Quaderni acp 2015 22(1)

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uaderniacp w.quaderniacp.it Bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della Associazione Culturale Pediatri www.acp.it www.quaderniacp.it Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70 % NE/VR - Aut Tribunale di Oristano 308/89 Gennaio - Febbraio 2015 / Vol. 22 n. 1 Leggere ai neonati pretermine in Terapia Intensiva Neonatale: valutazione a distanza di due anni pag. 13 Documento ACP La salute dei bambini in Italia. Dove va la pediatria? pag. 44 ISSN 2039-1374 Rivista indicizzata in Google Scholar e in SciVerse Scopus La sincope in età pediatrica

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Bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della Associazione Culturale Pediatri www.acp.it

www.quaderniacp.it

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70 % NE/VR - Aut Tribunale di Oristano 308/89

Gennaio - Febbraio 2015 / Vol. 22 n. 1

Leggere ai neonati pretermine in Terapia Intensiva Neonatale: valutazione a distanza di due annipag. 13

Documento ACPLa salute dei bambini in Italia. Dove va la pediatria? pag. 44

ISSN 2039-1374 Rivista indicizzata in Google Scholar e in SciVerse Scopus

La sincope in età pediatrica

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Gennaio - Febbraio 2015 / Vol. 22 n. 1

Editorial3 Its not just a new look

Michele Gangemi

Formation at a distance (FAD)4 Syncope in children

Rodolfo Paladini

Informing parents12 Fainting or a syncope

Costantino Panza, Stefania Manetti, Antonella Brunelli

Research13 Reading to preterms in Neonatal Intensive Care Unit: an evaluation after two years

Augusto Biasini, Erica Neri, Francesca Fiuzzi, Marcello Stella, Fiorella Monti

Telescope17 High flow nasal cannulae in preterm neonates after extubation

Roberta Cacciavellani, Sabina Ciotti, Luigi Gagliardi

Mental Health21 The Peppa Pig phenomenon

Angelo Spataro

Forum22 The right to be screened for cystic fibrosis

Giuseppe Magazzù

Vaccinacipì24 Hexavalent vaccine and Milano court’s sentence

Franco Giovanetti

26 Press release

Learning from stories27 Neurofibromatosis: Clinical and ethical concerns of pediatricians

Maria Merlo, Chiara Guidoni, Patrizia Levi, Paolo Morgando, Ivo Picotto, Luisella Quaglio

A window on the world32 Germany, von Bismarck and Sir Beveridge

Enrico Valletta

Appraisals34 Statistical significance. Is it better to raise the bar to the top?

Enrico Valletta

36 Book

38 Movies

39 Letters

Born to read40 15 years of “Nati per Leggere”

Giancarlo Biasini

42 Info

ACP documents44 The health of Italian children: where is pediatrics? The views and proposals of ACP

IN COPERTINA“Bambine davanti al mare” (1889), Paul Gauguin (1848-1903), olio su tela. Tokio, Museo Nazionale d’Arte Occidentale.

DirettoreMichele Gangemi

Direttore responsabileFranco Dessì

Direttore editoriale Giancarlo Biasini

Comitato editoriale Antonella BrunelliSergio Conti Nibali Luciano de SetaStefania Manetti Costantino PanzaLaura Reali Paolo SianiMaria Francesca Siracusano Maria Luisa Tortorella Enrico VallettaFederica Zanetto

Casi didatticiFAD - Laura Reali

CollaboratoriRosario CavalloFrancesco Ciotti Giuseppe Cirillo Antonio Clavenna Carlo CorchiaFranco GiovanettiNaire SansottaItalo SpadaAugusta Tognoni

PresidentePaolo Siani

Progetto grafico ed editingSara Battistin

Programmazione webGianni Piras

IndirizziAmministrazione: Via Montiferru, 6 09070 Narbolia (OR)tel/fax 078 57024Direzione: Via Ederle 36 37126 [email protected] soci: Via G. Leone, 2407049 Usini (SS)cell 392 3838502, fax [email protected]: Cierre Grafica via Ciro Ferrari, 5 Caselle di Sommacampagna (VR)www.cierrenet.it

InternetLa rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita online della letteratura medica ed è disponibile integralmente all’indirizzo:www.quaderniacp.it

Redazione [email protected]

NORME REDAZIONALI PER GLI AUTORI I testi vanno inviati alla redazione via e-mail ([email protected]) con la dichiarazione che il lavoro non è stato inviato contemporaneamente ad altra ri-vista. Per il testo, utilizzare carta non intestata e carattere Times New Roman corpo 12 senza corsivo; il grassetto solo per i titoli. Le pagine vanno numerate. Il titolo (italiano e inglese) deve essere coerente rispetto al contenuto del testo, informa-tivo e sintetico. Può essere modificato dalla redazione. Vanno indicati l’Istituto/Ente di appartenenza e un indirizzo e-mail per la corrispondenza. Gli articoli vanno corredati da un riassunto in italiano e in inglese, ciascuno di non più di 1.000 caratteri, spazi inclusi. La traduzione di titolo e riassunto può essere fatta, se richiesta, dalla redazione. Non devono essere indicate parole chiave.• Negli articoli di ricerca, testo e riassunto vanno strutturati in Obiettivi, Metodi,

Risultati, Conclusioni.• I casi clinici per la rubrica “Il caso che insegna” vanno strutturati in: La storia,

Il percorso diagnostico, La diagnosi, Il decorso, Commento, Cosa abbiamo im-parato.

• Tabelle e figure vanno poste in pagine separate, una per pagina. Vanno numerate, titolate e richiamate nel testo in parentesi tonde, secondo l’ordine di citazione.

• Scenari secondo Sakett, casi clinici ed esperienze non devono superare i 12.000 caratteri, spazi inclusi, riassunti compresi, tabelle e figure escluse. Gli altri con-tributi non devono superare i 18.000 caratteri, spazi inclusi, compresi abstract e bibliografia. Casi particolari vanno discussi con la redazione. Le lettere non de-vono superare i 2.500 caratteri, spazi inclusi; se di lunghezza superiore, possono essere ridotte dalla redazione.

• Le voci bibliografiche non devono superare il numero di 12, vanno indicate nel testo fra parentesi quadre e numerate seguendo l’ordine di citazione. Negli articoli della FAD la bibliografia va elencata in ordine alfabetico, senza numer-azione.

• Esempio: Corchia C, Scarpelli G. La mortalità infantile nel 1997. Quaderni acp 2000; 5:10-4. Nel caso di un numero di autori superiore a tre, dopo il terzo va inserita la dicitura et al. Per i libri vanno citati gli autori secondo l’indicazione di cui sopra, il titolo, l’editore, l’anno di edizione.

• Gli articoli vengono sottoposti in maniera anonima alla valutazione di due o più revisori. La redazione trasmetterà agli autori il risultato della valutazione. In caso di non accettazione del parere dei revisori, gli autori possono controde-durre.

• È obbligatorio dichiarare l’esistenza di un conflitto d’interesse. La sua eventuale esistenza non comporta necessariamente il rifiuto alla pubblicazione dell’arti-colo.

Pubblicazione iscritta nel registro nazionale della stampa n° 8949© Associazione Culturale Pediatri ACP Edizioni No Profit

Quaderni acp - Associazione Culturale Pediatri

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n. 2 / 2014 Editoriale

Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015 Editoriale

Nuovo look e non soloMichele GangemiDirettore

Da questo primo numero del 2015 abbiamo deciso una nuova veste grafica della rivista che coincide con il cambio di tipogra-fia da Cesena a Verona. Auspichiamo che il cambiamento di forma sia gradito al lettore e funzionale ai contenuti.Un ringraziamento va a tutta la Stilgraf di Cesena per la pro-fessionalità con cui ha costantemente svolto il proprio compito e a Giovanna Benzi per la passione e precisione con cui ha la-vorato dietro le quinte, con stile e senza compenso da sempre.Ripartiamo dall’Adige con una tipografia che si dimostrerà all’altezza del compito dopo le inevitabili scosse di aggiusta-mento e, siccome una rivista si giudica anche dai dettagli, con una stampa su carta di ottima qualità con certificazione FSC.Cosa significa questo ennesimo acronimo? FSC è un sistema di certificazione che consente al consumatore finale di riconoscere i prodotti fabbricati con materie prime che vengono da foreste gestite in modo corretto dal punto di vista ambientale e sociale.Una foresta FSC è una foresta in cui il taglio è controllato e non pregiudica la salute globale dell’ambiente. La compattezza della redazione e il prezioso lavoro di Lori Olivieri saranno a garanzia della continuità del lavoro. Il tema delle copertine riguarderà per tutto l’anno 2015 “il bambino e il mare”, con una ricerca di immagini mai banale e sempre di qualità. Per un prossimo futuro attendiamo anche suggerimenti e contributi da parte dei lettori. Proseguiamo nell’assenza di sponsor e con l’accesso gratuito a tutti gli articoli in formato pdf, nella convinzione che la vera cultura in ogni ambito deve essere fruibile da tutti. Molti professionisti e associazioni in ambito sanitario ci leggo-no con attenzione, come documentato dalle richieste di poter pubblicare articoli della nostra rivista sulle loro fonti di infor-mazione. Quanto ai contenuti della rivista, si è raggiunto un riequilibrio con la parte clinica anche grazie ai dossier FAD, senza perdere l’attenzione ai temi di politica sanitaria e man-tenendo uno sguardo attento e curioso alla salute nel mondo.Vogliamo anche sottolineare che, aldilà dei crediti ECM, il valore didattico della FAD di Quaderni acp è di alto livello. Il numero di soci iscritti ne è un riscontro indiscutibile.Anche quest’anno riproporremo l’iniziativa di formazione a distanza, senza però il ricorso al tutor virtuale in quanto sono aumentati i costi per l’ACP e il servizio non è stato utilizzato dai lettori. I crediti ECM saranno inferiori (18) ma di gran-de qualità, come nelle due precedenti edizioni. Il target resta sempre costituito dai pediatri territoriali e ospedalieri e il costo resterà invariato a 50 euro per i soci ACP. I casi didattici che troverete sulla piattaforma saranno un prezioso strumento di apprendimento aldilà dei quiz a risposta multipla, peraltro ne-cessari per l’erogazione dei crediti ECM. Ringraziamo il pro-vider (Accademia Nazionale di Medicina) per la professionalità e la puntualità con cui ha svolto il suo prezioso compito.La formazione in ambito ACP ha sempre avuto la massima at-tenzione: in tale ottica la FAD di Quaderni acp può essere frui-ta sia dagli specializzandi, anche se non necessitano dei crediti,

che in ambito ospedaliero e nei percorsi formativi dei gruppi locali ACP. Stiamo anche lavorando per migliorare la parte on line della rivista e ve ne daremo conto a tempo debito. In questo spazio contiamo di dare maggiore visibilità alla Newsletter ACP che si conferma utilissimo strumento di for-mazione alla portata di tutti. Provate nella pratica quotidiana a fare una ricerca su Quaderni e Newsletter con apposito motore e fateci sapere se trovate un primo aiuto. La parte di Quaderni acp riservata allo specializzando, trattata da vari punti di vista, è stata molto ricca nello scorso anno sia per quanto riguarda la formazione territoriale che per la parte comunicativo-relazionale. Proseguirà con l’intento di rendere visibile l’ACP anche tra i giovani. A questo proposito sono sta-te incentivate anche le presentazioni orali dei giovani colleghi sia nel congresso nazionale ACP che al convegno di Tabiano, riprese poi da Quaderni acp. L’aumento dei contributi esterni e i numerosi download degli articoli della rivista sono un se-gno dello stato di salute di Quaderni acp che ha come obiettivo di far conoscere ACP fuori dalla cerchia dei soli soci e di ar-ricchirsi in una ottica di confronto reale. Va segnalato il con-tributo costante del gruppo torinese che ha saputo tradurre il proprio confronto interno nella rubrica “Storie che insegnano”.Questo percorso di crescita costituisce un esempio per tutti i gruppi locali, che potrebbero cimentarsi con lo scrivere sia per se stessi che per gli altri, in ambito associativo e non solo. Aspettiamo sempre le vostre lettere sui temi caldi della salute del bambino in una ottica di confronto vero per stimolare il dibattito e far nascere le domande piuttosto che cercare riposte degli esperti. Anche per questo nuovo anno cercheremo di integrare la rivista con materiale utile al pediatra nella sua attività, accanto alla rubrica “ Infogenitori” sempre agganciata al tema della FAD proposto nel singolo numero. Le rubriche “Scenari” e “Il caso che insegna” si contraddistinguono per il rigore metodologico non disgiunto dalla praticità degli argomenti trattati. Vincere la pigrizia nel cercare risposte rapide e valide per ogni contesto ai vostri dubbi e cimentarsi con “L’esperto in lettera-tura” ripagherà dello sforzo fatto.Quaderni acp è un bimestrale che si propone un approfondi-mento degli argomenti trattati e non si presta a una informa-zione di taglio agile quale quella di “Appunti di Viaggio”, con cui si integra nel rispetto delle specifiche caratteristiche.Concludiamo questo editoriale nella speranza che i cambia-menti apportati siano graditi ai lettori e aspettiamo i vostri commenti per poter migliorare e rendere la rivista ancora più attraente col nuovo look. Contiamo sulla vostra adesione alla FAD che si preannuncia di grande interesse per gli argomenti trattati (vedi pag. 31 e terza di copertina) e per il rigore metodologico che la caratterizza.

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4 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

La sincope (S) è una perdita di coscienza (PdC) improvvisa a carattere transitorio, con incapacità a mantenere il tono postu-rale e possibile caduta a terra, preceduta o meno da prodromi e seguita da riso-luzione, solitamente spontanea e rapida.Sebbene la maggior parte degli episodi di S nella popolazione pediatrica sia il risultato di una reazione vasovagale be-nigna, essi rappresentano comunque un motivo di grande preoccupazione e an-sia, soprattutto per lo stretto rapporto tra alcune cause di S e la morte improvvisa, la cui valutazione retrospettiva rivela, in età pediatrica, un’anamnesi positiva per S, in almeno il 25% dei casi.L’incidenza di morte improvvisa in bam-bini apparentemente sani è di 1-1,5 per 100.000; essa costituisce il 10% di tutte le cause di morte in età pediatrica e resta sconosciuta in più del 15% dei casi.

Al momento della valutazione i pazien-ti con PdC sono di solito asintomatici e quindi la relazione causale fra sintoma-tologia riferita e anormalità, rivenute nel processo diagnostico, resta presuntiva. È necessario quindi conoscere a fondo tutte le cause in grado di provocare la S, sapere cosa ricercare nell’anamnesi, qua-

li sono i segni clinici di allarme, le “red flags” e qual è il corretto impiego degli esami di diagnostica strumentale, allo scopo di individuare quelle forme rare che richiedono ricovero ospedaliero e ri-durre, altresì, le responsabilità medico-le-gali connesse a un’errata diagnosi.

Generalità e definizione

La S è una PdC provocata da un’altera-zione della funzione cerebrale diffusa, secondaria a un’ipoperfusione transitoria globale. Questa definizione permette di superare la prima difficoltà gestionale dell’iter diagnostico delle PdC, che è quella di differenziare la S “vera” da altre condizioni simili, in cui la perdita dello stato di coscienza non è causata da ipo-perfusione cerebrale (epilessia, cefalea, disturbi metabolici, ipossia ecc.) o in cui l’alterazione dello stato di coscienza è so-lo apparente (disturbi di somatizzazione e/o conversione, iperventilazione psico-gena, attacchi di panico ecc.); queste for-me, infatti, devono essere indicate come pseudo-sincopi (o Syncope-like).La S può essere improvvisa, ma nella maggior parte dei casi è preceduta da prodromi con sintomi non specifici, che

rappresentano per il paziente un avverti-mento dell’incombente PdC.La presincope (termine che deve sostitu-ire quello obsoleto di lipotimia, fonte di ulteriore confusione) è caratterizzata da una sensazione di malessere con restrin-gimento dello stato di coscienza. I sintomi sono aspecifici ma di solito sono tipici per il paziente e possono so-vrapporsi a quelli associati alla fase pro-dromica della S. In età pediatrica, una S può costituire il sintomo iniziale di al-cune cardiopatie, ancora non diagnosti-cate, potenzialmente fatali e con elevata mortalità.

Fisiopatologia

La perdita di coscienza e del tono postu-rale nella S sono la causa di una disfun-zione cerebrale transitoria, secondaria a una brusca riduzione del flusso ema-tico globale, che provoca una riduzione dell’apporto di ossigeno a livello delle strutture del sistema nervoso centrale (mesecenfalo-diencefaliche), deputate al mantenimento dello stato di coscienza.Siccome la pressione di perfusione cere-brale dipende direttamente dalla pres-sione arteriosa sistemica, tutti i fattori in grado di ridurre la gittata cardiaca, e im-pedire ai sistemi di compenso di superare la forza di gravità durante l’ortostatismo, provocano ipoperfusione cerebrale (fi-gura 1). Se essa è di brevissima durata, determina la classica sintomatologia pre-sincopale; se invece ha una durata di 8-10 secondi, comporta una perdita di coscien-za completa; infine, se si prolunga per più di 15 secondi, determina contrazioni tonico-cloniche generalizzate, segni di decorticazione simmetrica e fenomeni convulsivi secondari.Questi fenomeni convulsivi secondari devono essere differenziati da quelli pri-mitivi, propri dell’epilessia, non deter-minati da ischemia cerebrale globale, ma da alterazioni elettriche parossistiche del sistema nervoso centrale (tabella 1).La presenza di traumi nelle S è un ele-mento in grado di influenzare prognosi e terapia. Essi si verificano nelle cadute

La sincope in età pediatricaRodolfo PaladiniUO di Cardiologia, Ospedale Pediatrico Santobono, Napoli

n. 1 / 2015FAD

figura 1

Basi patofi siologiche della sincope da Linee guida per la diagnosi e il trattamento della sincope (versione 2009)*

*G Ital Cardiol 2010; 11 (10 Suppl 2): e94-e135.

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5 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015 FAD

al suolo improvvise, tipiche delle S con scarsi o assenti prodromi, in cui sono ini-biti i normali meccanismi di difesa.

Eziologia

Dal punto di vista eziologico, le S (PdC da ipoperfusione cerebrale globale) van-no distinte a seconda che la causa sia “extracardiaca”, dovute a una reazione riflessa vaso-vagale, indicate come S neuromediate (o riflesse o autonomiche), che hanno prognosi buona e sono assai frequenti, da quelle a causa “cardiaca” (strutturale o aritmica) che hanno pro-gnosi sfavorevole e sono relativamente rare (tabella 2). Le pseudo-S (PdC non secondarie a una ipoperfusione cerebrale globale) vanno differenziate, a loro vol-ta, in due sottogruppi a seconda che la PdC sia “reale”, a causa principalmente neurologica, o “apparente”, a causa prin-cipalmente psichiatrica (tabella 3).

Epidemiologia

Negli adulti la S è una causa frequente di accesso al Dipartimento di Emergen-za-Accettazione (DEA) essendo respon-sabile del 3-5% degli accessi e dell’1-6% dei ricoveri. In età pediatrica la stima del fenomeno risulta più difficile, e sebbene il ricorso al Pronto Soccorso pediatrico sia meno frequente rispetto agli adulti (0,4-1% degli accessi annuali), l’entità dell’incidenza dei casi di S resta elevata: circa il 15% dei bambini ha esperienza di almeno un episodio sincopale entro i 18 anni, anche se molti di essi non giungono all’osservazione del medico. Le S che richiedono un intervento del medico sono circa 126/100.000 e sono motivo di una consulenza cardiologica nel 3,4-4,5%. La S neuromediata è si-curamente la causa più frequente di PdC transitoria in età pediatrica (61-80% dei casi), seguita dalle pseudo-S neurologi-che-neuropsichiatriche (11-19%) e dalla S cardiaca (6-11,5%). Nel 5% dei soggetti la S è determinata da una condizione esclusiva dell’età presco-lare, definita come breath holding spells o “spasmi affettivi” o sincope infantile.

Clinica

Le manifestazioni cliniche delle varie forme di S sono simili, essendo causate dallo stesso meccanismo patogenetico, ma esistono delle peculiarità che sono proprie di ciascuna forma, da ricercare

tabella 1

Anamnesi e diagnosi diff erenziale tra sincope ed epilessia

EPILESSIA SINCOPE

Elementi osservati dai testimoni

Movimenti tonico-clonici prolungati, il loro inizio coincide con la perdita di coscienza

Movimenti tonico-clonici di breve du-rata (<15 sec) che iniziano dopo la perdi-ta di coscienza

Movimenti clonici omolaterali

Chiari automatismi come masticare o schioccare le labbra

Presenza di schiuma alla bocca

Morso linguale

Faccia cianotica

Sintomi che precedono l’evento

Aura (es. odori intensi) Nausea, vomito, abdominal discomfort, sensazione di freddo, sudorazione (sin-tomi neurovegetativi)

Sintomi dopo l’evento

Confusione prolungata Di solito di breve durata

Dolori muscolari Nausea, vomito, pallore (sintomi neu-rovegetativi)

tabella 2

Classifi cazione delle sincopi

Sincopi cardiovascolari extracardiache neuromediate

1) Sincopi riflesse o neuromediate

• S vasovagale• S situazionale• S viscero-riflessa• Spasmi affettivi

2) Ipotensione ortostatica (idiopatica, disautonomia familiare)

Sincopi cardiache

A. Strutturali• Cardiopatia valvolare• Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva• Mixoma atriale• Dissezione aortica acuta• Malattie del pericardio in grado di provocare tamponamento• Embolia polmonare, ipertensione polmonare• Anomalie coronariche congenite• Anomalie coronariche acquisite (Malattia di Kawasaki)• Cardiopatie (Congan, Mustard e Senning)

B. Aritmiche• Disfunzione sinusale• Blocchi atrioventricolari avanzati• Tachicardie parossistiche sopraventricolari• Tachicardie ventricolari• Predisposizioni aritmiche eriditarie (Sindrome del QT lungo, Sindrome di Bru-

gada, CVPT, Sindrome del QT corto)• Proaritmia indotta (farmaci, alterazioni elettrolitiche)

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già alla valutazione iniziale. L’errore da non commettere è effettuare una dia-gnosi direttamente in base all’età (che condurrebbe, in età pediatrica, a dia-gnosticare solo S benigne), senza seguire quella procedura, descritta dettagliata-mente quando sarà trattata la valutazione iniziale della S, che prevede un’attenta disamina dell’anamnesi (familiare e per-sonale), delle caratteristiche cliniche, della ricerca dei segnali di allarme (ta-bella 4) e dei risultati dell’ECG. Spasmi affettivi – Sono episodi di apnea nei bambini, con possibile PdC transi-toria e modificazioni del tono posturale, fonte di notevole ansia per i familiari. Sono tipici dell’età prescolare, comuni (in circa il 5% della popolazione), preva-lentemente benigni, con incidenza simile nei maschi e nelle femmine. Gli spasmi affettivi sembrano avere una familiarità, dimostrabile in almeno il 30% dei casi, ed essere collegati con le crisi sincopali neuromediate dell’età peripuberale, di cui ne soffrirà circa il

20%. L’età d’insorgenza varia dai 6 ai 18 mesi di vita, raramente si presenta-no nella prima settimana di vita o dopo i due anni. In genere terminano entro i tre anni; non sono mai presenti oltre il quarto anno di età. La diagnosi è basata sul riconoscimento di una specifica se-quenza di eventi: una causa scatenante (rabbia, frustrazione, dolore) che porta a pianto o stato emozionale, è seguita da una prolungata espirazione forzata, associata a variazione del colorito cu-taneo e, nelle forme severe, a PdC con successivi spasmi clonici generalizzati, opistotono e bradicardia. È nota da tem-po un’associazione fra spasmi affettivi e carenza marziale, probabilmente de-terminata dal ruolo complesso del ferro nel metabolismo delle catecolamine e nel funzionamento di alcuni enzimi e neuro-trasmettitori del SNC. Se ne distinguo-no due tipi: cianotico e pallido.Lo “spasmo affettivo cianotico” è ca-ratterizzato da pianto vigoroso, dispnea, gasping, arresto del respiro, cianosi e perdita di coscienza.

Lo “spasmo affettivo pallido” è meno comune ed è considerato di maggiore gravità. È caratterizzato da un pianto più flebile (in genere scatenato da traumi do-lorosi) e da rapida perdita di coscienza, secondaria a un’asistolia che può durare anche molti secondi. Nelle forme pallide è stato dimostrato un esagerato riflesso oculocardiaco con una maggiore inci-denza di asistolia (60% dei casi) rispet-to alle forme cianotiche (25% dei casi). Negli spasmi affettivi in genere la sola raccolta di un’accurata anamnesi è esau-stiva e da sola permette la diagnosi.

Sincope neuromediata (o riflessa) – È preceduta da alcuni stati emozionali (spavento, disgusto, forte emozione, vi-sta del sangue, manovre strumentali), o insorge in stati di disidratazione (scarsa assunzione di liquidi o diete iposodiche, o, nel sesso femminile, durante il ciclo mestruale) oppure per stimoli di tipo ortostatico (posizione eretta prolungata, stazionamento in ambienti caldi o affol-lati) e si associa a sintomi da attivazione del sistema autonomo (nausea, abdominal discomfort, vomito, sudorazione, pallore, dilatazione delle pupille, cardiopalmo, sbadiglio, incontinenza) e da ipoperfu-sione cerebrale (oscuramento della vista preceduta da perdita della visione colo-rata). In alcuni pazienti la S è scatenata da trigger stereotipati che determinano fenomeni ricorrenti (minzione, defeca-zione, tosse, deglutizione ecc.). In questi casi le sincopi sono note come visceroriflesse. Se i triggers sono costi-tuiti da particolari condizioni (bagno o doccia calda, altitudine, diving in apnea ecc.) le S sono indicate come situazionali.Una S situazionale può verificarsi dopo esercizio fisico intenso in soggetti sani (anche più frequentemente negli atle-ti allenati). Il meccanismo sottostante, nei soggetti predisposti, è determinato da complesse interazioni autonomiche (iperventilazione), associate alla relativa disidratazione, che entrano in gioco alla cessazione dell’esercizio fisico. Tale tipo di S insorge sempre alla fine dell’esercizio fisico e deve essere accura-tamente differenziata da quella che so-pravviene durante l’esercizio, tipica dei pazienti con cardiopatie strutturali o con tachiaritmie gravi di tipo adrenergico. In base al tipo di risposta cardiovascola-re, le sincopi neuromediate si distinguo-no in:• forme vasodepressive, in cui prevale la

vasodilatazione;

n. 1 / 2015FAD

tabella 3

Classifi cazione delle pseudosincopi

Disturbi con PdC completa o parziale vera in assenza di ipoperfusione cerebrale globale

Disturbi con PdC apparente

• Epilessia• Disturbi metabolici: ipoglicemia, ip-

ossia, iperventilazione con ipocapnia• Intossicazioni da farmaci – sostanze

da abuso• Altre cause neurologiche (cefalea,

accidenti cerebrovascolari, traumi)

• Disturbi a origine psicogena (somatiz-zazione e/o conversione, depressione, iperventilazione psicogena, attacchi di panico, Sindrome di Munchausen per procura)

• Drop attack• Catalessia

tabella 4

Elementi di allarme suggestivi per sincope cardiaca – red fl ags

• Familiarità per morte cardiaca improvvisa• Familiarità per aritmia o cardiopatia a rischio (sindrome del QT lungo, miocar-

diopatia ipertrofica)

• Malattia cardiaca strutturale o aritmogena nota

• Comparsa improvvisa di palpitazione (senza prodromi) a cui segue sincope• S in corso di esercizio fisico• S in posizione supina• S in piscina• S in corso di febbre (non durante la defervescenza)• S dopo rumore forte/fastidioso• S senza prodromi e con traumatismo• S che necessita di rianimazione cardiopolmonare

• Rilievi obiettivi di ritmo irregolare, toni e soffi cardiaci patologici, sfregamenti pericardici

• ECG alterato

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7 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015 FAD

• forme cardioinibitorie, in cui prevale la bradicardia;

• forme miste, in cui sono presenti sia la vasodepressione sia la cardioinibizione.

Il meccanismo cardioinibitorio è me-no frequente, tipico della postpubertà, preceduto da sintomi premonitori meno evidenti e spesso complicato da trauma-tismo. La S riflessa presenta tipicamente tre fasi: quella prodromica, la perdita di coscienza e il periodo di recupero.La fase prodromica può durare da secon-di ad alcuni minuti ed è quasi costante-mente ricordata dal paziente. Sintomi comuni di questa fase sono: vertigini, confusione, nausea, dolore addominale, sensazione di caldo o freddo, diaforesi, cardiopalmo, modificazione della vista o dell’udito, cefalea e anticipazione del-la perdita di coscienza. La sensazione di cardiopalmo ritmico e/o di pulsatilità addominale, ben documentabile al tilt test, da tachicardia sinusale e iperattivi-tà dell’aorta addominale, va distinta dal cardiopalmo delle tachicardie maligne in grado di provocare S cardiaca. Caratte-ristica distintiva è che, in queste ultime, il cardiopalmo inizia improvvisamente e sempre in assenza di tutti gli altri pro-dromi tipici della S neuromediata. La PdC è di durata variabile, da pochi secondi ad alcuni minuti (in genere 15-20 secondi) e non è ricordata dai pa-zienti. Durante questa fase il paziente è pallido, cinereo, con cute fredda, sudora-zione profusa e raramente incontinente. Questa fase può essere costituita anche da un’alterazione dello stato di coscienza, in cui il paziente conserva la capacità di udire le voci dei presenti, ma non ha la capacità di rispondere. La fase di recu-pero dura da 5 a 30 minuti ed è caratte-rizzata da astenia, sonnolenza e nausea, a volte con cefalea, anche marcata, ma di breve durata. Il ritorno alla normalità, rapido e completo, è la regola, tanto che la persistenza di un’alterazione maggiore dello stato di coscienza dopo la S deve comunque suggerire la ricerca di una causa neurologica (anche concomitante).

Sincope cardiaca – In età pediatrica la S può essere il sintomo di esordio di pato-logie cardiache rare, in grado di provoca-re una morte improvvisa. Tutte le condizioni in grado di provocare una S cardiaca sono elencate in tabella 2; esse sono suddivise in cause strutturali e aritmiche. La S cardiaca è quella a pro-gnosi più infausta: la mortalità annuale è infatti superiore al 30%.

La cardiomiopatia ipertrofica (CMI) è una malattia genetica (numerose va-rianti) con un fenotipo caratterizzato da ipertrofia cardiaca. La forma ostruttiva può provocare S da sforzo e rappresenta la forma più comune di morte improvvi-sa tra i giovani. La CMI può provocare anche S aritmiche per aumentata su-scettibilità alle tachiaritmie ventricolari, oppure per diminuzione della pressione arteriosa durante tachiaritmie (tachicar-dia parossistica sopraventricolare, bra-diaritmie) che, in assenza dell’ostruzione all’efflusso, sarebbero ben tollerate sul piano emodinamico. Una CMI può esse-re sospettata all’ECG e trovare conferma all’esame ecocardiografico.

La displasia aritmogena del ventricolo destro (AVRD) è una malattia genetica che coinvolge principalmente il ventri-colo destro. Costituisce un’importante causa di aritmia ventricolare nei bam-bini, in grado anche di provocare una S aritmica e morte improvvisa. Può essere sospettata per un particolare pattern eco-grafico (onde epsilon, T invertite) e per il quadro ecocardiografico.

La preeccitazione ventricolare o sindro-me di Wolff-Parkinson-White provoca tachicardie parossistiche in età pediatri-ca. Può essere causa di S e raramente di morte improvvisa. Presenta quadri eco-grafici tipici. Cause potenziali importanti di S aritmi-ca e di morte improvvisa, in assenza di cardiopatia strutturale, sono rappresen-tate dalle malattie elettriche primarie, che frequentemente hanno un’anamnesi familiare positiva per morte improvvisa.Ciascuna di queste rare canalopatie è ca-ratterizzata da particolari caratteristiche genetiche e cliniche.

La sindrome del QT lungo (LQTS) è caratterizzata nella maggioranza dei ca-si da un prolungamento dell’intervallo QTc (in età pediatrica >440 ms) e da un aumentato rischio di aritmie ventricolari e arresto cardiaco. Esistono diverse va-rianti di LQTS e ognuna ha trigger arit-mici tipici: nella LQT1 gli eventi sono principalmente scatenati dall’esercizio fi-sico e soprattutto dal nuoto; nella LQT2 dagli stress di tipo emotivo (improvvisi suoni di elevata intensità come sveglia o telefono), anche se possono insorgere con l’esercizio fisico o a riposo; nella LQT3 gravi aritmie insorgono principalmente durante il sonno.

La sindrome di Brugada (BS) è una ma-lattia aritmogena genetica, caratterizzata da sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni precordiali, con morfologia caratteristica. Può provocare una S aritmica (torsione di punta e/o fibrillazione ventricolare) soprattutto nei periodi di riposo, durante fasi di prevalenza vagale. Una caratteri-stica tipica della BS in età pediatrica è che, in corso di febbre, il tipico pattern ecgrafico si rende evidente o si accentua e aumenta il rischio di S aritmiche.

La tachicardia ventricolare polimor-fa catecolaminergica (CPVT) è una patologia aritmogena genetica a cuore strutturalmente integro. Le tachicardie ventricolari (più tipica è la tachicardia bi-direzionale) e la S si manifestano princi-palmente durante sforzi fisici. I pazienti affetti da CPVT possono avere una lun-ga storia di S recidivanti e alcuni di essi sono erroneamente sottoposti a terapia per l’epilessia.

La sindrome di Kearns-Sayre è una ra-ra malattia neuromuscolare, che insor-ge prima dei 20 anni, caratterizzata da oftalmoplegia e retinopatia pigmentosa associata a uno o più di questi fattori: blocco atrioventricolare avanzato, atas-sia cerebellare, incremento dei livelli di proteine (>100 mg/dl) del liquido cefa-lorachidiano; può presentarsi con una S cardiaca da blocco atrioventricolare avanzato o da tachiaritmie. Pertanto riconoscere, anche in queste forme rare, i sintomi sospetti e avviare immediatamente questi pazienti a que-gli accertamenti strumentali adeguati all’individuazione della condizione mor-bosa che ha provocato la S, rappresenta la vera sfida per il pediatra e il cardiologo, per la quale è giustificato applicare tutti gli sforzi ed eseguire tutti gli esami di-sponibili.

La sindrome da tachicardia posturale ortostatica (POTS) è una forma d’in-sufficienza vegetativa che si manifesta nell’inabilità del sistema vascolare peri-ferico a vasocostringersi adeguatamente, in risposta allo stimolo ortostatico.La POTS colpisce caratteristicamente le giovani adolescenti, a seguito di un epi-sodio infettivo minore, talvolta un trau-ma o un intervento chirurgico. La caratteristica distintiva rispetto ad altre forme riflesse è che durante l’insor-genza dell’evento presincopale/sincopale

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la pressione arteriosa si mantiene costan-te o diminuisce minimamente, al contra-rio della frequenza cardiaca che aumenta marcatamente.

Strategia diagnostica: valutazione iniziale della sincope

Una valutazione iniziale comprensiva di anamnesi rivolta al paziente (compatibil-mente con l’età) e ai testimoni, di esame obiettivo, con rilievo di pressione arte-riosa in clinostatismo e in ortostatismo a 1-3-5-10 minuti e di un ECG a 12 deri-vazioni, è in grado di identificare una S a eziologia cardiaca, con una sensibilità pari al 96%, conduce alla diagnosi di S nella maggior parte dei pazienti senza cardiopatia, permette una stratificazione del rischio (basso, intermedio, elevato) e orienta su tipo e priorità dell’approfondi-mento diagnostico.La strategia diagnostica più semplice prevede che il medico che affronta una PdC si ponga inizialmente tre domande fondamentali:• la perdita di coscienza è di origine sin-

copale o si tratta di una pseudo-S?• è presente una patologia cardiaca?• com’è l’anamnesi riguardante la S?Sono da ricercare pertanto, in primo luogo, le caratteristiche tipiche dell’ipo-perfusione cerebrale globale o piuttosto quelle della pseudo-S (tabella 3); quindi

vanno esclusi quegli elementi considerati di allarme per una potenziale eziologia cardiaca (red flags) elencati nella tabella 4 ed esclusa l’evidenza di una cardiopatia all’esame preliminare e all’ECG.L’anamnesi va orientata anche al succes-sivo iter diagnostico ed in essa devono essere ricercati tutti gli aspetti elencati nella tabella 5. Quando alla valutazio-ne iniziale sono presenti tutti elementi congruenti con una S benigna, l’aspetto più complesso non è rappresentato dal-la diagnosi, ma piuttosto dal rassicurare i genitori e convincerli dell’inutilità di altri accertamenti. Nell’esame clinico una particolare cura va riservata al rilievo dei livelli pressori. Negli adolescenti un valore cut-off di pressione arteriosa sistolica in ortosta-tismo inferiore a 80 mmHg indica la necessità di un approfondimento dia-gnostico. Sintomi tipici di preS associa-ti a un calo di 20-30 mmHg o più della PA sistolica e/o di 10 mmHg della PA diastolica dopo 3 minuti di ortostatismo, rispetto ai valori basali in clinostatismo, sono diagnostici d’ipotensione ortostati-ca. Se la stessa sintomatologia è associata a una marcata tachicardia (incremento della frequenza cardiaca oltre 28-30 bpm rilevati dopo 10 minuti di ortostatismo), ma con valori normali di pressione ar-teriosa, può invece essere diagnosticata una POTS. Immediatamente dopo una S neuromediata possono essere rilevati valori di pressione arteriosa sistolici (me-no frequentemente diastolici) elevati.Essi non sono legati a una preesistente ipertensione arteriosa quanto piuttosto a fenomeni neurovegetativi di rimbalzo.L’osservazione prolungata, in questi casi, evidenzia una loro rapida normalizzazione.

ECG

L’ECG a 12 derivazioni rappresenta un esame fondamentale nella diagnosi di S ed è l’unico esame strumentale che fa parte della valutazione iniziale. La tabella 6 elenca tutto ciò che va ricer-cato nell’ECG. L’ECG, oltre che essere utile per iden-tificare condizioni aritmiche responsa-bili della S, integra l’esame obiettivo nel sospetto di malattie cardiache strutturali sottostanti. Esso deve sempre far parte della valutazione iniziale poiché un’a-normalità dell’ECG di base nei pazienti con PdC, oltre a costituire un possibile predittore di S cardiaca, rappresenta co-munque un fattore prognostico negativo

qualunque sia la causa della PdC.Va rilevato che la refertazione dell’ECG dovrebbe essere fatta da un cardiologo con esperienza pediatrica, anche ricor-rendo a sistemi con trasmissione elettro-nica e refertazione a distanza.

Indicazione al ricovero

Il ricovero è considerato necessario nei pazienti con S al di sotto di un anno, con la sola esclusione dei casi tipici di spasmi affettivi cianotici. Per il passato alcuni episodi di PdC con apnea ostruttiva e cianosi, in bambini al di sotto di un anno, sono stati conside-rati secondari a reflusso gastroesofageo (GER), anche in assenza di una storia clinica di vomito e rigurgito.Con l’acronimo di ALTE (Apparent Li-fe Threatening Event) s’intende, in bam-bini al di sotto di un anno di vita, un episodio caratterizzato da una variabile associazione di apnea (centrale e occasio-nalmente ostruttiva), variazione del colo-rito cutaneo (pallore, cianosi o eritrosi), marcata alterazione del tono muscolare (ipo o ipertono), apparente soffocamento o conati di vomito, non preceduto dalla sequenza stereotipata degli spasmi affet-tivi. Episodi di ALTE sono stati descrit-ti in corso di malattie neurologiche e di infezione delle vie aeree (oltre ad altre cause rare), anche se molti clinici hanno finora considerano questi episodi quasi esclusivamente legati a un rapporto di causa-effetto con il GER. In realtà linee guida recenti non confer-mano il ruolo patogenetico del GER ne-gli ALTE e ritengono più probabile un esagerato chemoriflesso laringeo. Oltre l’anno di vita il ricovero resta su-bordinato alla prognosi della patologia che si sospetta e comunque è indicato negli adolescenti in cui la S ha provocato importanti traumatismi, nei cardiopatici o in quelli in cui alla valutazione inizia-le si riscontra uno (o più di uno) degli aspetti di allarme elencati in tabella 4.

Esami diagnostici di II livello

Esiste una grande varietà di esami dia-gnostici che possono offrire un contributo più o meno determinante nella diagnosi della S, ma nessuno di essi rappresenta il gold standard. Le indagini diagnostiche non invasive considerate utili, quando indicate, sono il tilt test, l’ecocardiogra-fia, l’ECG dinamico secondo Holter e il test ergometrico; tutte le altre (compreso

tabella 5

Caratteristiche cliniche che possono indirizzare verso la diagnosi nella valutazione iniziale

A. Sincope neuromediata• Assenza di malattia coronarica• Lunga storia di recidive sincopali• Dopo una visione, un suono, un odo-

re o un dolore improvviso, inatteso e spiacevole

• Prolungato ortostatismo in luoghi caldi e affollati

• S con nausea e vomito• Durante o dopo un pasto• Dopo esercizio fisico

B. Sincope ortostatica• Dopo assunzione della posizione

eretta• Farmaci con proprietà vasodilatatorie• Prolungato ortostatimo in luoghi cal-

di e affollati• Presenza di neuropatia autonomica

accertata

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EEG, RMN e TC, ecografia dei TSA) sono invece considerate generalmente non utili.

Tilt test (HUTT: Head-Up Tilting test)Negli ultimi dieci anni il tilt test si è im-posto quale metodica diagnostica di ri-ferimento, semplice, a basso rischio e di facile esecuzione, per il riconoscimento di una suscettibilità individuale alla S neuromediata, anche in età pediatrica.L’ortostatismo passivo protratto è uno stimolo in grado di indurre la compar-sa di un riflesso vasovagale in soggetti predisposti. Il sequestro di sangue nella parte declive dell’organismo, per effetto della forza di gravità e della mancanza dell’azione di pompa dei muscoli agli ar-ti inferiori, comporta una riduzione del ritorno venoso e quindi della gittata car-diaca. Questo determina un’importante attivazione simpatica e un’inibizione del tono vagale con vasocostrizione peri-ferica e aumento dell’inotropismo e del cronotropismo cardiaci. Ciò porta a una contrazione energica del cuore a cavità relativamente vuote, responsabile, nei soggetti predisposti, di un’abnorme sti-molazione dei meccanocettori cardiaci e un’aumentata scarica delle fibre afferenti

vagali dirette ai centri vasomotori (fibre C). Il risultato finale è un meccanismo ri-flesso che induce una riduzione parados-sa del tono simpatico e/o un’attivazione del parasimpatico, in grado di determi-nare la caduta della portata circolatoria (bradicardia e/o ipotensione) e quindi indurre la S. Varie osservazioni cliniche e sperimentali sono a favore dell’equiva-lenza tra S indotta dal tilt test e S clinica. Il tilt test pertanto è indicato nei pazien-ti con PdC di origine indeterminata, in cui una risposta positiva all’esame rende molto probabile che la causa sia dovuta a una reazione neuromediata. Il tilt test è ben effettuabile in pediatria, in soggetti di età non inferiore a 7 an-ni, istruiti sulle modalità di esecuzione dell’esame. Consiste nel posizionamen-to del paziente su un lettino basculante, fornito di supporti per piedi e di cinghie per assicurare il paziente, che è innalzato fino alla posizione verticale (70°) duran-te monitoraggio elettrocardiografico e pressorio non invasivo battito-battito.La normale risposta all’ortostatismo, quella cioè dei soggetti sani senza sinco-pi e con tilt test negativo, è caratterizzata da un aumento di circa 10 mmHg della pressione arteriosa diastolica, da modifi-

cazioni non significative della pressione sistolica e da un incremento della fre-quenza cardiaca di circa 10-15 bpm.Il tilt test è considerato positivo se, in-vece, è in grado di indurre una sincope.L’esame ha comunque un basso pote-re diagnostico con molti falsi positivi e negativi, e non è neppure un buon pre-dittore di ricorrenza della S o di efficacia nel trattamento. Una risposta negati-va non esclude la diagnosi di S riflessa. Per questi motivi non trova indicazioni in pazienti con episodi sincopali isolati con chiare caratteristiche anamnestiche di tipo neuromediato. Le indicazioni al tilt test in età pediatrica sono elencate in tabella 7. Nell’età pediatrica l’esame trova indicazione anche nei pazienti con sospetta epilessia (con o senza terapia an-tiepilettica), ma con EEG ripetutamente negativi, in cui un errore diagnostico (fra una pseudo-S neurologica ed una S neu-romediata) costituisce un’evenienza non rara. Controindicazioni all’esame sono la presenza di una grave ostruzione all’ef-flusso ventricolare sinistro, una stenosi mitralica critica e altre condizioni (coro-naropatia trivasale e stenosi critica cere-brovascolare) che, di fatto, non sono mai presenti in questa fascia di età.Nel nostro laboratorio è eseguito alla pre-senza di almeno un genitore, con un pro-tocollo che prevede una fase iniziale con il paziente monitorato in clinostatismo per 20 minuti, senza eseguire l’incannulazio-ne venosa (riservata solo a casi particolari), seguita da una fase di altri 18 minuti in ortostasi passiva a 70°; in caso di negati-vità è eseguito un potenziamento farma-cologico con dose fissa di nitroglicerina sublinguale (spray di 0,30 mg). Nelle S indotte dal test, è possibile osservare uno spettro di risposte anomale caratterizzate da comportamenti emodinamici peculia-ri, che identificano distinti disordini asso-ciati a intolleranza all’ortostatismo. Secondo prevalenza e successione crono-logica tra ipotensione e bradicardia è pos-sibile distinguere tre tipi fondamentali di comportamento emodinamico:• tipo 1 o sincope mista;• tipo 2 o sincope cardioinibitoria, sud-

diviso in ulteriori due sottogruppi (2A e 2B) a seconda che la PA cali prima o successivamente alla frequenza cardiaca;

• tipo 3 o S vasodepressiva.Una risposta di tipo cardionibitorio al tilt test è altamente predittiva di sincope spontanea asistolica, mentre una rispo-sta vasodepressiva, mista o addirittu-ra negativa, non esclude la presenza di

tabella 6

Rilievi ECG da ricercare

A. Sincope aritmica• blocco bifascicolare (BBS o BBD associato EAS o EPS)• altre turbe della conduzione intraventricolare sinistra (QRS > 120 ms)• BAV 2° grado• bradicardia sinusale• blocchi senoatriali in assenza di assunzione di farmaci cronotropi negativi• tachicardia ventricolare• preeccitazione ventricolare• intervallo QT lungo o breve• morfologia tipo BBD con sopraslivellamento del tratto ST-T (sindrome di Brugada)

B. Sincope in cardiopatia strutturale• onde T negative nelle derivazioni precordiali destre, onde epsilon• onde Q di pseudonecrosi• ipertrofia ventricolare sinistra

tabella 7Indicazioni al tilt test in età pediatrica

• sincopi ricorrenti con > 2 episodi ogni 6 mesi• sincopi da causa ignota senza evidenza di cardiopatia significativa• anche un singolo episodio sincopale se è stato causa di trauma• riscontro di cardiopatia che potrebbe non essere la causa dell’episodio sincopale• sincope indotta o associata ad attività fisica• episodi convulsivi recidivanti attribuiti ad epilessia ma con ECG negativi e che

non rispondono alla terapia

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asistolia in corso di S spontanea. Il tilt test è indicato anche nei pazienti con so-spetta POTS. In questi si osserva entro i primi 10 minuti dall’inizio dell’esame un incremento della frequenza cardiaca a valori superiori a 130 bpm oppure un aumento di almeno 30 battiti rispetto al valore pre-tilt associato a ipotensione di grado lieve, anche se durante l’esame questi pazienti lamentano in genere sin-tomi di tipo presincopale senza giungere a un’effettiva S.

Ecocardiogramma

L’ecocardiogramma è raccomandato nel paziente con S quando si sospetta, alla valutazione iniziale, una malattia car-diaca strutturale. Consente una diagnosi eziologica di S solo nei casi di mixoma atriale, stenosi aortica severa, anomalie coronariche congenite e tamponamento cardiaco, ma può fornire un utile sup-

porto anche in caso di miocardiopatia ipertrofica, di cardiomiopatia dilatativa e di embolia polmonare.

Test da sforzo

Il test da sforzo massimale, su ergome-tro trasportatore, è da richiedere nei pazienti in cui è stata riscontrata una S durante esercizio f isico, al f ine di riprodurla ed escludere aritmie ventri-colari adrenergiche o blocchi atrioven-tricolari avanzati, oltre a quei rarissimi casi, in età pediatrica, in cui l ’episodio sincopale è legato a ischemia miocar-dica da lavoro muscolare. Nei pazienti con S neuromediata dopo sforzo f isico in genere il test da sforzo massimale con arresto brusco è capace di ripro-durre la S e pertanto può trovare indi-cazione nei casi in cui è diff icile capire dall ’anamnesi se la S sia insorta duran-te o dopo lo sforzo f isico.

ECG dinamico secondo Holter

È indicato nei pazienti che presentano S aritmica ed episodi sincopali frequenti (settimanali) e nei pazienti con cardiopa-tia strutturale, nei quali si sospetti possa essere un’aritmia, e non la cardiopatia, la causa di S. In realtà è diagnostico solo nei rarissimi casi in cui si verifichi una preS o S durante la registrazione.

Esami ematochimici

Trovano indicazione soltanto se nella valutazione iniziale emergono elementi sospetti per un’emorragia, una disidrata-zione o una causa metabolica.L’ipoglicemia, in età pediatrica, rappre-senta una causa francamente sovrastima-ta di PdC. Essa si accompagna ad astenia, sudorazione, tachicardia e altri sintomi che devono essere accuratamente diffe-renziati da quelli tipici del meccanismo riflesso. Le PdC non sono secondarie a diminuzione del flusso cerebrale, hanno un esordio non improvviso e mancano di recupero spontaneo, essendo necessario, quasi sempre, un intervento terapeutico.

EEG

L’EEG è indicato solo nel sospetto di epilessia e nei soggetti con disturbo del-lo stato di coscienza non definito, quindi non attribuibile a S o a disturbi metabo-lici. Il suo impiego “largo” è giustificato soltanto nei primi anni di vita.

TC - RMN

Le indagini neuroradiologiche (TC) o di neuroimaging (RMN) vanno eseguite solo nei soggetti con segni focali o altri elementi suggestivi d’interessamento del SNC e devono essere concordate con la consulenza neurologica.

Valutazione psichiatrica

La valutazione psichiatrica è indicata quando i sintomi suggeriscono un epi-sodio di pseudo-S di origine psicogena, con perdita di coscienza apparente. È indicata inoltre negli episodi sincopali neuromediati, connessi a crisi di panico.Il monitoraggio elettrocardiografico invasivo (loop recorder impiantabile), lo studio elettrofisiologico endocavitario e il cateterismo cardiaco sono eseguiti in casi selezionati e solo su indicazione di un cardiologo pediatra esperto in arit-mologia.

tabella 8

Caratteristiche cliniche che possono indirizzare verso la diagnosi nella valutazione iniziale

Consigli da seguire• bere molti liquidi: durante l’esercizio fisico e la stagione calda bere acqua ricca

di sali minerali, bevendone buona parte (500 ml) al mattino e/o circa 15 minuti prima di eventuali situazioni scatenanti

• aumentare l’introito di sale• dormire con la testa sollevata: opportuno alzare la testiera del letto di circa 10°

dal piano del letto• praticare una costante e moderata attività fisica senza interrompere bruscamente

lo sforzo• eventuale tilt training: l’esercizio prevede la stazione eretta con le spalle appog-

giate al muro e i piedi a 20 cm dal muro stesso da mantenere per 5 minuti per poi aumentare progressivamente la stazione eretta di un minuto al giorno fino a un massimo di 15 minuti

Situazioni da evitare• stare in piedi o seduti per troppo tempo soprattutto in posti caldi, affollati e con

scarso ricambio d’aria; nel caso sia necessario rimanere in posizione eretta o se-duta contrarre periodicamente i muscoli dei polpacci e delle cosce o alzarsi sulle punte dei piedi

• temperature ambientali elevate (in particolare bagni caldi)• assumere bibite ghiacciate• assumere pasti troppi abbondanti: è consigliabile fare pasti piccoli e frequenti• assumere droghe• cambiare posizione troppo velocemente: in particolare porre attenzione nel pas-

saggio dalla posizione seduta o sdraiata a quella in piedi, soprattutto al mattino• informare il medico nel caso di tendenza alla sincope durante prelievi venosi o

altre procedure invasive ed eseguirle in posizione distesa• situazioni di stress emotivo e/o fisico• eseguire esercizio fisico intenso, soprattutto in ambienti caldo-umidi e quando si

indossano abiti non adatti• informare il medico della tendenza alla sincope quando si devono assumere nuovi

farmaci

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Trattamento della sincope

Le S cardiache e le pseudo-S devono essere trattate in ambienti ad elevata specializzazione, scelti sulla base delle caratteristiche della patologia sottostan-te e all’evidenza dei risultati degli esa-mi di diagnostica strumentale cui sono sottoposti. Il trattamento della S neu-romediata consiste principalmente nel rassicurare il soggetto e l’ambiente fa-miliare sulla benignità dell’evento e nel consigliare tutti gli accorgimenti sulle modalità di prevenzione della S (tabella 8), durante i prodromi con le manovre di contropressione (quali un esercizio isometrico con le braccia, handgrip, op-pure incrociando le gambe, contraendo i muscoli, al fine di aumentare la pressio-ne arteriosa) e in caso di S (assumendo immediatamente la posizione supina e alzando le gambe), in grado, comune-mente, di far abortire l’episodio sinco-pale. Se gli episodi di accertata natura neu-romediata hanno provocato traumi fisici e/o non risentono delle rassicurazioni, dei consigli e delle manovre di contro-pressione, può essere indicata una tera-pia medica.

In età pediatrica solo tre agenti farma-cologici hanno dimostrato, in studi pro-spettici randomizzati con placebo, una certa efficacia:1. Midodrina, alfa-agonista selettivo, che riduce la capacitanza venosa, a do-saggi che non aumentano la pressione arteriosa, senza effetti sul SNC (non ol-trepassa la barriera ematoencefalica).2. Fludrocortisone, agisce favorendo il mantenimento della volemia, ed è ef-ficace soprattutto nelle forme legate a disidratazione, persistenti all’aumentata assunzione di liquidi.3. Paroxetina, inibitore selettivo del reuptake della serotonina, che è efficace nel trattamento delle POTS.

Grande cautela in età pediatrica deve essere riservata ai rari casi di S neuro-mediata cardioinibitoria recidivante, che provocano traumi e che non risentono né dei consigli generici che della terapia con midodrina (S neuromediate maligne).Quasi tutti questi pazienti sono giovani, con pause prolungate al tilt test. Alcuni di essi sono stati sottoposti a impianto di pacemaker bicamerale, ma questa possi-bilità allo stato non è validata da studi clinici e comunque rientra in una valu-tazione complessa specialistica.

Conclusioni

In età pediatrica la gestione della S gene-ra ancora più criticità di quanto avviene nel paziente adulto. I principali fattori di criticità sono rappresentati dal persistere di una terminologia confusa, che utilizza definizioni non univoche, da un’eccessiva percentuale di ricoveri (50-70%) di lunga durata, da un elevato numero di accerta-menti e infine da un’eccessiva percentua-le di S non diagnosticata, anche dopo il ricovero. Nel processo diagnostico sono largamente utilizzati esami a basso po-tere diagnostico e ad alto costo (EEG-RM-TC), mentre esami con rapporto costo-beneficio molto favorevole (tilt test) sono ampiamente sottoutilizzati.È prevedibile che anche in età pediatrica un approccio clinico basato sull’appli-cazione delle linee guida internazionali, sull’innovazione tecnologica e su un’ot-timizzazione dei percorsi, possa essere in grado di determinare una maggiore appropriatezza insieme con un risparmio delle risorse, quindi migliori risultati sia in termini clinici che economici.È auspicabile che, anche in età pedia-trica, questi obiettivi siano ricercati in-dividuando strutture specializzate nella diagnostica e nel follow up delle S (Syn-cope unit), che in Italia hanno ridotto l’incidenza della S inspiegata al 3% nella popolazione generale e al 10% in quella geriatrica.

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12 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015Info genitori

Lo svenimento è definito con il termi-ne medico di sincope, e significa una temporanea perdita di coscienza, spesso accompagnata da una caduta o da un in-tenso desiderio di rimanere sdraiato. La sincope ha in genere una breve durata, 10-20 secondi, seguita da un recupero spontaneo, rapido e completo. Fatta ec-cezione per il rischio di lesioni fisiche a causa della possibile caduta, lo sveni-mento di per sé non è un grave problema di salute. Tuttavia a volte può essere il segno di una grave malattia: per questo motivo è importante riconoscerne la causa.

Quali sono le cause della sincope?

La causa della sincope è una temporanea mancanza di flusso di sangue che arriva al cervello. In questa condizione il nostro corpo presenta una immediata reazione con una perdita del tono posturale, in altre parole, cadiamo a terra perdendo temporaneamente i sensi; lo stare sdraia-ti favorisce l’afflusso di sangue al cervello e quindi la ripresa dello stato di coscien-za. Le cause di una sincope possono essere diverse e sarà il medico a indiriz-zarvi in base alla descrizione dell’evento e all’esame clinico.

La sincope neuromediata

La più frequente in età pediatrica è la sincope neuromediata che rappresenta fino all’80% di tutte le sincopi; può esse-re scatenata da un’emozione improvvisa (uno spavento, un odore sgradevole o la vista del sangue), uno stato di disidrata-zione causato da un’eccessiva perdita di acqua e sali durante una gastroenterite, o perché si beve poco, oppure perché si sta per tanto tempo in piedi, soprattutto se in luoghi caldi o affollati. Talvolta alcu-ne particolari circostanze, caratteristiche per quella persona, scatenano lo sveni-mento: un intenso esercizio fisico, andare in bagno, fare una doccia calda. Spesso il bambino ha la sensazione di svenire o avverte delle sensazioni parti-colari prima di perdere la coscienza: ca-pogiro, dolore addominale, sudorazione, disturbo della vista o dell’udito, nausea.

I bambini molto piccoli

Anche i bambini molto piccoli, perlopiù tra i 6 e i 18 mesi, possono avere un epi-sodio di sincope. Il termine medico usato per descrivere questi episodi è “Spasmi affettivi” anche se di affettivo non han-no nulla. In realtà sono sincopi che pos-sono essere scatenati dal pianto, dalla rabbia, da un momento di frustrazione o da un’esperienza di dolore improvviso. In queste situazioni il bambino trattie-ne il respiro fino a rallentare il battito cardiaco al punto di provocare lo sveni-mento. Questi episodi generano nei ge-nitori forte preoccupazione, tuttavia gli spasmi affettivi non hanno conseguenze sullo sviluppo e sul cervello dei bambini. Spesso c’è una familiarità e nel 20% dei bambini che da piccoli hanno sofferto di spasmi affettivi si possono manifestare episodi sincopali da adolescenti. Rara-mente gli spasmi affettivi si manifestano dopo i 3 anni.

Una causa pericolosa

Fino a ora abbiamo parlato di sincopi non pericolose. Ci sono anche sincopi, molto meno frequenti, la cui causa è un disturbo che riguarda il cuore. Par-ticolari malattie del muscolo cardiaco (cardiomiopatie) o delle alterazioni del battito cardiaco (aritmie) possono ridur-re improvvisamente il flusso sanguigno che arriva al cervello provocando una sincope. Sarà compito del pediatra va-lutare e riconoscere la necessità di ade-guate indagini diagnostiche nel caso sospetti la possibilità di una disfunzione del cuore. Come genitori è importante descrivere dettagliatamente l’evento al pediatra.

Le indagini diagnostiche

Le indagini diagnostiche possono non essere necessarie se le circostanze e i sin-tomi descritti indirizzano il pediatra ver-so una diagnosi di sincope neuromediata. Può essere utile controllare la pressione arteriosa da sdraiati e in piedi attraverso

particolari modalità (il tilt test). In altri casi il pediatra potrà richiedere un elettrocardiogramma o consigliare una consultazione dallo specialista car-diologo. Talvolta potrebbero essere ne-cessari esami particolari che saranno di volta in volta indicati dal medico.

Cosa fare per prevenire?

È utile imparare a riconoscere i primi segni di uno svenimento che a volte si può prevenire mettendo il capo tra le ginocchia o mettendo il bambino sdra-iato sul letto. Aiutare i bambini a rico-noscere questi sintomi insegnando loro a distendersi appena avvertono queste sensazioni. È anche importante l’idrata-zione: bere almeno 8 bicchieri di acqua al giorno è una buona regola. Se capita di dover soggiornare in luoghi caldi e in posizione eretta prolungata, esercizi co-me sollevarsi sulle punte o fare finta di camminare muovendo le piante dei pie-di possono aiutare a mandare più san-gue al cervello. Evitare l’uso di bevande alcoliche.

Cosa fare in caso di sincope?

Se possibile, evitare che il bambino o l’adolescente cada per terra. Adagiamolo disteso in un luogo ombreggiato, solle-vando leggermente i piedi. Se ha cibo in bocca stendiamolo di lato. Evitate l’uso di ammoniaca, “sali” o odori forti; in genere dopo qualche minuto si riprende conoscenza spontaneamente. Se l’episodio di sincope si verifica du-rante un esercizio fisico, per una forte emozione o con un rumore forte e im-provviso è necessario fare riferimen-to al pediatra o a un centro di Pronto Soccorso per indagare bene la funzione del ritmo cardiaco. In caso di dubbio o di preoccupazione contattare il pediatra che sarà in grado di rassicurare o, se ne-cessario, approfondire il problema.

[email protected]

“Venir meno” ovvero una sincopeCostantino Panza1, Stefania Manetti2, Antonella Brunelli3

1. Pediatra di famiglia, Sant’Ilario d’Enza, Reggio Emilia; 2. Pediatra di famiglia, Piano di Sorrento (Napoli);

3. Direttore del Distretto ASL, Cesena

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n. 1 / 2015 Ricerca

Introduzione

I piccoli prematuri sono ricoverati in te-rapia intensiva neonatale (TIN) in un momento saliente della loro vita, in cui dovrebbero ascoltare il linguaggio della madre mentre si trovano in utero. Risposte fisiologiche a stimoli esterni so-no rilevate a 24-25 settimane di età ge-stazionale e presenti regolarmente a 281. È probabile quindi che l’etnogramma lin-guistico inizi a strutturarsi già in questa epoca precoce nell’utero materno anziché nell’ambiente esterno, e che le aree cere-brali interessate siano già particolarmen-te sensibili a questo tipo di stimoli. Se il contatto con la voce della madre durante

il ricovero in TIN è certamente minore rispetto a quello esperito da feti e neo-nati a termine, è peraltro stato dimostra-to che quando la mamma parla o canta direttamente al suo bambino, egli tende a manifestare nell’immediato effetti po-sitivi quali stabilità nella ossigenazione, diminuzione di episodi critici, più tempo trascorso in stato di veglia tranquilla2-4. Inoltre le prime vocalizzazioni attive compaiono circa 4 settimane dopo la na-scita e aumentano in proporzione al nu-mero di parole ascoltate direttamente dai genitori5. È probabile che il prematuro, come il neonato a termine, abbia la capa-cità di memorizzare il suono di una pa-rola e distinguerla da una foneticamente

simile appena 2 minuti dopo averla codi-ficata; la risonanza magnetica funzionale in spettroscopia ci mostra che ciò avviene come nell’adulto nelle regioni frontali de-stre dove si verifica il maggior consumo di ossiemoglobina e che i suoni o testi di parole formate da vocali sono riconosciuti meglio rispetto alle consonanti6. Questa specifica modalità è propria dei primissi-mi stadi dell’acquisizione del linguaggio. Contestualmente va ribadito che qualun-que attività o stimolo cognitivo è tanto più efficace e memorizzato quanto più è collegato a esperienze emotive positive e piacevoli quali la vicinanza della madre7. Tenendo conto di queste evidenze e del fatto che il ritardo dell’elaborazione del linguaggio è ampiamente documentato dalla letteratura sullo sviluppo neuro-logico del neonato pretermine8, appare necessario promuovere interventi volti a incentivare e rinforzare il dialogo del ge-nitore con il nato prematuro ricoverato, anche come pratica di supporto alla rela-zione con il piccolo.

Obiettivi

La ricerca vuole in primo luogo dimo-strare la fattibilità di una attività inusua-le nelle TIN quale è la lettura al neonato di un testo illustrato da parte dei geni-tori; questa modalità di approccio non è istintivamente compresa dalle famiglie che rivolgono l’attenzione principalmen-te alle patologie organiche del piccolo. È stata inoltre indagata la possibile re-lazione tra attitudine alla lettura e spe-cifiche caratteristiche infantili (peso alla nascita) e genitoriali (nazionalità di pro-venienza). Infine è stata esplorata l’abitudine delle famiglie a continuare a usare il libro an-che dopo molti mesi dalla dimissione.

Metodi

Il campione preso in esame consisteva di 124 neonati pretermine, di cui 78 Very Low Birth Weight (VLBW, peso alla na-

Leggere ai neonati pretermine in Terapia Intensiva: valutazione a distanza di due anni

Augusto Biasini1, Erica Neri2, Francesca Fiuzzi1, Marcello Stella1, Fiorella Monti2

1. UO di Pediatria e Terapia Intensiva Neonatale-Pediatrica, Ospedale M. Bufalini, Cesena;

2. Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna

To assess the benefi ts of reading to premature babies on parent-infant interaction. A picture book in family’s primary language was given to newborn’s parents after the admission in NICU, suggesting them to read to their baby as often as possible. Th e intervention was implemented in 124 babies, 78 of them were VLBW (62.9%) and 46 LBW (37.1%). 80 parents (64.5%) fl uently spoke Italian language and 44 (35.5%) other languages. Th e same book was given to the family after discharge. A questionnaire was administered to parents 6 to12 months later. Parents stated they liked reading to their baby and that this practice helped them to feel closer to them. 64.5% of parents read to their babies while in NICU and 39.2% kept reading every day to their babies after discharge. Reading was more frequent among Italian parents of VLBW babies. Reading to preterms in NICU is felt as benefi cial to parent-infant interaction especially by parents of VLBW babies and seems eff ective in promoting reading after discharge.

Scopo dello studio è esaminare i possibili benefici sull’interazione genitori-neonato derivanti dalla lettura precoce ai nati pretermine. Sono state coinvolte 124 famiglie di neonati ricoverati in TIN, dei quali 78 (62,9%) erano VLBW, 46 (37,1%) LBW; 80 genitori (64,5%) erano di madrelingua italiana, 44 (35,5%) di lingua straniera. Ai genitori è stato suggerito di leggere al piccolo un libro nella lingua usata in famiglia, ogni volta che lo ritenessero possibile. Alla dimissione il libro seguiva il piccolo a casa. Un questionario sull’attitudine alla lettura è stato somministrato 6-12 mesi dopo la dimissione. Sia in TIN che dopo la dimissione, i genitori mostrano di gradire l’intervento, ritenendolo piacevole ed utile per sentirsi più vicini al piccolo. Il 64,5% dei genitori leggeva ogni giorno in TIN, il 39,2% dopo la dimissione. La pratica della lettura era maggiore nei genitori di bambini VLBW e di lingua italiana. I risultati emersi confermano quanto riportato da altri studi che evidenziano possibili benefici sulla relazione parentale, in particolare nei genitori di prematuri ad alto rischio.

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n. 1 / 2015Ricerca

scita inferiore ai 1500 grammi) e 46 ne-onati Low Birth Weight (LBW, peso alla nascita inferiore a 2500 grammi), reclu-tati da marzo 2011 ad agosto 2013. Al momento dell’ingresso in reparto, alla famiglia era offerto un libro conte-nente una storia illustrata, scritta nella lingua madre dei genitori. Da quel momento il libro diveniva parte del corredo del neonato: la prima pagi-na era personalizzata con l’impronta del piede o della mano del neonato, il suo nome, la data d’inizio della lettura. Alla famiglia erano spiegati i benefici del parlare al neonato ed era suggerito di leggere il libro ogni volta che lo ritenes-sero possibile e utile. La lettura veniva eseguita con un nor-male tono di voce, facendo attenzione a rispettare le regole sul rumore, definite visivamente nella TIN dallo strumento idoneo (SoundEar®)8.Nei primi giorni era effettuata col por-tello dell’incubatrice chiuso e, successi-vamente, col portello aperto o durante la marsupioterapia; se il piccolo era ac-cudito nel “warmer”, il familiare leggeva semplicemente vicino al lettino. Criterio inclusivo dello studio era la per-manenza del bambino in ospedale per almeno 5 giorni, considerato periodo

minimo per un’adeguata messa in atto dell’intervento. Alla fine della degenza e 6-12 mesi dopo la dimissione dalla Tera-pia Intensiva alle madri è stato chiesto di compilare un questionario. Lo strumen-to, adattato da Lariviere e Rennick10, valuta l’attitudine del genitore verso la lettura, sia durante il periodo del ricove-ro del neonato sia rispetto al prosegui-mento della lettura a casa. È composto da due sottoscale relative alla lettura in TIN e a casa nel post-dimissioni. Ogni scala contiene 4 items: i primi tre riguardano la percezione di piacere, uti-lità e tempo richiesto dalla lettura, con risposta su scala Likert a 5 punti, da 1 (per nulla d’accordo) a 5 (completamen-te d’accordo); a essi si aggiunge una do-manda sulla frequenza con cui il genitore legge (risposta da 1-ogni giorno a 5-mai). Il questionario comprende due domande supplementari, riguardanti riflessioni complessive rispetto al progetto.Tutte le analisi statistiche sono state svolte con il pacchetto software statistico SPSS, versione 19 per sistema operativo Windows. Sono stati considerati accet-tabili valori di significatività di p≤ 0,05. Per indagare i punteggi ottenuti dal campione ai questionari sono state svolte delle analisi della varianza a due vie per

le analisi trasversali, considerando l’im-patto delle seguenti variabili: “peso alla nascita” (VLBW vs LBW) e nazionalità della madre (lingua-madre italiana vs straniera). La relazione tra il peso alla nascita e i punteggi ai questionari è stata inoltre valutata con la regressione lineare. Per le analisi longitudinali, sono state effet-tuate delle analisi della varianza con di-segno misto.

Risultati

Il campione complessivamente è com-posto da 124 neonati e i relativi ge-nitori. Rispetto al peso alla nascita, 78 erano VLBW (62,9%) e 46 LBW (37,1%). Quanto ai genitori, 80 (64,5%) erano di nazionalità italiana e 44 (35,5%) stranieri. Globalmente l’intervento ha dimostra-to un elevato livello di gradimento: sia durante il ricovero in TIN che dopo le dimissioni, la maggior parte dei genitori ha risposto di essere d’accordo o com-pletamente d’accordo nel pensare che la lettura facesse piacere a loro e al bambino (83,9% e 85,6%, rispettivamente) e che rappresentasse un’utile modalità per sen-tirsi più vicini al piccolo (88,7% e 88,6%

tabella 1

Medie e deviazioni standard dei punteggi ai questionari

Fascia peso Nazionalità F*

VLBW (n=78)

LBW (n=46)

Italiana (n=80)

Straniera (n=44)

Fascia peso

Nazionalità Fascia peso nazionalità

Ricovero TIN: Penso che leggere al mio bambino...

... faccia piacere ad entrambi 4,58±0,69 4,24±0,99 4,54±0,76 4,30±0,93 10,31*** 6,41** 8,90***

... mi aiuti a sentirmi più vicino a lui/lei

4,64±0,66 4,28±0,94 4,63±0,72 4,30±0,88 16,23*** 13,76*** 18,19***

... mi richieda più tempo di quello che posso dargli

1,82±1,37 2,17±1,40 1,73±1,18 2,36±1,63 1,67 5,62** 0,13

Quanto spesso legge al suo bambino?

1,37±0,67 1,91±1,19 1,44±0,88 1,82±0,97 11,64*** 6,29** 0,28

Post-dimissioni: Penso che leggere al mio bambino...

... faccia piacere a entrambi 4,62±0.78 4,51±0,82 4,62±0,76 4,49±0,84 1,85 2,09 2,94

... mi aiuti a sentirmi più vicino a lui/lei

4,62±0,73 4,53±0,76 4,65±0,67 4.46±0.84 1,72 3,44 3,12

... mi richieda più tempo di quello che posso dargli

1,97±1,16 1,89±1,17 1,84±1,12 2,15±1,24 0,20 1,26 0,81

Quanto spesso legge al suo bambino?

1,97±1,19 2,61±1,36 2,01±1,12 2,22±1,29 10,58*** 8,68*** 2,50

*Test di Fisher; **p< 0,05; ***p< 0,005

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15 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015 Ricerca

rispettivamente). Inoltre, il 72,6% e il 78,3% dei genitori riteneva che il legge-re non richiedesse più tempo di quanto disponibile, suggerendo che l’intervento possa essere considerato non impegnati-vo. Durante il ricovero, il 64,5% dei ge-nitori leggeva ogni giorno, e il 33,9% da una a tre volte a settimana. Dopo le dimissioni, il 39,2% continuava a leggere ogni giorno al proprio bambi-no, mentre il 44,6% lo faceva 1-3 volte a settimana. Globalmente, il 61,6% ha dichiarato che non avrebbe letto se non fosse stato consigliato dal personale del reparto, soprattutto perché non era a conoscenza dell’utilità dell’intervento e delle precoci capacità del bambino di trarre beneficio dal sentire la voce del ge-

La regressione lineare ha confermato l’associazione tra le variabili (F (1,74) =20,132, p<0,0005, Adjusted R2=0,205): prima delle dimissioni, la frequenza della lettura aumenta significativamente al di-minuire del peso alla nascita del bambino (t=4,478; p<0,0005).L’ANOVA ha inoltre evidenziato come le madri italiane, confrontate con quelle di madre-lingua straniera, mostrassero un punteggio significativamente maggio-re nei primi due items (F (1,124)=6,40; p<,0005; F (1,123)=13,76; p<,0005, ri-spettivamente). Queste differenze non emergono nel secondo assessment. Le madri italiane inoltre tendevano a leggere più frequentemente rispetto a quelle straniere, sia in TIN (F (1,124) =6,29 p,013) che dopo le dimissioni (F (1,124)=8,68; p,004) (tabella 1). È infine emerso un effetto significativo dal confronto “peso alla nascita x na-zionalità” (F (1,124)=8,90; p=,003; F (1,123)=18,19; p<,0005, rispettivamen-te): mentre le madri italiane ottengono punteggi elevati agli items indipenden-temente dal peso del bambino, in quelle straniere l’accordo rispetto alla lettura emerge solo nel caso di bambini VLBW (figura 1). Le analisi longitudinali hanno mostrato un effetto globale del momento di valuta-zione: indipendentemente dal gruppo di appartenenza, la frequenza della lettura tende a diminuire dopo le dimissioni (F (1,114)=17,49; p<0,0005). È inoltre emer-sa una correlazione positiva significativa “fascia peso x tempo” (F (1,114)=3,76; p = 0,05): i genitori di LBW dichiarano che la lettura li aiuti a sentirsi più vici-ni al proprio bambino maggiormente nel secondo assessment rispetto al primo, mentre i genitori di VLBW ottengono punteggi simili (figura 2). Complessivamente, i genitori sono ap-parsi entusiasti dell’intervento, giudicato utile ad aumentare le loro competenze. I resoconti dei genitori sono toccanti: “non avrei mai pensato di leggere a un bambino così piccolo... non sapevo cosa dirgli la prima volta che lo vidi... Iniziai a leggere e le parole vennero da sé”11.“durante la gravidanza gli parlavamo spesso… poi venne la TIN e abbiamo continuato a parlargli leggendogli una favola su un libro… per noi era il modo di avere un contatto profondo con lui…”; “è un progetto magnifico che aiuta tan-tissimo sia i bambini che i genitori”; “du-rante il ricovero ha aiutato la mamma a creare una certa intimità con la bimba,

nitore in modo continuativo. L’analisi dei dati ha rilevato un effetto significativo rispetto alla variabile “peso alla nascita”. Durante la degenza in TIN, i genitori di bambini VLBW, rispetto a quelli dei LBW, ottenevano punteggi superiori alla scala Likert nei primi due items dello strumento (“Leggere fa bene a entrambi” e “Mi aiuta a sentirmi vici-no a lui/lei”) (F (1,124)=10,31; p=,002; F (1,123)=16,23; p<,0005 rispettivamente). Tuttavia, tali differenze non sono emerse dopo le dimissioni.I genitori di bambini VLBW tendeva-no a leggere più frequentemente in en-trambi i momenti della rilevazione (F (1,124)=11,64; p=,001; F (1,123)=10,58; p=,001 rispettivamente) (tabella 1).

figura 1

Infl uenza del peso alla nascita e nazionalità dei genitori sui punteggi medi

Penso che leggere al mio bambino...

4,654,614,524,55

3,53

4,69

3,67

4,62

0

1

2

3

4

5

g 0051>g 0051<g 0051>g 0051<

iel/iul a oniciv ùip imritnes a ituia im …ibmartne a eneb aiccaf …

Italiani Stranieri

figura 2

Influenza del peso alla nascita e momento di valutazione sugli effetti della lettura

Penso che leggere al mio bambino mi aiuti a sentirmi più vicino a lui/lei

4,65 4,63

4,304,46

1

2

3

4

5

TIN Post-dimissioni

<1500 g

>1500 g

Completamente

d'accordo

Abbastanza d'accordo

Per nulla d'accordo

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16 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

Ricerca n. 1 / 2015

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Conclusioni

La TIN è un ambiente molto particolare nel quale il sistema sensoriale uditivo del neonato pretermine è esposto a una sti-molazione disturbante fatta da rumori di fondo, voci anche concitate e segnali acuti quali gli allarmi dei monitor. Accanto a tali “stressors”, altri suoni so-no piacevoli e possono aiutare il bambino nella crescita e sviluppo: le parole sono fra questi. La care del nato prematuro in-segna a limitare il rumore senza signifi-cato che infastidisce e, allo stesso tempo, a facilitare attività favorenti il benessere del neonato quali il parlare dei genitori. L’impaccio delle famiglie a iniziare a parlare al proprio neonato può essere contenuto e in parte superato da una nar-razione costante che viene a costituire co-me un “porto sicuro” nel quale rifugiarsi durante le tempeste di collasso e cura che spesso accadono in TIN11. La nascita pretermine è di fatto un trau-ma per il genitore, che può provare un senso di inadeguatezza nel prendersi cura del proprio bambino, non sapendo come relazionarsi in modo sensibile. La lettura in TIN rappresenta un intervento nuovo per i genitori, consentendogli di distogliere l’attenzione dai segnali emes-si dai monitor per potersi concentrare sull’effetto della loro presenza sul benes-sere del bambino. Le famiglie mostrano di gradire tale intervento sentendosi aiu-tate nel costruire un senso di vicinanza fisica e affettiva con il loro piccolo e un impegno positivo che dà loro sicurezza e competenza. La scelta di analizzare i comportamenti in rapporto alle fasce di peso che nella classificazione internazionale individua-no i neonati di peso basso (LBW < 2500 g) e molto basso (VLBW < 1500 g) è sta-ta dettata dalla condivisa consapevolezza che la gravità clinica in neonatologia è inversamente correlata al peso. I risultati hanno inoltre evidenziato come la lettura sia particolarmente gradita ai genitori dei bambini a maggiore rischio, i VLBW. In tale condizione il genitore può vivere una difficoltà nel relazionarsi a un bambino in apparenza così piccolo e fragile: l’ausilio del libro può aiutare la

famiglia nel primo approccio con il bam-bino, guidandola nel cogliere i segnali positivi manifestati dal neonato, rinfor-zando il proprio “parenting”. Tale effetto non appare immediato nei genitori di bambini LBW: è possibile che sia le migliori condizioni in TIN di questi, sia la minor durata del tempo in-traospedaliero consentano ai genitori di approcciarsi al bambino attraverso diffe-renti modalità (per esempio marsupiote-rapia, massaggioterapia, allattamento al seno, …) e che il coinvolgimento nella lettura avvenga in maniera gradualmente maggiore dopo la dimissione (figura 1).L’approccio alla lettura appare tuttavia influenzato anche dalla nazionalità dei genitori, con un maggiore coinvolgimen-to da parte delle famiglie italiane rispetto a quelle straniere. Tale variabile andrebbe ulteriormente indagata, al fine di comprendere meglio l’influenza dei fattori culturali sul man-tenimento dei benefici dell’intervento nel tempo. Lo studio evidenzia peraltro una dimi-nuzione della frequenza della lettura dopo la dimissione dalla neonatologia; è possibile ricondurre questo sia a mec-canismi di difesa, negazione e sposta-mento rispetto alle esperienze dolorose vissute in TIN sia alla loro decisione di riservare più tempo al gioco e alla inte-razione con la motricità attiva del bam-bino che si sta manifestando; mentre in TIN il piccolo è fermo e apparentemente più recettivo agli occhi del genitore, suc-cessivamente la sua personalità emerge chiedendo una continua modifica nella relazione.Complessivamente l’attitudine a relazio-narsi con il neonato attraverso il raccon-to di una storia viene confermata anche molti mesi dopo la dimissione a casa con possibili benefici sull’apprendimento lin-guistico e sulle relazioni genitore-bam-bino12,13.Il programma di intervento di lettura in TIN può quindi avere un profondo ef-fetto positivo su questa popolazione ad alto rischio e si configura come un im-portante intervento di sostegno alla gen-itorialità.

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n. 1 / 2015 Telescopio

Nonostante sia stato raggiunto un note-vole miglioramento nella sopravvivenza dei neonati prematuri, l’incidenza delle complicazioni polmonari a lungo termi-ne, legate prevalentemente al danno da ventilazione meccanica, rimane ancora oggi alta.Per ridurre tale incidenza, nelle Tera-pie Intensive Neonatali si è andata af-fermando la necessità di utilizzare una ventilazione non invasiva1 che ha trovato la sua principale espressione nella nasal CPAP (nCPAP): essa permette di ap-plicare in maniera efficace una pressio-ne positiva alle vie aeree dei neonati con insufficienza respiratoria, ma può non essere sempre ben tollerata, limite legato

prevalentemente al posizionamento, al fissaggio e ai traumi nasali. Questi ultimi hanno un tasso di inciden-za che può arrivare al 20-60%2,3, e, seb-bene siano in genere limitati a zone di eritema facilmente guaribili e raramente accompagnati da sequele di natura este-tica, possono rappresentare, oltre che una fonte di disagio per i neonati, anche una sede di infezione. Per cercare di ridurre i problemi legati alla nCPAP recentemente si è diffuso l’interesse verso l’impiego di cannule na-sali ad alti flussi (HFNC) come forma alternativa di supporto respiratorio non invasivo4,5.Le HFNC vengono già impiegate per

la somministrazione di ossigeno nella gestione di infezioni respiratorie virali come la bronchiolite6, anche se una re-cente revisione Cochrane riporta che non esistono ancora prove sufficienti per de-terminare l’efficacia di tale trattamento7. Nel neonato pretermine l’impiego delle HFNC è stato studiato in numerose si-tuazioni cliniche quali la gestione delle fasi post-estubazione, il trattamento ini-ziale del distress respiratorio, le apnee della prematurità o lo svezzamento dalla nCPAP4.Sebbene ancora poche cose si conoscano con certezza, molti sono i meccanismi d’azione proposti, tra cui un migliora-mento dell’efficienza ventilatoria, una riduzione del lavoro respiratorio (legati prevalentemente al “washout” delle pri-me vie aeree) e la possibilità di applicare una pressione continua di distensione polmonare4-8.Dal punto di vista della gestione le HFNC possono rappresentare un inte-ressante supporto respiratorio in quanto sono di facile impiego, ben tollerate e in grado di ottenere una buona compliance da parte dei pazienti non interferendo con l’alimentazione e con le manovre di accudimento dei genitori9,10, per quanto ancora molto si deve riuscire a capire ri-guardo ai loro rischi e benefici. Una revisione Cochrane del 20115 ha incluso 4 piccoli studi randomizzati (3 pubblicati e uno no) confrontando le HFNC (umidificate e non) con altre for-me di supporto respiratorio non invasi-vo (nCPAP) su un totale di 177 neonati pretermine. Gli Autori hanno concluso che non esistono ancora prove sufficienti per stabilire la sicurezza o l’efficacia delle HFNC come forma di supporto respira-torio nei neonati prematuri. Quando esse sono utilizzate dopo l’estu-bazione, possono essere associate a un più alto tasso di reintubazione rispetto alla nCPAP. In questo contesto è inte-ressante esaminare più in dettaglio lo studio di Manley e coll.11. Si tratta di un trial multicentrico, ran-domizzato, di “non inferiorità” su oltre 300 neonati, in cui gli Autori conclu-

Cannule nasali ad alti fl ussi in neonati pretermine dopo estubazioneRoberta Cacciavellani, Sabina Ciotti, Luigi GagliardiUO di Pediatria e Neonatologia, Ospedale Versilia, USL12, Viareggio

Th is randomized multicenter study, carried out in 3 Australian Neonatal Intensive Care Units, compared High Flow Nasal Cannulae (HFNC) with nasal CPAP in 303 preterm neonates <32 weeks after extubation, in a “non inferiority” trial. Although the frequency of failure was higher in the HFNC group than in nCPAP group (34.2% vs 25.8%), the threshold chosen by the authors to declare a “signifi cant” inferiority (20%) was not reached, and thus the conclusions were that HFNC are “not inferior” to CPAP. Non-inferiority studies are very rare in paediatrics and neonatology, and critically depend on the margin of non-inferiority chosen, which is always arbitrary and often controversial. In this case, the choice of a very generous non-inferiority margin, equal to a “number needed to harm” of 5, makes the conclusions less convincing even if the study was methodologically sound and well carried out.

Questo studio randomizzato multicentrico, svolto in 3 Terapie Intensive Neonatali australiane, ha paragonato l’uso di cannule nasali ad alto flusso (HFNC) rispetto alla nasal CPAP in 303 neonati pretermine <32 settimane dopo estubazione, in uno studio di “non inferiorità”. Sebbene la frequenza di fallimento sia stata maggiore nel gruppo HFNC rispetto a quello nCPAP (34,2 vs 25,8%), il limite stabilito dagli autori per dichiarare una inferiorità “significativa” (20%) non è stato raggiunto; le conclusioni sono state quindi che le HFNC sono “non inferiori” alla CPAP.Gli studi di non inferiorità sono molto rari in neonatologia e pediatria e dipendono criticamente dal limite di non inferiorità scelto, che è arbitrario e spesso discutibile. In questo caso la scelta di un margine di non inferiorità molto generoso, pari a un “number needed to harm” di 5, riduce la persuasività delle conclusioni nonostante lo studio sia metodologicamente solido e ben condotto.

Recensione dell’articolo: Manley BJ, Owen LS, Doyle LW, Andersen CC, Cartwright DW,

Pritchard MA, Donath SM, Davies PG. High-Flow Nasal Cannulae in Very Preterm Infants

after Extubation. N Engl J Med 2013;369:1425-33.

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n. 1 / 2015Telescopio

dono che l’impiego degli alti flussi in neonati pretermine (EG <32 settimane di gestazione) nel trattamento della re-spiratory distress syndrome (RDS) in fase post-estubazione è “non inferiore” all’n-CPAP. L’articolo ha numerosi aspetti di interesse: tratta, come abbiamo visto, un argomento “caldo”, è stato pubblicato su una rivista molto prestigiosa, utilizza una metodica di analisi molto rara (lo studio di “non inferiorità”) e riporta con-clusioni su cui non tutti i lettori possono trovarsi d’accordo.

Caratteristiche dello studio

Il trial è stato condotto da maggio 2010 a luglio 2012 in tre Terapie Intensive Neonatali australiane e ha reclutato 303 neonati pretermine suddivisi, mediante randomizzazione, in due gruppi: uno costituito da 152 neonati pretermine trattati con HFNC e uno formato da 151 neonati trattati con nCPAP.I criteri di inclusione erano rappre-sentati da età gestazionale inferiore a 32 settimane, necessità di intubazio-ne, ventilazione meccanica e successiva estubazione e supporto respiratorio non invasivo.L’outcome primario era rappresentato dal fallimento del trattamento entro 7 gg dall’estubazione. I criteri di fallimento utilizzati sono sta-ti i seguenti: necessità di aumento della FiO

2 > 0,2 per mantenere una SatO

2 pe-

riferica di 88-92%; pH < 7,2; pCO2 arte-

riosa o capillare > 60 mmHg; uno o più episodi di apnea nelle 24 ore che hanno richiesto una ventilazione a pressione positiva intermittente; sei o più episodi di apnea che hanno richiesto stimola-zione fisica in 6 ore consecutive; urgente necessità di reintubazione e ventilazione meccanica secondo il parere del neona-tologo curante. I neonati in cui il trattamento con le cannule ad alto flusso è andato incon-tro a fallimento sono stati trattati con nCPAP, mentre quelli originariamente trattati con nCPAP sono stati reintubati. L’analisi è stata condotta secondo un principio di “intention to treat”, con uno schema di non inferiorità (NI, con limi-te posto al 20%) (box 1).Il “limite” è la differenza assoluta tra le percentuali di fallimento in un gruppo rispetto all’altro. In pratica l’assunto è che, se la differenza è nel limite del 20%, in più o in meno, i due trattamenti ven-gono dichiarati equivalenti.

Risultati principali

Le caratteristiche demografiche e cli-niche di madri e neonati sono risultate simili. Relativamente all’outcome pri-mario, 39 neonati su 151 (25,8%) del gruppo sottoposto a nCPAP hanno presentato un fallimento del trattamen-to verso 52 neonati su 152 (34,2%) nel gruppo trattato con HFNC, con una dif-ferenza pari a 8,4%. L’intervallo di confidenza al 95% del-la differenza era compreso tra -1,9% e +18,7%; pertanto, non avendo il limite superiore dell’intervallo superato la so-glia del 20%, i due trattamenti sono stati dichiarati equivalenti. Nel sottogruppo di neonati con età ge-stazionale inferiore a 26 settimane la dif-ferenza nella percentuale di fallimento del trattamento ha raggiunto il limite del 20% (81,3 vs 61,3%), con intervallo di confidenza al 95% compreso tra -1,9% e +41,8%, risultando quindi “significativa” secondo i criteri scelti dagli Autori.Dato che in caso di fallimento nel grup-po HFNC i neonati non venivano im-mediatamente intubati ma inizialmente sottoposti a nCPAP, gli intubati sono stati in numero lievemente maggiore nel gruppo inizialmente sottoposto a nCPAP (tabella 1).Non vi sono state differenze negli esiti secondari (morte, ossigenodipendenza a 36 settimane, pneumotorace ecc.), men-tre i traumi nasali sono risultati inferiori nel gruppo HFNC (tabella 1).

Punti di forza

Lo studio è stato ben organizzato e ben condotto. La popolazione inclusa non presentava sbilanciamento nei bracci e non vi sono state perdite durante il fol-low-up. Sono stati utilizzati dei criteri di reintubazione, dopo il fallimento della ventilazione non invasiva, correntemente

box 1

Gli studi di non inferiorità

• Sono studi dove lo sperimentatore presume che un trattamento sia meno efficace di un altro, ma è disposto, in cambio di altri vantaggi (maggiore tollerabilità, minor costo ecc.), ad accettare questa inferiorità nel caso sia entro certi limiti: se questi limiti non vengono superati, allora lo sperimentatore dichiara la “non inferiorità”.

• Si tratta, rispetto ai trial “classici”, di valutare una diversa “ipotesi nulla”. Nei primi, l’ipotesi nulla è di uguaglianza di efficacia; negli studi di NI l’ipotesi nulla è di inferiorità fino a un certo limite.

• Il principale punto debole di questi studi è l’arbitrarietà del limite di NI scelto, che se troppo grande toglie significato allo studio stesso.

applicati nella pratica clinica e suppor-tati dalla letteratura; inoltre la velocità di flusso >2 l/min nelle HFNC è stata quella standard usualmente impiegata4.

Criticità

I risultati di uno studio a bracci paralleli non in cieco, seppure ben definito e ben condotto come in questo caso, possono dipendere dall’operatore che può, suo malgrado, essere influenzato dal risul-tato atteso, cosa che non avviene negli esperimenti condotti in cieco. In questo caso l’outcome era completa-mente nelle mani degli sperimentatori; sebbene i criteri di fallimento fossero ben specificati, tuttavia un certo grado di soggettività e interpretazione dei criteri non può essere escluso e potrebbe aver generato bias. D’altronde è impossibile pensare di ese-guire uno studio in cieco su questo ar-gomento.

Conclusioni degli Autori

I risultati di questo studio riguardano l’applicazione dell’HFNC nel tratta-mento dei neonati post-estubazione. La conclusione degli Autori è che in questa indicazione tale metodica è “non inferiore” alla nCPAP nei neonati di età gestazionale < 32 settimane. Dei 152 neonati pretermine sottoposti a questa metodica ventilatoria non in-vasiva, 100 hanno beneficiato del trat-tamento, evitando di essere sottoposti alla nCPAP in prima istanza. Quindi potrebbe essere ragionevole, dopo l’estu-bazione, utilizzare questa metodica me-no invasiva e procedere successivamente all’applicazione della nCPAP nei neona-ti non responsivi, soprattutto nei neonati meno prematuri. Questi risultati ovvia-mente non possono essere estrapolati al

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Telescopion. 1 / 2015

100 metri. Verranno disputate 10 prove scambiando in modo randomizzato le corsie e poi analizzando statisticamente i risultati. Le gare si svolgeranno secondo le consuete procedure in uso in atletica leggera. Ovviamente, Usain Bolt che è l’uomo più veloce del mondo vince facil-mente tutte le prove. In un trial classico le conclusioni sono chiare. Bolt è più ve-loce di LG, p<0,002. Però, siccome si è deciso di fare un NI trial con un margine di NI pari a una differenza di 4 secondi o più, nel caso la differenza sia > 4 secondi solo in 7 gare su 10, la famosa p sarebbe 0,21, “non significativa”. Ora LG, pur essendo chiaramente più lento di Bolt, potrà dire di essere risultato “non infe-riore” a Bolt sui 100 metri.È importante sottolineare ancora che in un trial di non inferiorità nessuna proce-dura viene modificata rispetto a un trial classico (la corsa, le regole e le procedure sono le stesse, e anche i tempi registrati sono gli stessi). Solo la parte riguardante l’analisi dei risultati è diversa.

trattamento primario dell’RDS come alternativa alla nCPAP. Ma l’articolo ha anche altri aspetti d’in-teresse, tra cui il fatto di essere un trial di

“non inferiorità” (“noninferiority trial”).Questa è una modalità di trial poco usata e poco conosciuta (gli Autori dicono che a loro conoscenza non è mai stata utiliz-zata in neonatologia) e su cui vale la pena soffermarsi.

Gli studi di “non inferiorità”

In effetti, rispetto agli studi che tutti noi conosciamo, negli studi di “non inferio-rità” (NI) quello che cambia è solo l’i-potesi nulla studiata. Non ci sono infatti variazioni nel disegno dell’esperimento (in questo caso uno studio randomizza-to in aperto a bracci paralleli) e anche i possibili problemi nella conduzione dello studio e i possibili bias sono gli stessi (per es. possibile sbilanciamento nei bracci e conseguente non confrontabilità tra gruppi; perdite al follow-up; scarsa gene-ralizzabilità; analisi “per protocol” anzi-ché “intention to treat”, ecc. - vedi sopra). Quello che cambia è l’ipotesi studiata, la cosiddetta “ipotesi nulla” che lo spe-rimentatore cerca di falsificare. General-mente, l’ipotesi nulla in un trial è quella di uguale efficacia dei due trattamenti in studio (in questo caso: nCPAP e HFNC). Per esempio, se il trial produce risultati

“statisticamente significativi”, diremo che la nCPAP è più efficace della HFNC o viceversa; se i risultati non sono statisti-camente significativi, non potremo con-cludere che un trattamento è migliore dell’altro e dovremo controllare la “po-tenza” dello studio. Se lo studio in questione fosse stato con-dotto in maniera standard, la p, con test bilaterale, sarebbe risultata pari a 0,11, ma con potenza solo di 0,357. La con-clusione sarebbe stata che il trial era sot-todimensionato per rispondere al quesito oggetto di studio, ma che vi erano forti dubbi sull’equivalenza dei trattamenti.In un trial di NI, invece, l’ipotesi nulla è che un trattamento è comunque infe-riore all’altro, ma che la differenza è ab-bastanza piccola da non essere rilevante. Se lo studio trova che la differenza è maggiore di questo margine, allora la non inferiorità è rifiutata; in caso con-trario (differenza minore del margine), la

“non inferiorità” è accettata. Nello studio di Manley, il margine scel-to era il 20%; la nCPAP ha avuto una percentuale di fallimenti pari al 25,8% e

l’HFNC del 34,2%, con differenza 8,4% e intervallo di confidenza al 95% di -1,9, +18,7%. Poiché la soglia del 20% non è stata raggiunta, la conclusione di non inferiorità non è stata rifiutata. Se gli Autori avessero invece scelto un margine di non inferiorità del 15%, la conclusione sarebbe stata differente, e cioè di rifiuto della non inferiorità. Prima di tornare sul punto del margine di non inferiorità scelto, che chiaramen-te è un aspetto cruciale, è opportuno ri-flettere sulla logica degli studi di NI, che è molto peculiare. In effetti, a dispetto del nome, negli studi di NI in realtà l’in-feriorità viene data per scontata e il dub-bio è solo sulla sua entità. Il significato di “non inferiore” è “non così tanto in-feriore”! In questo caso, l’HFNC risulta

“non inferiore del 20%”, ma è inferiore del 18% (e del 15% ecc.).Un esempio fittizio permetterà di capire bene la forza e la debolezza dello studio.Supponiamo che uno di noi (LG) sfi-di Usain Bolt a una gara di velocità sui

tabella 1

Risultati principali dello studio. Adattata da voce bibliografi ca11

Gruppo HFNC (n=152)

Gruppo nCPAP (n=151)

Differenza rischio

(IC 95%)

Fallimento entro 7 gg dall'estubazione*

Neonati ≥ 26 settimane di EG (n = 240)

26/120 (21,7) 20/120 (16,7)

5,0 (-4,9 a 14,9)

Neonati <26 settimane di EG (n = 63)

26/32 (81,3) 19/31 (61,3)

20,0 (-1,9 a 41,8)

Cause del fallimento del trattamento n/n totale (%)** P

Apnea 32/52 (61,5)

25/39 (64,1)

-2,6 (-22,6 a 17,5)

0,80

Aumento della frazione di ossigeno inspirato

21/52 (40,0)

20/39 (51,3)

-10,9 (-31,5 a 9,7)

0,30

Acidosi respiratoria 6/52 (11,5)

2/39 (5,1)

6,4 (-4,7 a 17,5)

0,29

Necessità di intubazione urgente

2/52 (3,8)

4/39 (10,3)

- 6,4 (-17,3 a 4,5)

0,22

Reintubazione entro 7 giorni dopo l'estubazione

27 (17,8)

38 (25.2)

-7,4 (-16,6 a 1,8)

0,12

Effetti avversi**

Pneumotorace 1 (0,7)

4 (2,6)

-2,0 (-4,9 a 0,9)

0,17

Trauma nasale 60 (39,5)

82 (54,3)

- 14,8 (-25,9 a -3,7)

0,01

* Analisi di non inferiorità** Analisi tradizionale, con ipotesi nulla di eguaglianza tra i gruppi

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20 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015Telescopio

da-Guex M, Stadelmann-Diaw C, Tolsa J. Nasal trauma due to continuous positive air-way pressure in neonates. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2010;95:447-51.

4. Manley BJ, Dold SK, Dovis PG, Roehr PG. High flow nasal cannulae for respiratory support of preterm infants: a review of the evidence. Neonatology 2012;102:300-8.

5. Wilkinson D, Anderson C, O’Donnell CP, De Paoli AG. High flow nasal cannulae for respiratory support of preterm infants. Cochrane Database Syst Rev 2011;5:CD006405.doi:10.1002/14651858.CD006405.

6. McKiernam C, Chua LC, Visintainer PF, Allen H. High flow nasal cannulae in infants with bronchiolitis. J Pediatr 2010;156:634-8.

7. Beggs S, Wong ZH, Kaul S, Ogden KJ, Walters JA. High-flow nasal cannula therapy for infants with bronchiolitis. Cochrane Da-tabase Syst Rev. 2014;1:CD009609. doi: 10.1002/14651858.CD009609.

8. Dysart K, Miller TL, Wolfson MR, Shaf-fer TH. Research in high flow therapy: mechanisms of action. Respir Med 2009; 103:1400-5.

9. Mosca F, Colnaghi M, Agosti M, Fuma-galli M. High-flow nasal cannulae: transient fashion or new method of non-invasive ven-tilatory assistance? J Matern Fetal Neonatal Med 2012;25 Suppl 4:68-9.

10. Manley BJ, Owen L, Doyle LW, Davies PG. High-flow nasal cannulae and nasal continuos positive airway pressure use in non-tertiary special care nurseries in Aus-tralia and in New Zealand. J Paediatr Child Health 2012;48:16-21.

11. Manley BJ, Owen LS, Doyle LW, et al. High-Flow Nasal Cannulae in Very Preterm Infants after Extubation. N Engl J Med 2013;369:1425-33.

12. Gagliardi L, Rusconi F. High-Flow Na-sal Cannulae in very preterm infants after extubation. N Engl J Med 2014; 370:384-5 (letter).

13. Roberts SA, Mitchell S, Victor S. High-Flow Nasal Cannulae in very preterm infants after Extubation. N Engl J Med 2014; 370:385 (letter).

14. Kaul S, Diamond GA. Good Enough: A primer on the analysis and interpretation of noninferiority trials. Ann Intern Med 2006; 145:62-9.

Quando pensare di organizzare uno stu-dio di NI? Quando il farmaco o tratta-mento alternativo è più tollerato/meno costoso/gravato da minori effetti avversi rispetto al farmaco o trattamento stan-dard, per cui, nel caso fosse quasi altret-tanto efficace, sarebbe da preferire per i suoi vantaggi ancillari. Nel caso dello studio in questione, le HFNC sono più semplici da gestire, me-glio tollerate e gravate da minori lesioni nasali. Ovviamente il margine di quasi efficacia (NI) viene scelto in modo ar-bitrario dallo sperimentatore, ma deve essere giustificato a priori in modo da risultare convincente per il lettore. Nello studio di Manley e coll. le HFNC potevano essere inferiori fino al 20% ri-spetto alla nCPAP prima di far scattare la dichiarazione di inferiorità.Questa arbitrarietà è il tallone d’Achille degli studi di NI e infatti è stata criticata nelle lettere che sono seguite alla pubbli-cazione dell’articolo12,13; una differenza del 20% è molto alta, e traducendo que-sto valore in “number needed to treat” (o meglio: in “number needed to harm”) ot-teniamo il valore 5 (1/0,20), molto basso.Quasi tutte le terapie efficaci che co-nosciamo hanno un NNT > 5 (cioè dobbiamo trattare più di 5 soggetti per risparmiare un caso di malattia: per esempio, per la profilassi con steroidi prenatali l’NNT è superiore a 5 dalle 30 settimane in su, per l’ipotermia in caso di asfissia è 6-7).

Conclusioni

In conclusione, gli studi di NI pongono problemi e offrono prospettive che qui abbiamo solamente sfiorato. Rinviamo ad altri articoli più tecnici un approfon-dimento sull’argomento14.È chiaro che negli studi di NI un mar-gine di arbitrarietà consistente è sempre presente, per cui “caveat emptor”: il let-tore (ma anche il ricercatore) stiano in guardia!Inoltre, il focalizzarsi su alcuni aspetti su cui calcolare la non inferiorità può

far passare in secondo piano altre in-formazioni rilevanti, analizzate secondo la strategia classica, laddove la potenza può non essere sufficiente a dimostrare la presenza di una differenza (in questo studio, per esempio, il gruppo rando-mizzato all’HFNC ha meno reintuba-zioni del gruppo nCPAP).Infine, un ulteriore aspetto da rimarcare è che non basta che uno studio sia pub-blicato su una rivista prestigiosa e di alto impatto: è sempre necessario valutare ogni articolo con attenzione per giudi-carne i punti di forza e di debolezza.

[email protected]

1. De Winter JP, De Vries MAG, Zimmer-mann LJI. Clinical practice: noninvasive respiratory support in newborns. Eur J Pedi-atr 2010;169:777-82.

2. Yong SC, Chen SJ, Boo NY. Incidence of nasal trauma associated with nasal prong versus nasal mask during continuous posi-tive airway pressure treatment in very low birthweight infants: a randomised control study. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2005;90:F480-3.

3. Fischer C, Bertelle V, Hohlfeld J, Forca-

Cosa ci dicono i risultati di questo studio

• L’HFNC è meglio tollerata e meno invasiva della CPAP; considerato che nei neonati di età gestazionale ≥ 26 settimane ha mostrato un’effi-cacia non inferiore a quest’ultima, potrebbe essere un valido tratta-mento da utilizzare in prima istan-za dopo l’estubazione.

• Nei neonati di età gestazionale < 26 settimane, invece, la percen-tuale di fallimento della HFNC è risultata molto superiore a quella CPAP (81,3 vs 61,3%).

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n. 1/ 2015 Salute mentale

Il fenomeno Peppa PigRubrica cura di Angelo Spataro. Intervista di Angelo Spataro1 a Claudia Soatto2

1. Pediatra di famiglia, Palermo, Responsabile del gruppo “Salute mentale” dell’ACP

2. Psicologa-Psicoterapeuta, Responsabile del Centro per le Famiglie di Mestrino-Rubano (Padova)

Cosa ha di speciale Peppa Pig? I perso-naggi del cartone animato quali mes-saggi trasmettono ai bambini? Per capire il successo di Peppa Pig è im-portante partire dalla lettura dello sce-nario dei nostri giorni caratterizzato dal venir meno di esperienze e di apparte-nenze sicure, integre e accoglienti, e che rende l’uomo più solo e privo di punti di riferimento stabili e affidabili.Emerge quindi il bisogno di recuperare legami solidi e sicurezze affinché i bam-bini possano costruire le loro certezze e la loro identità. Peppa Pig è un cartone che dà rilevanza alla famiglia con i ge-nitori uniti che si vogliono bene, ai le-gami familiari intergenerazionali, a una fitta rete sociale. Viene rappresentato un mondo sociale solido e sicuro. I bambi-ni si rispecchiano in Peppa Pig perché il personaggio risponde ai due bisogni fondamentali dei bambini: il bisogno di appartenere e il bisogno di differenziarsi, ossia di sentirsi protagonisti. In questo cartone animato la famiglia è molto pre-sente, i personaggi passano molto tem-po insieme. Questo favorisce lo sviluppo del senso di appartenenza alla propria famiglia e fa sentire i bambini amati, riconosciuti e protetti. I personaggi di Peppa Pig vanno all’asilo, fanno le gite, pranzano in famiglia o dai nonni, van-no al parco giochi, si sporcano, si lavano, vanno a nanna, il tutto in un clima diver-tente, ironico, risuonante di allegre risate e canzoncine! Allo stesso tempo Peppa Pig è una maialina simpatica che vuole essere protagonista, alla quale piace dire l’“ultima parola” con gli amici. Il messag-gio positivo che si trasmette ai bambini è che si può essere protagonisti insieme agli altri divertendosi: ognuno è speciale in qualcosa, ognuno ha i propri talenti e Peppa Pig è proprio brava a saltare nelle pozzanghere! Vengono trasmessi il valo-re dell’amicizia, il rispetto della diversità, il rispetto dell’ambiente con l’attenzione al riciclo dei rifiuti, l’importanza dell’i-giene personale, l’importanza di man-giare cibi sani, come la frutta e la verdura raccolte nell’orto del nonno, e di svolgere attività all’aria aperta.

La famiglia di Peppa Pig è unita; vengo-no offerti messaggi e stimoli che nella vi-ta quotidiana è difficile trovare: l’unione e la serenità all’interno della famiglia, il rispetto degli amici e della natura. Secondo alcuni rimane però qualche riserva in merito ai frequenti ruttini, al rotolarsi nel fango, alla personalità di Papà Pig che è un “papà pasticcione”. Ci sono dei messaggi che possono stimola-re i bambini a comportarsi male nella vi-ta quotidiana e ad avere una visione non esatta del ruolo dei genitori?Gli Autori di Peppa Pig denotano una certa conoscenza della psicologia infan-tile a partire dallo studio della grafica dei personaggi che appaiono di profilo, ma nel viso tondo sono presenti entrambi gli occhi, caratteristica che permette il rico-noscimento del viso anche ai neonati.

In realtà alcuni criticano determina-ti comportamenti di alcuni personaggi del cartone. I bambini, nella maggior parte dei casi, capiscono però che per i maialini è normale rotolarsi nelle poz-zanghere così come è normale fare rut-tini: sono maialini, non sono persone. L’adulto dovrebbe sempre affiancare il bambino davanti alla TV per aiutarlo a leggere e contestualizzare i comporta-menti dei personaggi, a distinguere tra realtà e finzione e tra quello che si può o non si può fare, a sviluppare un pro-prio pensiero critico. Lo stile genitoriale dei genitori di Peppa Pig è democratico e incoraggiante. I piccoli vengono ascol-tati, sostenuti, rispettati e mai giudicati o derisi, se sbagliano cercano sempre di trovare una soluzione insieme. Papà Pig viene descritto come “papà pasticcione” perché quando attacca un chiodo fa un vistoso buco sul muro! Questo appellati-vo comunque ha sempre un tono scher-zoso e affettuoso che rimanda più al tipo

di relazione spontanea e amorevole che a una vera mancanza di rispetto per il papà e per il ruolo genitoriale. Ai bambini fa bene vedere che ogni tanto anche i geni-tori fanno degli errori e che agli errori si può rimediare. La società in cui viviamo vede l’errore come un fallimento da giu-dicare e da punire: non si deve sbagliare, si deve essere sempre perfetti! Nelle no-stre famiglie ci sono sempre più genitori plurispecializzati che per i bambini pos-sono diventare dei modelli troppo elevati da raggiungere.

Molti bambini trascorrono buona par-te della giornata davanti alla TV tra-lasciando i giochi tradizionali. Molte mamme preferiscono “posteggiare” i figli davanti a un cartone animato piut-tosto che leggere una fiaba o cantare una canzoncina. Che rischi ci sono per lo sviluppo psichico, emotivo e sociale dei bambini che trascorrono molte ore da-vanti alla TV? Cosa deve consigliare il pediatra ai genitori? La letteratura ci insegna che guarda-re troppe ore la TV è correlato con una serie di problemi nei bambini: obesità, deficit di attenzione e iperattività, sbalzi di umore, manifestazioni di comporta-menti violenti, isolamento, disturbi del sonno. Non dobbiamo vedere la TV co-me un’alternativa al tempo passato con i propri figli. Se proponiamo ai bambini di leggere un libro insieme o giocare, spesso accettano con entusiasmo! Spesso gli adulti faticano a conciliare i tempi di lavoro con quelli della famiglia e alcune volte la TV diventa tristemente una baby sitter. Se proprio non si riesce a fare a meno della TV, cerchiamo almeno di fare ridurre i danni facendo rispettare ai genitori alcune regole: selezionare i programmi adatti all’età e allo sviluppo dei bambini, non lasciare mai i bambini soli davanti a un programma e non più di mezz’ora al giorno di TV se sono in età prescolare.

[email protected]

Perché piacciono tanto

Peppa Pig, la sua

famiglia e tutti gli amici

e compagni di gioco?

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22 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015Forum

Dopo la pubblicazione del suo articolo che dimostrava i vantaggi dello Scree-ning Neonatale per Fibrosi Cistica (SN-FC) sullo stato nutrizionale dei bambini diagnosticati per screening1 e di altri che dimostravano che i benefici derivanti dal-lo SN-FC superavano i rischi, Farrell si chiedeva se questo screening non doves-se essere annoverato tra i “basilari diritti umani”2: “Poiché è ovviamente interesse di tutti i bambini con FC essere diagnosticati prima dei 2 mesi con lo screening neonatale, si può dedurre che questo debba essere conside-rato un diritto. Comunque, se sono più proba-bili rischi che benefici o se le risorse di un’area non sono pronte, lo screening dovrebbe essere differito”. Successivamente la European Cystic Fibrosis Society pubblicava due documenti che indicavano le linee guida europee per la miglior pratica dello SN-FC3, le linee guida per la gestione precoce dei lattanti diagnosticati per screening4 e più di recente inseriva la miglior pratica dello SN-FC nei nuovi standard di cure5.

La situazione in Italia

A fronte di queste raccomandazioni, co-me si spiega la situazione dello SN-FC in Italia, raffigurata nel Rapporto tecnico al 31 dicembre 2012 della Società Italiana per lo Studio delle Malattie Metaboli-

che Ereditarie e lo Screening (figura 1)? Si può osservare che questo diritto, no-nostante l’esistenza anche di una Legge nazionale (548/93), è calpestato in varie Regioni italiane a diversa latitudine. Sono Regioni nelle quali, secondo Farrell, sono soddisfatti i criteri per temere che siano più probabili rischi che benefici o che le risorse di un’area non sono pronte, per cui lo screening dovrebbe essere differi-to? Nelle Regioni italiane in cui lo SN-FC non è stato ancora avviato non ci sono criteri per temere che i rischi superino i benefici e non possono essere accampate giustificazioni sulla mancanza di risorse a causa della immancabile (scusa della) re-visione di spesa, visto che è ben dimostra-to che i costi di gestione di un bambino diagnosticato per screening sono inferiori a quelli che il SSN sostiene per i problemi di salute dei bambini con FC non anco-ra diagnosticati3. Né in queste Regioni esiste una (solo teorica) sensibilizzazione degli operatori sanitari che fa sì che l’età della diagnosi per sintomi sia inferiore a quella della diagnosi per screening.

Un caso emblematico

Il caso che Antonio Manca, Direttore del Centro di Bari, mi ha autorizzato a presentare, sintetizzato di seguito, è

molto convincente al riguardo: M, 14 anni, tosse e wheezing ricorrenti (episo-di della durata da 3 a 10 giorni) dall’età di 3 anni ogni 2-3 mesi, a volte con feb-bre, soprattutto in inverno, trattati al

“bisogno” per asma. A 9 anni prick test positivi per epitelio di gatto, graminacee, parietaria e olivo. La terapia era a base di salbutamolo e antistaminico con scarso beneficio. Tosse catarrale persistente, so-prattutto al risveglio. Per scarsa crescita viene richiesto test per celiachia risultato positivo e, dopo la conferma diagnostica, viene avviata dieta senza glutine. Per la persistenza dei sintomi e malnutrizio-ne, a ottobre 2014 il ragazzo viene in-viato per esecuzione del test del sudore il cui risultato è 106 mEq Cl/l. All’in-gresso al Centro erano presenti all’EO ippocratismo digitale, torace svasato, rantoli a piccole e medie bolle diffusi in emitorace destro. Genotipizzazione F508del/2183AA>G. La spirometria mostrava una FEV1 di 52,4%. All’esa-me colturale dell’espettorato era presen-te Staphylococcus aureus. IgE: 17 UI/ml; Elastasi fecale: 1 mcg/g (v.n.> 200). Il caso di questo ragazzo suggerisce l’importanza della consapevolezza che

Fibrosi cistica: il diritto a uno screening Giuseppe MagazzùUO di Gastroenterologia Pediatrica e Fibrosi Cistica, Centro HUB Regionale di Fibrosi Cistica, AOU Policlinico

G. Martino, Messina

Screening in pediatria

Il Forum sugli screening in pediatria è ben avviato. Dopo l’intervento pubblica-to nel numero precedente di Quaderni, dedicato alle problematiche connesse alle cure nei primi mesi di vita del bambino con fibrosi cistica diagnosticata mediante screening neonatale, secondo la visione di un pediatra di famiglia, era d’obbligo sentire come lo stesso argomento viene affrontato dal responsabile del centro di screening della stessa città in cui vive e lavora l’autore del precedente articolo.Vediamo quindi cosa ha da dirci Giuseppe Magazzù, professore ordinario di pediatria presso l’Università degli Studi di Messina, dove è direttore dell’UO di Gastroenterologia Pediatrica e Fibrosi Cistica e responsabile del Centro HUB regionale per la Fibrosi Cistica. G. Magazzù è tra i massimi esperti in gastroen-terologia pediatrica, ha frequentato scuole e corsi di perfezionamento negli Stati Uniti e in Francia, è autore di numerosi articoli scientifici presenti su PubMed e, non da ultimo, è anch’egli socio di vecchia data dell’ACP. Ricordiamo che chi volesse intervenire sugli aspetti oggetto di questo Forum può farlo scrivendo al direttore di Quaderni o a me personalmente.

Carlo Corchia - [email protected]

figura 1

Stato dello SN-FC in Italia

in grigio le Regioni dove lo SN-FC non

è stato stabilizzato, in celeste quelle nelle

quali non è stato avviato.

Fonte: www.simmesn.it/it/documents/

rt_screening/rt_screening_2012.pdf

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23 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015

allergologi e pneumologi devono avere sull’obbligo che nella diagnosi di asma cronico, anche laddove sia dimostrata l’origine allergica, sia esclusa una FC, a prescindere dalla malnutrizione presen-te che avrebbe dovuto far richiedere già in precedenza l’esecuzione di un test del sudore. I ritardi di diagnosi in età adul-ta sono aggravati dalla convinzione che un ragazzo non sopravvivrebbe a que-sta età se fosse fibrocistico (frase tipica che le persone con FC per anni hanno sentito pronunciare da vari specialisti anche di fronte a quadri clinici di franca broncorrea o di bronchiectasie alla TC polmonare). Per quel che riguarda la ce-liachia bisogna poi ricordare che questa diagnosi non esclude quella di FC, dal momento che le due patologie possono coesistere e che, anzi, nei bambini con FC la celiachia è più frequente che nella popolazione generale.

I benefici e le opportunità mancate

Vediamo allora quali sono le opportunità mancate per la salute dei bambini in quel-le Regioni che non hanno avviato lo SN-FC, ma consideriamo anche brevemente come i rischi possano superare i benefici laddove, in Regioni dove lo SN-FC sia stato avviato, non vengano rispettati gli standard minimi. Il precoce riconosci-mento per SN-FC rappresenta le fonda-menta della futura gestione del bambino e previene le conseguenze del mancato consiglio genetico e counselling che mol-te famiglie hanno tristemente sperimen-tato. I benefici mancati per la mancata applicazione dello screening sono ben sintetizzati dalle linee guida europee per la miglior pratica dello SN-FC3: lo SN-FC, quando associato a precoce tratta-mento, limita il danno polmonare in età pediatrica, riduce il carico delle cure (e i costi) per le famiglie e può migliorare la sopravvivenza. Comporta un beneficio sullo stato nutrizionale con migliore cre-scita, soprattutto quella lineare, che può essere compromessa già nei primi mesi di vita e che, se persistente, rappresenta un fattore di rischio di mortalità, oltre a pre-venire i deficit di vitamine liposolubili e di proteine. Una diagnosi precoce, infine, comporta un minore stress nei genito-ri in confronto a una diagnosi ritardata. D’altra parte, perché un programma di screening sia realmente efficace è essen-ziale conoscere l’esistenza di alcuni possi-bili rischi. Un falso positivo può indurre uno stress emotivo nei genitori, per cui

Forum

dovrebbero essere prese delle misure per ridurre i falsi positivi, assicurando che sia seguito un protocollo razionale con risul-tati disponibili quanto prima possibile.Deve essere seguito un chiaro algoritmo per valutare e gestire i bambini con risul-tati dubbi che devono restare in carico ai Centri. Il coinvolgimento del pediatra di famiglia in questi casi (e anche laddove la diagnosi sia posta subito dopo il richiamo) è essenziale, con la condivisione di pro-tocolli comuni. Laddove lo SN-FC com-prenda, oltre alla determinazione della tripsina immunoreattiva, quella delle mutazioni genetiche, quando non venga confermata la diagnosi, dovrebbe essere considerato l’impatto del possibile rico-noscimento del portatore sano. Deve essere chiarito che il bambino non ha la FC, che comunque le future gra-vidanze non sono prive di rischi e che pertanto i genitori possono optare per il counselling genetico, tenendo presente che potrebbero esserci ripercussioni anche sulle future gravidanze di altri compo-nenti della famiglia allargata. I bambini diagnosticati per SN-FC devono essere gestiti in modo tale da evitare i rischi di infezioni crociate e di colonizzazione da Pseudomonas aeruginosa, la cui presenza può influenzare negativamente il decorso clinico, annullando i benefici sulla malat-tia polmonare della diagnosi precoce3. I punti su esposti sono quelli critici e le so-luzioni ideali sono indicate dalle linee guida europee. Esula dalle finalità di questa breve nota e dalle competenze del redattore entra-re nel merito dei dettagli tecnici dello scree-ning. In Italia i criteri minimi da rispettare sono riassumibili nei seguenti punti:• rispetto da parte di tutte le Regioni

dell’avvio dello SN-FC per garantire un eguale diritto a tutti i cittadini in tutto il Paese, anche tenuto conto che i costi della gestione dello screening e dei bambini diagnosticati con ques-ta modalità sono inferiori a quelli dei bambini non ancora diagnosticati;

• cura di un’informazione adeguata alle

coppie sul significato dello SN-FC e sul-le implicazioni di un richiamo secondo il tipo di screening adottato dalle Regioni;

• rispetto del tempo per l’esecuzione del test del sudore (48 ore) e della imme-diata risposta dell’esito dell’esame do-po il richiamo del bambino;

• presa in carico immediata dei bambini diagnosticati da parte dei Centri, con un protocollo intensivo che non van-ifichi i benefici della diagnosi precoce;

• possibilità di gestione e allargamento delle indagini per le diagnosi non con-clusive;

• rispetto delle linee guida per il migli-or trattamento precoce che coinvolga anche il pediatra di famiglia con pro-grammi di formazione e condivisione di protocolli comuni di cui i Centri dovrebbero farsi carico, dando seguito a un programma di formazione che po-trà essere sviluppato dalla Società Ital-iana per lo studio della Fibrosi Cistica (SIFC) basato sulle linee guida esistenti.

Il punto di vista di un pediatra di fami-glia, che abbia avuto esperienze di lavoro in Centri FC, espresso nel precedente numero di Quaderni acp, è essenziale per riflettere su come organizzare program-mi di formazione e sperimentazione di cogestione dei bambini diagnosticati attraverso lo screening. Infine, ma non meno importante, è la possibilità che nuove terapie che potenzino (in presenza di alcune mutazioni) o correggano e po-tenzino (in presenza di altre mutazioni) il canale del cloro siano presto a disposizio-ne. Il riconoscimento precoce dei bambi-ni con le mutazioni genetiche alla base di queste anomalie potrebbe offrire loro le legittime opportunità di usufruirne.

[email protected]

La bibliografia dell’articolo è disponibile sul sito internet www.quaderniacp.it

Cosa abbiamo imparato

• Vi sono prove dell’efficacia dello SN-FC sulle scelte riproduttive dei genitori, sul decorso della malattia, sul carico assistenziale e sui costi rispetto a una diagnosi (spesso tardiva) attraverso i sintomi.

• Lo SN-FC rappresenta un diritto, peraltro previsto dalla Legge, per le persone con FC.

• In Italia tale diritto non viene ancora rispettato in diverse Regioni.• Affinché i benefici siano superiori ai rischi è necessario che gli standard dei pro-

grammi di screening vengano rispettati anche in quelle Regioni in cui lo scree-ning è avviato da tempo.

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24 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015

Due anni fa, in questa rubrica, mi occu-pai della ben nota sentenza del Tribunale del Lavoro di Rimini, che ha stabilito un nesso di causalità tra la somministra-zione del vaccino trivalente morbillo, parotite e rosolia (MPR) e la successiva insorgenza di autismo in un bambino1.

Lo scorso novembre i media hanno dato grande risalto a una sentenza del Tribu-nale di Milano che ha riconosciuto un nesso causale tra la somministrazione del vaccino esavalente Infanrix Hexa e la comparsa dell’autismo in un bambino che ora ha 9 anni. Nel momento in cui scrivo non è ancora stato pubblicato il dispositivo della sen-tenza, per cui mi baserò su quanto ripor-tato dai media, secondo i quali il giudice avrebbe accolto i tre punti fondamentali su cui sembra fondarsi la perizia del me-dico individuato quale consulente tecni-co del tribunale (CTU). Primo punto: “è probabile che il distur-bo autistico del piccolo sia stato concau-sato, sulla base di un polimorfismo che lo ha reso suscettibile alla tossicità di uno o più ingredienti (o inquinanti), dal vaccino Infanrix Hexa”. Secondo punto: nel vaccino vi sareb-be “una specifica idoneità lesiva per il disturbo autistico, la cui portata, teori-camente piccola se calcolata in base alla sperimentazione clinica pre-autorizza-zione”, sarebbe in realtà “sottostimata, per l’esistenza, recentemente confermata dall’autorità sanitaria australiana, di lot-ti del vaccino contenente un disinfettan-te a base di mercurio, oggi ufficialmente bandito per via della comprovata neuro-tossicità”. Terzo punto: esiste “un poderoso docu-mento riservato” dell’azienda produt-trice del vaccino (la GlaxoSmithKline), in cui sono riportati effetti collaterali emersi tra il 2009 e il 2011, inclusi 5 casi di autismo.

In sintesi, l’esavalente conterrebbe an-cora l’antisettico mercuriale thimerosal non più come conservante, bensì come residuo della lavorazione, in quantità abbastanza piccole da non dover essere menzionato nella lista degli eccipienti, ma sufficienti per causare l’autismo. Lo studio australiano cui si riferisce il CTU è verosimilmente quello di Austin il quale, testando alcune fiale di esava-lente, ha riscontrato una concentrazione media di 9,7 ppb di mercurio2.

In effetti, durante i primi anni di com-mercializzazione di Infanrix Hexa, il thimerosal era ancora utilizzato nella preparazione dell’antigene dell’epatite B, sicché tracce potevano essere presenti nel prodotto finale3. In seguito, la ditta produttrice ha rimos-so completamente il thimerosal dal pro-cesso di produzione.

A questo punto la domanda è: il mercu-rio presente nei vaccini sotto forma di thimerosal può indurre un disturbo dello spettro autistico? Questa ipotesi è stata smentita da una se-rie di pubblicazioni (che includono ana-lisi epidemiologicamente molto robuste, come gli studi di coorte) le cui caratteri-stiche sono riportate in tabella 14-13. Occorre inoltre ricordare che l’etil-Hg (contenuto nel thimerosal) ha carat-teristiche farmacocinetiche differenti

rispetto al metil-Hg (inquinante am-bientale): il primo ha un’emivita più bre-ve del secondo, essendo eliminato più velocemente. Pertanto l’etil-Hg ha una minor tendenza ad accumularsi nell’or-ganismo, con conseguenti minori rischi di tossicità14.

Le evidenze che escludono un ruolo del thimerosal nella patogenesi dell’autismo derivano da studi condotti in bambini che avevano ricevuto mediamente 25 microgrammi (mcg) di mercurio per dose [il mcg è la milionesima parte del grammo]. Perché allora il mercurio do-vrebbe essere chiamato in causa per le concentrazioni di 9,7 ppb evidenziate nello studio di Austin? Ricordiamo che 1 ppb equivale a 0,001 microgrammi/ml, quindi 9,7 ppb=0,0097 mcg/ml. Veniamo al terzo punto, ossia il docu-mento riservato della Glaxo15. È un tipo di documento che le aziende farmaceutiche inviano routinariamente alle autorità regolatorie. Gli eventi av-versi riportati derivano dalle segnalazio-ni al sistema di sorveglianza, provenienti da medici o anche dai comuni cittadini, sulle quali non è possibile determinare a priori una correlazione con il vaccino. Se il vaccino avesse avuto un ruolo cau-sale negli eventi riportati nel documento, il sistema di farmacosorveglianza avreb-be rilevato un segnale che a sua volta si sarebbe tradotto in un’indagine e infine in un provvedimento da parte dell’auto-rità regolatoria. Non c’è quindi da stupirsi se tra le segna-lazioni riportate nel documento vi sono anche alcuni casi di autismo, su decine di milioni di dosi distribuite a livello globa-le. Su queste basi, le autorità regolatorie hanno deciso che un cambiamento nella lista dei possibili effetti collaterali non fosse necessario.

Per maggiore chiarezza, ricordiamo la definizione di “segnale” in farmacovi-gilanza: “Informazioni riportate su una possibile relazione causale tra un even-to avverso e un farmaco, essendo tale rapporto ignoto o non completamente

Il vaccino esavalente e la sentenza del Tribunale di Milano Franco GiovanettiDirigente medico, Dipartimento di Prevenzione, ASLCN2, Alba, Bra (Cuneo)

L’Autore non ha rapporti economici di alcun tipo con case farmaceutiche. Negli ultimi 10 anni ha sporadicamente accettato inviti da Wyeth (ora Pfizer), Sanofi Pasteur, Novartis Vaccines e GSK per la partecipazione a convegni.

Vaccinacpì

La Comunità Scientifi ca

si è espressa in modo

chiaro e compatto sul tema

sollevato dalla sentenza

del Tribunale di Milano.

Il Comunicato stampa è

riportato a pagina 26.

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25 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015 Vaccinacipì

documentato in precedenza”16. Essen-do disponibili evidenze che negano una correlazione vaccini-autismo, la presen-za di sporadiche e rare segnalazioni di autismo nel database della farmacovigi-lanza non è sufficiente per costituire un segnale. Infine, alcune considerazioni di carattere etico. I genitori dei bambini autistici, a causa della gravità della patologia, hanno bi-sogno di un importante sostegno eco-nomico. Lo Stato ha il dovere morale di aiutarli di più e meglio, in modo che non siano costretti a intraprendere una lunga e tortuosa via giudiziaria per ve-der riconosciuto un beneficio economico, comunque insufficiente, per danno vac-cinale. Tutti i bambini autistici e le loro famiglie hanno bisogno di essere tute-lati, indipendentemente dall’esistenza o meno di un qualsivoglia rapporto con le vaccinazioni, che in questo specifico caso sappiamo essere esclusivamente tempo-rale e non causale. In tal modo, da un lato si tutelerebbe la famiglia del paziente, dall’altro si evite-rebbero le gravi crisi di fiducia cui stiamo assistendo, con le loro ripercussioni ne-gative sui programmi vaccinali.

[email protected]

1. Giovanetti F. Il vaccino MPR e l’autismo: “no evidence”. Quaderni acp 2012;4:178-9. http://www.acp.it /wp-content/uploads/Quaderni-acp-2012_194_178-179.pdf.

2. Austin DW, Shandley KA, Palombo EA. Mercury in vaccines from the Australian childhood immunization program schedule. J Toxicol Environ Health A 2010;73:637-40.

3. National Advisory Committee on Immu-nization. Statement on the recommended use of pentavalent and hexavalent vaccines. CCDR 1 February 2007. Volume 33. ACS-1 http://www.phac-aspc.gc.ca/publicat/ccdr-rmtc/07pdf/acs33-01.pdf

4. Stehr-Green P, Tull P, Stellfeld M, et al. Autism and thimerosal-containing vaccines: lack of consistent evidence for an association. Am J Prev Med 2003;25:101-6.

5. Madsen KM, Lauritsen MB, Pedersen CB, et al. Thimerosal and the occurrence of autism: negative ecological evidence from

Danish population-based data. Pediatrics 2003;112:604-6.

6. Fombonne E, Zakarian R, Bennett A, et al. Pervasive developmental disorders in Montreal, Quebec, Canada: prevalence and links with immunizations. Pediatrics 2006; 118:e139-50.

7. Hviid A Stellfeld M, Wohlfahrt J, et al. Association between thimerosal-containing vaccine and autism. JAMA 2003; 290:1763-6.

8. Verstraeten T, Davis RL, DeStefano F, et al. Safety of thimerosal-containing vac-cines: a two-phased study of computerized health maintenance organization databases. Pediatrics 2003;112:1039-48.

9. Heron J, Golding J. Thimerosal exposure in infants and developmental disorders: a prospective cohort study in the United King-dom does not support a causal association. Pediatrics 2004;114:577-83.

10. Andrews N, Miller E, Grant A, et al. Thimerosal exposure in infants and develop-mental disorders: a retrospective cohort study in the United Kingdom does not sup-

port a causal association. Pediatrics 2004; 114:584-91.

11. Parker SK, Schwartz B, Todd J, Picker-ing LK. Thimerosal-containing vaccines and autistic spectrum disorder: a critical review of published original data. Pediatrics 2004; 114:793-804.

12. Price CS, Thompson WW, Goodson B, et al. Prenatal and infant exposure to thimer-osal from vaccines and immunoglobulins and risk of autism. Pediatrics. 2010;126:656-64.

13. Taylor LE, Swerdfeger AL, Eslick GD. Vaccines are not associated with autism: an evidence-based meta-analysis of case-control and cohort studies. Vaccine 2014;32:3623-9.

14. Pichichero ME, Gentile A, Giglio N, et al. Mercury levels in newborns and infants after receipt of thimerosal-containing vac-cines. Pediatrics 2008;121:e208-14.

15. Infanrix Hexa. Summary bridging re-port. 16 December 2011 http://www.vaccin-fo.eu/vaccin-dc3a9cc3a8s.pdf.

16. WHO. Safety monitoring of medicinal products. Reporting system for the general public. Geneva, 2012.

tabella 1

Studi epidemiologici che hanno smentito l’esistenza di una relazione tra thimerosal nei vaccini e autismo

Autore e referenza Tipo di studio Oggetto dello studio

Stehr-Green4 Ecologico Incidenza dell’autismo vs. esposizio-ne al thimerosal nei vaccini (Califor-nia, Svezia, Danimarca, 1985-1990)

Madsen5 Ecologico 956 bambini con diagnosi di autismo nel periodo 1971-2000

Fombonne6 Ecologico 27.749 bambini nati dal 1987 al 1998

Hviid7 Coorte retrospettivo 467.450 bambini nati nel periodo 1990-1996

Verstraeten8 Coorte retrospettivo 124.170 bambini nati nel periodo 1992-1999

Heron9 Coorte prospettico >14.000 nati nel 1991-1992

Andrews10 Coorte retrospettivo 109.863 bambini, periodo 1988-1997

Parker11 Revisione della letteratura

Studi pubblicati nel periodo 1966-2004

Price12 Studio caso-controllo 256 bambini con autismo e 752 con-trolli

Taylor13 Metanalisi Analisi su studi di coorte (1.256.407 bambini) e caso-controllo (9920 bambini)

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26 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015Vaccinacipì

La Comunità Scientifica è unanime nel ribadire che non esiste alcun legame tra vaccinazione esavalente e autismo, così come tra questa malattia e vaccino con-tro morbillo, parotite e rosolia (MPR).

Per questo suscitano enorme preoccupa-zione per la tutela della salute dei nostri cittadini le decisioni di alcuni tribunali che, pur in mancanza di qualsiasi evi-denza scientifica, hanno riconosciuto un danno da vaccinazione.

Il vaccino esavalente è utilizzato nella maggior parte dei Paesi europei in quanto riconosciuto fondamentale per prevenire 6 importantissime malattie infettive (polio, difterite, tetano, pertosse, malattie invasive da Haemophilus influenzae tipo B, epatite B).

Il vaccino esavalente è stato sommini-strato a decine di milioni di bambini, e in nessuun Paese si è mai arrivati a simi-li conclusioni.

Una sentenza di primo grado del Tribu-nale di Milano ha invece stabilito che il Ministero della Salute dovrebbe risarcire con un assegno vitalizio bimestrale un bambino affetto da autismo al quale, nel 2006, venne somministrato l’esavalente.Il mercurio presente in tracce nei vaccini prodotti fino ad alcuni anni fa sotto for-ma di etilmercurio (un disinfettante) non ha mai causato nel mondo alcun danno

neurologico documentato, ma è stato comunque eliminato da tutti i vaccini per far cessare le campagne di disinfor-mazione promosse su di esso da gruppi contrari alle vaccinazioni.

C’è da augurarsi che il giudizio di appel-lo possa stabilire la verità in coerenza con quanto indica la letteratura scientifica.

Va peraltro sottolineato come tutte le insostenibili sentenze (in primo grado; nessuna sentenza è giunta ancora alla decisione di appello) di riconoscimento di un rapporto tra vaccini e autismo ab-biano riguardato l’indennizzo, che segue una procedura particolare in cui non è possibile un approfondito contradditto-rio, e che nasce per tutelare chi ricorre al tribunale del lavoro. Non si è mai trattato di sentenze civili di risarcimento per un danno subìto, per-ché in tali processi è possibile un appro-fondito confronto delle tesi scientifiche e anti-scientifiche, e in tali casi l’evidenza scientifica di mancanza di qualsiasi rap-porto tra vaccini e autismo emerge chia-ramente.

Le Società scientifiche firmatarie del co-municato:• fanno appello a tutti i genitori affin-

ché continuino ad aderire con fidu-cia all’offerta del vaccino esavalente, nell’interesse della salute dei propri figli e di tutta la comunità,

• ricordano che il vaccino esavalente protegge i loro figli da malattie ancora oggi temibili e mortali,

• sottolineano che nello scorso anno 5 piccoli lattanti sani sono stati uccisi dalla pertosse tra Marche e Toscana,

• si riservano di richiedere agli Ordini dei Medici di pertinenza di valutare sotto il profilo disciplinare il compor-tamento di consulenti tecnici d’ufficio che non basino le proprie consulenze sull’evidenza scientifica, inducendo i giudici a emanare sentenze contrarie alla verità dei fatti.

• chiedono al Ministro della Salute di difendere anche in primo grado le evidenze scientifiche universalmen-te riconosciute che smentiscono ogni connessione causale tra vaccinazioni e autismo.

Roma, 26 novembre 2014

• Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI)

• Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP)

• Società Italiana di Pediatria (SIP)• Associazione Culturale Pediatri (ACP)

Federazione Italiana Medici di Me-dicina Generale (FIMMG)

Comunicato stampa congiunto

Autismo causato dai vaccini? Dalla Comunità Scientifi ca arriva un secco no

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27 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015

Le storie

“Vedo Ciro per la prima volta a 2 anni. Ha vissuto con la sua mamma in una co-munità per un anno e mezzo e ora vive in un alloggio con un’altra coppia mam-ma-bambino, ancora seguito dai servizi e dalle operatrici della comunità. Sono contento di vedere che il bambino sta molto bene, ha uno sviluppo cognitivo, relazionale e motorio adeguato, ed è mol-to simpatico e allegro. La mamma, pur giovane e fragile, è mol-to in gamba. Alla fine della visita, men-tre controllo i genitali, mi accorgo della presenza di numerose macchie color caffè latte. Sono in tutto 6, abbastanza grandi (una molto grande), e almeno 2 piccoli-ne, tutte molto localizzate. La mamma mi chiede cosa sono queste macchie e se sono pericolose. Le rispondo che sono da tener d’occhio , ma che per ora non è il caso di fare nulla. Pensando agli altri miei 2 casi di neurofibromatosi 1 (NF1) mi chiedo quale sia l’urgenza di riferire alla mamma il sospetto diagnostico. Posso permettermi di non dire nulla al-la mamma (che sento troppo fragile per condividere le mie preoccupazioni) e di

prendermi io la responsabilità di sorve-gliare l’evoluzione, attendendo che sia più grande per inviarlo eventualmente al centro di riferimento? C’è comunque qualcosa che devo cercare oltre alle mac-chie? C’è qualche accertamento che devo fare adesso?”

Il pediatra telefona alla responsabile del centro di riferimento per la NF1 dell’Ospedale Infantile Regina Mar-gherita (OIRM), che propone una visita dermatologica. Inoltre espone il caso ai colleghi che fanno parte con lui di un gruppo di discussione di casi clinici per via telematica. Una prima, veloce, ricer-ca bibliografica conduce a un articolo, non molto recente in verità, di G. Barto-lozzi su Medico e Bambino1,2 che sembra abbastanza rassicurante. Le macchie inducono il sospetto di NF1. Per confermare la diagnosi occorre at-tendere l’eventuale comparsa di altri se-gni clinici (box 1). In questa situazione è possibile, anzi, secondo l’Autore, è auspicabile, “rispar-miare ai genitori anni di apprensioni e di ansie” e “la convivenza con una diagnosi incerta di una malattia non curabile”.

Il pediatra dovrebbe “tenere il dubbio dentro di sé” e “scrivere sulla cartella clinica la presenza delle macchie” per ricordarsi a ogni visita di controllare l’evoluzione della patologia, alla ricerca di eventuali segni clinici che conducano alla diagnosi.

Questo comportamento è sostanzial-mente paternalistico (box 2) e perciò tutto da discutere, ma, soprattutto, ap-pare subito messo in crisi dall’esperienza di una collega del gruppo che racconta infatti di essere stata “bruciata” in due occasioni da bambini (Elena e Pasquale) con complicanze gravi (gliomi del ner-vo ottico e conseguente cecità) già a 2-3 anni.

Elena al bilancio di salute dei 3 mesi presentava 5-6 macchie sul tronco e sugli arti. L’ho inviata al centro di riferimen-to per la NF1 dell’OIRM, dove è stata sottoposta a una prima visita oculistica (risultata nella norma) e inserita nei con-trolli di routine, ogni 6 mesi. L’ho vista anch’io regolarmente, per i bilanci di sa-lute e per malattie intercorrenti. A 3 anni, solo 3 mesi dopo l’ultimo con-trollo specialistico, nel corso di una visita per febbre sono colpita da un esoftalmo destro (sfuggito alla mamma). Richiedo d’urgenza una RMN che evidenzia un glioma dell’occhio. Elena, pur trattata con chemioterapia, ha perso quasi com-pletamente la vista dall’occhio destro (re-siduo visivo di 1/40).

Pasquale, un bambino allegro e comuni-cativo, ha familiarità per schizofrenia e autismo, e una mamma seguita dai servizi psichiatrici. L’ho visto abbastanza rego-larmente fino ai 2 anni, e sono certa che allora non presentava macchie cutanee. A 2 anni i genitori hanno il dubbio che non veda bene perché cammina molto male e inciampa spesso. Lo portano privatamen-te da un oculista che non rileva problemi e poi, non del tutto tranquillizzati, da un secondo che conferma la normalità.

Neurofi bromatosi: dubbi clinici ed etici dei pediatriMaria Merlo1, Chiara Guidoni1, Patrizia Levi1, Paolo Morgando1, Ivo Picotto1, Luisella Quaglio2

1. Pediatra di famiglia, ASL TO1-TO3-TO5

2. Pediatra specialista ambulatoriale convenzionata ASL TO3 ACPOvest

A group of paediatricians who discuss online some issues about the diagnostic and health care pathways of 5 children with suspected Neurofi bromatosis 1 (NF1). It is not only a rare disease but also a non curable disease with a long diagnostic pathway which poses ethical and communication problems. Th e paper, describing the peculiarity of each case, tries to focalize on the problems , to identify the role in the disease management of both the family paediatrician and the specialist. It also stresses the effi cacy of a good collaboration between professionals.

Un gruppo di pediatri che discute di casi per via telematica affronta alcuni temi legati all’iter diagnostico e alla gestione della malattia in 5 bambini con sospetta neurofibromatosi 1 (NF1). La NF1 non è solo una malattia rara, e quindi difficile dal punto di vista clinico per il pediatra di fmiglia. È anche una malattia non curabile e con una diagnosi a lungo incerta, che pone perciò problemi di comunicazione e problemi etici. L’articolo, partendo dalle particolarità di ciascun caso, cerca di far luce sulla varietà di problemi che le storie presentano; cerca di identificare il ruolo del pediatra di famiglia e dello specialista nella gestione della malattia; propone un tipo di collaborazione fra questi che sembra poter essere molto efficace, anche se raramente praticata.

Storie che insegnano

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n. 1 / 2015Storie che insegnano

Nasce una sorellina; la madre ha crisi psicotiche gravi; i genitori si separano e si contendono i figli a colpi legali. I bam-bini stanno ora con i nonni, ora con gli zii, e io, che pure sono impegnatissima a tenere dietro a questa situazione com-plessa e in continua evoluzione, non ve-do Pasquale per più di un anno. Poi un giorno una zia mi dice preoccupata che Pasquale cammina male, inciampa spes-so, ha un linguaggio scarno. Chiedo una consulenza NPI e la solleci-to a portarmi il bambino. Lo vedo qual-che giorno dopo con la tosse. In effetti cammina male, è impacciato, mi guarda in modo strano piegando la testa. Gli sollevo la maglietta ed è una tempesta di macchie color caffè latte. Fa immediata-

mente una RMN che rivela un glioma del chiasma. Fa la chemioterapia, ma at-tualmente è quasi cieco e ha imparato il Braille. Era possibile diagnosticare pri-ma i gliomi di Pasquale e Elena? L’esito poteva essere differente? Ho sbagliato? Cosa avrei dovuto fare?”Proprio nei giorni nei quali il gruppo di-scute questi casi un’altra pediatra visita per la prima volta Samantha, una bimba di 6 anni, e racconta così ai colleghi:

Samantha ha avuto, secondo la mamma, un normale sviluppo psico-motorio e ha frequentato la prima elementare con normale rendimento scolastico. Ha un viso un po’ “strano” (asimmetrico?), con una ptosi palpebrale e una malocclusione

di terza classe. È seguita da circa 2 anni dall’oculista per ambliopia con astigma-tismo e ipermetropia. Facendola spo-gliare, mi accorgo di numerose macchie caffè latte, ovalari, a margini netti, di dimensioni da 0,5 a 3 cm. Non le conto perché sono davvero tante. Chiedo alla mamma delle macchie: non è assolutamente preoccupata perché le ha anche lei e sono presenti in tutta la sua famiglia: mamma, fratelli, zii, senza che coesistano altri problemi. Mi informo sulla ptosi: Samantha l’ha sempre avuta. Informo la mamma che quelle macchie potrebbero essere un sin-tomo di NF1 e che sarebbe opportuno contattare il centro di riferimento per approfondimenti. Lei acconsente anche se non sembra minimamente preoccu-pata. La specialista, sentita per telefono, mi dice di far eseguire subito RMN e visita oculistica presso l’OIRM. Darà appuntamento alla bambina con l’esito degli esami. Telefono alla mamma per dirle cosa ho concordato e per darle ap-puntamento per l’indomani. Voglio par-larle con calma e fare le impegnative. La mamma non si presenta, nemmeno suc-cessivamente. Viste le storie precedenti, devo richiamarla? Quale urgenza c’è? Devo insistere per fare gli accertamenti al più presto? E se la mamma si rifiuta, come mi devo comportare?

Un altro pediatra infine racconta di un paziente di 30 mesi, con papà con NF1.

Giuseppe ha (per ora?) solo 3 macchie color caffè latte. La specialista, anche questa volta contattata per telefono, dice che per ora non occorre nulla, né visita oculistica né RMN. È sufficiente inse-rirlo in lista d’attesa (1 anno!) e sorve-gliare l’evoluzione delle macchie. Siamo proprio sicuri che un’attesa atten-ta sia sufficiente? Non è meglio iniziare con qualche esame?

I dubbi clinici dei pediatri…

Confrontando i nostri casi siamo per-plessi perché non riusciamo a cogliere con chiarezza il razionale (che immaginiamo esista!) dei differenti interventi proposti dal centro di riferimento: • per Ciro una visita dermatologica; • per Elena controlli periodici che, pur

ravvicinati, lasciano sfuggire un glioma; • per Samantha subito una RMN e una

visita oculistica; • per Giuseppe l’attesa di 1 anno.

box 1

Sospetto diagnostico di NF1 e diagnosi

Sospetto diagnostico: macchie caffè latte. Devono essere più di 6, con diametro maggiore di 0,5 cm. Sono localizzate prevalentemente nella zona del pannolino, sul tronco e sugli arti. Compaiono nel 1° mese di vita e raggiungono il numero massimo entro i 6 anni. Diagnosi: alle macchie si deve associare almeno un altro segno: parente di 1 grado affetto, lentigginosi, neurofibromi o fibromi plessiformi, noduli di Lisch, gliomi, alterazioni scheletriche. L’esame genetico (si tratta di una malattia autosomica do-minante) non è proponibile di routine per gli altissimi costi e i lunghissimi tempi di attesa per gli esiti (anche 4 anni).

box 2

Paternalismo

Da Ippocrate fino alla fine del secolo scorso, ha dominato in medicina il modello paternalistico, secondo il quale il medico, che conosce l’“ordine della vita”, la salute e la malattia, è l’unico competente a decidere qual è il bene del paziente e, come un buon padre, prende per lui le “migliori” decisioni. Il medico anzi ha il “privilegio terapeutico” che lo esenta dall’informare il paziente sulla sua malattia e dal chie-dergli il consenso per la terapia. Alla fine del secolo scorso si è compiuta una rivoluzione silenziosa nel rapporto medico-paziente: il paziente ha cominciato a chiedere di essere informato sulla sua patologia, a voler conoscere le alternative terapeutiche e a voler prendere in prima persona le decisioni sulla sua salute. Questa rivoluzione ha avuto un riconoscimento giuridico con l’istituto del con-senso informato, che è attualmente la base che legittima l’intervento del medico. Secondo la legislazione attuale e, dal 1995, secondo il Codice Deontologico, il po-tere di stabilire il bene del paziente, dunque, non è più del medico ma del paziente stesso, che è riconosciuto come padrone del suo corpo e della sua vita. Il consenso informato (anche se, attualmente, nei fatti, è spesso un atto burocratico con lo scopo di tutelare il medico) prevede che il medico consideri il paziente un adulto e lo metta in condizione di comprendere e di scegliere7. Il nuovo paradigma richiede al medico anche una grande competenza nel campo della comunicazione. È molto più facile infatti prescrivere autorevolmente (come una volta) piuttosto che aiutare a comprendere, discutere, contenere l’ansia, favorire l’evoluzione verso l’autonomia decisionale di un paziente magari dipendente e “fragile”. È molto interessante discutere fra colleghi e riflettere su interventi sia di diagnosi e cura che di medicina preventiva, e chiedersi quanto e quando ciascuno è paterna-lista, con quali motivazioni, con quali esiti per i pazienti.

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Storie che insegnanon. 1 / 2015

Ricerche bibliografiche successive3-6 e approfondimenti sulla NF1 non aiutano a chiarire i dubbi. Alcuni di essi sono essenzialmente clinici e specifici della patologia: quali complicanze sono gravi? Quali precoci? Quali prevenibili? Co-me intercettarle in tempo? I gliomi sono curabili? Altri si intrecciano con aspetti etici e, sia pure in varie forme, compaio-no anche in altre patologie: è necessario esporre subito ai genitori il sospetto dia-gnostico e le caratteristiche della malat-tia anche se, come la madre di Ciro, si trovano in un periodo difficile? Come comportarsi se i genitori, come quelli di Samantha, sembrano sottovalutare i problemi e non portano i bambini ai controlli? Quanta è la responsabilità del medico se i genitori non sembrano tute-lare a sufficienza il bambino?

… e il confronto con lo specialista di riferimento

È a questo punto decisivo un incontro con la specialista di riferimento regio-nale dell’Ospedale Infantile Regina Margherita, dott.ssa Silvia Vannelli, che discute con noi le numerosissime proble-matiche della NF1: dalla genetica alle varie forme della patologia, ai criteri di sospetto e di diagnosi, alle complicanze. Ci aiuta in particolare a chiarire il razio-nale degli interventi proposti nei casi di-scussi in gruppo e a rispondere ai dubbi emersi.

Ciro. Occorre per prima cosa essere ben sicuri che le macchie siano davvero lega-te alla NF1. Nessun pediatra (e nessun dermatologo generalista) ha, o può farsi, la cultura e l’esperienza sufficienti a diri-mere il dubbio. Occorre dunque una visita effettuata da un dermatologo con esperienza di NF1. Nel caso di Ciro, in effetti, la dermatolo-ga pediatra diagnosticherà una melanosi, in quanto le macchie sono confluenti, ed escluderà la NF1.

Pasquale, Elena e il glioma. Una pedia-tra con due casi così drammatici è por-tata a considerare (e a far considerare ai colleghi) la NF1 una malattia subdola e con complicanze frequenti e gravi e a proporre, in occasioni successive, di fare molti esami e di essere molto pressante, al limite invasiva, nei confronti della fa-miglia. La realtà è diversa. La maggior parte delle NF1 decorre sen-za complicanze. Esiste inoltre una forma

solo cutanea di NF1, detta sindrome di Legius (box 3), clinicamente indistin-guibile da quella classica, che non darà mai complicanze. I due casi riportati al gruppo hanno elementi di assoluta ecce-zionalità, complicati inoltre da sfavorevoli eventi accidentali.

Per quanto riguarda Pasquale l’ecce-zionalità riguarda la mancanza delle macchie nel primo anno di vita, che ha impedito il sospetto diagnostico e quin-di una sorveglianza clinica. La successi-va comparsa delle macchie, improvvisa e tumultuosa inoltre, è stata sottovalutata da una famiglia in crisi per altri proble-mi e non ha potuto essere colta dalla pe-diatra (alla quale il bambino non è stato più portato). Pasquale poi, al sospetto di deficit visivo, è stato visto da 2 oculisti

“privati”, probabilmente non esperti di NF1 e non abituati a esaminare bam-bini e quindi a eseguire fundus, esame del visus, del campo visivo, della visione dei colori a un bambino piccolo e proba-bilmente poco collaborante (per i deficit cognitivi legati alla NF1). Elena, da parte sua, ha sviluppato un glioma in tempi così brevi da cadere nell’intervallo fra due visite specialisti-

che e fra le visite pediatriche di routine. Sia Pasquale che Elena hanno inoltre avuto un glioma particolarmente grave.

Il glioma (pur presente nel 15% dei casi di NF1) ha molto raramente un’evoluzio-ne così sfavorevole, tanto che più che una complicanza è considerato un criterio diagnostico. Gliomi piccoli non compro-mettono la vista e non vengono trattati (dato, fra l’altro, che rispondono poco alla chemioterapia) (box 4). Si tratta di casi quindi non emblematici, dai quali non è possibile trarre indica-zioni generalizzabili per la gestione della patologia. Le uniche lezioni che si possono trarre sono (dalla storia di Pasquale): la conco-mitanza dell’esplodere delle macchie con l’insorgere delle complicazioni e la ne-cessità di far seguire i bambini con NF1 da oculisti specializzati.

Samantha. L’aspetto dismorfico e la fa-miliarità per le macchie fanno pensare a una forma familiare (il 50% dei casi) e non da mutazione. Le forme familiari in genere sono meno espresse e dunque meno gravi. L’età della bambina (6 anni) la pone quasi del tutto fuori dal rischio

box 3

Sindrome di Legius o Sindrome NF1-Like

Circa l’1,5% dei pazienti con diagnosi clinica di NF1 è in realtà affetto da sindro-me di Legius. Essa è caratterizzata da macchie caffè latte e lentigginosi inguinale e ascellare. Non sono presenti neurofibromi né l’aumentata predisposizione a svilup-po tumorale. È causata da una mutazione a carico del gene SPRED1 localizzato sul cromosoma 15. È di recente descrizione e occorrono ulteriori studi di popola-zione per definirne lo spettro clinico.

box 4

Gliomi delle vie ottiche

Sono astrocitomi pilocitici, tumori in genere a decorso benigno, a volte a regressio-ne spontanea, che insorgono a partenza dagli astrociti (cellule della glia). Colpisco-no fino al 15% dei bambini con NF1, in genere entro i 6-7 anni. Solo in circa 1/3 dei casi provocano sintomi. Se coinvolgono il nervo ottico o il chiasma determina-no proptosi, deficit visivi, difetti del campo visivo, ridotta visione dei colori, pallore o edema della papilla. Se coinvolgono ipotalamo o terzo ventricolo sono causa di pubertà precoce e ipertensione endocranica. Vengono diagnosticati con RM. L’1-5% richiede trattamento chemioterapico che, comunque, è poco efficace.

box 5

Complicanze

La maggior parte dei casi di NF1 (il 90%) decorre senza complicanze. Esse posso-no essere a carico di vari organi e apparati: disturbi di apprendimento, ritardo men-tale, epilessia, idrocefalo; scoliosi, displasia congenita della tibia; malformazioni cardio-vascolari; disordini della sfera endocrina; neurofibromi plessiformi con rara (2-5%) evoluzione maligna, gliomi delle vie ottiche, tumori cerebrali e leucemie.

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n. 1 / 2015Storie che insegnano

di glioma, che compare in genere fra i 2 e i 6 anni. È possibile che Samantha abbia già altre complicanze, come per esempio un lieve ritardo mentale (magari per ora non riconosciuto da una famiglia i cui componenti hanno anch’essi deficit cognitivi più o meno lievi). Altre complicanze possono, poi, insorge-re in seguito (box 5), ma non c’è un’asso-luta urgenza di arrivare a una diagnosi.

Giuseppe. È molto probabile che abbia una NF1 familiare. Ma le macchie sono solo 3, dunque manca il criterio fonda-mentale per la diagnosi. Se le macchie diventeranno 6, occorrerà farle vedere a un dermatologo esperto, e controllare attentamente la loro evolu-zione e la comparsa di eventuali com-plicanze (in particolare, vista l’età del bambino, di un glioma).

L’informazione corretta

Il colloquio con la specialista ha sciolto dunque i dubbi clinici, ma anche alcu-ni dubbi etici dei pediatri, mettendo in luce che questi ultimi (parlare o non par-lare subito alla famiglia; ricercare attiva-mente i bambini “scomparsi” o aspettare che ricompaiano spontaneamente per altri motivi) nascevano in parte da una insufficiente conoscenza della malattia e delle sue complicanze. L’aver escluso la NF1 con la visita dermatologica ha eli-minato il problema del pediatra di Ciro. Se la dermatologa avesse invece confer-mato la compatibilità delle macchie con la NF1, a nostro parere il pediatra non avrebbe potuto, pur in presenza di una madre fragile, evitare di informare subi-to la famiglia. Avrebbe certamente do-vuto fare appello a tutte le sue capacità di counseling per trovare le parole giuste. Avrebbe dovuto spiegare che le macchie di per sé non sono un problema e non sono sufficienti a fare diagnosi di malat-tia, ma che occorre sorvegliarle. Che un eventuale aumento delle macchie è una conferma della malattia. Che le compli-canze sono rare e per lo più curabili. Che occorre cogliere l’insorgenza di even-tuali difficoltà visive. Che, comunque, macchie o non macchie, sospetto di de-ficit visivi o meno, era necessario portare Ciro regolarmente a visite di controllo pediatriche. Il pediatra avrebbe dovuto proporsi, con le parole e con l’atteggia-mento, come un punto di riferimento competente e rassicurante, disponibile a condividere la sorveglianza del bambino

e a rispondere agli eventuali dubbi della madre. La conoscenza dell’età di insor-genza del glioma ha ridotto l’urgenza di iniziare un iter diagnostico nel caso di Samantha. Iter diagnostico che potrà essere iniziato con calma, non necessa-riamente al primo contatto con la bim-ba e la famiglia, ma dopo aver creato un rapporto di fiducia fra genitori e medico. Anche questa pediatra dovrà comunque mettere in atto tutte le sue competenze di counseling e dovrà, in particolare, te-ner conto della modalità sottovalutante di affrontare la patologia da parte di mol-ti genitori affetti da NF1. Si trova infatti di fronte a uno di quei casi nei quali, per utilizzare il linguaggio antropologico, la disease (ossia la conoscenza della malattia che ha il medico) è molto distante dalla illness (cioè dal vissuto di malattia del pa-ziente). Il medico di Samantha conosce le complicanze possibili della malattia e sente il dovere di intercettarle al più presto. I genitori invece possono pensare qual-cosa come: “cosa ne sa questa pivellina di queste macchie? Ce le abbiamo tutti e stiamo benone! Che esagerazione fare una RMN”. Se il medico ha in mente so-lo la disease e ignora la illness del paziente, il paziente odierno non collabora e, al limite, “sparisce”. Non è più infatti di-sponibile, come un tempo, a delegare la sua salute al medico ma vuole conoscere, capire e affrontare esami e terapie solo se convinto in prima persona.I casi di Giuseppe e di Elena mettono in luce l’importanza che il pediatra in-formi la famiglia e, assieme ai genitori, sorvegli le macchie e gli eventuali segni di complicanze. Il compito di counseling è difficile anche in questi casi. Il pediatra deve mantenere un delicato equilibrio fra rassicurazione e “terrorismo”. Se il bam-bino non gli viene portato regolarmente deve cogliere ogni occasione per chie-dere di vederlo e, al limite, deve richia-marlo, con un intervento di medicina di iniziativa e non solo di attesa.

Il pediatra di famiglia e lo specialista

La collaborazione fra specialista e pedia-tra per essere efficace richiede, dunque, non solo la buona volontà del singolo pediatra (che telefona allo specialista) o la gentilezza e la disponibilità dello spe-cialista (magari facilitato da una comune conoscenza), ma un vero progetto comu-ne, cruciale nella gestione della patologia

cronica e nelle malattie rare.Perché, però, lo specialista possa contare sull’aiuto efficace dei pediatri occorre: • realizzare un minimo di formazio-

ne ai pediatri di famiglia che hanno in carico bambini con la patologia in questione (mentre probabilmente non è ugualmente efficace una formazione dei pediatri in genere);

• concordare un protocollo che preveda una chiara divisione dei compiti: cosa deve fare lo specialista e cosa deve fare, fra un controllo specialistico e l’altro, il pediatra di famiglia;

• concordare reciproche modalità di con-tatto regolari: comunicazioni dirette (e non mediate dal paziente), telefoniche o via mail; incontri periodici con i pedia-tri che hanno in carico pazienti con la patologia; discussione di casi in comune.

Se i pediatri di Samantha e Giuseppe, per esempio, concordassero con lo spe-cialista quanto spesso vedere i bambini e cosa controllare e ricercare volta per volta, lo specialista (sempre più spesso oberato di pazienti) potrebbe con mag-gior tranquillità ridurre i controlli di routine al minimo, fidando sulla capac-ità del pediatra di intercettare in modo tempestivo i segni di complicanze. Il pediatra di famiglia inserito nel pro-tocollo può inoltre collaborare più effica-cemente con lo specialista nell’aiutare i genitori ad affrontare la patologia: miti-gando l’ansia di dover convivere con una diagnosi a lungo incerta o, al contrario, spingendo i genitori sottovalutanti a

“prendere seriamente” la malattia (a far fare al figlio controlli regolari e a porsi il problema di fare altri figli). Il ritardo nella diagnosi per Pasquale e per Elena invece, anche nell’ambito di una collaborazione più strutturata tra pediatra di famiglia e centro di ri-ferimento, probabilmente non avrebbe potuto essere evitato. Nessuno infatti avrebbe potuto immaginare la necessità di sorveglianza clinica di Pasquale, sen-za macchie fino ai 2 anni, né l’insorgen-za fulminea del glioma di Elena.

Cosa abbiamo imparato riguardo alla NF1:• Esistono forme di NF1 (sindrome di

Legius) senza complicazioni.• Esistono forme familiari poco espres-

se che richiedono un approccio molto attento alla illness dei genitori nella co-municazione del sospetto diagnostico.

• Il pediatra di famiglia deve sorvegliare le macchie cutanee e l’eventuale insor-

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Storie che insegnanon. 1 / 2015

gere di problemi visivi (o di altre com-plicazioni) anche in bambini già seguiti da un centro specialistico.

• Le visite dermatologiche e oculistiche devono essere effettuate da medici con conoscenza della patologia ed esperti di visite pediatriche.

Cosa abbiamo messo a fuoco nei con-fronti, in genere, delle patologie croni-che e rare:• I problemi etici a volte nascono solo

da insufficienti conoscenze sulla pato-logia.

• Confrontarsi sul proprio atteggia-mento, paternalistico o meno, aiuta la consapevolezza del modello di medi-co che perseguiamo e mette a fuoco la necessità di tener conto della illness del paziente e l’importanza della buo-na comunicazione.

• L’aiuto che il pediatra singolo, di fron-te a un suo caso, riesce a ricevere dal centro specialistico è molto maggio-

re con un progetto di collaborazione concordato.

• I pediatri di famiglia che hanno in carico bambini con patologia cronica possono essere una risorsa dello spe-cialista, soprattutto in tempi di tagli alla sanità, se opportunamente formati e inseriti in un protocollo concordato.

• Il gruppo di discussione di casi (per via telematica o meno) è una risorsa preziosa. Permette di confrontarsi su una casistica numerosa, che nessun pediatra da solo vedrà mai; di rea-lizzare un aggiornamento sul campo che probabilmente, fra le varie forme di aggiornamento, è la più efficace; di proporre, come gruppo, la propria collaborazione allo specialista, con-cordando un protocollo comune e as-sumendosi la corresponsabilità della salute del paziente.

[email protected]

1. Bartolozzi G. Neurofibromatosi tipo 1 (parte prima). Medico e Bambino pagine elettroniche 2009;2.

2. Bartolozzi G. Neurofibromatosi tipo 1 (parte seconda). Medico e Bambino pag-ine elettroniche 2009;3.

3. Tonsgard JH. Clinical manifestations and management of Neurofibromatosis type 1. Semin Ped Neurol 2006;13:2-7.

4. Ferner RE, Huson SM, Thomas N. Guidelines for the diagnosis and manage-ment of individuals with neurofibromato-sis 1. J Med Genet 2007;44:81-8.

5. Ruggeri M. Le neurofibromatosi. ANF, 2007.

6. www.neurofibromatosi.org.

7. Mori M. Introduzione alla bioetica. 12 temi per capire e discutere. Espress, 2012.

Istruzioni per accedere al corso FAD ACPDopo aver acquistato il corso FAD all’interno dell’area riservata del portale www.acp.it, riceverai il codice di attivazione. Di seguito le indicazioni per recuperare il codice e attivare il corso:1) accedere al portale facendo click su Login e inserire il nome

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4) dopo l’accesso alla piattaforma, incollare nell’apposita casella il codice di attivazione precedentemente copiato.

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32 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015

La Germania, von Bismarck e Sir BeveridgeEnrico VallettaDipartimento Materno-Infantile, AUSL della Romagna, Forlì

ni una partecipazione proporzionale al proprio reddito garantendo a ciascuno, indipendentemente dalla capacità con-tributiva, un’assistenza adeguata alle sue necessità. Il modello Bismarck (o misto) è fonda-mentalmente un sistema mutualistico che si basa sull’adesione obbligatoria dei cittadini a sistemi di assicurazione socia-le (casse mutue) che vedono la compre-senza di attori pubblici e privati. Lo stato centrale definisce le regole che governano il sistema e sono le mutue che contrattano e acquistano le prestazioni ambulatoriali e ospedaliere per i propri assistiti. Italia (dopo il 1978), Gran Bre-tagna, Spagna e Paesi del Nord Europa si ispirano al modello Beveridge, mentre Germania, Francia e altri Paesi dell’Eu-ropa centro-orientale adottano il sistema Bismarck di assicurazione sociale8. Nel corso degli ultimi 40 anni, 8 Paesi OECD (tra cui l’Italia) sono transitati da un sistema Bismarck a uno Beveridge, mentre solo 4 nazioni (tutte dell’Est Eu-ropa nel periodo post-comunista) hanno compiuto il percorso inverso. Gli esperti di economia sanitaria se-gnalano che, in linea generale, i sistemi sanitari mutualistici richiedono il 3-4% in più di spesa pro capite rispetto ai si-stemi tax-financed, riducono dell’8-10% la quota specifica di posti di lavoro e del 6% il livello complessivo di occupazione8. L’accessibilità dei cittadini alle cure è so-stanzialmente universale per entrambi i modelli sanitari, con una copertura ga-rantita al 100% dai sistemi sanitari pub-blici mentre nei sistemi misti la copertura

Il mondo dei servizi sanitari naziona-li europei (e non solo) è in una fase di transizione che coinvolge pesantemente i Paesi economicamente più fragili, ma non risparmia neppure le nazioni tradi-zionalmente più “solide”. Recenti contributi dell’OMS1 e dell’OE-CD2, ripresi da alcuni osservatori nazio-nali3,4, analizzano quanto sta avvenendo nel sistema sanitario della Germania, toccando interessanti aspetti di politica ed economia sanitarie, di organizzazione delle strutture e dei professionisti non-ché di interventi per una gestione più etica e sostenibile dei rapporti con l’in-dustria farmaceutica5.La Germania ha una spesa sanitaria pa-ri all’11,3% del Prodotto Interno Lordo (PIL), il terzo più elevato in Europa (fi-gura 1)6. L’aspettativa di vita alla nascita di un cittadino tedesco (80,8 anni) è di poco superiore alla media OECD (80,2), ma inferiore di quasi due anni (82,7) a quella italiana e comunque si situa al 18° posto nella graduatoria dei 34 Pae-si OECD. Anche la Germania subisce la stretta della crisi e, tuttavia, l’anda-mento della spesa sanitaria negli anni 2011-2013 mantiene un segno positivo (+1%), laddove Italia, Spagna, Portogallo e Grecia sono ampiamente (-2/-10%) in saldo negativo. Il sistema sanitario tedesco offre una gamma molto ampia di servizi: nel 2012 i posti letto ospedalieri erano 8,3/1000 abitanti (Italia 3,4/1000; media OECD 4.8/1000), il rate di ricoveri ospedalieri era oltre il doppio di quello italiano e una volta e mezzo la media OECD, gli infermieri 11,4/1000 (Italia 6,3; media OECD 8,7)7. Nonostante i consistenti investimenti, l’opulenza dell’offerta e la buona efficien-

za del sistema (corte liste d’attesa e sod-disfazione dell’utenza), tutti i maggiori indicatori di salute situano la Germania attorno alla media dei Paesi OECD. Il settore delle cure primarie è caratteriz-zato da una riconosciuta debolezza strut-turale e solo dal 2002 il sistema sanitario ha iniziato a dotarsi di programmi e percorsi di assistenza per le malattie cro-niche e per le principali patologie come diabete, tumore della mammella, cardio-patia ischemica, asma e BPCO.

von Bismarck, Sir Beveridge e i sistemi sanitari

Se escludiamo gli USA il cui sistema sa-nitario è a carattere essenzialmente pri-vatistico, gli altri paesi OECD adottano due modelli concettualmente distinti (box 1)8. Il modello Beveridge (o pubbli-co), che concepisce un servizio sanitario nazionale finanziato attraverso una quo-ta della fiscalità generale (tax-financed) con un’importante funzione di “filtro” (gatekeeping) assegnata ai medici delle cure primarie e una particolare atten-zione ai temi della sanità pubblica. È un sistema di gestione sanitaria a carattere universalistico che richiede ai cittadi-

Osservatorio internazionale

“Th e Security Plan of my Report proposes, fi rst, a unifi ed social insurance system under which by paying a single weekly contributionthrough one insurance stamp everyone will be able to get all the benefi ts that he or his family need so long as they need them.”

Beveridge J. Beveridge and his plan. 1954, p 115

box 1

Otto von Bismarck (1815-1898), cancelliere prussiano che nel 1891 introduce le prime misure di un moderno stato sociale, incentrato su princìpi di tipo assicu-rativo a protezione dei lavoratori e delle loro famiglie nei confronti di malattia, invalidità e disoccupazione.

Sir William Beveridge (1879-1963), economista britannico che nel 1942 presenta al governo inglese un piano di welfare basato, tra l’altro, su un’assistenza sanitaria generalizzata e gratuita per tutti (indipendentemente dal reddito) e di previdenza nell’eventualità di disoccupazione, vecchiaia e morte. Una copertura sociale e sa-nitaria che va “dalla culla alla tomba” (from the cradle to the grave).

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totale (o quasi) è raggiunta grazie a una quota di assistenza privata a carico dei cittadini che possono permettersi questa opportunità. Il minor costo dei sistemi pubblici non sembra determinare una minore qualità dei servizi erogati, anche in termini di outcome misurabili7.

Tornando alla Germania

In Germania i cittadini hanno l’obbligo di essere assicurati: il 90% lo è con una delle 132 assicurazioni sociali esistenti o altra cassa mutua speciale e il 10% circa con un’assicurazione privata. Le assicurazioni acquistano su base re-gionale (i Länder) le prestazioni ambula-toriali e ospedaliere negoziandole con le associazioni dei medici e con gli ospeda-li. I Länder finanziano le strutture hard del sistema (ospedali, attrezzature, con-venzioni specialistiche) indirizzandone e controllandone l’utilizzo e la qualità. In pratica, gli utenti possono rivolgersi indifferentemente al medico di famiglia (46% degli oltre 120.000 medici accre-ditati con le mutue) o allo specialista (il restante 54%), rendendo di fatto proble-matica quella funzione di “filtro” che, al-trove, i sistemi pubblici conferiscono alla medicina delle cure primarie. Interventi correttivi, negli ultimi 10 anni, hanno cercato di assegnare un ruolo pri-vilegiato alla figura del medico di fiducia come gatekeeper nei confronti dei livel-li di cura più complessi ed è stato dato crescente impulso alla strutturazione di

percorsi assistenziali per le malattie cro-niche più diffuse. Interessante e del tutto recente è il provvedimento che dal 2011 ha rivoluzionato il mercato farmaceutico tedesco, legando il prezzo dei nuovi far-maci introdotti in commercio (e quindi la rimborsabilità da parte delle assicura-zioni sociali) a una valutazione della loro maggiore efficacia rispetto a quelli ana-loghi già disponibili9. Se il nuovo farma-co viene giudicato innovativo, il prezzo sul mercato viene prima concordato con la ditta produttrice e quindi autorizzato. Se l’efficacia è paragonabile a un prodot-to già esistente, il suo prezzo sarà analo-go. Questo provvedimento ha da un lato introdotto un forte controllo sulla spesa farmaceutica che appariva in costante e preoccupante crescita, dall’altro ha rap-presentato uno stimolo per l’industria farmaceutica a concentrare i propri sfor-zi su molecole effettivamente innovative. Se nel 2010 il 65% dei farmaci approvati era stato giudicato non innovativo, nel 2011 la quota di queste molecole era già scesa al 35%5. La Germania è uno dei più grandi produttori mondiali di farmaci e uno dei mercati di riferimento per l’Eu-ropa e la sua politica influenzerà certa-mente anche gli altri mercati nazionali. È stato calcolato infatti che per ogni eu-ro di riduzione del prezzo in Germania, il prezzo in Austria e in Italia diminuisce rispettivamente di 0,15 e 0,36 euro10.

[email protected]

1. Busse R, Blümel M. Germany: health system review. Health Systems in Transi-tion 2014;16:1-296.

2. OECD Health Statistics 2014. How does Germany compare? www.oecd.org/health/healthdata.

3. Bellini I. Il sistema sanitario tedesco. www.saluteinternazionale.info.

4. Maciocco G. Chronic care model in salsa tedesca. www.saluteinternazionale.info.

5. Stafford N. Only 3 in 20 new drugs ap-proved in Germany in 2011 were an im-provement, report says. BMJ 2014; 348:g2657.

6. OECD Health Statistics 2014. www.oecd.org/els/health-systems/health-data.htm.

7. Lameire N, Joffe P, Wiedemann M. Healthcare systems – an international re-view: an overview. Nephrol Dial Trans-plant 1999;14:3-9.

8. Wagstaff A. Social health insurance vs. tax-financed health systems – Evidence from the OECD. The World Bank, Policy Research Working Paper 4821,2009.

9. Henschke C, Sundmacher L, Busse R. Structural changes in the german pharma-ceutical market: price setting mechanisms based on the early benefit evaluation. Health Policy 2013;109:263-9.

10. Stargardt T, Schreyögg J. Impact of cross-reference pricing on pharmaceutical prices: manufacturers’ pricing strategies and price regulation. Appl Health Econ Health Policy 2006;5:235-47.

figura 1

Spesa sanitaria in percentuale del PIL nei Paesi europei appartenenti all’OECD (modifi cato da voce bibliografi ca6)

Osservatorio internazionale

0,0

2,0

4,0

6,0

8,0

10,0

12,0

14,0E

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I cultori della p statistica, coloro che hanno portato la p della propria ricerca appena sotto la soglia del 5% (p<0,05; ovvero una probabilità <5% che la dif-ferenza osservata tra due gruppi o trat-tamenti sia dovuta al caso) e si sentono soddisfatti per questo e quelli che ci si sono solo avvicinati ma che “è quasi co-me se basta solo aumentare la casistica e il gioco è fatto”, rischiano di vedere ben presto spostata in alto l’asticella e di doversi rimettere al lavoro. Il mondo statistico, sia dalla riva fre-quentista (la statistica classica che si basa sull’assunzione teorica che il pa-rametro di interesse è un valore fisso e sconosciuto e che è possibile ripetere l’esperimento infinite volte nelle me-desime condizioni) che dalla riva baye-siana (approccio statistico alternativo, secondo il quale il parametro è una va-riabile casuale, l ’informazione iniziale viene aggiornata dall’esperienza empi-rica e il campione in esame è soltanto uno dei possibili risultati ottenibili tramite il processo di estrazione dalla popolazione) mette in guardia dal trar-re conclusioni troppo ottimistiche sulla base di inferenze statistiche tutt’altro che granitiche1-3. Alcuni scenari ci possono aiutare a ca-pire.

p≥0,05: aumento la casistica e il gioco è fatto

È uno dei casi più frequenti: il ricercatore, di fronte a una p di poco superiore a 0,05 (p1), si sente di affermare che “c’è una tendenza verso la significatività statisti-ca” lasciando intendere che basterebbe incrementare il numero delle osservazio-ni e il nuovo livello di significatività (p2) è verosimilmente destinato a migliorare. In realtà non è sempre così e il modello al quale si applica il ragionamento fa rife-rimento a un ipotetico confronto rando-mizzato tra un trattamento e il placebo con relativo calcolo degli intervalli di confidenza come stima del reale effetto del trattamento. La convinzione che, incrementando la numerosità del campione, p2 risulti in-feriore a p1, viene fortemente ridimen-sionata da quanto esposto nella tabella 1. Con p1=0,08, un incremento del cam-pione pari al 20% avrà il 35,4% di pos-sibilità di dare p2>p1, cioè un livello di significatività inferiore a quello di par-tenza. Partendo da p1=0,05, il rischio di fare peggio è quasi lo stesso (33,8%). Se, addirittura, raddoppiamo il cam-pione, la possibilità di ottenere p2>p1 è comunque superiore al 20%. Siamo quasi certi di fare meglio (p2<p1) solo

se partiamo già da una solida certezza che il trattamento sia meglio del place-bo (p1=0,01) e contiamo di aumentare di molto (raddoppiare) i nostri dati. Se poi il nostro obiettivo non è solo fare meglio (p2<p1), ma addirittura superare la soglia della significatività (p2<0,05), l’impresa è ancora più difficile. Partendo da p1=0,08 o p1=0,06 ho rispettivamen-te il 54% e il 41% di possibilità di non raggiungere il traguardo se incremento il mio campione del 20%. Se lo raddoppio, avrò comunque una p2≥0,05 in quasi un terzo dei casi2. In sostanza, è scorretto sbilanciarsi in affermazioni troppo ot-timistiche solo perché ci sentiamo a un passo dal traguardo della significativi-tà statistica. Il risultato è tutt’altro che scontato.

p<0,05: la differenza è significativa e lo sarà sempre

Anche questo è tutto da dimostrare. Se decido di ripetere l’esperimento che mi ha dato un “soddisfacente” p1<0,05, utilizzando un campione del tutto di-verso, ho il 30-50% di probabilità di ottenere un risultato peggiore (p2≥0,05) (tabella 2)2. Se parto da un “rassicurante” p1=0,001 e ripeto l’esperimento, p2 sarà comunque non significativa (≥0,05) in un caso su sei (17%). Da queste considerazioni probabilistiche deriva il quesito successivo.

Una p<0,05 è sufficiente per trarre conclusioni forti e “definitive”?

Su questo, frequentisti e bayesiani, sem-brano concordare. Livelli di evidenza che si situano tra p<0,05 e p>0,01 vanno interpretati con prudenza poiché il pur consistente incremento del campione potrebbe addirittura peggiorare il gra-do di significatività e la riproduzione dell’esperimento ha una discreta proba-bilità di non confermare il risultato ot-tenuto. Il 32% dei più citati (oltre 1000 citazioni ciascuno) studi pubblicati sulle riviste a più elevato impact factor tra il 1990 e il 2003 è stato successivamente

Signifi catività statistica. È meglio spostare l’asticella verso l’alto?Enrico Valletta1, Giorgia Vallicelli2

1. Dipartimento Materno-Infantile; 2. Dipartimento di Sanità Pubblica, AUSL della Romagna, Forlì

Il punto su

Within a randomised trial, the value of p indicates the probability with which the observed diff erence may simply be attributed to chance. A p ≥ 0.05 does not mean that an increase of the sample size will invariably improve the p value or obtain the 5% level of signifi cance. p-values from 0.05 to 0.01 represent a modest degree of evidence that could be contradicted by subsequent trials. Setting to 0.005 the signifi cance threshold could provide greater evidence of the observed diff erences and greater strength to the related conclusions.

In uno studio randomizzato, il valore della p indica la probabilità con la quale la differenza osservata può essere semplicemente attribuita al caso. Una p ≥ 0,05 non consente di affermare che un semplice incremento della casistica sarà sufficiente per ottenere un miglioramento (o per superare la soglia) della significatività. Valori di p tra 0,05 e 0,01 costituiscono un grado di evidenza modesto che potrebbe essere contraddetto da studi successivi. Individuare la soglia di significatività per p<0,005 garantirebbe una maggiore evidenza delle differenze osservate e una maggiore forza delle conseguenti conclusioni.

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contraddetto o ha visto ridimensionata la portata delle osservazioni da ricerche successive4. È verosimile che in alcuni casi la non riproducibilità dello studio sia stata la semplice conseguenza dell’avere utilizzato una soglia di significatività statistica che non garantiva un’evidenza sufficientemente forte rispetto all’effetto osservato3. Il suggerimento che ne deriva è di por-tare il livello di significatività statistica convenzionale da p<0,05 a p<0,005 e quello di alta significatività a p<0,001. Per mettere in evidenza, con una poten-za dell’80%, una variazione del 30% con una significatività <0,005 occorrerebbe

“semplicemente” raddoppiare la numero-sità del campione (es: da 69 a 130)3. Uno sforzo rilevante ma non impossibile e che avrebbe un’importante contropar-

tita in termini di “certezza” dell’effetto osservato. Anche secondo l’approccio bayesiano, una scelta di questo tipo por-terebbe a una consistente riduzione della probabilità di incorrere in un falso risul-tato positivo3. In sintesi e come già detto, una p<0,05 significa che ho meno del 5% delle possi-bilità che la differenza osservata tra i due trattamenti sia dovuta al caso. È tanto? È poco? Dipende anche da quanto è ri-levante il cambiamento (di terapia, di in-tervento, di strategia) che viene proposto in virtù di questo risultato. Certamente, meno dello 0,5% (p<0,005) è un’altra co-sa e farebbe sentire più sicuri sulla reale consistenza dell’effetto osservato. Un motivo in più per non interrompere, prima del termine, un trial ben disegna-to e con una numerosità campionaria ben

calcolata solo perché ci accorgiamo di avere raggiunto una “striminzita” p<0,05. Meglio verificare fino in fondo l’ipotesi e puntare un po’ più in alto. Se poi volessimo lanciarci in mare aper-to, è bene ricordare che “la probabilità a posteriori dell’ipotesi nulla dipende dalla probabilità a priori che assegniamo all’ipotesi nulla stessa” (un po’ come per i test diagnostici) e che Barack Obama si è trovato a misurare le probabilità di successo di un’azione per catturare Bin Laden senza l’aiuto di una p (più o meno significativa) ma solo valutando, baye-sianamente, le modificazioni dell’ipotesi nulla sulla base di informazioni pervenu-te in momenti successivi5,6.

[email protected]

1. Agabiti N, Davoli M, Fusco D, et al. Com-parative evaluation of ealth services outcomes. Epidemiol Prev 2001;35:1-80.

2. Wood J, Freemantle N, King M, Nazareth I. Trap of trends to statistical significance: likelihood fo near significant P value becom-ing more significant with extra data. BMJ 2014;348:g2215.

3. Johnson VE. Revised standards for statis-tical evidence. PNAS 2013;110:19313-17.

4. Ioannidis JPA. Contradicted and initially stronger effects in highly cited clinical re-search. JAMA 2005;294:218-28.

5. Catelan D, Biggeri A, Barbone F. Multiple testing and subgroup analysis (what’s wrong in always searching for significant results). Epidemiol Prev 2011;35:150-4.

6. Woodward B. Death of Osama bin Laden: Phone call pointed U.S. to compound - and to ‘the pacer’. The Washington Post 2011, May 7.

tabella 1

Probabilità (%) che p2 possa risultare meno signifi cativa dopo incremento della numerosità dei casi, partendo da livelli diversi di p1*

Incremento % della numerosità dei casi

Valore di p1 (test a due code)

0,01 0,05 0,08 0,1

100 14,3 20,8 23,4 24,8

50 20,6 26,7 28,9 30,1

20 29,1 33,8 35,4 36,3

tabella 2

Percentuale di volte nelle quali ci si può attendere un risultato non signifi cativo (test a due code, alfa=0,05) se ripetiamo l’esperimento con la medesima numerosità e lo analizziamo indipendentemente dal primo*

Valore attuale di p (p1) Percentuale di volte

0,001 17,3

0,01 33,2

0,05 50,0

*modificate da voce bibliografica2

Milano, S. Ambrogio 2014:

Civica Benemerenza a ACP Milano e Provincia

Il consiglio comunale di Milano ha insignito ACP Milano e Provincia di un attestato di Civica Benemerenza, nella rosa dei prescelti per l’Ambrogino 2014, per l’attività di assistenza e coordinamento svolta a partire dal mese di luglio 2014 nell’ambito dell’“emergenza Siria” in Stazione Centrale. La consegna a Milano, il 7 dicembre, festa di S. Ambrogio, durante la cerimonia delle Civiche Benemerenze 2014 al Teatro Dal Verme.

Il punto su

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Libri: occasioni per una buona letturaRubrica a cura di Maria Francesca Siracusano

n. 1 / 2015Libri

Cronaca di un’avventura pedagogica

Autore: Franco Lorenzoni

I bambini pensano grandeSellerio, 2014 - pp. 280, euro 14

“Ho desiderato raccontare un anno di vi-ta di una quinta elementare del piccolo paese umbro dove insegno da molti anni perché ascoltando nascere giorno dopo giorno parole ed emozioni, ragionamen-ti, ipotesi e domande, che emergevano dalle voci delle bambine e dei bambini con cui ho lavorato per cinque anni, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a scoperte preziose, che ci aiutano ad an-dare verso la sostanza delle cose e verso l’origine più remota del nostro pensare il mondo. Nei dialoghi degli scolari su argomenti di un programma svolto po-nendo questioni e lasciando elaborare soluzioni, intorno a temi che riguardano matematica, scienze, arte e storia, si ha l’impressione di ripercorrere l’evolversi della cultura umana. Si prova la meravi-glia del nascere di un pensiero”. Così Lorenzoni introduce il lettore al suo racconto nato tra i banchi della scuo-la elementare dove insegna e dai dialoghi giornalieri tra lui, il Maestro, e loro, gli Allievi. Un percorso didattico nel senso più ampio della parola, forse meglio dire un percorso di crescita che nasce sponta-neamente, in maniera tuttavia program-mata, nel corso di una ricerca intorno a un periodo storico che va dal 600 e 200 avanti Cristo. Una vera avventura peda-

gogica, vissuta da questi fortunati scolari i cui pensieri ascoltati e trascritti guidano il loro Maestro. Un percorso pedagogico ribaltato, una avventura, e per questo en-tusiasmante, arricchente, coinvolgente e totalizzante per i bambini. La matema-tica, l’italiano, la storia, l’arte, il movi-mento camminano insieme, si fondono, nascendo da un filo conduttore comune sapientemente elaborato, mutato dall’a-scolto quotidiano dei bambini. “Il dise-gno è te che non sei te. Significa che sei te che lo disegni e se lo disegni è qualco-sa di te. È come se mi tolgono un pezzo di me “. Questo è il pensiero di Mattia, tra i più irriducibili della classe V, alla domanda su cosa avrebbe voluto fare l’ul-timo anno di scuola elementare. La pri-ma discussione dell’anno nasce così, da una semplice domanda e da un lavoro di ascolto ed elaborazione di tanti pensieri, pensieri alti; mi piacerebbe imparare la storia e le scienze “senza accorgercene” come lo scorso anno, facendo passeg-giate, gite, e divertendoci. Dai problemi quotidiani, come il tetto della casetta nel giardino della scuola che fa acqua e va riparato, si arriva alle figure geometriche e al paradosso delle figure piane, a Talete e Anassimandro. Il capitolo: “Un viaggio intorno allo zero” parte dal concetto del numero zero, se va inteso come un nu-mero o come il nulla e da lì i bambini passano dall’aritmetica alla geometria, alla tragedia di Eschilo, “Il prometeo in-catenato” , allo studio del cosmo. Il libro di Lorenzoni trabocca di emozioni e im-magini: i pensieri dei bambini invitano il lettore all’ascolto, a mettersi in punta di piedi per poter arrivare all’altezza dei loro sentimenti, come diceva Janu-sz Korczak. Un invito a leggerlo perché illuminante, perché i maestri purtroppo non sono tutti così ma potrebbero esserlo anche se le riforme scolastiche cambiano. Emerge dal libro proprio la responsabi-lità pedagogica di questo maestro che si interroga giorno dopo giorno sul suo ruolo educativo, sulla responsabilità che ha e sul suo “potere” di insegnante nei confronti di giovani menti e spiriti. An-che per chi non insegna, ma ogni giorno

vede i bambini e li ascolta, il libro di Lo-renzoni è travolgente. Forse insieme alla LIM se a ogni maestro o maestra italiani si regalasse questa avventura…

Stefania Manetti

Quei giorni nella linea gotica

Autore: Francesco Ciotti

Pagina biancaMaggioli editore 2014 - pp. 192, euro 15

Francesco Ciotti, oltre a tutto ciò che conosciamo, ha pubblicato due lavori di narrativa all’ultimo dei quali si riferisce questa recensione, e un libro di poesie. Pagina bianca racconta una storia che si svolge nell’Appennino romagnolo sopra Forlì e Cesena al tempo dell’ultima guer-ra. In quella terra nel 1943-44 passava la linea gotica (Gotenstellung). Si esten-deva da Massa e Carrara fino alla costa adriatica a sud di Rimini passando per l’Appennino romagnolo su un fronte di oltre 300 chilometri. Per superare que-sto baluardo della difesa tedesca le for-ze alleate erano integrate nell’8ª armata inglese composta da britannici, polacchi e in buona parte da reparti provenienti dai Paesi dell’impero, indiani, canadesi e nepalesi (i terribili gurkha). Per avere una idea della durata di questa battaglia si pensi che Rimini fu occupata il 21 set-tembre e Forlì il 9 novembre. 48 giorni

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37 Quaderni acp - www.quaderniacp.it

n. 1 / 2015 Libri

L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si

è capito della vita tutto il resto; ma fi nita la pagina si riprende la

vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.

Italo Calvino. Il Cavaliere inesistente (1959)

per compiere 40 chilometri con bombar-damenti aerei e di artiglierie, morti mili-tari e civili di cui ancora non è possibile valutare il numero, eccidi di popolazioni, di partigiani, lotte politiche fratricide all’interno delle formazioni partigiane. La storia che viene narrata è quella di una madre che ha qualcosa che si è tenu-ta dentro e che ora deve raccontare alla figlia Giorgia, cantante lirica con qual-che precario contratto che sta per spo-sarsi con Roberto, archeologo ricercatore pure lui precario. Qualcosa che ha a che fare con quel periodo terribile dell’au-tunno inverno 1944-45, con la memoria delle due famiglie che hanno vissuto quel periodo terribile in vicende che le hanno divise. Il racconto ha inizio sulla tomba di famiglia e toccherà vari punti; nel li-bro i capitoli si titolano “Stazioni” come quelle della Via Crucis. Le stazioni sono sei. Ogni stazione un racconto sempre duro narrato al presente anche se si ri-ferisce a eventi di decine di anni prima, come se la mamma li stesse vedendo e ri-vivendo in quel momento. Ma perché la mamma di Giorgia si è tenuta per tanto tempo quel peso nel cuore? Certo prima non c’era la storia di famiglie divise che si dovevano reincontrare. Ma, se non fosse stato per quel matrimonio, Giorgia non avrebbe mai saputo nulla della tragedia che è passata sulla sua famiglia? Questo forse è un punto sul quale fare qualche pensiero. Esiste in Romagna un paese dove nel luglio 1944 i tedeschi rinchiuse-ro 64 persone, di cui 19 bambini, in una casa e le arsero vive. I capi famiglia do-vettero assistere al massacro e poi furono torturati e uccisi. Ma i sopravvissuti di quella tragedia non raccontarono quello che è successo a coloro che vennero dopo. So di altri che hanno vissuto sofferenze di guerra ai quali è stato più facile rac-contare ai nipoti che ai figli. Non si ri-esce a tollerare il dolore di un racconto che ci ha segnati? Era stato così anche per la madre di Giorgia “costretta “ da-gli eventi al racconto? Francesco Ciotti non tratta questo argomento perché il suo è un racconto filato, secco e talo-ra lievissimo come la mamma che tira la sfoglia come un acrobata o Giorgia

che veste l’abito da sposa della nonna, di seta, quella dei paracaduti alleati di cui si vestivano le ragazze di quei tempi. Ma, in una delle ultime pagine, Giorgia dice che la sofferenza della mamma è solo sua e non passa in lei. Un libro che morde specie quei vecchi lettori, come me, che quei tempi hanno vissuto. I giovani non so.

Giancarlo Biasini

L’interazione tra adolescenti e adulti

Autore: Peter Cameron

Un giorno questo dolore ti sarà utileGli Adelphi, 2007 - pp. 206, euro 10

James Sveck vive a New York. Il padre è un uomo d’affari, con delle solide idee su come dovrebbe essere un ragazzo, cioè andare all’università, mangiare bistec-che, portare fuori le ragazze. La madre ha aperto una galleria d’arte che ospita un bidone della spazzatura decoupato con le pagine dei testi sacri opera di un artista giapponese senza nome. La so-rella maggiore si è invaghita di un pro-fessore di teoria del linguaggio. Gli unici della famiglia con cui James comunica sono Nanette, la nonna di buon senso e di buon cuore, e Miró, un cagnetto nero che si crede umano. Il libro è un diario,

che comincia il giorno dell’improvviso ritorno della madre dal viaggio di noz-ze del suo terzo matrimonio. E quando James dichiara di non avere intenzione di andare all’università, appare a tutti, soprattutto a sua madre, un ragazzo di-sturbato, difficile, intrattabile. Per que-sto motivo viene indirizzato verso una terapia psichiatrica, per cercar di mutare i suoi lunghi silenzi in un’interazione più normale con il mondo che lo circon-da, e per indurlo a fare scelte più normali che non siano solo passeggiare e leggere libri. Il racconto è pieno di conversa-zioni, alcune dette, altre semplicemen-te pensate o addirittura immaginate. C’è anche una narrazione di due eventi quasi “indicibili”, una trama che prende il lettore raccontata con ironia, malin-conia, allegria e, soprattutto, grazia. Il lettore (forse dovrei dire meglio io) en-tra subito in sintonia con James fino al momento in cui i suoi comportamenti diventano incomprensibili, eccessivi, se non sconcertanti. Comportamenti che però risultano comprensibili ascoltando le parole con cui il ragazzo si analizza:

“Io mi sento me stesso solamente quando sono solo. Il rapporto con gli altri non mi viene naturale: mi richiede uno sfor-zo”. “Pensavo: mi basta averlo pensato, non ho bisogno di dirlo. Non ho biso-gno di condividere il mio pensiero con qualcuno. Quasi tutti pensano che le cose non siano vere finché non sono sta-te dette, che sia la comunicazione non il pensiero a dare legittimità. È per questo che la gente vuole sempre che gli si dica

“ti amo e ti voglio bene”. Per me è il con-trario: i pensieri sono più veri quando vengono pensati, esprimerli li distorce o li diluisce, la cosa migliore è che re-stino nell’hangar buio della mente, nel suo clima controllato, perché l’aria e la luce possono alterarli come una pellicola esposta accidentalmente”. Una riflessio-ne illuminante chiude il racconto: “Ho solo diciotto anni. Come faccio a sapere cosa vorrò nella vita? Come faccio a sa-pere cosa mi servirà?”

Maria Francesca Siracusano

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Film per ragazzi n. 1 / 2015

Due giorni, una notte (Deux jours, une nuit)Regia: Jean-Pierre e Luc Dardenne Con: M. Cotillard, F. Rongione, P. Groyne, S. Caudry, C. Salée, B. Sornin, A. Eloy, M. Akeddiou, O. Gourmet, C. Cornil, F. Sciascia

Belgio, Italia, Francia, 2014

Durata: 95’, col.

Le associazioni di idee sono meno strane di quanto si possa credere. Nascono sem-pre da quello che si è letto, visto, pensa-to. Non sembri fuori luogo allora se Due giorni, una notte richiama l’Odissea e La parola ai giurati. Mondi lontani fino a un certo punto, fino a quando cioè non si scopre che la storia raccontata dai fra-telli Dardenne, pur essendo ambientata ai nostri giorni, è intrisa di classicità e rimanda a un altro film. Omero non narra solo le vicende di un eroe greco che fa ritorno in patria, ma anche gli ostacoli che tutti gli uomini devono superare per riconquistare la se-renità. E se Sidney Lumet aveva trasfor-mato in impresa titanica lo sforzo di un giurato per convincere gli altri undici a cambiare parere e a non condannare alla sedia elettrica un ragazzo ingiustamente accusato di avere ucciso il padre, i Dar-denne trovano in una fragile trentenne la naufraga che va alla ricerca di sostegno

È possibile riconquistare la propria dignità in Due giorni e una notteItalo SpadaComitato cinematografi co dei ragazzi, Roma

per ribaltare un giudizio già espresso. E così Sandra (una brava e commovente Marion Cotillard), lavoratrice in una pic-cola azienda che realizza pannelli solari, finisce con il richiamare alla mente mito e cronaca, Ulisse e il Giurato numero 8, l’eroe di un poema e il protagonista di un film del 1957. La sua Itaca è il posto di lavoro che le è stato tolto perché, dopo un periodo di depressione, non rende più come una volta. Da qui le accuse infondate e lo squalli-do aut-aut mascherato da scelta demo-cratica che la direzione pone agli altri lavoratori: condividere il licenziamento di Sandra e ottenere in busta paga un bonus di 1000 euro ciascuno, oppu-re opporsi e tenere ancora in azienda quell’anello debole che ostacola la cate-na di produzione. È venerdì. La maggioranza, per interessi personali o per paura, vota a favore del bonus e Sandra si ritrova sull’orlo della disperazione. Il lavoro modesto del marito non è suf-ficiente a mandare avanti la baracca e a mantenere due figli ancora piccoli. Una tenue speranza le arriva quando, grazie all’interessamento di un’amica, ottiene dal datore di lavoro la promessa di far ripetere dopo il week end la vota-zione a scrutinio segreto. Per convincere i colleghi a rinunciare a quella somma sulla quale molti avevano già fatto affi-damento, Sandra ha solo due giorni e una notte. Si procura gli indirizzi e, con l’incoraggiamento del marito, inizia il suo pellegrinaggio. Non implora, non chiede elemosina, piange di nascosto e in silenzio. È ben cosciente di combat-tere una guerra tra poveri e cerca solo solidarietà e comprensione. I Dardenne (e gli spettatori con loro) seguono la sua odissea con un misto di pietà e di curiosità. La macchina da presa la tallona sui mezzi pubblici, per le strade, nelle piazze, davanti ai citofoni, mentre risponde al cellulare; la inquadra spesso di spalle e in primo piano, registra le sue parole scarne, i suoi silenzi, i suoi gesti. La tragedia è sfiorata. Non si arriva al fi-nale felice, ma nemmeno alla catastrofe.

Esistono altre strade da poter percorrere e in due giorni e una notte Sandra ac-quista quello che più conta: la fiducia in se stessa. Non è cinema di distensione, ma di de-nuncia; è il cinema dei fratelli Dardenne, che si colloca nel filone inaugurato con il lavoro clandestino de La promesse (1996) e proseguito con lo splendido Rosetta (1999) che divenne simbolo per i disoc-cupati del Belgio e slogan nelle manife-stazioni contro il lavoro precario.Una sola sequenza che si ripete più vol-te, senza mai stancare, con un’altalena di speranze e delusioni, condividendo o cri-ticando le reazioni dei singoli (paura de-gli altri, egoismo, insicurezza, vergogna, solidarietà, avversione, rabbia), con por-te che si aprono e si chiudono, con la rara esplosione di gioia di una canzone can-tata a squarciagola all’interno di un’auto. L’idea – a sentire Jean-Pierre Dardenne

– è nata da una notizia di cronaca apparsa una decina di anni fa. Raccontava di una persona licenziata con il consenso dei colleghi da una squadra di lavoro della Peugeot perché la sua debolezza e le sue assenze non permet-tevano al gruppo di vincere i premi di produzione che invece venivano ottenuti dalle altre squadre. In seguito i due registi belgi hanno scoperto che non si trattava di un caso isolato e che altri lavoratori venivano li-cenziati da un giorno all’altro. In concorso a Cannes 2014, questo film arriva in Italia proprio mentre si discu-te se modificare e/o abolire l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ancora una volta, né mito, né film. Nuda e cruda re-altà dei giorni nostri. Non caso isolato, ma materiale a iosa per ribadire quello che, nel 1963, Angelo Solmi aveva det-to e cioè che spesso il cinema è “spec-chio del tempo”. Riflettere (nel senso di pensarci su e nel senso di guardare come siamo) non può che farci bene.

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n. 1 / 2015 Lettere a Quderni acp

Le cose, come le persone, hanno un ini-zio e una fine. L’ACP ha avuto un inizio, ha vissuto una vita molto intensa, ha pro-dotto cose inimmaginabili, ma a nostro avviso avrà anche una fine non lontana se le cose rimarranno così come sono.

Giorgio Tamburlini in un suo ultimo editoriale su Medico e Banbino ci invita a leggere il libro di Recalcati, Il complesso di Telemaco. Leggendo il libro, ci viene da pensare che l’ACP sia un po’ come Telemaco: ha avuto un grande padre , il prof. Franco Panizon, e tanti altri im-portanti “punti luce”, che hanno fatto nascere e crescere questa Associazione. Ora, col tramonto dei padri, l’ACP è co-me Telemaco: sta sulle rive di Itaca, ad aspettare la nave del padre Ulisse, ma non scorge nessuna nave, e vede la sua speranza svanire. Dobbiamo costruire un nuovo Ulisse, creare luce, dare spe-ranza a tutti quei giovani pediatri che dovranno essere il futuro dell’ACP. Ma come dare speranza, come creare valori, ideali? Il documento ACP “La salute dei bambini in Italia. Dove va la Pediatria?” (cfr pag. 44) non è un documento che dà speranza. Il documento è la descrizione fredda e formale di una rete sanitaria fatta di una moltitudine di maglie (territorio, ospe-dale, università, dipartimenti, pediatri di famiglia, servizi di continuità assisten-ziale, ambulatori pediatrici territoriali ecc.) e non si occupa di che cosa sono fatti i nodi, di quale cultura e di quale linguaggio attraversano i nodi e le ma-glie che costituiscono la rete. Chi è ACP è ACP non perché dell’ACP ha apprezzato quello che è scritto in que-

sto documento o in altri simili prodotti in questi anni, ma perché ha fatto pro-prio un certo modo di vedere la realtà, il bambino e la famiglia del bambino, per-ché ha imparato, grazie all’ACP, quali sono i veri bisogni di salute del bambino, perché ha imparato cosa e come pensa il bambino e il genitore del bambino, co-sa fare per dare un “senso” non solo alla professione di pediatra ma anche alla vita in generale, cosa fare concretamente per rendere migliore il presente e il futuro.

Ora il documento ci dice soltanto come deve essere costituita la rete, ma non ci dice come deve funzionare, cosa si deve fare per dare una vita ai nodi e per cre-are una comunicazione all’interno delle maglie. Dobbiamo occuparci dell’adolescente? Certamente! Ma che cultura c’è nei nodi, nei servizi di NPIA, nella scuola sull’a-dolescente? Cosa sa il pediatra dell’ado-lescente?

Con questo documento ci siamo in par-te contraddetti. Abbiamo sempre detto che i “percorsi alternativi extra ospeda-lieri” come gli ambulatori pediatrici h12

o h24 non servono perché sappiamo che aumentando l’offerta aumenta la doman-da per le “non-patologie”. Le nostre parole chiave sono sempre sta-te: formazione del pediatra, empower-ment, advocacy, autodeterminazione dell’utente, cioè cultura dell’utente. Sen-za cultura l’utente sarà sempre allo sban-do e non si troveranno mai soluzioni per arginare il fiume in piena degli accessi impropri negli studi medici e nei Pronto Soccorso degli ospedali e della medicina difensiva.

I giovani pediatri hanno bisogno di sa-pere come devono fare le diagnosi e le terapie, ma hanno bisogno anche di fare propri i valori fondamentali dell’uma-nità: il diritto a una buona qualità della vita, l’uguaglianza, la giustizia. Soprattutto qui, soprattutto adesso che, con l’aumentare delle disuguaglianze e della povertà, il medico deve più di pri-ma essere medico della propria comuni-tà, come diceva G. Maccacaro. Come creare cultura? Con i nostri stru-menti: congressi, corsi, riviste e soprat-tutto internet che, se usato bene, può servire a moltissimo.

E soprattutto con la cultura delle cultu-re, che è la cultura del confronto e dell’a-scolto. Forse oggi quello che manca tra noi è una discussione vera su questo nodo dei nodi, perché i padri muoiono e i fra-telli grandi se non si siedono intorno a un tavolo per discutere come fare andare avanti la baracca, chiudono la baracca. Questa lettera e il dibattito, che auspi-chiamo ne scaturirà, hanno esattamente questo scopo.

Quale futuro per l’ACP?di Angelo Spataro e Francesco Ciotti

Pubblichiamo questa

rifl essione proposta da due

soci storici ACP e invitiamo

i lettori a contribuire

al dibattito intorno al

futuro dell’Associazione

Culturale Pediatri

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“Nati per Leggere” (NpL) è nato uffi-cialmente nell’autunno del 1999 per le suggestioni che ci derivavano dai nostri contatti con ROR. In quell’anno di nascita avevamo di fron-te tre obiettivi ben definiti. 1) aumentare il numero delle famiglie

che leggevano libri con i loro bambini utilizzando possibilmente come stru-mento il regalo del libro;

2) misurare con una scheda ampiamente validata se questo obiettivo veniva ottenuto;

3) lavorare a un progetto non transitorio ben conoscendo i difetti delle cosid-dette “campagne” che nel passato si erano esaurite senza alcuna verifica.

Possiamo dire che i primi due obiettivi (aumentare il numero delle famiglie che leggono libri insieme ai bambini - mi-surare gli effetti delle azioni realizzate) sono stati raggiunti nei primi 7 anni di attività del progetto. Il numero delle famiglie che leggono è stato misurato in alcune sedi dopo 5 an-ni di attività. Si è registrato un aumento medio delle famiglie che leggono del 13%. Questo nonostante il regalo del libro fos-se stato realizzato solo in poche sedi per mancanza di donazioni, anche a crisi economica non ancora iniziata. Senza il regalo del libro gli strumenti usati erano stati quindi soltanto i consigli e il mate-riale informativo consegnato ai genitori. L’efficacia del progetto è quindi speri-mentalmente provata anche in Italia. Va però detto che al progetto occorre ga-rantire una continuità che, senza risorse, è problematica anche dove il progetto è stato avviato.

Il terzo obiettivo, la non transitorietà del progetto, siamo qui oggi a salutarla in una giornata che inizia parlando del passato, ma che vuole porre obiettivi per i prossimi anni.

Abbiamo cercato di comprendere meglio chi sono stati gli “attori” che hanno pro-dotto questi risultati.

In una indagine del 2012 sui dati del triennio 2008-2011 a NpL collaborava-no 700 pediatri, 1036 biblioteche, 352 educatori, 348 realtà associative, 326 li-brerie, gran parte dell’editoria ed esperti di letteratura per l’infanzia. L’indagine ha rilevato che i bambini coinvolti nel triennio sono stati 545.000 con 180.000 nuove adesioni per anno.La varietà delle professionalità coinvol-te è certo una ricchezza, ma pone anche problemi di integrazione.

Oggi possiamo dire che la scelta di affi-dare al Centro per la Salute del Bambino il punto d’incontro culturale e organiz-zativo fra le persone e le associazioni ha favorito in maniera decisiva questa inte-grazione.

Nei primi anni il “marchio”, il “brand” di NpL era fare entrare i libri nelle fami-glie. La lettura determinava una crescita della literacy dei bambini, ma anche dei genitori, con effetti sul successo scola-stico e la possibile interruzione del ciclo della povertà, come ipotizzava Bob Ne-edelman, suscitando il nostro interesse, nel primo articolo che abbiamo letto nel 1991. La platea degli effetti dimostrati si è ampliata già negli anni immediata-mente successivi.

Dati dei primissimi anni 2000 provava-no che in famiglie povere con bambini di lingua ispanica il programma ROR otteneva un aumento dei punteggi per il linguaggio recettivo ed espressivo: era la

chiave per agire sul successo scolastico. Su questo tema arrivarono successiva-mente molte conferme negli USA, ma anche in Italia con la ricerca dei pediatri ACP condotta ad Asolo.

La platea degli effetti della lettura si am-pliò ancora negli anni seguenti: molte ricerche sugli effetti a lungo termine di una buona literacy dimostrarono modifi-cazioni dei comportamenti adolescenziali aggressivi e sull’uso di sostanze. Una ec-cellente rassegna sistematica sull’argo-mento è quella del 2009 di Perri Klass che ci ha assistititi in questi 15 anni con un affetto di cui le siamo sempre più grati. Daniela del Boca, in Italia, ha prodotto un’interessante documentazione degli effetti a distanza della frequenza degli asili nido non solo sul successo scolastico, ma anche sulla qualità del lavoro in età giovanile.

Nella seconda metà degli anni 2000 le neuroscienze ci hanno dato strumenti per comprendere al meglio il meccani-smo di azione di ciò che stavamo facendo.La conoscenza del funzionamento dei neuroni specchio ci fece comprendere il meccanismo del nostro consiglio ai geni-tori di farsi vedere leggere e manipolare i libri dimostrando piacere.Il reciproco copiarsi che sta nei neuroni specchio è uno strumento fondamentale per la risonanza fra adulti e bambini.

Nel 2005 il “National Institute of Child Health” pubblicò il volume Child Care and Child Development. Fu l’inizio del grande capitolo dell’Early Child Deve-lopment. Si correggeva l’antico concetto della immodificabilità delle tappe gene-ticamente prefissate nello sviluppo e si affermava il concetto dell’ambiente con-tagioso e della partecipazione dell’am-biente e dello stesso bambino dei primi anni al suo stesso sviluppo. Il contagio ambientale si sostanzia negli

“interventi precoci” dei primi 1000 gior-ni sui quali abbiamo fondato gran parte della nostra informazione.

I 15 anni di “Nati per Leggere”Giancarlo BiasiniDirettore editoriale

n. 1 / 2015Nati per Leggere

Pubblichiamo

l’introduzione di Giancarlo

Biasini al Convegno che si è

tenuto il 15 dicembre 2014

alla Biblioteca Nazionale

di Roma per ricordare la

ricorrenza dei 15 anni della

nascita di Nati per Leggere.

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La Newsletter “Fin da piccoli” nata nel 2008 è stata lo strumento più impegnato nella diffusione delle conoscenze sugli interventi precoci. Vuole rivolgersi agli operatori del settore, ma anche (e vorrei dire soprattutto) ai pubblici amministra-tori, perché queste nozioni hanno avuto riflessi nelle deliberazioni delle istituzio-ni internazionali, ma quasi nulle in quel-le nazionali. Nel 2007 è uscito il Rapporto della Commissione sui determinanti sociali della salute con incorporato lo stato della ricerca sull’ECD in poche righe. Scriveva la Commissione “Ogni compo-nente dello sviluppo del bambino dipen-de dalla natura dell’ambiente. Il primo ambiente di vita ha un impatto vitale sullo sviluppo del cervello: più stimo-li incontra più connessioni si formano, meglio il bambino si sviluppa in ogni aspetto della vita”. Appena un mese fa è uscito il Documen-to programmatico della Regione europea dell’OMS per il 2015-2020. Vi si legge che “il comportamento, la cultura che circonda il bambino nei primi tempi del-la vita hanno effetti che si prolungano nella vita adulta. Il sostegno in questo periodo è cruciale ed è un diritto del bambino”.

Vale la pena ripetere che il sostegno di cui si parla per i primi 3 anni è un am-biente ricco di risorse.In famiglia parole, letture, gesti, sorrisi, suoni, rapporti corporei e sguardo/sguardo. Nella società aiuto alle famiglie con buo-na scuola, asili nido, rete di biblioteche. Nel SSN aiuto alle famiglie con buone nascite e buone presenze successive.

In NpL si sostanzia buona parte degli interventi precoci perché la lettura con-divisa è fra i più ricchi di “stimoli”: la

voce e le parole, il rapporto corporeo, i rilanci conversazionali, l’osservazione congiunta del libro e quindi il rapporto sguardo/sguardo e il rapporto con l’am-biente sonoro, di cui si occupa il pro-getto “Nati per la Musica” (NpM) nato come filiazione di NpL. E qui va ricordato come il termine “sti-moli” non dia il senso della reciprocità del rapporto fra ambiente e bambino.

In questi ultimi anni sta emergendo una grande attenzione al periodo pre-natale, cioè agli ultimi mesi della gravi-danza e alla importanza della relazione fra il bambino e l’ambiente esterno in questo periodo della sua vita. Gli stu-di sulla voce materna, uno è in cantiere anche in Italia, stanno dando risultati di grande fascino. Contemporaneamente alle neuroscien-ze l’economia, sempre nella seconda

metà degli anni 2000, ci ha confermato il valore economico di ciò che facciamo.Il premio Nobel per l’economia James Heckmann ha confermato il vantaggio-so ritorno del capitale investito nei vari tempi della vita scoprendo i maggiori vantaggi degli investimenti nel periodo prescolare e ancor più in quello prenatale.

Nei 15 anni di vita di NpL la ricerca ha dato, in molti campi, un aiuto impressio-nante al progetto. E ne ha dimostrato la straordinaria intuizione. Continuerà a darne altri e capiremo sem-pre di più il bellissimo lavoro che stiamo facendo e che consegniamo a coloro che in NpL sono venuti dopo di noi.

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Nati per Leggeren. 1 / 2015

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Info n. 1 / 2015

Info: notizie sulla saluteRubrica a cura di Sergio Conti Nibali

È nata la CIANB, Coalizione italiana per l’Alimentazione dei Neonati e dei Bambini

Sono dieci le associazioni impegnate nel-la tutela del bambino e nella promozione di una sana alimentazione che hanno fondato la CIANB e hanno condiviso il Manifesto della Coalizione. L’obietti-vo è promuovere l’allattamento materno come prima scelta alimentare e la prose-cuzione con un’alimentazione sana come diritto fisiologico di ogni bambino venu-to al mondo. L’impegno della CIANB è anche diretto alle mamme perché hanno il diritto di essere sostenute nella realizzazione del loro desiderio di allattare nel rispetto delle diverse culture e nell’impegno a colmare ogni tipo di disuguaglianza. Per promuovere questi semplici ma ne-cessari diritti è doveroso impegnarsi per la trasparenza della comunicazione com-merciale del mercato del baby food e in generale dalla cattiva informazione su tutto ciò che riguarda l’alimentazione in età neonatale e pediatrica. La coalizione vuole essere un punto di riferimento per tutti i cittadini e le istituzioni che voglia-no impegnarsi, essere informati e sem-plicemente interessarsi a ciò che significa per un bambino alimentarsi in modo adeguato e fisiologico. La CIANB non vuole fornire ricette, ma dare ai genitori e agli operatori un luogo di confronto in più sul tema dell’alimentazione e della difesa dalle aggressioni commerciali da parte dell’industria. Le mamme sono quotidianamente bom-bardate dalla comunicazione dell’in-dustria del baby food, spesso foriera di messaggi contraddittori e ingannevoli. Solo per fare un esempio, da numerose e continue segnalazioni da parte di cit-tadini e operatori sanitari risulta che in molti ospedali e cliniche le mamme alla dimissione dal punto nascita ricevono un cartellino, o un foglio allegato al car-tellino, con l’indicazione scritta di una marca specifica di una formula artificiale,

anche nel caso in cui non vi sia indicata nessuna motivazione al suo utilizzo per quel bambino. Per questo la CIANB ha già inviato una lettera alla Conferenza Stato-Regioni per informare della si-tuazione e chiedere un cambiamento – possibile e a costo zero – per il Sistema Sanitario Nazionale. La CIANB chiede ai decisori politici di applicare con rigore quanto prescrit-to dalla normativa e di andare oltre. Per informazioni e per aderire come singoli o associazione al Manifesto della CIANB:http://www.cianb.it/

Premio Carver 2014 per la Saggistica a “Conversazione sulla famiglia” di Francesco Ciotti

Il Premio letterario nazionale “Raymond Carver” per le opere edite di saggistica, narrativa e poesia, nato nel 2003, ha l’unica regola dichiarata di premiare i libri più belli senza guardare il nome dell’Autore o il marchio editoriale. I giurati, scelti dal direttore della Rivista Prospektiva, non vengono resi noti, né il premio ha sponsor o patrocinanti, per evitare condizionamenti di sorta.

“Conversazione sulla famiglia”, già recen-sito su Quaderni acp, ha ricevuto il primo premio nella sezione Saggistica per l’i-dea originale, per lo stile e per l’attualità e la profondità del tema trattato. Com-plimenti!

Raccomandazioni per i latti artificiali

L’EFSA (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare) ha recentemente pubblica-to un documento in cui aggiorna le sue raccomandazioni sulla composizione dei latti artificiali di partenza e di prosegui-mento (indicati rispettivamente con le sigle IF e FOF).

“Non c’è bisogno di aggiungere alla for-mula per lattanti e di proseguimento acido arachidonico, acido eicosapentae-

noico, oligosaccaridi non assimilabili (i cosiddetti prebiotici, ndt), probiotici o simbiotici, cromo, fluoro, taurina e nu-cleotidi” e ancora “Per i latti di prosegui-mento, al contrario che per quelli iniziali, non è necessario aggiungere I-carnitina, inositolo e colina”. Il Codice dell’OMS vieta ormai dal 2005 l’uso di claim nutrizionali o di salute usati per promuovere l’alimentazione artificia-le; del resto da anni andiamo dicendo che se si dimostra che un ingrediente aggiun-to al latte artificiale è benefico o necessa-rio dovrebbe essere reso obbligatorio per tutti i prodotti presenti sul mercato e non usato per aumentare le vendite. In questo caso, l’EFSA conferma che non esistono studi scientifici sufficienti per avvalora-re le aggiunte di probiotici, prebiotici e altre sostanze al latte artificiale, eppure non solo queste sostanze vengono ancora oggi aggiunte, ma si fanno pagare di più questi prodotti e si presentano come più salutari o simili al latte materno, ingan-nando così i genitori. L’EFSA afferma anche che non ritiene utile offrire indicazioni per la formu-lazione di latti artificiali da usare dopo l’anno di vita del bambino (si è difatti già pronunciata più volte circa l’inuti-lità dei latti di crescita) e che sicurezza e appropriatezza di ogni specifico latte iniziale e di proseguimento contenenti proteine idrolizzate dovrebbero essere stabilite tramite una valutazione clinica effettuata sulla popolazione-bersaglio precedentemente al loro uso – frase che evidentemente mette il consumatore nel-la posizione di ritenere che attualmente si mettano in commercio prodotti conte-nenti sostanze ancora non ben sperimen-tate e provate, usando quindi i lattanti come cavie inconsapevoli. Sempre nello stesso documento si fissano le dosi di macro e micro nutrienti, e in particolare gli esperti dell’EFSA dimi-nuiscono la quantità massima di proteine consentite nella formula di partenza e di proseguimento. Questo non cambierà granché nella sostanza; infatti i produt-tori di formule sono da tempo orienta-ti per rimanere vicini ai limiti minimi

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n. 1 / 2015 Info

indicati per le proteine, onde limitare almeno in parte l’eccesso proteico a cui sono necessariamente esposti i lattanti alimentati artificialmente e che potreb-be favorire l’insorgenza di obesità negli anni successivi.

Fonte Ibfan Italia

Come va il nostro SSN?

Il 17° Rapporto Pit Salute prodotto dal Tribunale del Malato/Cittadinanzattiva* dipinge un quadro a tinte cupissime del-la sanità italiana. Liste di attesa lunghis-sime, costi in crescita a causa di ticket che si fanno sempre più salati, salute a rischio per quanti non possono permet-tersi di aspettare o di pagare di tasca propria per assicurarsi le cure in tempi più celeri, ricorrendo alla sanità privata. Eppure nella classifica dei Paesi con il sistema sanitario più efficiente, l’agenzia americana di notizie finanziarie Bloom-berg ha assegnato all’Italia il terzo posto, alle spalle di Singapore e Hong Kong, e davanti a Giappone, Corea del Sud e Au-stralia. La Francia è ottava, la Norvegia undicesima, la Svizzera quindicesima, la Germania ventitreesima, mentre gli Sta-ti Uniti si piazzano al 44° posto. Chiude la classifica, alla posizione 51, la Russia. La classifica di Bloomberg si basa sui Paesi con una popolazione di almeno 5 milioni di persone, un PIL pro capite su-periore a 5000 dollari e un’aspettativa di vita minima di 70 anni. La classifica tiene conto di diversi fatto-ri, tra cui l’aspettativa di vita, appunto, il costo delle cure sanitarie in percentua-le del prodotto interno lordo e le spese mediche totali pro capite. E in un’altra classifica stilata sempre da Bloomberg nel 2012, sui Paesi con la popolazione più sana del mondo, Singapore si era piazzata al primo posto, e l’Italia anche allora era sul podio, essendo arrivata ad-dirittura seconda. Forse proprio a questo dobbiamo un piazzamento tanto alto anche nella hit parade dell’efficienza del servizio sanitario: siamo terzi per aspet-tativa di vita con 82,9 anni (parametro che pesa per ben il 60% sul punteggio finale), pur avendo diminuito del 9,2% i costi sanitari pro capite rispetto al 2013. Del resto anche il PIL pro capite in un anno è crollato dell’8,6%. La spesa sa-

*www.esanitanews.it/?tag= 17-rapporto-pit-salute

nitaria in proporzione al PIL ci colloca a metà classifica con il nostro 9%, che è il doppio rispetto a quello di Singapore. In pratica, pur spendendo meno per curarci, restiamo tra i popoli più longevi al mon-do: infatti siamo passati dal 6° posto del-lo scorso anno al 3° di oggi. Il sospetto è che, più che alla sanità, dobbiamo dire grazie al nostro stile di vita e in partico-lare alla dieta mediterranea, che svolge ancora la sua funzione protettiva dall’o-besità e dalle malattie ad essa collegate: dal diabete ai disturbi cardiaci, a molti tipi di tumore. Negli Stati Uniti, che si collocano al 44° posto, in salita rispetto al 46° dello scor-so anno, l’aspettativa di vita arriva a 78,7 anni ed è il Paese con i costi sanitari più alti dei 51 considerati.

Taglio cesareo: proporzione su parti primari

La proporzione di parti effettuati con taglio cesareo è uno degli indicatori di qualità più frequentemente usato a livel-lo internazionale per verificare la qualità di un sistema sanitario. Questo perché il ricorso inferiore al cesareo risulta sempre associato a una pratica clinica più appro-priata, mentre diversi studi suggeriscono che una parte dei tagli cesarei è eseguita per “ragioni non mediche”. Eppure il numero dei parti con taglio ce-sareo è andato progressivamente aumen-tando in molti Paesi. In Italia, in particolare, si è passati da circa il 10% all’inizio degli anni Ottanta al 37,5% nel 2004, la percentuale più alta d’Europa, che in media si assesta a una quota inferiore al 25%. L’indicatore viene calcolato come pro-porzione di parti con taglio cesareo pri-mario (primo parto con taglio cesareo di una donna), essendo altissima la proba-bilità (superiore al 95%) per le donne con pregresso cesareo di partorire di nuovo con questa procedura. La proporzione di parti cesarei primari è passata dal 29% del 2008 al 26% del 2013, con grandi differenze tra e intra regioni. A fronte di un valore nazionale medio del 26%, si osserva una notevole variabilità intra e interregionale con va-lori per struttura ospedaliera che variano da un minimo del 4% a un massimo del 93%. Mentre nel 2008 tutte le regioni del sud avevano valori di media e media-na superiori ai valori nazionali, nel 2013 Basilicata, Calabria e Sicilia si avvicina-

no al valore medio nazionale, seppur con grande eterogeneità interna. Rimangono ancora molto evidenti le differenze tra le regioni del Nord Italia con valori intor-no al 20% e le regioni del Sud con valo-ri prossimi al 40% e che, nel caso della Campania, arrivano al 50%. La Liguria e la Valle d’Aosta sono le uniche regioni del Nord ad avere valo-ri superiori a quelli nazionali. Anche la distribuzione geografica per provincia/ASL mostra un’elevata eterogeneità intra e interregionale. Nel confronto tra ASL e struttura si usa la proporzione di cesarei primari aggiu-stata per fattori di rischio; infatti, essendo il cesareo indicato in alcune condizioni di rischio, il confronto tra strutture va fatto a parità di queste condizioni. L’esito più favorevole l’ha registrato l’Ospedale di Carate-Carate Brianza (Monza) che a fronte di 1629 interventi valutati ha registrato un esito del 5,16%. La CCA Villa Cinzia di Napoli, invece, con 92,7% di cesarei primari ha registra-to l’esito più sfavorevole.

Dal 2015 il BMJ cambia le regole

“Dal prossimo anno (2015) i nostri arti-coli educativi clinici saranno scritti da esperti, senza legami finanziari con l’in-dustria. Per industria intendiamo azien-de produttrici di farmaci, dispositivi o test, società che si occupano di forma-zione medica o altre società che hanno un interesse per il tema dell’articolo.” Un bel passo in avanti nel tentativo di offrire ai lettori delle informazioni quan-to più slegate da interessi commerciali. Qualcuno potrebbe dire “speriamo che li trovino questi esperti, non sarà una ri-cerca facile!”; anche al BMJ qualcuno si è posto questo problema; e infatti scrivo-no: “Ci sono abbastanza esperti liberi da legami con le industrie per soddisfare le esigenze di una rivista medica a tiratura settimanale? In alcuni settori, ad esempio, quelli lega-ti ai problemi dell’obesità, alla genetica e alla reumatologia potremmo avere diffi-coltà a reclutare Autori che non abbiano legami finanziari con l’industria”. Tuttavia a noi sembra che la decisione del BMJ sia un grande passo avanti per la qualità dell’informazione scientifica. Un ultimo dubbio: salteranno fuori tanti prestanome?

www.bmj.com/content/349/bmj.g7197

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Premessa

La crescente complessità sociale, il cambiamento dell’epidemiologia delle malattie con l’aumento delle patologie croniche e delle condizioni di disabilità e di disagio psichico, la progressiva ridu-zione del numero di pediatri e la difficile congiuntura economica candidano il no-stro Paese, in un futuro molto vicino, a una situazione critica sia della salute dei bambini che dell’assistenza pediatrica. Sono necessarie pertanto nuove politiche e nuove forme organizzative assistenziali che siano in grado di affrontare i pro-blemi in maniera più efficace, nell’ottica di una medicina centrata sul bambino e

sulla famiglia, con una maggiore unifor-mità su tutto il territorio nazionale, per-ché non è accettabile una sanità a diverse velocità nelle varie Regioni d’Italia.Pur nel rispetto del Regionalismo e del Federalismo va ricordato che tutti i bam-bini senza alcuna discriminazione hanno diritto all’accesso a cure di uguale livello. Il punto di riferimento resta il concetto di un SSN universalistico che va difeso innovando laddove necessario per mi-gliorare la qualità dei percorsi assisten-ziali, per migliorare la prevenzione e per “fare meglio con meno”, come l’ACP sostiene da molto tempo essere possibile, ponendo attenzione ad allocare le risorse

sulla base delle esigenze e delle evidenze scientifiche. L’ACP decide di proporre al Governo nazionale e ai Governi regio-nali i temi essenziali di un nuovo proget-to obiettivo materno-infantile (l’ultimo è stato approvato ormai più di 10 anni fa) e alcuni spunti per un piano nazionale per l’infanzia, come sollecitato da molte organizzazioni e dallo stesso Rapporto alle NU sull’attuazione in Italia della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (ONU, 1989). Al centro si devono porre da una parte i nuovi bisogni, i nuovi bisogni “di bam-bini e adolescenti” e delle loro famiglie, in particolare di quanti vivono in condi-zioni di rischio sociale o psicosociale e sono affetti da disabilità o malattie cro-niche, e dall’altra le nuove evidenze che indicano l’importanza di investire nei primi anni di vita. Il progetto obiettivo è stato stilato seguendo le varie fasi della vita del bambino partendo dalla salute preconcezionale, non dai servizi, e met-tendo in evidenza che, se anche la stra-grande maggioranza dei bambini italiani gode di ottima salute, nel nostro Paese nascono, affetti da difetti congeniti o da prematurità, circa 90.000 bambini che necessitano di un’adeguata assistenza sociosanitaria. Un SSN costruito sui bi-sogni sarà in grado di dare risposte ade-guate ed efficienti alla popolazione.

1. Definire e attuare un programma nazionale di prevenzione e promozione della salute pre e periconcezionale

Razionale

Ogni anno nascono in Italia circa 55.000 bambini affetti da difetti congeniti e circa 35.000 bambini affetti da prema-turità. Questi due problemi e le loro conseguenze rappresentano il carico più

Documenti

La salute dei bambini in Italia. Dove va la pediatria?

I pediatri sanno bene, che la crescente complessità sociale, l’aumento delle patologie croniche e delle condizioni di disabilità e di disagio psichico, e d’altro canto la progressiva riduzione del numero di pediatri stessi e la difficile congiuntura economica candidano il nostro Paese, in un futuro molto vicino, a una situazione critica sia della salute dei bambini che dell’assistenza pediatrica. Per questo ACP ritiene che siano necessarie nuove politiche e nuove forme organizzative assistenziali, in grado di affrontare i problemi in maniera più efficace, nell’ottica di una medicina centrata sul bambino e sulla famiglia, con una maggiore uniformità su tutto il territorio nazionale, perché non è accettabile una sanità a diverse velocità nelle varie Regioni d’Italia, come purtroppo si verifica adesso.La nostra proposta è stata stilata seguendo le varie fasi della vita del bambino, partendo dalla salute preconcezionale e non dai servizi con la certezza che un SSN tarato sui bisogni sarà in grado di dare risposte adeguate ed efficienti alla popolazione.Siamo convinti che il SSN universalistico va difeso, innovando laddove necessario per migliorare la qualità dei percorsi assistenziali, migliorare la prevenzione, ponendo attenzione ad allocare le risorse sulla base delle esigenze e delle evidenze scientifiche.Crediamo che in questo momento l’Italia sia pronta per rapidi e drastici cambiamenti e vogliamo offrire il nostro contributo di operatori della sanità.

Paolo Siani

Il documento è stato elaborato da: Giancarlo Biasini, Antonella Brunelli, Giuseppe Cirillo (Direttivo ACP), Carlo Corchia, Daniele De Brasi, Franco Mazzini, Gherardo Rap-isardi (Direttivo ACP), Giorgio Tamburlini, Paolo Siani (Presidente ACP). Il percorso che ha portato alla stesura finale del documento è stato coadiuvato dal Direttivo Nazionale ACP: Carla Berardi, Augusto Biasini, Aurelio Nova, Manuela Orrù, Naire Sansotta, Maria Luisa Zuccolo.Il documento può essere consultato sul sito: www.acp.it.

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Documentin. 1 / 2015

importante di patologia e di perdita di salute in età pediatrica e aumentano la probabilità di patologie croniche nell’età adulta; sono favoriti da fattori di rischio presenti già in epoca preconcezionale, molti dei quali sono modificabili attra-verso interventi di prevenzione primaria rivolti alla promozione della salute an-che riproduttiva della donna, dell’uomo e della coppia. Una migliore salute riproduttiva, della donna, dell’uomo e della coppia, è la base dell’assistenza e delle cure in gra-vidanza, nel periodo perinatale, dopo la nascita e in età evolutiva.

Azioni raccomandate

Gli interventi utili per promuovere la salute riproduttiva sono raggruppabili in quattro aree principali:a) promozione della salute della donna e della coppia in generale e protezione dal rischio di un esito avverso in una even-tuale futura attività riproduttiva;b) identificazione e trattamento di con-dizioni di salute della donna e della coppia che aumentano il rischio di un esito avverso della riproduzione;c) aiuto alla donna o alla coppia che programma o non esclude la possibilità di una gravidanza;d) identificazione dei rischi di natu-ra genetica, informazioni alla coppia e aiuto a prendere decisioni libere e responsabili. I contenuti tecnici di ta-li interventi possono essere reperiti in: www.primadellagravidanza.it, www.pensiamociprima.net.I servizi responsabili di tali interventi sono da individuarsi in:• Medicina e pediatria di famiglia• Consultori familiari• Distretti e Ospedali

Risultati principali attesi

• Riduzione dei problemi in gravidan-za (es. gravidanze ectopiche, placenta previa, diabete gestazionale, aborto, natimortalità, pre-eclampsia, rottura prematura delle membrane, distacco di placenta).

• Riduzione di molte malformazioni congenite (in particolare difetti del tu-bo neurale e cardiopatie congenite).

• Riduzione dei difetti congeniti fun-zionali (es. disabilità neuro-motorie e sensoriali, malattie endocrino-meta-boliche).

• Riduzione dei problemi di crescita e sviluppo (in particolare della limita-zione di crescita in utero – “restrizione di crescita intrauterina”, IUGR).

• Riduzione della prematurità e della nascita a termine precoce (cioè quella tra 37 e 38 settimane).

2. Piena attuazione di Linee guida e raccomandazioni su nascita e post partum

Razionale

L’assistenza alla nascita e ai primi gior-ni di vita in Italia ha oggi una bassa mortalità perinatale e neonatale accan-to però a un elevatissimo tasso di tagli cesarei (TC) (37,8%, nel 2011), alti tassi di mortalità e di grave morbilità mater-na (11,8/100.000 nati vivi e 2 per 1000 nati vivi rispettivamente e che in seguito a taglio cesareo aumentano rispettiva-mente di 3-5 volte e di 7 volte), eccessivo numero di punti nascita con dispersione di risorse umane, aumento dei costi e peggioramento della qualità assistenzia-le, notevole disomogeneità della qualità delle cure sul territorio nazionale e an-cora diffusa pratica della separazione del neonato dalla madre. Esistono raccomandazioni nazionali e internazionali riguardo a:• non separazione del neonato dalla ma-

dre fin dalla nascita (pelle a pelle e ro-oming-in h24);

• promozione dell’allattamento al seno;• contenimento dei TC con informazio-

ne attiva su rischi ed effetti collaterali;• analgesia in travaglio;• dimissione che privilegi la continuità,

personalizzazione, qualità e accessibi-lità dell’assistenza;

• assistenza centrata sul bambino e sulla famiglia (Patient and Family Centered Care), a tutti i livelli sia ospedalieri (punti nascita e TIN) sia territoriali;

• possibilità della donazione eterologa del sangue feto-placentare;

• riconoscimento del diritto al segreto del parto.

Su tali aspetti pongono l’accento anche le recenti “Linee di indirizzo per la pro-mozione e il miglioramento della quali-tà, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percor-so nascita e per la riduzione del taglio

cesareo” del Piano Nazionale Sanitario 2010-2012 e l’Accordo Stato-Regioni del 16-12-2010 e gli “Standard per la valutazione dei Punti Nascita”, realizza-ti con finanziamenti dell’Age.na.s e alla cui stesura hanno partecipato molte delle Società e Associazioni professionali dei ginecologi, delle ostetriche, dei pediatri e degli infermieri.

Azioni raccomandate

Promuovere e sostenere con offerta attiva:1) Per l’assistenza del nuovo nato:• piena attuazione delle raccomandazio-

ni nazionali e internazionali sopra el-encate;

• continuità e personalizzazione dell’as-sistenza, con informazione attiva e scelta della madre.

2) Per la dimissione (vedi anche punto 3): • una durata non prefissata della degen-

za ospedaliera da adattare alle esigenze mediche e sociali di madre e neonato;

• la possibilità sia di una dimissione precoce su richiesta e in condizioni di verificata presenza dei criteri di sicu-rezza, sia di una degenza prolungata per motivi di carattere medico e/o psi-co-sociale;

• la possibilità di iscrizione al pediatra di famiglia (pdf) in ospedale e prima visita entro 5-7 giorni in accordo con l’ospedale e i tempi della dimissione;

• offerta attiva, già prima della dimissio-ne, della successiva assistenza ostetrica e pediatrica territoriale assicurando continuità e personalizzazione dell’as-sistenza;

• procedure di successivo accesso facili-tato per accertamenti diagnostici e per consulenze specialistiche.

3) In tutte le fasi: la cultura e le modali-tà dell’assistenza centrata sul paziente e la famiglia (Patient and Family Centered Care).

Servizi responsabili

Ostetricia e neonatologia ospedaliera, pediatria di famiglia, consultori familia-ri, distretti.

Risultati attesi

• Riduzione punti nascita con <1000 par-ti/anno, miglioramento del trasposto

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n. 1 / 2015Documenti

assistito materno, STAM, e di quello neonatale d’urgenza, STEN, dell’ac-creditamento istituzionale, del collega-mento ospedale-territorio.

• Riduzione dei tagli cesarei con riduzio-ne della morbilità e mortalità materne.

• Pratica del rooming-in h24 in tutti i punti nascita e miglioramento dei tassi di allattamento al seno esclusivo alla dimissione.

• Aumento delle TIN aperte h24 ai genitori con loro accoglienza e coin-volgimento attivo nell’assistenza, con conseguente riduzione dei tempi di ricovero e miglioramento della qualità globale delle cure.

3.Supportare il bambino e la famiglia nei primi tre anni di vita con un insieme integrato di servizi

La situazione economica fa sì che si ren-dano ancora più evidenti diseguaglianze sia nei determinanti socio-ambientali sia nell’accesso ai servizi, nei compor-tamenti di salute, negli esiti (morbilità e mortalità). Per quanto riguarda le disu-guaglianze nell’accesso ai servizi sanitari e gli esiti, possono rappresentare antidoti efficaci l’offerta attiva, l’attenzione al re-cupero dei non responders e in generale politiche sanitarie attive territoriali di ti-po comunitario. Maggiori priorità devo-no essere date agli investimenti precoci nel ciclo di sviluppo (per esempio fino a 3 anni) e ai programmi con prova di efficacia di aiuto e sostegno precoci ai genitori con un intervento modulato in base al rischio. I principali obiettivi di tali programmi sono il sostegno al ruolo genitoriale, la valorizzazione della rela-zione madre-bambino, lo sviluppo delle responsabilità familiari, la promozione della salute globale del minore e della famiglia fin dalla nascita fornendo cono-scenze, facilitando l’emergere dei saperi innati, affiancandosi ai genitori, e soste-nendoli dove maggiore è il bisogno, nel promuovere le condizioni ottimali per la crescita e lo sviluppo del bambino.

Azioni raccomandate

• Procedure di accoglienza e dimissione sociosanitaria protetta alla nascita:

1) conoscenza dei nati del proprio terri-torio e delle condizioni di rischio sociale e sanitario;2) costituzione di reti tra operatori e ser-vizi territoriali;3) accoglienza di tutti i nati sul territo-rio entro 1 massimo 2 settimane dalla nascita;4) sostegno/accompagnamento, con pro-getti personalizzati condivisi per le fa-miglie a rischio con bambini 0-3 anni, anche attraverso azioni tutoriali da parte di personale educativo del tipo “assisten-te familiare”, home visiting e costituzione di équipe territoriali multiprofessionali distrettuali;5) azioni di tipo comunitario per l’em-powerment delle famiglie di contrasto all’esclusione sociale e identificazione di una hub territoriale (consultorio, asilo nido, …);6) formulazione di piani di azioni tra-sversali alle politiche sociali-sanitarie-e-ducative-ambientali.• Programma di sostegno precoce ai

neonati e loro famiglie come modello clinico-organizzativo di riferimento.

• Programma decennale nazionale per la apertura di asili nido pubblici o priva-ti nelle regioni del Centro Sud; grad-uale innalzamento dei finanziamenti del 5% per anno; recupero della Legge n 1044 del 6 Dicembre 1971 (Piano Quinquennale per l’Istituzione di Asi-li Nido comunali con il concorso dello stato).

• Controlli di qualità negli asili nido.• Programmi di orientamento alla let-

tura e alla musica (sul tipo di Nati per Leggere e Nati per la Musica) nel peri-odo prescolare.

• Promozione di politiche che con-sentano ai genitori maggiore tempo da trascorrere con i loro figli nei primi an-ni di vita (congedi parentali).

Servizi responsabili

• Governo nazionale • Governi regionali• Amministrazioni comunali• Aziende Sanitarie locali

Risultati attesi

• Riduzione delle diseguaglianze.• Miglioramento delle prospettive di

sviluppo e di vita per i bambini ap-partenenti a famiglie in condizioni di svantaggio socioeconomico e culturale.

• Graduale avvicinamento ai valori della Conferenza di Lisbona (33% della po-polazione 0-3 anni che frequenta strut-ture socio-educative per l’infanzia).

4. Garantire ai bambini con bisogni speciali cure di buon livello con percorsi integrati, uso di nuove tecnologie e definizione di responsabilità nella continuità delle cure

Razionale

L’area dei bisogni speciali comprende le disabilità sia congenite sia acquisite e le malattie croniche. È l’area che, insieme alla prevenzione e alla promozione della salute sul singolo e sulla comunità, alla gestione delle urgenze ed emergenze e al disagio psichico, rappresenta uno dei quattro percorsi su cui si deve struttura-re l’intervento di salute in età pediatrica e adolescenziale. Nessuna situazione ad alta complessità socio-sanitaria è affron-tabile con semplice erogazione di presta-zioni o con interventi isolati sia dal punto di vista temporale che professionale. L’assistenza ai bambini con malattie cro-niche e alle loro famiglie va fatta con una presa in carico da parte di figure di di-versa professionalità (medici ospedalieri e territoriali, infermieri, psicologi, riabi-litatori), di diversa formazione (sanitaria, sociale), di diversi servizi (presidi sani-tari, supporti legali, educativi ecc.), per garantire la continuità delle cure sia nella fase di stabilità che in quella di acuzie, sia nella vita domestica che in quella sco-lastica, sia nelle prime fasi della vita che in quelle dell’adolescenza.

Azioni raccomandate

a) Concordare modelli di integrazione fra servizi e professionisti del territorio, fra territorio e ospedale ma anche interistitu-zionale fra aziende sanitarie ed enti locali.b) Le tre macroaree Ospedale, Territorio e Servizi Sociali devono definire le diver-se modalità di gestione:1) della promozione della salute e della prevenzione con i bilanci di salute e il monitoraggio;

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n. 1 / 2015 Documenti

colleghi di area medica e infermieristica;h) il lavoro in stretta sinergia con il personale infermieristico pediatrico per consentire al pediatra di seguire un maggior numero di bambini, di assistere adeguatamente gli adolescenti, di coor-dinare con efficacia l’assistenza ai bambi-ni con alta complessità assistenziale;i) l’integrazione con i colleghi pediatri del gruppo dalle ore 8.00 alle ore 20.00, e con i medici di continuità assistenzia-le nelle ore notturne e nei giorni prefe-stivi e festivi, per la gestione dell’acuto ordinario e delle urgenze, essendo il 118 deputato alla gestione delle emergenze, anche attraverso la integrazione delle piattaforme informatiche.

Contenuti tecnici

Tutto ciò mira a realizzare un modello con una diversa organizzazione dell’as-sistenza pediatrica ospedaliera e territo-riale che preveda: 1) L’esistenza, oltre che di moduli di terapia intensiva neonatale (TIN), di terapia intensiva pediatrica (TIP) e se-mintensiva pediatrica (TsIP), di ambiti di cura per i bambini cronici e per l’a-dolescente, di attività ambulatoriale e consulenziale specialistica di 3° livello. Un accenno specifico va fatto per i ri-coveri dell’adolescente, sia con malattia cronica sia con disagio psichico, che devono trovare uno spazio adegua-to all’interno dei reparti di pediatria, tranne situazioni che in accordo con lo psichiatra necessitano di ambienti quali l’SPDC, generalmente inidoneo ad ac-cogliere un adolescente.2) Unità Complesse di Cure Primarie secondo la Legge Balduzzi (già co-nosciute e sperimentate in alcune Re-gioni come Case della Salute), quali presidi territoriali prossimali ai luoghi del vivere, all’interno del quale è possi-bile trovare l’accesso per percorsi sanita-ri, socio-sanitari e sociali per le diverse fasce di età: area materno-infantile (pe-diatri, neuropsichiatri, ostetriche, gine-cologi, infermieri, terapisti, assistenti sociali); area dell’adolescente con spazi trasversali; area medica dell’adulto e per il disagio fisico, psichico, sociale, area dell’anziano anche col supporto di resi-denze.

In queste Unità si collocano poi una se-rie di servizi di supporto quali sportelli di prenotazione, farmaceutici, di pre-

2) della malattia al domicilio durante le fasi di stabilizzazione;3) del percorso scolastico-educativo e dell’avvio al lavoro;4) della ospedalizzazione nella gestione di eventi acuti o riacutizzazioni non trat-tabili al domicilio, per approfondimenti diagnostici e interventi specialistici, o per soggiorni di sollievo alla famiglia.c) Individuare un responsabile del caso che garantisca la continuità dei processi.d) Individuare un responsabile gestiona-le che garantisca la sostenibilità econo-mica dei progetti.

Servizi responsabili

• Governi regionali• ASL• Dipartimenti materno-infantili trans-

murali (laddove esistenti)• Amministrazioni comunali (Servizio

sociale)

Risultati attesi

• Miglioramento dello stato di salute (sopravvivenza e soprattutto qualità di vita) dei bambini con bisogni speciali quantificabili nel 2-3% della popola-zione pediatrica.

• Maggiore efficacia nell’uso delle risor-se disponibili.

• Riduzione di numero e durata dei rico-veri ospedalieri.

5. Riconvertire risorse dal settore ospedaliero (piccoli ospedali e sovrapposizione di centri specialistici) al territorio

Razionale

La possibilità di creare percorsi adeguati ad affrontare sia le situazioni complesse sia quelle più ordinarie dipende da una organizzazione chiara delle attività che vanno svolte sul territorio e in ospedale. Il sistema sanitario attuale si caratterizza sempre di più per gli elevati investimen-ti in tecnologie sofisticate, per tecniche professionali che impongono un elevato expertise, per interventi a elevata com-plessità che presuppongono un certo grado di rischio e per il quale quindi va

assolutamente ricercato il massimo livel-lo di qualità e di sicurezza. Tale attività interviene sia nella gestione delle urgenze ed emergenze, sia nella fa-se di riacutizzazione di malattie croniche, sia per diagnostica e terapia di alto livello. Proprio per il modificarsi dei problemi e dei luoghi della loro cura l’attività ospe-daliera e quella territoriale andranno riviste secondo il modello a complessità e intensità di cura e di percorsi di cura domiciliari. Si affronteranno, con par-ticolare attenzione, alcuni temi come la salute mentale e l’adolescenza.

Azioni raccomandate

I punti principali di intervento per la re-alizzazione di tale modello prevedono la riconversione e la ridistribuzione delle risorse con: a) una riduzione del numero di reparti pediatrici e una maggiore “qualità” di cure, con uniforme distribuzione sul ter-ritorio nazionale e nelle realtà locali; b) un migliore utilizzo delle risorse evi-tando prestazioni ospedaliere improprie (ricoveri impropri, bassa complessità di cure), spesso secondarie a un uso impro-prio dell’ospedale da parte del cittadino (per es. utilizzo inappropriato del PS);c) l’individuazione per patologie a bassa gravità (codici bianchi e verdi) di percor-si alternativi extra-ospedalieri (case della salute, ambulatori pediatrici territoriali, servizio di continuità assistenziale ecc.); d) la creazione/implementazione di at-tività ospedaliere strutturate secondo modelli “a misura di bambino” (dolore in ospedale, accoglienza nei reparti, attività ludiche, scuola e ospedale ecc); e) il potenziamento/istituzione di attività formative professionali in ambito pedia-trico di tipo “trasversale”, coinvolgenti figure professionali sanitarie diverse e condivise tra ospedale e territorio con il coinvolgimento in maniera attiva anche di figure professionali dell’assistenza pe-diatrica non mediche; f) la promozione dell’utilizzo appropria-to dell’ospedale mediante campagne sul territorio di informazione/formazione della popolazione, utilizzando strumenti di informazione sanitari e non (pediatri di libera scelta e dei consultori, farmacie, incontri scuola-ospedale, spot pubblici-tari, ecc);g) la graduale scomparsa del pediatra

“solo”, a favore di un pediatra delle cure primarie che collabora intensamente coi

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n. 1 / 2015Documenti

sidiato, ambulatori infermieristici e di osservazione breve, diagnostica radiolo-gica e di laboratorio ecc. Un modello territoriale di questo tipo deve poter contare su professionisti e operatori dedicati (sanitari, sociali e del terzo settore) che insieme si facciano ca-rico di quella comunità. Il funzionamento di un sistema ospe-daliero di alto livello è possibile se tutta l’attività primaria, e parte anche di quella secondaria di diagnosi, cura e riabilitazione vengono svolte a livel-lo territoriale sia al domicilio sia nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie de-putate a farlo. Presupposti professionali di questo modello sono la rinuncia da parte del medico e del pediatra alla cultura dell’i-solamento e la costruzione di modelli di intervento multidisciplinare che vedano i professionisti sociali e sanitari lavorare per percorsi e non per servizi. Il presupposto organizzativo è quello di non investire su ulteriori risorse ma di riconvertire quelle già presenti sul ter-ritorio e quelle attualmente in funzione nei piccoli ospedali zonali non più in grado di fornire prestazioni rispondenti a criteri di qualità e sicurezza per quan-to sopra esposto. Il principio di garanti-re sicurezza e qualità a tutti i cittadini è il maggior principio di equità.

Servizi responsabili

Unità Operative ospedaliere pediatriche (TIN, TIP, pediatria, altre specialità) e ostetriche (punto nascita, nido); ser-vizi territoriali pediatrici (pediatria di famiglia, di comunità) relativi alla sa-lute mentale (NPI) e al percorso della gravidanza e del puerperio (Consultori familiari) nelle loro diverse componenti professionali.

Risultati attesi

• Ricostruzione delle risposte ai bisogni dei cittadini per percorsi di presa in carico e cura, e non per assetti orga-nizzativi dei servizi.

• Riorganizzazione della gestione del-le urgenze e delle malattie croniche secondo modelli integrati, ospedale e territorio, con complementarietà e sussidiarietà.

• Sostenibilità del sistema sanitario na-zionale.

6. Assicurare continuità e integrazione tra cure a maternità e a infanzia e tra ospedale e territorio tramite meccanismi dipartimentali funzionali

Razionale

La realizzazione di un sistema trasver-sale si fonda su una organizzazione che permetta l’esercizio non solo della pro-pria professionalità ma anche delle pro-prie responsabilità. Mentre è abbastanza consueta l’organizzazione intraospeda-liera in dipartimenti, più o meno omo-genei, che accorpano unità operative che lavorano in rete e, nel campo specifico, è piuttosto diffusa la presenza di diparti-menti materno-infantili ospedalieri (che comprendono TIN, pediatria, ostetricia, ginecologia), sul territorio le unità ope-rative e i gruppi professionali impegnati sulla salute materno-infantile sono stati affidati ad articolazioni territoriali diver-se: la pediatria di comunità, ove esistente, i consultori familiari e i pediatri di libe-ra scelta sono inseriti nei Dipartimenti di Cure Primarie, la Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza nei Di-partimenti di Salute Mentale.

Azioni raccomandate

La scelta organizzativa promossa nella Legge Balduzzi intende riunire in strut-ture complesse e multidisciplinari tutti gli operatori della salute del territorio compresi quelli dedicati all’area mater-no-infantile (Unità Complesse di Cure Primarie), senza però identificare l’area dipartimentale a cui quest’ultimi debba-no appartenere. Per ricompattare anche sul territorio tutti i servizi e le risorse che si occupano di area pediatrica e dell’assistenza alla gravidanza è necessario definire un’area organizzativa omogenea di tipo diparti-mentale e collegarla funzionalmente al Dipartimento ospedaliero in una solu-zione transmurale. Questa struttura dipartimentale terri-toriale dovrà connettere e coordinare l’attività dell’area materno-infantile delle diverse Unità Complesse di Cure Primarie (in modo da assicurare con-formità e coerenza negli atteggiamenti

assistenziali e nei percorsi diagnostici e terapeutici); svolgerà funzioni di ricerca epidemiologica e valutazione dei bisogni, programmazione dell’assistenza, gover-no della domanda e valutazione della qualità dell’assistenza; gestirà la forma-zione e l’aggiornamento; garantirà l’in-tegrazione con la Pediatria ospedaliera/universitaria.

Contenuti tecnici

L’area dipartimentale territoriale mater-no-infantile così costituita dovrà ricono-scere un responsabile organizzativo che costituisca l’interlocutore per l’area ospe-daliera, nonché per la direzione sanitaria, e un ufficio di coordinamento che svol-gerà le seguenti funzioni:• ricerca epidemiologica e valutazione

dei bisogni; • programmazione della assistenza, go-

verno della domanda e valutazione del-la qualità dell’assistenza;

• coordinamento dell’assistenza pedia-trica territoriale;

• formazione e aggiornamento; integra-zione con la Pediatria ospedaliera/uni-versitaria.

Servizi responsabili

• Dipartimenti di Cure Primarie (o ana-loghi).

• Dipartimenti materno-infantili ospe-dalieri (o analoghi).

Risultati attesi

• Identificazione di obiettivi e scelte strategiche comuni.

• Definizione di ruoli e percorsi integrati.• Allocazione razionale delle risorse con

possibilità di migliorare la qualità delle cure sia pure a bilanci invariati.

7. Revisione e innovazione nella formazione curriculare e post curricolare anche con momenti integrati tra operatori destinati a lavorare in comune e attraverso una valutazione comparata di diversi modelli

I provvedimenti contenuti nella Legge Balduzzi in tema di riorganizzazione

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Documentin. 1 / 2015

dell’assistenza sanitaria territoriale im-pongono importanti adeguamenti strut-turali e sostanziali ‘aggiustamenti’ culturali. A tal fine risulta indispensabile per l’area medica rivedere la formazione curricula-re della specialità in Pediatria offrendo nel piano di studi una maggiore atten-zione all’area della pediatria delle cure primarie.

Azioni raccomandate

a) Occorre prevedere momenti formativi dedicati all’area delle cure primarie ana-lizzando temi specifici. Per esempio:1) il pediatra di cure primarie gestore e utilizzatore di risorse (“fare meglio con meno’’);2) la consultazione telefonica e la gestio-ne dell’acuto banale;3) l’aggiornamento e la formazione tra pari all’interno del gruppo di lavoro (au-dit interno);4) il counselling e l’accoglienza del disa-gio (particolarmente psichico e dell’ado-lescente);5) i programmi preventivi e le guide anti-cipatorie (bilanci di salute, valutazione e promozione dello sviluppo, NpL, NpM

…);6) la gestione territoriale dei casi ad alta complessità assistenziale (malati cronici, grandi disabili, famiglie multiproblema-tiche, ecc).b) Accanto ai consueti periodi di forma-zione/tutoraggio che lo specializzando svolge in ospedale va previsto un perio-do di pratica con tutoraggio effettuato presso le strutture pediatriche territo-riali, privilegiando le Unità Complesse di Cure Primarie, all’interno delle quali possano essere sperimentati e condivisi i momenti di lavoro e l’attività clinica e preventiva che i Pediatri delle Cure Pri-marie e il personale di area infermieristi-ca svolgono quotidianamente. Per questo tirocinio è opportuno che vengano de-finiti obiettivi di apprendimento, riferi-menti bibliografici e relative metodologie. c) Per l’area infermieristica devono esse-re mantenuti e ampliati, ove esistono, il corso di laurea in Scienze Infermieristi-che Pediatriche e i Master di specializza-zione pediatrica post-laurea. Questi corsi consentiranno di formare personale infermieristico adatto a rico-prire il ruolo di co-gestore della salute del bambino e dell’adolescente sia a livel-lo ospedaliero sia territoriale, e adatto a

svolgere funzioni di triage, l’educazione sanitaria, il sostegno e il counselling alle famiglie.d) Da considerare, su base regionale o interregionale-interateneo, la istituzione di nuovi corsi di laurea/specialistica in Scienze Infermieristiche di Comunità, all’interno dei quali prevederne uno-due elettivi di salute della famiglia e dell’in-fanzia. e) La formazione post laurea/specializ-zazione deve prevedere anche momenti comuni pediatra/infermiere pediatrico e percorsi formativi orientati al lavoro di gruppo.

Servizi responsabili

• Atenei: consigli di corso di laurea e di specializzazione.

• Ministero dell’Università e della Ricerca.• Regioni.

Risultati attesi

• Aumento delle competenze del pedia-tra e dell’infermiere delle cure primarie nella gestione dei livelli assistenziali territoriali e nelle capacità di lavoro in équipe.

• Miglioramento della qualità generale dell’assistenza con benefici estesi a tut-to l’ambito delle cure al bambino per quanto riguarda la dimensione sia pre-ventiva sia di case management.

8. Migliorare la qualità a tutti i livelli tramite un sistema di indicatori di qualità e di valutazione fra pari

La valutazione del lavoro e dei suoi risul-tati, frutto della collaborazione dei vari professionisti della salute, rappresenta il primo passo verso il miglioramento dell’offerta assistenziale. Queste analisi vanno modulate in relazione alle diver-se aree di intervento: Area Vasta, Area Distrettuale, Unità Complessa di Cure Primarie (Pediatria di Gruppo), Struttu-re ospedaliere.

Azioni raccomandate

a) Appare necessario costruire un Profilo di Comunità contenente i dati epidemio-

logici riferiti alla popolazione assistita e quelli relativi ai servizi sanitari offerti, per poter adeguatamente contestualizza-re sia la qualità assistenziale erogata dal gruppo di professionisti della salute affe-rente a quell’area sia i risultati di salute. b) Occorre definire alcuni capitoli di indicatori di qualità assistenziale (in-dicatori di assorbimento di risorse e di efficienza e indicatori di salute) il più possibile affidabili e validi, riferiti a eventi numericamente significativi al-meno in un periodo di 5 anni e ricavabili dai dati disponibili nel sistema informa-tivo corrente. Inoltre, essi devono essere in grado di definire i principali bisogni di salute dell’età evolutiva e di fornire utili indicazioni per la definizione di obiettivi, politiche o interventi sanitari, o viceversa per monitorarne e incentivar-ne l’attuazione.c) Vanno attivate forme di revisione della qualità tra pari, basate su standard rico-nosciuti e attuate secondo la metodica della site visit, da realizzarsi sia per le strutture ospedaliere che per quelle ter-ritoriali, finalizzate a una definizione di piani di lavoro dei servizi per affrontare le criticità emerse dalle valutazioni. Si tratta di incentivare forme non buro-cratiche, non dispendiose, semplici, di valutazione e miglioramento della qualità.

Contenuti tecnici

a) Indicatori di assorbimento di risorse e di efficienza

• Assistenza ospedaliera: tasso di ospe-dalizzazione, numero medio giorni di degenza, numero di accessi in Pronto Soccorso differenziati per codice di gravità e per orario, tipologia di ricove-ro più frequente per classi di età.

• Assistenza farmaceutica: tasso di pre-scrizione dei farmaci per categoria e per età, tasso di prescrizioni per princi-pi attivi per ogni categoria (anche far-maci generici/branded).

• Assistenza specialistica: tasso di utiliz-zo delle principali aree specialistiche (ORL, Oculistica, ecc), tasso di uti-lizzo delle diverse subspecialità pedi-atriche.

• Assistenza pediatrica di base: tasso di copertura dell’assistenza 0-14 anni, tas-so di visita ambulatoriale per fascia di età e per tipologia (acuto/prevenzione).

b) Indicatori di salute • Mortalità, tassi di mortalità neonatale

per classi di peso e modalità del parto

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n. 1 / 2015Documenti

(sistema BABIES, CDC Atlanta), tas-si di mortalità infantile, proporzione nati da parto cesareo (classificazione Robson).

• Per la valutazione e il miglioramento della qualità vanno identificati indica-tori ‘traccianti’ della qualità dell’assi-stenza pediatrica: per esempio i tassi di allattamento al seno al 3° e 5° mese, la copertura vaccinale, il tasso di sovrap-peso e obesità a 3, 6 e 11 anni, il tasso di gravidanza < 18 anni di età, il tasso di IVG < 18 anni, il tasso di suicidi < 18 anni di età, il tasso di mortalità < 18 per incidenti stradali.

Altri indicatori possono essere stabiliti su base regionale in relazione a obiet-tivi strategici e priorità specifiche (per esempio, se una Regione individua il problema della diagnosi appropriata dei DSA o della tempistica di intervento nei criptorchidismi, si possono identificare come indicatori i tassi di Disturbo Spe-cifico dell’Apprendimento a 8 e 10 anni e il numero di interventi di orchidopessi effettuati dopo i 3 anni di età.

Servizi responsabili

• Dipartimenti di Cure Primarie (o ana-loghi).

• Dipartimenti materno-infantili ospe-dalieri (o analoghi).

Risultati attesi

Miglioramento della qualità delle cure con ricadute sia sugli indicatori di salute sia di efficacia ed efficienza.

• AAP. Hospital Stay for healthy term new-borns. Committee on fetus and newborn, policy statement. Pediatrics 2010;125:405-9.

• Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano sul documen-

to recante ”Linee di indirizzo per la promozi-one ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli inter-venti assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”. 16 dicembre 2010.

• Acheson D, Berker D, Marmot M, Withe-head M. Indipendent inquiry into inequali-ties in Health. Report. London. The Station-ery Office, 1998.

• Age.na.s. “Standard per la valutazione dei Punti Nascita”. Toriazzi Editore, novembre 2012.

• Brown S, Smail R, Faber B, et al. Early postnatal discharge from hospital for healthy mothers and term infants. Cochrane Data-base Syst Rev 2002;3:CD002958.

• Calman K. Equity, poverty and health for all. BMJ 1997;314:1187-91.

• Carneiro P, et Heckman J. Human capital policy. Cambridge, MA: National Bureau of Economic Research 2003.

• Codice del Diritto del Minore alla Salute e ai Servizi Sanitari.

• Cunha F, Heckman J. Formulating and Estimating the Technology of Cognitive and Noncognitive Skill Formation, Journal of Human Resources 2008;43:738-82.

• Dearing E, McCartney K, Taylor BA. Does higher quality early child care promote low-income children’s math and reading achievement in middle childhood? Child Development 2009;80:1329-49.

• Istituto degli Innocenti. I nidi e gli altri servizi educativi integrativi per la prima in-fanzia. Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza 2006:36.

• Kawachi IA. Glossary for Health inequali-ties. Journal of Epidemiology and Commu-nity Health 2002;56:647-52.

• Mackenbach JP, Bakker MJ and the Euro-pean Network on Interventions and Policies to Reduce Inequalities in Health. Tackling socioeconomic inequalities in health: analy-sis of European experiences. Lancet 2003; 362:1409-14.

• Marchetti F. Bambini e genitori in ospeda-le. Medico e Bambino 2007;26:8.

• Marchetti F. Il riordino delle cure pediatri-che: alla ricerca del buon senso. Medico e Bambino 2012;31:143-4.

• Marmot M. Social determinants of health inequalities. Public Health 2005;365:1099-103.

• Mastroiacovo P. La promozione della sa-lute riproduttiva. Prospettive in Pediatria 2012;42:243-52.

• Ministero della Salute. “Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nas-cita e per la riduzione del taglio cesareo”. Pi-ano Nazionale Sanitario 2010-2012.

• Moore ER, et al. Early skin-to-skin con-tact for mothers and their healthy newborn infants. Cochrane Database Syst Rev. 2012 May 16;5:CD003519. doi: 10.1002/14651858.CD003519.pub3. Review.

• Papoff P, Moretti C. Chi si deve prendere cura dei bambini critici e dove. Medico e Bambino 2013;32:211.

• Routine postnatal care of women and their babies. National Institute for Health and Clinical Excellence, July 2006. www.nice.org.uk/CG037.

• Seshadri S, Oakeshott P, Nelson-Piercy C, Chappell LC. Prepregnancy care. BMJ 2012;344:e3467.doi10.1136/bmj.e3467.

• Verbiest S, Holliday J. Preconception care: building the foundation for healthy women, babies, and communities. NC Med J 2009; 70:417-26.

• Whitehead M. Diffusion of ideas on social inequalities in health: a european perspective. The Milbank Quarterly 1998; 76: 469-89.

• Wise P. Transforming preconceptional, prenatal, and interconceptional care into a comprehensive commitment to women’s health. Women’s Health Iss 2008;18:S13-8.

• www.pensiamociprima.net.

• www.primadellagravidanza.it.

• Zocchetti C. I determinanti del ricorso ai servizi, fattori individuali e di contesto. In: Informazione statistica e politiche per la pro-mozione della salute, a cura di Sabbadini LL, Costa G. Atti del Convegno, Roma ISTAT 2004:129-39.

Ringraziamenti

Ringraziamo i revisori di Quaderni acp che hanno lavorato per noi nel 2014:

Egidio Barbi, Carla Berardi, Paolo Brambilla, Roberto Buzzetti, Francesco Ciotti, Giuseppe Cirillo, Patrizia Elli, Massimo Fontana, Patrizia Papacci, Gherardo Rapisardi, Patrizia Rogari, Giorgio Tamburlini

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www.quaderniacp.it

La sincope in età pediatrica R. Paladini

Il sostegno dell'allattamento al seno: fisiologia e falsi miti S. Conti Nibali

Le bronchiti asmatiche ricorrenti nel bambino in età prescolare L. De Seta, M.S. Sabbatino, F. De Seta

Il diabete nel bambino: come riconoscerlo, come curarlo A. Marsciani, T. Suprani, B. Mainetti, V. Graziani, A. Pedini

Approccio diagnostico al bambino con ipertransaminasemia C. Mandato, M. Tripodi, P. Vajro

Il bambino neurologico: problematiche gastroenterologiche e

nutrizionali A. Tedeschi

ACP

18 ECM*

FaD 2015

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Gennaio/Febbraio 2015 / Vol. 22 n. 1Quaderni acp - Associazione Culturale Pediatri

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Editoriale3 Nuovo look e non solo

Michele Gangemi

Formazione a distanza4 La sincope in età pediatrica

Rodolfo Paladini

Info genitori12 “Venir meno” ovvero una sincope

Costantino Panza, Stefania Minetti, Antonella Brunelli

Ricerca13 Leggere ai neonati pretermine in Terapia Intensiva Neonatale: valutazione a distanza di due anni

Augusto Biasini, Erica Neri, Francesca Fiuzzi, Marcello Stella,

Fiorelle Monti

Telescopio17 Cannule nasali ad alti flussi in neonati pretermine dopo estubazione

Roberta Cacciavellani, Sabina Ciotti, Luigi Gagliardi

Salute mentale21 Il fenomeno Peppa Pig

Intervista di Angelo Spataro a Claudia Soatto

Forum22 Fibosi cistica: il diritto a uno screening

Giuseppe Magazzù

Vaccinacipì24 Il vaccino esavalente e la sentenza del Tribunale di Milano

Franco Giovanetti

26 Autismo causato da vaccini? Dalla Comunità Scientifica arriva un secco no

Comunicato stampa congiunto

Storie che insegnano27 Neurofibromatosi: dubbi clinici ed etici dei pediatri

Enrico Valletta

Osservatorio internazionale32 La Germania, von Bismarck e Sir Beveridge

Enrico Valletta

Il punto 34 Significatività statistica. È meglio spostare l’asticella verso l’alto?

Enrico Valletta, Giorgia Vallicelli

Libri36 Cronaca di un’avventura pedagogica

Stefania Manetti

36 Quei giorni nella linea goticaGiancarlo Biasini

37 L’interazione tra adolescenti e adultiMaria Francesca Siracusano

Film38 È possibile riconquistare la propria dignità in Due giorni e una notte

Italo Spada

Lettere a Quaderni acp39 Quale futuro per l’ACP?

Angelo Spataro e Francesco Ciotti

Nati per Leggere40 I 15 anni di “Nati per Leggere”

Giancarlo Biasin

Info42 É nata la CIANB, Coalizione italiana per l’Alimentazione dei Neonati e dei Bambini42 Premio Carver per la Saggistica a “Conversazione sulla famiglia” di Francesco Ciotti43 Come va il nostro SSN?43 Taglio cesareo: proporzione sui parti primari43 Dal 2015 il BMJ cambia regole

Documenti44 La salute dei bambini in Italia. Dove va la pediatria?

Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP

La quota d’iscrizione per l’anno 2015 è di 100 euro per i medici, 10 euro per gli specializzandi, 30 euro per gli infermieri e per i non sanitari. Il versamento può essere effettuato tramite il c/c postale n. 12109096 intestato a: - Associazione Culturale Pediatri, Via Mon-tiferru, 6 - Narbolia (OR) (indicando nella causale l’anno a cui si riferisce la quota) oppure attraverso una delle altre modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina “Come iscriversi”. Se ci si iscrive per la prima volta occorre compilare il modulo per la richiesta di ade-sione presente sul sito www.acp.it alla pagina “Come iscriversi” e seguire le istruzioni in esso contenute oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, la Newsletter mensile Appunti di viaggio e la Newsletter quadrimestrale Fin da piccoli del Centro per la Salute del Bambino richiedendola all’indirizzo [email protected]. Hanno anche diritto a uno sconto sulla iscrizione alla FAD dell’ACP alla quota agevolata di 50 euro anziché 70; sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino, indicata nel modulo di conto corrente postale della rivista e sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP. Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento, ricevere pacchetti formativi su argomenti quali la promozione della lettura ad alta voce, l’allattamento al seno, la ricerca e la sperimentazione e altre materie dell’area pediatrica. Potranno partecipare a gruppi di lavoro su ambiente, vaccinazioni, EBM e altri. Per una informazione più completa visitare il sito www.acp.it