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Reality è un magazine trimestrale che parla di te e del tuo territorio: la Toscana, terra ricca di arte e cultura! Vogliamo trasmettervi il lusso dell'informazione, del sapere, del conoscere... Articoli come dei piccoli viaggi verso nuove emozioni per riscoprire la qualità della vita, i suoi sapori, in un mondo nel quale forse non si ha più il tempo dell'essere ma solo dell'apparire. Nel 2007 Reality ha ricevuto il premio speciale per la divulgazione della cultura toscana. Un bel traguardo, che siamo riusciti a raggiungere grazie all'impegno e all'amore per la nostra terra in ben 13 anni di attività

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Conceria dal 1973

V E R YM A D EI N I TA LY

LE CUIR A PARIS12-14 febbraio 2013HALL 4 - STAND E16

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taLettori ed elettori ben ritrovati. A chiusura di un anno, ci viene spontaneo interrogarci, fare un bilancio, un pun-to della situazione. È naturale chiederci se è giusto ciò che abbiamo fatto, se siamo riusciti a raggiungere i traguardi prefissati o se potevamo fare di più, ma soprattutto se potevamo fare meglio.Nel nostro caso la risposta è semplice: il mercato, se pur viziato dalla crisi, ci dà i risultati, anche se nella piccola e media impresa le scelte sbagliate e gli errori ricadono solo su poche teste. Il punto è questo: coloro i quali hanno grandi responsabilità a livello umano, culturale ed economico, si pongono il problema di fermarsi per un momento e riflettere sulla ricaduta delle loro decisioni?Forse no. Presi dal grosso problema di sistemare un certa situazione, non si ac-corgono che per aggiustarne una se ne creano altre, forse ancora più pericolo-se. Ci vorrebbe ben più di un editoriale per elencare questi fenomeni. Badate, non mi riferisco alla sola politica, ma all’intero sistema.Chi è al timone della nave deve stare più attento, deve essere riflessivo e cal-colare prima gli effetti indesiderati. Basta con gli interessi e le scelte personali! Chi ricopre certi ruoli non deve farlo per sé, né per proteggere una certa casta; chi ha la responsabilità di gestire il patrimonio culturale ed economico di una società, deve impegnarsi in questo compito con grande scrupolo e delicatezza e scegliere per il bene comune, sia pubblico che privato.Ebbene sì, non è giusto semplicemente giudicare i loro stipendi, compensi o consulenze. Bisogna in primis stabilire se ciò che viene chiesto a tali figure è fatto in maniera corretta. Se così non fosse, sarebbe necessario sostituirle con altre più meritevoli.Purtroppo il mondo attuale va velocissimo. Non possiamo più permetterci di riflettere a lungo: dobbiamo per forza agire e stare al passo, altrimenti dovrem-mo rallentare la nostra corsa con il globo, tornare indietro, rinunciare a certe cose, dimenticare certi lussi e privilegi che per consuetudine non consideriamo più tali. Torneremmo così a occupare le giornate quasi solo per il nostro so-stentamento. Forse qualcuno ha già deciso quale dovrà essere il nostro futuro? Non resta altro che aspettare.Ah, dimenticavo! In questi giorni grandi dilemmi: panettone o pandoro? Albe-ro di Natale o Presepe? Se Presepe, con il bue e l’asinello o senza?Voglio dire la mia, al diavolo la legge bavaglio e la paura di querele! Io sto con la tradizione da oltre ben cinquant’anni, e dico Presepe.

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Centro Toscano Edizioni Sede legale via Viviani, 456029 Santa Croce sull’Arno (PI)

Redazione casella postale 3656029 Santa Croce sull’Arno (PI)Studio grafico via P. Nenni, 3250054 Fucecchio (FI)Tel. 0571.360592 - Fax [email protected] - www.ctedizioni.it

Direttore responsabileMargherita Casazza [email protected] artisticoNicola MicieliRedazione [email protected] grafico [email protected] [email protected]

Text Paola Baggiani, Laura Baldini, Irene Barbensi, Carlo Baroni, Milvia Battini, Maria Antonietta Belardo, Graziano Bellini, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Francesca Ciampalini, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Carmelo De Luca, Carlo junior Desgro, Angelo Errera, Federica Farini, Maura Laura Ferrari, Elenoir, Eleonora Garufi, Luciano Gianfranceschi, Letizia Grazzini, Gianfranco Magonzi, Andrea Mancini, Paola Ircani Menichini, Matthew Licht, Sergio Matteoni, Luciano Marrucci, Nicola Micieli, Ada Neri, Tiziana Pellegrini, Paolo Pianigiani, Giampaolo Russo, Carla Sabatini, Domenico Savini, Leonardo Taddei, Valerio Vallini.

Photo Archivio CTE

StampaBandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (PI)ISSN 1973-3658

Reality numero 66 - dicembre 2012Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007

© La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore.Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: [email protected] - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.

MAGAZINE D’INFORMAZIONEReality

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Roberto GiovannelliAmor geloso, 2012olio su tela cm 40x40

ARTE & MOSTRE

In viaggio con Giovannelli

50 anni galleria Athena

De rerum fabula

Lo splendore del sacro

L'arte senza confini

Il museo diventa interattivo

La casa di tutti

Appuntamenti con l'Arte

Art Around

STORIA & TERRITORIO

Sulla goletta del capitano

Il silenzio degli innocenti

Benessere in terra di Siena

Il più grande desktop

POESIA & LETTERATURA

Franco Fortini

Dove vanno le balene

Natale dal robivecchi

Un delitto nell'antica pieve

Booking a book

MUSICA & SPETTACOLO

Marc'Aurelio Marfa girl

Cesare deve morire

Una nuova stagione

L'anima e il cuore

Album del Grand’attore

24 novembre 2012

Repetita iuvant

EVENTI, SOCIETÀ & ECONOMIA

Tra due ali di folla

Golden Foot 2012

Tre re alla porta

Giovani nella società

La Toscana del gusto

Circo che sfilata

Un dono ecologico

Recuperare i clienti si può

AVO una scelta di vita

Giovani amici per la pelle

Una nuova stagione di crescita

Angeli di Mare

Fasto ritrovato

L'olio e le sue proprietà

La qualità della forza lavoro

I nemici del pregiato bianco

5 SENSI

Vacanze di Natale

Il Natale a Lucerna e Bolzano

Reality moda

La gerbera

Una cascate di luce

Gusto. Curiosità e cucina

Un abete speciale

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di Nicola Micieli

Nella trama dei miei dipinti s’incaglia talvolta in punti

imprevedibili una casa, un modello architettonico,

come d’Arca impaniata in un groviglio di segni simili

ai resti di una combusta foresta, non saprei dire

se cresciuta in Parnaso o presso coste e prati prossimi

alle cime dell’Ararat. Forse tale inconscia, alterna

combinazione d’orizzonti attraversati da bitumi e lignei ricetti, qua e là addolciti da fioriture d’erbe ha portato i

miei passi in terra d’Armenia e per le vulcaniche contrade

del Nagorno-Karabakh.Un cammino compiuto toccando anche mete

immaginarie, luoghi e paesi fascinosi evocati sulla carta,

posti oltre gli odierni confini.Lungo quel cammino sono

germogliate alcune delle mie recenti storie, immagini volanti dalla terra al cielo, dalla ruvida

pietra alle tavole levigate, a tavolette incastonate in

fulgide cornici architettoniche, e alla candida imprimitura

della tela; figure tracciate da un viandante, come portate

dal vibrante suono del duduk qual flebile concento di umani

sospiri e di singulti, ove si raccolgono giovani raccoglitori di stelle, uomini in contesa di frutti d’oro, portatori di città

o di spicchi di luna.

Roberto Giovannelli

Giovannelliviaggio

in

con

Monolite dipinto, Shoushy, luglio 2011, affresco su calcare granitico armeno, cm 260x110x120

Intanto il personaggio principe, la figura che a vario titolo, e ruolo anche di dramatis persona, più spesso attore solitario che in dialogo o in azione con altri, abita e anima in qualità ora di regista/operatore, ora di guida/presentatore, infine, e con esplicita

presenza scenica, di interprete della pièce, il teatro visionario dove Roberto Giovannelli rappresenta una speciale “recherche per immagini”, come Carlo Sisi chiamava la sua iconoteca nell’introduzione a Note turchine (Polistampa 2011) del nostro Autore.Si tratta di un uomo della contemporaneità, senza dubbio, e si intenda che egli attra-versi il suo e nostro tempo facendosi portatore di tensioni ideali e di riflessioni fondanti che dalle diverse età si riversano e rinnovano i loro contenuti nella nostra, piuttosto che ancorarsi e in breve esaurirsi in una sequenza di eventi o un clima contingenti. Del resto, gli atti e le situazioni che egli prefigura in forma di viaggio nel sogno, lo dichiarano uomo improntato a uno stile e a un gusto non effimeri, demodé quanto basta a segnalarsi singolare per rarità ed elezione.Non è possibile omologare a un qualsivoglia standard attuale, quel viandante raccogli-tore di polvere di stelle e portatore di città, di specchi d’azzurro, di insegne, emblemi, memorie che, novello leopardiano pastore errante per l’Asia, intesse dialoghi astrali e terreni con le cose e le creature, perché sa che Est anima in rebus, come recita il cartiglio d’un suo dipinto, e l’anima delle cose per lui che ragiona e comunica per immagini, sono i segni e i simulacri che le rivelano. In terra asiatica, appunto, il nostro viandante è anda-to errando, a interrogare segni testimoni, a raccogliere messaggi d’arte tra le montagne dell’antica, ancora arcaica Armenia e del Nagorno-Karabakh, presso una gente che di sé dice: Noi siamo le nostre montagne. Le montagne che Giovannelli dipinge in forma d’ogiva o di parabola dimezzata, quali simboli figurali del suo Parnaso. Ricordo che non è solo un mito delle origini, ma simbolo vivente per un popolo che ha conosciuto nei secoli la diaspora, il fatto che sulla cima dell’Ararat approdasse, secondo la tradizione biblica, l’arca di Noè salvata dalle acque del diluvio per la rigenerazione delle specie e della famiglia umana.Pagine del “diario” di quel viaggio sono i dipinti che sotto l’insegna Et in Armenia ego, sono l’estate scorsa approdati alle balze tufacee e tra le biancane dell’etrusca e romana e medievale e rinascimentale e settecentesca volterra, in visita e alla ricerca di ulteriori,

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Cielo abitato, 2010olio su tela cm 40x30in cornice architettonica dorata

Lucciolina, 2010composizione per cornice in oro figuratacm 70x51

specifiche correlazioni dialogiche, ponti ideali con Luca Signorelli, Domenico Ghir-landaio, il Rosso Fiorentino della astrale Deposizione dalla Croce e gli altri Maestri della Pinacoteca Civica.Per questa intuitiva e coltivata simpatia colloquiale, il pittore si fa interprete ispi-rato dei fenomeni che si manifestano nel-la volta abitata dal cielo alla terra: sono lampi archi scie luminose nelle tenebre; sono cime di rocce giottesche, arche di santi e tavole della legge, case di pittori, tempietti circolari, mirabolanti architettu-re e altre apparizioni appostate al modo di isole sulle dense nubi o in navigazione nello spazio.Quando il suo sguardo plana dal cielo alla terra, egli è visitatore sensibile e pe-netrante di edicole votive e case e luoghi delle muse, interlocutore silenzioso delle erme che incontra lungo il cammino. Sulla terra il suo sguardo spazia ad abbracciare il “paesaggio” naturale e antropico che tutti li contiene, inglobati e affioranti, i depositi e le impronte del tempo e delle culture, alle quali attinge i motivi formali e figurali di cui alimenta il suo poetico e insieme filologico immaginario.La polivalente figura del giovane uomo che impersona, in piena evidenza, le di-verse facies dell’artista, il quale spesso riproduce in autoritratto le proprie sem-bianze, indossa preferibilmente panta-loni e giacca di foggia direi tardo ottocen-tesca. Le falde del-la giacca appaiono mosse, come invo-late dal vento. Co-munque fluidificano, si scuotono, si avvi-tano nello spazio già quando l’abbigliata figura semplicemen-te cammina. Basta persino che compia una brusca torsione, che all’improvviso cambi direzione o si impunti arrestandosi, perché il moto interrotto seguiti per iner-zia, e si scarichi nei lembi flessuosi del vestito. Vero e proprio vettore spa-ziale, il vestito nel suo insie-me assume poi un profilo decisamente aerodinamico, se accade che il nostro personaggio si muova agil-mente e ancor più che si metta a corre-re. E mi piace segnalarlo in corsa sotto le mentite spoglie - peraltro aggiornate al coté tardo ottocentesco di cui si dice-va - del pastore Aminta, protagonista in Arcadia d’un “contrasto d’amore” roman-tico ante litteram. Preso nei lacci dell’insi-dioso eros e nel travagliato ardore della sua fiamma non placata, Aminta insegue nella ninfa Silvia - lei pure indossa un abi-to retrodatato di eguale, anzi accentuata foggia aerodinamica - il compimento del

proprio destino. Che Torquato Tasso volle coronare del lieto fine, come non faranno il Goethe de I dolori del giovane Werther e il Foscolo del Jacopo Ortis, eroi sacrifi-cali antesignani del Romanticismo.A questo proposito, per inciso, non sfug-girà il carattere sostanzialmente romantico del “paesaggio” squadernato e grandio-so, sommosso dal vento e attraversato da lampi, per quanto visionario e composto per inserti e trapassi visivi dalle aperture d’ambiente alle proiezioni figurali, in cui si muove e si specchia in contemplazione e in allarme il nostro personaggio.Presupposto e sfondo della favola pasto-rale del Tasso - e ancor prima di Esiodo, di Lucrezio, di Ovidio e di Virgilio - è la memoria letteraria, la malinconia esteti-ca, la meditazione filosofica intorno alla mitica età dell’oro. Lo spirito della natura, e l’arcana bellezza e perfezione del suo molteplice manifestarsi incarnato dagli dei, pervadeva e governava “le opere e i giorni” dell’uomo nell’aurea aetas.L’idea della perdita dell’innocenza con l’uscita dall’originario stato di natura e l’avanzare della conoscenza, è topos ri-corrente nel seguito delle civiltà, dalla cacciata dall’eden dei progenitori mitici alla versione illuminista del “buon selvag-gio” contaminato e sacrificato sull’altaredelle nuove deità: la scienza e il progres-so. Quel mito si rinnova puntualmente di

fase in fase dei pro-cessi civilizzatori, alla frizione critica e agli snodi tra le antiche stagioni in decaden-za e le nuove che si schiudono ad altri orizzonti culturali e artistici. Il cavalletto che sovente Giovan-nelli colloca nel bel mezzo della scena e mostra di volta in volta un dipinto in corso d’opera del

suo repertorio mitografico, storico-artistico, favolistico, letterario, intimistico, è un ponte gettato tra la terra e il cielo. Su quel ponte si può dire metaforicamente che il pittore celebra il rito del transito dalla dimensione

fisica della realtà alla dimensione meta-fisica, comunque all’astrazione simbolica dei simulacri, riduzioni all’essenza formale delle cose. E per compiere quella liturgia permutatrice, egli agisce sui codici lingui-stici e le convenzioni rappresentative fissati dalla tradizione, li assume e li traduce nei codici e nelle convenzioni che gli appar-tengono in quanto artista creatore di lin-guaggio e uomo del suo tempo. Giovan-nelli non contesta e non stravolge i codici della tradizione, e diciamo pure i canoni accademici, relativi alle tipologia delle arti e dei generi e relativi processi formatori,

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Mon bouquet(per Maddalena) 2012cornice in oro figurata,con specchiocm 80x65

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Cielo abitato, 2010olio su tela cm 40x30in cornice architettonica dorata

Prima delle tenebre della notte, 2011cornice in oro figurata, con specchio olio su tavola

cm 80x65

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che anzi indaga e interiorizza anche come studioso e storico specialmente interes-sato all’arte e alla letteratura artistica tra sette e ottocento. Non li stravolge ma li “traduce”, il che significa che li “tradisce” per ri-crearli. e se la pratica della citazione lo ha fatto in qualche modo partecipe di un clima che negli anni Settanta e Ottan-ta ha guardato al museo per trarne ispi-razione e modelli stilistici sotto specie di Citazionismo, Nuova Maniera, Ipermanie-rismo, Anacronismo e altro, bisogna dire che egli ha avuto un percorso parallelo e autonomo di rivisitazione e appropriazio-ne estrapolata non già di modelli, ma di brani e reperti evocativi da rilanciare quali componenti morfologiche e figurali del proprio linguaggio pittorico.Con la messa in scena del suo visibile par-lare all’insegna dell’ut pictura poesis, Gio-vannelli punta lo sguardo e la mente a una vagheggiata isola o montagna o regione consacrata all’arte, alla sua mitografia e alla sua storia. Si chiamerà Arcadia, Par-naso, Ararat, o altra denominazione ed equivalente destinazione utopica, ed è la spiaggia, la fonte, la cima montana sulla quale il pittore sogna di depositare l’arca della propria casa. Quei luoghi consacra-ti e i loro portati li prefigura in icona. Ma quando la scorgerà di lontano l’isola del suo desti-no, e in-fine ide-almente vi appro-derà, sco-prirà che la terra pro-messa è m i g r a t a altrove.

Come esplorando un sito archeologico, del precedente insediamento l’artista scorgerà sul terreno i reperti, le già fastose vestigia, le consunte spoglie. Sui quali si soffermerà a meditare, e certo gli sugge-riranno un memento circa la caducità del tempo e dell’opera umana, le leopardiane “magnifiche sorti e progressive”, sotto lo sguardo estraneo di mater natura. Ma la struggente bellezza di quelle sparse testi-monianze sarà per lui anche il trampolino per riprendere da quel punto il viaggio/sogno. Da alunno della poesia, i segni depositati nei luoghi delle civiltà di volta in volta incrociate, gli sveleranno mondi sommersi, altre sottili trame di segni tran-sitivi, altre corrispondenze analogiche di sensi poetici. Dunque nuovi itinerari. Et inArcadia ego, l’adagio già topico della ma-linconia del viaggiatore neoclassico, sulle arcaiche tracce armene dell’arca nell’Ara-rat, le chiese bizantine e gli affreschi o brani di intonaci affrescati, le pietre scol-pite disseminate nei siti e quelle ingloba-te negli edifici diventa Et in Armenia egoe induce Giovannelli non solo a dipinge-re memorie e sviluppi immaginativi del viaggio e di quelle tracce e depositi, ma a progettare interventi mirati, a disseminare propri segni e tracce e icone in luoghi ed

edifici violentati dalla guerra nella città di Shoushy, come ideali suture e anelli e ponti

per rinnovare il colloquio e la circolazione dell’ar-te quale condizione di ripresa e apertura mo-derna alla civiltà.Per avviarci a conclu-dere la nostra visita al teatro visionario di Ro-berto Giovannelli, tor-

nerei all’osservazione d’apertura circa la

tipologia dell’abi-to indossato dal

nostro pittore in funzione

formale e semanti-ca. Que-sta volta il viag-gio lo

affronterà in jeans e camicia leggera gu-sto anni Sessanta; oppure, ancora retro-datando, sui pantaloni moderni porterà un camicione alquanto animato di plasti-che pieghe e volute persino ridondanti, da panneggio barocco mirato a enfatiz-zare e rendere visionario il percorso della forma nello spazio. Siffatti abbigliamenti non sono pura tappezzeria vestiaria e mo-distica, ma svolgono una precisa funzio-ne formatrice nell’economia dell’opera. Nel laboratorio della mente prima che in quello pittorico, Giovannelli concepisce le figure quali corpi ignudi per i quali stu-dia i modelli e taglia e cuce addosso gli abiti confacenti. Non di rado lascia visibili sotto il simulacro dell’abito, come radio-grafando sinopie o spolveri d’affresco (i disegni originanti e direi la struttura della forma pittorica), tracce o parti più o meno estese del disegno sottostante, sicché la vestizione del corpo con il suo doppio sartoriale connotato come abito di scena e simulacro sostitutivo, diviene un’investi-tura al ruolo assegnato in funzione forma-le e simbolica.Già dai tre casi illustrati emergerà la stret-ta correlazione tra le posture dei corpi, gli abiti che per linee-forza e andamenti ne sottolineano e ne amplificano i movi-menti, l’orientamento e i ritmi dei segni, delle linee, delle tessiture, dei nuclei e inserti e sviluppi figurali nella dinamica complessiva della partitura. Parte dun-que integrante, anzi motore in potenza e in atto dell’azione drammatica, il nostro personaggio ora osserva con diversi at-teggiamenti e posture, ora attraversa, ora mostra e anima, indicandola e segnando-la con il dito inseminatore, la molteplice e mutabile scena nella quale il sogno dell’artista si manifesta e si rivela, come tutti i sogni, per immagini o quadri d’una rappresentazione.Lo spirito che muove il visibile parlare di Giovannelli è la rivisitazione di momenti

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Studi per Veste di Astlik, 2011

Veste per Artemisia, 1998, spolvero di pigmenti sintetici su seta

Oltre la soglia del frutteto, 2003limoni, bacchiane selvatiche,

more, peschine, pere, mele verdie rosse in polistirolo opaco,

in alzatina con bordo rovesciatoin maiolica perlacea con lustro

rosso e oro in terzo fuoco,insieme h cm 47, alzata

h cm 13 Ø 20

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Nato a Montecatini in Val di Nievole il 13 marzo 1947, vive a Pieve a Nievole e a Firenze, ove si è formato all’Accademia di Belle Arti nelle scuole di Ugo Capocchini e di Primo Conti, frequentando negli stessi anni lo studio dell’incisore Pietro Parigi. Ha studiato come borsista nella Rijksakademie di Amsterdam e successivamente presso il Dams di Bologna, ove ha condotto ricerche sperimentali in tema di teoria della perce-zione e tridimensionalità illusoria. Nel 1976 è nominato titolare della cattedra di Pittura nell’Accademia di Carrara, poi in quella di Bologna e dal 1980 nell’Accademia di Firenze, dove ha insegnato fino al 2008 come coordinatore del Biennio specialistico di Pittura e Arti multimediali.È Accademico ordinario e vicepresidente della classe di Pittura della fiorentina Accademia delle Arti del Disegno. Membro del comitato scientifico della rivista Labyrinthos (1992/2000) fondata da G. L. Mellini. In parallelo con l’attività artistica ha svolto studi e ricerche siste-matiche sulla prassi pittorica in Italia tra Settecento, Ottocento e Novecento, ponendo particolare attenzione al tema del Disegno come nucleo germinativo dell’opera d’arte. In questo contesto ha portato sostanziali integrazioni alla biografia e al catalogo di Bernardino Nocchi, nuovi contributi alla biografia di Stefano Tofanelli, rimesso in luce l’eccentrica figura di Niccola Monti; è intervenuto su artisti quali Raffaello e Antonio Morghen, Francesco Antonio Cecchi, Luigi Crespi e Innocenzo Ansaldi, Pietro Benvenuti, Giuseppe Bezzuoli, Pietro Cheloni e altri. Dirige la collana Scrapts – taccuini di lavoro, concepita come laboratorio poetico, presso le edizioni Polistampa di Firenze.Ha recentemente pubblicato: Piccolo viaggio al centro della Toscana, Gli Ori, Pistoia, 2004; Vagabondaggi di carta. Con un florilegio di ex-libris italiani della prima metà del Novecento, Polistampa, Firenze, 2006; Il Nudo in scena. Due passi con Pietro Benvenuti nella fiorentina Accademia delle Belle Arti, Firenze, 2008; Taccuino di Pensieri, Firenze, 2011. Fra le mostre personali più significative si ricordano: Firenze, Galleria La Piramide, 1985; Pontiac, Michigan, Schweeyer-Galdo Galleries, 1986; Prato, Galleria Metastasio, 1987; Nizza, Palais des Expositions, Art Jonction International, 1987; Firenze, Saletta Gonnelli, Simulazioni, 1998: Firenze, Note turchine, Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno, con un’antologica di disegni e dipinti, 2011. Fra gli inviti e le partecipazioni si segnalano: Roma, X Quadriennale, La nuova Generazione, 1975; Parigi, Grand-Palais, XXXVIIe Salon de la Jeune Peinture (a c. di G. Serafini), 1986; Bergamo, Biennale d’arte, 1988; Madrid, Arco 1988, 1989; Siena, Magazzini del Sale, V Biennale d’Arte Sacra, 1988; Milano, Internazionale d’Arte Contemporanea, 1989; Celano (L’Aquila), Triennale Internazionale d’arte Sacra (a c. di G. Di Genova), 1989; Cento (Ferrara), Magi ’900, Museo delle eccellenze artistiche e storiche, 2006; Firenze, Archivio di Stato, Oggetto Libero, rassegna del libro d’artista, 2007; Brindisi, Palazzo Granafei-Nervegna, La Gioconda è nuda. Riscoperte e nuove icone (a. c. di A. Vezzosi), 2010; Miami (USA), Ca’ d’Oro Gallery, Mona Lisa unveiled; Pensiero e Disegno, Jerevan, Galleria Nazionale Armena; San Gimignano, Galleria d’arte Moderna e Contemporanea Ricognizione toscana. Nuove acquisizioni a cura di Nicola Micieli, invitato al padiglione Italia per la 54° Biennale di Venezia; Volterra, Palazzo Minucci Solaini, Et in Armenia ego, 2012.N

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Tchobanian “achougs”, 1987-2011olio su tela e lamina orocm 52x52

Nella pagina a fronteEgredietur virga, 2012olio su tavola cm 50x35

ed eventi, luoghi e presenze della storia dell’arte e della letteratura stratificati e intersecati nella sua memoria, dunque nel laboratorio ove egli compie l’in-

dagine e la rappresentazione del proprio mondo, prestando quelle figure e metafore del mito al racconto anche della sua storia intima, le sue

febbri, i suoi trasalimenti, i suoi stupori. È un processo meta-linguisti-co che gioca sulla riduzione formale del lessico pittorico a segna-

li, morfemi, figure emblematiche, infine situazioni da lui esperite. Pedali e volani al racconto, quei lemmi innescano una catena di rimandi testuali e simbolici operati per associazione, analogia, citazione. Giovannelli agisce sullo scrimine ambiguo della simu-lazione: non mimesi mirata al conforme, ma distorsione dello sguardo, specchio di straniamenti attraverso il quale l’accadi-mento quotidiano, e il flusso del pensiero, si fanno accensio-ne poetica e deriva visionaria. il tutto entro la “cornice” d’uno spazio o teatro di rappresentazione, e vorrei dirlo schermo pro-iettivo, conformato a pala d’altare, a predella, a lunetta o sotto specie di tela dal pittore disposta all’aperto, sul cavalletto e in “paesaggi” assai animati e coinvolgenti, essi stessi portatori di inserti visionari. Un paesaggio che cielo e terra, e le vicende dell’uomo con le sue “fabbriche” e i suoi portati culturali, inclu-de e sommuove in rapinoso circolo cosmico. È un’icona, quel paesaggio, attraversata da lampi, accensioni fumiganti, volute di nuvole, apparizioni o flash di lacerti figurali e frammenti di parole, fasciami di segni ai quali il pittore, da architetto visio-nario, magicamente impone col gesto della propria mano un ordine che ha la provvisorietà di un’apparizione, ed è la rap-presentazione di un momento del flusso di memorie visive che accendono la mente del pittore.

Terremoto, 1996, olio su tela cm 60x100

Meditazione su urna volterrana “Capaneo fulminato da Zeus”, 2012modelletto, olio e fusaggine su carta intelata, cm 90x75

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Il contributo livornese all’arte figu-rativa, e proprio il suo successo, credo non siano separabili da una

considerazione ambientale di tipo socio-culturale. Solo un’attenzione che tenga pre-sente quindi quest’aspetto, che colga cioè il carattere, a Livorno po-polare, dell’interesse alla figurazione artistica, può dare spiegazione della diffusa persistenza, qui sempre os-servata come straordinaria, di una sensibilità tutta speciale all’arte fi-gurativa, alla pittura in particolare e nello specifico a una figurazione pittorica di paesaggio, urbano e ma-rino, anche se non soltanto, quasi in un riaffermato rapporto d’identità sociologica.È negli anni Venti e Trenta, lungo i quali si è articolato il percorso di più motivato e ruggente accreditamen-to della cosiddetta “Scuola Labroni-ca”, che si è stabilita e radicata una conformazione diffusa della cultura figurativa livornese ai canoni e ai moduli di quel tipo di figurazione, ai suoi registri cromatici e ai suoi esiti di essenziale vivacità. Quasi sempre questo radicamento si è imposto nel collezionismo, e di con-seguenza nella sollecitazione propositiva delle gallerie d’arte, con esitante conside-razione delle pur molteplici proposizioni artistiche emerse nel corso del Novecen-

to, ragion per la quale ad es. le pur nutrite schiere di artisti e di esperienze maturati a Firenze e in Toscana all’ombra de Il Fiori-no – e come si vede si tratta di non poca acqua passata sotto i ponti dell’arte – sono rimaste a lungo misconosciute, dovendosi così ascrivere a gran merito l’impegno al recupero che si viene facendo da parte di alcune gallerie per colmare la lacuna.Ne offre testimonianza puntuale la ricostru-zione di un’attività di tramite, tra il mondo della produzione artistica e quello dell’in-teresse collezionistico in tutte le possibili componenti di varia sensibilità culturale e mercantile, quale appunto è il lavoro di una galleria d’arte e qui parliamo della Galleria Athena di Livorno, ripercorso nell’arco tem-porale ampio e significativo al compiersi del suo cinquantennio di attività. La Galleria livornese, come altre ma forse più di altre, e proprio per la longevità del suo impegno, offre conferma della persi-

stenza di questa sensibilità diffusa e popolare, che dalla sua fondazione la Galleria ha certamente concorso a consolidare, che ha secondato ma stimolandone l’approfondimento, e ha sostenuto pur senza chiudersi in una monovisione dei valori artistici. Nel suo contributo in premessa al catalogo, Nicola Micieli tiene pre-sente lo stretto intreccio con la for-mazione, sviluppo e persistenza del gusto artistico a Livorno dominante e l’orientamento del collezionismo locale, nel corso di quei decenni “che hanno visto nascere e diffon-dersi movimenti e tendenze della ricerca artistica di tutt’altro segno, anche nel versante della figurazione di più stringente fedeltà visiva – dalla pittura di variegata matrice postim-pressionista e macchiaiola e nove-centista in Toscana, e a Livorno in particolare, declinata davvero con un ricco ventaglio di soluzioni linguisti-che e stilistiche e capace di fare, per così dire, storia a sé.”Il saggio con il quale Michele Pierleo-ni, che ha curata la mostra, introduce il ricco catalogo (Athena. Cinquant’an-ni di galleria d’arte a Livorno, aperta

sino al 26 gennaio), dà puntualmente conto di questa costante riflessa nella linea cultu-rale adottata dal fondatore della Galleria, Luigi Magherini, sviluppata nel successivo impegno della figlia Floriana con suo ma-rito Dino Pierleoni e adesso assunta, e con ampia visione innovativa, dai figli Marcello e Michele Pierleoni. Se il regesto d’attività nel cinquantennio espone tutta la vivacità propositiva pro-mossa da questa Galleria livornese, con gli attenti apparati delle 127 opere in ca-talogo (67 sono quelle esposte in mostra a richiamo degli autori che la Galleria ha presentato negli anni), vi si coglie anche la testimonianza di un più stabile e pro-grammatico impegno all’approfondimen-to storico, al recupero di figure artistiche rimaste periferiche nell’attenzione locale, alla proposizione, coraggiosa perché con-trocorrente, dell’opera grafica di qualità, con l’esplicito intento di far crescere una

TEXT Gianfranco Magonzi PHOTO Foto Arte, Livorno

Livorno - Galleria Athena

50anni d’artetra 800 e 900

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sensibilità che, generalmente, ha tradizio-ne precaria e di nicchia. Sono le iniziative promosse in quest’ultimo decennio a testi-moniare l’innovato impegno nella proposi-zione espositiva, dalla mostra dedicata a La Pittura Toscana tra 800 e 900, con la quale fu festeggiato nel 2000 il quarantennio di attività di Galleria, all’altra che proponeva Disegni e Incisioni Toscane tra Ottocento e Novecento, cui fece seguito Livorno e la grafica. La rivoluzione del segno, e le più recenti mostre di grafica e pittura con Al-berico Morena, Renzo Galardini e Stefano Ciaponi, testimonianza appunto dell’atten-zione a questo settoreDue mostre e i relativi cataloghi hanno segnato passi di rilievo nel progetto d’ap-profondimento storico-artistico: quella sull’opera di Renato Natali e poi la rico-gnizione esaustiva sull’arte e la cultura a Livorno in una stagione di grande rilievo con Il Caffè Bardi di Livorno.(1909-1921). Le arti all’incontro, curata con chi scrive da Michele Pierleoni, con contributi di Luigi Cavallo e Dario Durbè. Le nuove presenze artistiche s’inseriscono nella programma-zione espositiva e mercantile con accenti decisamente innovativi della tradizionale figurazione, corrispondendo a una ade-sione estetica capace di cogliere sensibi-lità anche decisamente differenziate, che mantengono forte il nesso figurativo.

A sinistra: La copertina del catalogo per i 50 anni della Galleria Athena; Leonetto Cappiello, Le frou frou, 1899 litografia a colori su carta;A destra: Renato Natali, Via San Giovanni Livorno, 1928-1930, olio su tavolaIn basso: Plinio Nomellini, La Surata del profeta, 1934, olio su tela

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Un invito al viaggio attraverso l’inte-ro Secondo Novecento tracimato nel terzo millennio. Inquietudini

allarmi adombramenti aspettative tensio-ni proiezioni d’un arco storico che l’artista ha attraversato e raccontato, in grandiosa metafora visionaria, con sguardo analitico ordinatore e mente riflessiva e divinatrice. Un artista per il quale la scultura e il suo spazio di manifestazione – e la grafica disegnata incisa pirografata che ad essa si è sempre alternata e integrata nel proces-so creativo – è luogo d’azione nel quale si prefigurano eventi o drammatizzazioni di un respiro che vorrei dire epico e a suo modo catartico, in senso propriamente classico. Si tratta dunque di apparecchia-ture scultoree configurate in forma impli-citamente teatrale: macchine, congegni e ingegni attivatori dell’immaginario, la cui funzionalità concettuale e poetica, e ovviamente visiva sul piano dell’identità formale e plastica, si acuisce quando l’opera sia concepita come installazione o messa “in situazione” in un contesto ambientato.Specie se agibile dallo spettatore chiama-to ad abitare la scena e in qualche modo calarsi nel dramma in essa figurato, piut-tosto che contemplarla dal suo posto di osservazione, per quanto coinvolgente sia comunque la sua temperatura espressiva.Questo potremmo dire, in sintesi, della grande antologica di Valeriano Trubbiani ordinata alla Mole Vanvitelliana e, a inte-grazione, nel Museo Tattile Statale Omero di Ancona. La città che oggi lo onora, Trubbiani l’ha nel tempo contrassegnata

con importanti suoi inserimenti scultorei anche monumentali, assumendola quale scaturigine di molta parte della propria ispirazione. Basti ricordare il ciclo Ciriaco de’ Pizzecolli e la sua Ancona, una “navi-gatio” visionaria in apertura mediterranea tra storia e mito, specifica traversata tra le altre sue favolose e anche perigliose dell’universo marino, e specularmente di quello celeste, da Trubbiani assidua-mente frequentato. Ricordo che in un caso ha avuto a eccezionale compagno Federico Fellini, per il cui film E la nave va progettò il modello di nave da dove sarebbe stato sbarcato il rinoceronte che Trubbiani doveva assumere a simbolo della Mater amabilis, gettato nel bron-zo a dimensione monumentale in Piazza Pertini ad Ancona, appunto.Mare, corazzate e Federico Fellini (opere 1982-2001) si intitola una della stazio-ni dell’itinerario allestito nella Mole Antonelliana, ma estensibile all’ulteriore percorso attraverso i luoghi che accol-gono stabilmente le opere dello scultore nella città dalla quale, in un’ottica peral-tro estranea ai localismi perché aperta sui grandi e universali temi della condi-zione umana, sempre sono salpati i suoi navigli che hanno raggiunto approdi

lontani e disseminati nella geografia e nelle culture del mondo. Si capisce bene la ragione per cui gli istituti di Ancona (Comune, Camera di Commercio, Banca delle Marche, Unipol Assicurazioni) oggi riconoscano in Trubbiani l’artista che meglio ha saputo rappresentare lo spirito di una terra e di una gente, promuoven-do e sostenendo questa che appare, sin qui, la più articolata e completa ribalta e rappresentazione del suo lavoro certo calato nelle sottese e ansiose frizioni, non già nelle effimere mitofanie del suo e nostro tempo.Curata assieme al catalogo (Silvana Edi-toriale) da Enrico Crispolti che di Trubbiani è il maggiore e più assiduo conoscitore, la mostra si intitola De rerum fabula (La favola delle cose o anche, con perifrasi estensiva, Intorno alla visionaria “legen-da” della cose). È un’evidente parafrasi del lucreziano De rerum natura (La natura delle cose), il poema filosofico nel quale più lucidamente il mondo antico ha sapu-to esprimere, nella dimensione visionaria dell’arte, lo sguardo analitico ordinatore e la mente riflessiva e divinatrice aperta allora, come nel nostro tempo ha saputo fare Valeriano Trubbiani, sulla complessità del reale che include la vicenda umana.

TEXT Nicola Micieli

Ancona - Valeriano Trubbiani

De rerum fabula

Macchine belliche, 1965

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VAlERIANO TRubbIANI - DE RERum fAbulA20 OTTObRE 2012 - 17 mARzO 2013

Museo Tattile Statale Omero - Mole Vanvitelliana - Banchina G. da Chio, 28 - Ancona Tel. 071 2811935 - 071 2225031

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Orari: dal martedì a sabato 16.00 - 20.00, domenica 10.00 - 13.00 - 16.00 - 20.00 - Chiuso lunedì 25 dicembre 2012 e 1 gennaio 2013

Ractus, ractus: stato d’assedio, 1976-1979

Ractus, ractus: stato d’assedio, 1976-1979

Aruspici, 1968-1974 Stato d’assedio, 1971-1972

Il silenzio del giorno, 1979

Le morte stagioni, 1973 T’amo pio bove, 1976-1978

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l’oro, l’incenso e la mirra, sono identificati da San Giovanni Crisostomo come simboli di scienza, d’amore e d’obbedienza.

Le icone della Natività a Peccioli

sacrolo splendore del

TEXT Irene Barbensi

Otto piccoli presepi da ammirare in un’atmosfera raccolta per vivere il Natale nella tradizione cattolica

e ortodossa, in mostra da domenica 2 dicembre a domenica 6 gennaio presso il Museo delle Icone Russe di Peccioli. Un momento per conoscere come due diverse tradizioni celebrano e raccontano la nascita di Cristo, attraverso lo studio di un’iconografia che si formò essenzialmen-te già nel periodo paleocristiano e poi si è sviluppata nei secoli e le cui fonti principali sono i Vangeli di Luca, di Matteo e testi apocrifi, come Protovangelo di Giacomo e Vangelo di Pseudo Matteo, alla riscoperta delle comuni radici spirituali. Le prime raffigurazioni della Natività di Cristo, risalenti al IV sec., si trovano nelle catacombe di San Sebastiano a Roma. A differenza delle immagini più tarde, nei monumenti paleocristiani la scena viene presentata sotto una sorta di tettoia, dove la Vergine sta seduta accanto al neonato Gesù. Quest’ultimo dettaglio esprime la concezione, spesso sottolineata dai Padri della Chiesa e poi ripetuta nei Cetji Minei di Dmitrij di Rostov, del parto miracoloso dopo di cui Maria non aveva bisogno di riposo. Nell’iconografia bizantina l’evento si svolge dentro una grotta, con la stella di Betlemme sopra al centro, la Madre di Dio sdraiata e San Giuseppe seduto accanto. Il nucleo principale della compo-sizione spesso viene accompagnato dagli angeli glorificanti il Signore, dal bagno del Bambino, dalle scene dell’Annunciazione ai pastori, del viaggio e dell’Adorazione dei re magi. Se gli episodi con gli angeli, pastori e magi sono tratti dai Vangeli, l’origine del lavaggio di Cristo Bambino rimane sco-nosciuta. Sappiamo soltanto che la prima volta questo soggetto apparve nell’arte occidentale nell’Oratorio di Giovanni VII a Roma (fine VII - inizio VIII sec.) e poi a partire dal VIII sec. viene riprodotto nei manoscritti bizantini. Tra i personaggi solitamente presenti nelle raffigurazioni della Natività di Cristo il più enigmatico è il vecchio, vestito di pellic-cia, che conversa con Giuseppe, uno dei pastori venuti ad adorare il Cristo oppure

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il diavolo che tenta Giuseppe mettendo in dubbio la verginità di Maria. Nella tradi-zione ortodossa nei sec. XV e XVI al tema della Natività si sovrapposero frequente-mente quello dell’Adorazione dei pastori e, ancor più spesso, quello dell’Adorazio-ne dei Magi, i tre principi d’Oriente che possiedono la Saggezza Divina e rappre-sentano l’inizio della Chiesa dei pagani. Nelle raffigurazioni i magi si presentano appartenenti alle tre categorie di età: vecchio, adulto e giovane e i doni offerti,

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TEXT Carla Cavicchini

mentre gli altri paesi danno fino al 3%. Lo stato dovrebbe essere in primis, altri-menti risulta molto difficile mantenere il nostro patrimonio. Ed è proprio questo per cui mi batto: non solo non viene capita tale importanza, ma soprattutto non sanno investire. Vede, se in giro ci fossero meno automobili, anche stra-niere, meno autisti, insomma, meno lussi per le classi dirigenti, ci sarebbero meno sprechi e quindi più moneta. Pensiamo inoltre anche alle bellezze paesaggisti-che e qui ripeto, come ho detto prima al convegno, i privati vanno incoraggiati anche dallo stato.Quindi a monte regna una grande igno-ranza? Pausa. Mi guarda. Mi chiedo se ho formulato male la domanda, in real-tà pensa tirando fuori quella cadenza francese che è parte del suo modo di essere.È pirandelliano questo fatto, incompren-sibile. La parola cultura non esiste nelle campagne elettorali; io sono presidente della fondazione “Mecenate 90” e insie-me abbiamo fatto un manifesto firmato da 1.500 persone chiedendo nelle cam-pagne elettorali di sensibilizzare quello che le sto dicendo. Bene, mi auguro che uno di questi partiti, questi ‘big’, fac-ciano qualcosa per il nostro Belpaese, poiché non si vive solo di Pil, di tasse e altro ancora.Tombaroli. Ci sono e depredano portando a galla cose preziosissime, anche molto oro di origine etrusca. Penso ci sia molta legge-rezza in merito in quanto esiste, seppur in anonimato, chi racconta poi dei regali alla moglie, oppure della rivendita del malloppo. Abbiamo un reparto carabi-nieri destinato ai beni culturali più che eccellente.Ma, i giornali parlano d’altro…Appunto, ogni tanto dovrebbero dare anche buone notizie. Adesso se permet-te…Beh… volevo chiederle qual è la zona artistica di Firenze che predilige e poi…Firenze!Scappa scendendo le ampie scale come uno scoiattolo: spero che venga colpito dalla Sindrome di Sthendal!

La competenza innanzi tutto e dopo il denaro, altrimenti è come costruire una statua a metà. È questo in sintesi

il pensiero di Alain Elkann, distinto ed elegante signore – soprattutto nei modi – presidente tra l’altro della Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino. Seduto in quel di Palazzo Vecchio durante il convegno “Mercato, collezionismo e musei in Italia e all’estero”, organizzato in occasione di Florens 2012 - Biennale Internazionale dei beni

culturali e ambientali - nel suo consueto “aplomb” spiega che anche in una città ricca d’arte come Firenze ci vogliono persone giuste per capire l’importanza di tali beni. «È fondamentale avere il sapere nonché anche una buona energia: vanno bene le fondazioni museali, anche quelle statali, l’importante è ben costruire portando avanti un percorso rigoroso, e poi, è innegabile, i soldi sono indispensabili. Purtroppo - prosegue - spesso la cultura viene delegata a chi ne sa veramen-

te poco, e il nostro paese opera in maniera troppo limitata: ricordo

De Gaulle - grande statista - che invece aveva un occhio attento in proposito e qui mi soffermo dicendo che a

Torino, città dove vivo, ci sono collezionisti sempli-cemente straordinari».Roma. Roma è moderna, ha tutto, ma è un millefo-glie di stratificazione di tutte le epoche; tanto

per portare un esempio, ci sono anche opere di

Renzo Piano a dimostra-zione che lì tutto convive. Personalmente - termina - ci vorrebbe un unicum tra

stato, privati e non solo; quan-to alle donazioni, avvengono, per fortuna, l’importante però

è farne buon uso sapendo dove finiranno le opere. Francamente

non sono così pessimista, direi fiducioso e penso che l’Italia si

adeguerà ai sistemi europei.Raggiungo l’inconfondibile figura

dal passo felpato mentre incontra l’uscita in compagnia di una bella

signora bionda: capisco che ha fretta.Arte e lavoro, lavoro e arte. L’uno salva

o potrebbe salvare l’altro. I musei hanno bisogno di personale, di orari più lunghi e quindi si potrebbero impiegare per-sone che cercano occupazione. Penso a Napoli, ma anche ad altre città gioiello…

È tutto molto semplice: l’Italia desti-na uno 0,18% per i beni culturali,

Alain Elkann

senza confinirA et

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TEXT Irene Barbensi

il

Smartphone e Qr Code

In questa fase iniziale la sperimentazione ha coperto a Peccioli il Museo archeolo-gico, con una copertura totale per tutti i reperti e 23 opere conservate presso il Museo delle Icone Russe “F. Bigazzi”. Sabato 15 dicembre alle ore 10.30 è stato presentato all’interno del Museo Archeologico il progetto con gli interven-ti del Sindaco di Peccioli, Silvano Crecchi, di Lucia Ciampi, Sindaco di Calcinaia e Presidente dell’Unione Valdera, Igor Rossi della Digitech, responsabile informatico dei progetto Qr Code nei musei, Elisa Parenti, referente per la Rete Museale Valdera dei Progetti didattici. La giornata è proseguita con dimo-strazioni guidate all’esplorazione delle opere conservate all’interno del Museo Archeologico e del Museo delle Icone Russe “F. Bigazzi”.Al progetto hanno aderito oltre ai Musei di Peccioli, il Museo Piaggio “Giovanni Alberto Agnelli”, le realtà museali dei Comuni di Bientina, Capannoli, Casciana Terme, Fauglia, Lari, Palaia, Ponsacco e Pontedera. Il progetto è stato sostenuto dalla Regione Toscana nell’ambito dei progetti PIC 2011 e 2012.

Con questo obiettivo e nella con-vinzione che il museo contem-poraneo, da semplice sistema di

comunicazione, è diventato luogo d’in-contro, che trasforma l’utente da ricetto-re passivo a interlocutore e fruitore dei servizi offerti dalla struttura, è stata avvia-ta una fase sperimentale presso alcuni Musei della Valdera, che consentirà ai

visitatori muniti di smartphone o di tablet 3G (ipad od altri) di conoscere diretta-mente gli oggetti museali. Un dialogo possibile grazie a una serie di QR Code (codici “Quick Response”), non una visita guidata ma un’azione didattica suppor-tata dalle tecnologie mobili di ultima generazione. Attraverso il Qr Code l’ambiente museale diventa interattivo: la tecnologia consen-tirà di scaricare sul proprio smartphone o tablet tutte le informazioni (foto, video, testi) che accompagnano gli oggetti, rac-contandone la storia, e che non sarebbe

possibile inserire in una semplice didasca-lia. Basterà scaricare l’applicazione dispo-nibile sui principali smartphone, avvicinare lo schermo al codice e caricare i contenuti relativi all’opera da conoscere.

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L’11 novembre si è conclusa la secon-da edizione di Florens - Biennale Internazionale dei Beni Culturali e

Ambientali - registrando oltre 10 mila visi-tatori alle conferenze, alle tavole rotonde e al Forum Internazionale: il pubblico, composto da studiosi, esperti, studenti e da comuni visitatori, ha partecipato numeroso e con evidente interesse.Per nove giornate Firenze si è trasfor-mata in una capitale dei beni culturali e ambientali, animando, con eventi spet-tacolari, gli spazi pubblici. Il punto culmi-nante è stato raggiunto con la ostensio-ne, nel Battistero, dei tre crocifissi lignei scolpiti rispettivamente da Michelange-lo, Brunelleschi, e Donatello, ammirati da oltre 25 mila visitatori. Nella vicina piazza Santa Croce un altro episodio di forte richiamo è stata l’esposizione della monumentale croce di Mimmo Paladino. La Fondazione nasce dall’esperienza di Florens 2010 che rese Firenze un labo-ratorio internazionale di economia dei beni culturali e ambientali con oltre 150 appuntamenti per 372 relatori giunti da tutto il mondo. Novemila gli iscritti ai convegni e alle Lectio Magistralis. Gli appuntamenti in calendario attirarono circa 200 mila partecipanti, ottenendo 1.830 uscite mediatiche: dall’Huffington Post a tutte le principali testate giornali-stiche nazionali e internazionali. Scopo della Fondazione Florens è quello

TEXT Domenico Savini

di promuovere la conoscenza e lo svilup-po dell’economia nel settore dei beni culturali e ambientali, dell’industria crea-tiva e della produzione culturale, svolgen-do un ruolo propulsivo secondo logiche nuove, utili per la crescita economica del Paese. Perciò la Fondazione si fa porta-voce di una nuova visione dello sviluppo economico, considerando la cultura e il paesaggio non una spesa improduttiva, bensì un investimento indispensabile per la crescita di ogni settore produttivo. La Fondazione prevede un appuntamen-to biennale, durante la Settimana dei Beni Culturali e Ambientali e specificatamente nel Forum Internazionale, con i rappresen-tanti dei governi e le principali istituzioni culturali nazionali e internazionali. Insie-me, saranno affrontati i temi del recupero, restauro e fruizione dei beni culturali, della tutela del paesaggio e della promozione di interventi progettuali, esaltando inoltre le tematiche inerenti il “saper fare”, come l’artigianato e l’enogastronomia. Sarà una piattaforma ideale per gettare un ponte tra la dimensione locale e quella globale, candidando Firenze a città leader a livello mondiale per l’economia della cultura. Con i Soci Fondatori - Intesa Sanpaolo, Banca CR Firenze, Confindustria Firenze, CNA Firenze e APPS -, la Fondazione può vantare tra i suoi sostenitori molti nomi

d’eccellenza. Tra questi: gli attuali ministri Corrado Passera e Corrado Clini, il sotto-segretario Roberto Cecchi e il Cardinale di Firenze Giuseppe Betori, che pronta-mente hanno condiviso il progetto. «Al di là del risultato ottenuto - ci spiega Giovanni Gentile, Presidente di Florens -, testimoniato dalla numerosa partecipazio-ne del pubblico, ciò che mi ha dato mag-giore soddisfazione è stato il ruolo rappre-sentato dal Palazzo della Signoria, che per tutto il periodo della manifestazione è diventato “la casa di tutti”, dove chiun-que poteva entrare liberamente e sen-tirsi a casa sua. Molto interessanti, ad esempio, sono state le Lectio Magistralis come quella di Paolo Pejrone sui giardi-ni, o quella di Gaetano Pesce intitolata Qualità della vita è cultura, entrambe svolte nella solenne cornice del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Altamente intenso e commovente è stato l’intervento di Enzo Manes, presidente della Fondazione Dynamo Camp, la gran-de struttura che accoglie come centro di vacanza bambini malati e le loro famiglie. Desidero infine ringraziare personalmen-te Niccolò Manetti, direttore generale della Fondazione Florens e tutti i suoi col-laboratori, per essersi concretamente e alacremente impegnati nello svolgimento dei loro compiti».

Florens 2012

lacasaditutti

Giovanni Gentile

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APPuNTAmENTI CON l’ARTE

comunicano valori universali di ricerca e sviluppo, di assunzione di responsabilità nei confronti della società. Lo spazio delimitato dalle banconote si propone come una zona di riflessione, di ascolto dei propri desideri.In una stanza si collocano diciotto sfere di vetro che costituiscono l’installazione Mezzi per l’intensificazione del senso per la rico-struzione poetica del mondo. Essa è inspi-rata alla trilogia “Sfere” del filosofo tede-sco Peter Sloterdijk, in cui gli “spazi della co-esistenza” e le scoperte tecnologiche creano una realtà ibrida. Sloterdijk riflette sull’espansione del mondo e sulla poetica del plurale (rappresentata dalla schiuma, in questo caso evocata dalle sfere) con la proposta della creazione di una “costituzio-ne ontologica” che include tutti gli esseri - umani, animali, piante e macchine.Ad una visione più ravvicinata, e dipenden-te dalla posizione di chi guarda, le sfere rivelano un disegno che cambia a seconda dei punti di vista.

Daniela Pronestì nel testo critico che accompagna il catalogo. Quel che conta per lui è vedere ogni cosa nella sua verità, decantare il virtuosismo tec-nico in una forma semplificata e più vicina al suo sen-tire, dimenticare i cori dei consensi per essere libero, sempre libero, di tentare strade nuove. Perché niente è più difficile che essere artista col cuore e con la carne…»La mostra contiene più di quaranta opere, realizzate su tavola, su carta, su lattice e plexiglas, con encausti, e sculture in legno, terracotta e metallo.

IRENA lAGATOR PEJOVIC - Santa Croce sull’Arno

È stata inaugurata sabato 24 novembre alle ore 18.30 presso il Centro Espositi-

vo Villa Pacchiani di Santa Croce sull’Arno, la mostra Società a responsabilità limitata (S.r.l.), un’iniziativa del Comune di Santa Croce sull’Arno, Assessorato alle Politiche ed Istituzioni Culturali con la sponsorizza-zione di Ministry of Culture of Montenegro, curata da Ilaria Mariotti. Nel percorso di mo-stra vengono utilizzati materiali che proven-gono dal mondo economico e che appartengono alla vita quotidiana: rotoli di scontri-ni prodotti dai registratori di cassa di un supermercato vengono disposti e lavorati a costruire una grande città; dal soffitto pendono colon-ne di scontrini, che vengono srotolati progressivamente dai visitatori - quasi colonne di un’architettura in progres-siva rovina - che riportano va-lori immateriali, intrusi e per i quali non ci aspetteremmo di dover pagare un prezzo (Automatismo della società a responsabilità limitata); stampe (realizzate con la tecnica dell’algrafia, simile nel processo alla litogra-fia ma che utilizza l’alluminio come suppor-to) in cui una moltitudine di piccole figurine umane variamente atteggiate si situano in una griglia quadrettata (Società della co-esistenza pacifica).

Quale tipo di spazio o assemblaggio può rendere questa co-esistenza possibile? Che cosa si realizza con questo tipo di spazio? Quale tipo di politica si pratica in questa società? È possibile la pratica della coesistenza pacifica? Come e con quali azioni stiamo costruendo la collettività? In cosa consiste la collettività oggi? Come la comunicazione contribuisce alla de-forma-zione della società e dello spazio?

In Installazione per aumentare il senso di responsabilità, una serie di banconote serbe con il ritratto dello scienziato Nikola Tesla (1856-1943), serbo e naturalizzato statuni-tense, i cui studi costituiscono le premesse per il sistema elettrico a corrente alternata, va a costruire una sorta di piccola camera: le banconote sono sì una convenzione ma

PER CONTINuARE A SENTIR SE, lA DONNA - Colle di Val D’Elsa

È un universo femminile dai tanti volti, quello che attraverso la sperimentazione

e la creatività compone la nuova personale dell’artista Giovanni Maranghi, in mostra dal 23 novembre 2012 al 10 gennaio 2013 a Colle di Val d’Elsa (Siena) presso Senzalimite Arte, al numero 53 di via Garibaldi. Il nuovo spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea e dintorni che dopo il suc-cesso della collettiva L’esercito marciava, ospita la raccolta di opere che va sotto il titolo di Per continuare a sentir se, la donna. L’esposizione è curata da Angela Corsi che ha firmato anche l’introduzione al catalogo, che è di Daniela Pronestì, autrice del testo critico. Le traduzioni sono di Erika Becchi. Le foto di Tommaso Maranghi. La mostra si svolge con il patrocinio del Comune di Colle di val D’Elsa. L’iniziativa avrà uno spazio speciale in “Incontri con l’Arte”, la trasmissione tv con-dotta da Fabrizio Borghini su Toscana Tv. «Quello delle donne di Maranghi – spiega Angela Corsi – è un universo femminile in movimento. Movimento espresso attraverso le mani e i piedi, attraverso quelle posizioni in fondo così naturali e meravigliosamente normali. Le forme, le pose, i sorrisi sottoline-ano carattere, determinazione e allo stesso modo dolcezza e sensualità. Sono donne che non aspettano, fanno, non sembrano, sono»

Il titolo della mostra è nato per caso da una domanda che la Corsi ha fatto a Maranghi: «Ti va di fare la prima personale della gal-leria?». Lui l’ha guardata e ha detto: « ...Te la senti?». E lei: «Certo!!! Perché bisogna continuare a “sentirsela”, sempre». Un aned-doto legato a questa frase ha fatto il resto ed è nato così il titolo per questa bellissima avventura, con un sorriso, con un grande, grosso, perpetuo sorriso alla vita. «Una pittura tutta nuova quella di Maranghi, senza essere rivoluzionaria - sottolinea

Giovanni MaranghiPer continuare a sentir se, la donna

23 novembre 2012 - 10 gennaio 2013ore 10.00-19.00 dal martedì al sabato

Senzalimite Arte - via Garibaldi, 53Colle di Val D’Elsa - Siena

Irena Lagator Pejovic. Società a responsabilità limitata (S.r.l.)

24 novembre - 23 dicembre 2012ore 17.00-20.00 dal giovedì alla domenica

Villa Pacchiani - Centro Espositivopiazza Pier Paolo Pasolini

Santa Croce sull’Arno

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Promozione. Dieci giovani molto promet-tenti sono stati ospitati in Toscana e hanno partecipato ad un workshop di informazio-ne, studio e sperimentazione sulla pelle conciata al vegetale. Il tutor del progetto ha presentato il professore del Bunka Fashion college di Tokyo, il Sig. Miyahara, ed i due giovani designer giapponesi partecipanti a Craft The Leather 2012, Ryosuke Kojima e Tomoki Maruoka. Lo studente giappone-se, Ryosuke Kojima, è stato premiato dal vice presidente del consorzio, Leonardo Volpi, per la sua collezione di borse che “si accendono”, la collezione più votata dal pubblico di Lineapelle di ottobre.Grande successo ha destato anche l’inter-vento effettuato dal fotografo e curato-re dell’immagine del Consorzio, Oliviero Toscani, che ha presentato in questa occa-sione, per la prima volta in Giappone, il progetto RAZZA UMANA.

il Museo Nazionale di Arte Orientale (Roma), ma un contributo significativo verrà anche dai musei Guimet e Cernuschi di Parigi, dai Musei Vaticani e dal Musée d’Art et d’Histoire di Saint-Denis. Gran parte degli specchi in mostra saranno presentati al pub-blico per la prima volta in assoluto. Il catalogo che accompagna la mostra, edito da Silvana Editoriale, è frutto degli sforzi congiunti di studiosi internazionali e si presenta come la pubblicazione più completa e aggiornata sugli specchi della Cina disponibile in lingua italiana. Raccoglie i contributi critici di Marco Guglielminotti Trivel, curatore della mostra e conservatore per l’Asia Orientale del MAO; di Ma Jinhong, conservatore per i manufatti in bronzo del museo di Shanghai; di Marcello Pacini, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Torino Musei; di Gilles Béguin, già Direttore del museo Cernuschi di Parigi e di Aurora Testa, docente di Arte Orientale alla Western Washington University.

APPuNTAmENTI CON l’ARTE

QuESTIONI DI PEllE - Tokyo

Lo scorso 15 novembre Il Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale ha

presentato all’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, Questione di Pelle, una giorna-ta interamente dedicata alla pelle con-ciata al vegetale in Toscana. L’attesissimo evento, organizzato in collaborazione con l’ufficio ICE di Tokyo, ha saputo coniuga-re prodotto e cultura, contenuto moda e Italian lifestyle.Nella giornata dell’Exhibition Hall, i par-tecipanti hanno potuto ammirare la sce-nografica installazione curata dal famoso fotografo italiano Oliviero Toscani: un labi-rinto di pelli conciate al vegetale, rappre-sentative delle nuove collezioni autunno-inverno 2013/2014. Al centro del labirinto si scoprono le interessanti collezioni dei giovani designer che hanno partecipato al progetto Craft The Leather 2012. Al seminario informativo hanno assistito oltre 400 operatori del settore, mostran-do un grande interesse per la pelle con-ciata al vegetale. Dopo i saluti di rito del Vice-direttore ICE di Tokyo, è inter-venuto il Vice-Presidente del Consorzio, Massimo Boldrini, salutando i presenti e introducendo i vari argomenti; mentre il consigliere del consorzio, Paolo Testi, ha parlato del marchio Pelle Conciata al vege-tale in Toscana e delle attività di tutela, di garanzia del consorzio. In seguito il Vice-presidente del Consorzio Leonardo Volpi, presenta la Pelle conciata al vegetale:

conosciamola per apprezzarla, un interes-sante studio scientifico condotto dal con-sorzio in collaborazione con PO.TE.CO., Polo Tecnologico Conciario, e Stazione Sperimentale per l’Industria Pelli di Napoli, sulle caratteristiche tecniche della pelle conciata al vegetale. Lo studio ha analizza-to alcune caratteristiche fondamentali della pelle al vegetale, fra cui il cambiamento del colore con l’uso e l’esposizione alla luce, le resistenze tecniche, la eco-compatibilità del materiale.Il tutor del progetto Craft The Leather 2012, Diane Ellen Becker, ha illustrato il progetto di formazione per giovani aspi-ranti designer delle più prestigiose scuole di moda internazionali, lanciato quest’anno dal Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale, in collaborazione con Toscana

RIflESSI D’ORIENTE - Torino

Forse nessun altro oggetto artistico della Cina riesce a racchiudere meglio dello

specchio la storia delle concezioni esteti-che e cosmologiche, lo sviluppo dei motivi decorativi ed iconografici, gli interessi e le aspirazioni della società cinese di ogni epoca. Questi oggetti di uso pratico e rituale, carichi di implicazioni magiche e simboliche, ebbero grande diffusione nei paesi circonvicini grazie alla tecnica eccellente della loro fusione, alla bellezza e al mistero delle decorazioni raffigu-rate sul retro della faccia riflettente.La mostra organizzata dal Museo d’Arte Orientale, la prima del suo genere in Italia,

intende far conoscere al grande pubblico il fascino e l’importanza di questi capolavori di tecnica metallurgica; intende presentare una panoramica ragionata sui significati dello specchio in Asia orientale e sul valore cultu-rale e artistico delle ricche raffigurazioni che ne ornano la faccia ‘nascosta’. Sulla superficie metallica - solitamente bronzea - del manu-fatto, i suoi ideatori e gli esecutori materiali hanno infatti condensato visioni cosmologi-che, simbologie più o meno arcane, conce-zioni estetiche che incarnano aspirazioni e auspici della società in un determinato perio-do storico. Forse nessun altro oggetto riesce a rappresentare in maniera così chiara e sinte-tica le tappe della cultura e dell’arte estremo-orientale nello spazio e nel tempo. Nucleo centrale della mostra e oggetto principale di attenzione saranno gli specchi prodotti in Cina tra il periodo degli “Stati Combattenti” e la fine della dinastia Tang, ovvero dal V secolo a.C. al X secolo d.C. ca.: questi 1500 anni corrispondono infatti al periodo di mag-giore sperimentazione e di maggior interesse artistico-culturale nei confronti dello specchio in Asia orientale. Potrà contare su circa 125 specchi, buona parte dei quali fanno parte di una importante collezione privata torinese. Il MAO contribuirà con alcuni pezzi della sua collezione. Il prestatore più importante in termini di numero degli specchi concessi sarà

Riflessi d’Oriente 2500 anni di specchi in Cina e dintorni

23 novembre 2012 - 24 febbraio 2013ore 10.00-18.00 dal martedì alla domenica

MAO Museo d’Arte OrientaleVia San Domenico, 11 - Torino

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La mostra illustra un perio-do prolifico per la cultura

capitolina grazie all’operato messo in essere da Traiano, Adriano, Antonio Pio, Marco Aurelio, figure dedite all’arte e alla filosofia, tessitori di un delicato equilibrio tra le varie componenti la società roma-na, artefici di una politica vo-tata alla tranquillità, grazie alla quale l’Urbe viene proiettata in una dimensione dove regnano nuovi codici artistici, il bello, usi e costumi importati dall’impe-ro. Una inaspettata libertà im-pregna l’individuo, spronato dal suo imperatore, a sua volta, dedito ad una esistenza fatta di politica, potere, responsabilità, ma addolcita dal fasto, dal sa-

pere, dalle mode. L’eleganza dominante la scultura creata in tale periodo trasmette una armonia conquistata grazie alla consapevolezza del vivere “felicia tempora”, così statue, fregi, ritratti, pavimenti, arre-damento domestico, sepolcri, accessori di guerra, giocattoli, raccontano l’arte romana fatta di purismi innovativi e grecismi rivisitati. I protagonisti, il lin-guaggio artistico, ville e dimo-re, rilievi storici, vincitori e vinti, tombe, costituiscono le sezioni caratterizzanti l’esposizione, le quali permettono al visitatore la comprensione di un’epoca votata alla creatività artistica, al commercio, alla crescita eco-nomica. Fauno in Rosso Anti-co, Centauro anziano, Faustina minore, Sarcofago con amaz-zonomachie, Statua di Hermes, preziosi corredi funebri, rap-presentano alcune meraviglie presenti in mostra.

sente in mostra. Cresciuto in una realtà dedita alla industria tessile, lo stilista si impone nel panorama internazionale grazie a quelle peculiarità le-gate al gioco, all’ottimismo, al piacere, che caratterizzano le sue creazioni insieme alle im-mancabili paillettes, elemen-to distintivo legato indissolu-bilmente al marchio. Arguto conoscitore di stili, anticipa-tore di tendenze, scopritore di giovani promesse, Enrico lancia Claudia Schiffer e Na-omi Campbell, crea originali accessori, profumi, make up, contatta i migliori fotografi per immortalare i suoi splen-didi capi: ecco, tutto questo rappresenta il mondo Coveri e la mostra di Prato ha saputo coglierne la genialità.

Doveroso tributo ad un pratese verace, la mostra

ripercorre le tappe di colui che ha rivoluzionato la moda a partire dagli anni settanta. Il percorso espositivo accoglie inediti relativi ad abiti, bozzet-ti, storybord, video, fotografie, copertine dedicate ad Enrico, selezionati da Ugo Voli, Mar-tina Corgnati, Luigi Salvioli, tra i ricordi in possesso della Maison. Una passione coltiva-ta dallo stilista, ma forse poco conosciuta, era l’amore per l’arte contemporanea, non a caso la sua ricca collezione decora le sue abitazioni priva-te: la nutrita rappresentanza, tra cui citiamo il ritratto realiz-zato da Andy Warrol, arricchi-sce il prezioso materiale pre-

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MILANO

Intesa San Paolo completa la visibilità delle sue collezioni,

intrapresa lo scorso anno, alle-stendo le opere relative all’ulti-mo Novecento presso Palazzo Beltrami. L’arte italiana domina sull’intera raccolta grazie a fo-tografie, sculture, dipinti, rac-contando lo spaccato culturale di una nazione in pieno fervore creativo. L’astrazione, l’informa-le, la sperimentazione formale e tecnologica, popolano le sale al primo piano sistemate presso la nobile dimora mila-

dal 25 ottobre2012

24 ottobre2012

18 gennaio2013

4 ottobre20125 maggio2013

l’arte intorno a tea cura di Carmelo De Luca

nese, imprimendo alle opere una configurazione diversifica-ta nella rappresentazione della società e dell’uomo grazie, an-che, ad una espressività carica di forza innovativa. 189 opere raccontano le variegate ten-denze partorite nelle principali città nostrane, dando lustro e notorietà alla cultura italiana. Aiutato da avveniristici supporti multimediali, il visitatore può approfondire la sua opera pre-ferita ma, anche, studiare la re-lativa corrente artistica. Appar-tenuto alla Banca Commerciale Italiana, l’edificio possiede uno storico caveau trasformato in luogo per le esposizioni future, ma le sorprese non sono fini-te! Grazie a Civita, gli studenti usufruiscono di aule didattiche, visite guidate, itinerari tematici, estesi alle altre collezioni inau-gurate nel 2011. Caffetteria e bookshop completano il varie-gato complesso delle Gallerie d’Italia, un cantiere pulsante in continua evoluzione.

PRATO Auditorium Camera di CommercioVia del Romito 71

Musei Capitolini Piazza del Campidoglio

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Palazzo BeltramiPiazza della Scala 6

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3 aprile1 luglio2012

La mostra bolzanina ospita la grande pittura prodotta

dal maestro, il cui ricavato sarà destinato alla sua Cento, dura-mente colpita dal terremoto, dalla quale provengono dieci magnifiche opere. Guercino ha saputo esprimere il reale utilizzando luci e ombre, dif-ferenziandosi dal Caravaggio che, invece, si serve delle me-desime per potenziare la di-namicità rappresentativa della sua opera. La sua passione per il vero è particolarmente chia-ra nei dipinti riguardanti la na-tura e la vita nei campi, dove le scene sono fresche, delica-te, libere da condizionamenti. L’esposizione ripercorre l’evo-luzione artistica del pittore durante la prima permanenza nella città natia, influenzata da richiami alla scuola ferrare-

se, e quella relativa al ritorno in patria, dopo il periodo ro-mano, caratterizzata da colori leggeri esaltanti la classicità di tutte le sue composizioni. Il cromatismo rappresenta un riferimento nell’operato del Guercino, non a caso le tinte predominanti sono delicate, assortite, ricercate, così l’effet-to finale della creazione risulta essere una originale esaltazio-ne della luce in mezzo a pochi scuri posizionati ad hoc per tale finalità. Le tele in mostra richiamano il sacro legato alle apparizioni o alle visioni, tema carissimo al pittore, messe a confronto con l’unica grande opera posseduta da Bolzano, La Visione di Soriano, prove-niente dalla Chiesa dei Do-menicani. I dipinti dei nipoti Cesare e Benedetto Gennari completano il percorso espo-sitivo dal forte impatto visivo. G

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Un evento unico espone i maggiori rinvenimenti

archeologici, avvenuti in Italia Settentrionale, riconducibili all’età del rame caratterizzata da grandi cambiamenti per l’uomo grazie all’introduzione della ruota, aratro, metallur-gia utilizzante il rame, agri-coltura, allevamento. I reperti venuti alla luce nel bresciano, basti menzionare la necropoli di Remedello Sotto, rappre-sentano alcune testimonianze presenti in mostra, ma le sor-prese per i cultori non sono finite! Le iscrizioni rupestri re-perite in Valcamonica, statue, menhir, steli, composizioni legate all’arte rupestre, riem-piono il percorso espositivo rendendo agevole la com-prensione di un periodo dove le nuove concezioni religiose, il culto per gli antenati, la rap-presentazione antropomorfi-ca della divinità, prendono

il sopravvento insieme a un primordiale senso di apparte-nenza alla razza indoeuropea. I ritrovamenti avvenuti pres-so il giogo di Tisa, al confine con l’Austria, arricchiti da una fedele riproduzione relativa all’uomo del Similaun, dai ri-sultati scientifici condotti sulla mummia, dal confronto tra gli utensili ad esso appartenuti e quelli caratterizzanti la cultura di Remedello, rappresentano fonti preziose per studiosi e curiosi. Tipologie diverse di sepoltura, oggetti utilizza-ti per la caccia e per la casa, suppellettili, concludono la mostra.

Quattro sezioni permetto-no il confronto tra due

grandi maestri nelle tematiche inerenti il sacro, la mitologia, la storia antica. Per l’occasio-ne, preziosi dipinti provenienti da Francia, Scozia, Germania, istituzioni nazionali, riempiono le sale supportate da disegni e bozzetti, nei quali si legge l’operato creato dal Veronese insieme alla originale rilettura artistica elaborata dal Tiepolo, suo ammiratore, particolar-mente evidente nella com-posizione spaziale, figurativa, particolaristica. La fulgida lu-ce insita nella interpretazio-ne scenografica della natura, nelle architetture dominate da superbe prospettive, nell’opu-lenza decorativa, consente al Tiepolo l’uscita dagli schemi oscurantistici seicenteschi gra-zie all’utilizzo di tinte purissime creanti un gioco luci-ombre colorato e innovativo. Il senso plastico plasmante le figure, ma anche la predilezione per la pittura dedicata allo scorcio, animano le grandi tele realiz-zate dal Veronese, producen-do una letteratura legata alla scenografia, all’opulenza per i

26 gennaio2012

15 maggio2013

17 novembre2012

1 aprile2013

11 novembre201224 febbraio2013

5 dicembre201227 gennaio2013

particolari, alle ambientazioni affollate, accuratamente stu-diata dal suo grande estimato-re veneziano. Di quest’ultimo maestro, Udine accoglie il Ri-trovamento di Mosè nella sua interezza e la copia esistente presso la Staatsgalerie di Stoc-carda, messo a confronto con il Mosè Salvato dalle Acque del Veronese. Il Ratto d’Euro-pa, l’Adorazione dei Magi, le Cene e i Banchetti, comple-tano le tematiche oggetto di confronto tra due grandi nella storia dell’arte mondiale.

L’amore per l’arte rappre-senta la nobile causa che ha

permesso a Monte dei Paschi e Fondazione Banca Agricola Mantovana l’acquisizione di ca-polavori, in parte esposti pres-so il blasonato palazzo gonza-ghesco. Nuovi stili, mode, scuole, idee, caratterizzano il Novecento, ravvivando il pa-norama nazionale proiettato verso un arricchimento legato alla nascente comunicazione di massa. Del Novecento l’istitu-zione senese possiede autenti-ci capolavori, basti menzionare quelli legati al vigoroso natu-ralismo fiorentino plasmante le opere realizzate da Viani, Rosai, Soffici, allo scambio cul-turale tra Tozzi e Severini con

l’ambiente parigino, alla scuola romana decantata dallo studio-so Maurizio Fagiolo e, ancora, magnifiche opere realizzate da Carrà, Carena, De Pisis, Moran-di. L’ultimo ventennio del XX secolo vede Monte dei Paschi in prima fila nel promuovere l’arte, a cavallo tra le due guer-re, mediante l’acquisto di capo-lavori italiani aperti agli ambien-ti internazionali. Ne sono prova La Ciliegiara e La Limonara, opere in bronzo ideate da Li-bero Andreotti; l’Autoritratto di Carlo Socrate; la Natura Morta realizzata dallo scrittore Carlo Levi; i disegni su carta prodotti da Severini e De Chirico. In mo-stra, la Fondazione Banca Agri-cola Mantovana brilla di luce propria grazie a una blasonata rappresentanza, basti menzio-nare Ritratto della Moglie che Allatta la Figlia di Ugo Celada da Virgilio, La Merenda ai Con-tadini di Archimede Bresciani da Gazoldo, Il Minatore dipinto da Umberto Mario Baldassari, Mantova di Notte, interessante tela creata da Vindizio Noda-ri Pesenti, pittore sensibile al fascino legato al movimento postimpressionista.

Museo DiocesanoVia Gasparo da Salò 13

UDINE Castello - Galleria d’Arte AnticaVia Lionello 1

Palazzo MercantileVia dei Portici 39

Palazzo TeViale Te 13

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A soli 12 anni, Raffaello Martinel-li di Viareggio, soprannominato il “Bava” (1852-1936), si imbarcò sul

“Catone”, il brigantino goletta del padre Eugenio e in questo modo «finì per soddi-sfare la sua vera aspirazione, quella di un uomo libero che doveva soltanto assog-gettarsi alle leggi del mare, affrancato dai quotidiani soprusi domestici di una matri-gna che lo ignorava e da un padre autori-tario e villano, che provava un complesso di inferiorità per l’innata predisposizione del figlio nella navigazione a vela. Il mare fu dunque la sua via di fuga da un mon-do piccolo e banale verso una vita senza confini, contornata da puntuali avversità e sfortuna, ma anche da soddisfazioni pro-fessionali che ben pochi colleghi, Capitani di Gran Cabotaggio, poterono vantare» - così scrive Flavio Serafini, nel capitolo di La Flotta scomparsa dedicato al capitano viareggino1.L’innata predisposizione per la navigazione divenne con il tempo grande competenza nautica, e il Martinelli fu anche l’insegnante di tutti i marittimi viareggini privatamente e alla Scuola Tecnica, e fu interpellato per consigli e informazioni in altre città marina-re d’Italia. Le sue avventure fornirono ma-teria per il racconto Il Bava di Lorenzo Viani

che però ne riporta solo una parte, quella relativa al brigantino goletta “Polifemo”.Fisicamente il capitano aveva una statura gigantesca, una gran voce, folte ciglia, gli occhi vispi, il faccione lavorato dalla sal-sedine e ornato dalla barba “spinosa”. Era riconosciuto all’unanimità dai concit-tadini come uomo di onestà adamantina, padre e cittadino esemplare. Fu anche profondamente religioso. Fece parte del Terz’Ordine dei Servi di Maria di Viareg-gio e presiedette per lungo tempo la compagnia dell’Addolorata, fondata nella parrocchia di Sant’Andrea dal “Curatino” Sant’Antonio Pucci (1819-1892), uomo di Chiesa di scienza e carità straordinarie, canonizzato da Giovanni XXIII nel 1962. Nella sua stanzetta nella casa di via Ma-chiavelli, il capitano teneva l’immagine della Madonna dei Dolori - protettrice dei marinai -, dei Sette Santi Fondatori, dello stesso “Curatino”, della Madonna di Tra-pani e di sant’Antonio. La Madonna Addolorata, che era anche sua protettrice fino dall’infanzia, lo aiu-tò davvero il 12, 13 e 14 dicembre 1891 quando una violenta tempesta sorprese la goletta Nelly nell’Atlantico, mentre stava «scendendo da capo Finisterre» (Galizia). La scialuppa di salvataggio era perduta e

gran parte dell’alberatura era stata portata via dal furore del vento. Il Martinelli, non potendo raggiungere alcun porto, seppe però mantenersi in una posizione tale da evitare il naufragio, mentre l’equipaggio, di cui faceva parte un suo figlio di 13 anni e un suo nipote, era stato preso dal panico. Anch’egli era atterrito e si sentiva soste-nuto solo dalla fede che cercava di comu-nicare a tutti. Non contento di ciò si fece portare il quadro della Madonna Addolo-rata, e, davanti a Lei, in ginocchioni, chie-se la salvezza. «L’anima mia - come scrisse nelle sue memorie a tutt’oggi inedite - si sentì scossa e la mia persona toccata sul-la spalla come da una persona invisibile: subito dopo mi sentii rinfrancato e gridai a tutti di non sgomentarsi che ormai ogni pericolo era scomparso». Nelle manovre ordinate di seguito, «il bastimento che non mi serviva più tornò ad essere sensibile... e gettando parte del carico a mare» fu sal-vo e la navigazione «fu ripresa dopo tanti stenti, giungendo dopo qualche giorno a Plymouth, dove ci consideravano come naufragati»2.Allora quei “gusci di noce”, le navi a vela viareggine “di gran cabotaggio”, imbarca-vano sette-otto marinai, compresi capita-no, secondo e mozzi e trasportavano merci da o verso i porti italiani nel Mediterraneo, spingendosi di rado nell’Atlantico. Fu il Martinelli che, grazie alla sua abilità e nono-stante i mezzi inadeguati, superò più volte lo stretto di Gibilterra verso l’Inghilterra o ancora più a nord. Nel 1875 il “Catone”, carico di olio di oliva imbarcato a Catan-zaro, fu il primo bastimento viareggino ad arrivare a San Pietroburgo in Russia. Qui e nella sua città questa impresa fece molto scalpore e accrebbe la fama del giovane, che fu lodato anche dai capitani dei mari del Nord Europa.A quanto appare dalle memorie di Raffa-ello Martinelli, in tutte le navigazioni c’era sempre da tener conto del mutamento in peggio delle condizioni meteorologiche e nessuna sicurezza circa il loro buon esito. Affrontare i viaggi per mare pertanto signi-ficava esser muniti di coraggio, di passione e competenza… e di un po’ di fatalismo. Ciò non toglieva spazio nell’equipaggio allo spirito di condivisione e ad una certa

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TEXT Paola Ircani Menichini

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comune allegria. L’11 aprile 1879, Venerdì Santo, il “Polifemo” e il suo equipaggio partirono da Bona (Algeria) con un carico di sughero. Erano diretti – come scrive il Martinelli – «per il nostro destino». Il Saba-to Santo la nave ancorò e prese ormeggio sicuro a La Calle. Alle una del pomeriggio di Pasqua i marinai stettero «tutti in com-pagnia, benedicendo il Signore». E, riporta ancora il Martinelli, «si stette allegramen-te, ma però, per luogo di tavola, avevamo le seguenti cose, e cioè: costruimmo una specie di tavolino, tre pezzi di tavola di pino, sostenuti su due parabarche, i quali servivano per piedistallo, sopra cui mes-simo [mettemmo] l’incerato per tovaglia. Ciascuno individuo stavasi seduto appres-

so, ma invece di seggiola era chi su un buiolo, e chi su una mastella e chi su un barile: io come capitano, possedei una pancuccia e facevo quindi il capotavola: ognuno si aveva il nostro gamellino3 con forchetta e cucchiaio alla nostra usanza; bevemmo poi ognuno al bicchiere e vuo-tammo niente meno quantità di vino di Carloforte4, poiché mangiammo varie pie-tanze, che principiammo dalla minestra ed invece della zuppiera il medesimo calda-rone, poi il fritto e poi il lesso e finalmente la fricassea5, dimodoché al fine volemmo qualche uovo, sì che si celebrò noi tutti la Pasqua com’è d’uso da noi, e stettimo alle-gramente. Tutto il giorno continuò il tempo bello e notte tranquilla…»6.I giorni e le notti a venire però riservarono tempeste e soste forzate. Solo alla fine di aprile il “Polifemo” e il suo equipaggio riu-scirono a rivedere le Alpi Apuane che sovra-stano Viareggio, quella catena montuosa «di cui ho in mente il dorso», come scrisse il capitano Martinelli nelle sue memorie.

Note.1. Flavio Serafini, La Flotta scomparsa, Milano, 2010, p. 128.2. Il Telegrafo, 5 maggio 1936.3. Il parabarca è il parabordo che si mette alle mu-rate delle imbarcazioni per attutire gli urti, il buio-lo” è il secchio, “mastella” è la tinozza, “gamella” o gavetta è il recipiente di latta per il rancio.4. Carloforte è una cittadina nell’Isola di San Pietro (Cagliari) in Sardegna.5. La “fricassea” è uno stufato, in genere di pollo.6. Lorenzo Viani, Traversie di vecchi naviganti, Viag-gi del Polifemo.

1. Il capitano di gran cabotaggio Raffaello Marti-nelli (fotografia tratta da F. Serafini, La flotta scom-parsa, cit., pag. 123).2. Raffaello Martinelli, disegno del brigantino go-letta “Catone”, costruito nel 1859 (Ivi, pag. 139).3. Frontespizio de Il Bava di Lorenzo Viani, Vallec-chi editore, Firenze 1932 (Ivi, pag. 122).4. Viareggio nel 1825, disegno, (tratto da Il Cu-ratino Santo, Edizioni La SS. Annunziata, numero unico 1962, pag. 15).

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no antivaiolo, creando i presupposti per l’insediamento nella struttura dell’Istituto Vaccinogeno, dal 1834 al 1923.A partire dal 1970 la grande struttura cen-trale è stata sostituita progressivamente da case a gestione familiare, verso cui sono stati indirizzati dai servizi sociali e dall’autorità giudiziaria bambini e madri dell’intero territorio toscano. Inoltre l’Isti-tuto ha iniziato la collaborazione con altri centri, strutture e asili nido in tutto il com-prensorio fiorentino. Dal 1987, presso l’Isti-tuto hanno sede l’Unicef IRC, l’Innocenti Research Center e la Biblioteca Innocenti Library Alfredo Carlo Moro, specializzata in diritto dei minorenni.Attualmente l’Ospedale opera perseguen-do gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989, e, pur mantenendo ininterrotta la sua storica mis-sione, è divenuta oggi un’agenzia pubblica di servizi alla persona in base a un’ordi-nanza di legge promulgata dalla Regione Toscana nel 2004, che ha affidato all’Istituto degli Innocenti la gestione dell’Osservato-rio regionale dei minori.Sempre nel 2004 è stato avviato il progetto di realizzazione del MU.D.I., il Museo degli Innocenti, un centro di cultura e valoriz-zazione del patrimonio artistico e storico-archivistico dell’ente, all’interno dell’antico Ospedale. Tra le opere presenti, risalenti al periodo compreso tra il XIV e il XVIII secolo ed espressamente commissionate

buti artistici di Domenico Ghirlandaio e di Filippo Brunelleschi, al quale fu affidata la costruzione dell’edificio nel 1419.Come attestato dal registro dell’Archivio storico dell’Istituto, il primo ospite della struttura fu una bambina di nome Agata Smeralda, nel 1445. Dal Rinascimento fino a oggi, ben cinquecentomila fanciulli vi hanno trovato asilo e, a partire dal 1600, anche molte madri nubili.Sotto i Lorena l’Ospedale divenne luogo di studio per la medicina, l’ostetricia e la cura dell’infanzia, e nel 1756 Giovanni Targioni Tozzetti vi sperimentò addirittura il vacci-

TEXT Leonardo Taddei

Mercoledì 24 ottobre, presso la Sala delle Muse a Palazzo Tornabuoni, si è tenuta la con-

ferenza di presentazione di una delle principali istituzioni della città di Firenze: l’Ospedale degli Innocenti. L’evento è stato magistralmente organizzato dalla curatrice del dipartimento per le relazio-ni esterne dell’Istituto degli Innocenti, la Dott.ssa Cecilia Sandroni, la quale ha mostrato una parte del materiale storico e audiovisivo presente nell’Archivio degli Innocenti e nel Museo Nazionale Alinari di fotografia: una quantità impressionan-te di preziosissime ed emozionanti testi-monianze, che già erano state esposte nel Salone delle Compagnie nel 2007, in occasione della mostra Ritratti: Cento anni di famiglie italiane, alla presenza dell’allora Ministro delle politiche per la famiglia Rosy Bindi. Sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica italia-na, l’Istituto degli Innocenti di Firenze è la più antica istituzione pubblica italiana dedicata alla tutela dell’infanzia, e ha sede presso la struttura di Piazza della Santissima Annunziata.Nato per volere del mercante pratese Francesco Datini, che nel 1410 donò, trami-te un lascito testamentario, la cifra di mille fiorini per la creazione di un luogo dedica-to all’accoglienza dei fanciulli, l’Ospedale accrebbe il proprio prestigio e il proprio patrimonio monumentale grazie ai contri-

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deglisilenzioinnocentiil

Firenze

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1. Formella con putto in fasce, in maiolica robbia-na, sul loggiato dell’Ospedale degli Innocenti2. Formella con putto sfasciato, in maiolica rob-biana, sul loggiato dell’Ospedale degli Innocenti3. Loggiato esterno dell’Ospedale degli Innocenti4. Particolare del putto in fasce sul loggiato dell’Ospedale degli Innocenti5. I bambini e le balie dell’Istituto degli Innocenti (1900 ca.)6. Sala di prima osservazione dei bambini in arrivo all’Istituto (1900 ca.)7. Sala per i bambini svezzati (1900 ca.)8. Sala del baliatico (1900 ca.)9. Scuola per le alunne infermiere (1900 ca.)10. Refettorio (1900 ca.)11. Laboratorio di batteriologia (1900 ca.)12. Cortile delle donne, interno della sede dell’Istituto degli Innocenti13. Cortile degli uomini, interno della sede dell’Istituto degli Innocenti14. Segni di riconoscimento dei bambini accolti all’Ospedale degli Innocenti15. Sacra conversazione Del Pugliese (Madonna in trono col Bambino e Santi) di Piero di Cosimo16. Particolare della Strage degli Innocenti dal dipinto Adorazione dei Magi di Domenico Ghirlandaio

per abbellire un luogo destinato all’assi-stenza dei bambini, spiccano capolavori quali l’Adorazione dei Magi di Domenico Ghirlandaio, la Madonna col Bambino degli Innocenti (Madonna col Bambino e un angelo) di Sandro Botticelli, la Sacra con-versazione Del Pugliese (Madonna in trono col Bambino e Santi) di Piero di Cosimo e la brillante terracotta invetriata raffigurante la Madonna col bambino che mostra un cartiglio di Luca della Robbia, tutti esposti nella Galleria dell’Istituto, mentre nell’Ar-chivio storico sono conservati circa quindi-cimila documenti che testimoniano la vita dell’antico Ospedale e delle altre istituzioni di accoglienza dal XIV al XX secolo.L’Istituto collabora oggi con numerose Università e Centri di Ricerca italiani e stranieri per sviluppare percorsi di alta formazione e aggiornamento in materia di infanzia, adolescenza, famiglia e mater-nità, e per conto del Governo Italiano gestisce le attività del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi dell’Infanzia e dell’Adolescenza e il monitoraggio della Commissione Adozioni Internazionali.L’Ospedale degli Innocenti, rappresentan-do fin dalla sua creazione un modello universale di accoglienza per i fanciulli, ha segnato la nascita di un concetto alta-mente innovativo di assistenza all’infanzia: i bambini abbandonati, infatti, non erano soltanto nutriti e accuditi, ma anche edu-cati e integrati nel tessuto sociale della città, dando un futuro all’altezza della civil-tà dell’epoca anche a coloro che, senza colpa propria, erano nati in condizioni svantaggiate. L’Istituto è riuscito quindi a dare socialmente e culturalmente voce, in oltre sette secoli, a donne e bambini, una moltitudine di esseri umani che altrimenti sarebbero rimasti vittime inermi del loro sfortunato destino, e ha potuto così inter-rompere per sempre il loro silenzio civico e civile, un silenzio che li avrebbe oppres-si ingiustamente, un silenzio al quale da soli non avrebbero mai potuto opporsi: il Silenzio degli Innocenti.

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Foto di: George Tatge, Paola Rita Ledda, Paolo Carli, MU.D.I., Archivio dell’Istituto degli Innocenti, Richardfabi, Web Gallery of Art, The Yorck Project, Sailko.

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l territorio senese, protetto da mamma natura, rappresenta un paradiso vota-to ai benefici per il corpo e la mente

grazie alle sue acque termali, alimenta-te da sorgenti immerse in contesti pa-esaggistici mozzafiato. Come una vero Gentleman, il salutare liquido è accolto presso strutture dotate di apparecchiatu-re ultramoderne, servizi ineccepibili, per-sonale altamente qualificato, dove regna il rispetto per il cliente affinché possa piacevolmente abbandonarsi al relax. E allora, conosciamo da vicino queste magnifiche realtà. Immerso in un verde rigoglioso, Chianciano ospita il parco ter-male Acquasanta dove ha, anche, sede un centro stimolante i cinque sensi coin-volgendo etere, aria, fuoco, terra,acqua! A poca distanza, lo stabilimento Sillene supporta il benessere gastroenterico ed epatico grazie alla cura idroponica, fanghi, bagni. La vicina Montepulciano eccelle per suo celebre Nobile ma le sue salutari acque hanno permesso la creazione di un centro all’avanguardia. Quanto a nomea storica, la presentazio-ne diventa superflua per Bagni San Filip-po, già conosciuta da etruschi e romani, grazie alle prodigiose proprietà conferite all’acqua da un antico vulcano spento, evidentemente rigoglioso in profondità. Le fortificate Terme di Petriolo eccello-no per l’esclusiva composizione chimi-ca-fisica caratterizzanti il suo “nettare”,

mentre Bagno Vignoni ritempra il corpo, la mente, la vista, grazie all’incantevole impianto storico con vasca romana cir-condata da edifici medievali. Le arcigne cave di travertino proteggono le piscine, a temperatura diversificata, costituenti il Complesso Querciola a San Giovanni di Rapolano:una esperienza da non per-dere! Fonteverde personifica la bellez-za pura impregnata nello scenografico edificio storico ospitante le terme e il lussuoso albergo, uno scrigno prezioso racchiudente ben 42 sorgenti utilizzate nelle avveniristiche piscine e negli at-trezzatissimi ambienti del complesso. E il resto della giornata come riempirla? La domanda non è degna di una risposta, le incantevoli Terre di Siena sono an-noverate tra i nomi che contano, grazie all’ottima cucina toscana, gli eccellenti vini conosciuti nel mondo, il blasonato patrimonio artistico. Per maggiori informazioni consultate il sito www.termebenessere.terresiena.it

TEXT Carlo Ciappina

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TEXT Luciano Marrucci PHOTO Francesco Fiumalbi

La facciata del Seminario di San Miniato

il più grande deskto

del mondo

Quasi un appello al fondatore della Microsoft Bill Gates

La facciata del Seminario - Chiunque, attraversato uno dei quattro ponti che serrano e aprono questa piaz-

za, si trova davanti, tutto all’improvviso, un edificio, che, presentandosi come una pagina spiegata da oriente ad occidente, diventa monumento e documento.Siamo di fronte alla facciata del Semi-nario. È qui che la groppa del grande cammello accovacciato (la raffigurazione del colle sanminiatese rimanda a questa rappresentazione) mostra la sua variegata gualdrappa. Qualunque visitatore si sen-te anche ospite, in quanto prova la gra-devole impressione di sentirsi accolto e coinvolto dalla serie di immagini e dalla sequela di parole dispiegate intorno a lui. Ancora più sorprendente la sensazione che può sperimentare chi ha una certa dimestichezza col computer. Di fatto, an-che senza rendersene conto, riconduce questa esperienza alla visione di un de-sktop che si spalanca davanti a lui. Ad una osservazione più approfondita scopre in questa facciata gli elementi essenziali che costituiscono il sistema Windows: ci sono le icone, date dai medaglioni ovali che qui racchiudono le figure allegoriche; ci sono altrettante finestre (Windows, appunto); infine ci sono le “scritte” ben definite nel carattere del romano epigrafico.Tutto considerato, questa piazza potreb-be essere legittimamente sponsorizzata da Microsoft.

Una sentenza di Sant’Agostino - Nell’an-golo ad occidente figura una massima che ha davvero una valenza universale; infatti, in nove parole riassume un codice di comportamento che vale sia per l’in-dividuo che per le comunità di qualsiasi popolo e nazione.

La cui traduzione in italiano, inglese, francese

e tedesco è la seguente:

Nella necessità l’unitànel dubbio la libertà

sempre: l’amore.

In essentials unityfreedom in doubt

in all things charity.

Dans les necessities l’unitédans les doutes la liberté

toujours l’amour.

In der Notwendigkeit: die Einigkeitim Zweifel: die Freiheit

Stets: die Liebe.

La sentenza, ripartita nelle tre massime, va letta unitariamente e appartiene alla ine-guagliabile penna di Sant’Agostino. Molti errori ed orrori del passato non sa-rebbero stati commessi se avessimo os-servato questa normativa: ostracismi ed emarginazioni, roghi e condanne, guerre e conflitti si sarebbero evitate, solo se avessimo applicato questa regola univer-sale. Questa sentenza figura sulla facciata del Seminario di San Miniato, ma credo che potrebbe essere riportata sui frontali e lungo le pareti dei Palazzi dei Congres-si, dei Saloni di Conventions dei Partiti, della sede dell’ONU. A maggior ragione dove si raccoglie un Sinodo e si celebra un Concilio Ecumenico.

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TEXT Valerio Vallini

Franco Lattes è nato a Firenze nel 1917 da padre israelita; il

cognome Fortini è quello della madre, da lui assunto nel 1940. A Firenze dove si laurea in Giurisprudenza e poi in Storia dell’arte, incontra naturalmente l’ambiente ermetico dei Luzi, Bigongiari, Loria, ma collabora con Noventa. Si battezza come valdese nel 1939. Dopo le leggi razziali fuggì in Svizzera e partecipò alla Repubblica partigia-na dell’Ossola. Iscritto al Partito Socialista, fu redat-tore del Politecnico e poi dell’Avanti! Scrittore e saggista, qui ne parliamo come poeta.In lui la poesia si arricchi-sce e si crea da esperien-ze diverse di tipo politico, giornalistico, letterario. Foglio di via è l’opera in cui supera la koiné (lin-gua comune) ermetica. Con Poesia ed errore «il discorso poetico di Fortini - scrive P. V. Mengaldo - acquista di spessore e complessità.» Giorgio Bàrberi Squarotti scrive che la poesia di Fortini costituisce il risultato più avanzato di tutto il dopoguerra. Ma avanzato perché? ci chiediamo. Perché è una poesia - ci pare di capire - che ha la coscienza dell’errore in cui siamo: «è una condizione di uomini a mezzo fra il pas-sato e l’avvenire, troppo ancora intrisi di passato.» Ora devo con tutta franchezza dichiarare che questo puntare sulle que-stioni sociologiche e politiche del pensie-ro di Fortini, non mi interessa più di tanto. Di lui amo il passo riflessivo e cadenzato di quel «/Dunque nulla di nuovo da que-sta altezza/ Dove ancora un poco senza guardare si parla/ E nei capelli il vento cala la sera», che si trova nella raccolta Foglio di via.

Da Una volta per sempre (p.124), Einaudi, Torino 1978, voglio riproporre anche il suo Agro inverno che brucia, taglia, ince-nerisce, è una sorta di autopunizione per le perdute occasioni di vita e di amore. Vorrei invitare a leggere la poesia La gronda, nella stessa raccolta Una volta per sempre. In questa poesia, una casa in rovina e invecchiata mi pare l’allegoria di brutture, morali e non, che non vogliono arrendersi alla fine. Come epilogo ecco la liberazione: «Penso con qualche gioia/ che un giorno, e non importa/ se non ci sarò io, basterà che una rondine/ si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti/ irreparabilmente, quella volan-do via./» Ma il Fortini che amo di più è quello che scrive, per dirla con Sereni, «Come se ci fossero orecchi per ascol-

1917- 1994

tare, come se le parole che si scrivono, agissero per una irriducibile volon-tà di comunicazione, verso destinatari invisibili e anonimi, magari futu-ri», come nella raccolta Paesaggio con serpente del 1983. Questa raccolta che è incline - come scrive Luca Lenzini nel suo Stile tardo, Quodlibet Studio, 2008, Università di Siena - a organizzare recitativi più ariosi - come que-sti: «/Non sa più chi sia/ l’ostinato che a notte annera carte / coi segni di una lingua non più sua / e replica il suo erro-re. / È niente? È qualche cosa? / Una risposta a queste domande è dovu-ta. / La forza di luglio era grande. / Quando è passata, è passata l’esta-te. / Però l’estate non è tutto/.» Questa raccolta, dico, mi ha innamorato, forse per una immodesta mimesi, in quegli anni Ottanta in cui stendevo

il mio Viaggio obbligato. Gli devo molto, posso dirlo. Un poeta spesso ci piace perché dice cose che anche noi avrem-mo voluto dire. È il caso di alcuni versi di Composita solvantur, Einaudi, 1994, in cui l’indagare del poeta me lo fa sen-tire vicino come nella poesia La salita: «/ […] Com’è - mi chiedevo -/ che solo da vecchio, che solo all’estremo/ e senza saggezza né pace/ m’aggiro così per i poggi? /.» Infine, non come puro omag-gio agli scomparsi, ma come omaggio al Fortini epigrammista, lasciatemi citare da Poesie Inedite, Einaudi: «Qualcosa tintin-na/ nel vuoto, qualcosa/ si è rotto/. /Il filo rovente/ che spento ora oscilla/ non vedi/ ma senti e un ronzio/ si ostina se scuoto/ nel buio quel filo che più/ non brilla e che fu/ tuo, mio.//»

Franco

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Da Questo muro

Il bambino che gioca

Il bambino smise di giocaree parlò al vecchio come un amico.Il vecchio lo udiva raccontarecome una favola la sua vita.

Gli si facevano sicure e chiarecose che non aveva mai capite.Prima lo prese paura poi calma.Il bambino seguitava a parlare.

Da Una volta per sempre

A Carlo Cassola

Con lunga pena,con ostinato erroreritorno al mio principio,al nostro.

Ma mutato da questavera e modesta alturavedo, o mi pare,altro da quel che erail vivere che resta.

Con lunga pena, che dico?Con ira ancora agonizzantee gridasoffro di rinunciarealla lode del mondo, alla suaingiuria, alla parola.

Tu che i miei anni stessihai misuratoostinato al tuo vero,insegnami il sentieroastuto e triste dove sei passato,la soglia d’aria dove resisti e vinci.

Da Foglio di via

Foglio di via

Dunque nulla di nuovo da questa altezzaDove ancora un poco senza guardare si parlaE nei capelli il vento cala la sera.Dunque nessun cammino per discendereSe non questo del nord dove il sole non toccaE sono d’acqua i rami degli alberi.Dunque fra poco senza parole la bocca.E questa sera saremo in fondo alla valleDove le feste han spento tutte le lampade.Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

Da Composita Solvantur

Sono nella stanza

Sono nella stanza dove tutto è ordinatodove tutto è settembre.Sul davanzale si agitano, avvisatedei mutamenti celesti, le formiche.Nessuna melodia nasconda quiuna severità modestala sola che non disconviene.

Assonanze! Le vostre ragioniquando la notte è senza movimentodal fondo dei legni le odo.Ma il tarlo che rodeva non c’è piùma immaginari i cigolii.Voi nei sistemi strani che le disperazionilevano dentro il folto arduo del mondoe ora nella stanza calmadell’antenato che sono o divengo immobili indifesiragni esili pendete.

Da Poesie inedite

Per la nascita di Lorenza Pampaloni

E quando sarai grandesaprai cos’era nel cuore a tuo padre.

La confusa pietà, la lieta, ansiosae tremante preghierasui tuoi primi capelli molli, e il riso.

E della carità, della speranzache comporrà i tuoi giornie della fede che ognuno per questilunghi viali del mondo accompagna,l’immagine che tu sei divenutaquanti anni in sé condusse, quanti lunghicammini l’educarono,e preghiere e rimorsi.

Da quant’anni alla tua voce non nataancora, e sottile, ebbe orecchio!Come a quella sorrise in cuore, in giorniche a lui sono memoria e perse ombre.

Da L’ospite ingrato

Sereni esile mito

Sereni esile mitofilo di fedeltànon sempre giovinezza è veritàun’altra gioventù giunge con gli annic’è un seguito alla tua perplessa musica.Chiedi perdono alle “schiere dei bruti”se vuoi uscirne. Lascia il giuoco stancoe sanguinoso, di modestia e orgoglio.Rischia l’anima. Strappalo, quel fogliobianco che tieni in mano.

1954

Da Poesia ed errore

Agli amici Si fa tardi. Vi vedo, veramenteeguali a me nel vizio di passione,con i cappotti, le carte, le lucidelle salive, i capelli già fragili,con le parole e gli ammicchi, eccitatie depressi, sciupati e infanti, rauchiper la conversazione ininterrotta,come scendete questa valle grigia,come la tramortita erba premetedove la via si perde ormai e la luce.Le voci odo lontane come i filidel tramontano tra le pietre e i cavi...Ogni parola che mi giunge è addio.E allento il passo e voi seguo nel cuore,uno qua, uno là, per la discesa.

1957

Da Paesaggio con serpente

I lampi della magnolia

Vorrei che i vostri occhi potessero vederequesto cielo sereno che si è aperto,la calma delle tegole, la dedizionedel rivo d’acqua che si scalda.

La parola è questa: esiste la primavera,la perfezione congiunta all’imperfetto.Il fianco della barca asciutta bevel’olio della vernice, il ragno trotta.

Diremo più tardi quello che deve essere detto.Per ora guardate la bella curva dell’oleandro,i lampi della magnolia.

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TEXT Matthew Licht

le alenedove vanno

«Come fai a saperlo, Jack? Tu sei un ra-gazzo. Non sei una balena.»Jack non sapeva rispondere. Sua sorellina Emma gli fece una sonora pernacchia.Il padre di Jack comprò i biglietti al molo. Mangiarono wurstel e patate fritte sulla tolda metallica della nave Spanker, dipin-ta di verde. Il resto della nave era di un bianco quasi abbacinante sotto il sole nel cielo senza una nuvola. Il capitano dello Spanker, o chiunque stesse parlando così forte dall’altoparlante, disse che era una giornata da manuale per scorgere balene. Che tutti a bordo scrutassero l’orizzonte, quindi. Chiunque vedeva il primo spruzzo di balena doveva urlare “Alla balena!” e alzare la mano per vincere una maglietta Whale Watchers. Jack si appoggiò alla ringhiera a poppa e guardò rimpicciolirsi la città. Volavano gabbiani, tenuti su dalla brezza marina e trascinati dalla scia della nave Spanker. Sembra che ridano, pensò Jack. Chissà cos’hanno da ridere?Dopo soprendentemente poco, la terra

Jack non voleva partecipare alla cro-ciera avvistamento balene.Di balene ne aveva già viste, all’ac-

quario del porto. Orche idrodinamiche in bianco e nero che facevano capriole at-traverso cerchi di fuoco per prendere pez-zetti di pesce dalla mano della domatrice carina mentre il pubblico applaudiva. Lo spettacolo con le balene l’intristì. Il resto dell’acquario gli piacque ancora meno. Uno squalo e una tartaruga ma-rina gironzolavano senza sosta dentro un’enorme vasca di vetro, troppo annoiati per aggredirsi.A Jack non piaceva lo zoo. Chiese al mae-stro Sig. Jones se poteva restare in biblio-teca anziché partecipare a quella gita. I compagni di classe gli diedero del matto. Gite scolastiche allo zoo erano uno spi-scio totale.Signorina Nudesen la bibliotecaria scoprì che a Jack non piacevano nemmeno le riviste di foto a colori di animali nei loro habitat naturali. Quando ne fu informato, Maestro Jones

credette di aver scoperto qualcosa d’im-portante sul conto del suo allievo. «Jack, tu hai paura degli animali. Ma il Dott. Hipswitch lo psicologo della scuola ti aiuterà a superare questa fobia irrazionale.»Jack gli rispose, «non ho paura degli ani-mali.» Aveva paura del Dottor Hipswitch, ma non lo disse. I suoi genitori insistettero che doveva per forza venire ad avvistare balene quella do-menica. Non erano disponibili bambinaie. Volevano fare un giro in barca, prendere aria fresca e la salsedine, vedere larghi orizzonti blu e, possibilmente, le creature più grandi della terra.«Puoi stare in cabina a leggere un libro, se preferisci, Jack,» disse sua madre esaspe-rata. «Sinceramente non capisco perché odi tanto gli animali.»«Mamma, ti sbagli. Adoro gli animali.»«Allora perché non vuoi fare la crociera delle balene?»«Non credo che alle balene piaccia essere osservate. A me non piace.»

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non si vedeva più. Jack si guardò attorno. L’oceano sembrava affollato da altre navi i cui motori rovistavano l’acqua.Emma, la sorellina di Jack, urlò «balena in vista!» ancora più forte dei motori.L’altoparlante, ancora più forte di Emma, rispose «che occhio, signorina! L’ha vista ancora prima di me. Può ritirare il premio a fine crociera. Ma ora, signore e signori, ragazzi e ragazze, volgiamo tutti lo sguardo verso la balena avvistata dalla nostra vedetta occhio di falco. Credo sia una megattera. Infatti lo è.»Maestro Jones aveva fatto sentire loro registrazioni dei canti delle megatte-re durante una lezione di scienza naturale. Emettevano suoni strani e tristi sott’acqua. Jack fece a gomitate per arrivare a prua e vedere la balena. Un’onda luccicante si alzò e ricadde piano. Una coda gigantesca sventolò in segno d’addio prima di scomparire. Jack non aveva mai visto nulla di così bello.Il capitano fece rotta verso dov’era apparsa e poi scomparsa la balena. Anche le altre navi vi piombarono. Spuntò un’altra balena, poi un’altra ancora. Vennero a galla almeno dieci ba-lene. Sembravano rocce, scogliere grigie e bianche, ricoperte di patelle, che si muovevano piano. La gente a bordo della Spanker urlava «alla balena!»Anche dalle altre navi urlavano. Le isole mobili che erano balene sembravano sbuffare vapore. Jack vide i loro minuscoli occhi e le bocche enormi spalancate. Gli sembrava di sentire ciò che provavano. In acqua, trattenendo il fiato e tuffandosi per toccare il fondo, sen-ti il sangue che scorre forte, le orecchie che martellano, una pressione come se stessi per implodere. Poi torni a galla, inspiri e la sensazione svanisce.Le balene sembravano una famiglia, o un gruppo di amici intimi. Sig. Spowziak il maestro di educazione fisica diceva che era più sicuro fare il bagno in gruppo. Le navi circondarono le balene.A Jack sembravano piccole. Magari se fossi in acqua con loro, riuscirei a ca-pire quanto sono grandi davvero. Con tutte queste navi attorno è difficile. Gli piaceva l’idea di nuotare con le balene. Nuotava bene, Jack. Glielo diceva perfino Maestro Spowziak, che non era complimentoso. L’acqua di mare sem-brava blu, pulita, fresca.Sicuramente gli animali si comportano diversamente, quando nessuno li guar-da, pensò. Fanno stupide capriole solo quando c’è gente. Forse stanno me-glio sul fondo marino perché là sotto c’è sempre una festa divertente, o un ristorante per sole balene. Sbuffare vapore potrebbe essere il loro modo di raccontare ai gabbiani le ultime barzellette sottomarine.Jack ebbe voglia di scavalcare la ringhiera e tuffarsi. Gli sembrava di sentire quant’era fredda l’acqua, anche se era agosto. Si sentì stringere la pancia, come se dovesse cantare o recitare in pubblico. Chiunque parlava forte dall’altoparlante avrebbe urlato, «uomo in mare!» Jack poteva quasi sentirlo. Nuoterò via dalle balene. Dovranno venirmi a prendere, suppongo... cer-care di salvarmi. Così le balene potranno tornare a fare gli affari loro.Jack si alzò sulla ringhiera. Non lo guardava nessuno. Si tese e si approntò due, tre volte. Sapeva che era sbagliato. Sapeva che i suoi sarebbero stati in pensiero. Guardò le balene, fissandole come tutti gli altri. Le balene non sembravano farci caso. Non avevano paura delle navi. Sono di casa nel mare in un modo che navi e persone non riescono a stare. Se le balene volevano scappare, dovevano solo inabissarsi. L’oceano è vasto. Le balene possono stare sott’acqua più di un’ora. Nuotano veloce.Maestro Spowziak aveva spiegato il riflesso dell’immersione mentre la classe di nuoto sedeva al bordo della vasca, tremando dal freddo nei co-stumi bagnati. Quando una creatura nata per le immersioni, come la balena, il delfino, il tricheco o l’essere umano si sprofonda in acqua, disse, tutto rallenta. Il cuore smette quasi di battere. Le vene si restringono per concentrare l’ossigeno al cervello. Ciò dimostra, disse Maestro Spowziak, che a qualche punto nel tem-po, esseri umani e balene erano lo stesso animale. La gente a bordo delle navi guardava le balene. Le balene consideravano disinvolte le navi e sbuffavano. Sembrava che potesse andare avanti così per tutto il pomeriggio, ma poi una delle balene mise sott’acqua la testona. Il vasto corpo scintillante divenne un arcobaleno delle sfumature di grigio, poi la coda salutò piano. Addio, addio...«Se ne vanno!» urlò il tipo col microfono. Anche le altre balene s’immersero. Forse la prima aveva detto che era tempo di partire, ed erano d’accordo. Anche Jack. Non sentì l’urlo dall’altoparlante. «Uomo in mare!» (1)

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Natale, quella dell’umiltà, della condivi-sione, della sostanza e non dell’effime-ro. Mi affascina pensare al motivo per il quale sono stati lasciati lì e da chi. Il Natale è anche l’umanità che c’è nelle persone.»Graziano: «È vero, il Natale non è solo un oggetto, un regalo di un giorno, ma può essere, deve essere, anche uno stato d’animo, un’apertura continua al mondo, un incontro continuo fra la gente.»

Gli oggetti esposti nel mercatino del- l’usato si susseguono in modo apparen-temente casuale. Ogni cosa ha un’ani-ma. Niente a che vedere con la merce

Novembre. È il mese dove il Natale è in bilico fra i ricordi di quelli passati e l’attesa di quello che

verrà. Noi volevamo cercare il Natale da un robivecchi. Il Natale di ogni infanzia, di ogni età, il Natale dei ricordi da presentare al Natale che verrà. Siamo partiti armati di macchine foto-grafiche e strategie di ricerca. Ricerca di ogni cosa che avesse l’anima del Natale e le macchine fotografiche per carpirne l’essenza. L’effetto doveva essere quello dello scatto rubato. Ben presto però, cercando il Natale dei ricordi, ci siamo imbattuti negli oggetti

pieni di vita abbandonati e ceduti da un’umanità affascinante che ci ha incu-riositi. A quel punto i nostri sguardi non sono stati attratti soltanto dalla vecchia bambola di pezza o dalle macchinine di legno, giochi di un’età d’altri tempi che oggi vuole ben altro, ma anche da un quaderno rilegato con alcune pagine già scritte oppure da un paio di scarpe ancora in ottimo stato.

Graziano: «Letizia, ma cosa c’entrano questi oggetti con il Natale che cerca-vamo?»Letizia: «Beh, invece credo che c’entrino perché rappresentano un’altra faccia del

TEXT&PHOTO Letizia Grazzini e Graziano Bellini

natalerobivecchidal

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“morta” dei supermercati o delle bouti-que. Tutto qui racconta qualcosa.

Graziano: «Vedi, per esempio, questo piccolo bidone per la spazzatura, poco più alto di trenta centimetri, prove-niente da chissà quale decennio del Novecento, tradisce nelle sue piccole dimensioni la tipologia dei consumi di quei tempi: essenziali e senza imballaggi in eccesso da buttare. Anche la celebra-zione del Natale era cosi: un’attenzione alla ricerca essenziale dei valori e senza gli eccessi dell’effimero.»Letizia: «È vero, descrive soprattutto i tipi di rifiuti e la relativa quantità che veniva prodotta. A me sinceramente ricorda anche un’altra cosa importante, una cosa che prima aveva un valore che ora, secondo me, non ha più: avere cura dei propri oggetti, anche il più insignifi-cante. Vedi com’è tenuto bene questo bidone? È stato trattato bene, aveva un valore, andava tenuto con cura. Al primo pro-blema presentatosi, l’avranno aggiusta-to e risistemato. Ma non l’hanno mai buttato via come facciamo spesso noi adesso, l’hanno tenuto in buono stato, sennò non era qui!»Graziano: «Esatto. Come quei giochi, quelle macchine, quelle bambole, quei dischi. Quanti oggetti oggi vanno a fini-re troppo presto nel grande contenitore

di rifiuti che è la Terra, quanti giocattoli dopo Befana sono solo pezzi di plastica rotti e abbandonati. Questo posto fa riflettere. Molto.»Letizia: «Perché abbandonare un libro? In pochi, secondo me, si rendono conto del valore che un libro può avere: stimo-la la fantasia, rilassa, mantiene la mente allenata, aumenta il nostro bagaglio cul-turale. È vero, una volta letto, forse, non lo rileggerai, ma sicuramente un amico che non ha potuto comprarlo c’è, forse un collega che sai potrebbe amarlo esi-ste, forse un centro ricreativo o sociale potrebbe apprezzare il dono. Un bel gesto di solidarietà, che spesso si fa con la scusa del «a natale siamo tutti più buoni magari avrebbe dato un desti-no sociale a questi libri… forse.»Graziano: «Ecco la varietà dell’umanità che dicevamo prima. Per me, per te il libro è un oggetto quasi sacro. Ma per altri, una volta letto, quel volume fa solo volume, diventa solo uno spazio occupa-to da un oggetto ormai “consumato.”Però credo che la necessità economica sia la molla principale che ha portato qui la maggior parte degli oggetti che vediamo. E anche questo ci rimanda all’essenza, alla concretezza. Regalare qualcosa di utile è oggi la prerogativa da ricordarsi per Natale.»Letizia: «Non metto in dubbio che molti utilizzino questo sistema per riciclare e

quindi per non buttare. Sono sicura che molti sono spinti dal pensiero a me non piace più, ma forse a qualcuno potrebbe piacere. Molti saranno stati ceduti qui per racimolare qualche soldo. Ma come sarebbe bello regalare e donare un libro a un amico anziché mollarlo nella polve-re dei dimenticatoi dei robivecchi?»Graziano: «O regalare quel disco in vini-le di Louis Armstrong che fa capolino dallo scaffale dei 33 giri?»Letizia: «Unico, per me. Anche per te. Per altri magari no!Ma perchè lasciare lì quelle scarpe intat-te, immacolate, nuove?»Graziano: «Forse per essere sostituite in fretta dal nuovo modello alla moda. Forse perché un acquisto poco pon-derato non ne ha valutato il successivo non-utilizzo.In entrambi i casi, un eccesso dell’effi-mero, purtroppo.»Letizia: «È vero, ma vedo del positivo in tutto questo, perché mentre qualcuno ha abbandonato e mai usato queste scarpe, catalogate quindi come “inuti-li”, qualcun altro oggi torna a casa con un paio di bellissime scarpe seminuove che da tanto desiderava.»Graziano: «E quindi ha trovato il suo Natale! E anche noi, oggi, abbiamo trovato il nostro Natale da raccontare, non credi?»Letizia: «Sì!»

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Un biglietto rosso era posto al centro del tavolo nella sala del Dipartimento di Medievistica. Il prof. Abdenaco

Chini pensò a Sonia, la sua giovane assi-stente esperta in Diplomatica e volgare arcaico. Era una sua mania: ogni messaggio un diverso colore. I messaggi in rosso erano i più rari: segnalavano grosse novità. «Ti aspetto alla pieve, domani all’alba. È urgente.»- Che sarà successo! - pensava Abdenaco. Si erano lasciati dopo la lezione del mattino e si sarebbero visti nel pomeriggio. Perché tutta questa urgenza? - Le carte - pensò. Quelle trovate in una intercapedine dell’archivio storico di San Miniato. Che Sonia ci abbia trovato qualco-sa di sensazionale? Accidenti ad avergliele lasciate. Debolezza di vecchio per quegli occhi troppo azzurri, le sue moine sensuali. Provò a chiamarla al telefono di casa che squillava a vuoto. Cominciò a imprecare contro l’idiosincrasia di Sonia per il cel-lulare. Gliene aveva regalato uno ultima generazione: un prodigio, ma Sonia era allergica.Che ci fosse qualche novità alla Pieve? In quello che restava dell’antichissima pieve di Barbinaja VIII-X secolo, erano in corso degli scavi per verificare l’attendibilità di notizie circa un percorso sotterraneo che dalla cripta sarebbe sbucato a mezzacosta di Bucciano. Ma perché tutta questa fretta?L’alba lo trovò assopito nel dormiveglia.

TEXT&PHOTO Valerio Vallini

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Un bagliore pungente si rifletteva dall’Arno nello specchio della camera. Lasciò Pisa con uno stellato che si stendeva dalle colline di Casciana Alta, a Soiana, ai verdi rilievi del larigiano fino a Montecastello. A nord, la scultura del Monte Serra si alzava sfregiata dalla follia degli incendi. Invece della superstrada, Abdenaco prese a percorrere vecchie strade, poco più che sentieri campestri, delle quali conosceva gli antichi “toponimi” di una marginetta, di un pozzo, di una vecchia colonica. All’altezza del ponte sul torrente Chiecina s’inoltrò per la palaiese, avendo Montopoli alla sua sinistra e a destra il castello di Marti. All’altezza della Casaccia iniziò a costeg-giare il torrente per una straducola polve-rosa e tutta buche che mise a dura prova le sospensioni e la tenuta della sua Panda

4x4. Era questa un diverticolo percorso nel basso medioevo, da pellegrini, avventurie-ri, emissari che volessero raggiungere la Francigena evitando il nodo superprotetto e vigilato dell’Osteria Bianca e soprattutto la via Pisana-fiorentina, con le sue molte dogane e i posti di guardia. Dopo il guado del Chiecina, e salendo un poggio, fu in vista delle rovine della Pieve. Si fermò nell’ombra di un pioppo e mise a fuoco il binocolo. Poprio sotto i resti della torre vide controsole due figure appog-giate al cofano di un fuoristrada. Erano Sonia insieme ad Alessio, il custode del cantiere, “passionista”, di storia e di storie, e di Sonia, rifletté amaramente. Erano soli, in atteggiamento distaccato, e lo attende-vano davanti a quello che restava dell’in-gresso principale della chiesa. Il cantiere

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1. Discesa per Barbinaia da Bucciano; 2. Resti dell’antica pieve, la Torre; 3. Pieve di Barbinaia, canonica

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allestito per il restauro dell’antichissimo complesso era deserto. Mise in moto e si avviò. Fece appena in tempo a scendere dall’auto, che Sonia gli si fece incontro seguita da Alessio, e con la voce malferma cominciò a parlare.- È proprio laggiù, sotto l’altare, che si è verificato il crollo ed è affiorato un cadavere dentro un mucchio di cenci bruciacchiati. - spiegò Sonia.- Un crollo, un cadavere? E quando? - chie-se Abdenaco.- Ieri al tramonto - rispose Alessio -. Si è svi-luppato un incendio. Sono riuscito a stento a domarlo, poi ho chiamato la signorina e lei si è precipitata. Attenti però, perché qui potrebbe sprofondare tutto.- Non temete, rispose Abdenaco, vedo che è crollato solo l’ingresso della cripta. Abdenaco si chinò su un fagotto scuro e cominciò a esplorarlo sollevando alcuni lembi con cura.- C’è solo un mucchio d’ossa sotto questo

pastrano - disse rivolto a Sonia. Poi conge-dò Alessio pregandolo di tenere a bada qualche esploratore domenicale, e di chiu-dere la sbarra perché nessuno entrasse.Sonia e il professore si misero a esaminare quel che restava di quel corpo e di quelle vesti. Che fosse un palmiere o pellegrino dalla Terra Santa pareva probabile da quel lungo mantello col cappuccio: la pellegrina, e dal bordone, un robusto bastone raccolto accanto ai resti. - E perché, domandò Sonia, se era un pellegrino si trovava così lontano dalle vie più note e trafficate come la Francigena e la Pisana? Perché in questa remota Pieve? E questo? - chiese mostrando la piega di un rotolo giallastro che fuoriusciva da uno schianto del bordone, anzi dall’attaccatura del manico con l’asta.- Senza dubbio una pergamena - sentenziò Abdenaco dopo averla estratta con cura e passata a Sonia per la decifrazione.A rigirare quei resti apparve, all’altezza della

gola, una lama consunta dalla ruggine, conficcata fra due vertebre: certamente la prova di un omicidio. Il perché di quel delitto - un suicidio pareva molto impro-babile - venne fuori dalla traduzione della pergamena indirizzata a Papa Callisto II, il Papa che promosse nuove crociate contro il Turco. Pur fra le abrasioni e i tratti illeggibili e le bruciature, la scrittura non lasciava dubbi. Sonia, scienziata ma fervida credente, lesse sconvolta: «Io, abate di…Iago..di Compostel, conse-gno al nostro fra... Ja..c.. da San G…..per VS Santità il cui uso è.... al ..ostro giudizio. [...] che devoti eruditi.... hanno rilevato una nuova terribil...verità, il vero sacello di Cristo... nella .....bassa di Jerusalemm. Ja...po conse...rà una mapp..., legata a questa pelle di… Eminenza imploro che la crociata venga al più presto e che ...atissimi servi possano ... giungere prima a quel... sacro perché, Dio mi …i, niente a cada... dei nemici della chiesa... Vs... devotissimo servo Abbé Francois Sermant»

Sonia e Abdenaco rimasero sconvolti a guardarsi in silenzio per quella nuova scon-volgente notizia che non poteva essere taciuta, ma divulgarla avrebbe gettato nella disperazione milioni di credenti. “Il vero sepolcro di Cristo!” Mentre pensavano al da farsi, un boato fortissimo annunciò un nuovo crollo. I resti della Pieve li seppelliro-no e li fecero sprofondare. I loro corpi furo-no estratti dopo giorni dalle ruspe insieme alle macerie e i cenci e le ossa di Iacopo da San Giovanni.

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Booking a booknovitàa’’ editor iali a cura di Angelo Errera

ll terzo volume di Papa Ratzinger, si compone di quattro capitoli e di un epilogo. Il volume di 180 pagine - presentato nella Sala Pio X in Vaticano dal presidente del

Pontificio Consiglio per la Cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi - è diviso in quattro capitoli, dedicati rispettivamente alla genealogia per la collocazione di Gesù nella Storia; alla nascita di Giovanni il Battista e all’avvento del Nazareno con l’annuncio a Maria; all’evento nella grotta di Betlemme nel contesto storico dell’Impero Romano di Augusto; alla prima epifania con l’adorazione dei Re Magi. L’opera si conclude con un epilogo dedicato alla discussione con i dottori nel Tempio, ultimo episodio noto di un Gesù dodicenne, prima che ricompaia nei racconti evangelici dal momento del suo battesimo nel fiume Giordano attorno ai trent’anni e fino alla sua morte in croce e alla Resurrezione: temi presenti nei primi due volumi del lavoro di Benedetto XVI che con quello in uscita oggi completano l’opera su Gesù di Nazaret. Il volume è stato stampato in un milione di copie e tradotto in venti lingue per oltre un milione di copie di tiratura per la prima edizione.

L’INFANZIA DI GESù di Joseph Ratzinger Edizioni: Rizzoli e Libreria Editrice VaticanaR

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È una mattina come tante, ma da oggi niente sarà più come prima. Emma è stata uccisa dal marito, un uomo depresso che quando “entrava in una stanza era

come se andasse via la luce». La sua morte, un caso di cronaca quasi banale nella sua agghiacciante frequenza, sconvolge le donne del condominio. C’è Lara, che si tormenta per non essere mai andata oltre il saluto sulle scale e la promessa di vedersi per un caffè e c’è Elisa, che proprio la mattina del delitto scopre per caso il marito a letto con un’altra. Una storia senza importanza, assicura lui, «una sco-pata senza seguito», ma Elisa si tormenta, oscillando pericolosamente tra il tarlo devastante del sospetto e il bisogno di credere all’uomo che ama. Come uscirne? Perché le donne insistono a picchiare contro il proprio dolore come mosche contro un vetro chiuso? Domande a cui le protagoniste riusciranno a dare risposta in un romanzo attualissimo e di grande impatto, che scava nel dolore con lo sguardo ottimista di chi considera sempre possibile un riscatto dall’infelicità.

IL CORPO NON SBAGLIA di Lidia Castellani - Edizioni: Salani EditoreLETT

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La felicità è un’aspirazione che accomuna ogni essere umano, un’esigenza legittima e un diritto innegabile. Ma è svilente considerarla semplicemente un punto d’arrivo, che a volte ha i tratti confusi di un sogno irraggiungibile. Perché la felicità è innanzitutto una

ricerca, un percorso consapevole che serve a lasciare ai pensieri più profondi e alle esigenze più nascoste la forza di esprimersi e di trasformarsi in azione contagiosa. Perché la felicità - che non è mai una condizione permanente ma è effimera nell’esperienza degli esseri umani - è prima di tutto un agire. E sono i piccoli gesti quelli che fanno ogni giorno la differenza. Il dolce piacere di accogliere chi si aspetta una porta sbattuta in faccia, la scoperta di essere capaci di ribaltare un rapporto negativo, l’importanza di sentirsi accettati pur nella propria diversità, capiti anche nelle paure più segrete. Non sono che piccole ricette per riuscire a raggiungere e a donare a se stessi e agli altri la felicità. Una parola spesso abusata e fraintesa, che trova la sua vera essenza nelle cose più semplici. Un percorso che ci guida, attraverso molteplici aspetti della vita quotidiana, verso la scoperta della felicità. Maria Rita Parsi, psicopedagogista, scrittrice e saggista con questo libro si cimenta in uno dei temi più discussi, affrontati e amati dalla poesia dell’antichità ai film di Gabriele Muccino.

LA FELICITà è CONTAGIOSA di Maria Rita Parsi - Edizioni: PiemmeRO

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Si tratta della seconda puntata del fortunato Storie di angioletti. Sono cinque racconti brevi destinati alla prima infanzia, tutti sul tema del Natale. I protagonisti sono angioletti curiosi,

pasticcioni, buffi e coccoloni. Figure positive, in cui i bambini possono facilmente immedesimar-si, anche perché vengono contrapposte agli angeli grandi dipinti come bravi, maturi e respon-sabili. In un racconto viene presentata anche la figura di Maria. Positiva l’immagine di Dio che si delinea. È un Padre che affida compiti importanti anche ai piccoli, che non si arrabbia se combi-nano guai, ma dagli errori trae sempre un’onda di bene che ricarica i piccoli maldestri, perché lui sa tramutare in perfezione anche i nostri sbagli. In questo modo i bambini lettori possono trovare un valido aiuto per la propria crescita e autostima. La morale che si evince è questa: sbagliare succede e non per questo siamo meno amati da Dio; la cosa importante da sapere è che si può sempre rimediare e, con l’aiuto di Dio e di coloro che ci vogliono bene, il rimedio è migliore delle nostre aspettative.

IL NATALE DEGLI ANGIOLETTI di Ivano Argento, Fabrizio Zubani - Edizioni: Paoline EdizioniST

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IL CORPO NON SBAGLIA di Lidia Castellani - Edizioni: Salani Editore

L’autore Fabrizio Borghini fa la sua sinossi del libro, in modo ironico e parlando in terza persona: «Cosa hanno in comune i due autori di questo libro?» Sicuramente li accomuna l’origine fiorentina e la passione

per una squadra dalla maglia viola che ha contagiato entrambi. A causa della Fiorentina le loro strade profes-sionali si sono a un certo punto separate per ricongiungersi grazie a questa pubblicazione. Fabrizio Borghini, giornalista decollato dalle tv private toscane proprio grazie alle trasmissioni dedicate alla Fiorentina, a un certo punto ha avuto una crisi di rigetto: le continue delusioni della perennemente inespressa squadra viola, lo hanno indotto a desistere rivolgendosi ad altri più confortanti lidi professionali. Lorenzo Castellani, invece, ha tratto innegabile giovamento dalla perdurante serie di disillusioni che la squadra del cuore gli ha riservato; invece che consolarsi con il brandy Stock 84 ha preferito riportare su carta l’amarezza accumulata in anni ed anni di insuccessi producendo una serie incredibile di vignette che lo hanno catapultato nell’olimpo dei vignet-tisti italiani. Quando a Borghini è stato chiesto di scrivere nuovamente di Fiorentina sul Quotidiano Viola ha posto un aut aut: accetto ma solo per divertirmi e per irridere gli pseudo campioni che stanno indegnamente indossando la maglia che fu di Petrone, Julinho, Montuori, Hamrin, Antognoni e Batistuta. E così sono nate le interviste impossibili a Cerci, Donadel, Pasqual e compagnia brutta. (Tratto dal testo di Valeria Grillo)

VIOLANDO di Fabrizio Borghini e Lorenzo Castellani - Edizioni: NTE

Questa seconda edizione, più bella graficamente e migliorata nei contenuti storico–artistici e storici, nasce, come la prima, con lo stesso identico progetto di promozione del territorio, del culto delle tradizioni, del

rispetto della storia. Oggi più di prima, riferisce il dott. Scaduto, è importante in un paese, che tutti i suoi cittadini nutrano senso di appartenenza e di comunità che li porti a conoscere tutte le risorse del proprio paese e averne cura. Dice infatti bene nella sua presentazione l’assessore Bucci «Non possiamo fare a meno della storia per com-prendere il presente, per dargli senso, per provare l’orgoglio di essere una parte di un tutto che va molto oltre le nostre singole vite. Documentare l’esistente è importante perché non si perda mai di vista che quello che siamo, quello che possediamo, ci è stato tramandato eppure non è mai nostro; va lasciato a chi verrà dopo di noi con la speranza e l’augurio che ne abbiano la stessa cura che al Volto Santo, e alla sua storia, è stata data nei secoli a Santa croce sull’Arno». La dr.ssa Gagliardi ha riferito i risultati della sua ricerca che l’hanno portata a ricostruire la storia del culto del Volto Santo da dopo la crocifissione di Cristo fino ai tempi di Roma, Costantinopoli, Lucca, Santa Croce. Affascinante e colto il suo racconto, così come quello della prof.ssa Burresi che fra le altre cose ha diretto i lavori di restauro del nostro Crocifisso e che si propone un successivo lavoro sullo studio e la descrizione degli arredi e gli addobbi che vengono utilizzati il giorno della Santa Croce per adornare il Crocifisso.

LA SANTA CROCE - IL CULTO DEL VOLTO SANTOdi Mariagiulia Burresi e Isabella Gagliardi

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Sono trascorsi quasi due anni dalla prima sollevazione in Tunisia che ha dato il via alla “Primavera araba”, innescando una serie di avvenimenti per certi versi impre-vedibili: le rivoluzioni dei giovani, la caduta di leader che sembravano eterni, le

prime elezioni, lo scontro fra le due anime dell’Islam. In alcune situazioni la transizione alla democrazia sembra consolidarsi, in altre invece sembra andare incontro a un pre-coce autunno. Quel che è certo è che una nuova generazione si è affacciata sulla ribalta della storia, una generazione che sa oramai che il cambiamento è possibile. Questo libro guida il lettore alla scoperta del nuovo sogno arabo. Quali sono state le cause profonde delle sommosse? Perché non ce ne siamo accorti prima? Perché stavolta il sollevamento popolare ha funzionato? Che cosa rende simili e che cosa diverse le condizioni del Ma-ghreb, del Mashreq e del Golfo? Islam e democrazia sono infine compatibili? Come sono cambiati gli equi-libri geopolitici in Medio Oriente? L’antica questione israelo-palestinese può trarne giovamento e impulso? E come cambia infine la politica estera degli Stati Uniti, dell’Europa, della Russia, della Cina, dell’Iran dopo questi cambiamenti?

IL NUOVO SOGNO ARABO di Lapo Pistelli - Edizioni: FeltrinelliPOLI

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Nelle foto: Alessandro Preziosi; Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore; Carlo Verdone; Claudia Gerini; Isabella Ferrari; Valentina Cervi; Sylvester Stallone; Giulia Bevilacqua, Marco Muller, Paolo Ferrari, Claudia Pandolfi; Pappi Corsicato; Myriam Catanea e Luca Argentero; Laura Chiatti; Stefania Rocca e Carlo Capasa.

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TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni

Hanno dettato non poche polemi-che i premi assegnati dalla giuria del Concorso della settima edizio-

ne del Festival di Roma. Non tanto per il Marc’Aurelio d’Oro, andato a Marfa Girl di Larry Clark né per il Gran Premio della Giuria, ottenuto dall’apprezzato Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi (che ha vinto anche il premio migliore opera prima o seconda), quanto per i due im-portanti premi dati a E la chiamano esta-te di Paolo Franchi: quello per la regia e quello per l’interpretazione femminile a Isabella Ferrari. «Vorrei invitare tutti ad es-sere più curiosi - ha detto la Ferrari, vorrei invitare tutti a vedere questo film senza pregiudizi, ad accogliere i film italiani per quello che sono. Io - ha aggiunto - ho fat-to questo film con coraggio, senza paura. Lo dedico a mia madre e ai miei figli che hanno una madre come questa». Fischia-tissimo dalla critica, che poi lo ha prati-camente distrutto sulla stampa, il film è stato difeso a spada tratta da P.J. Hogan, che durante la cerimonia di premiazione ha espresso l’opinione di tutta la giuria: «È stata una scelta difficile per noi, erava-mo divisi come lo è stato il pubblico. Molti di noi si sono arrabbiati, come vi siete ar-rabbiati voi. Ma è una regia coraggiosa, senza compromessi nella sua visione, e il film non lascia indifferenti. Nel bene o nel male, ha ottenuto l’obiettivo di far parlare di sé, di essere odiato o amato. Qualche fischio in sala si è sentito anche all’annun-

cio del premio a Franchi, ma va detto che gli applausi hanno prevalso». Il regista ha ringraziato la giuria: «È stata coraggiosa come me. In questo cinema livellato e ap-piattito dalla televisione serve coraggio, e la mia produttrice Nicoletta Mantovani è stata coraggiosa permettendomi di fare ciò che volevo.» Per quanto riguarda il premio a Clark, è il primo grande ricono-scimento nella carriera del grande regista americano, che nel ritirarlo ha confermato di voler distribuire Marfa Girl solo online: «Sono stato fregato da chiunque a Hol-lywood – produttori, distributori, quelli

che ti stringono la mano, ti sorridono e ti pugnalano alle spalle.» Un modo nuovo per raggiungere un pubblico, una manie-ra innovativa che si contrappone alla di-stribuzione in sala. Fra le sorprese, della breve cerimonia dei premi collaterali al Festival di Roma è stata la torta di comple-anno glassata di bianco e di rosso, a più piani, accompagnata da un “Buon com-pleanno” cantato dalla platea della Sala Petrassi, per festeggiare Claudia Pandol-fi, madrina della manifestazione, che ha

compiuto gli anni. La Pandolfi, visibilmen-te sorpresa, si è scherzosamente buttata in ginocchio e ha finto di immergere la faccia nel dolce, prima di lasciare il palco con il premio Lancia ricevuto. Tra gli altri vincitori, annunciati da Giulia Bevilacqua e dal direttore del Festival Marco Muller, che è anche servito da traduttore, per l’in-glese e il cinese, due riconoscimenti sono andati all’epico 1942 di Feng Xiaogang: il Premio A.I.C. per la fotografia e la Farfalla Agiscuola, entrambi ritirati dal direttore della fotografia Lu Ye. La cerimonia si è conclusa con un’altra sorpresa: il premio dell’associazione Sorridendo Onlus, che si dedica al tema della diversità a 360 gradi, consegnato da Mary Calvi a Marco Müller “per lo slancio che ha dato al cinema a li-vello nazionale e internazionale”. Poi tutti a festeggiare la chiusura con un party del giovane imprenditore Gianluca de Mar-chi, neo produttore cinematografico (film di Valeria Golino regista e il nuovo di Re-nato de Maria, marito di Isabella Ferrari) al Nur Bar, un esclusivo club, in via del Tea-tro Valle, ospitato al piano terra e nei sot-terranei del settecentesco palazzo Capra-nica del Grillo. Nur in arabo vuol dire luce e proprio luce e musica, in tutte le loro sfaccettature, saranno il filo conduttore delle trendy notti del club. L’architettura e il design degli interni, rivisitati in chiave moderna da Nicola Pugliese, proprietario del Nur ed estroso architetto, si ispirano ai colori del Barocco romano.

Il premio per la migliore regia va a

E la chiamano estate. Isabella Ferrari

migliore attrice.

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cinema non è fotografia». La polemica è contro il costume ormai in uso di trarre le fotografie direttamente dal materiale filmato, escludendo in qualche modo il ruolo fondamentale del fotografo di scena, spesso essenziale per restituire sulla pagina il senso del film, a volte addirittura più importante dello stesso regista: ci sono fotografie entrate nella storia, almeno del costume, che non sempre ritroviamo nei film dove sono state scattate. La mostra è composta da oltre cinquan-ta scatti, la maggior parte mai visti e di grandissimo impatto e suggestione, realizzati da Montiroli dentro al Carcere

Sanfelice. Con la foto de La stanza del figlio di Nanni Moretti ha vinto il primo premio della migliore serie foto a colori al concorso nazionale fotografi di scena CliCiak della quinta edizione (2001) e con uno scatto del film Operazione rosmari-no il primo premio per la miglior foto a colori della sesta edizione (2002). In un libro intervista uscito nel 2004 e ripubblicato più di recente in un mio volume sui Taviani (Sguardi corpi pae-saggi, Titivillus 2008), Montiroli rivendica con forza la propria autonomia di foto-grafo: «la fotografia tratta da un foto-gramma rimane sempre una foto fredda, la qualità non c’è, rimane cinema, e

TEXT Andrea Mancini

La mostra Foto dal carcere. Il set di Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani, è stata allesti-

ta nel Palazzo Inquilini di San Miniato per il Centro Cinema intitolato ai due fratelli sanminiatesi candidati all’Oscar, con l’apporto della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e della Cassa di Risparmio SPA. Grande interesse per la serata con Salva-tore Striano, l’ex carcerato che interpreta la parte di Bruto. Insieme a Giovanna Taviani, ha incontrato il folto pubblico intervenuto per la proiezione del film.

La mostra Foto dal carcere. Il set di Cesa-re deve morire di Paolo e Vittorio Taviani non è una mostra sul cinema dei Taviani, perché lascia in posizione secondaria i due registi sanminiatesi, e sposta l’atten-zione sul lavoro trasversale di Umberto Montiroli, il fotografo di scena che opera fuori dalla parte artistica del film, per documentare la sua realizzazione. Ecco allora che la mostra, come il libro uscito in contemporanea, pubblicano un mate-riale di enorme valore, che racconta ciò che resta dietro, visto con una sensibilità completamente diversa, ma non per que-

sto meno efficace e interessante, di chi dirige il film o di chi più semplicemente lo riprende o lo recita. A proposito di Montiroli, Paolo e Vittorio Taviani hanno scritto: «Noi abbiamo un amico segreto sul set, un amico che sta nell’ombra, ma sappiamo che i suoi occhi sono puntati sulla scena che stiamo dirigendo: è lui che deve coglierne in sintesi il senso». Nato a Roma nel 1942, Umberto Monti-roli ha iniziato a interessarsi di fotografia nel 1959. Dopo aver lavorato sedici anni in un laboratorio fotografico, dal 1976 è passato a documentare i set. Da Padre Padrone fino a Cesare deve morire ha fotografato tutti i film dei fratelli Taviani, compreso i televisivi Resurrezione e Luisa

Cesaredeve morire

San Miniato - Le foto di scena di Montiroli

Una mostra sul film dei Fratelli Taviani

candidato all’Oscar

I fratelli Paolo e Vittorio Taviani, alcuni scatti fotografici di Umberto Montiroli durante le riprese del film

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di Rebibbia, dove sono state effettuate le riprese di un film straordinario, che sfrutta il lavoro volontario o quasi di tutta la troupe e la forza scenica degli attori, tutti carcerati ed ex carcerati, insomma non professionisti. Si tratta infatti di un’opera girata con costi bassissimi, in parziale opposizione a un’industria cinema-tografica giunta al capolinea.Dopo il film dei Taviani e la vittoria del film di Garrone a Cannes, con protagonista Aniello Arena, ergastolano a Volterra, ho scritto: «Il cinema italiano rinasce… dentro le carceri!».

Paolo e Vittorio Taviani sul loro fotografo di scena (dal libro Umberto Montiroli, Foto dal carcere: il set di Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani, a cura di Andrea Mancini, La conchiglia di Santiago, San Miniato 2012)

Noi abbiamo un amico segreto sul set, un amico che sta nell’ombra, ma sappiamo che i suoi occhi sono puntati sulla scena che stiamo dirigendo: è lui che deve coglierne in sintesi il senso. Questo collaboratore silen-zioso e nascosto negli angoli è il fotografo di scena. Quando non ha la possibilità, per vari motivi tecnici, di scattare durante le riprese deve ricostruire la scena. Occorre energia e creatività, anche perché deve imporsi alla troupe, agli attori e soprattutto alla pro-duzione che spesso è costretta a vedere il cinema come una corsa contro il tempo.

Il suo lavoro è prima di tutto documen-tazione, è anche un racconto “a fumetti”, alcune volte è una reinvenzione luministica di un volto, di un oggetto. La nostra grati-tudine per questo collaboratore si rinnova quando nelle pubblicazioni sul nostro cine-ma la forza delle immagini da lui scattate riesce a restituire anche sulla pagina il senso della nostra ricerca.

Paolo e Vittorio Taviani

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La parola e il gesto, in una sorta di potente simbiosi, regnano sovrani nel Teatro, in particolare in quello

dello Spirito, in cui la forza evocativa del linguaggio crea suggestioni ed emozio-ni, coinvolge, ma soprattutto scuote le coscienze, motiva la riflessione, sollecita a interrogarsi su questioni di senso, sui temi più vitali del nostro esistere anche oltre i confini della pura materialità.Il Dramma Popolare di San Miniato, nato nel 1947 dalle macerie del II° conflitto mondiale, dalla brutalità delle violenze perpetrate ai danni di una popolazione che comunque aveva reagito e sperato in un avvenire diverso, da 66 anni porta sul palcoscenico testi di grandi autori di fama internazionale che sappiano stimolare una riflessione critica sul presente e sul passa-to per aiutare a costruire un futuro di cui ciascuno sia protagonista perché abitua-

to a pensare, a ragionare con la propria testa, ma anche a sentire, a emozionarsi, a misurarsi alla pari con altri diversi da sé per accogliere e comprendere nel profondo. Il Teatro, dunque, come espressione di un nuovo umanesimo, di un’etica della con-divisione e dell’impegno, non un teatro confessionale, ma ispirato ai grandi temi del messaggio cristiano di cui si nutre gran parte della nostra tradizione storica e cul-turale. Non un teatro di evasione, che può divertire ma non formare, quanto piuttosto un ritorno allo spirito di quelle sacre rap-presentazioni, che trovavano nelle chiese, sui loro sagrati, nelle piazze il loro palco-scenico naturale, quasi un rito collettivo che si ripeteva puntualmente.Oggi i luoghi del Teatro del Cielo, com’è stato definito il Dramma Popolare, sono ancora quelli, ma già nella mente dei fondatori, fin dall’inizio, i contenuti sono

stati diversi: non preghiere corali, al con-trario tematiche dell’oggi e dell’ieri vis-sute intensamente dagli uomini di ogni tempo; insomma rappresentazioni di testi inediti su problemi legati alla contempo-raneità, tali da attirare e motivare ciascu-no a una riflessione personale e al tempo stesso a un dialogo critico con la propria coscienza e con gli altri in una sorta di formazione interiore che può meglio gui-dare i nostri passi lungo un cammino di ricerca esistenziale che non si esaurisce a breve termine, quasi un pellegrinaggio alla ricerca o verso una conferma di quelle verità che esistono, al di là di ogni forma di relativismo, e alle quali molti riescono ad approdare, quasi un porto rassicurante che tuttavia non nega e neppure rinnega le tempeste della vita. Su questi valori si fonda il Programma che il nuovo Presidente della Fondazione Istituto

TEXT Laura Baldini

Dramma popolare

nuovastagioneuna

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Dramma Popolare, Marzio Gabbanini, e il c.d.a. hanno definito nella linea della continuità con quanti lo hanno prece-duto, tenendo alto il prestigio di questa Istituzione, per rafforzare ulteriormente la presenza del Dramma Popolare sul terri-torio locale, ma con un respiro nazionale di più forte incidenza. Questo richiede un potenziamento della comunicazione, ma anche un lavoro di ricerca continuativo di testi della drammaturgia contemporanea, e non solo, a livello europeo ed extra-europeo oltre che, ovviamente, di quello italiano, perché il Teatro dello Spirito sap-pia essere propositivo, capace di evitare il localismo, pur sempre entro un rapporto costruttivo con il tessuto socio-culturale a lui vicino. L’impegno è altresì quello di tenere viva l’attenzione sul Dramma Popolare lungo l’intero corso dell’anno evitando di con-centrare il Festival entro tempi estivi assai ristretti, per fare dei diversi luoghi del sacro, di cui è ricca la città di San Miniato, lo spazio di rappresentazioni capaci di raggiungere, col loro messaggio, un pub-blico sempre più vasto, creando intorno all’evento centrale del mese di luglio un clima di aspettativa entusiasta, di progres-sivo e lento avvicinamento per continuare, poi, quasi ininterrottamente un percorso ricco di appuntamenti in grado di rinvigori-re l’amore per un teatro di qualità da parte di tutti , giovani e meno giovani. Sono nati, per questo, nel 2012 gli incontri-dibattito con personaggi di rilievo del panorama culturale italiano con i quali affrontare i temi del sacro, le problematiche più attuali del teatro, i suoi forti legami con gli altri linguaggi espressivi.Con una grande partecipazione di pubbli-co sono stati ospiti del Dramma Popolare Roberto Cavosi, autore di “Anima Errante”, Il testo della 66ª Festa del Teatro, Francesca Colombo, Sovrintendente del glorioso Maggio Musicale Fiorentino, Carla Fracci, stella della danza, con il maestro Beppe Menegatti, tutti momenti di un Progetto più ampio che intende salvaguardare il Programma originario aprendosi costan-

temente all’innovazione, ma sempre entro un quadro unitario e coerente.Si spiegano così le iniziative del 4 dicem-bre 2012 alla riscoperta delle proprie radi-ci, ricordando quei cinque Soci fonda-tori che poterono pensare un Progetto di Teatro dello Spirito, alla maniera del grande Copeau, in una piccola città di provincia, che sarebbe in breve diventata Città del Teatro, pur sempre nell’apertura al nuovo, alla complessità del reale, con tutte le sue opportunità conoscitive, ma anche con inevitabili rischi.Marzio Gabbanini con l’intero c.d.a. guar-da a un Dramma veramente popolare, che in alcun modo abbassi il livello delle produzioni artistiche, al contrario sappia andare dritto al cuore e alla mente di tutti, perché il Teatro sia vissuto con passione e partecipazione emotiva, ma sempre illumi-nate dalla luce del pensiero riflessivo.Il Dramma Popolare va dunque a incon-trare la gente nel vivo dei suoi problemi, delle sue ansie e delle sue aspettative per portare parole di verità e di speranza entro palcoscenici naturali carichi di storia e di arte per risvegliare le coscienze, talvolta troppo assopite, del mondo contempo-raneo. Lo farà in tutti i suoi spettacoli, nel prossimo convegno su Don Giancarlo Ruggini, figura indimenticabile di sacer-dote, direttore artistico “innamorato” del Dramma Popolare, grande maestro di vita, in un nuovo libro di riflessione sulla propria identità e sulle sue prospettive, nelle scel-te difficili, ma esaltanti di testi, per quanto possibile, inediti.Il Teatro dello Spirito si nutre di un forte legame con la storia della città di San Miniato e delle Istituzioni che lo sostengo-no, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato all’Ente Locale fino ad azien-de leader, quali Tecnoambiente, preziosi promotori di una delle eccellenze culturali di cui è ricco il nostro territorio. Questo permette al Dramma Popolare di guardare con speranza e fiducia al futuro, salvaguar-dando nel contempo le testimonianze di un passato di grande prestigio e di elevato valore spirituale.

1. Composizione in b/n di immagini d’epoca del dramma (© Fondazione Istituto Dramma Popolare)2. Francesca Colombo, sovrintendente del Maggio Musicale Fiorentino, insieme al presidente della Fondazione CRSM, Antonio Guicciardini Salini (foto di Danilo Puccioni). I venerdì del dramma 15/06/123. Carla Fracci in Cavaliere di ventura, festa del Teatro a San Miniato, anno 1999. (© Fondazione Istituto Dramma Popolare)4. Carla Fracci, con Antonio Guicciardini Salini e Marzio Gabbanini (foto di Danilo Puccioni). I venerdì del dramma 19/10/125.6.7.8 Anima Errante LXVI Festa del Teatro a San Miniato 2012 (foto di Daniele Savoca).

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TEXT Carla Cavicchini

Cecilia Gasdia

Un usignolo si è staccato dal ramo cadendo sulla mia spalla e… magi-camente, mi ha parlato di sé, del

bel canto, delle sue passioni. Ma non è stata una conversazione tutta cip-cip, poi-ché dai cinguettii è passato ai toni caldi e suadenti sino a trasformarsi in dolce crea-tura con tanto di piume finte, e spruzzi di lustrini. Cecilia Gasdia, bella donna veneta e soprano italiano, davanti a un pubblico di esterofili, osserva che l’Italia ha poten-zialità enormi nel campo musicale, che sono ben sviluppate, anche se niente to-glie che potrebbero crescere.«Siamo il paese del sole, ecco perché ci piace tanto cantare da mattina a sera; pur-troppo la cultura musicale è debole, debo-lissima e ciò è brutto. Già all’asilo dovreb-bero insegnare la disciplina musicale, ma… per carità!

E pensare che la musica aiuta anche nella formazione dello spirito, quindi arriva chi vuole, o meglio chi intraprende tale via extra studi scolastici. È un vero peccato poiché noi abbiamo un talento innato in un regno dove domina l’ignoranza. Io, con tutte le mie forze, ho frequentato il Liceo Classico e il Conservatorio; ci ho creduto, e adesso sono qua!»Bello quel qua! Noi lo “buttiamo”, lei invece da buona veronese, scandisce le parole e quindi viene questo “qua” di modo imperativo. Prosegue con… un po’ di sana esaltazione d’anima latina viene fuori, indubbiamente, tutti noi ci crediamo artisti nati. Eh sì… ogni spettatore si sente cantante, e non solo partenopeo, però è basilare impa-rare i rudimenti meccanici, matematici, i solfeggi, sino che poco a poco, la mente si apre, elevandosi. Addirittura dicono che

ha effetti positivi anche per chi è nel grembo materno e per chi si risve-

glia dal coma!Possiede occhi da cerbiattina

ed un bel vitino come i figurini delle sarte. Sto attenta, sto attenta, anche se adoro cucinare. Dopo la lirica viene l’arte culinaria, altra mia grande passione, ma soprattutto sono contenta, ho preso molto dalla vita, anche negli affetti, ho due figli più che splendidi, anche se… la car-riera comporta viaggi, allon-

tanamenti e stress enormi. E pensare che adoro stare in

casa a far lavori di tavolino tutta concentrata! Mah.

Adesso è una vera star, acclamata e applaudita in ogni parte del mondo.

Il suo lancio internazionale fu nel 1982, quando sostituì Montserrat Caballè alla Scala in Anna Bolena di Donizetti e poi… tutto in crescendo.

Da apprezzare l’attivi-tà concertistica

spesso in colla-borazione con I Solisti Veneti,

nonché alcune sue romanze e contamina-zioni con la musica pop. Signora, ci dà qualche consiglio per diventare un buon soprano come lei?Doti innate in primis: intelligenza, buona musicalità, allenamento continuo, un carattere adatto a calcar le scene e… non basta. Non basta cantar bene e avere una bella voce, questo perché ogni serata è diversa dalle altre, bisogna fiutare tutto, dando sempre il massimo. E poi mai e poi mai improvvisare, per carità. Che altro dire… ci si nasce, ma mettiamo anche in conto che la voce “cala”, è una cosa fisio-logica, dobbiamo sempre ascoltarci, con buone dosi di autocritica e umiltà.È stata Mimì nella Bohème di Puccini, Nedda in Pagliacci di Leoncavallo, ha interpretato Luisa Miller di Verdi… - Cecilia mi guarda sorniona - e poi c’è stata La Traviata sempre di Verdi, Anna Bolena, Capuleti e Montecchi, Falstaff, Benvenuto Cellini, La Sonnambula, e poi non mi ricor-do più! Ho lavorato tanto, moltissimo, e ho ricordi bellissimi. Uno è quello con Zeffirelli, ho con lui un’amicizia splendida, mi ha insegnato molto… anche se non ha un carattere facile. Ma questo lo sanno tutti!L’abbiamo vista di recente in tv in una serata per Padre Pio dove istruiva eccita-tissimi bambini di colore.Per Padre Pio corro sempre, cerco proprio di conciliarlo nei miei impegni. Lo sa che mio nonno materno mi parlava sempre di quel Santo anche quando era in vita? Praticamente era uno di casa.Ultimissima domanda alla donna vincitrice del premio Maria Callas del 1980: errori e rimpianti?Partiamo proprio dagli errori, li ho fatti, ma non li rimpiango poiché mi hanno insegnato tanto.E di noi toscanacci che ci dice?Eh, quello fiorentino ha un palato superfi-no, super-super; quanto alle persone, voi toscanacci, vi conoscevo e vi conosco poi-ché ho vissuto molti anni a San Casciano Val di Pesa. Andavo molto spesso anche a Empoli a fare delle spese.Ecco perché nelle strade “del giro” la musica s’alzava sempre più, sino a far apparire l’esplosiva Carmen di Bizet!

l’e ilcuoreanima

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Andrea Buscemi

albumdelGrand’

attoreTEXT Martina Benedetti

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In quest’epoca di grave decadenza artistica, continuare a fare Teatro in Italia (un paese fra i più colpevolmen-

te distratti verso la cultura, nonostante l’immenso patrimonio di cui si fregia) è un atto di coraggio. Lo è maggiormente quando il repertorio frequentato è essen-zialmente quello classico, e il tentativo è quello di continuare la valorizzazione e la divulgazione delle opere e degli Auto-ri più importanti di tutti i tempi, quando l’Italia sembra premiare essenzialmente il trash televisivo e le fiction precotte. Jung, in tempi non lontani dai nostri, diceva dunque che «l’unica cosa che può fare un artista oggi è dormire». Ma avere le stimmate antonomastiche dell’artista, pur in quest’epoca così cupa per gli artisti, impone l’obbligo di resiste-re e insistere, incidere per quanto sia pos-sibile col proprio “segno” il mondo che si abita. Nel teatro c’è, inoltre, un tipo di figura che proprio non può esimersi dall’“es-sere”: il Grand’attore, con questa de-finizione intendendosi il teatrante che vive in completa simbiosi col palcosce-nico, e che si nutre essenzialmente delle suggestioni e fascinazioni che da esso emanano. Epigono di quello stuolo di grandi interpreti che dominarono la sce-na fino agli anni ’60 del secolo scorso (i cui picchi furono certo nell’Ottocento), il Grand‘attore del Duemila perpetua una tradizione (e lo può fare per voce, presen-za scenica, orecchio musicale, cultura e an-che un anacronistico senso della “missio-ne” teatrale) commisto a un malinconico fatalismo, che gli deriva – appunto - dalla consapevolezza che forse oggi, nell’epo-ca liquida che viviamo, di un Grand’ attore sembra esserci sempre meno bisogno.

Teat

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Andrea Buscemi ha da subito seguito, per istintiva vocazione, la strada e gli obblighi del Grand’attore (che è anche sacrificio e ri-nunce, oltre che entusiastico fervore), attra-verso un percorso ricco e variegato (fatto di artigianato e approccio intellettuale) attra-verso il quale si è cimentato con gli irripeti-bili Molière, Shakespeare, Goldoni, Gogol, Beckett, ma anche i moderni Woody Allen, Zavattini, Buzzati, Tobino, Severi, Manfridi. Con loro ha fatto la grande cavalcata del proprio Teatro, firmando quasi sempre le regie, e lavorando fianco a fianco con inter-preti che sono Gigi Proietti, Giorgio Alber-tazzi, Flavio Bucci, Paola Gassman, Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni, Nando Gazzolo, Oreste Lionello, Tosca d’Aquino, Corinne Clery, Antonio Salines, Eva Robin’s, Debora Caprioglio, Nathalie Caldonazzo, Sergio Castellitto. Un percorso estremamente articolato, che gli ha procurato grandi estimatori e fieri detrattori, ma che non si può dire, che non l’abbia cristallizzato fra le figure più emble-matiche del Teatro del nostro territorio. In attesa dell’imminente debutto della sua nuova fatica Falstaff e le allegre comari di Windsor, al Teatro Goldoni di Livorno, il 19 e 20 marzo 2013.

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Ho sentito il bisogno di scrivere. L’ho sentito dal profondo dell’anima. Le parole che affido allo scritto, vorrei che fossero intese per quello che sono: cariche di angoscia da una parte e di tanto, tanto affetto dall’altra. Sono parole per voi, donne di questi luoghi e del mondo, “l’altra metà del cielo”, come siete state chiamate. Sono per te giovane donna e per te più avanti negli anni. Per te, istruita o senza cultura, che hai un posto nella società o non ne hai alcuno. Per te, che ancora sei all’ultimo gradino in tante parti della terra. Soprattutto per te, semplicemente donna, ferita, umiliata, sfruttata, uccisa. La mia angoscia sta qui: nel constatare quanta violenza assurda e imbecille si rovesci ancora su di te, da secoli, dentro casa o per la strada, da parte di chi ti sta più vicino, come di chi nemmeno ti conosce o quando gli uomini si diver-tono a fare la guerra, ma a pagare sei soprattutto tu. Quanta violenza fisica e morale devi sopportare ogni giorno, con la paura, il tormento, l’insicurezza che ti rovina den-tro! Ti chiedo perdono, anche a nome di tutti coloro che ti hanno fatto e ti fanno del male, rovinando, o meglio, tentando di rovinare il capolavoro della creazione. Perché questo tu sei: l’opera più sublime, più straordinaria, più sorprendente che il buon Dio abbia creato. E la mia fede mi dice che sei lì, nel punto più alto del cielo, con Maria, la più alta di tutte le creature.L’angoscia che mi strozza il cuore, si accompagna all’affetto che voglio dirti e mani-festarti. So che sei forte e niente e nessuno ti potrà mai davvero sconfiggere, ma so anche quanto hai bisogno d’amore, quanto sei sensibile all’affetto; come sia impor-tante per te sentire affetto sincero e amore vero. E so che ti è essenziale non perché tu sei fatta così, ma perché in realtà l’amore è ciò che più conta nella vita, è il suo senso, è Dio stesso. E tu lo sai, prima e più profondamente di noi uomini; lo percepi-sci con tutte le fibre del tuo essere e per questo sei capace di una generosità senza misura. Oggi, come uomo e come Vescovo della Chiesa, voglio dirti un grazie pieno e sincero; per te prego e per te grido “basta” al sopruso di chi ruba i tuoi sogni; per te voglio che cambino le cose, perché nessuno più alzi la mano sopra di te e tu possa vivere giorni felici.

Monsignor Fausto TardelliVescovo di San Miniato

24 novembre 2012

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Santa Croce sull’Arno

Repetita iuvant, ed è stato proprio così per la FIDAPA - BPW Italy sezio-ne San Miniato che il 24 novembre

scorso ha inaugurato la sua attività sociale per l’anno 2012-2013, con un concerto del Maestro Ciro Zingone, già ospite della nostra associazione nel passato.Il concerto, eseguito con successo, nell’ar-moniosa cornice del Teatro Verdi a Santa Croce sull’Arno, gentilmente concesso con il patrocinio del Comune, ha offerto agli spettatori l’ascolto di arie e romanze celebri del belcanto italiano e napoletano tra ‘800 e ‘900.Alla chitarra e oboe Ciro Zingone, sopra-no Rita Del Santo, al pianoforte Nicola Ippolito.Una performance di altissimo livello du-rante la quale Ciro Zingone, virtuoso chi-tarrista, si è esibito anche come tenore accanto alla bella voce di Rita Del Santo suscitando grande entusiasmo tra il pub-blico in sala. Ammirazione e applausi per il giovane e abile pianista Nicola Ippolito che sulle note di “Pianofortissimo” di Carosone ha dato prova di interpretazio-ne artistica oltreché di una seria prepara-zione tecnica.

TEXT Milvia Battini

Ciro Zingone Nicola Ippolito

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Una mostra dedicata alla storia della Coppa, dal 1952 a oggi, 60 anni di ricordi, emozioni, di vinti e vincitori.

La narrazione degli avvenimenti sportivi ha per sfondo il contesto sociale e civile del paese, in un processo di fuoriuscita dalla tradizione, in cui il ciclismo offrì la possibilità di rinnovare la socialità comunitaria.Dal 1° ottobre al 25 novembre il Museo delle Icone Russe F. Bigazzi di Peccioli ha ospitato la mostra Tra due ali di folla. 60 anni di Coppa Sabatini, nata dalla colla-borazione tra la Fondazione Peccioliper e l’Unione Ciclistica Pecciolese. «Passano le corse… da noi, per antonoma-sia, sono le corse in bicicletta, e le corse passano, come una processione sotto casa o le cèe a Bocca d’Arno. Nelle feste patro-nali e nelle fiere di paese prima c’erano altre gare, pali di cavalli, corse di botti. Col Novecento arrivano le corse in bicicletta». Così il prof. Fabrizio Franceschini con gli altri curatori della mostra, il prof. Andrea Addobbati, dell’Università di Pisa, il prof. Giuseppe Lo Castro, dell’Università della Calabria, hanno introdotto l’esposizione che attraverso immagini in bianco e nero e poi a colori, ripercorre 60 anni di vita di un’intera comunità, dei suoi costumi, della sua identità e il loro mutare nel tempo.Tra due ali di folla è strutturata in quattro

Peccioli - 60 anni di Coppa Sabatini

TEXT Irene Barbensi

sezioni: Albo d’Oro della Coppa Sabatini, come in un grande album di vecchie figu-rine i volti dei protagonisti della Coppa, le loro volate e i loro gesti di vittoria; Giuseppe Sabatini, una ricostruzione della vita del campione pecciolese; 60 anni di Coppa Sabatini, un excursus sulla Gente della Coppa, su una comunità che si ricono-sce nell’esultazione per i suoi campioni; Sui pedali della vita, una piccola sala video in cui verranno proiettate alcune scene dello spettacolo teatrale omonimo, andato in scena lo scorso 3 luglio durante la rassegna teatrale 11 Lune e divenuto presto un DVD, proiettato durante la serata di presentazio-ne della Coppa Sabatini. La Fondazione Peccioliper che ha curato questa iniziativa ha dedicato una serata, Pedalata rotonda - Fatti e personaggi della Coppa Sabatini a confronto con 60 anni della nostra storia, ad alcuni dei protago-nisti che a cavallo tra gli anni ’70, ’80 e ’90, hanno scritto pagine importanti di questa corsa: Roberto Poggiali, Mauro Simonetti, Vilmo Francioni, Gianbattista Baronchelli, Franco Chioccioli e Andrea Tafi. L’intento è stato quello di raccogliere testimonianze dirette a distanza di tanti anni, confrontan-do e cercando di raccontare storie sportive correlate a quello che è stato il contesto storico e sociale del periodo.

alidi folla

Tra due

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Ormai da alcuni anni il Golden Foot è un premio internazionale destinato a calciatori che abbiano compiuto

almeno 29 anni, i quali si siano distinti per i loro risultati sportivi, sia a livello indivi-duale che di squadra, e per la loro perso-nalità. Il riconoscimento viene assegnato dal pubblico tramite votazioni effettuate sul web, dopo che una giuria di giornalisti ha scelto in precedenza i dieci candidati. Il primo a vincerlo fu Roberto Baggio, poi Nedved, Shevchenko, Ronaldo, Del Piero, Roberto Carlos, Ronaldinho, Totti, Giggs e, per l’edizione 2012, se l’è aggiudicato l’attaccante del Paris Saint-Germain Zlatan Ibrahimovic, che lo ha ricevuto dalle mani della principessa Stephanie di Monaco. Sul palco anche il grande Pelè, premiato con il Golden Foot alla carriera. Ibrahimovic ha commentato: «è un grande onore, senza

Montecarlo

Spor

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TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

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la gente che mi sta vicino non avrei potuto vincere questo premio. Ho un piede grande ma ce l’ho fatta, grazie a tutti». Quest’anno, assieme a Ibrahimovic, premi alla carriera anche a Eric Cantona, Franco Baresi e Lo-thar Matthaus. Anche Baresi ha espresso grande soddisfazione per il premio ricevu-to e ha ringraziato chi lo ha votato. Unico rimpianto non aver vinto tutto quello che si poteva vincere. Soddisfazione anche per Lothar Matthaus, onorato di ricevere il Gol-don Foot alla carriera, il top del top. Nel corso della cena di gala, svoltasi allo spor-ting club di Montecarlo, Eric Cantona non è salito sul palco per ritirare il suo Golden Foot alla carriera. Sul palco è salito infatti il fratello dell’ex campione francese, che, visibilmente imbarazzato, ha detto: «Eric è andato via perché non si sentiva molto bene». Da notare che Cantona, fino a pochi istanti prima, era seduto tranquillamente

al suo tavolo. A quanto pare, sembra che Cantona non abbia gradito il fatto di essere stato scavalcato, nella scaletta della serata, da Ibrahimovic e Pelè. La scaletta di premia-zione iniziale infatti, prevedeva nell’ordine, Baresi, Matthaus, Cantona e poi la coppia Ibra-Pelè. Un cambio dell’ultimo istante (la coppia Ibra-Pelè prima di Cantona) avrebbe mandato su tutte le furie l’ex stella del Man-chester United e della nazionale francese.

Foot2012Golden

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Stop! alle zanzaree agli inSetti!

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Il principio attivo

Il principio attivo dell’insetticida usato dal siste-ma Insectec deriva dal crisantemo. Il principio è autorizzato dal Ministero della Sanità, nei modi e tempi consigliati. Il quantitativo di zan-zaricida miscelato è talmente blando e legge-ro che non ci sono controindicazioni per persone, e animali domestici. L’assenza di solventi lo rende atossico e non irritante. I prodotti sono specifici per essere erogati a contatto con la vegetazione.

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Grafologia

trea cura di Maria Laura Ferrari, Scuola Ce.S.Graf.

perito grafologo del Tribunale di Lucca

Proponiamo un breve ritratto grafologico di tre grandissimi campioni di calcio, portieri della Nazionale che nelle loro firme profondamente dissimili, riflettono i loro peculiari tratti caratteriali e stili di gioco.

Dino Zoff (Mariano del Friuli, 1942)Nel 1982, a 40 anni, vince la Coppa del mondo, giocatore più anziano in assoluto a raggiungere questo traguardo. Detiene tuttora il record mondiale d’imbattibilità per squadre nazionali, non avendo subito reti per 1142 minuti consecutivi. Cresciuto nella Marianese, dopo essere stato in un primo tempo bocciato ai provini per l’allora bassa statura, si affacciò nel calcio professionisti-co a 19 anni grazie all’Udinese. Nella Juventus ha vinto per sei volte il titolo di Campione d’Italia. Per 11 anni, dal ‘72 all’83, è stato portiere della Nazionale. Una volta ritiratosi, diviene allenatore e dirigente di vari club e della stessa Nazionale. Sposato, ha un figlio.La firma si presenta calligrafica - soprattutto le maiuscole - chiara, leggibile, proporzionata: la persona è autentica ed equilibrata, si mostra così come è, senza filtri, maschere e nascondimenti. Nei rapporti è limpida, diretta, rispettosa dell’altro. Le ghirlande tracciate dalle lettere “i” ed “n” del nome rivelano disponibilità, rispetto dell’altrui libertà, capacità di dare e ricevere. Le forme sono solide, “scolpite”, gli ovali rotondi, ben disegnati: l’io è saldo, anche dal punto di vista affettivo. Lo spazio tra parole e lettere è arioso, a indicare obiettività e capacità di analisi e ponderatezza nei giudizi. La tenuta del rigo ascendente denota slancio ed energia. Le asole della doppia “f”, in zona inferiore un po’ accorciate e ristrette e il puntino della “i” a cuneo, rivelano spirito di sacrificio e capacità di rinuncia rispetto al piacere corporeo e all’appagamento materiale. Alcuni, così detti, “piccoli segni” - nodi , ganci e gancetti finali - ci svelano, soprattutto in una scrittura così stabile e controllata, la possibilità di improvvisi “guizzi”, “gesti accaparratori”, per non dire imprevedibili e straordinarie prese…

Walter zenga (milano, 1960)Soprannominato l’uomo ragno, miete successi nell’Inter e nella Nazionale di Azeglio Vicini, con la quale stabilisce il record, ancora ineguagliato, d’imbattibilità in un mondiale (dall’ottobre 1989 al luglio 1990). Gioca in Nazionale fino al 1992. Si ritira nel 1999 e inizia la carriera di allenatore, soprat-tutto all’estero. Ha avuto tre mogli e quattro figli.La firma è caratterizzata da forme curve, gonfie, dilatate che ci parlano di una natura amabile, comu-nicativa, fantasiosa, esuberante, dotata di un istintivo senso del concreto. Il gesto è tracciato con movimento vivace e dinamico, senza stacchi; le proporzioni tra lettere e zone - superiore, media e inferiore - non sono rispettate (ad esempio la “a” finale è grande come una maiuscola). Questi aspetti evidenziano slancio e risolutezza nel raggiun-gere gli scopi ma anche un’emotività e un ardore non sempre ben canalizzati, nonostante lo sforzo, anche sul piano affettivo, di contenere le proprie inquietudini. La pressione è in rilievo, alterna cioè alleggerimenti e appesantimenti che favoriscono la scorrevolezza e sono indice di buona capacità di recupero delle energie. Gesti concentrici - da notare l’ampio gesto ellittico d’attacco - , inanellamenti, gancetto finale aggiungono al ritratto di questo campione una nota di narcisismo e ci svelano il suo desiderio di essere al centro della scena.

Gianluigi buffon (Carrara, 1978)Attuale portiere della Juventus (che lo acquista nel 2001 dal Parma) e della Nazionale italiana, delle quali è capitano. Campione del mondo con la Nazionale nel 2006 e vice-campione d’Europa nel 2012, è soprannominato Superman, appellativo che risale ai tempi del Parma, quando indossò la maglietta azzurra con la S del supereroe dopo un rigore parato a Ronaldo in un Parma-Inter. È considerato uno dei migliori portieri di tutti i tempi. È sposato con la showgirl ceca Alena Seredová dalla quale ha avuto due figli.Il gesto scrittorio, teso e rapido, si prolunga in alto e in basso: l’individuo è complesso, tende verso obiettivi a volte contrastanti e per effervescenza di idee e di azioni mal integrate tra loro e non soste-nute da una piena fiducia nei propri mezzi, può cadere nella dispersività. Ma le forme semiangolo-se, la tenuta del rigo di base ascendente e stabile, i collegamenti assidui tra lettere, l’inclinazione costante verso destra, rivelano energia, combattività, disciplina e una notevole perseveranza nel perseguire i propri obiettivi sia spirituali, sia materiali (da notare a proposito di questi ultimi, i gancetti “accaparratori”in zona inferiore). I parallelismi tra lettere e una certa rigidità di impostazione ci parlano di difficoltà di adattamento e intransigenza mentre le asole strette, il gesto finale acuminato, alcune evanescenze nella colata di inchiostro segnalano economia di sé o diffidenza e la possibilità di momenti di aggressività verbale e di vulnera-bilità o cedimento delle forze a livello psico-fisico.

www.marialauraferrari.com [email protected]

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Socie

Il portiere su e giù cammina come sentinellaIl pericolo lontano è ancora, ma se in un nembo s’avvicinaoh allora una giovane fiera s’accovaccia e all’erta spia.

(Umberto Saba, Tre momenti, da Canzoniere)

Reportaalla

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Con

vegno

Convegno organizzato dalla Fon-dazione Cassa di Risparmio di San Miniato a Palazzo Grifoni con la

collaborazione dell’associazione Econo-mia e Legalità. Il convegno è stato introdotto da Antonio Guicciardini Salini, presidente della Fon-dazione, con il saluto della professoressa Giuliana Spalletti, presidente dell’asso-ciazione. I relatori sono stati il dottor San-tino Scirè, vice presidente nazionale Acli, il professor Giuseppe Bellandi, ordinario di ingegneria dell’energia dei sistemi del territorio e delle costruzioni dell’Universi-tà di Pisa, e S.E. monsignor Fausto Tardel-li, vescovo di San Miniato.Un convegno in cui si è cercato di analiz-zare a fondo i problemi dei giovani nella società di oggi sia collettivamente che in-dividualmente e in particolare la loro diffi-coltà a progettare il proprio avvenire. I giovani sono il crocevia di inquietudi-ni sociali e attori dell’innovazione e del cambiamento. Le identità, i saperi, le modalità di comunicazione, i valori, il rapporto con il lavoro e la famiglia che i giovani manifestano sono in grado di interferire con le istituzioni a cui è affi-

TEXT Ada Neri

dato il compito di mettere le basi per il futuro.Quali modelli valorizzare all’attenzione dei giovani? Quali iniziative porre in es-sere? Quali i valori da privilegiare in que-sto percorso verso il “nuovo”? Temi aperti questi, di grande attualità, e allo stesso tempo, di eccezionale impor-tanza, passaggi di repentini cambiamenti sociali.

Ecco riportate alcune frasi dei relatori per sintetizzare il contenuto della serata.«Una crisi, quella attuale, che tocca da vi-cino i giovani - ha aggiunto Guicciardini Salini – a cui noi dedichiamo particola-re attenzione, attraverso progetti pro-pri della Fondazione o con il sostegno a quelli delle associazioni del territorio, consapevoli che i giovani sono il futuro della nostra società».

«Dobbiamo dare esempi - ha detto il vescovo di San Minato Fausto Tardelli - i giovani ci chiedono esempi di vita one-sta e responsabile. Dobbiamo essere capaci di dare loro opportunità di fare scelte di qualità. Perchè una società che smette di investire nelle capacità dei più giovani è una società senza domani».Anche il professor Giuseppe Bellandi, do-cente all’ateneo di Pisa: «I giovani devono prepararsi al futuro facendo le giuste scel-te, perchè questo nostro tempo chiede il sapere, il saper essere ed il saper fare. Non ci dimentichiamo che siamo dentro una svolta epocale basata sulla crescente affermazione di economie connotate da profondi, rapidi e spesso imprevedibili cambiamenti e da una mutata natura del lavoro e delle professionalità.» In una società che sta attraversando un momento economico difficile, i giovani devono impegnarsi a trovare nuove op-portunità, e forse avere anche la voglia di inventarsi un lavoro per ritagliare un proprio spazio nella società. La volontà e a volte anche la creatività, unita all’inge-gno, possono stimolare nuove sfide nella società odierna.

San Miniato

Nuove generazioni tra sogni e bisogni «La società deve

metterli alla prova»

nellagiovanisocietà

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Socie

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Tra il 25 e il 29 ottobre 2012 si è tenuto a Torino il Salone del Gusto, l’appuntamento biennale internazionale che quest’anno per la prima volta ha visto l’abbinamento con Terra Madre. Un evento unico nel

suo genere. Non è stata solo una fiera, non è stata solo una convention, non è stato solo un mercato, è stata un’occasione per dare al cibo il com-pito di cambiare il mondo, parafrasando lo slogan dell’evento. In questo contesto Slow Food Toscana ha rappresentato la Regione Toscana di fronte al mondo, le sue tradizioni eno-gastronomiche e cultu-rali. In quei giorni i padiglioni del Lingotto di Torino erano una moltitudi-ne di colori e di sapori, di lingue e di odori e Slow Food Toscana con i suoi 53 stands, divisi fra 18 presidi e 35 espositori, ha dato il suo contributo determinante all’evento.All’interno del Padiglione Toscano, Slow Food ha predisposto una saletta-auditorium dove sono stati organizzati degli eventi in continuazione per tutti i 5 giorni, dalla presentazione di progetti in difesa delle biodiversità, agli incontri internazionali finalizzati allo scambio di esperienze produtti-ve e di recupero delle tradizioni, fino alle presentazioni di prodotti locali e artigianali. Non solo, ma il fiore all’occhiello dell’area Toscana è stata l’Osteria dell’Alleanza dove ogni giorno venivano proposti piatti tipici del territorio dai cuochi provenienti dai più importanti ristoranti regionali coordinati da Daniele Fagiolini.Durante tutto l’evento ha fatto gli onori di casa la Presidente di Slow Food Toscana Raffaella Grana che ha presenziato anche molti conve-gni e dimostrazioni, mentre Massimo Bernacchini era il responsabile di Terra Madre.Lo spirito della manifestazione lo possiamo cogliere nella considerazione che Emanuele Bertini, uno dei fotografi del gruppo FDMDB che hanno lavo-rato in quei giorni per Slow Food Toscana, fa quando parla dei ragazzi che hanno conseguito i diplomi presso la Scuola Recupero Antiche Professioni Toscane: «Quella è una vera e propria scuola in cui professori d’eccezione (contadini, allevatori, apicoltori) insegnano ai ragazzi il proprio mestiere. I ragazzi con i presidi che li sostengono economicamente per quanto pos-

TEXT Graziano Bellini PHOTO Figli Della Mamma Di Bresson

Torino

Graziano Bellini

Elisa Rodio

Enrico Panchetti

Enrico Panchetti

Emanuele Bertini

del

laToscanagusto

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I Figli Della Mamma Di Bresson (FDMDB) sono stati i fotografi ufficiali di Slow Food Toscana al Salone del Gusto 2012 di Torino. Il gruppo di amici con la passione per la fotografia del Comprensorio del Cuoio e paesi limitrofi collabora già da un anno con Slow Food per aver esposto 10 mostre fotografiche dai titoli I Prodotti a Km 0 e Ritratti Del Gusto in giro per la Toscana, patrocinate dalla Condotta Slow Food Empolese Valdelsa.

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sono, hanno dato vita a vere e proprie aziende agricole biodinamiche. È un discorso molto interessante. I ragaz-zi che sono in foto hanno già avviato con l’aiuto di Slow Food una vera e pro-pria attività: uno produce miele, l’altro il formaggio etc... partendo sempre dai concetti dei presidi e dalla base, quindi, dall’allevare il bestiame o api. Mentre ero lì a fare le foto, c’è stato un vecchio contadino, che ha fatto quel lavoro per tutta la vita, che in questo contesto ha fatto il professore a questi ragazzi e dovevate vedere l’emozione sul suo viso quando lo hanno ringraziato pubblicamente, quasi piangeva quando è andato al microfono.»Ecco, questa è l’umanità che ha animato il Salone del Gusto di Torino 2012.

Simone Civitelli

Emanuele Bertini

Emanuele Bertini

Simone Civitelli

Graziano Bellini

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Scuo

laFirenze

Lo spettacolo abbia inizio!... Un simpatico presentatore con gorgiera cinquecentesca, accoglie il pubblico in un rosso tendone onirico sospeso nell’aria all’interno del vecchio teatro tenda Obihall di Firenze. Ritorna il circo, con tutti i suoi abbaglianti colori e visionari personaggi che magicamente prendono vita in un mondo dove l’ir-

reale diventa reale, ben oltre i nostri sogni.Bizzarre anime colorate si affacciano da un occhio di luce per introdurre nella magia di ogni singolo protagonista e danno vita a sogni e desideri degli artisti del circo: clown al femminile, al tempo stesso seducenti e accattivanti, marionette, donna barbuta, saltimban-chi, donna cannone, domatrici di cavalli, zebre e donne-giraffa.Si apre così quest’anno, all’insegna dello spettacolo-performance, la sfilata dell’Istituto Tornabuoni-Cellini di Firenze. Gli abiti ispirati al circo e rigorosamente realizzati dalle allieve della sezione moda del Tornabuoni con le professoresse, le tecniche dei laboratori, esperti del settore e molti altri. Sfilano abiti elaborati e creativi che stravolgono la normale fisionomia del corpo alternati da costumi revival di vari periodi storici, abiti simili a sculture di gesso, con maniche e panier che esplodono in cuspidi improvvise, fascianti o

che sfilata!c ri c

TEXT Mariantonietta Belardo PHOTO Piero Alessandra

o

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a palloncino, abiti-origami e bambole meccaniche. Uno spettacolo che ha avuto il pregio di far convivere arti espressive, teatro di strada, circo, musica, storia e tanto altro ancora. Una “magia” ha restituito alla gente l’atmosfera dei tempi in cui ci si ritrovava nei cortili e nelle piazze per fare festa, ricerca teatrale che è diretta figlia delle ultime avanguardie e di una contemporaneità divenuta finalmente popolare. Vesti antiche, che hanno ricevuto nuova linfa e costruito una nuova identità, al confine tra circo, mimo, danza e arte girovaga. Una ipnotica serie di gag originali, comicità fisica, improvvisazione e un assortimento incredibile di eccentricità. Gli allievi hanno condotto con il loro passo stravagante a volte sognante nello strabiliante universo onirico con suggestive immagini, video coreografie, effetti di luce e acrobazie, destreggiatori di bastoni, ammaliatori di colombe, con sottile ironia hanno guidato il pubblico in un viaggio sorprendentemente originale. Il teatro tenda Obihall é stato scelto come luogo di comunione tra gli interpreti e il pubblico che si trova catapultato sul palco nel con-tinuo scambio tra sogno e realtà. Questo il nuovo spettacolo che il Tornabuoni con le sue mille idee ha voluto regalare al pubblico. La preside Dott.ssa Delle Rose come sempre ha affiancato gli alunni della scuola sostenendoli in questa iniziativa davvero originale.

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Arch

itettu

ra

C’è un filo conduttore che lega il presente e il futuro dell’edilizia To-scana con il Trentino e la recente

inaugurazione dell’Auditorium di Renzo Piano all’Aquila.Lo scorso 7 ottobre l’edificio, donato dalla provincia autonoma di Trento a L’Aquila, è stato ufficialmente consegnato con il concerto dell’Orchestra Mozart sotto la guida del Maestro Claudio Abbado, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.L’auditorium è composto da tre cubi in legno di abete del Trentino, il principale dei quali ospita la sala da concerti ed è in bilico, poggiato su uno spigolo, con la precisa ragione di contenere nella parte inferiore dell’inclinazione la platea.L’Auditorium del Castello è il primo edifi-cio pubblico certificato Arca: Architettura Comfort Ambiente, una certificazione che attesta la qualità della costruzione in le-gno (www.arcacert.com). Il progetto Arca nasce per iniziativa della Provincia Auto-noma di Trento e certifica il processo pro-duttivo dell’edificio attestando la qualità dell’abitare e verificando le prestazioni energetiche, acustiche, igroscopiche e di durabilità dell’edificio finale.L’architetto Emanuele Garufi, allievo del Prof. Natalini, esperto in edilizia sosteni-bile e specializzato nella realizzazione di edifici in legno, lavora con la LogHouse-Log Engineering, l’impresa che ha realiz-

zato la struttura e l’involucro edilizio in le-gno dell’auditorium, ci racconta quelli che sono gli sviluppi dell’edilizia in legno nel panorama regionale toscano.Che cosa ha significato realizzare un edifi-cio così importante in legno?La realizzazione dell’auditorium di Renzo

Piano rappresenta l’espressione massima delle potenzialità del costruire in legno. Il legno ha una grande resistenza antisi-smica e consente di ottenere un’elevata efficienza energetica. È un modo di co-struire che costituisce il nuovo standard di riferimento per la qualità edilizia. A monte della realizzazione infatti ha fondamentale importanza la progettazione e l’ingegne-rizzazione della produzione. È un proces-so integrato che permette, attraverso le più moderne tecnologie e strumenti di analisi, di esaltare le qualità naturali del materiale da costruzione più antico e più

impiegato nella storia. È questo il vero va-lore aggiunto delle costruzioni in legno.Quali sono queste qualità?Il legno è un materiale da costruzione fra i più nobili. Sono la sua capacità resistente in rapporto all’estrema leggerezza, la ca-pacità di non disperdere calore attraverso

la sua bassa conducibilità termica, la lon-gevità, le qualità acustiche ed estetiche, la facile lavorabilità i fattori che lo rendo-no molto efficiente e con pochissimo im-patto ambientale.Come avviene la costruzione in legno?A seguito del processo progettuale se-gue una prefabbricazione degli elementi costruttivi che avviene attraverso un pro-cesso industriale scientificamente control-lato. Il legno viene lavorato in stabilimenti autorizzati che portano alla realizzazione degli elementi costituenti l’edificio, mon-tati poi in cantiere.

TEXT Elenoir A

Il futuro dell’edilizia eco-sostenibile in toscana è il legno

Scatti dell’Auditorium del Castello a l’Aquila. In basso l’architetto Renzo Piano insieme all’architetto Emanuele Garufi

ecologicoL’Aquila

un dono

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Questo ciclo produttivo che investe le più moderne competenze e tecnologie porta a prestazioni elevatissime e certe, tempi che sono brevissimi rispetto a una costru-zione tradizionale e dal costo vantaggio-so. È un processo adattabile a qualsiasi costruzione e quindi alla portata di tutti.Nel panorama della nostra regione a che punto è la sensibilizzazione verso questo modo di costruire?La Toscana è una delle regioni più all’avan-guardia nel sostegno all’edilizia sostenibi-le, avendo già introdotto da qualche anno delle linee guida per lo sviluppo dell’edi-lizia sostenibile. Noi come LogHouse, sia-mo in procinto di realizzare per lo Studio Ingeo di Fauglia, la prima casa che sarà certificata Arca, autonoma dal punto di vista energetico e con le più avanzate soluzioni in termini di involucro edilizio e

impiantistico. Sarà una casa in tipico stile toscano. L’auditorium con una chiara espressione dell’estetica del legno, qui un casolare ti-pico toscano, non ci sono vincoli estetici al costruire in legno?Assolutamente, la casa in legno non è la baita di montagna. Per farvi un esempio, abbiamo un cantiere a Livorno per una palazzina in stile neoclassico.Il legno è semplicemente un sistema co-struttivo che permette di ottenere i mi-gliori risultati in termini di rapporto qua-lità/prezzo.Sì, entrambi gli edifici verranno realizza-ti con un costo inferiore rispetto a una realizzazione in edilizia tradizionale che ambisse a ottenere le stesse prestazioni. Con il legno, in virtù dei processi produt-tivi di prefabbricazione, il dato teorico è perfettamente allineato con quello spe-rimentale sul prodotto finito; l’edilizia tradizionale corrente difficilmente è in grado di fornire tali garanzie.Provare per credere quindi e teniamo presente quello che dice Renzo Piano «Se si costruisse di più in legno, ci sareb-bero molti meno guai.»

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caduto durante l’acquisto di un nostro prodotto, un prezzo troppo alto, un’as-sistenza post-vendita condotta male, qualcosa che è associato al momento di acquisto. Per recuperare il cliente in questo caso può spesso bastare una telefonata ana-loga alla precedente:

«Buongiorno Marco, sono preoccupato, ho notato che non compri più da noi, è accaduto qualcosa? Abbiamo fatto qualcosa che non ti ha lasciato soddisfatto? Se è così ci spiace moltissimo, parliamo-ne e vedrai che troveremo un modo per sdebitarci». Anche in questo caso la percentuale di clienti che torna a comprare da noi è molto alta.

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Siete in grado di sapere esattamente quali clienti non comprano più da voi?

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Dipende da qualche cambiamento che si è verificato nella sua vita, un cambio di residenza, un problema di salute, la nascita di un figlio, si è sposato, ha di-vorziato e via discorrendo. Qualcosa che ha comportato un cambiamento nelle sue abitudini. Per recuperare il cliente in questo caso può spesso bastare una telefonata:

«Buongiorno Marco, sono preoccupato, ho visto che non compri più da noi, è suc-cesso qualcosa?». Di solito basta già questo per riportare gli acquisti del cliente ai livelli precedenti.

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Campana Guazzesi e Castelfranco di Sotto Selene Menichetti.Nella nostra AVO è presente anche una formidabile AVO GIOVANI, che come si capisce, è composta da ragazze e ragazzi che hanno scelto questa strada di solida-rietà ma che celebrano anche l’amicizia e il senso di appartenenza al gruppo; fiore all’occhiello è la partecipazione annuale al Festival Marea che si svolge in estate a Fucecchio. Si diventa volontari dopo un breve Corso di Formazione che, attraverso incontri in cui si affrontano tematiche diver-se, serve a preparare i tirocinanti al servizio vero e proprio. Il nuovo volontario sarà affiancato da un volontario-guida, per tutto il tempo necessario a sentirsi sufficiente-mente autonomo nell’affrontare il turno di servizio, due ore settimanali, nel reparto o nella residenza per anziani scelta in accordo con l’associazione, secondo i bisogni del territorio e le proprie esigenze personali.

dedicare un po’ del proprio tempo e della propria energia per donare un sorriso, una parola di conforto, l’ascolto a chi è costret-to a un ricovero ospedaliero, a un anziano nella casa di riposo. Donare se stessi. Il volontario non ha un compito sanitario, per quello ci sono medici e infermieri, ma si occupa del lato umano del malato o dell’anziano, il volontario non riceve compenso economico, ma la sua gratifica-zione deriva dal donare e donarsi. Sentirsi responsabili, offrirsi all’altro, il nostro prossimo, è quanto ci sprona a fare Don Luigi Ciotti, ospite del convegno nella giornata di sabato, nel suo intervento come al solito energico e incisivo, lui che del prendersi a cuore i bisogni altrui, ha fatto una scelta di vita. Quella del volonta-rio è una scelta di responsabilità e di cre-scita interiore, che indubbiamente ci ren-derà più forti, più liberi. Nel comprensorio del cuoio la presenza dell’AVO è attiva dal 1991. Fondata a Fucecchio da Anna Poletti e Norma Maltinti, svolge il proprio servizio negli ospedali di Fucecchio e San Miniato nonché nelle residenze assistite di Santa Croce sull’Arno Meacci, Fucecchio Le Vele, San Miniato Fondazione Del

TEXT Tiziana Pellegrini

Si è svolto dal 9 all’11 novembre scorso a Pescara il IXX Convegno Nazionale AVO, l’associazione vo-

lontari ospedalieri.Ma che cosa significa esattamente essere un volontario ospedaliero?L’AVO nasce nel 1976 a Milano ad opera di un medico, il Primario di Medicina dell’ospedale di Sesto San Giovanni, prof.Erminio Longhini, che sentendo il lamento di una degente che chiedeva invano un bicchiere d’acqua, si pose la domanda: «a chi tocca? A chi tocca un piccolo gesto per dare sollievo alla sofferenza?»Nasce così, dalla generosità di un medico e di un gruppo di suoi amici, l’associazione che porta un sorriso, un gesto gentile, una presenza rassicurante ed emotivamen-te importante nelle corsie d’ospedale. Da allora l’AVO si è diffusa a macchia d’olio in tutta Italia, i numeri che la carat-terizzano sono importanti: 500 ospedali coperti da oltre 3 milioni di ore annue di servizio gratuito all’ammalato, 240 sedi da nord a sud, circa 30 mila volontari, fiaccole di speranza, laddove all’umanità è dato di soffrire, ma non deve essere consentito di ammalarsi di solitudine.Il tema del convegno di quest’anno evi-denzia l’importanza del volontariato in ospedale come scelta di vita, scegliere di

vitaAVO

Sede AVO Fucecchio-San Miniato Piazza Cavour 10 - Fucecchio,

Tel. 057122557 [email protected]

I volontari AVO della sede di Fucecchio-San Miniato; sotto Don Luigi Ciotti

una scelta di

Volo

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A Firenze le opere degli studenti del Distretto della Pelle in mostra a Pa-lazzo Panciatichi presso le sale del

Consiglio RegionaleAncora una ribalta importante per le pre-ziose opere in pelle realizzate dai giovani studenti toscani del Comprensorio del Cuoio protagonisti di Amici per la Pelle, il progetto promosso dal Gruppo Giova-ni dell’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno nel 2010 e confermato-si negli anni un’occasione per gli allievi delle scuole locali per misurarsi, a colpi di creatività e ingegno, con il prodotto simbolo del loro territorio di provenien-za, la pelle. In occasione della Festa della Toscana, e per tutta la metà dello scor-so novembre, le riproduzioni in pelle di quadri famosi che gli studenti avevano realizzato lo scorso anno nell’ambito del progetto, sono rimaste esposte a Palazzo Panciatichi, a Firenze, sede del Consiglio Regionale, in un’apposita mostra. Emo-zionati e divertiti tra le sale del Palazzo, e incuriositi da quell’ambiente per la mag-gior parte di loro sino a quel momento sconosciuto, i giovani “artisti” si son det-ti entusiasti di vedervi esposte le proprie opere. Che hanno così trovato in una delle città d’arte mondiali per eccellen-za, Firenze, la location ideale per essere apprezzate al meglio.

«Amici per la Pelle si è rivelato un pro-getto di grande valore, che ha saputo realizzare un collegamento tra territorio, scuola, industria e istituzioni e valorizzare la locale eccellenza economica stimolan-do ingegno e creatività dei più giovani»: a parlare è il consigliere regionale Nico-la Nascosti, che ha fortemente voluto gli Amici per la Pelle a Palazzo Panciatichi, e che per l’inaugurazione della mostra ha improvvisato, con i giovani studenti presenti, una divertente simulazione dei

lavori consiliari: «un’occasione utile - pro-segue Nascosti - per spiegare ai ragazzi il funzionamento della pubblica ammini-strazione e un’opportunità ricca di sfuma-ture interessanti: ci auguriamo che inizia-tive come questa possano essere ripetute e sostenute anche in futuro». Palcoscenici preziosi per opere pregiate.A Firenze dal Comprensorio del Cuo-io sono giunti, per l’inaugurazione della mostra, gli studenti delle scuole medie di Santa Croce sull’Arno e Fucecchio, con i

TEXT&PHOTO Carlo junior Desgro

Firenze

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loro docenti e con le dirigenti scolastiche, Renata Lulleri per l’Istituto Comprensivo di Santa Croce e Lia Morelli per l’Istituto Comprensivo di Fucecchio, soddisfatte per il buon lavoro fatto dai ragazzi e per le numerose opportunità che l’esperienza di studio connessa ad Amici per la Pelle continua ad aprire ai giovani partecipanti al progetto. Solo lo scorso aprile gli stes-si quadri erano stati esposti con successo a Bologna nel corso di Lineapelle, tra le

più importanti manifestazioni fieristiche dell’industria conciaria, oggi sembrano entrare a pieno titolo nel patrimonio di cultura espressione del territorio del di-stretto: «Agli studenti impegnati nel pro-getto va un grande plauso - aggiunge il vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Benedetti - e va riconosciuto il merito di aver contribuito a dare uno spaccato originale di una delle più signi-ficative attività produttive del nostro terri-

torio, l’industria della pelle, conosciuta a livello nazionale e internazionale».Al via la nuova edizione del progetto: stu-dio e creativitàStudio, divertimento, impegno e oppor-tunità per i ragazzi di socializzare e matu-rare insieme: anche per l’anno scolastico 2012\13 e per la nuova edizione di Amici pe la Pelle si confermano, intanto, gli in-gredienti che ne hanno decretato sin qui il successo, come spiega Stefanella Foglia, coordinatrice del progetto: «Con Amici per la Pelle - afferma - siamo riusciti a spiegare ai ragazzi in modo semplice e pragmatico importanti nozioni legate alla loro realtà socio-economica rendendoli protagonisti di quanto hanno imparato: sentirli entusia-sti e vederli studiare e divertirsi contempo-raneamente nell’apprendere quei concetti, ha rappresentato un risultato importante che ci spinge a investire ancora su questo progetto, che nella nuova edizione appe-na aperta si sta confermando in grado di incuriosire e affascinare gli allievi».Quest’anno Amici per la Pelle nell’appro-fondire e spiegare ai più giovani i mecca-nismi dell’industria conciaria, porterà gli studenti in un viaggio virtuale alla scoper-ta di oggetti significativi dei diversi perio-di storici che i ragazzi dovranno riprodur-re ancora una volta utilizzando la pelle: un’ulteriore occasione per immergersi a piene mani e per conoscere il ricco pa-trimonio connesso alla realtà industriale del Distretto.

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Inter

vista

C arismi getta lo sguardo oltre la crisi, puntando a cogliere le opportunità che ci sono in Toscana per una ban-

ca che intende rafforzarsi come riferimento delle famiglie e della media e piccola im-presa. Obiettivi che oggi trovano l’istituto di credito sanminiatese ancora più solido dopo l’aumento di capitale da 25 milioni di euro portato a termine in tempi molto rapidi. Di quest’operazione e del futuro della banca abbiamo parlato con Alberto Silvano Piacentini, che dal maggio scorso è Vice Direttore Generale della Cassa di Risparmio di San Miniato Spa. Partiamo dall’aumento di capitale e dal successo dell’operazione. Quali prospet-tive si aprono?Un successo raggiunto grazie al lavoro in-tenso e capillare della rete delle filiali che ha saputo proporre il progetto agli azioni-sti ed ha lavorato molto bene per avvici-narne di nuovi. Ora cosa cambia? Cambia che rispetto al piano industriale questa dotazione ci consente di rispetta-re importanti parametri e di crescere, di aprire nuove filiali. In buona sostanza ci consente di rispettare un piano che non è di contenimento dei costi ma di sviluppo, a differenza di quello che sta accadendo oggi nel sistema bancario.Come avverrà e con quali tappe la nuova stagione di crescita?Siamo presenti e forti nella zona storica della banca, nell’asse Pisa-Firenze. Ab-biamo però spazi da cogliere nella fascia costiera, sia in Versilia che tra Livorno e Piombino. Tra la fine dell’anno e l’inizio del 2013 apriremo la seconda filiale di Viareggio e la seconda di Lucca. Questa strategia ci permetterà di conquistare nuovi clienti e nuove quote di mercato in altri settori, e quindi anche di diversificare il rischio sugli impieghi. Sarà un’occasione anche di crescita per i colleghi perchè le nuove aperture avverranno attingendo in parte alle risorse interne. Indubbiamente, anche se non è possibile allo stato attua-le dare un dato, porteranno anche nuova occupazione.Carismi dal manifatturiero della pelle e della calzatura al settore del turismo?Certamente, il turismo è fatto da un rete

TEXT Carlo Baroni

di piccole imprese che hanno bisogno del sostegno del mondo bancario e di una banca con cui dialogare. La Cassa di Ri-sparmio di San Miniato è pronta a questo rapporto, proponendo prodotti specifici e innovativi. Abbiamo, ad esempio, già un prodotto per i commercianti della pas-seggiata di Viareggio che devono ristrut-turare la loro attività, prodotto che stiamo proponendo anche a Pisa.Le filiali di Roma e Milano restano stra-tegiche?Assolutamente sì, perchè ci consentono di servire e raggiungere clienti istituziona-li importanti e comunque sono avamposti della banca in città chiave del Paese.Che numeri avrà la nuova crescita? Quali sono gli obiettivi?Siamo molto soddisfatti anche di come si chiude il 2012 che avrà un saldo attivo di 4500 conti correnti. Oggi la banca ha 86.200 conti correnti e 126.000 clienti. Alla fine del piano industriale, nel 2015, con-tiamo di tagliare il traguardo dei 100.000 conti attivi.Parliamo della crisi e del polso della situa-zione sul territorioSiamo in grave difficoltà economica e ci

sono settori che soffrono molto, come il mattone e la nautica. Però ci sono azien-de che stanno reggendo molto bene, e sono soprattutto quelle vocate all’export. Anche la conceria resiste con buone per-formance alla congiuntura. La crisi tocca molto da vicino le banche, soprattutto in termini di crediti deteriorati e di tassi d’in-teresse che non consentono marginalità. Per la nostra banca questa crisi, tuttavia, si sta rilevando l’opportunità per conqui-stare quote di mercato lasciate libere dei nostri competitors e grazie all’aumento di capitale non abbiamo problemi di patri-monio o di liquidità.È sufficiente questo aumento di capitale?Rispetto al piano industriale è sufficien-te per tre anni. Nulla vieta che si possa ricorrere in futuro nuovamente al mer-cato per cogliere altre opportunità di sviluppo della banca. Infatti il successo dell’operazione dell’aumento di capitale lo dobbiamo anche al fatto che si par-la della Carismi come di una banca che vuol crescere, che è pronta a fare credito e dialogare con le imprese. Quest’aspet-to è stato ben visto dai clienti già acqui-siti e da quelli nuovi.

Cassa di Risparmio di San Miniato

una nuova

Albero Silvano Piacentini, Vice Direttore Generale della Cassa di Risparmio di San Miniato

stagionecrescitadi

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TEXT Angelo Errera23° raduno nazionale Z3mendi

l’ultima ma importantissima donazione, una citocentrifuga a fa-vore dell’Ospedale Universitario Campus Bio-medico di Roma e a ritirala direttamente è intervenuto il prof. Paolo Arullani, presi-dente della struttura. La citocentrifuga è macchinario importan-tissimo, che serve per la diagnostica precoce delle leucemie. Non sono certo mancate le emozioni e anche qualche chicca

La domenica visita al museo Piaggio e a seguire aperitivo a Santa Maria a Monte, organizzato e gentilmente offerto dal comitato della Sagra patata fritta, con degustazione della pa-tata Tosca, e intrattenimento musicale della banda folcloristica La Montesina, nell’occasione è stata consegna una Fiat panda alla Misericordia di Santa Maria a Monte, la quale sarà usata per servizi di assistenza sociale. Inoltre è stata fatta una donazione ai terremotati dell’Emilia Romagna, appoggiando l’iniziativa di Radio Bruno “Teniamo Botta”. A conclusione della domenica, durante il pranzo di saluto dei partecipanti, è stata consegnata

Approdo in Toscana degli Angeli di Mare. Si rinnova l’ap-puntamento con gli z3mendi nel raduno nazionale in To-scana. La tre giorni è stata organizzata dal club sotto la

direzione di Stefano Maffei e Daniela Bagnoli patrocinata da Re-gione Toscana; provincia di Pisa e Livorno; comuni di Pisa, Livor-no, Pontedera, Santa Maria a Monte e Fondazione Piaggio; con la collaborazione della prestigiosa Accademia Navale di Livorno e in ricordo dell’Ammiraglio Angelo Lattarulo. Come ormai da tradizione, il maestro Antonio Bobò, noto e cono-sciutissimo artista nonché amico di Stefano e Daniela, ha dedicato a questo 23° raduno un’opera pittorica la quale è stata utilizzata come immagine di tutto il materiale dell’evento: la copertina del-la pubblicazione di ringraziamento ai sostenitori e gli adesivi da attaccare sulle belle BMW. Per i pochi, anzi direi pochissimi che non conoscono gli z3mendi, mi sembra doveroso ricordare che è un Club composto da un folto gruppo di giovanissimi e non, con la passione delle z3 BMW. I quali essendo di tutta Italia, organiz-zano vari incontri e raduni sempre alla scoperta di luoghi e sapori nuovi, il tutto però finalizzato soprattutto alla solidarietà umana. Mi spiego meglio: dal 2008 l’associazione si è data come scopo di utilizzare i proventi raccolti per i raduni, per l’acquisto diretto di beni socialmente utili. Per il 2012 la carovana di auto Z3, composta da circa ottanta equipaggi, (il più lontano veniva dalla Sicilia) ha gi-rato per le province di Pisa e Livorno facendo come prima tappa, il sabato, una visita all’Accademia navale di Livorno dove sono state assegnate le prime donazioni: all’istituto Andrea Doria (orfani della Marina Militare Italiana), al club Agorà di Livorno (che si occupa di aiutare persone in difficoltà) e il rinnovo di un’adozione a distanza di una bambina africana già iniziata nel 2009 con la onlus Avsi.

goliardica. Dal punto di vista tecnico e organizzativo tutto è filato liscio, anche grazie al supporto della staffetta del BMW Motorad Club Livorno-Pisa e le scorte dei carabinieri e polizia locale di Livorno e Pontedera, e naturalmente anche allo staff degli z3mendi. In chiusura una considerazione personale: per noi è il secondo

Angeli di Mare

raduno nazionale al quale partecipiamo, ed è sempre un piacere essere ospiti di questi eventi, ai quali si uniscono passione, cu-riosità, cultura, ma soprattutto solidarietà. Un plauso agli organizzatori che nonostante questi momenti di crisi, riescono a coinvolgere sempre più sponsor e sostenitori, per far sì che il raduno sia al top, ma soprattutto che le donazioni siano sempre di alto valore. Non resta che darci appuntamento al prossimo raduno, con la speranza che i Maya abbiano commesso qualche piccolo errore. Per saperne di più visitate il sito: www.Z3mendi.it

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LA COLLINELLA Casa Vacanze Bed & BreakfastVia S.Stefano, 147 - 50050 Montaione (FI)

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Relax nel cuore della Toscana

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Cartier ha festeggiato a Milano, con un esclusivo cocktail su invito, la riaper-tura della sua storica Gioielleria di via

Montenapoleone, completamente rinnova-ta a seguito di un’importante ristrutturazione. A questo appuntamento d’eccezione, che ha registrato una partecipazione straordina-ria, sono intervenuti autorità e protagonisti di spicco della vita mondana milanese e in-ternazionale. Noti personaggi del mondo del cinema, dello spettacolo, della moda e della tv, sono giunti a festeggiare Car-tier: un lungo tappeto rosso e un enorme “ecrinrouge” segno distintivo della Maison,

li ha accolti in una magica atmosfera avvol-ta da una romantica musica di sottofondo, opera di una cantante lirica di successo. Tra gli ospiti: Kasia Smutniak, Isabella Fer-rari, Marta Gastini, Roberto Farnesi, Eva Riccobono, Nadege Dubospertus, Marica Pellegrini, Ilaria D’Amico, Gerry Scotti, Billi Costacurta e ancora… Gaia Bermani Ama-ral, Elisabetta Canalis, Maddalena Corva-glia, Federica Fontana, Filippa Lagerbach, Giorgia Surina, Rosita Celentano. Fra le prime Boutique Cartier nel mondo per prestigio d’immagine e importanza, la Gioielleria milanese è da tempo un riferi-mento importante per la vita sociale, cultu-rale e artistica della città. Lo ha confermato lo straordinario successo senza precedenti dell’evento che ha a lungo incantato gli ospiti invitati, ma anche una folla di curiosi giunti sul luogo dell’evento.

astovia Montenapoleone

Cartier ha inaugurato a Milano la sua Gioielleria completamente rinnovata

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TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

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TEXT Paola Baggiani

contenuti in quantità apprezzabili nell’olio extravergine d’oliva; il loro potere antios-sidante ha una forte influenza sulla con-servazione dell’olio impedendone l’irran-cidimento ed essi hanno un forte impatto sulle caratteristiche del prodotto relative alle sensazioni di amaro e piccante. I polifenoli hanno una notevole influenza su alcune diffuse patologie come l’iper-tensione, l’arteriosclerosi, la prevenzione di alcuni tumori. Sono presenti inoltre pigmenti colorati composti da clorofille e carotenoidi che conferiscono agli olii il colore verde intenso; altri composti come alcoli, cere, aldeidi, chetoni influenzano la nota aromatica dell’olio e sono coinvolti nella valutazione edonistica del prodotto. Recentemente è stata scoperta una so-stanza, chiamata oleocantale, con pro-prietà antinfiammatorie e antidolorifiche simili a quelle di molecole chimiche, ed è responsabile della sensazione di pizzi-chìo che si avverte gustando l’olio d’oliva. L’olio d’oliva è prevalentemente usato come alimento, con numerose proprietà terapeutiche e preventive per la salute; non va tuttavia dimenticato il suo impie-

go in campo cosmetico, dove si utilizza per fare saponi, pomate, unguenti.

Inoltre i noccioli delle olive sono un ottimo combustibile, economico ed ecologico e lo sfruttamento di questa fonte energetica è già ini-ziato in Spagna. L’olio d’oliva possiede un alto va-lore energetico: 900 calorie per 100 gr. d’olio: è costituito per il 98,5% da grassi di cui 73, 4% insa-turi e il 15,6% saturi e il 9,5% po-linsaturi. Questa composizione rende l’olio d’oliva il condimento ideale per la presenza di una mi-nima quantità di grassi saturi che provocano le malattie cardio-vascolari, e di grassi polinsaturi, abbondanti negli oli di semi che formano radicali liberi acceleran-do l’invecchiamento e l’insorgen-za di alcuni tumori. L’olio d’oliva ha un elevato tas-so di digeribilità dovuto alla sua capacità di stimolare gli enzimi

L’olio d’oliva, alimento tipico dell’area mediterranea, è un prodotto antichis-simo: infatti le prime piante originarie

della Siria e della Palestina erano già pre-senti 6000 anni a.C., mentre soltanto intor-no al 1000 a.C., venne introdotto in Italia. A differenza di tutti gli altri oli, che si ot-tengono da semi l’ulivo, è l’unico che si ottiene dal frutto della pianta specie Olea europea. L’olio d’oliva extravergine e vergine si ottiene dalla spremitura mec-canica delle olive escludendo qualsiasi trattamento industriale; non deve essere soggetto ad alcun tipo di riscaldamento, il suo grado di acidità non deve essere su-periore all’1% (al 2% nel caso del vergine d’oliva); tanto più è basso il tasso di acidi-tà migliore è la qualità del prodotto. Le denominazioni commerciali sono ri-gorosamente codificate dall’Unione Eu-ropea nella direttiva 136/66/CEE. L’olio ottenuto con ricorso a metodi chimici e fisici viene messo in commercio con altre denominazioni (es. olio di sansa, olio d’oli-va raffinato, etc). Deve essere conservato in bottiglie di vetro scuro o latta, al riparo dalla luce e fonti di calore e se il conteni-tore è integro, l’olio d’oliva si mantiene inalterato per circa 18 mesi. L’Italia è il secondo produttore nel mondo di olio d’oliva, dopo la Spagna; per le caratteristiche stesse della pianta che necessita di un clima mite, la coltivazione è molto diffu-sa nelle regioni del Centro (19%) e del Sud (77, 9%). Chimicamente l’olio d’oliva è un grasso che si presenta liquido a temperatura ambiente ed è com-posto da una frazione “saponifica-bile” composta per il 98% da tri-gliceridi e da una frazione del 2% “insaponificabile”. La frazione “sa-ponificabile” è composta da acidi grassi monoinsaturi come l’acido oleico fino all’83% e in percentua-le inferiore da acidi saturi come il palmitico e lo stearico; la frazione acidica è completata dall’acido li-nolenico e linoleico che sono acidi grassi polinsaturi chiamati anche acidi grassi essenziali perché indi-

spensabili per l’accrescimento e la funzio-nalità dei tessuti dell’uomo che non è in grado di sintetizzarli. L’alto contenuto di grassi monoinsaturi dell’olio d’oliva è la principale caratteristica che lo differenzia dagli altri grassi di origine vegetale. La frazione “insaponificabile” è costituita da un gruppo numeroso di componenti minori che svolgono un ruolo molto im-portante sia da un punto di vista nutrizio-nale che organolettico. I principali com-ponenti sono i tocoferoli, antiossidanti naturali, dei quali la vitamina E è la forma biologicamente più attiva e costituisce il 90% del totale. Gli steroli, svolgono un ruolo importante per accertare la genuini-tà del prodotto poiché la frazione steroli-

ca di un olio d’oliva è tipica, e non con-fondibi-le con q u e l l a

di altri oli. C o m p o -sti feno-lici sono

olioe le sue proprietà

l’

stanza, chiamata oleocantale, con pro-prietà antinfiammatorie e antidolorifiche simili a quelle di molecole chimiche, ed è responsabile della sensazione di pizzi-chìo che si avverte gustando l’olio d’oliva. L’olio d’oliva è prevalentemente usato come alimento, con numerose proprietà terapeutiche e preventive per la salute; non va tuttavia dimenticato il suo impie-

go in campo cosmetico, dove si utilizza per fare saponi, pomate, unguenti.

Inoltre i noccioli delle olive sono un ottimo combustibile, economico ed ecologico e lo sfruttamento di questa fonte energetica è già iniziato in Spagna. L’olio d’oliva possiede un alto va-lore energetico: 900 calorie per 100 gr. d’olio: è costituito per il 98,5% da grassi di cui 73, 4% insa-turi e il 15,6% saturi e il 9,5% po-

Le denominazioni commerciali sono ri-gorosamente codificate dall’Unione Eu-ropea nella direttiva 136/66/CEE. L’olio ottenuto con ricorso a metodi chimici e fisici viene messo in commercio con altre denominazioni (es. olio di sansa, olio d’oli-va raffinato, etc). Deve essere conservato in bottiglie di vetro scuro o latta, al riparo dalla luce e fonti di calore e se il conteni-tore è integro, l’olio d’oliva si mantiene inalterato per circa 18 mesi. L’Italia è

è tipica, e non con-fondibi-le con q u e l l a

di altri oli. C o m p o -sti feno-lici sono

Page 93: Reality 66

TEXT Paola Baggiani

presenti nella parete intestinale dell’uo-mo, aiutando non solo la digestione ma anche combattendo disturbi quali la stipsi cronica. L’olio d’oliva inserito nel contesto della dieta mediterranea ha riconosciute proprietà terapeutiche: la scoperta delle proprietà cardioprotettive di questa dieta è uno dei più grandi successi dell’epide-miologia, nel cui contesto rive-ste un’importanza significativa la presenza di olio d’oliva. Per quanto riguarda le capaci-tà cardioprotettive, il consumo regolare di olio d’oliva riduce il rischio cardiovascolare, migliora il profilo lipidico, abbassando il colesterolo plasmatico LDL e innalzando il colesterolo HDL. Riduce i valori della pressione arteriosa, diminuendo i valori sia della diastolica che sistolica; normalizza il metabolismo del glucosio e previene la patolo-gia trombotica. Inoltre rallenta il declino delle funzioni cognitive nella demenza senile e nel mor-bo di Alzheimer.L’olio d’oliva aiuta a prevenire molte delle malattie dell’apparato ga-stroenterico: protegge le mucosa gastri-ca ed evita gli effetti dell’ipercloridria, riducendo i rischi di ulcera gastrica e duodenale. Stimola la cistifellea e inibi-sce la secrezione della bile prevenendo la formazione di calcoli biliari: l’inciden-za di litiasi biliare è inferiore nelle re-

gioni con alto consumo di olio d’oliva. Un consumo giornaliero costante di olio d’oliva è soprattutto indicato nella prima infanzia, in cui fornisce un apporto di acidi grassi molto simile al latte materno. Durante l’adolescenza, dove l’acido olei-co presente nell’olio d’oliva favorisce l’ac-crescimento delle ossa; nelle donne du-

rante la gravidanza e l’allattamento in cui aiuta la formazione del latte materno e ne migliora le qualità nutrizionali. È utile nelle persone anziane in cui forni-sce un valido apporto di sostanze antios-sidanti che prevengono l’invecchiamen-to cellulare; nella dieta dello sportivo perché introduce attraverso i grassi mol-

ta energia utile in chi pratica un’intensa attività fisica. Studi recenti evidenziano come la pre-senza di olio d’oliva nella dieta potrebbe aiutare, unito al consumo di verdure, nella prevenzione del cancro dell’esofago.Le proprietà nutrizionali dell’olio d’oliva sono le migliori paragonate a qualsia-

si altro grasso di condimento, inoltre è anche un alimento am-piamente gradito grazie a gusto e palatabilità tipica, può essere usato per la frittura, avendo un punto di fumo sufficiente. Merita di essere utilizzato da cru-do liberamente, ma in dosi pro-porzionate alle reali necessità caloriche del soggetto, conside-rando l’elevato apporto in Kcal., e rispettando la ripartizione tra macronutrienti (che prevede un apporto lipidico compreso tra il 25-30% delle calorie totali). Nel contesto di una dieta equi-librata e soprattutto nel caso di patologie dismetaboliche, il contenuto lipidico dell’olio extra vergine d’oliva insieme a

quello del pesce azzurro dovrebbe sosti-tuirsi alla porzione lipidica satura di origi-ne animale (grassi contenuti nelle carni, nei formaggi, nei salumi e nelle uova) de-terminando dei significativi vantaggi nutri-zionali e nella prevenzione delle patologie cardiovascolari. www.baggianinutrizione.it

93

Page 94: Reality 66

TEXT Carla Sabatini, Francesca Ciampalini

94

Segnaliamo grazie alla convenzione con la sezione Soci (Valdarno Inferio-re) di unicoop firenze, i possessori di Carta Soci e i loro familiari di 1° grado possono usufruire dello sconto del 20% su tutte le attività di formazione a pagamento.Alcuni corsi prevedono una quota di par-tecipazione comprensiva d’iscrizione, la frequenza, libri di testo, l’assicurazione contro infortuni e rischi civili, il materiale didattico. Possibilità di riduzione dei costi sulla base del riconoscimento dei crediti in ingresso. Tutti i corsi sopraindicati sono frequentabili per occupati e disoccupati secondo disponibilità gratuitamente con attivazione dei vouchers. I corsi saranno attivati con un minimo di persone e si svolgono a Santa Croce sull’Arno, in ora-rio mattutino, pomeridiano e serale.

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negli ambiti: Formazione e Apprendistato dalla Regione Toscana in collaborazione con Nkey in qualità di Capofila Test Cen-ter accreditato da A.I.C.A. Associazione Italiana Calcolo Automatico hanno elabo-rato un catalogo per la riqualificazione in-dividuale rivolto sia ad aziende che a per-sone che intendono ampliare le proprie competenze professionali.

I corsi spaziano dalla semplice alfabetiz-zazione sia in ambito informatico che della lingua inglese all’aggiornamento e al consolidamento dei livelli più avanzati. l’agenzia fo.Ri.um. è accreditata e gestisce anche i corsi di recupero delle competenze di base per l’assolvimento del diritto dovere alla istruzione e alla for-mazione per minori di 18 anni fuoriusciti dal percorso scolastico.

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1. Informatiche (ECDL livello core e Ad-vanced, ECDL Disegno CAD 2D, EQDL qualità, ECDL in ambito sanitario per me-dici e operatori, programmazione, Web design, ECDL Gis e grafica);2. linguistiche (Inglese, Spagnolo, L2 per stranieri, Cinese)3. Amministrative (contabilità generale, controllo di gestione, analisi di bilancio, software applicativi per la gestione ammi-nistrativa)4. Comunicative (comunicazione azien-dale, tecniche di vendita, marketing e web marketing)5. Tecniche professionali (modelleria calzaturiera, cad/cam 2D, meccaniche, termo idrauliche, estetiche, ristorative, ali-mentari - DGRT 559/2008, e competenze in materia di sicurezza, ai sensi dell’art. 34 e 37 del D. Lgs. 81/2008)

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paese e per venire incontro alle esigenze dei lavoratori

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Page 95: Reality 66

TEXT Luciano Gianfranceschi

95

Cur

iosità

Non i venditori di falsi tuberi stranieri,

ma i falsi tartufai locali

La madre terra ormai la trattiamo come una matrigna, dedicando al pianeta una festa un giorno all’anno,

come per alleggerirci la coscienza. Un po’ quel che si fa con gli anziani, che non sono più saggezza e tradizione in casa, ma un problema da parcheggiare nelle case di riposo; tranne appunto festeggiare insie-me il compleanno. La sensibilità ambientale è quella per cui, a parole, tutti vogliamo salvare il pianeta, ma

nessuno aiuta in casa la mamma a fare la raccolta differenziata. Invece, siccome ognuno di noi può fare molto, con il comportamento quotidiano nell’uso delle risorse - e mediante la sen-sibilizzazione degli altri - ascoltiamo chi sta davvero a contatto con la terra, sopra e sot-to, come il tartufaio.Trovare un tartufo in quest’autunno è una fortuna sfacciata, o c’è dell’altro? Racconta un decano dei tartufai sanminia-tesi, sospirando: «Se ne trovano sempre meno, quest’anno 2012 quasi niente. Per-ché è cambiato il modo di coesistere con la natura». È sottinteso che se si lavora la terra con il trattore, anziché con la vanga, addio alle spore di tartufi sotto terra. Ma ha detto ben altro: «Bisogna essere rabdomanti per istinto.

Il trifolaro va con il cane, però occorre all’uo-mo avere fiuto che quel giorno, in quel

l u o g o dove casual-

mente va, il tartufo sta fiorendo. In-fatti, soltan-to quando fiorisce, il

tubero svi-luppa l’afrore

inconfondibile che il cane, a sua volta bra-vo e ubbidiente, allevato a tartufi fino a di-ventarne ghiotto, sente; mentre per il naso umano l’odore è ancora sottoterra. Poi l’in-tervento umano, per raccoglierlo, avviene in ginocchio: c’è chi ci vede una specie di rito pagano per la generosità della madre terra».Infine, arriva al dunque. «Se si vuol trovare il tartufo nero in estate, e quello pre-giato bianco in inver-no, bisogna che in pri-

mavera, quando si raccoglie un tartufo bianchetto di discreta pezzatura, cioè uno di quelli da cui si potrebbe ricavare un po’ di soldi, lo si lasci appassire in casa. Avveniva sulla madia del pane, ma va bene

anche lo scaffale in garage; allorché non è più commestibile, si torna nel bosco, in un punto diverso da dove è stato trovato, si scava nel terriccio

una buca, e vi si depone il tubero».È una semina, pur se il tartufo non si può seminare né coltivare? «È un ringraziamento alla madre terra. Lo facevano tutti, ma ora non lo fa quasi più nessuno». Anzi vengono fatte altre cose, da pericolo-si nemici poco conosciuti. «I cercatori improvvisati. Gente senza lavo-ro ce n’è, allora con cento euro qualcuno prende il tesserino, con tremila euro compra un cane da tartufi, che tra parentesi a quel prezzo non è neanche bravo perché occor-re spendere almeno il triplo, e va a cercare i tartufi. Speriamo che ne trovi pochi, perché quando li raccoglie fa danni nello scavare, nel non ricoprire la buca, nel danneggiare

le spore e quindi anche il prodotto futuro».

Sono i falsi tartufai, ai quali manca

l’esperienza, ma soprat-

tutto il ri-s p e t t o

del ter-ritorio.

preg atoi nemici del

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SensiSensi di Margot

Papa Giovanni XXIII(1881-1963)

L’umanità è una grande, una immensa famiglia

... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello

che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.

Page 98: Reality 66

Immergersi già nel Natale è assolutamen-te possibile visitando il Villaggio Flover, ospitato presso la ridente Bussolengo. Qui,

le tradizioni europee legate alla magia dell’Av-vento si materializzano per incanto, così la mongolfiera, regno di gnomi e regali, sovra-sta la magica casa di Babbo Natale costipa-ta dalle tante richieste scritte dai bambini! E ancora, il magazzino adibito ai gio-cattoli animati gareggia, in bellezza, con i presepi d’auto-re, mentre spettacoli, ghiotto-nerie, decorazioni, luminarie, addobbi, completano la carrel-lata dedicata al Natale d’Autore. Per maggiori informazioni consul-tate il sito www.flover.it. Rimanendo in clima festaiolo, Innsbruck ricorda la fiaba, la musica, il luccichio legato alla neve e alle sue luci. La città ospita il delizioso mercatino per bambini, costeggiante il fiume Inn, supportato dal varie-gato intrattenimento con teatro dei burattini, presepe vivente, narratori di favole. Cocco-lato dalle Alpi, l’abitato ospita altri mercatini, basti menziona-re quello panora-mico sulla Hunger-burg, dove regnano profumi, sapori, ricordi, o le bancarelle di Wiltener Platzl, panoramica dedica-ta all’artigianato d’autore e alle leccornie autoc-tone. A tal proposito, Innsbruck Tourismus offre un vantaggioso pacchetto per le va-canze dicembrine comprendente due pernotta-menti in ho-tel, cola-zione

a buffet, la Innsbruck Card per l’ingresso alle attrazioni turistiche cittadine. Ah, gli approfon-

dimenti li trovate sul sito www.innsbruck.info. Se amate l’arte, il paesaggio, la buona cucina, il relax,

allora l’Umbria natalizia fa al caso vostro. A tal ri-guardo, il suo Consorzio Benessere offre una

variegata scelta tra residenze d’epoca, relais di charme, resort, agriturismi, country hou-

se, sporting center, hotel con beauty-farm, centri benessere e SPA. In effetti, visitare la terra di San Francesco vuol dire immergersi

in una dimensione popolata da borghi medievali, castelli, natura,

sorgenti incontaminate, gastronomia eccellente. Il suo invidiabile patrimonio

architettonico, spesso, trova degna prote-zione diventando blasonata dimora d’epo-

ca, come il secolare Castello di Montigna-no, trasformato in lussuosissimo alber-

go con esclusivo centro benessere. I luoghi storici umbri vivono anche

grazie all’ottima cucina locale. Ne è prova la nobile Residen-

za Roccafiore, coccolata da piscina termale e prolifici vigneti, le cui salutari cu-

cine sfornano invi-tanti piatti realizzati

con prodotti genuini. Una bella vacanza natali-

zia trova degna conclusione presso Città di Castello grazie al suo patrimonio storico. Ne sono prova il Palazzo del Podestà con facciata barocca, il super-

bo Duomo, le artistiche chie-se dedicate a San Domeni-

co, Santa Maria Maggiore, San Francesco, le Terme

di Fontecchio, dotate di area benessere e

progettate privile-giando il colore,

la luce, la mu-sica.

Vacanze

di Natale

di Carlo Ciappina

Page 99: Reality 66

La magica immersione nelle fiabe, dove regnano un lago scintillante, luci, stel-le, rappresenta un’occasione da non

perdere per recarsi a Lucerna e dintorni nel periodo natalizio. Qui il presepe ricco di personaggi a grandezza naturale, l’hotel Seeburg, le luminarie realizzate dall’artista Gerry Hofstetter, lo spettacolo pirotecnico per la notte di S. Silvestro, l’allettante pista dedicata al pattinaggio allestita presso il KKL Luzern, fanno da sfondo ai famosi mer-catini dove acquistare coloratissime can-dele, artistiche decorazioni, regali originali, invitanti leccornie e, ovviamente, abeti per tutti i gusti! Ah, durante il periodo relativo all’Avvento, il celebre lago ospita gite not-turne in battello dove consumare romanti-che cene realizzate con prodotti della tra-dizione natalizia locale. Da non trascurare la vicina città di Küssnacht am Rigi, nella quale si tiene la faraonica processione dedicata a San Nicola, tra spari di cannone, musican-ti, portatori di mitrie illuminate, cacciatori, frustatori, e che accoglie annualmente oltre 20.000 spettatori, mentre altri mercatini da sogno circondano la celebre Abbazia Be-nedettina di Einsiedeln e la città di Willisau, nelle quali il buon profumo emanato dal panpepato, il vin brulé, le invitanti ghiotto-nerie allietano la vista e il palato.Rimanendo in tema fieristico, Bolzano rap-presenta un’altra meta privilegiata assolu-tamente da non perdere. Un mix perfetto tra espositori, partner, stand gastronomici, spazio dedicato ai bambini attrezzato con trenino elettrico, giostra, spettacolo di ma-rionette, viaggio sulla carrozza a cavalli, costituisce la formula vincente di una espe-rienza trentennale. Riti, usi, costumi, impre-gnano gli originali prodotti esposti con cura certosina presso i banchi occupanti il centro storico, ispirati alla tradizione legata al pre-sepe, alla corona d’Avvento, all’arredo per la casa e la tavola, all’abete bianco, alla pa-sticceria. I bolzanini amano scambiare doni legati all’artigianato locale e, a tal riguardo, l’offerta presente sui caratteristici banchi in legno è veramente variegata come dimo-strano i presepi in versione rustica alpina, cappelli, pantofole, palline e candele de-corate a mano, cartoleria, raffinati strumenti musicali, enogastronomia rigorosamente locale. Insomma, visitare i caratteristici mer-catini della città, allestiti per le feste nata-lizie, permette al turista la scoperta di una tradizione legata al rispetto per l’ambiente, votata alla famiglia, privilegiante la realizza-zione dei sogni desiderati dai bambini.

Il natale a Lucerna e Bolzano

di Carmelo De Luca Photo Azienda di Soggiorno Bolzano/A. Filz

e Ufficio Stampa Antonella Resmini

Page 100: Reality 66

mini uomomini donna

DA

MO CHICCO

Autorizzazioni MS&L Italia – Ufficio Stampa Chicco

I vostri piccoli gnometti in questo periodo saranno eccitati e in trepida attesa per l’arrivo di bAbbO NATAlE. CHICCO offre per questo periodo abiti e tutine in rosso bianco e verde, caldi e soffici per vestire a festa le bambine e i bambini. Calze, cappellini, bavaglini, tutti gli

accessori per creare abbinamenti di moda e di stile per il giorno di Natale.

Chicco brand leader nel settore puericultura e membro dell’associazione Assogiocattoli, da sempre si impegna nello sviluppo di prodotti in grado di garantire il massimo in termini di si-curezza e nella sensibilizzazione di genitori e opinione pubblica. Anche nel periodo delle fe-ste, la sicurezza e la salvaguardia dei vostri bebè sono quindi al primo posto con una novità. Tra i nuovi servizi introdotti da Chicco, la grande innovazione è il sistema QR-Code applicato

Cari amici,siamo alle porte del periodo magico dell’anno, quello in

cui anche se solo per un giorno, tutti riflettono sull’idea di essere migliori e più buoni.È il periodo in cui i sogni e la magia assumono la parvenza della realtà e in cui i bambini sono i protagonisti delle loro fiabe e assaporano con mano il fascino della fantasia e della leggenda... è il Natale. Magico e variopinto di fragranze, profumi e colori che fanno e segnano una pagina della Moda.

ModaReality

Quest’anno non vogliamo proporvi il classico: che cosa indossare per le feste? Lasciamo a voi l’ardua impresa di decidere come essere più cool alle cene di lavoro, o ai pranzi di famiglia. Sarete incondizionatamente liberi di osare colori, paiettes e luccichii.

Pensiamo invece a come risolvere il problema “REGALI”.In Tempi di crisi e ristrettezza economica, dovrebbe bastare davvero un pensiero per fare Natale, ma in realtà poi qualcosa si compra sempre. Se il tempo è poco e siamo spesso al pc, ecco che troviamo una soluzione a tutti i nostri problemi: ShOPPING DI NATALE ON LINE! Ecco quindi che vi proponiamo i siti più cliccati per questo!Per abiti e accessori vi consigliamo lo shopping su www.laredoute.it e www.zalando.itQui potete sbizzarrirvi tra scarpe, abiti, borse, cappotti di tendenza a prezzi imbattibili e con offerte mensili molto, molto allettanti. Sempre per il vestiario, ottimi sono, e con tanto di partecipazione interattiva degli utenti, www.yoox.com e www.bonprix.it; belle foto di capi di abbigliamento, dove si possono commentare i prodotti pubblicamente, nel bene e nel male.Passiamo invece ai regali più ricercati. Per gli amanti dell’elettronica , dei cellulari e dei computer ci sono ben tre siti da poter consultare per farsi un’idea su offerte anche dell’ultimo minuto: www.monclick.it, www.eprice.it e www.eplaza.itPer amici stravaganti e per fare regali davvero scherzosi ed eccentrici non potete che visitare www.dmail.itSe invece siete alla ricerca dell’esclusivo, vi consiglio di visitare il sito web americano www.etsy.com Questo sito può essere usato anche dall’Italia per comprare prodotti unici che non si trovano da nessun’altra parte. Etsy è infatti il portale che permette a tutti di avere il proprio store online gratuitamente, dove vendere cose che sono state create e prodotte da chi le mette in vendita. Prodotti d’artigianato e d’arte unici e non industriali ma manufatti veri e propri.Non scordiamoci poi del più conosciuto www.ebay.it potete trovare tutto, ma proprio tutto quello che cercate a prezzi anche d’asta spesso imbattibili.Usato tantissimo per la ricerca di offerte e servizi della vostra città, www.groupon.itRegistrandovi, riceverete ogni giorno offerte di servizi, soggiorni, spa, elettrodomestici e quant’altro con risparmi notevoli, che possono risultare veri propri affari e regali stupefacenti.Per finire diamo spazio anche alla lettura e ai video. Il miglior sito per acquisti vantaggiosi e aggiornati è sicuramente www.ibs.itQuindi mettetevi in modalità on-line armati di carta di credito e cliccate, comodamente seduti da casa per fare regali di Natale diversi risparmiando lo stress dello shopping in città!:-)

ON-LINEDA

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...BuON NATALE!Il periodo di Natale è sicuramente legato alla tradizione dei dolci che arricchi-

scono i banchetti di ogni casa: pandoro, panettone, torrone, ricciarelli, pan pepato, tanti e tutti tipici di ogni regione.

La moda che segna in questo periodo il mondo dei dolciumi e della pasticceria è sicuramente quella dei CUPCACkE: piccoli dolcetti di origine americana in mono porzione offerti in pirottini colorati, caratterizzati da un impasto morbi-do e leggero, classico o arricchito di sapori e decorati con pasta da zucchero, glasse, fondente di cioccolata per dare sfogo alla creatività della pasticceria, diventando così delle vere e proprie squisitezze affascinanti da adattare ad ogni occasione. Per Natale ecco per voi una semplice ricetta da provare per essere di tendenza anche a tavola.

CUPCAKE DI NATALEper 18 Cupcacke:

· 225gr di burro ammorbidito· 225gr di zucchero raffinato· 225gr di farina autolievitante· 4 uova· 1 cucchiaio di estratto di vaniglia

per la glassa:· 175gr di glassa fondente pronta bianca (in vendita in negozi specializzati)· 175ge di glassa fondente verde · 2 cucchiai di marmellata di lamponi· perline di zucchero

sui diversi modelli di seggiolini auto prodotti dall’azienda. Smartphone alla mano, basta inquadrare l’apposito codice a barre per scoprire come instal-lare il seggiolino nel modo corretto, scegliendo la modalità video o il clas-sico manuale d’uso. Un manuale 2.0 a disposizione 24 ore su 24 e accessi-bile da qualsiasi Paese. Chicco ricorre quindi alla tecnologia QR per far co-noscere il corretto utilizzo dei prodotti a portata di click, utile e immediato, direttamente sul proprio smartphone. Attraverso il codice QR i contenuti sono fruibili e si adattano automaticamente ai vari display, siano essi smar-tphone o tablet, offrendo la migliore esperienza d’uso possibile per i geni-tori moderni e tecnologici, ma soprattutto attenti alla sicurezza dei figli.

In una grande terrina mettete e mescolate con una frusta tutti gli ingredienti per i cupcake fino ad ottenere un composto soffice e spumoso. In una teglia da muffin inserite i pirottini di carta e versate con un cucchiaio il composto perchè copra i 2/3 della coppeta e infornate in forno preriscaldato a 175° per 20 mi-nuti. Controllate la cottura al termine con uno stecchino, tirate fuori e lasciate raffreddare. Su una superfice piana spolverata di zucchero a velo stendete le glasse di fondente per uno spessore di 3mm. Con uno stampino tondo tagliate 18 cerchietti bianchi e lasciateli indurire su una teglia spolverata di zucchero a velo. Con uno stampino ad albero fate lo stesso con la glassa verde. Quindi spennellate i cupcake con un po’ di marmellata, copriteli con un disco bianco e aggiungete l’albero di Natale, quindi decorate con le palline di zucchero.

DolciDA

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di Eleonora Garufi

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TEXT Paolo Pianigiani PHOTO Alena Fialová

Per una volta vi presentiamo un fiore che non ha storia, perché ha trovato diffusione nel mondo nei primi anni

del ‘900. Ma che diffusione! È il più conosciuto e regalato fra i fiori recisi, semplice, dalle tante sfumature, pieno di colore e allegria. È un mistero come mai non sia stato conosciuto prima. Originaria del Transvaal, dove si trova diffusissima allo stato naturale, la gerbe-ra si è rapidamente diffusa anche per la facilità della sua riproduzione: si coltiva

come l’insalata e si riproduce per divisio-ne dei cespi. Il suo nome in inglese infatti è Transvaal Daisy, ovvero “margherita del Transvaal”. Niente mitologia greca per la gerbe-ra, venuta tardi a far parte del mondo conosciuto dagli umani. E niente antiche leggende popolari che si incrociano con santi e diavoli. Tutta da scoprire e da rac-contare, quindi, con parole nuove. Il nome di battesimo lo prese dal natura-

lista tedesco Gerber, amico e collega di Linneo, che la catalogò nel 1743.Appartiene alla stessa famiglia delle mar-gherite comuni, quella delle Asteracee, in numerosa compagnia: dalla stella alpina alla calendula, dalla tenere lattuga al piretro, fino alla camomilla, buona per calmare i nervi agitati.Nelle zone dai climi caldi è pianta peren-ne, e regina dei giardini, dove ha ruoli indispensabili per tappezzare ampie zone caratterizzate da forte cromatismo che

sempre si rinnova. I fiori, chiamati in gergo “capolini”, si danno il cambio con regolarità, mantenendo sempre un’otti-ma fioritura. In climi più freddi è indispen-sabile la coltivazione casalinga in vaso, o industriale nelle serre.I colori hanno mille sfumature: dal bianco al rosa, al lilla, al giallo, all’arancione, al rosso. Bellissime sono le varietà a più colori, ottenute dagli ibridatori. Anche per le gerbere il sogno proibito è il colo-

re nero. Sogno di ogni appassionato e impossibile da ottenere.Nel linguaggio dei fiori la gerbera assu-me diversi significati a seconda del colore dei fiori: la gerbera rosa ad esempio è simbolo di amore e giovinezza, la gerbera rossa dell’amore passionale e della vitto-ria, la gerbera gialla è simbolo di gloria, ma anche di profonda amicizia, la gerbera arancione è simbolo solare di allegria e soddisfazione. Un messaggio particolare ha recente-

mente assunto in Italia la gerbera gialla, che è diventata simbolo di uno dei tanti movimenti attivi contro la mafia.Ma lasciamole nel loro vaso, le gerbere, alte e splendide, a raccontare le loro sto-rie semplici, magari in mazzi complicati e ricchi, di tanti colori. Sono un po’ il simbolo del nuovo mondo, quello che sogniamo, dove dovremmo stare, tutti insieme, ciascuno con le sue diversità, ma in armonia.

gerberail fiore che non ha storia

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© Foto Alena Fialová

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Nella fredda terra d’inverno, che protegge il seme dalla vita che verrà, si cela l’anima del segno zodiacale del Capricorno, simbolo di forza, resistenza, solidità. La capra simboleggia la sua indole: animale che scala la montagna, sopportando sforzi e difficoltà pur di arrivare a respirare l’aria fresca e puli-ta della vetta. Questo atteggiamento rappresenta la forma mentale con la quale il Capricorno affronta la vita: imparare a sostenere qualsiasi prova, con resistenza eccezionale, al fine di diventare padrone di se stesso in vista di un fine ultimo.Come la castagna, il decimo segno ci ricorda che sotto la sua apparenza pungente e ruvida spesso si nascondono amore profondo e sentimenti puri, e proprio come la castagna, che secondo alcune credenze è perfino in grado di guarire le persone malate assorbendo la loro energia negativa, anche il Capricorno esibisce una lista di inesauribili virtù. La terra del Marrone Mugello IGP presenta una varietà di castagna tutelata ed esclusiva; nel percorso da scoprire pas-seggiando tra boschi e castagneti sulla Strada del Marrone del Mugello di Marradi, si potrà gustare la torta di marroni o il castagnaccio, a base di farina di marrone.

Alla fermezza del Capricorno fanno seguito la libertà e l’in-dipendenza dell’Acquario, spinto dalla prorompenza del pianeta Urano, capace di donare a questo segno una natura versatile, dinamica, tesa ai bisogni altrui, come l’elemento che lo rappresenta, l’aria, talmente schietto da apparire tal-volta duro, offensivo e ostinato, ma sempre unico, speciale e anticonformista. La gemma protettiva dell’undicesimo segno è l’onice, pietra che preserva dagli sbalzi d’umore e dall’apatia, regalando forza, stabilità contro gli influssi negativi, equilibrando corpo e mente, aiutando ad affermare se stessi nei momenti difficili. È nella zona meridionale del territorio di Montaione (frazione di Lano) che l’onice vive di luce propria. Il territorio, ricco di travertino, si esprime nella varietà di alabastro calcareo dal bianco candido, al grigio, al marrone e nella sua variante di alabastro-onice, diverso dal calcedonio dalle caratteristiche striature bianche e nere, la cui estrazione divenne massiccia dagli anni ’70, a causa della moda per bijoux e oggetti di arredamento da sfoggiare in tutta la loro sofisticata eleganza, proprio come l’essenza dell’undicesimo segno.

È nel dodicesimo segno che la primavera ricorda invece il dischiudersi della vita nel segno zodiacale dei Pesci, sognatore, idealista, dominato dalla fantasia del pianeta Nettuno. L’ultimo segno chiude il ciclo zodiacale a ponte tra due mondi, quello terreno e l’ultraterreno, ragione e senti-mento, immaginazione e realtà, fluttuante nella sua stabilità affettiva inafferrabile, propria dell’indole Pesci, come rac-conta nei suoi dipinti il pittore Giovanni Domenico Ferretti, detto L’Imola, nell’aura di un Settecento Rococò con prota-gonisti fluttuanti personaggi della commedia dell’arte, il più famoso dei quali è Arlecchino. Così similmente all’animo dell’ultimo segno, Arlecchino gi-rovaga leggiadro e impalpabile nei suoi colori pastello, tra danze, inchini, amanti e sospiri, avventure dette appunto “Arlecchinate”, nelle sedici tele di genere teatrale, custodi-te nel palazzo fiorentino di Orazio Sansedoni.

di Federica Farini

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Panettone fatto in casa

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GuGuG susu tsts ototdi Federica Farini

Quando il sapore della festa accoglie l’arrivo di Babbo NataleCuriosità e cucina Un intramontabile classico della tradizione invernale ci

riscalda con il suo sapore, gusto che veleggia da un passato consolidato e rassicurante, attraversando “l’oggi”

con decisione, fino all’avvento di un domani privo di timori e riserve: il panettone, sinonimo di “raccolta” della famiglia attorno alla tavola imbandita per festeggiare Gesù bambino. Vero o “falso” che sia, il panettone conquista, come ci dimostra il pittore iperrealista Luigi Benedicenti, che sapientemente ha tradotto in tocchi di colore l’immagine fotografica di due fette di panettone accostate, rendendo la sua natura “morta” più viva che mai, nella stessa acquolina che produce la sola vista della sua originale opera d’arte. È nel 1944 che una famiglia milanese d.o.p fonda l’azienda che ancora oggi produce il più classico tra i panettoni, il quale non conosce crisi, così come ci narra uno dei più famosi poeti Milanesi del ‘900, Graziano Pastori. Nella citazione all’interno de La parabola del Natale, tra miseria e povertà ha la meglio un Natale ricco sì di antipasti, ravioli, cappone e mostarda, ma soprattutto del suo protagonista indiscusso: il panettone, il quale il Natale non sarebbe tale. Tornando indietro nella storia, la nascita del famoso dolce ambrosiano è calata nel mistero di numerose leggende. La più famosa racconta come fosse stato proprio Ludovico il Moro, sulla fine del XV secolo, a preparare la culla di questo dolce icona del Natale. In occasione di questa festività si narra che la potente famiglia meneghina, dopo una soddisfacente abbuffata, attendesse con trepidazione la fine del pasto per arrivare al momento dei dolci, culmine e apoteosi della grandeur culinaria del cuoco. Ma il destino si beffò di quest’ultimo quando egli scoprì di aver bruciato per errore i dolci nel forno. Fu l’aiutante a soccorrere il suo maestro, proponendogli il dolce che lui stesso aveva preparato con gli avanzi, una sorta di “pane” mescolato in modo bizzarro ad altri ingredienti: uova rimaste nella dispensa, farina, burro, scorza di cedro e qualche uvetta. Non avendo il cuoco altra scelta al fine di salvare faccia e impiego, si presentò titubante con il frutto dell’ingegno del garzone Toni. Fu con suo grande stupore che il cuoco vide i commensali esultare per tale prelibatezza, ed essendo egli onesta persona confessò a tutti che il merito di tale maestria andava attribuito all’aiutante: fu così che nacque il panettone, come “Pan di Toni”. Una seconda leggenda ci conduce nella vita di un giovane milanese, Ughetto Atellani, innamorato della fornaia Algisa, il quale fece qualsiasi cosa pur di essere assunto come dipendente dal padre della bella fanciulla, di nome Toni. Fu a causa dell’apertura di un altro forno nei pressi dello stesso che le vendite di Toni cominciarono a calare, soprattutto sotto Natale. Fu proprio Ughetto, cotto d’amore per la sua bella, che decise di tentare il tutto per tutto comprando con i suoi ultimi risparmi alcuni ingredienti per preparare un dolce nuovo: farina, burro, zucchero, uova e uva sultanina. Il successo di Ughetto fu garantito e l’amore tra lui e Algisa si coronò grazie al pane del padre Toni, con un matrimonio degno del loro amore. Non ultima giunge la storia delle suore che nel 1200 abitavano la campagna milanese, la cui nebbia e il rigido freddo, lasciarono a bocca asciutta da donazioni e cibo, tanto che alla vigilia di Natale in dispensa rimase solo poca farina per impastare del pane. Quando la madre superiora lo benedì, il pane si trasformò per miracolo in un incantevole panettone. Sia di Toni o meno, il nome del panettone, accrescitivo di “panett” (pagnotta), suggerisce sempre il concetto di una pasta lievitata naturalmente, un pane più voluminoso del normale e impreziosito da burro, uova, zucchero, canditi, scorza di arancia e cedro, con forma originale cilindrica terminante in cupola (il tipico panaton meneghino), di 30 centimetri di altezza, alto rispetto a quello piemontese più basso e largo. A ognuno il suo, anche nelle moderne varianti arricchite da crema e cioccolato, il panettone non stufa mai la moda delle nostre tavole, magari accompagnato da un bicchiere di vino dolce Moscato, bijoux per il palato, a Natale e non.

Ingredienti: 1,250 kg. di farina, 250 gr. di lievito di pane, dieci tuorli e tre uova intere, 400 gr. di burro fresco, 350 gr. di zucchero semolato, mezzo bicchiere di latte, 200 gr. di uva sultanina, 50 gr. di arancia, limone e cedro canditi a piccoli cubetti.

Distribuire il lievito di pane in uno straccio, con abbondante farina, e lasciare a lievitare in luogo asciutto e buio fino al doppio delle dimensioni originali dell’impasto (tempo di lievitazione circa due ore). In seguito, disporre su un tagliere di legno un monte di 200 grammi di farina, unirvi il lievito

di pane e 2 bicchieri di acqua tiepida. Impastare per dieci minuti fino ad ottenere un impasto omogeneo, metterlo a riposare per circa 3 ore in un recipiente infarinato, e coprirlo con un tovagliolo. Collocare poi il panetto lievitato al centro del tagliere insieme ad altri 200 grammi di farina, amalgamandoli con il latte. Impastare nuovamente fino ad ottenere un composto omogeneo e liscio. Di nuovo lasciarlo riposare per due ore nel recipiente infarinato. Raccogliere in una terrina i canditi e l’uva sultanina (ammorbidita in acqua calda). Sciogliere separatamente il burro, lo zucchero (unito ad acqua, come uno sciroppo tipo melassa). Unire sia i tuorli che le uova intere. Con il rimanente della farina (850 grammi) unita a un pizzico di sale: unire la pasta lievitata per amalgamarla alla farina insieme al burro, fuso come indicato sopra. Impastare per la terza volta con forza per circa venti minuti, aggiungendo gradualmente sciroppo di acqua, uova e zucchero. Ottenuta una pasta gommosa, unire uva passa e canditi, spennellare l’impasto di burro e lasciare riposare per non meno di dieci ore in luogo asciutto, in una bacinella infarinata, fino a volume raddoppiato. Infornare e cuocere a 220 gradi dopo aver pennellato il burro sulla superficie del panettone. Il tempo di cottura varia da forno a forno: sorvegliare pertanto con attenzione la crosta, per evitare bruciature.

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Quest’anno mi voglio fareun albero di Natale di tipo speciale,ma bello veramente.Non lo farò in tinello,lo farò nella mente,con centomila ramie un miliardo di lampadine,e tutti i doniche non stanno nelle vetrine.Un raggio di sole per il passero che trema,un ciuffo di violeper il prato gelato,un aumento di pensioneper il vecchio pensionato.E poi giochi,giocattoli, balocchiquanti ne puoi contare a spalancare gli occhi:un milione, cento milionidi bellissimi doniper quei bambiniche non ebbero maiun regalo di Natale,e per loro ogni giornoall’altro è uguale,e non è mai festa.Perché se un bimboresta senza niente,anche uno solo, piccolo,che piangere non si sente,Natale è tutto sbagliato.

Filastrocca di Natale di Gianni Rodari

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