Rassegna aniai - CIPA spa · stema iper burocratizzato e paralizzato, da un ... da un’ampia rampa...

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1 S O M M A R I O EDItORIAlE NON C’È Alessandro Castagnaro RubRICA ALBERGHI F. Mautone RubRICA I PREMI INARCH Carlo De Luca RubRICA BIOARCHITETTURA FRANCESCA CIMMINO... RubRICA FEUDI DI SAN GREGORIO Adelina Picone DESIGN? ACCIAIO OSSIDABILE E PIETRA LEVIGATA Gabriella D’Amato DAll’ARChIvIO LA TANGENZIALE DI NAPOLI Renato Di Martino INtERvIStA JABORNEGG & PÁLFFY. LA NEUTRALITÀ IN ARCHITETTURA Isabella Giannuzzi Savelli blOG PER UN’AVANGUARDIA (IM)POSSIBILE? ATTENTATO A DUE VOCI SU UN TEMA INATTUALE Giuseppe Maria Montuono Francesca Rinald lIbRI E mOStRE di Mario Pisani, Alessandro Dal Piaz, Andrea Maglio, Sara Dini, Rossella Traversari, Mariangela Bellomo blOCK NOtES di Alessandro Castagnaro 2 4 10 14 20 24 34 38 44 48 REDAZIONE Direttore responsabile Alessandro Castagnaro Comitato di redazione Vincenzo Ciruzzi Valerio Como Davide Durante Gianmario Fragiacomo Isabella Giannuzzi Savelli Eleonora Giovene di Girasole Giuseppe Montuono Pietro Moretti Giorgio Nocerino Adelina Picone Segreteria di redazione Francesca Rinaldi Comitato Scientifico Aldo Aveta Francesco Bruno Vito Cardone Edoardo Cosenza Giovanni De Franciscis Renato De Fusco Filippo De Rossi Luciano di Fraja Riccardo Florio Marina Fumo Italo Ghidini Benedetto Gravagnuolo Alberto Izzo Antonio Lavaggi Cettina Lenza Piero Salatino Grafica Paparo Edizioni Rassegna Aniai Campania anno XXXII, n. 2 aprile-giugno 2011 Reg. Trib. Napoli n. 2792 20/06/78 ISSN 0392-534X Redazione, Amministrazione e Pubblicità 80133 Napoli, via San Carlo 16 081/407028 e-mail: [email protected] www.aniaicampania.com p.iva n. 06401140634 Copia € 12.00 Abbonamento annuale € 40.00 Cura editoriale e distribuzione Paparo Edizioni Napoli tel. 081-2474639 fax 081-2455968 e-mail: [email protected] Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 In copertina: rendering del progetto per la nuova sede dell’ACCA Software SpA; e un interno della nuova stazione ‘Università’ di piazza Bovio Rassegna aniai

Transcript of Rassegna aniai - CIPA spa · stema iper burocratizzato e paralizzato, da un ... da un’ampia rampa...

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EDItORIAlE NON C’ÈAlessandro Castagnaro

RubRICAALBERGHIF. Mautone

RubRICAI PREMI INARCHCarlo De Luca

RubRICA BIOARCHITETTURAFRANCESCA CIMMINO...

RubRICAFEUDI DI SAN GREGORIO Adelina Picone

DESIGN? ACCIAIO OSSIDABILE E PIETRA LEVIGATAGabriella D’Amato

DAll’ARChIvIOLA TANGENZIALE DI NAPOLIRenato Di Martino

INtERvIStAJABORNEGG & PÁLFFY.LA NEUTRALITÀ IN ARCHITETTURAIsabella Giannuzzi Savelli

blOGPER UN’AVANGUARDIA (IM)POSSIBILE?ATTENTATO A DUE VOCI SU UN TEMA INATTUALEGiuseppe Maria MontuonoFrancesca Rinald

lIbRI E mOStREdi Mario Pisani, Alessandro Dal Piaz, Andrea Maglio, Sara Dini,Rossella Traversari, Mariangela Bellomo

blOCK NOtES di Alessandro Castagnaro

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48

REDAZIONE

Direttore responsabileAlessandro Castagnaro

Comitato di redazioneVincenzo Ciruzzi Valerio ComoDavide DuranteGianmario FragiacomoIsabella Giannuzzi SavelliEleonora Giovene di GirasoleGiuseppe MontuonoPietro MorettiGiorgio NocerinoAdelina Picone

Segreteria di redazioneFrancesca Rinaldi

Comitato ScientificoAldo Aveta Francesco BrunoVito Cardone Edoardo Cosenza Giovanni De FranciscisRenato De Fusco Filippo De RossiLuciano di Fraja Riccardo FlorioMarina FumoItalo Ghidini Benedetto GravagnuoloAlberto Izzo Antonio Lavaggi Cettina Lenza Piero Salatino

GraficaPaparo Edizioni

Rassegna Aniai Campaniaanno XXXII, n. 2aprile-giugno 2011Reg. Trib. Napoli n. 2792 20/06/78ISSN 0392-534X

Redazione, Amministrazione e Pubblicità80133 Napoli, via San Carlo 16081/407028e-mail: [email protected] n. 06401140634

Copia € 12.00Abbonamento annuale € 40.00

Cura editoriale e distribuzione Paparo Edizioni Napolitel. 081-2474639 fax 081-2455968e-mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di ottobre 2011

In copertina: rendering del progetto per lanuova sede dell’ACCA Software SpA; e un interno della nuova stazione‘Università’ di piazza Bovio

Rassegna aniai

T I T O L ONon vi è alcun dubbio che viviamo in un mo-

mento di crisi profonda, una crisi mondiale che

vede l’Europa, il “grande Vecchio Continen-

te”, come “zavorra” e con il grande rischio di

un economia in bilico e sofferente. L’Italia è

ben coinvolta con una demarcazione sempre

più netta tra un Nord che programma e pro-

duce, o almeno cerca di farlo, ed un Mezzo-

giorno, fanalino di coda di un’economia at-

tualmente traballante, ricco di incongruen-

ze e di mali atavici che vanno da un paras-

sitismo diffuso, alla più totale assenza di pro-

grammazione, di pianificazione e di parteci-

pazione attiva. Mancanze, queste, che si ri-

solvono in una crescita economica, e talvol-

ta anche culturale, ormai assente da lunghi

anni dovuta anche alla negligenza nel valo-

rizzare e gestire i propri beni, sia materiali

che immateriali – da quelli naturali a quelli ar-

tistici e culturali – ad una sempre maggiore di-

minuzione di occupazione, alla riduzione co-

stante del PIL. Di fatto l’economia rappresenta

oggi forse l’indicatore più immediato, visibile

e tangibile della crisi, quella che vede coinvolti

in prima battuta l’interesse di ognuno di noi,

dal grande al piccolo, e quindi forse quello su

cui maggiormente ci soffermiamo.

Non voglio entrare nel merito di alcuni fatto-

ri che dovrebbero essere ritenuti alla base di

una presunta e non meglio definita “normali-

tà”: dalla giustizia, alla sanità, alla politica, alla

formazione e alla cultura. Non vi è alcun dub-

bio che sono tutti fattori in profonda crisi che

sempre più ci fanno vivere con l’auspicio di

non dover mai essere interessati diretta-

mente, allontanando da noi il solo pensiero

di essere giudicati in tempi biblici, oppure di

essere curati in strutture dove la malasanità

regna costante, solo per citare due dei settori

che dovrebbero essere alla base di una so-

cietà civile.

Ma da una lucida analisi non possiamo tra-

scurare gli elementi e le cause della situazione

attuale e gli altri fattori che dovrebbero essere

considerati primari per una società che “sof-

fre” e che deve puntare a medio e lungo ter-

mine ad una ripresa; sono proprio le tema-

tiche di competenza nostre, e da sempre trat-

tate dalla nostra rivista, che possono assu-

mere un ruolo fondamentale per una possibile

ripresa. I temi che maggiormente ci riguar-

dano e ci interessano in prima istanza sono

quelli relativi alla formazione universitaria e

culturale che poi incidono anche su quelli del-

lo sviluppo, della pianificazione del territorio,

dell’architettura e dell’ingegneria. Che le Uni-

versità italiane siano in profonda crisi, con un

futuro del tutto incerto è cosa nota: troppi anni

di errata programmazione hanno consentito

il proliferare di facoltà e di corsi di laurea, tal-

volta non tanto per il bisogno culturale o per

esigenze di ricerca e di didattica bensì solo

per aumentare “fette di potere”, per giustificare

ingenti finanziamenti per ricerche mai porta-

te a termine o per pubblicazioni “originali ed

inedite” nella loro facciata e assai spesso con-

cluse con volumi mandati al macero, solo per

aumentare familismo e nepotismo. Assistia-

mo pressoché impotenti ad un’assenza tota-

le di ricambio generazionale. Corsi di laurea

retti talvolta solo da docenti esterni a contratto,

che senza entrare nel merito culturale e for-

EDITORIALE

T I T O L Omativo hanno avuto il compito di una mera

didattica, senza aggiornamento e crescita cul-

turale e senza badare alla necessaria ricer-

ca sperimentale. Il tanto discusso decreto Gel-

mini da un lato ha imposto delle battute d’ar-

resto per un ripartire da zero, dall’altro ha bloc-

cato completamente per un lungo arco tem-

porale ogni possibilità di avanzamento di car-

riera e di sviluppo in attesa di una reimpo-

stazione, di là da venire, della “macchina for-

mativa”; ha allontanato dall’insegnamento

giovani e meno giovani, futuro della nostra so-

cietà, escludendoli dalle facoltà per questio-

ni legati a fattori reddituali; ha portato alla for-

mazione di nuove scuole o dipartimenti, visto

che il termine “facoltà” verrà bandito a breve,

e alla chiusura totale di alcune facoltà italiane

d’ingegneria e di architettura. Il nefasto

elenco potrebbe continuare a lungo, ma ba-

sterà soffermarci su quanto tale sistema in-

cida negativamente su quello che dovrebbe

essere uno degli obiettivi primari delle nostre

università: quello della formazione dei nostri

futuri laureati, quella che sarà la classe diri-

gente, professionale e culturale del domani.

In questo contesto ogni attività di pianifica-

zione e progettazione è ferma, ancor più quel-

la imprenditoriale. Tutto bloccato da un si-

stema iper burocratizzato e paralizzato, da un

proibizionismo che talvolta sfocia nel più

bieco abusivismo. Tali fenomeni coinvolgono

il progetto del nuovo, ma anche il restauro e

la conservazione; incidono sulla manuten-

zione del grande patrimonio dei beni culturali,

prestigioso patrimonio di tutto il Paese e in

gran parte del Mezzogiorno.

Non possiamo più accettare un’assenza di pro-

grammazione lasciando che casi come quel-

lo della rinascita e rivalutazione di Salerno pos-

sano solo rappresentare un’eccezione che

conferma la regola ed intanto continuare ad

operare in emergenza, in attesa di occasioni

che finanzino opere che spesso lasciano, sì,

segni indelebili sul territorio ma dovuti a cat-

tiva progettualità e realizzazione, talvolta in-

completi o finalizzati solo alla temporaneità del-

l’evento. Questa è la storia dei Mondiali del ’90,

o quella che ci ha portato a perdere la Cop-

pa America di Vela del 2003 a Napoli per una

Bagnoli con le stimmate di una bonifica a ve-

nire e che si ripropone, uguale, in una Bagnoli

ancora oggi da bonificare.

Basta immobilismo: il rischio è grande. Siamo

in ritardo su tutto. Occorre programmare, pia-

nificare, progettare coinvolgere la cittadinanza

per una partecipazione attiva. Indire concorsi di

idee e di progettazione che abbiano bandi con-

gruenti e rispondenti alle attuali esigenze della

collettività, con commissioni dall’alta competenza

e serietà indiscussa. Il coinvolgimento dell’im-

prenditoria privata oggi più di prima diventa in-

dispensabile. Non più integralismo bieco e pri-

vo di giudizi critici ma operatività costante.

Credo che ormai i tempi per capire che siamo

giunti nel fondo del barile sono maturi ma dob-

biamo anche intravedere dei segnali chiari di ri-

presa per uscire a testa alta dalla profonda cri-

si. E ci possono essere non ci resta che fare!

I progetti e i lavori presentati in questo numero

sono un chiaro segnale in tal senso.

Alessandro Castagnaro

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PROGETTI IL PARCHEGGIO MORELLI

Inaugurato nel dicembre dello scorso anno, il Parcheggio di Via Mo-relli rappresenta per Napoli un’opera esemplare sotto diversi puntidi vista. La raffinata sobrietà minimalista della conformazione ideatadall’architetto Fabrizio Gallichi si coniuga alla straordinaria innova-zione dell’ingegneria strutturale ed impiantistica elaborata dal pro-fessore ingegnere Bruno Calderoni. Tali requisiti di alta caratura tec-nica sono ulteriormente potenziati dal valore aggiunto del recuperodi una cavità tufacea di notevole rilevanza storica, nonché dalla do-tazione di un’attrezzatura indispensabile per un’agevole fruizioneurbana non solo delle attività commerciali e terziarie, ma anche deltessuto residenziale del quartiere Chiaia.Non a caso da anni veniva reclamato dalla parte più competente epiù avvertita dell’opinione pubblica l’apertura di un parcheggio diinterscambio nei pressi di Piazza dei Martiri. Al contrario di quantosostenuto da alcuni intransigenti funzionari dell’amministrazione co-munale, che paventavano che un garage aperto alla fruzione deinon residenti potesse rappresenate un deleterio “attrattore” del traf-fico, il Parcheggio di Via Morelli si è rivelato, con immediatezza econ tutta evidenza, un benefico “contenitore” delle autovetture, nonpiù costrette ai tortuosi giri danteschi alla ricerca di una sosta a rasosulle rare chances offerte delle strisce blu (con ineludibile incrementodell’inquinamento attmosferico). Si deve all’investimento privato della Napoletana Parcheggi spa– diretta dall’amministratore delegato Massimo Vernetti – il feliceepilogo di un’avventura impreditoriale prottrattasi per circa un ven-tennio. Risale infatti al 1990 la prima “convenzione” (n° 61737 del05/03/1990) concessa da Comune di Napoli per “la costruzione ela gestione delle strutture urbane destinate al ricovero di autovei-coli privati”, poi rinnovata con “atto modificato” (n. 66109 del25/02/1997) e infine prelevata dalla Napolena Parcheggi, che haportato a termine i lavori in memo di tre anni. L’arida cronistoriadelle procedure burocratiche rende ancor più significativa l’attua-zione di quest’opera infrastrutturale di livello europeo, realizzatanel difficile contesto di una città, se non proprio “immobile” comesostiene il filosofo Aldo Masullo, di certo a dir poco stressante perle lungaggini amministrative. Dal punto di vista architettonico ciò che più convince è la netta di-stinzione tra la rigorosa razionalità del silos ipogeo per le autovet-ture e l’emozionale fascino della cavità tufacea preesistente, nel cui

Benendetto Gravagnuolo*

Nella pagina a fianco la grande sala eventi “Agora”

Le scale di accesso

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anfratto è stata incastonata l’ultramoderna struttura in cemento ar-mato, articolata su sette livelli in altezza destinati ai box, collegatida un’ampia rampa ad andamento circolare. Altrettanto netta è statala differenziazione dei percorsi, al fine di discernere non solo i col-legamenti verticali da quelli orizzontali, ma anche e soprattutto i pas-saggi pedonali da quelli carrabili. La varietà degli accessi, dislocatisia nella piazzetta che nel porticato di Via Morelli, completa la per-fetta messa in rete del sistema dei percorsi, che rappresenta dun-que l’autentico principio-guida della composizione. Alla chiarezzageometrica dell’architettura si aggiunge l’avanzata tecnologia del-l’impianto di sicurezza, di illuminazione e di segnaletica; impiantoben calibrato per rasserenare al massimo i fruitori, evitando gli ef-fetti indiretti di claustrofobia che sarebbero potuto derivare dalla se-mioscurità o dal disorientamento in un parcheggio sotterraneo.Facendo di necessità virtù, il progetto del Parcheggio di Via Morelliha così ribaltato l’apparente svantaggio derivante dall’imposta con-dizione di costruire nel sottosuolo in un’occasione favorevole a de-clinare emblematicamente un’architettura ipogea giocata sul dia-logo tra antico e nuovo. Anzi, l’aspetto di maggiore interesse derivaproprio dalla valorizzazione della storica cavità preesistente, resti-tuendo alla cittadinanza il godimento di spazi di emozionante espres-sività piranesiana, non foss’altro che per le vertiginose altezze ri-cavate per “sottrazione” dalla roccia tufacea con rudimentale po-tenza costruttiva.

Dida

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DidaI

Rappresenta d’altronde una peculiarità di Napoli la presenza sottoil suolo dell’abitato di variegati spazi sotterranei “scavati” nel corsodei secoli per ricavare, a partire dalla fondazione greca, gallerie, ci-sterne, luoghi di culto o, più semplicemente, per estrarre il tufo, pie-tra tenera ma compatta riutilizzata per costruire le case e monu-menti della città, che affiorano talvolta con la loro grana matericagialla dalle onde azzurre del mare, come il Castel dell’Ovo e Pa-lazzo Donn’Anna. Nel caso specifico, il cosidetto Cunicolo Borbo-nico annesso al Parcheggio Morelli fu ricavato su progetto ErricoAlvino. Risale al 19 febbraio 1853 il “Rescritto” di Ferdinando II cheaffidò al celebre architetto l’incarico di ideare una “Strada Sotterra-nea attraverso Monte Echia” allo scopo di collegare la nuova Viadella Pace (oggi denominata Via Morelli, il cui tracciato fu disegnatodallo stesso Alvino) e il Largo Carolina adiacente al Palazzo Reale.Furono soprattuto ragioni di strategia militare a suggerire tale tra-foro, come comprova la realizzazione prospiciente all’uscita dellagalleria della nuova Caserma di Cavalleria, progettata in austerostile Neo-rinascimentale dallo stesso Alvino. Rinviando per l’approfondimento del quadro storico al mio saggiosu Chiaia (Electa Napoli, 1990, p. 51 sgg e relative note), non sipuò non menzionare almeno il fatto che i lavori del traforo furonodefinitivamente interrotti nel 1859. Il che derivò da una concatenataserie di difficoltà tecnico-finanziarie e, soprattutto, da non sottova-lutubali incidenti, tra i quali spiccano le lesioni alle fondamenta delPalazzo del Duca di San Cipriano dovute (stando alle cronache deltempo) proprio ai lavori di scavo del Mont’Echia. L’opera rimasta in-compiuta è stata succesivamente riutilizzata per vari altri scopi, apartire dalla realizzazione di una grande cisterna (con annesso unsistema di canali di drenaggio idrico), al riuso come rifugio dai bom-bardamenti aerei durante l’ultimo conflitto mondiale, fino al più em-pirico adattamento a garage nel periodo post-bellico.

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È stata una scelta apprezzabile il preservare le tracce delle diverseutilizzazioni della cavità tufacea, testimoniate da oggetti superstitidi vita quotidiana (carcasse di auto, motociclette, giacconi, guanti,eccetera) ai quali la patina del tempo ha donato un involontario va-lore iconico, rendendoli simili ai ready made objects dell’arte con-temporanea. Il che riporta alla mente le sagaci proposte elaborateda Carlo Aymonino e da Aldo Rossi in occasione della bella mostracurata da Vittorio Magnago Lampugnani dal titolo “Sotto Napoli. Ideeper la città sotterranea”. Molta acqua è passata sotto i ponti da quel-l’ormai lontano 1988, anno nel quale furono esposti nelle sale delCastel dell’Ovo gli esiti di un “laboratorio internazionale di proget-tazione” che vide l’impegno di alcuni dei migliori architetti italiani estranieri cimentarsi sul tema della valorizzazione delle nostre ca-vità sotterranee. Sembrava che quelle “idee” si fossero volatilizzatenel vuoto dell’indifferenza collettiva. Invece la realizzazione del Par-cheggio di Via Morelli le riporta in auge, grazie all’icasticità dimo-strativa di un’opera esemplare. Nessuna altra città al mondo offretante occasioni di poter costruire il nuovo in suggestiva armonia conuna storia plurisecolare.

*Professore di Storia dell’Architettura e Direttore Dipartimento di Storia e Restauro dell’Architettura, Università “Federico II” di Napoli Dida

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Stratigrafia del sottosuoloLa cavità Morelli si sviluppa interamente nell’ambito dell’ammasso tu-faceo del promontorio di Monte Echia, laddove la presenza di una se-rie di edifici soprastanti ha di fatto impedito l’esecuzione di sondaggisistematici dall’alto, finalizzati a definire in dettaglio l’andamento deltetto del tufo.La stratigrafia del sottosuolo è stata perciò desunta sia da osserva-zioni dirette condotte sulle pareti della cavità Morelli, sia dai risultatidei sondaggi a carotaggio continuo che è stato possibile eseguire nel-l’ambito della medesima cavità e da qualche giardino soprastante. Inbase a tali osservazioni, si è potuto osservare – come confermato nelcorso dei lavori - che la copertura di tufo rispetto alla parte più ele-vata della cavità sia non minore di circa 4.0 m.Al disopra dell’ammasso tufaceo sono poi presenti, praticamente finoal piano campagna, terreni sciolti di natura piroclastica ed, in subor-dine, materiali di riporto.Per quanto riguarda la superficie libera della falda idrica, essa risultaposta intorno a quota +1.5 m slm.Dida

PROGETTI IL PARCHEGGIO MORELLI 2

Pietro Moretti*

Caratterizzazione geotecnica del sottosuoloGrado di fatturazione dell’ammassoIl grado di fratturazione della roccia,quale ricavato dall’esame dei diversisondaggi eseguiti nelle pareti tufaceedella cavità Morelli, risulta generalmente piut-tosto contenuto. Si sono infatti ottenuti valori diRQD (Rock Quality Designation) alquanto elevati, eper lo più compresi tra il 90 ed il 100%; solo in pochicasi, in prossimità di singole discontinuità, si è riscontrato unvalore di RQD inferiore 50÷60%.Per quanto è possibile rilevare ad occhio nudo all’interno dellaCavità Morelli, inoltre, non si evidenzia la presenza di vere eproprie famiglie di discontinuità, ma solo lesioni localizzate.Non si può escludere, comunque, che in qualche zona l’am-masso, al suo interno, sia in realtà caratterizzato da un gradodi fratturazione più elevato di quanto appaia dall’esame delle super-fici esposte, né che siano presenti discontinuità parallele o sub-paral-lele alle pareti della cavità, prodotte dal rilascio tensionale dovuto allarealizzazione della cavità stessa.

Proprietà fisico-meccaniche dei terreni e delle rocceAi fini della realizzazione e della stabilità delle opere in oggetto, i ter-reni piroclastici sciolti presenti al di sopra del tetto della formazionetufacea rivestono senza dubbio una scarsa rilevanza, sia sotto l’aspettogeotecnico che applicativo. Per quanto concerne il tufo va detto, invece, che nel caso in esamerisulta della massima importanza definirne le caratteristiche di resi-stenza non solo al livello dei singoli campioni, ma anche e soprattuttoalla scala dell’ammasso.Partendo dai risultati delle prove di laboratorio, quali riportati nell’ap-posito elaborato del 2001 redatto dal Dipartimento di Ingegneria Geo-tecnica (DIG) dell’Università di Napoli Federico II, si rileva che il pesodell’unità di volume secco è mediamente pari 10,8 kN/m3. In ragionedel contenuto d’acqua naturale, posto pari a 0,20, si ottiene un pesodell’unità di volume del tufo pari a circa 13.0 kN/m3.Il valore medio della resistenza a rottura risulta intorno a 3.5 MPa, peri provini sottoposti a prova dopo essere stati essiccati all’aria, e di 2.6MPa, per i provini sottoposti a prova in condizioni di saturazione. Siosserva quindi che la saturazione induce una riduzione di resistenzapari a circa il 25%, mentre in entrambi i casi la deviazione standard èintorno a 0.7 MPa. In base a considerazioni statistiche si può alloraconsiderare un valore caratteristico (ottenuto sottraendo due volte ladeviazione standard al valore medio) della resistenza a compressioneuniassiale pari a circa 2.1 MPa per i provini essiccati, e pari a 1.2 MPaper i provini saturi.

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Dida

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Dalle prove di compressione triassiale si è ricavato un angolo di at-trito di circa 17°. Si sottolinea, però, che tale valore risulta ben al di-sotto del “range” tipico dei valori ottenuti per il tufo giallo napoletanoattraverso la copiosa sperimentazione eseguita presso il DTG di Na-poli. In base a dette prove, infatti, può dirsi che l’angolo di attrito èsempre superiore a 20°, con valori tipici compresi tra 24° e 30°. Come mostrato da Aversa (1989), i parametri di resistenza del tufosono cross correlati con grado di correlazione negativo; ciò vuoi direche, ad un aumento della coesione, corrisponde spesso una diminu-zione del termine attritivo. Poiché la stabilità degli scavi dipende for-temente dal valore della coesione, si è preferito assumere per l’an-golo di attrito un valore più elevato (25°) ed ottenere la coesione dallaresistenza caratteristica a compressione del materiale essiccato, ot-tenendo c= 0.66MPa. L’analogo valore relativo al tufo saturo è invecepari a circa 0.40 MPa. Per quanto concerne la deformabilità, dalleprove in regime uniassiale è stato, inoltre, ricavato un modulo di Youngcompreso tra 1500 e 3500 MPa. Come è ben noto dalla meccanica delle rocce, per effettuare la carat-terizzazione meccanica di un ammasso, una volta note le proprietàdel materiale che lo costituisce alla scala dei campioni utilizzati in la-boratorio, è necessario valutare alcuni fattori che ne influenzano e nedeterminano il comportamento su vasta scala. Tra questi, quelli di mag-giore importanza sono rappresentati dal cosiddetto “effetto dimensione”e dal grado di fratturazione dell’ammasso.L’ “effetto dimensione”, in particolare, è essenzialmente legato alla nonomogeneità del materiale ed alla possibile presenza di microlesioni.Apposite prove di laboratorio hanno chiaramente mostrato che all’au-mentare delle dimensioni del campione sottoposto a prova di rottura,la coesione ed il modulo elastico tendono a diminuire, fino ad un va-lore asintotico. Per tenere conto di tale diminuzione, nel caso del tufogiallo è opportuno considerare un coefficiente riduttivo circa pari a 0.7.Il grado di fratturazione, invece, è legato principalmente all’evoluzionedei processi di raffreddamento e cementazione del materiale pirocla-stico sciolto da cui ha tratto origine il tufo, nonché a successivi feno-meni sismici e/o tettonici e, in ultima analisi, ad eventuali stati di so-

tufo sopra falda• peso dell’unità di volume: 14 kN/m3

• angolo di attrito: 25°• coesione efficace: 350÷400 kPa• resistenza a trazione: 70÷100 kPa• modulo elastico: 1000 MPa• coefficiente di Poisson: 0.25• angolo di dilatanza: 0

tufo sotto falda• peso dell’unità di volume: 14 kN/m3

• angolo di attrito: 25°• coesione efficace: 250÷300 kPa• resistenza a trazione: 40÷60kPa• modulo elastico: 800÷1000MPa• coefficiente di Poisson: 0.25• angolo di dilatanza: 0

L’ammasso tufaceo in esame può essere caratterizzato attraverso unalegge costitutiva elastica-perfettamente plastica, con criterio di snerva-mento alla Mohr-Coulomb e legge di flusso non associata, o un mo-dello elasto-plastico con legame tensioni-deformazioni di tipo iperbo-lico, utilizzando i seguenti valori medi dei parametri:

Progettazione architettonica:Arch. Fabrizio Gallichi

Arch. Felice Lozano

Progettazione strutturale:Prof. Ing. Bruno Calderoni

Ing. Vittorio Vitagliano

Direzione dei Lavori:Ing. Michele Autorino

Ing. Stefano Senes

Collaudatori:Prof. Ing. Francesco Paolo Russo

Ing. Salvatore PerroneIng. Angelo Ribecco

Responsabile del Procedimento:Ing. Roberto Di Lorenzo

Coordinamento Cantiere:Napoletana Parcheggi SpA

(Geom. Leonardo Caracciolo -Geom Salvatore Ciro)

Scavi, Consolidamenti e Strutture:CIPA SpA (Ing Antonio Abbate -

Geom. Francesco Maresca)

Opere Civili ed Impianti:SI.GE.A. Srl (Ing. Carlo Vernetti -

Ing. Davide Siniscalco)

Concessionario dell’Opera:Napoletana Parcheggi SpA

Importo dei Lavori:20.029.000,00 €

Durata dei lavori: 5 anni

Durata dell’iter approvativo di progetto: 6 mesi

Cubatura dell’intervento:60.000mc

N° parcheggi a rotazione: 225

N° box privati: 210

N° impianti elevatori, scale, ecc:3 scale, 2 ascen., 1 rampa carr.

N° dipendenti impiegati a regimenel parcheggio: 6 (nelle 24 ore)

N° di persone impiegate nella fase di cantiere:

minimo 30 - massimo 100

Autorizzazione comunale:D.G.C. 1783 del 05/11/2009

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vrasollecitazione indotti dall’opera dell’uomo, che possono aver pro-vocato, localmente, la rottura della roccia.L’influenza del grado di fratturazione sul comportamento di insiemedi un ammasso roccioso è estremamente rilevante: basti pensare chein presenza di due o più famiglie di discontinuità, ciascuna con inte-rasse tra le lesioni dell’ordine del decimetro (caso abbastanza fre-quente in rocce fortemente tettonizzate), il comportamento allo scavonon è più quello di una roccia, quanto piuttosto quello di una ghiaia, ocomunque di un terreno fondamentalmente privo di coesione. A pre-scindere dall’anzidetto caso estremo, la fratturazione della roccia com-porta una riduzione sia della coesione che del modulo elastico, tantopiù accentuata, naturalmente, quanto minore è l’integrità della roccia.Nel caso specifico, gli elevati valori di RQD riscontrati con le indaginieffettuate conducono a fattori riduttivi che possono essere stimati in-torno a 0.85÷0.90.

breve descrizione delle strutture portantiLe strutture verticali sono costituite da setti di spessore pari a 40 cme lunghezza variabile, disposti, per le prime quote utili, in direzionetrasversale e longitudinale rispetto all’asse di sviluppo della cavità.Essi sono concepiti collaboranti con le pareti tufacee fino alla quota+9,65m, anche per le quote rimanenti, i setti saranno collegati allestesse pareti della cavità. Come accennato i moduli che compongonola struttura portante sono in numero di 14, salvo variazioni che si ren-dano necessarie in corso d’opera, classificati secondo una lettera di-stintiva e articolati in principali e secondari. Dida

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Solai di impalcatoI solai si intendono gettati in opera a soletta piena con armatura bidi-rezionale di spessore totale di 35 cm.

FondazioniLe fondazioni sono costituite da plinti dello spessore di 80 cm in al-cuni casi su pali di diametro 400 mm e lunghezza pari a 6,00 m oltrela quota di imposta plinti. I plinti sono uniti da una piastra di collega-mento dello spessore di circa 40 cm ed estradosso coincidente conl’estradosso dei plinti. La quota di estradosso indicata è fissata a +0.50m. I pali sono stati eseguiti, per quanto riguarda solo i fori di trivella-zione, dalla quota attuale di cantiere opportunamente livellata a +3,20m, ad eccezione dei già indicati pali-pilastro che, invece, sono com-pleti di armatura e getto fino alla quota di bocca-foro, in quanto fun-gono da sostegno provvisorio ai primi tre solai.

Fasi di realizzazioneI lavori per la realizzazione del parcheggio Morelli sono iniziati nel giu-gno del 2004, di seguito si descriveranno la modalità operative e pro-gettuali di ciascuna lavorazione, sottolineando le problematiche af-frontate in un sito così particolare, che hanno ad oggi prolungato lelavorazioni.Le lavorazioni sono iniziate con lo scavo di ribasso e il consolidamentodelle pareti e della volta della cavità.Tale consolidamento è stato effettuato mediante l’inserimento di ele-menti strutturali, barre filettate e Ct-Bolt, atti a migliorare le caratteri-stiche geomeccaniche dell’ammasso. Un ulteriore intervento è statoeffettuato in corrispondenza delle volte della cavità, quest’ultime, inalcune sezioni, sono state rinforzate con centine reticolari a costituireuna sorta di rivestimento, ovviamente poiché le cavità raggiungonoaltezze, a scavo effettuato, fino a un massimo di 30 metri, per la posaDida

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di tali centine, oltre che per il consolidamento di per sè, sono stati al-lestiti ponteggi ad hoc con geometrie non regolari adattate alla mor-fologia della cavità che consentissero di raggiungere tali altezze.Le operazioni sono state completate con la posa di rete elettrosaldatae spritz beton.

ConsolidamentoCavità: CT-BOLTLa cavità è stata consolidata, secondo le esigenze puntuali, con va-rie tecniche come chiodature con barre diwidag opportunamente iniet-tate, ma particolare menzione merita l’ulteriore sistema noto come CT-Bolt che rappresenta uno dei sistemi più utilizzati per il sostegno econsolidamento delle pareti rocciose, il fine di un sistema cosi conce-pito è quello di contenere i fenomeni deformativi, e nel caso in cui cisiano prismi di roccia disarticolati, quello di sostenerli. Ovviamente la scelta della tipologia di ancoraggio da utilizzare è stret-tamente correlata con la tipologia dell’ammasso roccioso e oltre allespecifiche condizioni del cantiere, agli aspetti tecnici ed economici. IlCT - Bolt è un ancoraggio resistente alla corrosione che viene istal-lato seguendo il principio geomeccanico del temporaneo ed imme-diato supporto della roccia mediante una testa ad espansione ed inseguito iniettato per conferirgli le caratteristiche di ancoraggio perma-nente. Tale sistema presenta rilevanti differenze tecniche, prestazio-nali e di costo (dell’elemento e della sua posa) dalle altre tipologie diancoraggi. Una guaina rigida in polietilene, frapposta tra la barra inacciaio e la roccia, garantisce l’impermeabilità eliminando l’azione cor-rosiva dell’acqua e, nello stesso tempo, viene utilizzata come con-dotto di iniezione.La forma particolare della guaina agisce, inoltre, come centratore con-tinuo del bullone all’interno del foro, impedendo all’acqua il contattocon l’acciaio e garantendo un effetto di antifrizione allo scivolamento. Dida

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Il CT-Bolt è corredato da un corpo semisferico che manifesta due fun-zioni: sopporta e distribuisce il carico sulla piastra di ancoraggio e serveda camera di iniezione. Il materiale di iniezione viene pompato nelbulbo di miscelazione ed attraversa la guaina di polietilene, all’estre-mità superiore lo stesso rifluisce tra la guaina e la roccia fino a sfia-tare dalla piastra di ancoraggio.

Realizzazione Galleria morelliLo scavo della galleria di accesso al parcheggio da Via Domenico Mo-relli è stato effettuato in un primo momento a piena sezione, consoli-dando la sezione di scavo con chiodi e posa di rete. Successivamentenel settembre del 2005, essendo stata intercettata una cavità pienadi detriti sciolti, si è dovuto procedere ad un cambio nelle modalità discavo, difatti dopo aver provveduto all’iniezione di cls magro che con-sentisse di riempire detta cavità e dopo aver stabilizzato il fronte discavo con spritz beton, si è deciso di procedere con una sezione tron-coconica con un doppio ombrello di infilaggi in calotta, tubi di arma-tura 139,7 sp.8 mm a interasse di circa 25 cm, che consentissero disuperare tale problematica. Successivamente è stato realizzato i ri-

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vestimento di prima fase (centine e spritz), impermeabilizzazione, ar-matura casseratura e getto del rivestimento definitivo completato poinel giugno 2006 con il getto di un solettone intermedio che rende laparte superiore della galleria in oggetto pedonabile.

Realizzazione struttura in elevazioneLa costruzione delle strutture che costituiscono il parcheggio è iniziatanel luglio 2006 dal modulo A per proseguire con la realizzazione deimoduli I ed H, B e G per gli altri moduli si è proceduto in maniera al-terna fino all’ingresso attuale della cavità proveniente dal Largo Mo-relli. Il tutto per costituire un valido cerchiaggio del pilastro centrale intufo naturale che caratterizza la cavità stessa. Per perseguire tale scopo, per i moduli A, B, B1, I, H, G e F i solaidelle quote +6.60m, +9.65m e +3.55m, sono stati realizzati prima digiungere, con lo scavo, a quota fondazione, in maniera tale che glistessi hanno costituito dei puntoni alle pareti tufacee. Per quanto riguarda le modalità costruttive dei solai in questione,come già accennato, sfruttando la tipologia di fondazione profonda,già dalla quota +3,20 m, sono stati realizzati pali- pilastro, a costi-tuire il sostegno verticale dell’impalcato a quella quota. Successi-vamente è stata predisposta l’armatura ed il getto dei setti di so-stegno ai solai di quota +6.60m e +9.65m. Completate queste duefasi, dopo la opportuna stagionatura dei getti, si è proceduto alloscavo intaccando il tetto del banco tufaceo esistente, il quale è statoulteriormente abbassato fino alla quota di imposta della piastra dicollegamento in fondazione.Tali casistiche come si intuisce facilmente, hanno rallentato non pocole lavorazioni soprattutto in considerazione della necessità di rea-lizzare scavi sotto copertura con l’impiego di attrezzature appro-priate.

modellazione delle struttureIl programma che è stato utilizzato per lo studio ed il calcolo delle strut-ture di fondazione è il PROSAP, per tenere conto dell’influenza reci-proca tra il terreno, la piastra di fondazione e la struttura in elevazione,quest’ultima è stata interamente e contestualmente modellata insiemealla fondazione nell’algoritmo di calcolo utilizzato. Con riferimento allapiastra di base e ai setti in elevazione, trattandosi di elementi bidi-mensionali, essi sono stati modellati per procedere allo studio agli ele-menti finiti.Predisposta un’opportuna mesh di discretizzazione, si è schematiz-zata l’interazione con il terreno mediante l’introduzione, in corrispon-denza dei nodi, di vincoli elastici con rigidezza assegnata in funzionedelle caratteristiche dei suoli in sito. Per i vari impalcati di piano in-vece, si è ipotizzato, data la natura della soletta piena, un comporta-mento infinitamente rigido, tale da assicurare in caso di sisma unospostamento rigido dell’intero piano.

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METROPOLITANA GARIBALDITANTE PIAZZE INVECE CHE UN PIAZZALE

Dopo le prime sperimentazioni delle stazioni dell’arte (da Cilea aDante), il progetto per piazza Garibaldi appare il più impegnativotra quelli “di seconda generazione”, pensati fin dall’inizio come oc-casioni di riqualificazione urbana. Paragonabile forse solo con quellodi piazza Municipio, non solo - a posteriori - per l’importanza di quelloche è venuto fuori dal sottosuolo ma anche per il ruolo urbano cheli accomuna: anche Municipio è una porta della città - di mare, inquesto caso – oltre che il nodo delle due principali linee metropoli-tane su ferro. Ce n’è una terza, di porta/piazza urbana, a Napoli:però si chiama piazzale (Tecchio) e non piazza. Ma, a pensarci bene,anche Municipio e Garibaldi sono oggi piazzali e non piazze, se perpiazzale si intende un luogo infrastrutturato, in cui è la circolazionea dettare legge. E forse non a caso le ipotesi di riqualificazione puntano a renderleimmer wieder (sempre di nuovo) delle piazze. Senza cancellare laloro grande dimensione; senza negare il loro ruolo di nodi infra-strutturali; senza discriminare la loro natura di luoghi di passaggio,

Roberta Amirante*

Nei rendering una veduta d’in-sieme e uno scorcio della

nuova sitemazione della piazza

DOSSIERLA METROPOLITANA

DI NAPOLI

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queste piazze vengono restituite alla città non solo come spazi dellacircolazione ma come spazi pubblici, aperti e disponibili all’uso deipasseggeri e a quello dei cittadini.Dominique Perrault, francese, archi-étoile del firmamento interna-zionale - oggi quasi sessantenne, ma già nel 1995 celebrato pro-gettista della Bibliothèque Nationale de France - ha avuto solo unvantaggio rispetto ad Alvaro Siza Vieira: a differenza che a piazzaMunicipio, qui si sapeva (più o meno) cosa si sarebbe trovato nelsottosuolo. Si sapeva che i binari e l’edificio della vecchia stazione ottocente-sca si allungavano dentro il grande spazio che oggi chiamiamopiazza Garibaldi, e che la piazza di allora era uno spazio allungatoin senso nord-sud, più o meno corrispondente a quello che oggi ac-coglie la statua di Garibaldi. Si sapeva che la realizzazione dellastazione-pensilina (frutto dell’innesto tra i tre progetti vincitori delconcorso del 1954, e tradizionalmente legata ai nomi di Bruno Zevi,per la sua natura paesaggistica e anti-monumentale, e di PierluigiNervi per i suoi pilastri piramidali rovesciati) aveva portato, nel corsodegli anni Sessanta, a ricoprire la traccia dei binari, determinandocosì la nascita del piazzale, disponibile a una colonizzazione spinta

La nuova sistemazione dellapiazza in pianta e in prospettiva

a volo d’uccello (rendering)

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da parte dei sistemi di trasporto su ferro e su gomma destinati amuoversi sulla sua superficie.Ma questo vantaggio di Perrault su Siza era l’unico: per il resto eranecessario gestire un progetto molto difficile, tenere insieme di-mensioni materiali e processuali assai diverse: una cosa, per quantocomplessa essa sia, è la stazione di una linea della metropolitana,altra è l’innesto in un sistema infrastrutturale che tiene insieme l’at-tuale stazione Centrale, la futura Stazione dell’Alta Velocità, la sta-zione Circumvesuviana e due linee metropolitane su ferro.Perrault lavora scomponendo lo spazio del piazzale: sul piano ri-propone misure compatibili con la maglia ottocentesca che l’ha av-volto e che ancora oggi ne costituisce il bordo; in profondità svelala sua direzione principale - che accoglieva storicamente i binariprovenienti da est - e le diverse quote che ospitano i fasci infra-strutturali che qui si annodano. Leggendo l’intersezione con l’asse di corso Garibaldi, individua lapiazza antica come innesto dell’ottocentesco falso tridente. Dispo-

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nendo un lungo viale carrabile alberato in posizione centrale nellospazio rettangolare residuo - tra corso Garibaldi e la Stazione - lodivide in due strisce allungate di analoga dimensione (circa 18.000mq) che una strada carrabile separa dai fronti nord e sud dellapiazza. Da qui in poi, la sostanziale simmetria dell’impianto com-plessivo viene articolata con diversi gradi di profondità. La piazza dell’ombra a sud risente dell’innesto con la stazione Cen-trale e delle quote ribassate delle linee metropolitane su ferro. Lalunga asola da cui spuntano i pilastri in forma di alberi (che ri-natu-ralizzano le piramidali geometrie di Nervi, di cui il nuovo progettonon supera mai l’altezza) intercetta 8 metri più in basso un percorsolongitudinale, bordato da locali commerciali, che mette pedonal-mente in rete la stazione della metro 1 con quella Centrale e con ilRettifilo. Un percorso scoperto, per quanto ombreggiato dall’artifi-ciale selva arborea: una strada ribassata, più che una galleria. Unascelta tecnicamente complessa (il sistema di raccolta delle acquemeteoriche non è banale), fatta forse in onore al clima mediterra-neo ma legata soprattutto alla volontà di costruire delle inedite re-lazioni tra i piani abitati di sopra e di sotto.Sul lato nord la lunga piazza dei percorsi appare tripartita. Al cen-tro, in corrispondenza dell’innesto della linea 1, il suolo viene ribas-sato alla quota della galleria commerciale, in forma di piazza qua-drata: i suoi bordi diversamente inclinati riconquistano il piano su-periore senza soluzioni di continuità e senza necessità di parapetti.A questa piazza minerale si accostano, in quota, le altre due piazzeche ricercano un’immagine vegetale, destinate a giardini, spazi diriposo e di gioco. Superfici abitate da essenze arboree e da sparse,piccole architetture: chioschi contemporanei, in grado di ospitarefunzioni di servizio, ancora non determinate. Diverse cose appaiono, nel progetto, ancora non determinate. Maforse non è un difetto. Perrault fa “spazio” a piazza Garibaldi, dando una risposta compa-

Sezione trasversale della piazza con la sede della

nuova metropolitana

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tibile con la complessa natura processuale della sua trasformazione.Rifiutando la logica scalare del dettaglio, progetta tutto ciò che gliserve in termini di posizione e di misura (anche sporgendosi speri-colatamente su aspetti specialistici, come l’architettura della luce).Ma al tempo stesso sembra volutamente prevedere una consistentequota di indeterminazione. E sceglie di lasciare spazio al tempo,che per sua natura determina temporaneità, modificazioni, differen-ziazioni anche estreme, soprattutto in un luogo di passaggio comequesto, che la condizione contemporanea destina per definizione atutti i cittadini del mondo ma anche a ognuno di loro.

*Professore di Progettazione Architettonica, Presidente Corso di Laurea in architettura, Università “Federico II” di Napoli

Particolare della nuova sistemazione e rendering della piazza di notte

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Il rischio geologico sull’isola d’Ischia è un tema che negli ultimi mesiha riguadagnato una posizione centrale nel dibattito politico e scien-tifico, incentivato da due circostanze non ordinarie: da un lato, un’in-tensificazione pre-elettorale dell’impegno verso la soluzione di si-tuazioni di emergenza innescate dalle frane che nel 2006 e nel 2009hanno coinvolto alcune località nei comuni, rispettivamente, di Ischiae Casamicciola Terme; dall’altro la pubblicazione del volume Casa-micciola milleottocentontantatre. Il sisma tra interpretazione scien-tifica e scelte politiche, per i tipi della casa editrice Bibliopolis, il piùrecente prodotto di una lunga ricerca che propone un approcciosenza semplificazioni e senza settorialismi al territorio ischitano, lacui complessità era già stata messa in drammatica evidenza a fineOttocento dal terremoto di Casamicciola.La storia ci ammonisce sulla ripetibilità e sulla frequenza degli eventiidrologici calamitosi che interessano l’isola (le prime informazioninote risalgono al XVI secolo). Le conoscenze acquisite sulla geolo-gia, morfologia, e le caratteristiche meccaniche dei terreni e dei suolihanno consentito di zonare la pericolosità idrogeologica ed idrau-lica dell’isola d’Ischia: un campo vulcanico formato dalla succes-sione di lave, tufi rinsaldati e prodotti piroclastici sciolti, caratteriz-zati da permeabilità differenti, tali che in occasione di piogge intense

Giuseppe LuongoFrancesco Delizia

PRIMO PIANO EQUILIBRI TERRITORIALI E REGIMI DI EMERGENZA: L’AREA DI MONTE VEZZI A ISCHIA

P. Fabris, View of the islandof Ischia from the sea,

tratta da W. Hamilton, CampiPhlegraei, Napoli 1776.

Il valore paesaggistico delMonte Vezzi nello skyline

ischitano appare chiaramente enunciato

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possono mobilizzarsi e dare origine a movimenti franosi e a colatedi detriti e fango, dalla elevata energia cinetica, a causa delle fortipendenze dei bacini imbriferi che si dipartono dal massiccio delMonte Epomeo e dal Monte Vezzi.In questo contesto morfologico-strutturale lo sviluppo intenso e di-sordinato degli insediamenti nell’Isola ha prodotto la crescita espo-nenziale della vulnerabilità del territorio e, conseguentemente, il ri-schio. Infatti tutti i rilievi dell’Isola sono interessati da movimenti dimassa e colate rapide di detriti e di fango; le coste alte sono po-tenziali sedi di crolli, mentre quelle basse sono zone di recapito deiflussi. In buona sostanza non vi sono aree nell’Isola che non sianoesposte al rischio idraulico e alle frane. Durante le alluvioni i dannimaggiori sono prodotti dal trasporto di massa (flussi con detriti efango) per effetto del quale un’ingente quantità di materiale solido,prodotto dall’erosione dei versanti dei rilievi, viene trasportato a valle.Nelle condizioni ambientali descritte diventa prioritario per la comu-nità dell’Isola che si attivi un efficace piano di mitigazione del ri-schio attraverso interventi strutturali con opere idrauliche e con-solidamento delle scarpate e un sistema di monitoraggio per l’al-lerta e l’evacuazione delle popolazioni delle aree pericolose, all’an-nunciarsi di un evento potenzialmente catastrofico. Poiché l’ele-mento determinante della genesi dei fenomeni a maggiore impattosul territorio, quali le colate di detriti e fango, è la pioggia, la salva-guardia delle comunità esposte a tali eventi deve basarsi su un si-stema di monitoraggio capace di rilevare le soglie pluviometrichedel loro innesco. Un monitoraggio con tali finalità non è stato maiattivato nell’Isola, nonostante il ripetersi dei disastri.Le frane che nel 2006 hanno interessato il versante settentrionale

Mappa idrogeologica dell’isolad’Ischia: le aree rosse tratteggiate(Massiccio del Monte Epomeo eversanti del Monte dei Vezzi)rappresentano le principali sorgentidelle colate di fango; le zone giallerappresentano le aree di accumulodei materiali fluitati; le linee blurappresentano le direzioni di flusso.Con linea verde continua è indicatala cresta del massiccio del MonteEpomeo. Il cerchio rossotratteggiato indica le aree direcapito dei detriti e del fango dellealluvioni del 30 aprile - 1° maggio2006 (Monte dei Vezzi) e del 10novembre 2009 (Piazza Bagni -Porto di Casamicciola).

Il sistema collinare a sud-estdell’isola, contrapposto ai rilieviche contraffortano il massicciodell’Epomeo, storicamente hacostituito un argine naturaleall’espansione urbana, ed oggiassume il ruolo di vitale riservaverde per la piccola conurbazioneformatasi nel corso degli ultimisessant’anni tra i territori deicomuni di Ischia e Barano.

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del Monte Vezzi, sono una dimostrazione del modello geo-morfolo-gico e di dissesto appena richiamati, ma soprattutto emblematichedella assoluta chiusura da parte dell’amministrazione locale e degliorgani di governo (ordinari e straordinari) coinvolti nella tutela e ge-stione del territorio e nel far fronte a situazioni di emergenza, ri-spetto alle sollecitazioni offerte da studi scientifici in grado di met-tere a fuoco i reali fattori di rischio e a suggerire corrette politichedi prevenzione.Il programma di interventi per la messa in sicurezza del versantenord di Monte Vezzi, affidato, per la sua esecuzione, all’AgenziaRegionale Campana Difesa Suolo (ARCADIS), e fortemente soste-nuto dall’amministrazione comunale, prevede la delocalizzazionedi circa venti nuclei familiari, in un nuovo insediamento da realiz-zarsi a Campagnano, la costruzione di una fognatura interrata sottol’attuale via Arenella, l’allargamento della stessa strada e della vi-cina via Tirabelli: una spesa considerevole, a fronte di tre interventiepisodici, a valle di un problema che, nella sua complessità, nonviene nemmeno formulato. Per essere, infatti, funzionale all’obiet-tivo della sicurezza, l’intervento deve partire da una serie di opereidrauliche di riassetto nella zona di levata, con sistemazione di bri-glie, salti, vasche di laminazione, in modo da ridurre la massa amonte e l’energia cinetica; solo successivamente a queste, le operedi canalizzazione a valle potranno espletare la loro efficacia.

Nelle foto via Arenella:l’allargamento della strada,

secondo la relazione diprogetto “primo step [...]

necessario ed urgente per le criticità presenti, [...]

propedeutico e funzionalealla sistemazione idraulica

dell’intero versante”, serve in realtà un’area

pressoché disabitata

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Gli elaborati di progetto per la prima tranche, allargamento di viaArenella, liberamente consultabili sul sito di ARCADIS, più che for-nire soluzioni accendono drammatici interrogativi: sulla scelta di ef-fettuare, in regime di emergenza, interventi che incidono profonda-mente nella struttura del territorio, con conseguenze sul piano de-gli assetti urbanistici ambientali e paesaggistici che richiedono benaltri protocolli di approfondimento; sul ruolo, incomprensibilmentedefinito nella relazione di progetto ‘propedeutico’ e ‘prodromico’, diuna fogna sotto via Arenella, in assenza di interventi a monte; sullareale utilità degli allargamenti previsti nelle due arterie che si ar-rampicano verso il monte, se non quella di implementare, proprionelle aree a più alto rischio, nuove cementificazioni.Come non notare strane congiunture tra queste previsioni e la de-cisione, approvata in giunta comunale alla fine dell’anno appenatrascorso, di includere nella perimetrazione del centro abitato diIschia anche le pendici settentrionali di Monte Vezzi, un’evidenteforzatura della normativa tecnica attuata in totale indifferenza rispettoalle caratterizzazioni che la pianificazione territoriale ha conferitoall’area?Alla luce di un dibattito politico in cui i valori vengono ad arte con-fusi con i vincoli, ad essi attribuendo significato di limiti imposti piut-tosto che di dati di conoscenza su cui innestare una corretta piani-ficazione, viene da chiedersi, considerando il taglio delle tavole di

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documentazione (nelle quali l’area figura estrapolata dal territorio),e la qualità progettuale delle soluzioni avanzate, in base a quali ele-menti di giudizio la Soprintendenza di Palazzo Reale possa espri-mersi in merito alla compatibilità paesaggistica! Che percezionepossa ricavare, per fare un unico esempio, il funzionario compe-tente o chiunque consulti il progetto, della pressione che si sta im-plementando sul nodo dei Pilastri, dove, di questo passo, lo stessoente dovrà in un futuro non lontanissimo, ancora una volta per causedi forza maggiore, autorizzare la demolizione di parte dell’acque-dotto del Tuttavilla?Gli interventi progettati per il «definitivo superamento dei contestidi criticità» evidenziati nel 2006 dalle frane di Monte Vezzi riflettonouna sostanziale continuità con quelle politiche che nella secondametà del Novecento hanno sfigurato il volto delle città e dei pae-saggi italiani, oltre ad aggravare proprio quei problemi sociali chepromettevano di risolvere; gli stessi disastri che hanno sollecitatola nostra cultura urbanistica ad individuare nuovi protocolli opera-tivi capaci di garantire l’effettiva partecipazione delle diverse fascedi utenza direttamente o indirettamente (o anche solo potenzial-mente) interessate dalle trasformazioni territoriali. Questi strumentivengono percepiti dalle amministrazioni soltanto come limitazionial libero arbitrio nell’azione pubblica.

Il contesto paesaggistico di Via Tirabelli

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Ed ecco che l’evento calamitoso, sisma, frana, alluvione o guerrache sia, nonostante l’attuale clima di austerity, rimuove gli ostacolinormativi ed apre nuovi canali per fare affluire finanziamenti ed at-tuare interventi, magari non coordinati da un progetto complessivo,dei quali pertanto si fatica a comprendere l’utilità mentre il più dellevolte sono facilmente prevedibili gli impatti negativi sul paesaggio,sull’ambiente, sul tessuto sociale. Nel caso specifico, una domandalecita serebbe: atteso che l’intervento programmato non ridurrà iparametri di rischio, è anzi prevedibile un incremento del valoreesposto, a chi giova la trasformazione, peraltro attuata con fondipubblici?Regimi di emergenza che nella storia d’Italia si prorogano all’infi-nito, fino al paradosso di far passare come necessaria la rinuncia,al confronto pubblico, ad una approfondita valutazione degli sce-nari attesi, alla verifica degli impatti, a quella successione di fasi,tutte importanti, nelle quali si articola un corretto processo di pro-gettazione, e la successiva fase attuativa. A distanza di sei anni dal-l’evento calamitoso del 2006, ci si chiede, come si giustifica la pro-cedura d’urgenza che, per sua natura, dovrebbe essere applicabilealle sole operazioni di primo soccorso e di eliminazione dei pericoliimmediati?E invece, proprio l’amministrazione comunale, che dovrebbe tute-lare gli equilibri del territorio e difendere la continuità nella pianifi-cazione e nella attuazione degli interventi, si rileva incapace di pro-porre scenari in grado di rispondere ai reali bisogni della comunità(e degli utenti indiretti e potenziali che fanno la ricchezza di una lo-calità turistica), e anzi esercita pressioni politiche e medianiche perottenere infinite proroghe allo stato di emergenza.

L’incrocio dei Pilastri, con lestrutture dell’acquedottocinquecentesco attraversate dalla strada principale

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“Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si escedalla realtà per penetrarne un’altra, inesplorata, che sembraun sogno”.

Così lo scrittore francese Guy de Maupassant1 amava definire il suopersonale concetto di viaggiare; una sorta di esperienza divisa tra ilfascino dell’avventura e la necessità del conoscere. Con ogni proba-bilità questo modo di pensare doveva essersi diffuso a tal punto (edin special modo negli ambienti aristocratici dell’Europa Occidentale)se, a partire dal XVII secolo, conobbe una così larga diffusione daguadagnarsi l’appellativo di Grand Tour. Dietro tale fenomeno si ce-lava – particolarmente nei giovani aristocratici d’ol tre ma nica – la ne-cessità di perfezionare la propria educazione, affinandone istruzio-ne, “smalto e stile”, queste ultime proprie delle culture francese editaliana. Tale forma di maturazione, in seguito allargata anche allefanciulle (rigorosamente accompagnate da parenti nubili), potevaprotrarsi dai pochi mesi ad interi anni, eleggendo a mete principali:la Francia, l’Olanda, la Germania e, soprattutto l’Italia che con Ro-ma, Venezia, Firenze, Bologna, Napoli, Pompei, Ercolano, e la Sici-lia, diveniva il “terminale edotto” per cultura, arte, architettura e pae-saggio. Iniziò così a diffondersi un nuovo concetto di viaggiare checomportò una sostanziale trasformazione anche dei luoghi di acco-glienza. In breve si passò dall’alloggio per viaggiatori “di passaggio”alla “locanda”, descritta da Goethe2 durante il suo soggiorno napo-letano, fornita di “...una sala comune vivacemente decorata...” (l’an-tesignana delle attuali Hall). Viaggiatori da “lunga permanenza” in-generarono in breve la necessità di adeguamento delle strutture diaccoglienza a standard da clientela d’elite, come descritto in un ca-lendario di cortesia del 1925, che esaltava la presenza di “...acquacorrente fredda e calda in tutte le camere, sale da bagno, apparta-menti con saloni privati, ristorante francese ed Orchestra...”. Risultaevidente la stessa necessità di realizzazione di impianti architettoni-camente all’altezza; espressione massima del gusto e delle tenden-ze dell’epoca che simboleggiassero, al tempo, la modernità ed il pro-gresso. Nondimeno sin dal dopoguerra con il rapido mutare dei tem-pi e delle abitudini di una nuova clientela “d’affari”, si assistette ad unaradicale trasformazione del concetto di ricettività. La “doppia anima”3 dell’albergo andò configurandosi sempre più qua-le compromesso tra “luogo di passaggio“ e “luogo di estraniamento”,

Fabrizio Mautone

STORIAE CRITICA

ALBERGHISOTTOTITOLO ALBERGHI

Alberghi del Lungomare napoletano in un'immagine

di fine XIX secolo

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pronto a soddisfare sia il “viaggiatore” che il “turista”, attraverso “l’ef-ficienza“ coniugata con una “dimensione domestica”. Sempre piùcondizionata dal sistema dei mercati e dei suoi flussi, l’hotellerie, ini-ziò un graduale processo di adattamento ai nuovi imperativi chia-mati: studi di fattibilità, analisi di settore e fattori di successo. Inverogià sul finire degli anni ’50, Holiday Inn, elaborò una tipologia di ca-mera rivolta ad un ipotetico utente-medio, determinando una muta-zione culminata negli anni ‘70 con “l’hotel di catena” che, nel tenta-tivo di convertire in un’unica formula il duplice concetto sopra espres-so, introdusse la “standardizzazione dell’offerta“. Fu in tal modo chel’effetto omogeneizzante si estese agli interruttori della luce colloca-ti sempre allo stesso modo, sulla stessa parete ed alla stessa altez-za; ai quadri con riproduzioni tematiche assolutamente analoghe;agli arredi ed ai tessuti, inequivocabilmente uniformi sia cromatica-mente che matericamente (prescindendo dalla latitudine o dal con-testo circostante), divenne il prodotto unico identificativo dell’Hotel.Una completa disfatta, potremmo dire, rispetto a quella ricerca ar-chitettonica intesa come radicamento ad un luogo, ed a quel GeniusLoci assolutamente esclusivo e non replicabile in contesti diversi.Tale extraterritorialità alla pari di aereoporti o di stazioni ferroviarie haquindi per un certo arco temporale restituito all’albergo un ruolo di“anonimo ricovero” pronto a garantire nessun rischio, nè delusioni,per “l’utente-medio”. Apparivano, così, stridenti i tentativi di “elabo-razione di un concetto” da parte di architetti e designer, sempre piùrivolti ad una “ricercata unicità“. Fu così che quel “complesso di pro-testa” dichiarato da Gio Ponti4 durante la presentazione del suo “stu-dio su una camera d’albergo” e presentata alla Triennale del 1951,diveniva monito e critica a quegli “...spazi sprecati, letti mal disposti,lampadine per leggere a letto impossibili, comodini con un piano in-sufficiente...”, che si andavano diffondendo. Ecco che i suoi tentati-vi di differenziare arredi, inventarsi disegni per pavimenti mai ugua-li, ricercare costantemente nuovi materiali che si ispirassero alle cro-

Un calendario di cortesia del 1925

Una Hall dei primi del Novecento

mie e tradizioni locali (nel costante tentativo di legare all’ambienteogni esperienza), rimase per anni antitetico e poco emulato.Come lo stesso Ponti anche altri maestri cercarono di “eludere l’omo-geneizzazione”; lo stesso Bernard Rudofsky, insieme a Ponti, in unprogetto di albergo a Capri, tentò di trasmettere quella nozione di“mediterraneità“, così lontana da modelli e riferimenti. Nondimeno ilcambiamento stesso del “concetto di viaggiare” (diventato oramaipossibilità comune), e le mutate tendenze architettoniche e stilistiche,comportarono una trasformazione radicale nell’idea di “struttura ri-cettiva“, oramai sempre più lontana dai canoni tradizionali e mag-giormente rivolta ad una “inusuale domesticità“, laddove anche unsoggiorno di lavoro può tradursi come spazio di evasione. Divienefondamentale il “recupero” del Genius Loci (ed in particolare dellacultura e dell’ arte) dotando gli stessi complessi di comfort sempre piùantitetici dell’albergo inteso quale mero luogo per dormire, bensì co-me spazio dove vivere esperienze emozionali calandosi in ambien-tazioni naturali uniche ed inesportabili. Sia esso un soggiorno di la-voro o di piacere, il tentativo profuso nella progettazione è nella crea-zione di una diversa classificazione delle camere stesse, non arti-colata unicamente su un distinguo tipologico-dimensionale (Presi-dential, Suite, Junior-Suite, Executive, De Luxe, Standard etc.), ben-sì convergenti in quell’idea-concetto di “Home away from Home”, co-sì fortemente sentito. È proprio all’interno di tale immagine che sideclinano le caratteristiche delle moderne strutture, spaziando daigrandi alberghi metropolitani definibili come “Urban Resort “, dove leHall, si trasformano in spazi comuni pensati quali gallerie d’arte con-

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L'Hotel Hempel di Londra,un'esempio di minimalismo

di Anouska Hempel

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tenenti oggetti ed arredi di artisti e designers internazionali ma, altempo, pronte ad adattarsi alle molteplici esigenze della clientela siaindividuale che congressuale, e dove sempre con maggior frequen-za vengono inseriti spazi Fitness e Wellness, in grado di assicurareil necessario e quotidiano relax. Le stesse Lobby diventano così luo-go di ritrovo e di incontro sempre più rivolte ai molteplici segmenti dimercato, che superando la dicotomia “Indoor-Outdoor”, fanno del-l’albergo un’oasi, interna alla città, dove potersi incontrare. Altri esem-pi di strutture singolari ed uniche, dove però il contesto naturale, ar-

La camera d'albergo, presentata da Gio Ponti alla Triennale del 1951

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tistico ed architettonico diviene “l’attrattore principale e caratteriz-zante“, sono i “Relais”, le “Country House” e gli “Agriturismo”. Strut-ture in prevalenza extraurbane con il fine unico di rendere esatta ladimensione domestica della Vivienda, quale luogo di “estraniamen-to” e di “Reset”.Infine di recente tendenza, un segmento dell’ospitalità partito dagliStati Uniti, l’Hotel Design. Una ricerca architettonica sul tema nacquein Germania nel 1993, con l’intento di raccogliere alberghi – in pre-valenza europei – in cui il concept di hotel incontra l’architettura, l’ar-te, il design, il cinema, la moda e tutto quanto restituisce alle strut-tura una dimensione di divertimento e di ricerca di nuove esperien-ze. Vennero in breve individuate una sessantina di strutture che spa-ziavano dai linguaggi minimalisti (come l’Hempel di Londra, proget-tato dalla designer inglese Anouska Hempbel), a strutture dove al-lestimenti scenografici e luci concorrevano a stimolare i sensi deiclienti (come il Side di Amburgo di Jan Stormer, Matteo Thun e Ro-bert Wilson), o come l’hotel Augarten di Graz (ideato da Gunter Do-menig), in cui le opere di trenta artisti contemporanei convivono conarredi di Cappellini e Ligne Roset; fino al Belibtreu5 di Berlino chedel colore blu, ne fa il punto di partenza per le principali ambienta-zioni. Tuttavia quello che maggiormente colpisce l’attenzione del “vi-sitatore-cliente” in queste strutture è il comprendere che “la realtàstorica non è solo ciò che è stata nel suo momento originario, ma èanche ciò che il tempo ne ha fatto”, come cita Michel Pastoureau6,luoghi dove presente e passato prossimo convivono coniugando “ef-

In basso a sinistraL'Ice Hotel, in Svezia, il piu

grande Igloo al mondo

In basso a destraL'Hotel Lucerne di Lucerna,

opera di Jean Nouvel

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Il Parco dei Principi di Gio Ponti a Sorrento, il primo Hotel Design al mondo

NOTE

1 GUY DE MAUPASSANT,Tourville-sur-Arques, 5 agosto 1850- Parigi, 6 luglio 1893. Scrittorefrancese tra i padri delracconto moderno, nellasua breve vita viaggiòmoltissimo.

2 J.W. GOETHE, Viaggio inItalia, Milano 1983, p. 204.

3 AA.VV. Il Designdell’Ospitalità, Milano 2002,p. 12.

4 F. MAUTONE, Gio Ponti e lacommittenza Fernandes,Napoli 2009, p.

5 CFR. L. COLLINA, in AA.VV.Il Design dell’Ospitalità,Milano 2002, p.11.

6 M. PASTOUREAU, Storia di uncolore: Nero, CiniselloBalsamo 2008.

ficienza” ad “allure vintage”, e in quest’ottica possono inserirsi strut-ture datate e d’autore quali il Radisson SAS a Copenaghen di Ja-cobsen ed il Parco dei Principi, di Gio Ponti, a Sorrento (proclama-te ex-aequo nel 2002 dalla rivista DOMUS, i primi Hotel Design almondo). Ed è in quest’ottica del preservare l’anima dell’albergo chestrutture d’autore, come il Parco dei Principi di Sorrento, hanno scel-to una politica commerciale che ha il suo punto di forza nella con-servazione dell’originario, rendendo unicità all’impianto. Da qui l’ideadi inaugurare, in occasione del Cinquantenario (1962-2012), un Mu-seo dell’Opera, dove sono evidenziati arredi, maioliche e quant’altrocontenuto nell’albergo, e voluto da Giò Ponti, seguendo un criterio fi-lologico di celebrazione del Design Italiano degli anni ’60.Il successo di questa tipologia di albergo, non consiste nel mero in-serimento di arredi o oggetti d’arte al suo interno o nello studio com-plesso di quell’Ars Combinatoria capace di coniugare arte e deco-razione in una progettazione per eccesso (per dirla alla Ponti), ben-sì in fattori riconducibili alla capacità di adeguamento dei servizi al-le normative attuali pur nel rispetto di ambientazioni quasi “musea-li”. I materiali scelti, e le soluzioni adottate sia in arredi che in sceltecromatiche ed illuminotecniche eludono un processo cronologico,rendendo “attuale” il “moderno”, affidando alla scelta il metro di at-tualità. Ecco quindi il riappropriarsi di quel concetto di progettazioneinteso quale recupero di un modus vivendi attento al dettaglio ed alcontesto, sempre più distante dal criterio di “catena” ma sempre piùrivolto ad uno standard che coniughi tecnologie “accellerate” con lariappropriazione del concetto di progettare quale esperienza unica,essenziale e non solo seriale, capace di riportare l’architetto a con-cetti “socratici” dove il “vivere” è una forma di “ripetere” ed il “sape-re” un “ricordare”.

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IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA NEL CANTIERE

DOSSIER

Quando si parla di sicurezza nel cantiere, si ricorre spesso alle nor-mative ed alle prescrizioni più volte modificate da una miriade d’in-terpretazioni e circolari che, dopo l’ultimo (T.U.), il D.lgs. 81/08 e suc-cessivo 106/09, si susseguono a cascata.Questo sistema, ancorché dettato da logiche d’aggiornamento, creanotevole disagio nella conduzione del lavoro per le difficoltà di ap-portare variazioni, nell’ipotesi che ciò avvenga nel corso dei lavori.L’acquisizione delle regole da un gruppo di persone è spesso defi-nita la “cultura”: è il sistema in cui le persone agiscono e le ragioniper cui lo fanno. Quando si parla di “cultura” della sicurezza si fa riferimento, in ge-nere, alla situazione spaziale di un ambiente di lavoro in cui si svol-gono lavori in sicurezza che spesso sono delineati da un “progettodella sicurezza”.Sembra marginale ma opportuno, almeno per rendersi conto, con-sultare le statistiche per capire che il numero degli incidenti sul la-voro, in generale, supera quello d’altri casi d’incidenti accaduti permotivi diversi. Appare quindi logico considerare che, indipendente-mente dalla complessa normativa, i risultati della sicurezza sono inmoltissimi casi il risultato d’azioni umane. La conoscenza di questo stato di cose è solo l’inizio dell’analisi e inmolti casi anche la fine della possibilità di qualsiasi intervento. Non v’è dubbio che l’esperienza si conquista con la pratica, sia perprogettare la sicurezza che per il controllo sul campo, tuttavia que-ste brevi considerazioni offrono l’opportunità di riflettere sull’efficienzadegli attuali processi e strumenti usati per la sicurezza, specie se ilriferimento riguarda i cosiddetti cantieri mobili la cui generica deno-minazione comprende una vasta scala dimensionale di volumi can-tieristici: dai piccoli alle grandi opere.È noto che tali processi sono basati sulla ricerca dei gradi di gravitàdel rischio la cui entità è determinata dai risultati di un “progetto dellasicurezza” che, redatto dal tecnico preposto ancorché rispettoso delleprescrizioni, inevitabilmente è condizionato dallo stato socio-cultu-rale e dall’esperienza acquisita dal progettista.Se è vero che con il termine “cultura” s’intende anche il modo in cuiil lavoratore svolge le proprie mansioni, tale modo, non può che ri-ferirsi al “comportamento” che lo stesso è tenuto a seguire attraversoun percorso delineato da un “piano di sicurezza e coordinamento”(PSC) contenente numerose procedure tecniche di fasi esecutive,

Ennio Passerelli

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interferenze tra lavorazioni ecc. il cui obiettivo è la prevenzione con-tro gli infortuni fisici sul lavoro. Non a caso viene da chiedersi perché il problema del comportamentoumano, se proprio ignorato, non trova il dovuto spazio nell’ampia eannosa normativa, ma appena accennato nelle prescrizioni del pianoe solo riferito a quelle “operative”. Eppure il comportamento a rischio,specie nei piccoli cantieri, è molto diffuso per cui è da credere chetale problema, che non esclude il “fattore umano”, appare inacces-sibile al legislatore ed a molti tecnici della sicurezza. La conseguenza di tale incapacità porta ad escogitare soluzioni sem-pre più basate sulla scienza tecnologica che sostanzialmente defi-nisce norme, leggi, tabelle che indicano le misure da adottare pereliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi.A tale proposito, va ricordato che fu pubblicato sulla G. U. del 15/3/08il Documento Unico di Valutazioni dei Rischi da Interferenze (DUVRI),determinato dall’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Si trattad’informazioni alle unità appaltanti e alle imprese nel caso in cui siverifichi un «contatto rischioso» tra il personale del datore di lavorocommittente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese di-verse che operano nella stessa impresa con contratti differenti. Ov-viamente è un adempimento che fa capo all’impresa che ha l’obbligodi evitare contatti fisici (solo fisici) tra lavoratori con mansioni diverse. A questo punto sembra opportuno chiedersi: quanta influenza eser-cita la struttura del CANTIERE sul comportamento del lavoratore?

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Quale diversa dimensione assume l’entità del rischio nella suamente? Non è l’assenza di comunicazione la causa frequente d’in-cidenti sul lavoro? Allora, appare sia il caso di considerare con attenzione anche le in-terferenze comunicative (non solo fisiche) che si presentano nellastruttura spaziale del cantiere. Non v’è dubbio che la sapienza di un esperto possa cogliere la ri-spondenza di certe interferenze nella struttura e rendere efficace ilproprio progetto della sicurezza con appropriate “immagini” dello spa-zio lavorativo. Non si pretende di accrescere i già numerosi adempimenti, ma disuggerire un procedimento di sostegno al progettista della sicurezza,anche se il metodo di ricerca può inizialmente rivelarsi laborioso,specie se il tecnico preposto si è formato con gli attuali schemi.Non manca tuttavia la fiducia che col semplice strumento del buonsenso, si possa valutare l’efficacia di un approccio a tale concetto,specie in questo momento in cui il professionista si trova frequente-mente e suo malgrado coinvolto in vicende che potrebbero sicura-mente non essere addebitabili a sue negligenze professionali.

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Tra le numerose novità apportate dal T.U., il legislatore ha ampliatogli argomenti del corso di formazione per i coordinatori della sicu-rezza, illudendosi che più nozioni ne migliorino la formazione. A tal fine si può affermare che se l’informazione è assimilabile daicorsisti, non così è per la formazione che, al di là di una meritevoleattenzione, va edificata con l’acquisizione di capacità valutative damanifestare in pratica con immediatezza e padronanza che solo unafinalizzata cultura della sicurezza può garantire. Non è il caso di fare critiche o denunciare manchevolezze, è il casoinvece di riflettere sui limiti di provvedimenti che appaiono basatiesclusivamente sui sistemi di protezione per impedire fisicamente ilverificarsi del comportamento a rischio. Con il nuovo T.U., a differenza delle previsioni dell’ex D.Lvo.n. 528/99non è più differenziato il ruolo di ingegneri, architetti, geologi, agro-nomi, forestali, geometri, periti industriali, agrari e agrotecnici cosic-ché la progettazione della sicurezza è stata trasformata in un pro-dotto normativo il cui risultato finale è indipendente dalla matrice co-gnitiva del redattore. Infatti all’art. 100, a riguardo dei disegni a cor-redo del PSC, è accennato che il progetto della sicurezza può com-prendere “almeno una planimetria… del cantiere”… ignorando chesolo con le rappresentazioni grafiche, attuate con le modalità logi-che del linguaggio architettonico, si comprendono i messaggi chiaveutili alla lettura per “immagini” della presenza del pericolo che nonpossono ovviamente essere compresi in una sola planimetria, pe-raltro uni-dimensionale, quando l’incidente si verifica in ambito tri-dimensionale.Nel percorso didattico per la qualificazione dei tecnici, tra i nume-rosi argomenti, figurano: “Teorie e tecniche di comunicazione, orien-tate alla risoluzione di problemi e alla cooperazione… tecniche dicomunicazione, cooperazione e leadership che, è noto, derivanodalla filosofia di base della psicologia del comportamento, peraltroconnessa all’applicazione dell’organizzazione prevenzionistica im-postata secondo le regole dei sistemi di gestione UNI-INAIL, OH-SAS, BBS, ecc., che, previsti per le Aziende, trovano scarso riferi-mento con le occorrenze progettuali della sicurezza nel CANTIEREcosiddetto MOBILE.È noto che lo studio sul comportamento porta l’attenzione sulla per-sona, sugli aspetti osservabili dei reciproci scambi fra comportamentiindividuali e situazioni ambientali in costanza d’attività. Nel “CANTIERE MOBILE”, invece, il comportamento della personaè influenzato dalle strutture che lo compongono; di conseguenza lostudio va portato appunto sulle strutture, sugli spazi operativi i quali,con l’avanzamento dei lavori, si modificano continuamente. È inevi-tabile, quindi, che la persona in movimento al suo interno si com-porti in esito alle influenze che in esso si generano. Questo ragionamento non pretende di sostituire alcuno dei conte-nuti disciplinari e normativi, ci mancherebbe altro, ma in seguito alle

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considerazioni su espresse, intende utilizzare le nozioni basilari delletecniche e dei metodi che spostano l’attenzione sul comportamentodella persona a quello dello stato strutturale del CANTIERE, nei suoiaspetti, non solo planimetrici ma anche volumetrici, ovvero esaltan-done le caratteristiche intrinseche per l’analisi del rischio latente. A questo punto è doveroso fare una considerazione sulle differenzeoperative tra un’azienda ed un cantiere: l’AZIENDA è un insieme di spazi materiali stabili in cui il processodi sicurezza basato sul comportamento è attuabile perché i dirigentipossono osservare e registrare il comportamento dei loro dipendenti. Il CANTIERE è un insieme di spazi materiali costantemente muta-bile perché, con l’avanzamento dei lavori, le sue caratteristiche strut-turali cambiano rendendo impossibile la continua osservazione delcomportamento in sicurezza dei lavoratori. Questa sostanziale differenza implica notevoli difficoltà nel verificarecon immediatezza le procedure di lavoro in sicurezza nel CANTIERE:ne consegue la necessità di localizzare il pericolo mediante un’ac-curata analisi di predizione del luogo che rimandi l’esperto della si-curezza alla conoscenza diretta della realtà. Riconducendo il discorso alla struttura del cantiere che influenza ilcomportamento della persona, si può immaginare che la migrazionedel lavoratore nel cantiere si distingua in tre momenti: accesso; per-manenza e uscita. Al momento dell’accesso, si costruirà nella suamente una dimensione del rischio la cui misura si formerà in fun-zione dello stato di costrizione che dovrà sopportare per il suo la-voro. Durante la permanenza, il confronto diretto col pericolo lo in-duce a differenziare tale dimensione per la mutabilità delle circo-stanze ambientali dovute all’avanzamento dei lavori. All’uscita, es-sendo venuto meno lo stato di costrizione, il pericolo si annulla con-ferendo al lavoratore un senso di libertà che, tuttavia, non estinguequanto memorizzato nello spazio e in quel tempo, attuando così unaperfetta sinestesia tra strumenti di lavoro, campo operativo e azionia tal punto che la dimensione del rischio permane nel suo inconsciocome un prolungamento corporeo di se stesso. In sintesi l’elabora-zione mentale dell’entità del rischio, si può affermare, è in funzionedelle caratteristiche strutturali del CANTIERE e dei mezzi usati peril lavoro al suo interno.Tutti i soggetti coinvolti nella scena del lavoro: il committente, il da-tore di lavoro, il progettista, i coordinatori, il direttore dei lavori e illavoratore, tutti nelle rispettive funzioni e responsabilità sono per-sone, tutte interagenti con l’ambiente e, inevitabilmente obbligate acomunicare tra loro per superare gli ostacoli che impediscono il rag-giungimento di un determinato fine. Va affermato, in ogni caso, che l’ultimo anello della filiera è il lavora-tore ed è pertanto LUI, come persona, che nell’ambito del propriolavoro, in uno spazio del “cantiere”, si confronta con il pericolo, ed ècon tale spazio che si troverà a dover comunicare.

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Nell’arco temporale di questo processo, accadranno fatalmente deimomenti di conflitto tra le sue abitudini comportamentali storiche,antecedenti a quelle in cambiamento imposte dalla situazione del-l’ambiente di lavoro. Questo è il momento critico in cui lo spazio, asua volta, dovrà essere il contenitore di “segni” capaci di comuni-care, informare, insomma dare a vedere in modo persuasivo la pre-senza sul lavoro di vincoli o di eventi.Da tale ragionamento emerge la considerazione che se le man-sioni fisiche e percettive del lavoratore nell’ambiente di lavoro in-fluenzano il suo comportamento e se tali azioni, in effetti, sonospesso la conseguenza degli elementi strutturali, è appunto lastruttura dell’ambiente ad assumersi la funzione di entrare in dia-lettica col lavoratore.Da ciò si deduce che i problemi del comportamento non possonoessere estranei agli attuali processi di progettazione della sicurezza;processi che si traducono nell’applicazione di metodi cui riferirsi peridentificare, valutare e programmare la correzione delle condizionidi “non conformità” rispetto alle prescrizioni legislative, autodefiniteo non ancora stimate. La fase progettuale riguarda lo spazio come entità metrica per la tra-duzione grafica del cantiere, ma è durante la progettazione che taleentità deve subire una radicale modifica: deve essere contestual-mente concepito anche come spazio non metrico, che per il lavora-tore è il suo spazio di vita (life space) che fatalmente si pone in dia-lettica con gli stimoli che distinguono il suo comportamento.Non va perso di vista che il cantiere è un luogo in cui si effettuano

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lavori edili o di ingegneria civile, oggi compiuti anche da lavoratoriprovenienti da vari ambienti geografici di diverse estrazioni sociali eculturali portatori di proprie abitudini e di propri stimoli (diversità digenere) per cui è possibile immaginare che tale luogo sia percepitocome temporaneo spazio vitale pieno di ostacoli, chiusure, apertureo vuoti, accesi o turbati dalla luce, dal colore, dai materiali e da tuttiquegli elementi visibili e in continuo cambiamento che inevitabilmenteandranno ad influenzare stimoli e sensazioni.Come già accennato, gli spazi dei luoghi di lavoro si distinguono inspazio mutabile e spazio fisso: il CANTIERE e l’AZIENDA. Nel CAN-TIERE tutto il processo della sicurezza si progetta a priori e l’im-pianto si realizza durante l’avanzamento dei lavori che muta neltempo la configurazione del luogo. Nell’AZIENDA invece, la ripetivi-tità del lavoro e la staticità degli elementi tecnologici consente mo-nitoraggi temporali delle procedure di sicurezza costruite sul com-portamento del lavoratore, ovvero sull’osservazione e revisione aposteriori delle analisi di rischio. A tal uopo, rammentando che il PSC è uno strumento redatto a priori,appare evidente che in tale fase non sono noti i problemi comporta-mentali del lavoratore mentre sono prevedibili quelli determinati dalluogo di lavoro entro il quale egli dovrà operare. È possibile, quindi,agendo con tali finalità, esplorare in precedenza le influenze derivantidal luogo di lavoro sui comportamenti umani, realizzando così un tipodi predizione che consente di individuare eventi e cause con imme-diatezza.

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La pre-visione del rischio - visione per immagini - e l’immediata va-lutazione nelle fasi esecutive delle opere, contribuirà a disporre cor-rettamente accessi, percorsi e segnaletica rendendo lo spazio co-municabile e in dialettica con tutte le sue parti.In pratica si pone il problema di tradurre graficamente tali analisi se-guendo alcuni modi di rappresentazione in ordine con la comples-sità del cantiere. Dovranno eseguirsi (almeno) questi disegni:

• assonometria del cantiere e del suo intorno per visualizzarne lepeculiarità spaziali;

• planimetrie per evidenziare le proprietà di libero movimento,avendo cura di detrarre tutte le strutture fisse in modo cheemerga solo la superficie percorribile;

• planimetrie per determinare le direttive di movimento mediantele analisi vettoriali, il controllo dei percorsi e le interferenze vi-sive, che nulla hanno a che vedere con i cosiddetti rischi inter-ferenti (DUVRI), ma relativi a barriere ottiche generate da con-fini materiali (pareti, scavi, balconi, ecc.) e da punti di pericolopermanente (elettricità, gas ecc.);

• planimetrie delle zone in cui si prevedono concentrazioni di pe-ricolo, dedotte dalle analisi dei rischi, differenziandone simboli-camente le tonalità o numerandone la magnitudo.

Si può immaginare come l’insieme di tali “eventi” provochi molte-plici tensioni e continue sollecitazioni che il progettista del PSCnon può ignorare nella fase di ricerca delle aree a rischio. La vi-sione e la traduzione per immagini delle relative situazioni, con-tribuirà, nel corso dell’avanzamento delle opere, a disporre conimmediatezza la corretta posizione della segnaletica di cantiererestituendo al “progetto della sicurezza” quel valore della rappre-sentazione grafica che sola ha la proprietà di rendere visibile eleggibile il rischio latente. Un Piano di Sicurezza così redatto sublimerà l’approfondimentodella lettura del pericolo: non sarà soltanto uno strumento tec-nico-normativo, ma di predizione di futuri eventi capace di orien-tare il tecnico in fase d’esecuzione alla tutela di problemi insor-genti in corso d’opera e di suggerire i correttivi più idonei al mi-glioramento della sicurezza, proprio perché in possesso di que-gli indizi utili per valutare prontamente la latenza del pericolo ren-dendo più adeguato il coordinamento delle misure di prevenzionedei rischi e le prescrizioni operative correlate. Rendersi conto che il CANTIERE è l’AMBIENTE che influenza ilcomportamento dei lavoratori, riconoscere al procedimento gra-fico le proprietà propedeutiche di significare la spazialità dei luo-ghi con immagini immediatamente leggibili, oltre che rendere va-lido apporto al progetto della sicurezza e alla verifica del rischionella pratica attuazione sul campo, conferirà al professionista dellasicurezza una maggiore qualifica e padronanza nell’espletamentodella propria attività.

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Tardo pomeriggio di marzo nello studio di Renato De Fusco: il santuariodi volumi che ci si aspetta; il rituale meticoloso dell’accoglienza di un sa-cerdote della cultura architettonica ed artistica dei nostri anni che si muovetra dubbi cronici e certezze appassionate; la fronte spesso aggrottata dauna intuizione che ci sorprende sempre tutti; una gestualità lenta, densadi ripetizioni, consolidata nello studio metodico che comincia con la sve-glia antelucana e si conclude in serata con un ennesimo progetto di li-bro. Inseguendo un’idea di cui innamorarsi e stancarsi. Con velocità efame. Bruciando il tempo. Perché la dedizione ad un’opera tiene in vitaed è motivo di vita essa stessa.De Fusco ha concluso in febbraio un ciclo di 5 incontri tematici sul de-sign al PAN. Grande successo di pubblico, come prevedibile. Ne parlacon noi dell’Aniai sintetizzandone temi e sviluppi.Qual è l’idea centrale di queste conversazioni?Tutto nasce dall’idea che il design non sia nato con la Rivoluzione Indu-striale ma al tempo di Gutenberg, ovvero con la stampa e l’invenzionedei caratteri mobili. L’amico e studioso Edoardo Alamaro ha obiettato cheun intervallo troppo lungo è intercorso tra il Quattrocento e la comparsaottocentesca del design. Ribatto che in questo frattempo, più che un vuoto,c’è stata una ricerca estetica sui caratteri mobili e, soprattutto a Venezia,si è potuta sviluppare con esiti raffinatissimi l’arte della stampa. Fino alnuovo affiorare di altri tipi di design sul finire del XVIII secolo: la produ-zione Thonet, la ceramica Wedgwood e quant’altro. Nella storia del design c’è stato poi un conflitto tra la cultura del progetti-sta e la cultura del pubblico che non ha accettato questo gusto. Così cheil principio iniziale (quantità, qualità e basso prezzo) - un circolo per ilquale il tempo era danaro e la produzione seriale garantiva il conteni-mento del prezzo di vendita - ha resistito fino a quando non è interve-nuto il design come fatto estetico, ovvero fin quando non sono stati pro-dotti, malamente, oggetti scadenti a basso prezzo, copie degli oggetti delpassato. L’intervento di Morris ed altri si è opposto ad un simile degradodel design puntando sulla qualificazione degli oggetti. E così l’industriadel design per salvare una produzione di qualità si è trovata a praticarela politica inversa: invece di molte repliche economiche ha scelto di rea-lizzare poche copie ad alto costo.ma si è tradita l’ispirazione originaria del design.Sì, ma è stato ben fatto. Oggi una ditta come Ikea ha ricucito questo tri-nomio originario: quantità, qualità e basso prezzo. Qual era, tra tutte le conclusioni sul tema, quella che ti premeva dipiù comunicare al pubblico?L’idea del quadrifoglio. Il libro ha avuto successo (venti ristampe) ed io

Francesca Rinaldi

INTERVISTA CINQUE INCONTRI SUL DESIGNINTERVISTA A RENATO DE FUSCO

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stesso ne ho avuto perché si è chiamato Storia del Design, il primo cheha avuto nel titolo il coraggio del termine “storia”. Seconda furbata è statadi non aver dato definizione univoca di design ma piuttosto averne illu-strato la fenomenologia. L’episodio di Ford è illuminante. Ford ha avutola geniale invenzione di moltiplicare a tre i turni di lavorazione estenden-doli a tutto l’arco della giornata. Maggior salario agli operai per una mag-giore produzione ed un numero di esemplari maggiore a minor prezzo.Ecco la catena di montaggio. Prima di Ford, Taylor e la sua organizza-zione della produzione seriale per comparti. La divisione del lavoro hapermesso la svolta e, con Ford, ha raggiunto un livello di perfezione. Ilmodello “T” poteva così essere la macchina di tutti, con tanto di slogan(“Di tutti i colori purchè nera”) e promozione pubblicitaria. L’automobilerientra nel design solo se il designer si pone questioni anche tecniche enon puramente estetiche (di outline, di profilo). Il vero designer è statoHenri Ford. Allora, la fenomenologia del design non consiste solo nel qua-drifoglio ma il legame tra le quattro fasi.Ponendo in diretta relazione la catena di montaggio con l’oggettodi design non stabilisci però una discriminante tra l’oggetto di de-sign ed un generico oggetto di produzione seriale.No, perché nella fase ‘progetto’ – e l’ha detto anche Argan – il progetto

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contiene un ne varietur che si deve prevedere in tutte le fasi di lavora-zione, fino alla vendita ed al consumo. Quindi, la forza di questi quattromomenti sta nella loro inscindibilità. E sviluppando altri temi, mi spingo adire che persino la questione dei rifiuti nasce da un progetto che arriva aprevedere anche la morte dell’oggetto d’uso. Restiamo sulla distinzione tra oggetto seriale e oggetto di design.Per chi c’era e non lo ha capito e per chi non ha seguito le tua con-versazioni.È molto semplice. Partiamo da quantità, qualità e giusto prezzo. Spessosi realizzano merci seriali, economiche ma di scarsa qualità. Ovvero privedi esteticità. Come per tutte le cose d’arte intendo per esteticità la ricerca,la continuità di stile. Mondrian senza iterazione della sua cifra stilisticanon avrebbe ottenuto riconoscibilità, nessuna continuità di stile. La qua-lità nel design però non è solo piacevolezza. È anche antropometria, er-gonomia, conoscenza delle condizioni d’uso di un oggetto.Questo trinomio (quantità, qualità e giusto prezzo) ricorda in qual-che modo la triade vitruviana che si adottava classicamente per va-lutare una buona architettura. Il design è nato per essere oggettocomprensibile ed utilizzabile da tutti. ma oggi davvero tuttI pos-sono apprezzare l’oggetto di design?No, solo un utente ‘criticamente avvertito’.È quindi un fenomeno elitario, snobistico?Il pubblico aderisce incondizionatamente agli oggetti tecnologici. L’og-getto tecnologico, non avendo precedenti, può derogare sul piano dellaresistenza del gusto. Incontra sempre il favore del pubblico. Mentre perun qualsiasi mobile per la casa subentra la resistenza del gusto, dell’af-fezione allo stile passato, della memoria, della tradizione, etc… L’og-getto tecnologico con la sua modernità e la sua funzionalità sussume ilgusto che è orientato su cose superate. In forza della sua prestazione,unica e nuova. vedi nel design una debolezza intrinseca?Sì. È dovuta al meccanismo automatico stesso della grande quantità:qualsiasi oggetto prodotto in serie obbliga ad una sua definitiva sostitu-zione in caso di guasto, di rottura, di danno. Non vale la pena ricorrereall’artigiano per ripararlo. Si aggiunge poi la persuasione occulta che in-duce al rimpiazzo e ad un nuovo acquisto. Il design impone la costrizionedell’adattamento all’offerta di mercato. Capita a tutti di non ritrovare inuno stesso magazzino l’oggetto comprato l’anno precedente. Recente-mente ho avuto difficoltà nel trovare un pullover beige perché il colore, adetta dei venditori, suggeriva il senso della maglia intima e non ne sonostati prodotti. C’è una dialettica attiva con il gusto del pubblico: se questocede, la produzione in serie si rende disponibile ed economicamente van-taggiosa; viceversa, il prezzo di un oggetto prodotto su richiesta lievita.E veniamo a questo epigono eccezionale che hai citato prima. Il fe-nomeno Ikea che “ha ricucito tutto”. Ikea è l’apologia del design cheè tornato alle sue origini riprendendosi l’obiettivo di democratizzarel’oggetto d’uso.E tutto questo senza retorica. La gente non è in soggezione rispetto alnome del designer.

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ma qual è l’asintoto del fenomeno? Case tutte uguali nel futuroprossimo?No. C’è la concorrenza. Perché scatta la noia dell’uniformità e il mecca-nismo si blocca. Poi c’è un’altra dinamica che io e il mio amico Alison ab-biamo rilevato: il cosiddetto artedesign. Il design puro alla Ford NON ESI-STE. Tutti gli oggetti di design contengono un elemento artigianale: lesedie di Mies van der Rohe sono cucite a mano. In più, questo fatto con-sente di aggirare il ne varietur del design classico di cui dicevamo. Nel-l’artedesign puoi trasformare e personalizzare l’oggetto, lo puoi lavoraresu commessa. Ci sono macchine che variano il colore di una stessa se-dia. L’industria è arrivata a questo. Senza aggiungere che un oggetto didesign, generatore di affezione, può essere restaurato. E questo lo puòfare solo un artigiano.Il paradosso allora è la vita di un oggetto di design è comunque de-mandata ad una dimensione ultima di tipo artigianale, individuale.È il trionfo del vecchio mestiere?No. Questo è stato sussunto dall’industria. La macchina può surrogarenella maggior parte dei casi l’intervento artigianale. Ho un motto: “tutti idifetti della tecnologia si risolvono sempre con la tecnologia”. C’è stata qualche obiezione che è stata mossa alla tua teoria deldesign?L’unica è venuta dal mio amico Giovanni Cutolo. Lui sostiene che io sba-gli ridimensionando il momento della progettazione. Perché, a suo dire,c’è progetto in tutte e quattro le fasi del ‘quadrifoglio’: una progettazionedel progetto, una progettazione della produzione, una progettazione dellavendita e persino una progettazione del consumo. E ha ragione. L’ac-cetto. Ma questo non scalfisce comunque la validità dell’intera teoria.A che punto è oggi il design?Un punto disastroso. Lo si sta ipostatizzando, si sta facendo filosofiasu cose empiriche, esagerando un fenomeno che sta perdendo il suocarattere essenziale. Un altro errore che commette il giovane desi-gner è l’appiattimento totale sull’informatica. Terzo sbaglio: si puntasull’aspetto semantico e comunicativo dell’oggetto perdendo di vistail fatto che siamo sempre nell’ambito di una cultura materiale. La lottaè ancora prevalentemente tra l’aspetto dell’uso, della tecnica, e quelladella comunicazione. Della sovrastruttura comunicativa. Non si deveridurre un oggetto d’uso alla sua valenza informativa, ad esempio.Noi non ci sediamo sull’informazione! Nel mio saggio Internet non siaddice all’architettura dimostro questo assunto. Una sedia non parla.Al di là dell’informazione esiste la formazione, il fascino della mate-rialità. Thonet ha inventato un materiale, un processo tecnico, unmodo di produrre e vendere. Oggi invece tutto si risolve in pubblicità,in persuasione, in cose effimere tralasciando la cultura materiale. Cisi fissa sull’esistenza del cosiddetto ‘design dei servizi’. Una scioc-chezza grande quanto il mondo. Esempio: l’accoglienza del turista.Vero che questa presuppone una pianificazione politico-amministra-tiva ma un turista necessita anzitutto una stanza ben areata, un buoncaffè, un letto comodo. Cose di cultura materiale, insomma. Al di làe prima del servizio.

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È cambiato in questi ultimi anni il tuo pensiero sull’usa-e-getta?Non è cambiato. Anzi. Tutto il favore del mondo all’usa-e-getta che con-tiene l’intero spirito del tempo: la funzionalità, il senso dell’economia, lariduzione della fatica, l’eliminazione della memoria. Desmosine controMemosine. Si superano le eredità familiari. Disprezzo della cosa: la cosanon è più venerata come insostituibile. Ma soprattutto l’economia. Conl’usa-e-getta si realizzano i tre principi base del design. Però, attenzione:si verifica anche che il cambio di un articolo non avvenga solo per con-sunzione ma per noia, per stanchezza di quell’oggetto. La durata deglioggetti, che prima apparteneva alla qualità, adesso appartiene alla scelta.È una durata mentale: l’oggetto dura per quanto noi vogliamo che duri. l’usa-e-getta ha fatto guadagnare una dimensione volontaristicadella durata.In una società dove tutto si consuma e il consumo è vitale non va tutta-via interrotto il circolo. Altrimenti è la crisi dell’intero sistema. E allora sitende a sostituire tutto con la virtualità, che non è cultura materiale. Noidovremmo recuperare la materialità: la fabbrica a fronte della Borsa. Il mio timore, a questo punto però, è che una società dove si consumatutto sia una società che non lascia tracce di sé. Come si rimedia? Sideve puntare sulla massima qualificazione dell’oggetto usa-e-getta che,attualmente, rende ogni cosa usa-e-getta. Vuoi per l’abilità persuasivadello strumento pubblicitario vuoi per la volubilità del pubblico. La coper-tina del mio libro non a caso mostra una quantità disparata di oggetti chevanno a confluire in un enorme imbuto-bidone, perdendosi. La via di ri-scatto può essere allora il collezionismo. Noi conserviamo tracce del pas-sato o perché rinveniamo per caso queste tracce sommerse da catastrofinaturali o per l’intrinseca bellezza di questi oggetti che ancora riesconoa convincerci ed affascinarci.Si tratta di una estensione del loro uso o di un’affezione nostalgica?Di un attaccamento alla loro forma. C’è a Roma una intera montagna dicocci conservati. Il design, nel suo ne varietur, deve progettare, oltre l’usoe il suo tempo di vita, anche il tempo della morte. E quindi includere ladestinazione finale, il suo cimitero. Ovvero, il termovalorizzatore. Non puòarrestarsi il processo logico delle cose impedendo la costruzione dei ter-movalorizzatori. È questo il punto di arrivo del discorso sul design e sullaproduzione industriale. Il design e anche l’arte deve farsi cura di ciò cheviene prodotto. Ritornando ad Ikea: il consumo di oggetti ad oltranza con-verge ad una distruzione finale di questi stessi oggetti.tu ti stai occupando adesso di questo tema. te ne stai occupandosotto il profilo del funzionamento tecnico o anche dell’aspetto este-tico-architettonico? Ci sono esempi europei interessanti.Il tutto è ancora in fase di ricerca.ti sei mai occupato attivamente di design?Sì, giocando sul pluriuso degli oggetti: un tavolino-poltrona, tavoli multi-funzione, etc… Un design che trovava la sua ragione d’essere nella tra-sformazione e nel cambiamento. Professore, oltre ad un grande studioso tu sei un impareggiabile di-datta. Sei uno dei pochi riferimenti didattici del nostro mondo ac-cademico. Da docente credi nella trasmissibilità del progetto di de-

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sign, nella possibilità di insegnare il progetto?Certo, mi meraviglio di come ad esempio l’allenatore della nostra squa-dra cittadina non insegni ai suoi giocatori la tecnica dei tiri liberi. Ecco ilfallimento. Metaforicamente parlando vanno insegnati i tiri liberi in ognidisciplina. Ci sarebbe molto da insegnare a riguardo.ti interessa ancora il design?Ne parlo sempre con piacere e con maggiore competenza ma la mia pas-sione resta tuttavia l’IDEA. Il libro che amo di più è Storia dell’idea di sto-ria. C’è in simili lavori una dimensione concettuale che mi sembra irresi-stibile. Ho da poco lavorato ad un altro testo: I concetti nella storia del-l’arte. Un tema che potrei estendere allo studio di tutta una vita.Riconosci qualche primato particolare ad alcune personalità nellastoria del design?Certo. Thonet, Ford, come già detto. E poi Zanuso, Castiglioni. Dei desi-gners attuali, sinceramente, mi interesso poco. Come del resto mi inte-resso poco della critica d’arte militante. Sono cose che non capisco, pienedi non senso. Nella mia Storia dell’arte ho ridotto tutte le correnti a quat-tro-cinque categorie in grado di contenere in modo ampio tutti gli –ismifinora apparsi. Puoi indicare cosa che il pubblico chiede al design senza ottenererisposte?La questione del design è talmente complessa che l’uomo della stradasi ferma soltanto ad una delle fasi del quadrifoglio. Nel caso dell’automo-bile, ad esempio, l’uomo della strada la compra per la linea esteriore, peril consumo, per la velocità etc…Ovvero per ciò che è in grado di valutare con la sua competenza diprofano. Singolare il fatto che proprio colui per il quale il design èstato inventato non sia poi in grado di giudicarlo. Già. Ma pensa alla complessità della democrazia: noi votiamo in basead istinti uterini o ideologici, non in base ad una analisi oggettiva dellarealtà. C’è questo continuo divario tra ciò che sappiamo e ciò che fac-ciamo, questo fraintendimento voluto o a volte spontaneo tra quello chesembra e quello che è. Le cose che noi tendiamo a semplificare sonosempre molto più complesse. La nostra stessa conversazione può risul-tare oziosa ai più ma nasconde invece un universo mondo.Esistono dei punti di contatto tra il design e l’arte?Te lo dico subito. Anche nell’arte, che si è complicata la vita dopo l’av-vento della fotografia, si sono generati degli –ismi come sostituti virtualidi una committenza che non c’è più. La differenza è che, al contrario diquanto avviene per l’architettura e il design, nell’arte l’offerta è superiorealla domanda. Il design è davvero l’arte popolare del nostro tempo. trovi insensato che si abbia venerazione per un oggetto di design?Non proprio. È una faccenda che riguarda l’affettività delle persone.Quando esco di casa io saluto la casa. Sono un sensibile ai luoghi, aglioggetti. C’è comunque un’aura nel design. A cui si aggiunge poi la vitache su di esso si deposita.

Ed è convincente mentre lo dice. Perché in questo studio ci sono oggettitalmente impregnati di vita da sembrare animati.

L’ITER PER IL RILASCIO DI UN PERMESSO DI COSTRUIRE NEL COMUNE DI NAPOLI

Vincenzo Ciruzzi

TITOTLORUBRICA

I rapporti con gli organi della Pubblica Amministrazione preposti al con-trollo e alla concessione di permessi e/o autorizzazioni finalizzati allarealizzazione di interventi nel settore dell’edilizia privata sono, da sem-pre, resi difficili dalle procedure, spesso macchinose e inutilmente com-plicate che definiscono l’iter burocratico di una pratica edilizia.Per non smentire questa affermazione, il Comune di Napoli è riu-scito a configurare in maniera “diabolica” l’iter da seguire per l’ot-tenimento di un Permesso di costruire relativo ad un intervento sudi un immobile ricadente in una zona sottoposta a vincolo paesi-stico. È in questo ambito che la Pubblica Amministrazione ha dadato fondo a tutta la sua fantasia per “disegnare” un iter che defi-nire macchinoso è eufemistico.Probabilmente i più sono già perfettamente al corrente di quanto stoper illustrare; mi scuso con questi; spero che la mia comunicazioneserva ad allertare quei pochi che non ne fossero a conoscenza e, so-prattutto, a far riflettere quei Dirigenti, Funzionari del Comune di Napoliche, unitamente con l’Assessore di turno, tale iter hanno concepito.Recentemente ho avuto la (s)ventura di ricevere un incarico relativoalla Progettazione e Direzione lavori di un intervento di “Restauro e ri-sanamento conservativo” su di un fabbricato d’epoca, ubicato nel Cen-tro storico di Napoli, ricadente in una zona, a ridosso del lungomare,interessata da un vincolo paesistico.A fronte delle caratteristiche dell’intervento da eseguire, si è ritenutoopportuno richiedere il nulla osta all’intervento a mezzo di un regolarePermesso di costruire; ovviamente, a norma di legge, corredato da unarelativa “Relazione paesistica”.È a questo punto che si avvia quella procedura “diabolicamente mac-chinosa”, di cui sopra.Sempre per quei pochi che non ne fossero al corrente, la illustro, puntoper punto:1. viene consegnata, unitamente a tutta la documentazione prevista,

la richiesta di Permesso di costruire c/o il Servizio Edilizia privata delComune di Napoli;

2. il Dirigente assegna la pratica ad un Responsabile unico del proce-dimento;

3. il Responsabile del procedimento istruisce la pratica e la invia allaCommissione Edilizia integrata;

4. la Commissione Edilizia Integrata la esamina, la approva e la rimandaal Servizio edilizia privata;

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5. il Responsabile del procedimento prende atto dell’approvazione daparte della Commissione, e la certifica; invia la pratica al DipartimentoAmbiente del Comune di Napoli;

6. il Dipartimento Ambiente la esamina, la verifica, formula una “Pro-posta di autorizzazione paesistica” (sic!);

invia la Proposta alla Soprintendenza per i Beni architettonici, paesag-gistici, storici, artistici ed etnoantropologici;

7. la Soprintendenza per i Beni architettonici, paesaggistici, storici, ar-tistici ed etnoantropologici esprime il proprio parere sulla Propostadi autorizzazione (sic!);

trasmette tale parere al Dipartimento Ambiente del Comune di Napoli(toh! ... chi si rivede);

8. il Dipartimento Ambiente, presa visione del parere della Soprinten-denza, rilascia l’Autorizzazione paesistica (era ora! ...); trasmette l’Au-torizzazione al Servizio Edilizia privata (toh! ... chi si rivede);

9. il Servizio Edilizia privata, presa visione di tutti, ma proprio tutti, i pa-reri, approvazioni, proposte, autorizzazioni..., rilascia il Permesso dicostruire.

Ce l’abbiamo fatta! Si potrebbe tirare un sospiro di sollievo. Nemmenoper sogno!L’efficacia del Permesso di costruire è vincolata al rispetto di alcune(troppe) prescrizioni e ad altre procedure da porre in essere!Ma sarebbe troppo lungo aprire un ulteriore capitolo.Si rimanda alla prossima puntata.Tengo a precisare che l’iter su prospettato è relativo ad una pratica chenon ha trovato intoppi e/o interruzioni lungo il suo “percorso”; praticache si è conclusa con esito positivo; l’iter, nella sua interezza, ha impe-gnato circa 150 giorni!Un collega, tanto simpaticamente quanto pessimisticamente, mi ha con-solato, dicendomi: “E t’è gghiuta bbona!”.Si, mi “è andata bene”!Ma quanto inutile, ingiustificata e ingiustificabile perdita di tempo e didenaro è costata questa procedura che si è sviluppata attraverso nove“passaggi” e che poteva svilupparsi in due, tre “passaggi”!A cosa serve la Commissione edilizia integrata se non esaurisce nelsuo ambito le richieste di parere paesistico?A cosa serve il “passaggio” della pratica c/o il Dipartimento Ambiente?Spero che ci siano risposte complete e coerenti a queste domande.Risposte che, mi auguro, vengano fornite dall’attuale Assessore all’edi-lizia privata, attraverso la concreta e rapida revisione delle procedureillustrate; procedure che scoraggiano il cittadino intenzionato ad av-viare pratiche di così complesso sviluppo, ma, nel contempo, mortifi-cano tutti quei funzionari del Comune di Napoli che, incolpevolmente,mettono in atto tali procedure della cui bontà, ritengo, forse a torto, sianoessi stessi scarsamente convinti.Si accettano suggerimenti, proposte e, perché no; testimonianzein merito.

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corso originale nei luoghi delmito e del piacere estetico. Da Ti-berio a Jaqueline Onassis pas-sando per Greta Garbo, la tracciadelle vicende di cui l’isola è sta-ta protagonista si colora di infini-te possibilità esplorative dai risvoltiorganizzativi (repertorio di hotel,locali, stabilimenti, negozi, etc…)di ineccepibile validità così che itemi affrontati dalla ricerca pos-sono connettersi in tempo realealla vita vissuta dei piccoli gesti edelle sensazioni. Questa è la po-tenza del mezzo, certo; ma ilplusvalore di una guida è nellascelta dei contenuti e delle paro-le, nella loro capacità di trasmet-tere il clima culturale, oltrechépaesaggistico, di una geografia al-trimenti inafferrabile. La graficaraffinata, l’aggiornamento delle in-formazioni e l’alta qualità del-l’apparato iconografico – curatoda Stefano causa – trova in Ca-priisland un culmine sintetico nel-l’antologia delle architetture iso-lane commentate dalla D’Amato,vero punto di forza di una raccoltadi immagini/storie assai etero-genea ma mai sfilacciata che, cisi augura, dà inizio ad una nuo-va tradizione in materia.

Francesca Rinaldi

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Gabriella D’Amato, Capriisland, Imago Edizioni, 2011

Impensabile oggi conoscere, agi-re, programmare e, per esten-sione, viaggiare, senza l’iPad. Sempre attentissima alle corren-ti sulle quali la Storia si manifesta,Gabriella D’Amato ci regala (è ilcaso di dirlo) Capriisland, guidainterattiva e multi-articolata del-l’isola più celebrata del mondo,scaricabile su iPad a soli € 2.99. Nata da un’idea di Sergio Proz-zillo tradotta in progetto operati-vo con l’ausilio di Flavia Soprani,si tratta di un prodotto di utilità im-mediata integrato all’eccezionalequalità dei testi, delle immagini edei supporti bibliografici. Stru-mento ideale di visita ovviamen-te disponibile in due lingue, Ca-priisland rende la consultazioneturistica, ma anche amatoriale, ra-pida ed efficace grazie ad unastruttura scandita in sezioni (artee iconografia, storia, itinerari, luo-ghi di mare, architettura e ville,persone) che accende la crea-zione personalizzata di un per-

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C. de Seta, Ritratti di Città. Dal Rinascimen-to al secolo XVIII, Einaudi, Torino 2011

L’ultima fatica di Cesare de Setaè il volume edito da Einaudi(2011) Ritratti di Città. Dal Rina-scimento al secolo XVIII nella pre-stigiosa collana dei Saggi checonta più di 900 volumi. Non sose è giusto utilizzare il termine ‘fa-tica’ non per l’indubbio valoredel lavoro ma poiché dell’argo-mento l’autore può essere con-siderato uno dei più attenti co-noscitori. De Seta è professore diStoria dell’Architettura dell’Uni-versità di Napoli “Federico II”,ha insegnato o insegna anchepresso l’École des Hautes Étudesen Sciences Sociales a Parigi, ilCourtauld Institut of Art di Londra,il Politecnico di Zurigo, la Co-lumbia University di New York el’Istituto di Scienze Umane, Fi-renze e Napoli; è stato tra i primia riconoscere il ruolo fondamen-

tale dell’iconografia per lo studiodella città e del paesaggio comeè dimostrato da due esempi si-gnificativi: uno agli albori della car-riera accademica, la Cartografiadi Napoli (1969) e l’altro, a coro-namento di questa, l’istituzionedel Centro Interdipartimentale diRicerca sull’Iconografia della Cit-tà Europea (1998). Quindi è comese Ritratti di città fosse la naturaleevoluzione di uno dei suoi tanti in-teressi, tra accademici e non,frutto di ciò che gli è molto caro,e per dirla alla Calvino nato con‘leggerezza’, senza ‘pesantez-za’, assegnando un significatoesclusivamente positivo al pri-mo termine.Nonostante quanto su detto anchequesto lavoro è stato occasioneper arricchire argomenti di cuiaveva scritto o che aveva seguitoattraverso i lavori dei suoi allievi.Infatti, nonostante la difficoltà diriassumere un così vasto terrenodi conoscenza, un primo meritova alla scelta degli argomenti, si-curamente i più significativi, del-la ricca disciplina. Nel volume tro-vano la giusta collocazione tutti imomenti fondamentali: dalle pri-me rappresentazioni simbolichesenza veridicità topografica allevere rappresentazioni urbane; ilruolo nodale della stampa; l’ico-nografia in rapporto al testo com-memorativo sincronico sulla città;dalla nascita dell’editoria, e quin-di dalle prime rappresentazione astampa, alla grande fortuna criti-ca dei volumi di città ed infine dal-

l’apoteosi della rappresentazioneprospettica alla pianta. Pratica-mente lo studio si conclude con ilsecolo dei Lumi introducendo latrasformazione della rappresen-tazione urbana che da ‘ritrattisti-ca’ diventa scientifica ed esem-plificando il passaggio verso la so-cietà borghese attraverso le piùmonumentali piante di città tra cuicito Parigi (Plan de Turgot), Roma(di Giovanni Battista Nolli) e Na-poli (del duca di Noja).Infatti uno storico a trecentoses-santa gradi come de Seta non po-teva fare a meno di mettere in pri-mo piano il rapporto tra l’evolu-zione della società moderna ed ildocumento iconografico: la città oil territorio diventano il simbolo del-la società ed al mutare di questala continuano a rappresentare.Quello del rapporto è il vero temadi questo ultimo studio di deSeta: rapporto tra testimonianzeiconografiche perdute e descri-zioni coeve; rapporto tra il disegnodi città e gli apparati decorativi, lelegende, i testi narrativi; rappor-to tra la rappresentazione piùrealistica e quella più enfatiz-zante, in relazione ai paesi di for-mazione degli artisti; rapporto trai maestri e gli allievi, tra editori, in-cisori, topografi, disegnatori-arti-sti; rapporto tra la rappresenta-zione e la realtà rappresentata,cioè la capacità di riconoscere gliartifici utilizzati a scopi propa-gandistici; rapporto tra rappre-sentazioni di topografi e rappre-sentazioni di pittori-vedutisti.

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Ana Gloria Salvia Fili

Henri Cartier Bresson dicevache è un illusione che le foto sifacciano con la macchina, per-ché si fanno con gli occhi, con ilcuore, con la testa. Segue que-sta modalità, il progetto fotogra-fico, “Filin”realizzato a Cuba trail 2010 e il 2012 insieme al video“Morivivì” dalla fotografa, AnaGloria Salvia, esposto all’InstitutoCervantes, diretto da Maria Isa-bel Serrano Sanchez, e realiz-zato in collaborazione con lagalleria D. A. F. NA. di Danilo Am-brosino e Anna Fresa (via Na-zario Sauro 23, fino al 26 aprile,da lunedì a venerdì 10-21, sa-bato 10-14). L’artista cubana,nata nel 1973 ad Holguìn, è sta-ta direttore di un gruppo teatra-le nella sua città natale. Ha la-sciato Cuba nel 1994 per viverein Austria. Dopo aver visitato

Parigi nel 1998 , affascinata dal-la città, ha scattato le sue primefoto con una Pentax MX, deci-dendo di trasferirsi nella capita-le francese dove attualmentevive e lavora. Nel 2008 ha con-cluso i suoi studi con un Masterdi Lingua Romana, Letteratura eCiviltà alla Sorbona, per poi de-dicarsi completamente alla foto-grafia. Sceglie il medium foto-grafico la Ana Gloria, che leconsente di tessere il suo mo-saico d’immagini, attraverso lequali smonta il mondo, e rico-struisce una realtà autonomache restituisce all’osservatoreun’ ampia selezione di fram-menti del vissuto dell’anima di unpopolo, in questo caso, quellocubano.Filin, dall’inglese feeling, titoloscelto per questo progetto espo-sitivo, è il meno conosciuto, mail più profondo dei generi della

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Accanto a ciò de Seta non indu-gia ad assumersi l’onere di cer-care di risolvere questioni anco-ra insolute come coraggiose at-tribuzioni (il caso della veduta diLisbona della Biblioteca Univer-sitaria di Leiden) o di inserire ac-canto ad illustri e noti documen-ti iconografici meno note, manon per questo meno interessanti,rappresentazioni come quelle deiluoghi ‘periferici’, valga per tuttiancora un esempio: la veduta diTrapani.Inoltre l’autore non abbandonama persegue ancora le sue lineedi ricerca: analizza l’impostazio-ne dell’immagine urbana alla ri-cerca del paradigma di riferi-mento, utilizzando l’analisi dellacostruzione della veduta. Ciò gliè possibile grazie anche ad unaaccurata conoscenza ‘tecnica’ dicui è stato un precursore: infattiegli schematizza le tipologie dirappresentazione fornendo unutile strumento di catalogazionedelle vedute urbane.Ancora l’autore non indugia a ci-tare competenti colleghi con iquali può essere in accordo omeno ed anche più giovani allie-vi, cui spesso ha suggerito lineedi ricerca. Con alcuni dei quali hacontinuato, in un rapporto osmo-tico, la ricerca, arricchendo con vi-gore i suoi studi, come egli stes-so non esita a dichiarare, dando,così, un nobile significato allasua lunga carriera piena di suc-cessi di docente universitario.

Francesca Capano

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musica popolare cubana, un fe-lice connubio di sensibilità esentimento, uniti dal tema piùuniversale dell’amore. “Rive-dendo queste foto medito e cer-co di definire, di capire Cuba at-traverso i miei strumenti confusidi sradicata”. Una dichiarazioned’amore per la sua terra d’origi-ne, analizzata, mediante foto-grafie in bianco e nero, immagi-ni intense e liriche che ben de-scrivono, con immediatezza discatto, e capacità immaginifica,il soffio vitale, l’essenza del luo-go e il fascino di Cuba. Un gran-de rigore compositivo, ed equili-brio degli elementi, uniti allaspontaneità dello scatto, con-traddistinguono queste immagi-ni, che trasformano in un sug-gestivo spettacolo visivo, di gran-de impatto emotivo, le cose chetutti conoscono, ma alle quali nonbadano. Come i ragazzi che fan-no il bagno, piccoli fauni, con-

temporanei, catturati dall’obietti-vo curioso e divertito della foto-grafa, nel mezzo di azioni, ordi-narie ed al tempo stesso straor-dinarie; come lasciarsi cadere daun albero, dopo un arrampicatascimmiesca, o fare il bagno ingruppo, tuffandosi tra le onde du-rante un temporale come avvie-ne nello scatto dal titolo “diluvio”.Se capita sovente di non riusci-re a vedere ciò che sta davanti ainostri occhi, le immagini di AnaGloria Salvia sono lì appostaper prenderci per mano e con-durci, all’interno dell’universo delquotidiano, per farci vedere me-glio e “sentire”, con gli occhi, ilcuore, la testa e l’anima; ci fan-no ad andare al di là dei visi, deicorpi, dei gesti, scoprendo ilmondo invisibile ed impalpabile,quello legato all’emozione di unmomento fuggente fissato persempre, dall’obiettivo.

Maria Savarese

Le fotografie di Vittorio Pandolfi

Tra il 2 e il 18 marzo nella Sala Do-rica del Palazzo Reale di Napoli haavuto luogo la mostra Paesaggioe ambiente delle Ville vesuviane.Foto d’archivio (1956-59) di Vitto-rio Pandolfi a cura di Paolo MascilliMigliorini e Leonardo Di Mauro; fo-tografie inedite di notevole inte-resse sia per la qualità sia perchérelative ad alcune ville vesuvianeoggi distrutte o trasformate. Pandolfi, nato a Napoli nel 1931,conosce giovanissimo il fascinodelle architetture e dell’ambentevesuviano durante i soggiorni esti-vi, prima nella Villa Palomba a Tor-re del Greco e poi nella Villa Li-gnola a San Giorgio a Cremano.Dopo aver frequentato l’Istitutod’Arte e il Liceo artistico si iscrivealla Facoltà di Architettura di Napolidove è determinante l’incontrocon Roberto Pane; è in queglianni che esplora l’ambiente vesu-viano e il suo patrimonio architet-

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tonico armato di una macchina fo-tografica biottica (Rolleiflex).Nella sua carriera ha svolto l’at-tività di grafico pubblicitario e di in-segnante di Progettazione grafi-ca presso l’Istituto d’Arte di Napolifino al 1990. Negli anni più recentiha riordinato a San Giorgio a Cre-mano il suo archivio fotografico ri-portando le foto in formato digi-tale. A distanza di più di cinquan-t’anni le fotografie di Vittorio Pan-dolfi sono una preziosa testimo-nianza dell’aspetto del paesaggiovesuviano, ormai perduto, e delleville che ci mostrano strutture edelementi decorativi spesso scom-parsi. Fotografie di qualità indub-bia, ma anche fonti iconograficheimportanti per la storia dell’archi-tettura e del paesaggio. Nella mostra che dovrebbe es-sere ospitata nei mesi prossimi inuna villa di Ercolano i visitatorihanno avuto modo di osservareanche aspetti dell’ambiente ve-suviano; molte immagini infatti in-quadrano edifici e ambienti urbani“abitati” e ci restituiscono ancheun ritratto di una vita socialescomparsa come l’ambiente in cuisi svolgeva. Un paesaggio in cuile ville settecentesche dialoganoancora tra loro a distanza e conil Vesuvio; un paesaggio che in al-cuni casi non appare dissimile daquello che ritroviamo nella gran-de pittura di veduta. Si vede che sull’innata sensibili-tà di Vittorio Pandolfi, allora stu-dente venticinquenne, l’insegna-mento di Roberto Pane aveva

svolto i suoi effetti; molte di que-ste immagini avrebbero potuto es-sere inserite nel fondamentale vo-lume del 1959 sulle Ville vesu-viane del Settecento. La mostra è stata articolata se-condo un itinerario che da Barraconduce alla perduta Villa Pa-lomba di Torre del Greco che ap-pare illustrata anche con la ri-produzione di una pagina di quelcelebre libro in cui sono il rilievodella facciata e la sezione asso-nometrica della scala, giusta-mente ricordate come di ecce-zionale valore. Ancora in ottimecondizioni la villa fu demolita nel1963, un delitto tra i primi della in-numerevole serie che ha stravoltol’ambiente del Miglio d’oro. Altrefoto preziose mostrano, graziealla loro altissima qualità, gliaspetti materiali di intonaci, stuc-chi ed elementi decorativi e pos-sono essere di guida anche perrestauri futuri.Tra gli edifici che invece appaio-no in rovina e oggi sono stati re-cuperati emerge La Villa Cam-polieto, raffigurata in numerose in-quadrature e indagate dagli ester-ni degradati fino agli interni ancoraarredati.Vittorio Pandolfi non ha fotogra-fato solo l’ambiente vesuviano,ma anche Napoli e altri ambien-ti campani ed è certo che dal suoarchivio potranno essere ancoraestratti documenti utili per la ri-cerca e lo studio di altri monu-menti e ambienti perduti.

Leonardo Di Mauro

Olimpia Niglio, Koji KuwakinoGiappone. Tutela e conserva-zione di antiche tradizioniEdizioni Plus - Pisa UniversityPress, Pisa 2010

L’”Enigma Giappone” con la sua in-cessante modernità continuamentecontrapposta a una idea di tradi-zione e di tutela delle vestigia delpassato difficilmente districabiledall’occhio cartesiano occidentaleè il centro di questo lavoro che rac-coglie gli atti del Simposio Inter-nazionale Italia-Giappone tenuto-si nel gennaio 2009 in coinciden-za del 125°anniversario della Kan-to Gakuin University di Yokohama.Il volume a cura di Olimpia Niglio(ricercatrice di Restauro dell’Uni-versità eCampus di Como) coa-diuvata da Koji Kuwakino (PhD inStoria delle arti visive all’Universi-tà di Pisa) si propone, utilizzandol’analogia con i MANDALA (termi-ne sanscrito indicante il cerchio, ilterritorio e per estensione il cosmo),

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come un vera e propria “mappaconcettuale”, una guida per orien-tarsi all’interno della complessa eprofonda cultura del Sol Levantecon un grande rispetto ed al tem-po stesso con una ansia conosci-tiva e seduttiva che ricorda la lucidalettura che Fosco Maraini (Id.,GIAPPONE. MANDALA, Milano2006) ha dato, con immagini e pa-role, di questo universo polimorfocarico di spunti, di differenze maanche di analogie con la nostra cul-tura anch’essa millenaria. Que-st’approccio, lontano dai soliti CLI-CHé esotizzanti attraverso i qua-li si sono date e si continuano adare delle letture superficiali diquella realtà così complessa estratificata, si articola su vari pianiche vanno dall’arte all’architettura(tradizionale e contemporanea), dalpaesaggio a quei “metodi e valo-ri” che sottendono l’antica praticadistruttiva e ricostruttiva volta allaconservazione del patrimonio ar-chitettonico e storico artistico nip-ponico sempre a partire da quel-l’indissolubile rapporto tra l’uomoe la natura, tra il sensibile e l’intel-ligibile, tra l’eterno ed il transitorioche contraddistingue quella parti-colare cultura. L’articolazione delvolume con vari saggi di autorevolistudiosi giapponesi nelle tre sezioniArte e Cultura, Paesaggio Cultu-rale, Architettura e Restauro ren-de possibile un approfondimentosistematico e olistico di grande in-teresse. Ma la chiave d’ingresso edi chiarificazione di questo “enig-ma” è fornita dal concetto di MA

mezzo’ tra oggetti e intervallo ditempo fra diversi fenomeni in cui ilvuoto è inteso come ‘spaziatura’pregna di significati, attorno allaquale si costruisce il senso del-l’opera - che, congiunto al NA, rea-lizza quell’astratto e concreto OKU(lo spazio più interno), indicante laposizione in un luogo nel dare sen-so al luogo, che a sua volta ri-manda all’idea di OKUyUKI (pro-fondità) che il nostro distratto e mio-pe Occidente sembra aver smar-rito.

Renato Capozzi

Renato CapozziLe architetture ad Aula: il para-digma Mies van der Rohe. Idea-zione, costruzione, procedurecompositiveClean, Napoli 2011

Dovremmo essere in grado di for-mulare con chiarezza da quale ar-chitettura nasce la nostra archi-tettura: il libro su Mies van derRohe e sui suoi edifici ad aula po-

che informa il saggio introduttivodella Niglio che, oltre a rappre-sentare la traccia metodologica allalettura del volume, riflette esau-rientemente su questa particolareconcezione dello spazio. Uno spa-zio inteso come intervallo espe-rienziale che contiene di per sé unriferimento all’interruzione, alla di-stanza tra le cose ed al tempo cheanticipa alcune teoresi sulla natu-ra prossemica dello spazio topo-logico. Il MA come spazio denso divalori e la sua connessione conl’esterno-natura mediata dall’EN -il margine/LIMES tra l’interno el’esterno che consente la con-templazione - permettono la com-prensione sia della particolare pra-tica della ricostruzione dei monu-menti che ‘riaccadono’ nelle stes-se identiche forme per accordareil transito della divinità e “ricono-scere l’eternità delle cose nella lorocapacità di mutare fino a svanire”ma anche della particolare strutturaurbana delle città: prive di centroma con chiare geometrie ortogo-nali spesso riferite a mappe astra-li e ai principi del FENG SHUI. Sipotrebbe, forzandone l’interpreta-zione, da un lato associare la ri-produzione perfetta dell’opera aquell’idea di “eterno ritorno del-l’eguale” che Nietzsche definiscecome “sistema finito, con un tem-po infinito, in cui ogni combinazionepuò ripetersi infinite volte” e, dal-l’altro, riferire le rivoluzioni nellospazio architettonico operate daMies, Wright e Taut, alla scopertadel MA - come ‘spazio e vuoto nel

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trebbe essere letto come la ri-sposta di Renato Capozzi a que-sta sollecitazione proposta a tut-ti gli architetti da Aldo Rossi: equesto per più di una ragione.Il libro pubblica gli esiti della ri-cerca di dottorato condotta dal-l’autore presso lo IUAV di Vene-zia e assume, come tema cen-trale di indagine, gli edifici ad aulaprogettati da Mies, nei quali vie-ne individuato il ‘tipo ideale’ del-l’edificio pubblico. Nel testo ilracconto parte dalle origini del tipoarchitettonico ad aula e ne ana-lizza gli sviluppi per approdare, in-fine, alla ‘lettura’ degli edifici diMies arricchita di un amplissimocorredo di disegni analitico-criti-ci che misurano, osservano,scompongono, confrontano gliedifici del maestro di Aquisgrana,ricordandoci l’efficacia e il valoredello strumento del ri-disegnoper impadronirsi della strutturadelle architetture e arricchire ilproprio patrimonio di forme di-sponibili per il progetto. In tal senso certamente, con que-sto libro, l’autore dichiara di averscelto il suo Maestro d’elezione,di aver assunto le sue architettu-re ad exempla ma, in maniera for-se meno ordinaria, soprattuttomanifesta la sua adesione ad unmetodo in architettura, basatosulla razionalità delle scelte esulla ricerca della intelligibilitàdelle forme, l’unico che può ga-rantire la trasmissibilità del corpusdel nostro mestiere. Non è certoun caso se la conclusione, del li-

bro e della ricerca, chiama incausa il concetto di ‘classico’come categoria a-temporale ingrado di affidare una traditio alfuturo, così come non è un casoche il saggio introduttivo porti lafirma di Antonio Monestiroli: nontanto come studioso, anch’egli,della architettura di Mies van derRohe ma piuttosto come coluiche per primo ha affermato conchiarezza che l’architettura nonha mai definito una teoria per lasua costruzione al di fuori del-l’esperienza classica.In buona sostanza si potrebbedunque affermare che tutto il li-bro di Renato Capozzi è nelsuo titolo. Alcune delle architetture ad auladi Mies, nel loro ordine cronolo-gico, sono ‘raccontate’ non comealtrettante ‘prove d’artista’ mapiuttosto come le tappe di una ri-cerca paziente dell’architetto sultipo architettonico dell’aula inrapporto agli edifici pubblici e alsignificato che questi devonoassumere perché l’architettura,come lo stesso Mies ci ricorda,sia un’arte oggettiva che nascedallo spirito del tempo e espres-sione visibile di un punto di vistache altri desiderano condividere. La ricerca di Mies su questo spe-cifico tipo architettonico diventacosì paradigma, cioè esemplareed exempla sono la Crown Hallall’IIT di Chicago, il Teatro Na-zionale di Mannheim, la Con-vention Hall di Chicago e, natu-ralmente, la Neue Nationalgale-

rie di Berlino: architetture co-noscibili in grado però di ‘par-lare’ tanto alla nostra ragione,che le comprende, quanto al no-stro sentire perché – a Berlinoin particolare – sono chiarezzacostruttiva portata alla (loro)espressione esatta, definizio-ne, questa, peraltro assai simi-le, sempre a proposito di ‘clas-sico’, al concetto greco delκαλός come bello oggettivo.Ideazione, costruzione, proce-dure compositive infine: cioèindicazione di un metodo delfare architettura che lavora sul-l’idea – sul tema – e la sviluppaattraverso precise regole – pro-cedure – che, al termine, met-tono in scena, attraverso la co-struzione e il carattere, ancorauna volta il tema, restituendoloalla collettività che lo ha richie-sto.Nella Presentazione ArmandoDal Fabbro ci ricorda che la mo-dernità del classico (…) ritornatrasfigurata nei progetti di Miese ancora ci dice che, nel libro,avendolo scelto come maestrocui riferirsi, sono dichiarate, nel-la costruzione e nella composi-zione, le scelte di campo del la-voro di Renato Capozzi.Chi, oltre ad aver letto il libro, co-nosce anche il lavoro proget-tuale dell’autore sa che la sua ri-cerca, in teoria e pratica, si ri-volge proprio alla attualità delclassico: una.

Federica Visconti

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Aldo Capasso, Segno e segni. Tra percezionee creatività. Schizzi di viaggi eprogetti di Aldo Capasso, Clean Edizioni, Napoli 201

Rappresentare l’immaginario, sfi-dare l’ignoto e crearsi una morale:quasi gli imperativi che già ispira-rono Calvino per la definizioneletteraria delle Città invisibili esono invece le tracce dell’ultimo la-voro di Aldo Capasso che, nell’in-crocio tra creazione libera e inter-pretazione dell’esistente, inventauno spazio del meraviglioso dovel’intuizione del mondo trova unasua (garbata, vivace, efficacissima)originale traduzione grafica. Nellaraccolta, oggi pubblicata da Clean,«i “pensieri colorati” di Aldo Ca-passo non sono altro che i segnidei suoi sogni ad occhi aperti» ingrado di «cogliere e approfondirei valori dello spazio costruito piùdella macchina fotografica»: c’è, inquesta mappatura dell’anima, unaforma di poesia diffusa che il trat-to così marcatamente contempo-raneo dell’evidenziatore scelto dal-

l’Autore – declinato in tutta la gam-ma dei colori freddi – riesce a sug-gerire in tre distinti capitoli: schiz-zi di viaggio e “slanci vitali”, grafi-ci di ricerca, elaborati di progetto.Il disegno a mano libera e glischizzi di viaggio (formula moltevolte riproposta sulla celebre sciadi Villard de Honnecourt e poi di LeCorbusier) trovano qui una dina-mica personalissima che si muo-ve lungo il “sentiero interiore del-la fantasia” piuttosto che sull’im-pronta di una rappresentazione de-scrittiva alternativa alla fotografia.La linea di Capasso è aerea, lu-minosa, godibile perché imme-diata eppure chiara, d’una limpi-dezza da fare invidia ai microsco-pi d’una scienza senza esprit. Ma l’analogia con Calvino si im-pone anche sul tema della legge-rezza che trova nelle architetturea membrana pre-tesa – progetta-te sino alla fase esecutiva dal-l’Autore - un paradigma eccellen-te dalle interessanti implicazionifunzionali, ambientali e tecnologi-che. Un campo d’indagine a cuiAldo Capasso, prima di trasferirela forma nel colore e nel gesto fe-lice della mano sulla carta, ha giàdedicato un forte impegno socia-le nella direzione delle problema-tiche urbane e ambientali (duediagrammi, per precisione della li-nea e acume delle deduzioni,sono in particolare degni di studio:uno riguarda il rapporto tra la “leg-gerezza e la qualità dell’abitare”,l’altro il legame tra architettura eleggerezza nella storia).

Da questo carnet si trae piacere (enon è banale, non è frequente) pri-ma ancora di assimilarne infor-mazione e conoscenza: erededell’alta lezione di metodo di Eduar-do Vittoria, il disegnatore-progetti-sta si fa qui demiurgo mai pre-suntuoso tra la realtà della mentee il volo del desiderio fantasiosoche tutto può. Lo schizzo è davveroimpressione di un’idea sulla pelli-cola pulita dello stupore, un’azio-ne sintetica che coglie l’essenza diun luogo, di uno squarcio del visi-bile rivelato in un istante. Chi nu-tre una immaginazione-bambinapreferisce «la “mano pensante” allatecnologia della rappresentazionevirtuale» così che il disegno pos-sa respirare di emozione: se “pen-sare per immagini è l’essenzastessa della ricerca architettonica”(come ci ricorda Gravagnuolo nel-la bella introduzione), questa col-lezione di fotogrammi costruisce unteorema anche per la composi-zione. Racconta la visione di unmondo, e qualsiasi visione delmondo è preludio alla sua trasfor-mazione. L’architetto vive di que-sto: immaginario che sedimentanella mente, frammenti che si ac-cumulano dall’esperienza, dai so-gni, dal tempo che fluisce. Nel re-pertorio di schizzi che abbiamo quisottomano colpisce, più ancora deicontenuti concettuali, la bella scrit-tura del segno, minuta, sintetica maesauriente, appassionata senza ri-sultare confusa o marginalmenteespressionista. Una calligrafia stra-ordinaria dell’immaginario, ap-

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punto; di quelle che ti fanno pen-sare: “come vorrei saper disegna-re così” e ti lasciano poi, alla finedelle pagine, con un’attesa delnon ancora detto. Come se la vir-tù del dettaglio accendesse unafame di esplorare l’universo-mon-do, esteso almeno quanto l’im-maginazione stessa.

Francesca Rinaldi

Gino Chierici, Tra teorie e prassi del restauro

La Collana RestauroConsolida-mento, diretta da Aldo Aveta, por-ta alle stampe un nuovo testo:“Gino Chierici, tra teorie e prassi delrestauro” di Raffaele Amore. Il vo-lume è stato presentato lo scorso31 gennaio da Stella Casiello,Stefano Gizzi e Giovanni Carbo-nara, nella Sala di Accoglienza diPalazzo Reale di Napoli. Il contri-buto, per la ricchezza del materialedocumentario e la circostanziata il-lustrazione delle opere del so-

printendente Gino Chierici, si pre-senta di sicuro interesse nel cam-po del restauro degli edifici mo-numentali in un periodo molto par-ticolare della storia italiana. Infat-ti, il tecnico toscano (1877-1961)sebbene sia stato un apprezzatosoprintendete, prima in Toscana,poi, a Napoli e Milano, è uno deipersonaggi più rappresentativi del-la cultura del restauro tra le dueguerre, non è stato oggetto di unaparticolare attenzione pubblicistica,se si escludono pochi e relativa-mente recenti scritti a lui dedicati.Dopo i saggi di tipo commemora-tivo degli anni ’60 del secolo scor-so ad opera di G. De Angelisd’Ossat, M. Salmi, A. Bellucci, pri-ma nel 1970, poi nel 1972 C. Ce-schi ripercorse le principali tappedella sua vita professionale e illu-strò i lavori e gli scritti più noti. Aglianni Ottanta risalgono, poi, i duecontributi su Chierici, pubblicatida S. Casiello e L. Galli, e suc-cessivamente esperti e studiosi nehanno messo in evidenza aspettiparticolari. Il saggio di Raffaele Amore, par-tendo dagli studi esistenti sul talepersonalità, ne approfondisce te-matiche, ne esplora l’opera in ma-niera comparata allo sviluppo del-la cultura della conservazione, ba-sandosi su di un’accurata indagi-ne dell’apparato archivistico, con-sentendo una decisa definizione diaspetti inesplorati o non ancoraben indagati della vivace e deter-minata personalità del soprinten-dente toscano, risulta di certo ap-

prezzabile. Infatti, l’Autore analiz-za, in particolare, con ulteriori ri-flessioni sul coevo contesto, le at-tività che Chierici ha svolto a Na-poli e in Campania (1924-1935),a Milano e in Lombardia (1935-1945), nonché nel periodo post-bellico e fino agli anni Sessanta.La scelta di affrontare tale ap-proccio critico con riferimento allasequenza temporale, piuttostoche a tematismi e specifiche pro-blematiche, risulta utile per definiree comprendere orientamenti e, intaluni casi, contraddizioni tipiche diun periodo – quello tra le due guer-re - di particolare interesse perl’evoluzione delle teorie del Re-stauro. Ne scaturisce così un re-soconto completo su Chierici, nelquale ai risultati delle ricerche di ar-chivio si legano confronti ed in-terpretazioni critiche di progetti, re-lazioni tecniche, computi metrici,resoconti dei lavori.L’impianto metodologico che sot-tende lo studio, la ricchezza del-le informazioni contenute nel sag-gio e le documentazioni grafichee fotografiche esistenti a suppor-to di relazioni e progetti consen-tono di delineare il particolarecontributo di Chierici alla storia edalla prassi del Restauro. La ca-pacità di cantiere, l’apertura al-l’ascolto del monumento nei suoiaspetti più reconditi, laddove lastruttura è materia da conosceree da governare fa emergere, inmaniera critica, la complessitàdella figura dello studioso toscano,attento e scrupoloso storico del-

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l’architettura e restauratore, pur nel-le contraddizioni che hanno ca-ratterizzato talune scelte di inter-vento. Egli, applicando semprenella prassi operativa il metodo fi-lologico, è stato consapevole del-le difficoltà dell’interpretazione fi-gurativa, portando alla ribalta temie riflessioni sul restauro che emer-geranno nel dibattito disciplinarenel secondo dopoguerra.Il saggio sottolinea, altresì, comeChierici abbia rappresentato con lasua attività, ma soprattutto conlasua perizia tecnica un sicuro pun-to di riferimento per oltre quaran-ta anni, contribuendo con la suaopera divulgativa e pratica allaformazione di moltissimi tecnicied operatori delle soprintendenzedel secondo dopoguerra. La suaposizione critica nei confronti del-le coeve teorie del restauro, poi, co-stituisce l’attualità del suo contri-buto, caratterizzato - più che dal ri-corso a indirizzi e classificazioni dimatrice giovannoniana - dalla ri-flessione sui principi del restauro,sulla formazione e sulle capacitàdel restauratore, nonché sulle fi-nalità stesse dell’intervento con-servativo.Insomma, il saggio su Gino Chie-rici si presenta come un ulteriore eprezioso tassello per la compren-sione delle radici storiche della con-servazione anche e soprattuttoper individuarne specifiche pro-spettive.

Bianca Gioia Marino

Dopo Giorgio Buchner. Studi e ri-cerche su Pithekoussai a cura di Costanza Gialanella ePier Giovanni Guzzo, Naus editoria, 2011

Il volume accoglie gli Atti della Gior-nata di Studi tenuta a Lacco Ame-no il 20 giugno 2009 per iniziativadella Soprintendenza Speciale peri Beni Archeologici di Napoli ePompei.L’evento nasce dalla necessità diricordare la figura e l’opera diGiorgio Buchner, l’archeologo ispi-rato ad un solido pragmatismoche, sulla scia della felice intuizio-ne di Beloch, ha restituito allaconcretezza storica e matericaPithecussai, l’antica colonia grecache duemilasettecento anni fa fu ilprincipale nodo di scambi tra le po-polazioni del Mediterraneo, di cuifornisce viva e minuziosa testi-monianza Pithecussai I, il monu-mentale volume redatto con DavidRidgway ed edito (1993) dall’Ac-cademia dei Lincei che raccogliecentinaia di corredi sepolcrali pi-

thecusani, provenienti dalle nu-merose tombe scavate nella ne-cropoli di S. Montano. Con l’occa-sione si è voluto anche celebrareil primo decennale del museo Ar-cheologico di Pithecusae, sito nel-la storica dimora di villa Arbusto, aLacco Ameno, oggi inspiegabil-mente chiuso alla pubblica frui-zione, il quale è strettamente legatoai sogni di Giorgio Buchner nonchéall’opera di scavo da questi porta-ta avanti in un faticoso e spessoisolato determinismo in quantonon solo espone le più significati-ve testimonianze della cultura gre-ca venute alla luce durante il tren-tennale lavoro di ricognizione sto-rico-archeologica nel territorio ischi-tano, come la “Coppa di Nestore”,esposta per la prima volta nella bel-lissima mostra veneziana “I Greciin Occidente” (1996), ma dalladeterminazione e dai risultati del-l’opera di Buchner è stato diretta-mente ispirato. Infatti il museo ar-cheologico di Lacco Ameno preseforma dalla sinergia tra l’azione po-litica del sindaco-letterato, Vin-cenzo Mennella, e i propositi delsoprintendente Fausto Zevi che,alle testimonianze archeologiche diPithecusa scavate da Buchnervolle dare giusto rilievo.A ricordare Giorgio Buchner sonoconvenuti a Lacco Ameno insignistudiosi di archeologia e di prei-storia, autorità scientifiche, colla-boratori, da Stefano De Caro a Co-stanza Gialanella, da Alfonso Melea Renato Peroni, da Bruno D’Ago-stino a Pier Giovanni Guzzo, da

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Renato Peroni a Alberto Cazzella,nonché studiosi di scienze della ter-ra. Si è trattato di una compaginemolto variegata sotto il profilo de-gli interessi culturali e delle speci-ficità di settore che ha consentitouna ricostruzione a tutto campodello studioso scomparso di cui èstato rivisitato il percorso di studi edi ricerca iniziato in età giovanilecon le prime scoperte dell’età delbronzo al Castiglione d’Ischia e poimaturato nella scoperta archeolo-gica di Pithekoussai, sostenutadallo spirito indagatore del padrePaul, illustre naturalista innamoratodi Ischia. Difatti l’isola fu per Gior-gio non solo terra d’elezione maanche sede della sua formazione,banco di prova per un’archeologiastrettamente legata alle scienze delterritorio, in particolare alla geolo-gia, come testimoniano la fre-quentazione e la collaborazionecon il vulcanologo Alfred Rittmannche portò alla pubblicazione (1948)del volume Origine e passato del-l’isola d’Ischia. Se ognuno dei contributi fornitidagli studiosi è valso ad arricchireil quadro delle esperienze e dellapersonalià del nostro archeologo,una notazione particolare rivestel’intervento di Costanza Gialanel-la, responsabile per la Soprinten-denza Speciale per i Beni Ar-cheologici di Napoli e Pompei del-la tutela archeologica dell’isolad’Ischia la quale, avendo iniziatonel 1977, proprio con Giorgio Bu-chner, la sua esperienza profes-sionale nello scavo della necropoli

di San Montano, a Lacco Ameno,ed essendogli rimasta sempre vi-cina, fino a succedergli nella re-sponsabilità istituzionale, ha volu-to sottolineare il ruolo di “figliolan-za” ricordando aspetti inediti di unrapporto umano e professionale dacui emerge il metodo di lavoro pio-neristico di Giorgio Buchner, di cuila Gialanella sottolinea non solo ilrigore e la cura profusi nella com-pilazione dei taccuini di scavo,improntati a rigorosi criteri strati-grafici che nulla avevano da invi-diare a quelli odierni, perchè sup-portati dalla “straordinaria cono-scenza filologica, geologica, stori-ca ed archeologica che egli pos-sedeva”, ma anche il “forte afflatoumano” che il maestro sapevacomunicare ai suoi collaboratori diogni ordine e grado.

Ilia Delizia

Maria Grazia Gargiulo (a cura di)La ceramica del Novecento a Napoli. Architetura e decorazione.Edizioni Fioranna, Napoli, 2011

Nel marzo 2011 si è tenuto pres-so il Palazzo Reale di Napoli, il Iconvegno “La Ceramica del No-vecento a Napoli”, organizzato daMaria Grazia Gargiulo. È stato unun’importante momento di studioe di riflessione volto all’appro-fondimento ed alla valorizzazio-ne di un vivace aspetto della pro-duzione manifatturiera napole-tana che ha costituito uno dei ca-pitoli più significativi dell’attività ar-tistica del territorio. È una produzione variegata chespazia dal campo della ceramicae della maiolica a quello fittile, aquello scultoreo. Molteplici sonostate le ricerche condotte su taleargomento, ma la quantità dielementi raccolti non aveva an-cora trovato una sua sistematiz-

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zazione e tale assenza aveva por-tato ad una forte parcellizzazionedei dati favorendo un approccio avolte disarticolato. Il lavoro degli autorevoli studiosiconvenuti al Convegno ed il con-fronto delle loro idee ha permes-so di riordinare ed aggiornare leconoscenze fin qui raggiunte,collocandole in un più ampio qua-dro di riferimento che ha portatoall’individuazione dei nessi cul-turali esistenti tra le varie formeespressive artistiche e ad unaprecisa storicizzazione.Gli atti del Convegno, che sonostati raccolti con rigore di metodoin un pregevole volume curato daMaria Grazia Gargiulo, consen-tono di fare un bilancio critico suaspetti diversi della materia, lacronologia, le facies culturali, lebasi economiche che hanno de-terminato lo sviluppo delle tantescuole e botteghe operanti a Na-poli e nella regione.Gli studi smantellano l’idea erra-ta che a Napoli, nel corso del No-vecento, siano mancate forzepropulsive capaci di riformare iltessuto produttivo locale ed evi-denziano,invece, una ricerca pro-gressiva portata avanti da per-sonalità che con la loro sensibili-tà a e la loro libertà creativa fu-rono protagonisti di una felice sta-gione artistica. Emblematica aquesto proposito, come ampia-mente sottolineato dalla Gargiu-lo, la vicenda artistica dello scul-tore Antonio De Val che fu nonsolo un valente bronzista ma si

dedicò anche alla produzione ce-ramica collaborando con la” Ce-ramica di Posillipo”, fabbrica fon-data da Giuseppina De Feo Bel-let e attiva a Napoli dal 1937 al1947, e fu proprio in questo con-testo che egli realizzò alcunedelle sue opere più vivaci e si-gnificative a testimonianza diun’originale vena creativa apertaalle istanze dell’arte d’Oltralpe masupportata da un’ impronta deci-samente partenopea.Le ricerche rappresentano, quin-di, una prima ed incisiva rifles-sione da cui emerge chiaramen-te che l’ attività ceramica è statail frutto di una vicenda di lenta in-cubazione, di voglia di fare, disperimentare, di rinnovare, direndersi autonomi, una volontà te-nace capace di elaborare progettidove la decorazione non era deltutto subordinata all’architettura,ma in molti casi ad essa comple-mentare, e dove spesso era pro-prio la ceramica a fare da collanteper la concretizzazione dell’ideadi creare, in una sintesi di tutte learti, un’opera d’arte totale. La novità che il testo propone è ilportarci dentro la realtà autenticadi quel lavoro, di farci conoscereil pensiero e le azioni degli arte-fici di quei cambiamenti, di quel-le innovazioni. Nel testo, così come è emerso dalConvegno, viene, inoltre, evi-denziata la necessità di catalo-gare e conservare e nello stessotempo acquisire, prima che pos-sano andare perdute a seguito di

improvvide demolizioni, le testi-monianze legate alla produzioneceramica presenti sia nell’archi-tettura d’epoca sia nei più recentiarredi di locali pubblici o privati ele collezioni di industrie e artigia-ni che non hanno il tempo o imezzi per conservare gli esempidella propria attività, opere, però,di particolare rilevanza artistica.È un volume pregnante per laquantità di dati raccolti, per la ric-chezza della documentazionegrafica, per l’accurata bibliografiae costituisce un valido strumentodi consultazione per tutti gli stu-diosi che si occupano dell’argo-mento e per coloro che deside-rano approfondire alcune delle te-matiche e soprattutto rende me-rito al ruolo svolto dalla nostra cit-tà nella diffusione e nello svilup-po delle Arti Decorative.campio-nature tesaurizzate dal Museo, sìda offrire uno spaccato il più pos-sibile esaustivo dei decori in unaordinata trama tivo consisteva, e consiste, nelsistematizzare tutte le campio-nature tesaurizzate

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Ha compiuto 105 anni ma lo spirito è quello di un ventenne! E difendecon orgoglio il suo primato di architetto più longevo, conteso solo daOscar Niemeyer, nato nello stesso anno ma sei mesi dopo e da lui de-finito “nu piccirillo”. È Vittorio Di Pace, classe 1907: tecnico, scrittore esaggista, dopo una parentesi come Ufficiale di Cavalleria del IV Reggi-mento Lancieri Aosta durante la Seconda Guerra Mondiale, ha eserci-tato la professione praticamente per circa un secolo operando tra Na-poli ed il Sud America. Nel 2009, nell’ambito del convegno “Sulla crisidella città: cause e rimedi” tenutosi a New York presso la sede dell’ONUe curato dal Presidente della Fondazione Aldo della Rocca Corrado Be-guinot, egli ha presentato un progetto riguardante la proposta, unicanel suo genere, di un’area metropolitana interetnica e cablata. Il suo ul-timo progetto risale a pochi mesi fa, su richiesta della Fondazione Me-diterraneo e del Suo Presidente Michele Capasso: si tratta dell’Info-point del Comune di Napoli che sarà realizzato a Via Depretis. Su Wi-kipedia è possibile trovare la sua biografia aggiornata al 2012: pratica-mente una consacrazione mediatica.Lo scorso 13 giugno abbiamo festeggiato il compleanno del nostro De-cano assieme al Sindaco De Magistris che ci ha accolto a Palazzo SanGiacomo: anche in quella occasione Vittorio Di Pace ha trovato la ma-niera per rendere speciale un incontro istituzionale. Tra lo stupore de-gli astanti, Vittorio ha declamato una poesia in napoletano da lui com-posta per l’occasione e dedicata proprio al Primo Cittadino che ha moltoapprezzato: chi amministra questa città, così complessa avrebbe dav-vero bisogno della ‘cammesella’, invisibile indumento che preserva dallacattiva sorte e dalle difficoltà che tale ruolo necessariamente comporta. La stupefacente lucidità del Decano non è passata inosservata nean-che al Sindaco che, tra il serio ed il faceto, gli ha proposto di fare l’as-sessore in giunta: è superfluo sottolineare che Di Pace ha declinato l’in-vito a causa dei numerosi impegni lavorativi. Luigi De Magistris ha poidonato una targa ed il gagliardetto del Comune, dono ricambiato dalfesteggiato con un volume curato da Corrado Beguinot in cui è ripor-tato anche il suo progetto sulla città multietnica. La prof. Marisa Tortorelli, ordinaria alla Federico II, ha poi letto un’epi-grafe in latino composta da Antonio Nazzaro, professore emerito pressola stessa università, mentre l’arch. Capasso, reduce da un viaggio inSiria, gli ha donato il copricapo della Pace, che il Decano ha subito in-dossato. Dopo la consegna della pergamena a nome dell’aniai Cam-pania, è seguito il brindisi con le foto di rito.Tra i presenti alla cerimonia la figlia Edith, Alessandro Castagnaro,Italo Ghidini, Elena Carbone, Giovanni De Franciscis, Francesco Fe-lice Buonfantino, Andrea Esposito, Ugo Santomauro, Rosanna Gliu-bizzi, Gianmario Fragiacomo, il presidente della II Municipalità Fran-cesco Chirico, Eleonora Giovene di Girasole, Sara Gina Salino, Ales-sandra Zottoli ed alcuni amici venuti dal Brasile per festeggiare que-sto compleanno dal sapore così speciale tantissimi giornalisti tra unoper tutti Pasquale Esposito.

Maria Leone

VITTORIO DI PACE,ARCHITETTO

DA UN SECOLO

Vittorio Di Pace con il Sindaco De Magistris

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