una goccia verso la sostenibilitàNei palazzi regionali sono stati installati 7 erogatori di acqua alla spina collegati diret-tamente alla rete pubblica. Ciò ha permesso di ridurre l’acquisto di acqua in bottiglia e quindi la produzione di rifiuti. Per massimizzare i benefici di questa iniziativa sono stati invitati tutti i dipendenti (1.150 in tutto) a dotarsi di una propria bottiglia, così da non utilizzare i bicchieri di plastica usa e getta.ImballaggiÈ stato siglato un accordo di programma triennale tra Regione, Provincia di Ancona, Legambiente Marche e la grande distribuzione volto alla riduzione della produzione di rifiuti da imballaggi.Centro del RiusoÈ stato finanziato, nell’ambito di una misura del Docup ob. 2 2000-2006, il centro del riuso di Serra De’ Conti (AN) che permette di dare una seconda vita ai prodotti prima di essere inseriti nel ciclo dei rifiuti.Azioni di educazione e sensibilizzazioneLa Regione sostiene finanziariamente le attività delle 5 ludoteche del riuso presenti sul territorio regionale. Le ludoteche nascono come centri di raccolta e valorizzazione attraverso il gioco dei materiali di scarto facilmente riutilizzabili, quindi come labo-ratori operativi di attività didattiche creative e luoghi di diffusione della cultura del recupero.Inoltre la Regione è dotata di un importante sistema INFEA, una rete di 40 soggetti operanti nel campo dell’educazione ambientale che trova il suo fulcro di coordinamento e di visibilità nel centro regionale di Montemarciano (AN) presso Villa Colle Sereno. Per le informazioni di dettaglio si rimanda al sito www.infea.regione.marche.it.

Il centro del riuso “Alligatore” del Comune di Serra De’ Conti (AN)

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di Alberto Piastrellini

Intervista al Sindaco, Federico Pennesi

L’EFFICIENZA ENERGETICADEI PICCOLI BORGHI

Comune di Santa Luce (PI)

Piccolo Comune (66,72 Km2, quasi 1.800 abitanti) adagiato sulle colline pisane in un territorio compreso fra le ultime propaggini della Maremma e le colline pisane, Santa Luce, è una loca-lità abitata sin dall’epoca etrusca.Il primo documento storico in cui ap-pare una menzione ufficiale alla Pieve dedicata a Santa Lucia e al successivo Castello che ne ha mantenuto il nome storpiandolo, risale all’anno 877 d. C. in piena epoca carolingia.Il borgo, passato sotto il controllo di

varie famiglie locali fu lungamente conteso fra pisani e fiorentini, fino al 1496, anno in cui ebbe luogo un falli-mentare tentativo di rivolta dei pisani al potere fiorentino e che sfociò nella distruzione, da parte delle truppe di Firenze, dell’antica cinta muraria e del Borgo.Oggi, Santa Luce conserva alcune ve-stigia del passato medioevale accanto ad un notevole patrimonio ambien-tale: un’ Oasi faunistica LIPU; un ecomuseo legato all’estrazione e scultura dell’alabastro; una fitta rete di Aziende agricole e agritu-ristiche dove si perpetua in chiave di rispetto per le tradizioni locali, la prin-cipale attività produttiva del territorio, l’agricoltura.Santa Luce, recentemente gemellatasi con la città di Seillos Source d’Argens in Provenza, è anche uno di quei tanti piccoli borghi italiani che hanno sapu-to coniugare l’amore per le tradizioni locali con il rispetto del territorio e la necessità di adottare politiche di svilup-po sostenibile.L’azione del governo locale si è indiriz-

zata soprattutto verso la produzione di energia sostenibile attraverso l’ipotesi di due filoni di intervento: l’eolico e le biomasse.Per saperne di più e meglio apprezzare le strategie messe in atto dell’Ammini-strazione locale, abbiamo intervistato il Sindaco, dott. Federico Pennesi.

Sindaco, data l’identità storica di Santa Luce, la sua vocazione agri-cola e le sue peculiarità sociali ed economiche, quali sono le principa-li problematiche ambientali che vi siete trovati a dover affrontare per conseguire lo sviluppo sostenibile del territorio?Fondamentalmente è stato proprio il mantenimento delle attività sul territo-rio, la salvaguardia del territorio stesso e la forte opposizione ai processi di ab-bandono delle pratiche tradizionali.Come accaduto altrove, in altri piccoli borghi italiani fortemente caratterizzati dall’economia agricola, allorquando, per le note vicende legate alla ridu-zione dei fondi per l’agricoltura, ci si è dovuti ingegnare per ovviare all’abban-

Riserva naturale provinciale Lago di Santa Luce, Oasi LIPU

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dono di una pratica che sembrava non avesse più alcun peso sullo sviluppo locale.

Quindi, qual è stata la strategia per-seguita?Abbiamo intravisto nella produzione energetica da fonti rinnovabili una pos-sibile via d’uscita dalla crisi locale e un futuro volano di sviluppo.Principalmente ci siamo concentrati su due vettori energetici che potevano essere facilmente “reperibili” sul ter-ritorio, senza snaturare oltremodo le caratteristiche locali, ovvero: l’eolico e le biomasse.

Può essere più preciso?In primo luogo abbiamo cercato di coinvolgere il mondo della ricerca, al quale abbiamo posto alcune doman-de circa quale fonte privilegiare e le effettive possibilità di produzione. Ade-guatamente stimolati in questo senso, ci siamo attivati verso un mix di fonti, indirizzandoci verso una serie di pro-getti di impianto: eolico e biomasse, più altre ipotesi dedicate al fotovoltaico e alla produzione di biogas grazie alla collaborazione di una importate azien-da agricola locale.

Spesso sono proprio i piccoli borghi storici quelli dove la popo-lazione locale solleva dubbi circa l’installazione di un parco eolico che, effettivamente ha un certo im-

patto estetico.Come avete superato questa giusti-ficabile diffidenza?Attraverso processi di partecipazione democratica che hanno coinvolto di-rettamente i cittadini.Prima ancora di partire con la fase progettuale, l’Amministrazione che rappresento ha proposto ai cittadini l’idea di puntare sulle rinnovabili per la produzione di energia elettrica che sarebbe stata utilizzata anche dalle fa-miglie stesse. É stato realizzato un Convegno a te-ma e i cittadini sono stati informati dei costi, dei tempi e della possibilità di beneficiare, come comunità, del reddito derivante dall’operazione. É stato anche attivato un apposito referendum locale il cui risultato ha evidenziato, al 90%, l’interesse positivo da parte dei cittadini.A quel punto si è partiti con la fase progettuale.Voglio specificare, inoltre, che una con-ferma della bontà del progetto nel suo complesso ci è stata data dalla collabo-razione con l’Università di Pisa che ha garantito i cittadini della terzietà e della scientificità del parere rilasciato.

Quali saranno i risultati in termini di vantaggio per la comunità e per l’ambiente?Certo, l’ultimo step è stata la ricerca dei soggetti partner per la realizzazione degli impianti. Per quanto riguarda l’eo-

lico abbiamo aperto una gara tramite un bando, mentre per quanto riguar-da le ricadute, abbiamo calcolato che il solo impianto eolico consentirà un risparmio ambientale quantificabile in circa 45.000 barili di petrolio equiva-lenti all’anno e un’entrata economica nelle casse comunali di circa 500.000 euro l’anno.Per quanto riguarda l’impianto a bio-masse, contiamo di produrre energia pari al consumo di circa 70.000 barili di greggio l’anno (circa 7000 MW/anno), in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di circa 2.000 famiglie.Senza contare, poi, l’indotto in termini di occupazione, il nuovo impianto darà lavoro a 20 persone.

Dunque, Santa Luce si avvia verso un futuro di sviluppo e sostenibilità?Di certo, data la capacità produttiva dei due impianti il fabbisogno della popo-lazione locale sarà più che garantito, anzi, sarà prodotta energia pulita in più che entrerà nel circuito nazionale.Se poi si considera l’indotto economico, la capacità di utilizzare risorse locali, promuovendo al contempo una gestio-ne razionale e rispettosa del territorio e dell’ambiente, allora Santa Luce si candida ad essere veramente un picco-lo borgo “ad impatto zero”, una buona pratica di governance locale da copiare ed esportare.

Foto di Lucarelli

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A COME AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE, AMBIENTE

di Maria Adele Prosperoni

LA GREEN ECONOMY IN AGRICOLTURA:UNA FRONTIERA AVANZATA PER LAVALORIZZAZIONE DEL MADE IN ITALY

La sostenibilità è stata fino ad ora percepita dalle imprese, prevalente-mente, come fonte di costi connessi all’obbligo di rispettare determinati limiti, di adeguarsi alle normative o all’onere di dover assumere impegni volontari per assicurare un miglio-ramento delle proprie performances ambientali. L’economia verde, d’altra parte, traduce la tutela ambientale in un’oc-casione di arricchimento, inteso in senso lato, guardando alla regolazio-ne non più come ad un limite, ma come ad un’opportunità.La moderna green economy rap-presenta un paradigma produttivo, gestionale e commerciale che assume l’impatto ambientale come indicatore dell’utilità, dell’efficienza e della pro-duttività delle iniziative economiche poste in essere da imprese ed orga-nizzazioni. È un modello finalizzato a coniugare la riduzione dell’impatto ambientale con nuove opportunità di business e con la domanda di prodotti con carat-teristiche di sostenibilità migliori. Si tratta di un vero e proprio percorso di riconversione dei settori produtti-vi e del mercato, attraverso il quale è possibile creare alternative utili in diversi ambiti dell’economia, ma an-che della quotidianietà, generando benefici sotto i profili economici, ambientali e sociali.La green economy, quindi, non è un settore dell’economia, ma, piuttosto, un nuovo modo di fare le cose, di produrre e di distribuire, in ambiti trasversali e con attenzione a dina-miche complesse ed integrate.È evidente come questo model-lo, in ogni ambito, produca valore ed al tempo stesso benessere sotto molteplici profili e rappresenti un’op-portunità, ma anche una sfida.

Da un punto di vista strettamente economico, l’economia verde, secon-

do il Rapporto Italia 2010 edito da Eurispes, (Istituto di Studi Politici Eco-nomici e Sociali) vale 810 miliardi di euro nel Mondo, 122 miliardi di euro in Europa e 10 miliardi di euro in Italia, con un’incidenza sul consumo mondiale ed europeo, rispettivamen-te, dell’1,2% e dell’8,2%.Siamo, quindi, in un momento storico in cui tutti, per diverse ragioni, vo-gliono essere nella green economy e vogliono fare green economy.Ma è davvero così?La risposta è: no!A volte, parlare di green economy fa soltanto parte di un percorso co-municativo e mediatico e le ricadute ambientali delle iniziative economiche diventano slogan, trovate commerciali o semplicemente strumenti di mar-keting.Non tutti gli interventi che hanno un impatto ambientale positivo e ge-nerano un profitto per chi li pone in essere possono essere definiti di green economy.Bisogna interrogarsi, ad esempio, sull’installazione di grandi impianti di produzione di energia da fonti rin-novabili o di vere e proprie centrali elettriche fotovoltaiche che causano radicali trasformazioni del paesaggio e del territorio, causando riflessi ne-gativi sulla biodiversità e sulle stesse attività produttive locali.In quest’ottica, scegliere se qualificare o meno un intervento o una politica come di eco-economia impone un’at-tenzione agli aspetti di interazione, la ponderazione sincronica degli effetti su tutte le componenti interessate, nonché la valutazione di livelli ap-propriati di pianificazione integrata.Per esempio, Coldiretti ha promos-so modelli di sviluppo e di consumo fondati su alcuni principi cardine: la difesa del territorio; la valorizzazio-ne della biodiversità; la promozione delle tradizioni produttive e della cultura locale; l’uomo e il valore del

suo lavoro; la sostenibilità ambien-tale; gli elementi associati a forme, anche innovative, di informazione e di scambio di beni e di servizi.

In tale contesto, a garanzia dei con-sumatori e contro il falso Made in Italy è stata promossa l’adozione di modelli, anche commerciali, basati sulla filiera corta, che consentono di consumare prodotti locali e stagionali, sani, gustosi e dall’origine certa.Il Progetto “Km 0” lanciato da Coldi-retti, che ha l’obiettivo di promuovere l’acquisto di beni ed alimenti prodot-ti nell’ambito locale in cui vengono acquistati e consumati, permette ai consumatori di fare scelte di acqui-sto consapevoli, che non inquinano e salvano il clima.Il Progetto, che si inserisce nell’am-bito di un discorso più ampio, legato alla necessità di sostenere le filiere corte, risponde all’esigenza di dar vita a nuove forme di scambio, incontro, cooperazione e si basa sul rapporto diretto tra chi produce e chi consuma, con la finalità di diminuire il numero e gli intermediari negli scambi eco-nomici e di ridurre il percorso dei prodotti dal luogo di produzione fino al momento del consumo finale.Tali strumenti rappresentano anche il supporto ad un piccolo impegno quotidiano, nella fase di acquisto, che può portare una famiglia a risparmia-re, in termini di emissioni annue, fino ad una tonnellata di anidride carbo-nica (CO

2).

Un simile intervento può definirsi di green economy?Sicuramente sì, rispetto agli obietti-vi, ma poi è necessario andare oltre, perché dire “filiera corta” o “Km 0” potrebbe non bastare. Evidentemente, non è sufficiente ridurre le distanze nel percorso di un prodotto per assi-curare l’eccellenza nelle performances ambientali.In un’analisi dell’impatto derivante

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da una filiera, infatti, bisogna va-lutare l’insieme delle aziende che concorrono a produrre, distribuire e commercializzare un prodotto, ma an-che la logistica, vale a dire l’insieme delle attività organizzative, gestiona-li e strategiche che governano nelle aziende.

Un’analisi seria del ciclo di vita (LCA) di un prodotto consente di verifica-re le criticità ambientali del prodotto stesso, di un processo o di un servizio per poter operare dei miglioramen-ti all’interno della propria filiera. Lo scopo è quello di superare la logica di prodotto ed entrare in un’ottica di sistema, a favore della sostenibilità ambientale e sociale, della competi-tività del territorio e del suo livello di qualità e sicurezza.Coldiretti si sta impegnando, quindi, nel Progetto per una “Filiera agri-cola tutta italiana”, con lo scopo di assicurare che il prodotto agricolo - offerto prevalentemente attraverso la rete dei punti vendita dei mercati di “campagna amica” - sia “cento per cento italiano”, firmato dagli agricol-tori e senza trucchi.Ancora, a margine delle iniziative di filiera corta, Coldiretti promuove lo sviluppo dei cosiddetti Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), con l’obiettivo di creare dei gruppi per l’approvvigionamento diretto nei mercati di vendita degli agricoltori o nelle imprese agricole, per assicurarsi l’origine, prodotti più genuini, prezzi più convenienti, ma anche il migliora-mento delle performances ambientali complessive.

Parlare veramente, quindi, di green economy, impone un’attenzione am-pia, nell’ambito di un’analisi in cui i casi non possono essere interpretati in chiave individuale, ma devono es-sere valutati come aspetti singolari di un processo complesso che riguarda

sistemi, filiere, comunità ed ha valore ambientale, economico e sociale.È un settore in cui un ruolo chiave è ricoperto dalla responsabilità sociale e ambientale (RSA) delle imprese, ma anche del mercato e dei consumatori, sempre più orientati verso comporta-menti e scelte di consumo favorevoli alla tutela degli ecosistemi.

Il paradigma della green economy, applicato al settore dell’agricoltu-ra, amplia ulteriormente lo spettro di riflessione, consentendo di ap-profondire il ruolo dell’agricoltura come espressione dei territori e del loro patrimonio economico, sociale e culturale e quale motore di valorizza-zione e di sviluppo locale.L’attività agricola è orientata da tempo verso moderni modelli di sviluppo, compatibili e coerenti con le singole realtà socio-economiche, con l’obiet-tivo di conservare e valorizzare le specificità nazionali e regionali, ri-manendo competitiva con le sfide di un mercato globalizzato.Il modello agricolo europeo, in parti-colare e, soprattutto, quello nazionale, riflettono il ruolo multifunzionale che l’attività agricola svolge in termini di ricchezza e diversità dei paesaggi, di prodotti alimentari e di retaggio cul-turale e naturale.

L’agricoltura si trova ad affrontare nuove sfide culturali e nuovi scenari anche sotto il profilo produttivo, che impongono maggiori investimenti in chiave di innovazione ecosostenibi-le e con attenzione ai territori, alle produzioni tipiche e di qualità, alle tradizioni produttive ed al rispetto delle comunità locali.Non può trascurarsi che, come emer-ge nel documento europeo che fissa gli orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale, se, da un lato, l’agricoltura continua ad essere tra i principali utilizzatori dei territori,

dall’altro lato costituisce un fattore determinante per la qualità dello spazio rurale e dell’ambiente e per il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali. In un’ottica di sostenibilità, quindi, deve essere preservato il patrimonio nazionale di agrobiodiversità, di prodotti agricoli ed alimentari di qua-lità, prevenendo l’industrializzazione dell’agricoltura, la massimizzazione delle produzioni o la contaminazione delle varietà locali e dei territori, per-ché interventi in questo senso, oltre a non essere ambientalmente orienta-ti, renderebbero perdente il modello produttivo Made in Italy che, come noto, fonda la sua eccellenza su altre e diverse caratteristiche.

Secondo le indicazioni dell’Unione Europea, oggi un fattore strategico per l’agricoltura è la necessità di assicurare produzioni di qualità, lo sviluppo di un modello produttivo sostenibile, il raggiungimento di stan-dards elevati di sicurezza alimentare, la realizzazione di attività di valorizza-zione del territorio che contribuiscano al suo sviluppo socio-economico ed assicurino il rispetto dell’equilibrio territoriale, la salvaguardia del pae-saggio e dell’ambiente. Il modello produttivo, commerciale e gestionale della green economy, con riferimento all’agricoltura ed all’eco-nomia nazionale, quindi, traduce un percorso già da tempo avviato, valo-rizzando le potenzialità del settore in termini di sviluppo e di competitività e conferendo un valore aggiunto alla qualità ed alla ricchezza del Made in Italy che rappresenta il filo con-duttore nel quale il punto focale è rappresentato da un articolato sistema di persone, territori e prodotti.

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Ma è meglio passare quanto prima a quelli di 2a e 3a generazioneBIOCARBURANTI SOSTENIBILILa Commisione UE ha adottato un Pacchetto

La Commissione UE ha definito un Sistema di Certificazione dei Bio-carburanti Sostenibili, attraverso l’adozione il 10 giugno 2010 di un pacchetto costituito da:Comunicazione sull’attuazione pratica del regime UE di sostenibilità per i bio-carburanti e i bioliquidi e sulle norme di calcolo per i biocarburantiI;- Comunicazione sui sistemi volontari

e i valori standard nei biocarburanti dell’UE e il sistema di sostenibilità dei bioliquidi;

- Decisione sugli orientamenti per il calcolo degli stock di carbonio nel suolo ai fini dell’Allegato V della Di-rettiva 2009/28/CE.

Nel dicembre 2008, i leader europei avevano raggiunto, seppur fatico-samente, un accordo sul “Pacchetto Clima-Energia” (cfr.: “Il Pacchetto del-la Discordia”, in Regioni&Ambiente, n. 1-2 gennaio-febbraio 2009, pag. 12 e segg.) che si è poi tradotto in un pacchetto di 6 strumenti legislativi, tra cui una Direttiva sulle Fonti energetiche rinnovabili che ha interessato anche il settore dei Trasporti con l’obiettivo del 10% da raggiungere entro il 2020 di carburanti per autotrazione da fonti rinnovabili, includendo, oltre all’uso degli agrocarburanti che potrebbero sottrarre terreni alle colture alimentari, anche l’utilizzo di veicoli ibridi, elettrici o a idrogeno.I trasporti in Europa, secondo il Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Am-biente, sono responsabili di oltre il 20% di tutte le emissioni e al settore è indirizzata la stragrande maggioranza delle importazioni di petrolio, per cui è comprensibile che la Commissione UE si concentri sul segmento dei biocar-buranti, anche perché le altre opzioni (elettricità e idrogeno) non sono pra-ticabili a breve termine.Il nodo da sciogliere è: fino a qual pun-to si può utilizzare questa fonte senza compromettere la biodiversità globale e limitare gli effetti negativi in termini di emissioni di gas serra connessi alla

trasformazione d’uso dei suoli (Indirect Land Use Change)?

Anche al fine di apportare contributi alla relazione che dovrà presentare en-tro la fine dell’anno sull’impatto della produzione di biocarburanti di prima generazione (mais, colza, soia, canna da zucchero, palma, ecc.) e quanto contribuiscano effettivamente alla ri-duzione delle emissioni, andando a sostituire colture per la produzione alimentare e a accelerare la defore-stazione, la Commissione UE aveva commissionato una serie di 4 studi per valutare queste problematiche e poterle, quindi, affrontare.Le Associazioni ambientaliste Cli-entEarth, Transport&Environment, Birdlife International e European Envi-ronmental Bureau (la Federazione che rappruppa 140 associazioni dei 27 Paesi membri dell’UE) che avevano richiesto l’accesso alla documentazione in merito fin dall’Ottobre 2009, per poter par-tecipare attivamente alle politiche sui biocarburanti, hanno depositato presso la Corte europea di giustizia una cita-zione in giudizio nei confronti della Commissione UE, accusata di non aver messo a disposizione tutta la documen-tazione in suo possesso sugli impatti dei biocarburanti.Secondo il portavoce della Commis-sione Mark Gray, l’azione giudiziaria sarebbe stata intempestiva perché “avevamo chiarito che non c’è inten-zione di rigettare la richiesta, ma di dover svolgere una specifica e concreta valutazione dei documenti richiesti”, trattandosi di 8.844 pagine.Le Associazioni hanno ribattuto che “l’atteggiamento della Commissione ha creato un pericoloso precedente, con l’intenzione di ritardare il rilascio dei documenti fino a che non fosse stata presa una decisione politica”.Vedremo fra un paio d’anni quale sarà la decisione della Corte, resta il fatto che anche Nikiforos Diamandouros, il Mediatore europeo (figura istituita dal Trattato dell’Unione del 1992 con lo

scopo svolgere un’opera di interme-diazione tra i cittadini e gli organismi dell’UE che dovessero venir meno al rispetto del diritto e dei principi della buona amministrazione), aveva presen-tato il 24 febbraio 2010 una Relazione al Parlamento europeo, dal quale è sta-to eletto, in cui segnalava la mancata collaborazione della Commissione UE, in occasione di una sua richiesta di accesso a tutti i documenti in posses-so della Commissione stessa, relativi ai rapporti e alle riunioni intercorsi tra la Commissione e i costruttori sui limiti di emissioni degli autoveicoli, al fine di svolgere un’indagine preliminare su una denuncia presentata da una ONG ambientalista a cui era stata concessa sola una parte della documentazione.Probabilmente sulla base di questi precedenti, sotto la pressione di par-lamentari ed ambientalisti, il 25 marzo la Commissione ha messo on line e reso disponibile il 1° Rapporto: “Global Trade and Environmental Impacts Study of the Biofuels Mandate”, curato da International Food Policy Research Institute (IFPRI).Quali ne sono i risultati?In sintesi si può così riassumere:- sono positivi gli effetti dei biocar-

buranti di prima generazione sulla riduzione delle emissioni e i benefici ambientali derivanti dalla apertura degli scambi commerciali di biocar-buranti;

- l’apertura degli scambi commerciali migliorerà ulteriormente le prestazio-ni di riduzione delle emissioni dei biocarburanti europei, soprattutto perché si importerà considerevol-mente dal Brasile etanolo derivante dalla canna da zucchero, molto più efficiente in termini di emissioni;

- oltre la soglia del 5,6%, potrebbe esservi il rischio che le emissioni da ILUC superino le riduzioni dovute all’utilizzazione di biocarburanti.

Leggendo le reazioni dei vari stakehol-ders alla pubblicazione dello Studio, ci sembra che si possa affermare che

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neppure la scienza è neutrale, dal momento che ognuno ha prescelto ed enfatizzato quella parte che porta più acqua al proprio mulino.Per esemplificare, riportiamo alcune dichiarazioni.“Lo studio conferma gli effetti positivi dei biocarburanti in termini di ridu-zione delle emissioni - ha detto Pekka Pesonen, Segretario del Copa-Cogeca, l’Associazione europea degli agricolto-ri e delle loro cooperative - È già da tempo che il Copa-Cogeca ribadisce i vantaggi offerti dai biocarburanti, che non solo hanno un impatto positivo sulle emissioni di gas serra, ma con-sentono anche di ridurre la dipendenza dal petrolio e di promuovere l’occupa-zione nelle zone rurali”.“I biocarburanti saranno il prodotto più controllato, certificato e sostenibile al mondo - ha osservato Raffaello Garo-fano, Segretario generale dell’European Biodiesel Board (EEB) che ha stimato solo il 4,5% per produrre biocarburanti sul totale delle importazioni del 2008 - L’industria dei carburanti accetta gli standard che dovranno essere estesi an-che agli altri prodotti che utilizzeranno le medesime materie prime”.Adrian Bebb, coordinatore della Campa-gna Biocarburanti di Friends of the Earth Europe ha affermato che “La Strategia europea sui biocarburanti si dimostra sempre più insostenibile. Questa Ricer-ca richiede un’urgente revisione della politica comunitaria sui biocarburanti. Come si sta comportando l’UE nel limi-tarne l’uso in modo che non danneggino l’ambiente e le persone? L’opposizione nei confronti dell’attuale obiettivo del 10% è forte quale non era mai stato”.In effetti, dopo che nel gennaio 2008 la Commissione UE aveva adottato la proposta di Direttiva sulle Energie Rin-novabili in cui si fissava l’obiettivo del 10% di biocarburanti, era iniziato un acceso dibattito.Il Comitato Scientifico dell’Agenzia Eu-ropea per l’Ambiente nell’aprile 2008 aveva reso pubblico il parere richiestogli, in cui si affermava che “L’obiettivo del 10% di biocarburanti è troppo ambizioso e i suoi effetti indesiderati sono difficili da prevedere e difficili da controllare. Pertanto, il Comitato raccomanda di effettuare un nuovo e completo studio su rischi e benefici dei biocarburanti e di fissare un nuovo e più moderato limi-te di lungo periodo, se non può esserne garantità la sostenibilità”.Anche, il Parlamento europeo espri-

mendosi nel luglio 2008 sulla proposta di Direttiva, chiedeva di ridurre l’obiet-tivo al 4% entro il 2015, ma l’Esecutivo, nonostante le critiche, ha tenuto fer-mo l’obiettivo, includendovi, oltre ai biocarburanti, l’idrogeno e l’elettricità, nonché criteri di sostenibilità.

Con la pubblicazione del Rapporto IFPRI era, pertanto, inevitabile che le polemiche si rinfocolassero e sembra che, secondo quanto pubblicato da eu.observer.com il 12 aprile 2010, il Commissario all’Energia Güenther Oettinger avesse in animo di riesaminare le politiche di stimolo per i biocarburanti ottenuti da colza e olio di palma, ma non ci sarebbe stato più tempo di revisioni, stante la definizione dei Paesi membri del Piano nazionale sulle rinnovabili entro giugno 2010 (ndr: per l’Italia si veda l’articolo “Piano Nazionale

per le Energie Rinnovabili” a pag. 36 e segg. di questo stesso numero), nonché per le pressioni dell’agrobusiness che dalla produzione di biodiesel europeo, ottenuto principalmente dai semi di colza, trae affari del valore di miliardi di euro, come riportato nel Rapporto del Financial Times Deutshland dal quale deriva l’articolo citato.C’è da aggiungere, inoltre, che nello stesso mese, il Governo francese ha reso noto il Rapporto finale “Analyses de Cycle de Vie appliquées aux bio-carburants de première génération consommés en France”, realizzato dalla Direzione Prodotti e Energie So-stenibili - Agenzia dell’Ambiente e della Produzione di Energia (ADEME), per conto del Ministero dell’Ecologia, del-la Energia, dello Sviluppo Sostenibile e del Mare, del Ministero dell’Alimenta-

Il miscanto (Miscanthus sinensis) viene coltivato soprattutto in Africa e Asia meridionale per la produzione di biocarburanti, essendo in grado di produrne fino a 1.250 litri per ettaro. Anche se attualmente non vi è alcuna piantagione in Italia, potrebbero presto realizzarsi esperimenti sul campo, con il probabile danneggiamento della biodiversità degli ecosistemi agricoli.

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zione, dell’Agricoltura e della Pesca e dell’Agenzia dell’Agricoltura-France Agrimer, quale contributo della Francia per l’elaborazione dei meccanismi di Certificazione da parte della Commis-sione UE.Anche in questo studio i bilanci ener-getici e le emissioni sono più favorevoli ai biocarburanti rispetto ai combustibili fossili, con risparmi che vanno dal 24 al 91%, se non si tiene conto delle misura-zioni relative al cambio d’uso dei suoli. Viceversa, potrebbero risultare peggiori, annullando i vantaggi dei biocarburanti in termini di risparmio delle emissioni, se per far posto alle colture di soia e palma da olio si dovessero soppiantare foreste, praterie e zone umide.Né ci sono indicazioni chiare sul loro impatto in termini di:- eutrofizzazione, che sembra eguale

a quelle delle colture alimentari;- tossicità, con il bioetanolo che sembra

aver una potenzialità superiore a quel-la dei combustibili fossili, ma gode di un indicatore maggiormente indicativo riguardo alla foto ossidazione.

“L’importanza di questi effetti - si suggerisce a conclusione del Report - giustificano un ulteriore studio per definire le modalità con cui tener conto dei cambiamenti di destinazione dei suoli nei bilanci delle emissioni deri-vanti da prodotti da materia prima agricola”.

Siamo così arrivati all’adozione del Sistema di Certificazione dei Biocarbu-ranti Sostenibili di cui alla premessa.“Negli anni a venire i biocarburanti sa-ranno l’unica alternativa alla benzina e ai combustibili diesel utilizzati per i trasporti, che causano oltre il 20% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione europea - ha dichiarato il Commissario Oettinger - Dobbiamo garantire che anche i biocarburanti siano sostenibili. Il nostro sistema di certificazione - il più rigoroso tra quelli esistenti - garantirà che i biocarburanti rispettino gli standard ambientali più severi e avrà ripercussioni positive anche su altre regioni del mondo, perché si applica anche ai biocarburanti importati”.Il pacchetto adottato rivede in qual-che modo la Direttiva sulle Rinnovabili, apportando alcune modifiche più re-strittive e fornendo alcuni opportuni chiarimenti. In particolare, nella De-cisione si definiscono le regole per il calcolo degli stock di carbonio nel suolo, sia per l’utilizzo dei territori di

riferimento, sia per il suo effettivo uso, mentre nelle due Comunicazioni si indicano i criteri per:• Certificare i biocarburanti soste-nibili. La Commissione incoraggia l’industria, i governi e le ONG a istitu-ire “sistemi volontari” per certificare la sostenibilità dei biocarburanti e spiega quali standard devono essere rispettati per ottenere il riconoscimento dell’UE. Uno dei criteri principali è che i sistemi di certificazione devono avvalersi di revi-sori indipendenti che esaminino l’intera catena di produzione, dall’agricoltore e dallo stabilimento al commerciante fino al distributore che fornisce la ben-zina o il carburante diesel alla stazione di servizio. In base agli standard fissati dalla Comunicazione, la procedura di revisione deve essere affidabile e non lasciare margine per eventuali frodi.• Proteggere la natura incontami-nata. Si spiega che i biocarburanti non dovrebbero essere ottenuti da materie prime provenienti da foreste tropicali o da aree deforestate di recente, torbiere drenate, zone umide o aree ad elevata biodiversità e indica in che modo valu-tare questo elemento. Chiarisce inoltre che la conversione di una foresta in una piantagione di palme da olio sarebbe in contrasto con i requisiti di sostenibilità.• Promuovere solo i biocarburanti che consentono elevati risparmi di gas serra. Si ribadisce che gli Stati membri devono rispettare gli obiet-tivi nazionali vincolanti in materia di energie rinnovabili e che solo i biocarburanti che consentono di ri-sparmiare grandi quantità di gas a effetto serra valgono ai fini degli obiettivi nazionali.È spiegato, inoltre, come viene effet-tuato il calcolo. I biocarburanti devono consentire un risparmio di gas a effetto serra rispetto a i combustibili fossili del 35%, che salirà al 50% nel 2017 e al 60% (per i biocarburanti prodotti da nuovi impianti) nel 2018.

Esempio di Certificazione:un fornitore di carburante dell’Italia che utilizza etanolo proveniente dal Brasile deve notificare i quantitativi di biocarburante alle autorità italiane. Per dimostrare che essi sono sostenibili ai sensi della Direttiva, il fornitore può aderire ad un sistema volontario di certificazione.Il fornitore deve assicurarsi che in tutte le fasi della catena di produzione vengano tenute registrazioni complete: dal com-

merciante da cui acquista i biocarburanti, dall’impianto di produzione presso il qua-le tale commerciante acquista l’etanolo e dall’agricoltore che fornisce lo zucchero di canna al suddetto impianto. Questo controllo viene effettuato prima che l’impresa aderisca al regime e in seguito almeno una volta all’anno.L’audit è paragonabile a quelli del setto-re finanziario: il controllore verifica tutti i documenti e sottopone a ispezione un campione di agricoltori, impianti di produzione e operatori commerciali. Egli verifica inoltre che la superficie su cui è prodotta la materia prima per l’etanolo fosse in precedenza un terre-no agricolo e non una foresta tropicale. Ciò non significa che solo tali biocarbu-ranti possono essere importati nell’UE, ma che solo i biocarburanti che soddi-sfano le condizioni previste verranno contabilizzati ai fini degli obiettivi na-zionali che i 27 Stati membri dell’UE sono tenuti a raggiungere entro il 2020 a norma della Direttiva sull’Energia da fonti rinnovabili. Ciò vale per tutti i biocarburanti, sia per quelli prodot-ti all’interno dell’Unione europea che per quelli importati da Paesi terzi. Solo questi biocarburanti possono beneficiare di un sostegno pubblico nazionale, ad esempio sotto forma di sgravio fiscale.Il Sistema di certificazione, non è te-nuto a contrassegnare il prodotto finale con un’etichetta, ma è comunque libero di farlo. Anche da un punto di vista promozionale sarebbe logico che le sta-zioni di servizio potessero far sapere di disporre di biocarburanti sostenibili, soprattutto se il sistema di certificazione applica criteri di sostenibilità più severi di quelli previsti dal diritto dell’UE.Si tratta, in definitiva, di una Certificazione “volontaria”, ma sarebbe meglio che Stati membri e aziende produttrici, stante i vantaggi che ne derivano, creino sistemi volontari di certificazione da sottoporre poi alla Commissione UE per il ricono-scimento.

Viene puntualizzato che secondo varie stime sull’impatto netto del cambiamen-to di destinazione dei terreni, l’obiettivo del 10% richiederebbe una superficie compresa fra i 2 e i 5 milioni di ettari. Anche se tutti i biocarburanti consumati dovessero essere prodotti in Europa, l’UE dispone di un quantitativo sufficiente di terreni precedentemente utilizzati come seminativi e ora non più in uso per sop-perire alle necessità. Anche in altre parti del mondo esistono alternative a una

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nuova deforestazione. Si calcola che in Indonesia vi siano dai 3 ai 12 milioni di ettari di superficie sottoposta in passato a deforestazione e lasciata in abban-dono. Sarebbe logico utilizzare queste terre. Nella Comunicazione si afferma esplicitamente che le foreste possano essere convertite in piantagioni di pal-me da olio, della quale materia prima attualmente solo il 4-5% circa del bio-carburante prodotto nell’UE fa uso. Ciò corrisponde, afferma la Commissione, a circa l’1% della produzione mondiale. Anche al di fuori dell’UE la percentuale di olio di palma destinata ai biocarbu-ranti non è molto maggiore. Oltre il 95% dell’olio di palma viene utilizzato nell’ali-mentazione e per usi industriali come la produzione di cosmetici..Anche in merito agli Studi di cui si è parlato in precedenza, si specifica che tali relazioni indicano che i biocarburanti consentono di risparmiare emissioni. Sulla base di questi studi, la Commis-sione pubblicherà entro la fine dell’anno una relazione sul cambiamento indiretto della destinazione dei terreni, secondo quanto richiesto dalla Direttiva sull’ener-gia da fonti rinnovabili.

A conclusione, fermo restando gli opportuni “paletti” posti dalla Com-missione UE, ci sembra di poter dire

che, per non rubare risorse al mercato alimentare e ridurre al minimo l’impatto ambientale legato alla produzione su vasta scala dei biocarburanti, si deb-ba quanto prima ricorrere alle materie prima di seconda generazione, quelle derivanti, cioè, da paglia, legno, scarti vegetali in genere, vinacce, sansa, buc-ce di frutta e pomodoro, ecc.Le tecnologie al riguardo sono già di-sponibili, come dimostra il prototipo in funzione a San Giuseppe di Comacchio, nelle valli ferraresi, messo a punto dagli esperti ENEA-Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo svilup-po economico sostenibile, che produce bioetanolo. Secondo quanto riportato ne “Il Sole 24 Ore” del 1° giugno 2010, il sistema HYST (Hypercritical Separa-tion Technology), ideato e sviluppato in 40 anni di studi dall’ingegner Umberto Manola, consente di trasformare le bio-masse residue provenienti dalle attività agricole e dall’industria agroalimentare in matrici ricche di amido, facilmente fermentabili in etanolo, con costi e con-sumi energetici estremamente ridotti. Il processo consiste nel disaggregare le componenti della materia immessa, facendo scontrare tra di loro, ad alta velocità, le particelle di biomassa tra-sportata da getti d’aria contrapposti. Ogni ora possono essere lavorate fino

a 2 tonnellate di materia, ma possono arrivare fino a 7, ricavando cellulosa ed emicellulosa per l’industria dei biocar-buranti (bioetanolo).Si eviterebbe, così, anche il rischio di intro-duzione di specie non indigene. Sul n. 12 del 6 giugno 2010 della prestigiosa rivista “Biological Invasion” è stato pubblicato l’articolo “Use of a weed risk assessment for the Mediterranean region of Central Italy to prevent loss functionally and biodiver-sity in agrosystems”, di cui Roberto Crosti dell’ISPRA è il principale autore.Nello Studio si sottolinea che le spe-cie colturali per i biocarburanti, che molti Paesi stanno introducendo per promuovere fonti alternative ai com-bustibili fossili, oltre ad essere scelte per la loro elevata produttività, sono coltivate in grande quantità su ampie estensioni. Secondo gli autori, queste caratteristiche ecologiche e colturali le rendono specie (ideotype) con elevate potenzialità invasive.I risultati del Weed Risk Assessment (WRA), raccomandato dalla Conven-zione di Berna per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa, che l’ISPRA ha messo a punto per valutare le specie per biocarburanti nell’Italia mediterranea, hanno mostrato che il 60% di queste sono potenzial-mente invasive.

Il prototipo a tecnologia HYST di S. Giuseppe di Comacchio (FE)

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AMBIENTE E ARTE

Il popolare attore ambientalista ha investito 24 milionidi dollari in una tecnologia per ripulire la marea nera

LA BP SI AFFIDA A KEVIN COSTNERDisastro nel Golfo del Messico

Il 10 giugno 2010, la British Petroleum (BP) ha firmato una transazione com-merciale con Ocean Therapy Solutions (OTS), società che fa capo alla Cinc Costner Industries, per utilizzare 32 esemplari di V 10, apparecchiature centigrughe della società, del peso di 1.800 kg.e capaci di recuperare il 99% del greggio ad una velocità di 750 litri al minuto, allo scopo di contribuire alla pulizia delle acque del Golfo del Mes-sico, dopo lo sversamento petrolifero seguito all’esplosione della piattaforma off-shore “Deepwater Horizon”.La notizia segue l’audizione il giorno precedente del popolare attore, regista, produttore cinematografico, musicista e, soprattutto, convinto ambientalista, Ke-vin Costner alla Commissione Scienza e Tecnologia - Sotto-commissione Ener-gia e Ambiente del Senato statunitense per illustrate la tecnologia Cinc. Il Mariner di “Waterworld”, che com-batteva contro gli Smokers per una giusta causa, ha tenuto a precisare che la sua presenza non “presuppone un finale hollywoodiano”, ma vuole chiarire ai componenti della Commis-sione, dalla quale era stato invitato, alcuni aspetti della tecnologia che una

settimana prima la BP aveva appurato che funzionava. Costner ha ricordato che, in occasio-ne di un altro grave disastro che colpì gli Stati Uniti, quale fu lo sversamen-to nel Golfo dell’Alaska nel 1989 del carico di 41 milioni di litri di greggio fuoriuscito della superpetroliera Exxon Valdez (il nome della nave ritorna nel film Waterworld quale base dei “catti-vi”) rimase indignato che il suo Paese, il Paese più potente del mondo, che era riuscito a portare l’uomo sulla lu-na, fosse così impotente di fronte alla “marea nera”.Decise così di far qualcosa per appron-tare soluzioni in grado di contrastare i danni e le devastanti conseguenze di simili disastri ambientali, investendovi risorse finanziarie.Dopo essersi consultato e consigliato con il fratello scienziato Dan, nel 1992 acquistò il brevetto di una tecnologia creata trent’anni fa ed utilizzata su li-cenza dal Dipartimento dell’Energia (DOE) - Laboratorio Nazionale dell’Ida-ho per recuperare metalli preziosi da solventi.Fondò, quindi, una Società, chiaman-do a Direttore della Tecnologia Dave

Meikrajntz, che era stato l’inventore della tecnologia che, modificata rispetto all’originale, ha messo a punto un’ap-parecchiatura centrifuga per liberare l’acqua dal petrolio, il cui brevetto acquisito nel 1998 fu assegnato alle Industrie Costner di Carson City (NV). Per poter produrre industrialmente le apparecchiature, Costner ha confessa-to di avervi investito, insieme al suo amico e socio in affari Patrick Smith, 24 milioni di dollari.Dopo aver testato che le soluzioni of-ferte permettevano varie applicazioni nei settori chimico-farmaceutico, pe-trolifero, del biodiesel, dei profumi, ecc., Costner aveva contattato varie agenzie ed enti governativi senza aver ricevuto risposte per dieci anni, fino a che è stato contattato dalla BP che nel frattempo aveva inutilmente sollecitato proposte ed idee su come tamponare la falla sottomarina, anche attivando un sito web, facebook e twitter.“A voi sembrerà inverosimile che in questo momento io sia l’unico a mette-re a disposizione questa tecnologia - ha dichiarato Costner, rivolgendosi ai Deputati - A me, viceversa, sembra strano che tali apparecchiature non siano ancora all’opera dove sarebbero determinanti”. Non si è lasciato scappare l’occasione Costner di esortare i membri del Con-gresso ad imporre che ogni impianto petrolifero costiero od off shore sia dotato di simili apparecchiature come avviene per gli estintori.“Abbiamo legiferato sui salvagente. Abbiamo legiferato sugli estintori. Abbiamo legiferato sulle scialuppe di salvataggio e sui kit di pronto soccor-so. Appare logico che fintanto che le industrie petroliferetrarranno profitti dal mare, esse hanno l’obbligo legale di proteggerlo, salvo quando esse si tro-vano a lottare per la loro stessa vita e incolumità”.

Nonostante la BP abbia costituito un Fondo da 20 milardi di dollari per il risarcimento dei danni, stanziato 100

L’attore Kevin Costner in un’immagine tratta dal film Waterworld

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milioni di dollari per i lavoratori delle aziende petrolifere colpiti dalla mo-ratoria delle trivellazioni sottomarine decisa dall’Amministrazione Obama, dopo l’incidente, e annunciato che non vi saranno dividendi per gli azionisti, si sta profilando una clamorosa class action, tanto che la società petrolifera britannica, che dovrà comunque contare sull’aiuto del Governo Cameron, ha già ingaggiato lo studio legale Kirkland & Ellis di Chicago, uno dei più importanti, se non il migliore, degli USA, che si sta già adoperando per spostare le cause dalle sedi dei quattro Stati colpiti (Lou-isiana, Mississippi, Florida, Alabama) al tribunale di Houston nel Texas, dove la compagnia ha la sede sociale.

Al di là degli aspetti ambientali, sociali ed economici, conseguenti al disastro, c’è un aspetto culturale connesso alla vicenda che il Presidente USA non ha mancato di cogliere quando ha affer-mato che l’eslosione della “Deepwater Horizon” avrà un impatto sulla mentali-tà e sui modelli di vita degli statunitensi paragonabile al crollo delle “Twin To-wers” e dell’urgano “Katrina”.“La tragedia della nostra costa è il se-gnale doloroso e potente che è giunto il tempo di intraprendere un futuro di

energia pulita - ha dichiarato in un di-scorso alla Nazione dallo Studio ovale della Casa Bianca la sera del 15 giugno Barack Obama - Ora è il momento per questa generazione di imbarcarsi in una missione nazionale per rinnovare l’America e assumere il controllo del nostro destino”.E proprio per sollecitare il Presidente

ad “abbandonare una volta per tutte la dipendenza dal petrolio”, il 4 lu-glio Giornata dell’Indipendence Day a Washington si svolgerà una grande ma-nifestazione di massa, “Freedom from Oil this Indipendence Day”, organizzata da Sierra Club lla più autorevole asso-ciazione ambientalista degli USA.

Schema della centrifuga CINC V10 per separare l’acqua dal petrolio

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AGENDA 21

di Elisabetta Mutto Accordi

Il Coordinamento delle Agende 21 locali italiane ha realizzatoun’indagine che prende in esame l’esperienza di oltre 100 enti locali

CONTABILITÀ, QUANDOIL BILANCIO È AMBIENTALE

Cosa fanno gli enti locali italiani per l’ambiente e con quale impegno di spesa?È partendo da queste domande chiave che il Gruppo di Lavoro sulla Conta-bilità Ambientale costituito dal 2004 all’interno del Coordinamento delle Agende 21 locali italiane ha sviluppa-to un’indagine per fotografare lo stato dell’arte in Italia.Il questionario è stato compilato on-line da 112 enti italiani dei quali 95 sono Comuni, 12 sono Province, 3 sono Regioni e 2 sono Enti Parco. “Lo scopo della ricerca - spiega Emanuele Burgin, Presidente del Co-ordinamento di Agenda 21 in Italia - è stato quello di verificare quanto sia co-nosciuto lo strumento della contabilità ambientale dagli enti locali italiani, quanto sia diffuso, quali siano le mo-tivazioni alla base dell’avvio e della cessazione delle diverse esperienze e le difficoltà incontrate da chi ha intra-preso questo percorso, comprendere le metodologie più utilizzate e raccogliere informazioni, al fine di scoprire i pos-sibili sviluppi futuri.”

Su 112 enti che hanno compilato il que-stionario, 47, ossia meno della metà, hanno realizzato o stanno realizzando esperienze di contabilità ambientale, mentre 65 non hanno mai avuto alcuna esperienza in merito. Tra i 47 enti che hanno avviato esperienze di contabilità ambientale 37 sono Comuni, 8 sono Province e 2 sono Regioni.Il 64% degli enti che hanno risposto al questionario (72 enti) ha attivato anche strumenti volontari di gestione ambientale - distinti dalla contabilità ambientale - per il controllo degli in-terventi che hanno o potrebbero avere un impatto sull’ambiente. È interessan-te notare come 39 su 72 enti stiano realizzando esperienze di contabilità ambientale e contemporaneamente ab-biano attivato altri strumenti di gestione ambientale in ottica volontaria.Metà (36 enti) dei 72 enti che adottano strumenti di gestione volontaria, hanno

scelto una sola opzione tra quelle pro-poste, così: 25 enti adottano l’Agenda 21 Locale; 5 la norma ISO14001; 2 il Regolamento EMAS; 2 il GPP (Green Public Procurement - Acquisti Pubblici Verdi); 2 il Bilancio sociale o di soste-nibilità. L’altra metà (36 enti) hanno attivato due o più strumenti di gestione ambientale contemporaneamente.Sembra quindi che l’integrazione sia la strada verso cui le amministrazioni cercano di orientarsi, fermo restando che l’Agenda 21 Locale rappresenta lo strumento maggiormente utilizzato da-gli intervistati (sono 55 su 72 gli enti che lo impiegano singolarmente o in maniera associata).55 (il 33%) ricorrono all’Agenda 21 Locale, 22 (il 21%) al Bilancio sociale o di sostenibilità, 20 (il 19%) a politi-che di acquisti pubblici verdi - GPP, 18 (il 17%) all’ISO14001 e 11 (il 10%) all’EMAS.“Dopo una prima fase pioneristica di sperimentazione di contabilità am-bientale in Italia - commenta Susanna Ferrari del Comune di Reggio Emilia, Responsabile del Gruppo di Lavoro del Coordinamento delle Agende 21 italiane che ha promosso l’indagine - la tendenza, che si evidenzia negli ultimi anni negli enti che hanno consolidato il sistema, è il tentativo di integrare la contabilità ambientale con gli stru-menti ordinari di programmazione

e controllo (Programma di mandato, Relazione Previsionale e Programma-tica RPP, Piano Esecutivo di Gestione PEG, Piani di Settore, ecc.) con gli al-tri processi e strumenti volontari per lo sviluppo sostenibile (Agenda 21 Locale, Acquisti Verdi Pubblici GPP, Bilancio di mandato/sociale, di genere/di so-stenibilità, ecc). In particolare, dalle risposte raccolte, sembra che gli enti maggiormente sicuri di proseguire nel futuro siano anche quelli che hanno collegato la contabilità ambientale con la certificazione ambientale UNI EN ISO 14001:2004 o alla Registrazio-ne secondo il Regolamento CE EMAS 1221/2009.”Dall’indagine emergono, inoltre, altri aspetti interessanti.La metodologia di riferimento più uti-lizzata da parte degli enti è il metodo “CLEAR” (75%) anche integrato con al-tre metodologie (5%) quali EcoBudget, linee guida ISPRA, NAMEA/RAMEA o EPEA. Tale sistema si conferma quindi il più vicino alle esigenza degli enti locali e il più facile da approcciare.Il 2007 e il 2008 sono stati gli anni di maggior diffusione dello strumento mentre negli ultimi due anni si registra una notevole riduzione, evidenziando quindi un calo di interesse.Tra gli enti che hanno dichiarato di avere intrapreso il percorso di contabi-lità ambientale (47), l’80% sono giunti

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alla redazione di Bilanci Ambientali; la maggior parte ne ha realizzati solo uno o due, ma un quinto ne ha già effettuati tra tre e sei e 4 enti hanno realizzato oltre dieci bilanci ambientali, portando quindi a sistema lo strumento.La maggior parte dei Bilanci Ambientali sono stati approvati dagli organi politici (76%), prevalentemente dai Consigli Comunali (58%), facendo quindi della contabilità strumento di valore politi-co.Anche se solo 12 enti su 46 non in-tendono proseguire con la contabilità ambientale, dalle risposte emerge che le difficoltà maggiori nel continuare il percorso sono legate alla disponibilità di risorse (umane ed economiche) ma soprattutto alla mancanza di “conoscen-za e sensibilità da parte dei politici, spesso dopo il cambio di amministra-zione”.L’indagine, quindi, indica chiaramente come gli enti riescano ad intraprende-re la sperimentazione della contabilità ambientale “abbastanza facilmente”; l’avvio avviene spesso nell’ambito di progetti europei o di enti sovraordinati (46%) e anche con iniziative autonome (28%), ma successivamente, in assen-za di incentivi finanziari, di un quadro normativo di sostegno la messa a re-gime dello strumento è difficoltosa. In assenza di una reale presa di coscienza dell’importanza e utilità dello strumento da parte degli amministratori, la con-tabilità ambientale viene o rischia di essere abbandonata.Le risposte degli enti che hanno par-tecipato all’indagine fanno emergere anche la necessità di un aggiornamento delle metodologie di riferimento, un maggiore focus su i temi “caldi”, lega-ti in particolare modo all’energia e ai cambiamenti climatici, ma anche alla mobilità e ai rifiuti, all’integrazione maggiore con altri strumenti come le certificazione ambientali e il Patto dei Sindaci e soprattutto alla necessità di indirizzi normativi in materia.

ELENCO DEGLI ENTI CHE HANNO RISPOSTO AL QUESTIONARIO:Comune di Avriago, Bergeggi, Bologna, Bresso, Castelnovo Ne’Monti, Castelvetro, Cesena, Ferrara, Firenze, Forlì, Leverano, Maiolati Spontini, Marcallo con Casone, Marcon, Melilli, Mercogliano, Modena, Milazzo, Militello in Val di Catania, Montecchio Emilia, Monza, Motta Visconti, Noto, Novafeltria, Ostellato, Padova, Palermo, Parabita, Pavia, Peglio, Pesaro, Pomarance, Portomaggiore, Poviglio, Ragusa, Ravenna, Reggio Emilia, Ripe, Roma, Ro-tondella, Rovigo, Rubiera, Salsomaggiore Terme, San Cesario sul Panaro, San Fior, San Ginesio, San Giovanni Teatino, San Leo, San Marcello, San Martino in Rio, Santa Maria Nuova, Sassari, Sassoferrato, Serrapetrona, Trento, Tresigallo, Urbisaglia, Ussita, Val di Nizza, Venezia, Verona, Vialfrè, Vigarano Mainarda;Provincia di Alessandria, Cremona, Ferrara, Livorno, Modena, Parma, Pesaro e Urbino, Reggio Emilia, Rimini, Rovigo, Terni, Torino;Regione Campania, Marche, Piemonte;Ente Parco Nazionale Del Gargano ed Ente Parco Regionale Di Roccamonfi na - Focega-rigliano.

LE METODOLOGIE IN USO IN ITALIA Il metodo CLEAR, ovvero City and Local Environmental Accounting and Reporting (Progetto per la contabilità e il report ambientale di città e comunità locali), è il primo progetto europeo di contabilità ambientale applicata agli enti locali, sviluppato nel 2001 tramite il progetto Life CLEAR, cofi nanziato dall’Unione Europea. CLEAR costituisce un reale sistema di governance che, basandosi sull’adozione di un sistema di contabilità ambientale, è in grado di fornire un supporto operativo agli amministratori aumentandone in tal modo l’assunzione di re-sponsabilità e la trasparenza rispetto alle politiche adottate. Consente inoltre di coinvolgere gli stakeholder includendo le loro aspettative nel processo. Dal punto di vista operativo, il metodo defi nisce i criteri per la raccolta dei dati ( “contare”), la loro riorganizzazione per ambiti specifi ci (“contabilizzare”) fi no alla fase di “rendicontare” attraverso la realizzazione di un bilancio ambientale approvato con un iter politico-amministrativo allineato a quello del bilancio economico tradizionale. www.clear-life.it

EcoBUDGET® (Local Environmental Budgeting) è un metodo sviluppato da ICLEI dal 2001 allo scopo di pianifi care, monitorare, rendicontare e migliorare l’uso delle risorse ambientali a livello locale.Alla base vi è la volontà di far rientrare la contabilità ambientale all’interno del sistema di governance dell’ente attraverso l’applicazione di principi e procedure di bilancio fi nanziario alla gestione delle risorse naturali. Il bilancio ambientale realizzato attraverso EcoBudget descrive fi sicamente l’utilizzo delle risorse naturali valutandone in tal modo il consumo e il risparmio da parte della pubblica amministrazione. Inoltre esso stabilisce target quanti-tativi a breve e lungo termine che devono essere ratifi cati dal Consiglio Comunale. www.ecobudget.com

Le Linee Guida ISPRA, pubblicate nel 2009, nascono al fi ne di contribuire all’adozione di un metodo condiviso di realizzazione del bilancio ambientale all’interno degli enti locali. Ven-gono individuati una serie di principi generali tesi ad armonizzare le esperienze, raccordare i sistemi informativi, creare le condizioni per consolidare e diffondere il bilancio ambientale. Il metodo a tre fasi, di tipo modulare e fl essibile – ossia prevede la facoltà di escludere un singolo step in base al grado di maturità di know-how della propria organizzazione - si concentra su fi nalità di tipo strategico - gestionali come il miglioramento dei processi di governance locale, l’orientamento dei processi decisionali, il monitoraggio degli impegni assunti e del rapporto tra impegno di spesa e risultati conseguiti. www.isprambiente.it

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Autorità per l’Energia Elettrica e il GasModalità di ammissione agli incentivi per progetti pilota di reti intelligenti di distribuzione di energia (Smart Grid)(Delibera 25 marzo 2010 e pubblicata sul sito dell’Autorità il 30 marzo 2010)

L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha varato i criteri e le procedure per gli incentivi in favore di Progetti pilota di reti intelligenti di energia. Si tratta di previsti dalla Delibera 29 dicembre 2007 (Testo integrato trasporto), consistenti nel 2% di maggiorazione del tasso di remunerazione del capitale investito per 12 anni.

Progetti ammissibiliIn questa prima fase saranno incentivati progetti dimostra-tivi di rete attiva, intendendosi una rete in media tensione (MT) in cui per almeno l’1% del tempo di funzionamento annuo si abbia transito di potenza verso la rete in alta tensione (AT).I progetti saranno valutati sulla base dei benefici attesi, e dovranno perseguire i seguenti obiettivi:- favorire la generazione distribuita;- migliorare la qualità del servizio e l’uso efficiente delle risorse;-contenere sistemi demand response con segnali di prezzi ai clienti finali;- promuovere la mobilità elettrica.

Requisiti tecniciPena l’inammissibilità, il progetto pilota deve soddisfare i seguenti requisiti minimi:a) rappresentare una concreta dimostrazione in campo su reti di distribuzione in MT in esercizio;b) essere riferito a una rete MT attiva o in alternativa, a una porzione di rete MT attiva, identificabile come le lineeMT della stessa rete MT che presentano contro flussi di energia attiva al nodo di connessione MT per almeno l’1% del tempo annuo di funzionamento;c) prevedere un sistema di controllo/regolazione della tensione della rete e un sistema in grado di assicurare la registrazione automatica degli indicatori tecnici rilevanti per la valutazione dei benefici del progetto;d) utilizzare protocolli di comunicazione non proprietari;e) garantire il rispetto delle normative vigenti in termini fisici e di qualità del servizio.

Commissione di espertiUna Commissione di esperti scelti tra figure di comprovata professionalità nell’ambito della conoscenza dello sviluppo

delle reti elettriche con particolare riferimento ai temi delle rete attive e delle smart grids, valuterà i progetti e stilerà la graduatoria in base al rapporto tra l’indicatore dei benefici e il costo del progetto.

Domande e Scadenze Ai fini dell’ammissione al trattamento incentivante le imprese distributrici devono presentare apposita istanza all’Autori-tà apposita istanza, sottoscritta dal legale rappresentanre entro il 30 settembre 2010 a mezzo plici raccomandato A. R., avente ad oggetto “Istanza trattamento incentivante smart grids”

Regione ToscanaBando “Riqualificazione ambientale di aree desti-nate ad insediamenti produttivi ”(BURT n. 12 del 24/03/2010)

Il 29 aprile a Firenze, presso il Palazzo Affari, si è svolto un incontro divulgativo a cura della Direzione Generale Svi-luppo Economico della Regione Toscana per illustrare le operazioni per accedere al Bando “Riqualificazione ambien-tale di aree destinate ad insediamenti produttivi” di cui alla Tipologia I del Fondo e relativo alle linee 3.3 del PRSE 2007-2010 e 1.3.1 del PAR FAS 2007-2013.Si tratta di un importante strumento volto a migliorare la qualità degli insediamenti produttivi della Toscana, che costituisce la prima esperienza di finanziamento di “Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata (APEA)”, variazione toscana delle “Aree Ecologicamente Attrezzate” di cui al D.Lgs. n. 112/1998, in cui tali aree sono definite come aree “dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente”.

FinalitàIl Bando sostiene la riqualificazione ambientale di aree da destinare ad insediamenti produttivi (aree a destinazione in dustriale e/o artigianale o a destinazione mista, anche con presenza non prevalente di terziario), finalizzate alla localiz zazione, anche nell’ambito di progetti integrati di sviluppo urbano sostenibile, di PMI (industriali, artigiane e di servizi).

Soggetti beneficiari• Comuni, Province, Comunità montane, Enti pubblici (ivi

compresi gli Enti riqualificati in senso pubblicistico dalla giurisprudenza ed Enti equiparati alla P. A.) e loro Con-sorzi;

• Università e Istituti di ricerca pubblici, singoli e associati,

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anche in forma consortile;• Consorzi e Società miste pubblico-private a maggioranza

pubblica, nei casi consentiti dalla normativa vigente; • Fondazioni a totale composizione pubblica.

Operazioni finanziabili- Interventi in aree già esistenti o dimesse;- Interventi in aree di nuova realizzazione con un livello

di progettazione “definitiva”, come definita dall’art. 93, comma 4 del Decreto Legislativo n. 163/2006.

Risorse disponibiliIl Bando individua una delle tipologie di operazioni che possono essere finanziate con le risorse del “Fondo per le infrastrutture produttive” (D.G.R.T. n. 924/2009) la cui dotazione finanziaria complessiva attuale ammonta a 71.466.852,24 euro. La disponibilità finanziaria per la tipologia I - “Riqualificazio-ne ambientale di aree destinate ad insediamenti produttivi” ammonta a 20.000.000,00 euro.

LocalizzazioneLe risorse sono destinate ad interventi localizzati all’interno dell’intero territorio regionale, con una riserva finanziaria fino al 15% delle risorse del Fondo destinata ai territori dei comu ni classificati montani dalla disciplina regionale vigente (di cui all’elenco dell’allegato A alla L. R. 26 giugno 2008, n. 37 e s.m.i.)..

Spese ammissibiliOpere di urbanizzazioneSpese tecniche (max 10% dei lavori)Costi per l’acquisto dell’area (max 10% dei lavori)

Requisiti ambientaliRequisiti obbligatori di natura ambientale:A) gestione unitaria dell’area produttiva industriale ed ar-tigianale, ad opera di un Soggetto Gestore unico, il quale dovrà predisporre annualmente un programma specifico di miglioramento ambientale;B) presenza di almeno quattro soluzioni tecniche significa-

tive riguardanti criteri di performance ambientale relativi all’area produttiva.

AgevolazioniLe agevolazioni previste dal Bando potranno essere conces se con una delle seguenti modalità alternative:A) sotto forma di “contributo a fondo perduto”, fino alla

misura massima dell’80% dell’investimento complessivo ammis sibile;

B) sotto forma di finanziamento agevolato (a tasso zero), fino ad un impor to massimo del 100% dell’investimento comples sivo ammissibile, al lordo dell’eventuale quota IVA non detraibile risultante da idonea dichiarazione del Soggetto richiedente; in tal caso il finanziamento dovrà essere restituito in base ad un piano di ammortamento di durata compresa tra i 5 ed i 10 anni con rate annuali posticipate costanti.

Elementi di valutazione• costo totale ammissibile;• contributo richiesto;• incidenza dei costi relativi a performance ambientali;• ottimizzazione di iniziative progettuali preesistenti;• livello di cantierabilità dell’intervento;• tipologia di soggetto richiedente;• inserimento nel PASL provinciale;• localizzazione in aree a maggiore densità produttiva.

Presentazione delle domande e scadenzeLe domande di contributo, dovranno essere redatte i esclu-sivamente on line all’indirizzo, utilizzando lo specifico gestionale realizzato da Sviluppo Toscana: https://sviluppo.toscana.it/fipro1.Le domande dovranno essere chiuse con procedura tele-matica entro le ore 17.00 del 30/09/2010.Una copia cartacea della domanda, corredata della docu-mentazione obbligatoria prevista dal Bando, dovrà essere spedita a mezzo raccomandata A/R entro il 01/10/2010 a: Regione Toscana - D.G.S.E. - “Settore Infrastrutture e Servizi alle imprese” - Via di Novoli, 26 - 50127 Firenze.

CONSULENZE IN: AMBIENTE - SICUREZZA SUL LAVORO - ALIMENTI

CONSULENZA PER LA CERTIFICAZIONE ISO 9000 - ISO 14000 - OHSAS 18001

LABORATORIO ANALISI CHIMICHE FISICHE E MICROBIOLOGICHE ACCREDITATO SINAL

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i quesiti dei lettori: L’ESPERTO RISPONDEa cura di Leonardo Filippucci

agenda Eventi e Fiere

Roma, 7-9 settembre 2010Eolica Expo MediterraneanSede: Fiera di RomaOrganizzazione: Artenergy Publishing SrlVia Antonio Gramsci, 57 - 20032 Cormano (MI) Tel. +39 0266306866 - fax +39 0266305510Informazioni: www.eolicaexpo.com

Beaulard di Oulx (TO), 17-19 settembre 2010BOSTER - Fiera commerciale di Bosco e TerritorioSede: Area FieraOrganizzazione: Paulownia Italia srl

via Monte Sabotino,1 - 30171 Venezia - MestreTel. 041 928672 - fax. 041 920592www.fieraboster.it - [email protected]

Milano, 20-23 settembre 2010SMAU 2010 - Esposizione internazionale di Information&Communication TechnologySede: Fiera di Milano (Rho)Organizzazione: Promotor ICT srlVia Monte Santo, 1/3 - 20124 MilanoTel 02 283131 - fax 02 28313213www.smau.it - [email protected]

Quali garanzie devono essere riconosciute al titola-re di un’autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali nel caso di prelevamento di campioni e successive analisi?Come anche di recente ricordato dalla Suprema Corte (Cass. pen. Sez. III, 27.04.2010 n. 16386), l’attività di campio-namento e di analisi ha sì almeno normalmente, natura amministrativa, ma sempre purché sia svolta dagli organi di polizia e di controllo nell’ambito della loro normale attività amministrativa di vigilanza e di ispezione, ossia quando sia diretta soltanto ad accertare la regolarità della attività e non sia ancora emersa nessuna notizia di reato. E tuttavia, proprio perché anche dallo svolgimento di tali verifiche am-ministrative potrebbero emergere indizi di reato, il legislatore (conformemente alle indicazioni della Corte costituzionale) con l’art. 223 delle disposizioni di coordinamento del codice di procedura penale ha previsto alcune garanzie difensive nei riguardi dei soggetti interessati proprio per l’eventuali-tà che a seguito delle analisi emergano nei loro confronti indizi di reato. In particolare, l’art. 223 disp. coord. c.p.p. stabilisce che, qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell’organo procedente è dato, anche oralmente, avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno ef-fettuate; l’interessato o persona di sua fiducia appositamente designata possono presenziare alle analisi, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. Se, invece, leg-gi o decreti prevedono la revisione delle analisi e questa sia richiesta dall’interessato, a cura dell’organo incaricato

della revisione, almeno tre giorni prima, deve essere dato avviso del giorno,

dell’ora e del luogo ove la medesima verrà effettuata all’interessato e al di-

fensore eventualmente nominato; anche in tal caso, alle operazio-

ni di revisione l’interessato e il difensore hanno diritto di as-

sistere personalmente, con l’assistenza eventuale di un

consulente tecnico. Le previsioni e le garanzie di cui al citato art. 223 riguardano dunque i prelievi e le analisi inerenti all’attività meramen-te amministrativa, ossia appunto alla normale attività di vigilanza e di ispezione. Da tale ipotesi bisogna pertanto distinguere nettamente le analisi ed i prelievi inerenti non ad una attività amministrativa, bensì ad una attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare, per i quali devono invece trovare applicazione le norme dell’art. 220 disp. coord. c.p.p., in base al quale “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osser-vanza delle disposizioni del codice”.Nel caso quindi di attività di polizia giudiziaria svolta nell’ambito di una indagine preliminare, devono operare “le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, anche laddove emergano indizi di reato nel corso di un’attività amministrativa che in tal caso non può definirsi extra-processum” (Cass. pen., Sez. III, 14.5.2002, n. 23369). In altre parole, l’attività di prelievo e di analisi ha “natu-ra amministrativa... sempre che essa non venga eseguita su disposizione del magistrato o non esista già un soggetto determinato, indiziabile di reati: solo in tal caso trovano applicazione le garanzie difensive previste dall’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., mentre, vertendosi in attività ammini-strativa, è applicabile l’art. 223 disp. att. cit.” (Cass. pen. Sez. III, 16.10.1998, n. 12390).D’altra parte, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il presupposto per l’operatività dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. e dunque per il sorgere dell’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale, è costituito dalla “sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta ammi-nistrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata” (Cass. pen. Sez. Un., 28.11.2004, n. 45477; Sez. II, 13.12.2005, n. 2601).

n. 11 - Luglio 2010M A G A Z I N E

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sabilità per eventuano solo i loro

PolieCoMagazine

EDITORIALE

SOMMARIOTraffico internazionale di rifiutiUN NUOVO STRUMENTO PER IL CONTRASTO ALL’ILLEGALITÀPolieCo e Agenzia delle Dogane firmano un Protocollo di Intesa

di Stefano Agostinelli p. 3

Mercato del ricicloBIOPLASTICHE VS RICICLATO: UNO SCONTRO INESISTENTEIntervista a Christian Messori, responsabile commerciale di Mecoplast

di Stefano Agostinelli p. 6

Alla sua terza uscita per l’anno 2010, che segna anche il traguardo dei primi tre anni di vita del nostro strumento di comunicazione, PolieCo Magazine n. 11 vede la luce in un periodo dell’anno ormai estivo.La circostanza che vede con questo numero celebrato il triennio di comunicazione ap-punto del PolieCo Magazine mi consente di tornare ancora una volta a precisare co-me il presente “foglio” sia [e debba essere] utilizzato realmente in termini comunica-zionali: gli autori chiamati a collaborare - anche perché sia tenuto vivo il dibatti-to e l’aggiornamento - sono inviatati ad esprimersi correttamente ma liberamente, manifestando volta per volta opinioni che sono a tutti gli effetti di carattere perso-nale [anche allorquando siano espresse da chi sieda negli Organi del Consorzio]; salvo che non sia diversamente espresso, le dette opinioni non possono e non deb-bono essere fatte coincidere con quelle del Consorzio [e tutt’al più, se espresse da Consiglieri di Amministrazione, potrebbe-ro forse essere riferite - nella complessa e variegata alchimia consortile - alla singo-la Categoria di cui ciascuno degli stessi è espressione: ma, si ripete, mai potranno o dovranno essere attribuite al Consorzio nella sua interezza].La succitata circostanza che ci vede ormai prossimi ad un clima vacanziero con la pro-pensione alla sospensione del lavoro e delle responsabilità, induce mezzi di informazione e pubblico ad un sostanziale disinteresse per il problema rifiuti/riciclo.Singolare dinamica psicologica, questa, per-ché, guarda caso, proprio l’Estate è il periodo in cui si tocca con mano il degrado dell’am-biente ed il depauperamento delle risorse

delle bioplastiche, con particolare riferimen-to all’attività di riciclaggio.Ritengo, a questo punto, augurare a tutti i Let-tori una buona estate ricordando il prossimo appuntamento del II Forum Internazionale: “L’Economia dei Rifiuti”, che avrà luogo, ad Ischia i prossimi 24 e 25 settembre. L’evento sarà occasione per approfondire la tematica del riciclo in Italia e della sua internazionalizzazione alla luce delle pro-blematiche del mercato globale e nell’ottica ulteriore di un auspicabile approccio etico. La formula utilizzata sarà quella di una vasta Tavola Rotonda attorno alla quale si avvicen-deranno: economisti, giuristi, imprenditori ed amministratori pubblici che insieme con-correranno a presentare lo stato dell’arte e le prospettive future del settore cercando di non disgiungere la componente economica da quella prettamente ambientale.Inoltre, ampio spazio sarà dedicato ai temi della politica economica legata ai prodotti derivanti dal riciclo e al futuro della new economy rappresentata dall’implementazione nel mercato di tali prodotti.Conscio dell’opportunità economica of-ferta dalla gestione virtuosa dei rifiuti e del loro riciclo, PolieCo intende stimolare un dibattito fra Istituzioni ed Operatori sul futuro della new economy, specificando come quest’ultima dipenderà sicuramente dalla disponibilità di risorse offerte dalle materie derivanti dal riciclo.

naturali e territoriali causate da una diffusa scarsa attenzione alla destinazione dei rifiuti e dei materiali da riciclare.Certo non è nel potere della nostra singola struttura quello di operare magicamente per risolvere un problema che affligge tutto l’Oc-cidente industrializzato, tuttavia, con le forze e la caparbietà di cui disponiamo (che non son poche), possiamo garantire il massimo impegno affinché, pur nel nostro microcosmo settoriale, si possa realizzare quel cambio di prospettiva ecologica in chiave etica nei confronti dello sviluppo, da molti prospettata, non ultimo il Santo Padre nella sua Lettera Enciclica “Caritas in Veritate”.Pertanto è con questo spirito di rinnovamento e propulsione alle dinamiche virtuose nel settore industriale del riciclo che ospitiamo in questo numero un corposo approfondimento sul Protocollo di Intesa fra il nostro Con-sorzio e l’Agenzia delle Dogane.Al Direttore del Consorzio PolieCo, Claudia Salvestrini va tutta la nostra riconoscenza per la caparbietà con la quale ha perseguito questa strada sino al traguardo del Protocollo.Un secondo articolo focalizza i pro e i contro

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n. 11 - Luglio 2010Informazione e aggiornamento

di Stefano Agostinelli

UN NUOVO STRUMENTO PER ILCONTRASTO ALL’ILLEGALITÀ

Dopo la stipula dell’Accordo di Programma con la Re-gione Lazio per la gestione ottimale del riciclo dei teli agricoli e la risoluzione del problema legato allo smalti-mento dei fanghi derivanti dal lavaggio degli stessi teli, il PolieCo aggiunge un’altra vittoria nel suo personale medagliere di “buone pratiche” per l’implementazione delle attività di recupero e riciclaggio e per il contrasto dei crimini ambientali.Questa volta il destro è stato offerto dalla ricerca di una collaborazione attiva con l’Agenzia delle Dogane, volta alla minimizzazione e alla prevenzione delle irregolarità nei traffici internazionali di rifiuti.In questo senso, i due enti succitati hanno siglato, in data 14 giugno un Protocollo di intesa, il quale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 234 del D. Lgs, n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale) e successive modifiche ed in-tegrazioni, consente ora al PolieCo di essere ancora più incisivo nell’adempimento dei fini istituzionali allo stes-so assegnati, così come da approvazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato.

Orbene, rientrante nei fini istituzionali del Consorzio, c’è il coordinamento e il controllo dei flussi di materiale (PE) presente sul territorio nazionale, sia per quanto concerne la materia prima che i prodotti costituiti dal polimero, per tutto il suo ciclo di vita, nonché nei pas-saggi compresi dall’importazione allo smaltimento, ed è noto come, nel perseguire fini di pubblico interesse il PolieCo sia dotato di poteri autoritativi che lo inseriscono pienamente – per quanto concerne le politiche ambientali nazionali – nell’amministrazione dello Stato.Infatti, il Consorzio stesso, (come già stabilito nell’ex art. 234, comma 8 del D. Lgs. n. 152 e successive modi-fiche ed integrazioni), deve promuovere la gestione del flusso dei beni e degli imballaggi e dei rifiuti a base di polietilene e, per realizzare tale assunto (così come ben definito dal comma 14 dello stesso articolo) ha anche una competenza specifica circa le spedizioni di rifiuti nell’UE e in Paesi extra UE.La prima affermazione mira al rispetto delle regole di mercato per i rifiuti a base di polietilene in “uscita”, affinché, ovviamente, non vi sia alcun danno di con-correnza sleale per le imprese che operano nell’ambito

PolieCo e Agenzia delle Dogane firmano un Protocollo di Intesa

Traffico internazionale di rifiuti

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PolieCoMagazine

del commercio; la seconda affermazione mira, invece, al rispetto delle regole di mercato per i rifiuti in “entrata” (affinché non vi siano dinamiche di evasione del con-tributo dovuto al Consorzio).Obiettivo del Protocollo di Intesa siglato con l’Agenzia delle Dogane è quello di sviluppare una positiva coope-razione al fine di contrastare i traffici internazionali illeciti di rifiuti, che costituiscono oggettivamente un pericolo grave per la salute e la sicurezza dei cittadini italiani ed europei, ma anche una violazione palese delle normative a tutela dell’ambiente e dell’attività lecita di impresa. Il documento sottolinea la comune volontà di approntare iniziative congiunte per la predisposizione di standard esecutivi rispondenti alle norme nazionali ed interna-zionali poste a tutela dell’ambente, in considerazione di quanto, negli ultimi anni, il mercato globale abbia favorito, in taluni casi, l’insorgenza di dinamiche illecite legate all’esportazione di rifiuti per avviare gli stessi a processi di riciclo su cui è difficile compiere controlli (anche a discapito delle aziende locali certificate ed autorizzate a procedere che vedono così sottrarsi del materiale prezioso per lo svolgimento dell’attività).L’accordo, siglato dal Dott. Giuseppe Peleggi, Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dal Presidente del Consorzio PolieCo, Enrico Bobbio, prevede una serie di azioni che si possono così sintetizzare:Assistenza tecnica specialistica da parte di PolieCo alle strutture centrali e periferiche dell’Agenzia, nell’ambito delle attività di prevenzione e repressione degli illeciti nel settore di competenza delle Dogane, anche mediante relazioni peritali e analisi di laboratorio;Organizzazione congiunta di attività formativa in materia di gestione dei rifiuti a favore del personale dell’Agenzia delle Dogane;Scambi informativi e attività di monitoraggio sui flussi del commercio internazionale relativi allo specifico settore merceologico, al fine di verificare il rispetto della vigente normativa nazionale e comunitaria sui rifiuti;Redazione di dispense, comunicazioni, pubblicazioni, modulistica, criteri di auditing e strumenti tali da con-sentire agli operatori del settore, ai consorziati PolieCo, oltre che a terzi interessati, di essere aggiornati sulle prassi e sulle procedure tecniche documentali.

Il traguardo dell’accordo è l’ultimo frutto di una proficua collaborazione fra i due Enti, partita già da alcuni mesi e riconosciuta a livello nazionale; prova ne sia l’ampia cita-zione contenuta nel volume: “Ecomafia 2010 – Le storie e i numeri della criminalità ambientale”(Edizioni Ambiente), a cura dell’Osservatorio Ambiente e Legalità – di Legambiente, che si fregia della prestigiosa prefazione di Roberto Saviano e dell’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso.Ebbene, alle pagine 378-379, si legge: “… A livello ope-

rativo, inoltre, è stato predisposto un Accordo con il Consorzio PolieCo (Consorzio nazionale per il riciclag-gio di rifiuti di beni a base di polietilene) i cui tecnici, in molteplici occasioni, sono stati impegnati al fianco dei funzionari doganali, fornendo supporto tecnico in attività di controllo e analisi delle merci trasportate”.“Nell’ambito dello stesso accordo di collaborazione e con il prezioso contributo della Fondazione Santa Chiara, di professori universitari, e di magistrati, è stato realizzato un corso di formazione per i responsabili degli Uffici di Controllo e dei Servizi Antifrode degli uffici Doganali finora interessati dai maggiori flussi a rischio specifico, che sarà esteso a livello nazionale nei prossimi anni. Tale collaborazione ha già consentito di sviluppare migliori competenze tecniche da parte dei funzionari impegnati nei controlli. Le quantità sequestrate di rifiuti di mate-riali plastici “mascherati” da materie prime secondarie rappresentano bene la misura del valore dell’impegno sinergico profuso”.

A questo punto, per meglio approfondire l’argomento e sentire dalla viva voce dei protagonisti, le ragioni e gli obiettivi congiunti che hanno portato alla realizzazione di questo Protocollo di Intesa, abbiamo intervistato il Dott. Giuseppe Peleggi, Direttore dell’Agenzia delle Dogane e il Direttore del Consorzio PolieCo, Dott.ssa Claudia Salvestrini.

Dott. Peleggi, può rac-contarci com’è nata la collaborazione con il Consorzio PolieCo?Come lei sa, ne-gli ultimi anni è cresciuta la consa-pevolezza circa le gravi ripercussioni che il traffico illecito di rifiuti comporta sia sotto il profilo econo-mico che sotto quello ambientale.A tale risultato hanno

contribuito, insieme alla Agenzia delle Dogane, una mol-teplicità di soggetti, istituzionali e non, che con la loro attività si sono messi in luce nel denunciare e combattere questo fenomeno.Tra questi il Consorzio PolieCo si è certamente distin-to nel suo specifico ambito istituzionale per l’impegno profuso ed i risultati prodotti.È stato quindi naturale, che entrambe le Istituzioni, si siano cercate e trovate sul comune terreno del contrasto a queste tipologie di reato, nell’ambito di specifiche inchieste.

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n. 11 - Luglio 2010Informazione e aggiornamento

Quali sono gli aspetti di novità rappresentati dal Protocollo d’Intesa con PolieCo?Certamente questa intesa formalizza novità importanti nel rapporto di collaborazione avviato da tempo con il Consorzio PolieCo.Tra queste desidero sottolineare le iniziative realizzate in ambito formativo e indirizzate al personale dell’Agenzia, ma anche quelle realizzate a beneficio di operatori del settore e delle stesse Aziende del Consorzio. Inoltre, la scelta di avviare un sistematico scambio di informazioni sui flussi del commercio internazionale con-sentirà di monitorare in maniera più efficace il rispetto delle normative Nazionali e Comunitarie e di accrescere le nostre conoscenze circa le caratteristiche di questo particolare mercato rappresentato dalla gestione dei ri-fiuti.

Quali risultati si aspetta l’Agenzia delle Dogane dall’applicazione di questo accordo?Certamente questa collaborazione ha già consentito di sviluppare migliori competenze tecniche da parte dei funzionari impegnati nelle attività di controllo, come dimostrano le crescenti quantità di rifiuti mascherati da materie prime sequestrati negli ultimi due anni.Riteniamo quindi che le sinergie avviate possano pro-durre risultati ancora migliori per il futuro.Infine ci auguriamo che una sempre più efficace azione repressiva, unita ad una costante iniziativa di informa-zione, formazione e sensibilizzazione di tutti i soggetti interessati possa accrescere i livelli di legalità in questo settore.

Dott.ssa Salvestrini, può raccontarci com’è nata la col-laborazione con l’Agenzia delle Do-gane? Sono ormai oltre 10 anni che, fra le tante piste di lavoro se-guite per promuove una efficace cultura del riciclo, PolieCo si occupa e preoccu-pa delle dinamiche illegali connesse

all’esportazione di rifiuti dall’Italia verso Paesi terzi.Dopo aver osservato, con preoccupazione, la crescita del trend delle esportazioni incontrollate e illegali, abbiamo voluto promuovere iniziative mirate alla risoluzione del problema e, pertanto, abbiamo iniziato a coinvolgere tutti gli Organi di controllo ivi comprese le Dogane e

i loro Funzionari che, ovviamente rivestono un ruolo importantissimo e posso affermare, hanno maturato una competenza eccezionale.

Quali sono gli aspetti di novità rappresentati dal Protocollo di Intesa con detta Agenzia e quali risul-tati si aspetta PolieCo dall’applicazione di questo Protocollo? Innanzi tutto si consideri che il Protocollo d’Intesa siglato darà nuovo e più efficace impulso alle operazioni di controllo dei rifiuti in uscita dal Paese e mi auguro che questo Protocollo riesca vieppiù a sensibilizzare le Azien-de su sistemi e metodi da adottare per le esportazioni. Il fine degli enti firmatari è anche educativo, vorremmo cioè mettere in evidenza che esportando in modo incon-trollato non si aiuta il sistema industriale italiano, ma al contrario, si contribuisce alla chiusura delle Aziende di riciclo italiane; si mettono in difficoltà tutti i Produttori di beni o manufatti realizzati in materiale riciclato, il quali si vedono sempre più obbligati a reperire la materia prima rigenerata all’estero.E chi assicura poi gli acquirenti circa la bontà e la re-golarità dei cicli produttivi in Paesi ove i controlli non sono efficaci come da noi?Poi c’è il discorso economico e occupazionale che entra a ben diritto nella questione: incrementare le dinamiche di esportazione illecita di rifiuti significa compromettere irrimediabilmente quelle imprese che del riciclo hanno fatto il loro core businnes.Questo si aspetta PolieCo dall’applicazione del Protocol-lo: intensificazione dei controlli; risoluzione del problema delle esportazioni illegali; privilegiare rapporti commer-ciali seri e legali, far sì che operatori senza scrupoli cessino di avere vita facile.

Quale sarà il ruolo di PolieCo all’interno del Pro-tocollo di Intesa?Offriremo tutta la nostra assistenza tecnico-legale (ov-viamente per ciò rientra nei rifiuti plastici di nostra competenza) e assisteremo, qualora ce lo chiedano le Dogane, i loro Funzionari in ogni fase di verifica. Credo che i risultati e i benefici di questo Protocollo saranno evidenti nel breve e nel lungo periodo, tanto per quelle aziende che lavorano nel rispetto delle leggi, quanto per l’intero sistema ambientale.

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Approfondimento

di Stefano Agostinelli

BIOPLASTICHE VS RICICLATO:UNO SCONTRO INESISTENTEIntervista a Christian Messori, responsabile commerciale di Mecoplast

Mercato del riciclo

Capita troppo spesso che in un mondo caratterizzato dalla sovrabbondanza di informazione, sia proprio l’informazione stessa a soffrire e perdere di valore.Quando si trattano argomenti spinosi come quelli ambientali, poi, è fin troppo facile chiudersi in trincee ideologiche o abbandonarsi alla tentazione manichea della contrapposi-zione fra gli opposti.Nel comparto del riciclo, e del riciclo di materie plastiche, in particolare, la scacchiera del mercato vede giocare da tempo una accesa partita fra due schieramenti: i sostenitori delle bioplastiche contro quelli del riciclato.La posta in gioco non è di quelle da scherzarci su: 350.000 tonnellate rappresentate dal fabbisogno annuale italiano di shoppers; un segmento che fa gola, tanto più in considerazione del traguardo 2011, allorquando, in teoria, scatterà il divieto di commercializzazione di buste in plastica tradizionali.Ma è proprio vero che questo scontro è necessario?È possibile una convivenza fra le due tipologie di polimeri?Quali sono, in realtà, i pro e i contro della bioplastica?Per saperne di più, abbiamo intervistato Christian Messori, responsabile commerciale di Mecoplast, azienda lombarda che vanta oltre 30 anni di esperienza nel settore della rigene-razione di materie plastiche e della conseguente produzione di sacchi, sacchetti e shoppers.

Dott. Messori, come considera la prossima introduzione obbligatoria di manufatti in biopolimeri e come ritiene reagirà il mercato del riciclo?Chiariamo subito un primo punto ed un primo malinteso: le bioplastiche sono sul mercato già da diversi anni e, da questo punto di vista non costituiscono certo una grande novità. Esse vengono già utilizzate per esempio negli shoppers o nei sacchetti per la raccolta dei rifiuti, per contenere ciò che andrà a compostaggio (raccolta dell’umido e dell’organico in generale). Alla luce di questo, da operatore prima ancora che da ricicla-tore, penso che nel mercato ci sia posto tanto per i manufatti in plastica tradizionali, quanto per quelli in bioplastica, dal

momento che entrambi rispondono al meglio alle proble-matiche per le quali sono utilizzati.Tuttavia, voler introdurre attraverso un meccanismo di legge, un modo per incrementare l’utilizzo delle bioplastiche a discapito di quelle tradizionali, si trascina dietro una certa quantità di problemi.

Può essere più chiaro su questo punto?Innanzi tutto, quantitativi anche minimi di biodegradabile, qualora fossero inseriti nei cicli industriali della plastica tradi-zionale da rigenerare, causerebbero notevoli danni a livello di produzione. Faccio un esempio recente: proprio ieri è entrato circa mezzo quintale di biodegradabile nel nostro ciclo e abbiamo dovuto smaltire parecchio materiale che, diversamente sarebbe stato riciclato senza problemi.Poi, se consideriamo che il mercato italiano degli shoppers muo-ve circa 350.000 tonnellate all’anno, occorrerebbe un ugual quantitativo di bioplastica per rispondere alle esigenze attuali.Tuttavia, il colosso del settore, Novamont, a quel che mi risulta, produce solo 60.000 tonnellate all’anno. Vi sono, certamente, altri produttori europei ma, stando alle infor-mazioni provenienti dal mercato, le tonnellate che questi potrebbero mettere a disposizione per il mercato italiano sarebbero circa 40-50.000.

Dove si andrebbero a prendere le altre 240.000 ton-nellate?Probabilmente si potrebbe passare allo shoppers in carta, ma a quel punto il bilancio ambientale dell’operazione potrebbe non essere proprio positivo, sia per gli ingenti quantitativi, sia perché anche la carta dispersa in ambiente rilascia un certo numero di sostanza chimiche dannose; inoltre si andreb-bero a creare distorsioni sul mercato dovute al prevedibile innalzamento dei prezzi per la domanda.A quel punto, una risposta potrebbe essere quella di importare massicce quantità di biopolimero magari dalla Cina, ma anche in questo caso nel bilancio ambientale vanno conteggiati i co-sti del trasporto e dei conseguenti consumi di carburante…Un altro scenario possibile sarebbe quello di un massic-cio utilizzo di prodotti oxodegradabili, i quali, presentano ugualmente qualche problematica legata allo smaltimento, e allo stato dell’arte non sembrano rispondere alle normative comunitarie in materia di biodegradabilità.

Quindi la bioplastica non appare proprio come la so-luzione definitiva, o sbaglio?Guardi, quella dei biopolimeri è una realtà ben diversa da quanto generalmente comunicato: ad esempio a me risulta che il biopolimero, amido a parte, sia costituito al 50% da poliestere vergine derivante dal petrolio. Quindi non tutto deriva da fonte rinnovabile, ma solo per metà. Poi è vero che il polimero de-grada, ma viene prodotto utilizzando petrolio in partenza.Tra l’altro bisogna considerare che su questo tipo di polie-stere grava il brevetto esclusivo di una multinazionale che può giocare con il prezzo a suo piacimento, motivo per cui,

Christian Messori, responsabile commerciale di Mecoplast

www.polieco.it

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n. 11 - Luglio 2010

a tutt’oggi, il prezzo dei biopolimeri è 4-5 volte superiore ai polimeri sintetici “tradizionali”.Poi c’è l’aspetto più interessante dal punto di vista ambienta-le: sempre secondo quanto risulta agli operatori del mercato per ottenere i 500 g di amido necessari alla fabbricazione di 1Kg di biopolimero, occorrono fino a 4 Kg di prodotto agricolo, come nel caso del mais.Il problema è che questo tipo di coltivazione risulta particolar-mente idrovora, quindi nel costo “ambientale” del biopolimero vanno conteggiati gli impatti notevoli del consumo di acqua.Un ulteriore problema da tenere in considerazione è quello dell’importazione di prodotti agricoli a basso costo da Paesi molto lontani per approvvigionare i produttori occidentali.Infine, l’aspetto più tecnologico della questione: a parità di con-dizioni, il ciclo produttivo del biopolimero è più lento rispetto ai polimeri sintetici, anche in questo caso si verifica un grave impat-to ambientale dovuto al maggior consumo di energia elettrica.Insomma, dal mio punto di vista, sarebbe meglio che i consumatori avessero una più precisa informazione sui pro e i contro della plastica biodegradabile, alla luce di tutte le problematiche che, al momento, sussistono e che una volta diffuse e valutate potrebbero mettere in discussione l’opportunità di un utilizzo diffuso di biopolimero.

C’è poi l’aspetto del riciclo, cosa succederebbe nel com-parto del riciclo delle materie plastiche?È chiaro che il comparto ne risentirebbe fortemente, anche in considerazione del fatto che, attualmente, tutta la produ-zione di film e manufatti in film di polietilene, si basa sul riciclo di prodotti e rifiuti.350.000 tonnellate non prodotte sarebbero sottratte al riciclo e comunque, in un Paese come il nostro, dove i cosiddetti Acquisti Verdi non sono mai decollati del tutto, sarebbe difficile trovare un’altra nicchia di mercato per una così ingente quantità di prodotti riciclati.Ma quello che mi fa arrabbiare di più è il fatto che normal-mente sui biopolimeri venga propugnata una tesi sballata. Nonostante la vulgata, questi ultimi non sono in grado di “chiudere il ciclo della produzione”, perché, con la scusa della loro biodegradabilità, a fine vita, vengono semplice-mente buttati via.La tecnologia dei biopolimeri sfrutta diverse risorse naturali per produrre manufatti che sono destinati a diventare rifiuto come nella più trita concezione di sviluppo insostenibile.Viceversa, alcune tipologie di materiali plastici, come il polie-tene, teoricamente possono essere riciclati all’infinito, purchè venga adeguatamente raccolto una volta divenuto “rifiuto”.A questo punto si può ben comprendere come la questione di fondo sia sostanzialmente una: è il comportamento del consumatore che, adeguatamente informato, fa la differenza fra la sostenibilità di un prodotto o di un altro.

Quindi, visti sotto questi aspetti i biopolimeri non sarebbero proprio la risposta adeguata all’approccio anti-consumismo…

Infatti, rappresentano esattamente il pensiero opposto: il pen-siero consumista prevede che il consumatore non si preoccupi delle responsabilità connesse ai suoi consumi; nel caso speci-fico il bene esausto diventa non più utilizzabile e come tale va abbandonato. Viceversa è con il riciclo che nasce una nuova consapevolezza del ruolo ambientale del consumatore che è chiamato a fare la propria parte per rendere di nuovo una risorsa ciò che altrimenti sarebbe rifiuto.

È corretto dire che abbandonando le pratiche di ri-ciclo, nel lungo periodo si favoriranno dinamiche di dipendenza dalle materie prime-seconde di produzione extra-europea e si perderanno decenni di know-how acquisito, e per primi, in Italia?Guardi, il riciclaggio, in Europa è partito dall’Italia come ri-sposta adeguata alla sua carenza congenita di materie prime, a partire dagli anni 50’.Tuttavia da questo riconosciuto primato si sta passando, nel tempo, ad una diffusa dinamica di delocalizzazione dei cicli in Paesi emergenti come la Cina.Ebbene, proprio la Cina, da tempo, sta importando rifiuti da riciclare (che poi non ricicla del tutto perché non ha le tecnologie adatte) ed esporta, in Europa, materiale biode-gradabile.La logica è quella di costituire in loco le “miniere di domani”, mentre l’Europa si illude, così, di utilizzare prodotti “bio” che spariscano naturalmente dopo il loro utilizzo.Intanto continuiamo a smaltirli sul nostro suolo e allo stesso tempo siamo sempre più schiavi non già di sola materia prima vergine, ma anche di materia prima seconda di pro-venienza extra-Cee

Lo scontro è aperto, allora: biopolimeri contro plasti-che riciclate.È possibile, a suo avviso, una convivenza pacifica fra le diverse tipologie di prodotti?Chiarisco subito che da parte del comparto dei riciclatori non ci sono posizioni manichee tipo: buoni contro cattivi; ogni prodotto deve avere la possibilità di sfruttare al massimo le proprie caratteristiche intrinseche. Si usino pure le bioplastiche per quei processi che hanno nel compostaggio il loro traguardo, ma attenzione a che d’ora in poi non si dica tali polimeri possano essere utilizzati per tutti gli scopi, perché non è vero.Se è il Legislatore che deve intervenire, intervenga con giudizio cercando di ottimizzare tutte le risorse che la tecnologia offre.Non si tratta di fare crociate, semplicemente diffondere cor-rette informazioni, perché, infine, le problematiche ambientali riguardano tutti e la ricerca di un equilibrio fra sviluppo e sostenibilità ambientale, è responsabilità che deve essere condivisa tra consumatori-produttori-legislatore.

16N° LUGLIO 2010

Manifestazioni e ConvegniProblematiche e prospettive dellaraccolta differenziata a RD-DAYA Pescara, una giornata di confrontosui temi della raccolta differenziata e del riciclodi Alberto Piastrellini p. 5

Aree protetteA cavallo o in mountain bike,un nuovo percorso si snoda tra i calanchiOasi WWF: inaugurata ad Atrila ciclo-ippovia dei calanchiPer la gestione delle Riserve naturali,in arrivo dalla Regione 1,5 milioni di eurodi Silvia Barchiesi p. 7

Gestione rifiutiAl via il progetto sperimentale di comunicazione e promozione del compostaggio domestico“Mondocompost”La Regione Abruzzo spinge sul compostaggioDalla cucina alla compostiera. Regione ed EcoistitutoAbruzzo in prima linea nel promuovere losmaltimento “fai da te” dei rifiuti organici in casa.di Silvia Barchiesi p. 8

Sostenibilità ambientaleLa Regione Abruzzo “buon esempio” alivello europeo nella lotta contro i cambiamenti climaticiPatto dei Sindaci: la Regione Abruzzo si mobilitaOltre 90 Comuni sottoscrivono il “Patto dei Sindaci”,il programma dell’Unione Europea che punta allasostenibilità e all’efficienza della politica energeticadi Silvia Barchiesi p. 10

ACIAM spaAciam S.p.A.: Yes, I “IEM”Isole Ecologiche Mobili al servizio della cittadinanzadi Germano Contestabile p. 12

Ambiente spaInnovazione e progettualità a servizio dell’ambienteObiettivi e priorità del Presidente della Società Pubblica dei Comuni del pescarese per la gestione dei rifiutidi Silvia Barchiesi p. 14

INDICE

In copertina: Cascata delle Tre Cannelle alla Camosciara (AQ) - retrocopertina: Scanno (AQ)

SERVIZI SVOLTI:

• Smaltimento in discarica per RSU

• Cernita e selezione rifiuti

differenziati

• Raccolta rifiuti ingombranti

• Raccolta RAEE

• Raccolta RUP

• Raccolta cartucce e toner

• Raccolta agrochimici

• Servizi di Igiene Urbana

• Noleggio container

• Fornitura cassonetti per RSU

• Fornitura sacchetti e secchielli

per la raccolta differenziata

• Realizzazione Ecopunti

Certificazione del sistema di gestione ambientale CSQ-ECO in conformità alle norme

ISO 14001:2004

.

IMPIANTI IN DOTAZIONE

• Piattaforma di tipo “A” per la valorizzazione dei rifiuti secchi provenienti dalla raccolta differenziata

• 4 Centri di Trasferimento RSU indifferenziati e 1 Stazione Ecologica

• Discarica per rifiuti non pericolosi

• Centrale termo-elettrica alimentata da gas di discarica

Sede amministrativa: Via Arco della Posta n.1 Sede operativa: Via S.P. Pedemontana Loc. Cerratina Tel. 0872/716332 email: [email protected] 66034 - Lanciano (Ch) - Fax. 0872/715087 sito web: www.ccsrl.eu C.F. e P.Iva 01537100693

UN VALIDO E QUALIFICATO PUNTO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE PER 53 COMUNI SOCI RICOMPRESI NEL

TERRITORIO FRENTANO, SANGRO-AVENTINO, ORTONESE-MARRUCINO E PER L'INTERA

REGIONE ABRUZZO

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di Alberto Piastrellini

PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE DELLARACCOLTA DIFFERENZIATA A RD-DAYA Pescara, una giornata di confronto sui temi della raccolta differenziata e del riciclo

MANIFESTAZIONI E CONVEGNI

Con la volontà di proseguire nel per-corso attivato da anni per riallineare il sistema di gestione dei rifiuti abruz-zesi a standard nazionali ed europei, fra le iniziative messe in campo dalla Regione Abruzzo - Servizio Gestio-ne Rifiuti, è stato implementato nel tempo un ampio ventaglio di manifestazioni e convegni che han-no permesso la diffusione di buon pratiche realizzate a livello locale, la comunicazione e l’informazione puntuale di strumenti ed obiettivi da raggiungere, la condivisione di problematiche e soluzioni fra utenti, operatori ed Amministratori.L’ultima in ordine di tempo, prima della chiusura in Redazione di questo numero di Ambiente Abruzzo News, è stata RD-Day; Giornata di confronto sui temi della Raccolta Differenzia-ta e del Riciclo, che ha avuto luogo a Pescara, il 25 giugno, presso l’ex Aurum.L’iniziativa è stata proposta con l’obiet-tivo di verificare le azioni sviluppate dalla Regione Abruzzo verso una più capillare diffusione di sistemi domi-ciliari di raccolta differenziata e di riciclo.Durante l’incontro sono state presenta-te alcune esperienze positive a livello regionale e le più virtuose case history fra i sistemi di RD implementati da Comuni e Consorzi.Il Seminario ha inteso affrontare in modo organico le problematiche, le soluzioni possibili ed i successi otte-nuti nell’ambito dell’organizzazione dei sistemi di RD attuati sul territorio abruzzese.Inoltre, l’evento è stato vieppiù occa-sione per presentare agli operatori e alla cittadinanza intervenuta, le mo-dalità di attuazione del progetto di eco-fiscalità più noto come “Eco-card”.Mentore e protagonista della giornata, il Dott. Franco Gerardini, Dirigen-te del Servizio Gestione Rifiuti della

Regione Abruzzo che introducendo i lavori e presentando la relazione introduttiva ha voluto sottolineare come “troppo spesso queste tematiche non sono adeguatemente seguite dal pubblico tanto meno dagli stessi opera-tori”, rimarcando, quindi: “la necessità e l’importanza della condivisione delle problematiche e della partecipazione ai processi democratici di pianifica-zione”.Entrando nel vivo del suon interven-to: “Dalla RD al RICICLO: gli impegni della Regione Abruzzo”, Gerardini ha fatto una panoramica sulla nuova direzione del settore rifiuti alla luce della nuova Direttiva di riferimento, 98/2008.Nel ricordare le finalità della Diret-tiva e la gerarchia delle azioni nei confronti dei rifiuti, prime fra tutte: prevenzione e riciclo, Gerardini ha voluto porre l’accento sui processi di “minimizzazione della produzione dei rifiuti e massimizzazione del recupe-ro, con in più la novità rappresentata dalle pratiche di preparazione per il riciclaggio e la relativa creazione di reti apposite”.“Nella nuova Direttiva che dovrà essere compiutamente recepita nel Testo Uni-co Ambientale, non si nominano più obiettivi di RD - ha detto Gerardini - bensì di obiettivi di riciclo, e questo, accanto ai nuovi scadenziari fissati dall’UE, nella fattispecie:• 2011 - redazione dei Piani di Azione

per la modifica dei sistemi di con-sumo;

• 2014 - definizione degli obiettivi in materia di prevenzione di rifiuti e dissociazione al 2020;

• 2013 - adozione di programmi di prevenzione nazionali e fissazione degli obiettivi così come esemplifi-cati dalla Direttiva;

ci imporrà come Paese un cambio generale di prospettiva e anche la no-stra Regione dovrà adattare la propria Legge regionale di riferimento (L. R. n.

45/2007)”.“In effetti - ha ricordato Gerardini - una sorta di programma di prevenzione e riduzione dei rifiuti era già stato inserito nel PRGR ma non è stato com-pletamente attuato; anche gli obiettivi di riciclo che ci eravamo posti non so-no stati del tutto raggiunti e, allo stato attuale, parte dei flussi monitorati fini-scono di nuovo in discarica”.Nell’avviarsi alla conclusione dei suo intervento, il Dirigente del Servizio Gestione Rifiuti ha ricordato le ingenti somme a disposizione di Enti locali ed operatori a titolo di finanziamento per progetti dedicati, sottolineando “la necessità di fare squadra per attrarre risorse economiche sempre più erogate attraverso sistemi di premialità”.A cura della Dott.ssa Raffaella Evan-gelista, collaboratrice del Servizio Gestione Rifiuti, Ufficio Attività Tec-niche, è stata presentata una relazione sull’attuazione dei progetti per la dif-fusione delle RD domiciliari realizzati attraverso il bando pubblicato con DGR n. 1090 del 12 ottobre 2006.“Grazie ai 3.960.000 Euro messi a di-sposizione dalla Regione - ha affermato la Dott.ssa Evangelista - i sistemi di RD domiciliare “porta a porta” sono decol-lati in pochissimo tempo con obiettivi massimi raggiunti del 65%”.“Ovviamente - ha precisato - non ne-ghiamo che ci siano state difficoltà locali legate alla morfologia del terri-torio, all’importanza degli investimenti iniziali da parte delle amministrazioni locali piuttosto che alla disomogeneità delle utenze. Tuttavia, i risultati posi-tivi ci spingono ad implementare tali percorsi e con la prossima entrata in campo dei finanziamenti rappresen-tati dai Fondi FAS, contiamo su una disponibilità ulteriore di 10.000.000 di Euro per ulteriori progetti”.Massimo Fraticelli, collaboratore SGR - Osservatorio Regionale Rifiuti, ha relazionato sulle strutture a ser-vizio della RD, focalizzando il suo

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intervento sul sistema delle Stazioni Ecologiche e dei Centri di Raccolta per concludere, quindi, sul sistema di premialità rappresentato dal Progetto “Ecocard” e sulla sua sperimentazio-ne, in 4 porzioni della regione.Il Dott. Fraticelli ha iniziato il suo intervento ricordando i vantaggi rap-presentati dalla presenza sul territorio di una Stazione Ecologica o Centro di Raccolta (così come regolati dal D. M. 8 aprile 2008 e s.m.i.), tali da incidere positivamente sui sistemi di RD attivati:• integrazione e miglioramento dei

sistemi di RD;• consolidamento degli obiettivi di RD;• opportunità di attivazione di sistemi

di incentivazione economica;• interconnessione fra gestore ed

utenze;• implementazione delle attività di

sensibilizzazione, comunicazione e formazione delle utenze.

Purtroppo non ha potuto fare a meno di rimarcare come: “la rete abruzze-se in questo senso è un po’ carente e molte strutture non sono ancora in esercizio a causa di ritardi nella rea-lizzazione, conflitti con le popolazioni locali, scarsa comunicazione da parte di enti e gestori”.“Tuttavia - ha dichiarato Fraticelli - c’è una potenzialità notevole e se dovesse-ro essere rispettate le scadenze che ci siamo posti, abbiamo la possibilità di vederne attivate parecchie entro l’an-no in corso”.In questo senso, uno strumento per l’incentivazione alla realizzazione del-le stesse è rappresentato dal Progetto “Ecocard”, sorta di eco-fiscalità previ-sta dalla DGR n. 318 del 29/06/2009 che all’art. 8 afferma:“Hanno diritto ad un rimborso eco-nomico e/o agevolazione tariffaria le utenze domestiche iscritte al ruolo ed in regola con il pagamento della TARSU/TIA nei Comuni serviti (…) che conferiscono le tipologie di materiali

di cui all’art. 4 presso la Stazione Eco-logica o Centro di Raccolta.Il rimborso viene determinato ed ero-gato annualmente dal Comune sulla base del raggiungimento di un pun-teggio rilevato attraverso un sistema di lettura della tessera magnetica “Eco-card”.L’Ecocard consente di registrare imme-diatamente i quantitativi conferiti ed assegnare il relativo punteggio calco-lato secondale modalità di cui all’art. 9 al fine di individuare le premialità al cittadino virtuoso.Il punteggio di cui al comma 3 è stabilito sulla base dell’importanza economica del materiale, legata al-le sue effettive possibilità di recupero e sulle esigenze ecologiche volte ad evitare la dispersione di rifiuti parti-colarmente inquinanti”.Il sistema, ha ricordato il Dott. Frati-celli, sarà sperimentato in 4 siti delle Province abruzzesi e i risultati della sperimentazione vedranno la luce a luglio 2011.Successivamente, a cura del Dott. Diego Puglié Direttore Divisione Ri-cerca Gruppo CSA Spa, Rimini è stata presentato un progetto (realizzato con la collaborazione del CONAI), per il monitoraggio dei flussi di rifiuti in di-scarica, che consentirà di determinare oggettivamente e scientificamente la qualità dell’avvio a riciclo effettivo degli imballaggi dei rifiuti prodotti in Abruzzo.Prima di avviarsi verso la sua con-clusione, il Seminario promosso dal Servizio Gestione Rifiuti della Regio-ne Abruzzo, ha ospitato l’intervento dell’Assessore all’Ambiente della Pro-vincia di Pescara, Isabella Del Trecco che ha salutato positivamente le inizia-tive messe in campo per implementare la RD a livello comunale, conferman-do i positivi risultati ottenuti anche nel capoluogo provinciale e rilanciando altresì sulla volontà dell’amministra-zione locale di puntare all’apertura

di un’area destinata al compostaggio in collaborazione con i Comuni limi-trofi.Tuttavia, l’Assessore Del Trecco, ha sollevato il problema dei costi di smal-timento della frazione indifferenziata, costi a fronte dei quali: “La Regione dovrebbe attivarsi per esplorare strade alternative, tra cui anche la termova-lorizzazione”.A conclusione della mattinata, il Dott. Marco Famoso, Responsabile Ufficio Attività Amministrative SGR ha co-ordinato una Tavola Rotonda fra i protagonisti di alcune positive espe-rienze locali:• Segen Spa (Consorzio di gestione

rifiuti) che ha saputo ben utilizza-re il finanziamento regionale della DGR n. 1090;

• Comune di Ortona che ha rag-giunto in poco tempo un’elevata percentuale di RD (70%) partendo da una situazione non proprio lu-singhiera;

• Comune di Teramo che unico in Abruzzo, garantisce il “porta a por-ta” su oltre 60.000 utenze;

• Comune di Alba Adriatica Comu-ne a forte vocazione turistica che ha implementato il “porta a porta” con azioni di forte coinvolgimento dei cittadini;

• Comune di Raiano nel quale insiste una Stazione Ecologica (presto ogget-to della sperimentazione “Ecocard”) con ottimi risultati in termini di con-ferimento da parte delle utenze.

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di Silvia Barchiesi

AREE PROTETTE

È un nuovo itinerario all’insegna dell’avvenutura quello si snoda all’interno della Riserva Naturale dei Calanchi ad Atri grazie alla nuovissima ciclo-ippovia inaugurata lo scorso 22 maggio all’interno dell’Oasi WWF.A cavallo o in mountain bike, lungo la nuova ciclo-ippovia, il fascino misterioso delle cosiddette “bolge dantesche” si fa ancora più suggestivo, oltre che divertente.Grazie al nuovissimo percorso, che si estende per 28,8 km e si snoda tra le maestose architetture naturali dei calanchi, fra viste mozzafiato e paesaggi suggestivi, il gusto dell’avventura rende ancora più spettacolare l’esperienza naturalistica.Grazie alla ciclo-ippovia nuovi scorci e panorami si aprono sulla riserva, che si estende su un’area di 380 ettari e pre-senta un paesaggio collinare che va da 100 a 550 metri di quota, dal fondovalle del torrente Piomba al Colle di Giustizia.Ambienti diversi si alternano lungo il percorso che, a cavallo o in bicicletta, conduce alla scoperta della Riserva, la quale vanta oltre 350 specie vegetali e 250 specie ani-mali, tra piccoli e grandi mammiferi, insetti, uccelli, rettili e anfibi.Oltre che osservare le bellezze naturalistiche della Riserva, lungo la nuova ciclo-ippovia, grazie a pannelli didattici che ne illustrano la flora e la fauna, è anche possibile imparare a conoscerla in autonomia in og-ni suo aspetto: dall’archeologia, alla fauna, alla flora, all’enogastronomia. Nel giorno del taglio del nastro è stata, inoltre, esposta an-che la collettiva fotografica “Uomini in Oasi”, curata dagli studenti dell’Istituto d’Arte “Vincenzo Bellisario” di Pescara che, attraverso gli scatti in bianco e nero degli uomini e delle donne che operano presso le aziende agricole attive all’interno dell’Oasi, racconta la vita e il lavoro nell’Oasi. “L’iniziativa di affidare una mostra fotografica ai giovani studenti dell’Istituto d’Arte di Pescara – ha commentato Domenico Felicione, Vicesindaco del Comune di Atri e Assessore all’Urbanistica e Gestione del Territorio, Parchi, Giardini e Riserve Naturali - è un modo originale ed emozi-onante di raccontare le nostre tipicità gastronomiche e contribuisce a creare un dialogo di grande valore fra generazioni”.Non poteva infine mancare all’inaugurazione anche una rappresentanza della FISE, la Federazione Italiana Sport Equestri, con una selezione di cavalli; mentre un gruppo di bikers ha testato i 28,8 km di percorso interessati dagli interventi di riqualificazione. Realizzata grazie al sostegno di un’azienda vitivinicola lombarda, la nuova pista è nata nell’ambito del progetto “Abruzzo Terra di Natura”, promosso in partnership con

WWF Italia, in occasione dell’Anno Internazionale della Biodiversità, per promuovere la corretta gestione e la tu-tela delle risorse naturali per lo sviluppo sostenibile del territorio, con il patrocinio di Regione Abruzzo, Provincia di Teramo e Comune di Atri.A dare il benvenuto all’inaugurazione è stato infatti lo stesso Francesco Marconi, Assessore all’Ambiente del-la Provincia di Teramo, che ha dichiarato: “Progetti di questo tipo sono un esempio concreto di come le aziende si stanno sensibilizzando sempre più a tematiche legate all’ambiente. Azioni che tutelano le nostre risorse naturali e che hanno ricadute positive anche a livello turistico, perché contribuiscono a fare conoscere il nostro territorio a livello nazionale”.“La realizzazione della ciclo-ippovia - ha proseguito Do-menico Felicione, Vicesindaco del Comune di Atri e Assessore all’Urbanistica e Gestione del Territorio, Parchi, Giardini e Riserve Naturali - contribuisce sicuramente a creare nuovi e suggestivi “contenitori” per attività turistico-ricettiva in una zona del territorio regionale che vanta un centro ricco di storia e lo spettacolare paesaggio offerto dai calanchi.”All’indomani dell’inaugurazione della nuova ciclo-ippovia, per la Riserva dei Calachi e per tutte le altre Riserve della Regione arrivano anche nuovi fondi.Su proposta del Presidente della Regione, Gianni Chiodi, la Giunta regionale ha, infatti, recentemente approvato la delibera che stanzia un contributo di un milione e 500 mila euro a favore dei Comuni per la gestione ordinaria delle Riserve naturali. Oltre al Comune di Atri per la Riserva dei Calanchi, a beneficiare dei fondi, che verranno ripartiti per la ges-tione delle Riserve naturali regionali, saranno: Penne per la Riserva Lago di Penne; Altino, Casoli, Sant’Eusanio del Sangro per la Riserva di Lago di Serranella; Penna Sant’Andrea per la Riserva di Castel Cerreto; Popoli per la Riserva Sorgenti del Pescara; Pettorano sul Gizio per la Riserva Monte Genzana e Alto Gizio; Morino per la Riserva di Zompo lo Schioppo; Raiano per la Riserva Gole di San Venanzio; Rosello per la Riserva di Abetina di Rosello; Anversa degli Abruzzi per la Riserva Gole del Sagittario; Borrello per la Riserva Cascate del Rio Verde; Pescara per la Riserva Pineta Dannunziana; Vasto per Punta Aderci; Torino di Sangro per la Riserva Leccetta di Torino di San-gro; Pollutri per Riserva Bosco di Don Venanzio; Carsoli per la Riserva di Grotte di Pietrasecca; Avezzano per la Riserva Monte Salviano. Le risorse stanziate, inserite nel bilancio 2010, consenti-ranno così una “boccata di ossigeno” anche alle Riserve dell’Abruzzo!

A cavallo o in mountain bike, un nuovo percorso si snoda tra i calanchi

Per la gestione delle Riserve naturali, in arrivo dalla Regione 1,5 milioni di euro

OASI WWF: INAUGURATA AD ATRI LA CICLO-IPPOVIA DEI CALANCHI

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GESTIONE RIFIUTI

di Silvia Barchiesi

Occupano più di un terzo delle nostre pattumiere, eppure sono rifiuti bio-degradabili, in grado di decomporsi naturalmente in un arco di tempo più o meno lungo.Avanzi di cibo, scarti di manutenzione di giardini e orti costituiscono la principale componente merceologica dei rifiuti (tra il 30%-40% dei rifiuti urbani ed assimi-lati). In un anno se ne gettano circa 10 milioni di tonnellate, tutta immondizia biodegradabile “sprecata”.Gettare nei cassonetti i rifiuti organici della cucina, dell’orto o del giardino è infatti uno spreco. Si tratta di materiale “prezioso” che invece di pesare sui bi-lanci comunali e sull’ambiente con costi di smaltimento e trasporto, potrebbe es-sere trasformato in “compost” e restituito nei cicli naturali, con notevoli vantaggi per l’ambiente e le casse comunali.Riciclare i rifiuti organici attraverso la decomposizione organica, infatti, non solo consente di ridurre la produzione e lo smaltimento dei rifiuti, ma allo stesso tempo consente di ricavare fertilizzante per i nostri giardini.Sono dunque molteplici i vantaggi del compostaggio domestico:a) dare un contributo significativo alla corretta gestione dei rifiuti, diminuendo le quantità che devono essere smaltite e riducendo i relativi costi; b) ridurre i rischi di inquinamento delle acque di falda e di produzione di gas maleodoranti in discarica, nonché di ridurre l’inquinamento atmosferico se venissero brucianti, se si optasse per l’incenerimento; c) garantire la fertilità del suolo, soprat-tutto con l’apporto di sostanza organica, sempre più ridotta a causa dell’uso mas-siccio di concimi chimici. Al di là del valore “ambientale” e “cul-turale”, la pratica del compostaggio domestico, assume anche un valore “economico”, in quanto la riduzione dei costi di gestione consente delle econo-mie gestionali: grazie al compostaggio il Comune è in grado di risparmiare ol-tre che nel trasporto dei rifiuti, anche nell’acquisto di materiali e sostanze per la concimazione dei terreni.

Di qui l‘impegno da parte della Regione Abruzzo nello “spingere” tale pratica “fai da te” di smaltimento dell’organi-co, attraverso una capillare e incisiva campagna di comunicazione e informa-zione, in linea con la L.R. 45/07 e s.m.i., che prevede al capo IV “Azioni per lo sviluppo del recupero e del riciclo” ed in particolare all’art. 22 “Azioni di pre-venzione e riduzione della produzione di rifiuti”, comma 2, lett. d), “la divul-gazione ed incentivazione della pratica del compostaggio domestico degli scarti alimentari e di giardinaggio”.Produrre “compost” a livello domestico non è complicato, non servono macchi-nari sofisticati o costosi, né competenze specialistiche. Basta un po’ di buona volontà. Ma prima ancora serve infor-mazione. Responsabilizzare la cittadinanza nei confronti delle problematiche con-nesse ai rifiuti e sensibilizzarla ad una loro corretta gestione e, quindi, al compostaggio, diventa un’esigenza im-prorogabile. É in questo contesto, quello dell’infor-mazione e della sensibilizzazione, che si colloca il progetto sperimentale di comunicazione e promozione del com-postaggio, denominato “Mondocompost”, lanciato dalla Regione Abruzzo, attra-verso la collaborazione dell’Osservatorio Regionale Rifiuti (ORR), e dall’Associa-zione Ecoistituto Abruzzo, da sempre impegnata in prima linea nella promo-zione e diffusione delle migliori pratiche in campo ecologico. Dare una forte accelerata al compostag-gio nella Regione Abruzzo è lo scopo del progetto che, attraverso un’adeguata campagna di comunicazione, punta a diffondere in modo capillare il com-postaggio e a rendere routinaria una pratica virtuosa ed economica, ma spes-so ignorata o sottovalutata. Tra gli obiettivi del Protocollo d’Intesa siglato da Regione Abruzzo e dall’Ecoi-stituto Abruzzo rientrano infatti le seguenti attività:a. attuare un progetto sperimentale

denominato “Mondocompost” come progetto sperimentale di comunica-

zione e di sostegno organizzativo dedicato alla promozione del com-postaggio domestico con l’obiettivo di realizzare una comunità di interesse alla pratica dell’attività del compo-staggio sul territorio regionale;

b. attuare un’iniziativa sperimenta-le di “comunicazione ambientale” mediante: il sito web, la produzione di materiale promozionale, l’orga-nizzazione di incontri territoriali e conferenze sul lavoro svolto sul ter-ritorio regionale, finalizzati alla sensibilizzazione dei cittadini alla pratica del compostaggio domestico;

c. promuovere la costituzione di un’auspicabile task force diffusa sul territorio regionale, attraverso l’im-pegno dei cittadini nel settore della gestione integrata dei rifiuti, anche in forme di attività di volontariato, ed in particolare nel conseguimento degli obiettivi di riduzione dei rifiuti e di sviluppo delle raccolte differen-ziate, attraverso l’organizzazione di attività informative sul territorio;

d. incrementare la quantità dei ma-teriali riciclabili avviati ad effettivo recupero;

e. ridurre la quantità di rifiuti da smal-tire in discarica, in coerenza con gli obiettivi di realizzare una gestione integrata dei rifiuti e le finalità del DLgs. 36/03 e s.m.i., recante: “At-tuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”.

A monitorare l’applicazione del Proto-collo d’Intesa e il corretto svolgimento del progetto sarà un vero e proprio “Gruppo di Lavoro”, costituito da: un rappresentante del Servizio Gestione Rifiuti (ORR della Regione Abruz-zo); due rappresentanti di Ecoistituto Abruzzo a cui spetterà il compito di coordinare le attività; eventuali altri soggetti con specifiche competenze a seconda delle contingenti esigenze di natura tecnico-operativo e territoriale.Il compito del “Gruppo di lavoro” sa-rà quello di definire un “Programma operativo” relativo agli interventi da programmare e da realizzare.In particolare, si legge nel Protocollo d’In-

LA REGIONE ABRUZZOSPINGE SUL COMPOSTAGGIODalla cucina alla compostiera. Regione ed Ecoistituto Abruzzo inprima linea nel promuovere lo smaltimento “fai da te” dei rifiuti organici in casa.

Al via il progetto sperimentale di comunicazione e promozione del compostaggio domestico“Mondocompost”

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tesa, gli impegni della Regione Abruzzo si concretizzano nelle seguenti attività:• collaborare, tramite l’Osservatorio Re-

gionale Rifiuti (ORR), all’attuazione del progetto sperimentale denomina-to “Mondocompost” nel settore della gestione integrata dei rifiuti urbani, finalizzato alla riduzione della pro-duzione degli stessi, in particolare tramite attività di compostaggio do-mestico;

• rendersi disponibile attraverso l’Os-servatorio Regionale Rifiuti (ORR), a partecipare ad incontri di sensibiliz-zazione e seminari informativi per i cittadini;

• compartecipare all’attuazione del progetto sperimentale con proprie ri-sorse, valutabili in 15.000 Euro, in particolare per contribuire alla ne-cessaria campagna di informazione fra i cittadini, da corrispondere con le seguenti modalità: - 70% all’invio della comunicazione

di inizio attività; - 30% alla presentazione del rendi-

conto, al servizio competente della Regione, delle spese sostenute per le iniziative realizzate.

• promuovere la diffusione delle espe-rienze realizzate con il progetto “Mondocompost” perché le stesse siano di riferimento per altre realtà;

• partecipare con un rappresentante alla costituzione di “Gruppo di Lavoro”.

Saranno invece di esclusiva competenza dell’Ecoistituto Abruzzo le seguenti attività:• organizzare un’adeguata attività

di informazione e sensibilizzazione sul territorio regionale, interessan-do tutti i Comuni della Regione, i Consorzi Intercomunali sui rifiuti (laddove esistenti) e le Province me-diante un’opportuna campagna di richiesta di partecipazione al progetto attraverso l’organizzazione di quattro incontri in/formativi tra i referenti dei soggetti che avranno aderito al progetto, al fine di promuovere una task- force di esperti in grado di soste-nere sul territorio regionale l’attività del compostaggio domestico;

• garantire una costante attività di in-formazione degli utenti attraverso un sito internet;

• monitoraggio e diffusione delle espe-rienze di compostaggio domestico anche attraverso la cura di un “Elenco dei compostatori domestici d’Abruz-zo”, nelle forme da concordare con i soggetti preposti;

• organizzare un ciclo di quattro con-

ferenze in ambito provinciale sul territorio regionale, oltre a un se-minario finale, da promuovere con manifesti, locandine e pieghevoli, al fine di sintetizzare il lavoro svolto;

• provvedere a redigere un “Rapporto finale” delle diverse attività svolte e dei risultati raggiunti (servizi attiva-ti, territori interessati, unità operative impegnate, attività di comunicazione, ecc…) e provvedere alla sua diffusione, nei modi che riterrà più opportuni;

• partecipare con due rappresentanti al “Gruppo di Lavoro”.

A commentare l’iniziativa è stato lo stes-so Dott. Franco Gerardini, Dirigente del Servizio Gestione Rifiuti della Re-gione Abruzzo: “I problemi ambientali possono essere affrontati e risolti solo con la partecipazione dei cittadini e per incentivare la partecipazione è ne-cessario informare, formare ed educare il cittadino ad un nuovo rapporto con l’ambiente e, in particolare, con i rifiuti. Solo così è possible risolvere i problemi di una loro riduzione e smaltimento”.“È dunque necessario - ha commentato Gerardini - un vero e proprio cambiamen-to culturale per determinare un’urgente inversione di tendenza. Di qui l’impor-tanza di un cittadino più informato, formato ed educato a buone pratiche ambientali per cogliere le opportunità of-ferte da nuove strategie comportamentali. In questa ottica si inquadra l’impegno della Regione, attraverso l’Osservatorio Regionale Rifiuti (ORR), per una capil-lare campagna di comunicazione sul compostaggio domestico.Il compostaggio domestico è la dimo-strazione di come si può dare valore all’adesione ad esperienze concrete di ri-duzione e smaltimento dei propri rifiuti organici, ottenendo benefici ambientali ed anche economici.Infatti, la trasformazione dei rifiuti in compost può fornire una corretta so-luzione sia alla crescente carenza di sostanza organica nei terreni agrico-li, sia al problema dello smaltimento dell’ingente quantità di rifiuti organici prodotti. Si potrebbe riassumere il tutto in un concetto di base molto semplice: rifiuti = risorse = non inquinamento”.Se, infatti, entro il 2011 il 10% delle fa-miglie abruzzesi adottasse la pratica del compostaggio domestico, la produzione regionale dei rifiuti diminuirebbe del 2% (a fronte di un obiettivo del 5% come previsto dalla Legge regionale n. 45 del 2007). A presentare dati e previsioni è stato lo stesso lo stesso Dott. Franco Gerardini,

in occasione del decimo incontro della Conferenza dei dodici, svoltosi lo scorso 11 giugno.“Stiamo lavorando - ha sostenuto Ge-rardini - e crediamo di potercela fare per evitare l’emergenza rifiuti nella nostra Re-gione. Numerose sono le azioni in corso, sia di ordine pianificatorio, che sul fronte delle dotazioni impiantistiche e strumenta-li. La raccolta differenziata sta crescendo e numerose sono i protocolli e gli accor-di di collaborazione attivati con diversi interlocutori soprattutto per prevenire la produzione dei rifiuti”.Tra i progetti lanciati dalla Regione, volti alla riduzione della produzione dei ri-fiuti, figura proprio “Mondo compost”, presentato dettagliatamente nel corso dell’incontro del 18 giugno.Il progetto “Mondo compost” è stato presentato dettagliatamente dal dott. Ga-briele Massimiani del Servizio Gestione Rifiuti - ORR. Il dott. Massimiani ha evidenziato come “dalle ultime analisi merceologiche, svolte in collaborazione con le maggiori disca-riche abruzzesi, appare che più del 38% della composizione merceologica dei rifiu-ti indifferenziati collocati in discarica è rappresentata dall’organico; quest’ultima frazione è la principale responsabile di problematiche gestionali delle discariche (produzione di percolato, generazione di fattori odorigeni, etc..)”.A siglare tale Protocollo d’Intesa che punta a promuovere in via sperimentale il compostaggio domestico sul territorio regionale, con la possibilità di prevedere l’applicazione di una eco-fiscalità nella gestione dei rifiuti urbani alle utenze praticanti il compostaggio domestico, è stato l’Assessore regionale all’Ambiente, Daniela Stati.“Il protocollo - ha spiegato l’Assessore Stati - consta in un sostegno organizzativo alla promozione del compostaggio domestico, con l’obiettivo di realizzare una comu-nità di interesse alla pratica dell’attività del compostaggio sul territorio regionale. Bisogna considerare - ha aggiunto - che le frazioni ad alto tasso di umidità, segna-tamente quella organica, costituiscono la principale componente merceologica dei rifiuti: tra il 30-40% dei rifiuti urbani ed assimilati”. Oltre a ridurre la quantità di rifiuti che devono essere smaltiti, l’iniziativa punta a garantire anche la fertilità del suolo.“Il compostaggio domestico - ha infine concluso l’Assessore Stati - consente anche delle economie gestionali poiché evita al Comune l’acquisto di materiali e sostanze per la concimazione dei terreni”.

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SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

di Silvia Barchiesi

La Regione Abruzzo “buon esempio” a livello europeo nella lotta contro i cambiamenti climatici

Oltre 90 Comuni sottoscrivono il “Patto dei Sindaci”, il programmadell’Unione Europea che punta alla sostenibilità e all’efficienza della politica energetica

PATTO DEI SINDACI:LA REGIONE ABRUZZO SI MOBILITA

Nella lotta ai cambiamenti climatici, l’Europa chiama e l’Abruzzo risponde, anzi, si mobilita, dando così il buon esempio a livello europeo.Erano, infatti, più di 90 i Sindaci provenienti da tre delle quattro Province abruzzesi che lo scorso maggio hanno preso parte a Bruxelles alle cerimonie ufficiali del secondo anniversario del lancio del “Patto dei Sindaci”, iniziativa della Commissione europea sulla sostenibilità ed efficienza della politica energetica europea a livello locale e regionale.Con la sua massiccia mobilitazione e la partecipazione di di-versi livelli di governance ( Comuni delle Province di Chieti, Teramo e Pescara, Amministrazioni provinciali e Regione, in qualità di “strutture di supporto”), la Regione Abruzzo si è confermata uno dei primi casi in Europa di Regione impegnata in modo corale per il rispetto e, persino, per il superamento degli ambiziosi obiettivi fissati dalla politica energetica europea, sintetizzata nel “Patto dei Sindaci”.Lanciato dalla Commissione europea nel 2008 e ad oggi siglato in tutta Europa da 1.680 Comuni, il “Patto” attribuisce

ai Comuni un ruolo strategico nella lotta ai cambiamenti climatici, restituendo dignità al territorio e il giusto ricono-scimento agli Enti locali.L’80% della popolazione vive, infatti, nelle aree urbane e più dell’80% del consumo di energia e delle emissioni di CO

2 è concentrato nelle città e nei paesi.

Di qui l’importanza, secondo la Commissione Europea, dei Comuni, il livello amministrativo più vicino ai cittadini nella lotta ai cambiamenti climatici, tramite l’attuazione di politiche locali intelligenti in materia di energia sostenibile.I firmatari del Patto s’impegnano, infatti, ad andare oltre l’obiettivo della UE, ridurre, cioè, più del 20% le emissioni di CO

2 entro il 2020 attraverso piani d’azione che preve-

dano: pianificazione urbana e territoriale; fonti di energia rinnovabile decentrate; politiche per il trasporto pubblico e privato e mobilità urbana; coinvolgimento dei cittadini e partecipazione della società civile.In questo senso il “Patto dei Sindaci” è la più ambiziosa iniziativa lanciata a livello europeo volta a mobilitare le

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municipalità verso un impegno collettivo e condiviso in materia di sostenibilità ed efficienza energetica. Scopo del “Patto” è quindi il raggiungimento e il supera-mento degli obiettivi della Comunità Europea sull’energia e i cambiamenti climatici, i cosiddetti obiettivi “20-20-20”.Se i Comuni giocano un ruolo chiave nell’attuazione della politica energetica europea fissata dal “Patto”, altrettanto strategico è il ruolo di Regioni e Province, “strutture di sostegno e supporto”, volte a fornire strategie e assistenza finanziaria ai Comuni. In particolare, l’adesione della Regione a supporto delle Province e dei Comuni, per la Commissione europea, come ha spiegato nel corso del suo intervento il Coordinatore della Commissione Europea per il “Patto dei Sindaci”, Pedro Ballesteros, vale come garanzia dell’impegno a raggiungere gli obiettivi prefissati, ovvero come garanzia del rispetto e della corretta gestione del Programma dal punto di vista economico e finanziario.“I fondi a disposizione in Abruzzo – ha precisato il Vice Pre-sidente della Regione, Alfredo Castiglione – ammontano a 35 milioni di euro. Le fonti di finanziamento sono: POR FESR 2007-2013 e Programma PARFAS”. Anche le Province giocano, tuttavia, un ruolo strategico. La Provincia di Teramo e quella di Chieti, le uniche in Euro-pa in cui tutti i Comuni hanno aderito al “Patto dei Sindaci,” ne sono un esempio.“Stiamo investendo in impegno e risorse perchè le Province siano protagoniste di questa stagione nuova”, ha dichiarato Enrico di Giuseppeantonio, Presidente della Provincia di Chieti. La Provincia di Chieti, nel suo progetto di sostenibilità, re-alizzerà, infatti, su un tracciato dismesso delle ferrovie un percorso ciclo pedonale di 46 chilometri. Anche la Provincia di Teramo, che pure vanta l’adesione al Patto di tutti i suoi 47 Comuni, non rimane a guardare. “La Provincia di Teramo, accreditata dall’Europa come strut-tura di supporto ai Comuni – ha commentato l’Assessore all’Ambiente Francesco Marconi – sta svolgendo un ruolo strategico di orientamento e di affiancamento tecnico - am-ministrativo. Abbiamo già raggiunto l’importante traguardo di far aderire tutti e 47 i nostri Comuni al Patto; adesso siamo impegnati a supportare i Comuni nella redazione dei Piani di azione comunali. Due cose ci interessano in particolar modo: far conoscere ai cittadini gli impegni che ci siamo assunti; rendere partecipi e consapevoli le nuove generazioni per assicurare continuità al processo e far sì che i giovani possano cogliere le opportunità offerte dalla green economy”.L’adesione di tutti i Comuni del teramano rappresenta, “un risultato straordinario, tenuto conto del fatto che l’Unione Europea ha stanziato circa 150 milioni di euro per i progetti che riducono il consumo energetico”, ha detto a Bruxelles Walter Catarra, Presidente della Provincia di Teramo, che insieme all’Assessore provinciale all’Ambiente, Francesco Marconi e ai rappresentanti istituzionali di sette Comuni teramani ha partecipato alla cerimonia di sottoscrizione ed è stato invitato dal Ministero dell’Ambiente a intervenire alla conferenza stampa organizzata a Bruxelles per presentare le “buone pratiche” italiane.Oltre a supportare i Comuni gratuitamente per l’adesione al “Patto” e nella redazione dei Piani per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il risparmio energetico, infatti, la

Provincia ha messo in campo alcuni progetti specifici per contribuire alla riduzione delle emissioni: il servizio di carpo-oling; “Mille tetti fotovoltaici”; il sistema di videoconferenza in ambiente web.Con il carpooling, attraverso l’iscrizione ad un apposito portale che sarà gestito dalla Provincia, i cittadini potranno organizzarsi per condividere la propria autovettura privata con chi va nella stessa direzione. Tale iniziativa rientra tra le strategie adottate dall’ammi-nistrazione provinciale in materia di mobilità sostenibile, proprio come il sistema di videoconferenza che consentirà ad amministratori e dipedenti pubblici di svolgere riunio-ni, conferenze di servizi o assemblee senza muoversi dal proprio luogo di lavoro.Infine, con il programma “mille tetti fotovoltaici” la Provincia, attraverso accordi con società private e istituti di credito, renderà possibile a costi contenuti e con crediti agevolati, l’installazione dei tetti fotovoltaici sulle case private. “Il supporto gratuito offerto dalla Provincia ai Comuni è stato determinante - ha dichiarato il Presidente della Provincia, Walter Catarra - perché soprattutto nelle piccole realtà non ci sono le risorse professionali e finanziarie per programmare e realizzare questo tipo di progetti”.“Il lavoro di questi mesi ha ottenuto riconoscimenti importan-ti, non ultimo il ruolo assunto dalla Provincia di Teramo sia in Italia che in Europa rispetto a tutta la materia riguardante il risparmio energetico - ha aggiunto l’Assessore all’Ambiente Francesco Marconi - Il Ministero dell’Ambiente ci ha coin-volto in una serie di iniziative che si svolgeranno in tutta Italia per raccontare la nostra esperienza: siamo già stati a Comiso e a La Spezia”.Il ruolo strategico svolto dalla Provincia di Teramo nel pro-muovere il “Patto dei Sindaci” è stato, inoltre, riconosciuto anche dall’UPI (Unione delle Province d’Italia) che ha in-vitato il Presidente Calcaterra a presentare il “Patto” e il modello adottato dall’Amministrazione provinciale per la sua piena attuazione.Mentre è in via di definizione la sottoscrizione del “Patto” da parte della Provincia de L’Aquila, il “Patto” è stato si-glato lo scorso 22 maggio anche da parte della Provincia di Pescara.Partecipando alla cerimonia il Presidente della Provincia, Guerino Testa, ha evidenziato che anche con questa inizia-tiva si vuole promuovere “una grande concertazione con i Comuni, un nuovo modello di lavoro che si basa sul concetto di fare squadra, costruire una rete, per risolvere i problemi. Poco conta, quindi, il colore della casacca. Per affrontare temi così delicati deve prevalere il buon senso”. “Con il Patto - ha commentato l’Assessore provinciale all’Energia e Innovazione, Angelo D’Ottavio - i Sindaci riconquistano il ruolo di sentinelle istituzionali del terri-torio e possono dimostrare di avere un grande senso di responsabilità. L’Europa si è accorta del ruolo strategico delle amministrazioni locali, e questo deve essere motivo di soddisfazione”. L’auspicio, ora, è che tutti i Comuni del pescarese sotto-scrivano l’accordo.L’invito ad aderire viene da Gabriele Santucci, Presidente della commissione Agricoltura della Provinci di Pescara :“Alla luce di questo accordo chiedo a tutti i Sindaci l’impegno a ridurre del 20% le emissioni dei gas serra e ad aumentare gli impianti alternativi del 20%, entro il 2020”.

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di Germano Contestabile

ACIAM SPA

Basta prendere una di quelle stradine secondarie che si inoltrano verso la campagna o magari percorrere solo per poche centinaia di metri le carrarecce di montagna che portano nei boschi o sulle sponde dei torrenti, per trovarsi al cospetto di uno spettacolo indecoroso: in ogni sito, scaricati con una pazienza e caparbietà di altri tempi, si trovano, in bella mostra, materassi, lavatrici, pneumatici o peggio ancora frigoriferi e televisori, se non addirittura serbatoi e coperture in eternit, barattoli di vernice e batterie d’auto.Autori di tale scempio non sono ne-cessariamente associazioni malavitose riconducibili all’ecomafia e nemmeno imprenditori senza scrupoli, teorizzatori del profitto ad ogni costo (almeno non sempre); molto più spesso a macchiarsi di tali reati penali dalle gravi conseguen-ze sulla salute umana e sull’ambiente,

sono semplici cittadini, ignari della peri-colosità dei loro gesti che, in mancanza di alternative migliori, in buona fede o per scarsa informazione, si trovano

nella condizione di doversi disfare di rifiuti molto voluminosi, non conferibili nei cassonetti stradali.Il problema dei rifiuti ingombranti, spesso sottovalutato dalle Amministra-zioni Comunali, riflette tutte le difficoltà insite nella gestione dei rifiuti nel nostro paese: carenza di impianti di recu-pero e smaltimento; poca attenzione all’ambiente e insufficienti controlli sul territorio; bilanci comunali in ros-so; normativa in materia incompleta e poco chiara.Aciam S.p.A. (Azienda consorziale operante sul territorio della Provincia dell’Aquila), in sinergia con le Comu-nità Montane e le Amministrazioni Comunali, si occupa di tali problema-tiche da oltre 10 anni, dando risposta alle esigenze di smaltimento dei citta-dini con servizi di ritiro a domicilio, stazioni e piattaforme ecologiche, isole ecologiche mobili. Proprio quest’ulti-mo sistema, di recente adozione, sta incontrando l’apprezzamento delle Amministrazioni Comunali del terri-torio Marsicano, nonché dei comuni dell’aquilano, alle prese con l’impellen-za di avviare a smaltimento, le enormi quantità di elettrodomestici resi inservi-bili dalle conseguenze del sisma dello scorso anno.Si tratta di un sistema versatile e funzio-nale, che consiste nel creare Centri di raccolta provvisori presso tutti i Comuni sprovvisti di strutture fisse, attraverso lo stazionamento di idonei mezzi, dotati di grandi capacità di carico, nei luoghi individuati dai Comuni stessi, a cadenze periodiche stabilite.I cittadini, preventivamente informati, possono conferire gratuitamente i pro-pri rifiuti ingombranti, affinché vengano successivamente trasportati presso i centri di stoccaggio autorizzati.

Gli addetti dell’Aciam, che presidiano il mezzo, forniscono ai cittadini conferen-ti apposite ricevute di smaltimento, da poter utilizzare presso i rivenditori, in virtù delle recenti disposizioni norma-tive, per l’acquisto di elettrodomestici nuovi a prezzo agevolato.In tale scenario, le isole ecologiche mobili hanno rappresentato un valido supporto alla gestione dei RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettro-niche), per i quali il quadro normativo introdotto dal D.Lgs. 151/06 è rimasto per anni incompleto, in attesa dell’ema-nazione dei decreti attuativi.L’entrata in vigore del D.M. 28/03/2010 n. 65, il cosiddetto “One to one”, avve-nuta il 19 maggio scorso, finalizzato alla semplificazione del ritiro dei RAEE da parte dei distributori, ha trovato impre-parati gran parte degli attori principali (produttori RAEE, negozianti, ecc.), non ancora in grado di offrire risposte con-crete ai cittadini.Aciam S.p.A., attraverso l’impiantistica in dotazione, e grazie soprattutto all’uti-lizzo delle Isole Ecologiche Mobili, offre, anche in questa fase, una valida solu-zione allo smaltimento di tali rifiuti, e i buoni risultati ottenuti, in termini di quantitativi avviati a recupero, ne testi-moniano l’efficacia.

ACIAM S.P.A.: YES, I “IEM”Isole Ecologiche Mobili al servizio della cittadinanza

Comuni aderenti al sistema di raccolta RAEE e altri rifi uti ingombranti attraverso isole ecologiche mobili

Gioia dei Marsi Ortona dei Marsi Rocca di Cambio Tornimparte Capitignano

Lecce nei Marsi Bisegna Pereto Barete Pescina

Ortucchio Massa d’Albe Montereale Cagnano A. Carsoli

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AMBIENTE SPA

di Silvia Barchiesi

Una corretta e ocula-ta gestione dell’intero ciclo dei rifiuti. È questa la mission di Ambiente S.p.A, una società che fin dalla sua fondazio-ne ha investito in innovazione e pro-gettualità e che oggi è in grado di offrire ai 32 Comuni del pescarese soci, ser-vizi all’avanguardia nel settore dei Rifiuti Solidi Urbani e della Raccolta Differenzia-ta, come:

- raccolta e smaltimento rifiuti solidi urbani (indifferen-ziati e differenziati) con idoneo parco mezzi;

- isole ecologiche per raccolta differenziata in numerosi centri;

- ritiro rifiuti ingombranti;- raccolta differenziata “porta a porta”;- spazzamento e pulizia strade;- centri di raccolta e di separazione rifiuti differenziati;- iniziative per la divulgazione della “cultura della soste-

nibilità” e salvaguardia del territorio;- impianto di Colle Cese di Spoltore, con apparecchiatura

all’avanguardia per la creazione di energia rinnovabile (biogas).

Se la Raccolta Differenziata rappresenta il core business della Società, la sua promozione è uno degli obiettivi cru-ciali. Lo testimoniano i recenti avvii della raccolta differenziata “porta a porta” nei Comuni di Spoltore, una delle più grandi realtà della Provincia di Pescara, dove è coinvolto oltre il 65% della popolazione, per un totale di circa 11.000 abitanti e di Pianella dove la raccolta ha interessato 2.000 famiglie, per un totale di circa 5.500 abitanti. Ma l’impegno di Ambiente S.p.A verso la promozione di una “cultura della sostenibilità” non si limita alla Raccolta Differenziata, ma copre l’intero ciclo dei rifiuti: dal corretto e puntuale ritiro dei rifiuti fino al loro recupero. Attual-mente i rifiuti differenziati (carta, plastica, vetro e lattine) vengono raccolti nei vari Comuni, lavorati e trasportati in appositi impianti. La raccolta non differenziata, invece, la cosiddetta “tal quale”, viene in una prima fase trattata nell’impianto TMB (Trattamento Meccanico Biologico) di Contrada Casoni di Chieti. Successivamente, i rifiuti ven-

gono stoccati nell’impianto di Colle Cese di Spoltore, dove è presente un impianto di recupero energetico che sfrut-ta il Biogas, generato dalla fermentazione dei rifiuti, per produrre energia.Fiore all’occhiello della Società e dell’intera Regione, nel 2009 l’impianto ha prodotto ben 14 milioni e 225 mila Kilowatt di energia. Ma Ambiente S.p.A. guarda avanti e punta in alto. Sono, infatti, questi i prossimi obiettivi della Società:- la predisposizione a Spoltore di un impianto a tecnologia

complessa per il trattamento delle frazioni organiche provenienti dalla raccolta differenziata;

- l’imminente realizzazione di una Piattaforma di tipo B con annessa stazione ecologica a Loreto Aprutino, dove verran-no conferite circa 2.000 tonnellate annue di materiale già trattato, al servizio di un bacino di utenza molto vasto;

- la promozione e potenziamento della raccolta differen-ziata spinta porta a porta in tutti i Comuni serviti da Ambiente S.p.a.

Ma il valore aggiunto di Ambiente S.p.a. non è solo nei progetti e i programmi in cantiere, ma anche nei risultati e nei traguardi ad oggi raggiunti. Ne è convinto il Presidente di Ambiente S.p.A, Massimo Sfamurri a cui abbiamo chiesto di ripercorrere la storia e i successi della Società.

Presidente Sfamurri come è nata Ambiente spa?Ambiente S.p.a nasce come Consorzio intercomunale di 17 Comuni del pescarese. Attualmente invece la Società conta ben 32 Comuni soci. L’attività di questa Società nasce proprio per dare risposta e soluzione a quello che allora era un grave problema: lo smaltimento dei riufiuti in discarica. Allora infatti il cosiddetto “tal quale”, prodotto dai cittadini andava a finire direttamente nella discarica di Colle Cese di Spoltore, di cui noi siamo concedenti e la DECO S.p.A ne è gestore.Tra l’altro, la nostra tariffa è considerata, da uno studio di Nomisma, tra le tariffe medio-basse in Italia. Nel 2002 quello che allora si era costituito come un Con-sorzio si è trasformato in una Società per azioni, Ambiente S.p.A., appunto, con sede in Spoltore, che oggi conta, come detto, ben 32 Comuni soci.

Quali servizi siete in grado di offrire e a quali proble-matiche avete cercato di far fronte?Come primo obiettivo, abbiamo cercato di risolvere il pro-blema dello smaltimento dei rifiuti e poi a partire del 2003 anche quello del trattamento, attraverso una convezione con la DECO S.p.A.A partire dal 2001 abbiamo, inoltre, cercato di dare slancio alla raccolta differenziata e di potenziare i nostri servizi.Ciò è avvenuto grazie alla nostra società tecnico-strumenta-

Obiettivi e priorità del Presidente della Società Pubblica dei Comuni del pescarese per la gestione dei rifiuti

INNOVAZIONE E PROGETTUALITÀA SERVIZIO DELL’AMBIENTE

Massimo Sfamurri, Presidente di Ambiente S.p.A

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le, Ecologica S.r.l. che oggi serve una realtà di 14 Comuni e che vanta ottime punte di raccolta differenziata con grande soddisfazione da parte dei Comuni serviti.

Qual è stata, invece, la risposta dei cittadini? Oltre alle amministrazioni locali, anche i cittadini hanno ri-sposto positivamente. La nostra procedura operativa prevede, infatti, prima dell’espletamento del servizio di raccolta, una pre-ventiva campagna di informazione e comunicazione, nonché un ciclo di incontri con i cittadini e le associazioni locali.Inoltre, è nostra abitudine aprire, fin da subito, nel Comune interessato dal servizio, uno sportello ecologico che possa svolgere la funzione di interfaccia tra l’utente e la società che svolge il servizio.

In quale maniera si intende rispondere all’esigenza di valorizzare economicamente i materiali derivanti dalla raccolta differenziata?Il materiale proveniente dalla raccolta differenziata diventa

una merce, quindi i Comuni decidono di avviarla, di solito ai Consorzi nazionali. Abbiamo, invece, un grande proble-ma per l’umido, soprattutto nella Provincia di Pescara.Dal dicembre 2007, Ambiente S.p.A serve oltre a tutta la Provincia di Pescara più della metà della Provincia di Tera-mo, dove si sta cercando di tamponare una e vera e propria emergenza che si conta di risolvere entro dicembre.Come dicevo, il vero problema della differenziata è rappre-sentato dall’umido. In Abruzzo, infatti, ci sono solamente due impianti che non riescono a smaltire tutta la quantità di umido, da cui esce, tra l’altro, un ottimo “compost di qualità”, richiesto a gran voce dagli agricoltori.Ci stiamo pertanto attivando, d’accordo con la Regione che ha previsto un apposito gruppo di lavoro, affinché nell’im-pianto pubblico che abbiamo a Spoltore venga costruito un biodigestore anaerobico con annesso un impianto di compostaggio. Tale progetto, a cui stiamo lavorando, che punta a risolvere il problema dell’umido nella filiera della differenziata, sposa perfettamente la nostra filosofia dei “chilometri zero”.

Tra i nostri progetti figura anche la realizzazione di una Piattaforma di tipo B con annesse una Stazione Ecologica e un Centro di raccolta a Loreto Aprutino.Nel giro di un anno e mezzo abbiamo già costruito un capannone in cui confluirà tutta la differenziata lavorata nell’intera area vestina.Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che i cittadini che ivi conferiscano, possano ottenere, attraverso l’Ecocard, uno sconto sulla tariffa.Inoltre, stiamo lavorando alla realizzazione di ben 4 centri di raccolta presso le seguenti località: Tocco da Casauria, Pianella, Loreto Aprutino (a fianco della piattaforma di tipo B); Brittoli.Stiamo affrontando, inoltre, il problema della discarica di Colle Cese che si avvia all’esaurimento; pertanto, d’accor-do con la Provincia, stiamo cercando di individuare un nuovo impianto di discarica in cui poter avviare quella porzione di rifiuti che continuano ancora ad andare in discarica (20-30%).

Senza poi contare i problemi relativi al ritardo per quanto riguarda il recupero energetico. A fronte dell’evidente problema di approvvigionamento di fonti energetiche abbiamo, infatti, il problema di creare in Abruzzo un impianto per la termovalorizzazione, ovvero per il recupero e la produzione di energia.

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n° 7LUGLIO2010

Anno XI

€ 7,00