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TUTTI iGIORNI Livorno La Settimana Diocesi di Livorno Via del Seminario, 61 - 57122 Livorno - tel. e fax 0586/210217 - [email protected] N. 3 10 MARZO 2015 I QUADERNI DEL PROGETTO CULTURALE - La Settimana Tutti i Giorni della Diocesi di Livorno - www.lasettimanalivorno.it PERIODICO DI INFORMAZIONE L a scuola è il luogo in cui l’educa- zione si realizza attraverso la tra- smissione di un patrimonio culturale elaborato dalla tradizione, mediante lo studio e la formazione di una co- scienza critica. Nella nostra società, tuttavia, è l’idea stessa di educazione che viene messa in discussione per- ché suppone un orizzonte di valori condiviso che oggi non esiste più. Negli ultimi anni anche la scuola è profondamente cambiata perché la società post moderna è caratterizzata dalla frammentazione, dalla comples- sità, dalla prevalenza della dimensio- ne individuale. Il desiderio di auto-re- alizzazione conta più del bene comu- ne, i legami tradizionali si allentano, tutto si fa più precario ed incerto. Oltre alla società è cambiato il concet- to di conoscenza che si identifica con una quantità di informazioni che sono insieme risorsa economica e strumen- to di scambio, perdendo ogni dimen- sione contemplativa; il sapere teorico nella nostra società è importante qua- si solo perché è in grado di generare innovazione. Se la conoscenza ha as- sunto un significato di questo tipo, la scuola di conseguenza è costretta ad inseguire modelli che mirano all’effi- cienza, più che all’educazione. A questo puntano anche le grandi isti- tuzioni sovranazionali, che svolgono un ruolo strategico nell’orientare le politiche pedagogiche, arrivando ad assorbire il concetto di educazione nella terna di concetti scuola, forma- zione, professione. Sulla base di queste convinzioni mol- ti pensano che educare non significhi più trasmettere un sapere, proporre valori, contenuti ed esperienze si- gnificative, ma piuttosto allenare gli alunni a muoversi nella complessità, utilizzando tutto, senza mai impe- gnarsi veramente con nulla. L’inse- gnante, secondo questa visione, non è più un maestro, ma un allenatore, non è più un educatore ma un facilitatore. E allora mi piace richiamare la visio- ne dell’educazione sintetizzata nel proverbio africano che Papa France- sco ha citato in occasione dell’incon- tro con il mondo della scuola dello scorso maggio: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Un villaggio, nella cultura africana, comprende le relazioni sociali di un bambino che cresce e diventa uomo con l’aiuto di tutte le persone che ha intorno. In queste relazioni occupa un posto privilegiato la scuola che, insieme alla famiglia, contribuisce in modo determinante alla costruzione della personalità. Pensando alla visione cristiana dell’e- ducazione non si può non fare riferi- mento a Don Bosco che diceva ai suoi allievi che si preparavano a diventare educatori: “L’educazione è una cosa di cuore: tutto il lavoro parte da qui, e se il cuore non c’è, il lavoro è diffici- le e l’esito incerto. Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”. Una bella provocazione di quasi duecento anni fa che arriva fino agli educatori del nuovo millennio: senza cuore non si educa, si può al massimo allenare, ma non è la stessa cosa. Nicola Sangiacomo L’educazione è una questione di cuore «Per educare un bambino ci vuole un villaggio» Nella nostra società è l’idea stessa di educazione che viene messa in discussione perché suppone un oriz- zonte di valori condiviso che oggi non esiste più.

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La SettimanaDiocesi di Livorno

Via del Seminario, 61 - 57122 Livorno - tel. e fax 0586/210217 - [email protected]

N. 310 MARZO 2015

I QUADERNI DEL PROGETTO CULTURALE - La Settimana Tutti i Giorni della Diocesi di Livorno - www.lasettimanalivorno.it

PeRiOdicO di iNfORMAZiONe

La scuola è il luogo in cui l’educa-zione si realizza attraverso la tra-

smissione di un patrimonio culturale elaborato dalla tradizione, mediante lo studio e la formazione di una co-scienza critica. Nella nostra società, tuttavia, è l’idea stessa di educazione che viene messa in discussione per-ché suppone un orizzonte di valori condiviso che oggi non esiste più.Negli ultimi anni anche la scuola è profondamente cambiata perché la società post moderna è caratterizzata dalla frammentazione, dalla comples-sità, dalla prevalenza della dimensio-ne individuale. Il desiderio di auto-re-alizzazione conta più del bene comu-ne, i legami tradizionali si allentano, tutto si fa più precario ed incerto.Oltre alla società è cambiato il concet-to di conoscenza che si identifica con una quantità di informazioni che sono insieme risorsa economica e strumen-to di scambio, perdendo ogni dimen-sione contemplativa; il sapere teorico

nella nostra società è importante qua-si solo perché è in grado di generare innovazione. Se la conoscenza ha as-sunto un significato di questo tipo, la scuola di conseguenza è costretta ad inseguire modelli che mirano all’effi-cienza, più che all’educazione.A questo puntano anche le grandi isti-tuzioni sovranazionali, che svolgono un ruolo strategico nell’orientare le politiche pedagogiche, arrivando ad assorbire il concetto di educazione nella terna di concetti scuola, forma-zione, professione.Sulla base di queste convinzioni mol-ti pensano che educare non significhi più trasmettere un sapere, proporre

valori, contenuti ed esperienze si-gnificative, ma piuttosto allenare gli alunni a muoversi nella complessità, utilizzando tutto, senza mai impe-gnarsi veramente con nulla. L’inse-gnante, secondo questa visione, non è più un maestro, ma un allenatore, non è più un educatore ma un facilitatore.E allora mi piace richiamare la visio-ne dell’educazione sintetizzata nel proverbio africano che Papa France-sco ha citato in occasione dell’incon-tro con il mondo della scuola dello scorso maggio: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Un villaggio, nella cultura africana, comprende le relazioni sociali di un bambino che cresce e diventa uomo con l’aiuto di tutte le persone che ha intorno. In queste relazioni occupa un posto privilegiato la scuola che, insieme alla famiglia, contribuisce in modo determinante alla costruzione della personalità.Pensando alla visione cristiana dell’e-ducazione non si può non fare riferi-mento a Don Bosco che diceva ai suoi allievi che si preparavano a diventare educatori: “L’educazione è una cosa di cuore: tutto il lavoro parte da qui, e se il cuore non c’è, il lavoro è diffici-le e l’esito incerto. Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”.Una bella provocazione di quasi duecento anni fa che arriva fino agli educatori del nuovo millennio: senza cuore non si educa, si può al massimo allenare, ma non è la stessa cosa.

Nicola Sangiacomo

L’educazione è una questione di cuore«Per educare un bambino ci vuole un villaggio»

Nella nostra società è l’idea stessa di educazione che viene messa in discussione perché suppone un oriz-zonte di valori condiviso che oggi non esiste più.

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L’emergenza educativa è degli adulti!L’intervista al professor Franco Nembrini

Franco Nembrini è un professore, uno scrittore, e soprattutto un pa-

dre che del tema dell’educazione ha fatto il suo cavallo di battaglia. È ap-pena uscito il suo libro intitolato “Di padre in Figlio. Conversazioni sul ri-schio di educare”, partiamo da quello per rivolgergli alcune domande.

Lei sostiene che sia più difficile parlare di educazione che non edu-care di per sé…«È vero: l’educazione è prima di tutto una testimonianza non è un discorso o un contenuto che deve passare da un adulto, che presume di sapere cer-te cose, ad un ragazzo, uno studente, un bambino che si presume non le sappia. Non funziona così, è molto più semplice e più impegnativo allo stesso tempo: tutta la questione non riguarda tanto le nuove generazioni, quanto gli adulti; anzi, gli studenti e i ragazzi fanno benissimo il loro mestiere, che è quello di guardare gli adulti, paragonandosi a loro, aspet-tandosi da loro la testimonianza di una vita buona, grande, positiva, di una felicità possibile.Il problema dell’educazione è proprio questo: che cosa vedono i nostri figli quando nascono e poi entrano nel mondo con sempre maggiore consa-pevolezza? Che adulti vedono? Che testimonianza diamo loro? L’emer-genza educativa non riguarda i figli, ma gli adulti. Detto questo si tratta di capire in che senso una testimonianza è ciò che è bene per i nostri figli, in che senso gli strumenti che mettiamo in atto aiutino oppure rendano più difficile questo processo».

La scuola è considerata un’agenzia educativa. Lo è ancora secondo lei? Come potrebbe esserlo di più? Pro-fessori, programmi scolastici…«Da uomo di scuola, che ama la scuo-la, sia statale che paritaria, purtroppo devo ammettere che sta toccando il punto più basso, sta franando clamo-rosamente, ma non per gli insegnan-ti, perché ce ne sono di bravissimi,

quanto per il fatto che: prima di tut-to non è assolutamente al passo con i tempi, non riesce a mettere a tema cosa sta accadendo alle nuove gene-razioni, dal punto di vista istruttivo e formativo; siamo in arretrato di de-cenni e i ragazzi sono consapevoli di questo divario tra la scuola e la realtà.In seconda istanza perché c’è una re-sponsabilità gravissima ed annosa da parte della politica, che ha voluto fare della scuola un immenso ammortiz-zatore sociale, che anziché occuparsi della formazione dei ragazzi si è pre-occupato di dare lavoro ad un milione di persone. Le tantissime riforme non si sono minimamente interessate a correggere questo aspetto, facendo un passo avanti e rispondendo ai bisogni reali dei ragazzi, mentre si sono piut-tosto mosse secondo logiche di gestio-ne del personale. Questo da parte di governi di ogni ideologia politica. E questo aspetto è veramente grave, per-ché se non cambieranno le imposta-zioni formative non avremo un futuro.Cambiamenti si possono fare. Io ho l’esperienza della scuola paritaria «La Traccia», che ho fondato insie-me ad alcuni amici. Però i sacrifici sono tanti, perché le scuole paritarie ormai sono penalizzate. La politica dovrebbe creare lecondizioni per-ché chi vuol fare educazione riesca a farlo nella libertà. Lo statalismo imperante che c’è in Italia oggi tende

invece ad ammazzare quel poco che è rimasto di espressione educativa».

Anche la Chiesa è un’agenzia edu-cativa. Potrebbe esserlo di più?«Certo! Come ho detto prima, se educare è una testimonianza, tutte le agenzie educative devono rivedere questo aspetto. Da vent’anni faccia-mo dibattiti, riunioni, convegni su come le agenzie educative che han-no fatto la storia del nostro paese (Chiesa, Scuola e Famiglia) possa-no allearsi per operare con i ragaz-zi, personalmente non ci credo più. Bisogna tornare ancora più indietro, alle origini, ripartiamo dalla persona. Bisogna che gli educatori riprendano a muoversi tra i giovani, incontran-doli, valorizzandone le persone. A loro si affiancheranno altri che vo-gliono compiere lo stesso cammino, la stessa missione: È l’alleanza tra queste persone che poi rimetterà in moto tutto il sistema».

Nel suo libro afferma che per esse-re un buon genitore non serve farsi tanti problemi, basta esserlo e ai figli questo basta…«Lo ripeto, l’educazione è una testi-monianza non è un problema. Para-dossalmente il segreto dell’educazio-ne è non avere il problema dell’educa-zione! Nella vita ho incontrato grandi educatori, in primis i miei genitori:

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ringrazio mio padre di essersi occupa-to più della sua santità che non della mia. Così facendo me l’ha resa evi-dente, me l’ha resa desiderabile, mi ha incuriosito quella saggezza, quella letizia che lo ha sempre accompagna-to nella vita, senza che mai avesse il bisogno di convincermi di qualcosa.Mi pare che questa generazione soffra molto, di una sorta di non accettazio-ne da parte degli adulti. Ci siamo così impoveriti nella vita da ridurre l’esito educativo all’osservanza di alcune norme. Da quando nascono questi ra-gazzi in qualche modo si sentono dire che non vanno bene: non vanno bene ai genitori, ai professori, al prete, non vanno mai bene… questa gene-razione ha un oscuro senso di colpa (molti lo scrivono, o compiono gesti plateali), hanno la sensazione che nessuno sia contento semplicemente del fatto che loro esistano. Questa mancanza di perdono, di misericor-dia, mi sembra un po’ la cifra della

tragedia che stiamo vivendo. I nostri figli avrebbero il diritto di avere un papà e una mamma che li guardasse-ro (perché certe cose non c’è bisogno di dirle) con la gioia di chi è contento solo per il fatto che loro esistano, così come sono. Solo dopo inizia l’aspetto dell’aiuto, della correzione, ecc.. ma prima di tutto deve esserci lo sguar-do gioioso di chi è contento di loro a prescindere da tutto».

Forse anche la positività della vita è venuta a mancare, la speranza…«Purtroppo si. È così, i genitori nella loro testimonianza dovrebbero esse-re in grado di comunicare anche la grandezza della vita. Nei più giovani c’è sempre un grande senso di felicità e poi si trovano di fronte un mondo di adulti così piccolo, lamentoso, mi-sero, cinico, che il divario li fa im-pazzire, devono cercare qualcosa per sopire questa sofferenza. Se io mi sento fatto per cose grandi e tutto il

mondo intorno mi dice «vola basso, vola basso, accontentati» poi sono costretto a rifugiarmi nella droga, nell’alcool, in qualcosa che mi faccia evitare di pensare…Io sono convinto però che mai come oggi sia stato facile educare. Questa generazione di ragazzi è meraviglio-sa, perché è fragile, perché è povera. I nostri giovani hanno già visto così tanto schifo che non ne possono più e appena intravedono un minimo di bellezza riprendono coraggio. Quello che sembrava perso per sempre, an-che le cose più piccole, messe davan-ti ad un minimo di bellezza, possono tornare ad essere grandi. Davanti alla bellezza sono capaci di slanci di entu-siasmo impressionanti. Non abbiamo più alibi, noi adulti perché questa ge-nerazione di ragazzi, se posta davanti ad una proposta grande, risponde con un grandissimo entusiasmo».

Chiara Domenici

Chi è Franco nembrini

Franco Nembrini è un professore, uno scrittore, ma - come ci tiene a

sottolineare lui - soprattutto un padre che del tema dell’educazione ha fatto il suo cavallo di battaglia.Originario di Trescore Balneario (BG), classe 1955 come si legge nel-la sua biografia “ama definirsi figlio d’arte, dato che il padre era bidello nelle scuole medie del suo paese na-

tale. A quattordici anni giura nelle mani della professoressa di lettere delle medie che diventerà insegnan-te di italiano, ma a sedici è costretto per le esigenze della famiglia - dieci fratelli - a lasciare il liceo e a lavo-rare come operaio. A diciotto decide di prendere il diploma di maturità magistrale, e in tre mesi di “studio matto e disperatissimo” (Leopardi è, con Dante, l’altra sua grande passio-ne) prepara gli esami da privatista. Si iscrive quindi al corso di laurea in pedagogia all’Università Cattoli-ca di Milano. Nel frattempo inizia a insegnare religione (è il primo inse-gnante laico della diocesi), si sposa, diventa responsabile per Bergamo di Comunione e Liberazione. Si laurea nel 1982, e l’anno seguente può final-mente mantenere il suo giuramento, e diventa insegnante di letteratura nelle scuole superiori.Nello stesso 1983 un gruppo di ge-nitori disperati bussa alla sua porta: “Vorremmo una scuola che affianchi la famiglia nel suo compito educati-vo rispettandone i valori e la tradizio-ne”. Comincia così l’avventura della scuola libera La Traccia: nata con un

piccolo corso di scuola media, oggi conta due sezioni di scuola elementa-re, quattro di medie, tre licei (scienti-fico, linguistico e artistico), con poco meno di mille alunni. Nel frattempo dal matrimonio con Grazia ha avuto Stefano e Andrea; negli anni seguenti arriveranno Marco e Gabriele.Dal 1999 al 2006 è presidente della Federazione Opere Educative (FOE), l’associazione di scuole paritarie le-gata alla CdO, e fa parte del Consi-glio nazionale della scuola cattolica e della Consulta nazionale di pastorale scolastica della CEI, nonché della Commissione per la parità scolasti-ca del Ministero dell’istruzione. Dal 2008 al 2011 è responsabile degli insegnanti e degli studenti medi su-periori del movimento di Comunione e Liberazione. È soprattutto in que-sti anni che inizia a tenere centinaia di incontri pubblici, in tutta Italia e anche all’estero - dal Brasile alla Russia, passando per Spagna, Re-pubblica Ceca, Ungheria -, parlando specialmente di Dante e di questioni relative all’educazione. Oggi è retto-re del Centro scolastico La Traccia di Calcinate in provincia di Bergamo.

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di Pierluigi Giovannetti*

Il Rapporto ‘La buona scuola. Fac-ciamo crescere il Paese’, redatto dal Governo italiano per un rilancio del sistema scolastico contiene alcune idee nuove ed innovative e solleci-tazioni che ci interessa raccogliere come il riportare la scuola al centro dell’attenzione pubblica, riconoscen-do nell’educazione/istruzione la leva fondamentale per la crescita dell’in-tero Paese, che “la scuola diventi il filo forte di un tessuto sociale da ram-mendare, che ritorni ad essere centro inclusivo e gravitazionale di scambi culturali, creativi, intergenerazionali, produttivi”.

Vogliamo raccogliere questa sfidaLo scopo della scuola, di tutta la scuo-la statale o paritaria che sia, è che at-traverso l’istruzione si “sviluppi nei ragazzi la curiosità per il mondo e il pensiero critico”. E che questo possa accadere “per tutti e per ciascuno”. Ciò che permette l’educazione è per-ciò innanzitutto la presenza di adulti autorevoli e capaci di prendere sul se-rio e di valorizzare la domanda di cul-tura, e perciò di senso, dello studente. Adulti che con libertà e responsabilità accettano la sfida del rapporto educa-tivo.La scuola di cui abbiamo bisogno, perché possa essere una occasione di crescita per i giovani, per tutti e per ciascuno, ha necessità del più ampio grado di libertà possibile, perché i suoi protagonisti possano mettere in campo tutta la responsabilità che per sua natu-ra la dinamica educativa richiede.

Quale idea di scuola contiene il do-cumento?Quali elementi, secondo l’attuale Go-verno, caratterizzano la “bontà” della scuola? Quali condizioni e quali fatto-ri vengono proposti per fare davvero “ la buona scuola”? Che cosa la scuola (famiglie, alunni, docenti), ci guada-gna e/o ci perde in “bene”?Alle prime tre domande la lettura mi ha suggerito risposte a penzoloni tra la

retorica, gli spot multimediali, secon-do lo stile di Renzi, e la realtà della scuola. Nel documento infatti c’è un po’ di tutto quello che i mass-media chiedono: la scuola è “leva” per cre-scere, “avanguardia”, “centro della città”, “centro civico e gravitazionale di scambi culturali, sociali”; “il nostro futuro”, che ha bisogno di più ”ingle-se”, più internet, docenti più preparati e disponibili, ecc. Frasi, in fondo, in-nocue se non fossero illuminate da una sinistra luce che si intravvede qua e là, come in questo capoverso:“…dare al Paese una Buona Scuola significa dotarlo di un meccanismo permanente di innovazione, sviluppo, e qualità della democrazia. Un mecca-nismo che si alimenta con l’energia di nuove generazioni di cittadini, istru-iti e pronti a rifare l’Italia, cambiare l’Europa, affrontare il mondo”. Un assunto che identifica la scuola con un meccanismo, una catena di mon-taggio, in grado, se ben progettata, oliata e funzionante, di garantire di-rettamente sviluppo, cittadinanza, ricostruzione. Ciò tradisce una logi-ca funzionalista che evita la doman-da fondamentale in questo momen-to critico: a cosa serve la scuola? Quindi quali strumenti e soluzioni mettere in campo e garantire per-ché il contesto di ciascuna scuola sia messo in grado di realizzare il suo fine?La scuola oggi non può più avere come scopo la semplice trasmissio-ne di saperi e di competenze, la rea-lizzazione efficiente di programmi e procedure, ma è chiamata a diventare sempre più luogo di proposta fatta da adulti che, nel rapporto quotidiano con i propri studenti attraverso le ma-terie insegnate e la costruzione di un contesto formativo, ne sfidino il cuo-re e la ragione, impegnandoli in una verifica personale e significativa della realtà affinché diventi cultura. Adulti preparati a questa sfida. E luoghi stru-mentati a questa possibilità.Che “la scuola diventi il filo forte di un tessuto sociale da rammendare. Che ritorni ad essere centro inclusivo

e gravitazionale di scambi culturali, creativi, intergenerazionali, produtti-vi”, ma aperta alla totalità del reale. Anche questa parola, “apertura”, è nel testo molto usata. Ma ha senso parla-re di apertura se di fatto, come fa il documento, si censura e/o si ignora la famiglia, la scuola paritaria, la cultura classica, cioè non solo i sog-getti, ma anche le porte, le finestre e il clima di una buona scuola in un’autentica democrazia?

Vogliamo rilanciare alcune questio-ni che riteniamo decisive.

1. Autonomia degli istituti scolasticiLa legge italiana riconosce alle scuo-la una limitata autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimenta-zione e sviluppo, ma non finanziaria e men che meno di selezione del per-sonale. Dopo la riforma costituzionale del 2001, che pure con la riforma del Titolo V ha introdotto in Costituzio-ne la autonomia scolastica, gli spazi reali di autonomia delle scuole statali sembra si siano addirittura ristretti, a dimostrazione che non bastano un ri-conoscimento formale e un semplice decentramento delle competenze per ottenere un’autonomia vera.E’ ancora molto lungo il cammino da fare sulla strada della autonomia, pila-stro di un sistema scolastico fondato sulla libertà e sulla responsabilità dei suoi protagonistiPer poter recuperare il pesante gap che ci separa dagli altri paesi europei, risulta ormai assodato che occorre puntare sulla libertà di scelta educa-tiva, sulla piena autonomia scolastica, sul passaggio dello Stato da “gestore” di scuole a “controllore” della qualità e della conformità alle leggi vigenti. Il documento “La Buona scuola”, a questo riguardo, fa affermazioni im-portanti, tuttavia resta ancora troppo cauto sotto il profilo delle proposte operative: la logica rimane quella di una autonomia limitata, mentre una trasformazione in chiave davvero sus-sidiaria del sistema scuola è ancora lontana.

Sarà davvero una «buona scuola»?Una nostra lettura del rapporto redatto dal Governo

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ce dell’innovazione del sistema na-zionale di istruzione.Per questo è necessario che:- i genitori possano scegliere libera-mente ed a pari condizioni economi-che, fra le scuole del sistema naziona-le di istruzione, statali o paritarie;- nei confronti dei genitori che scel-gono la scuola paritaria lo Stato inter-venga mediante soluzioni opportune ed eventualmente diversificate: dal buono scuola/dote/quota capitaria alle varie forme di detrazione/deduzione fiscale delle rette oppure, meglio an-cora, attraverso la combinazione di tali strumenti;- siano estese anche alle scuole pari-tarie le iniziative promozionali (pon, istruzione, progetti, innovazione tec-nologica, edilizia.....) oggi riservate alle sole scuole statali;- alle scuole paritarie, in ragione del servizio pubblico svolto, venga rico-nosciuto un regime fiscale agevolato.Le scuole paritarie sono una risorsa per il sistema scolastico italiano, in-fatti consentono allo Stato un signi-ficativo risparmio annuo, spesa che il Ministero dell’Istruzione non riusci-rebbe ad accollarsi nel caso in cui le scuole paritarie dovessero chiudere. Crediamo che un intervento econo-mico a favore delle scuole paritarie si configurerebbe come un sostegno al sistema scolastico italiano.

3. DocentiSi apprezza lo sforzo del Governo per risolvere in modo deciso il nodo del precariato nella scuola statale. Una particolare attenzione, tuttavia, va de-dicata al tema del piano di assunzioni dalle GAE, che rischia di mettere in grande difficoltà le scuole paritarie a causa di un possibile massiccio e si-multaneo trasferimento di personale verso lo Stato.Nell’ottica di una piena e necessaria attenzione all’intero sistema nazionale di istruzione, riteniamo indispensabile individuare soluzioni concertate affin-ché questo non crei un grave disservi-zio, che finirebbe per danneggiare non solo le stesse scuole paritarie, ma pure le tante famiglie che le hanno scelte e, in ultima analisi, lo Stato stesso.Senza un’apertura alla totalità del re-ale, cioè senza esercizio della ragio-ne in tutte le sue dimensioni e forme,

Agli Istituti scolastici va attribuita autonomia economica, con il trasfe-rimento di risorse definite in base ai costi standard, va riconosciuta fles-sibilità organizzativa, la possibilità di procedere al reclutamento diretto del personale, va affidata ampia au-tonomia didattica e progettuale. In questa ottica risulta ormai improcra-stinabile la definizione di nuove forme di ‘governance’ delle scuole statali, individuate dagli stessi istituti nell’e-sercizio di una propria autonomia sta-tutaria ( in questo campo l’esperienza della scuola paritaria potrebbe essere un utile punto di riferimento per le isti-tuzioni scolastiche statali).

2. Parità scolastica e libertà di scelta educativa per le famiglieLa Legge 10 Marzo 2000, n. 62 “Nor-me per la parità scolastica e disposi-zioni sul diritto allo studio e all’istru-zione”, definisce il sistema nazionale di istruzione come costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie. Le scuole non statali, che accolgono quasi il 12% degli studenti italiani e svolgono un servizio pubblico, sono riconosciute parte essenziale del siste-ma nazionale di istruzione.Eppure nel nostro Paese, diversamen-te da quanto accade nella maggior parte dei paesi europei, non è ancora garantita alle famiglie una effettiva libertà di scelta in ambito scolastico, con grave danno in particolare per quelle meno abbienti e per quelle con figli disabili.Anche nel documento “la Buona Scuola” mancano espliciti riferimenti alla famiglia come protagonista della educazione e a leggere il documento, la cosa che colpisce è che della Scuo-la Paritaria non si parla, è completa-mente ignorata: le scuole paritarie non rientrano nel piano degli interventi in favore della scuola previsti dallo Stato italiano.Si ha paura forse della libertà di edu-cazione, di poter stare alla pari con gli altri paesi europei? Ricordo al riguar-do che la buona scuola non è certa-mente la “scuola unica di stato”. Non può e non deve essere: l’attestano la storia e la situazione difficile in cui ci trova la maggior parte delle scuole.La libertà di scelta dei genitori può essere una importante forza motri-

e senza valorizzazione dei soggetti educativi reali, non c’è educazione e l’istruzione finisce con l’essere adde-stramento che non “ alimenta (affat-to) la nostra creatività”. Una scuola aperta “verso il territorio, la comu-nità, la progettualità di esperien-ze emergenti” per essere davvero “buona”, deve essere anche vera e bella, come ricordava Papa Fran-cesco il 10 maggio di quest’anno. Non è sufficiente, in altre parole, una apertura sociologica, settoriale o semplicemente fisica, se la scuola non è propositiva, libera, creativa, spalancata alla persona nella sua unicità, unità ed integralità e quin-di alle reali comunità in cui questa persona concreta vive.Il documento ci dice che le condizio-ni/fattori di una buona scuola sono almeno tre: i “buoni” insegnanti che non si cristallizzino nei ruoli e nelle loro funzioni, la piena autonomia, la pratica della valutazione a tutti i li-velli e quindi dell’autovalutazione. Condivido in toto questi punti, anche se, a mio parere, occorre prenderne in considerazione altri, per esempio, la sussidiarietà.

Ma chi è il buono insegnante?Certamente è uno che ha bisogno di stabilità e di sicure garanzie per svol-gere il suo lavoro,” il mestiere più nobile e bello: quello di aiutare a cre-scere le nuove generazioni”. Non ba-sta, però, la certezza del posto quando non si ha chiaro lo scopo del lavoro o lo si riduce allo stipendio. Un “do-cente di qualità” non è un impiegato statale. Non è neppure il tecnico di un settore all’interno di un sistema. È uomo, donna di cultura consape-vole della sua responsabilità educa-tiva, professionale e civile, che per svolgere il suo servizio efficacemen-te, ha bisogno di essere libero dalle strettoie e dai riti stantii dell’apparato buro-amministrativo e di poter effet-tivamente cooperare con colleghi, fa-miglie, alunni, ecc. Ha bisogno che la scuola sia autonoma realmente, libera dallo statalismo e dal corporativismo ideologico e sindacale, “connessa” alla realtà totale non solo alla rete, al territorio, come si ripete nel docu-mento. Se questo e gli altri bisogni, di cui sopra, hanno risposta, l’auto-

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Lo scenario dell’annuncio del Vangelo

Attraverso le esperienze narra-te dalle Diocesi intravediamo,

come in filigrana, la complessa realtà in cui l’annuncio evangelico è lievito di un umanesimo rinnovato in Cristo Gesù. Luci e ombre si mescolano, di-segnando uno scenario in cui se da un lato la frammentarietà e la precarietà dei legami sembrano condurre a smar-rire il senso dell’umano, dall’altro ap-paiono persistenti tracce di una dignità avvertita come inalienabile, e forte ap-pare la tensione a comprendere più a fondo il nostro essere uomini e donne.

L’orizzonte storico nel quale siamo entrati è oscurato da nubi minaccio-se. Siamo sfidati da un capitalismo meno liberale e più autoritario, dove il potere politico appare indebolito. Le armi riprendono a farsi sentire in scenari in cui le guerre si combatto-no in modo nuovo, sempre più tec-nologico, su diversi fronti regionali e nazionali, e anche sui palcoscenici mediali globali. La stessa religione è spesso invocata per scavare solchi di odio e di violenza, di cui sono vitti-me anche tanti fratelli battezzati. La loro fede semplice e limpida brilla come luce di speranza perché pro-prio dove l’umano sembra distrutto, la forza della risurrezione lo volge in vita e la morte non ha l’ultima pa-rola.

Al pari delle società europee, quella italiana diventa sempre più plurale e complessa, per l’evolversi della cul-tura occidentale e per l’arrivo di tanti immigrati, portatori di valori e men-talità diverse.La recente crisi economica, inoltre, con le sue drammatiche conseguen-ze (la drastica diminuzione dei posti di lavoro, l’impoverimento crescente del ceto medio, l’assottigliarsi delle possibilità occupazionali per i giova-ni che nega loro ogni aspirazione a un giusto protagonismo...) ha appesanti-to la dinamica culturale e sociale del Paese. In uno scenario internazionale di mutamenti geopolitici e culturali, sembriamo avviati anche in Italia alla definizione di una nuova struttura della società, rispetto alla quale noi cristiani, accanto agli altri, condivi-

VeRsO fiReNZe 2015LA BuonA uMAniTA’

Questo è un importante compito delle comunità cristiane: aiutarsi a vicenda a non rimanere disorientate e quindi solo reattive o rassegnate di fronte a fenomeni culturali di cui non comprendono a sufficienza la provenienza e l’intenzione

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diamo disagi e disorientamento ma anche slanci e desideri, consapevoli di essere comunque tutti chiamati a costruire insieme il futuro del Paese.Nella Evangelii gaudium papa Fran-cesco ricorda la «responsabilità gra-ve» di «tutte le comunità ad avere – come aveva affermato Paolo VI (Ec-clesiam suam 19) – una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tem-pi» (n. 51). I segni, possiamo dire, dell’avvento di Cristo e quindi anche dell’Anticristo e, di conseguenza, i segni del possibile umanesimo e del possibile anti-umanesimo.

Questo giudizio può essere diretta-mente applicato alle sfide contem-poranee, dove s’interpreta l’umano e ci si orienta riguardo al suo futuro. Comprendere i segni dei tempi signi-fica anche collocare in un contesto sempre più complesso e globale le esperienze di umanesimo di cui è ric-ca la nostra Chiesa. L’esperienza e la costruzione di forme di buona uma-nità non si possono separare da un impegno di conoscenza e valutazione del contesto culturale. Una «vigile capacità di studiare i segni dei tem-pi», anche servendosi delle diverse

competenze, non si limita a registrare delle condizioni di fatto, ma riesce a cogliere la genesi e la logica delle posizioni culturali in campo. Questo è un importante compito delle co-munità cristiane: aiutarsi a vicenda a non rimanere disorientate e quindi solo reattive o rassegnate di fronte a fenomeni culturali di cui non com-prendono a sufficienza la provenien-za e l’intenzione; a evitare di subire interpretazioni fabbricate altrove; a testimoniare con la vita ciò in cui credono, incarnando nella concretez-za dell’esistenza il valore universale dell’umano.Le autentiche esperienze di umanesi-mo, infatti, devono diventare consa-pevoli di sé per dialogare col mondo e illuminare il buio dello smarrimen-to antropologico contemporaneo con la loro luce: non si fa esperienza di vita buona solo per se stessi, ma an-che per gli altri e per il mondo intero. […]

Solo io al mondo?

In effetti, il male del quale il nostro tempo sembra soffrire è l’autore-

ferenzialità. Se pensiamo di poterci costruire e ricostruire, indefinita-mente e in maniera sostanzialmente illimitata, è perché pensiamo di es-sere riferiti unicamente a noi stessi. Tutto ci spinge a ritenere di essere

autosufficienti e che questo poggiare unicamente su noi stessi sia il princi-pio della vera libertà. L’autoreferen-zialità è così pervasiva che s’insinua nella vita dei singoli come in quella delle comunità, nella vita del Paese e anche in quella della Chiesa. La pre-tesa di bastare a se stessi elimina l’al-tro dal proprio orizzonte, facendone un elemento di supporto oppure una possibile minaccia da cui guardarsi; sicuramente lo esclude come colui dalle cui mani riceversi.Questa pretesa chiude gli occhi e il cuore, rende asfittica la nostra vita, consumandola dall’interno proprio nel momento in cui pretende di raf-forzarla e di garantirne l’espansione. A ben guardare, all’origine di tante forme d’ingiustizia e di corruzione, all’origine di situazioni d’intolleran-za e di aggressività, fino ai gesti di violenza compiuti a danno dei più deboli – dei bambini e delle donne in particolare – c’è il considerare l’altro unicamente in funzione di se stessi.

Pur tra disagi strutturali ed econo-mici, la scuola non cessa di essere un riferimento importante per le famiglie. Accanto alle negatività, fin troppo denunciate, sono tante le esperienze di dedizione e d’impegno competente che sostengono la cre-scita dei più giovani

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«La persona vive sempre in relazione» (Lumen Fidei 38)

Sbaglieremmo però se ci fermas-simo a considerare unicamente

questi aspetti. Il tempo che viviamo è complesso e registra un enorme biso-gno di relazione.La ricerca di una relazione autentica attraversa, come un filo rosso, le con-traddizioni del presente: la si coglie nella comunicazione permanente e globale della rete, nella frenesia della condivisione immediata degli even-ti e nel diffondersi contagioso delle emozioni; prende anche corpo in tante esperienze d’impegno per altri e con altri, capaci di testimoniare il valore e la dignità dell’umano.Il senso dell’umano riemerge nella solidarietà intergenerazionale all’in-terno delle famiglie, laddove le ge-nerazioni adulte non si appiattiscono sul loro benessere, ma affrontano sa-crifici per costruire il bene di chi vie-ne dopo. Riemerge nelle tante espe-rienze in cui le famiglie riescono a percepirsi come soggetto sociale, che estende i confini della propria capa-cità di cura oltre il nucleo ristretto. È poi mutato l’approccio ai consumi: il consumismo non è più un dovere so-ciale e culturale come fino a qualche anno fa. C’è una rinnovata attenzio-ne a stili di vita più sobri; si fa strada l’idea di un’economia a valore conte-stuale che tenga conto dell’ambiente

e tratti le relazioni sociali, e i valori che le reggono, come un capitale da far crescere. Nell’attività produttiva e nella scelta dei cibi si recuperano i legami con la tradizione. Si profilano esperienze innovative d’imprendi-torialità giovanile e di cooperazione che ripartono dalla terra e che, in non pochi casi, vedono protagoniste le donne. Aumenta la sensibilità nei confronti della difesa dei beni am-bientali. Nello stesso tempo, e nono-stante i livelli ancora troppo alti di corruzione e illegalità presente nel Paese, cresce la tutela della legalità come bene com ne. Partita dalla Ca-labria e dalla Sicilia, si diffonde, sep-pur tra mille contraddizioni, un’espli-cita scelta di campo del commercio e dell’impresa liberi dalle mafie. Un segno da incoraggiare e sostenere.L’impegno educativo continua, inoltre, a rappresentare una delle migliori risorse per il nostro Pae-se ed è via privilegiata della difesa e della promozione della dignità dell’umano. Pur tra disagi strutturali ed economici, la scuola non cessa di essere un riferimento importante per le famiglie. Accanto alle negatività, fin troppo denunciate, sono tante le esperienze di dedizione e d’impegno competente che sostengono la cre-scita dei più giovani. E insieme alla scuola, l’impegno formativo di as-sociazioni, di esperienze oratoriali e sportive, che contribuiscono a creare una rete di relazioni sane in cui la fa-miglia trova un valido supporto.

Il volontariato, autentico dono di tempo e di talenti, non cessa di esse-re un’altra grande risorsa per il Pae-se, nonché concreta attestazione del valore impareggiabile di ogni essere umano. Alla generosità verso gli ul-timi e i penultimi, notevolmente cre-sciuta con il dilagare dei drammatici, e spesso tragici, effetti della crisi, oggi tende ad aggiungersi la com-petenza. Sono tante le persone co-muni che si preoccupano di rendere più qualificato il proprio servizio, e le esperienze di reti di professionisti che offrono prestazioni gratuite o a prezzi popolari.Non va inoltre taciuto lo splendido esempio di un’umanità accogliente offerto dalle popolazioni direttamen-te interessate dallo sbarco degli im-migrati. Nella semplicità dei gesti, e nonostante le innumerevoli difficoltà, esse hanno mostrato quell’apertura del cuore e della vita che è nelle cor-de più profonde della nostra terra, e che hanno fatto e continuano a fare del Mediterraneo un crocevia di po-poli e di culture.Queste esperienze di relazione sono segni talvolta flebili, forse “poco no-tiziabili” per i media, ma certamente concreti; tracce che aprono cammini di speranza, varchi per l’annuncio di un Vangelo che è pienezza di umanità.

Il 5° Convegno nazionale della Chiesa Cattolica si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 Novembre 2015.Per seguire la preparazione, le riflessioni, scaricare il ma-teriale e aggiornarsi su tutti gli appuntamenti verso questo evento è possibile consultare il sito www.firenze2015.it

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Sono ripresi in Diocesi i gav (grup-pi animatori vicariali). Si tratta di incontri per catechisti, animatori e tutti quelli che svolgono un servizio a favore dei giovani. Un’occasione di formazione, ma soprattutto di scam-bio e di condivisione di idee, espe-rienze e problematiche.Siamo partiti a livello diocesano con la conferenza del salesiano Don Pa-scual Chavez Villanueva, giunto nella nostra diocesi, lo scorso mese di gen-naio, in occasione dei festeggiamenti di Don Bosco. L’ex rettor maggiore dei Salesiani ha condotto il suo inter-vento sull’importanza dell’educazio-

ne, rifacendosi soprattutto al pensiero di Don Bosco e sulle sfide che essa deve oggi affrontare.Successivamente sono stati organiz-zati nei vari vicariati degli incontri affidati ad un’équipe di riferimento formata da: un sacerdote, una reli-giosa e un laico, scelti dal servizio di pastorale giovanile, che ha fornito anche delle linee guida ed un sussidio di riferimento.Sulla base di queste indicazioni ogni vicariato si è organizzato in base alle proprie esigenze e possibilità. Il 5° e il 6° vicariato, ad esempio, hanno deciso di unirsi per questa iniziativa,

ripartiamo dai coloriI gruppi di animazione vicariale al servizio dei giovani della Diocesi

valutazione dell’istituto e del suo la-voro – giustamente enfatizzata - po-trebbe essere un’autentica risorsa per miglioramento del sistema e di tutti. Questo avviene se lo Stato rinuncia ad essere nello stesso tempo padrone, allenatore ed arbitro di quella squadra che è la buona scuola nelle reali de-mocrazie. Non basta dunque un docu-mento, occorre che la proposta abbia un orizzonte più ampio, una concre-tezza operativamente più efficace, un impegno deciso anche sulle questioni ignorate, taciute, censurate.

visto le loro passate collaborazioni ed esperienze come “Il Guastagno” e “Il Catechista perduto”. Si tratta di una proposta formativa che terrà impegnati gli animatori per circa due anni (per un totale di cir-ca nove incontri), seguendo il dos-sier “Tutti i colori dell’educazione”, elaborato dal professore di filosofia dell’educazione Raffaele Mantegazza (che ha tenuto anche un intervento al convegno nazionale di pastorale gio-vanile di Brindisi) e pubblicato dalla rivista “Note di pastorale giovanile”.In questo dossier, i colori sono utiliz-zati come metafora dell’azione educa-tiva: metafore non arbitrarie, perché il percorso cerca di attingere alle asso-ciazioni che le culture hanno accosta-to ai colori, ma anche a quelle che au-tori come Kleen, Mondrian e Kandin-sky hanno definito “qualità oggettive dei singoli colori”. Ogni incontro gav, dunque, sarà centrato su un determi-nato colore, aspetto dell’educazione, introdotto da canzoni, video, poesie a tema. Per questo anno pastorale sono previsti circa tre incontri: un primo incontro introduttivo e di conoscenza, un incontro sul colore nero nel pe-riodo di Quaresima e uno sul coloro bianco nel tempo pasquale.Una proposta di formazione, dunque che cerca di ridare vita e speranza a un mondo pedagogico troppo spesso acromatico e un’occasione per le par-rocchie per conoscersi e lavorare in rete.

Caterina Lo Russo

4. Istruzione e Formazione Profes-sionaleL’apprendimento in alternanza scuo-la lavoro, così come presentato dal documento, appare tutto spostato su” esperienze di lavoro”, ma non cambia la concezione strumentale della meto-dologia, il mondo del lavoro è interpel-lato però sulla possibilità di “far fare esperienza” o al più per fornire “orien-tamento”, non per la valenza educativa intrinseca nella cultura del lavoro.La scuola dovrebbe essere aiutata ad avviare una condivisione educa-tiva con il soggetto diverso che è il mondo del lavoro con metodi, tem-

pi, contenuti, scopi. Questo avrebbe molto senso anche per il settore li-ceale che sembra invece restar fuori dalle ipotesi di sviluppo indicate nel documento. Serve una “ buona poli-tica” che riparta da una idea di Stato realmente sussidiario in grado di con-siderare l’intero sistema nazionale di istruzione abbattendo vecchi steccati ideologici, capace di valorizzare i fat-ti educativi in atto di scommettere su una reale, integrale e anche valutata autonomia scolastica, di incentivare la professionalità dei docenti e delle loro libere aggregazioni.*direttore ufficio diocesano per la scuola

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È tempo di educare all’amoreGli incontri che aiutano a gestire la propria affettività

“Amor, ch’a nullo amato amar perdona”…è una serie di 3 in-

contri sull’affettività, proposta dal servizio di Pastorale Giovanile dio-cesano. Si tratta di un progetto nato come risposta ad un bisogno dei gio-vani del territorio raccolto al Con-vegno diocesano dello scorso anno, dove molti avevano palesato la ne-cessità di partecipare a dei momenti di riflessione finalizzati all’approfon-dimento di varie tematiche e che non fossero rivolte solo ai catechisti o agli animatori, ma che riguardassero so-prattutto i temi dell’affettività con cui i giovani si confrontano ogni giorno. Tre incontri iniziati lo scorso febbraio che si tengono ogni 23 del mese, per scoprire le tante sfaccettature dell’a-more. In questo percorso, accompa-gnato da alcuni relatori, che con i loro interventi e la loro esperienza guidano nella riflessione e nella discussione, si cerca di spingere i giovani “a met-tersi in ricerca” ponendosi alcune do-mande importanti per la loro crescita. Primo incontro, il 23 febbraio scorso, alla presenza del professor Lamber-to Giannini che ha aiutato a compren-dere quanto sia importante amare se stessi, nonostante i propri limiti e le fragilità e quanto l’amore rappresenti un bisogno innato nell’uomo. Esserci e non essere. Scoprire che non posso vedere la mia faccia quando comuni-co, ma posso rispecchiarmi in quella dell’altro. Capire che grazie a lui pos-so affermarmi come persona, ma allo stesso tempo ne vengo condizionato. Un percorso guidato dalla filosofia in cui più di ottanta giovani, dopo esser-si cimentati in alcune attività “rubate” dal mondo del teatro, hanno ascolta-to una riflessione su quell’amore che porta ad amarci così come siamo con

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Giovani generazioni disorientate di fronte al labirinto della vita,

perché in balia di adulti incapaci di dare testimonianza: basterebbe una chiave per districarsi tra le difficoltà del reale, forse basterebbe un sistema educativo più efficace, in grado di fare squadra e prendersi a cuore il fu-turo. Nel manifesto dello scorso anno di Lucca comics, disegnato da Ga-briele Dell’Otto, sembra racchiuso il senso di questa “sfida”, che coinvol-ge ragazzi, genitori e insegnanti. E non a caso proprio questa immagine è una delle raffigurazioni più amate e utilizzate nelle conferenze da Franco Nembrini.Ma in quest’epoca più che mai emer-ge la necessità anche di una forma-zione dei ragazzi ad essere cittadini responsabili. Cos’è la politica se non la più alta forma di carità? Quanto viene percepito questo concetto dai nostri giovani? Quanto i cattivi esempi che hanno tutti i giorni sot-to gli occhi minano la loro voglia di impegnarsi per il bene comune e mostrano invece la politica quale via più facile per arricchirsi? È tempo dunque di riportare alla vita le buo-ne scuole di formazione all’impegno socio politico. «Il politico credente è prima di tut-to un cittadino credente – afferma

mons. Mariano Crociata in un suo intervento a proposito delle scuole di formazione socio-politica - La visione cristiana della cosa pubblica richiede responsabili nel pubblico motivati e attrezzati, ma anche cre-denti coerenti nello svolgimento del-la loro vita di cittadini. Il senso civi-co è parte integrante della coscienza morale del credente e presupposto di ogni progetto e iniziativa politica di credenti e di non credenti. Le scuo-le di formazione socio-politica sono chiamate dunque a svolgere questa azione indiretta, volta a far crescere la coscienza della propria respon-sabilità di ogni credente nella vita sociale e la necessità dello sviluppo del senso civico. Veri credenti e buo-ni cittadini: a questo siamo chiamati ad educare noi stessi e tutti i fedeli delle nostre comunità ecclesiali. Ab-biamo vitale bisogno di una cultura del bene comune e della responsabi-lità sociale condivisa».Fare formazione socio-politica in questi anni sembra veramente una questione urgente non più sottovalu-tabile. E fare formazione «significa fornire gli strumenti di conoscenza e di giudizio, alla luce dell’insegna-mento sociale della Chiesa – conclu-de mons. Crociata- ma in una pre-cisa prospettiva, e cioè nel tentativo

di traguardare la crisi per aiutare a immaginare e a cogliere in anticipo le condizioni del suo superamento, cercando quasi di rispondere non solo alla domanda su come attra-versare questa crisi, ma anche alla domanda su che cosa fare e in quale direzione andare quando ne saremo usciti».

Chiara Domenici

tutti i limiti e le mancanze. A fine serata un post-it da portare a casa ha lasciato ai ragazzi alcuni sugge-rimenti del diacono Zargani su come poter continuare la ricerca attraver-so un film, un libro e un passo del vangelo: Colpa delle stelle, di John Green (con la regia per la versione cinematografica di J. Boone), Bianca come il latte, rossa come il sangue, di Alessandro D’Avenia, (regia di G. Campiotti per il film) e poi la lettera ai Romani di San Paolo al capitolo 12, 9-12 e la prima lettera di Pietro, capitolo 3, versetti 8-9.Il 23 marzo, data del prossimo

Coscienti di essere cittadiniLe scuole di formazione socio politica

incontro in programma, sarà la volta dell’incontro con fra’ Federi-co Russo, cantautore del “Il canto dell’amore”, molto apprezzato e suonato dai giovani nelle loro cele-brazioni liturgiche. Attraverso il rac-conto di come è nato questo canto e analizzando il suo testo, fra’ Fede-rico aiuterà a comprendere la gran-dezza dell’amore di Dio per l’uo-mo e la bellezza di sentirsi amato. Il 23 aprile, il dottor Marco Pier-matteo centrerà, invece, la rifles-sione sul tema dell’amore come dono gratuito e l’importanza delle relazioni, in quanto l’uomo essere

sociale.Non si tratta di incontri per cop-pie, ma un percorso di approfon-dimento personale, aperto a tutti i giovani dai 19 anni. Il percorso condurrà al 23 maggio, data della grande Festa giovane diocesana organizzata in collaborazione con l’ufficio di Pastorale Familiare, che avrà sempre al centro questo tema. Gli incontri si tengono alle 21 presso la struttura “Sorgenti di Carità” in via Donnini 167.

L’équipe di Pastorale Giovanile

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Perso Dio si è perso anche l’uomo?Il prossimo incontro del Progetto Culturale diocesano sarà con mons. Claudio Giuliodori, il 28 Aprile

Fascicolo a cura di Chiara Domenici.Hanno collaborato Nicola SangiacomoCaterina Lo RussoPierluigi Giovannettiéquipe pastorale giovanile.Impaginazione e grafica a cura di Andrea Macelloni.Stampato il 10 Marzo 2015 presso la stamperia della Diocesi di Livorno.

Vuoi continuare a leggerci?www.lasettimanalivorno.it

“Voi chi dite che io sia?”: la doman-da di Gesù agli apostoli è la doman-da per eccellenza rivolta all’uomo di oggi, la domanda che interpella ogni cristiano, la domanda che ognuno di noi dovrebbe rivolgere a se stesso ogni giorno. Quanto siamo capaci come Pietro di rispondere “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”?

Quanto siamo capaci di riconosere in Gesù la sua natura umana e divi-na?“Riconoscere il volto di Dio mani-festatosi umanamente in Gesù Cristo – è scritto nella traccia del Convegno ecclesiale 2015 - ci permette di ca-pire a fondo il nostro esser uomini, con le sue potenzialità e responsabi-lità. In tal senso occorre interpretare la promessa fatta dal Signore a Pietro e, in lui, alla comunità dei suoi di-scepoli: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Non significa dover fare i censori dell’umanità. Al contrario, significa tentare sempre tutto il possi-bile per risolvere qualsiasi nodo, im-pegnare al massimo grado la nostra creatività per districare ogni matassa,

non trovar requie prima d’aver taglia-to tutti i legacci che frenano l’uomo, e prima d’aver spezzato le catene che gli impediscono di raggiungere la sua più alta misura”.Per aiutare nella riflessione di questo aspetto dell’antropologia: il legame tra l’uomo e Dio e la misura in cui riusciamo a riconoscerlo e ad interlo-quire con lui, sarà a Livorno il pros-simo 28 aprile Mons Claudio Giu-liodori, vescovo di Macerata classe 1958, originario di Osimo (AN), tra gli organizzatori delle Giornate mon-diali della Gioventù, già direttore dell’ufficio nazionale CEI per le Co-municazioni Sociali, dal 2013 assi-stente ecclesiastico generale dell’U-niversità Cattolica del Sacro Cuore.

Chiara Domenici

inTenzioni Per LA QuAreSiMA Di CAriTà 2015Tutte le offerte raccolte in Dio-cesi durante la Quaresima sa-ranno destinate a:

Fondo solidarietà Famiglie e LavoroI bisogni che hanno portato alla co-stituzione di un Fondo di solidarietà alle famiglie e per il lavoro, perman-gono ancora. Con le vostre offerte riusciremo a mantenerlo; è anche un invito a finalizzare le scelte di sobrie-tà e di rinuncia di singoli, di comuni-tà parrocchiali, di gruppi di famiglie, di associazioni ecclesiali, di gruppi caritativi, a questo scopo.

Sostegno alimentare alle Mense della diocesiIn linea con la campagna sul diritto al cibo, lanciata da Papa Francesco:

“Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro”, chiediamo un particolare sostegno per tutti co-loro che non hanno cibo e vengono alla nostre mense per poter mangia-re.

Educare alla mondialità – Borsa di studio a favore dell’Ospedale di DodomaIl Centro Mondialità Sviluppo Reci-proco tra le altre attività di promo-zione umana in Tanzania, sostiene l’Ospedale di Dodoma. Là c’è biso-gno di professionalità mediche e in-fermieristiche per qualificare meglio l’attività ospedaliera. Una parte della raccolta della Quaresima di Carità andrà a sostenere una Borsa di Studio a tale scopo.

Chi volesse contribuire può farlo attraverso:CARITAS LIVORNO ONLUSVia delle Cateratte, 1557122 Livorno -Tel. 0586 88.46.93Fax 0586 82.95.95 www.caritaslivorno.it [email protected]: IT47N0503413900000000002551