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Questo documento è stato tratto dal sito: http://www.quaestiones.com/ STORIA MODERNA CAPITOLO 1. VERSO L’ACCENTRAMENTO NAZIONALE: L’EUROPA ALLA FINE DEL QUATTROCENTO L’Europa di oggi non ha nulla a che fare con l’Europa delle origini dell’età moderna, dal punto di vista etnico e religioso. C’erano popolazioni non europee. Tre erano i ceppi religiosi: 1. Cristiano 2. Ebraico soprattutto in Europa orientale e nella penisola iberica 3. Islamico nel regno di Granada e nei Balcani I confini politici erano di una mobilità estrema basti pensare che nella penisola iberica c’erano cinque distinti regni: di Portogallo; Aragona; Castiglia; Navarra e quello <<moro>> di Granada. Nell’Europa danubiana i confini mutavano con le avanzate dei turchi. Le dinamiche internazionali portavano al formarsi di stati più vasti dei territori iniziali, ma anche l’assetto interno aveva un’evoluzione verso nuove dinamiche economiche e sociali che si scontravano con il vecchio assetto feudale. 1.L’europa orientale La Russia non era ancora un’entità statale ma un agglomerato di feudi principeschi ed era diffuso il cristianesimo ortodosso. Il principato di Mosca acquisì una supremazia su tutti gli altri principati, venne chiamato Gran Principato e aveva la capacità di riscuotere tributi tra gli altri feudi cristiani, traendo benefici economici. Era destinato ad essere il centro politicamente unificante della Russia soprattutto sotto Ivan III che usò diplomazia e forza per estendersi verso occidente, verso la Lituania. a protezione di essa si mise il principe Tyer che non volle cedere il suo feudo. (al principato di Mosca. Ancora guerra di carattere feudale quindi)

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Questo documento è stato tratto dal sito: http://www.quaestiones.com/

STORIA MODERNA

CAPITOLO 1. VERSO L’ACCENTRAMENTO NAZIONALE: L’EUROPA ALLA FINE DEL QUATTROCENTO

L’Europa di oggi non ha nulla a che fare con l’Europa delle origini dell’età moderna, dal punto di vista etnico e religioso. C’erano popolazioni non europee. Tre erano i ceppi religiosi:

1. Cristiano2. Ebraico soprattutto in Europa orientale e nella penisola iberica3. Islamico nel regno di Granada e nei Balcani

I confini politici erano di una mobilità estrema basti pensare che nella penisola iberica c’erano cinque distinti regni: di Portogallo; Aragona; Castiglia; Navarra e quello <<moro>> di Granada. Nell’Europa danubiana i confini mutavano con le avanzate dei turchi.

Le dinamiche internazionali portavano al formarsi di stati più vasti dei territori iniziali, ma anche l’assetto interno aveva un’evoluzione verso nuove dinamiche economiche e sociali che si scontravano con il vecchio assetto feudale.

1.L’europa orientale

La Russia non era ancora un’entità statale ma un agglomerato di feudi principeschi ed era diffuso il cristianesimo ortodosso. Il principato di Mosca acquisì una supremazia su tutti gli altri principati, venne chiamato Gran Principato e aveva la capacità di riscuotere tributi tra gli altri feudi cristiani, traendo benefici economici.

Era destinato ad essere il centro politicamente unificante della Russia soprattutto sotto Ivan III che usò diplomazia e forza per estendersi verso occidente, verso la Lituania.

a protezione di essa si mise il principe Tyer che non volle cedere il suo feudo. (al principato di Mosca. Ancora guerra di carattere feudale quindi)

Ivan III concluse il matrimonio di sua figlia Elena con il duca Alessandro di Lituania manonostante ciò i confini ritornarono al fiume Soj

Con la caduta di Costantinopoli in mano turca nel maggio del 1453 Ivan III volle sposare Sofia Paleologo, nipote dell’ultimo imperatore romano d’oriente diventando le nuove legittimo imperatore e fece diventare mosca la Terza Roma (dopo Roma capitale dell’impero d’occidente e la Costantinopoli capitale dell’impero romano d’Oriente).

A ovest del Dnieper fino all’Oder un enorme territorio pianeggiante, limitato a sud dai Carpazi e a nord dal Baltico, aveva visto le immigrazioni tedesche. La

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dinastia boema in Polonia dovette ricorrere a degli accordi con la nobiltà polacca : PACTA CONVENTA

Accordi preventivamente stipulati e giurati dal sovrano con l’aristocrazia localeche sarebbe sopravvissuta all’accentramento monarchico.

Breve periodosviluppo del paeseLungo periodo debolezza politica dello stato polacco limitando l’autorità regia.

La fusione con i lituani avvenne grazie alla loro conversione al cattolicesimo ( dei lituani). Nel 1386 la Lituania si univa al regno polacco e nel 1499 venne proclamata l’unione indissolubile lituano-polacca. Quel vasto territorio era tutto soggetto alle pressioni a est con il principato di Mosca e a ovest dai teutoni

L’ordine teutonico è nato come ordine monastico militare impegnato contro i turchi nelle crociate ed era stato trasferito nel 1226 dall’imperatore Federico II nella regionetra il Baltico e il Vistola con il compito di colonizzarla e cristianizzarla.

La Prussia e i popoli rivieraschi del Baltico orientale furono cosi segnati dalla civiltà teutonica e dal cristianesimo. Con la battaglia di Tannenberg del 1410 ( contro le forze polacco-lituane) l’ordine subi una sconfitta. Successivamente però con la pace di Thorn del 1466 tutta la Prussia orientale con Danzica divenne polacca e il re Casimiro III consentì che l’Ordine continuasse a mantenerne l’amministrazione solo per fare un investimento feudale.

Al confine meridionale dello stato polacco-lituano c’erano boemi e ungheresi. Praga stava diventando la città più affascinante e dotata dal 1348 di una delle prime università d’Europa. Il confine sud-orientale ungherese( Boemia di Sigismondo) divenne uno dei confini più critico dell’intera Europa. L’Ungheria doveva diventare il regno forte, l’antimurale della civiltà cristiana contro l’avanzata musulmana. Quando salì al trono Federico III la nobiltà ungherese disconoscendo la successione offrì la corona al re di Polonia Ladislao III al comando di truppe ungheresi e polacche morì combattendo contro i turchi. Non per questo il regno d’Ungheria ripasso sotto l’impero asburgico, anzi fu chiamato a succedere Giovanni Hunyadi a cui succedette Mattia Corvino che acquisì il regno di Boemia e giunse persino a conquistare Vienna (1485).

La sua politica indica la fine della solidarietà internazionale cristiana.

Morto senza eredi Mattia Corvino, risalirono al trono gli Asburgo con la politica matrimoniale( il figlio di Ladislao, Luigi II si sposa con la nipote di Massimiliano, Maria d’Austria)La difesa contro i turchi legittimò il ritorno degli Asburgo in Boemia e parzialmente in Ungheria.

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I turchi rappresentavano l’immaginario negativo per eccellenza nella psicologia collettiva europea e cristiana. Portarono in Europa il fanatismo religioso islamico cui erano stati convertiti dal X secolo a contatto con il califfato di Bagdad. L’islamismo musulmano portava a combattere contro i cristiani per l’affermazione e la diffusione di questa fede. Nel sistema turco il feudo (timar)era una concessione vitalizia e non ereditaria in cambio della quale i titolari (sipahis) erano tenuti a prestazioni militari agli ordini del superiore della provincia. Il sistema economico ottomano era basato sull’appalto di dazi e produzioni concesso soprattutto per 3 anni. L’impero ottomano dalla metà del XIV secolo si era progressivamente espanso fino a raggiungere alla fine del secolo le coste del medio e basso Adriatico da dove iniziarono scontri con i veneziani fino a quando nel l1480 la flotta ottomana assediò Otranto.

2.L’Europa centro-occidentale

(nord-ovest). La vastissima estensione territoriale dell’Impero, dalle spalle della fascia costiera adriatica, a confine balcanico con i turchi, a nord fino al baltico ed a occidente fino alla svizzera, rendeva impossibile l’esercizio della sovranità politico istituzionale imperiale. (SVIZZERA)Di questa possibilità di sfuggire al controllo accentrato imperiale già ne godevano le comunità della Svizzera primi passi di autonomia fino al patto di confederazione perpetua sottoscritto a Ginevra 1291. Vi si aggregarono valli e cantoni diversi tra loro ma accumunati da una politica antimperiale.La confederazione nella prima metà del 1300 era unita non solo da un solo un patto ma da diversi patti ( l’unità si aveva solo riguardo alla minaccia estera imperiale). Con il trattato di Basilea 1499 la confederazione si staccava del tutto dalla struttura politica dell’impero.(GERMANIA)Il particolarismo locale tedesco non diede vita a nessuna aggregazione statale-nazionale. L’imperatore Carlo V legò all’istituzione imperiale, con la Bolla d’oro del 1356 7 grandi elettori feudatari a cui era concessa l’elezione imperiale:

1. Tre arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza;2. Re di Boemia;3. Duca di Sassonia;4. Conte del Palatinato;5. Marchese di Brandeburgo.

La dignità elettorale era insita nel territorio feudale. Al titolare del feudo era lasciata piena sovranità. Alla carenza i unità politica e alla frammentazione giuridica – politica si aggiungeva la forza economica delle città libere. L’origine delle città libere era mercantile a capitale mobile e la libertà si risolveva spesso in un rapporto di dipendenza diretta dal sovrano. Questo rapporto di dipendenza si esaurì al crescere della potenza economica delle città. Si crea un unione delle città Lega anseatica che né l corso dei secoli arriva a contare un centinaio di città ( gli aderenti vivevano secondo propri diritti consuetudinari marittimi). La lega andò progressivamente decadendo a seguito della concorrenza marittima delle città inglesi ed olandesi.

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Dopo la crisi economica del XIV secolo si andò a irrigidire il conservatorismo tipico del grande latifondo tedesco orientale si rovinò la piccola nobiltà che a volte era al servizio delle città libere. Ebbe inizio una rivolta che attraversò tutto il XV secolo sfociando della rivolta dei contadini e nell’odio verso ebrei e principi borghesi.(CONFINI SETTENTRIONALI E OCCIDENTALI)Qui c’erano due nuovi agglomerati statali : Scandinavia e Borgogna. Tre regni, Danimarca, Norvegia e Svezia si unirono nel 1397. Nel 1369 nasce la costituzione statale borgognana che comprendeva:

Ducato di Borgogna; Contee di Piccardia, Fiandra e Artois; Franca contea; Brabante; Ducati di Limburgo e Lussemburgo; Olanda e Zelanda.

L’Inghilterra divenne partner dell’industria tessile fiamminga originata dalla complementarietà delle rispettive economie e dal comune avversario francese. (FRANCIA)

Lo scontro secolare con l’Inghilterra aveva fatto nascere un sentimento politico nuovo: il sentimento nazionale . Giovanna d’Arco con la sua azione politico-militare anti inglese ne è il simbolo classico. Dinamiche politiche che vanno dall’assemblea degli Stati Generali convocati ad Orleans nel 1439 ( gli stati generali sono assemblee convocate dal Re, con cui trattare per acquisire e mantenere i privilegi di origine feudale che spettano alla borghesia e al clero e al terzo stato no).

ad Orléans Carlo VII ottenne un successo per il consenso alla pace con l’Inghilterra e quello che perdeva sul piano internazionale lo conquistava sul piano interno fece si che solo al re fosse riconosciuto il diritto di tenere ed arruolare eserciti. Crollava di colpo la struttura dei privilegi aristocratici ( milizie, dazi, gabelle locali) e il terzo stato se ne avvantaggiava.

Iniziò una resistenza dell’aristocrazia che insisteva per una nuova convocazione degli stati generali. Le aspettative di tornare al vecchio sistema feudale furono deluse dalla salita al trono di Luigi XI che si mostrò ugualmente accentratore. La reazione aristocratica sfociò in una lega del bene pubblico. Il nemico esterno borgognese diventava l’alleato ideale per combattere il re nazionale. Dopo la battaglia di Monthléry si giunse a due trattati che videro accolte le richieste dei rivoltosi. Una nuova convocazione degli stati generali si ebbe a Tours nell’aprile del 1468 e votarono contro la separazione della Normandia dal regno di Francia. In questa convocazione prevalse il sentimento nazionale a discapito degli interessi di politica interna.

(INGHILTERRA)

L’inghilterra e il Galles erano regioni politicamente unite, avversate dallo stato di Scozia, mentre l’Irlanda era considerata una regione ancora sconosciuta e selvaggia. La manica e la Normandia erano state il ponte di unione delle civiltà anche se dopo la guerra dei Cento anni diventavano delle barriere. Con

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l’abbandono inglese della Normandia finiva la relativa politica di intervento su suolo europeo e iniziava quella dell’isolamento e dell’attenzione all’equilibrio europeo. A livello sociale si ebbe lo scontro tra il mercante di fondaco ( che godeva del monopolio dell’esportazione della lana ) e il nuovo mercante avventuriero ( che traeva vantaggi sui mercati europei dal crollo dei prezzi agricoli).

Scontro politico interno dei Lancaster ( rosa rossa ) e degli York ( rosa bianca ) divenne ben presto militare e durò per circa un trentennio aggravato dalla pazzia di Enrico VI. Ma i momenti di lucidità di Enrico VI e la politica della moglie costrinsero gli York a rifugiarsi in Irlanda. La corona non seppe però sfruttare il successo militare. Di lì a poco infatti il ritorno sul suolo inglese di Riccardo di York e l’esito vittorioso della battaglia di Northampton determinavano la fine della dinastia dei Lancaster. ( I fase) Dopo la morte di Enrico VI salì al trono Riccardo III Quando sale al trono Riccardo III, la sua linea politica fece ricongiungere le forze dei Lancaster con la linea degli York. (II fase )I Lancaster congiunsero le forze e sbarcarono in Galles, a Bosworth e Riccardo III ( di York) stava vincendo sui Lancaster quando il tradimento delle forze alleate di Stanley ribaltò la situazione. Riccardo morì sul campo e sale al trono Enrico Tudor come Enrico VII

Bosworth è la sintesi emblematica della guerra delle due rose. Una guerra interna all’aristocrazia inglese che rappresentò una sorta di suicidio collettivo e soprattutto fatta di repentini cambi di alleanze e tradimenti. Con Enrico VII aveva inizio la fase di ricostruzione interna e si concluse la lunga contesa tra Corona e Parlamento a vantaggio della prima.

(III fase) sale al trono Edoardo IV nel 1961 affermando definitivamente la vittoria degli York.

(SPAGNA)

La penisola iberica presenta alcune peculiarità socio-economiche e geografiche. All’estremo margine occidentale il regno di portogallo mantiene una propria individualità politica grazie non solo agli stretti rapporti di commercio con l’Inghilterra ma anche alla sua proiezione geopolitica oltre le colonne d’Ercole e sullo stretto di Gibilterra. ( Enrico il navigatore in Africa). Questa proiezione coloniale portoghese lo avrebbe tenuto più distante della spagna o dell’olanda dai conflitti politico-militari europei.

Casuale fu invece la vocazione atlantica della Spagna, che con l’unione delle due corone Aragona e Castiglia si trovò piuttosto proiettata nel Mediterraneo. Il matrimonio di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia non rappresenta l’unità spagnola sia perché era ancora in vita il padre di Ferdinando e sia perché le clausole del matrimonio comportavano ancora la sopravvivenza di una separata amministrazione.

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I due regni avevano strutture amministrative e istituzioni politiche diverse. Per l’Aragona un parlamento con tre bracci comportava una limitazione del potere regio. Le Cortes avevano una funzione pratica di contrattazione con la corona ma c’era una crescita del terzo braccio rappresentato da giuristi e laureati.

La spagna di fine ‘400 è colpita dal problema delle minoranze etniche e religiose. La comunità ebraica ha proprie comunità auto amministrate. Uguale per le comunità musulmane. Alle due comunità venne imposto di risiedere in quartieri appositi. Economicamente invece i musulmani erano braccianti agricoli mentre gli ebrei esercitavano il prestito ad interesse, ma anche professioni mediche, artigiane e commerciali. Prese avvio il fenomeno delle conversioni di convenienza che portarono musulmani ed ebrei a scavalcare l’isolamento dalla società cristiana. Tutto ciò generava nuove tensioni Nella penisola iberica c’era inoltre un regno non cristiano ossia il regno di Granada che contribuì alla creazione di un assemblaggio sociale basato su un senso di appartenenza a una stessa religione, gruppo o razza che determinò l’avvio dell’Inquisizione e della guerra contro Granada.

---- richiesta di Ferdinando e Isabella al Papa Sisto IV di iniziare l’inquisizione contro chi praticava il cripto giudaismo. Nasce cosi nel 1478 il tribunale dell’inquisizione che divenne operativo due anni dopo nel 1480 nella diocesi di Siviglia condannando centinaia di persone. Cosi funzionate dipendeva dai sovrani spagnoli, ma quando iniziò il panico sociale Sisto IV riportò il controllo agli ordini locali. L’anno dopo avvenne i riconoscimento romano del potere di nomina dei membri dell’inquisizione ai sovrani con la nomina per parte pontificia di un giudice d’appello residente in spagna.

Granada venne conquistata nel 1492 e subito dopo iniziarono una serie di riforme a danno degli ebrei.

3.Il nuovo mondo

Con le capitolazione di Santa Fè si decise che in cambio della presa di possesso in nome dei re cattolici delle terre eventualmente scoperte, Colombo avrebbe ricevuto il titolo di grande ammiraglio dell’oceano , viceré delle terre scoperte e compartecipazione agli utili derivanti dalle scoperte. Salpato a Palos il 3 agosto 1492 con tre caravelle, la Nina la pinta e la Santamaria, vide nella notte tra l’11 e il 12 agosto un piccolo fuoco in lontananza. Era convinto che l’isola, che chiamò San Salvador, di trovarsi nell’arcipelago antistante il Catai o il Cipango. Usò l’amore e non la forza per convertire la gente del posto. Il 28 ottobre arriva a Cuba dove trova solo popolazioni cannibale. Da cuba va a Hespaniola ( attuale Haiti) dove deve lasciare 39 uomini poiché la santa maria si era andata a infrangere.

Scopo delle conquiste era quello di indurre i loro abitanti alla fede cattolica per questo i territori venivano affidati a Ferdinando e Isabella. Veniva con ciò fissata la linea detta della raya che divideva la sovranità portoghese da quella spagnola riconoscendo a ciascuna delle due monopoli commerciali e privilegi.

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Colombo salpò una seconda volta nel 1493 al comando di una flotta di 17 navi e 1.500 uomini. Resta più tempo a Hispaniola trovando delle miniere d’oro. Rientra a Cadice nel 1496 e nel terzo viaggio tra il 1498 e il 1500 toccava finalmente il continente americano tra Trinidad e la costa del Parla. Nel quarto viaggio tocca le coste dell’America centrale.

A compiere un viaggio di accertamento dell’impresa di Colombo fu un fiorentino Amerigo Vespucci che al servizio della corona spagnola toccò le coste occidentali all’altezza della Guyana. Verificò che il nuovo continente non era quello asiatico. Anzi la via delle indie venne aperta per la prima volta con la circumnavigazione del globo effettuata da Ferdinando Magellano che si convinse di uno stretto che avesse permesso il passaggio dall’Atlantico al pacifico ( lo trova stretto di Magellano). Rimane ucciso nelle filippine in uno scontro con le tribù locali. Nessun esito commerciale si ebbe con la circumnavigazione che si concluse nel 1522, data la durata e la difficoltà del viaggio.

CAPITOLO 2. LA CRISI ITALIANA E LE NUOVE CONCEZIONI DELLA POLITICA E DELLO STATO

1.Gli stati italiani nel Quattrocento e la politica dell’equilibrio

Nel XV secolo l’Italia appare uno spazio geograficamente e culturalmente unitario, ma politicamente diviso sul piano economico e sociale. Un profondo divario esiste innanzitutto tra l’italia settentrionale e l’italia meridionale.

Nord aree più urbanizzate d Europa sostentata da una ricca produzione manifatturiera e da scambi commerciali concentrati tra Firenze Genova Milano e Venezia.

Sud intesa la zona tra Ancona e Siena, ci sono ancora realtà feudali caratterizzate da un’agricoltura estensiva e dal pascolo. Vi sono due monarchie: lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli.

Su questo sfondo si sviluppa la lotta per l’egemonia tra i cinque principali stati della penisola.

1. DUCATO DI MILANOIl milanese venne eretto in ducato nel 1395 dall’imperatore e fu in mano prima ai Visconti e poi agli Sforza. Ha sviluppato un certo grado di omogeneizzazione territoriale grazie ad un’organizzazione fiscale, militare, amministrativa e giudiziaria. Sul piano economico Milano era stata protagonista di una crescita concentrata soprattutto nel settore manifatturiero e nel settore metallurgico.

2. REPUBBLICA DI VENEZIALa Repubblica di Venezia, istituzionalmente retta dal Maggior Consiglio, da un consiglio più ristretto e dal doge eletto a vita, era stata protagonista di una restrizione oligarchica sin dal ‘200, concentrando il potere nelle mani di una minoranza di ricche famiglie patrizie. Venezia restava la maggiore potenza marittima della costa con la funzione di ponte commerciale tra Occidente e Impero Romano. La Repubblica si espanse poi nel ‘400 nella terra padana.

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3. FIRENZEFirenze, anche se con qualche problema in più rispetto a Venezia nell’assoggettare i territori circostanti, riuscì a sottomettere il contado e alcune importanti città toscane, come Arezzo, Cortona, Pistoia, Pisa e sul mare l’importante sbocco livornese. Era una signoria a fondo oligarchico dominata dal 1434 dai Medici.

4. STATO DELLA CHIESALo stato della chiesa era in una condizione singolare. Il pontefice aveva sia un potere temporale come monarca dello stato e sia uno spirituale come capo della chiesa. La santa sede aveva un’immensa autorità e usufruiva di risorse finanziarie provenienti dalle rendite e proprietà ecclesiastiche di ogni paese europeo. La corte pontificia limitava però il potere del pontefice tramite il collegio cardinalizio. Il dissidio in tutti gli stati europei vi era in merito ai benefici ecclesiastici (= diritti di riscossione dei redditi dei beni della Chiesa legati ad una carica ecclesiastica)

5. REGNO DI NAPOLIAnche nel Regno di Napoli la monarchia, retta dagli Aragonesi, doveva fronteggiare la forza e l’autonomia del baronaggio napoletano e della feudalità delle province.

Non meno problematica era la situazione interna degli stati della penisola che ruotavano nelle sfere d’influenza dei grandi stati italiani ed europei. Emblematico il caso del ducato di Savoia o della Repubblica di Genova, principale antagonista economica di Venezia. Aveva una posizione strategica nel Mediterraneo dove la sua flotta da guerra è l’unica in grado di affrontare i turchi. Il controllo divenne sempre più importante. La vita politica interna è minata dalle due principali espressioni politiche della classe dirigente ossia i nobili e i popolari, divisi sui modi di distribuzione del potere.

In questo contesto gli stati italiani si affrontarono in una lotta per l’egemonia che diede luogo a una pericolosa sequela di guerre terminate solo con la pace di Lodi ( 4 Aprile 1454) e con la Lega Italica stretta l’anno seguente tra le maggiori potenze della penisola. Da quel momento una relativa stabilità fu assicurata dalla politica dell’equilibrio. Il principale pericolo proviene dall’impero ottomano. Venezia dovette affrontare una lunga guerra anti-turca ( 1463-1479). D’altra parte il sistema dell’equilibrio appariva anche l’inevitabile esito degli stessi processi di formazione degli stati italiani. I nascenti e deboli poteri centralistici scesero ripetutamente a patto con le realtà locali. Ciò ebbe come conseguenza una capacità espansiva dei singoli stati limitata ad aree regionali.

A minacciare la pace fu il prepotente riaffiorare delle politiche espansionistiche dello stato della chiesa e di Venezia. Fu innanzitutto il pontefice Sisto IV Della Rovere a tentare un ampliamento territoriale cercando di sfruttare una nuova crisi insorta a Firenze. Il potere era in mano a Lorenzo e Giuliano De Medici. Gli antimedicei, sostenuti dal pontefice, organizzarono una congiura, detta dei Pazzi ( dal nome della famiglia che ne fu protagonista) e il 16 aprile 1478 durante una messa nella Chiesa di Santa Maria del Fiore assalirono Lorenzo e Giuliano pugnalando a morte quest’ultimo. L’immediata indignazione del popolo consenti al pontefice di scatenare una guerra contro Firenze, ma a quel punto si scatenò l’abilità diplomatica di Lorenzo il Magnifico che costrinse il

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papa a concludere una pace (1480). Da quel momento Lorenzo il magnifico fu considerato il maggiore garante della politica dell’equilibrio.

2. La fine dell’equilibrio e la discesa di Carlo VIII

La politica dell’equilibrio finisce con la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492. All’origine del crollo ci furono le vicende del Ducato milanese. Al potere c’era Gian Galeazzo Sforza ( sposato con isabella d’Aragona). La giovanissima età di questo aveva reso necessaria la reggenza della madre e poi aveva consentito allo zio , Ludovico Sforza detto il Moro di impadronirsi del governo. Il sostegno dato a Gian Galeazzo dalla corona aragonese suscitò la reazione del Moro, determinando cosi la rottura dell’intesa tra Milano e Napoli che aveva rappresentato uno dei pilastri dell’equilibrio.

Per contrastare gli aragonesi il Moro mise in atto un gioco diplomatico. Per un verso strinse un ‘alleanza in funzione anti aragonese con il Re di Francia, Carlo VIII di Valois che preparava una discesa in Italia. Dall’altro verso si rivolse al nuovo imperatore Massimiliano I d’Asburgo per controbilanciare la potenza francese. Quando si rese conto che era sempre meno necessario l’intervento francese, non riuscì a evitarlo. Il Moro fu costretto a cedere alle imperiose richieste avanzate dall’inviato di Carlo VIII.

La discesa dell’esercito francese aprì un lungo periodo di guerre durato fino al 1559, nel corso del quale la penisola divenne l’obiettivo strategico e il terreno principale di scontro delle potenze europee. Carlo VIII decise quindi di scendere in Italia e nel 1494 passò le Alpi. Giunto facilmente a Roma, ottenne dal pontefice il via libera per Napoli. Nasceva però una coalizione anti-francese tra Venezia, lo Stato pontificio e Ludovico il Moro. Dopo lo scontro di Fornovo sul Taro (6 luglio 1495) Carlo VIII abbandonò l’Italia mentre Ferdinando II rientrava a Napoli.

3.Girolamo Savonarola e la Repubblica fiorentina

Per quanto fallita, l’avventura di Carlo VIII fu un evento carico di conseguenze che modificò gli equilibri politici. In Italia la discesa francese fu da molti interpretata come una provvidenziale punizione divina che avrebbe instaurato una nuova età e Carlo VIII fu visto come il liberatore. Importante fu la predicazione di Girolamo Savonarola, il domenicano ferrarese, chiamato a Firenze da Lorenzo il Magnifico. Il frate aveva conquistato la devozione di molti fiorentini fin da quando si era stabilito in città.

Pensiero: propugnò la necessità per Firenze di rovesciare l’oligarchia medicea e instaurare una repubblica a larga partecipazione popolare. Fu cosi il principale ispiratore delle riforme del 1494: aboliti i principali organi del governo dei Medici, creazione del Consiglio maggiore rappresentante l’intero corpo cittadino.

Diversi fattori resero comunque ben presto precaria la vita della nuova Repubblica. Fattori di crisi:

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1. Lacerazioni politiche della città, divisa tra democratici savonaroliani e vecchi filo medicei;

2. Malcontento verso i metodi di purificazione religiosa e controllo politico- morale della società imposti dal Savonarola;

3. Introduzione dell’imposta fondiaria e dell’imposta progressiva, colpendo i redditi più alti, che accrebbe l’irritazione delle famiglie patrizie;

4. Peste, carestie e contrasto con la Santa Sede che segnò il destino del Savonarola.

Del tutto inutile fu il tentativo del Savonarola di appellarsi alle potenze europee. Si avviò l’accusa di eresia e alla scomunica. Il rituale del processo con le relative torture si svolse tra il 9 e il 19 Aprile del 1498. Con le torture fu estorta al domenicano la confessione di esser stato un falso profeta. 23 Maggio 1498 impiccagione e rogo.

4.La spartizione franco-spagnola dell’Italia e il ducato di Cesare Borgia.

1) Obiettivo milaneseNel 1498 si verificò un evento ancora più decisivo per le sorti della penisola, ossia la morte di Carlo VIII senza eredi diretti e il conseguente passaggio della corona di Francia a Luigi XII, ossia a quell’Orleans che da tempo rivendicava il ducato di Milano. Venezia si allea alla Francia causando così una reazione di tutti coloro che temevano Venezia e che decisero di spalleggiare gli ottomani che sconfissero la flotta Veneziana e presero Lepanto. Dopo essersi alleato anche con Alessandro VI la conquista del ducato di Milano si concluse nel 1499.

2) Obiettivo napoletano Nel 1496 la corona era passata dal Ferdinando II allo zio Federico III. Nell’agosto 1501 Napoli cadeva sotto l’attacco dell’esercito franco-pontificio mentre Federico III abdicava a favore del Re di Francia. A questo punto la spartizione del regno ( che era stata accordata con il trattato di Granada 1500 tra Francia e Spagna) provocò un conflitto franco-spagnolo. La guerra fu vinta dalla Spagna e la Francia manteneva in Italia solo Milano.

Alessandro VI si era accordato per un aiuto francese alla sottomissione delle Romagne iniziata dal figlio Cesare Borgia. Il Borgia diventava il duca delle Romagne ed era però condizionato dalla protezione francese che gli necessita talmente tanto da obbligarlo a rinunciare alle mire su Bologna, Siena e Firenze.

Ma lo stato borgiano aveva in sé i germi della sua rapida fine. Con l’improvvisa scomparsa di Alessandro VI e mentre saliva al trono pontificio il più tenace avversario dei Borgia, Giuliano della Rovere con il nome Giulio II, Cesare assisteva a un impotente crollo delle sue fortune.

5.Gli anni di Giulio II e Leone X

La conquista veneziana delle restanti città romagnole accrebbe i timori verso la “potenza troppa” della Repubblica. Questo espansionismo della Repubblica ebbe d’altra parte non indifferenti ripercussioni interne. Molti veneziani lo giudicarono una sorta di tradimento dell’antica vocazione marinara della città. Ma a promuovere la spinta espansionistica stavano quegli strati di patrizi e

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mercanti, indebitati. Ci fu inoltre una caduta di tono nell’attività mercantile dopo la scoperta portoghese delle vie delle Indie. Fu in buona parte questa linea di condotta a rendere inevitabile lo scontro con Giulio II, la cui ferma intenzione di recuperare i territori romagnoli creò dei contrasti.

Giulio II fece una coalizione anti veneziana stretta a Blois il 22 settembre 1504 insieme con la Francia. Il trattato di Blois non portò alla guerra perché Giulio II cercò di garantirsi un preventivo consolidamento interno dello Stato della Chiesa. A questo fine operò in tre direzioni:

Rabbonì le grandi famiglie baronali romane imparentandole ai Della Rovere;

Permise il rientro di alcuni signori nei loro possessi; Intervenne militarmente per sottomettere Perugia e Bologna

Giulio II poté trovare al suo fianco contro Venezia non solo la Francia ma anche la Spagna. Ma ad accelerare il riavvicinamento anti veneziano delle potenze europee fu Massimiliano I : l’imperatore per stabilire la sua egemonia nell’Italia, dopo aver offerto un’alleanza antifrancese ai veneziani, prese l’iniziativa di attaccarli. La risposta di Venezia vincitrice nel 1508 allarmò tutti e condusse alla conclusione di una Lega contro la Ripubblica stipulata a Cambrai il 10 Dicembre 1508.

Nel 1510 il pontefice si accordava con la Repubblica e questo gli permise la realizzazione del suo ambizioso programma, ossia l’eliminazione dei francesi dalla penisola. Tuttavia ne la Spagna ne l’Impero seguirono in questo nuovo conflitto il pontefice che ottenne invece l’appoggio degli svizzeri e di Venezia. La guerra vide l’insuccesso delle truppe pontificie. Ma la reazione di Luigi XII non fu solo militare riuscì a convocare un concilio per scomunicare il Papa. Giulio II convocò a sua volta un concilio e riuscì a creare un fronte anti-francese ( Lega Santa 4 Ottobre 1511).

Nel 1512 le sorti della guerra vennero ribaltate dall’intervento delle truppe svizzere che obbligarono Luigi XII ad abbandonare il ducato milanese e Asti. Gli svizzeri conquistarono quindi Lugano, Locarno e Domodossola. Giulio II si riprendeva Bologna, Rimini, Cesena e Ravenna . L’espulsione dei francesi dall’Italia riproponeva cosi la centralità per la politica europea del ducato milanese.

Riforma istituzionale a Firenze elezione di un gonfaloniere a vita simile al doge veneziano. Fu eletto nel 1502 gonfaloniere Pier Soderini che sebbene riuscì a restaurare il proprio dominio regionale sviluppò una politica estera debole.

Nel 1512 Giulio II si alleò con l’imperatore e Venezia si rialleò con la Francia. Quando la nuova alleanza franco veneta fu stipulata Giulio II era morto e al suo posto era stato eletto il figlio di Lorenzo il Magnifico. Leone X il quale ripensò subito a un’egemonia medicea nell’Italia centrale. La successione di Francesco I al trono francese non modificò l’oscillante politica pontificia. Il progetto del nuovo sovrano di riconquistare non solo la Lombardia ma anche il Regno di Napoli, rafforzò lo schieramento anti-francese ispano-imperiale. Quando il Re di

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Spagna accettò con la Pace di Nyon (1516) il possesso francese del ducato di Milano, si poté dire conclusa la spartizione dell’Italia in 4 sfere di influenza:

1. Mediceo pontificia in Italia centrale2. Francia nel nord ovest3. Venezia nord est4. Spagna sud e isole.

Al momento della Pace di Nyon l’unica altra potenza della penisola che accanto allo stato della chiesa usciva consolidata dai due primi anni di guerre era Venezia. Venezia aveva respinto gli eserciti imperiali, resistito all’attacco della lega di Cambrai, conquistato le terre lombarde e la sua economia non era stata piegata.

6.La riflessione politica

A Firenze si era sviluppata una profonda riflessione intorno alla crisi italiana. Fu Niccolò Macchiavelli che trascese da ogni fondazione religiosa ed etica della politica e nella religione vide solo uno strumento di consenso politico e non un superiore principio su cui gli Stati dovessero reggersi. Solo la forza e l’autorità delle leggi gli apparvero i cardini di ogni forma di stato. La novità in queste concezioni stava nell’enucleazione di leggi proprie della politica che esulavano da quelle cristiane.

Da questi presupposti machiavelli criticò severamente l’intero passato politico fiorentino. Dall’altra parte Machiavelli sostenne anche che la monarchia era adatta a quei paesi come il ducato di Milano o il regno di Napoli nei quali, al contrario di Firenze sussisteva una grande ineguaglianza sociale e una forte aristocrazia. Nel Principe indica i metodi per raggiungere e conservare il potere assoluto dei sovrani. Queste indicazioni furono inefficaci e inascoltate nell’immediato.

Un altro grande politico e storico fiorentino fu Francesco Guicciardini che come Machiavelli vide nelle guerre d’Italia una dimostrazione storica dell’impossibilità di superare la negatività insita nella lotta politica e nelle ambizioni umane. Concepì lo stato, diversamente da Machiavelli, come un sistema di naturalizzazione dei conflitti da costruire mediante un accorto equilibrio istituzionali tra organi di governo.

CAPITOLO 3.L’IMPERO DI CARLO V E LO SCONTRO CON LA FRANCIA

1.”Tu Felix Austria nube”. Dalla successione spagnola alla nascita dell’Impero

La Germania era soggetta ad una notevole frammentazione geopolitica. I vari Stati avevano a capo prìncipi e signori che esercitavano da tempo diritti di sovranità propri delle monarchie, ma riconoscevano una guida unitaria nell’imperatore e nella Dieta( assemblea delle autorità locali o territoriali). 7 grandi elettori sceglievano l’imperatore che per consuetudine apparteneva alla casa degli Asburgo.

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Più che altrove il Medioevo aveva lasciato in eredità quel sistema dei ceti che divideva gerarchicamente la società in:

Nobili (Aldestand) Borghesi ( Burgestand) Contadini ( Bauernstand) Ebrei e servi agricoli

Considerevole era inoltre la presenza del clero che reggeva altri stati tramite vescovi, arcivescovi e abati formando cosi un ceto con specifici privilegi. Tutta via in Germania non si formò una chiesa nazionale soggetta ad autorità statali e autonoma da quella di Roma, come era invece accaduto in Francia con la chiesa gallicana.

Incapaci di seguire gli sviluppi dell’assetto sociale fu un segmento della nobiltà, i cavalieri (ritter) che esercitavano potere sui castelli e le campagne circostanti e che furono emarginati con la nascita degli stati. Le città invece erano i centri della borghesia ( strato sociale legato a imprese commerciali, manifatturiere e alle professioni), fondate sull’idea che all’intera comunità appartenessero una serie di antiche libertà. Queste libertà vennero minacciate con la pressioni degli stati territoriali che cercarono di ridurle per sottomettere.

Un dissidio, negli stessi decenni di fine ‘400, venne maturando tra prìncipi e corona imperiale. Ne la riforma costituzionale avviata dall’imperatore Massimiliano I, ne la riorganizzazione della Dieta, ne il tribunale camerale imperiale rappresentarono garanzie sufficienti. Queste riforme chiarirono però i termini della questione costituzionale che si sarebbe riproposta successivamente.

Tutto il destino dell’Europa fu segnato dalle politiche matrimoniali. Per la Spagna per esempio il duplice matrimonio con gli eredi degli Asburgo venne a suggellare la politica antifrancese.

Ascesa di Carlo V :In Spagna la morte senza figli dell’unico erede maschio dei Re cattolici, Giovanni, aprì un lungo periodo di incertezze. Alla morte di Isabella (1504) il nodo della successione castigliana venne al pettine. La nobiltà castigliana preferì respingere Filippo il Cattolico e scegliere il fiammino Filippo il Bello. Quando Filippo il Bello cercò di guadagnarsi la Francia, Ferdinando ( re d’ Aragona) ribaltò la sua politica accordandosi con la Francia per sposare una nipote di Luigi XII, Germain de Fox. L’Aragona si separa di nuovo dalla Castiglia e Ferdinando dovette accettare un governo tripartitico tra lui, Giovanna la Pazza e Filippo il Bello. La situazione era cosi difficile che la nobiltà locale si rivolse al figlio di Giovanna la Pazza e Filippo il Bello, Carlo d’ Asburgo. Carlo d’Asburgo è nato nelle Fiandre, a Gand, il 24 Febbraio 1500 e aveva già ereditato i Pesi Bassi e nulla ostacolò la sua successione al trono. Quando morì l’imperatore Massimiliano Carlo acquisì la casa asburgica e anche la possibilità di assurgere alla dignità imperiale. Il 28 Giugno 1519 ottenne la corona imperiale assumendo il nome di Carlo V.

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2.Organizzazione e problemi dell’impero di Carlo V

Il complesso ispanico-imperiale risultava più forte della Francia. Problemi di Carlo V : Arginare la pressione turca nei Balcani e nel Mediterraneo, difendere gli assi di comunicazione dell’Impero, sia marittime sia terrestri. Inoltre l’impero era disomogeneo ossia costituito da stati molto diversi dal punto di vista geografico, economico e sociale e anche da quello religioso. Cosi Carlo V dovette governare personalmente, spostandosi di continuo nei paesi. Altrettanto necessario al governo di un Impero dalle dimensioni tanto vaste fu quel sistema dei Consigli che consentì di sopperire alle inevitabili e lunghe assenze del sovrano. I consigli si dividevano in consultivi e/o competenti su specifiche materie territoriali.

D’altra parte quanto i particolarismi costituissero un problema di assoluto rilievo, Carlo V dovette accorgersene non appena salì sul trono di Spagna. Quando infatti dovette allontanarsi da quel trono gli abitanti dei comuni castigliani esplosero in una violenta ribellione. Le cause risiedevano in un insofferenza contro l’onerosità del fisco e nella volontà di difendere gli antichi privilegi della città. Si innestarono richieste di riforme costituzionali incentrate sulla rivendicazione del primato delle Cortes in quanto rappresentanti delle volontà del popolo.

Tasse: in Spagna l’imperatore poteva contare sugli introiti fiscali versati dalla chiesa, soprattutto sulle tercias reales ( ossia il terzo delle decime ecclesiastiche riscosse in Castiglia), sui subsidios ( imposte generali sulle entrate e sui redditi ecclesiastici) e sulla cruzada ( tributo concesso dalla chiesa per combattere i mori). Il resto delle imposte era inegualmente distribuito tra i vari regni spagnoli. La Castiglia era la regione più spremuta fiscalmente, c’era anche l’alcabala, un imposta sulle compravendite che già all’inizio del ‘500 fruttava l’80% delle entrate della corona.

3.Le conquiste coloniali spagnole

Fattore sempre più importante di questo imperialismo era divenuta l’espansione coloniale spagnola, che dopo i viaggi di Colombo e la conquista delle isole caraibiche, registrò una decisa impennata negli anni 20. Dal 1519 assieme alla spedizione di Magellano salpò quella di Hernan Cortes diretta alla conquista del Messico. Cortes non aveva risorse e forza a sufficienza ma fu abile nello sfruttare le risorse della confederazione azteca. Dovette impegnarsi fino al 1544 per ottenere il dominio del territorio. La difficoltà stava nelle malattie che contraevano gli europei a cui gli indigeni erano immuni. Un altro esploratore, Pizzarro si trovò dinanzi alla più evoluta tra le civiltà precolombiane: la inca.

Carlo V dovette pertanto regolare giuridicamente l’assetto dei territori d’oltreoceano costituendo due viceregni, in Messico e in Perù. Il grande vantaggio economico dello sfruttamento coloniale fu essenzialmente legato alle miniere d’oro e di argento. A parte la ricerca e lo sfruttamento delle miniere, il principale istituto economico-giuridico che regolò i rapporti tra colonizzatori e colonizzati fu l’encomienda. Ad un encomendero veniva dunque affidato un vasto appezzamento territoriale con i relativi abitanti indigeni.

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Nemici di questo istituto furono gli ecclesiastici spagnoli inviati ad evangelizzare le nuove terre. Simbolo di questa opposizione ecclesiastica fu il domenicano Bartolomé de Las Casas. Las Casas riuscì a convincere Carlo V di ispezionare le attività dei colonizzatori. Alla fine di quell’anno l’imperatore proibiva la schiavitù degli indigeni. A fianco di Las Casas si aggiunse il confratello domenicano Francisco de Vitoria che affrontò il tema della legalità della conquista. Sosteneva la dignità personale e i diritti fondamentali di ogni individuo indipendentemente dalla sua religione. All’opposto di queste idee si pone uno storico di corte Juan Ginés de Sepùlveda il quale sosteneva la liceità della guerra diretta a sottomettere una razza inferiore di natura.

Queste questioni rimandavano ai problemi etico e religiosi sollevati dalla colonizzazione e quindi all’organizzazione ecclesiastica nell’America Latina. L’organizzazione ecclesiastica fu completata dall’istituzione delle nuove diocesi coloniali.

4.La Francia dei Valois

La Francia della prima metà del ‘500 aveva il vantaggio di essere uno stato unitario e dotato di un più alto grado di centralizzazione monarchica. Il processo di unificazione territoriale aveva permesso una notevole uniformità amministrativa, giudiziaria, fiscale e politica. Un particolare rilievo assunse in questa organizzazione il personale giudiziario, il cui ufficio era di fatto venduto per motivi finanziari alla corona, sviluppano cosi il fenomeno della carica acquisita come una proprietà trasferibile. Il Concordato con la chiesa (rimasto in vigore fino al 1789) stabiliva il controllo regio sulla distribuzione delle cariche ecclesiastiche e aveva fatto guadagnare punti decisivi all’accentramento monarchico. Particolare rilievo lo assunsero i segretari che fungevano da tramite tra i consigli e il sovrano. I governatori invece venivano inviati nelle province esposte ai rischi di invasione. Anche l’amministrazione fiscale si era sviluppata e affinata attraverso l’istituzione di circoscrizioni. L’introduzione della taille ( imposta diretta sulle persone e sulle cose ) aveva permesso di formare una burocrazia stabile e un esercito permanente. Insomma la monarchia in Francia era meglio organizzata e meno soggetta ai domini asburgici.

5.La guerra in Italia e la Lega di Cognac

Nel 1521 l’indirizzo antifrancese della politica imperiale divenne realtà rivelando tutta la precarietà della pace di Noyon del 1516. Naturalmente il conflitto iniziò per il dominio di quel Ducato di Milano il cui possesso avrebbe consentito a Carlo V di mettere in comunicazione le due parti principali del suo impero: Spagna e Germania. Importante era poi il controllo di Genova perché collegava la rotta marittima tra l’Aragona e l’Italia.

A dare il via alle operazioni belliche non fu tuttavia Carlo V ma Francesco I ( trono francese) che contava sull’alleanza di Venezia e della Svizzera. Dalla sua parte Carlo V aveva il re inglese Enrico VIII e Leone X. Leone X si alleò con Carlo V perché volle privilegiare quell’espansione nell’area ferrarese e lombarda contrastata con gli interessi di Francesco I.

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La guerra che vide fronteggiarsi questi due schieramenti si trasferì subito in Italia con l’occupazione da parte delle truppe ispano - pontificie di Milano. Parma e Piacenza tornarono alla Chiesa mentre Ferrara non ebbe la stessa sorte per l’improvvisa morte di Leone X. Il nuovo papa Adriano VI si schierò con Carlo V e si ebbe il fallimento della controffensiva francese. Altri due avvenimenti contribuirono a indebolire la Francia:

Defezione del potente comandante generale dell’esercito francese, Carlo di Borbone che organizzò un complotto contro il suo sovrano e si alleò con l’imperatore,

Riavvicinamento a Carlo V della Repubblica di Venezia ossia dell’unica alleata italiana di Francesco I.

Il nuovo pontefice Clemente VII si affrettò ad allentare i vincoli con gli Asburgo chiamando al suo servizio uomini francofili, e lo fa per evitare il dominio di una sola potenza. Ma la guerra fu disastrosa per i francesi che a Pavia, travolti dalle truppe imperiali, videro lo stesso Francesco I intrappolato e condotto a Madrid per firmare un trattato che sancì rinunce impossibili: niente più pretese francesi sull’Italia, l’Artois e le Fiandre e restituzione a Carlo V del ducato di Borgogna. Nessuno pensò che un sovrano potesse rispettare accordi cosi irragionevoli infatti la guerra riprese subito, ma questa volta il timore di un incontrastato predominio asburgico favorì la Francia con la quale perfino Enrico VIII si era affrettato a concludere una pace separata. Fu in questo clima che Francesco I poté firmare la Lega di Cognac con lo Stato pontificio, Venezia, Firenze e Milano . Venezia e la Santa Sede confidarono nell’invocato arrivo delle truppe francesi che non arrivarono. Così mentre la frustrazione per il mancato intervento francese spingeva molti a desiderare paci separate, Clemente VII era rimasto senza soccorsi quando le truppe imperiali saccheggiarono il Vaticano. Con una pace separata ottenne il ritiro delle truppe imperiali dai domini settentrionali dello stato ecclesiastico.

6.Dal sacco di Roma alla pace

Le forze della Lega di Cognac proseguirono la loro marcia fino a Roma dove entravano sbandati e affamati all’alba del 6 maggio 1527. Il terribile saccheggio che ne seguì, durato circa 9 mesi impressionò l’intera Europa. Clemente VII assistette alle uccisioni e alle profanazioni delle chiese, ai linciaggi dei cardinali e alle distruzioni di opere d’arte. Intanto a Westminster Francesco I e Enrico VIII si accordavano per attaccare l’esercito asburgico in Italia e porsi a difesa del papato stabilizzando l’alleanza franco-inglese e rivelando tutta la fragilità della Lega di Cognac. Clemente VII fu costretto ad una resa. Venezia insieme con la Francia proteggeva la restaurata Repubblica fiorentina. Il 29 Giugno 1529 con il Trattato di Barcellona il pontefice aveva sottoscritto la pace con Carlo V con la quale aveva accettato l’eventuale annessione diretta nei domini imperiali del Ducato di Milano in cambio della restaurazione a Firenze della signoria medicea. Subito dopo con la pace di Cambrais (5 agosto 1529) l’imperatore concludeva anche un vantaggioso compromesso con Francesco I che riotteneva la Borgogna ma rinunciava alle pretese sull’Italia. La penisola italiana diventava asburgica dopo la pace di Bologna e dopo la solenne cerimonia con la quale Clemente VII poneva sul capo di Carlo V la corona di re d’Italia.

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7.L’ultima repubblica fiorentina e la crisi del repubblicanesimo

La caduta della repubblica fiorentina avvenne nel 1527. L’avversione antimedicea si era già manifestata con alcuni disordini del novembre 1526 e nel successivo aprile. Il colpo di grazia fu la notizia giunta del sacco di Roma, l’11 maggio, quando gli oppositori scacciarono i Medici privi ormai del sostegno pontificio. Impero e papato nel frattempo ritrovavano un intesa.

Quasi tutti nell’arcipelago fiorentino pensarono che sarebbe stato sufficiente riaggiustare la costituzione. Fu in questo clima che il gonfaloniere Capponi cercò un accordo con Clemente VII per impedire che l’intesa imperiale-pontificia isolasse la repubblica. Ma il gonfaloniere fu condannato per la scoperta di accordi segreti con il papa. Il nuovo gonfaloniere fu Francesco Carducci, espressione dei ceti popolari. In ogni caso il clima di crescente radicalizzazione politica rese inutili le iniziative diplomatiche del Carducci nei confronti di Carlo V e Clemente VII. Le truppe imperiali avanzavano ormai verso Firenze e la sottoponevano a un lungo assedio. Il capo delle forze mercenarie fiorentine, Malatesta, decise di stipulare una resa all’insaputa del governo. Ai Medici si garantiva solo il ritorno in patria. Il 27 aprile 1532 una nuova costituzione sopprimeva tutte le istituzioni repubblicane e nominava Alessandro de Medici duca di Firenze.

Alessandro de Medici venne assassinato nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1537 dal cugino Lorenzo de Medici. Il 9 gennaio il diciottenne Cosimo de Medici venne eletto capo della città di Firenze.

Proseguiti negli anni seguenti i vari tentativi antimedicei del fuoriuscitismo repubblicano rappresentarono il sintomo più tangibile del definitivo tramonto della forza propulsiva del repubblicanesimo.

CAPITOLO 4.LA RIFORMA LUTERANA

1.Le premesse

Hussiti : Jan Hus aveva insistito sulla necessità di risollevare la vita spirituale e la disciplina morale del clero. La sua fama di predicatore e di professore comportò verso di lui un attenzione sociale interclassista che Hus indirizzò alla nascita di un sentimento nazionale cèco, essenzialmente antitedesco. Dal punto di vista dottrinale Hus era piuttosto debitore delle posizioni del riformatore religioso inglese John Wycliff, basate su:

Bibbia come unica fonte di verità rivelata; Negazione della transustanziazione ( trasformazione delle specie

eucaristiche del pane e del vino in corporea presenza di Cristo); Chiesa come comunità dei predestinati.

A provocare i richiami di Roma fu la promulgazione di Hus delle nuove indulgenze. Venne convocato il Concilio di Costanza dove Hus vi si presentò con fiducia, ma invece la condanna si abbatté su 39 proposizioni enucleate nel suo trattato De Ecclesia. Condannato a morte fu arso a Costanza il 6 luglio 1415. La protesta boema contro la condanna di Hus portarono alla formazione ella

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chiesa hussita che introdusse l’uso del calice anche per i laici ( cioè la comunione sub utraque specie, ossia sotto ambedue le specie del pane e del vino). Le tensioni nazionalistiche e religiose portarono alla presentazione dei Quattro articoli di Praga:

Libertà di predicazione e culto per gli hussiti Calici ai laici Incameramento dei beni ecclesiastici Persecuzione del clero moralmente reprensibile

Ci fu però una tendenza radicale che ruppe l’unità dell’hussitismo e che dette vita al taboritismo. Con la pace di Kutna Hora del 1485 si giungeva ad una convivenza religiosa nel regno boemo. In questo contesto fu semmai Lutero s poter contare sulla disponibilità degli eredi boemi dell’hussitismo per la diffusione della propria nuova dottrina.

Diverso dunque il terreno di cultura e diffusione del protestantesimo individuabile nella tradizione umanistica e nel Deutschtum ossia la tradizione popolare-nazionale tedesca. La tradizione umanistica aveva condannato il passato in campo religioso, ma non aveva condannato la Chiesa romana, piuttosto il suo patrimonio culturale e giuridico da cui la chiesa non voleva svincolarsi. La critica più pesante fu quella filologica alle Sacre Scritture. Il senso di ribellione proprio del Deutschtum acquisiva con ciò una connotazione religiosa antiromana. Era il popolo tedesco a sentirsi oppresso da autorità lontane ed esterne alla sua tradizione politica. A farsene portavoce prima di Lutero fu Ulrich von Hutten.

Martin Lutero nacque a Eisleben in Turingia il 10 Novembre 1483, secondogenito di 8 figli. Lutero non conservò ricordi sereni della sua infanzia parlando spesso di troppo rigore familiare. Il 2 Luglio del 1505 mentre tornava da Erfurt( università di legge) con un compagno, quest ultimo morì schiantato da un fulmine. Lutero atterrito avrebbe fatto voto a Sant’Anna di darsi a vita religiosa se avesse scampato la morte. Due settimane più tardi sarebbe entrato nel convento agostiniano. Ha completato gli studi all’Università di Wittemberg. Nelle università tedesche si sviluppò la corrente del nominalismo, interno alla scolastica, affiancato dal realismo e questo provocò tensioni e interventi ecclesiastici

2.Gli inizi della riforma

Leone X, appena eletto pontefice nel 1513 aveva introdotto un sistema di indulgenze per costruire la chiesa di San Pietro a Roma. Addirittura venne esclusa la pratica penitenziale e considerata sufficiente l’offerta economica. C’era inoltre una contrattazione economica tra Roma e le autorità politiche dei singoli stati che potevano vietare o meno le indulgenze.

Il problema sorse quando uno dei sotto commissari preposti alla predica dell’indulgenza, Lipsia Giovanni Tetzel, svolse il suo ufficio a 30 km da Wittemberg che era nel ducato di Sassonia dove non era stata consentita l’esazione indulgenziale. La predicazione del Tetzel posero Lutero a contatto con il problema religioso e giuridico dei suoi fedeli che andavano fuori i confini

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della Sassonia per acquistare da Tetzel queste lettere con cui credevano di essere assolti da ogni peccato. La reazione di Lutero portò la scintilla incendiaria della Riforma che non è tuttavia rappresentata dall’affissione delle 95 tesi luterane alla porta della cattedrale di Wittemberg il 31 Ottobre 1517 giacché questa affissione non ebbe luogo.

Lutero quel giorno scrisse una lunga lettera all’arcivescovo di Magonza invitandolo a sorvegliare e correggere la prassi del Tetzel. Le indulgenze scriveva Lutero, non danno niente di buono alle anime per quanto riguarda la loro salvezza e santificazione : mai il Cristo comandò di predicare le indulgenze. Nel post-scriptum di questa lettera Lutero faceva riferimento alle sue tesi allegate. Altrettanto fece con l’arcivescovo di Brandeburgo inviandogli riservatamente le tesi. Solo dopo il loro rifiuto di prenderle in considerazione le tesi vennero stampate e diffuse.

Queste 95 tesi erano dunque punti di discussione riservata ai vescovi e ai colleghi delle vicine Università. Non vi era nulla di rivoluzionario: veniva nuovamente attaccata la pratica indulgenziale.

Tesi 43: si deve insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito che acquistare indulgenze;

Tesi 25 : l’autorità del papa non veniva oppugnata ma solo considerata analoga a quella del vescovo o sacerdote;

Tesi 11 : veniva additata una responsabilità morale dei vescovi nello sviluppo delle pratiche indulgenziali;

Tesi 90 : Lutero auspicava che alle sue tesi venisse data una risposta ragionevole

Posizione dottrinale di Lutero. Si attesta su capisaldi paolini e agostiniani. La giustizia non è raggiungibile dunque dall’umanità, ha una fonte ed un percorso ad essa esterna. È Dio costretto ad entrare nell’umanità per salvarla con un potere di intervento gratuito. È la morte di Cristo che salva l’umanità. La cooperazione dell’uomo alla salvezza è impossibilitata dal suo stato di corruzione originaria. La giustificazione è quindi per fede senza opere. Il libero arbitrio è per Lutero corrotto sempre dal peccato originale. Impossibile quindi che il libero arbitrio conduca alla salvezza. La salvezza gratuita non può avere a mezza misura di una salvezza condizionata ( negando con ciò il purgatorio), di mediazioni o intercessioni come la Madonna o i Santi (ripudiando cosi il culto delle immagini sacre e dei voti monastici) e neanche dunque della gestione di questa mediazione da parte della Chiesa. Chiesa è per Lutero il raduno dei fedeli. Saltano con ciò le gerarchie e le istituzioni ecclesiastiche. L’accertamento delle verità dottrinali deve essere effettuato ricorrendo alle sacre scritture. Inoltre afferma la riduzione dei sacramenti da 7 a 3 ossia battesimo, confessione e comunione.

Indagine: Le autorità ecclesiastiche romane avviarono un indagine su Lutero e venne reso operativo il procedimento contro Lutero e a renderlo ancora più spedito concorsero l’arrivo a Roma del cardinale Giulio de Medici. Commissioni consultive redassero un testo di condanna. A metà Giugno fu pubblicata la bolla di condanna Exsurge Domine. Pur venendo condannate 41 proposizioni di

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Lutero, la bolla non giungeva di fatto alla scomunica ma gli concedeva 60 giorni di tempo per la trattazione.

Il testo della bolla suscitò reazioni che diedero la misura del favore popolare nel frattempo guadagnate da Lutero. Lutero stesso divenne l’eroe di una riforma.

Opere: nell’agosto del 1520 veniva pubblicata la prima opera della trilogia luterana l’appello alla nobiltà cristiana di nazione tedesca. I romanisti, diceva Lutero, hanno eretto intorno a se tre muraglie: superiorità del potere spirituale su quello temporale; interpretazione autentica della Sacra Scrittura riservata al papa; potere di convocazione del concilio. Le altre due opere furono La cattività babilonese della Chiesa e la Libertà del cristiano. La prima contenente la nuova dottrina dei sacramenti, e la seconda una chiara esposizione della giustificazione ex sola fede. Con la bolla Decet Romanorum Ponteficem Lutero veniva scomunicato e si minacciava di colpire d’interdetto le città che l’avrebbero ospitato. Proprio il vescovo di Magonza veniva inoltre nominato inquisitore. Lutero aveva scatenato il favore popolare ed era diventato il campione della lotta per le libertà tedesche contro la tirannia politico religiosa romana.

3.La stabilizzazione politica del luteranesimo

La Dieta imperiale di Worms aperta il 27 gennaio 1521 non fu convocata per esaminare il caso Lutero, ma la tensione sociale provocata da Lutero fece si che l’imperatore in persona se ne dovesse occupare. La grande euforia sociale per Lutero non consentiva più di andare alla dieta per sanzionare la scomunica. Prevalevano in questo caso considerazioni più di natura politica che religiosa: la necessità cioè di non provocare strappi socio-nazionali all’interno dei confini dell’Impero.

Desiderio Erasmo da Rotterdam in uno dei suoi primi testi L’Enchiridion millitis christiani ebbe una storia editoriale particolare: nessun successo ne allora ne con la seconda edizione, ma eccezionale diffusione dall’edizione del 1515. Pur rimanendo dentro le istituzioni ecclesiastiche Erasmo sosteneva che sarebbe stata la religiosità del laicato a poter portare frutti riformatori, da cui :

Necessità della circolazione e diffusione della Sacra Scrittura; Attenzione agli insegnamenti morali; Critica radicale al formalismo religioso; Sottovalutazione del clero e delle istituzioni religiose; Critica alla scolastica.

Tra Erasmus e Lutero rimaneva una differenza sostanziale: il primo era dentro la chiesa cattolica, il secondo fuori. E la differenza sul piano economico fu ancora più evidenti. L’umanesimo erasmiano era un umanesimo sovranazionale che avvertiva come unica patria comune l’Europa e che doveva avere una sola lingua, il latino ciceroniano.

Il ribollire della situazione in Germania indusse quindi i rappresentanti presenti alla dieta a chiedere la convocazione di Lutero a Worms. Richiesta accolta dall’imperatore che nel marzo concedeva il relativo salvacondotto a Lutero. Il

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viaggio di Lutero alla volta di Worms fu una sorta di viaggio trionfale, con il popolo entusiasta. All’udienza preliminare della dieta gli venne chiesto solo se riconosceva come suoi i libri che gli erano stati mostrati e se era disposto a ritrattarne le dottrine. Lutero chiese tempo e il giorno seguente rifiutò pubblicamente di ritrattare. Lutero lasciò Worms e il 25 maggio il testo di condanna di Lutero venne redatto: editto di Worms approvato all’unanimità. Le sue opere vennero messe sul rogo, ma sulla strada di ritorno Lutero venne “rapito” e messo al sicuro nel castello di Wartburg dove visse in segreto per dieci mesi.

Lutero a Wartburg visse delle crisi spirituali che poté superare con il lavoro intellettuale e soprattutto tradusse in lingua tedesca la Bibbia. Durante i dieci mesi del soggiorno di Lutero a Wittemberg operavano in sua vece i dei collaboratori, tra cui Carlostadio cui era stato affidato il compito di proseguire nell’azione della riforma, anche se Carlostadio assunse poi posizioni radicali.

La situazione a Wittemberg che stava per sfuggire di mano piegando verso esiti radicali spinsero Lutero a recarsi li dove in abito monastico iniziò una serie di prediche contro le novità radicali introdotte nella liturgia. Si creò uno scontro sul piano dottrinale tra Lutero e Carlostadio e iniziarono una serie di guerre che niente avevano a che fare con la religione. Ad esempio la guerra dei contadini.

Questa fu una sollevazione non causata principalmente dalla miseria e dalla disperazione contadina. Sui contadini però si riversavano le ripercussioni del superamento del sistema economico giuridico feudale e della conseguente fine delle loro antiche libertà. A soffiare sul fuoco della rivolta fu Thomas Muntzer il quale aveva inserito nelle tesi di Lutero elementi mistici e palingenetici. Nel Manifesto di Praga Muntzer annunciò la rinascita della nuova chiesa, la chiesa dello spirito e dei suoi eletti. Fondò inoltre una sorta di setta segreta, la Lega degli eletti,, comporta da minatori e tessitori. I primi violenti moti contadini si propagarono nel cuore tedesco dell’impero. L’insurrezione prese carattere di movimento militare. Nella Svevia vennero redatti i Dodici articoli.

Vi si rivendicava al primo punto il diritto di elezione dei parroci da parte delle singole comunità. Nel quarto e quinto si leggeva che saranno liberi per i contadini attività come l’uccellagione, la pesca e la caccia. Non si rifiutavano ne le prestazioni personali ne i tributi, si chiedeva solo che fossero ridotti.

Lutero aveva risposto ai dodici articoli con una Esortazione alla pace in cui appellava alla moderazione, facendo ricadere su di loro la responsabilità dei gravi torbidi in corso. Quando il movimento contadino era dilagato incontenibilmente Lutero all’inizio cambiò opinione ma poi li riaccusò imputandogli di coprire il Vangelo con questi loro delitti spaventosi e orribili, chiamandosi fratelli cristiani.

Fine: nel maggio del 1525 , Filippo d’Assia assediava Muhlhausen e inseguiva Muntzer a Frankenhausen forte di 8000 contadini. A fine maggio 5000 erano stati uccisi e M. decapitato. Clemente VII inviò un breve di congratulazioni ai prìncipi tedeschi per questa vittoria sui luterani veniva considerata luterana la rivolta dei contadini!!

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CAPITOLO 5. DIFFUSIONE E SVILUPPI DELLA RIFORMA

1.L’area baltica e tedesca

L’espansione a macchia d’olio del luteranesimo fu costante e non provocò nell’area baltica quelle tensioni che ci furono invece in occidente. Una prima spinta determinante verso il nord-est il luteranesimo la ebbe dal gran maestro teutonico Alberto di Brandeburgo. Tutta la Prussia e i territori dell’ex ordine teutonico divennero luterani. Ci furono dei profondi cambiamenti nei paesi scandinavi alla cui origine vi fu la disgregazione dell’unione di Kalmar che riuniva danesi, svedesi e norvegesi. La Riforma in Svezia e Finlandia non assunse carattere di contrapposizione al cattolicesimo. Più contrastata fu la situazione in Danimarca. La situazione religiosa fu istituzionalmente definita dalla Dieta di Odense del 1526 che spezzava la tradizione apostolica romana i vescovi danesi sarebbero stati consacrati dall’arcivescovo di Lund. In occasione di dispute pubbliche a Copenaghen venne sanzionato in pubblico il culto luterano accettando i 43 articoli della Confessio Hafniensis redatta dal Tausen.

Sud-ovest(Germania renana e Svizzera). Qui non ci fu un accettazione del luteranesimo cosi come era ma venne discusso e riformulato tanto da frastagliarne il profilo teleologico. Nelle città invece di Norimberga, Augusta e Strasburgo ci furono tre tipi diversi di diffusione. A diversificare gli esiti della diffusione sarebbe stata la presenza di preesistenti filoni di cultura e tensioni politiche legate al dilagare della guerra dei contadini.

a) Norimbergaci fu una rapida adesione di alcuni membri del consiglio cittadino al luteranesimo e la spinta venne da Osiander che però fu influenzato da Carlostadio e Muntzer lavorando alla tesi della giustificazione ex sola fide, tesi respinta da Lutero;

b) Augusta era inserita in un contesto politico territoriale particolare per la Germania: la cattolica Baviera dei duchi di Wittelsbach. Ad Augusta erano rimasti pochi cattolici grazie all’opera di propaganda luterana di Urbanus Rhegius. Non per questo il luteranesimo vi si affermò però. Ci fu infatti una forte diffusione dell’anabattismo tanto che Augusta divenne uno dei centri di maggiore diffusione europea dell’anabattismo;

c) Strasburgo sembrò rispecchiare la sua posizione geografica a metà strada da Wittemberg e Zurigo. Fu uno dei rari casi in cui la riforma si diffuse senza violenze e sotto il controllo delle autorità municipali con il pieno consenso cittadino. A questo sviluppo concorsero vari fattori: una particolare specificità dello spessore religioso cittadino, un senso di angoscia collettiva e una tolleranza religiosa frutto della cultura umanistica ed erasmiana.

2.Il contrasto dottrinale svizzero-tedesco e l’anabattismo

Una situazione analoga dal punto di vista geografico e culturale si ebbe nei cantoni e nelle città svizzere, in particolare a Basilea e a Zurigo. A Basilea la presenza di Erasmo esercitava un freno al dilagare delle polemiche e delle violenze che avevano inevitabilmente accompagnato la diffusione delle nuove dottrine. Si ebbe una svolta con l’arrivo in città di Ecolampadio, un dotto che aveva studiato nelle più importanti università europee e che aveva

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sperimentato come Lutero la vita monastica. Giunse a conclusioni dottrinali che gli valsero il plauso di Lutero ma non quello di Erasmo. Nel febbraio 1529 moti di piazza abbatterono il blocco conservatore rappresentato dal consiglio cittadino procedendo all’espulsione dei cattolici. Ad Ecolampadio fu affidato il compito di riorganizzare la vita religiosa cittadina.

Zurigo fu teatro dell’azione riformatrice di Ulrico Zwingli. Alla base della sua lettura di Lutero c’è un interesse umanistico, una curiosità intellettuale che non lo porta infatti ad aderire immediatamente al messaggio luterano. Furono piuttosto la lettura e l’analisi di fonti comuni anche a Lutero che portò Zwingli all’adesione alla giustificazione per sola fede come conseguenza della radicale corruzione del genere umano e alla Bibbia come unica fonte di verità rivelata. Le 67 tesi proposte da Zwingli come base di discussione convinsero il Consiglio a consentirgli piena libertà di predicazione evangelica; tuttavia non veniva ancora abolita la messa e quindi non si rompeva formalmente con la Chiesa romana.

La Riforma prese piede a Zurigo per gradi e per decreti dell’autorità politica; nel 1524 venivano soppressi pellegrinaggi e processioni; vengono tolte dalle Chiese immagini e reliquie e venne abolita la messa secondo la tradizione liturgica romana. Il 13 aprile 1525 fu celebrata per la prima volta la nuova messa. Ma se con ciò si era ormai lontani alla tradizione cattolica non si aveva ancora aderito al luteranesimo. Differenza con Lutero Zwingli aveva preso le distanze da Lutero sulla concezione dell’eucarestia e aveva diversamente interpretato il battesimo.

Per Lutero nelle specie eucaristiche del pane e del vino c’è comunque la presenza reale di Cristo, cambiava rispetto al cattolicesimo il metodo di spiegarla: non la transustanazione ma la consustazione. Nulla di tutto questo per Zwingli: le specie eucaristiche, pane e vino, rimangono tali senza la presenza di Cristo, servono a commemorare.

Riguardo al battesimo Zwingli e Lutero erano d’accordo sul battesimo degli infanti ma mentre per Lutero il sacramento del battesimo trasmette e suscita la fede anche dell’infante, per Zwingli il battesimo assume il significato di impegno e fedeltà.

Nascita in Svizzera dell’anabattismo. Letteralmente vuol dire negazione del battesimo ma viene usato per indicare tutti coloro che erano dissidenti delle chiese. L’anabattismo nasce nella cerchia di giovani intellettuali riuniti intorno a Zwingli. Questo gruppetto assunse però una posizione radicale distaccandosi da Zwingli e avvicinandosi al consiglio cittadino. L’atteggiamento di Z. e delle autorità zurighesi spinse allora il gruppo radicale a una decisione risoluta: una riunione la sera del 21 gennaio 1525 nel corso della quale i 15 rappresentanti i ribattezzarono a vicenda e celebrarono la cena come commemorazione della passione di Cristo. Nacque cosi la prima comunità anabattista. Il movimento iniziò quindi a diffondersi fuori Zurigo e il problema non rimase cosi solo svizzero.

Era diventata una questione europea che preoccupava le autorità religiose svizzere e tedesche, ma anche le autorità politiche di città e stati all’interno dei quali pullulavano queste comunità. Il loro letteralismo biblico comportava

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infatti una serie di conseguenze sul piano politico-sociale e militare. L’anabattista praticava la comunione dei beni, la non violenza, rifiutava l’uso della spada e del giuramento, non riconosceva dunque l’autorità politica. Il pacifismo era un atteggiamento pericoloso e inaccettabile da qualsiasi autorità politica. Zwingli per primo aveva avviato una serie di drastiche misure per frenare e punire l’attività degli anabattisti. ci fu una grande coalizione tra le autorità di Zurigo e quelle dei cantoni vicini tanto che tutti i più esponenti e propagatori dell’anabattismo vennero catturati ed esecutati. Il primo martire anabattista fu Felix Manz e ad emettere la sentenza era stato un tribunale laico non ecclesiastico.

3.Tentativi di composizione religiosa e politica

L’evolvere della situazione politica internazionale ( cap. 3 par. 5) comportò la necessità di una ricompattazione. Nella Dieta di Norimberga del 1524 si era già discusso tra fonti religiosamente contrapposti ma non ancora accorpati. Successivamente, l’impressione suscitata dalle rivolte contadine produsse all’interno dell’impero i primi agglomerati politico-religiosi interstatali: cattolico con la lega di Dessau e luterano con la lega di Gotha-Thorgau. Il fatto che la Santa Sede non fosse rappresentata alla Dieta di Spira agevolò una deliberazione detta formalmente “recesso” che ebbe del clamoroso: in attesa che il concilio universale venisse convocato e decidesse in merito alle questioni religiose, ogni principe territoriale tedesco doveva comportarsi riguardo al deliberato antiluterano di Worms, secondo responsabilità dinanzi a Dio e alla maestà dell’imperatore. Con ciò i prìncipi tedeschi avevano piena libertà all’interno dei loro Stati (anticipazione del principio cuius regio et eius religio).

Reazione Una nuova Dieta indetta nel marzo del 1529 da Carlo V ribaltò le precedenti decisioni. I cattolici in maggioranza votarono la condanna del deliberato della precedente dieta di Spira e il ripristino degli ordinamenti e istituzioni ecclesiastiche. Da allora gli aderenti al luteranesimo passarono sotto i nome di protestanti. Nell’estate si dette l’avvio a tentativi di accordo dottrinale tra confessioni luterana e zwingliana.

L’accordo si presentava teologicamente arduo: alle dispute dottrinali tra Lutero e Zwingli si erano aggiunte polemiche personali che non consentirono di pronosticare esiti favorevoli ai colloqui. Incontro di entrambe le parti a Marburgo nei primi giorni di ottobre del 1529. Lutero e Zwingli vi parteciparono accanto ai loro consiglieri e teleologici ( Melantone e Sturm). L’impresa non riuscì sul punto della presenza o meno di Cristo nelle specie eucaristiche. Dei 15 punti di discussione solo l’ultimo separò, senza possibilità di recupero, la dottrina zwingliana da quella luterana.

Convocata l’8 aprile del 1530 ed inaugurata il 20 giugno seguente, la Dieta di Augusta vedeva tornare l’imperatore in Germania dopo nove anni. Carlo V trovava un territorio imperiale non solo religiosamente ma politicamente e socialmente sconvolto. La dieta doveva trattare non solo del problema religioso, ma anche della guerra ai turchi e relativi sussidi economici. Per parte cattolica era presente ad Augusta il cardinal Lorenzo Campeggio e aveva suggerito come soluzione una rigorosa attuazione dell’editto di Worms. La rappresentanza protestante fu affidata a Filippo Melantone che lavorò alla

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stesura di un testo-base. Venne redatta la Confessio augustana composta da 28 articoli. Sui punti di scontro con la tesi cattolica gli articoli della Confessio erano stati redatti in termini più blandi. Anabattismi e spiritualisti venivano espressamente condannati. Il testo poteva essere un buon punto di incontro tra le parti, ma rispondeva più alle aspirazioni di Melantone che non alla realtà dottrinale protestante. I controversisti cattolici avevano raccolto ben 404 proposizioni luterane da far condannare. La Dieta di augusta si concluse acuendo i contrasti che all’inizio si erano voluti celare.

Carlo V nel novembre promulgò il recesso della dieta che obbligava, sotto pena di morte, all’osservanza nell’Impero del culto e della dottrina cattolica proibendo l’introduzione di ulteriori innovazioni rispetto all’antica fede. Ai protestanti concedeva tempo fino al 15 aprile 1531 per riflettere ed adeguarsi. Il 23 febbraio 1531 veniva allora costituita la Lega di Smalcalda sottoscritta da Filippo d’Assia e Giovanni di Sassonia,da Ernesto di Luneburg, Wolfang di Anhalt e i rappresentanti di undici città libere. Vano fu il tentativo di Federico d’Assia di far aderire Zwingli e i cantoni protestanti svizzeri alla Lega.

4.Sètte radicali e istituzione calvinista

Le regioni più lontane dal potere centrale imperiale offrivano, come nel caso della Moravia, situazioni politiche religiose locali, ad esempio la convivenza di più religioni ( hussita, luterana e cattolica).

Situazione diversa nei territori centro-settentrionali dell’Impero: in Westfalia fino ai Paesi Basssi. L’anabattismo vi si diffuse solo dal 1530 ed ebbe anche caratteri particolari sopraggiunti, perché a diffonderlo in tutta questa area fu Melchior Hofmann che impregnato nello spirito strasburghese conferì notazioni escatologiche e profetiche finallora estranee all’anabattismo europeo.

A Munster, la diffusione del luteranesimo aveva generato una nuova oligarchia cittadina, di estrazione borghese, che si era aggiunta a quella precedente cattolica. Popolo minuto e proletariato urbano, ostili ad entrambe le oligarchie cittadine, furono facilmente permeati dal nuovo carattere dell’anabattismo. Al crescere delle tensioni socio religiose, gli anabattisti locali, si armarono occupando la piazza principale della città. Caso Munster Nel timore di una guerra,luterani e cattolici iniziarono ad abbandonare Munster mentre vi accorrevano gli anabattisti dei territori vicini. Il vescovo iniziò allora i preparativi militari per l’assedio. Le elezioni per il rinnovo del Consiglio municipale tenute il 23 febbraio, determinarono cosi la facile vittoria anabattista. Il giorno dopo Jan Matthys era a Munster deciso a farne la Nuova Gerusalemme. Confiscati prima i beni dei miscredenti, fu instaurato il comunismo di consumo e si giunse ad abolire anche il possesso privato; denaro ed oggetti preziosi furono ammassati a disposizione dell’autorità. A Matthys gli successe Jan Bockelson che impose la poligamia come possesso comune delle donne. La vita a Munster si spegneva in orge di sesso e sangue.

Il 5 agosto i536 Giovanni Calvino entrava a Ginevra.

Formazione: Francese, nato nel 1509 a Noyon in Piccardia da una famiglia borghese benestante, studiò a Parigi; passò dalla formazione teologica

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(antiluterana) a quella giuridica. Dal contatto con il cugino Pietro Robert, ormai luterano, ebbe i primi approcci con le nuove dottrine religiose. Tornato a Parigi nel 1532 era conquistato dal luteranesimo. A parigi fu subito coinvolto nelle accuse di eresia. Lasciata la Francia sotto falso nome, soggiornò a Strasburgo e Basilea entrando in contatto coi protagonisti delle lotte di religione. A Basilea collaborò all’edizione protestante della Bibbia e in proprio pubblicò nel 1536 un piccolo trattato di teologia sistematica, L’institutio christianae religionis. Calvino si recò a Ferrara per far visita alla moglie del duca d’Este, Renata di Francia che proteggeva una segreta accolita protestante. Mentre tornava a Basilea fece una visita in Francia da cui poi doveva raggiungere Strasburgo. Ma la strada più diretta per Strasburgo era interrotta a causa della guerra tra Carlo V e Francesco I, e quindi deviò per Ginevra.

Situazione a Ginevra: solo da pochi mesi, nel maggio del 1536, i ginevrini avevano votato di voler rivivere secondo il vangelo, cioè di accettare in città il luteranesimo. Sul tessuto religioso cittadini la propaganda protestante si scontrava con la resistenza cattolica. Calvino era dunque giunto in città dopo il voto cittadino. Fu allora che Farel, saputo del suo arrivo, gli impose di restare a Ginevra per continuarvi l’opera di confermazione della fede protestante. Calvino ebbe in quella circostanza l’incarico di lettore della Sacra Scrittura . Insieme a Farel presentò una Confessione di Fede da far giurare a tutti i cittadini, pena l’espulsione dalla città. il testo dette però luogo a reazioni non solo politiche ma anche religiose da parte di Berna, schierata su posizioni più zwingliane. Dal 1538 la nuova composizione del Consiglio municipale ginevrino, ostile a Calvino e Farel provocò tensioni che portarono alla decisione di espellerli dalla città. Strasburgo allora tornò ad essere la meta di Calvino. Vi entrava nel 1538 e poté cosi completare l’iter del suo percorso teleologico rimasto allora sostanzialmente luterano. Da Strasburgo fu anche chiamato a riprendere contatti con Ginevra dopo una lettera che il vescovo di Carpentras aveva indirizzato a Ginevra esortandola a tornare al cattolicesimo. Il Consiglio cittadino chiamò allora Calvino a rispondere. Dopo la sua lettera di risposta dove puntualizzava sulla corruzione della Chiesa romana fu invitato a tornare a Ginevra nel 1540 dopo la vittoria dei guglielmini ( sostenitori di Guglielmo Farel). Dopo due mesi di lavoro ebbe l’approvazione dal consiglio delle sue Ordinanze ecclesiastiche. La chiesa ginevrina veniva affidata alle cure di quattro diversi ministeri :

Diaconi; Anziani; Dottori; Pastori

La compagnia dei pastori insieme a 12 anziani costituì il Concistorio, che divenne il massimo organo direttivo e decisionale della Chiesa ginevrina e che entrò in contrasto con il Consiglio cittadino.

Posizione dottrinale( Calvino): ferme rimanevano le fondamenta comuni che, dalla concezione antropologica pessimistica portavano alla necessità di una salvezza esterna al genere umano, alla negazione di opere meritorie e del libero arbitrio e dunque alla giustificazione per sola fede e alla predestinazione. Il Dio che manifestava attivamente e terribilmente la sua sovranità sul crreato

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non si limitava a giustificare, tramite Cristo, i predestinati alla salvezza, lasciando agli altri ad un inevitabile destino di dannazione conseguente alla concessione della grazia. Propriamente dunque li condanna con un decreto orribile e irrevocabile alla dannazione eterna.

Cercò di costruire un ponte tra strasburghesi e zwingliani. La sua concezione di una comunione reale con il corpo e sangue di Cristo senza la presenza materiale del cristo nelle specie eucaristiche, ma anche senza l’adesione alla funzione memoriale della cena( zwingliana) ne faceva una nuova e autonoma posizione. Esclusa ogni presenza reale di cristo nelle specie eucaristiche la cena assumeva valore simbolico e significativo nel nutrimento di fede delle anime dei credenti.

Per l’ideologia politica si trovò più vicino alle tesi zwingliane. In comune c’era sempre la concezione dell’autorità che surroga il proprio potere legittimante alla Sacra Scrittura e che richiede obbedienza. Lutero invece non consentiva una resistenza all’autorità politica, mentre Zwingli e Calvino ammettono la liceità della resistenza, dell’opposizione attiva e del tirannicidio. Quando dunque, per Calvino, un’autorità politica contravviene al precetto di render gloria a Dio e ne ostacola la vera religione, è ammessa la resistenza. Resistenza cui però non può concorrere in prima istanza il popolo: questo gravoso compito spetta ai magistrati subordinati, cioè autorità istituzionali e solo quando esse vengono meno possono proporsi i singoli fedeli.

5.Lo scisma anglicano

Non si può parlare, in termini storicamente corretti di riforma anglicana. L’Atto di supremazia di Enrico VIII non è assimilabile alla riforma protestante. Fu uno scisma senza eresia. Ne si deve però credere che al rifiuto dell’obbedienza romana Enrico VIII sia giunto per contingenti motivi personali come l’amore per Anna Bolena. Neppure era un problema di contrapposizione di vertice. La diffusione del luteranesimo non era di agevolamento per la Corona. Nel Parlamento, la forte componente borghese, aveva preso di mira la persona di Thomas Wolsey, che assommava le importanti cariche religiose e politiche di arcivescovo di York e per 15 anni governò l’Inghilterra accanto a Enrico VIII.

Problema matrimoniale: Enrico VIII a 18 anni ( 1509) aveva sposato sua cognata, Caterina d’Aragona, zia di Carlo V. Dalla nuova unione era sopravvissuta solo Maria. Già innamorato di Anna Bolena, preoccupato per la mancanza di un erede maschio, iniziò a pensare alla possibilità di far dichiarare nullo dalla Chiesa cattolica il suo matrimonio. Due passi del Vecchio Testamento erano in contrapposizione tra loro : il Deuteronomio era favorevole a matrimoni con la moglie del fratello. Mentre il Levitico la dichiarava una cosa illecita. Enrico VIII intendeva ovviamente considerare la posizione del Levitico. Assai cauto fu comunque il comportamento romano e del pontefice. Nel giugno 1528 fu inviato a Londra il cardinal legato( Lorenzo Campeggio) per l’istruzione in loco del processo di nullità matrimoniale e gli fu raccomandato di rallentare il più possibile il viaggio nella speranza che il Re cambiasse idea ( speranza vana).

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In questo contesto fu convocato il Parlamento che fu detto Parlamento della Riforma. Ottennero subito la decisione di condannare a morte per lesa maestà e alto tradimento, Wolsey. Venne nominato al posto suo Thomas More ( primo non ecclesiastico). A succedere all’arcivescovo di Canterbury, William Warham, venne chiamato Thomas Cranmer che era certo sospetto di posizioni filo luterane. In più ci fu l’ascesa di un filo luterano Thomas Cromwell. Con l’Atto si sottomissione 1532 la chiesa inglese fu privata della potestà legislativa in campo religioso-spirituale. Nel 1533 Enrico VIII sposava segretamente Anna Bolena e solo successivamente un tribunale ecclesiastico locale, presieduto dal Cranmer dichiarava la nullità del precedente matrimonio. Il Papa l’11 Luglio 1533 dichiarò nullo il matrimonio con Anna Bolena e scomunicò il Re. Enrico VIII regolò la successione al trono, con l’Atto di successione dichiarando figlia illegittima la figlia di Caterina d’Aragona e dichiarando la successione al trono in favore di Elisabetta, figlia di Anna Bolena. Il 3 Novembre 1534 veniva promulgato l’Atto di supremazia con cui Enrico VIII assumeva titolo di capo supremo sulla terra della Chiesa di Inghilterra. Nasceva con ciò la chiesa anglicana senza che sul piano dottrinale vi fosse stata alcuna controversia con la Chiesa romana. Nel frattempo, nel 1536, Anna Bolena che non aveva dato il tanto atteso erede maschio, veniva accusata di adulterio e tradimento e venne decapitata il 19 maggio del 1936. Ma Enrico VIII ormai si era innamorato di Jane Seymour. Successivamente Enrico VIII tentò di dare allo scisma un profilo dottrinale. Emanò lo Statuto dei dieci articoli basato su: riduzione a tre del numero dei sacramenti, giustificazione ex sola fide, critica e culto delle immagini. Con la pubblicazione del Bishop’s Book viceversa condannava la giustificazione ex sola fide e ripristinava i documenti secondo la dottrina cattolica. Con lo Statuto dei sei articoli riconobbe il valore transustanziale dell’eucarestia; rifiuta la pratica liturgica sub utraque specie; obbliga al celibato sacerdotale secondo la più ortodossa dottrina cattolica. Lo scisma aveva insomma conservato un carattere antiromano solo sul piano politico.

CAPITOLO 6. L’EUROPA DEI CONFLITTI

1.l’impero ottomano e gli Asburgo

Anche l’Impero ottomano basava la propria pretesa universalistica sulla religione che costituiva un potente fattore di coesione sociale giacchè era considerata un complesso di norme che investivano tanto l’esistenza spirituale quanto quella civile, giuridica e politica. Il cristianesimo e l’islamismo condividevano la certezza di possedere ciascuno l’autentica verità divina; la fede islamica tuttavia incitava all’ingrandimento territoriale attraverso il principio della guerra santa, consistente nel diffondere con le armi il credo musulmano in base al quale chi combatteva in nome di Allah era un martire destinato al paradiso. Tuttavia la conquista del mondo non implicava, come nel caso del cristianesimo, la conversione forzata degli infedeli : verso gli ebrei e i cristiani sottomessi i musulmani rimasero tolleranti.

L’esercito prevedeva un originale e duplice sistema di reclutamento. Il grosso delle truppe era formato dai sipahi (cavalieri) che fornivano le prestazioni militari in cambio di un feudo vitalizio il timar. L’altro metodo di reclutamento era presentato dall’arruolamento forzato di schiavi provenienti non solo da famiglie turche non di rango e dai cristiani fatti prigionieri di guerra, ma anche

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da ragazzi regolarmente prelevati da famiglie cristiane. Larga parte del personale civile amministrativo era formato dalla schiavitù intesa però come stato di devozione totale al sultano.

Da almeno due secoli questa struttura aveva consentito conquiste lungo tre direttrici:

Penisola balcanica; Mar Nero; Mediterraneo e confini orientali dell’Impero

Pur consentendo questa incontenibile serie di conquiste, l’impero ottomano presentava al suo interno crepe che con il passare deli secoli sarebbero diventate più profonde. Nel suo momento di maggior rigoglio l’Impero ottomano era già stato economicamente superato dagli Stati cristiani europei. L’assenza di una stabile aristocrazia terriera, a causa della non ereditarietà dei feudi, implicò la mancanza di una classe in grado di controbilanciare l’assolutismo del sultano. La classe socialmente dominante era il ceto costituito dagli ufficiali dell’esercito, dagli alti funzionari e dai religiosi. Vertice indiscusso di questo sistema era il sultano con il potere assoluto. Un punto debole era la mancanza di regole per la successione al sultanato.

Durante il regno di Salimano II ( 1520-1566) la potenza e la civiltà islamica raggiunsero l’apogeo. Fece di Istanbul una grande città e un punto di confluenza tra la cultura occidentale e quella orientale; perfezionò il sistema amministrativo e intensificò la politica dei suoi predecessori dal punto di vista espansionistico.

Per quanto la resistenza asburgica riuscisse nel complesso a contrastare l’avanzata turca sul fronte balcanico, per tutti gli anni 20 Carlo V fu troppo assorbito dal problema tedesco e dalla guerra con la Francia per condurre un’effettiva politica anti ottomana. (VEDERE CONQUISTE- PAG 180-181)

2.Il quadro europeo

La Francia tra il 1532 e il 1533 aveva consolidato i contatti con l’impero ottomano. Clemente VII era in contrasto con gli Asburgo per la mancata acquisizione del ducato di Ferrara e delle città di Modena e Reggio. In questo contesto in rapida evoluzione, solo provvisori apparvero i successi ottomani nei Balcani e a Tunisi. Nei Paesi Bassi, la politica di consolidamento delle frontiere settentrionali dell’Impero, coinvolse Carlo V nelle travagliate vicende dell’Europa marittima del nord. Qui infatti la fine dell’unione di Kalmar, con l’indipendenza della Svezia e l’introduzione del Luteranesimo in entrambi i paesi venne a sovrapporsi alla preesistente concorrenza economica e commerciale nell’area del Mar Baltico tra i Paesi Bassi, le città anseatiche e i regni scandinavi, determinando una serie di conflitti. Gli interessi economici dei Paesi Bassi nel Baltico impedirono consistenti aiuti al decaduto re danese che pur di avere l’appoggio imperiale, rinunciava alle sue iniziali simpatie per il luteranesimo ritornando nel 1530 alla religione cattolica.

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Lo scenario in Germania rimaneva per Carlo V tra i più preoccupanti. Qui il problema religioso sorto con Lutero interferiva sia sulla questione della riforma costituzionale tedesca, sia sulle scelte politiche internazionali. I prìncipi tedeschi avevano rafforzato la propria sovranità territoriale. Per controllare meglio questa critica situazione e per fronteggiare più efficacemente l’avanzata turca, Carlo V, aveva ottenuto nel 1531 l’elezione del fratello Ferdinando a re dei romani, dividendo così di fatto i domini imperiali i due aree: la spagnola e la tedesca. Ma questo fomentò la tenace opposizione antiasburgica della stessa cattolica Baviera che non aveva esitato ad allearsi in quello stesso anno 1531 con gli smalcaldici.

13 Ottobre 1534: elezione al soglio pontificio del cardinale Alessandro Farnese con il nome di Paolo III. Desideroso di restituire al papato quel prestigio politico e religioso gravemente intaccato negli anni di Clemente VII, il nuovo pontefice abbracciò subito una politica di palese neutralità tra le grandi potenze, rifiutando da una parte le richieste di aiuto di Francesco I per riconquistare Milano e dall’altro gli inviti di Carlo V a rinnovare l’alleanza con l’impero. L’altro obiettivo che il pontefice si era prefisso era quello di contenere l’allarmante espansionismo islamico.

Furono molti però a mostrare scetticismo, disinteresse o ostilità verso questa nuova politica della Santa Sede. Scettico era sicuramente Carlo V che interpretò la neutralità pontificia come una comoda maschera per favorire i francesi. Venezia appariva tutt’altro che disponibile ad abbandonare la politica di cauta amicizia con il Levante. L’Inghilterra era ormai in aperta rottura con il papato soprattutto dopo la nascita del tanto atteso erede maschio da Jane Seymour , ma soprattutto la Francia non intendeva incoraggiare mediante il concilio un eventuale ricomposizione religiosa tedesca a tutto vantaggio degli Asburgo né una qualunque guerra con gli ottomani. Paolo III non poteva che rinviare i progetti contro i turchi e cercare di costruire la pace franco-asburgica tentando di aprire il dialogo verso il mondo protestante.

Le relazioni pontificio – asburgiche peggiorarono sensibilmente e quando nell’aprile del 1536 Carlo V giunse a Roma, pur raggiungendo un provvisorio accordo per l’apertura del concilio, tenne un memorabile discorso nel quale protestò pubblicamente contro la neutralità della Santa Sede.

3.Il nuovo conflitto franco-asburgico

Il 1 novembre 1535 la morte senza eredi del duca di Milano Francesco II Sforza, aveva portato di nuovo alla ribalta lo spinoso problema della successione al ducato milanese, rivendicato da sempre dalla Francia. Per quanto appoggiato ora anche dall’Inghilterra, oltre che dai Turchi, Francesco I non riuscì a conquistare il milanese. La ripresa delle ostilità fu ovviamente un colpo grave per Paolo III che convocò il Concilio per l’anno successivo a Mantova. Questa decisione si rivelò un insuccesso, diretto a rilanciare gli sforzi diplomatici per la pace: nel 1537 infatti la Lega di Smalcalda non poteva non rigettare come una condanna preventiva la definizione di preste dell’eresia luterana contenuta nella bolla papale di convocazione al concilio. A facilitare gli sforzi di Paolo III fu nel 1537 il crescente consenso per la creazione di una lega antimusulmana

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dovuto alle voci di un imminente arrivo nel Mediterraneo della flotta turca in appoggio di Francesco I.

Quando Venezia si decise ad accettare la creazione di una lega antiturca, Francesco I potè misurare quanto la sua politica di alleanza con gli ottomani, avesse prodotto il non piacevole risultato di riavvicinare sempre più i veneziani, Paolo III e Carlo V. Inevitabile fu a quel punto avviare le trattative di pace franco-asburgiche che, dall’armistizio di Moncon ai colloqui di Leucade rischiarono di emarginare lo stato pontificio e determinarono perciò una vigorosa iniziativa diplomatica di Paolo III che riuscì a far incontrare Carlo V e Francesco I a Nizza. La tregua di Nizza congelò la situazione di fatto stabilendo un armistizio di dieci anni e non quella pace generale a cui aspirava Paolo III. Per quanto riguarda Milano, l’imperatore decide unilateralmente di assegnare il ducato al figlio Filippo facendo crollare le speranze francesi.

Lega anti turca: Carlo V, Ferdinando d’Asburgo, Venezia e lo Stato pontificio ( Lega santa dell’ 8 febbraio 1538). All’interno della lega c’erano però molte divisioni. Carlo V avrebbe voluto rinviare di un anno la spedizione anti turca. La spedizione venne invece organizzata nel 1538 .

Nonostante la tregua di Nizza e la lega santa Paolo III sembrava aver fallito i suoi obiettivi : definitiva pacificazione franco asburgica e unità dell’Europa cristiana contro l’Islam.

Fu nel 1539 che si giunse all’accordo tra la Lega di Smalcalda e Carlo V, accordo di Francoforte, con cui si decise di tenere di lì a poco una conferenza religiosa per cercare di appianare le divergenze dottrinali tra protestanti e cattolici. Iniziati nel 1540 a Spira gli incontri tra i teologi riformati e cattolici, avvennero alla presenza di Ferdinando d’Asburgo. Né uscì un sostanziale passo in avanti nel dialogo tra le due confessioni, tanto che Carlo V, di nuovo minacciato dai turchi in Ungheria, si recò pieno di speranze alla Dieta convocata a Ratisbona per il 6 gennaio 1541. L’impossibilità di un’intesa dottrinale fu chiara sul tema dell’eucarestia. Fu allora che Paolo III comunicò l’intenzione di convocare un concilio il prima possibile. Il fallimento dei colloqui di Ratisbona chiuse per sempre le speranze di una riconciliazione dell’Europa cristiana e non lasciò grandi margini all’azione di Paolo III che non ottenne l’auspicata pace definitiva.

Inutile fu la convocazione del Concilio a Trento respinta da Carlo V per non irritare i prìncipi tedeschi protestanti. Le relazioni con Roma giungevano al limite della rottura per il riavvicinamento del pontefice a Francesco I. Nel 1543 le pessimistiche previsioni di Paolo III sembrarono avverarsi.

Conflitto Carlo V attaccò direttamente la Francia. Francesco I non riuscì a rovesciare le sorti della guerra anche a causa della contemporanea invasione subita ad opera dell’Inghilterra. L’offensiva di Carlo V, giunto alle porte di Parigi, si fermò per la fulminea stipulazione della pace di Crepy ( 1544). Con questa pace la Francia e l’impero si accordarono per una soluzione diplomatico-dinastica: il figlio di Francesco I, Carlo d’Orleans, avrebbe sposato una principessa asburgica acquisendo cosi i Paesi Bassi, oppure l’arciduchessa Anna d’Austria, figlia di Ferdinando d’Asburgo, nel qual caso avrebbe ereditato il

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ducato milanese. La pace di Crepy raffreddò ulteriormente i rapporti tra Carlo V e Paolo III. In realtà Carlo V non avrebbe ceduto Milano così facilmente.

La morte prematura di Carlo d’Orleans, permise a Carlo V di svincolarsi dagli accordi di Crepy e di confermare l’annessione del ducato di Milano ai domini spagnoli.

4.La guerra di Smalcalda

Alla rapida conclusione della pace di Crepy, Carlo V era stato spinto dall’aggravarsi della situazione politico – religiosa della germania che lo aveva costretto di nuovo quell’anno a largheggiare alla Dieta di Spira concessioni ai protestanti in cambio del loro sostegno finanziario e militare contro i turchi. Ma una volta stipulata la pace egli potè finalmente affrontare la questione tedesca sullo sfondo di una situazione internazionale favorevole. Oltre alla Francia, si erano riappacificati con l’Impero anche i Danesi e Solimano il Magnifico. Paolo III aveva riconvocato il concilio , ma proprio l’apertura del concilio restrinse i margini di trattativa tra Carlo V e la Lega di Smalcalda, la quale costituiva una minaccia per quei principati gravitanti nell’area di Westfalia. Carlo V decise quindi di muovere guerra alla Lega di Smalcalda: raccolse in Germania i suoi eserciti, appoggiati dalle truppe pontificie e avviò una guerra che per la prima volta vedeva contrapposti in Germania un imperatore e i prìncipi territoriali protestanti. Carlo V inflisse una sconfitta agli smalcaldici a Muhlberg.

5.Carlo V e l’Italia : un’egemonia difficile

Proprio quando otteneva i suoi più importanti successi in Germania, Carlo V doveva subire una recrudescenza dell’iniziativa francese in Italia. Oltre che dalla scena politica internazionale, le tensioni che misero a repentaglio il predominio asburgico traevano in buona parte origine dalle profonde trasformazioni della società italiana che continuava ad essere scossa dalle ripercussioni di quei processi di oligarchizzazione giunti ormai a maturazione. Si rafforzò la tendenza a restringere gli accessi ai consigli municipali e alle cariche governative da cui furono del tutto esclusi i ceti popolari. Si costituirono in tal modo i patriziati cittadini, ceti non necessariamente omogenei per provenienza sociale, ma unificati dalla detenzione del potere politico.

Da simili conflittualità andò esente, chi, come Venezia, aveva da tempo stabilito il potere del patriziato e salvaguardato la propria indipendenza anche se al prezzo di una rinuncia di ogni residua ambizione di espansione in terraferma. Ridimensionata quindi nel suo ruolo di protagonista politica, Venezia ripiegò sul piano culturale: mitizzò il proprio passato con il letterato e umanista Pietro Bembo che redisse una storia della Repubblica.

Diversa invece la realtà milanese dove l’avvento spagnolo nel 1535 e la pace che ne seguì produssero una graduale ripresa economica. Qui la Spagna dovette piuttosto affrontare i problemi di un riordinamento legislativo e di riassetto politico-istituzionale per legare a sé i patriziati cittadini e soprattutto quello del capoluogo. A Milano il rapporto privilegiato con l’oligarchia fu perpetuato mantenendo in vita il Senato, creato da Luigi XII, e composto per 1/3 da spagnoli e per il resto da patrizi milanesi e dotato di ampie competenze

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giudiziarie, amministrative e legislative. Questa autonomia lasciata agli organi di governo cittadino fu però controbilanciata da un forte centralismo spagnolo che diete luogo a un dualismo istituzionale tra il Senato e le magistrature milanesi da una parte, e il sovrano asburgico e il governatore spagnolo dall’altra. Quest’ultimo in particolare richiudeva in sé amplissimi poteri di governo e di suprema giustizia che non mancarono di suscitare contrapposte rivendicazioni autonomistiche del patriziato, mai debordate però in aperta ribellione.

Altrove nell’Italia settentrionale non ottenne grandi benefici dall’egemonia imperiale, neanche chi sembrò inizialmente tranne qualche profitto. Fu il caso del duca di Savoia, Carlo III che passato dalla subordinazione alla Francia alla neutralità, guadagnò la contea di Asti ; ma ciò non impedì allo stato Sabaudo di perdere i possedimenti ginevrini a vantaggio degli Svizzeri; né permise al duca di ottenere il Monferrato.

Espressione sintomatica dell’intreccio che venne stabilendosi dalla preponderanza imperiale e le dinamiche interne dei singoli stati era stata invece nel 1528 l’improvvisa svolta filoasburgica impressa alla Repubblica di Genova da Andrea Doria. Produsse una riappacificazione della classe dominante genovese che da tempo era lacerata da estenuanti conflitti tra i cosi detti nobili ( famiglie più antiche dedite ad attività bancarie e navali) e i mercanti e artefici ( famiglie di più recente ricchezza acquisita con la produzione ed il commercio di tessuti. )

Carlo V aveva ormai il ruolo di arbitro nelle vicende dell’Italia.

La repubblica di Lucca finì per chiedere la protezione asburgica. Ma in esiti più drammatici finì la repubblica di Siena. Proprio Siena fu oggetto dal 1537 di un duraturo contrasto tra Cosimo I de’ Medici, impegnato a proseguire la politica fiorentina tradizionale di assoggettamento della Toscana, e Paolo III intenzionato ad acquisire il territorio per unirlo ai possedimenti feudali farnesiani abruzzesi e laziali costituendo così uno stato antimediceo. Carlo V decise di perpetuare il governo mediceo poiché la convergenza di interessi tra il pontefice e gli esuli fiorentini legati alla Francia gli apparve più pericolosa.

Fu da questi propositi che nacque nel 1545 la decisione di Paolo III di concedere a suo figlio Pier Luigi Farnese il titolo ducale per i territori di Parma e Piacenza con il duplice obiettivo di difendere le terre ecclesiastiche nel settentrione e controllare il particolarismo della feudalità locale, impedendone eventuali alleanze con gli Asburgo. La politica accentratrice del Farnese provocò nel ducato una forte resistenza nobiliare subito sostenuta dal governatore di Milano, Fernando Gonzaga. Nel 1545 ci fu una congiura (organizzata con il consenso di Carlo V ) che uccise Pier Luigi Farnese, cui seguì l’occupazione imperiale di Piacenza che smembrò in due parti il Ducato. Il figlio di Pier Luigi, Ottavio Farnese cercò allora in tutti i modi di ottenere l’eredità ducale dallo zio pontefice, che tuttavia si oppose alle ispirazioni del nipote per la sua parentela con Carlo V, preferendo reintegrare Parma nei domini ecclesiastici.

Nel Regno di Napoli la tensione si era manifestata nel dualismo istituzionale tra il viceré e i due principali organismi del baronaggio : l’antico parlamento e il

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Consiglio collaterale. Negli anni ’20 lo sforzo della monarchia di raggiungere un compromesso con i feudatari si era già rilevato fallimentare. Alla dura repressione avviata dalla Spagna contro la feudalità francofila era seguita, con la nomina a viceré nel 1532 del castigliano Pedro Alvarez de Toledo, un’intensa opera di accentramento statale, di riordinamento amministrativo e di disciplinamento sociale che aveva colpito il baronaggio. Il baronaggio napoletano sfruttò ripetutamente le richieste finanziarie spagnole per farne oggetto di contrattazione politica e preservare così i propri privilegi. La decisione nel 1547 di introdurre l’inquisizione spagnola a napoli provocò la reazione della popolazione con una serie di tumulti. I moti anti inquisitoriali convinsero Carlo V a ritirale il provvedimento.

6.Verso la pace

Il 1547 fu fondamentale non solo per la sconfitta della lega di Smalcalda ma anche per gli avvenimenti che coinvolsero l’intera Europa. Quell’anno infatti Ferdinando d’Asburgo stipulava con i turchi una tregua per l’Ungheria. Nello stesso anno scompariva Francesco I e sul trono francese saliva il figlio Enrico II. Ad incoraggiare i progetti francesi anti asburgici furono soprattutto le rinnovate possibilità di alleanza con i prìncipi protestanti tedeschi. Fu proprio l’alleato di Carlo V, Maurizio di Sassonia, che si riavvicinò agli stati protestanti e ad Enrico II. Nell’ottobre 1551 si concludeva a Lochau un accordo tra la Francia e i prìncipi tedeschi per il quale in cambio di aiuti finanziari furono promesse ad Enrico II le città di Cambrai, Metz, Toul e Verdun.

Nuovo pontefice Giulio III ( 1550-1555). Ricominciano i lavori conciliari per la risoluzione della questione di Parma e Piacenza. Il 29 Aprile 15522 si sottoscrisse un accordo per cui Parma tornava ad Ottavo Farnese e Castro al fratello, Orazio.

Con ciò Giulio III rese possibile la prosecuzione dei lavori conciliari cui Carlo V teneva in maniera particolare e ai quali per la prima volta partecipavano anche i principi di alcune città protestanti tedesche. Ma fu l’illusione di un momento. Non solo la presenza dei protestanti a Trento si risolveva con nulla di fatto, ma l’alleanza della Francia con i prìncipi protestanti riaprì la guerra in Germania.

Germania qui tra marzo e aprile 1552, le truppe francesi conquistavano i territori di Metz, Toul e Verdun mentre la Franconia e la Svezia erano invase da Maurizio di Sassonia. Il 28 aprile del 1552 il concilio a Trento chiudeva di nuovo i battenti. Maurizio di Sassonia abbandonò l’alleanza con la Francia per avvicinarsi a Ferdinando d’Asburgo, ponendo cosi le premesse per quell’accordo confessionale in Germania che avrebbe trovato definitiva sistemazione tre anni dopo ad augusta. Nell’agosto 1552 la Pace di Passau stabilì una tregua. Una serie di eventi portarono Carlo V a dover giungere a una pacificazione generale con la quale si chiudeva per sempre il sogno universalistico.

Il 25 settembre 1555 la Pace di Augusta, negoziata da Ferdinando d’Asburgo, diede una tregua definitiva alla questione religiosa con il principio cuius regio, eius religio ossia dando ai singoli stati e alle città libere dell’impero il potere di scegliere le confessioni, luterane o cattoliche e imponendole ai sudditi.

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La pace di augusta falliva anche l’idea di una Riforma universale di Lutero, dando spazio al principio della divisione e del particolarismo. Può considerarsi la prima tappa del processo di formazione della Germania moderna sancito poi dalla pace di Westfalia del 1648 eliminando per sempre la prospettiva di creare uno stato assolutistico e centralizzato. L’impero però grazie alla soluzione federale decisa ad Augusta, continuò ad esistere e a funzionare in quanto unitaria realtà sovrastatale preposta alla salvaguardia della difesa verso l’esterno, garantendo in tal modo l’unità politica della nazione tedesca.

Ciò che crollava ad augusta, non fu quindi l’Impero in quanto tale, che riuscì a sopravvivere, ma l’idea di una monarchia universale estesa sull’intera cristianità europea coltivata da Carlo V, il quale prese dolorosamente atto della nuova realtà decidendo di abdicare a tutte le sue corone e di sistemare una volta per sempre il conflitto con la Francia.

Il 16 gennaio 1556 Carlo V abdicava a favore del figlio cedendo i regni spagnoli. Successivamente stipulò una tregua quinquennale con Enrico II e infine la corona imperiale andava al fratello Ferdinando. Carlo V sanzionava cosi la fine della sua ambiziosa politica imperiale, parzialmente riuscita nello sforzo di contenere la temibile spinta espansionistica turca e di soppiantare i francesi nel dominio dell’Italia. Sale inoltre al soglio pontificio il cardinale Giampietro Carafa con il nome di Paolo IV (1555-1559).

Le ragioni che spingevano Paolo IV contro gli asburgo erano di carattere politico e religioso. Fin da vescovo si era opposto all’impero considerandone la tentata politica di conciliazione con i luterani tedeschi come un motivo di incoraggiamento del protestantesimo.

Piano di Paolo IV: lotta all’eresia, programma di riforme, rilancio dell’autonomo ruolo politico dello stato pontificio.

Il papa agì con una politica di alleanza verso la Francia, e una guerra contro gli alleati alla Spagna nello stato pontificio, la famiglia dei Colonna. Filippo II allora manda una spedizione nel Regno di Napoli per recuperare i domini collonesi: le truppe comandate dal duca d’Alba invadevano le terre ecclesiastiche e conquistavano una parte della campagna romana. Paolo IV fu costretto ad un breve armistizio. A questo punto avrebbe voluto dirigere l’attacco contro il napoletano mentre Carlo Carafa preferiva dirigersi verso la Toscana. Quando prevalse l’opinione del pontefice ormai l’esercito spagnolo aveva respinto l’attacco di quello francese, sconfitto a Paliano.

Paolo IV fu costretto alla pace, stipulata a Cave (settembre 1557) con cui scioglieva la lega antispagnola e ritirava le scomuniche contro i Colonna in cambio della restituzione dei territori ecclesiastici. Il 3 Aprile 1559 si giunse alla pace di Cateau-Cambresis  che definì gli accordi che posero fine alle guerre d’Italia e al conflitto tra gli Asburgo e la Francia. La Francia ottenne sia Calais che i tre vescovati di Metz, Toul e Verdun. In Italia Enrico II dovette però lasciare il ducato di Savoia, che occupava dal 1536 ad Emanuele Filiberto. Con la perdita del Piemonte, la Francia perse anche la parte della Corsica da lei occupata. Il sovrano francese rinunciava inoltre definitivamente alle sue pretese sul Ducato di Milano e sul napoletano. A Cosimo I de’ Medici venne

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riconosciuto il possesso di Siena, ma la Spagna si impossessò di alcune piazzeforti sul litorale tirrenico. Complessivamente questa pace certificò lo stato di fatto che si era venuto a realizzare nei decenni precedenti stabilendo la compresenza di tre aree politiche:

1. Francese2. Spagnola3. Turca

CAPITOLO 7. ETERODOSSIA E CONTRORIFORMA IN ITALIA (STESSE PAROLE ESATTE DEL LIBRO SULLA CONTRORIFORMA!!!)

1.Vecchie e nuove eresie

La prima certificazione della presenza di Lutero in Italia si ha in un manoscritto del 1520, la Storia in forma di dialogo della mutazione di Firenze, opera di Bartolomeo Cerretani. Si invitava a leggere i libri ma anche a diffidare dal pontefice. La tradizione umanistica e anticuriale aveva un suo ruolo anche se ancora non tale da favorire Lutero, ma sufficiente a far fermentare i germi di una cultura contraria al potere della Chiesa romana, aggravato dal crollo dell’equilibrio italiano con la discesa di Carlo VIII. Il passo di Cerretani testimonia l’indifferenza romana verso le attese di rinnovamento. Infatti impostori e teologi, ortodossi ed eretici venivano accumunati sotto il segno di un eterodossia fatta coincidere con il dissenso, di qualunque natura, verso le gerarchie ecclesiastiche.

Tra le nuove accuse comparve quella dell’eresia fraticellana o begarda. Accusa che sarebbe poi rimbalzata infondatamente anche contro Lutero in quanto l’accusa di begardismo era come anche per il Savonarola, una scorciatoia per giungere alla condanna.

BEGARDISMO. Il begardismo proiettava a luce meridiana l’accusa di eresia anche sulle origini affatto ortodosse, fondate sulla vita comune e sulla comune lettura della Bibbia. Sorto e diffusosi nell’area fiamminga, il movimento fu soggetto ad una progressiva accentuazione mistica in particolare nella componente femminile. Il tratto ascetico che lo caratterizzava portava a percorrere una via inizialmente penitenziale, ma poi sempre più ripida e mistica di mortificazione del corpo alla cui sommità c’era il congiungimento dell’anima con Dio. Testo base è il Miroir des simples ames di Margherita Porete. L’opera ebbe vasta diffusione e fu ripetutamente condannata, così come la sua scrittrice arsa come eretica. Il begardismo fu un eresia che si sviluppò a riparo e affacciarsi episodicamente nel ‘500 per poi riproporsi definitivamente nel ‘600 con il nome di quietismo.

Nel quadro di crisi della politica italiana un ruolo importante ce lo ebbero delle figure femminile portatrici di esperienze religiose. Per esempio due furono Arcangela Panigarola e Paola Antonia Negri da cui nacque l’ordine delle Angeliche e la congregazione dei barnabiti che in segnavano un illuminazione a pochi prefetti in grado di raggiungere una libertà spirituale tali da sottrarli a qualunque autorità esteriore.

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Sono esempi questi di quanto difficile fosse segnare un confine netto tra eresia e ortodossia in anni in cui tutt’altro che definite erano le certezze dogmatiche che solo dopo il Concilio di Trento poterono dirsi stabilite.

Il begardismo inoltre distingueva tra una Chiesa grande a cui appartenevano solo gli spiriti sottili, e una Chiesa grande cui appartenevano tutti gli altri. Analoga distinzione si ritrovava nell’alumbradismo.

ALUMBRADISMO. Sviluppatosi negli anni ’20 nella penisola iberica, fu duramente represso dall’Inquisizione spagnola. Caratteristiche dell’alumbradismo erano l’idea che solo una particolare illuminazione divina (alumbramiento) potesse garantire una giusta lettura delle Sacre scritture e la convinzione che il totale abbandono in Dio permetteva una libertà interiore tale da affrancare dall’esteriore osservanza di obblighi cerimoniali e rituali. Andavano così’ ad annullare la funzione e l’autorità dell’istituzione ecclesiastica. Un simile itinerario tuttavia era percorribile solo da ristretti gruppi di iniziati. In queste idee si mescolavano tradizioni erasmiane e del begardismo.

Non fu un caso se dalla metà degli anni ’30 queste dottrine furono reintrodotte da Juan Valdés trovando un terreno fertile e già dissodato. Il sacco di Roma segnò l’inizio di prese di posizione meno ambigue. Le nuove autorità cercarono di tenere a freno queste spinte emotive ora irrobustite dalla recezione più matura del luteranesimo. Sorsero però in italia i primi dubbi sul comportamento da tenere: esulare? Rimanere?

2.Istanze di riforma e Ordini religiosi

Invocata da tempo, la riforma della Chiesa appariva agli inizi del ‘500 non più rinviabile. Agli stessi vertici della Chiesa il collegio cardinalizio era sottoposto alle influenze politiche dei vari Stati Europei. I cardinali mantenevano vere e proprie corti e conducevano una vita fastosa. La Chiesa inoltre vedeva ridimensionato il suo potere in vari stati europei, tranne che in Italia. Soprattutto i sovrani si fecero protagonisti di un interventismo sui benefici ecclesiastici ( parte dei beni e delle rendite della Chiesa attribuite in possesso vitalizio ad un ecclesiastico per sostentarlo).

Fu su questo sfondo che si fecero più insistenti le voci, gli appelli e le richieste di una riforma per liberare la Chiesa dalla desacralizzazione. In Francia l’idea di una riforma era richiesta da tutti anche dagli Stati Generali. In Spagna l’artefice delle istanze di una riforma fu Francisco Ximenez de Cisneros. In Italia il documento più significativo di queste istanze fu Libellus ad Leonem X apparso nel 1513 e scritto da due patrizi Veneziani: Vincenzo Querini e Tommaso Giustiniani. I due patrizi denunciavano l’abbandono della corretta pratica evangelica da parte degli Ordini regolari e l’ignoranza del clero.

Non meno rilevanti furono le esperienze di confraternite come l’Oratorio del Divino Amore al quale parteciparono ecclesiastici sensibili alla necessità di riforma ma non disposti a lasciarsi influenzare dalle dottrine protestanti.

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Dopo il sacco di Roma la stessa curia romana trovò la forza per avviare un periodo di rinnovamento benché lento e graduale. Il 1527 segnò in questo senso un punto di non ritorno dopo il quale apparve sempre meno rinviabile quella riforma ecclesiastica.

Gli Ordini religiosi da tempo erano attraversati da movimenti interni di riforma, soprattutto nei benedettini, francescani e domenicani. La crisi aveva contrapposto al loro interno gli “osservanti” ossia i sostenitori della regola della povertà, ai “conventuali” disposti a un’interpretazione meno rigorosa e oggetto di continui scandali. La crisi era accentuata dalle critiche mosse verso gli ordini da Lutero ed Erasmo in relazione alla vita monastica e all’insufficiente preparazione teologica. Nel contesto di questa crisi si sviluppò negli ordini un’ondata riformatrice e la più significativa fu quella dei cappuccini col fine di restaurare l’antica regola del Santo di Assisi. I cappuccini ebbero nel 1528 il consenso del pontefice.

Un rilievo particolare lo ebbero i GESUITI. Sorti dall’iniziativa dello spagnolo Ignazio Lopez di Loyola, nato nei Paesi Baschi. Pronunciò a Montmarte il 15 agosto 1534 i voti da cui nacque il nuovo ordine. La sua vita spiega i caratteri da lui impressi alla Compagnia di Gesu basata su principi organizzativi di stampo militare e allo stesso tempo su un misticismo che doveva fungere da premessa ad una religiosità militante. Importante era il peso dell’esperienza individuale. Negli esercizi spirituali che ogni gesuita doveva fare annualmente per 4 settimane, la contemplazione che conduce a uno stato di estrazione dal mondo e vicinanza da Dio, fungeva da premessa. La contemplazione del peccato e dell’inferno e poi quella passione del martirio di Cristo dovevano essere effettuate immaginandosi di partecipare veramente a quegli eventi con tutti i sensi corporei. Solo chi attraversava con il corpo e la mente questa esperienza poteva ripresentarsi nel mondo come semplice strumento della volontà di Dio. I gesuiti si espansero in tutta Europa seguendo due direttrici: collaborazione con i governi e attività educativa.

3.Un bivio emblematico : Gian Pietro Carafa e Juan de Valdés

CARAFA. Emblematica espressione dell’intransigenza ortodossa è la figura del Carafa. Fuggito da Roma si rifugia a Venezia dove poté manifestare pienamente la sua concezione indirizzando a Clemente VII un suo scritto, De lutheranorum haeresi resprimenda et ecclesia reformanda dove indicava le condizioni per una ripresa di credibilità dell’istituzione ecclesiastica : da una parte lotta spietata contro il luteranesimo e dall’altra una riforma. Il programma lo riteneva più che mai urgente e stabiliva quindi un nesso tra riforma ed eresia. Individuava nel dissenso religioso un primo passo verso la contestazione che aveva già incendiato molti paesi europei. Da qui una definizione di eresia che si applicava anche ai comportamenti morali e alla corruzione. Il Carafa collaborò con Contarini soprattutto quando furono chiamati a roma dal pontefice Paolo III per affidargli il compito di riformare la chiesa. Il documento che ne usciva, Coonsilium de emendanda ecclesia elencava per la prima volta tutti i mali della chiesa e ne indicava i rimedi in una serie di riforme. Il Carafa e il Contarini erano d’accordo nel riformare la Chiesa ma si discostavano per gli esiti.

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per il Carafa la riforma era diretta a togliere spazio alla fondatezza della critica protestante, a rafforzare gli strumenti di controllo e a combattere l’eresia.

per il Contarini la riforma avrebbe dovuto favorire un compromesso con i movimenti protestanti.

La frattura divenne inevitabile nel 1541 quando il fallimento dei colloqui di Ratisbona dimostrarono il fallimento della politica moderata di dialogo.

VALDES. Juan de Valdés sfuggì in Spagna all’Inquisizione e si rifugia prima a Roma poi a Napoli. Il Valdés è imbevuto di erasmismo. Le dottrine valdesi si distanziarono da quelle luterane. Ne condivideva la giustificazione per sola fede e la svalutazione delle opere, ma se ne allontanava per l’importanza attribuita all’illuminazione spirituale e per l’importanza attribuita all’esperienza individuale di fede in base al quale distingueva diversi livelli della chiesa, non negando per la massa dei fedeli la validità delle cerimonie liturgiche che erano invece meno importanti peri pochi. A raccogliere l’eredità di Valdés dopo la sua morte fu Reginald Pole.

4.L’Inquisizione romana

Carafa ottenne nel 1542 la tanto invocata Inquisizione romana, soprattutto vista la grande diffusione del luteranesimo negli strati sociali della popolazione. A rendere più grave la situazione era la predicazione popolare in grado di coinvolgere migliaia di persone. A ritardare l’istituzione dell’Inquisizione stava quella politica di equilibrio mantenuta da Paolo III. L’Inquisizione fu avviata nel 1542 con la bolla Licet ab initio che istituì il tribunale romano del Sant’Ufficio. Il motivo che spinse la decisione di Paolo III fu il fatto che il protestantesimo aveva raggiunto zone come Lucca e perfino i confini dello Stato ecclesiastico come Modena. A Lucca si ebbe un apprezzamento per il calvinismo, mentre a Modena la diffusione si ebbe in un’Accademia dove si leggevano e commentavano i testi di Lutero. Il nuovo strumento d’intervento antiprotestante fu affidato da Paolo III a sei cardinali:

Gian Pietro Carafa Juan Alvarez de Toledo Pietro Parisio Bartolomeo Guidiccioni Dioniso Laurerio Tommaso Badia

Veniva così riorganizzata la vecchia inquisizione medievale, con la sede centrale a Roma e tante sedi periferiche. In più veniva creata una fitta rete di informatori. L’Inquisizione romana di fatto operò solo nella penisola. Un procedimento tipi dell’Inquisizione poteva aver inizio d’ufficio o tramite denuncia. L’imputato aveva un termine di tempo per presentarsi davanti al tribunale. All’imputato venivano mostrati solo i capi d’accusa con i nomi celati dei testimoni. Alla prima fase dell’interrogatorio (detto libere) seguiva se necessario un secondo interrogatorio (detto stricte) in cui veniva utilizzata la tortura. La prima volta che l’imputato veniva condannato era una pena

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ammonitoria. Le volte dopo prevedevano il carcere e la pena di morte. Alla condanna seguiva l’esproprio dei beni.

5.Concilio, dissenso radicale e nicodemismo

Il Concilio era ormai richiesto anche da Roma. Era un Concilio che andava a prendere una netta posizione contro il luteranesimo dato che un colloquio d’intesa si era dimostrato impossibile. La sede del Concilio fu stabilita a Trento. Il pontefice nominava legati conciliari tre cardinali: Pietro Paolo Parisio, Reginald Pole e Giovanni Morone. La nomina di Pole creò reazioni stupefacenti.

Il Concilio di Trento fu ripreso e sospeso più volte, bloccato poi dalle vicende belliche tra Francia e Impero e finalmente inaugurato con solennità nel dicembre ’45. Le prime sessioni sulle questioni dottrinali non lasciarono dubbi sulle intenzioni romane. Nella IV sessione fu respinta la tesi luterana che la fonte di verità fosse solo la Sacra Scrittura e non la tradizione; nella V venne condannata l’interpretazione luterana del peccato originale come corruzione della natura umana; nella VI si parla della giustificazione per fede che era il punto che aveva incontrato maggiori controversie, che dura infatti 6 mesi. Lo schema conclusivo del dibattito era avverso non solo ai luterani ma anche alla formula di intesa raggiunta a Ratisbona da Melantone e Contarini.

[…] pagine saltate perché è uguale all’altro libro, come tutto il resto del capitolo

Morto Paolo III che aveva mantenuto una politica di equilibrio, il cardinal Reginald Pole, era prossimo all’elezione pontificia. Ma i trascorsi religiosi e la documentazione raccolta dall’Inquisizione soprattutto dal suo capo, il cardinal Carafa, bloccò l’elezione al pontificato. Dura così a lungo un braccio di ferro tra Inquisizione e la Chiesa che dimostra come ormai l’Inquisizione aveva il compito di filtrare la nuova classe dirigente. Questo èdimostrato con l’elezione di Paolo IV Carafa.

6.Riforme con e senza Concilio

Il concilio fu proseguito e portato a termine da due pontefici, Giulio III e Pio IV, avversi all’attività del Sant’Ufficio, mentre rimase sospeso durante l’attività di Paolo IV. Già durante gli ultimi anni di Paolo III i lavori avevano subito battute d’arresto. Ai problemi interni si erano aggiunti quelli tra Santa Sede e l’Impero soprattutto dopo la decisione di spostare il Concilio a Bologna. Decisione fortemente ostacolata dall’imperatore Carlo V. Giulio III supero l’empasse riconvocando il concilio a Trento il 1 maggio 1551. Si discusse ora un’altra questione dottrinale di rilievo: l’eucarestia. Venne riaffermata la dottrina tradizionale della presenza reale di Cristo in entrambe le specie con approvazione del culto e venerazione del Santissimo sacramento. Dalla fine dell’ottobre 1551 giunsero ai lavori tridentini per la prima e ultima volta degli esponenti protestanti.

La ripresa della guerra franco imperiale di quell’anno comportò l’abbandono di trento da parte di molti vescovi tedeschi e Giulio III fu costretto a sciogliere il Concilio in Aprile.

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Di riapertura del Concilio non si parlò durante il pontificato di Paolo IV, capo dell’Inquisizione romana. Provvedimenti:

Inquisizione organo di governo della Chiesa Inquisiti anche i casi di abuso e corruzione ecclesiastica Provvedimenti contro gli ebrei Ghetto ebraico Provvedimenti contro gli ebrei convertiti, i marrani ( secondo Paolo IV

fingevano)

Paolo IV non rivolse le proprie energie al Concilio, ma piuttosto alla riforma ecclesiastica che fin da vescovo aveva considerato indispensabile. Anzi il Concilio era ritenuto controproducente ai fini della realizzazione della Riforma. Con la condanna di Giovanni Morone, Paolo IV colpiva politicamente l’opposizione filoimperiale al suo pontificato. Questa condanna inoltre fornì moltissimo materiale all’Inquisizione riguardo a tempi e diffusione dell’eterodossia in Italia. Poterono essere così avviati nuovi processi inquisitoriali, o riaperti quelli vecchi.

Altre riforme furono:

Misure severe nei confronti dell’episcopato Provvedimenti per regolare la vendita degli uffici curiali Si dichiarava nulla l’elezione pontificia di chiunque avesse

precedentemente deviato seppur minimamente dall’ortodossia Indice dei libri proibiti

Incaricata di comporlo fu una commissione composta esclusivamente dai membri del Sant’Ufficio e presieduta da Michele Ghisleri. Il risultato non piacque al pontefice e perciò fu preparata una nuova stesura affidata ancora all’Inquisizione che nel 1558 lo promulgava come proprio decreto. L’Indice distingueva tre categorie di libri:

Autori che combattevano consapevolmente o si discostavano con continuità dall’ortodossia – proibite tutte le opere

Autori che talvolta cadevano nell’eresia altre volte in altri tipi di errori ( tipo magia) – proibiti qualche libri

Libri già composti o in futuro firmati da eretici

In base a questi criteri era finita nell’Indice tutta la migliore cultura umanistica e rinascimentale europea come il Decamerone di Boccaccio. 18 agosto 1559 morte di Paolo IV.

7.Controtendenze e stabilizzazioni

L’elezione del cardinal Gian Angelo de’ Medici con il nome di Pio IV segnò l’intenzione della Santa Sede di cambiare rotta dopo il pontificato precedente. L’intenzione di riaprire il Concilio venne formalizzata con la bolla Ad Ecclesiae regimen e i 18 gennaio 1561 veniva riaperto il Concilio. Di essenziale importanza era una sopraggiunta questione riguardante la residenza dei vescovi, da considerare di diritto positivo o divino e la definizione del rapporto

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tra autorità pontificia e conciliare. L’istanza a favore del diritto divino venne fatta dai vescovi spagnoli lasciando desumere la superiorità conciliare. In risposta l’episcopato italiano era avverso alla residenza di diritto divino. La svolta si ebbe grazie al gesuita Lainez che propose di tener distinto l’ordine episcopale dalla relativa giurisdizione. Fu votato il decreto che definiva i vescovi succeduti all uogo deli apostoli. La formulazione che non parlava esplicitamente di diritto divino, fu ritenuta soddisfacente dai vescovi spagnoli. Inoltre, l’obbedienza dei vescovi al papa, il riconoscimento dei decreti conciliari con riserva dei diritti della Santa Sede e infine la conferma di detti decreti all’approvazione pontificia, sancivano la superiorità del pontificato.

L’edizione ufficiale dei decreti tridentini si ebbe nel marzo 1564 con la bolla Benedictus Deus. L’anno dopo seguì la costituzione di un ‘apposita Congregazione del Concilio cui spettava l’interpretazione dei decreti e inoltre si ebbe l’edizione nel 1566 del Catechismo romano che conteneva i tratti essenziali della nuova teologia morale. Ciò costituì la nuova struttura funzionale, liturgica e culturale della disciplinata figura di prete romano. Riprendeva vigore una Chiesa disciplinata e moralmente rinnovata attorno alla figura del vescovo. L’Indice era stato riformato , riducendo il numero delle opere, anche se la decisione di modificare le parti ritenute eretiche di alcuni libri, cambiò opere storiche come sempre appunto il Decamerone, che non venne proibito ma bensì modificato.

Quando sale al soglio pontificio Pio V, che era capo dell’Inquisizione, si capì che Paolo IV era stata solo una parentesi. Da papa inquisitore Pio V iniziò subito a riaprire i processi che Paolo IV aveva fatto chiudere.

Paolo IV: linea del rigore della Chiesa + scontro militare con gli Asburgo e i Medici

Pio IV: raddrizzato la politica della Chiesa + sacrificato l’azione inquisitoriale

Pio V: riproposizione dell’attività inquisitoriale + politica filoasburgica e filo medicea.

Con Pio V si può dire che la Controriforma ha avuto un indirizzo unitario.

CAPITOLO 8. LE NUOVE POTENZE PROTESTANTI E LA SPAGNA CATTOLICA

1.L’Inghilterra dei Tudor: progressi dell’assolutismo e scelte religiose

L’Inghilterra del ‘400 era grande, pari alla Francia. Nei primi del ‘500 era una realtà di secondo ordine, per poi tornare ad essere a metà del ‘500 una grande potenza. Questa evoluzione cinquecentesca fu dovuta ad un insieme di fattori economici, religiosi e politici, tra i quali fu determinante il consolidamento del potere monarchico sotto la dinastia dei Tudor. Sconfitto il feudalesimo i tudor avevano condotto una politica di unificazione nazionale favoriti dall’assenza di autonomie cittadine e dalla particolare struttura sociale che si venne configurando nell’isola britannica, caratterizzata da un certo grado di mobilità sociale. L’aristocrazia inglese non costituì ostacoli ai processi di consolidamento dell’assolutismo tudoriano. Ma fino agli anni ’40 del 1500 il

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vero sostegno all’accentramento monarchico venne dal ceto in ascesa dei proprietari fondiari, la cosiddetta gentry che comprendeva al suo interno strati sociali di condizione assai diversa dal piccolo proprietario terriero fino al ricco gentiluomo titolato.

Al di sotto dell’aristocrazia e della gentry si collocavano i grandi mercanti interessati a sostenere l’assolutismo dei Tudor, nel quale vedevano un fattore di stabilizzazione dell’ordine interno e di protezione dalla concorrenza straniera.

La monarchia fu obbligata a confrontarsi con questa articolata struttura sociale e ad appoggiarsi alla gentry. Fu soprattutto nel settore dell’amministrazione periferica che i Tudor trovarono un alleato nella piccola nobiltà di campagna. I giudici di pace erano quasi sempre dei gentleman che condividevano gli intenti della corona di vigilare sul territorio e mantenere l’ordine pubblico. Appannaggio dei lords era invece l’amministrazione centrale dello stato che ruotava intorno al settore dello Scacchiere al cui fianco si collocava la Cancelleria, presieduta dal Lord Cancelliere. La giustizia si esercitava attraverso la Common Law ossia il diritto consuetudinario. I Tribunali di common law erano tre:

1. King’s Bench;2. Chancery;3. Common Pleas

Inoltre c’erano altri tribunali tra cui il tribunale della Cancelleria e la Star Chamber.

Cosi organizzato il crescente potere della corona trovò un contrappeso nel Parlamento. I lord e la gentry non mancarono di contrapporsi ai Tudor ogni qualvolta si trattava di salvaguardare i propri interessi. Nel ‘500 pur avendo il Parlamento assunto un ruolo che nessun sovrano poteva ormai disconoscere, il principio corrente era quello di cercare un compromesso ed una collaborazione con il Re.

Diviso in due camere, quella dei Lords e quella dei Comuni il parlamento aveva ottenuto una serie di vantaggi al momento dello scisma anglicano introdotto da Enrico VIII: riuscì infatti a radunarsi continuativamente per 7 anni. Le convocazioni parlamentari erano obbligatorie ogni qual volta il sovrano dovesse fissare nuove imposte e di conseguenza era di fatto impossibile dar seguito a qualsiasi scelta politica senza il consenso parlamentare. Provvedimenti legislativi:

Statutes : provvedimenti regi autorizzati dal parlamento; Acts: leggi del parlamento promulgate dal sovrano; Bills : decisioni del parlamento su questioni particolari.

Il vincolo maggiore per il sovrano era costituito dall’obbligo di rivolgersi al parlamento per le imposizioni fiscali. Finanziariamente Enrico VIII aveva ottenuto notevoli vantaggi dallo scisma anglicano soprattutto grazie agli introiti derivanti dalla riscossione delle decime ecclesiastiche che comportarono una riorganizzazione dell’apparato amministrativo. La riforma venne realizzata da

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Thomas Cromwell che segnò un ulteriore rinvigorimento dell’accentramento monarchico. Questa subordinazione delle autonomie locali fu il mezzo usato per assoggettare il Galles e l’Irlanda ( anche se con risultati meno soddisfacenti).

In Scozia invece gli Stuart non era riuscita ad imporsi alle grandi famiglie feudali che anzi avevano ampiamente condizionato tramite rivolte e congiure. All’insicurezza e debolezza della corona faceva da contrappeso la solida organizzazione della chiesa scozzese che costituiva uno dei pilastri dell’unità scozzese. Tuttavia questa decisiva funzione della chiesa si andò ad incrinare in seguito alla diffusione di idee protestanti. Quando l’unità religiosa venne meno, la Scozia entrò in una fase di disordini. La vittoria del partito francofilo scozzese permise a Maria di Lorena di concludere il matrimonio tra Maria Stuart e il delfino del re francese. A capo del governo fu posto lo zio di Edoardo VI, Edward Seymour, conte di Hertford e poi duca di Somerset. Sul piano religioso si innestò una politica che mutò radicalmente gli equilibri raggiunti nella chiesa anglicana al tempo di Enrico VIII. Lo scisma da lui introdotto era riuscito infatti a conservare la sostanza dottrinale del cattolicesimo nonostante lo strappo ecclesiastico con Roma. Il sovrano aveva garantito una coesistenza tra protestanti e cattolici. Il Somerset mostrò subito un inconsueta tolleranza verso i protestanti ed introdusse riforme religiose di vasta portata. Effetto non secondario di queste prime riforme fu l’arrivo in Inghilterra di un gran numero di protestanti perseguitati nel loro paese di origine. Iniziarono una serie di ribellioni e a provocarle fu la sovrapposizione delle insofferenze religiose a quelle economiche, sociali e politiche che caratterizzarono questi anni della storia inglese. I nuovi provvedimenti religiosi fecero da detonatore alle classi più umili toccate dalla crescita della disoccupazione e dei prezzi accanto al fenomeno delle enclosures ossia delle autorizzazioni concesse ai proprietari terrieri di recintare i campi per destinarli all’allevamento ovino, facendo perdere ai lavoratori diritto di pascolo e uso delle terre.

Le conseguenze politiche di queste sollevazioni fu l’irritazione dei parlamentari e il Somerset venne scavalcato da John Dudley il quale fece un governo ancora più filo protestante del primo. Negli stessi anni l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer trasformò il suo iniziale luteranesimo in adesione al calvinismo. Nel 1552 l’approvazione di un nuovo Prayer Book edulcorò tutto ciò che poteva ricordare la dottrina cattolica e modificò completamente la liturgia. Lo stesso anno Cranmer fu in grado di presentare i Quarantadue articoli ossia una serie di principi teologici che univano insieme reminiscenze cattoliche, luterane e zwingliane-calviniste.

Questa riforma portò all’opposizione cattolica impersonata da Maria Tudor che salì al trono dopo la morte di Edoardo VI( 1553 ). Maria venne acclamata regina d’Inghilterra dal popolo, e fu proprio questo entusiasmo che la convinsero che una restaurazione del cattolicesimo non avrebbe incontrato ostacoli. In effetti le prime riforme non incontrarono ostacoli nel parlamento che piuttosto aboliva le leggi religiose adottate da Edoardo VI e ristabiliva la messa cattolica. La restaurazione cattolica avrebbe comunque dovuto essere coronata dalla riunificazione con la chiesa di Roma e con la conseguente restituzione dei beni ecclesiastici: fu su questo punto che si ebbe la resistenza della Camera dei Comuni. Altro problema era la questione matrimoniale. Maria

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doveva sposarsi con un cattolico e da esso avere un erede. Fu cosi che fin dal 1553 si avviarono le trattative con il futuro re di Spagna Filippo II.

Opposizioni : contrarie ad un sovrano straniero erano una parte dei membri del consiglio privato e la maggioranza dell’aristocrazia; i protestanti da parte loro non volevano un re cattolico e la camera dei comuni era a favore di un matrimonio con un pari di Inghilterra. Quando ci fu l’accordo ufficiale per il matrimonio con l’Asburgo, venne fuori una congiura diretta a mettere sul trono la sorellastra , Elisabetta.

Fu cosi che la diffusa convinzione che una regina cattolica stesse per asservire l’Inghilterra alla Spagna favorì l’anglicanesimo, identificato allora con la difesa dell’indipendenza nazionale. La politica repressiva verso i protestanti di Maria Tudor accrebbe le simpatie della popolazione verso appunto i protestanti. Scomparsa il 17 novembre 1558, Maria Tudor lasciava l’Inghilterra in questa non facile situazione interna ed internazionale dopo aver designato come sua erede Elisabetta alla quale spettò il compito di traghettare la nazione verso una maggiore compattezza interna.

2.La metamorfosi della Spagna cattolica e la politica antiottomana

Filippo II è passato alla storia con due epiteti: el rey prudente e papalero ( il re prudente e delle scartoffie) che rilevano i meccanismi di un governo centralistico e burocratico troppo spesso corrotto e farraginoso. Filippo II non modificò l’organizzazione governativa ereditata dal padre strutturata su Consigli territoriali e specializzati, sui viceré e sui governatori. Questa complessa macchina governativa appariva inadeguata a controllare una realtà multinazionale ancora vastissima. Lo stato spagnolo divenne insomma con Filippo II ancora più centralizzato e distante dalle realtà locali: diversamente da Carlo V egli infatti non si spostò mai dalla Spagna per presiedere assemblee e parlamenti locali o per intervenire laddove la situazione si faceva più critica preferì stabilirsi al centro dei suoi domini.

Filippo II esaminava le relazioni che gli provenivano dai vari stati, trasmetteva le relative pratiche alla sua segreteria, le sottoponeva poi ai suoi consiglieri e ai vari Consigli e infine prendeva la sua decisione che doveva essere comunicata ai vicerè e ai governatori e da questi resa esecutiva. Anche in Europa la situazione era critica la conclusione della pace di Cateau-Cambresis aveva solo provvisoriamente risolto il confronto fra le due monarchie cattoliche francese e spagnola. Le linee di frattura religiose che avevano sconvolto l’Europa cristiana si erano ormai ovunque irrigidite in movimenti, leghe e partiti fieramente contrapposti tra loro e uniti da fideismi che superavano i confini territoriali.

Filippo II legittimò idealmente il suo potere identificandolo sempre più con la difesa del cattolicesimo e della Chiesa romana. Certo la Spagna non conobbe nessuno di quei devastanti conflitti religiosi che incendiavano la Francia. Dopo la grande repressione negli anni ’20 dell’alumbradismo era seguito il soffocamento di quella cultura erasmiana diffusa negli intellettuali spagnoli. I tribunali inquisitori oltre che contro le eresie cristiane operavano per controllare i comportamenti morali devianti. Le procedure inquisitoriali rimanevano per lo

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più segrete e soggette a tempi lunghissimi; le sentenze prevedevano la confisca dei beni del condannato, con la conseguenza di favorire denunce motivate da interessi economici o da vendette. L’imposizione dell’ortodossia era considerata l’unico modo per risolvere i difficili problemi razziali. Ad essa si accompagnò un movimento teso a garantire la cosiddetta limpieza de sangre ossia tendente a garantire l’insegnamento universitario, l’accesso alle cariche a coloro che potevano mostrare la discendenza da vecchi cristiani.

Alla fine si finì per identificare la limpieza con l’ortodossia e l’eresia con le infiltrazioni di sangue non cristiano. Stirpe e religione si legarono cosi tra loro e ai valori aristocratici : sangue puro, spirito di crociata, servizio militare costituirono un miscuglio culturale con il quale si identificò il nobile vecchio cristiano.

La salda unione tra Stato, ortodossia cattolica e conservatorismo che venne a stabilirsi nella Spagna cattolica, non fu esente dai conflitti con la Chiesa di Roma, impegnata con Pio V in una analoga opera di ricomposizione politico- religiosa, soprattutto riguardo all’identificazione operata da Filippo II tra il proprio potere e l’inquisizione spagnola.

La maggiore intolleranza era verso i moriscos che furono oggetto della persecuzione del tribunale dell’Inquisizione di Granada. Conflitto con i mori:La reazione fu un’azione armata di una banda di mori, penetrata la notte di Natale del 1568 nella città di Granada per conquistarla. Pur non riuscendo nell’intento, l’incursione fu la scintilla di una rivolta che incendiò per due anni le montagne andaluse, con saccheggi di chiese, distruzioni di crocefissi e profanazioni di ostie. Le autorità spagnole si rivelarono incapaci di una risposta efficace. La rivolta fu stroncata solo nel 1570 grazie all’intervento delle truppe comandate da don Giovanni d’Austria e i mori furono nel 1609 definitivamente espulsi dal regno. La violenta repressione della rivolta aveva dimostrato quanto, Filippo II fosse interessato ad eliminare il pericolo politico rappresentato dai mori.

Le potenze cristiane ora, con Filippo II in testa, timoroso che la reazione dei mori suscitasse appoggi interni ad uno sbarco ottomano, organizzarono una Lega Santa ( 20 maggio 1571)( II lega santa) animata da Pio V e comprensiva della Repubblica di Genova, ducato di Savoia, Cavalieri di Malta, Spagna e Venezia.

L’imponente flotta della lega attraversò le acque della Grecia e il 7 ottobre si scontrò con quella ottomana di pari potenza, davanti alla città di Lepanto. La sfolgorante vittoria sui turchi convinse l’Europa cristiana di essersi liberata da una minaccia. In realtà il trionfo di Lepanto risultò ingannevole : proprio la sua clamorosa risonanza sollecitò una controffensiva dell’Islam, anche se il colpo psicologico era stato notevole. Nel decennio tra il 1570 e 1580 comunque i turchi si disinteressarono al Mediterraneo.

3.I Paesi Bassi : dalla rivolta alla rivoluzione

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Filippo II rinunciò alla pratica della sovranità itinerante che era stato uno dei presupposti della politica di Carlo V. La scelta del nuovo sovrano era insieme causa ed effetto dei tratti sempre più spagnoli e castigliani assunti dalla monarchia e suscitò l’ostilità degli altri Stati. Fu su questo sfondo che vennero a delinearsi due posizioni contrapposte: castigliane favorevole a una centralizzazione e dall’altro lato i domini, con in testa l’Aragona, tesa a preservare una visione federalistica. Capeggiati i primi dal duca d’Alba e Fernando Alvarez de Toledo, i secondi dal principe d’Eboli, Ruy Gomez da Sylva e da Antonio Perez, i due schieramenti vennero allo scontro aperto in occasione della rivolta dei Paesi Bassi.

A causa dell’accentramento assolutistico spagnolo, i rapporti con i Paesi Bassi gelosi della loro autonomia politica, erano apparsi difficili fin dall’inizio del regno di Filippo II. Questa autonomia le popolazioni dei paesi bassi videro minacciata non solo politicamente, ma anche fisicamente dato che la domanda di tributi da parte della Spagna non diminuì come sperato alla fine della guerra con la Francia. Filippo introduce una serie di riforme con lo scopo di sottoporla al controllo diretto della monarchia spagnola e attrezzarla per la lotta contro la diffusione dell’eterodossia. In effetti la penetrazione del protestantesimo si era verificata abbastanza precocemente, fin dal 1519. Dopo il luteranesimo, aveva trovato terreno fertile l’anabattismo e quella corrente maggioritaria in seno ad esso, la corrente mennoita creata da Dirk Philips e Menno Simons.

Simons delineava i tratti fondamentali: sulla base del rigoroso primato assegnato alle Sacre Scritture, egli eliminava il millenarismo, condannava la pretesa di instaurare il regno di Dio in terra e teorizzava la separazione delle comunità di fedeli dal mondo e dalla false fede. Dirk Philips distinse nettamente l’anabattismo dallo spiritualismo misticheggiante che annullava la necessità di una organizzazione ecclesiastica e di una disciplina in seno alle comunità di credenti.

Il mennonitismo segnò la svolta storica verso l’anabattismo pacifista anti millenaristico e evangelico rappresentando cosi un’alternativa di stampo moderato e liberalistico all’anabattismo radicale. Il mennonitismo raggiunse il suo apice tra il 1579 e il 1665 pur dividendosi in varie fazioni, ad esempio i Waterlanders critici verso il rigorismo disciplinare e l’uso della scomunica. Le precedenti correnti culturali e religiose come l’umanesimo erasmiano, il luteranesimo e lo stesso anabattismo vennero superate da una superiore sintesi del calvinismo. Il suo successo si deve soprattutto alle correnti zwingliane che gli prepararono il terreno, ma anche nella sua capacità di corrispondere alle esigenze delle classi medie urbane che costituivano gran parte dei paesi bassi. Le dottrine calvinistiche rappresentarono comunque una spinta per il fedele ad impegnarsi nelle realtà mondane, sociali ed economiche. Il lavoro divenne un’attività degna ed efficiente perché ispirata da una vocazione e una chiamata di tipo religioso.

La dottrina calvinista aveva inoltre sviluppato l’idea che la sovranità popolare limitasse i poteri del Re, e da qui il passaggio a giustificare la resistenza a Filippo II fu breve. Il calvinismo aveva inoltre guadagnato il consenso degli strati borghesi e di molti esponenti dell’opposizione aristocratica anti spagnola. L’Orange stesso aveva avviato un dialogo con Margherita di Parma per

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realizzare una tollerante convivenza con i cattolici e una conciliazione tra le diverse istanze calviniste e luterane. Ma la rigidità della corte spagnola interruppe subito questi sforzi di ricomposizione politica-religiosa.

Nel 1565 circa 400 firmatari chiedevano l’abolizione dell’Inquisizione, quando ormai già l’Orange non applicava più le leggi regie contro gli eretici. All’aumento della tensione contribuì il rafforzamento del calvinismo da parte di Guy de Brès.

Conflitto iniziata come una sollevazione aristocratica, la ribellione contro l’opprimente governo spagnolo, assunse ben presto una piega rivoluzionaria e popolare e nello stesso tempo mostrò il suo rilievo internazionale in una zona strategica per la Spagna. Bande di insorti calvinisti spazzarono via immagini sacre ed altari nelle principali città.

Il 28 agosto 1567 il duca d’Alba entrava a Bruxelles guidando un esercito formato da truppe spagnole ed italiane e dava inizio ad una spietata repressione. Un tribunale apposito, Il Consiglio dei Torbidi, condannava a morte 1000 persone delle 12.000 processate; venne inoltre messa una tassa del 10% su ogni vendita. I metodi terroristici del duca finirono per inimicargli anche molti cattolici favorendo la nascita di uno spirito di identità nazionale. L’Orange rafforzò i gueux del mare che erano ribelli dominati da oligarchie cattoliche e fedeli al re, ma contrarie alle crudeltà del duca d’Alba. Questi “pezzenti del mare” invitarono Guglielmo d’Orange a tornare come governatore militare fornendo risorse e una base territoriale. Mentre l’Orange veniva riconosciuto come il rappresentante della difesa dei diritti violati dell’intero paese a Madrid apparve in tutto il suo fallimento la politica repressiva del duca.

Toccò allora ad Antonio Perez delineare un programma alternativo che prevedeva innanzitutto l’abolizione della tassa del 10% e il Consiglio dei torbidi per giungere a una riconciliazione sulla base di una soluzione costituzionale che restituisse la legislazione e le libertà tradizionali dei Paesi bassi. Questa soluzione incontrava l’ostacolo di un esercito spagnolo sempre più esasperato per il ritardo nei pagamenti. Quando Filippo II subi nel 1575 la seconda bancarotta ( la prima era nel 1557) lasciò un esercito abbandonato che procedette a un saccheggio selvaggio della città di Anversa.

L’8 novembre 1576 con la pacificazione di Gand si stabilì una reciproca tolleranza tra province cattoliche e protestanti, sancita poi dall’unione del paese che avvenne con l’Unione di Bruxelles (9 gennaio 1577). Con l’editto perpetuo si accordava l’evacuazione dell’esercito spagnolo, in cambio della restaurazione del cattolicesimo in tutte le province ( fu infatti rifiutato da Guglielmo d’Orange).

Quando i contrasti tra cattolici e calvinisti rivennero a galla fu chiaro che Guglielmo d’Orange non era in grado di realizzare una pace religiosa nella prospettiva di liberare tutti i Paesi bassi. Le province meridionali cattoliche allora con il Trattato di Arras si riconciliavano con Filippo II accettandone la piena autorità. Contemporaneamente a nord le province calviniste costituivano l’Unione di Utrecht con cui nascevano le Province Unite.

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4.L’Inghilterra elisabettiana e gli sviluppi del protestantesimo

Elisabetta era salita al trono nel 1558 senza contestazioni, nonostante le rivendicazioni alla successione della regina di Scozia, la cattolica Maria Stuart. Contro una simile eventualità però si schierarono non solo i protestanti inglesi, ma lo stesso Filippo II, consapevole che l’avvento della Stuart, a causa del suo matrimonio con il delfino di Francia, avrebbe determinato un potente blocco antispagnolo. Elisabetta trovò dunque un appoggio nella cattolicissima Spagna che nulla obiettò circa uno dei primi interventi in politica estera della regina: l’intervento militare a sostegno dei protestanti in Scozia. La minaccia rappresentata dalle pretese sulla corona d’Inghilterra di Maria Stuart obbligò Elisabetta ed i protestanti inglesi a non entrare in contrasto tra loro mentre spinse l’opposizione cattolica a contrapporle proprio la Stuart.

Se infatti Elisabetta non ebbe altra scelta che favorire il protestantesimo, il suo obiettivo non fu quello di stabilire una verità dottrinale, ma quello di preservare la propria autorità e l’unità della nazione attraverso la riorganizzazione gerarchica della chiesa anglicana. Riprende il programma assolutistico soprattutto spinta dal desiderio di evitare un eccessivo potere del Parlamento soprattutto riguardo alle questioni che riteneva di prerogativa regia come le questioni religiose e i problemi internazionali. Questa politica di ridimensionare la funzione parlamentare andò a vuoto, mentre ebbe successo nella politica di depotenziamento dell’aristocrazia.

Le circostante obbligarono Elisabetta a prendere una posizione filoprotestante che si potè vedere con il primo provvedimento da lei adottato: restituzione alla corona della decime derivanti dai beni ecclesiastici che Maria tudor aveva riconsegnato alla chiesa romana. Con un Atto di supremazia (1563) il parlamento accordò alla regina il titolo di Capo della chiesa d’Inghilterra e venne istituito un tribunale ecclesiastico contro chi violava le disposizioni anglicane, i cui giudici erano designati dalla corona. Lo stesso Parlamento rintrodusse il Prayer Book accontentando i protestanti e i Trentanove articoli in cui si ribadivano i punti del protestantesimo.

L’insieme di questi provvedimenti era teso a ristabilire l’assetto ecclesiastico anglicano senza spingersi oltre nello stabilire dottrine ufficiali. Le idee calviniste si erano ampiamente diffuse nell’isola britannica in seguito all’immigrazione dei protestanti. Alcuni sottovalutando quanto di protestante era contenuto nei Trentanove articoli, cominciarono a contestare la liturgia e i riti che conservavano aspetti cattolici. Questa differenziazione interna del protestantesimo si irrigidì in vere e proprie correnti contrapposte. La tendena episcopalista, pur condividendo le dottrine calviniste, accentuava il carattere gerarchico della chiesa di Inghilterra.

l’altro importante indirizzo del calvinismo inglese è quello che si è soliti definire puritanesimo. Convinti che l’opera di purificazione dottrinale della Chiesa d’Inghilterra fosse ancora incompiuta e decisi ad eliminare dal culto ogni forma cerimoniale esteriore, considerata superstizioso residuo de passato papista, i puritani videro con crescente simpatia la forma presbiteriana assunta dalla Kirk scozzese, con l’elezione dei ministri e una forte accentuazione dell’autonomia delle singole comunità religiose. Dottrinalmente la loro

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insistenza sulla predestinazione produsse effetti sociali in tutto analoghi a quelli dei Paesi Bassi.

La regina era interessata a una sconfitta dei cattolici soprattutto in Francia ( era infatti intervenuta nel 1562 in appoggio agli ugonotti) per evitare il rafforzamento di Maria Stuart. La situazione peggiorò quando la regina di scozia sposatasi con il cattolico Enrico Darnley, poteva avere un erede, Giacomo, prospettando una continuità nella dinastia. Tuttavia screditata dal sospetto di aver partecipato all’assassinio di suo marito e dal successivo matrimonio con l’autore di questo crimine, la Stuart fu costretta ad abdicare nel 1567 e si rifugiò a Londra dalla sua sorellastra. Qui , se pur tenuta in uno stato di semi prigionia, continuò a costituire una minaccia per Elisabetta e raccolse le fila dell’opposizione cattolica interna. Nel 1570 arriva la scomunica da Pio V contro Elisabetta e i cattolici inglesi dovettero decidere se schierarsi con Roma o con la regina. Un anno dopo i trentanove articoli vennero accettati come professione di fede della chiesa anglicana.

5.Dal Mediterraneo all’Atlantico

I problemi interni avevano obbligato Filippo II a mantenersi in una posizione sostanzialmente difensiva. Ma tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80 il realizzato consolidamento politico – religioso in Spagna e le vittorie riportate dal Farnese sui ribelli dei Paesi Bassi, permisero al sovrano spagnolo di lanciarsi in una politica imperialistica favorita dall’annessione del Portogallo.

PORTOGALLOFin dal ‘400 i conflitti dinastici avevano indebolito il potere regio detenuto dal 1385 dalla dinastia Aziz. Parallelamente si era andata a realizzare l’unificazione religiosa del paese con la conversione forzata o l’espulsione degli ebrei sicchè alla fine del regno di Emanuele I il Portogallo potè collocarsi tra i grandi stati europei anche in virtù della forza derivante dai suoi domini coloniali. Vari furono però i tentativi da parte di re spagnoli e portoghesi, di unire la corona spagnola a quella portoghese attraverso matrimoni. Nel 1557 il Portogallo mostrava i primi segni di crisi. Fu allora che Filippo II agì per annettere il regno portoghese, riuscendosi a guadagnare le simpatie del cardinale Enrico che dichiarò legittima la successione del sovrano in quanto figlio di Isabella di portogallo e vedovo di Maria del Portogallo. Contro questa soluzione si erano però subito mobilitate Francia e Inghilterra. Filippo II fu quindi costretto a chiamare il duca d’Alba per invadere il portogallo. Grazie all’appoggio dell’alta nobiltà e del clero Filippo II fu riconosciuto legittimo re del portogallo nel 1581 e in cambio concedeva l’autonomia del regno ( non voleva squilibrare un paese la cui economia era fondamentale per la Spagna e soprattutto stabile sul punto di vista religioso).

SCONTRO SPAGNA-INGHILTERRA Nel 1585 la scoperta di una nuova congiura scoperta per assassinare Elisabetta fornì il pretesto per arrestare Maria Stuart poi processata e giustiziata. L’eliminazione della Stuart e il sostegno inglese agli ugonotti ruppero l’equilibrio europeo. La politica inglese si fece più aggressiva soprattutto contro la Spagna, ed anche sul piano dell’espansione commerciale

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e coloniale che fino agli anni ’80 aveva appoggiato con cautela. Ormai insomma si fronteggiavano una spagna cattolica e un Inghilterra protestante. Deciso a stroncare una volta per tutte Elisabetta, Filippo II decise di sbarcare sul suolo inglese per difendere << la nostra religione e la nostra santissima fede cattolica e romana>>. Con questo spirito una flotta di 130 navi, l’Invincibile Armata venne radunata nel porto di Lisbona per raggiungere la manica. Otto giorni dopo una seconda tempesta e l’attacco dei vascelli inglesi, molto più abili dei galeoni spagnoli, obbligarono la possente flotta ad allontanarsi e a rientrare in Portogallo nel 1588 decimata.

Questa disfatta consegnò subito nelle mani della regina inglese il ruolo di grande potenza protestante europea, l’unica in grado di contrapporsi alla Spagna cattolica. Filippo dovette concludere anche la pace con la Francia, la pace di Vervins 10 anni dopo che riconfermava la clausole della pace di Cateau-Cambresis. Intanto le Province Unite continuavano a nord una resistenza aiutata da Elisabetta e da Enrico IV di Francia che nel 1596 ne riconoscevano l’indipendenza. Il nuovo stato riusci a consolidarsi e ad ottenere vittore sull’esercito spagnolo. La tregua di 12 anni del 1607 sancì il riconoscimento delle posizioni acquisite e quindi ciò significò per la spagna non solo l’accettazione dell’indipendenza delle Sette Province ma anche il loro ruolo di potenza economica internazionale. Filippo II muore il 13 settembre 1598 lasciando in eredità al figlio Filippo III uno Stato che maturava già i segni di una crisi. Questo dominio assoluto portato avanti dal re cattolico aveva sollevato delle reazioni particolariste dai regni iberici soprattutto dall’Aragona. L’aristocrazia aragonese non era disposta a rinunciare ai propri privilegi. La Castiglia era incapace di reggere ormai da sola gli oneri del bilancio dell’intera Spagna senza cadere in una crisi che arrivò nel 1596 quando una terza bancarotta decretò la fine dei progetti imperialistici spagnoli. In Inghilterra invece Elisabetta accentuò la sua politica anticattolica e negli anni ’80 i cattolici rimasti nel regno elaborarono una netta distinzione tra potere spirituale e temporale.

CAPITOLO 9. LA CRISI DELLA SOCIETA’ E DELLO STATO IN FRANCIA

1.Riformismo gallicano e diffusione protestante

Il concordato tra stato francese e santa sede, sotto scritto a Bologna nel 1516 dal re Francesco I e dal pontefice Leone X aveva consentito la costituzione di un episcopato nazionale fortemente lealista. Si aggiunga che prima del concordato del 1516, la Prammatica sanzione, riservava ai diplomati delle Università del regno, un terzo dei benefici ecclesiastici nazionali. La compenetrazione del clero con lo Stato giustificava la presenza di ecclesiastici francesi nelle file della diplomazia e della finanza statale.

Esempio tipico in questo senso è l’azione di riforma avviata a Meaux da Guillaume Briconnet : un tipo di attività pastorale e dottrinale che presto trascese i confini della diocesi creando un caso politico – religioso nazionale tanto che si è parlato di pre riforma francese. L’azione effettiva del Briconnet non iniziò prima del 1516. Nel 1518 esordì richiamando il clero all’obbligo della

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cura delle anime, al rispetto delle leggi canoniche e al dovere di predicazione. A proposito di quest ultimo punto il vescovo pensò di dividere la diocesi in 32 sezioni presso ognuna delle quali inviare un apposito predicatore in particolare nelle occasioni liturgiche della quaresima e dell’avvento. A collaborare a un simile piano venne chiamato l’umanista Jacques Lefèvre d’Etaples il cui volume era appena finito nel vortice dell’inquisizione della Sorbona. In quel testo ( scritto nel 1512) vi si sostenevano tesi come la negazione della meritorietà delle opere dell’uomo nell’economia della salvezza cristiana, dunque la grazia come unica fonte di salvezza, la svalutazione dei sacramenti e i Nuovo Testamento come sola regola dei cristiani. La francia vide una crescita della domanda di opere di Lutero e la diffusione del luteranesimo toccò aree come Lione. Differentemente dall’Italia, il protestantesimo francese potè contare su alcuni punti di riferimento : figlia di Luigi XII, Renata di Francia; Margherita di Valois. Briconnet dovette uscire dall’ambiguità e prese le prime misure anti luterane come il divieto di possedere libri di Lutero e predicarne le dottrine. B venne condannato dal parlamento di Parigi e solo il Re l’anno dopo sospendeva il procedimento contro di lui. Questo però fu l’ultimo provvedimento a favore di un “terzo partito” religioso tra cattolicesimo e luteranesimo.

Una radicale accelerazione nel rigore antiprotestante la si ebbe a seguito dell’affaire des placards : nella notte tra il 17 e 18 ottobre sui muri di Parigi, delle case private, delle università, delle chiese e del castello di Amboise, furono affisse centinaia di copie di un manifesto intitolato Articles veritables sul les horribles grand et insopportables abus de la Messe papale. In questo manifesto veniva criticata la liturgia cattolica dell’eucarestia. Ciò che fece scalpore fu la capacità di penetrazione fino alla camera dal letto del re che supponeva quindi un organizzazione perfetta e una rete di complicità altolocate. Francesco I ne rimase colpito e ordinò una repressione severissima. L’azione militare non fu più contro un piccolo gruppo, ma contro un’intera regione ossia i valdesi della Provenza che dal 1532 avevano aderito al protestantesimo. Roghi, galere e reazioni violente caratterizzarono la vita di queste comunità religiose. Venne emanata una sentenza dal Parlamento di Aix con la quale si ordinava di distruggere ogni edificio del paese senza che nessuno potesse riedificarvi se non con il permesso del re. Francesco I però nel ’45 rievocò la sentenza del parlamento.

Con il nuovo re, Enrico II si inasprirono le misure repressive istituiva nei parlamenti una camera speciale per eliminare i conflitti giurisdizionali tra i tribunali ecclesiastici e laici.

In un triennio queste camere speciali emisero oltre 500 condanne a morte. Il Re si convinse inoltre di inserire l’inquisizione romana. Paolo IV nominava grandi inquisitori di Francia i cardinali Carlo di Borbone, Carlo di Guisa e Odet de Chatillon. Dopo la pace di Cateau Cambresis nell’aprile del ’59, Enrico II proclamò a più riprese la sua intenzione di eliminare i protestanti francesi. La morte di Enrico II è considerata dai protestanti come un giudizio divino.

2.Dalle violenze alle guerre

Già negli ultimi anni di regno di Enrico II la frattura religiosa della società francese aveva iniziato a manifestarsi anche tra le fila della forte aristocrazia di

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corte. I tre stati clero, nobiltà e borghesia erano tutti divisi al loro interno tra cattolici e ugonotti (protestanti francesi ormai calvinisti—termine derivante dalla corruzione fonica del termine svizzero di congiurato: eidguenot). L’aristocrazia era fortemente lealista e per motivi politici avrebbe determinato il punto di non ritorno della crisi francese. Alle due famiglie cattoliche, Guisa e Montmorency, vennero a contrapporsi gli Chatillon e i Borbone la cui politica fu inizialmente incerta. L’obiettivo di contenere l’influenza dei Guisa fu la molla di adesione di alcune famiglia aristocratiche al calvinismo. L’arresto di Francesco di Chatillon fece scalpore, ma provocò anche reazioni inattese e tipiche degli intrecci sociali che avrebbero caratterizzato i successivi scontri tra le parti. I calvinisti disponevano ormai di una ramificata organizzazione sempre meno clandestina. Quest’organizzazione preparò il primo sinodo nazionale a Parigi per il 26 maggio 1559. In questa occasione vennero discussi per tre giorni due testi che Calvino aveva appositamente redatto: una confessione di fede e una Disciplina ecclesiastica. Il primo testo era una guida dottrinale calvinista mentre il secondo riguardava l’organizzazione delle varie chiese escludendo ogni forma di supremazia di una singola chiesa sulle altre attuando il sistema sinodale ossia che consiste nel delegare a ciascuna comunità l’autogestione.

Dopo la morte di Enrico II si saldarono gli ugonotti di stato ( Chatillon e Borbone) a quelli di religione ( i fedeli calvinisti). I primi in nome di una reazione anti Guisa e i secondi in nome di una reazione contro il rigorismo e la repressione antiereticale diretta dai Guisa.

La protesta degli aristocratici ostili ai Guisa giunse quindi alla reggente, Caterina de’ Medici, vedova di Enrico II e madre del minorenne Francesco II. Su Caterina gravò allora il peso di decisioni politiche drammatiche tanto più che presso di lei trovavano spesso ricetto e benevole assistenza quei repubblicani fiorentini antimedicei che lasciavano firenze perché sorpresi a tramare congiure contro Cosimo de’ Medici. Questo gruppo fiorentino aveva acquisito cariche pubbliche, benefici ecclesiastici, svolgeva funzioni politiche una vera e propria lobby.

Caterina svolse invece una politica di equilibrio tra le due parti in lotta che non ebbe grande successo determinando una reazione ostile contro di lei e tutta la lobby fiorentina. Una reazione che andò aumentando con il progresso delle violenze, generando un forte sentimento anti italiano che fu il terreno di cultura delle nuove teorizzazioni giuridiche francesi. Il ricorso a congiure e trame segrete non ebbe più limite. Caterina chiamò a succedere al posto del cancelliere Olivier, Michel de l’Hospital i suoi principi ispiratori che furono equilibrio tra i due partiti; reciproca tolleranza; separazione delle questioni religiosi dagli affari di stato, dettero subito i primi frutti: convocazione degli Stati Generali ad Orleans, inaugurati il 10 dicembre 1560. La situazione interna rimase sempre però piena di violenze.

Questa assemblea di Stati generali dovette perciò affrontare la crisi finanziaria francese e quella politico religioso. La soluzione vide la cessazione delle persecuzioni e la liberazione degli ugonotti prigionieri. Le relative ordinanze furono avvertite dagli ugonotti come una sorta di tacita possibilità di praticare liberamente il proprio culto e da allora iniziarono riunioni, cene ed assemblee. Gli Stati Generali di Orleans furono allora riconvocati a Pontoise per un ulteriore

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tentativo di definire i termini di una possibile reciproca tolleranza. In realtà Caterina de’ Medici fu costretta ad emanare un editto di Luglio con cui proibiva riunioni, assemblee e culti religiosi diversi da quello cattolico. Vana fu la convocazione per un colloquio di entrambe le parti, tenuto a Poissy e conclusosi con la definitiva rottura.

Svolta : ci fu un’azione degli ugonotti che temendo il suono delle campane della chiesa parigina di San Medardo come un’adunata contro di loro, attaccarono la chiesa saccheggiandola e facendo morti e prigionieri tra cattolici. Il Re convocò a parigi i rappresentanti dei parlamenti di francia dinanzi ai quali il cancelliere pose l’interrogativo : è possibile la repressione ugonotta o è necessario trovare per il bene del paese una coesistenza? Venne cosi emanato l’editto di Saint Germain posta la restituzione dei beni ecclesiastici occupati dagli ugonotti, a costoro era consentito tener assemblee fuori dalle mura cittadine; concistori e sinodi potevano riunirsi previo assenso regio; non potevano arruolare truppe ne propagandare la loro religione. L’editto aveva del clamoroso perché per la prima volta veniva consentita la libertà di culto.

Le decisioni dell’editto furono tuttavia superate dagli eventi: Francesco di Guisa fece sosta nel piccolo borgo di Vassy. In una fattoria era riunita la comunità ugonotta. Scoppiarono immediati incidenti che provocarono una ventina di vittime e feriti. Il popolo di Parigi accolse il Guisa come un trionfatore.

3.Guerre civili e politica estera

1 guerra di religioneIl massacro di Vissy e la conseguente prima guerra civile innescarono delle reazioni di politica estera. L’Inghilterra di Elisabetta Tudor e alcuni stati protestanti tedeschi affiancarono gli ugonotti. Spagna e Santa sede fiancheggiavano i cattolici, ma non la monarchia francese. Due furono gli avvenimenti della I guerra :

Assedio cattolico a Rouen, nel corso del quale perse la vita Antonio di Borbone;

Battaglia di Dreux vinta dai cattolici di Francesco di Guisa

Francesco di Guisa venne assassinato da un nobile ugonotto. Fu facile a Caterina de’ Medici convincere le parti ad una pace che fu promulgata da Carlo IX con l’editto di Amboise il 19 marzo 1563. Tra le clausole: amnistia generale per gli ugonotti; cessione al re delle città e piazzeforti da loro occupate; libertà di culto calvinista nelle residenze coi loro vassalli.

Caterina de’ Medici pur sapendo che cosi rinunciava ai finanziamenti della Santa Sede si convinse che la politica dell’equilibrio fosse l unica perseguibile. Raggiunta la maggiore età di Carlo IX, madre e figlio iniziarono un tour chiamato il Grand Tour per il regno. In una tappa si incontrarono con Filippo II e anche se non giunsero a nessun accordo questo allarmò gli ugonotti che supposero un’intesa segreta.

2 guerra di religione

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Gli ugonotti pensarono di ripetere quanto già tentato nel marzo del 1560 con la congiura di Amboise, e organizzarono di prendere la corte, tenere sotto proprio controllo il re e convocare gli Stati generali.

Il colpo non riuscì per poco. Nel ’67 a Nimes gli ugonotti facevano strage della dirigenza cittadina cattolica, di preti e frati. Venne ordinata la sollevazione delle città ugonotte e a novembre Parigi era assediata. Si era cosi alla 2 guerra di religione. Il sostanziale equilibrio delle forze in campo fece evitare lo scontro, ma a pagare fu la corona francese costretta a liquidare le truppe contrapposte di tedeschi e svizzeri per fargli lasciare il territorio nazionale. La pace di Longjumeau del 23 marzo 1568 si limitava a rinnovare l’editto di Amboise.

3 guerra di religioneRinforzati gli ugonotti dagli aiuti finanziari e dalla flotta di Elisabetta d’Inghilterra, i cattolici dall’arruolamento di svizzeri e da un contingente pontificio che Pio IV riuscì a far accettare a Caterina de’ Medici, si era di nuovo in guerra. La terza guerra fu tra le più violenti e feroci perché prima di risolversi nei due scontri di Jarnac ( 13 marzo 1569) e Moncontour ( 3 ottobre 1569) entrambi favorevoli alle truppe reali, si disperse in scontri locali in cui la fazione più forte massacrò quella avversaria. Caterina e Carlo IX concessero la pace per finire il bagno di sangue Pace di Saint-germain 8 agosto 1570. Con la pace concessero agli ugonotti la libertà di culto, quattro piazzeforti militari. Durissima ma vana la reazione spagnola e romana che si preoccuparono ancora di più dopo la notizia dei progetti matrimoniali di Caterina per i propri figli : Enrico d’Angiò doveva sposare Elisabetta d’Inghilterra e Margherita andare in moglie a Enrico di Borbone figlio della regina di Navarra ( calvinista) e lui stesso ugonotto.

Nel 1572 veniva reso pubblico il patto di matrimonio tra Margherita e Enrico di Borbone, mentre il patt con Elisabetta appariva formale in quanto difficilmente l’inghilterra avrebbe fatto affacciare la Francia sulle coste olandesi della Manica, una volta che i Paesi Bassi fossero diventati indipendenti. Carlo IX stava dunque portando la francia in un vicolo cieco.

4 guerra di religioneDurante le nozze di Margherita ed Enrico di Borbone ( 13 agosto 1572) Caterina de’Medici, riunito il suo consiglio privato, all’insaputa del re, decise per l’attentato al Coligny ( capo militare e politico degli ugonotti). L’attentato fallisce e il Coligny rimase ferito ad un braccio. Gli ugonotti si precipitarono a corte promettendo di farsi giustizia da sé. Caterina de’ Medici gioca d’anticipo e convince il Re Carlo IX che tutto sia un complotto contro di lui. Redige un elenco degli ugonotti da eliminareAl giovane Enrico di Guisa venne affidato il compitodi eliminare il Coligny.

Chiuse le porte della città e bloccate le vie d’accesso e divisa la città in quartieri ebbe inizio la mattanza. Accoltellato e gettato dalla finestra il Coligny, quella notte, La notte si San Bartolomeo ( 23/08/1572) vennero uccisi un infinito numero di ugonotti e tutti coloro che venivano ritenuti loro

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fiancheggiatori. Tra i 2000 e i 3000 morti a Parigi e altrettanti nelle città dove giunse la notizia e si imitò l’esempio della capitale.

4.Tre Enrichi fra politiques e monarcomachi

La reazione ugonotta all’agguato è emblematicamente rappresentata dalla disperata resistenza alla Rochelle assediata dalle truppe regie. Enrico d’Angiò che comandava le forze assedianti ebbe notizia della sua elezione a Re di Polonia. Questa elezione rappresentò la salvezza per gli ugonotti della Rochelle ( l’assedio fu tolto per considerazioni diplomatiche di riguardo ai nobili polacchi protestanti). Nuovo accordo di pace che consentiva libertà di coscienza agli ugonotti e di mantenimento delle piazzeforti. Il che fu considerato però riduttivo e iniziarono a pretendere libertà di culto e garanzie costituzionali.

Riprese quindi il progetto dell’equilibrio e di reciproca tolleranza che aveva avuto esempio nella politica de L’Hospital. A sostenerlo furono i rappresentanti aristocratici e borghesi indipendentemente dalle loro convinzioni religiose. Il gruppo nel suo complesso venne definito dei politiques. Comodo bersaglio fu l’istituto della reggenza ( di fatto Caterina de’ Medici). A lei si attribuì ogni male della Francia e ogni morte, cattolica e ugonotta. A lei la responsabilità di aver introdotto il machiavellismo dei fiorentini. Queste accuse trovarono un pronto consenso popolare.

Iniziarono una serie di pubblicazioni politiche e giuridiche che furono la conseguenza della notte di San Bartolomeo che aveva provocato uno sgretolamento del fronte cattolico e determinato un bersaglio in Caterina.

5 guerra di religioneMentre nel regno riprendeva l’iniziativa militare ugonotta, Carlo IX si spegneva il 30 maggio 1574 e la corona toccava quindi ad Enrico d’Angiò, nel frattempo eletto re di Polonia, mentre gli ugonotti e i politques avrebbero preferito François d’Alengon. Caterina sperò allora che suo figlio si presentasse al regno con volontà e personalità di pacificatore, ma Enrico III non ne ha la stoffa. Omosessuale, isterico, invidioso e vigliacco trasforma la corte in un’accozzaglia di suoi intimi arroganti e pericolosi segretari.

La guerra frattanto divampa perdendo il carattere di regolari scontri militari e acquisendo quello di guerriglia : assalti a piccoli reparti, saccheggi incendi ecc. Pressato dalla madre il Re chiede che gli si avanzino proposte per una tregua. L’organizzazione protestante alza subito la posta: liberazione dei prigionieri, libertà di culto in tutto il regno, convocazione degli stati generali. Ma la situazione precipita con la fuga di Francesco d’Angiò dalla corte che fa proprie le richieste ugonotte; Anche Enrico di Navarra fugge e si unisce a Francesco d’Angiò. Con la pace di Belieu del 6 maggio 1576 il re dovette dolersi pubblicamente della notte di San Bartolomeo, convocare gli stati generali , garantire la libertà di culto in tutto il regno( tranne a Parigi) , accettare i tribunali misti per le cause religiose, restituire i beni levati agli ugonotti e infine concedere la libertà a Enrico di Navarra.

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Reazione sconcerto del papa e protesta del popolo di Parigi che ricomincia con opuscoli e libelli. Nel 1576 nasce la Lega, strumento radicale di lotta politica, associazione in cui si entrava sotto giuramento per sempre, fatta di fanatismo e rigore, pronta ad operare militarmente e segretamente agli ordini di Enrico di Guisa.

1576 edizione dei Sex livres de la République, di Jean Bodin. Bodin impresse una radicale svolta. Richiamò un rafforzamento assoluto della monarchia soggetta solo alla legge divina e al diritto naturale. Certo andava distinto lo stato dal governo dello stato e le entrate dello stato non dovevano quindi essere a disposizione del sovrano. Il re doveva garantire come compito primario la giustizia la cui amministrazione garantiva a sua volta l’autorità del re e l’obbedienza del popolo. A reggere lo stato dovevano esserci la forza e la violenza il dispotismo era utile alla salvaguardia del bene pubblico. Predica uno stato in grado di imporsi al caos, al disordine e alla lacerazione del tessuto sociale.

Agli stati generali, inaugurati a Blois nel 1576, la situazione interna mutò improvvisamente rispetto alla pace di Belieu. Prevalse la richiesta di un’unità religiosa e fu una nuova guerra.

6 guerra di religioneFu combattuta fiaccamente e stancamente stante lo stremo delle risorse, la carenza di capi carismatici calvinisti, l’avversione personale di Enrico II per il fratello e per lo scomodo alleato Enrico di Guisa. Iniziate nel luglio 1577 le ostilità si concludevano già a metà novembre con la pace di Bergerac che limitava le grandi concessioni di Beaulieu ( ora libertà di culto sol nelle città di baliato e concessione temporanea per 8 anni nelle piazze forti).

I rapporti franco inglesi tornarono a splendere con l’organizzazione del matrimonio tra Francesco d’Angiò ed Elisabetta d’Inghilterra. Il matrimonio non si celebrò mai poiché Francesco morì di tisi. Si apriva quindi la questione dinastica che era una delicatissima questione politico-religiosa internazionale. L’omosessualità di Enrico III precludeva la possibilità che avesse eredi. La dinastia era esaurita. Per odio verso Enrico di Guisa, Enrico III dava chiari segni verso il Re di Navarra ; segni che non lasciarono più dubbi. La piazza di parigi era già in subbuglio all’idea che un re protestante prendesse il trono e iniziarono a girare voci che Enrico III e Enrico di Navarra stessero organizzando una contro notte di San Bartolomeo a danno dei cattolici. La lega si prepara allora allo scontro armato.

Ad Enrico di Guisa non rimane che allearsi con il Re di Spagna, Filippo II, per ottenere finanziamenti per escludere dal trono francese i discendenti eretici dei Borbone. La lega si definisce quindi santa ed ha una propria politica estera. Con il manifesto di Péronne lanciava l’appello nazionale contro il re eretico. Era un vero e proprio proclama di guerra che condusse all’ennesima pace che stavolta danneggiava gli ugonotti abolita la libertà di culto, restituzione delle piazzeforti, dichiarazione della decadenza di Enrico di Navarra da ogni diritto.

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Tutto contribuì a fare di Enrico di Navarra un campione patriottico. Ugonotti e cattolici condividono però l’idea di assassinare il sovrano che sempre più si dedicava ad assassini e amori privati. Gli ugonotti credevano nel consenso popolare interpretato come il patto con il re. Quando mancasse, determinerebbe lo scioglimento del popolo dal vincolo di fedeltà e la libertà di insorgere e anche di assassinare il Re. Per i cattolici il tirannicidio è un atto giustificato dal diritto positivo e dalla legge di Dio.

Scatta l’organizzazione della Lega che fanno entrare in città Enrico di Guisa sotto le grida di viva il Re. Enrico III è completamente umiliato ed esautorato. Ancora a Blois nel 1588 si riuniscono gli stati generali. Controllati dai Guisa e dai leghisti, ma consapevoli di rappresentare la nazione unita. Durante i lavori dell’assemblea Enrico III convoca nel suo appartamento Enrico di Guisa che viene assassinato dalla guardia del corpo del Re. Parigi insorge, la lega assume poteri di polizia e la Sorbona decreta lo scioglimento del popolo dall’obbligo di fedeltà al Re. Il tirannicidio è sempre più invocato. Jacques Clément si fa ricevere da Enrico III a Saint Cloud e finalmente lo accoltella a morte. Estinta la dinastia dei Valois, la Francia è senza Re,

5.Enrico IV: il contrastato avvio della ricostruzione

La successione dinastica ai Valois si presentava giuridicamente complessa, stante la bolla pontificia di Sisto V che condannò come eretico Enrico di Navarra e lo interdiceva dalla successione. A favore del Navarra erano ovviamente schierati gli ugonotti. Contro ovviamente la Lega, i Guisa, la Spagna e la Santa Sede. Ad Enrico di N. non restava quindi che completare l’azione militare: prendere Parigi. Operazione non esente da rischi, tanto che non procedette infatti all’assedio di Parigi ma si dirige alla volta della Rochelle guadagnando popolarità nelle prime città. Con tattica taglia i rifornimenti alimentari alla capitale. Ottenne inoltre un successo diplomatico ricevendo a Tours la prima ambasceria di uno stato cattolico che lo riconosce come Enrico IV di Francia: la Repubblica di Venezia.

Ci fu uno scontro militare avviato da il Guiss a Ivry ( 14 marzo 1590) che fu fatale per l’esercito della Lega. Parigi viene assediata dall’aprile 1590 e i morti di fame sono quasi 30.000.

A fine agosto l’esercito spagnolo comandato da Alessandro Farnese costringe Enrico di Navarra a levare l’assedio di Parigi. La guerra divampa ancora per le regioni della Francia divise tra cattoliche fedeli al Guisa, cattoliche leghiste, cattoliche fedeli a Enrico IV e ugonotte parimenti per Enrico IV e il tutto spezzettato da armi straniere. La salvezza dello stato è dunque costituita da Enrico di Navarra, l ‘aveva già capito anche Sisto V prima di morire. Contro Enrico IV è rimasta solo la Lega e qualche gesuita. I leghisti vengono spiazzati quando Enrico IV chiese di convertirsi alla religione cattolica.

Il 27 febbraio 1594 si procede alla solenne consacrazione del re a Chartres e Enrico IV è ormai ufficialmente re di Francia. La situazione che trova è disastrosa : economia rovinata e una struttura diplomatica tra parigi e Roma. Nel 1595 vennero cacciati i gesuiti dalla città. La pressione ugonotta, la

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mediazione del papa e la vicina morte di Filippo II portarono ala conclusione dell’ editto di Nantes 1598. l’editto ristabiliva il culto cattolico ovunque. Agli ugonotti era consentita la libertà di culto calvinista; l’accesso a tutte le cariche pubbliche, scuole ed Università; potevano godere di 84 piazzeforti. Quell’editto era il prezzo della pace ed Enrico IV poteva finalmente procedere alla ricostruzione dello Stato.

CAPITOLO 10. ECONOMIE E SOCIETA’ IN TRANSIZIONE

Le profonde trasformazioni politiche, religiose e culturali del ‘500 si accompagnarono ad imponenti mutamenti economici già avviati dalla seconda metà del ‘400. Nuove relazioni economiche vengono cosi a sovrapporsi ai preesistenti ordinamenti giuridici del mondo feudale e i vari gruppi definirono sempre più la reciproca collocazione in base al patrimonio e alla posizione economica. A questo risultato contribuì non poco la progressiva espansione in vaste aree dell’Europa continentale di un protocapitalismo incentrato sulla figura del mercante, spesso divenuto imprenditore e banchiere incaricato di diffondere una cultura basata sul calcolo economico. Anche i nobili dovettero accettare lo smantellamento dei vecchi legami feudali che per secolo avevano garantito il loro dominio. Si svilupparono le borghesie e accanto a loro si crearono delle differenziazioni interne alle classi popolari sia nelle città che nelle campagne.

Si trattò di fenomeni che, acuendo il tradizionale squilibrio economico tra campagna e città a favore di quest ultima, incrementarono quel tessuto urbano divenuto il modello europeo. Sempre più la campagna si pose al servizio delle città, rimase le vere protagoniste del passaggio dall’età feudale a quella capitalistica. Accanto alle città fu il mare l’altro indiscusso protagonista delle grandi trasformazioni.

I secoli XVI e XVII sono stati secoli di grande transizione. Una transizione non unitaria ed omogenea né per aree geografiche ne per scansioni cronologiche. Due grandi fasi:

1) Tra la fine del ‘400 e il 1620 contraddistinta da un forte incremento demografico, dall’ascesa dei prezzi, da una robusta espansione commerciale, dalla crescita della produzione agricola e da uno sviluppo delle attività manifatturiere .

2) Dal 1620 alla prima metà del XVIII secolo contrassegnata da stasi demografica, stabilità dell’andamento dei prezzi, assestamento degli scambi commerciali e dei livelli produttivi raggiunti nel secolo precedente.

Alla secolare crescita cinquecentesca seguì insomma un periodo che può essere definito di crisi e stagnazione se paragonato al grande sviluppo precedente, ma che in realtà fu soprattutto una lunga fase di assestamento e stabilizzazione. Ne risultò un’accentuazione dei differenti ritmi di sviluppo delle varie aree economiche già delineatasi nel ‘500.

Nacquero cosi le grandi potenze dell’età moderna contraddistinte dall’ampliamento del mercato interno, dallo sviluppo delle manifatturiere,

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dall’espansione degli scambi internazionali. Lentamente la politica seguì le strade dell’economia.

1.Due indici significativi: prezzi e demografia

Due indici appaiono particolarmente significativi per seguire questa transizione: l’andamento dei prezzi e il regime demografico. Indubbiamente nel corso del XVI secolo il fenomeno economicamente più vistoso fu la rivoluzione dei prezzi: dopo una stabilità del basso medioevo, i prezzi crebbero costantemente, dapprima in maniera modesta, poi con un ritmo più accelerato ( fino al 1560) e quindi dopo una relativa stasi ( tra il 1560 e il 1575) si stabilizzò definitivamente nei primi venti anni del 1600. Dalla metà del secolo questo effetto inflattivo fu così percepibile in Europa che se ne incominciarono a cercare le prime spiegazioni. Jean Bodin sostenne che l’inflazione era una conseguenza dello svilimento del conio. La spiegazione bodiniana non ha retto al confronto con i fatti poiché la spinta ascensionale dei prezzi si verificò infatti dall’inizio del secolo ossia molto prima che l’importazione di metalli preziosi fosse tale da coincidere in maniera significativa sulla circolazione monetaria.

Inoltre, in caso di inflazione esclusivamente monetaria, i prezzi avrebbero dovuto aumentare omogeneamente per tutte le merci invece si verificò il contrario: i prezzi crebbero in maniera assai diversificata.

L’altro importante fenomeno fu la crescita demografica. Si stima che dopo il crollo demografico verificatosi dal 1340 la popolazione europea crebbe da circa 40-50 milioni a circa 85-100 milioni con un’ascesa omogenea in tutti i paesi. Questa crescita demografica fu favorita dalla maggior sicurezza garantita dai governi nel controllo del territorio e delle vie di comunicazione e della diminuita virulenza delle epidemie. Ci fu un inversione di tendenza nel 1600 affiancata da un peggioramento della produzione agricola e della maggiore frequenza di carestie. Devastante anche la guerra dei Trent anni (1618-1648). Inoltre a fine ‘500 ci fu un emigrazione religiosa che divenne un fenomeno di massa.

I dati seicenteschi indicano una tendenza alla differenziazione, in genere corrispondente ai diversi ritmi di sviluppo socio-economico delle varie aree. Questa progressiva differenziazione dei regimi demografici è indice delle diverse potenzialità di crescita economica. D’altra parte processi di differenziazione demografica si registrarono anche all’interno dei singoli paesi. In Spagna la crisi demografica seicentesca cui contribuirono l’espulsione dei moriscos, fu più avvertita nel centro del regno in Castiglia e meno nelle regioni periferiche.

2.Rapporti sociali ed economici nelle campagne

L’andamento demografico e quello dei prezzi furono in larga parte rispecchiati nelle fluttuazioni cicliche dell’agricoltura. Ad una fase (1450-1550) in cui la produzione si limitò a recuperare i livelli antecedenti la Grande Peste del 1348, seguì infatti un periodo di crescita e quindi una lunga stabilità durata dal 1620 al 1750. L’agricoltura era dominata dalla produzione dei beni necessari all’alimentazione, primi tra tutti i cereali e l’allevamento ovino. In genere gli aumenti produttivi agricoli non furono determinati nel ‘500 da innovazioni

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tecnologiche, ma dall’estensione delle colture. Le tecniche agrarie rimasero infatti sostanzialmente quelle del passato con una netta prevalenza del lavoro manuale. Dunque la strada preferita per adeguare la produzione agricola alla crescita di domanda fu di ampliare alcuni tipi di culture soprattutto quelle cerealicole.

In quasi tutta l’Europa la forma economico-sociale entro cui si organizzava la produzione agricola cinquecentesca era ancora la signoria fondiaria di origine medievale costituita dalla riserva signorile, ossia terre del signore e dai possessi affidati ai vari cittadini i quali vi esercitavano vari diritti. La signoria poteva appartenere alla Chiesa, a casate reali o a laici. Un unico territorio poteva comprendere più signorie indipendenti oppure legate tra loro. In molti paesi la nobiltà possedeva grandi feudi che si distinguevano dalla signoria fondiaria perché usufruivano dei privilegi giurisdizionali medievali con conseguente rilevanza politica. Pur lasciando la nobiltà ai vertici della gerarchia sociale si allentarono i vincoli feudali tradizionali mediante la privatizzazione del feudo.

La classe sociale più numerosa era ovviamente costituita da contadini che non solo avevano a disposizione quantità di terra insufficienti per il loro numero ma nella maggior parte dei casi non ne avevano neppure la piena e libera disponibilità. La situazione inglese era peculiare : l’agricoltore del ‘500 al contrario del resto d’ Europa, era quasi completamente libero da vincoli ed obblighi verso i signori il regime signorile era in via di estinzione.

Trasformazione della nobiltà: passò da essere un ceto organizzato e giuridicamente privilegiato sulla base del diritto feudale, in un’aristocrazia più variamente composta al suo interno e rappresentante un gruppo sociale dominante in base all’entità dei patrimoni. All’antica nobiltà di spada si sostituì una nobiltà priva degli antichi diritti cavallereschi. Non coincise più nobiltà e feudalità.

In italia l’egemonia dei ceti feudali ostacolò l’ammodernamento dell’agricoltura meridionale, già fortemente intralciato dalla pastorizia transumante, incoraggiata dal papato nei territori dello Stato pontificio e dalla Spagna nel Regno di Napoli.

Un fenomeno analogo si verificò anche nei due principali paesi produttori ed esportatori di lana, ossia la Spagna e l’Inghilterra. Nel ‘500 si verificò in entrambi un ampliamento del pascolo a detrimento delle colture. La conseguente diminuzione dei territori coltivati provocò a sua volta un aumento dei prezzi dei cereali determinando problemi di approvvigionamento. Diverse furono però le conseguenze:

In Spagna ne nacque un conflitto tra contadini e la potente corporazione castigliana, la Mesta, alla fine vincitrice del confronto grazie all’appoggio della monarchia.

Nelle campagne inglesi invece le terre da destinare all’allevamento furono acquisite in virtu delle stesse enclosures, ossia delle recinzioni dei campi iniziate dai primi del’500.

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In genere si crearono dei fenomeni di crisi economica cui i nobili reagirono irrigidendo i privilegi di casta. Si trattò di un processo di chiusura sociale del ceto nobiliare. In Spagna e in Francia il nobile che esercitava attività mercantili perdeva i propri privilegi. Ciò non accadeva in Inghilterra dove l’aristocratico non perdeva il proprio rango esercitando attività mercantili. Nei posti come l’Inghilterra si potè sviluppare una simbiosi tra economie agrarie, industrie e commerci.

In tutta l’europa la redistribuzione del reddito a favore dei proprietari terrieri fini per provocare un grande impoverimento dei contadini poiché quasi ovunque perdettero le loro terre. Conseguenza di questo impoverimento fu una differenziazione socio-economica interna alla stessa classe contadina. Soprattutto in Francia e Inghilterra potè nascere un ceto di contadini ricchi e indipendenti e uno strato di costruttori- imprenditori. L’impoverimento della massa dei contadini favorirono la nascita di un proletariato rurale, dedito al vagabondaggio e al banditismo, diffuso in Spagna e in italia centro-meridionale. L’unica alternativa valida per i contadini era l’emigrazione.

La situazione complessiva non migliorò nel XVII secolo quando la crescita dell’agricoltura europea cominciò a declinare in coincidenza con la stagnazione dell’economia.

CAPITOLO 11. DAI CONTRASTI CONFESSIONALI ALLA GUERRA DEI TRENT’ANNI

1.Due destini opposti: la Spagna e le Province Unite

Le paci e le tregue raggiunte dalla Spagna con la Francia, l’Inghilterra e le Province Unite erano una sistemazione provvisoria data la divisione in campo tra cattolici e protestanti e date le trasformazioni interne di ciascun stato europeo. Accanto ai problemi religiosi iniziarono ad emergere altre ragioni che motivavano le politiche delle grandi potenze: ragioni legate alla difesa e all’affermazione di interessi economici che vennero ora ad assumere una dimensione e un peso specifico del tutto inediti. In Spagna la bancarotta che ci fu nel 1557,1575,1569 e una nuova nel 1607 indicò il perpetuarsi degli eterni problemi finanziari della monarchia. Ma la crisi monetaria segnò anche la mentalità di tutti gli strati della società spagnola che erano ormai passivi attori di un fatalismo rinunciatario.

La cacciata dei moriscos coinvolse circa 270.000 delle 300.000 persone che ne costituivano la popolazione. Questo evento indicò in quale misura il governo spagnolo fosse ormai chiuso a qualsiasi tentativo di rinnovamento.

All’urgenza di realizzare riforme economiche contribuirono numerosi scrittori di politica ( arbitras = suggeritori di proposte) che tempestarono il governo di suggerimenti. Denunciando la progressiva presa di coscienza della crisi in atto, gli aribitras prospettarono soluzione teoricamente efficaci come il taglio della spesa pubblica, la perequazione territoriale del sistema fiscale o il miglioramento dell’agricoltura. Non mancarono individualità come ad esempio Gonzalez de Cellorigo che proponeva una politica economica protesa ad aumentare la ricchezza non attraverso la pura e semplice accumulazione di

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metalli preziosi, ma mediante il potenziamento delle attività produttive. Questi tipi di consigli si infrangevano contro una struttura di governo che sembrava rispecchiare una tradizionale realtà sociale ed economica.

Dopo la morte di Filippo III, gli successe il figlio diciottenne Filippo IV che mancava però della fermezza di carattere necessaria per non cadere nelle mani del suo personale come ad esempio il duca di Olivares che era pronto alla morte di Filippo III a strappare il potere al duca di Uceda. Olivares tentò di rendere operative le tanto attese riforme interne e nel frattempo a rilanciare l’egemonia della Spagna nell’Europa. Complessivamente il programma di Olivares non ebbe successo : non riuscirono le riforme in Castiglia, non riuscirono gli sforzi per riequilibrare il sistema fiscale, ne il tentativo di istituire un sistema bancario nazionale. Di fatto la politica regia continuò a gravare sulla Castiglia e tra il 1620-30 gli impegni bellici costrinsero il governo a gravare ancora di più fiscalmente.

Del tutto diversa fu la sorte delle Province Unite nelle quali l’impronta localistica che aveva contrassegnato la rivolta antispagnola rimase come un dato indelebile nell’organizzazione statale costituita da un vero e proprio mosaico di poteri in mano alle oligarchie urbane e strutturata sul triplice livello dei Consigli municipali, degli Stati provinciali e degli Stati generali. Ciascuna delle 7 province era amministrata autonomamente da un’assemblea elettiva mentre le città conservavano i loro statuti particolari. Questo dominio delle oligarchie mercantili costituì la base di quel miracolo economico e di quello sviluppo dei traffici consolidato ed accresciuto dalla pace ottenuta nel 1609. L’epicentro di queste fortune fu soprattutto l’Olanda che contribuiva da sola a sostenere la metà del bilancio delle P.U.

I compiti di amministrazione civile affidati al Grand Pensionario ( segretario degli Stati Generali) vennero spesso a scontrarsi con quelli dei governatori militari delle province, gli stathouders in genere provenienti dalle fila dell’aristocrazia. Questo dualismo istituzionale era espressione della divergenza di interessi tra borghesia mercantile e nobiltà terriera e si manifestarono in due linee contrapposte:

Quella mercantile era interessata a salvaguardare i traffici intercontinentali e contraria a proseguire la guerra con la Spagna; era a favore inoltre di un’autonomia locale.

Quella aristocratica preferiva continuare la guerra antispagnola anche a costo di gravi danni economici. Cercava inoltre un accentramento statale

Questi contrasti erano emersi già in occasione della firma con la Spagna fortemente voluta dal Gran Pensionario e osteggiato da Maurizio Nassau. Lo scontro politico tra le due tendenze divenne sempre più acuto soprattutto sul terreno religioso. Naturalmente si appuntò sulla questione più controversa della dottrina calvinista ossia quella della predestinazione. Arminio, calvinista entrò in contrasto con le idee del suo collega Gomar, sostenitore di una predestinazione tanto rigorosa da essere collocata prima della caduta di Adamo. Arminio, da parte sua, sosteneva che il decreto di Dio sulla predestinazione fosse relativo alla presenza o assenza di fede nell’uomo e da qui derivava il recupero del libero arbitrio non totalmente distrutto dal peccato.

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Nelle P.U. l’aspra controversia cui diede luogo ebbe l’effetto di polarizzare su di se gli opposti schieramenti sociali e politici negli anni precedenti. Per Nassau, per la nobiltà e gli strati rurali e popolari, la combattiva e intransigente teologia gomarista costruiva un modo per ribadire la propria volontà di non disarmare di fronte al pacifismo dei ceti borghesi e mercantili rappresentati dall’Oldebarneveldt, accusati di condividere l’indifferentismo religioso arminiano. La disputa coinvolse anche un amico di Arminio, Uitenbogaert sulla questione dell’intervento statale nelle questioni religiose, voluta fortemente da quest’ultimo. Nel 1610, guidati dall’Uitenbogaert, gli arminiani tornarono alla carica presentando agli Stati provinciali d’Olanda e di Frisia una rimostranza in cui ribadivano gli articoli di fede. Fu respinta dai gomaristi che presentarono una contro rimostranza. I gomaristi si erano dichiarati “Chiesa perseguitata” e avevano provocato violenti sommosse. La lotta proseguì finchè, contraddicendo l’Unione di Utrecht che prevedeva autonomia religiosa delle singole province, ottennero la convocazione di un sinodo nazionale a Dordrecht nel corso del quale gli arminiani vennero espulsi segnando l’avvio di un periodo di predominio degli stathousers.

2.Uno scenario nuovo: le potenze baltiche e l’Europa orientale

Accanto a quelle religiose, le motivazioni economiche emersero progressivamente come spinta decisiva all’azione politica europea manifestandosi soprattutto in quell’area baltica che tra la seconda metà del ‘500 e ‘600 vide per la prima volta affacciarsi sulla scena continentale la Polonia e la Russia. Già avevano avuto un peso rilevante Danimarca e Svezia con la loro scelta a favore del luteranesimo.

DANIMARCA. La scelta avviata con Cristiano II, Federico I e Cristiano III si era sviluppata senza comportare un rafforzamento della monarchia che rimase elettiva. La nobiltà aveva conservato un’incontrastata egemonia socio-economica riflessa nel condizionante potere del Rigsraad, l’assemblea che eleggeva il sovrano. Questa sorta di onnipotenza aristocratica fu ulteriormente rafforzata con l’esclusione dei contadini dal Rigsraad durante il regno di Federico III.

SVEZIA. L’introduzione del luteranesimo si era intrecciata con una decisa evoluzione in senso assolutistico delle strutture di governo fin dal tempo di Gustavo I Vasa. Anche qui con l’avvento di Erik XIV Vasa la nobiltà cominciò a recalcitrare di fronte al potere monarchico, fino ad insorgere e deporre il re. La vitale necessità della Svezia di conquistare un accesso sulle coste tedesche e polacche aveva cosi riacceso tra il 1563 e il 1570 una guerra che aveva visto vincitrici le forze coalizzate della Danimarca e di Lubecca che con la pace di Stettino (1570) aveva obbligato gli svedesi a cedere le isole di Gotland e Osel. La sconfitta avviò un periodo di instabilità interna nel corso del quale il Riksdag svedese ( assemblea di nobili, clero, borghesi e contadini) riprese vigore chiamando al trono il fratello del re deposto, Giovanni III Vasa. Decisiva fu la politica religiosa istaurata dal nuovo sovrano che fini per intrecciare le sorti della Svezia a quelle della Polonia. Giovanni III infatti influenzato dalle idee religiose moderate e conciliatrici del teologo ed umanista fiammingo Cassander, fautore di una riunificazione del cristianesimo basata sull’accettazione di pochi ed essenziali punti di fede, rimise in discussione il

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luteranesimo fino ad imporre nel 1575 un nuovo ordinamento ecclesiastico e con il Libro Rosso una nuova liturgia di stampo cattolico e ad ammettere nel regno i gesuiti.

POLONIA. Al trono polacco fu eletto con il nome di Sigismondo III, il figlio di Sigismondo II e avviò una decisa azione assolutistica e controriformista. La Polonia era economicamente e socialmente dominata dai grandi magnati e da una piccola nobiltà che estendeva il suo incontrastato controllo sulla terra ai danni dei contadini. La nobiltà era riuscita anche a monopolizzare i commerci mediante gravi restrizioni legislative alle attività mercantili e imprenditoriali e alle classi rurali. La Dieta era divisa in una Camera composta dai deputati delle diete locali, quasi sempre rappresentative dei soli nobili e in un Senato formato da vescovi, grandi magnati e dignitari di corte. La chiesa polacca non solo deteneva il diritto di eleggere i sovrani ma aveva anche un potere legislativo. Negli anni ’60 si introdusse il liberum vetum ossia il potere dato a ciascun membro di bloccare il procedimento legislativo ponendo un veto. Alla morte di Sigismondo II era stato eletto re Enrico di Valois che però gia nel giugno del ’74 tornava alla corona francese. Il successore Stefano Bathory favorì una totale preponderanza nobiliare tanto che lo svedese Sigismondo III Vasa assunse la responsabilità della monarchia. In quei decenni la Polonia fu sia al vertice della sua vitalità economica e della sua forza politica, ma allo steso tempo la fusione dei due stati polacco e lituano segnava la sconfitta della monarchia a favore di un estensione di privilegi della nobiltà.

Questioni religiose

Ufficialmente cattolica la Polonia aveva adottato un atteggiamento tollerante non solo verso gli ebrei, ma anche verso i luterani e i calvinisti. Il protestantesimo era penetrato fin dagli anni ’20 trovando a Cracovia e Konigsberg i propri centri d’irradiazione consolidandosi in Lituania, Livonia e nella Prussia polacca, ma perdendo anche però forza date le divisioni interne tra luterani, calviniste e altri movimenti radicali. Ne fu favorito soprattutto il calvinismo che guadagnò molti adepti in Lituania. La tolleranza religiosa era tuttavia rimasta legata ai privilegi nobiliari. Fu in questo scenario di libertà di culto e privilegi nobiliari che Sigismondo III cercò di avviare una svolta assolutistica e controriformista, favorita dalla duplice circostanza che il culto cattolico era rimasto la religione ufficiale dello Stato e che i cattolici erano convinti sostenitori dell’autorità regia in contrapposizione ai protestanti in genere difensori dell’autonomia dei ceti nobiliari.

Fu soprattutto l’offensiva politico diplomatica intrapresa da Gregorio XIII a creare le condizioni per riaffermare il cattolicesimo. Era tesa infatti a realizzare un complesso progetto pontificio di riconquista dell’Europa nord orientale che mirava a ricomporre le divergenze polacco – svedesi per riconsegnare quest’area al blocco asburgico.

I luterani in Svezia erano diffidenti verso il Re Sigismondo III cattolico. Ben presto quest’ostilità si trasformò in un’aperta ribellione guidata dall’ultimo dei tre figli di Gustavo I Vasa, Carlo duca di Sodermanland. Cacciarono i gesuiti dal suolo svedese ristabilendo di fatto l’ortodossia luterana in tutto il paese e bandendo Sigismondo III con il consenso del Riksag che nel 1600 deponeva il re

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ed eleggeva appunto Carlo IX. Sul piano internazionale il contrasto polacco svedese fece parzialmente fallire il piano pontificio a cui avevano lavorato anche gli Asburgo. Non solo per la Svezia, ma per tutte le nazioni dell’Europa nord orientale un nuovo fronte per la lotta egemonica che le coinvolgeva era la Russia.

RUSSIA. Scomparso Ivan III, era salito sul trono il figlio Basilio ( Basilio III) che diede un nuovo impulso all’imperialismo moscovita, ammantato di pretese universalistiche al pari di quello asburgico e ottomano. La mitologia della “Terza Roma” fornì una giustificazione ad un espansionismo che con Basilio III trovò concreta manifestazione sia nell’opera di unificazione delle terre russe sia nel rafforzamento del confine meridionale e sia infine nella penetrazione verso occidente che condusse appunto ai conflitti con la Polonia e la Svezia. Alla morte di Basilio III tutta la Russia entrò in un periodo di lotte sanguinose per la successione finché nel 1547 l’erede designato fu Ivan IV il Terribile che non riuscì a detenere effettivamente il potere avviando una politica di ripresa dell’espansionismo ai danni dei tatari e di riorganizzazione interna mirante a creare un esercito fidato e a aumentare gli introiti fiscali. In politica interna avviò una politica assolutistica difendendo il carattere sacramentale dello zarismo e accusando i boiari. Ivan IV accuso questi ultimi di ribellione e li obbligò a fornire prestazioni militari. Nei primi anni ’60 Ivan intensificò la sua politica dividendo l’area in due zone:

Una comprendente le terre pertinenti allo zar dalla quale furono espulsi i boiari;

L’altra destinata ai soli boiari che vi furono deportati con la forza.

A questa riforma realizzata con la forza si aggiunsero una serie di misure legislative che ribadivano la servitù della gleba imposta ai contadini. Ivan IV riprese l’espansionismo verso occidente concentrandosi nelle regioni del Baltico la cui conquista avrebbe comportato enorme vantaggi economici. L’attacco mosso contro l Livonia fu condotto con alterni successi fino a quando la pace di Yam Zapolski 1583 segnò la sconfitta russa. In più si aggiunse una crisi economica dovuta alle devastazioni provocate nelle campagne dalle deportazioni dei boiari, dall’inasprimento fiscale e dalle carestie. Alla sua morte Ivan il terribile lasciava la Russia in una situazione con estrema difficoltà. Problema della successione: il regno del primogenito di Ivan il Terribile, Teodoro segnò un momentaneo abbandono di ogni pretesa sul Baltico. La successione di Teodoro avviò un lungo periodo di sinistre lotte intestine che diedero occasione a danesi, svedesi e polacchi di approfittare della situazione per tentare di guadagnare nuovi territori. Sarebbe dovuto salire al trono Godunov, ultimo della dinastia per la scomparsa del 1591 del fratello Dimitri. Godunov era sospettato di aver ucciso Dimitri e nel 1604 vide comparire un personaggio che si qualificava come Dimitri, sopravvissuto all’attentato del ’91. Il mito popolare della sopravvivenza del sovrano nascosto in terre lontane per verificare l’equità dei suoi funzionari e per tornare in caso di necessità per salvare la patria e rendere giustizia ai suoi sudditi, si diffuse nella Russia. Ma c’erano anche coloro che sostenevano l’impostura del falso Dimitri come Sigismondo III seguito dai cosacchi i contadini e gli allevatori indispettiti dalla

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fiscalità zarista. La crisi proseguì fino al 1605 senza interruzione. Dimitri fu incoronato zar ma l’anno successivi fu giustiziato da alcuni boiari. Il 19 agosto 1610 l’assemblea formata da boiari designava come zar il figlio del re polacco, Ladislao. Ma il malcontento popolare portò a un’assemblea di stati che nel 1613 votarono Michele Romanov imparentato con Ivan il Terribile. Lo zar Michele era interessato a chiudere i conflitti. Nel 1617 con il trattato di Stolbovo la Russia cedeva la Carelia e l’Ingria alla Svezia. L’anno seguente veniva firmato il trattato di Devlin con la Polonia che rinunciava di fatto alle sue pretese sulla corona zarista.

3.La crisi dell’Impero asburgico e la guerra europea

Nell’Impero dopo la pace di Augusta del 1555 e il fallimento del modello centralistico tentato dagli Asburgo il governo era in mano agli stati territoriali anche se l’imperatore era riuscito a ritagliarsi una sfera d’influenza nel settore giudiziario e se i distretti e il Tribunale camerale costituirono un livello intermedio. Il particolare rapporto che cosi si era stabilito tra prìncipi territoriali e corona imperale consentì di avviare un processo di modernizzazione delle struttura statali nel quadro di un originale sistema federale nel quale i singoli stati poterono consolidarsi politicamente ed ecclesiasticamente. Tuttavia non mancavano forti elementi di squilibrio e debolezza. Ad esempio i diritti vantati dagli Asburgo sui paesi che formavano i loro domini. La linea della netta divisione dei fronti religiosi appariva inevitabile anche perché in tutto l’impero il consolidamento interno dei singoli stati si stava realizzando sul principio del cuius regio, eius religio.

Si sviluppò la Controriforma la cui affermazione fu dovuta non tanto alla corona imperiale quanto al dinamismo degli Stati cattolici. Cuore della cultura cattolica fu la Baviera che assumendo la funzione di baluardo della Controriforma riuscì ad acquisire un peso politico alternativo a quello degli Asburgo. La politica religiosa della Baviera era diretta a farne una potenza egemone nell’Impero in alternativa alla stessa autorità imperiale.

Fu proprio in concomitanza con lo sviluppo di questi processi di rafforzamento interno degli stati e di creazione di un rigido sistema confessionale, che maturarono tra la metà del ‘500 e il primo decennio del ‘600 le condizioni per la nascita di nuovi schieramenti politici e ideologici da cui sarebbe scaturita una crisi generale poi esplosa con la guerra dei Trent’anni. Ad incubare questa crisi c’era il mancato riconoscimento nella pace di Augusta del calvinismo come religione ufficiale, la necessità del luteranesimo di riaggiustare i propri principi dottrinali e la volontà dei cattolici di recuperare il terreno perduto. Della sistemazione religiosa raggiunta nel 1555 si accontentavano certamente gli Stati guadagnati dal luteranesimo e che avevano riconosciuto come propria guida Melantone dopo la morte di Lutero nel 1546. Le esasperate polemiche teologiche continuarono ad infuriare anche dopo la morte di Melantone nel 1560 dividendo i suoi seguaci da coloro che si ritenevano unici luterani legittimi. Soltanto nel 1577 si riuscì ad impostare un’opera di unificazione dottrinale sintetizzasta nei 12 articoli di un Formula di concordia. Con questo testo il luteranesimo tedesco ritrovava la sua omogeneità rigettando solo quanto rimaneva del radicalismo settario ma anche qualsiasi compromesso con il calvinismo.

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Si formarono entità statali moderne capaci di addomesticare le potestà autonome dei ceti e delle città, di dotarsi di apparati governativi centralizzati, sostenuti da una classe di burocrati ben addestrata, fedelmente legata ai principi e docile strumento per la sottomissione delle amministrazioni ecclesiastiche. Il controllo dello Stato sulle Chiese divenne un fattore decisivo negli stati cattolici e protestanti come anche il monopolio dello Stato in settori tradizionalmente riservati all’istituzione ecclesiastica, quali la scuola, il matrimonio, la famiglia e l’assistenza sociale. Tuttavia la confessionalizzazione tedesca determinò squilibri tali da causare la crisi di un sistema il cui punto critico stava nella sproporzione tra frammentazione geopolitica e debolezza della corona asburgica. L’applicazione della pace di Augusta si fece sempre più difficile proprio a causa dell’avviato consolidamento interno degli Stati. Sempre più violata era la clausola augustana del reservatum ecclesiasticum. In questo scenario, in cui cattolicesimo , luteranesimo e calvinismo avevano ormai i loro rispettivi epicentri egemonici in Baviera, Sassonia e Palatinato, la corona asburgica fronteggiò con crescente difficoltà le pericolose linee di frattura che si erano andate delineando. Non vi riuscì con Massimiliano II e con la Dieta del 1566 e né tantomeno con l’avvento dell’imperatore Rodolfo II il quale non potendo subire la preponderanza dei protestanti, non poté fare a meno di appoggiarsi alla Chiesa romana, dalla quale lo dividevano non pochi contrasti giurisdizionali e la ferma convinzione della superiorità del potere imperiale su quello del pontefice. La Boemia si scontrò con le tendenze centralistiche asburgiche che andavano di pari passo con la controriforma.

L’offensiva cattolica proseguì negli anni ’80 con il ripristino della nunziatura apostolica romana e guadagnò successo con una serie di seminari e iniziative propagandistiche e missionarie. Il rifiuto imperiale di rinnovare la Declaratio Ferdinandea che tolse ogni protezione alla libertà di culto dei protestanti, si sommò il progressivo svuotamento delle funzioni di controllo del Tribunale camerale e la caduta dell’autorità della Dieta. Si formarono due blocchi politico religiosi contrapposti:

I protestanti si stringevano presso Nordlingen nell’Unione evangelica; Gli stati cattolici si univano sotto l’egida bavarese nella Lega cattolica.

La crisi stava sempre più diventando il terreno di uno scontro internazionale su cui si sarebbero giocati i futuri equilibri politici europei. Proprio nel momento in cui si andavano formando i due blocchi dell’Unione e della Lega, si potè toccare con mano lo spessore internazionale assunto dalle questioni interne tedesche.

La morte di Giovanni Guglielmo di Julich-Kleve aprì una lotta per la successione al ducato. L’importanza strategica di questo territorio spinse la Francia a predisporre un intervento militare per contro bilanciare l’alleanza dei due pretendenti: Giovanni Sigismondo di Brandeburgo e il conte palatino di Neuburg. Enrico IV tentò un’alleanza con la Baviera che fallì. L’improvvisa morte di Enrico IV fu il motivo per cui non si giunse ad un conflitto internazionale. Il ducato fu poi spartito nel 1614 tra il Brandeburgo e il Neuburg. Nel 1612 l’unione evangelica stringeva alleanze con l’Inghilterra, con le P.U e anche con la Francia

Guerra sfiorata

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cattolica. Mentre all’interno dell’Impero le rivalità territoriali e dinastiche tra gli interessi degli stati protestanti indebolirono l’Unione. Nella lega cattolica invece erano assenti tensioni teologiche e questo determinò una superiorità organizzativa e politica del fronte cattolico. Nonostante l’appoggio alla Lega gli spagnoli da tempo avevano guardato all’arciduca Ferdinando III come possibile successore al trono. Un patto segreto era infatti stato stipulato con Ferdinando con il quale si assicurava all’arciduca le terre asburgiche, la corona boema e ungherese e il titolo imperiale. Filippo III riunciava ai suoi diritti sulla monarchia asburgica in cambio dei diritti imperiali sull’Alto Reno. Nel 1617 l’accordo maturava con l’elezione di Ferdinando a Re di Boemia.

Trasferito il governo boemo a Vienna, Ferdinando sconfessò quanto stabilito dalla Lettera di maestà del 1609, proibendo le riunioni dei difensori i quali accusando i reggenti praghesi di essere i veri autori del divieto del re, si recarono il 23 maggio 1618 al palazzo reale per presentare una lettera al sovrano; la violenta discussione terminò quando i due luogotenenti furono gettati dalla finestra. Questo episodio, celebre come la defenestrazione di Praga, diede avvio ad una rivolta che vide l’immediata riunione di una Dieta boema, la nomina di un governo provvisorio e l’arruolamento di un esercito.

Ferdinando venne eletto imperatore nel 1619 concentrando nelle sue mani tutti i domini asburgici. Federico V del Palatinato assunse definitivamente il ruolo di antagonista della corona asburgica. Quando venne incoronato a Praga fu inevitabile una lotta di dimensioni europee.

Conclusioni = Dalla crisi dell’Impero si sprigionava cosi una conflagrazione che chiusa con la pace di Westfalia ebbe come suo asse portante la riapertura del tradizionale scontro franco asburgico, ma che allo stesso tempo condusse sul proscenio tutte le potenze politiche ormai operanti in Europa e divenne per questo il contenitore di una serie di guerre contemporanee ma distinte l’una dall’altra, inserite in un quadro in cui tutti gli stati cercarono di ridefinire o definire ex novo la loro posizione.

4.La guerra dei Trent’anni : dall’Italia al Baltico

Il rafforzamento degli Asburgo andava di pari passo con la ripresa della politica egemonica della Spagna che inevitabilmente era venuta scontrandosi con la Francia. E come in passato la lotta egemonica franco spagnola trovava uno dei bari centri nell’Italia settentrionale.

ITALIA: qui l’egemonia spagnola suscitava insofferenze di cui un primo sintomo era stata già la guerra che tra il 1615 e il 1617 aveva mosso contro gli Asburgo d’Austria la Repubblica di Venezia. A questi segni di irritazione veneziana si era aggiunto l’orientamento filo francese del Gran Duca di Toscana Ferdinando I e del duca di Savoia Emanuele Filiberto, intenzionato a riconquistare i territori perduti nel corso delle guerre d’Italia. Emanuele Filiberto aveva già ripreso tra il 1562 e il 1575 le fortezze occupate dagli spagnoli.

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Proseguendo questa politica suo figlio Carlo Emanuele era riuscito a togliere anche il marchesato di Saluzzo alla Francia rendendo così definitiva la scelta della dinastia sabauda di privilegiare l’Italia e di avvicinarsi alla Francia allontanandosi dalla Spagna. Ci fu una guerra per il dominio di Monferrato in mano ai Gonzaga che dimostrò anche se fu fallimentare per la Savoia, quanto nello scacchiere italiano gli interessi francesi e ispano asburgici fossero inconciliabili. Il contrasto riemerse infatti poco dopo nella Valtellina: immediata ovviamente la reazione della Francia che preferì per il momento agire solo sul piano diplomatico. L’azione spagnola in Valtellina era stata dettata dalla posizione strategica della zona che avrebbe permesso la piena utilizzazione delle comunicazioni tra la spagna , gli asburgo, l’austria e le fiandre. L’azione francese era iniziata proprio per impedire questo rafforzamento delle comunicazioni ai danni dell’Olanda e dei principi tedeschi.

BALCANI: Qui rimaneva aperto il contrasto svedese-polacco finchè si giunse alla tregua di Altamark nel 1629. Al raggiungimento di questa tregua aveva lavorato la Francia che insieme all’Olanda e all’Inghilterra era interessata a fare della Svezia un bastione difensivo contro le potenze cattolico – asburgiche collegate alla Polonia. Il disegno ispanico imperiale era quello di un blocco contro gli Stati protestanti, con i suoi sbocchi sul Baltico. Il progetto contrapposto franco olandese era invece quello di un fronte comprensivo dei principi protestanti tedeschi e degli Stati che controllavano il Baltico, ossia Danimarca e Svezia.

Nel dicembre del 1625, all’Aja, fu stretta un ‘alleanza tra P.U, Inghilterra, Federico V di Palatinato e la Danimarca. Fu un’alleanza in base alla quale col pretesto di difendere la causa protestante tedesca, Cristiano IV invadeva la Germania settentrionale.

L’imperatore Ferdinando II reagì all’attacco danese affidandosi al più abile condottiero, il nobile boemo Albrecht von Wallenstein che mise a disposizione un esercito sconfiggendo le forze protestanti a Dessau. Le truppe di Cristiano IV si ritiravano nello Jutland. Nell’estate del 1629 con la pace di Lubecca la Danimarca si piegava alla volontà dell’Asburgo impegnandosi a rimanere estranea alla guerra tedesca.

Il fallimentare intervento danese aveva creato i presupposti per un controllo dei mari nordici da parte dell’Impero. Proprio nel momento del suo trionfo militare Ferdinando II prese due decisioni che piegarono il corso degli eventi :

Emanazione del diritto di restituzione Elevazione a principe del Wallenstein

L’editto di restituzione ristabilì l’operatività del reservatum ecclesiasticum vietando le secolarizzazioni e ordinando il ritorno alla chiesa cattolica del patrimonio passato ai protestanti. Wallenstein divenuto principe otteneva le terre dei duchi di Meclenburgo. Ferdinando II aveva cosi calpestato i diritti dei ceti e dei principi imponendo la propria volontà senza neppure interpellare la Dieta.

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La reazione dei prìncipi tedeschi non si fece attendere : alla Dieta di Ratisbona, fomentati dalla diplomazia francese, gli stati tedeschi e la cattolica Baviera respinsero la richiesta dell’imperatore di designare suo figlio Ferdinando al titolo successorio di Re dei Romani ( che era un modo per introdurre il principio ereditario). Alla Dieta venne deciso sia per la sospensione dell’editto di restituzione e sia lo scioglimento dell’esercito del Wallenstein.

In Italia nel frattempo l’esercito francese battevano l’esercito ispano-sabaudo a Susa dopo un conflitto riguardo al Monferrato per la successione dei Gonzaga che venne stabilita definitivamente con il riconoscimento di duca di Mantova Carlo di Gonzaga Nevers. Mentre la vittoria della Svezia sull’esercito del Wallenstein lo obbligava a chiedere un armistizio con la Sassonia prendendo contatti con la Francia e la Svezia alle spalle dell’imperatore finendo cosi assassinato nel 1634.

La vittoria svedese non si arrestò. A capo c’era il cancelliere Oxenstierna. La brillantezza del suo ingegno ebbe modo di manifestarsi attraverso il patto stretto ad Heilbronn con il quale riunificò le forze sparse protestanti e riuscì a ricompattarle dietro alla Svezia con l’intento di assicurarsi il controllo dell’Impero. Ma ciò provocò l’insofferenza dei protestanti tra i quali prese corpo l’idea di formare sotto la guida della Sassonia una terza forza autonoma da svedesi e cattolici. Si giunse cosi alla pace di Praga ( tra Sassonia e Ferdinando II )del 1630 con la quale venne consegnata ai protestanti l’inviolabilità della costituzione territoriale dell’Impero e l’abolizione dell’editto di restituzione ripristinando gli strumenti giuridico istituzionali dell’impero come la Dieta.

5.L’intervento francese e la pace di Westfalia

L’equilibrio cosi raggiunto in Germania fu ben presto rimesso in discussione. La pace di Praga non aveva riconosciuto il calvinismo come religione autonoma. Inoltre una pace limitata alla Germania non aveva senso in un contesto di quella portata. Pochi giorni prima della stipulazione della pace infatti la Francia aveva dichiarato guerra alla Spagna divenendo una diretta protagonista della lotta. Richelieu voleva riunire in un unico sistema di alleanze tutti gli avversari degli asburgo ( calvinisti, Svezia, P.U, Savoia, ducato di Parma e di Mantova). La guerra si riaccese su tutti i fronti ( Valtellina, Franca Contea, Paesi Bassi spagnoli, Alsazia). Le flotte spagnole e francesi si scontrarono nel Mediterraneo e nell’Atlantico. Gli olandesi annientarono la flotta spagnola. Il graduale arretramento delle posizioni ispano imperiali era indubitabile. L’andamento degli eventi fu deciso dal maturare della crisi spagnola:

il governo del conte duca Olivares aveva proseguito nella sua politica di inasprimento fiscale soprattutto sulla Catalogna e in Portogallo. I catalani erano dal tempo animati da sentimenti di malcontento verso la corte madrilena. Le truppe francesi penetrarono nel territorio catalano e si trovarono di fronte una regione percorsa da un forte odio per il governo spagnolo. L’Olivares cercò la pace con la Francia e le P.U. che però non arrivò. La situazione nella catalogna sfociò in una rivolta che arrivò fino a Barcellona e a quel punto fu troppo tardiva la decisione dell’Olivares di abbandonare la sua politica autoritaria. Gli insorti catalani facevano ricorso alla confinante Francia che inviò aiuti anche ai portoghesi che stavano decidendo di tagliare il legame con la Spagna. Olivares

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veniva allontanato nel 1643 da Filippo IV. Morto Richelieu prendeva il potere in Francia il cardinale Giulio Mazzarino. La guerra proseguiva in tutta Europa mentre a Westfalia nel 1644 si aprivano due separati tavoli di negoziati :

Uno a Munster per i cattolici e le questioni tedesco svedesi L’altro ad Osnabruck per i protestanti e i rapporti franco asburgici.

La svolta diplomatica decisiva ci fu con l’arrivo a Munster del capo della delegazione imperiale, il conte Massimiliano Von Trauttmannsdorf che prese in mano le redini dell’intero congresso e risolse la maggior parte dei problemi. Tra il 1645 e il 1646 si erano definiti una serie di accordi che poi il 24 ottobre 1648 portarono al documento di pace per la Germania in base al quale fu concessa un’amnistia generale a tutti i prìncipi tedeschi; venne istituito un elettorato per l’erede del conte Palatino Federico V, fu ritirato definitivamente l’editto di restituzione e per la prima volta il calvinismo venne riconosciuto come confessione tollerata nell’impero.

Questi trattati divennero legge dell’Impero, la Constitutio Westphalica che attribuì agli stati tedeschi la superiorità territoriale ossia il godimento della sovranità con tutti i diritti che questo comportava: di pace, di guerra, di stipulare alleanze, di mantenere un esercito, di battere moneta e amministrare la giustizia. Il 30 gennaio del 1648 Filippo IV di Spagna firmava un trattato di pace che riconosceva l’indipendenza delle Province Unite. Ma l’insieme di questi accordi non poté trasformarsi subito in una pace generale a causa dell’opposizione della Francia. Le paci stipulate lasciavano l’Impero e la spagna libere di agire contro la Francia che continuò allora la guerra in Germania. La nuova campagna fu ostacolata da due avvenimenti che alla fine indussero anche il Mazzarino ad accettare una pace generale :

Peso fiscale che generò in una tensione crescente esplosa nella rivolta della Fronda;

La pace della Svezia con l’Impero

Alla spagna la pace di Westfalia consentirono di riportare all’obbedienza la Catalogna mentre si affievolì la protezione degli insorti da parte della Francia occupata nella rivolta della Fronda. Il Portogallo riuscì a rimanere indipendente. La guerra franco spagnola finì solo nel 1659 con la pace dei Pirenei. La Francia confermò il possesso di Pinerolo in Italia, di Metz, Toul e Verdun e dell’Alsazia. Indubbiamente fallito era il progetto degli Asburgo d’Austria di una restaurazione cattolica e di un egemonia in Europa.

I risultati più importanti si manifestarono sotto due effetti:

Il primo fu il riconoscimento dell’equilibrio come organico principio della politica continentale, con il suo fulcro in Germania e le sue sorti affidate alle diplomazie dei principali Stati;Il secondo fu la neutralizzazione della lotta religiosa che la guerra dei Trent’anni aveva posto all’ordine del giorno riconoscendo la pluri confessionalità come dato immodificabile della storia d’Europa.

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1648 data rimossa come elemento generatore di conflitti politici e fattore determinante nelle relazioni internazionali. L’età confessionale era tramontata.

CAPITOLO 12. FRANCIA E INGHILTERRA: ASSOLUTISMI, RIVOLTE E RIVOLUZIONI

1.Uno Stato da ricostruire: la Francia da Enrico IV a Richelieu

Dal 1598 grazie all’emanazione dell’Editto di Nantes e alla pace di Vervins con la Spagna Enrico IV aveva gettato le basi per la ricostruzione dello stato francese. Punto debole erano le finanze e le condizioni dell’agricoltura precipitata in una crisi gravissima. Altrettanto tormentati i commerci. L’opera di ricostruzione avviata da Enrico IV fu radicale soprattutto nel settore delle finanze affidate al duca di Sully che riuscì a riordinare il bilancio statale controllando gli abusi della riscossione delle tasse e riducendo drasticamente il debito pubblico.

La politica industriale sotto Enrico IV fu l’aspetto più rilevante dell’applicazione di un indirizzo economico diffuso in gran parte dell’ Europa con il nome di MERCANTILISMO.

Il termine, derivante dall’espressione “sistema mercantile” usata dall’economista inglese Adam Smith, indica un insieme di teorie del 500 e del 600 al centro delle quali si collocava la volontà di accrescere la ricchezza nazionale e la convinzione che questa dipendesse dalla crescita delle riserve monetarie. Si riteneva avere sempre in attivo la bilancia dei pagamenti e quindi si caldeggiava l’incremento delle esportazioni, a danno delle importazioni, proteggendo la produzione nazionale con misure protezionistiche. Queste teorie finirono pero codificare la stretta relazione tra la potenza di uno Stato e la sua ricchezza materiale. Si diffuse l’idea che fosse compito dello stato disciplinare la vita economica. Esponenti di queste teorie furono in Inghilterra Thomas Mun, dirigente della compagnia delle Indie orientali, e in Francia Jean Bodin, Barthélemy De Laffemmas e Antoine De Montchrestien. Questo programma protezionistico fu in pratica attuato da Enrico IV. Montchrestien sostenne l’imortanza dei traffici commerciali coloniali come irrinunciabile fonte per l’acquisizione delle materie prime che la Francia era ancora costretta a comprare da Stati stranieri.

Il risanamento economico che sullo sfondo di queste dottrine si avviò in Francia era solo un elemento della ricostruzione del paese. Altrettanto importante era riedificare il potere della monarchia. La crisi innescata dalle guerre di religione aveva reso evidenti i perduranti limiti della sovranità regia. L’indebolimento del potere monarchico si era riflesso nella semi indipendenza del clero, degli Stati e dei governatori provinciali, delle corporazioni e dei Parlamenti. La presenza degli ugonotti costituiva una sorta di Stato nello Stato e ciò costituiva un rischio per la sicurezza del paese. I cattolici erano raccolti sotto la bandiera dei dévotes e insistevano sulla necessità di ristabilire l’unità religiosa del paese da realizzare attraverso:

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Persecuzione dei calvinisti; Applicazione dei decreti tridentini; Allineamento della politica estera francese a quella delle potenze

cattoliche spagnola e imperiale;

In politica estera, Enrico IV era in procinto di intraprendere la guerra contro l’Impero e la Spagna a fianco dell’Inghilterra protestante, l’Olanda e l’Unione evangelica, fu ucciso però da un fanatico cattolico il 14 maggio 1610. La conseguenza fu che la Francia, per circa 20 anni dovette ritirarsi da ruolo di protagonista della scena europea. La reggenza venne assunta dalla vedova Maria de’ Medici che cercò una conciliazione con le corone cattoliche trovata con il trattato di Fontainebleau con la Spagna, che prevedeva un’alleanza difensiva decennale contro rivolte interne e attacchi esteri.

Intanto all’indomani della morte di Enrico IV la nobiltà era insorta riunendosi in una Lega con a capo Enrico II principe di Condé. L’opposizione della nobiltà di sangue venne momentaneamente tamponata con la “pacificazione di Saint-Ménéhould” con cui Maria de’ Medici concesse la convocazione degli Stati Generali che si riunirono per l’ultima volta a Parigi nell’Ottobre 1614. Durante la riunione emersero le differenze di pensiero tra i tre diversi ordini:

Clero: insistette per l’applicazione dei decreti tridentini; Nobiltà: si espresse in un attacco all’ereditarietà delle cariche pubbliche

sancita dalla paulette che aveva di fatto bloccato l’accesso agli uffici ai nobili meno ricchi della provincia;

Terzo stato : si dichiarò disposto ad accettare l’abolizione della paulette ma chiese in cambio una riduzione delle pensioni concesse ai nobili.

Gli Stati Generali insomma non poterono deliberare nulla in merito alle questione della riorganizzazione politica del regno. In questa occasione però Richelieu tenne il discorso per la presentazione dei memoriali del clero. Questo discorso, nel quale approvò la politica filospagnola della reggente e chiese l’applicazione dei decreti del Concilio di Trento, fu tuttavia l’opposto della sua politica futura.

Due eventi si susseguirono : ci fu una rivolta della nobiltà guidata dal Condé che venne arrestato; l’uccisione di Concino Concini, consigliere della reggente, per ordine dello stesso Luigi XIII( figlio) che si emancipava così dalla politica materna. Nonostante l’allontanamento dal potere di Maria de’ Medici, e nonostante la liberazione del Condé, nel 1620 i prodromi di un’ennesima ribellione della nobiltà spinsero Luigi XIII ad affrontare militarmente i rivoltosi che vennero sconfitti a Ponts-de-Cé. Inoltre venne restaurato nel Béarn con la forza il cattolicesimo e questo portò alla reazione armara della maggior parte delle provincie protestanti.

In questi difficili frangenti tornava Richelieu, nel 1624 definitivamente ai vertici del governo come Capo del Consiglio di Stato. Benché vicino alle concezioni dei dévotes Richelieu mise pertanto al centro della sua opera ( in una visione non troppo distante dai politiques) la strenua difesa della superiore sovranità statale incarnata dal sovrano contro tutti i particolarismi della nobiltà feudale, delle provincie, delle città, dei Parlamenti e degli ordini

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religiosi. Favorì le spinte disciplinari della Controriforma, ma operò politicamente anche in contrasto con i dévotes subordinando le controversie religiose alle ragioni della politica. In questa politica di consolidamento dell’assolutismo Richelieu poté trovare un certo sostegno in quel partito dei cosiddetti bons français in qualche modo discendente dei politiques per il quale si trattava di anteporre gli interessi nazionali della corona a quelli internazionali del cattiolicesimo. Per Richelieu il consolidamento dell’autorità regia e l’ascesa della Francia a grande potenza europea costituivano due facce della stessa medaglia.

Si convinse definitivamente che l’esistenza separata degli ugonotti dovesse essere eliminata ad ogni costo e decise quindi di attaccare la loro più rappresentativa fortezza, quella di La Rochelle. Nel 1627 iniziò così il lungo assedio delle truppe regie alla città che il 28 ottobre del 1628 venne capitolata e sottomessa al re con conseguente distruzione delle sue mura. Il 28 giugno 1629, con la pace di Alés, vennero soppressi i diritti fino ad allora riconosciuti alla minoranza calvinista, come comunità separata dallo Stato francese, pur concedendo la libertà di culto. La mancanza imposizione dell’uniformità di fede, che non era mai stata tra gli obiettivi del cardinale, lo separò definitivamente dalla linea politica dei dèvotes. Non si attenuò però la pretesa dei Parlamenti di essere un contrappeso all’autorità regia.

Fu negli anni ’29-31 che i dévotes serrarono le fila sotto la guida del Bérulle e poi sotto Michel de Marillac che delineò un programma radicalmente alternativo a quello di Richelieu: annientamento degli ugonotti, alleanza con la Spagna e con la Chiesa di Roma e disimpegno sul fronte internazionale antiasburgico. Fu Luigi XIII che con quella che passò alla storia come la journée des dupes ( giornata degli inganni ) liquidò ogni linea alternativa a quella del cardinale, invitandolo nel suo padiglione di caccia a Versailles e ribadendogli la sua fiducia tagliando i legami familiari.

Quello che preoccupò la corona non furono tanto le ribellioni quanto il diffuso clima di agitazione sociale che gli effetti congiunti della crisi economica e della pressione fiscale avevano innescato nel paese. Con lo spettro della fame, della paura, dell’inflazione, l’insostenibile pressione del fisco fece da detonatore ad una serie di rivolte popolari soprattutto in seguito alla notizia che il Re volesse aumentare le imposte dirette. Le sollevazioni si estero a macchia d’olio nelle campagne coinvolgendo alla fine ¼ del territorio francese. Finchè le rivolte erano controllate dai Parlamenti non era grave, poiché alla fine si giungeva sempre ad un accordo. Quello che preoccupava di più erano le rivolte guidate dagli stessi contadini. Benché esteso il movimento però rimase privo di un coordinamento in grado di collegare le varie provincie e di creare un vero programma di riforme. Nessuna provocò conseguenze tanto gravi da impedire lo sviluppo dell’apparato amministrativo centralizzato che costituì la piena affermazione dell’assolutismo. Nel 1642 i compiti del controllo delle finanze venne attribuito al intendente ( carica non venale). cominciò così a farsi strada la concezione di una funzione pubblica affidata interamente ad agenti sottoposti allo Stato che rappresentavano la volontà del sovrano.

2.Il governo del cardinale Mazzarino e la Fronda

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Quando, il 4 dicembre 1642 Richelieu morì, seguito il 14 maggio 1643 da Luigi XIII, gli indubbi successi della sua politica avevano gettato le basi dell’assolutismo monarchico. La reggenza venne assunta dalla vedova Anna d’Austria e la guida ai vertici dello Stato fu affidata al cardinale Giulio Mazzarino già stretto collaboratore del Richelieu che proseguì infatti l’aspra politica fiscale. Il rischio alla monarchia venne da altri settori della società francese: la noblesse de robe che aveva avvertito un disagio crescente di fronte al rifiuto di convocare gli Stati Generali all’ascesa degli intendenti e all’inflazione del valore delle cariche veniali. Nacque da questo malcontento una delle rivolte più rilevanti del ‘600 per estensione, dimensione e conseguenze, quella della Fronda ( dal nome della fionda usata dai ragazzi parigini per scagliare sassi contro le truppe regie).

Nell’aprile del 1648 si accordarono i consiglieri della Cours des aides, con quelli della Camera dei Conti e con i deputati del Parlamento per rigettare in blocco i provvedimenti del governo. Il 2 Luglio nella sala San Luigi del Palazzo di giustizia venne approvato un programma che di fatto chiedeva l’annullamento di tutti i provvedimenti presi negli ultimi vent’anni. Mazzarino isolato e con le truppe impegnate al fronte non ebbe altra scelta che accettare questa richiesta che di fatto richiamava gli intendenti dalle provincie, cancellava le misure in materia fiscale lasciando così che il potere tornasse in mano ai magistrati e agli officiers.

Alla prima Fronda parlamentare seguì la Fronda dei principi ancora più pericolosa. A capo della nuova ribellione si mise il Condé. La corte fu costretta ad abbandonare la capitale, in mano ai prìncipi e Mazzarino si rifugiò in Germania, a Colonia. Inevitabili emersero le due anime della ribellione:

Assolutismo autoritario del Condé; Legittimismo monarchico del Parlamento.

Il risultato di queste divisioni fu di risollevare le sorti della corona con Anna d’Austria. La pace venne ristabilita nell’estate del 1653 con la definitiva affermazione del Mazzarino come arbitro della politica francese.

3.Gli Stuart in Inghilterra

Molto più che in Francia, l’assolutismo incontro in Inghilterra tanti ostacoli da provocare la prima grande rivoluzione europea il cui esito fu di instaurare un regime che è possibile definire di monarchia costituzionale e parlamentare.

L’equilibrio cominciò a deteriorarsi quando, morta nel 1603 senza eredi Elisabetta, si estinse la dinastia Tudor e la corona passò al parente più prossimo, il Re di Scozia Giacomo VI, che salì al trono inglese con il nome di Giacomo I. In questo modo per la prima volta i regni di Inghilterra, Scozia e Irlanda furono riuniti presso un unico complesso, minato però dalle differenti tradizioni politiche sociali e religiose.

In Scozia il radicato sentimento d’indipendenza si era sempre accompagnato ad un pregiudizio inglese. Uguale accadeva in Irlanda, senza contare le

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differenze religiose che dividevano l’anglicanesimo dal presbiterianesimo scozzese ed entrambi al cattolicesimo inglese. In Irlanda, Giacomo I continuò a contrastare il predominio dei cattolici. Analoga la sua politica in Scozia contrastando la tendenza della Kirk a prevalere sulla corona.

Giacomo I aveva radicate convinzioni assolutistiche che espresse in due sue opere: il Basilikon doron e il The Trew Law of Free Monarchies nelle quali teorizzava un assolutismo dei re che in virtù della loro doppia natura laica ed ecclesiastica dovevano essere posti a capo sia dello Stato che della Chiesa. Inoltre teorizzava la superiorità del monarca rispetto alle leggi, queste idee non potevano non scontrarsi con l’antica tradizione parlamentare inglese. I teorici politici elisabettiani non potevano ammettere che il re tassasse, giudicasse o legiferasse senza l’approvazione del Parlamento, anche se accettavano l’indipendenza della corona in politica estera.

Il puritanesimo aveva fatto penetrare la convinzione che l’ubbidienza agli ordini del sovrano non potesse comunque contravvenire ai comandamenti divini. Non motivate dunque da alcuna ambizione rivoluzionaria, le aspirazioni religiose di gran parte del movimento puritano, vennero a rappresentare un pericolo per la corona, quando gli strati sociali della gentry, rappresentati nella Camera dei Comuni, giudicarono la politica assolutistica stuardiana distruttiva del tradizionale equilibrio con il Parlamento. Inoltre Giacomo I portò in deficit il bilancio delle spese ordinarie che sotto Elisabetta era stato in pareggio.

Presto disillusi dall’atteggiamento del sovrano, molti esponenti cattolici ricercarono l’aiuto nella nemica Spagna con cui però proprio nel 1604 Giacomo I concludeva quella pace che pose fine allo scontro iniziato nel 1588 con l’attacco dell’Invincibile Armada, lasciando isolato il cattolicesimo britannico. Da qui un progetto di cospirazione, noto come Congiura delle polveri con il quale nel 1605 alcuni gentiluomini cattolici cercarono di far saltare il Parlamento nel corso di una seduta cui partecipava anche il re. Benché sventata, la congiura persuase definitivamente i deputati puritani circa la pericolosità dei papisti.

La congiura era sopraggiunta nel corso delle sedute del primo Parlamento riunito sotto Giacomo I, durante il quale i primi dissidi di tipo costituzionale tra la Camera dei Comuni e il sovrano erano già emersi in relazione alla competenza a giudicare sulla contestata elezione dello Speaker dell’assemblea. Sostenendo che tale competenza spettava alla Cancelleria ( ossia al Re) Giacomo I dichiarò apertamente che i parlamentari detenevano il loro potere solo in base ad una concessione sovrana. I parlamentari sostenevano invece di essere una componente autonoma dell’ordinamento del regno. Questa posizione fu sostenuta da un parlamentare Edward Coke sostenitore dell’intangibilità delle attribuzioni relative del Parlamento che trovò eco in un documento redatto alla fine della sessione alla Camera dei Comuni : Atto di apologia e giustificazione, che giudicava pericoloso il declino dell’istituto parlamentare di fronte alle pretese assolutistiche delle corone e individuava il dissenso con Giacomo I in cause religiose e finanziarie:

Sulla questione religiosa il Parlamento ribadì il suo diritto ad approvare seri provvedimenti contro i protestanti;

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Sulla questione finanziaria si lamentò delle eccessive richieste della corona.

Il parlamento riunito nel 1610 respinse la proposta del governo, detta Grande Contratto, di votare una concessione annua al re, che in cambio avrebbe ritirato le imposizioni fiscali più impopolari. Né successive e provvisorie misure risollevavano le sorti delle finanze gravate da un debito pubblico di 900.000 sterline.

Una svolta politica si ebbe nel 1615 con l’avvento alla direzione del governo di George Villiers, duca di Buckingham, capace in poco tempo di ascendere ad una fama tale da lasciarlo ai vertici della politica inglese fino al 1642. Subito però il governo dovette affrontare la complessa situazione con lo scoppio della guerra dei Trent’anni rinnovando lo scontro con il Parlamento che non concesse i crediti militari per la partecipazione al conflitto. L’intera Europa si attendeva un intervento inglese sul fronte antiasburgico l’intervento non ci fu perché il sovrano inoltre volle affossare la politica di amicizia con la Spagna iniziata nel 1604 e inoltre ad ostacolare una guerra contro le potenze cattoliche stava la necessità di chiedere i fondi al Parlamento con la quale la tensione toccò livelli preoccupanti nel 1621 quando il re sciolse le camere e arrestò alcuni membri tra la Camera dei Comuni. Di nuovo riunito nel 1624 il Parlamento non negò sussidi richiesti ma ottenne lo stato d’accusa del Lord Tesoriere, Lionel Cranfield, introducendo così il principio della responsabilità dei rappresentanti del governo davanti all’assemblea.

Con la morte di Giacomo I salì al trono il figlio Carlo I convinto quanto il padre dell’intangibilità della sua autorità. Maturarono in quel periodo i dissidi in tema di politica religiosa con l’emergere di posizioni arminiane che rischiavano di reintrodurre nella Chiesa anglicana dottrine e liturgie di stampo cattolico. Sotto Carlo I l’arminianesimo cominciò a godere di consensi sempre più larghi tra i vescovi grazie soprattutto al sostegno di Buckingham dietro cui agiva i vescovo di Bath, William Laud. Questi mutamenti ecclesiastici allarmarono la rappresentanza puritana nella Camera dei Comuni. Il Parlamento attaccò quindi Buckingham e John Pym dichiarò che non c’era posto in Inghilterra per due religioni. Carlo I sciolse di nuovo il Parlamento, ma dové riunirlo quando servivano fondi per difendere gli ugonotti assediati nel 1628. Il Parlamento presentò una Petition of Right con la quale chiesero formalmente al sovrano di rispettare le leggi, respingendo come illegali i metodi di tassazione non autorizzati e gli arresti arbitrari. La Petition fu una vittoria del Parlamento che si elevò a paladino della legittimità del dissenso politico e religioso. Ma la spaccatura che ormai si era verificata non poteva essere ricomposta.

Nel 1629 ci furono dei tumulti in Parlamento e da questo momento i problemi religiosi si andarono ad intrecciare con quelli finanziari. Riesplosero allora violente le dispute sui sacramenti, sul possesso di benefici vescovili e sulle cerimonie e apparvero uguali agli occhi dei puritani l’arminianesimo e il cattolicesimo. Carlo I decise per l’introduzione della Ship Money con il quale le navi o si equipaggiavano per la guerra o pagavano il corrispettivo in denaro. L’inizio della crisi definitiva della monarchia si originò soprattutto a causa della Scozia, il cui spirito d’indipendenza agì contro i tentativi del re di assoggettare il regno all’anglicanesimo.

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4.Guerra civile, rivoluzione e regicidio

Riunito nell’aprile del 1640 il Parlamento Corto (Short Parliament) era già sciolto nel maggio essendosi rifiutato di concedere i crediti militari necessari a sedare la Scozia. Carlo I poté raccogliere truppe ben poco efficienti per muover guerra agli scozzesi che infatti dopo una breve tregua stipulata a Berwick entravano in territorio inglese, occupando Newcastle e obbligando il re a concludere un trattato ( di Ripon) in base al quale l’esercito scozzese sarebbe rimasto nelle contee di Northumberland e di Durham. Lo Stuart decise allora per la convocazione di un altro parlamento, noto come Parlamento Lungo ( Long Parliament) perché riunito dal 3 novembre 1640 al 20 aprile 1653. Adesso la Camera dei Comuni trovò una maggiore solidarietà in quella dei Lords. Forti di questa unità i parlamentari si sentirono ulteriormente protetti dalla presenza dell’esercito scozzese con i quali si affrettarono ad allearsi. Fu stabilito che il Parlamento dovesse riunirsi ogni tre anni e che non potesse essere sciolto nei primi 50 giorni di attività mentre il Re venne privato del potere di sciogliere le Camere. Il 5 luglio 1641 un’altra serie di provvedimenti sopprimeva la Star Chamber e l’High Commission ecclesiastica, abrogava la Ship Mone, liberalizzava la stampa e aboliva il potere del sovrano di elevare dazi senza assenso parlamentare. Invalidava infine la prerogativa regia di nominare ministri e consiglieri al di fuori dell’approvazione parlamentare.

Trovato l’accordo con la Scozia da parte del Re esso non riuscì a sottomettere i parlamentari poiché emergeva ora la questione dell’Irlanda infiammata da una rivolta cattolica neanche stavolta i parlamentari vollero concedere sussidi. Situazione che sfociò in conflitto aperto quando Carlo I accusò di alto tradimento 5 deputati tra i leader di primo piano. Quando il re cercò di arrestarli recandosi personalmente alla Camera, l’allarmismo generale provocato da questo gesto imprudente innescò un clima insurrezionale nel quale il Parlamento fu protetto dalla popolazione londinese e il re fu costretto a lasciare Londra. Cominciava in questo modo una guerra civile avviata da crisi nazionalistiche di tre regni diversi e attraversata da lacerazioni confessionali. La prima rivoluzione inglese vide solo parzialmente emergere un conflitto di classe.

SCHIERAMENTI: i puritani patteggiano per il Parlamento e gli episcopalisti cosi come i cattolici pe il Re. In entrambi i raggruppamenti furono comunque presenti tutti i ceti sociali. Pochi membri della Camera dei Lords si schierò infatti con il Re. Solo schematicamente si può dire che il Parlamento fu sostenuto dai centri portuali e da ceti mercantili per lo più puritani, mentre la corona fu sostenuta dai territori più poveri meno popolati a tradizione cattolica e feudale.

Il Parlamento era convinto di combattere non contro l’istituzione monarchica ma in suo favore ossia per ricondurre la corona ad un corretto rapporto con l’assemblea elettiva. Il Parlamento se giunse alla guerra fu perché trascinato dalla ali più radicali del puritanesimo che ormai applicavano alla Camera dei Comuni lo stesso criteri di controllo e verifica che i parlamentari avevano

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preteso di applicare al sovrano. Si registrarono così delle divisioni all’interno del Parlamento che si possono schematizzare in :

Presbiteriani Indipendenti

I primi guardavano al modello della Chiesa nazionale scozzese e i secondi miravano a quel congregazionalismo radicale che affidava il governo ecclesiastico a tutti i fedeli liberamente riuniti in comunità locali, nella convinzione che la Chiesa fosse formata dagli eletti. Al moderatismo presbiteriano incentrato sul ruolo egemone della gentry e sulla volontà di evitare la guerra, si opposero gli indipendenti che volevano riportare una vittoria schiacciante sui realisti. A mediare tra i due gruppi fu un gruppo di centro guidato dal Pym che condivideva i timori dei moderati ma riteneva altrettanto indispensabile portare fino in fondo la guerra.

il gruppo di Pym scese a patti con gli scozzesi ( Solemn League and Covenant) che oltre ad aiuti economici stabiliva la riforma della chiesa inglese in senso scozzese (presbiteriano). Questo suscitò la reazione degli indipendenti. la morte di Pym lasciò senza guida il gruppo di centro. Tuttavia le sorti della guerra si rovesciarono a favore del Parlamento: le truppe alleate scozzesi e parlamentari riuscirono a sconfiggere quelle regie a Marston Moore nel corso di una battaglia che mise in luce per la prima volta un comandante puritano Oliver Cromwell vicino alle posizioni del Pym.

La guerra civile mise in luce un radicalismo religioso che fece emergere gruppi religiosi estremisti:

Movimento guidato da un sarto londinese, Ludowick Muggleton; Movimento dei quinto-monarchisti convinti di scorgere nella nuova

atmosfera i segni dell’imminente instaurazione della Quinta Monarchia dopo i regni dell’Assiria, di Persia, di Alessandro e di Roma.

Più pericolose furono le dottrine professate dal movimento dei quaccheri, fondato da George Fox che guidato da una luce interiore assunse posizioni contrarie al predestinazionismo. Finiva spesso sotto processo e qui esortava i giudici a tremare ( to quake)

Queste idee innescarono un clima di sovversione rivoluzionaria contribuendo ad animare la spinta di quanti aspiravano a contestare il diritto di proprietà e l’ordine costituito. Il fatto più grave fu che questo disordinato magma di idee trovò il suo crogiolo nell’esercito parlamentare che avrebbe dovuto costituire la migliore garanzia anti realista.

Cuore delle truppe parlamentari era diventato lo squadrone di cavalleria chiamato New Model Army e comandato da Cromwell nel quale i soldati erano oggetti di un indottrinamento religioso che li rendeva estremamente fedeli e disciplinati. Le idee non erano condivise dal Cromwell che tuttavia non poteva privarsi di soldati così motivati dal punto di vista religioso.

In seno alle sue truppe trovarono eco i programmi dei Levellers che era soprattutto un movimento politico capace di tradurre per la prima volta

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laicamente le aspirazioni sociali latenti entro gli schieramenti religiosi. Le idee erano l’introduzione della democrazia fondata sulla convinzione che unico legittimo detentore del potere fosse il popolo. Su queste basi chiesero l’abbandono del criterio censitario per le elezioni, l’estensione a tutti del diritto di voto, la libertà di stampa e di coscienza e l’elezione popolare dei giudici di pace. Venne criticata la gentry piena di privilegi e il libero commercio. Non giunsero però a pretendere l’abolizione della proprietà privata e neppure l’uguaglianza economica.

I Diggers ( zappatori) furono propugnatori di un’eguaglianza che implicava il diritto di proprietà per tutti secondo una tendenza collettivistica accompagnata dalla denuncia della religione come mistificazione sociale tesa a conservare lo sfruttamento.

La svolta si ebbe tra il 1646 e il ’47 quando sconfitti i realisti nuove elezioni portavano in parlamento una maggioranza presbiteriana ma anche un gruppo di puritani indipendenti. la fuga di Carlo I e una sua nuova alleanza con gli scozzesi ventilarono la possibilità di un accordo tra il sovrano e il Parlamento ai danni del New Moderl Army. Cromwell però riuscì a bloccare questa operazione facendo letteralmente carne da macello gli scozzesi a Preston ( 17 agosto 1648). Ancor più virulenta la sua reazione alla nuove trattative del Parlamento con Carlo I : il 6 dicembre di quell’anno un contingente di militari arrestò 45 parlamentari e impedì l’accesso di altri 96 alla Camera dei Comuni i cui rimanenti 78 formarono il Rump Parliament. Il 28 dicembre 1648 il Rump P. approvò la decisione di processare Carlo I, con il rifiuto della Camera alta che venne poi soppressa. Il 27 gennaio 1649 il re venne condannato e tre giorni dopo salì al patibolo. Per la prima volta una testa reale cadeva sotto la scure del boia dimostrando che da quel momento la monarchia per sopravvivere avrebbe dovuto trovare un compromesso con le forze ad essa alternative.

5.Cromwell al potere

Quando il 19 maggio 1649 il Rump Parliament proclamava la repubblica, l’Inghilterra era ancora impreparata ad una simile svolta. Le forze del nuovo regime erano divise e il Parlamento era così impopolare da non osare affrontare nuove elezioni. I primi problemi che Cromwell dovette affrontare furono quelli di Scozia e dell’Irlanda. Gli scozzesi rigettarono la condanna a morte di Carlo I e proclamarono re il figlio del defunto sovrano Carlo II. Subito Cromwell mosse contro le riunificate truppe scozzesi e regie sconfiggendole a Worchester. Molto difficili furono i quattro anni della campagna militare condotta per sottomettere la ribelle Irlanda. Dopo queste vittorie i rapporti tra esercito e Parlamento divennero sempre meno facili, finché esso non fu sciolto con la forza il 20 aprile 1653 per ordine di Cromwell e senza alcun rimpianto da parte dei londinesi. Avvenne l’insediamento senza elezioni di un Parlamento di 144 membri designati da Consiglio degli ufficiali dell’esercito. Questo parlamento rappresentò il contraddittorio sbocco del precario equilibrio stabilitosi tra le uniche due forze rimaste in Inghilterra. Quella parte della gentry di fede puritana e gli alti gradi dell’esercito. Due forze contrapposte che per evitare il ritorno della monarchia potevano convergere soltanto su un punto anzi su una persona: Oliver Cromwell.

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Su questa base Cromwell poté consolidare un potere personalistico e semidittatoriale. Questo Parlamento rimase un organo debole proprio perché non poteva soddisfare per la sua stessa origine e composizione, l’esigenza di una stabilizzazione moderata che eliminasse una volta per tutte la pericolosa zavorra costituita dalle correnti religiose radicali.

Cromwell attuò una vera e propria controrivoluzione per liberarsi dei movimenti estremisti che rischiavano di sfibrare il consenso al suo governo. C. si appoggiò di nuovo agli ufficiali dell’esercito che il 16 dicembre di quell’anno approntarono una nuova costituzione, Instrument of Government con cui lo nominavano Lord protettore di Inghilterra. Dal punto di vista costituzionale si tornava alla situazione antecedente la guerra civile, con l’abbandono dell’idea di incentrare la sovranità su un organo legislativo. Tuttavia fu esattamente l’antica questione della facoltà del governo d’imporre liberamente dazi a costituire un grave punto di dissenso tanto che questi parlamentari presentarono un nuovo testo costituzionale cui invitavano Cromwell ad assumere titolo di Re si trattava di una proposta tesa a diminuire il potere del Lord Protettore. Cromwell pur rifiutando il titolo regio, accettò il testo costituzionale in una forma che ristabiliva la Camera Alta e dava al protettore il diritto di designare un successore. Così quando morì designò suo figlio Richard Cromwell il quale si dimise nel maggio 1659 poiché era dal lato dei parlamentari.

6.Una problematica restaurazione

Senza eccessivi traumi una parte consistente delle truppe inglesi stanziate in Scozia al comando del generale Monk si pronunciarono per il ritorno sul trono inglese del figlio di Carlo I. Monk aiutò la ricostituzione di un Parlamento che indisse nuove elezioni, mentre Carlo II pubblicava la cosiddetta Dichiarazione di Breda con cui prometteva l’amnistia, la tolleranza religiosa e il pagamento degli arretrati all’esercito. Il nuovo Parlamento riconobbe subito la necessità del ripristino della monarchia e la legittimità di Carlo II che così tornava a cingere la corona d’Inghilterra con tutti i poteri che erano stati di suo padre, ma nei limiti fissati a suo tempo dal Lungo Parlamento ossia controllando solo le forze armate e la politica estera. La restaurazione stuardista riproponeva dunque il tradizionale rapporto di amichevole collaborazione tra re e parlamento, ma di fatto lasciava irrisolto il problema ossia il controllo delle due Camere sulla corona. Malgrado ciò il Parlamento divenne l’architrave imprescindibile del sistema costituzionale inglese dal quale non poté più prescindere la stessa monarchia. Fu votato il principio nel 1679 dell Habeas Corpus stabilendo che nessun cittadino poteva essere imprigionato arbitrariamente per più di 24 ore, oltre le quali era obbligatorio dichiarare i motivi dell’arresto.

Negli anni ’70 si formarono per la prima volta partiti politici coerenti. Si definirono due schieramenti:

Uno a tendenza liberale o whig Uno a tendenza conservatrice o tory

Espressione della borghesia mercantile e protocapitalistica i primi, della nobiltà e dell’alto clero anglicano i secondi. Potere regio esercitabile solo nei limiti degli

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interessi sociali ( whig) e potere regio come libera espressione della volontà del sovrano ( tory).

CAPITOLO 13. LUIGI XIV E IL MITO DELLA MONARCHIA UNIVERSALE

1.Dopo Westfalia: guerra franco spagnola e guerre commerciali

Benché avessero risistemato l’assetto europeo, i trattati di Westfalia del 1648 non avevano posto fine a tutti i conflitti continentali. Proseguiva infatti la guerra tra Spagna e Francia che a fianco di quest’ultima aveva visto coinvolta nel 1655 l’Inghilterra contribuendo all’isolamento spagnolo. La Spagna del resto pativa ormai il distacco dal ramo austriaco. Per garantirsi la neutralità della Germania e controbilanciare la posizione dell’Austria, Mazzarino aveva sostenuto la formazione nel 1658 di una lega tra gli stati del medio Reno tra i quali Brandeburgo con l’adesione della Svezia.

L’offensiva militare antispagnola lanciata dai francesi nel 1658 e sfociata nella vittoria alle Dune e nella conquista di Dunkerque non fece altro che accelerare le trattative di pace che furono concluse con la firma della pace dei Pirenei che oltre a far guadagnare agli inglesi la Giamaica e Dunkerque, consacrava il dominio francese sul Rossiglione e stabiliva la cessione ai francesi di una serie di piazzeforti spagnole e sistemava a vantaggio della Francia la contestata acquisizione dell’ex dominio asburgico dell’Alsazia. Mazzarino incassò il successo di unire in matrimonio Luigi XIV con l’infanta spagnola Maria Teresa d’Asburgo. La pace dei Pirenei fu per la Spagna una definitiva rinuncia alle pretese di potenza egemone in Europa. L’ennesima bancarotta del 1662 venne a confermare il marasma delle finanze spagnole. All’ossessivo problema delle risorse venne ad aggiungersi il sopravvento del sistema federalistico di stampo aragonese. Succeduto a Filippo IV ad appena 4 anni e mezzo, Carlo II, con il quale si estinse il ramo spagnolo degli Asburgo, sembrò quasi rappresentare emblematicamente questo stato di cose: malato, privo di carisma, senza le qualità politiche.

In questo triennio di disordinata gestione interna, il punto più critico della Spagna rimase l’insufficienza di risorse finanziarie in grado di sostenere una politica estera adeguata alla risorgente pressione politico militare francese. Non tutto naturalmente fu negativo : la stessa incapacità del governo di garantirsi un efficiente sistema di riscossione delle imposte, fece diminuire l’ingombrante peso fiscale del passato. In Spagna ci fu una rinascita politica dell’aristocrazia, irrobustita dall’acquisto di nuovi feudi e dalla concessione, in cambio dei donativi alla corona, di più ampi diritti sui suoi domini, e nelle cui fila aspiravano ad entrare la vecchia classe dei letrados. Non tardò a manifestarsi una virulenta reazione contadina allo strapotere feudale come avvenne a Valencia. Furono una serie di processi dai quali alla fine emersero i tratti di una compagine statale in cui l’assolutismo sopravvisse solo a patto di realizzare un compromesso strategico con la feudalità e di favorire quell’aristocratizzazione della società che legò entro un’unica, struttura oligarchica le élites burocratiche a quelle feudali. Nonostante ci fosse un primo ministro l’influenza dell’aristocrazia, esercitata a corte , era forte. Questa non felice situazione interna andò ad intrecciarsi con la questione dell’indipendenza del Portogallo.

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Inutile si era rivelato il tentativo di invasione spagnola nel 1644. Il rafforzamento della corona portoghese ebbe luogo in anni di sfavorevole congiuntura economica, effetto ad un tempo dello scollamento dei rapporti economici con la Spagna e dell’attacco anglo-olandese alle colonie del Portogallo. Una crisi economica fu parzialmente risolta dall’adozione di misure mercantilistiche di limitazione alle importazioni. Interessata a sostenere la lotta anti spagnola, l’Inghilterra cromwelliana aveva sottoscritto un trattato che le accordava speciali privilegi commerciali e totale libertà di scambio in Portogallo il quale ricevette aiuti militari. L’aiuto inglese era diretto a realizzare uno degli obiettivi principali di Cromwell: la costruzione di un fronte protestante internazionale contro la Spagna cattolica. Gli spagnoli nel 1668 dovettero riconoscere l’indipendenza del Portogallo con il trattato di Lisbona. Lo strapotere commerciale delle Province Unite fece maturare in Inghilterra la ragione di un contrasto economico. In coincidenza con questa crescente tensione si erano intensificati gli interventi inglesi a favore del Portogallo, bersaglio dell’espansione economica e coloniale olandese. Si trattava di un antagonismo che rifletteva i differenti modelli di sviluppo economico e politico tra i due paesi protestanti. Il modello di Stato fondato sulle autonomie locali, spinto fino ad un federalismo atomistico, svolto dagli olandesi finì per favorire una loro polemica il cui oggetto fu la concorrenza britannica già nel 1609 il giurista olandese Ugo Grozio aveva pubblicato il suo Mare liberum nel quale rivendicava la completa libertà dei mari per tutte le nazioni che intendessero sfruttarli; nel 1618 il suo collega inglese John Selden aveva risposto con il Mare clausum le cui tesi vennero respinte dagli stati olandesi. Nel 1651 il Rump Parliament approvò un atto di navigazione (Navigation Act) con il quale stabilì che le colonie inglesi potessero commerciare solo con la madrepatria e avvalendosi solo di navi inglesi. Questo provvedimento voleva colpire gli olandesi che era intermediari nei rapporti marittimi internazionali. Per le P.U. questo rovesciamento degli equilibri interni era stato l’esito dei contrasti regionali e sociali che si trascinavano dall’inizio del secolo e che si trasformarono nella contrapposizione organista e repubblicana. Nel 1650 la scomparsa di Guglielmo d’Orange fece finire il predominio degli orangisti e il partito avversario poté rapidamente prevalere con il governo di Johan De Witt che ricoprì la carica di Gran Pensionario dal 1651 alla morte. Si tornò allora a discutere dei temi come la libertà di culto; del diritto dello Stato. Ne derivò lo sviluppo di una tolleranza religiosa garante della stabilità interna e assecondata dalle specifiche attività economiche svolte dal ceto mercantile borghese. Da qui l’idea che libertà significasse libertà dalle tasse eccessive, dai monopoli, dalle regolamentazioni, dalle politiche dinastiche, dalle guerre d’aggressione e dalle persecuzioni religiose. Si rigettava cosi l’intransigenza calvinista, il fiscalismo paralizzante, la libera iniziativa economica e l’accentramento monarchico identificato con gli Orange. Il conflitto con l’Inghilterra era iniziato nel ’51.

I Guerra Commerciale : il conflitto ebbe per teatro principale la Manica, ma non sortì effetti definitivi, tanto da portare già il 25 Aprile 1654 alla pace a tutto vantaggio degli inglesi che non ritirarono i provvedimenti adottati.

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L’Olanda tuttavia non si rassegnò e lo scontro riprese ben presto. L’Inghilterra continuava ad attuare una politica antispagnola e antiolandese dimostrata dall’attuazione di altre misure protezionistiche come l’Act of Frauds, lo Staple Act, e si sviluppò in Gran Bretagna un vero e proprio partito antiolandese.

II Guerra Commerciale : iniziata nel 1665 con la Francia a fianco delle P.U., questo nuovo conflitto si concluse tre anni dopo con la pace di Breda del 31 Luglio 1667 con la sostanziale sconfitta degli olandesi, costretti ad accettare le misure protezionistiche. Lo scontro anglo olandese ebbe allora ripercussioni anche sulle lotte per l’egemonia dell’area baltica.

BALCANI

La lotta tra Svezia e Danimarca fu direttamente influenzata da quella tra Olanda e Inghilterra. Era stata soprattutto la Svezia, emersa a grande potenza, a determinare gli squilibri nel Baltico. Anche la Svezia aveva adottato una politica mercantilistica, regolamentando in particolare il commercio estero a favore di alcune compagni e a cui venne dato il monopolio delle importazioni ed esportazioni di beni di prima necessità. Alla morte di Gustavo Adolfo la corona passò alla minorenne Cristina, e anche in questo periodo furono le stesse difficoltà provocate dalla guerra dei Trent’anni a favorire l’ascesa della nobiltà. I nobili attorno al 1650 detenevano circa i ¾ delle terre e era passata al controllo del potere politico attraverso l’istituzione di un Consiglio di reggenza. Cristina rifiutò di maritarsi e quando designò suo successore suo cugino Carlo Gustavo del Palatinato, abdicò e si convertì al cattolicesimo. Carlo X riprese la politica di espansione nel Baltico. Inizialmente il suo obiettivo fu di conquistare le foci polacche della Vistola, sul golfo di Danzica. Fu una scelta non casuale giacché allora l’espansionismo della Russia tornava a premere proprio sulla Polonia.

L’economia polacca era soggetta ad una spaventosa crisi. A questo sconquasso economico andava aggiunta la debolezza della corona e i nuovi contrasti religiosi. Ladislao IV era uscito con perdite territoriali significative dalla guerra dei Trent’anni. Giovanni Casimiro (successore) dovette affrontare dei problemi con i cosacchi Zaporaghi, un’etnia presente in Ucraina. Proprio in Ucraina l’espansionismo polacco era accompagnato dalla colonizzazione delle terre da parte della nobiltà che introdusse il latifondo riducendo i cosacchi in servitù e provocandone la violenta reazione. Già ribellatisi nel 1637 gli Zaporaghi insorsero di nuovo nel 1648 e finirono per passare all’impero moscovita cui li univa la religione ortodossa.

CONFLITTO

Fu questa rivolta a rappresentare il momento critico di cui approfittò Carlo X Gustavo di Svezia, contro cui Giovanni Casimiro rivendicava la corona svedese pretendendosi unico legittimo erede dei Vasa. Gli svedesi penetrarono nel territorio polacco affiancati dal Brandeburgo che intendeva acquisire la Prussia Orientale. L’alleanza tra i cosacchi e lo zar Alessio dava anche alla Russia il pretesto di invadere la Polonia, per ottenere l’ambito sbocco sul mare. I timori sollevati dai repentini successi svedesi finirono per trascinare in guerra anche

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la Danimarca, storica rivale della Svezia. Il re danese trovò a suo fianco non solo l’Olanda, ma anche il Brandeburgo che aveva cambiato sponda. Mentre per i danesi la guerra svolse al peggio, cosi come per la Russia contro la Svezia, nel 1659 un esercito austro polacco invadeva la Pomerania e assediava Stettino. A questi eventi seguirono varie paci imposte da Francia Inghilterra e Olanda.

La Danimarca costretta a stipulare con la Svezia i trattati di Roskilde e di Copenaghen ( 1660) cedeva agli svedesi la Scania;

La Russia non otteneva lo sbocco sul baltico e con la pace di Kardis 1661 con la Svezia era obbligata a consacrare lo status quo ante nella zona;

Il conflitto russo polacco si concluse nel 1667 con il trattato di Andrussovo con il quale la Polonia cedeva ai russi Smolensk e Kiev;

Ben diverso l’esito del conflitto tra Impero e Svezia. Quest’ultima doveva accettare le condizioni imposte dalla pace stipulata ad Oliva il 3 maggio 1660 con la quale si stabilì la rinuncia della Svezia a tutti i territori precedentemente ricadenti sotto la sovranità polacca.

Il Brandeburgo raccoglieva i frutti del suo passaggio al fronte anti svedese ottenendo il dominio della Prussia orientale gettando le basi per la nascita del Regno prussiano che nasce nel 1701.

Con questi trattati si avviava nell’area baltica un’epoca di pacificazione. Ad un rafforzamento assolutistico portarono le guerre baltiche in Danimarca. Il Rigsraad non fu più il principale organo dello Stato, mentre la direzione del governo passò ad organi collegiali consiliari e l’amministrazione a funzionari controllati dalla corona tratti da ogni ceto sociale e persino stranieri.

2.I nuovi equilibri tedeschi e la casa d’Austria: resistenze e recuperi

Il sostanziale disimpegno tedesco dalla politica europea era una conseguenza della guerra dei Trent’anni. Leopoldo I dovette accettare l’emergente supremazia francese nel quadro di una debolezza economica che obbligò gli Stati dell’Impero ad affrontare lunghi e difficili anni di ricostruzione. Questo sforzo tuttavia si realizzò grazie all’autorità che gli stati territoriali avevano ottenuto con la pace di Westfalia nell’ambito di un compromesso federalistico con la corona imperiale. Con le politiche mercantilistiche i prìncipi tedeschi aiutarono la lenta ripresa demografica ed economica. Il mercantilismo tedesco pose l’accento sugli aspetti amministrativi della gestione finanziaria ed economica. Fu questa l’origine del “ Cameralismo”, termine derivante dalle Camere dei conti che amministravano le entrate e le spese del principe. Originatosi dunque con lo scopo immediato di addestrare un nucleo di funzionari competenti nella gestione dei redditi statali e nell’opera di riedificazione economico finanziaria post bellica, il cameralismo divenne una vera e propria scienza dell'amministrazione pubblica, risultato della sintesi tra scienza delle finanze economia politica e discipline giuspubblicistiche. Si divise in cameralismo cattolico e protestante.

L’affermazione del Brandeburgo si delineò con caratteri affatto peculiari. Uscito devastato dalla guerra dei Trent’0anni il marchesato fu tuttavia in grado di guadagnare con Federico Guglielmo la piena sovranità della Prussia orientale. Federico Guglielmo avviò un’opera di ripopolamento e colonizzazione interna

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bonificando le terre e introducendo nuove culture. Pilastro della coesione statale fu soprattutto l’esercito. La nobiltà poté tornare ad esercitare la sua egemonia proprio ponendosi al servizio del sovrano in quei settori amministrativo e militare che costituivano i capisaldi del governo prussiano. Fu per questa strada che la conflittualità tra i due ceti dell’aristocrazia fondiaria e della nascente borghesia urbana sfociò in un patto sociale tra sovrano e aristocrazia che ebbe come conseguenze la ripartizione del maggior carico fiscale sulle città, la seconda feudalizzazione con consolidamento del potere dei signori sui contadini. Alla rigida demarcazione sociale nobiltà – borghesia corrisponde quella economica tra città e campagna.

A Westfalia erano stati attribuiti ai prìncipi tedeschi quei diritti di sovranità che parallelamente indebolirono la funzione coordinatrice e centralistica della monarchia imperiale. La struttura costituzionale e governativa dell’impero continuò ad assolvere un ruolo non trascurabile. Ma dal 1648 fallito il tentativo di realizzare un potere assoluto, la corona imperiale venne identificandosi con i domini della dinastia degli Asburgo tanto da trasformare l’Austria in un sinonimo d’Impero. Gli Asburgo poterono appoggiarsi sulla Chiesa estendendo così l’uniformità di fede e rafforzando il legame tra difesa dell’ortodossia cattolica e fedeltà alla dinastia. Importante fu l’azione dei gesuiti capaci di una riconquista delle terre luterane e calviniste intraprendendo attività missionarie, diffondendo il culto dei santi, istituendo collegi e promuovendo società per la letteratura, il teatro ecc.. La corona asburgica assecondò il naturale conservatorismo della società favorendo l’ascesa di poche grandi famiglie. In quest’alleanza condizionante con l’alta nobiltà risedeva il limite dello stato austriaco. Se infatti l’Austria aveva dal 1620 un’apposita cancelleria, effettivamente nessun potere aveva quest’organo sulle autonome strutture di governo della Boemia e dell’Ungheria. In Ungheria il progetto assolutistico assunse ed incontrò non poche difficoltà a causa della ripresa della minaccia turca, della resistenza dei feudatari, dell’insofferenza nazionalistica magiara alla cultura germanica e della persistenza presenza del protestantesimo. Alla fine anche in Ungheria si raggiunse un’alleanza tra corona e la cerchia di famiglie nobili. Il problema più grande dell’Impero tornò ad essere quello del confronto con il rinascente espansionismo ottomano causa ed effetto insieme del trasferimento del baricentro della politica di Leopoldo I verso quest’area nel quale cercò una compensazione.

3.Ripresa espansionistica e decadenza dell’Impero ottomano

Alla fine del XVII secolo l’impero ottomano attraversò un periodo di decadenza che condusse al suo sostanziale ridimensionamento. Nella seconda metà del ‘500 l’espansione aveva raggiunto il suo apogeo : sia verso Oriente, dove le guerre, condotte contro la Persia, avevano portato alla sottomissione della Georgia e dell’Iran occidentale. Nella Transilvania c’era una situazione di perenne instabilità ed ostilità con gli Asburgo, trasformatasi in guerra aperta tra il 1592 e il 1606, quando la pace di Zsitvatorok e successivamente i trattati di Vienna ristabilirono la situazione precedente e la duplice sovranità turca e asburgica sulla Transilvania. Verso oriente i conflitti con la Persia provocarono la perdita dell’Irak riconquistata però dai turchi tre anni dopo. Tuttavia lo scontro con gli Asburgo era destinato a riaprirsi e ad ampliarsi. Nel settore mediterraneo l’ultimo grande successo turco era stata la conquista dell’isola di

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Candia ( Creta) che aveva coronato una guerra contro la Repubblica di Venezia. L’impero ottomano cominciava a risentire anche sul piano internazionale delle conseguenze di una decadenza strutturale le cui radici erano economiche e politiche. L’antica solidità delle istituzioni civili e militari, si andò infatti progressivamente disgregando di fronte ai problemi finanziari quando l’amministrazione cominciò a corrompersi per incapacità dei sultanati che si dimostrarono sempre più despoti sanguinari.

Nell’esercito accanto ai cavalieri, elemento portante erano i giannizzeri che avevano visto lentamente scemare il loro severo spirito militare e fideistico del passato: l’abbandono del sistema del devshirme per il loro reclutamento e il venir meno del rispetto del celibato li condussero ben presto alla corruzione e alla consapevolezza di rappresentare una forza tale da potersi intromettere nella politica. Nel 1651 essi giunsero a ribellarsi apertamente.

Il commercio estero che nel ‘500 era fondato sull’esportazione di materie prime e sull’importazione di beni di lusso, fu colpito dalla concorrenza inaugurata da portoghesi e olandesi con la rotta di Capo di Buona Speranza e da un aumento demografico non equilibrato da una corrispondente crescita produttiva.

A questa decadenza cercò di porre rimedio Koporulu Mehemd Pascià e poi suo figlio Koporolu Fazil Ahmed Pascià, attraverso la loro opera di risanamento amministrativo, finanziario con cui l’Impero poté godere per vent’anni di una parvenza di ordine.

4.La Francia di Luigi XIV

Quando il 9 marzo 1661 moriva Mazzarino, l’appena ventiduenne Luigi XIV, educato fin da bambino all’esercizio della sovranità, manifestò subito la sua intenzione di governare da solo. Luigi XIV fu un tenace assertore dell’assolutismo al punto di affermare la celebre identificazione tra lo Stato e la sua persona ( l’Etat c’est moi) iperbolicamente magnificata nel titolo di Re Sole. L’impianto assolutistico creato negli anni dal re sole non fu totalmente incondizionato ma fu piuttosto il risultato di un compromesso tra sovrano e ceti dominanti in particolare nobiliari. Ciò non gli impedì d’instaurare un nuovo tipo di governo sottoposto alla sua diretta e personale sorveglianza e di avviare una serie di riforme che rappresentarono una svolta nella storia francese.

Fin dall’inizio Luigi XIV governò mediante una struttura di Consigli ciascuno dei quali si occupava di materie specifiche ( es: Consiglio delle finanze). Gli affari interni erano di competenza del Consiglio dei Dispacci; la distribuzione dei benefici fu attribuita al Consiglio degli Affari ecclesiastici.

Proprio la CORTE svolse un ruolo sempre più importante: luogo privilegiato della vita politica, era anche il centro del favoritismo e del clientelismo. Il mondo di corte era l’unica possibilità di contatto tra il sovrano e la nobiltà. La stessa nobiltà poteva così ottenere privilegi e onori offrendo in cambio della monarchia la propria fedeltà. E dal 1682 quando la reggia di Versailles si trasformò definitivamente nel vero centro del regno, Luigi XIV era riuscito a far dipendere interamente dai suoi favori nobili, occupandoli nelle funzioni di

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rappresentanza, vincolandoli al suo servizio e allontanandoli dai loro legami locali.

Assai più importante era il ruolo dei ministri e dei segretari di Stato con i quali il sovrano prendeva le decisioni ufficiali nel Consiglio reale e quelle più delicate in un Consiglio dei Tre Nicolas Fouquet, Michel Le Tellier, e Hugues de Lionne. Al Lionne fu affidata la direzione esclusiva della politica estera; Le Tellier fu ministro della guerra; Foquet si occupò delle finanze. Difficoltà delle finanze :

Indebolimento statale Anticipo della riscossione delle tasse Carestia

Fu in questa situazione che si decise l’istituzione di una chambre de justice ossia una corte speciale incaricata di giudicare i finanzieri colpevoli di aver guadagnato in modo illecito. Lo stesso Fouquet fu condannato e imprigionato all’esilio. Il posto di Fouquet fu preso da Jean-Baptiste Colbert che era amministratore delle ricchezze di Mazzarino. Colbert riordinò la situazione finanziaria e fiscale del regno proseguendo nella politica già avviata da Fouquet di progressiva riduzione della taille. Nello stesso tempo Colbert spostò la pressione fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette introducendo la Ferme générale ossia il contratto di concessione di appalto di queste tasse che si distribuivano più equamente sulla popolazione non escludendo i ceti privilegiati. Vennero cosi scemando le rivolte antifiscali e contadine. Grazie ai suoi provvedimenti insomma Colbert fu in grado di migliorare la contabilità e di ridurre le spese di amministrazione anche perché notevoli poteri di supervisione nel prelievo della tailleu e di accertamenti delle riscossioni nelle provincie furono affidati agli intendenti. Fu proprio tramite di essi che si consolidò una struttura di funzionari in grado di controllare il territorio e di informare il governo centrale. La riforma delle finanze e dell’amministrazione procedettero di pari passa trasformando lo stato da una struttura di tipo giudiziario ad una di carattere politico esecutivo. Fu riorganizzata la municipalità di Parigi città ormai talmente cresciuta da diventare caotica e igienicamente malsana.

Quest’opera di riordino centralizzato procedette parallelamente alla riduzione dei poteri del Parlamento e degli Stati provinciali senza tener neppure conto degli Stati generali non più convocati dal 1614. Riguardo alle politiche mercantilistiche Colbert sosteneva l’idea che occorresse attirare moneta in Francia per poter accrescerne la potenza e che questo obiettivo poteva essere realizzato soltanto tramite lo sviluppo del commercio estero, con l’incremento delle importazioni a scapito delle esportazioni e con un conseguente protezionismo verso le manifatture. Il Codice di Commercio disciplinò ogni aspetto della produzione industriale mediante le apposite regolamentazioni. Durante Colbert un posto in primo piano ce lo ebbero le colonie e inoltre la costruzione di una flotta che doveva misurarsi con quella inglese e olandese.

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Complessivamente i risultati ottenuti da Colbert furono soddisfacenti. Egli consegnò a Luigi XIV uno Stato ampiamente riordinato e finanziariamente più solido. Tuttavia con il tempo la rigidità colbertiana mostrò i propri limiti il controllo esercitato dallo Stato sull’economia finirono per rallentare lo sviluppo di nuove tecniche produttive e di nuove forme di organizzazione del lavoro industriale. Ma indubbiamente ciò che sclerotizzò alla fine l’intero sistema fu il peso fiscale imposto dalle guerre intraprese da Luigi XIV.

5.La guerra di devoluzione e la guerra contro l’Olanda ( guerra dei 7 anni)

Il primo bersaglio della politica egemonica di Luigi XIV fu la Spagna che era stata e rimaneva ancora il principale avversario della Francia. Il confinante regno di Carlo II d’Asburgo ostacolava sia il desiderio di fama e di potenza di Luigi XIV e sia l’obiettivo di dotare la Francia di frontiere sicure. Verso est infatti le province dell’Alsazia, della Borgogna, del Delfinato e le diocesi di Metz, Toul e Verdun erano ancora esposte a possibili attacchi imperiali attraverso il Lussemburgo e la Franca Contea ancora spagnola. Tuttavia una politica aggressiva significava abbandonare la strategia mazzariniana. Inizialmente però questa costruzione mazzariniana di un sistema di alleanze e di controllo dei regni europei non fu abbandonata del tutto da Luigi XIV. La Francia era interessata a mantenere ben viva l’antica alleanza con i turchi contro l’Impero. Una scelta però che in occasione della guerra asburgico ottomana del 1661-64 non ottenne nulla di positivo. Un colpo al prestigio del Re Sole venne dal suo mancato aiuto nella lotta contro il risorgente espansionismo islamico, proprio nel momento in cui l’Europa si sentì minacciata di nuovo.

In Polonia Luigi XIV tentò di trasformare il legame dinastico in vera e propria soggezione, inducendo Giovanni Casimiro a nominare per successore un principe di casa Condé. Tuttavia la disordinata situazione interna polacca condusse all’abdicazione di Giovanni Casimiro, ultimo esponente della dinastia Vasa in Polonia, e quando si trattò di eleggere il nuovo sovrano il duca di Lorena, Carlo IV oppose al candidato imperiale il duca di Condé e il principe Federico Guglielmo di Neuberg. Alla fine fu eletto un candidato nazionale a cui successe Sobieski. Luigi XIV riuscì a legare a sé il Sobieski mediante il matrimonio con Maria Casimira d’Arquien.

L’atteggiamento del sovrano francese verso gli inglesi si fece meno diplomatico di quello mazzariniano giungendo nel 1666, durante il secondo conflitto commerciale anglo-olandese, ad entrare in guerra a fianco delle P.U. Intanto era stata resa operativa, contro la Spagna, l’invasione dei Paesi Bassi nella primavera del 1667. L’improvviso attacco militare alla Spagna fu giustificato dalla pretesa di Luigi XIV di ottenere per moglie Maria Teresa, di cui ancora non era stato completato il pagamento della dote. Per questi motivi si parlò di guerra di devoluzione. Questo conflitto produsse l’immediata reazione dell’Olanda e anche per questo le P.U. si affrettarono a concludere la pace di Breda e a stipulare una triplice alleanza anti francese con Inghilterra e Svezia. Questo improvviso rovesciamento delle alleanze, che ruppe il tradizionale asse anti spagnolo franco olandese, e l’amicizia con la Svezia, indussero Luigi a stringere con l’imperatore Leopoldo I un accordo per la spartizione dei domini spagnoli. Nello stesso tempo il re occupava la Franca contea spagnola con

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l’intento di riutilizzarla nelle successive trattative di pace. Alla pace di Aquisgrana(1668) Luigi XIV pur ottenendo le piazzeforti dei Paesi Bassi in cambio della restituzione della Franca Contea non riusciva a rendere operativa la spartizione pattuita a causa della rapida guarigione di Carlo II. Né vi riuscì in seguito giacché ben presto di riacutizzò la tensione sul fronte tedesco con Leopoldo I pronto a tutelare il territorio della Lorena che il Re Sole occupò nel 1670.

Il definitivo sfaldamento del sistema mazzariniano aveva dunque portato soltanto ad un parziale successo dell’espansionismo di Luigi XIV. Ciò segnò l’inizio di una personale politica estera di Luigi XIV sostenuta dal militarismo del Louvois e ancor più ostinatamente protesa ad esaltare l’universalismo della monarchia.

La guerra contro l’Olanda fu spinta dalla decisione di Colbert di aver aumentato a danno dei mercanti olandesi i dazi doganali fino al 100%. Quando ormai la guerra era alle porte l’iniziale opposizione ad essa poteva denunciare l’intuizione che l’esito militare del suo programma mercantilistico avrebbe finito per vanificare i risultati che esso stesso aveva consentito di raggiungere.

Accanto a sé ora la Francia aveva di nuovo l’Inghilterra pronta a riprendere la sua lotta economico – militare contro le P.U. e a sottoscrivere con Luigi XIV quel patto segreto di Dover che legava la dinastia Stuart ai Borboni. La campagna militare del 1672 fu un successo per i francesi sul fronte terrestre tanto che gli olandesi decisero di aprire le dighe e allagare il paese per difendere Amsterdam. Ma in mare la flotta anglo francese fu clamorosamente sconfitta a Yarmouth il 17 giugno 1672. Dieci giorni dopo però l’imponente esercito del Re Sole prendeva Utrecht e il panico che si diffuse tra la popolazione fu letale per Johan De Witt assassinato. Conseguenza fu il ritorno al potere del principe Guglielmo III d’Orange. Le truppe francesi bloccate nel pantano olandese non riuscirono ad avanzare ulteriormente proprio mentre l’Europa reagiva.

A fianco delle P.U. scendeva in campo l’elettore Federico Guglielmo di Brandeburgo e il re danese Cristiano V e perfino la Spagna. Poco dopo anche l’Inghilterra capendo che il vero obiettivo di Luigi XIV era distruggere l’indipendenza delle P.U. combinò il matrimoni tra Maria Stuart e Guglielmo III d’Orange. Federico Guglielmo poté sconfiggere a Fehrbellin l’unica alleata del Re Sole , la Svezia. Nelle acque di Lipari, Stromboli e Augusta le squadre navali francesi riportarono notevoli successi su quelle spagnole ed olandesi.

PACI: La pace, le cui trattative erano iniziate nel ’76 a Nimega appariva ormai necessaria alla stessa Francia. Le severe misure fiscali adottate non solo avevano cancellato gran parte delle riforme colbertiane, ma anche provocato insurrezioni popolari. I trattarti firmati a Nimega ( agosto 1678-febbraio 1679) vennero dunque a chiudere una situazione ormai in stallo ed assunsero la dignità di una pace generale che aspirava a designare un nuovo equilibrio nel continente. La pace di Nimega fede guadagnare al Re Sole, a danno della Spagna, la tanto ambita Franca Contea oltre ad una linea di fortezze nei Paesi Bassi. Appoggiati alla Francia, i fedeli alleati svedesi riuscirono a recuperare parte della Pomerania dal Brandeburgo e la Scania dalla Danimarca. Se fin qui l’esito dei 7 anni di guerra sostenuti dai francesi risultò un trionfo per Luigi XIV,

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lo stesso non accadde verso l’Olanda la cui resistenza non era stata piegata. Colbert ritirò le disposizioni doganali anti olandesi.

6.Questioni religiose, contrasti giurisdizionali e politica internazionale

Il provvisorio ristabilimento della pace fece emergere in Francia un insieme di problemi. Ad alimentare spinte autonomistiche rimanevano le divisioni religiose. Verso gli ugonotti, Luigi XIV non aveva abbandonato la dura politica che era stata di Richelieu e Mazzarino: il re mirò a restringere i diritti legali dei calvinisti. Si trattò di un insieme di misure che soltanto la guerra contro l’Olanda alleggerì momentaneamente. Ma l’ostilità del sovrano verso la Chiesa calvinista non derivava da convinzioni religiose ma dalla necessità di sottomettere le minoranze per realizzare quella uniformità religiosa del paese sotto il segno del cattolicesimo che era il sostegno ideologico della monarchia. La chiesa favoriva infatti la corona consentendole di nominare i vescovi. Sul piano giurisdizionale però questo stesso potere ecclesiastico creava non pochi problemi. Il sovrano si trovava quindi alleati i cattolici con i quali però si scontrava ogni volta che entravano in gioco le delicate questioni delle prerogative della Chiesa.

Tanto più difficile fu la monarchia districarsi in questo gioco di forze quando il cattolicesimo fu apertamente diviso da contrasti ideologici. Da anni quei contrasti si erano presentati in relazione al rapporto tra grazia e libero arbitrio che era stato alla base dello scisma luterano. Fu su questo sfondo che nel 1640 apparve l’Augustinus opera del teologo olandese Cornelius Jansen detto Giansenio. Nato come summa del pensiero agostiniano, l’Augustinus riproponeva ovviamente una teologia della grazia fondata sull’insormontabile corruzione provocata nell’uomo dal peccato originale. Dopo il peccato originale la grazia sufficiente non poteva più bastare e il male poteva essere vinto soltanto tramite un decreto divino che la rendesse efficace e ciò era possibile solo con la fede. In questo modo Giansenio si avvicinava alle dottrine luterane e calviniste della predestinazione e della giustificazione per sola fede.

Saint-Curan aveva sostenuto un radicale predestinazionismo vicinissimo a quello calvinista unendolo però ad una tensione mistica e rigoristica dai tratti oltranzisti che ne fecero l’esponente di una Controriforma intesa come intima adesione al messaggio di Cristo, in opposizione al formalismo esteriore dei gesuiti. Su queste basi Saint-Curan svolse un ruolo decisivo nella prima diffusione del giansenismo a livello politico: era diventato a Parigi l’oracolo dei cattolici che disapprovavano le alleanze internazionali con i protestanti. Poco prima di morire aveva spinto Antoine Arnauld a difendere le dottrine di Giansenio condannate l’anno prima da Roma. L’Arnauld pubblicava uno scritto in cui sosteneva il rifiuto della comunione per chi avesse commesso peccati mortali. In questo modo combatteva il formalismo della Compagnia di Gesù. Nel 1651 una Commissione si appellava a Roma perché venissero esaminate le cinque proposizioni dell’Augustinus.

Si avviava così un conflitto che dal ristretto ambito teologico sfociò in uno scontro che ebbe risonanza in tutta la Francia. A Roma la bolla Cum occasione emanata da Innocenzo X dichiarava come eretiche le cinque proposizioni gianseniste. Pertanto Arnauld dichiarava che avrebbe osservato un assoluto

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silenzio sulla loro attribuzione al teologo olandese, pur accettando la condanna delle proposizioni. Questa distinzione tra linea di diritto (accettazione della giusta condanna delle 5 proposizioni) e linea di fatto (la circostanza cioè che quelle proposizioni non fossero in effetti presenti sul testo di Giansenio) fu ovviamente interpretata come un tentativo di celare la persistente adesione a dottrine che annullavano il libero arbitrio. L’assemblea del clero francese impose a tutti i detentori di benefici ecclesiastici la sottoscrizione di un formulario di ripudio delle proposizioni gianseniste. L’Arnauld veniva intanto espulso dalla Sorbona. Il fermento giansenista aveva in sé i germi di un individualismo e di uno spirito di indipendenza pericolosi agli occhi di Luigi XIV.

Quando, con l’avvento del nuovo pontefice Clemente IX che consentì tacitamente alla distinzione tra linea di fatto e linea di diritto, fu imposta nel ’69 una pacificazione, montarono quei conflitti giurisdizionali con Roma sorti già nel 1662-’64 quando la soppressione delle extraterritorialità delle ambasciate a Roma fu considerata un affronto da parte di Luigi XIV. Il sovrano decise con una serie di editti l’estensione a tutto il regno del diritto della monarchia di recepire le entrate delle diocesi vacanti fino alla nomina del successore. Innocenzo XI scomunicò uno degli arcivescovi e condannò la politica regia. Luigi XIV rispose convocando nell’ottobre 1681 una sessione speciale dell’assemblea del clero di Francia che rese pubblica una solenne dichiarazione in cui esponeva le posizioni della Chiesa gallicana sui rapporti tra monarca e potere spirituale del pontefice. Il testo sentenziava l’indipendenza dei sovrani dai pontefici e sosteneva che i monarchi non possono essere disposti all’autorità della Chiesa si andava a eliminare la possibilità di scomunica del Re. Luigi XIV inoltre incluse la dichiarazione negli insegnamenti dei seminari e Innocenzo XI non canonizzò i vescovi di nomina regia.

In realtà questo profondo dissidio era anche il riflesso del contrasto politico internazionale tra l’egemonia francese e i pontefici che volevano da tempo vedere un ‘alleanza tra Luigi XIV e la potenza asburgica contro l’Impero ottomano. Ma Luigi XIV era disinteressato a questa manovra.

Per eliminare la minaccia austriaca in Ungheria, il gran visir Mustafa Pascià, sotto il sultano Maometto IV si rivelò disposto a spremere finanziariamente le provincie dell’Impero ottomano. L’assedio alla capitale austriaca si rivelò inglorioso per l’armata turca e ciò segnò la fine delle mira espansioniste dei turchi. Leopoldo I ora poteva contrastare la Francia, ma non fece subito questa scelta. Non abbandonò la presa sui turchi ed anzi in seguito alla costituzione di una Lega Santa, continuò l’offensiva in Ungheria, Transilvania e Crimea. Ma i successivi tentativi d annullare l’indipendentismo ungherese provocarono delle sollevazioni come quella conclusasi con un accordo che sanciva il fallimento dell’assolutismo tentato dalla monarchia. Luigi XIV veniva scalfito dal suo mancato intervento. La Francia appariva al culmine della sua potenza e al tempo stesso isolata. Leopoldo I infine preferì stipulare una tregua con la Francia nel 1684 con la pace di Ratisbona ( si trattò solo di un rinvio).

Luigi XIV successivamente decise per la revoca dell’Editto di Nantes proclamando l’Editto di Fontainebleau del 17 ottobre 1685 con il quale diete il colpo di grazia alla minoranza ugonotta. Molti ugonotti si ritirarono in una pratica religiosa individuale, altri si ribellarono e altri se ne andarono dalla

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Francia. In tutti i casi non si crearono conversioni al cattolicesimo quindi l’editto non raggiunse lo scopo prefissato. Nel 9 luglio 1686 nasceva la LEGA DI AUGUSTA tra Impero, Svezia e Spagna.

7.La “Gloriosa Rivoluzione “ inglese e il declino dell’egemonia francese.

In Inghilterra l’avvento di Giacomo II aveva prodotto una situazione poco tranquilla. Fervente sostenitore di un assolutismo accentuò la politica di difesa dei diritti delle dissidenze religiose. Nel 1687 il re sospese con una Dichiarazione d’indulgenza le leggi penali contro tutti i dissidenti. L’irritazione suscitata nei protestanti si unì all’insofferenza per l’atteggiamento sprezzante del sovrano verso le prerogative parlamentari. Privo di figli ebbe inaspettatamente un erede Giacomo Francesco Edoardo Stuart prospettando così una successione cattolica. Il partito conservatore tories per quanto filomonarchico disapprovò subito la politica assolutistica del re. Se i due partiti si dividevano circa i poteri da attribuire agli organi costituzionali, il comune sostrato sociale, aristocrazia e gentry li univa nel ritenere inviolabili i diritti conquistati dopo la prima rivoluzione. Fu così che 4 rappresentanti dei whigs e tre dei tories si appellarono a Guglielmo d’Orange affinché intervenisse. Le Province Unite erano da sempre in contrasto con la Francia e quindi l’Orange intervenne subito: sbarcò sul suolo inglese con 600 navi e 20.000 uomini. Non ci fu alcuna guerra e l’Orange avanzò accolto dal popolo. Contemporaneamente nella capitale si apriva una riunione congiunta della Camera dei Lord e dei Comuni sotto forma di Convention con poteri costituenti. L’origine liberale del parlamentarismo moderno nasceva così da un atto sedizioso anche se pacifico che finiva per calpestare con il principio del diritto divino dei re, condiviso anche dai parlamentari, anche la stessa causa che l’aveva prodotta, giacché la funzione del Parlamento era stata rivendicata nel quadro del reciproco rapporto di cooperazione con la corona ed era impossibile esercitarla in assenza di questa.

Lord e comuni finirono per compiere un vero colpo di mano e lo si vide con l’approvazione di una Declaration of Rights che diede la corona a Maria Sturart e al suo consorte Guglielmo d’Orange disegnando i primi contorni di una monarchia costituzionalmente controllata dal potere parlamentare. Il sovrano infatti senza interpellare le camere non poteva né governare né mantenere un esercito in tempo di pace. Si limitò inoltre il diritto di veto regio e si ribadì il principio dell’habeas corpis. Infine il 24 maggio 1689 un Atto di tolleranza soppresse le pene contro i dissidenti religiosi anche se rinnovò il giuramento di fedeltà alla monarchia e l’esclusione dalla vita pubblica per chi non si comunicava nella chiesa anglicana almeno una volta l’anno.

Guglielmo d’Orange voleva fare dell’Inghilterra un perno del fronte protestante internazionale antifrancese. Si preoccupò soprattutto di realizzare una politica estera grandiosa, più che dei problemi interni al regno. Luigi XIV aveva intanto deciso di aprire le ostilità contro la Lega di Augusta con un attacco al Palatinato e ciò favorì lo sbarco dell’Orange in Inghilterra e inoltre scatenò la reazione imperiale determinando l’ingresso nella Lega di Augusta delle potenze protestanti inglese e olandese ormai unite tra loro. L’occupazione del Palatinato

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si trasformò nella guerra dei 9 anni. L’estensione del conflitto trovò impreparato il Re Sole che però ottenne inizialmente una serie di successi. Poi le sorti della guerra si equilibrarono: la flotta francese fu distrutta da quella anglo olandese. La Francia ora doveva subire l’azione avversaria sul continente.

In Inghilterra intanto Guglielmo d’Orange iniziava a pagare in termini di consenso il prezzo della sua politica estera: le simpatie tories vennero meno di fronte all’esasperata politica fiscale necessaria a foraggiare una guerra che nel ’93 aveva portato il bilancio della corona quasi a sei milioni di sterline. La guerra gli impose un metodo di reperimento delle finanze noto come il debito pubblico a luna scadenza e per ottenerlo il cancelliere aveva bisogno di una grande banca e venne istituita la Compagnia della Banca di Inghilterra, non era quindi una banca pubblica ma era una compagnia privata. Il governo non avrebbe usato i fondi della banca senza l’approvazione delle Camere: il re la ottenne nel 1694 e ciò risollevò la situazione delle finanze. Inoltre nello stesso anno venne votato il Triennal Act con il quale diveniva obbligatoria la convocazione delle camere entro scadenze determinate. Viene abolita la censura sulla stampa e i whigs si strutturarono come dei veri e propri partiti.

Situazione francese:

finanze dissanguate fiscalismo statale a livelli insopportabili crisi dei commerci devastante crisi agricola

Questo portò al fallimento del mito della monarchia e alla solidità dell’assolutismo regio.

Nel 1697 a Ryswick iniziano le trattive di pace che mirano a stabilire la situazione nelle colonie e a ripristinare il quadro europeo uscito dalla pace di Nimega. Le Province Unite ottennero il diritto di stabilire una catena di fortezze nei Paesi Bassi; l’Inghilterra guadagnò l’abolizione delle tariffe doganali; La Francia accettava il ritorno in Lorena del nuovo duca Leopoldo e riconobbe come legittimo sovrano Guglielmo d’Orange; Leopoldo I si vide restituiti i territori occupati dalla Francia.

I trattati di Ryswick ridisegnarono gli equilibri europei a vantaggio dell’Inghilterra e dell’Austria. Nell’impero ci furono delle spinte centrifughe dagli Hannover, dalla Baviera e dalla Sassonia. Soprattutto qui il progetto di Federico Augusto II era di rompere gli sbarramenti turchi e di riordinare lo stato polacco. Fu incoronato come Augusto II re di Polonia abbandonando la fede luterana di cui la Sassonia ne era stata la culla. Augusto II decise di dichiarare guerra ai turchi che erano già stati però attaccati dalle truppe imperiali e russe. Dopo la sconfitta di Zenta i soldati ottomani chiesero la pace stipulata a Karlowitz che assegnò agli Asburgo anche Belgrado. L’Austria usciva come la grande trionfatrice. Le due paci affermavano l’Inghilterra come arbitro internazionale.

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Ci fu un mutamento della politica religiosa di Luigi XIV: il sovrano non voleva continuare ad avere nemica la Santa Sede e Innocenzo XI aveva ormai sempre meno motivi di combattere Luigi XIV. Fin dal 1693 si era raggiunta così una tregua e nel 1695 ci fu una pacificazione decisiva. L’accordo costituì da allora la base di un’intesa tra corona e gerarchie ecclesiastiche che si unirono per combattere il giansenismo che era tornato a riproporsi.

Teologo: Quesnel passato al giansenismo, ribadiva le classiche tesi della predestinazione di Giansenio ma ne ricavava azzardate conseguenze ecclesiologiche rifacendosi a concezioni elaborate da Edmond Richer il quale concepiva la Chiesa come comunità democratica dei fedeli la cui assemblea elogiava la cura pastorale a sacerdoti e vescovi. Era su questo sfondo che Quesnel veniva a riaccendere scottanti problemi ecclesiologici e rilanciava controversie alla vigilia dell’esplosione del problema della liceità del religioso silenzio circa le cinque proposizioni.

Il Quesnel veniva arrestato e intanto Clemente XI promulgava la bolla Vineam Domini con cui rigettava il rispettoso silenzio dei giansenisti e richiedeva loro u autentico assenso sull’eterodossia delle contestate cinque proposizioni dell’Augustinus. Con ciò il sovrano otteneva l’affossamento ufficiale delle dottrine gianseniste e insieme dei risvolti gallicani in esse contenute. Clemente XI sopprimeva il monastero di Port Royal des Champs, e disperdeva le religioni qui relegate che non vollero sottomettersi alla bolla del 1765 demolendone successivamente le mura. La bolla Unigenitus condannava 101 preposizioni del Quesnel chiudendo così la questione giansenista. Questa volta il Parlamento di Parigi rifiutò di registrare la bolla e questo creò una ribellione con 180 scritti sulla questione spingendo Luigi XIV a giudicare i ribelli attraverso un concilio nazionale che non si tenne mai.

Espressione delle insofferenze suscitate dall’assolutismo accentratore instaurato dal Re Sole gli sviluppi del giansenismo vennero comunque a certificare quanto già emerso nell’ultimo decennio del XVII secolo. L’irrisione e i balli con cui la folla si abbandonò il giorno in cui la salma di Luigi XIV raggiunge il sepolcro sembrarono così seppellire con lui lo sclerotizzato mito dell’assolutismo universalistico ed aprire il nuovo secolo.

CAPITOLO 14. L’ITALIA DAL CINQUE AL SEICENTO

1.Luci ed ombre di un declino

La pace di Cateau-Cambresis del 1559 risistemando l’assetto europeo dopo i lunghi decenni di scontro tra Asburgo e Valois, aveva anche ridisegnato una geografia politica della penisola italiana. Da allora l’Italia godette per circa un secolo e mezzo di una condizione di pace. Ma da allora gran parte della penisola si trovò soggetta al predominio della Spagna in grado di governare direttamente il ducato di Milano, il Regno di Napoli, i viceregni di Sicilia e Sardegna.

Da parte sua non poté a lungo rappresentare una credibile alternativa al predominio spagnolo la Francia che, impegnata nelle guerre dei religione, già a

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Cateau Cambresis, aveva dovuto restituire al legittimo duca Emanuele Filiberto, la Savoia destinata ad assolvere quella funzione di stato neutrale tra blocchi contrapposti. Proprio la Savoia venne progressivamente costruendo una politica di progressiva autonomia dalle due potenze continentali, affiancandosi agli altri due stati davvero indipendenti della penisola: lo Stato pontificio e la Repubblica di Venezia. Tuttavia dal 1559 la supremazia spagnola rimase inalterata e poté coniugare il proprio assolutismo con il modello aristocratico oligarchico e con il rafforzamento sociale dei ceti feudali nel meridione. La società era sempre più conservatrice, gerarchicamente sclerotizzata e incapace di esprimere, anche soltanto sul piano intellettuale, un’opposizione o una critica ai modelli ispanici. A rispecchiare la realtà di un Italia segnata da un composito tessuto urbano e da realtà feudali non trascurabili, stava la difformità giuridica della struttura dei domini spagnoli in ognuno dei quali vennero conservate le antiche istituzioni rappresentative locali:

Il parlamento di origine normanna in Sicilia Parlamento napoletano dominato dal baronaggio feudale Senato milanese espressione dell’oligarchia cittadina

In ciascuno, in misura diversa, si manifestò un dualismo di poteri tra questi organi di governo locale o regionale e i rappresentanti dell’autorità della corona. Neppure l’istituzione di un Consiglio d’Italia, con sede a Madrid, riuscì ad imporre quell’indirizzo unitario che in fondo non era neppure nelle intenzioni della monarchia.

La specificità della frammentazione territoriale ebbe una funzione essenziale nel diversificare tempi, forme e contenuti di questa compattazione, diversa da regione a regione e perfino da città a città. Una disparità che segnalava in prospettiva diversi livelli di crescita e di sviluppo economico e sociale. Si distinse dagli altri ad esempio l’evoluzione dei tre stati italiani che mantennero l’indipendenza: in Savoia e nello Stato Pontificio è riscontrabile un passaggio verso uno stato moderno di tipo assolutistico (più evidente nel ducato sabaudo). Diverso invece l’esempio di Venezia che confermò sostanzialmente senza innovazioni la struttura oligarchica che la reggeva da antica data.

Una realtà dunque polverizzata. Lo sfondo comune era rimasto quello del ristagno e della crisi aggravata dalla peste del 1630-31 che costituì il crinale tra la fase espansiva e quella di contrazione. Fu allora che entrò in crisi il modello si sviluppo rinascimentale concentrato nelle regioni urbanizzate centro settentrionali, dalle quali si irradiava la forza economica del quadrilatero Milano-Genova-Firenze-Venezia fondato sulle manifatture, il grande commercio e le attività finanziarie.

Ma nel settore manifatturiero forte era la concorrenza dell’Europa nord occidentale, principalmente inglesi e olandesi, ma poi anche francesi, capace di offrire sul mercato prodotti di minor qualità, ma a prezzi più bassi di quelli italiani, i quali avevano prodotti più costosi per i metodi antiquati di produzione che mantennero alto il costo della manodopera. Entrarono in crisi anche i servizi finanziari e bancari di cui l’Italia era stata all’avanguardia ma che ora incontravano le difficoltà economiche della Spagna e della Francia. Anche in

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Italia si verificò quel fenomeno di differenziazione geografica dei ritmi di crescita.

A Firenze la crisi della produzione laniera fu in parte controbilanciata dalla lavorazione dei drappi da seta. A Lucca si mantenne una produzione tessile discreta. Complessivamente il tessile compensò le perdite specializzandosi nella produzione di lusso. In generale quindi nel ‘600 non subì un crollo irreversibile. Il settore industriale era invece pressoché ovunque regredito, mentre l’agricoltura rimase predominante nonostante avesse subito un’analoga contrazione. La crisi dell’agricoltura ebbe tra le conseguenze i rafforzamento del sistema annonario creato per sopperire alle esigenze alimentari della società. Il dato più significativo dell’agricoltura fu il trasferimento dei capitali urbani dalle manifatture e dai commerci all’investimento fondiario ( fenomeno che non si verificò solo in Italia).

Nel Lazio, nel Meridione e nelle Isole continuò a predominare il latifondo. In generale comunque l’agricoltura manifestò una capacità di tenuta allorché il calo demografico e la diminuzione della domanda di cereali favorirono la maggiore diffusione di colture diverse come mais e gelso. Il Piemonte fu invece protagonista di una crescita economica che costituì comunque un’eccezione.

La soluzione alla crisi nacque nel disagiato Mezzogiorno, nella prigione di Napoli dove fu rinchiuso per dieci anni ( con l’accusa di aver partecipato a un complotto antispagnolo) Serra, che componeva il Breve trattato delle cause che possono far abbondare li Regni d’oro e d’argento dove non sono miniere, con applicazione al Regno di Napoli. La questione da cui partiva l’autore era semplice: la povertà delle province napoletane a fronte delle ricchezza di Venezia o Genova. Rigettando l’ipotesi che la povertà deriva da una mancanza di moneta, Serra ricercò le cause di quella povertà nello squilibrio dei traffici instaurati dal Regno di Napoli. A risolvere il problema occorreva incrementare la produzione agricola e la quantità di manufatti facendo così crescere l’esportazione. Questo dipendeva però da una popolazione capace di imporsi con nuove produzioni industriali e indispensabile per questo era lo stimolo dei governi.

2.I domini spagnoli

Il regno di Napoli, più degli altri possedimenti spagnoli, conobbe un processo di decadenza non solo economica ma anche politica. Il viceré rimaneva infatti affiancato nella direzione di governo dal Consiglio Collaterale, in cui trovavano larga espressione le istanze del ceto togato ( magistrati membri dei tribunali civili e finanziari). Indubbiamente i viceré erano riusciti a indebolire la potenza del baronaggio napoletano e della feudalità delle province e tuttavia i baroni rimanevano lo strato sociale dominante e avevano una forza esercitata soprattutto mediante Parlamento. L’intero sistema si reggeva su un compromesso tra :

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Il contrasto nato tra nobiltà e ceto togato si svolse a favore di quest’ultimo. Esemplare testimonianza del crescente disagio del ceto nobiliare è il Discorso sopra il Regno di Napoli composto da Giulio Cesare Caracciolo. Il testo criticava il modello statale spagnolo. Caracciolo proponeva una reazione d’orgoglio nobiliare incentrata sulla restaurazione dell’antico onore della nobiltà di spada. Vano era stato il tentativo in occasione della battaglia di Lepanto della nobiltà di riproporre il Regno di Napoli come aggressivo bastione antiturco. Talmente vano che il dissenso nobiliare tornò negli anni ’80 con le Memorie di Ferrante Carafa il quale traduceva le rivendicazioni dei nobili rimpiangendo il mondo medievale. Lo scritto denunciava inoltre la sconfitta politica della nobiltà partenopea ridotta ad avanzare richieste corporative e cetuali. Fu in questo ambito che i nobili abbandonarono le pretese di una restaurazione cavalleresca integrandosi nelle istituzioni monarchiche. Anche la richiesta di autonomia istituzionale del Regno si accompagnava sempre di più alla difesa della monarchia di cui si magnificava la funzione di conservazione degli equilibri politico sociali pur chiedendo maggiore spazio per le istanze di popolari negli organismi di governo. Il popolo poi era identificato con quei mercanti, quegli strati borghesi, professionisti e burocrati ben distinti dalla plebe partenopea.

Le ragioni dell’incrinatura tra la monarchia asburgica e i ceti sociali vanno ricercato nella crescente importanza attribuita dalla Spagna al Regno di Napoli come dominio da cui trarre essenzialmente risorse fiscali e militari nel contesto della rinuncia strategica alla lotta contro i turchi nel mediterraneo e degli impegni bellici della corona nel Paesi Bassi e poi nella guerra dei Trent’anni. L’impegno nella guerra dei Trent’anni coincise così con una svolta durante la quale l’oppressivo fiscalismo della corona si scaricava soprattutto nel napoletano più che sulla Sicilia e sul milanese. Il governo aumentò l’imposizione indiretta finendo per colpire al cuore la già depressa economia meridionale. La riguadagnata forza della nobiltà si accompagnò alla chiusura oligarchica dei seggi della capitale a cui non poterono più accedere le nuove famiglie e alla mancata convocazione del Parlamento che non fu più riunito dal 1642. Ma ad essere protagonista dei moti esposi tre anni dopo non fu ne l’aristocrazia cittadina né il ceto borghese e togato, fu invece la PLEBE, un’entità sociale urbana mobile e multiforme costituita da piccoli rivenditori, ortolani, conciapelli, disoccupati ecc..

LA RIVOLTA fu scatenata il 7 luglio del 1647 dall’imposizione dell’ennesima gabella sulla vendita della frutta e fu immediatamente guidata da un pescivendolo, Masaniello, alle cui spalle agiva l’abate Giulio Genoino. Riemergevano i miti dell’abbondanza a fianco della tradizionalistica esaltazione del Re e della Chiesa. Ma queste aspirazioni popolari passarono in secondo piano di fronte all’immediato intervento di quello strato civile della società che agiva solo per i propri interessi, come dimostrano le rivendicazioni avanzate dal Genoino: parità di voti tra eletti del popolo e nobili nei seggi del governo municipale, e abolizione di tutte le gabelle imposte dopo Carlo V.

c o r o n a s p a g no la

c e t o to g a t o

b a r o n ag g io

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Con queste richieste il Genoino cercava di mediare tra le diverse istanze sociali e politiche presenti all’interno della rivolta. Dopo solo 10 giorni Masaniello scompariva assassinato per ordine del viceré in accordo probabilmente con lo stesso Genoino. Nonostante lo sbandamento provocato dalla scomparsa di Masaniello, non venne meno la compattezza della protesta che si ampliò fino a costringere le truppe spagnole a ritirarsi lasciando agli insorti il pieno controllo di Napoli dove il 17 ottobre veniva proclamata la REAL REPUBBLICA NAPOLETANA con a capo Enrico di Guisa.

Si passò cosi alla seconda fase della rivoluzione. La monarchia spagnola trovò sostegno nella nobiltà pronta a mettere a disposizione la forza delle proprie armi per soffocare le aspirazioni ormai sovversive dei ceti borghesi e popolari. La rivoluzione tuttavia non solo rimase permeata da uno spontaneismo privo di adeguata direzione politica, ma non seppe neppure esprimere validi programmi alternativi al dominio ispanico o ispirarsi a valori borghesi.

Contemporaneamente a quella napoletana , la Spagna subiva nel maggio del 1647 una violenta sollevazione a Palermo, in quella Sicilia dove ancor più saldo e incontrastato era il potere della nobiltà feudale. Le tensioni accumulate da decenni nell’isola a causa di questo strapotere feudale maturarono in rivolta in quella di Palermo che rappresentava una classe dirigente più moderna. Lentamente la situazione venne riordinandosi dal novembre quando il cardinale Teodoro Trivulzio assunse le funzioni di preside del Regno. Tuttavia al pari dei ceti popolari non ne uscì vittoriosa neanche l’aristocrazia feudale dimostratasi incapace di porre fine da sola alla sollevazione. Ciò consentì alla monarchia spagnola una restaurazione che poté far leva sulle stesse trasformazioni interne del popolo e della nobiltà. Dagli anni ’60 questo rafforzamento della monarchia si accompagnò ad un ulteriore ripresa dell’aristocrazia che a Napoli crebbe come forza dominante nelle campagne.

L’ondata di violenze e il deterioramento dell’ordine pubblico che fecero da sfondo a questo ulteriore rafforzamento dei nobili resero però necessario un irrobustimento dell’autorità regia realizzato dal viceré Gaspar de Haro, marchese del Carpio. Il Carpio manifestò un rigore inflessibile contro l’anarchia della nobiltà; scalzò i gruppi burocratici più saldamente ancorati nei meandri del potere amministrativo e giudiziario. In questo modo egli riuscì ad irretire le componenti moderate dell’aristocrazia e quelle del popolo. Il ceto civile riuscì cosi a proporre con successo la propria forza mediatrice.

Diversi gli esiti in Sicilia dove dopo la rivolta palermitana nel 74 fu Messina ad insorgere sulla spinta delle rivendicazioni antifiscali presto trasformate in istanze repubblicane, mercantili e borghesi. La costituita repubblica indipendente visse così finché ebbe la protezione delle squadre navali inviate dal sovrano francese . in Sicilia seguirono anni di pace e di integrazione tra modello feudale e dinastia spagnola.

Né un esito diverso aveva avuto la crisi poco precedente della Sardegna dove il Parlamento fu sciolto nel 1666 senza aver votato alcun donativo per i diniego opposto della nobiltà irritata dalla sottrazione di alcune funzioni giurisdizionali e dall’inasprimento fiscale. I disordini che seguirono non condussero tuttavia ad

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altro che alla rapida soppressione del movimento di protesta. La Sardegna rimaneva costituita da un’economia assai povera con prevalenza di pastorizia sull’agricoltura.

Nel ducato di Milano non si verificarono dal 1559 in poi sommovimenti come quelli napoletani o siciliani sostanzialmente per tre motivi:

La maggior capacità di resistenza e ripresa dell’economia lombarda; Funzione assegnata al milanese dalla strategia internazionale della

Spagna; Coesione della locale classe dirigente

I patriziati urbani erano compatti e uniti dalla comune provenienza dei loro redditi. Il Senato era dominato dalla componente patrizia che nelle altre città controllava i consigli municipali.

3.Il granducato di Toscana

Il ducato di Toscana era parzialmente riuscito con Cosimo I de’ Medici a sgravarsi dalla diretta subordinazione asburgica, riacquisendo nel 1543 le fortezze concesse a Carlo V. Cosimo I non fece nulla per incrinare l’alleanza con gli Asburgo mirando a divenire il fiduciario in Italia di Filippo II. Particolare importanza assunse in questa politica la ripresa dei buoni rapporti con la Santa Sede. Il recupero dell’amicizia dei pontefici Pio IV e Pio V costò naturalmente un prezzo: non solo quello della condanna inquisitoriale di un filo mediceo Pietro Carnesecchi, ma anche quello di un complessivo adattamento alla Chiesa controriformista. In cambio Cosimo I de’ Medici poté ottenere il titolo di Granduca. Spagna ed Impero non nascosero il loro fastidio per questa vicinanza ma Cosimo I non giunse mai all’aperta rottura con gli Asburgo.

Negli intellettuali fiorentini l’antica passione repubblicana e civile si era da tempo spenta nell’opportunistica deferenza al governo mediceo. Non difficoltoso fu allora l’impegno di Cosimo I nell’organizzare direttamente cultura e istruzione attraverso la creazione dell’Accademia fiorentina e dell’Università di Pisa. Il risultato fu un predominio culturale del regime ma anche una modesta produzione letteraria e storiografica ormai lontana dai modelli machiavelliani o guicciardiniani. A livello statale la conciliazione tra oligarchia mercantile e fondiaria e nuova struttura assolutistica fu facilitata dal fatto che in Toscana non esistevano le rappresentanze autonome del patriziato. I Medici proseguirono inoltre anche quella politica di integrazione regionale avviata da Cosimo I con l’annessione di Siena che tuttavia non condusse mai ad un’unificazione istituzionale tra domini fiorentini e nuovi territori acquisiti.

Al di là di queste divisioni istituzionali si realizzò un processo di uniformazione e centralizzazione di più stretto legame tra centro e periferia attuato tramite un più energico esercizio del potere ducale di approvazione e revisione degli Statuti. Cure particolare furono dedicate alla riorganizzazione del fisco, dell’apparato militare, e di controllo della magistratura. A livello degli organi centrali assunse importanza il Primo segretario che aiutava il Granduca nell’attività governativa. Cosi organizzato il granducato non registrò dopo Siena nessuna grande espansione territoriale rimanendo anzi uno stato di dimensioni

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relativamente ridotte. Non avvennero successive modifiche con Francesco I, Ferdinando I e Ferdinando II.

4.Le diverse sorti delle Repubbliche : Genova e Venezia

Solo formalmente indipendente dalla Spagna era la REPUBBLICA DI GENOVA. Nelle città ligure maturavano le divergenze tra i cosiddetti nobili “vecchi” patrocinatori di una stretta alleanza con la Spagna e i cosiddetti nobili “nuovi” sostenitori della promozione delle attività manifatturiere e di una politica estera più autonoma. La crisi esplose nel 1575 con una sommossa presto trasformatasi in guerra civile. Immediata la preoccupazione del pontefice e di Filippo II. A Casale, nel marzo del ’76, grazie alla mediazione del cardinale Giovanni Morone, appositamente inviato dalla Santa Sede, le parti trovarono un accordo da cui scaturirono le Leges novae tratteggianti una riforma costituzionale rimasta in vigore fino alla caduta della Repubblica nel 1797. In questo modo l’antica divisione tra vecchi e nuovi fu gradatamente superata attraverso una fusione del patriziato, interamente stratificato ormai soltanto in base alla ricchezza. Non fu però abolita la gestione oligarchica dello Stato. Malgrado il compromesso del ’76 però e seppure in uno stato di stabilità, la crescente differenziazione tra l’elitaria nobiltà di governo e una pletora di nobili pauperizzati, si fece più acuta ed avvertita soprattutto nella prima metà del nuovo secolo, quando l’economia genovese fu colpita dalle conseguenze della bancarotta spagnola del 1672. Fu allora che la città tentò una parziale riconversione delle sue attività finanziarie verso altri paesi che non fossero la Spagna asburgica. Erano però velleitarie speranze poiché ci fu un calo delle attività del porto genovese. Né risultati di rilievo si registrarono in politica estera. Di fatto la Repubblica non poté liberarsi della pesante tutela spagnola.

Se dunque Genova nella seconda metà del ‘600 si trovava ormai a pagare il prezzo di un declino e di un isolamento, certamente meno rapido fu il tramonto della REPUBBLICA DI VENEZIA. All’inizio del secolo rappresentava l’ultimo simbolo delle libertà repubblicane con il suo mito della stabilità e del buongoverno e la sua politica di indipendenza nei confronti della Spagna. Si espressero in due orientamenti contrapposti : i vecchi e i giovani, rivelando i modi opposti di concepire l’indipendenza, la sovranità e l’iniziativa politica dello Stato veneto. I patrizi giovani desideravano una politica più risoluta e innovatrice più svincolata dall’egemonia spagnola. I vecchi consideravano il limite imposto dalla superiorità spagnola, invalicabile, per evitare i conflitti con la Chiesa.

Nella prima metà degli anni ’80 prevalse il partito dei giovani e immediate furono le ripercussioni in politica estera : la Repubblica riconobbe come legittimo sovrano di Francia Enrico IV suscitando grande indignazione in Filippo II e nel pontefice Sisto V. Anche la linea dei vecchi aveva provocato contrasti con Roma e Madrid. Cosi era stato nel 1573 quando dopo la clamorosa vittoria di Lepanto Venezia si era affrettata a stipulare col sultano una pace. Il 10 gennaio 1604 e il 26 marzo 1605 il senato emanò due leggi che vietavano la costruzione di Chiese o l’alienazione di beni immobili ed ecclesiastici senza previa autorizzazione del Senato. A questo punto il pontefice non aspettò altro che un pretesto per obbligare la Repubblica a tornare sui suoi passi e al rispetto delle libertà ecclesiastiche. Un attacco frontale insomma alla sovranità

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veneziana lanciato oltretutto in un momento tutt’altro che casuale, quando la pressione sull’Italia da parte di Enrico IV si era allentata per problemi interni francesi. Poco graditi alla Santa Sede e agli spagnoli erano inoltre i rapporti diplomatici stabiliti nel 1603 da Venezia con l’Inghilterra protestante e le forti simpatie per le Province Unite.

Una figura importante fu il frate Paolo Sarpi scelto come consultore teologo canonista del governo. Quando Paolo V emanò l’interdetto il 17 aprile 1606, Venezia rispose il 6 maggio con una dichiarazione che non solo ne respingeva la validità ma ne dichiarava il contenuto contrario a quello che le sacre scritture insegnano. Si apriva in tal modo una violenta contesa durata quasi un anno che coinvolse la Spagna e la Francia alla quale assistette tutta l’Europa, compresi i protestanti che erano ammirati dalla resistenza veneziana contro il papato. Sarpi sostenne che di fronte alle prevaricazione del pontefice era legittimo per un cristiano disobbedirgli il governo veneziano poteva obbligare gli ecclesiastici dei suoi domini a svolgere regolarmente l’attività religiosa. I gesuiti e i cappuccini contrari alle disposizioni del Senato furono banditi da Venezia.

La conseguenza più grave dell’aspra controversia veneto pontificia si ebbe non tanto sul piano politico e giurisdizionale quanto su quello ideale e culturale. Il contrasto politico diplomatico si concludeva il 21 aprile 1607 grazie all’intervento del cardinale francese François de Joyeuse con un compromesso in base al quale nessuno dei due ammetteva di aver sbagliato mentre gli arrestati venivano consegnati ad un commissario pontificio e la repubblica manteneva in vigore i suoi provvedimenti.

Ne usciva sconfitta la Santa Sede. Malgrado tutto si avvertì il senso di una sconfitta poiché non fu raggiunto l’obiettivo della piena affermazione della sovranità della Repubblica nelle materie ecclesiastiche.

I protestanti proposero a Venezia un Unione evangelica il cui perno sarebbe stata la Francia. Venezia respinge la proposta ma Enrico IV intercetta una lettera in cui si illustrano le possibilità di successo della Riforma nella città di Venezia, e la invia al pontefice Paolo V scatenando non solo le ire romane, ma anche le risentite reazioni di chi a Venezia era contrario a cambiamenti tanto radicali. La crisi significò riaprire lo scontro interno tra chi voleva la pace e la neutralità e chi guardava alla guerra come un unico modo per liberarsi dall’ipoteca ispano imperiale.

L’alleanza con il duca di Savoia, quella con le Province Unite, il riconoscimento come re di Boemia di Federico del Palatinato sancirono la fine della neutralità della Repubblica e la sua aperta scelta di campo anti spagnola e anti imperiale. Ma i successi riportati dalle potenze cattoliche costituirono gravi colpi per la politica veneziana. La pace di Ratisbona fu un successo per tutti tranne che per Venezia che fu tagliata fuori dai negoziati e non otteneva niente. A salvaguardare la credibilità di Venezia fu la tenace resistenza che seppe da sola opporre ai turchi, anche se non si trattò di una scelta ma di una necessità. La stressante partecipazione ad una guerra cosi lunga e lontana dalla madrepatria l’aveva distratta dalla situazione italiana.

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5.Lo Stato della Chiesa

Il rafforzamento dell’autorità pontificia realizzatosi nell’età della Controriforma ebbe non solo un significato religioso a raggio europeo ma anche un valore politico interno allo Stato della Chiesa dove il papato intensificò l’azione di accentramento e consolidamento del suo potere temporale: ristrutturò l’apparato centrale del governo e trasformò i rapporti tra questo e i territori periferici da esso controllati. I pontefici tesero a stabilizzare la loro posizione di monarchi assoluti. Vennero introdotti metodi personalistici di governo realizzati sia attraverso la creazione di Congregazioni sia mediante la segreteria di Stato.

① Le congregazioni nacquero come commissioni interne al Sacro collegio ma se ne distaccarono diventando a tutte gli effetti organi di governo operanti in maniera impersonale e burocratica alle dirette dipendenze del pontefice. Furono introdotte con Paolo IV e Pio V. Sisto V conferì ad alcune di esse poteri giurisdizionali. Clemente VIII creò la Congregazione del buon governo; Gregorio XV con due bolle regolò il regolamento elettorale del conclave e creò la Congregazione de propaganda fide; Urbano VIII fondò la Congregazione per l’immunità ecclesiastica.

② La Segreteria di Stato era competente per la direzione della politica vaticana. Nata in epoca tridentina attorno alla figura del “cardinal nipote” e affiancato poi dal cardinale sovrintendente. Il grande nepotismo venne sostituito dal piccolo nepotismo consistente nel favorire l’ascesa economica politica e curiale dei membri della famiglia pontificia.

Crebbe inoltre la burocrazia curiale e a testimoniarne l’importanza sta la circostanza che lo stesso cursum honorum ecclesiastico prevedeva ormai una carriera scandita dall’assunzione di mansioni di tipo statale e amministrativo, poi da funzioni diplomatiche e infine da più alte responsabilità ecclesiastiche. L’amministrazione statale era costituita da un corpo burocratico specializzato alle dirette dipendenze del pontefice sia nelle cariche più alte, sia in quelle intermedie di collaboratori. Il papato adottò in questo ambito un duplice comportamento :

Nasce un modello di stato pattizio cioè fondato su un patto tra stato e ceti dominati nelle città. I patriziati municipali si videro riconosciute una serie di prerogative in cambio del pieno riconoscimento della sovranità papale. Lo sviluppo dell’assolutismo papale pur nel modello pattizio provocò una crescita del potere centrale nelle periferie. La severa politica tributaria di Sisto V fu all’origine dell’esplosione di rabbia popolare a Roma alla sua morte quando la popolazione atterrò la sua statua al Campidoglio. Non meno intensa fu la lotta al particolarismo feudale la cui fase più acuta si ebbe negli anni 1572-1605. Con Sisto V si avviò anche una lotta ai baroni e Urbano VIII tolse ai feudatari potere politico.

Sottomissione al governo centrale

Realizzazione di un equilibrio tra rappresentante del potere centrale e organismi territoriali.

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Conclusioni : la potenza dello Stato ecclesiastico venne dalla pace di Cateau Cambresis ad assumere un peso maggiore. Da un lato la Santa Sede mantenne una posizione privilegiata nello scenario internazionale, progressivamente scalfita dagli Stati europei che agirono spesso indipendentemente dal papato. Dall’altro lato il papato guardò con maggiore attenzione ai propri domini giocando un ruolo di grande potenza italiana in una posizione di neutralità. Ma questa neutralità portò all’emarginazione del papato dalla grande politica europea.

6.Il ducato di Savoia

Rinato con la pace di Cateau Cambresis lo stato sabaudo fu riorganizzato fin le sue fondamenta da Emanuele Filiberto grazie alla funzione affidata alla Savoia di Stato neutrale tra Francia e Spagna. Il restaurato duca poté dedicarsi così all’opera di riassetto interno delle strutture di governo accompagnata da una severa politica di ordine pubblico e di repressione del banditismo. Emanuele Filiberto cercò di ottenere l’appoggio della nobiltà con la creazione di un Consiglio di Stato che venne però successivamente privato dei suoi poteri. La riorganizzazione della Camera dei Conti e la creazione di un Tesoriere sottolinearono l’importanza della riforma finanziaria accompagnata a una politica mercantilistica le cui misure non diedero però i risultati sperati. Ci fu anche una riforma militare che prevedeva l’introduzione di nuove truppe organizzate su base nazionale. La riforma militare aveva anche un risvolto politico poiché coinvolgeva tutta la popolazione disabituata alla presenza dell’autorità sabauda. Contemporaneamente si riorganizzò l’amministrazione della giustizia. La neutralità sabauda era una neutralità attiva cioè in grado di cercare alleanze che controbilanciassero la potenza spagnola. Né Roma ne Venezia potevano essere sufficienti a limitare l’interventismo spagnolo e francese. Questa politica ebbe i suoi frutti solo nel ’70 quando i francesi e spagnoli restituirono allo stato sabaudo la sua integrità territoriali e consentendogli di intraprendere l’espansionismo verso l’Italia.

Con l’avvento di Carlo Emanuele I la spinta espansionistica provocò le uniche scosse significative nello statico quadro politico dell’Italia seicentesca. Ruppe definitivamente la neutralità alleandosi con la Spagna e invadendo nel 1588 il marchesato di Saluzzo( francese). Con il Trattato di Lione 1601 il dominio del tanto ambito marchesato divenne sabaudo e vennero ceduti alla Francia alcuni territori transalpini. Il duca guardò ora verso l’Italia in particolare verso la Lombardia mantenendo un alleanza formale con Madrid e intensificando i rapporti con i francesi. Conseguenza fu che la Savoia rimase esposta ai rischi delle vendette spagnole e il duca quindi invase il possesso gonzaghesco del Monferrato. Ne seguì una guerra che però alla fine non vide nessun ampliamento territoriale dello stato sabaudo. Con l’inizio della Guerra dei Trent’anni lo stato sabaudo poté riprendere le sue ambizioni espansive verso la Lombardia. La pace franco spagnola di Monçon fu vissuta come un tradimento francese dal duca sabaudo, che nella seconda crisi di Monferrato si schierò con la Spagna. Appena risolta la questione ugonotta, la Francia non esitò un attimo nell’inviare le sue truppe così che la Savoia dovette scendere immediatamente a patti.

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Con la morte di Carlo Emanuele I si trasse il bilancio disastroso dell’espansionismo risorse umane e finanziarie stremate. Con la sua morte finiva anche l’illusione della dinastia sabauda. Amedeo I riceveva dunque un’eredità pesante: la Savoia e parte del Piemonte invase dai francesi, l’erario esausto e in più la terribile pestilenza. Dal 1632 si aprì una breve fase di ricostruzione e riassestamento interno interrotto dall’intenzione di Richelieu di legare a sé la Savoia per costruire in Italia un fronte militare antispagnolo. Così nel 1635 il trattato di Rivoli conduceva il ducato ad entrare ufficialmente a fianco dei francesi nel conflitto europeo facendo però emergere nell’élite di governo un conflitto tra filofrancesi e filospagnoli. Con la morte di Vittorio Amedeo I la reggenza fu affidata a Cristina di Lorena.

La divisione tra francofili e filospagnoli sfociò in una vera guerra civile che sconvolse il Piemonte per 5 anni ma che non vide nessuna partecipazione popolare. Il 14 giugno 1642 si venne ad un accordo tra le due parti secondo il quale la reggenza di Cristina venne riconosciuta in cambio dell’inserimento degli esponenti dell’opposizione nel consiglio ducale. Con la maggiore età di Carlo Emanuele II la reggenza rimase nelle mani di Cristina. Con la sua morte e dopo la morte di Carlo Emanuele II il potere passò nelle mani di Maria Giovanna Battista di Savoia madre di Vittorio Amedeo II. Quando quest ultimo fu maggiorenne sposò la nipote di Luigi XIV e assunse la guida del ducato. Portò lo Stato verso un assolutismo autoritario. Quando Amedeo II decise di porre fine alle interferenze francesi, ciò non fu facile e il duca si avvicina all’Impero, la Spagna e all’Inghilterra. Cosi il Re Sole ordinò l’invasione della Savoia. Dopo la sconfitta della Marsaglia delle truppe sabaude il duca dovette aprire le trattative di pace, spinto anche dal fastidio per la troppa interferenza degli anglo olandesi negli affari della Savoia. Si conclusero nel 1696 con l’abbandono da parte della Savoia del fronte anti francese e con l’acquisizione del Pirenolo. Vittorio Amedeo II si guadagnò la fama di politico infido e cinico.

CAPITOLO 16. ALLE ORIGINI DELLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA: IL CASO GALILEI

1.Copernico : annuncio in sordina di una rivoluzione

L’edizione a Norimberga nel 1543 del trattato De revolutionibus orbium coelestium dell’astronomo polacco Niccolò Copernico presentava delle caratteristiche sia scientifiche che editoriali che avrebbero dovuto farne un caso politico letterario. Nessuna clamorosa reazione invece fece seguito al testo. Copernico aveva studiato filosofia, astronomia e diritto canonico all’Università di Cracovia e dal 1496 a Bologna. Progressivamente aveva acquisito la convinzione teorica della rotazione della terra su se stessa e attorno al sole. Solo nel 1540 aveva deciso di affrontare il grande pubblico con molta prudenza. Solo nel 1543, quando però Copernico, colpito da una paralisi celebrale, era ormai prossimo a morte, fu stampato finalmente il suo volume. Dedicato a Paolo III il De revolutionibus orbium coelestium recava un’avvertenza editoriale, una sorta di avviso al lettore a non considerare certezze le spiegazioni copernicane. Cosa c’era dunque di tanto pericoloso? Semplicemente il sovvertimento radicale di una credenza classica e religiosa bimillenaria ( comune a cattolici e protestanti) negazione della immobilità e della veridicità del Vecchio Testamento. Per Aristotele l’universo sublunare

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è caratterizzato da corpi costituiti da quattro elementi ( terra, acqua, aria, fuoco) dotati di moto rettilineo, il cui fine è il luogo naturale. Al di sopra dei corpi sublunari v’erano inoltre i corpi celesti il cui movimento senza fine è generato da un quinto elemento, l’etere.

Nella cultura greca già erano nate posizioni filosofiche e opposte, ma la Bibbia parlava esplicitamente del movimento del sole e della luna. All’affiorare dell’ipotesi eliocentrica scattò la reazione di chi difendeva la Bibbia come unica fonte di verità: i protestanti. Per parte cattolica alla benevolenza curiosità iniziale per le ipotesi copernicane seguì un lungo silenzio fino al 1616. Nell’Inghilterra elisabettiana John Dee fu conquistato dal copernicanesimo; in Francia lo fu Pierre de la Ramée e nella stessa cultura tedesca ci furono le idee di Keplero. In Danimarca, Tyco Brahe tentò di creare una sintesi tra le due idee lasciando al centro dell’universo la terra immobile con la luna e il sole ruotanti attorno ad essa, ma facendo del sole il centro di rotazione degli altri pianeti. Giordano Bruno scrisse La cena delle ceneri criticando il sistema aristotelico-tolemaico e l’adesione all’eliocentrismo.

2.Galilei, uno scienziato nella Controriforma

Nel 1584, mentre venivano pubblicate a Londra le opere bruniane, Galileo Galilei stentava ad ultimare gli studi di medicina all’Università di Pisa. A Pisa frequentò il matematico Ostilio Riccii e ricevette l’incarico di insegnamento triennale all’università di Pisa. L’astronomi era allora una parte dell’insegnamento della matematica. Poi si spostò all’università di Padova dove vi sarebbe rimasto fino al 1610. Nell’agosto 1597 scriveva a Keplero complimentandosi per la sua opera aggiungendo di essere anche lui da molti anni arrivato all’opinione copernicana. Nel 1609 Keplero pubblicava l’Astronomia nova con cui giungeva ad enunciare due delle tre leggi fondamentali del moto dei pianeti ( la prima sull’orbita ellittica dei pianeti di cui il sole occupa uno dei fuochi ; la seconda sulla variazione della velocità dei pianeti; e nel 1619 la terza sui movimenti collegati dei pianeti).

Nello stesso anno Galileo giunse a costruire un eccezionale strumento di osservazione di cui però non era stato l’inventore : il cannocchiale. Sistemato sul campanile di San Marco il cannocchiale fu puntato verso il cielo che fu immediatamente prodigo di generosa penetrazione. Si videro nuove stelle e la Luna apparve simile alla Terra ( soprattutto non piatta), attorno a Giove si videro dei satelliti. Nel marzo 1610 usciva a stampa il Sidereus nuncius un volumetto di neanche 100 pagine con la descrizione delle scoperte che confermavano le ipotesi copernicane.

Due sconosciuti filosofi Ludovico delle Colombe e Francesco Sizzi appellarono contro Galileo all’autorità non solo di Aristotele ma delle Sacre Scritture : il primo definiva la nuova astronomia pazza e pericolosa per la fede, il secondo negava che il numero dei pianeti potesse essere diverso da 7 : tanti erano i bracci del candelabro del tempio di Gerusalemme.

Galileo torna in Toscana dove poté dedicarsi all’astronomia essendo inoltre circondato da un grande successo fino a Roma. Al ritorno in Toscana non sapeva che il suo trionfo romano era stato pericolosamente screziato da una

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piccola crepa dottrinale. Consapevole dunque del solo successo affrontò con eccessiva sicurezza le ulteriori polemiche. A discutere contro Galilei sulla natura delle macchie solari fu un gesuita Cristoforo Scheiner. La posizione di Galileo fu espressa nella Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari. Per avere l’imprimatur cioè il permesso di stampa che un ecclesiastico doveva accordare a qualsiasi libro, Galileo dovette togliere l’affermazione che l’erroneità della posizione aristotelica fosse confermata dalle Sacre Scritture.

Punto di rottura: Galileo pensò giunto il momento di esporre il proprio pensiero in merito alla grande questione del rapporto tra verità raggiunta per via scientifica e verità creduta per fede. In questo senso scrisse una lunga lettera al Caselli ( allievo e successore di Galilei) : Sacra Scrittura e Natura erano entrambe opere divine e avevano solo due diverse chiavi di lettura: allegorica la prima e matematica la seconda. Mentre dunque la Sacra Scrittura andava interpretata diversamente dal suo senso letterale, la Natura era scritta in linguaggio matematico. L’errore sarebbe nell’esegesi cioè negli interpreti della Bibbia. L’imputazione della possibilità di errore dunque agli ecclesiastici e non agli scienziati determinò l’avvio del procedimento inquisitoriale.

Il Sant’Uffizio nel 1615 decise di avviare una pratica istruttoria chiedendo correttamente al Castelli l’originale della lettera di Galilei. Vana sarebbe risultata l’immediata mossa di Galileo di riprendere e ampliare il contenuto della lettera al Castelli. Così come vano era pensare di aggiungere un’ulteriore prova scientifica delle rotazioni terrestre. Galilei non sapeva ancora che al Sant’Uffizio romano s’era presentato il Caccini sostenendo che le proposizioni di Galileo “ repugnano alla fede”.

Le due proposizioni della teoria copernicana :

1) Che il Sole è al centro del mondo e quindi immobile;2) Che la terra non è al centro del mondo ma si muove

venivano condannate nella seduta plenaria del tribunale il 24 febbraio 1616. Formalmente Galileo non veniva citato nei dispositivi delle pronunce del Sant’Uffizio e dell’Indice ma evidente era la condanna delle sue posizioni scientifiche.

3.Dalla condanna del copernicanesimo al processo a Galilei

La pronuncia del Sant’Uffizio contro il copernicanesimo provocò una necessità di adesione formale. Altrettanto dovette fare Galilei, tra una malattia e l’altra da cui fu tormentato fino a perdere la vista, si ritirò fuori Firenze apparentemente quieto. Nel settembre 1623 scrisse il Saggiatore dedicato al papa Urbano VIII, affiancando lo stemma pontificio a quello dell’accademia dei lincei sulla copertina. Il gesuita Orazia Grassi, alla notizia dell’uscita del libro e a leggerne il frontespizio “ si cambiò di colore”. Una sorta di partita a scacchi si ebbe attorno alla metà degli anni’20 tra l’ordine dei gesuiti e Urbano VIII ( dalla parte di Galilei). Il Grassi accusava Galilei di eresia eucaristica : nel Saggiatore secondo il gesuita le teorie atomistiche e corpuscolari delle sanzioni impedivano la fede nella transustanziazione. Nel 1624

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Galilei ondeggiava tra l’impulso di tirar dritto nel lavoro promesso al papa oppure rispondere a polemiche vecchie e nuove. Gli amici romani lo invitavano alla moderazione mentre quelli toscani lo invitavano a replicare agli avversari. Il pontefice aveva chiesto che nel volume di Galilei figurasse l’argomento dell’onnipotenza divina che poteva produrre fenomeni fisici ed astronomici diversamente dalla comprensione razionale umana.

Alla fine del 1629 l’opera era completata e doveva ottenere il necessario imprimatur e a doverlo dare era sempre Niccolò Riccardi, amico di Galilei. Il Riccardi fu però assalito da scrupoli leggendo il manoscritto che era una ferma presa di posizione a favore di Copernico. Pretese una introduzione e una conclusione dando così il sofferto imprimatur. Il papa fece probabilmente cambiare il titolo all’opera da Sul flusso e sul reflusso del mare a Dialogo sui due massimi sistemi del mondo. L’opera venne stampata a Firenze poiché era morto il presidente e fondatore dell’Accademia dei lincei. Protagonisti del dialogo erano Francesco Salviati ( convitato copernicano) e Simplicio ( sostenitore dell’ipotesi aristotelica tolemaica). Tre alla fine del Dialogo le attestazioni a favore del copernicanesimo:

Retrogradazioni dei pianeti rispetto alla terra; Rivoluzione del sole osservata tramite le macchie solari; Le maree

Il libro giunse nelle mani di Urbano VIII nel ’33 e la reazione fu negativa. Riccardi dovette scrivere all’inquisitore di Firenze per bloccare la diffusione del libro. Il papa era stato inoltre convinto che Simplicio raffigurasse la Sua Sanità e poi venne convinto del fatto che i 3 delfini in copertina raffigurassero il nepotismo di Urbano VIII verso i suoi 3 nipoti ( in realtà era lo stemma della tipografia). Il contesto romano era inoltre influenzato dalle vicende della guerra dei Trent’anni. Era insomma giunto il momento di passare la pratica al Sant’Uffizio.

4.Processo, condanna ed esiti del caso

Galilei giunse a Roma nel ’33 ed era stato avvertito dell’imminenza dell’interrogatorio. Il 12 aprile 1633 Galilei nella sede dell’Inquisizione affrontava il primo interrogatorio.

Fu subito interrogato sul famoso precetto giuntogli nel 1616 da Bellarmino, di non tenere lezioni e di non difendere la dottrina copernicana. Galilei rispose sostenendo che questo precetto era giunto solo oralmente quindi lui non aveva violato nessun’ingiunzione formale. Il commissario generale spostò l’attenzione sul Dialogo sui due massimi sistemi, sostenendo che questo aveva violato il precetto. Galilei rispose di non insegnare ne difendere la posizione. A conclusione di questo primo interrogatorio la linea difensiva apparve rigidamente formalistica. Il suo Dialogo, che nello stesso titolo conteneva tutte e due le teorie, non era una prova a favore di quella copernicana.

Nel secondo interrogatorio del 30 aprile, Galilei mutò radicalmente linea difensiva ( dopo un presunto colloquio con Maculano): riconobbe che riletto il dialogo la “parte falsa” ( quella copernicana) era esposta con ragioni come le

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macchie solari e le maree. Il Sant’Uffizio aveva vinto. Al termine dell’interrogatorio Galilei poté avere il permesso di tornare a risiedere presso l’ambasciata toscana lasciando le stanze dell’Inquisizione. Il 10 maggio gli fu richiesta la difesa scritta che non soddisfò il Tribunale che pretendeva una totale sottomissione.

Il 21 giugno si ebbe il terzo e ultimo interrogatorio per accertare con quale intenzione avesse scritto il Dialogo : ma neanche sotto minaccia di tortura confessò di averlo voluto scrivere per favorire il copernicanesimo.

Il giorno seguente fu convocato per la sentenza: << ti sei reso a questo Santo Officio vehementemente sospetto di eresia. L’assoluzione delle relative censure poteva aver luogo solo dopo la immediata, pubblica abiura>>. Seguì l’abiura recitata in ginocchio da Galilei con la mano sulla Bibbia.

Il carcere a cui fu condannato fu una sorta di arresti domiciliari. Persa completamente la vista morì l 8 Gennaio 1642. Venne successivamente avvertita l’Inquisizione che la piccola congrega di amici di Galilei stesse diffondendo i principi del copernicanesimo. In realtà però non riuscì nessuno a rilanciare un’iniziativa scientifica e da un lato imbalsamarono il mito di Galilei attribuendogli meriti che non aveva e dall’altro furono inevitabilmente frenati dalle pronunce del Sant’Uffizio e dell’Indice.

CAPITOLO 17. EUROPA INQUIETA: GUERRE DINASTICHE E MITO DELL’EQUILIBRIO

La politica degli Stati nel XVIII secolo è caratterizzata dalle guerre di successione, guerre dinastiche in cui l’interesse dinastico rimane l’unica motivazione sostanziale al continuo comporsi e scomporsi della carta geopolitica d’Europa.

1.La guerra di successione spagnola

Il 16 novembre 1700 Luigi XIV presenta alla corte spagnola il nipote Filippo d’Angiò come Filippo V. Carlo II sarebbe morto senza eredi finendo quindi così la dinastica degli Asburgo. Le diplomazie europee aveva stilato una prima lista di successione alla corona spagnola con relativi possedimenti:

Corona spagnola, Paesi Bassi e colonie americane al duca di Baviera, Giuseppe Ferdinando

I due viceregni di Napoli e Sicilia e lo Stato dei presidi a Filippo d’Angiò

La morte del duca di Baviera sconvolse i piani. Bisognava ricontrattare l’assetto spagnolo. Fu stilata una nuova lista:

A Carlo d’Asburgo la corona spagnola con i Paesi Bassi e le colonie americane;

A Filippo d’Angiò oltre che ai domini italiani anche la Lorena Alla Francia sarebbe andata la Savoia con Nizza Al duca di Savoia il ducato di Milano

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Alla morte di Carlo II emerse la sua volontà testamentaria di nominare suo erede Filippo d’Angiò e ciò sconvolse l’assetto internazionale. L’impero ora poteva seguire due linee strategiche: 1) concentrarsi contro l’Impero ottomano; 2) proseguire lo scontro contro la Francia. A capo di questa seconda tendenza, Eugenio di Savoia ebbe un’influenza determinante.

Inoltre l’idea dell’equilibrio europeo di cui l’Inghilterra si fece assertrice mascherava interessi nazionalistici, economici e militari. Inoltre l’antagonismo di Guglielmo d’Orange al Re Sole non poteva permettere una posizione di forza francese. Venne stipulata cosi la “Grande Alleanza” dell’Aja tra Impero, Gran Bretagna, Province Unite e i maggiori Stati tedeschi. A lavorare contro la coalizione troviamo la Francia insieme alla Spagna, il Portogallo e il ducato di Savoia e Baviera.

Si schierarono così le forze in campo anche se la diplomazia inglese portava nella Grande alleanza il ducato di Savoia e il Portogallo che apriva i porti alla Gran Bretagna con gli accordi di Methuen. La marina inglese con le spalle coperte poteva occupare Gibilterra. In Baviera le forze congiunte anglo imperiali sconfiggevano quelle franco bavaresi. La guerra si appressava al confine francese. Da sud l’assedio alla città di Torino non l’aveva fatta capitolare e anzi venne liberata con l’aiuto di un esercito imperiale. A nord la situazione era più critica in quanto l’esercito della Grande Alleanza aveva ottenuto un successo nelle Fiandre. La flotta inglese intanto aveva preso Minorcae la Sardegna e ora sbarcava a Napoli. Si creò inoltre una tensione diplomatica tra Vienna e Roma che sfociò in un conflitto quando venne occupata la cittadina di Comacchio. Un’apposita pace imponeva a Roma di riconoscere le pretese al trono spagnolo di Carlo d’Asburgo e Comacchio tornava allo Stato della Chiesa.

L’epica battaglia di Oudenard vedeva ancora una volta vittoriose le truppe di Eugenio di Savoia e inglesi che dopo aver posto sotto assedio Lille aveva le strade aperte verso Parigi. A Luigi XIV venne offerta una pace umiliante : accettare sul trono di Spagna Carlo d’Asburgo e sgombrare suo nipote Filippo V da Madrid. Luigi XIV non accettò e concentrando le forze francesi evitò l’assedio della capitale. Due eventi fecero intravedere la pace:Successione in Inghilterra di un gabinetto tory, espressione quindi degli interessi del capitale mobile ( mentre la guerra favoriva quello non mobile).

Moriva l’imperatore Giuseppe I fratello maggiore di Carlo d’Asburgo che quindi succedeva al trono imperiale

L’Inghilterra e l’Olanda si sganciavano allora dalla Grande Alleanza e intavolavano trattative di pace con la Francia escludendo Carlo d’Asburgo. Giunsero ai trattati di Utrecht l’11 aprile 17123. Carlo d’Asburgo subito dopo questi accordi emanava la prammatica sanzione con cui regolava la successione al trono imperiale. Undici mesi dopo nel marzo del 1714 anche Carlo d’Asburgo accedeva alla pace con il trattato di Rastadt. Nuovo assetto europeo:

A Filippo V rimaneva la corona spagnola e le colonie americane All’imperatore Carlo VI passavano i Paesi Bassi spagnoli e parte dei

domini italiani: i Viceregni di Napoli e Sardegna e i ducati di Mantova, Milano e lo stato dei presidi.

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A Vittorio Amedeo di Savoia andavano i territori dell’Alessandrino, Monferrato, Valsesia e Sicilia

Alle Province Unite andavano riconsegnate piazzeforti di frontiera La Francia doveva smantellare Dunkerque

La supremazia inglese si faceva sentire senza vistosi ingrandimenti territoriali con definitive acquisizioni strategiche (Gibilterra e Minorca) coloniali (Terranova) e commerciali (clausola della nazione più favorita tra lei e la Spagna). Molte questioni però rimanevano in sospeso: la tendenza francese a riequilibrare il sistema politica nel Mediterraneo; instabilità della zona nord orientale dal Baltico all’Egeo. Poteva apparire stabilizzata la penisola italiana.

2.L’instabilità dell’ordine internazionale e il progetto dell’Alberoni per la liberazione d’Italia

Grande Guerra del Nord

Iniziò una forte accelerazione della crisi svedese. La guerra inizia con la battaglia a Riga ( svedese ) attaccata dalle truppe sassoni polacche a cui rispondeva il nuovo re di Svezia Carlo XII che costringeva la Danimarca a deporre le armi. Fu la volta poi dell’esercito russo, mentre assediava Narvia difesa da un contingente svedese, a dove subire un grave rovescio dall’arrivo delle truppe di Carlo XII il quale inoltre costrinse la dieta polacca a dichiarare decaduto Augusto di Sassonia e ad eleggere re il nobile filo svedese Stanislao Leszczynski. Ora l’ultimo ostacolo per il dominio sul Baltico era la Russia. Iniziò Carlo XII ad organizzare una spedizione antirussa dalla Sassonia che aveva come obiettivo direttamente Mosca. Ma quando l’esercito russo e quello svedese si scontrarono, quest’ultimo era dimezzato a causa della classica terra bruciata che aveva fatto l’esercito russo. A Poltava lo scontro militare vide vittoriose le truppe zariste. Augusto di Sassonia aveva rioccupato il trono polacco e la Prussia aveva attaccato la Pomerania svedese fino al porto di Stettino; la Russia occupò fino alla Finlandia.

Quando muore il re svedese la successione fu contesa tra Ulrica Eleonora ( moglie di Federico d’Assia e quindi filo occidentale) e Carlo Federico di Holstein ( filo russo). Sale al trono Ulrica Eleonora e quindi apre le trattative di pace. Con la Pace generale di Nystad del 10 settembre 1721 si chiuse la guerra del nord con il crollo della potenza della Svezia che determinò dei cambiamenti sull’assetto costituzionale interno:

o Il centro decisionale della politica tornò ad essere il Consiglio di Stato emanazione del Parlamento

o Principi di economia mercantilistica

L’8 dicembre 1714 i turchi dichiarano guerra a Venezia. L’irrequieta avanzata turca allarmò le cancellerie europee e l’impero prima di scendere in campo affianco a Venezia volle garanzie spagnole sul fatto che i nuovi domini asburgici in Italia soprattutto Napoli e Sardegna non sarebbero stati oggetto di

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rinegoziazioni. Avute queste garanzie si creò un’alleanza tra Impero e Repubblica di Venezia. Arrivarono anche rinforzi dal Portogallo, Toscana e Repubblica di Genova. Le forze congiunte si unirono a Civitavecchia per andare a liberare Corfù. La flotta turca tolse l’assedio prima dell’arrivo delle forze europee e il territorio di Temesvar fu inglobato nei domini asburgici. L’obiettivo era la conquista di Belgrado che arriva il 18 agosto 1717. La flotta spagnola parte da Cadice per congiungersi con la coalizione cattolica. Ma invece di proseguire per Corfù operano uno sbarco per la Sardegna. Veniva dunque meno la garanzia spagnola. Inequivocabile il segno di reazione contro l’assetto delle paci di Utrecht e Rastadt.

Alla corte spagnola a seguito della morte della moglie di Filippo V, Maria Luisa di Savoia, si era verificato un brutto mutamento di élites dirigenti. Emerge la figura di Giulio Alberoni, un abate piacentino. La Spagna voleva a tutti i costi rimettere in discussione l’assetto stabilito con le due paci. La piccola amministrazione di Parma inoltre servì da modello per riformare la contabilità spagnola abolendo la carica del Presidente del Consiglio e incentivando l’industria tessile, l’esercito e la flotta; furono coniate nuove monete e abolita l’amministrazione plurima dei vari regni precenti l’unione politica spagnola.

Alberoni puntò ora ad avvicinarsi all’ex nemica Inghilterra, che non poteva però sacrificare l’alleanza con l’Impero per favorire i piani spagnoli firmando così con l’accordo di Westminster con Vienna per i domini presenti e futuri. La Spagna rimase così isolata di fronte al nascere della Triplice Alleanza tra Impero, Inghilterra e Francia. La spagna voleva prendere il posto della Francia ma dovette tirarsi indietro di fronte alla richiesta di Clemente XI di avere a disposizione della coalizione cattolica la flotta spagnola. La Spagna non poteva tirarsi indietro tanto più dopo che Clemente XI aveva proposto la nomina cardinalizia di Alberoni. Quando la flotta spagnola assaltò la Sardegna ( vedi sopra) violente furono le reazioni di Vienna e Roma mentre l’Inghilterra si distinse per la sua cautela.

Progetto di Alberoni. Ritorno degli ex viceregni di Napoli e Sicilia in mano alla Spagna; la Sardegna in mano alla Savoia; granducato di Toscana e ducato di Parma a Carlo di Borbone; tutti gli stati ostili all’impero diventavano alleati della Spagna ( impero ottomano, Russia e Svezia).

La triplice alleanza con l’ingresso dell’Olanda ridefinì le questioni dinastiche:

o Divieto a Carlo d’Asburgo di considerarsi pretendente al trono spagnoloo La Sicilia occupata dalle truppe spagnole sarebbe passata all’Impero o La Sardegna passata al ducato di Savoia o Unione del ducato di Parma e granducato di Toscana

La flotta inglese nell’agosto 1718 provvedeva a sbaragliare qualsiasi problema distruggendo la flotta spagnola. L’Alberoni veniva visto come l’attentatore

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dell’equilibrio e il nemico della pace. Madrid dovette firmare la pace dell’Aja del 1720 con con la situazione tornava quella delle paci di Utrecht e Rastadt.

3.Guerre dinastiche in Polonia e Austria e compensi in Italia

In Francia emerge la figura di André Hercule de Fleury che fu nominato da Luigi XV ( succeduto a Luigi XIV) primo ministro. La sua politica si caratterizzò per il fatto che decise di tenere una politica essere di basso tono misurata alle esigenze di politica interna, come a trarre lezione dalla fallimentare politica espansionista di Luigi XIV. Col trattato di Vienna del 1731 il Fleury era riuscito a far da tramite tra Madrid e Londra, ma quando venne a morire il re di Polonia Augusto II di Sassonia le procedure elettive del nuovo monarca scatenarono l’inevitabile conflitto.

A soffiare sul fuoco dell’intervento in Francia era uno dei più alti collaboratori del Fleury, Louis Chauvelin. La morte del re di Polonia gli offriva l’occasione da tempo attesa di imporre le proprie scelte politiche. La Dieta polacca eleggeva monarca Stanislao Leszczynski. La Polonia cercava aiuto in Francia per sfuggire a tutti quei famelici vicini uniti inoltre da un interesse antiturco. Ad elezione avvenuta truppe austriache e russe erano penetrate in Polonia e occupata Varsavia avevano imposto ala Dieta di proclamare decaduto il L. e di eleggere il figlio di Augusto II, Federico Augusto che diveniva cosi Augusto III di Polonia. In Francia l’affronto non poteva non chiamare alla guerra. Chauvelin aveva già pronto il piano di intervento consistente nel legare alla Francia stati non dipendenti dagli Asburgo o dai Borbone.

La guerra di successione polacca si combatté sul territorio italiano soprattutto. I progetti di C. sembravano avere un buon esito quando iniziarono i primi sospetti sugli alleati: la Savoia per esempio decise di pensare a una mediazione anglo olandese. Fleury tornava a guidare quindi la politica francese e si arrivò alla Pace di Vienna del 1738-39.

La corona polacca andava ad Augusto III di Sassonia; a L. andava la Lorena; a Carlo Emanuele III di Savoia veniva concesso lo spostamento

del confine fino al Ticino; il milanese rimaneva all’Impero assieme alla Toscana; Spagna e Francia riconoscevano la prammatica sanzione L’impero ottomano recuperava Belgrado

Le guerre dinastiche erano frutto di interessi privati fatti coincidere con l’interesse dello stato. Morto Carlo VI sale al trono Maria Teresa. Nel 1740 si riapre la guerra scatenata dal re di Prussia Federico II. L’esercito francese al comando del Belle-Isle occupa Praga. Gli inglesi oltre ad aiutare Maria Teresa operano con un proprio esercito in Europa aiutando Maria Teresa ad occupare la Baviera. Quando Belle-Isle fu richiamato in patria Federico II di Prussia abbandonò la coalizione anti austriaca. ( casino di conflitti ). Alla fine del 1748 Aquisgrana si avviarono le trattative di pace. Alla firma degli accordi si giunse il 18 ottobre 1748.

La Slesia rimaneva in possesso al Re di Prussia

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Il milanese rimaneva all’impero asburgico Il ducato di Savoia era stato sacrificato A Filippo di Borbone andava il territorio di Parma, Piacenza e Guastalla Il granducato di Toscana rimaneva in vitalizio a Francesco Stefano di

Lorena. La Francia non otteneva nulla

4.Miti ricorrenti: pace perpetua, Società delle nazioni, principio d’equilibrio

La storia dei progetti di pace è antica ed è quasi un’utopia. Nel corso della prima età moderna più che progetti di pace generale si ebbero appelli alla pace da uno o dall’altro contendente. La pace codificava l’ordine europeo a vantaggio dello stato dominante.

In un trattato di Eméric Crucé si proponeva una Società universale delle Nazioni capace di respingere l’idea della guerra come strumento regolatore dei conflitti e sostituirla con una sorta di tribunale arbitrale rappresentato dall’Assemblea dei delegati di ogni Stato.

Ugo Grozio rinviava alla necessità di risolvere le contese tra stati a conferenze regolari che avrebbero dovuto affidare a terzi la soluzione del caso.

William Penn, ministro inglese, teorizzava la necessità di istituire una Dieta generale composta dai delegati di ogni Stato. Compito di questi delegati era fissare norme internazionale e sanzionare anche senza l’uso della forza gli stati trasgressori. ( progetto filo inglese però).

Charles Castel (abate di San Pierre) scrisse sette discorsi che strutturavano l’idea di una pace perpetua alternativa ai trattati di pace sul principio dell’equilibrio. A questa pace perpetua si poteva giungere solo attraverso una perpetua Unione tra stati. Questa unione sarebbe dovuta essere composta da 24 stati ognuno rappresentato da un solo deputato.

Il principio di equilibrio fu proclamato a Utrecht come l’ispiratore delle volontà delle diplomazie europee, di Stati non tentati dal demone dell’egemonia. Il principio non poteva avere cantori concordi nel celebrarlo. Così il principio dell’equilibrio ebbe un coro uguale, come lo ebbe in passato il mito della monarchia universale.

CAPITOLO 18. ILLUMINISMO

1.Premessa: concetto e metodo

L’illuminismo, e cioè la tendenza metodologica a negare realtà non riducibili a comprensione razionale è stato spesso considerato espressione culturale della borghesia in ascesa. È tuttavia riduttivo considerare borghese la cultura illuministica. Fu infatti una cultura che rimase impastata nella corrosione delle fedi religiose e politiche assolutistiche. Una cultura che venne definendosi in circoli letterari ed accademie scientifiche esclusivistiche. Una cultura che giovò

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a distruggere metodi, credenze e valori precedenti, anche se non sufficiente a sostituirli. Parimenti riduttivo sarebbe tentare di attribuire un minimo comune denominatore all’illuminismo, tra culture nazionali diverse e campi del sapere che spaziano dalle scienze naturali a quelle politico sociali. L’opera di Newton ebbe un’influenza determinante sullo sviluppo della cultura illuministica grazie al “metodo” : spiegazione logico scientifica per ogni fenomeno naturale. Alla comprensibilità del mondo fisico si opponeva così l’irrazionalità del mondo metafisico. Il “ metodo “ fu diffuso grazie a François Marie Arouet detto Voltaire.

Con la pubblicazione delle Lettres sur les Anglois e degli Eléments de la philosophie de Newton. I due volumi erano ideologicamente legati tra loro. L’elogio delle istituzioni e della società politica inglese trovavano un pendant nelle rifrazioni conservatrici insite nel newtonianismo, nella logica del mondo fisico naturale a considerare impossibili le violazioni delle leggi fondamentali della natura. E la natura doveva essere un modello anche per l’organizzazione politico-sociale ,così come nella natura si manifestava la potenza logica del Creatore.

Questa concezione “naturalista” e deista che aveva dunque il supporto delle forze culturali di Newton e Voltaire, veniva quindi a scontrarsi con l’antropologia delle religioni positive, cristiana in particolare e cattolica in specie, che considerava la natura come codice divino. Ora essendo le religioni cristiane e non cristiane basate tutte sul principio dualistico del bene e del male, risultavano antitetiche rispetto alla concezione esclusivamente positiva dello stato di natura, tipica della cultura illuministica.

Un’altra essenziale tessera di riconoscimento della cultura illuministica era il mito del buon selvaggio l’uomo primitivo, lontano dalla sopraggiunta civiltà, in continenti extraeuropei appena conosciuti, viveva in uno stato felice perché appunto il più possibile vicino a quello di natura. Mito a cui dettero linfa i missionari cattolici con le relazioni di viaggio in posti come la Cina o il Medio Oriente.

Relazioni di viaggio già circolavano quando apparvero anonimi nel 1721 due volumi di Lettres persanes, opera di un magistrato francese, Charles de Secondat barone di Montesquieu. I volumi, di pura fantasia, riportavano le relazioni epistolari di due persiani, Usbek e Rica, itineranti in Occidente. Graffiante era il ritratto dell’ipocrita società francese : tornava a farsi sentire il lamento antico della non pacificazione europea, dei continui scontri dettati dai motivi d’interesse, tanto più deprecabili quanto superiore, rispetto all’oriente, era appunto l’assetto politico dei singoli Stati: il vero demone europeo rimaneva la ragion di stato.

Si riaffacciò il diritto di natura ( giusnaturalismo ) con l’opera di Pufendorf e Grozio che contribuì ad una più vasta diffusione sociale dei prìncipi giusnaturalistici. L’altra logica conseguenza della concezione della natura fu lo sviluppo delle scienze naturali con Carlo Linneo e Georges Louis Leclerc noto

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per l’analisi unitaria della natura, della teoria della molecola come struttura dell’essere vivente.

L’unicità dell’ordine naturale postulava l’esistenza di un ordine politico sociale analogo a quello fisico ma impedito e deviato nel suo corso naturale da leggi e disposizioni umane. Questo ordine doveva rivelare le proprie leggi, economiche, che avrebbero consentito il progresso della società. Nasceva la scienza economica. A metà del ‘700 in Francia si svilupparono due diverse teorie economiche:

La fisiocrazia ( François Quesnay); Liberismo ( Adam smith).

Fisiocrazia

Fisiocrazia significa potere della natura e indica la convinzione che solo la terra fosse fonte della ricchezza di uno Stato e di conseguenza solo la produzione agricola veniva considerata un’attività produttiva. Derivava così l’attenzione politica nei confronti dei proprietari e dei produttori. Fu determinante per lo sviluppo della fisiocrazia la struttura economica semi feudale della Francia.

Liberismo

Analoghe le premesse filosofiche di Adam Smith : la libertà dell’ordine naturale che doveva consentire il libero agire economico dell’uomo, unico giudice dei propri bisogni e del proprio interesse. L’uomo aveva insiti alcuni meccanismi logici di azione. Questa complessiva bussola dell’agire economico dell’uomo gli consentiva il soddisfacimento dei bisogni. Il soddisfacimento di questi bisogni individuali avrebbe concorso come se guidato da una mano invisibile, e indipendentemente dalla volontà persona, all’interesse generale della società. Allo Stato sarebbe spettato un compito ridottissimo ossia garantire la sicurezza e vigilare sui frodi e inganni. Dunque libertà complessiva dell’agire economico ( il noto laissez-faire) nella convinzione che ricchezza dello Stato fosse il lavoro umano.

2.La cultura politica dell’Illuminismo. Diffusione e limiti sociali.

La concezione della natura, la scoperta delle sue leggi e il progresso delle scienze fisiche e naturali avevano sottratto alla natura le caratteristiche misteriose, inquietanti, magico superstiziose con cui da sempre era stata avvertita dall’umanità. Questa scoperta fisica della natura non portò solo ad uno scontro di genere antropologico con le religioni positive, ma contribuì a mutare i caratteri della religiosità. Proprio la scoperta della natura, opponeva ora, da un lato l’ateismo scientifico e dall’altro uno sviluppo del deismo-teismo.

Nel primo caso le religioni venivano considerate conseguenze popolari, taumaturgiche, della paura e della natura. Rappresentanti di questo filone radicale erano Julien Offray De La Mettrie e Claude Adrien Hélvetius. L’uomo nega l’esistenza dell’anima e tentando di dare una

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base scientifico naturale alla mora, obbedisce al soddisfacimento dei bisogni. Natura e creatore vengono visti in opposizione;

Nel secondo caso Voltaire dette voce scientifica a questa concezione deistica facendosi assertore del finalismo, della convinzione cioè che l’ordine naturale fosse stato progettato e realizzato per un fine e per uno scopo. Ciò imponeva la fede in un Dio creatore. Questo sviluppo della tradizione deistica si presentava nella cultura illuministica quasi come un tentativo di purificazione dell’uomo dal dogmatismo delle religioni. Voltaire sostituì infatti il termine deismo con quello di teismo. Il teismo alla teologia trascendentale aggiunge quella naturale per analogia con la natura come un essere che in forza dell’intelletto e di libertà contiene il principio originario di tutte le altre cose.

Alla diffusione dell’illuminismo contribuì una serie di fattori:

Aumento del tasso di alfabetizzazione; Sviluppo di centri editoriali dotati di propri indirizzi culturali; Mutamento della tipologia di lettura: nasceva una forma di lettura

estensiva che comportava una circolazione maggiore

Fu questo il contesto che favorì la diffusione dell’illuministica Encyclopédie di Diderot. Riunì attorno a sé il meglio della cultura illuministica e solo nel 1765 si poté giungere alla conclusione del tetso. L’iniziativa fu un grande successo.

A dare una forte accelerazione all’estensione della lettura contribuì lo sviluppo della stampa periodica e della nascita di ritrovi privati e pubblici, di società letterarie e di concorsi come quello del 1750 indetto dall’Accademia di Digione sul tema: il progresso delle scienze e delle arti ha contribuito a corrompere o a migliorare i costumi? Jean Jacques Rousseau, fu il vincitore del concorso con una tesi negativa: il progresso fa cadere le virtù non solo militari ma anche morali dell’uomo; è dunque dannoso. Anche la massoneria aiutò la diffusione della cultura illuminata soprattutto del deismo e del giusnaturalismo.

Il limite sociale stava nel fatto che ai caffè potevano andare aristocratici, medici, avvocati e la crema della società, ma veniva escluso tutto lo strato sociale sottostante, da cui quella cultura era distante e cui volle rimanere estranea e avversa. L’analisi di J.J. Rousseau divaricò fino a rompere il pensiero politico illuminista. Ha proiettato nel campo della storia e dell’ideologia politica la nuova concezione della sovranità e dello Stato e della libertà degli individui. Lo stato di natura è alla base di ogni sviluppo di pensiero. Per R. è un mito, uno stato perduto e certamente non recuperabile. Si trattava di passare dallo stato di natura ad uno stato sociale che respingesse l’emergere di spinte individualistiche sopraffattrici. Andava dunque ripensata l’intera teoria del contratto. Il contrattualismo indicava il patto tra il popolo e il sovrano, un patto di delega. R mette in discussione i protagonisti del contratto e non la sua teoria. Si tratta di trovare una forma di associazione che difenda la persona e i beni di ciascun associato. Il contratto doveva unire non solo gli individui al sovrano ma anche gli individui tra loro CONTRATTO SOCIALE. il nuovo sovrano era un soggetto politico

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espressione della volontà generale. La volontà generale è 1) non revocabile; 2) indivisibile; 3) inalienabile.

Montesquieu pubblicò l’Esprit des lois a Ginevra nel 1748. Oggetto di studio è il sistema giuridico politico dello Stato nelle sue varie morfologie e le diverse forme di governo. M. era consapevole delle diversità storico politiche delle nazioni e giudicò impossibile l’applicazione di un modello istituzionale fuori dai sui limiti territoriali. Concentra la sua analisi su tre forme di governo: repubblicana, monarchica e dispotica, dividendo la prima in democratica e aristocratica a seconda che la sovranità risieda nel corpo sociale o nella sua parte più qualificata. M. parla di separazione di poteri ma riguardo alla necessità di contenere il potere con altri poteri. Non guarda al modello inglese con positività, ma la teoria della tripartizione dei poteri è diretta a recuperare la tradizione francese dei corpi intermedi. L’Esprit des lois fu condannato all’Indice nel 1751.

3.Questioni ecclesiastiche

Lo sviluppo della cultura scientifica in Europa forò la barriera di condanne e divieti opposti alla circolazione di opere e idee dal reticolato di Inquisizione Indice. L’incontro tra lumi e religioni era teoricamente impossibile anche se a volte si parlò di illuminismo cattolico come tentativo di acquisizione di alcuni prìncipi illuministici dentro la religione cattolica senza che questa ne venisse corrosa. Benedetto XIV aveva avuto un esperienza culturale nell’ambiente accademico. Appena eletto al soglio pontificio volle dedicare cura a riformare statuti. Il sacerdote Ludovico Muratori fu un esempio di esponente ecclesiastico illuminato criticando le chiusure dell’ortodossia. Al nuovo clima romano si dovette anche l’emblematica riedizione delle opere di Galileo. La nuova edizione dell’Indice dei libri proibiti ( 1757) cessò la proibizione a danno dei libri contenenti esposizioni eliocentriche e relativo insegnamento.

Diverso fu l’atteggiamento ecclesiastico verso le tendenze religioni interne dove si creò uno schieramento di giansenisti, gallicani e gesuiti. Alla tradizione di centralismo e universalismo romano rispose non solo la condanna al giansenismo ma anche la possibilità di accogliere o meno riti all’interno della liturgia cattolico romana. Un problema era nato con la Compagnia di Gesù.

Lo sviluppo delle missioni cattoliche era stato grandioso e avevano sviluppato, specie con l’opera di Matteo Ricci, un particolare metodo missionario, consistente non nella contrapposizione di una ritualità liturgica nuova, ma nella sua sussunzione interna a quella romana. I nemici della Compagnia di Gesù cominciarono a diffondere voci sulla loro non obbedienza al Papa e sul loro non rispetto dell’uniformità romana, tanto che il nuovo intervento dell’Inquisizione fu determinante per il definitivo intervento di Benedetto XIV con la bolla Ex quo dell’11 luglio 1742 che chiudeva la questione esigendo dal clero missionario il giuramento di osservanza della bolla. In Asia si determinò il tracollo della Compagnia. In America Latina venne soppressa e poi espulsa la Compagnia. In Paraguay questa Compagnia era diventata quasi uno Stato nello Stato. La fine di questo stato era tuttavia prossima e legata ad un accordo tra Spagna e Portogallo diretto ad eliminare in tutte le loro colonie attriti

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religiosi. Il 20 aprile 1759 Giuseppe I re del Portogallo comunicò al pontefice l’espulsione dal Portogallo di tutti i gesuiti colpevoli di aver provocato la ribellione in Paraguay. Nella Francia, patria letteraria dell’Illuminismo, la posizione dei gesuiti era ancora più delicata. Si pensò di istituire una sorta di Vicario generale che avrebbe dovuto controllare le attività dell’Ordine. Una polemica stampa e pamphlettistica invitava a seguire l’esempio portoghese. Il 1 dicembre 1764 vennero espulsi. In Spagna anche si arrivò con la Prammatica Sanzione del 18 gennaio 1769 a sottoporre ad Exeuqatur regio ogni disposizione di ordine religioso proveniente da Roma. Anche se la Prammatica Sanzione venne abolita i rapporti tra Stato e Chiesa volgevano al peggio. Il 29 gennaio 1767 i gesuiti venivano espulsi anche dalla Spagna.

Con la morte dio Clemente XIII risultò determinante per l’elezione pontificia l’esplicito impegno di procedere alla soppressione della Compagnia di Gesù. Assunto questo impegno venne eletto Clemente XIV. L’ambasciatore di Carlo III, (Re di Spagna) Josè Monino, ottenne la prima bozza di un breve di soppressione della Compagnia. Nel ’73 fu inviato a Madrid e il 12 luglio era stato ormai firmato dal papa. Per la sua pubblicazione si attendeva solo di far passare il 31 luglio Sant’Ignazio, festa dei gesuiti. Il Dominus ac Redemptor faceva riferimento alla necessità di sacrificare le istituzioni che non rispondevano più al compito originario proprio. I beni immobili della Compagnia venivano destinati alla beneficenza e i vertici vennero arrestati. La Compagnia venne ricostituita solo durante il pontificato di Pio VII con la Bolla Sollecitudo animarum nel 1814.

CAPITOLO 19. L’INDIPENDENZA DELLE COLONIE AMERICANE

1.Questioni coloniali e politica europea: la guerra dei Sette anni

la guerra dei sette anni può essere considerata la prima guerra mondiale essendo la prima volta che eserciti europei si affrontarono non solamente sui territori del vecchio continente e furono affiancati anche da truppe coloniali. Inoltre interessi coloniali determinarono il conflitto in Europa. Le sue conseguenze furono per esempio la nascita degli Stati Uniti d’America. Grave si presentava lo stato dei rapporti franco inglese nel sub continente indiano. L’inglese East India Company era venuta progressivamente soppiantando i domini olandesi e portoghesi. Nella stessa regione agiva la Compagnie des Indes francese. I rapporti tra Francia e Inghilterra si ripercuotevano nei rapporti commerciali nelle lontane colonie. Il risultato fu il progressivo sopravvento inglese a seguito dell’impulso impresso all’East India Company da Robert Clive. Una tensione politico militare analoga tra Francia e Inghilterra si determinò nell’America settentrionale. A nord del Golfo del Messico, che rimaneva un lago spagnolo, s’estendeva un vastissimo territorio coloniale francese che da Nuova Orleans abbracciava il territorio interno fino alle distese del Canada. Sulla costa orientale del continente erano disposti i possedimenti inglesi e dal ’74 si erano avuti veri e propri scontri militari tra coloni inglesi e francesi lungo la valle dell’Ohio ( dove George Washington allora combattette dalla parte inglese). In Francia non v’era sensibilità politica né dunque particolare attenzione ai problemi coloniali. Il teatro unico della politica e dell’economia rimaneva dunque l’Europa. Le colonie avevano un ruolo puramente sussidiario soprattutto quelle americane visto il ridotto introito economico che fornivano.

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Non c’erano inoltre molte emigrazioni di massa: basti pensare che nel Canada i francesi erano 65.000 contro i due milioni di inglesi sull’Atlantico. Rispetto all’atteggiamento francese quello inglese fu viceversa di grande cura ed attenzione economica, cioè di pieno sfruttamento e l’Inghilterra fu sempre pronta ad intervenire con la forza a sostegno delle proprie compagnie di sfruttamento. La guerra franco inglese era inevitabile e si intrecciò ai problemi europei dando luogo al “rovesciamento delle alleanze. ”

Inizio del conflitto:Sul trono inglese stava un membro della dinastia Hannover: Giorgio III. Era dunque necessario in caso di guerra ottenere garanzie giuridiche a difesa del principato hannoveriano. Si rivolgono all’Austria, storico alleato senza ottenere però successi visto l’interesse dell’Austria di recuperare la Slesia occupata dalle truppe prussiane. C’era inoltre il mito sorgente di Federico II di Prussia, soprattutto in Francia, alimentato dagli illuministi. Il diplomatico austriaco Wenzel von Kaunitz sapeva che la Francia non avrebbe mai preferito allearsi con un tradizionale nemico ed era più interessata ad una politica d’entent con la Prussia. Il Kaunitz fu allora abile nello sfruttare la carta della diplomazia segreta di Luigi XV tramite la marchesa di Pompasour che era diventata una sua confidente. Fu cosi che Luigi XV e il Kaunitz trattarono all’insaputa del Consiglio ufficiale e del Segretario di Stato. La nuova alleanza franco austriaca venne stipulata a Versailles il 1 maggio 1756. Motivi che portarono all’alleanza: garanzia per la Francia di un candidato francese al trono polacco + la guerra nel nord America + notizia che l’Inghilterra si era alleata con la Prussia di Federico II. La politica estera francese sacrificava l’intera tradizione delle sue alleanze con l’Impero ottomano, la Svezia, la Polonia e gli stati tedeschi. Questo rovesciamento delle alleanze consentiva all’Impero austriaco di operare militarmente contro la Prussia la quale era l’unica dover combattere su più fronti.

Federico II capì di dover agire d’urgenza e invase la Sassonia, mentre quelle francesi contrattaccavano invadendo l’Hannover e imponendo la convenzione di Closterseven che impegnava gli Hannover a disarmare e congedare le truppe. Il colpo militare francese fu una mazzata politica per gli anglo prussiani. Nel Mediterraneo la flotta francese aveva sconfitto quella inglese recuperando Minorca. Tuttavia le solite rivalità interne alla corte di Versailles vanificarono le ottime prospettive militari : il maresciallo d’Estrées fu sostituito da uno dei suoi rivali a corte, il duca di Richelieu che si rifiutò di unire le sue truppe a quelle di un’altra armata francese. Federico II al comando di un esercito di 22.000 prussiani sbaraglio a Rossbach nel 1757 l’armata franco imperiale forte del doppio degli uomini. Dopo un’altra vittoria prussiana l’esercito francese non poteva più tenere testa al dilagare di quello prussiano. Poche settimane dopo violando il trattato di Closterseven inglesi e hannoveriani si riarmavano allontanando i francesi. Gli inglesi attaccarono allora con la

Inversione delle alleanze

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flotta tutti i possedimenti coloniali francesi. Determinanti per la fine del conflitto furono le dimissioni di William Pitte la successione sul trono imperiale russo del prussiano filo Pietro III che salvava Federico II dalla guerra su due fronti. Cosi come erano due le guerre parallele, allo stesso modo due furono le paci. A Parigi il 10 febbraio 1763 Francia, Inghilterra e Spagna regolavano i loro domini coloniali : il Canada e tutta la valle dell’Ohio ad est del Mississippi venivano ceduti dalla Francia all’Inghilterra che acquisiva dalla Spagna anche la Florida. Nelle Antille le isole di Guadalupe e Martinica tornavano francesi; il resto era inglese, mentre in India la presenza francese era ridotta a qualche scalo commerciale. In Europa l’isola di Minorca tornava in mano inglese; per la Francia fu una pace vergognosa.

Meglio andò all’Austria di Maria Teresa che con la pace di Hubertusburg rinunciava definitivamente alla Slesia in favore dell’elezione imperiale del figlio Giuseppe d’Asburgo Lorena.

2.Le colonie inglesi d’America

Disposte longitudinalmente, da nord a sud, il Massachussets, New Hampshire, New York, Rhode Island, Connecticut, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Nord Carolina, Sud Carolina e Georgia, non costituivano alcuna unità né politica, ne economica, ne giuridico istituzionale e ne religiosa. L’economia era divisa in 4 fasce:

a) La fascia settentrionale era dedita alla cantieristica navale alla pesca e al commercio atlantico;

b) L’economia centrale gravitava commercialmente attorno ai porti di New York e Philadelfia e aveva un vasto retroterra agricolo;

c) L’economia del sud era un’economia caratterizzata dalle grandi piantagioni di tabacco, riso e indaco. Erano piantagioni che richiedevano una notevole capitalizzazione e una grande manodopera di schiavi.

d) Alle spalle di tutte le colonie una quarta fascia di attività economica raggruppava egualmente da nord a sud pionieri, cacciatori, agricoltori che penetravano verso ovest, al di là della catena dei monti Appalachi in territori abitati dai pellerossa.

Questa particolare forma di economia ebbe un rimbalzo sociale per l’identità collettiva americana : IL MITO DELLA FRONTIERA. Diversamente che per la cultura europea, dove frontiera ha un significato di limite rigido, non valicabile, per la cultura coloniale americana la frontiera non era solo il limite momentaneo della colonizzazione, ma rappresentava il forgiatore dell’individualismo eroico, del coraggio: frontiera impediva quindi la riproposizione di gerarchie sociali europee di origine feudale, azzerava i valori predeterminati, accelerava al massimo il dinamismo della mobilità sociale.

Diversa demografia inoltre la popolazione bianca era per i 2/3 di origine inglese e per il rimanente terzo irlandese, scozzese, tedesca, olandese e francese. Tuttavia la concentrazione bianca era avvenuta per raggruppamenti religiosi prima che nazionali : cosi l’emigrazione puritana si era concentrata nelle zone settentrionali, quella anglicana in Virginia e quella quacchera in Pennsylvania. La successiva emigrazione avvenne come conseguenza delle

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enclosures inglesi o come conseguenza della devastazioni delle campagne europee dopo la guerra dei trent’anni. Questa sedimentazione sociali creò scontri e tensioni. Tensioni sociali si aggiungevano a quelle sociali. In comune le colonie avevano solo un’origine territoriale nel demanio della corona visto il rapporto di diritto privato tra il sovrano e una persona fisica e giuridica. Si aveva una tripartizione delle colonie:

1. Colonie regie ( entità territoriali di sovranità diretta della corona)2. Colonie di proprietà ( la carta o la patente regia affidava entità

territoriali e relativo potere di organizzazione politica ad un singolo proprietario privato )

3. Colonie incorporate ( i relativi diritti venivano concessi a comunità di coloni preesistenti).

Al momento della pace di Parigi del 1763 otto colonie erano regie, tre di proprietà e due incorporate. Queste ultime erano quelle dove fu maggiormente radicato il senso dell’indipendenza. Nella Pennsylvania ci fu uno scontro tra il governatore e il proprietario. Questo scontro è una costante nella storia istituzionale coloniale.

Il governatore nominato dal re o dal proprietario è il capo dell’esecutivo e dunque dell’esercito. A lui spetta il potere di convocazione e scioglimento dell’Assemblea, può porre il veto a norme da essa emanate, ha potere di grazia, nomina i funzionari e i giudici dei tribunali speciali.

Il governatore è affiancato dal Consiglio composto da membri nominati dal re o dal proprietario. Assieme governatore e Consiglio fungono da corte giudiziaria d’appello;

A fronte di queste due istituzioni stava l’Assemblea dei deputati, espressione delle singole comunità coloniali elette secondo le rispettive modalità di suffragio.

le barriere censitarie variavano da 40 sterline nello stato di New York a 40 scellini nel Connecticut. La proprietà fondiaria inoltre poteva dare pluralità di voto.

La progressione del ruolo delle Assemblee nelle colonie americane è analoga a quella percorsa dal Parlamento di Inghilterra: giungere al potere di tassazione interna e presentarsi come un’istituzione rappresentativa dei nuovi ceti emergenti. In questa alterazione politico istituzionale del sistema giuridico di delega originaria è insita la crisi costituzionale.

3.Imposizioni fiscali, autonomia, indipendenza

Al termine della guerra dei Sette anni, il debito pubblico inglese era giunto a 139 milioni di sterline. Le necessità fiscali inglesi implicarono un improvviso mutamento quasi d’ordine psicologico nel rapporto con le colonie. Fino a quel momento l’Inghilterra non era intervenuta in modo diretto e accentratore nella vita politico economica delle colonie. Inoltre nel corso della guerra franco indiana truppe inglesi e coloni americani avevano combattuto assieme.

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D’improvviso quella fraternità si ruppe. Per Londra si trattava di rimodulare il rapporto tra libera attività economica e controllo politico concretizzando l’imposizione tributaria nel rigore fiscale. Nel giro di un paio d’anni vennero introdotte delle misure come la Proclamation line ( imponendo ai coloni di marciare verso ovest ) lo Sugar Act, il Currency Act e lo Stamp Act. Con il primo si imposero dei dazi alle importazioni; con il secondo si vietava di emettere certificati aventi valore di carta moneta e con il terzo si impose un valore di bollo anche a giornali e periodici. Nel frattempo un esercito inglese di 10.000 uomini veniva stanziato nelle colonie. Era ormai una sorta di regime d’occupazione.

Dibattiti. Ci furono le prime contestazioni giuridiche a seguito dello Stamp Act. James Otis invocò per le colonie l’antico principio inglese del <no taxation without representation>. Da parte inglese rispose Soame Jenyns sostenendo la rappresentanza virtuale dei coloni americani nel Parlamento inglese. Una posizione che ebbe largo seguito in Inghilterra ma a cui si oppose William Pitt.

L’assemblea del Massachusetts propose la riunione di un Congresso inter coloniale sullo Stamp Act da tenersi nell’ottobre seguente a New York. Ma l’iniziativa non era più solo assembleare, c’erano reazioni nelle piazze. Alla riunione dello Stamp Act Congress 1765 i rappresentanti delle colonie erano ancora su posizioni lealiste ribadendo però il principio del no taxation without representation. A sostituire il gabinetto Grenville era stato chiamato Charles Rockingam che decise di revocare lo Stamp Act. Quella che poteva sembrare una vittoria delle colonie americane fu azzerata dall’introduzione di un Declaratroy Act con cui il Parlamento inglese dichiarava la propria competenza legislativa in tutti gli affari coloniali. Era dunque l’inizio di un braccio di ferro che vedeva nel 1766 l’approvazione dei Townshend Acts; del Revenue Act e dal Customs Collegting Act. Riprendeva allora la reazione giuridica nelle colonie, rappresentata dall’azione di James Otis che si batté contro l’applicazione di quelle leggi considerate anti costituzionali. L’assemblea del Massachusetts invitò tutte le Assemblee coloniali ad unirsi a difesa delle libertà americane. A rendere ancora più tesa la situazione venne resa da due eventi:

Massacro di Boston, occorso il 5 marzo 1770 quando truppe regolari inglesi acquartierate in città dal 1768 per imporre l’applicazione dei Townshend Acts, spararono sui manifestanti disarmati facendo 5 morti.

Il Parlamento inglese affidò alla East India Company il monopolio del commercio del tè con le colonie americane. La reazione dei coloni fu di assaltare un mercantile inglese ancorato nel porto di Boston ( l’episodio venne chiamato Boston tea party).

Le colonie convocarono a Filadelfia il 5 settembre del 1774 il I Congresso Continentale. i 55 delegati riuniti a Filadelfia in rappresentanza delle colonie ebbero il senso del momento storico avvertendo d’essere i rappresentanti dei sudditi coloniali d’America. L’elemento radicale al congresso non ebbe una forte prevalenza. I moderati per ora miravano a una ricomposizione politica con la madre patria salvaguardando l’autonomia coloniale senza alcun cenno all’indipendenza. Moderati e radicali trovarono un accordo nell’approvazione di una Dichiarazione dei diritti delle colonie con riconoscimento del potere di veto dell’Inghilterra. A Londra operava Benjamin Franklin per presentare le petizioni

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del Congresso di Filadelfia. Determinante fu la decisione del Re di dichiarare ribelli le colonie della New England.

Con il II Congresso Continentale nel maggio del ’75 si tentò l’ultimo approccio lealista. Dopo il secco rifiuto del re si avviarono le parti per il definitivo scontro militare. Con il II Congresso si istituiva una Continental Army ossia un esercito americano unitario e distinto dalle milizie coloniali e il comando venne affidato a George Washington leader moderato della Virginia. A far circolare la parola magica di indipendenza fu un giornalista inglese Thomas Paine pubblicando un opuscolo che ebbe un successo enorme. Il messaggio era quello di un indipendenza che consentiva d creare una società nuova in un mondo senza radici nel passato diverso e distante dall’ipocrita progenitrice. La causa dell’America è la causa di tutta l’umanità. L’11 giugno fu incaricata una commissione per progettare la confederazione delle colonie. Composta da Franklin, Jefferson e Adams, a Jefferson fu affidato il compito di redigere la Dichiarazione d’indipendenza che fu approvata a Filadelfia il 4 Luglio 1776. Risultano evidenti le matrici contrattualistiche e giusnaturalistiche. La ricerca della felicità di sostituì a quella della proprietà contemplata da Locke. Nella seconda parte veniva ripreso il principio della no taxation without representation estromettendo di fatto l’Inghilterra negli affari inglesi delle colonie.

4.Dalla dichiarazione d’indipendenza alla Costituzione federale

Anche il modo di affrontare e concepire la guerra fu radicalmente diverso tra i coloni e truppe regie. Gli ufficiali inglesi sicuri della schiacciante forza della flotta agivano partendo dai porti conquistati per inoltrarsi nell’interno, solo che l’interno non era un teatro di guerra simile ai tanti europei. Poche strade di collegamento e centri abitati distanti, rendevano difficoltosi i movimenti inglesi. I coloni non solo conoscevano le zone geografiche , ma vantavano di una pirateria che poté tener testa alla flotta inglese. Le motivazioni dei coloni sopperivano al disvalore tecnico organizzativo e disciplinare.

La battaglia di Saratoga fu la prima vinta dalla Continental Army ed ebbe una conseguenza di politica estera di notevole valore: guadagnò alle colonie l’alleanza con la Francia cui aveva lavorato B. Franklin. L’ingresso della Francia oltre che militarmente determinante, toglieva le colonie dall’isolamento politico diplomatico. L’anno seguente anche la Spagna scendeva in campo con gli alleati franco americani. E proprio da una combinata manovra terrestre e navale delle forze franco americane scaturì la vittoria di Yorktown in Virginia nell’ottobre 1781. Sia l’Inghilterra che le colonie avevano l’economia strematala pace conveniva a tutti. Il Parlamento inglese nel febbraio 1782 approvava l’avvio di trattative di pace. Franklin a Parigi comprese la necessità di svincolarsi dall’alleanza e di trattare separatamente con l’Inghilterra. 3 Settembre 1783 le colonie degli Stati Uniti d’America erano riconosciute libere, sovrane e indipendenti. Veniva inoltre ceduto loro il territorio della ex Louisiana francese. Veniva infine riconosciuto agli americani il diritto di pesca nel golfo di San Lorenzo e sui banchi di Terranova. La Francia recuperava la costa del Senegal e l’isola di Tobago. La Spagna riprendeva Minorca e la Florida.

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Al congresso continentale furono riservate le sole competenze di politica estera e difesa. Tutto il resto compreso il diritto di imposizione fiscale e quello di batter moneta, veniva lasciato alle Assemblee dei singoli stati. Le Assemblee erano venute prevalendo sull’esecutivo. Emergeva la necessità di dotare la guida politica dell’Unione di poteri centrali forti capaci di comporre interessi, imporre decisioni regolando le politiche economiche e monetarie. Madison e altri delegati chiesero al Congresso di convocare un’apposita riunione allo scopo di adeguare la costituzione del governo federale alle esigenze dell’Unione. Il 25 maggio 1787 un’apposita venne convocata una convenzione a Filadelfia alla cui presidenza venne eletto George Washington.

Lo scontro ideologico verteva sui rapporti tra potere esecutivo e legislativo. La vecchia linea radicale, antifederalista, temeva l’accentramento del potere esecutivo, la politica economica fatta di stretta fiscale, controllo del credito e difesa dei monopoli fattori che non solo colpivano gli interessi delle fasce sociali rappresentate dal radicalismo, ma anche riproponevano un mondo contro cui i vari Patrick Henry, Samuel Adams e Richard Lee avevano combattuto.

L’altra tendenza è rappresentata dagli 85 papers di Madison e Hamilton riproposti nel 1787-88 con il nome di The Federalist. In ogni caso il nuovo assetto federale fu un compromesso: ferma restando la sovranità popolare, il contrasto avvenne sulla rappresentanza politica per stato e per individuo? (elezioni di rappresentanti ripartiti secondo la ricchezza e il numero di abitanti di uno stato oppure numero uguali di rappresentanti per ogni stato). Il risultato fu un Congresso bicamerale : il Senato avrebbe visto eletti due rappresentanti per Stato e la Camera avrebbe avuto dei seggi ripartiti fra Stati secondo il relativo numero di abitanti. Il presidente federale eletto a doppio turno era titolare del potere esecutivo. Il legislativo spettava al Congresso e quello giudiziario alla Corte Suprema. Il 17 Settembre 1787 39 dei 42 delegati alla convenzione approvarono il testo della nuova costituzione composta da un preambolo e da 7 lunghi articoli. La sua entrata in vigore fu condizionata alla ratifica di almeno 9 dei 13 stati. La Costituzione apparve alle Assemblee dei singoli stati eccessivamente centralistica e sbilanciata a favore dell’esecutivo. Fu proposto di allegare al testo costituzionale un Bill of Right che contiene un elenco di diritti imprescindibili della persona. Cosi venne approvata e il 4 marzo 1789 George Washington fu il primo presidente degli Stati Uniti d’America.

Non si è usato il termine rivoluzione perché i coloni americani combatterono per difendere il loro diritto all’autogoverno minacciato dall’accentramento inglese. Combatterono per conservare uno status e non per abbatterlo e costituirne uno nuovo.

CAPITOLO 20.ECONOMIE E ISTITUZIONI: IL RIFORMISMO EUROPEO

Successiva al grande sviluppo della cultura illuministica è la necessità avvertita da molti sovrani di ammodernamento delle strutture dello Stato. Non v’è però automatismo meccanico tra Illuminismo e riformismo. Le riforme delle strutture statali non obbedirono a princìpi politici illuministici. La teoria della separazione dei poteri di Montesquieu ad esempio non fu mai compiutamente applicata.

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Queste riforme ebbero origine nella esclusiva volontà dei sovrani, non indotte da esigenze di tutela o di favore per un indefinito popolo. Le finalità furono dirette alla conservazione del potere sovrano assoluto e accentrato, per questo il movimento di riforme è stato chiamato DISPOTISMO ILLUMINATO. Da un capo all’altro d’Europa, dal Baltico alla penisola iberica, venne allora mutando nella seconda metà del ‘700, l’assetto tributario, amministrativo e militare.

1.Le riforme negli Stati europei nord-orientali

Russia

Determinante per il controllo politico-sociale dello Stato sul territorio era stato l’appoggio della Chiesa ortodossa che dal 1589 era divenuta autocefala, cioè non più dipendente dal patriarcato di Costantinopoli. La Russia si trovò dinnanzi a gravi tensioni sociali provocate da riforme ecclesiastiche e liturgiche dovute all’iniziativa di Nikon, patriarca di Mosca dal 1652. Il patriarca avviò un’attività di revisione filologica dei testi ecclesiastici e di riforme liturgiche che provocarono opposizioni interne superate nel Concilio del 1654 grazie anche all’appoggio dello zar Alessio che provocarono uno scisma devastante ( tra vecchi credenti e la Chiesa ortodossa) che da allora innescò rivolte contadine. Ai disordini socio religiosi si aggiunsero quelli di natura dinastica quando, alla morte dello zar Alessio, si scontrarono per la successione le famiglie delle due mogli Maria Miroslawskaja e Natalja Naryskina, che avevano dato entrambe un figlio allo zar. Si decise per una reggenza di Pietro e Ivan insieme alla sorella Sofia. Pietro godendo di maggior favore, di attitudini fisico militari e di esperienza politico culturale detronizzò la reggente assumendo la guida dello Stato dal 1689. La politica estera, caratterizzata dallo scontro co la Svezia, fu la molla che determinò la necessità di ristrutturare il sistema finanziario e amministrativo statale.

L’amministrazione fu riordinata sostituendo alla ragnatela di istituti e competenze pletoriche, un sistema di collegi che facevano capo a un Senato istituito nel 1711. L’istituzione più tarda, nel 1722, della tabella dei ranghi, servì allo zar per disciplinare le gerarchie sociali e funzionali di aristocrazia e amministrazione civile e militare. Divisa in 14 gradi, dall’ottavo in su dava diritto ad un titolo nobiliare ereditario; al di sotto dell’ottavo il titolo nobiliare era solo personale. Il vantaggio del sistema era di inserire la nobiltà nello sttao e di aggiungere un sistema meritocratico a quello sociale aristocratico. Ammodernamento e laicità dell’istruzione, con scuole elementari, scuole di lingua, scuole professionali e controllo della Chiesa ortodossa con l’istituzione del Santo sinodo nel 1721.Alla morte dello zar, gli strel’cy imposero sul trono la vedova Caterina I ; poi la successione passò a: Pietro il Grande; alla sorella, Anna; nel bisnipote Ivan VI; alla figlia di Pietro, Elisabetta che fece sposare il nipote Pietro III con la principessa tedesca Caterina di Anhalt Zerbst che a sua volta detronizzò il marito e si fece proclamare zarina nel Luglio del1762. Caterina II poté riprendere l’azione riformatrice di Pietro il grande.

Di cultura occidentale e formazione illuministica dette una decisa accelerata per occidentalizzare la Russia. Dispose subito di misure di rigore anti

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ecclesiastico; avviò un processo di unificazione giuridica poiché la tradizione russa non disponeva né di leggi fondamentali né di corpi intermedi; seguì i principi di benessere dei sudditi, tolleranza, libertà ecc.. secondo schemi dell’Esprit des lois. Emanò la carta della nobiltà che confermava diritti e privilegi in contrasto con le riforme che avevano profilato l’habeas corpus contro gli arresti arbitrari, istituivano Tribunali di equità, regolavano i poteri di polizia ecc..

Svezia

L’equilibrio istituzionale tra corona e Parlamento fu garantito dalla politica moderata seguita dal cancelliere Arvia Horn che tuttavia non poté disinnescare le tensioni latenti nel corpo sociale e che portarono al raggrupparsi di due partiti essenzialmente divisi da diversi obiettivi di politica estera: gli hattar filo occidentali e i mossor filo russi. La linea di equilibrio del cancelliere fu messa in discussione dal prevalere degli hattar nel Consiglio di Stato che portò prima alle stesse dimissioni dell’Horn e poi all’intervento militare contro la Russia, mal preparato che costò alla Svezia la cessione dell’Estonia, Lituania e Ingria. Il nuovo re, Gustavo III era dotato di fascino personale, di carattere deciso e al tempo stesso duttile, si trovava a Versailles presso Luigi XV quando dovette tornare in patria alla morte del padre. Prese l’iniziativa di una composizione tra i due contrastanti interessi dei partiti in nome dell’interesse nazionale, fallita la quale procedette ad una sorta di colpo di stato che portò all’incarcerazione dei capi degli hattar e dei mossor, all’abolizione del regime costituzionale del 1720 e all’istituzione di uno nuovo con forti poteri alla corona. La politica interna fu di grandi riforme : riordinate le finanze , reso più libero il commercio interno, abolita la tortura, proclamata la libertà di stampa. La latente opposizione aristocratica si concretizzò : a Gustavo III venne chiesta la convocazione di una dieta, e il re si appellò ai ceti non privilegiati ottenendone nella Dieta del 1789 il pieno consenso. L’opposizione aristocratica che era stata formalmente liquidata gli saldò il conto uccidendolo nel corso di un ballo in maschera il 29 marzo 1792.

Polonia

Federico Augusto III di Sassonia aveva dovuto rinunciare ai primi tentativi di una necessaria riforma dello Stato. Alla morte del sovrano, il blocco orientale Russia e Prussia determinò l’elezione al trono di Stanislao Poniatowski. Il nuovo re tentò allora di ripercorrere con nuova energia la strada della riforma costituzionale eliminando quei vincoli giuridici, dal liberum veto al diritto di rifiuto di obbedienza, alla stessa elettività della corona. Una simile volontà riformatrice era dunque destinata a scontrarsi non solo con l’aristocrazia interna che avrebbe perso, se le intenzioni del nuovo re fossero andate in porto, ogni potere contrattuale verso la monarchia, ma con gli Stati che esercitavano un controllo militare ferreo sulla Polonia. La Russia intervenne negli affari polacchi per alzare il vessillo della difesa delle libertà e la Francia intervenne per evitare il predominio russo sulla Polonia. Sollevazioni interne contadine e intervento militare russo chiusero però la partita nel 1772 quando fu evidente che la difesa delle libertà costituzionali dello stato polacco doveva portare alla sua dissoluzione. Si ebbe infatti la prima spartizione del territorio nazionale : la Russia si annetté quasi tutta la Bielorussia; la Prussia acquisì il

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territorio della Prussia occidentale. Ne approfittò anche l’Impero austriaco acquisendo la Galizia. Solo allora si comprese la necessità di abbandonare la difesa delle libertà costituzionali per un programma di rinascita patriottica e nazionale.

A procedere verso una radicale riforma sociale e politica , con una monarchia ereditaria ed esecutivo forte, contribuì paradossalmente l’istituzione di un Consiglio permanente voluto dalla Russia ma che si trasformò nell’organo capace di superare le resistente dell’aristocrazia e di avviare dal 1788 la realizzazione della nuova costituzione polacca del 3 maggio 1791 che eliminava le libertà costituzionali del liberum veto , dell’eleggibilità della corona ed equiparava borghesia e nobiltà e rafforzava l’esecutivo.

2.Prussia e Austria

Prussia

L’ascesa al trono di Federico II di Prussia sembrava annunciare un mutamento di rotta politico sociale. Ereditava una struttura burocratica che si era ormai stabilizzata e ulteriormente gerarchizzata mediante “camere”, commissari e dipartimenti. A guidare questa rete burocratica di competenze gerarchizzate era stato il principio “ cameralistico” consistente in una convergenza di scienze delle finanze, economia politica e discipline giuspubblicistiche in una sorta di scienza nuova ossia la scienza dell’amministrazione dello Stato. I funzionari venivano cosi costituendo un corpo di esperti socialmente in ascesa indipendentemente dai natali. Federico II privilegiò la politica estera e dunque ebbe necessità di far ricorso all’esercito e quindi alla nobiltà. A questa classe riservò maggior spazio nei ruoli della burocrazia statale. Nel 1763 venne abolita la servitù della gleba. Le tradizionali attività borghesi di artigianato e commercio furono allora incrementate grazie ad una oculata politica di favore all’immigrazione di mano d’opera qualificata. Venne poi agevolata la tolleranza religiosa. Il controllo da parte dello Stato della vita economica portò alla necessità di istituire tribunali camerali competenti nei settori economici e tributari. Federico II volle servirsi di Samuel von Cocceji per il riordinamento e l’emanazione dei codici procedurali e per un progetto di unificazione giuridica romanistica. La necessità di giungere comunque ad una codificazione scritta e univoca tornò a farsi sensibile 25 anni dopo la morte dei Cocceji con l’istituzione nell’aprile del 1780 di una commissione di nuovi giuristi che avrebbe portato alla redazione del “ Diritto territoriale generale per gli stati del regno prussiano” entrati in vigore nel 1794 dopo la morte di Federico II.

Austria

Maria Teresa imperatrice d’Austria non era per nulla affascinata dall’illuminismo anzi era convintamente cattolica. Le premesse culturali e religiose diverse dettero comunque un medesimo risultato : le riforme dello Stato. La spinta determinante venne dalle esigenze militari della politica estera particolarmente effervescente nella prima metà del ‘700 e dalle necessità di supportarle economicamente. Fiscalità, burocrazia e istruzione furono i campi d’azione delle riforme. L’impero era giuridicamente variegato tra le province austriache. Una fitta rete di particolarismi e privilegi costituiva il fronte della

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resistenza al fiscalismo centralistico. Le necessità militari della guerra di successione austriaca se da un lato portarono alla costituzione di dicasteri come il Commissariato generale di guerra, dall’altro consentirono al cancelliere Friedrich von Haugwitz di scardinare la resistenza delle assemblee dei ceti, ricorrendo ad un nuovo sistema di contrattazione lasciando cioè alle singole assemblee la possibilità di votare per un decennio le proposte della corona. Anche l’aristocrazia fu allora obbligata a partecipare alle contribuzioni fiscali anche se gli fu riservato maggiore spazio nell’apparato statale civile e militare. Nel settore militare fu riformato il precedente sistema di arruolamento affidato ai grandi proprietari terrieri. Maria Teresa in persona curò la riforma dell’esercito centralizzando il sistema d’addestramento e istituendo per gli ufficiali un’apposita Accademia. L’amministrazione seguì il modello prussiano che fu però messo in discussione e a sua volta riformato a seguito dell’affidamento del cancellierato a Anton Wenzel von Kaunitz artefice del rovesciamento delle alleanze. Ripristinò la cancelleria austriaca e boema e istituì il Consiglio di Stato. Riguardo alla politica economica venne abolito il mercantilismo, si attuarono protezioni doganali e monopoli e si giunse al mercato unico interno nel 1775. Ma il modello prussiano cacciato dalla porta rientrava dalla finestra: fermo rimaneva l’approccio cameralistico all’amministrazione statale, ad esercito e burocrazia. Il principio di intervento e di controllo dello Stato centrale non poteva non invadere il settore ecclesiastico. Dopo la guerra dei Sette anni lo stato aveva avuto l’opportunità di intervenire per ridurre l’azione ecclesiastica solo alla sfera di competenza religioso - spirituale, limitando nuove acquisizioni immobiliari da parte di Ordini religiosi, impedendo che i tributi ecclesiastici fuoriuscissero dallo Stato e approfittando della soppressione della Compagnia di Gesù per riordinare l’intero sistema scolastico nazionale.

Giuseppe II proseguì la strada delle riforme anche se non appena ventenne aveva elaborato un progetto di confisca della proprietà ecclesiastica ( bocciato dalla madre indignata) ed era inoltre influenzato dal giansenismo e dal febronianesimo. Questa corrente prende il nome dallo pseudonimo di Giustino Febronio il quale denunciava la duplice natura dei diritti essenziali( la cui fonte è Cristo) e accidentali ( acquisiti illegalmente dai pontefici). Una dottrina dunque episcopale che sul piano politico giunse a negare il primato pontificio chiedendo dunque la soppressione di nunzi e legati che costituivano indebite interferenze romane nella vita dei singoli episcopati nazionali. Il febronianesimo spinse il sovrano a interventi come l’abolizione della commissione di censura, la libertà di culto e rimosse le discriminazione antiebraiche. Soppresse inoltre gli Ordini religiosi non socialmente utili rendendo vano il pellegrinaggio apostolico ossia la visita al pontefice. Al parroco sarebbe toccato il compito di guida morale e civile della comunità. Riguardo alle iniziative giuridiche Giuseppe II grazie all’aiuto del giurista Carlo Antonio Martini poté essere pubblicato nel 1781 il regolamento giudiziario civile vero e proprio codice di procedura civile. Nel 1787 si giunse al codice di diritto penale e nell’anno dopo di procedura penale. In questo caso fu determinante l’influenza dell’illuminista Cesare Beccaria.

3.Le riforme negli Stati italiani

Nel ‘700 la Spagna aveva progressivamente perso i suoi domini in Italia.

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Savoia

Politica estera dinamica e politica interna riformatrice interagivano tra loro determinando condizioni di favore per l’ammodernamento dell’apparato statale, per lo sviluppo di un senso dello Stato diverso dal municipalismo veneziano o toscano e per un’azione anti aristocratica di riequilibrio sociale. Un forte ceto di burocrati sviluppatosi nel corso del ’600 identificava le proprie fortune con quelle dello Stato. L’opera di revisione fiscale, il nuovo catasto fu avviata fin dal 1699 e conclusa l’anno dopo l’abdicazione di Vittorio Amedeo II. Del 1727 è il Concordato con la Santa Sede mentre già era avviata l’opera di riforma scoltastica culminata in un sistema unico dell’istruzione dalle scuole superiori all’Università.

Lombardia

L’attività riformatrice della Lombardia asburgica muove dalle stesse esigenze avvertite in Austria : dalla necessità di mantenere un esercito stanziale dunque di trovare in loco le risorse finanziarie, e nel disordine dell’amministrazione giuridica e fiscale dotarsi di strumenti di controllo. Giorgio Pallavicino, governatore, aveva avviato il progetto di unificare l’amministrazione tributaria tramite una Ferma generale concentrando l’esazione nelle mani di un’unica campagna. La riforma non andò comunque in porto per le sopraggiunte esigenze economiche che obbligarono a cercare nuovi prestiti. Con l’entrata in vigore del catasto del 1760 si ottenne una redistribuzione dell’imposta fondiaria e fu ridotta l’imposta personale gravante sui contadini. Contestualmente fu promossa la riforma dell’amministrazione locale volta ad uniformare il particolarismo comunale e provinciale che sotto controllo dei cancellieri del censo consentì qualche margine di autonomia.

Cesare Beccaria era stato conquistato dall’illuminismo di Montesquieu. Tra il marzo del 1763 e i primi del ’64 redasse il trattatello Dei delitti e delle pene che nell’Introduzione dichiarava la necessità di un radicale ripensamento del giure in nome della lotta al privilegio. La legge doveva essere sottratta all’arbitrio del magistrato e andava proporzionata la pena al reato sostituendo la pena di morte con i lavori forzati, socialmente più utili.

Ulteriori furono le riforme economiche e fiscali come l’abolizione della Ferma e di ogni regime vincolistico. Il Magistrato camerale era l’organo che assorbiva le precedenti competenze della Ferma e del Consiglio di Economia; alla Camera di Conti veniva affidato il controllo contabile della gestione fiscale. Nel 1786 venivano soppresse le antiche corporazioni artigiane e professionali.

Toscana

Pietro Leopoldo poté contare su venticinque anni di regno dal 1765 al 1790. La cultura illuminista era conosciuta e apprezzata. Appena giunto a Firenze, Pietro Leopoldo chiamò accanto a sé, per l’opera di riforma dello Stato, Pompeo Neri. Ora Pietro Leopoldo istituì quattro dicasteri chiave: Esteri, Guerra, Interni e Finanze i cui titolari formavano il Consiglio di Stato la cui presidenza fu affidata al Neri. Affondò subito il bisturi nella piaga comune di un sistema tributario impacciato da privilegi ed esenzioni e affidato agli appaltatori

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rescindendo il contratto che legava lo Stato ad essi. Fu avviata un’opera di ripensamento del rapporto giuridico economico tra città e campagna abolendo il sistema corporativo di controllo del mercato del lavoro, abbattendo i dazi interni e rendendo finalmente unico il mercato interno. Si giunse immediatamente a la riforma comunitativa che sostituiva con una Camera delle Comunità gli antichi istituti podestarili e signorili. Il nuovo istituto ebbe compiti tecnici come la revisione dei bilanci o il controllo sulle alienazioni dei beni. Al Neri va il merito della riforma giudiziaria diretta ad unificare l’esercizio della giustizia amministrata da tribunali e magistrati. Le libertà economiche conseguenti alla soppressione delle corporazioni determinarono la pressione giuridica e culturale per culminare in una sorta di costituzione politica. Il progetto fu affidato a Francesco Maria Gianni e terminò con l’Editto per la formazione degli Stati di Toscana. Prevedeva limiti alla sovranità assoluta e tutela dei beni e delle libertà degli individui. Non era consentita al principe alcuna politica personale estera : per tutte queste decisioni era necessario il consenso dei rappresentanti del pubblico. Costoro avrebbero dovuto essere i componenti dell’Assemblea generale dello Stato. Il tiolo d’accesso al diritto elettorale era la proprietà terriera. Il progetto teorico non fu però mai applicato perché essendo tipicamente illuminista era distante dal sentire comune.

Napoli

Ostacoli alle riforme venivano dalla tradizione culturale spagnola e da un ceto baronale assai più forte che negli altri Stati italiani. A Napoli era forte la figura di Bernardo Tanucci già professore di diritto civile all’Università di Pisa. Al Tanucci si dovettero le misure essenziali di questa prima attività di riforma. Intanto una Giunta di commercio fu istituita allo scopo di avanzare progetti di incentivazione economica. Dal 1739 la Giunta fu trasformata in Supremo Magistrato di commercio col compito di assicurare il disbrigo del contenzioso commerciale. Venne introdotto il catasto e questo fece scattare le resistenze ecclesiastiche. Più determinate furono le reazioni baronali. A sostenere la necessità di continuare l’opera di riforme fu una schiera di intellettuali che supportarono già Carlo di Borbone negli ultimi anni di permanenza a Napoli. Antonio Genovesi affrontò il problema economico; Gaetano Filangieri parlava di una risistemazione giuridico amministrativa. Era stato ormai storicamente dimostrato che un organismo di reggenza non garantiva una direzione politica univoca ma solo manovre personali. Quando si provò a toccare il clero giunse subito l’ordine di revoca da Madrid.

Sicilia

Qui il senso di autonomia e il prevalere del potere feudale del baronaggio era reso ancora più forte dalla presenza di un Parlamento che l’autorità regia non era riuscita a contenere e che si presentava come il baluardo del privilegio contro il centralismo dello stato. Nel 1781 vi veniva inviato come viceré Domenico Caracciolo. I fini dell’azione del Caracciolo erano in tutto simili a quelli perseguiti a Napoli o a Milano e identiche le forze sociali della resistenza. Quando chiese il censimento e il catasto l’opposizione del braccio baronale era scontata. Il viceré propose al Parlamento imposte per un ammontare di 400.000 scudi per il terremoto di Messina. Nessun problema per l’approvazione bensì per la ripartizione. Dinnanzi alla proposta del Caracciolo di dividere la

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quota in parti uguali fra i tre bracci, scattò la reazione baronale. Un lungo braccio di ferro vide fallire la proposta del Caracciolo. La Giunta di Sicilia inoltre gli bocciò la proposta del catasto nel 1784. Caracciolo non si arrese e prosegui la sua opera di corrosione del potere baronale, fino a quando divenne viceré Lopez y Rojo che ripristina la situazione precedente.

Repubblica di Venezia

La dinamica economica veneziana di progressivo passaggio dal capitale mobile a quello immobile, con il “ ritorno alla terra” aveva determinato una nuova attenzione verso i problemi della produzione agraria o della circolazione delle merci. Il regime protezionistico era stato superato ma non erano state abbracciate le dottrine liberali. La riforma della scuola proposta da Gaspare Gozzi era all’insegna dell’antigesuitismo ma che non giunse alla lotta del privilegio fiscale ecclesiastico. Col passaggio dello Stato cittadino a quello territoriale il conservatorismo politico sociale costituì un fattore determinante della decadenza della Repubblica.

Stato della Chiesa

In questo caso il procedere delle riforme fu lento, vischioso e ostacolato non solo dalle forze sociali del baronaggio che qui come altrove avevano molto da perdere dal procedere uniforme del fiscalismo, ma dalla stessa volontà dei pontefici. Congregazioni “economica” e del “Sollievo” erano destinate a studiare progetti di revisione del sistema fiscale e della politica annonaria. La reazione dei latifondisti e dei baroni romani impedì attuazione pratica alle proposte teoriche della Congregazione del Sollievo. Sembrò pertanto già rivoluzionaria la decisione di Benedetto XIII di giungere a liberare il commercio dei grani da vincoli e dazi interni. A piccoli passi si giunse con Clemente XII ad istituire un registro di contabilità generale dello Stato. Solo con Pio VI si ebbe un’azione continuativa e di una certa incisività : alla volontà di bonificare le paludi all’opera di costruzione di nuove arterie viarie, al tentativo di obbligare i proprietari di fondi nell’Agro romano a coltivare un quinto delle loro terre, pena la confisca. In conclusione fuori discussione rimaneva la delimitazione dell’ambito territoriale entro cui l’azione riformatrice ebbe effettualità concreta. Negli Stati centro settentrionali si era affermato con il fiscalismo uniforme il centralismo dello Stato; in quelli meridionali contro lo Stato avevano prevalso le autonomie locali, i Parlamenti e le libertà del privilegio.

4.Economia e politica in Inghilterra e in Francia

Le due diverse anomalie rappresentate dalle dinamiche sociali dell’Inghilterra e della Francia consistono nel non aver avuto bisogno di riforme.

Inghilterra

La stabilità istituzionale raggiunta dall’Inghilterra alla fine del ‘600 con la seconda rivoluzione, fu rafforzata dalle successioni dinastiche del primo ‘700 in particolare l’avvento al trono di Giorgio I e poi Giorgio II Hannover. Rimanendo di cultura e di lingua tedesca dovevano affidarsi a esponenti parlamentari

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capaci di controllare la vita e le procedure istituzionali locali. Essenziale fu in questo campo l’opera di Robert Walpole che fu a capo del governo dal 1721 al 1742 e che dette vita alla figura del primo ministro, tramite tra parlamento e corona e al cosiddetto governo di gabinetto, organo costituito dal primo ministro e dai principali ministri che governano in nome e per conto del re ma che rispondono comunque al parlamento.

Il modello teorico della vita politico istituzionale inglese svelava i difetti tipi del parlamentarismo moderno ossia trasformismo e corruzione. Il sistema elettorale inoltre era diverso da contea a contea ed era soggetto a corruzione e compravendite. Pagando si poteva ottenere anche la riconferma dei deputati uscenti. La contraddittorietà tra un principio e la sua applicazione appare spesso nella vita politica inglese. L’affermazione ad esempio del principio di tolleranza non riguardò così la popolazione cattolica ne dentro al regno ne fuori ( tipo Irlanda). Ancora più evidente il divario tra principi e prassi nel caso di un particolare commercio : quello della schiavitù che avveniva negli stessi anni in cui l’Inghilterra si batteva per la libertà di stampa.

La battaglia per la libertà di stampa prese avvio in modo casuale il 23 aprile 1763. L’antica alleanza tra Camera dei Comuni e stampa che aveva segnato il momento eroico dell’opposizione all’assolutismo Stuart, non reggeva più. Inoltre vigeva ancora la proibizione di pubblicare sui giornali le discussioni parlamentari. I giornalisti allora presenziavano alle sedute tra il pubblico e dettero vita a una costante violazione di questo divieto. La situazione era in evoluzione quando scoppiò il CASO WILKES:

John Wilkes studiò presso l’Università olandese. Al ritorno in Inghilterra intraprese la carriera politica candidandosi tra i whigs nel 1754 alternando con la curruzione la composizione del collegio elettorale e non riuscendo comunque ad essere eletto. Grazie alla compravendita dei voti riuscì tre anni dopo. Affiancò l’azione politica di Grenville e Pitt fondando un grande giornale, il North Briton e si mise subito in mostra per la spregiudicatezza delle polemiche dirette contro il primo ministro Bute e anche contro Giorgio III entrambi accusati di gestione eccessivamente personale del potere. L’opinione pubblica affiancò il giornale e costrinse il Bute alle dimissioni. Il 23 aprile 1763 uscì il famoso n°45 del giornale con un editoriale di grave critica al re il quale reagì facendo arrestare 48 persone tra cui W. Il giudice capo di Londra non convalidò l’arresto e Wilkes poté uscire dal carcere anche se l’intero parlamento gli rimase ostile. Riparò a Parigi e quando tornò a Londra fu accolto come un trionfatore dalla folla, ma la Camera dei Comuni respinse la sua nuova elezione facendolo di nuovo arrestare. Iniziarono una serie di manifestazioni e scioperi al grido di Wilkes and liberty; la scritta 45 apparve su moltissimi muri di Londra. Uscito di prigione fu sceriffo e magistrato e proprio da magistrato eliminò il divieto di pubblicare resoconti parlamentari, quando dovette giudicare Thomas Webber reo di aver commesso quel reato. Altre riforme avvennero nel campo agricolo quando la necessità di estendere e intensificare la produzione agricola portarono col sistema delle enclosures ad un accorpamento e inglobamento delle piccole proprietà in quelle grandi che agevolò la grande

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proprietà dei landlords. Questa progressione alla concentrazione terriera portò l’aristocrazia inglese a investire nell’agricoltura: più campi contigui divennero aziende e si inventarono nuovi strumenti di lavoro; si iniziò a formare una massa-lavoro disoccupata e nomade prossima ad essere utilizzata nell’ambito dei nuovi cicli produttivi industriali.

Il XIII capitolo del I libro del Capitale di Marx è dedicato al “macchinismo” e alla grande industria che il filosofo tedesco fa simbolicamente risalire all’invenzione della macchina a vapore di James Watt. Il macchinismo è costituito dal passaggio dell’innovazione tecnologica da elemento accessorio a fattore determinante della produzione. Vennero inventate la fly-shuttle e la spinning Jenny che non erano però invenzioni ma applicazioni tecniche di due addetti ai lavori. Questa evoluzione comportò, con l’uso delle macchine, la iniziale concentrazione della manodopera in fabbriche di nuove dimensioni, capaci di ospitare ingombranti macchinari e poi la progressiva riduzione della manodopera. Successivamente all’industria tessile toccò a quella metallurgica sperimentare innovazioni e macchinismi anche se qui non era più sufficiente l’esperienza di un singolo artigiano. Il passaggio dall’uso del carbone di legna al carbon fossile (coke) è spiegabile con la diversa quantità disponibile in natura. Il salto di qualità dell’intero sistema industriale inglese, che passò da un proto capitalismo a un capitalismo pieno, si ebbe con l’invenzione del 1769 della macchina a vapore di James Watt che ebbe moltissimi usi: dai mantici per altiforni, alle pompe idrovore in miniera, a forza motrice per i mulini e anche per mezzo di trasporto.

Le conseguenze sociali di questo cambiamento furono 3:

1. La costituzione di nuove ricchezze non sarebbe andata soggetta a contingenze aleatorie;

2. Nuove dinastie industriali si sarebbero affiancate a quelle dei landlords;3. L’antica divisione del lavoro scompariva per far posto ad un ciclo

produttivo accelerato e integrato che vedeva scomparire la forza lavoro concentrata ormai in un solo ambiente: la fabbrica.

Si andava così formano un proletariato, di provenienza diversa che contribuiva con la sua stessa presenza alla compressione dei salari degli operai delle fabbriche e allo sfruttamento inumano del lavoro minorile con cui l’Inghilterra creò la sua potenza industriale economica e militare. Le innovazioni tecnologiche portarono all’espulsione dell’operaio dalla fabbrica e ciò provocò una prima presa di coscienza operaia che portò alla difesa del lavoro.

Francia

La situazione francese presenta una caratteristica particolare: il ridottissimo rapporto tra la diffusione della cultura illuministica e l’esito delle riforme delle strutture dello Stato e delle finanze. Con la morte di Luigi XIV era salito al trono Luigi XV con cui riprendevano vita le forze aristocratiche che avrebbero sbarrato la strada a ogni tentativo di riforma. Le riforme di amministrazione statale e di economia c’erano già state con il Re Sole, ora si trattava di trovare delle controriforme. In questa strada s era posto subito il reggente di Luigi XV(minorenne) Filippo d’Orleans che aveva restituito a tutti i parlamenti il

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diritto di rimostranza revocato da Luigi XIV e aveva richiamato l’aristocrazia ad un ruolo politico attivo. Sull’intera vita politico sociale della Francia pesava però una diversa ipoteca: il debito pubblico che rendeva inutile qualsiasi riforma. Il controllo delle finanze fu affidato a uno scozzese John Law il quale istituì una banca privata (la Banca Generale), ottenne l’appalto delle imposte dirette e il monopolio del conio delle monete ecc.. ma a una condizione di favore seguì immediatamente un ribasso che lo obbligò a trasferirsi in Inghilterra. Il miglioramento delle condizioni economiche si ebbe grazie a un periodo di pace e a un periodo di buone annate agricole ( non è una conseguenza di riforme). La necessità comune a tutti gli Stati di riordinare il sistema fiscale, urtava in Francia con il riacquisto del potere politico dei parlamentari.

Già alla fine del 1758 a seguito dell’errore strategico della politica estera francese ( rovesciamento delle alleanze) il segretario di stato venne sostituito con il duca di Choiseul il quale obbligò a una politica fiscale a danno dei soliti ceti non privilegiati e di solite esenzioni per quelli privilegiati. La “svolta” si ebbe il 3 marzo 1766 quando Luigi XV intervenne in lit de justice facendo leggere un proprio discorso al parlamento di Parigi noto come “il discorso della flagellazione” con il quale flagellò privilegi e prerogative parlamentari giungendo a ricordare che soltanto nella sua persona risiede il potere sovrano e il potere legislativo. A dar manforte al Re contro i Parlamentari intervenne l’avvocato René-Nicolas de Maupeou nominato guardasigilli. Dopo un braccio di ferro tra re e Parlamento si giunse alla convocazione di tutti i membri del Parlamento e all’espulsione di tutti coloro che si rifiutavano di prendere servizio. Le funzioni del parlamento vennero momentaneamente assunte dal Consiglio del Re. Il 10 maggio 1774 la morte del re e la successione al trono di Luigi XVI determinarono l’esautoramento della carica del risoluto guardasigilli. Era il trionfo della nobiltà. Una nuova stagione restauratrice del vecchio ordine e dei sempre inattaccabili privilegi sembrava così aprirsi. A controllare le finanze venne chiamato Turgot che era intendente a Limoges dove aveva riequilibrato il sistema di riscossione delle imposte, aveva compilato un catasto, sostituita la corvée con una tassa in denaro a carico del proprietario fondiario e favorita la libera circolazione delle merci. A questa sua esperienza si sommava l’influenza della scuola fisiocratica. Allora dalla considerazione della terra come unica fonte di produzione di ricchezza dovevano discendere due conseguenze:

Sua tassazione unitaria e uniforme indipendentemente dal ceto sociale; Agevolazioni al commercio della produzione agricola fino alla libera

circolazione.

Si concentrò sulla seconda e nel settembre 1774 ordinò il libero commercio dei cereali nel regno ( anche se quell’anno ci fu uno scarso raccolto). Turgot fece una politica di basso profilo riordinando la riscossione delle imposte e contenendo la spesa pubblica. Quando abolì la corvée per la costruzione di opere pubbliche, il parlamento si oppose. Il re lo licenziò e così cadde di nuovo l’intelaiatura dell’ennesimo progetto riformatore.

CAPITOLO 21. L’EPOPEA RIVOLUZIONARIA: LA RIVOLUZONE BORGHESE

1.Prima della rivoluzione

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Il banchiere calvinista ginevrino Jacques Necker, dopo un decennio di favolosi affari, dal 1762 aveva fatto del suo salotto uno dei più noti ritrovi intellettuali della capitale. Le ostilità e le reazioni conseguenti ai tentativi di riordinamento giuridico ed economico avanzati dal Turgot, portarono Necker alla carica di direttore delle finanze ( dal 1776 al 1781). La crisi francese che si trovò a dover fronteggiare era più finanziaria ed economica. Il paese nel suo complesso produceva ricchezza sviluppo demografico e urbanistico; rete stradale sviluppata; sistema dei trasporti pubblici rimodernizzato e la stessa ripartizione della proprietà terriera appariva ripartita in percentuali più o meno uguale tra clero e nobiltà, borghesia e contadina. La pressione fiscale non era maggiore di quella negli altri paesi. Il problema era l’incidenza della spesa pubblica che sopravanzava le entrate, e la ripartizione sociale del carico fiscale era diseguale ( un contadino piccolo proprietario pagava più del 50% di imposte dirette).

Né la riforma dell’amministrazione del demanio, o della gestione delle imposte dirette, o la riduzione di uffici e spese della corte, apportarono benefici rilevanti. Il Necker venne licenziato per la pubblicazione dei Compte rendu au roi ( rendiconto pubblico) che era un rendiconto delle entrate e delle spese da cui emergeva un deficit di soli 10 milioni da i 254 di entrate e i 264 di spese ( peccato che il rendiconto trattava solo di spese ordinarie e non straordinarie) consentiva però di leggere le spese di corte, le pensioni e i benefici concessi dal re a esponenti del clero e dell’aristocrazia fu uno scandalo pubblico.

Il posto di Necker venne preso da Charles-Alexandre de Calonne che era legato agli ambienti di corte. Non volle prendere inizialmente provvedimenti clamorosi, ma dovette continuare a fare ricorso a prestiti. Il 20 agosto 1786 Calonne presentò un piano che prevedeva un’imposta non personale ma sulla proprietà fondiaria proporzionale al reddito. Veniva offerto, in cambio, un sistema di rappresentanze elettive aperto ai contribuenti con reddito annuo di almeno 600 lire. Per scavalcare l’opposizione dei parlamenti, Luigi XVI e Calonne ricorsero ad un istituto antico e straordinario : L’assemblea dei notabili del regno. Fu cosi che nel 1787 si riunirono 144 esponenti di alto clero e alta aristocrazia, che tuttavia , contrariamente a quanto sperato, non sostennero il piano finanziario presentato da Calonne, costringendo il Re a sostituirlo con l’arcivescovo di Tolosa Etienne-Charles Loménie de Brienne. Questo dovette far ricorso a un nuovo prestito trovandosi a percorrere la stessa strada del predecessore, con l’imposta di quotità, a cui furono assoggettati clero e nobiltà, ma prefissandone l’importo annuo. La parola tornò al Parlamento che chiesero di convocare gli Stati Generali.

iniziò un testa a testa tra il Parlamento e la corona. Il Re annunciò una serie di riforme che limitavano i poteri del parlamento. Gli editti di Lamoignon prevedevano il trasferimento delle competenze dei Parlamenti alle 45 corti di baliaggio e a una corte plenaria. I Parlamenti venivano dichiarati in vacanza. Anche l’assemblea dei notabili chiese la convocazione degli Stati Generali decidendo nell’attesa di non approvare più alcuna tassa o sussidio fiscale. Il 1 maggio 1789 vennero convocati gli Stati Generali a Parigi. I parlamentari vennero ristabiliti nelle loro antiche funzioni. Nel frattempo Nacker con il sostegno dell’opinione pubblica veniva richiamato alla guida delle finanze.

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2.Gli Stati Generali e la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”.

La convocazione degli stati generali pero il 5 maggio 1789 provocò però l’immediata rottura dell’alleanza anti monarchica tra aristocrazia e borghesia. A prendere la guida dell’opposizione alla restaurazione della società del privilegio, fu il partito nazionale, composto da esponenti della borghesia colta e dell’aristocrazia che reclamavano l’eguaglianza giuridica e fiscale espressa attraverso una campagna d’opinione nei caffè letterari, nei circoli e nei club. Si chiedeva inoltre che fosse raddoppiata la presenza del terzo stato alla prossima riunione degli stati generali e che si votasse per testa e non più per ordine. L’aristocrazia fu perfettamente consapevole del rischio giuridico e nel dicembre fece pressioni sul re perché ora difendesse la sua brava antica e rispettabile nobiltà. Il regolamento elettorale del 1789 emanato dal re non accennava al tipo di voto ma regolava le procedure per le elezioni interne. Nel corso della campagna elettorale il partito nazionale riuscì a tenere serrate le fila delle rivendicazioni politiche e giuridiche, presentandosi come un organismo non solo dirigente ma anche rappresentativo del terzo stato. Opuscoli e pamphlets circolarono in tutta la Francia diretti rispettivamente a formare:

Una coscienza consapevole di classe; E al rappresentare al re, avvertito come giudice giusto, lo stato delle

sofferenze e dei torti subiti.

Un opuscolo che ottenne successo fu quello di Sieyés: Cos’è il terzo stato. Cos’è il terzo stato? Tutto. Che cosa è stato fino ad oggi? Niente. Che cosa chiede? Di divenire qualcosa.

Presentati il 2 maggio 1789 al re i 1165 deputati degli stati generali ( 291 del clero, 270 dell’aristocrazia, 604 del terzo stato) il 5 ebbe luogo la solenne inaugurazione con un breve discorso del re e di Necker che dopo un discorso di 3 ore deluse le aspettative del terzo stato che aveva sperato nell’annuncio delle riforme giuridiche e fiscali ormai da tempo richieste. Il 6 maggio, i rappresentanti del terzo stato si definirono sul modello inglese deputati dei Comuni e rifiutando di riunirsi separatamente in una propria assemblea compivano il primo atto rivoluzionario non obbedendo più alla divisione per ordini della rappresentanza sociale. Il braccio di ferro continuò per oltre un mese, fino a che Sieyes ricordò ai deputati dei comuni di rappresentare il 96% della nazione e propose loro di costituirsi in Assemblea nazionale. La sua proposta venne approvata con larga maggioranza il 17 giugno. Due giorni dopo l’assemblea del clero decideva di aderire all’Assemblea nazionale. I deputati dei comuni si riunirono nella sala della Pallacorda, giurandovi di riunirsi ovunque fosse stato possibile fino a che la Costituzione del regno non sia instaurata.

Il discorso del Re fu una serie di concessioni e restrizioni: garantiva le libertà individuali e di stampa, ma abrogava le decisioni del terzo stato; consentiva l’eguaglianza fiscale lasciando però in vigore decime ecclesiastiche e diritti feudali ordinando lo scioglimento della seduta del terzo stato che venne il

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giorno dopo raggiunto dalla maggioranza del clero e da una cinquantina di nobili guidati dal duca d’Orleans.

Il 7 luglio il comitato costituente fece approvare la proclamazione dell’Assemblea in Assemblea nazionale costituente. Il giorno dopo il terzo stato provvide alla costituzione di una guardia municipale di armi. Il re liquidò i becchi ministri e nominando al proprio posto esponenti della reazione aristocratica. Crebbe quindi la tensione con scontri di piazza tra la folla.

Il popolo parigino il 13 luglio decise allora di innalzare barricate e cercare armi ovunque. Il giorno seguente la folla tumultuante si diresse alla Bastiglia. La folla voleva sfondare il portone non per liberare detenuti politici, ma per prendere armi. Il governatore consentì l’accesso nella fortezza alla folla. Era la sera del 14 Luglio 1789. A Parigi intanto si era costituito un organo di amministrazione borgheseLa Comune con sindaco Bailly. Il re aveva rifiutato il ricorso alla forza dimostrandosi quindi debole. Aveva preso avvio quel fenomeno di emigrazione aristocratica che portò alla formazione di un nucleo di nobili scampati alla ghigliottina a Coblenza.

Il clamoroso episodio della presa della Bastiglia provocò una sorta di scossa elettrica che diede vita a reazioni diverse nei centri urbani e nelle campagne. A Parigi si era già iniziato a procedere a esecuzioni sommarie. Nelle altre città la vecchia amministrazione non esisteva più. Diversa la situazione nelle campagne dove l’immagine del re era ancora di colui che riparava i torti. Si determinò un fenomeno di angoscia collettiva definito grande paura.

Era iniziata il 1 agosto la discussione in Assemblea di quella che sarebbe stata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. I deputati avevano a rischio le loro stesse proprietà fondiarie. Il 4 agosto 1789 si giunse a votare l’abrogazione del regime feudale. Dal punto di vista giuridico si era stabilita l’uguaglianza tra persone, indipendentemente dall’appartenenza al ceto. Nella discussione plenaria si manifestarono perplessità di promulgare un testo sul modello della costituzione americana. Il 19 agosto decisero di procedere all’elaborazione di una Dichiarazione dei diritti. Il 20 agosto venne approvato il Preambolo e i primi articoli. Il 26 agosto 1789 vide effettivamente approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Il preambolo parlava di diritti naturali inalienabili e sacri dell’uomo in 17 articoli.

Art 2: diritti inalienabili sono la libertà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.

Art 3: il principio di ogni sovranità risiede nella nazione. Art 6: la legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini sono

uguali ai suoi occhi. Art 7 : norme di garanzia giuridica per il cittadino. Art 11 : libertà di pensiero, di stampa e di associazione. Art 13 : indispensabilità della contribuzione fiscale di tutti i cittadini. Art 15 : responsabilità del pubblico ufficiale. Art 16 : garanzie individuali del cittadino. Art 17 : esproprio della proprietà per pubblica necessità.

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L’impianto giuridico di fondo della dichiarazione rispondeva ad una dialettica interna ad uno stesso fronte anti aristocratico ma moderato. L’ispirazione è lockiana e quindi esprime un nesso tra libertà e uguaglianza civile, ma non economica.

3. La costituzione monarchica

Le discussioni in Assemblea sul testo della Costituzione da far seguire a quello della Dichiarazione dei diritti fecero ormai emergere le divisioni ideologiche. Intanto fin dall’inizio di luglio del 1789 il termine costituzione appariva del tutto indefinito. Per costituzione si doveva intendere un ordine fisso e stabilito della maniera di governare appoggiato su regole fondamentali create dal consenso libero e formale di una nazione. La discussione fu quindi stretta fra una resistenza monarchica e il timore borghese di un seguito rivoluzionario. L’ala destra dell’Assemblea pensava ormai di chiudere la Rivoluzione, proponendo la richiesta della sanzione regia ai decreti assembleari in cambio di nuove istituzioni politiche a tutela della monarchia. Proposero inoltre l’istituzione di una camera alta sul modello inglese e potere di veto al re. Immediate le reazioni della sinistra che poté contare su un giovane deputato degli Stati Generali, Robespierre.

Aveva partecipato alla prima fase della rivoluzione e si era messo in mostra con una relazione in favore dell’elezione popolare di curati e vescovi. Aveva inoltre proposto un decreto in base al quale la vendetta e i crimini sono un diritto della Nazione, ossia un intervento a favore del primato della volontà popolare sulle procedure giudiziarie. “ le leggi altro non sono che gli atti di una volontà generale[..]. chi sostiene che un individuo ha il diritto di opporsi alla legge, sostiene che la volontà di uno è al di sopra della volontà di tutti.”

La sinistra moderata dell’assemblea si vedeva scavalcata non solo dai sostenitori di Robespierre, ma da un’opinione pubblica che aveva trasportato la passione politica dal salotto letterario al club politico. Uno dei più importanti fu il club dei giacobini, egemonizzato da Robespierre. Presso un altro convento si riunivano i cordiglieri che era un club che avevano un carattere più popolaresco e meno raffinato. Il ruolo non era solo quello di informare i cittadini, ma anche quello di informare i deputati dei bisogni e delle grida dei cittadini.

A fine settembre le discussioni assembleari si erano impantanate sulla questione della scelta dei ministri e del relativo potere.

Scintilla il 1 ottobre durante una cena di gala alcuni ufficiali calpestarono la coccarda tricolore, inneggiando la regina: una folla invase la reggia, insultò la regina e obbligò il Re a lasciare Versailles per trasferirsi a Parigi cosa che avvenne il 6 ottobre. In Assemblea si discusse subito del problema economico – finanziario. Di Charles Maurice de Talleyrand fu l’idea di risanare il debito pubblico con la confisca dei beni del clero. La proposta era propriamente rivoluzionaria e venne accettata.

Si definì il clero amministratore e i beni immobilivennero valutati 3 miliardi. Furono emessi assegnati per 400 milioni

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in una sorta di beni del Tesoro che si trasformarono in carta moneta causando un’altissimainflazione che peggiorò la situazione.

Il principio giuridico su cui poggiava la manovra di recupero del patrimonio immobiliare ecclesiastico prevedeva un intervento diretto dello stato nell’organizzazione della vita ecclesiastica nazionale. L’Assemblea il 12 luglio votava la Costituzione civile del clero. Si decise di ristabilire i confini delle diocesi stabilendo che esse dovessero essere 83( anzi che 130) e doveva esserci un vescovo per ogni dipartimento. Ma il vescovo doveva essere eletto dalla stessa assemblea dipartimentale. la reazione del clero francese fu cosi compatta che per ottenere l’approvazione si preferì percorrere la strada di un contatto diplomatico con la Santa Sede. Dopo le indecisioni di Roma toccò a Luigi XVI rompere gli indugi, e la festa di San Luigi, il 24 agosto, il re sanzionava la Costituzione civile del clero che entrava cosi in vigore. Solo 7 vescovi accettarono di giurare di osservare la costituzione.

Due erano le questioni costituzionali che ancora non venivano risolte in seno all’Assemblea:

La nomina dei ministri La legge elettorale

Per il primo caso si decise solo al re spetta la nomina e la revoca dei ministri. I ministri sono inoltre tenuti a presentare ogni anno al Corpo legislativo il quadro delle spese da fare nel loro dicastero. La legge elettorale venne approvata il 22 dicembre 1789 ma per l’accentuato carattere censitario provocò continue tensioni fino ad essere ridiscussa. Si dovette al Sieyés l’impianto giuridico politico che distingueva tra cittadini che non contribuivano al sistema tributario, e che erano titolari di soli diritti passivi, e cittadini che contribuendo diventavano titolari di diritti attivi, cioè politici.

Si poteva votare per eleggere gli elettori se il tributo annuo fosse stato pari a 3 giornate lavorative;

Gli elettori potevano eleggere i deputati solo se il loro tributo fosse stato pari a 10 giornate lavorative;

Gli eleggibili erano contribuenti annui per almeno 50 livres.

Solo 5 deputati si pronunciarono per il suffragio universale. Subito dopo l’approvazione Robespierre parlò di riconoscere i diritti politici a ebrei e uomini di teatro “ l’interesse generale è quello del popolo. Quello dei ricchi è un interesse particolare”.

Luigi XVI iniziò ad organizzare una fuga spinto dalle pressioni psicologiche di Maria Antonietta. il momento per la fuga organizzata da Maria Antonietta e dal de Fersen era indubbiamente ben scelto. I problemi stavano sorgendo per le approvazioni dell’Assemblea che giungeva ora a votare il nuovo diritto internazionale che rifiutava la guerra come guerra di conquista ma piuttosto come accettazione della volontà dei popoli. La fuga dell’intera famiglia prese avvio nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1791 da una porta del palazzo delle

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Tuileries. Diretta nelle Ardenne la carrozza regia partita con 5 ore di ritardo giunta a Varennes non trovò pronto il cambio dei cavalli e fu costretta a fermarsi. Già in precedenza il re si era fatto riconoscere. Il popolo e ussari accorsero e il giorno dopo la famiglia reale fu costretta a un rientro a Parigi nel silenzio del popolo.

Questo episodio rappresenta la fine dell’antica monarchia capetingia. L’assembla dovette sospendere il re dalle sue funzioni fornendo la spiegazione che l’episodio era stato un tentativo di rapire il re.

LA COSTITUZIONE FU DEFINITIVAMENTE APPROVATA DALL’ASSEMBLEA NAZIONALE IL 3 SETTEMBRE 1791, GIURATA DA LUIGI XVI IL 14 SETTEMBRE.

Suffragio censitario Monocamerale con prerogative di :

spese pubbliche; ripartire il contributo diretto; decidere la creazione o soppressione di uffici pubblici; decidere la guerra

Separazione dei poteri Legislativo camera Giudiziariogiudici eletti dal popolo Esecutivo re ( capo delle forze armate, nomina gli ambasciatori, i

generali, può non sanzionare un decreto). Sovranità della nazione

CAPITOLO 22. IL RADICALISMO RIVOLUZIONARIO

1. La nascita della Repubblica

L’Assemblea nazionale costituente su proposta di Robespierre, del 16 maggio 1791 aveva votato l’ineleggibilità dei suoi membri alla prossima assemblea legislativa. Il secondo turno elettorale di fine agosto si tenne sotto l’effetto della Dichiarazione di Pillnitz in cui l’imperatore d’Austria e il re di Prussia avevano minacciato un intervento militare in Francia a favore del Re. Questo non aveva fatto altro che accrescere il sentimento nazionale. Il 31 settembre l’assemblea legislativa nuova di riuniva. Dei 745 deputati 264 erano foglianti della ex sinistra moderata del triunvirato, Barnave-Duport-Lameth e di Lafayette; 136 erano i giacobini ( o girondini) e infine i rimanenti deputati erano di centro senza ideologia, ma in grado di modificare gli schieramenti. L’assemblea legislativa votò allora 4 decreti:

1. Intimazione al fratello del re, Carlo d’Artois di rientrare in patri, pena la perdita dei diritti di successione al trono;

2. Analoga intimazione a tutti gli altri emigranti sotto pena di confisca dei beni;

3. Nuovo giuramento ai preti refrattari;4. Intimazione ai principi tedeschi di cessare di accogliere gli emigranti.

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Il re operò il suo diritto di veto sugli aristocratici e sui preti. Frattanto c’era alle porte la guerra. A favore della guerra c’erano le forze di sinistra e coloro che avevano interessi economici e finanziari; Contro la guerra c’era l’ala moderata come Robespierre cosciente della situazione in cui si trovava l’esercito. La decisione a favore della guerra venne votata il 20 aprile del 1792 dall’Assemblea legislativa francese su proposta di Luigi XVI. La Prussia entra in guerra affianco dell’Austria, ma lo stato delle finanze francesi era disastroso in più c’era disorganizzazione e indisciplina tanto che dopo un mese i militari già chiedevano di chiedere la pace. La tensione crebbe quando il re pose il veto su due decreti : deprtazione a Soissons di preti che fossero stati denunciati per refrattari da almeno 20 cittadini; formazione di 20.000 uomini come Guardia nazionale.

Ripresero ad essere organizzate le giornate popolari cioè iniziative di piazza dirette a far sentire la pressione su corona e parlamento. Il 20 giugno ’92 la folla invase l’assemblea e il palazzo reale. Robespierre cavalcava ormai la protesta popolare antimonarchica, antigirondina e antiparlamentare: il 29 luglio chiese lo scioglimento dell’Assemblea legislativa e l’istituzione di una convenzione per la riforma della costituzione. Le sezioni parigine del movimento giacobino continuavano a premere sull’Assemblea legislativa chiedendo che si pronunciasse sulla decadenza del re entro la mezzanotte del 9 agosto. Passato questo termine scattò l’insurrezione: il popolo invase l’Hotel de Ville uccidendo il comandante della Guardia nazionale e proclamarono la Comune insurrezionale. Marciò sul palazzo delle Tuileries e il re fu costretto a rifugiarsi nella sala dove era riunita l’assemblea. Il re venne sospeso dalle funzioni e venne indetto il suffragio universale per la nuova assemblea costituente: la Convenzione nazionale. Era l’accettazione integrale del programma di Robespierre imposto dalla piazza al parlamento. Un Assemblea legislativa votò subito l’istituzione di un Consiglio provvisorio formato da 6 ministri.

Continua inoltre la guerra con l’Austria e Prussia che hanno via libera verso Parigi. Quello che era in pericolo era la Patria e la Rivoluzione. A Parigi la reazione popolare si abbatté nelle carceri dove vennero massacrati 1300 prigionieri convinti della nascita di un complotto. La Comune insurrezionale intanto a parigi preparava la difesa della città corrono alle armi i volontari ( i sanculotti) che combattono senza esperienza militare ma per la patria. Lo scontro di Valmy del settembre del 92 arresta l’avanzata sulla città e impone il ritiro delle truppe prussiane. La rivoluzione e la Francia sono libere. Lo stesso giorno si insedia la Convenzione nazionale con degli schieramenti diversi questa volta: a destra c’erano i girondini, circa 200; a sinistra l’ala radicale giacobina, guidata da Robespierre e il solito raggruppamento di centro. Su un punto risultarono subito d’accordo : decretare all’unanimità che la monarchia è abolita in Francia ( 21 settembre 1792). Anche se questo bruciò i progetti federativi girondini.

Entrambi i gruppi più marcati, girondini e montagnardi erano espressione del Terzo stato; borghesi dunque entrambi.

I girondini erano espressione dell’alta borghesia, legalitaria, costituzionale e liberista;

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I montagnardi erano espressione del popolo partigiano e operaio ( i sanculotti).

Il processo al Re e la giornata insurrezionale del 10 agosto erano problemi connessi: il non processo avrebbe portato la sconfessione dell’insurrezione. Il 20 novembre fu scoperto alle Tuileries il vero e proprio archivio segreto di Luigi XVI che consentì di documentare tutte le trame del re con i nemici della nazione. Il processo non era più eludibile. Il 14 gennaio 1793 la Convenzione chiamò infatti i deputati a rispondere con voto pubblico per appello nominale a tre quesiti:

1. Colpevolezza del re;2. Appello alla nazione dopo la sentenza;3. Sulla pena;

Luigi XVI venne dichiarato colpevole con voto unanime. Fu condannato a morte e il 21 gennaio 1793 alle 11 di mattina veniva ghigliottinato a Place de la Revolution. L’esecuzione era ormai la guerra dell’ancien regime contro la Rivoluzione.

2. La reazione europea

Le cancellerie europee in un primo momento rimasero a guardare il drammatico sviluppo rivoluzionario che paralizzava la politica estera francese. Ma mentre erano prossime a concludersi le facili manovre militari russo prussiane contro la Polonia, il nuovo esercito rivoluzionario si era ormai mosso e inseguendo quello prussianno dal giorno di Valmy aveva passato il Reno e occupato Worms, Magonza e Francoforte. La guerra era culminata nel decreto del 19 novembre 1792 :” la Convenzione dichiara in nome della nazione francese che accorderà fratellanza e aiuti a tutti i popoli che vorranno recuperare la loro libertà”: i popoli dunque venivano liberati, non più territori nemici occupati esercito rivoluzionario come esercito di liberazione.

Il conflitto lambiva ormai la penisola italiana e preoccupava l’Inghilterra che da sempre temeva l’affacciarsi della Francia sulle coste olandesi. Pio VI condannava le stesse norme della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino considerati contrari ai principi e alla prassi ecclesiastica. La sorveglianza sugli stranieri a Roma, soprattutto sui francesi si fece più intensa mentre sorgeva la psicosi di un complotto. Un complotto che avrebbe visto concorrere alla distruzione della Chiesa e del suo Stato, illuministi, massoni, giacobini ed ebrei. Nel clima di tensione occorse anche un grave incidente diplomatica il 13 gennaio 1793 allorché Hugon de Bassville, segretario del rappresentante diplomatico francese presso la corte borbonica di Napoli, fu assassinato dalla folla a Roma determinando una dura reazione della Convenzione che ebbe l’effetto di portare diplomaticamente dalla parte della Santa Sede, potenze protestanti ( tipo Svezia e Inghilterra).

In Inghilterra il nuovo re Giorgio III e i tories cercavano di riguadagnare alla corona il potere perduto in favore del parlamento. Uno degli intellettuali più in vista fu Edmund Burke che ruppe l’unità ideologica filofrancese del partito repubblicano le Reflexions on the revolution in France. Polemico contro quanti

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vedevano nella rivoluzione francese un modello politico istituzionale utile per la realtà inglese. Egli considerava la libertà frutto di un processo storico politico consuetudinario non di un improvviso proclama assoluto.

3. La crisi della Rivoluzione

La guerra ebbe conseguenze sulla situazione politica interna francese nella quale al crescere dell’inflazione e dei prezzi seguirono sommosse popolari specie nelle campagne mentre operai disoccupati saccheggiavano negozi e case. L’andamento della guerra risultò critico per le armi francesi strutturate ancora su un sistema misto : volontari e vecchi battaglioni di linea tanto che fu necessaria la legge dell’ “amalgama” per unificare il sistema. In più venne introdotta la leva obbligatoria di 300.000 uomini. Le truppe prussiane intanto riprendevano Worms, Spira e assediavano Magonza, mentre la leva obbligatoria venne contrastata dai contadini. Gli scontri si ebbero sia coi borghesi delle città sostenitori della Rivoluzione, sia con le truppe della Guardia nazionale spedite urgentemente in Vandea. Quella che sembrava un fenomeno contadino si trasformò in un movimento controrivoluzionario dotato di proprie bandiere e di propri capi militari. La strategia era di puntare ai porti del nord per mettersi in contatto con l’Inghilterra. La resistenza della borghesia delle città portuali vanificò il progetto vandeano. In estate dovettero essere invitati ben due eserciti regolari contro i vandeani per cercare di riprendere il controllo della situazione. Era ormai una guerra civile. Le forze vandeane vennero distrutte il 22-23 dicembre 1793 e la repressione che seguì fu uno sterminio con 250.000 vittime. La resistenza vandeana dalla guerra passò alla guerriglia e la rivolta continuò a covare sotto la cenere delle distruzioni.

La: Difficile situazione economica del paese La crisi militare L’insurrezione vadeana

Avevano posto il problema drammatico ai deputati della Convenzione se salvare ormai la Repubblica o la Rivoluzione. Al moderatismo dei girondini si opponeva il radicalismo dei montagnardi. La Montagna riuscì a imporre alla Convenzione provvedimenti straordinari: dopo l’istituzione del Tribunale rivoluzionario, ora i comitati di sorveglianza rivoluzionaria incaricati di arrestare i cittadini freddi verso la rivoluzione. Seguì l’istituzione del Comitato di Salute. I girondini gridavano alla dittatura. Prendeva piede un’altra rivolta al centralismo rivoluzionario : la “rivolta federalista” politicamente legata alla Gironda. Il giorno seguente Robespierre chiamava il popolo sanculotto all’insurrezione.

Il 31 maggio con una marcia sulla Convenzione fu presentato un programma ulteriormente rivoluzionario: epurazione dei girondini, arresto dei sospetti e diritti di voto ai soli sanculotti. Al rifiuto dei deputati di accettare i sanculotti radunarono 80.000 armati e puntarono i cannoni sulla Convenzione

Il 24 Giugno 1793 la nuova Costituzione venne applicata ( seconda costituzione monarchica; prima repubblicana). Il testo prevedeva 400 articoli in cui veniva enunciato il suffragio universale, predominio del potere legislativo sull’esecutivo e rafforzamento dei principi dipartimentali. Lo stesso giorno

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veniva varata una nuova Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Art 2: diritti imprescrittibili come l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza e la proprietà;

Art 3: ogni sovranità risiede nella nazione; Art 25 : la sovranità risiede nel popolo; Art 9 : la legge deve proteggere la libertà pubblica e individuale contro

l’oppressione di chi governa; Art 33-35 : il più sacro dei diritti è l’insurrezione del popolo contro il

governo; Art 118: il popolo francese è l’amico e l’alleato naturale dei popoli liberi; Art 120: esso da asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la causa

della libertà; lo rifiuta ai tiranni.

La Costituzione del ’93 non entrò mai in vigore per la crisi militare che impone il governo provvisorio fino alla fine della guerra. Le nuove elezioni del 27 luglio ’93 per il rinnovo dei membri del comitato di salute portano alla nomina di Robespierre, Saint Just, ecc.. è il cosiddetto Grande Comitato dell’anno II della Repubblica. Per risolvere la situazione dovettero mediare con il movimento popolare di Hébert e Roux. Intanto però si erano riproposte le giornate popolari, gli arrabbiati erano insorti era il terrore.

4.Il democratismo radicale e la reazione termidoriana

Queste ultime giornate popolari erano diverse perché ora la Montagna era al potere. Si sente la necessità di sintesi tra sovranità e rappresentanza ossia una guida politica di partito come unico interprete della volontà popolare, un’unica volontà generale. Inizia però così una forma di terrore totalitario che impone la riduzione e coesione a popolo. Ebbe inizio la serie dei grandi processi : in meno di un anno tra il 93 e il 94 le condanne a morte erano il 79%.

Oltre al recupero della sovranità interna contro la Vandea e la rivolta federalista, il Comitato di Salute doveva affrontare anche la guerra in politica estera che tra ottobre a dicembre del ’93 era passata sotto il controllo del Comitato. Un caso di malversazione determinò accidentalmente un aggrovigliarsi di tensioni che avviò la spirale della crisi.

Un deputato della Convenzione, Philippe D’Englentine, amico di Danton, fu coinvolto nel caso della chiusura della Compagnia delle Indie. D’Englentine iniziò una polemica contro una pattuglia di deputati dell’estrema sinistra accusandoli d’intesa con lo straniero. Nacque la psicosi di un complotto straniero e Danton e Robespierre ne approfittarono per colpire la sinistra, la quale rispose attaccando la responsabilità del Comitato di Salute. La reazione di sinistra peggiorò quando si scoprì delle colpe del d’Englentine. Scoppia un insurrezione appoggiata da Hébert i cui capi vennero ghigliottinati sotto ordine del comitato di salute. I dirigenti dell’opposizione del governo non esistevano più.

CAPITOLO 23. L’ETA’ NAPOLEONICA

1.Il Direttorio

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Morto Robespierre, non vi era alcuna volontà da parte dei termidoriani di porre fine all’esperienza politica rivoluzionaria e repubblicana. Né dunque di far venir meno la guida montagnarda alla Convenzione. Barére rappresentava, assieme al Collot d’Herbois, la sinistra termidoriana, cui si opponeva una destra sempre termidoriana, cui si opponeva una destra, parimenti termidoriana, rappresentata da Barras e Tallien, pronta a chiudere con gli eccessi del terrore l’attività degli organismi che lo avevano reso possibile, come il Comitato di Salute. Le prigioni venivano svuotate e veniva terminata l’attività dei comitati rivoluzionari delle provincie. Veniva riavviato il processo di liberalizzazione dell’economia senza risolvere però il problema monetario. Alle misure post termidoriane prese piede un nuovo sistema di indirizzo politico che non mancò di conseguenze istituzionali internazionali non meno che di reazioni popolari.

Prese allora piede un fenomeno chiamato terrore bianco cioè la caccia all’uomo, solo che ora veniva praticata ai danni di chi fino ad ora era stato cacciatore, cioè sanculotti, esponenti del movimento popolare parigino, giacobini o montagnardi, membri dei club e sezioni. Esponenti di questo voltafaccia furono Barrras, Frèron e Tallien. A dare segno di resistenza, a denunciare i gravi pericoli di involuzione ideologica del nuovo corso politico emerse una singolare figura allora nota come François Noel Babeuf, un giornalista che nel suo giornale Le tribun du peuple scriveva di rimpiangere il sistema di Robespierre invitando il popolo sanculotto all’insurrezione ( per questo Babefu venne arrestato). Il problema era tuttavia la dispersione delle forze dei centri organizzativi. Per questo furono condannate a un fallimento le riprese di quelle manifestazioni che un tempo si chiamavano “giornate popolari”. Il 1 aprile ’95 una folla invase l’aula della Convenzione chiedendo pane e la Costituzione del ’93 che ancora non era in vigore. La Guardia nazionale disperse i manifestanti, decretò lo stato d’assedio e vennero arrestati gli esponenti montagnardi.

Malgrado ciò le agitazioni popolari continuarono a scuotere tutta la Francia sempre a causa della carestia e della crisi monetaria. Il 20 maggio la folla invase nuovamente la Convenzione ma stavolta ci scappò un morto : un deputato linciato mentre veniva letto un proclama insurrezionale. Il giorno dopo la folla conquistò militarmente la sede dell’Assemblea. Truppe dell’esercito dovettero essere impiegate nelle operazioni che si conclusero la sera del 22 maggio con il controllo militare dei quartieri e con una serie di processi a danno degli insorti. Dopo la prima invasione della sede dell’Assemblea , fu costituita una commissione con l’incarico di proporre delle leggi organiche d’attuazione della Costituzione.

Un mese dopo le giornate insurrezionali il relatore della Convenzione, Franois Antoine Boissy d’Anglas definiva la Costituzione repubblicana del 1793 l’organizzazione dell’anarchia. Il destino della Costituzione del ’93 era segnato non sarebbe mai entrata in vigore.

L’opera demolitoria del Boissy ai danni della Costituzione del ’93 procedeva di pari passo con la costruzione del nuovo testo che doveva dunque essere ispirato a quei principi ideologici, a quei criteri giuridico politici negati dall’esperienza del radicalismo rivoluzionario e cioè la restrizione censitaria del suffragio, del bicameralismo e il rafforzamento del potere esecutivo.

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La Convenzione non oppose alcuna resistenza al progetto conservatore. Il vero suffragio universale fu proposto da Jacques Marie Rouzet che lo intendeva esteso anche alle donne. Alla fine del ’94 una congiuntura internazionale favorevole aveva permesso alle armati francesi un recupero offensivo che le aveva portate a controllare il Belgio, passare la riva del Reno e occupare l’Olanda. Problema polacco : un insurrezione nazionale guidata da Varsavia nel marzo del ’94 stava rimettendo in discussione lo status quo. Le truppe russe furono cacciate da Varsavia che fu invano assediata da forze prussiane. Nell’ottobre 1794 l’esercito di volontari e regolari polacchi si batteva invano contro due armate russe inviate da Caterina II. Nel Novembre assediava Varsavia che pagava la sua resistenza con 8000 soldati e 12.000 civili. Il trattato di Pietroburgo vedeva una spartizione solo tra Austria e Russia. La Prussia mostrò allora una arrendevolezza nel corso dei colloqui di pace con la Francia giungendo nel trattato di Basilea del 5 aprile ’95 a denunciare l’alleanza con l’Austria. Finiva formalmente con questo accordo la prima coalizione antifrancese. La fine della coalizione faceva progressivamente venire a patti con la Francia repubblicana gli altri minori Stati membri come l’Olanda e la Spagna.

Ciononostante le condizioni di generale favore interno e internazionale maturate nella primavera estate del ’95 consentirono alla Francia di portare a termine il nuovo testo costituzionale : dal 17 luglio era in discussione alla Convenzione il principio del bicameralismo che vide un solo deputato opporvisi. Si decise che oltre a una Dichiarazione dei diritti dovesse esserci una Dichiarazione dei doveri, a precedere il testo costituzionale. Il nuovo testo costituzionale venne approvato il 22 agosto 1795. La Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino era divisa in 2 parti: Una prima parte ( 22 articoli) riguarda i diritti. 9 articoli riguardavano i doveri.

Art 1: i diritti dell’uomo sono la libertà l’uguaglianza la sicurezza e la proprietà

Art 3: l’eguaglianza consiste nel fatto che la legge è uguale per tutti ( uguaglianza giuridica e non economica)

Art 17: la sovranità risiede nell’universalità dei cittadini ( non più nel popolo);

Art 18: nessun cittadino più attribuirsi la sovranità.

Art 1: la dichiarazione dei diritti contiene gli obblighi dei legislatori; la conservazione della società richiede che quelli che la compongono conoscano e compiano ugualmente i loro doveri.

Art 2 : non fate agli altri ciò che non volete sia fatto a voi Art 8 : è sul mantenimento della proprietà che riposa l’ordine

sociale; Art 9 : ogni cittadino deve i suoi servizi alla patria e al

mantenimento della libertà

La nuova Costituzione prevedeva per la prima volta che le colonie francesi sono parte integrante della Repubblica e sono sottoposte alla stessa legislazione.

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Non veniva però abolita la schiavitù. Il potere legislativo era articolato in due camere:

Il Consiglio degli anziani Il Consiglio dei cinquecento i cui membri restavano in carica 3 anni.

La proposta delle leggi appartiene al Consiglio dei Cinquecento mentre al Consiglio degli Anziani spetta il compito di respingere o approvare le risoluzioni del CdC. Il potere esecutivo è affidato a un Direttorio di cinque membri eletti in carica per 5 anni dal CdA su una lista di 50 membri soppostagli dal CdC. Il Direttorio è l’organo collegiale a capo dello Stato e del governo e provvede alla sicurezza interna ed esterna della Repubblica. Nomina e revoca i ministri ma le attribuzione e il numero sono di competenza del legislativo. Il potere giudiziario rimaneva distinto dagli altri due poteri.

L’impianto generale di questa Costituzione la riporta evidentemente ai principi del 1789 piuttosto che a quelli del ’93. La convenzione però prima che la Costituzione venne approvata aggiunse alcuni provvedimenti di dubbia legalità come quello di stabilire che i 2/3 dei membri delle nuove camere dovesse essere eletto tra i deputati della Convenzione ; un altro decreto prevedeva che dove non fosse stata raggiunta quella proporzione per via elettorale avrebbe provveduto la Convenzione a nominare i membri per cooptazione. Il 23 settembre 1795 la Convenzione dichiarava approvata la Costituzione e i provvedimenti, ma anche qui le misure da cui era stata accompagnata ne segnavano la fallimentare via.

La destra infatti aveva iniziato a fine settembre a dar vita a una vera e propria insurrezione popolare che sfociò il 5 ottobre in una vera e propria insurrezione della capitale. Vennero eletti 5 membri del Direttorio:

1. Barras2. Lazare Carnot3. Lepaux4. Reubell 5. Letourneur

Dal primo proclama lanciato da questa nuova istituzione si capirono le linee guida del governo

Lotta ai tentativi di restaurazione monarchica Repressione delle fazioni e riattivazione del patriottismo Rivitalizzazione dell’Industria e del commercio Risanamento del credito pubblico Riapertura dei clubs dei giacobini Fuori uscita del sistema della carta moneta.

2.Napoleone e l’Italia giacobina

Prime congiure giacobine contro l’ordine ancien régime s’erano già avute in alcuni Stati italiani. Lo stato della Chiesa e il regno di Napoli e di Sardegna furono i territori in cui si scontrarono vecchie e nuove tendenze culturali. Alle

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immediate simpatie riscosse dalla prima fase della Rivoluzione francese tra il ceto colto italiano seguì un moto contrario fra lo sdegno e l’orrore che iniziò a manifestarsi già dopo l’esecuzione di Luigi XVI. Allora venne meno la voglia di “nuovo”. A dar manforte, per contro al mito della Rivoluzione nel suo complesso, senza dunque distinguersi tra le due fasi, moderata e radicale, provvidero i centri di informazione politica e propaganda ideologica agenti spesso sotto copertura diplomatica. Le logge massoniche trasformarono il loro indirizzo politico da fil conservatore in fil rivoluzionario. Importante anche la funzione di aggregazione socio culturale svolta dalle Accademie.

Il localismo, lo spontaneismo, l’isolamento tra l’una e l’altra congiura giacobina che caratterizzano questi primi anni di movimento in Italia tra il 1792 e il 1795, dimostrano da un lato la preesistenza del fenomeno rispetto alla discesa delle truppe militari francesi nella primavera del 1796, dall’altro all’azione di influenza ideologica che a seguire sarebbe stata esercitata sul variegato mondo giacobino italiano dall’esule toscano in Francia, Filippo Buonarroti.

In Corsica agisce in favore della Rivoluzione e stringe amicizia con Giuseppe e Napoleone Bonaparte. Nel ’93 raggiunse Parigi dove entra in contatto con Robespierre di cui sarà sempre un seguace radicale. Arrestato qualche mese dopo la reazione termidoriana, nel febbraio del ’95 e tradotto in prigione a Parigi come partigiano del sistema del terrore ne sarebbe uscito a seguito dell’amnistia del 26 ottobre 1795. Con Buonarroti esce di prigione anche Gracco Babeuf ( esponente del giornalismo della sinistra radicale). Nel club del Pantheon si erano riuniti robespierristi ( Buonarroti) ed ex anti robespierristi (Babeuf) uniti dal comune bersaglio dei termidoriani. Sul Tribune du peuple venne pubblicato il Manifeste des plébéiens con l’enunciazione esplicita del principio della comunità dei beni e del lavoro. La dottrina politica babeuvista partiva dal presupposto dell’eguaglianza di natura e dunque anche del relativo obbligo al lavoro. Bandiera del manifesto tornava ad essere la Costituzione del ’93. Si era costituito attorno al Babeuf un comitato insurrezionale di ordine pubblico, tutti i congiurati si definivano uguali tanto che venne chiamata la congiura degli eguali. L’azione era ovviamente segreta al popolo e doveva essere svelata solo la parte utile a guadagnare le simpatie politiche. Questa propaganda ebbe l’effetto di destare le reazioni di parte politica avversa e i sospetti del Direttorio che fece chiudere il club.

Buonarroti continuava intanto a raccogliere attorno a sé nuclei di esuli e profughi italiani progettando disegni insurrezionali anche in Italia. Per questo Buonarroti tramava con Babeuf per il nuovo ordine anti proprietario e per ripristinare la Costituzione del ’93 contro il Direttorio.

Ripresa delle operazioni militari il grosso dell’esercito agiva in Germania meridionale mentre forze minori avrebbero dovuto avere ruoli diversi. Emerse così la figura di Napoleone Bonaparte a capo del comando in Italia. Nato in Corsica ad Ajaccio vi tornò per prendere parte alla guerra contro la flotta inglese. La famiglia si stanziò a Tolone mentre lui prendeva servizio a Nizza. Durante il periodo termidoriano si fece dei mesi di carcere per le sue idee robespierriste. Ottenne poi il comando della seconda armée in Italia.

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Insediatosi al comando dell’armata avanzò direttamente per il passo di Cadibona e trovandosi di fronte a tre armate piemontesi riuscì a disperdere le forze e a sconfiggerle. Il 15 maggio con la pace di Parigi sottomette Amedeo II di Savoia. In quel periodo (11 maggio) doveva esserci l’insurrezione di Babeuf e Buonarroti che però vennero scoperti e alla vigilia (10 maggio) arrestati. Buonarroti ottenne grazie a napoleone i domiciliari. Intanto Napoleone aveva successi militari in Italia a Lodi, Mantova, Parma e Modena e Livorno. Nella situazione della Lombardia alle trionfali accoglienze seguirono momenti difficili sul piano economico e sul piano politico istituzionale. Milano era ormai il centro della cultura politica e dei progetti giacobini per l’intera Italia.

Il 27 settembre 1796 viene bandito un concorso sul tema: quale dei governi liberi conviene all’Italia? Il concorso si trasformò in una sorta di “palestra costituzionale”: vi parteciparono 57 persone e fu vinto da Melchiorre Gioia, ma vennero pubblicate oltre alla sua altre 10 tesi. La proposta di Gioia partiva dalla necessità di basarsi sui modelli della costituzione francese del 95: dunque eguaglianza giuridica , moderatismo, gradualismo nella formazione della Repubblica . La maggior parte delle tesi si basava sull’idea di una e indivisibile repubblica. Ma ci furono anche qualche tesi federalista, come quella di Antonio Ranza che prevedeva 11 repubbliche ognuna con una propria Convenzione e Costituzione facente capo a un Consiglio permanente composto da due deputati per ognuna delle repubbliche.

Ma a fronte di tanti progetti la situazione effettiva della Lombardia rimaneva nelle mani di Napoleone. La prima repubblica nata in Italia fu quella cispadana distante dalla cultura politica di Milano. Napoleone, in un congresso a Modena il 16 ottobre 1796 dei rappresentanti delle municipalità di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, dette vita alla Confederazione cispadana. Pochi mesi dopo si discusse la sostituzione della confederazione a carattere militare con l’istituzione di una Repubblica una e indivisibile comprendente anche la Lombardia. Nasce la Repubblica e il 7 gennaio 1797 viene deciso di dotarsi di una nuova bandiera con il tricolore.

La tendenza moderata prevalente impose un testo costituzionale ispirato a quello francese del 1795. Preceduta da una Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino era formata da 404 articoli e prevedeva un corpo legislativo bicamerale : il Consiglio dei Sessanta e dei Trenta, eletti a doppio turno; il potere esecutivo era affidato a un direttorio di tre membri nominati dal corpo legislativo. Le elezioni per la nomina del Consiglio dei Trenta e dei Sessanta diedero un esito più che positivo e ciò impensierì Napoleone che provvide a una ricompattazione politico geografica del territorio sotto il suo controllo militare. Napoleone riteneva necessario vedersi riconosciuti i suoi domini in Lombardia, in cambio avrebbe ceduto la Repubblica di Venezia agli Asburgo. Il Direttorio inviò istruzioni a Napoleone di una politica esattamente contraria. Tra maggio e giugno del ’97 N. aggregando le vecchie legazioni pontificie e il ducato di Modena e Reggio della repubblica cispadana, con la ex Lombardia austriaca costituì la nuova repubblica cisalpina con capitale Milano. Lo schema costituzionale era analogo a quello francese, ma sciolto allora il governo della Rep cispadana non si provvide ad elezioni ma alla nomina diretta da parte di Napoleone dei cinque direttori.

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Il 17 ottobre 1797 veniva firmata la pace con l’Austria ( Campoformio). La Repubblica di Venezia veniva cancellata politicamente e geograficamente : il Veneto e la costa istriana e dalmata venivano ceduti all’Austria che riconosceva la nuova Repubblica cisalpina e si impegnava a far riconoscere il possesso francese della riva sinistra del Reno da un’apposita dieta di Stati tedeschi convocata a Rastadt il mese seguente. La reazione dei patriottici fu indignata.

La situazione interna francese si avvitò ulteriormente riprendendo l’abitudine del colpo di mano contro i risultati elettorali. Il Direttorio era diviso tra le figure politiche di Barras e di Carnot. I nodi vennero al pettine con le elezioni della primavera del 1797 che videro il previsto successo della destra. A presiedere i Consigli dei Cinquecento e degli Anziani vennero eletti rispettivamente Marbois e il generale Pichegru. I primi provvedimenti legislativi furono ovviamente di tutto favore per gli emigranti e per i preti refrattari. Barras allora passò alla controffensiva: ruppe i rapporti con Carnot e chiamò ai dicasteri degli Esteri e della Guerra, Tayllerand e il generale Hoche che avevano intanto ordinato alle sue truppe di mettersi in marcia su Parigi. Il Direttorio diviso al suo interno si trovò nella posizione di cedere alla destra o affidarsi a generali lealisti per un colpo di mano. Napoleone partecipò al complotto fornendo le prove del tradimento di Pichegru. La posizione legalitaria di Carnot spianò la strada a un colpo di mano di Barras. Nella notte del 4 settembre 1797 le truppe dell’armata di Hoche occuparono la sede della aule parlamentari e presidiarono Parigi. In questa nuova situazione i due consigli furono obbligati a varare leggi di salute pubblica imposte da un Direttorio di triunviri ( Barras, La Réveillière e Reubell) e quindi proscrivere nuovamente emigranti e preti refrattari, riattribuendo poteri esclusivi all’esecutivo. Di questo colpo di stato approfittò Napoleone per condurre in proprio quella politica estera che portò alla pace di Campoformio ( agisce indisturbato in Italia).

In Italia la nascita delle Repubbliche sorelle continuò in modo disorganico. Esemplare il caso di quella romana dove c’erano difficili circostanze economico e sociali, di un cattivo raccolto. A Roma tumulti di piazza ebbero come bersaglio edifici pubblici francesi tra cui la stessa residenza dell’ambasciatore. Il 15 febbraio al Foro romano appena un centinaio di patrioti con l’appoggio di soldati francesi deciso con l’Atto del popolo sovrano, la proclamazione della Repubblica. Il papa rifiutò di riconoscere la Repubblica. Le truppe francesi occuparono il Vaticano. La Repubblica romana nasceva dunque a seguito dell’intervento militare francese avviato contro dimostrazioni e scontri di piazza che avevano avuto bersagli francesi. Ma la redazione della Costituzione della nuova Repubblica fu affidata a 4 commissari francesi inviati a Roma dal Direttorio che si limitarono ad un adattamento della costituzione francese del ’95: Tribunato e Senato ; 5 consoli e separazione dei poteri. L’articolo 369 disponeva un ‘alleanza tra la repubblica romana e la repubblica francese. Ogni legge emanata dai consigli legislativi romani non poteva essere approvata senza l’approvazione del generale del comandante delle truppe francesi era una Repubblica a sovranità limitata.

A Napoli l’occupazione militare francese di Roma e la conseguente Repubblica avevano destato preoccupazioni sfruttate a corte dalla locale lobby inglese. Con il trattato di Vienna del 19 maggio ’98 il regno di Napoli aveva

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trovato la piena disponibilità austriaca ad un’azione congiunta antifrancese. Dopo lo scontro navale di Abukir la flotta inglese aveva distrutto quella francese e aveva bloccato l’esercito di Napoleone in Egitto e aveva reso sicuro le coste borboniche da minacce navali francesi. A Napoli si pensò giunto il momento per far sgombrare da Roma l’inquietante presenza francese. Il 23 novembre le truppe borboniche invasero da sud il territorio della Repubblica romana. le truppe francesi si ritiravano a Civita Castellana ma con una controffensiva batterono le truppe austro-borboniche. Il vicario generale del regno a Napoli, Francesco Pignatelli, concluse allora l’11 gennaio una tregua con il generale Championnett. Alla notizia della tregua insorse la Napoli sanfedista e l’esercito francese dovette combattere con i Lazzari. Il centro giacobino napoletano occupò allora Castel Sant’Elmo, forte strategico per la difesa di Napoli, proclamando l’insurrezione della Repubblica partenopea. L’incarico ufficiale di apportare un testo base fu affidato ad un apposito comitato di legislazione. Il testo non si poté però approvare dinnanzi al precipitare della situazione militare e all’abbandono francese di Napoli e della relativa Repubblica giacobina potere legislativo bicamerale, e potere esecutivo a un organo collegiale di 5 membri.

In Piemonte si era avvertita forte la delusione verso la Francia del Direttorio. La scelta era quella di costituire una nuova Repubblica o di annettersi alla Francia. Si decise per la seconda per un motivo fiscale. Tra il Piemonte e la Repubblica cisalpina si creò un’organizzazione segreta, la Società dei Raggi con lo scopo di creare un un’unica e indivisibile Repubblica italiana.

3.Il Consolato

Il 27 Novembre 1797 si aprì il Congresso di Rastadt che avrebbe dovuto decidere dell’assetto definitivo della riva sinistra del Reno. Da parte austriaca si sarebbe potuto accettare lo sconfinamento francese solo in cambio di contropartite in Italia. L’intransigenza francese nel non cedere i territori italiani si spiega con la politica di Napoleone che aveva fatto dell’Italia la base del suo potere personale. Le Repubbliche sorelle erano diventate fondamentali per il risanamento delle finanze francesi. In complesso la situazione economico finanziaria francese migliorò determinando ripercussioni sociali negative sugli strati più bassi della popolazione. Il Direttorio fece circolare idee come il pericolo sociale di nuove leggi agrarie e di pericolo di ritorno al terrore. Ci fu una legge truffaldina che affidava ai due Consigli in carica la verifica dei poteri dei nuovi eletti. Ad elezioni avvenute ci fu un ennesima legge truffa contro elezioni di deputati che erano ritenuti non in linea con la politica del Direttorio. Il Congresso di Rastadt infine si scioglieva senza aver definito la situazione del Reno.

Napoleone da sempre aveva parlato dei progetti mediterranei della Francia. Secondo questa strategia l’Egitto avrebbe dovuto avere lo scopo di recidere il commercio con l’estremo oriente dell’Inghilterra provocandone la strozzatura economica. L’armata di Napoleone veleggiò verso Oriente sfuggendo alle ricerche della flotta inglese di Nelson. Il 2 luglio sbarca a Malta e il 23 al Cairo. Qualche giorno dopo la flotta inglese distruggeva 11 dei 13 vascelli francesi. Napoleone, prigioniero della sua vittoria, riorganizzò l’amministrazione e l’economia.

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L’impresa d’Egitto aveva rimesso in movimento la diplomazia europea. Zar era diventato Paolo I, contrario ai principi della Rivoluzione francese. La Russia diventò protagonista di una serie di accordi anti francese con Napoli e Inghilterra. La Prussia rimaneva neutrale. Il teatro principale delle operazioni francesi avrebbe dovuto essere il fronte del Reno. Ma di nuovo il fronte austriaco respinse l’esercito francese e teatro divenne l’Italia. Il Piemonte venne preso dalle truppe russe, la Liguria rimaneva francese e Napoli veniva isolata tanto da capitolare il 13 giugno 1799. In cambio della restituzione dei forti i patrioti repubblicani avrebbero avuto salva la vita. Ma l’ammiraglio Nelson tradì le capitolazioni consegnando ai boia l’intera dirigenza repubblicana ( 118 i condannati a morte). Il cerchio si stringeva intorno alla capitale: forze napoletane da sud, austriache da nord, insorgenti da est e la flotta inglese bloccava il porto di Civitavecchia. Il 30 settembre ’99 Roma veniva raggiunta dalle truppe napoletane.

Napoleone si imbarcò su una delle due navi francesi rimaste e arrivò a Parigi. La situazione militare era critica e la politica interna ne aveva risentito. Alle elezioni del ’99 si era rafforzata la sinistra giacobina. Si andava profilando uno scontro tra il Direttorio e i Consigli. Si creò un accordo tra Sieyes e Napoleone che vennero nominati in un Consolato a 3 : Bonaparte, Sieyes e Ducos. Sieyes gettò le linee guida della nuova politica.

Linee guida: sovranità nazionale; doveva essere la fiducia popolare e non la rappresentanza a strutturare il nuovo sistema; elezioni non di deputati ma di liste di fiducia che avrebbero dovuto essere formate nella misura progressiva di un decimo dell'elettorato: un decimo di notabili da cui sarebbero stati scelti un decimo di nomi che avrebbero costituito le liste di fiducia dal cui decimo sarebbe stata tratta la lista di fiducia nazionale da cui trarre ministri e membri dell’assemblee. La “scelta” spettava a un Grande elettore ( che avrebbe dovuto essere Napoleone) che tuttavia non aveva funzioni di governo e il cui ruolo poteva essere riassorbito dal Senato. Su questo punto Napoleone e Sieyes non si accordarono.

Si ripartì con una nuova proposta ispirata a Pierre-Claude Daunou che faceva capo su 3 consoli ( art 39) nominati per 10 anni e tra cui Napoleone era primo console. Sieyes e Ducos venivano nominati membri del Senato conservatore che era composto di 60 membri e non faceva parte del legislativo ma era una sorta di corpo elettorale esercitando il controllo di costituzionalità delle leggi. Il potere legislativo era affidato a due assemblee: il Tribunato e il Corpo legislativo. Le proposte di legge venivano solo dal 1 console ( era un legislativo privo di iniziativa).

Il testo di questa nuova costituzione, molto breve, appena 95 articoli, e senza una preliminare Dichiarazione dei diritti e dei doveri, entrò in vigore il 25 dicembre 1799, e l’approvazione popolare si ebbe il 7 febbraio 1800. Il primo console aveva un’agilità di potere che gli permisero di riprendere l’iniziativa in Italia.

Puntò direttamente su Milano anziché su Genova dove le truppe francesi erano sotto assedio da quelle austriache guidate da Melas. Ma la capitolazione di Genova consentì alle truppe austriache di rischierarsi verso occidente. Non fu

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facile a Napoleone vincere la battaglia di Marengo del giugno 1800. Le trattative di pace vengono formalizzate a Lunéville il 9 febbraio 1801 con cui l’Austria :

si impegnava a cedere alla Francia la riva sinistra del Reno e il possesso del Belgio;

doveva inoltre riconoscere la Repubblica cisalpina e di quella ligure; impegnarsi inoltre a garantire l’indipendenza di quella batava ed elvetica; infine accettare che il Granducato di Toscana diventasse con il ducato di

Parma e Piacenza, regno di Etruria.

Questa sistemazione servì a Napoleone per guadagnarsi l’appoggio della Spagna borbonica di Carlo IV. In compenso all’Austria veniva riconosciuto nuovamente il dominio territoriale sul Veneto e sulla costa dalmata. La situazione italiana era tornata sotto controllo francese. Rimaneva il problema dell’ostilità dell’Inghilterra.

L’inghilterra fu influenzata dall’ennesima imprevedibile manovra diplomatica dello zar Paolo I. dopo aver abbandonato la seconda coalizione, lo zar si accostò alla Francia tanto più che l’Inghilterra aveva preso Malta. Paolo I dette vita a una Lega di neutralità con tutti quelli Stati che subivano rappresaglie inglesi per il loro commercio con la Francia. Il bombardamento di Copenaghen da parte degli inglesi dimostrò la debolezza della Lega. L’ostilità inglese alla Francia non poteva sostanziarsi senza l’aiuto di qualche Stato disposto a combattere per gli interessi inglesi ma dopo l’intesa franco russa e franco spagnola; dopo la neutralità prussiana e dopo la pace di Lunéville, non ve ne erano più.

Ad Amiens il 25-27 marzo 1802 Francia, Inghilterra, Spagna ed Olanda firmarono una pace europea che vedeva sul continente il rispetto dello status quo e negli altri continenti il rispetto a restituire le colonie conquistate durante la guerra. Napoleone aveva dato alla Francia una pace vittoriosa. Anche riguardo alla politica interna francese si visse un periodo di stabilità. L’opposizione giacobina era vista come quella più pericolosa , per questo, prendendo spunto da un attentato fallito alla vita di Napoleone, e attribuito alla sinistra giacobina, si scatenarono di nuovo persecuzioni e processi politici, con seguito di condanne a morte ( anche se poi si scoprì che l’attentato era stato per mano della destra ). Joseph Fouché divenne ministro della polizia. Ci fu un risanamento finanziario e un attenzione all’istruzione. Nel 1800 venne creata la Banca di Francia. Riguardo ai rapporti con la Chiesa venne firmato un Concordato nel 1801 con il quale il cattolicesimo veniva dichiarata religione della maggior parte della popolazione; vennero inoltre istituite in Francia 60 diocesi. Napoleone ora si poteva dedicare a trasformare il suo potere

il Senato propose di dichiararlo Console per altri 10 anni ma Napoleone riuscì a farsi nominare Console a vita e a farsi attribuire il potere di designare il suo successore..--> il 2 agosto 1802 oltre 3 milioni e mezzo di elettori votarono a favore. Il Senato poi venne fatto dipendere dal Consolato e il Tribunato venne soppresso nel 1807.

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Venivano anche abolite le liste di fiducia e il potere del primo console veniva rafforzato. ERA L’AVVIO DELL’IMPERO. 4.L’apogeo dell’Impero

La pace di Amiens e il senato consulto sembravano poter garantire in Europa stabilità. Ma l’eccessiva sicurezza politico militare acquisita da Napoleone fu causa di un erosione dello status quo europeo a vantaggio della Francia.

In Italia era stata ricostituita la seconda Repubblica cisalpina. Ma un anno dopo, tra varie divergenze non si era venuti a capo di nulla. Per discutere la situazione in modo ufficiale Napoleone invitò a Lione una Consulta di 441 membri. Venne eletto così a capo della Repubblica, non più cisalpina, ma italiana. Questo mutamento istituzionale fornì all’Inghilterra un pretesto per non restituire Malta all’Ordine militare dei cavalieri di Rodi (come stabilito invece ad Amiens). Ci fu un nuovo attentato a Napoleone, sempre organizzato da Georges Cadoudal che aveva trovato rifugio in Inghilterra. Una volta arrestato si scoprì complice anche il ministro inglese William Windham. Napoleone decise per una sorta di “esempio” per far cessare quelli attentati venne ucciso il duca di Enghien.

Il Consiglio di stato propose la trasformazione ufficiale del consolato in Impero. L’art 1 del nuovo testo costituzionale stabiliva che “ il Governo della Repubblica è affidato ad un Imperatore”. L’art 2 indicava come imperatore Napoleone; l’art 3 stabiliva l’ereditarietà della dignità imperiale; infine l’art. 4 prevedeva la possibilità dell’imperatore di adottare figli o inserire nipoti nella linea di successione. L’incoronazione avvenne da parte del papa Pio VII ( la cerimonia avvenne il 2 dicembre 1804 nella cattedrale di Notre Dame): il pontefice unse l’imperatore dopo di che si ritirò Napoleone si incoronò da solo.

La guerra franco inglese non era più una sorpresa. Si trattava però di uno scontro che vedeva un grande esercito contro una grande flotta. L’Inghilterra si alleò allora con la Russia, e la Francia con la Spagna. L’iniziativa militare fu presa dall’Austria sul fronte del Reno che occupò la Baviera alleata della Francia. Le truppe francesi, presa Mangoza, puntarono verso il Danubio avvolgendo alle spalle l’esercito austriaco che si trincerò a Ulm capitolando. Nel frattempo la flotta franco spagnola aveva lasciato il porto di Cadice, e la flotta inglese di Nelson li inseguiva fino a capo Trafalgar dove il 21 ottobre 1805 le navi francesi aprirono le ostilità. La grande battaglia fu combattuta con grande eroismo, ma alla sera la flotta francese non esisteva più. L’Inghilterra rimaneva padrona dei mari così come la Francia lo era del continente. Napoleone entrò a Vienna e da lì si mosse contro l’esercito russo. Il 2 dicembre 1805 al termine della battaglia di Austerlitz, detta dei tre imperatori ( zar, imperatore d’Austria e Napoleone) il disastro delle forze coalizzate aveva raggiunto proporzioni clamorose.

Con la Pace di Presburgo del 26 dicembre 1805 (firmata dall’Austria) il Sacro Romano Impero non esisteva più e gli stati tedeschi formarono la Confederazione del Reno. Napoleone intanto insediava come re a Napoli suo fratello Giuseppe. La Russia e l’Inghilterra non avevano firmato ancora nessuna pace. A spingere la Prussia in guerra, e a costituire con Russia e Inghilterra la terza coalizione fu l’errore della diplomazia francese che intavolando discussioni di pace con l’Inghilterra propose la restituzione dell’Hannover

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appena ceduto alla Prussia. Ad Ottobre però è Napoleone a mettere d’accordo tutti quando le forze francesi sbaragliano quelle prussiane : i francesi occupano Weimer, Berlino e Varsavia da dove riprese le operazioni contro l’esercito russo contro il quale vinse la Battaglia di Friedland il 14 giugno 1807. Visto che l’obiettivo era quello di tutelare il commercio atlantico diretto in Francia, era inutile continuare una guerra contro la Russia. Francia e Russia firmarono un capitolato segreto di alleanza anti inglese che prevedeva una sorta di divisone dell’interno continente eurasiatico in due zone di influenza:

la Russia avrebbe potuto agire contro l’Impero ottomano e in Asia la Francia nel resto dell’Occidente e in Egitto

Napoleone era il vero padrone d’Europa anche se l’Inghilterra lo rimaneva dei mari

Francia e Inghilterra intanto si scontrano sul piano commerciale: l’Inghilterra impone a tutte le navi che vanno in Europa di fare scalo nei porti inglesi, e i francesi rispondono sequestrano le navi che avessero fatto scalo in qualche porto inglese.

La penisola iberica era un punto cruciale per l’andamento della guerra economica. Napoleone colse il pretesto da una sommossa popolare diretta contro il governo del primo ministro Godoy. Carlo IV aveva abdicato in favore del figlio. Napoleone convocò la famiglia reale con la quale strinse quattro diversi accordi:

1. Carlo IV revocava l’atto di abdicazione e cedeva a Napoleone i diritti del trono;

2. Anche Ferdinando VII accettava le clausole del padre;3. Napoleone cedeva i diritti della corona al fratello Giuseppe;4. Gioacchino Murat rimetteva il granducato di Berg nelle mani di

Napoleone.

Il problema venne dalle difficoltà interne della Spagna nella quale il paese intero si armò contro la presenza militare francese che era vista come un occupazione e non come una liberazione. La guerriglia vide la capitolazione delle forze francesi.

L’alleanza franco russa inoltre dava i primi segni di debolezza visto che stati come la Russia non avevano ancora sviluppato un sistema industriale capace di sostituirsi nella produzione dei manufatti altrimenti importati; inoltre mancava lo sbocco alla produzione agricola russa non assorbita dalle esigenze del solo mercato europeo. La situazione si modificò grazie a due personalità francesi: Fouché e Talleyrand. Quest’ultimo spinse lo zar Alessandro I a prendere una posizione contro Napoleone, mentre Fouché iniziò a proteggere gli oppositori di Napoleone. Progettarono una sua destituzione e quando vennero scoperti furono condannati.

A tutto ciò si aggiunse la rivincita politico militare della Prussia animata ancora una volta dall’Inghilterra. Per Napoleone le nuove caratteristiche della guerra si dimostravano più impervie. Ben 300 000 soldati francesi erano obbligati a

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presidiare la Spagna mentre il Tirolo era in rivolta. E proprio il Tirolo gli impediva di muoversi nella capitale austriaca. Solo quando dall’Italia giunsero rinforzi riuscì a costringere le truppe austriache a una ritirata. A Vienna il 14 ottobre 1809 veniva liquidata l’ennesima coalizione anglo austriaca: l’Austria perdeva Trieste, Gorizia, la Carniola e la Dalmazia che venivano a costituire un nuovo stato sotto protezione francese: le province Illiriche. Il Trentino inoltre passava all’Italia.

Con la pace di Vienna l’impero sembrò passare il suo periodo di apogeo politico, anche se delle crepe erano state create da alcuni errori politici. Intanto l’Austria passava la guida del governo a Klemens Wittenburg che fece sposare Napoleone con la figlia dell’Imperatore, Maria Luisa. Il matrimonio tra Maria Luisa e Napoleone comportava un ennesimo vantaggio per l’Austria: il progressivo allontanamento della Prussia dalla Francia. Il matrimonio fu celebrato il 2 aprile 1810 e il 20 marzo 1811 nasceva il tanto atteso erede.

La crisi economica che toccò Francia e Inghilterra pesò maggiormente sulla Russia, produttrice agricola senza ormai mercato pieno e senza industrie. Napoleone si rifiutò di dar seguito agli inviti russi di sgomberare militarmente la Pomerania e la Prussia orientale e riteneva giunto il momento del grande scontro a oriente: l’alleanza franco russa diventava un conflitto mortale. Con i Trattati di Parigi del 24 febbraio e del 14 marzo 1812 la Francia impegnava Prussia e Austria a fornire aiuti militari. La Russia rispondeva firmando a Pietroburgo il 5 aprile 1812 un trattato di alleanza con la Svezia di Carlo XII e a Bucarest un trattato con l’impero ottomano con cui veniva concordato il confine al fiume Pruth e la libera circolazione sul Danubio.

Era dunque la guerra. Napoleone, convocati l’imperatore d’Austria, il Re di Prussia e tutti i capi degli Stati tedeschi della Confederazione del Reno in un convegno a Dresda, si inoltrò al comando di un esercito multinazionale di 600.000 uomini in Polonia. Venti giorni dopo puntava su mosca. L’esercito russo retrocedeva senza opporre resistenza ma facendo terra bruciata al suo passaggio. La profondità del territorio russo e la distanza tra le basi di partenza rappresentarono il vero ostacolo all’avanzata francese. Solo a Smokensk vi fu una prima resistenza armata russa. Napoleone entrò a Mosca il 14 settembre 1812, ma la città non consentiva all’esercito francese di mantenersi militarmente e fu costretto a un ripiegamento verso sud per raggiungere l’immenso granaio ucraino. Lì incontrò la resistenza dell’esercito del Kutusov e fu costretto a ripercorrere la strada da cui era venuto senza rifornimenti alimentari.

La fragilità del regime napoleonico fu resa evidente da un colpo di mano tentato mentre Napoleone era in Russia da parte di un generale repubblicano, Malet e da un sacerdote realista Lafont. I due diffusero a Parigi la falsa notizia della morte di Napoleone e crearono un governo guidato dal generale Moreau ( vennero poi arrestati dal comandante della piazza di Parigi). La Francia senza più la Grand Armée non controllava più tutta l’Europa. A Tauroggen i reparti militari prussiani fino ad allora impegnati contro l’esercito russo, si schieravano contro la Francia dando inizio negli stati tedeschi ad una vera guerra per l’indipendenza. Napoleone non potè impedire la grande alleanza firmata a Breslavia il 28 febbraio del 1813 (sesta coalizione). Ogni angolo

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dell’Europa dal Baltico alla penisola iberica era in armi contro la Francia.

Napoleone al ritorno dalla Russia ricostruì un primo esercito con 300.000 uomini. Al passaggio dall’Elba delle truppe russo-prussiane, si mosse contro di loro e riuscì a vincere a Lutzen e a Bautzen. Con l’armistizio di Plesswitz riuscì ad ottenere una tregua di due mesi. Furono dunque avviate da entrambe le parti trattative diplomatiche. L’Inghilterra provvide a risaldare il fronte russo prussiano finanziano la ripresa delle operazioni militari. La Francia si rivolse all’Austria: Metternich per mantenere la posizione di neutralità austriaca richiedeva la restituzione delle Provincie illiriche, lo scioglimento della Confederazione del Reno e l’integrità territoriale della Prussia. Napoleone capì come accogliere queste richieste avrebbe vanificato la sua politica imperiale L’Austria aderì alla sesta coalizione contro la Francia. A Lipsia i 320.000 uomini della sesta coalizione ebbero ragione sui 120.000 soldati francesi.

Quando il 9 novembre Napoleone rientrava a Saint Cloud l’Impero non esisteva più : era iniziato lo sfaldamento politico diplomatico.

5.Il ripristino dell’ordine internazionale : la Restaurazione e il Congresso di Vienna

Metternich aveva offerto la pace a Napoleone e la Francia avrebbe potuto ottenere qualche vantaggio se Napoleone avesse lasciato il potere. Ma così non fu nonostante le fasce sociali che si erano arricchite con l’impero erano pronte a tradirlo. Era ormai prevedibile il ritorno della monarchia borbonica. Si era andata costituendo una rete politica di opposizione in contatto con gli inglesi.

Nel dicembre 1813 la Camera legislativa votava una mozione in cui prese atto della situazione di una Francia minacciata su tutti i fronti e attribuiva la responsabilità ad una amministrazione vessatoria. Era l’appello alla pace. Nelle trattative condotte a Chatillon sur Seine con i rappresentanti della sesta coalizione la Francia napoleonica non ottenne nulla di più delle già promesse frontiere naturali. Quando fu chiaro che le trattative di Chatillon non avrebbero portato a nulla Austria, Russia Inghilterra e Olanda firmarono un trattato a Chaumont il 1 marzo 1814, un trattato di alleanza formale che li impegnava a riprendere la guerra.

Le forze alleate erano troppo numerose per essere fermate. Napoleone s’era ritirato a Fontainebleau per un ultima resistenza. Intanto a Parigi le forze d’opposizione avevano creato un governo provvisorio con a capo Talleyrand. Il Senato il 2 aprile votava la decadenza di Napoleone e il ritorno di Luigi XVIII di Borbone. Napoleone abdicava il 4 aprile in favore del figlio. Appena pochi giorni dopo dovette sottoscrivere il trattato di Fontainebleau con il quale rinunciava a ogni diritto di sovranità sulla Francia; gli veniva assegnato il possesso dell’Isola d’Elba e un pagamento annuo di 2 milioni di franchi. Alla moglie andava il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Il 17 aprile partiva da Fontainebleau verso l’Isola d’Elba, si imbarcò da Fréjus su una nave inglese.

Il testo costituzionale del 6 aprile 1814 aveva un carattere di salvaguardia personale prevedendo all’articolo 6 il mantenimento col Senato, le rendite,

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l’inamovibilità e la trasmissibilità ereditaria del titolo di senatore. Luigi XVIII annunciò che avrebbe presentato un proprio testo all’approvazione del Corpo legislativo. Costituita un’altra commissione si giunse alla “carta octroyée” (cioè concessa dal sovrano):

Art 5: la religione cattolica tornava ad essere religione di Stato, pur concedendo la libertà di culto

Art 6: libertà di stampa; Art 8 : garantite le proprietà inviolabili; Art 9 : salvo esproprio per pubblica utilità; Art 10 : vietata l’azione poliziesca e penale sulle opinioni emesse fino alla

Restaurazione; Art 12: abolita la coscrizione militare; Art 13: potere esecutivo solo al Re, legislativo alla Camera dei Pari e dei

Deputati e dal Re; Art 16 : potere di iniziativa legislativa esclusivo del Re; Art 27 : deliberazioni della Camera dei Pari ( membri nominati dal re )

segrete; Art 32: la Camera dei deputati era elettiva con suffragio censitario; Art 70: la nobiltà antica riprende i suoi titoli

Un forte malessere si sparse tra le fila dell’esercito mentre venivano ricostruite quelle antiche e inutili unità scenografiche dei corpi addetti al re e alla corte.

Napoleone quando ebbe notizia del malessere sociale in Francia abbandonò l’Elba e sbarcò di nuovo a Fréjus. Aveva racimolato 1000 veterani e il numero aumentò man mano che veniva accolto trionfalmente da contadini, operai e soldati. Il trionfo di Napoleone fu chiaro quando il maresciallo Ney allora comandante delle truppe della Franca Contea, passò dalla sua parte ( invece di arrestarlo). Luigi XVIII fuggiva allora in Belgio e Napoleone rientrava a Parigi iniziando il suo ultimo periodo di politica, chiamato dei Cento giorni.

Napoleone si affidò a Benjamin Constant e Lazare Carnot. A Constant fu affidato il compito di redigere il nuovo progetto costituzionale; a Carnot venne affidato il Ministero degli interni. La coscrizione fruttò teoricamente circa 600.000 uomini ( in pratica 125.000). Questo diede vita alla settima coalizione. Si poteva inizialmente pensare a un ritorno di Napoleone alle origini ideologiche giacobine, tanto che aveva pubblicamente proclamato di rinunciare a ricostituire l’Impero. In realtà volle richiamare la Costituzione dell’anno VIII e i successivi Senato- consulti del 1802 e 1804. Ma mentre i lavori a Parigi procedevano, la parola decisiva era alle armi.

Napoleone aveva un esercito di circa 200.000 uomini. Puntò in Belgio e si trovò dinnanzi due armate, ad est una prussiana (guidata da Blucher) e a nord una anglo tedesca ( guidata da Wellington) non congiunte però tra loro. Li affrontò separatamente a Ligny sconfisse i prussiani di Blucher. L’ala sinistra francese affronta l’armata di Wellington che però retrocede verso nord avvicinandosi a quello prussiano. Il 18 giugno 1815 Napoleone avanza su Bruxelles ordinando l’attacco sull’ala sinistra a Waterloo. Avviene però il congiungimento delle truppe anglo prussiane che determina la crisi dell’esercito francese. La sera la

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partita è definitivamente chiusa e il 21 giugno Napoleone ritorna a Parigi. Lo stesso giorno abdica in favore del figlio.

Napoleone si consegnò spontaneamente all’esercito inglese. Il governo britannico aveva già deciso la sua deportazione nell’isola di Sant’Elena dove morì il 5 maggio 1821

Su iniziativa delle 4 potenze maggiori della sesta coalizione, Austria, Prussia, Russia e Inghilterra erano iniziate la trattative di pace a Vienna nel settembre 1814, per dare un nuovo assetto politico militare all’Europa. Queste trattative furono concluse il 9 giugno 1815. Il CONGRESSO DI VIENNA è ispirata a dei principi base:

Ordine internazionale antirivoluzionario Legittimità dinastica Principio dell’equilibrio

Questi principi furono rispettati solo quando conveniva agli stati vincitori. A Vienna erano presenti tutti gli stati europei:

Austria Imperatore Francesco IIPrussia Federico Guglielmo II e HardenbergRussia Zar Alessandro IInghilterra Primo ministro inglese Castlereagh e

WellingtonSanta Sede Cardinal ConsalviDanimarca TalleyrandFrancia Federico VI

L’Inghilterra aveva l’obiettivo di mantenere in equilibrio i piatti della bilancia evitando l’emergre di uno stato egemone. La Prussia puntava ad un ampliamento territoriale. La confederazione del Reno cessava di esistere e si creò la Confederazione di 39 stati tedeschi. Olanda e Belgio venivano a costituire il regno dei Paesi Bassi. Spagna e Portogallo tornavano a Ferdinando VII di Borbone e a Giovanni VI di Braganza. Gli Stati scandinavi ebbero tutti un giro vorticoso di territori e scompensi.

In Italia si era decisa la fine delle ostilità e il mantenimento del Beauharnais alla guida del regno. Ma proprio questa clausola creò ostilità: il partito degli “italici” provocò una sommossa a Milano e fu offerta così un’occasione d’oro all’Austria per occuparla. Murat riprese le armi contro gli austriaci e lanciò un appello agli italiani per una lotta di indipendenza nazionale, non trovando però riscontro. Fu costretto ad andare in esilio in Corsica e a lasciare il regno di Napoli a Ferdinando IV di Borbone. Questa fine dei due regni ( d’Italia e di Napoli) determinò l’assetto italiano stabilito al Congresso di Vienna e in particolare l’occupazione militare austriaca di Lombardia e Veneto portò alla formazione del regno Lombardo Veneto.

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Il principio di legittimità dinastica si applicò solo in favore all’Austria quando il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla furono lasciati a Maria Luisa d’Austria; il ducato di Modena con Reggio e Mirandola fu restituito a Ferdinando IV d’Este. Non utile all’Austria, non si applicò a Lucca. Il Regno di Sardegna inglobava la Repubblica di Genova. Veniva riconosciuto lo Stato pontificio sotto Pio VII. In conclusione l’Italia venne divisa in 3 regni e 4 ducati.

L’equilibrio, tanto più invocato, quanto maggiormente doveva coprire interessi egemonici, ebbe infine anche a Vienna una teorizzazione. Era stato invocato negli anni dell’egemonia napoleonica e condito di utopismo dallo zar Alessandro I vagheggiando una sorta di lega europea con diritto di mediazione coattiva. Alla fine dei lavori di Vienna quest’idea dello zar venne discussa tra il 14 e il 26 settembre 1815 e formalizzata nella SANTA ALLEANZA tra Russia, Austria e Prussia. Ai tre originari contraenti si aggiunse l’Inghilterra e i 4 si riunirono a Troppau dall’ottobre al dicembre 1820 sancendo il cosiddetto diritto di intervento: diritto di intervenire anche con la forza nella vita interna degli altri Stati ove disordini o rivolte avessero provocato il rovesciamento dei governi legittimi. L’Inghilterra non era legata a questi paesi da principi ideologici o religiosi bensì da principi di concertazione ossia di interesse comune nell’equilibrio.

Il grande strumento diplomatico costituito a Vienna si tramutò nella scintilla che accese l’incendi in quanto l’Europa che avevano di fronte era ormai un Europa dei popoli che aveva fatto propri dei nuovi principi ossia quelli della LIBERTA’ e della NAZIONALITA’. Napoleone aveva favorito lo sviluppo del senso di nazionalità diffondendo il modello di una guerra ideologica con la consapevolezza di sapere per cosa si stava combattendo e non per chi. La coscienza europea fu svegliata dalla nazionalizzazione delle masse.