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LA GIORNATA DEL CIOCCOLATO RELAZIONI, INTERVENTI & CONTRIBUTI 22 NOVEMBRE 2001 SUPPLEMENTO AL N. 127, MAGGIO 2002, DEL NOTIZIARIO DELL'ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA, DIRETTORE RESPONSABILE GIANNI FRANCESCHI ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA A C C A D E M I A I T A L I A N A D E L L A C U C I N A

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LA GIORNATADEL CIOCCOLATORELAZIONI, INTERVENTI & CONTRIBUTI

22 NOVEMBRE 2001

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I QUADERNI DELL’ACCADEMIANUMERO CINQUANTUNO

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In copertina: rielaborazione grafica da un’illustrazione del “Trattato (nuovo e curioso) sul Caffè, Tè e Cioccolato” di Philippe Sylvestre Dufour, pubblicato nel 1688.

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ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAFONDATA DA ORIO VERGANI NEL 1953

LA GIORNATADEL CIOCCOLATORELAZIONI, INTERVENTI & CONTRIBUTI

22 NOVEMBRE 2001

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Sono lieto di presentare questo “Quaderno dell’Accademia”che rappresenta in maniera esemplare il contributo cultu-

rale dato da Accademici e Delegati in occasione della "Gior-nata del Cioccolato".

Dalle varie relazioni, o stralci di esse, che appaiono inquesta pubblicazione, risalta con solare evidenza l’impegnodi tutta l’Accademia in campo culturale. Infatti, come si puòvedere, il tema del cioccolato è visto da varie angolazioni:storiche, scientifiche, botaniche, mediche e di costume.

Questo è stato possibile in quanto l’Accademia - è sempreopportuno ripeterlo e precisarlo - è un’élite culturalmente pre-parata, attenta alle tematiche interdisciplinari connesse aquella civiltà della tavola che è la nostra bandiera.

Il mio compiacimento e la mia accademica soddisfazionevadano a tutti coloro che hanno contribuito a questa pubbli-cazione tra le più complete sull’argomento e che resterà, nesono certo, una pietra miliare nella vita culturale della no-stra cara Accademia.

GIUSEPPE DELL’OSSO

Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina

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La celebrazione della “Giornata del Cioccolato” ha visto ungrande fiorire di iniziative di carattere culturale in quasi

tutte le Delegazioni. Convegni, relazioni, pubblicazioni, bro-chures dedicate al cioccolato ed alla sua vicenda storica hannopunteggiato positivamente questa iniziativa accademica.

Come era inevitabile, relazioni e testi sono risultati moltospesso ripetitivi. Infatti la storia del cioccolato è sempre quella,da qualsiasi angolo la si voglia guardare. E con molta diligenzaDelegati ed Accademici si sono dedicati a ricerche e studi inquella direzione.

Così, nel preparare questo “Quaderno”, ci siamo trovati difronte a molte relazioni di carattere storico, tutte pregevoli comeimpegno ed esposizione, culturalmente impegnate ma forzata-mente ripetitive. Quindi, la necessità di una scelta. Così abbia-mo ritenuto di pubblicare, in apertura, la relazione pronuncia-ta a Roma dall’Accademica Marina Cepeda Fuentes, che ci èsembrata la più completa, essenziale e meno dispersiva rispettoad altre esercitazioni.

Subito dopo, in ordine alfabetico secondo le Delegazioni, siapre il panorama più vasto, che abbraccia le varie tematicheconnesse alla cioccolata. Per far questo, abbiamo effettuato op-portuni stralci dalle varie relazioni, in modo da offrire un pa-norama il più possibile esauriente e completo, senza inutili ripe-tizioni.

Per la completezza e l’impegno culturale, bisogna però citarela relazione del Delegato di Monaco di Baviera, Franco Benus-

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si; alcune relazioni pronunciate al Convegno di Torino; le rela-zioni di Emo Tana (Delegazione di Firenze), di Antonio Peretti(Delegazione di Verona) ed una notazione particolare per larelazione di Raffaele Marola, (Delegazione dell’Aquila).

Importante l’impegno di varie Delegazioni nella pubblicazio-ne di opuscoli o brochures. Da segnalare, per questa attivitàculturale ed editoriale, le Delegazioni di Vigevano, di Avellino,di Cortina d’Ampezzo, di Cremona, di Città del Messico e diMacerata. Elegante e sobrio, come di consueto, l’opuscolo realiz-zato dalla Delegazione di Napoli-Capri. Infine è da segnalarel’iniziativa personale dell’Accademico Alfredo Pelle (Delegazio-ne di Mestre e Terraferma) per la sua interessante brochure sul“Cioccolato in Europa”.

Nelle pagine che seguono il lettore troverà molti brani trattianche da queste interessanti pubblicazioni.

GIANNI FRANCESCHIVice Presidente del Centro Studi “Franco Marenghi”

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DELEGAZIONE DI ROMA

IL CIBO DEGLI DEI

Racconta una leggenda messicana azteca che la pianta delcacao era stata donata agli uomini dal grande dio Padre

Quetzalcoatl (Serpente Piumato), per alleviarne le fatiche erallegrarne il riposo grazie alla bevanda che se ne ricavava:la cioccolata.

Ma un’altra leggenda azteca narra che un giorno una prin-cipessa, lasciata a guardia del tesoro dallo sposo, che erapartito per una guerra, venne assalita dai nemici che cercaro-no inutilmente di farle rivelare il luogo dov’era nascosto. Pervendicarsi del suo silenzio la uccisero; ma dal suo sangueversato nella terra nacque una pianta il cui frutto cela un te-soro di semi amari come le sofferenze amorose, forti come lavirtù, rossastri come il sangue: era la pianta del cacao, un al-bero della famiglia delle Sterculiacee, originario del Messicomeridionale e delle regioni del Rio delle Amazzoni edell’Orinoco che si coltiva esclusivamente in climi tropicali.

Da quei frutti gli aztechi e i maya ricavavano anche bibitedestinate alle cerimonie sacre, come la boron-tè, fatta con ca-cao, mais e acqua vergine; oppure il chilate, cacao misto amais.

Nelle feste del sedicesimo mese Atemoztli del calendarioazteco, fra il 9 dicembre e il 17 gennaio, si ponevano davanti

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alle immagini delle divinità dei vulcani, delle piccole ciotolericavate da zucche che contenevano grani di cacao.

Quei semi così graditi agli dei diventarono una monetaapprezzata, tant’è vero che ci volevano cento mandorle dicacao per uno schiavo e si prevedevano pene severe a chifalsificava i frutti, svuotandoli dei semi e riempiendoli di sab-bia o di altri materiali. Persino le imposte si pagavano in frut-ti di cacao.

Quando Hernan Cortés, uno dei conquistadores dell’Ame-rica arrivò in Messico trovò che con il cacao gli aztechi pre-paravano una bevanda abbastanza amara, che chiamavanoxocoatl, da cui il nome spagnolo chocolate e poi l’italianocioccolato: quella bevanda, lo xocoatl, era riservata ai re e al-la classe dei potenti e dei sacerdoti. Perciò venne chiamatasuccessivamente da Linneo Teobroma: “il Cibo degli Dei”.

Già prima Cristoforo Colombo aveva osservato alcuni in-digeni che bevevano la cioccolata ma fu Hernan Cortés adintuire le proprietà energetiche e farmacologiche del nuovoalimento al punto da scrivere all’imperatore Caro V che “unatazza di questa preziosa bevanda consente ad un uomo disopportare un’intera giornata di marcia, senza prendere altricibi”: insomma una sorta di doping eccezionale!

Gli indigeni, sia i maya che gli aztechi, la preparavanoschiacciando insieme semi di cacao e di altre piante e di-luendo la pasta ottenuta in acqua per poi sbattere il liquido alungo, passandolo da un recipiente all’altro – in genere unazucca svuotata – e facendolo cadere dall’alto in modo da for-mare della spuma. E per aumentare quantità e densità si ag-giungeva a volte del mais già cotto. La cioccolata precolom-biana, comunque, si gustava sia fredda che calda; anzi pareche i maya dello Yucatàn la bevessero calda, mentre gli azte-chi la preferivano fredda.

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E in un documento spagnolo della fine del Cinquecento,nella descrizione sulla preparazione della xocoatl, si leggeche alla bevanda finale gli indigeni “aggiungono un po’ dipepe indiano”. Nonostante la possibile aggiunta di miele, co-munque, tutti sanno che le prime ricette di cioccolata intro-dotte nelle corti spagnole erano amare e piccanti. Solo le ela-borazioni successive, dovute alla fantasia di speziali e confet-tieri, trasformarono la “cioccolata amara” in un goloso dolce.Questo insolito connubio di cacao e peperoncini (o pepe),anzi il chili messicano che è piccantissimo, lo troviamo nelledelizie che prepara la protagonista del bel libro “Chocolat”,di Joanne Harris, da cui è stato tratto l’omonimo film che viraccomando.

E nel libro “La vera storia del cioccolato” (pubblicato inItalia dalla editoriale Archinto) si legge anche che: “Popolaree diffusa in tutto il Centroamerica era l’aggiunta di chili (Ca-psicum annuum), seccato e ridotto in polvere, alla bevandachiamata chilcacahuatl; naturalmente, data la grande varietàdi chili (peperoncini) che crescono in Messico, il sapore po-teva risultare di qualunque tipo, da leggermente pepato aestremamente piccante”.

E con il peperoncino o chili, giunto dall’America, si pre-parava la cioccolata calda nella corte spagnola del 1644: be-vanda che però non piacque al milanese Girolamo Benzoni,il quale nella sua “Historia del Mondo Nuovo” affermava ri-guardo alla cioccolata: “...che più pare beveraggio da porci,che da uomini”.

Meno male che a riscattare la cioccolata arrivò nell’Otto-cento il celebre fisiologo Paolo Mantegazza, cattedratico aPavia e Firenze, che nei suoi “Elementi d’Igiene” afferma che“il cacao merita sicuramente il nome pomposo di Teobroma(Cibo degli Dei), che ebbe dai botanici. E’ cibo e bevanda; è

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conforto al ventricolo e sferza il cervello, eccita l’intelligenzae nutre riccamente. Conviene ai vecchi ed ai giovani, ai de-boli ed alle persone prostrate da lunghe malattie o da abusidella vita. Per chi lavora, il cacao offre un eccellente cibomattutino”.

E anche l’odierno cioccolato è un alimento altamente ca-lorico: circa 500 chilocalorie per 100 grammi, o più, secondogli ingredienti aggiunti. Ci sono nel cioccolato infatti zucche-ri, lipidi e proteine, mentre è molto basso il livello di coleste-rolo (1 milligrammo per 100 grammi). E, in sostanza preval-gono largamente gli acidi grassi “buoni”.

Ma nel cacao sono presenti anche flavonoidi, importantis-simi antiossidanti che avrebbero anche attività anticolesteroli-che. E la presenza rilevante di ferro, magnesio, fosforo, po-tassio, calcio e la bassa presenza di sodio ne fanno un ali-mento particolarmente indicato nei soggetti che svolgono at-tività sportiva o che sono sottoposti a stress emotivi ripetuti.

Nella sua composizione, oltre all’1,5% d’acqua, il 25,6 dilipidi e l’11,5 di glicidi, vi è anche il 20,4% di proteine vege-tali che alcuni soggetti particolarmente sensibili non tollera-no, cosicché si possono scatenare fenomeni allergici come ilprurito, la nausea o l’orticaria. Infine, per la presenza di aci-do ossalico, cacao e cioccolato sono controindicati nella cal-colosi renale ossalica; mentre il contenuto di grasso può dan-neggiare i sofferenti di colecistite. Ma nei momenti di depres-sione e di affaticamento psichico una tavoletta di cioccolatoo una fumante tazza di cioccolata possono rendere la vitapiù piacevole, poiché, dulcis in fundo, nel cioccolato sonopresenti importanti sostanze psicoattive.

Oltre alle due xantine teobromina e caffeina (eccitanti estimolanti il respiro, l’attività cardiaca, ma soprattutto la fun-zione muscolare), nel cacao sono presenti serotonina, fenile-

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tilamina (circa 1 milligrammo per etto, con proprietà similialle anfetamine), fenilalanina e tiroxina (precursori della do-pamina e della noradrenalina, importanti mediatori del siste-ma nervoso centrale). Tutto ciò spiegherebbe perché il con-sumo di cioccolato può contrastare stati di ansia e di depres-sione, indurre sensazioni di piacere, il benessere fisico e psi-chico, aumentare la capacità muscolare e la resistenza alla fa-tica fisica.

Nel cioccolato, inoltre, è stata rilevata la presenza di unasostanza cannabinoide. E siccome i cannabinoidi, presentinell’hashish e nella marijuana sono noti per stimolare le per-cezioni sensoriali ed indurre l’euforia, ecco che il consumodi cioccolato potrebbe, non soltanto indurre allo stato di be-nessere, ma anche dare “cioccodipendenza”, come una dro-ga! E così, nel “cioccodipendente”, il desiderio per la tavolet-ta o per i cioccolatini diviene irrefrenabile e la ricerca dellacioccolata, sotto ogni forma, può divenire frenetica.

Il “cioccodipendente”, soprattutto in particolari condizionipsichiche (ansia, ecc.), arriva ad essere un individuo privod’autocontrollo e quando ha iniziato una tavoletta od unascatola di cioccolatini deve per forza arrivare alla fine.

Ah, e attenzione: il cioccolato non piace solo all’uomo,ma anche agli animali; sicché state attenti a dare un pezzettodi cioccolata ai vostri cani, perché sono particolarmente sen-sibili alla caffeina e alla teobromina e perciò non sono rari icasi d’intossicazione, anche grave, in cani che abbiano ruba-to e mangiato una mezza tavoletta di cioccolata.

Ma come e quando l’antica bevanda degli Dei, lo xocoatl,è diventata l’attuale cioccolato che ci fa impazzire? L’evolu-zione fu lenta e passò dalla Spagna al resto dell’Europa: a Si-viglia, la città dove allora sbarcavano quasi tutte le navi spa-gnole provenienti dall’America, furono subito piantati i semi,

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e grazie alla temperatura calda dell’Andalusia la pianta riuscìa crescere subito bene. Poi si cominciò a preparare la bevan-da come facevano gli indigeni americani arricchendola peròcon lo zucchero, la vaniglia, l’anice, la cannella e, più tardi,anche con il latte, secondo il gusto europeo.

Le signore della nobiltà e le signorine di buona famigliane erano ghiotte e la bevevano anche prima di andare allaMessa: essendo un liquido, dicevano, poteva essere consu-mata anche prima della Comunione. Sorse allora in seno allaChiesa, poiché si degustava molto densa e arricchita di pro-fumi vari, un dubbio che portò con sé dibattiti senza fine intutt’Europa: la cioccolata era da considerarsi una bibita o uncibo? La disputa sortì anche fra i religiosi dei diversi ordini:“Hoc non frangit ieiunium” (“questo non rompe il digiuno”),dicevano i sostenitori del nuovo prodotto ritenuto soltantouna bevanda. Ma altri, più zelanti, adducevano che quella“immonda mistura” era un vero e proprio nutrimento da nonconsumare durante i periodi di digiuno ecclesiastico. Soltan-to nel luglio del 1843 la cioccolata venne assolta, e fu la Sa-cra Penitenziera torinese a dichiarare che: “Non si debbonoinquietare coloro che al mattino prendono una piccola quan-tità di cioccolata non per cibo, ma per conforto di capo ecorpo”.

In Italia infatti la patria del cioccolato è tutt’ora Torino: fuEmanuele Filiberto di Savoia, che era stato generale dell’eser-cito spagnolo, a portare a metà del secolo XVI i primi fruttidel cacao nella nuova capitale del suo ducato, che fu la pri-ma città in Italia a conoscerlo e alla fine del secolo successi-vo era già diventata la regina europea del cioccolato, tant’èvero che lo esportava negli altri Paesi. Insomma, a Torinoconviene arrivarci d’inverno, quando dai molti caffè situatisotto i portici del centro fuoriesce il profumo inebriante della

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cioccolata calda, la migliore in tutt’Italia: inzuppando un sof-fice croissant (come i torinesi chiamano il popolare cornetto)in una tazza della profumata bevanda bollente si dimentica ilfreddo, la nebbia e le fatiche dell’autostrada! Meglio ancorase la sosta avviene in quello splendido monumento storicodella città che è il Caffè Baratti, in piazza Castello, dove findal 1873 si serve la miglior cioccolata italiana, preparatatutt’ora come una volta.

Accanto alla classica cioccolata s’inventò la “bavareisa”,una bevanda composta di caffè, cioccolata e latte, che poi sichiamò “bicierin” dal nome del piccolo bicchiere con sup-porto e manico di metallo. E oltre al classico “bicierin” vi so-no tre varianti: il “pur e fiôr”, con il caffè e latte mescolati traloro e la cioccolata sopra; il “pur e barba”, con il caffè e lacioccolata mischiati e il latte sopra; e “un pô d’ tut”, con gliingredienti già mescolati cui si aggiunge la “stissa”, un sup-plemento di uno dei tre liquidi a piacere. Di solito il prezzodella popolare bevanda, che va gustata lentamente per far sìche il caffè e il latte s’infiltrino nella cioccolata a poco a po-co mentre si porta il bicchiere alle labbra, comprende ancheun “bagnato”, un biscotto da intingere.

Fu soprattutto a partire dai primi anni del secolo scorsoche il “bicierin” divenne la bibita mattutina per eccellenzanelle giornate invernali torinesi; tant’è vero che la città veni-va chiamata allora “bicerinopoli”: “Tra le belle e buone cosenotate a Torino, non dimenticherò mai il “bicerin”, una spe-cie di eccellente bevanda composta di caffè, latte e cioccola-ta, che si serve in tutti i caffè a un prezzo relativamente bas-so”, scriveva infatti ad un amico francese Alexandre Dumasquando visitò il capoluogo sabaudo nel 1852. Purtroppo ne-gli ultimi decenni l’usanza del “bicierin” è decaduta, sebbenelo si offra tutt’ora in alcuni locali storici, come ad esempio

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nel caffè-cioccolatteria della Piazza della Consolata.Ma come e quando giunse a Torino la cioccolata, quel mi-

sterioso alimento che il naturalista Linneo chiamò “Theobro-ma”, “nettare degli Dei”? La vera e propria diffusione dellanuova bevanda in Italia avvenne a partire dal 1587 grazie almatrimonio del duca Carlo Emanuele di Savoia con Caterina,figlia del re Filippo II di Spagna. Ma già qualche anno prima,Emanuele Filiberto, padre del primo e generale degli esercitispagnoli, aveva importato a Torino la moda, che imperversa-va a Madrid, di bere la cioccolata calda. Sotto Carlo V, sovra-no della Spagna, la cioccolata era infatti diventata la bevandapreferita dalla nobiltà di tutt’Europa con la quale l’imperatoreera imparentato: fu allora che la diffidenza europea versoquell’esotico prodotto si dissolse totalmente.

A poco a poco anche nei salotti della nobiltà subalpinaapparse la figura del “cioccolatiere” che preparava davanti atutti la piacevole bevanda. Negli archivi storici del capoluogopiemontese si conserva addirittura un prezioso documentodel 1678 con il quale Madama Reale concede a un tale GiòBattista Ari “la licenza per vendere pubblicamente la ciocco-lata in bevanda per anni sei dalla data della presente”. Poi laoriginale concessione finisce dicendo: “Abbiamo accondisce-so volentieri alla sua domanda per essere lui il primo intro-duttore della bevanda”.

Al signor Ari seguirono decine di “cicôlatè”, nome dialet-tale dei “cioccolatieri”: verso la fine del Seicento a Torino sifabbricavano circa 350 chilogrammi di cioccolato al giorno inpani di diversa grandezza che, fatti essiccare, si potevanoconservare nelle scatole e distribuire in tutto il resto dell’Ita-lia, ma anche in Austria, in Svizzera, in Germania e in Fran-cia. In quel periodo la capitale piemontese faceva concorren-za alla Spagna, che fino ad allora era stata la prima produttri-

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ce di cioccolato dell’Europa. E all’ombra di Superga non solosi trovò il modo di solidificare il cioccolato, creando i pre-supposti per la tavoletta, con una macchina idraulica chepermetteva di raffinare la pasta di cacao miscelandola conzucchero e vaniglia, ma si confezionarono i primi rudimenta-li cioccolatini con una pasta tirata a mano.

A partire dall’Ottocento, prima ancora che in Svizzera, siala cioccolata calda che il cioccolato sotto forma di cioccolati-ni, tavolette e creme, divennero popolarissimi a Torino, dovequelle golosità venivano consumate, anche fra le classi menoabbienti, non solo nei caffè ma anche nelle botteghe di quar-tiere. La loro bontà era tale che molti personaggi celebridell’epoca ne parlavano nei loro diari di viaggio: “Il cioccola-to di Torino è il migliore dell’Europa e dell’Italia”, scrive Al-bert Valéry nei suoi “Voyages historiques, littéraires et artisti-ques en Italie”; mentre il filosofo del “gusto” Brillat-Savarinne tesse le lodi nel capitolo dedicato al cioccolato del suo fa-moso trattato “Physiologie du goût”.

La palma della produzione industriale del cioccolato “del-la prima generazione” appartiene alla ditta Caffarel Prochetche, a partire dal 1826, inseguita subito dopo dalla Talmone,ne produceva ed esportava tanta quantità da richiamare l’at-tenzione della Svizzera: presso il laboratorio della Caffarel il“cioccolatiere” Francois Louis Cailler, aveva imparato il me-stiere prima di aprire la sua gloriosa ditta sul lago di Ginevra,dove nel 1875 il genero Daniel Peter avrebbe ideato il cioc-colato al latte con la farina lattea inventata da Henri Nestlé. Eanche Philippe Suchard fece tirocinio a Torino quando anco-ra non sognava di creare il suo grande impero del cioccola-to, fra i più importanti del mondo.

Fu invece un olandese, Conrad von Hauten, a creare inquegli anni un torchio speciale che, spremendo i grani di ca-

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cao, separava il burro dalla polvere ed eliminava l’acidità chegli dava un gusto acre.

E non si deve dimenticare il celebre gianduiotto che ven-ne inventato in onore della maschera torinese per il carneva-le del 1867.

Ma per il cultori del cioccolato, Torino riserva fin dal 1915una lieta sorpresa: la fabbrichetta del re dei cioccolatini ma-de in Italy, ossia Peyrano. La si può raggiungere dal centrocon una passeggiata che è in realtà una sorta di pellegrinag-gio verso il tempio della golosità: da piazza Castello, dopoaver ammirato la facciata di palazzo Madama disegnata dalloJuvarra, camminando sotto i portici di via Po si arrivaall’omonimo fiume; si attraversa il ponte da dove si contem-pla l’immensa mole della chiesa dedicata alla Gran Madre diDio; s’imbocca sulla destra Corso Moncalieri e, al n° 47, ap-pare il celebre laboratorio del buongustaio, con annesso ne-gozietto, della famiglia Peyrano.

E’ una vecchia casa d’angolo, col Po che scorre di là dallastrada, tra frange d’alberi; sembra di entrare in una drogheriadi campagna, ma all’interno diventa il paese dei balocchi coni deliziosi cioccolatini a forma di foglie, chiocciole, cuoricini,marroni, tartufi, oppure con la crema a base di miele, cacaoe nocciole da spalmare su pane e biscotti. Agli amatori golo-sissimi Peyrano offre una delle specialità della casa: gli “alpi-ni” di cacao amaro e liquore, battezzati così nel 1922 perchéi primi ad assaggiarli furono proprio gli alpini delle vicine ca-serme. Oppure i teneri gianduiotti a base di nocciole, i cioc-colatini famosi nel mondo intero che prendono il nome daGianduia, la celebre maschera piemontese, e che furono in-ventanti nel 1865 dalla Caffarel Prochet. Poi vi sono i baci, icremini, le conchigliette, i cuneesi al rhum e tanti, tanti altri.Insomma i cioccolatini torinesi sono talmente buoni e famosi

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che quando Giuseppe Pietri compose ai primi del secolol’operetta “Addio giovinezza”, ambientata fra studenti e sarti-ne di quella città, vi introdusse il celebre duetto “Cioccolatin-cioccolatin”.

Quanto al cioccolato in cucina, cacao e cioccolato giun-gono sulle tavole europee in un periodo molto favorevoleper la gastronomia “creativa”. I nobili del diciassettesimo ediciottesimo secolo gareggiano anche per lo splendore deiloro pranzi e i cuochi non disdegnano gli ingredienti piùstrani ed esotici per stupire i commensali. Ecco perché anchele ricette di primi piatti e di pietanze finiscono per esserespesso aromatizzate con zucchero, uvetta, canditi, spezie... eovviamente cioccolato.

Ad esempio a Trento, nel diciottesimo secolo, il prete Fe-lice Libera non esitò a trattare argomenti culinari nei suoi li-bri. E non sono poche le ricette al cioccolato che in essi ven-gono riportate, fra cui la “minestra al cioccolato” (fatta conuna crema di latte, zucchero, cannella e tuorlo d’uovo daversare bollente sui crostini di pane). Ma non occorre dimen-ticare nel resto dell’Italia anche le “tagliatelle al cacao” o leantiche “lasagne al cioccolato”.

Quanto ai “secondi” dopo il “Pavo in Mole plobano”, chesi può tradurre più semplicemente in “tacchino in salsa allamoda di Puebla (Messico)”, forse la prima ricetta di stufato alcioccolato mai comparsa sulla faccia della terra, in Italia furo-no serviti piatti con cacao come il “cinghiale in agrodolce”, le“pernici nere”, oppure la “coda vaccinara cardinalizia al cioc-colato” che oggi mangeremo.

Il connubio gastronomico del cioccolato con il pesce milascia perplessa, ma ciò non toglie che esistano alcune parti-colari ricette da non trascurare, come ad esempio “l’aragostaalla catalana al cacao”.

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E per i dolci c’è soltanto l’imbarazzo della scelta.Che altro dire? Ma che i veri intenditori di cioccolato lo di-

vidono in sei gruppi:Cioccolato bianco 30% (burro di cacao)Cioccolato al latte 30% (cacao)Cioccolato mi-doux 38% (cacao)Surfin 50% (cacao)Extra-Bitter 60% (cacao)Amarissimo 70% (cacao)Io preferisco quest’ultimo, il cosiddetto fondente, e le sue

caratteristiche devono essere: lucido, senza macchie, scuro,molto scuro; un buon fondente deve essere quasi rosso e de-ve avere, innanzitutto, un profumo gradevole, vagamente va-nigliato ed intensamente di “cacao”.

Un buon cioccolato fondente deve spaccarsi nettamentequando si mette in bocca. Deve sciogliersi rapidamente. De-ve avere una sabbiosità quasi impercettibile. Una volta sciol-to dovrà lasciare una sensazione di dolcezza che sarà di ve-loce passaggio per lasciar spazio all’acidità del cacao (provadi bassa potassatura) ed all’amaro (segno positivo di bassapercentuale di zucchero).

Sicché occorre sceglierlo con accuratezza e soprattuttosenza “grassi” aggiunti. Leggiamo attentamente le etichetteperché non occorre dimenticare la proposta di direttiva, ap-provata il 16/03/2000 dall’Europarlamento di Strasburgo, checonsente di aggiungere fino al 5% del peso totale del ciocco-lato, materie grasse vegetali diverse dal burro di cacao, comel’olio di palma.

Ma questo è anche uno dei compiti che abbiamo noidell’Accademia Italiana della Cucina, perché l’Italia possacontinuare a vantarsi di essere ancora la “regina del cioccola-to” in Europa.

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D’altronde è soltanto da pochi mesi che una piccola e raf-finata ditta toscana produttrice di cioccolato, l’Amedei ha ac-quistato la piantagione venezuelana dove nasce il più pregia-to cacao del mondo, la varietà Chuao: il cioccolato che siproduce con questo cacao è talmente buono da aver conqui-stato i più grandi chef dell’Italia. Una sorta di ritorno al pas-sato, tenendo conto che anche nel Granducato di Toscana siproduceva cioccolato di qualità, come testimoniava nel se-condo Seicento Francesco Redi sull’uso del “cioccolatte” neipalazzi medicei: “L’uso in Europa del cioccolatte è diventatocomunissimo e particolarmente nelle Corti de’ principi e nel-le case de’ nobili; credensi che possa fortificare lo stomaco eche abbia mille altre virtù profittevoli alla sanità. La Corte diSpagna fu la prima in Europa a ricever tal uso; e veramentein Ispana vi si manipola il cioccolatte di tutta perfezione: maalla perfezione spagnola è stato a’ nostri tempi nella corte diToscana aggiunto un non so che di più squisita gentilezza,per la novità degl’ingredienti europei, essendosi trovato ilmodo d’introdurvi le scorze fresche de’ cetrati e de’ limoncel-li, e l’odore gentilissimo del gelsomino, che mescolato collacannella, colle vaniglie, coll’ambra e col muschio fa sentirestupendo a coloro che del cioccolatte si dilettano”.

MARINA CEPEDA FUENTESAccademica di Roma

(Relazione tenuta in occasione della “Giornata del cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI ALBA-LANGHE

DAL GIANDUIOTTO ALLA NUTELLA

Oscar Wilde ha scritto che le cose buone o fanno male osono proibite. Il cioccolato fa eccezione: meglio appro-

fittarne. La scelta dell’Accademia di dedicare questa serata al“cibo degli dei” è stata davvero ottima, in un periodo così se-gnato da angosce collettive e ansie individuali che ci segna-no tutti. Una parentesi “dolce” è dunque necessaria, godia-mocela in amicizia.

Non abbiamo statistiche aggiornate su questo bruno og-getto di desiderio, specie femminile, ma considerato il suc-cesso di tutte le manifestazioni dedicate a Teobroma Cacao,e la crescita dei consumi individuali (in Italia intorno ai trechilogrammi l’anno pro-capite, ma un terzo rispetto agli sviz-zeri e ai paesi europei del Nord) fanno pensare che anche inquesti giorni le tavolette di cioccolato possano essere usateda molti italiani con scopi compensatori.

Siamo ad Alba, città che ha legato la sua fama internazio-nale a due profumi che si respirano per le sue vie: l’uno è iltartufo, l'altro è la Nutella.

Questo prodotto a volte crea smorfie di disapprovazione,per quel gusto “globalizzato” e per quell’immagine tanto in-dustriale. Vorrei soltanto ricordare che sono usciti persino li-bri con 500 ricette a base di Nutella e che soprattutto questomarchio (diventato mito e merce di culto giovanile) si ricolle-ga alla storia del nostro Piemonte, alla diffusione del ciocco-lato in Italia. Infatti, l’antenato della Nutella è il “giandujot”:come dimostrano le prime sbarre di pasta solida con noccio-le, zucchero, cacao e grassi alimentari uscite dalla bottega ar-

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tigianale di Pietro Ferrero nell’autunno del 1945.E quando si parla di “giandujot” viene subito in mente To-

rino, città da sempre capitale del cioccolato in Italia. Bisognarisalire indietro nel tempo per trovarne le origini. Fu Ema-nuele Filiberto di Savoia (Chambéry 1528-Torino 1580) a por-tare il cioccolato sulle rive del Po, dopo essere stato al segui-to di Filippa II di Spagna e dell’imperatore Carlo V. Il Ducaapprezzò alla Corte di Madrid le virtù del cacao, giunto dalMessico grazie all’impresa di Cristoforo Colombo, e fin dal1557 lo diffuse nei palazzi sabaudi.

Ma fu il carnevale del 1867 a salutare l’arrivo del Gian-dujotto, morbido impasto di cacao, latte, nocciole e mandor-le dedicato alla maschera torinese. In precedenza si fabbrica-va soltanto cioccolato alla nocciola utilizzando il frutto a pez-zetti e non tostato. E l’idea di amalgamare al cioccolato lenocciole tostate viene a Michele Prochet, che nel 1826 avevafuso la propria azienda con quella antichissima dei Caffarel.Pare davvero che l’invenzione della “pasta Gianduja” sia natada uno stato di necessità: Napoleone, con il blocco continen-tale, aveva reso quasi impossibile ai confetturieri piemontesiil rifornimento di cacao i cui prezzi nel frattempo erano salitialle stelle. Così, per continuare a produrre il cioccolato, gliingegnosi subalpini avrebbero pensato di unire al cacao unfrutto di casa: le nocciole. Già nel 1852 Michele Prochet pro-duce questa pasta di cioccolato e nocciole ma solo nel 1865vengono messi in commercio i “Gianduja”, popolarmentechiamati “gianduiotti”.

GIGI PADOVANIgiornalista e scrittore

(Stralcio dalla relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI AVELLINO

BIOCHIMICA DEL CIOCCOLATO

Nelle razioni di guerra del nostro esercito, vale a dire inquelle che sono distribuite ai soldati prima della batta-

glia, vi è una cospicua dose di cioccolato. Potrebbe sembrareche la cioccolata sia distribuita perché costituisce una buonariserva nutrizionale concentrata in una piccola quantità di ci-bo (500 kilocalorie per 100 grammi di cioccolato), ma non èsolo per questo motivo.

Già agli inizi dell’800 Brillat-Savarin aveva affermato: “Lepersone che fanno uso di cioccolata son quelle che godonodi una salute più costantemente uguale e che sono menosoggette a una quantità di piccoli malanni che insidiano laqualità della vita... Chiunque abbia troppo accostato le lab-bra al calice della voluttà; chiunque abbia dedicato al lavorogran parte del tempo destinato al sonno; chiunque essendouomo intelligente si sente momentaneamente svanito; chiun-que non sopporti l’aria umida e l’atmosfera pesante; chiun-que sia tormentato da un’idea fissa che gli toglie la libertà dipensare beva un buon mezzo litro di cioccolata”.

Allora l’arguto gastronomo francese basava le sue asser-zioni soltanto sull’esperienza pratica. Pur non conoscendo ilmeccanismo d’azione, aveva notato che il cioccolato era unvalido aiuto nei momenti di tristezza e depressione.

Le attuali cognizioni di biochimica e di neurobiologia, ciconsentono di dare una spiegazione tecnica di questa feno-menologia. Nel cioccolato sono presenti diverse sostanze psi-coattive. Alcune stimolano le funzioni vitali, altre danno sen-sazioni d’euforia e riducono l’ansietà.

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1) Le due xantine, teobromina e caffeina, contenute nelcioccolato, stimolano il respiro, l’attività cardiaca e la funzio-ne muscolare, tanto che una dose eccessiva di cioccolatopuò avere l’effetto di un doping.

2) La cioccolata contiene il triptofano, che è un ammi-noacido essenziale. Gli amminoacidi essenziali sono sostanzeindispensabili al nostro organismo che devono essere intro-dotte dall’esterno perché non possono essere sintetizzate dalcorpo umano. Il triptofano è il precursore della serotonina.La serotonina è un’ammina piogena. In altre parole appartie-ne allo stesso gruppo delle catecolamine (noradrenalina,adrenalina e dopamina) e dell’istamina. Anche la noradrena-lina e la dopamina sono implicate negli stessi sistemi di rice-zione. La serotonina contrasta la depressione e le turbe delcomportamento.

3) La cioccolata facilita la formazione d’endorfine pro-dotte naturalmente dal nostro cervello. Le endorfine hannouna costituzione chimica simile alla morfina e pertanto dan-no sensazione d’euforia ed attenuano il dolore.

4) La cioccolata contiene anche una modesta quantità difeniletilamina (1 mg ogni etto). Si tratta di una sostanza si-mil-lisergica, che, se assunta in dosi molto maggiori (centovolte), darebbe effetto allucinogeno. Il nostro cervello produ-ce naturalmente la feniletilamina quando si determinano sen-timenti di erotismo e d’attrazione fisica. Dopo aver mangiatouna tavoletta di cioccolato, la feniletilamina raggiunge il cer-vello per via ematica ed agisce come afrodisiaco. Questo fe-nomeno era stato notato nei tempi andati ed il clero, perpreservare il popolo dai peccati, aveva vietato l’uso del cioc-colato. E’ stata pure messa in evidenza la presenza nel cioc-colato del tetraidrocannabinolo (THC) che è un principio at-tivo della marijuana. Il tetraidrocannabinolo ha pure un

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suo equivalente naturale nel nostro cervello, l’anandamide,neurotrasmettitore collegato a forti sensazioni di benessere epicchi d’euforia. Pertanto la cioccolata oltre che indurre pia-cere per la presenza dell’anandamide, riesce a protrarlo per-ché fa perdurare lo stato di benessere e di soddisfazione.

Fu ventilata la pericolosità del cioccolato per la presenzadi sostanze ad effetto cannabinoide. E’ stato invece provatoche le modeste quantità di anandamide contenute nel cacaonon sono in grado di provocare tali effetti. Le concentrazionidi questa sostanza nella cioccolata sono, infatti, bassissime:per ottenere un effetto psicotropo sarebbe necessario ingeri-re l’anandamide in concentrazione 100 mila volte superiorerispetto a quella contenuta nella cioccolata.

MARIO DE SIMONEDelegato di Avellino

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DELEGAZIONE DI BIELLA E VERCELLI

IL CIOCCOLATO IN CUCINA

Da Accademici, non possiamo trascurare l’utilizzo culina-rio del cioccolato. Per motivi di brevità, tralascerei quel-

lo, assolutamente ovvio, dei dolci, anche se non si può di-menticare la regina delle preparazioni di cacao, quella cioc-colata di cui esistono innumerevoli ricette e che oggi apparesmarrita tra cacao solubile e bustine, privandoci così del pia-cere intenso e sottile di aromatizzazioni ormai dimenticate(la cannella, i chiodi di garofano, le mandorle, quando nonaddirittura, alla maniera degli aztechi, il pepe ed il chili).

E poi, le nostre delizie regionali quali il gianduiotto ed il“bicierin” e quelle biellesi, i “canestrelli”, il “palpitum” e, do-verosa menzione, i “coggiolini al rhum”, che pur non essen-do un cioccolatino tipico biellese, da noi hanno raggiuntouna vetta qualitativa notevole grazie alla pasticceria Coggiola,premiata dall’Accademia proprio per questa squisitezza.

Curiosa è invece la cucina salata con il cioccolato, di cuiquesta sera potremo gustare dei golosissimi esempi.

L’utilizzo del cioccolato in cucina è tradizionale in centroAmerica e, soprattutto, in Messico, anche se è controverso sel’uso derivi direttamente dalle civiltà precolombiane, oppurese sia stato introdotto dalla cucina creola.

Per quanto riguarda l’Italia, va innanzitutto precisato chel’utilizzo del cioccolato non è molto diffuso nella cucina tra-dizionale perché, trattandosi quasi sempre di cucina povera,non poteva permettersi l’uso di un ingrediente che è semprestato piuttosto costoso, tanto da essere riservato a classi so-ciali elevate.

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Il cacao in cucina ha innanzitutto un effetto aromatizzan-te: in tal senso è utilizzato come una spezia, in quantità mo-deste, nella preparazione di umidi di carne. Un’aggiunta dicacao si poteva rinvenire nello stufato di asino (il “tapulon”)della zona del Biellese orientale e del Gattinarese.

Nelle paste, poi, all’effetto aromatico si unisce anchequello cromatico, grazie al quale si ottengono impasti scuripiuttosto originali, oltre che particolarmente profumati. Spes-so il cioccolato è utilizzato nei ripieni di agnolotti, tortelli,calzoni, le cui ricette appartengono alla tradizione regionaleitaliana (i “cjalsons” della Carnia), oppure addirittura aggiun-to al brodo nelle minestre (il trentino “pistum”).

Sull’onda del rinnovato e strepitoso successo del cioccola-to, anche la cucina innovativa se ne sta occupando in unmomento in cui, peraltro, si assiste ad una moda prepotente-mente impostasi presso i più celebrati chefs del panoramamondiale, i quali si cimentano in preparazioni in cui si uni-sce al dolce il salato, quando non addirittura il piccante. I ri-sultati sono in linea con la capacità e, soprattutto con il gu-sto, di ogni singolo cuoco. Anche in questo caso, il richiamoalla tradizione è un’autentica pietra miliare, mentre le strava-ganze sono da stroncare senza pietà. Quando accade di sen-tir parlare di cioccolato abbinato al gorgonzola, non si puòche restare perplessi.

ALDO TAVELLAAccademico di Biella

(Stralcio da una relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI CATANZARO

PICCOLO DIZIONARIO DEL CIOCCOLATO

Algerini: Praline di burro di cacao con una copertura di man-dorle e datteri.Alpini: Cioccolatini storici, così battezzati nel 1922 dopo cheun produttore torinese li ebbe fatti assaggiare agli alpiniacquartierati nella vicina caserma ottenedone il consenso.Nell’impasto di cioccolato amaro è contenuto del liquore.Arabelle: Praline a base di cioccolato e nocciole frantumate,più una nocciola intera alla sommità.Barbugliata: Bevanda calda a base di caffè, cacao, zucchero,latte e panna, legata al nome di Domenico Barbaja, celebreimpresario lirico nonché proprietario di un caffè. Proprio nelsuo locale venne battezzata e poi resa celebre la barbugliata,ideata, sembra, dall’estroso uomo di teatro.Boeri: Cioccolatini classici in un involucro di cioccolato fon-dente, con ripieno di ciliegia al liquore (kirsch o brandy).Brasiliani: Praline al cioccolato grattugiato con caffè e man-dorle.Caffè speciale: Volendo rendere il solito caffè veramente spe-ciale, fatevi sciogliere un quadratino di cioccolato al latte. Ilcaffè risulterà cremoso e aromatico, una vera delizia!Champignon: Fungo di cioccolato marrone e bianco, con ilcappello di torrone ricoperto di cioccolato fondente e ilgambo di cioccolato bianco con l’interno di caramello.Chardon bleu: Cardo azzurro originale e seducente, che con-siste in un dolce pralinato di arachidi tostate, ricoperto di cioc-colato bianco finissimo tinto d’azzurro chiaro con un colorantenaturale al mirtillo.

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Conchiglie: Cioccolatini che nel guscio finemente modellatoracchiudono ripieni vari.Copertura (anche rivestimento o blocco): Cioccolato conte-nente maggiore quantità di burro di cacao, che lo rende piùlucido, morbido e liscio. Usato dai pasticceri e dai grandi cuo-chi, ma ottimo anche da mangiare. Viene venduto in blocchi.Crema fondente: Base dei ripieni con panna. E’ fatta di zuc-chero, glucosio, aromi vari o estratti. Il colore di base è bian-co, ma può essere colorata con sostanze naturali o artificiali.Crema tartufo: Ripieno di panna, burro e cioccolato con zuc-chero. Serve come base per i tartufi.Crème fraiche: Panna fresca da montare, lasciata fermentarenaturalmente. Dopo essere stata sbattuta, dolcificata e insapo-rita, viene usata come ripieno di cioccolatini, soprattutto inBelgio e in Francia.Cremini: Cioccolatini a strati sovrapposti, in cui quelli a basedi cioccolato e burro di cacao si alternano a quelli a base dicrema con zucchero, mandorle ecc.Crostata: Per dare un tocco in più alla solita crostata, aggiun-gete alla marmellata di ciliegie o di prugne due cucchiai dicioccolato amaro e due cucchiai di Marsala, mescolando tutto.Decorazioni: Per realizzare decorazioni al cioccolato, versateil cioccolato fuso su carta oleata. Fate rapprendere, poi realiz-zate le forme desiderate.Dragé: Cioccolatino ripieno, rotondo o ovale, che, grazie allaspeciale lavorazione, si presenta particolarmente lucido.Fichi secchi ricoperti: Vi sono rimasti dei fichi secchi.Ammorbiditeli lasciandoli a bagno per ventiquattr’ore in lattepoco zuccherato; dopo averli asciugati, immergeteli nel cioc-colato liquefatto, quindi avvolgeteli in carta stagnola e ripone-teli in frigorifero per qualche ora prima di servirli.Fondere il cioccolato: Imburrate il tegame prima di fondervi

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il cioccolato: lo verserete più facilmente a fusione ultimata.Gianduiotti: Cioccolatini a base di cacao, zucchero, vaniglia enocciole tostate e tritate. Creati in occasione del carnevale del1865, il loro nome deriva dalla maschera torinese di Gianduja.Grappini: Cioccolatini alla grappa.Mozart Kugeln: Specialità di Salisburgo, a forma sferica, concuore di marzapane al pistacchio, circondato da crema allanocciola e ricoperto di cioccolato fondente.Noci: Cioccolatini in cui, sul gheriglio di una noce, si modellala copertura in cioccolato, generalmente al latte.Perle d’oro: Vero gioiello di cioccolato avvolto in alluminiodorato, composto da morbida crema tartufo racchiusa in unguscio di torrone croccante ricoperto da uno strato di ciocco-lato al latte.Polvere di cioccolato: Se dovete realizzare della polvere dicioccolato, mettetelo in frigorifero per circa un’ora primadell’uso, in modo da ottenere un blocco solido che non sisciolga e non diventi gommoso durante la preparazione. Ora,semplicemente, grattate fino a ottenere la quantità desiderata.Una grattugia, tipo quella per il parmigiano, andrà benissimo:appoggiatela su un recipiente in modo da non perdere nean-che un granello della preziosa sostanza. Oppure, se avete unarobot multiuso, potete usare le lame rotanti ma, attenzione, ilcioccolato deve essere abbastanza morbido da poter esseretagliato con un coltello affilato. Tagliatelo a pezzi, per poterloinserire nel tubo del robot e fate girare le lame finché il cioc-colato non sia finemente sminuzzato.Pralina: Oggi questo termine può avere due significati. Ilprimo, più spesso “praline”, alla francese, si riferisce a un cioc-colatino di ottima qualità e dei tipi più diversi; il secondo a undolcetto particolare, chiamato anche pralinato, a base di man-dorle o nocciole finemente macinate e zucchero caramellato,

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usato anche come ripieno per dolci. La pralina è moltoapprezzata da chi ha un debole per il gusto di mandorla tosta-ta. Si dice che nel 1671, il duca francese maresciallo Plessis-Preslin, noto buongustaio, stesse aspettando il dessert dopo ilsuo pasto serale. Intanto, in cucina, un garzone maldestroaveva fatto cadere a terra una scodella di mandorle tritate. Ilcuoco, mentre lo stava rimproverando, versò inavvertitamentedello zucchero caramellato bollente che finì proprio sullemandorle. Ormai tutti gli ingredienti erano andati perduti, percui il cuoco disperato, decise di servire al duca quell’insolitodolce. Questi apprezzò moltissimo, al punto che decise imme-diatamente di prestare a questa squisitezza il proprio nome.Riccioli di cioccolato: I riccioli di cioccolato possono servireper vane guarnizioni, e per fortuna, anche se di grande effet-to, non sono difficili da realizzare. Basta prendere del ciocco-lato amaro o semi-amaro e farlo ammorbidire lasciandolo unpo’ in ambiente caldo (circa 27°C), perché, se il cioccolato ètroppo duro, i riccioli si spezzano. Poi, con un pelapatate oanche un coltellino, fate una piccola tacca e, muovendovi nelsenso della lunghezza, tagliate una fettina che si trasformerà inun ricciolo lungo e ben fatto. E’ importante ottenere striscesottili e procedere senza scatti: in questo modo otterrete esem-plari particolarmente belli e decorativi.Rochers: Cioccolatini a forma di roccia in miniatura, in cui ilcioccolato fondente copre un impasto di nocciole tostate.Scorze d’arancio: Cioccolatini in cui la descrizione del ripie-no è nel nome, cui va aggiunta però la qualificazione di can-dite; l’involucro è cioccolato fondente.Tartufi: Praline realizzate con cioccolato, burro di cacao,crema di latte e zucchero.

(Stralcio da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”).

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DELEGAZIONE DI CITTÀ DEL MESSICO

IL DOLCE-FORTE DAGLI AZTECHI ALLA TOSCANA

Il cioccolato, narra la leggenda, era la bevanda delle anti-che divinità messicane che stava al “Giardino della Vita di

Tollan”, mitica residenza degli Dei aztechi, come l’ambrosia eil miele stavano stavano all’Olimpo greco.

Il mito racconta che Quetzalcoatl, eroe culturale di questaciviltà venuto da Tollan, aveva donato agli uomini, rubando-la agli altri dei, la pianta del cacao, chiamata cacau-quauitl,dalla quale si ricavava una bibita deliziosa e spumeggiantechiamata chocoatl (il ch si legge come la c dolce in italiano).Questo termine, a mio avviso, deriva dal nahuatl “acqua chepiange” (choca-atl = piange-acqua), in quanto per prepararequesta bibita dal sapore leggermente piccante e renderlaspumeggiante la si doveva travasare più volte da un reci-piente a un altro, distanti tra loro in altezza, in modo che nelcadere si riempisse d’aria, formando così la schiuma; il trava-so costituirebbe il piangere dell’acqua da un recipiente all’al-tro. Gli dei per vendicarsi inviarono il dio Tezcaltlipoca, ilquale offrì al nostro eroe culturale una bevanda alcolica abase di succo d’agave, dicendogli che lo avrebbe reso alle-gro, ma Quetzalcoatl si ubriacò e preso dalla vergogna e dalpianto si gettò nel mare e scomparve. Da qui deriva chequando arrivò Hernán Cortés da quello stesso mare con ca-valli e enormi imbarcazioni, gli Aztechi che non avevano maivisto tali prodigi, lo scambiassero per Quetzalcoatl e lo te-messero come un dio, permettendogli di conquistare il loroimpero con un drappello di uomini.

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Il cioccolato, questo meraviglioso dono degli Aztechi almondo, arrivò sulle tavole fiorentine già nel XVI secolo por-tato dai missionari che tornavano dalla Nuova Spagna abitua-ti a catalogare tutte le spezie e piante rare a scopo medicina-le. Infatti il cioccolato, utilizzato misto a peperoncino rossopiccante come nell’uso originario e come si può trovare an-cora oggi a Ragusa, faceva parte dei cibi preferiti da CaterinaDe’ Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico. In effetti uno deipiatti preferiti di Caterina era proprio la lingua in salsa dolce-forte, di cui il cioccolato è un ingrediente dal XVI secolo inpoi, come è citato nel libro dedicatole da Leo Codacci “Cate-rina De’ Medici – Le ricette di una regina”. Questo ingredien-te che presumibilmente Caterina avrà portato con sé insiemeallo stuolo di cuochi che si portò a corte, andando in sposaquattordicenne a Enrico d’Orléans, il futuro Enrico II (1533)è probabile che si diffonda proprio da Firenze alla Francia eda lì al resto d’Europa. Anche se l’uso del cioccolato in que-sto piatto non fu gradito dai francesi, si sa che dalla salsa dol-ce-forte ebbe origine “il civet di lepre” come dal “papero almelarancio” ebbe origine “le canard a l’orange”: ad ammetter-lo sono i più famosi cuochi francesi (La Varenne, De Masse-liet, Valet, De La Chapelle, Carême, Escoffier) che descrivonoCaterina come una buongustaia che portò in Francia: l’usodelle salse, l’olio d’oliva, le crespelle, gli spinaci, i fagioli, i pi-selli, l’uso di cucinare i volatili all’arancio e tanti piatti che poisi imposero nella cucina internazionale come francesi. JeanOrieux nel libro dedicato a Caterina afferma: “Proprio i fio-rentini hanno riformato l’antica cucina francese di tradizionemedioevale; ad essi risale la cucina francese moderna”.

A questo punto sappiamo che se Caterina si portò i fagioliche arrivavano dall’America è presumibile che si sia portata ilcioccolato, ingrediente della sua salsa favorita, da cui derivò il

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“civet”; si confermerebbe l’arrivo precoce del cioccolato sulletavole francesi. Del resto, vi è testimonianza che sulle tavole diCosimo de’ Medici arrivasse anche la gallina d’india, cioè iltacchino che da sempre imbandiva le tavole azteche.

Ed ora veniamo al dolce-forte, questa salsa semplificata eprivata del peperoncino verso la fine dell’800 dal relativa-mente moderno Pellegrino Artusi, ha in realtà origine nellacucina della Siena medioevale, dove era arricchita di tutte lecostose spezie venute dall’oriente che i ricchi banchieri sene-si del XIII secolo – i Piccolomini, i Salimbeni e i Buonsignori– frequentatori di fiere internazionali, portavano dalle Fian-dre e pagavano come censo alla Chiesa.

I frati idearono l’uso delle spezie come conservanti dellemedicine che producevano grazie alle loro conoscenze di er-boristica, ma poi scoprirono che le cosiddette droghe pote-vano servire oltre che per coprire i sapori delle carni, chetendevano ad inacidirsi per mancanza di refrigerazione, an-che per conservarle meglio; da questa tecnica derivano lecarni secche pepate; le droghe divennero così l’emblemadella cucina raffinata ed elegante, passando dalle farmaciedei conventi alle tavole, prima dei Senesi e poi dei Fiorenti-ni, quando questi ebbero il sopravvento su Siena (1269) nel-la battaglia di Colle Val d’Elsa.

Verso la fine del ’300 compare un vero e proprio libro dicucina di un cuoco toscano, forse fiorentino, nel quale con iltitolo “Libro della cocina” sono raccolte 57 ricette, che rap-presentano la più antica e la più organica testimonianza dellaletteratura gastronomica italiana. Tra queste si trovano variericette di “savori” dove figura il “dolce forte”, descritto comeuna salsa che si ottiene dalla cottura di carni, in cui al condi-mento si aggiungono mele, castagne, uva, susine, succod’arancia, semi d’anice, miele d’acacia, aceto e, dal secolo

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XVI, grazie ai cuochi di Caterina, perfino la cioccolata.Ora se ci si domandasse perché mai ai cuochi di Caterina

fosse venuto in mente di aggiungere la cioccolata al dolce-for-te, la risposta verrebbe di primo acchito se si sapesse che la ri-cetta più rappresentativa dell’antica cucina messicana è unpiatto di tacchino o di cinghiale, perfezionato poi dalle suoredei conventi di Puebla, bagnato in una salsa chiamata mole(macinato), a base di cioccolato, vari tipi di peperoncini pic-canti, frutta secca, pomodori (tomatl in Nahuatl), semi di sesa-mo e spezie. Se ne deduce, quindi, che la ricetta di questa sal-sa deve essere arrivata insieme ai monaci missionari e questi,ravvisandone la rassomiglianza con il dolce-forte e non aven-do a disposizione tutte le varietà di peperoncini di cui si com-pone la ricetta preispanica, né tutti gli ingredienti, ne abbianofatto un fantasioso connubio con il dolce-forte in onore dei le-ziosi e sofisticati banchetti dei Medici. Il Vasari ci fa sapere cheper organizzare la coreografia di questi banchetti fu fondata“la Compagnia del Paiolo” alla quale aderirono dodici artistitra i quali Andrea del Sarto e scopriamo così che si servivano“trionfi di carni, di selvaggina, di pesce, di affettati e grandeabbondanza di salse e di savori: salse verdi, dolceforte, pepo-sa, agresto di pinoli e di tartufo”.

Il dolce-forte, con l’aggiunta della cioccolata dal XVI secoloin poi, rappresenta quindi l'unione gastronomica di due mon-di: è un sapore antico e raffinato, che richiede palati raffinati,per cui in onore di Lorenzo e Caterina proponiamo un brindi-si: “Chi vuol esser lieto sia, del diman non v’è certezza!”.

ISABELLA SPAGNUOLO BORGIAAccademica di Città del Messico

(da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI CITTÀ DEL MESSICO

UN DONO DEL MESSICO AL MONDO

Nel loro momento di maggior splendore, i Maya prevalse-ro nelle arti ed in molti campi del sapere, molto al di là

dei loro contemporanei, compreso il Vecchio Mondo. Aveva-no conoscenze profonde che abbracciavano tutti gli aspettidella vita, tanto in terra quanto in cielo; si distinsero in astro-nomia, agricoltura e scrittura. Ma si concentrarono particolar-mente nel campo della matematica. La loro numerazione eravigesimale ed i segni più utilizzati furono il punto e la barra,ma la scoperta più importante fu la creazione dello zero ed ilvalore della posizione dei segni (nel Vecchio Mondo appari-ranno all’incirca mille anni dopo). A questi geni della mate-matica dobbiamo anche la scoperta del cacao.

Fin dalla sua origine, il cacao è stato legato intimamentealla vita, alla nutrizione, ed al potere in Centro America e viha conservato il suo valore simbolico per oltre duemila anni.La storia del cacao risale a molti secoli prima della scopertadell’America. Si crede che questa meravigliosa pianta sia fio-rita al tempo della cultura Olmeca, madre della civiltà cen-troamericana. Era infatti conosciuta, sulle coste del Tabasco,fin dal XV secolo prima di Cristo. Si presume che il primouso che se ne fece sia stato quello di una bevanda cerimo-niale. Però soltanto attorno al II secolo dopo Cristo nella re-gione di Izapa (Chiapas), alla frontiera con il Guatemala, iMaya, considerando l’alto valore del cacao, lo utilizzaronocome moneta. In questo modo, grazie al commercio, il cacaofu conosciuto in tutto il Centroamerica. Ai Maya si deve poila conoscenza e l’utilizzo del cacao (o “sugo amaro”). A que-sta parola i Nauha aggiunsero la parola “atl” che significa

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“acqua” e questo ci fa risalire con certezza al primo Quetza-coatl della cultura Nahua.

La storia del cioccolato sarebbe diversa senza i Maya. Essicome nessun altro conobbero le qualità del cacao. Per que-sto non lesinarono gli sforzi per favorire e controllare la pro-duzione di questa pianta ed ottennero grandi successi fino alXVI secolo, quando giunsero gli spagnoli i quali non tardaro-no ad apprezzare questo prodotto locale. I Maya, poi, favori-rono l’uso del cacao come moneta: in poche parole, chi ave-va cacao poteva ottenere qualsiasi cosa. Le radici che forma-no il vocabolo “cioccolato” provengono dalle parole “xoco-tl”, che significa frutta, e da “atl”, cioè acqua: “acqua di frut-ta”. Il vocabolo più usato dagli indios Mexica era “xocoatl”,cioè “acqua di cacao”.

L’impiego gastronomico più importante del cacao, secon-do quanto ci è dato conoscere, era una bibita rinfrescante,leggermente amara, che si otteneva macinando i grani delcacao. Gli Aztechi avevano l’abitudine di condire il cacaocon fiori aromatici, spezie e grani di mais tostati. Tra questiingredienti c’erano la “tlilxochitl”, o fiori di vaniglia, il “xochi-nacaztli”, arbusto dal soave profumo molto aromatico; il“mecaxochitl” spezia aromatica che profuma ed è di sollievoal fegato e la “cacahuaxochitl”, cioè il fiore del cacao, e altrifiori tropicali aromatici. Talvolta univano la radice del “ca-cahoapatli”, la cui proprietà era quella di far aumentare laschiuma del “cacaoatl”. Si aggiungevano anche miele di apiselvatiche oppure “achiotl”, sostanza che dà un colore rosso,ed il “chili”, con il quale si otteneva un sapore piccante e sti-molante.

Il nome di questa bevanda è “atlextli”, cioè “pasta annac-quata”. Prima di berla, si deve versare in una bacinella dauna certa altezza, in modo che si generi la schiuma e venga-

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no alla superficie i grassi rimasti in fondo, e quindi prenderlacon un cucchiaio di legno.

In origine, si attribuivano a questo nettare proprietà afro-disiache e finora non si è provato il contrario.

Il burro di cacao è meraviglioso ed ha una proprietà di-versa dalla maggior parte degli oli vegetali o di semi: è soli-do a temperatura ambiente ma ha la facoltà di sciogliersi allatemperatura corporea. E’ un emolliente straordinario, insolu-bile nell’acqua. Queste caratteristiche lo convertono in uncosmetico molto versatile. Si dice che questo olio è una ma-no santa per molti mali, dolori e piaghe. E si afferma ancheche è un olio eccellente per cucinare e mangiare ma ottimoanche per risanare le ferite.

Importantissimo è stato il contributo del Messico pre-ispa-nico a tutto il mondo. Certamente i primi a saperlo furono glispagnoli, i conquistadores, i religiosi ed i sacerdoti della ge-rarchia ecclesiastica. Senza dubbio, con il tempo, anche i ric-chi creoli, poi anche i meno ricchi meticci. Il Messico deveanche sentirsi enormemente orgoglioso di avere contribuitoall’arricchimento della cultura gastronomica a livello univer-sale, con l’apporto della vaniglia, perché parlare di cacao edi cioccolata senza parlare della vaniglia è davvero impossi-bile poiché sono legati sia nell’uso che nella loro stessa vita,in accordo con l’armonia cosmica che tanto cercavano le cul-ture pre-ispaniche.

MARTHA FIGUEROA DE DUENAS

(da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI CORTINA D’AMPEZZO

LA MERENDINA

Ne la “Merendina”, dedicata a sua eccellenza Missier Alvi-se Pisani Kavalier e Procurator de San Marco (Venezia

1733), Santo Bragozzi, a conclusione di un lunghissimo pa-sto, scriveva testualmente:

... Mi no podeva pi,per quella gran bondanza,la gera cosa da sciopar la panza.E acciò che la sia fatta, i ha dà la chiocolatta,che ve dago parola,che m’ho brusà la gola ...

A Venezia il cacao era di gran moda e la cioccolata si pre-parava con l’aggiunta di varie spezie, soprattutto cannella, inmodo da dare maggiore vigore e sapore ad una bevanda al-trimenti troppo amara e lontana dal gusto dei palati lagunari.

Il successo divenne travolgente agli inizi dell’Ottocento,quando in Inghilterra comparve sotto la comoda ed econo-mica forma di tavoletta, conquistando così tutte le classi so-ciali.

(dalla brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI CORTINA D’AMPEZZO

LE DATE DEL CIOCCOLATO

1728. Joseph Fry, a Bristol, è il primo ad usare un marchingegno idraulico.

1746. Nasce in Inghilterra il primo club per patiti del cioccolato, The Cocoa Tree. E si scambiano le ricette: latte al posto dell’acqua oppure aggiunte fantasiose: uova, vino, liquori.

1765. James Baker con un cioccolatiere irlandese, appena sbarcato negli Stati Uniti, dà vita al marchio Walter Baker.

1780. Il cioccolato è prodotto meccanicamente a Bayonne, in Francia.

1796. A Bologna Majani apre il primo negozio, un chocolate shop.

1819. Francois Luis Cailler produce la prima tavoletta di cioccolato: la sua fabbrica, a Corsier, è anche la prima della Svizzera.

1828. L’olandese Van Houte, utilizzando una speciale pressa che spreme il burro di cacao dai chicchi, inventa il cacao in polvere.

1830. L’elvetico Charles-Amedé Kolher crea il cioccolato alle nocciole.

1831. L’inglese Johnn Cadbury produce a Birmingham un suo cioccolato.

1832. L’austriaco Franz Sacher inventa la celebre torta al cioccolato.

1846. Joseph Fry crea la prima tavoletta di cioccolata dessert.

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1849. L’italiano Domenico Ghirardelli, attirato in California dalla febbre dell’oro, apre una fabbrica di cioccolato a San Francisco.

1875. L’elvetico Daniel Peter, con l’aiuto di Henry Nestlè, re del latte condensato, inventa il cioccolato al latte.

1879. Rudolph Lindt perfeziona in Svizzera il procedimento di concaggio e dà vita al cioccolato fondente.

1901. Suchard lancia il cioccolato al latte Milka; Majani il “Fiat Cremino” dai quattro sapori di cioccolato fusi insieme.

1908. L’elvetico Jean Tobler crea con miele e mandorle il Toblerone, tavoletta di forma triangolare che ricorda le Alpi.

1911. A Takoma (Washington) Frank Mars dà il suo nome alle popolari barrette.

1913. In Belgio Jean Neuhaus sviluppa il primo cioccolato ripieno, la pralina.

1913. In Svizzera Alexis Sèchaud commercializza il cioccolato ripieno.

1915. Jean Neuhaus registra il suo “ballotin” di praline.1922. Francesco Buitoni inventa i “Baci”

del marchio Perugina.1925. Il belga Charles Callebaut crea per primo il cioccolato

di copertura.

(dalla brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI CREMONA

UN POEMETTO PER IL VESCOVO

Nei primi anni del Settecento la cioccolata è una bevan-da di gran moda in città: la si gusta nei salotti delle ric-

che famiglie cremonesi, nelle Accademie, nei Circoli privaticome il Casino di Conversazione dove “una chicara di cioc-colata in bevanda” costa soldi 25 mentre “un tazzino” di theo di caffè con zucchero di Madera si può acquistare per ap-pena 12 soldi.

L’introduzione della cioccolata nei rituali sociali trovò unestimatore convinto in Francesco Arisi (1657-1743), uno deipiù grandi storici cremonesi del Settecento, che nel 1719 ave-va aperto a Cremona una “Colonia arcadica” ospitata nel Pa-lazzo Vescovile. Proprio al Vescovo Litta, che assisteva alleriunioni e alle esercitazioni letterarie degli Arcadi, è dedicato“Il cioccolato”, un poemetto in versi in cui si fanno le lodidella “bevanda delicata cui si apprestano le coppe nelle piùmaestose stanze dei principi e dei prelati più venerabili”.Non è sconveniente la dedica al Vescovo perché, scrive l’au-tore, “il cioccolato o sia cioccolata... la forestera bevanda... èsi soavemente posta in uso dal fiore delle persone d’ognisesso tanto sul mattino, quanto dopo il pranzo o per torna-gusto o per sigillo dello stomaco e per finire in ogni ora del-le conversazioni”.

Non vi è luogo o contrada d’Europa in cui gruppi di gen-tiluomini non lo consumino: è un composto prelibato dove ilcacao delicato si sposa alla vaniglia ed ha il potere di placareogni male, di saziare fame e sete, di corroborare, rinforzare ilcorpo e lo spirito.

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Ecco come si deve preparare e poi gustare una buonacioccolata:

“... con acqua confacevolee con foco bisognevoleben si frulli e ben si acconcisi riceva,poi si bevaa seder comodamentedi facezie circolando”.

Francesco Arisi lancia le sue invettive contro chi fa un usoscorretto del cacao: guai a chi nella preparazione sbaglia ledosi, toglie o altera qualche ingrediente; guai a chi si sporca ilnaso col tabacco da fiuto prima di berne; guai a chi soffia viastupidamente la schiuma dalla tazza, o si serve del cioccolatoper brindare, o lo corregge con brandy, o lo beve con il bro-do, o vi inserisce tuorlo d’uovo o lo mischia “col caffè ocoll’acqua d’erba the”. Ma non approva neanche i cuochi cheuniscono il cioccolato ai pasticci di carne, alle torte salate:

“Certo cuoco a cui mancatoil formaggio era in cucinasovra nobil polentinadispensò, ben grattugiatobolli due di cioccolato ...desinando in un convitol’assaggiai fatto in salsetta ...nel torrone già s’è postonelle torte ha il primo loco:anzi un dì spero che il cuococolle quaglie il metta arrosto”.

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Dopo tante critiche sull’uso errato, l’Arisi innalza le suelodi al cioccolato “egregio e raro” di cui dice di far largo usonella sua casa, offrendolo agli amici che, a loro volta, gene-rosamente ricambiano quando è loro ospite, così che si man-tiene salda e s’accresce la loro amicizia.

Un secolo dopo (1861), una “Guida commerciale” rilevache “ad ogni passo che si mova nella città di Cremona si in-contrano pasticcerie e caffè con offelleria, indizio questo cheè città distinta per dotte ghiottornie” e ricorda infine “la per-fezionata fabbrica di cioccolata da competere colle miglioridi Milano” unita al negozio del confetturiere Ratti.

“Il Corriere cremonese” il 4 novembre 1863 è d’accordosulla “dolcezza” di Cremona e osserva che i numerosi negozirispondenti “alle delicature zuccherine ed alla golosità deitempi” aggiungono “decoro alla nostra città la quale non acaso dai forestieri la si va dicendo un bello e dolce soggior-no”.

(da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI MACERATA

ATTENTI ALLE ETICHETTE

Per quanto riguarda la normativa sul cioccolato è necessa-rio partire da alcune premesse. Secondo la normativa vi-

gente, anche in Italia e con il cioccolato è possibile prepara-re e commercializzare alimenti che contengono cioccolato edaltri ingredienti i più diversi, denominandoli nei modi piùdifferenti (nocciolato, praline, ecc.).

In Italia vi era e vi è la normativa che il termine cioccola-ta, con le diverse denominazioni (fondente, al latte, cioccola-to bianco, ecc.) è riservata solo alle produzioni che conten-gono esclusivamente cacao e grassi da questi derivati, o ag-giunta di grassi del latte, per la cioccolata al latte.

Secondo la normativa europea, che garantisce la liberacircolazione delle merci, è possibile commercializzare in tuttal’Unione Europea qualsiasi prodotto confezionato secondo lenorme del paese produttore e gli altri stati dell’Unione Euro-pea possono proibirne l’introduzione nel loro territorio solose si dimostra un pericolo, soprattutto di tipo sanitario.

Nell’Unione Europea vi erano e vi sono alcuni Stati i qualihanno una legislazione che permetteva e permette di pro-durre e commercializzare con la denominazione di cioccolatae che contengono piccole quantità di grassi vegetali diversida quelli del cacao o burro di cacao.

Analogamente a quanto era avvenuto per la pasta (che inItalia poteva essere prodotta solo con semola di grano duroed in altri paesi dell’Unione Europea anche con farina di gra-no tenero) impedire di commercializzare in Italia cioccolatodi produzione estera e contenente grassi diversi da quelli del

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cacao è stato ritenuto un ingiustificato protezionismo.La tanto discussa normativa europea sul cioccolato in so-

stanza è la seguente. Viene riconosciuta la possibilità di com-mercializzare in tutto il territorio dell’Unione Europea ciocco-lato che contiene ben determinate quantità di grassi diversida quelli del cacao di origine vegetale ben specificata.

È obbligatorio che i grassi aggiunti siano indicati in eti-chetta. E’ questa una novità estremamente importante, inquanto prima non era necessario! E’ ovviamente possibilecontinuare a produrre cioccolata senza aggiunta di grassi ve-getali diversi da quelli del cacao.

In conclusione ed in un mercato globalizzato, oggi il con-sumatore è più protetto, ma deve essere più attento, in quan-to deve imparare a leggere le etichette e quindi essere edu-cato a scegliere.

Con la normativa vigente sulla pasta è possibile venderein Italia pasta di grano tenero, che non è pericolosa per lasalute, ma fa colla, è “cattiva” da un punto di vista gastrono-mico e per questo non ha e non avrà un mercato presso unconsumatore avvertito come l’italiano.

In modo analogo, se il consumatore sarà educato benesceglierà la cioccolata preparata con solo burro di cacao sen-za grassi aggiunti. La possibilità di differenziare i due tipi dicioccolata sarà senz’altro un punto di vantaggio per chi pro-duce cioccolata all’italiana, come è avvenuto per la pasta!

VINCENZO PERINIAccademico di Macerata

(da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI MARSALA

PSICOLOGIA DEL CIOCCOLATO

Il mitico oro marrone, afrodisiaco e scaccia malinconia, tan-to buono da commuovere, seducente toccasana che val

bene qualche chilo di troppo, è disponibile in un’amplissimagamma di versioni. Fondente, ripieno, bianco, pralinato, conle noci, col caffè; c’è n’è per tutti i gusti.

Il tipo di cioccolato preferito è indicativo del carattere. Lapreferenza per l’uno o per l’altro tipo rivela infatti il caratteredella persona che lo sceglie e così:

Coloro che preferiscono il cioccolato bianco.Tutti i poteri dell’universo sarebbero pronti a sostenerli,

se solo sapessero che cosa vorrebbero dalla vita.Vedono sempre le due opposte facce di un problema.

Questo può renderli incerti nello scegliere e giudicare, mauna volta che abbiano preso una decisione la forza è con lo-ro.

Coloro che preferiscono il cioccolato al latte.Amano vivere nel ricordo del passato, rimpiangono la

dolcezza dell’infanzia, l’assenza di conflitti, momenti di feli-cità in cui tutto sembrava semplice e chiaro e si sentivano inperfetto accordo con il mondo.

Coloro che preferiscono il cioccolato fondente amaro.Guardano sempre al futuro, non in passiva attesa di quel-

lo che può portare, ma domandandosi che cosa possano fareperché sia migliore e più interessante del passato. Hanno

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una mente attiva, fertile di idee sempre nuove. Benché perloro il passato sia pagina chiusa, a volte raccolgono oggettid’arte, il che può indicare amore dei possessi materiali.

Coloro che preferiscono il cioccolato extra fondente o amarissimo.

Hanno l’animo del conoscitore, capace di distinguere ilmeglio in tutti i campi della vita e dell’attività umana e nelloro campo sono creativi di alto livello. Questo può renderliun po’ dittatoriali, un po’ insofferenti o anche condiscendentinei confronti delle persone che non sono all’altezza delle lo-ro esigenze.

Chi preferisce il cioccolato di qualunque tipo.È perché gli piace il cioccolato, purché cioccolato sia, dal

bianco all’amaro, all’amarissimo. Sono persone flessibili,adattabili, capaci di vivere con chiunque e di sopravviverenelle situazioni più diverse. Sanno tenere il passo coi tempi eaccettare ogni cambiamento e novità. Anche perché non glipiace essere lasciati indietro.

GIACOMO PELLEGRINODelegato di Marsala

(Stralcio dalla relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI MARSALA

CONOSCERE IL CIOCCOLATO

Per l’acquisto di un buon cioccolato si devono prendere inesame il suo aspetto, il profumo, il tocco ed il sapore. Il

cioccolato fondente dovrebbe presentarsi: liscio, lucente, di co-lore mogano scuro, non dev’essere troppo dolce, deve inveceessere friabile al momento della sua rottura.

Se si scheggia significa che è troppo secco, se resiste allarottura vuol dire che è troppo morbido e quindi che non è sta-to conservato adeguatamente. Se, trattenuto in mano, tende asciogliersi rapidamente significa che contiene una buona per-centuale di burro di cacao.

In bocca deve risultare morbido e senza granuli e dovrebbesciogliersi all’istante. Nel sapore il cioccolato racchiude unamoltitudine di aromi che si devono sviluppare in maniera per-sistente e duratura: l’amaro ed un pizzico di acidità, oppure ildolce con retrogusto di cacao, ananas, banana, vaniglia e can-nella. Per scegliere un prodotto di qualità, oltre ad affidarsi alnome del produttore, è importante saper leggere le etichette.Spesso nelle etichette troviamo le diciture “solids” o “liquor”con cui viene indicata la quantità di cacao e di burro di cacaopresenti nel prodotto.

Quando il valore di questi indicatori supera il 50% significa,nel cioccolato fondente, che si tratta di un prodotto di qualità.Nel cioccolato al latte tale valore si abbassa al 30%. Un altocontenuto di zucchero è la spia di un corrispondente bassocontenuto di cacao.

Tra gli ingredienti del cioccolato comune compare spesso lalecitina, un emulsionante derivato dal tuorlo d’uovo o dai semi

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di soia, che se presente in quantità superiori all’1%, deve farsospettare sulla qualità del prodotto.

La lecitina stabilizza il cioccolato, che assorbe meglio l’umi-dità. Per quello che concerne gli aromi, se compare nell’elencodegli ingredienti “l’estratto di pura vaniglia” essa denota un’ele-vata qualità, mentre se figura la “vanillina”, o altro aromatizzan-te generico, è probabile che il cioccolato sia di scarsa qualità.

L’uso dei grassi vegetali diversi dal burro di cacao, consenti-to dalla nuova normativa comunitaria, certamente non migliorale qualità del nostro amato cioccolato. Essi vengono usati comesostituti a buon mercato del burro di cacao. Le frodi più fre-quenti si riscontrano nella produzione di cioccolato con l’ag-giunta di polvere di cacao scadente o anche nell’addizione difecola di patate, di amido di castagne o di polvere ottenuta ma-cinando i gusci dei semi del cacao.

L’alterazione più comune avviene a carico dei grassi chepossono irrancidire a contatto dell’aria, soprattutto se conserva-ti in ambienti caldo-umidi. Quest’alterazione si manifesta conl’affioramento del burro di cacao in superficie che determina lacomparsa di macchie biancastre e di odore sgradevole.

Il cioccolato teme il caldo e l’umidità e va conservato inluogo fresco, asciutto e buio ad una temperatura di circa 16-18°C e un’umidità del 40-50% e dev’essere separato attenta-mente dai cibi fortemente aromatici, in quanto come tutti igrassi, tende ad assorbire gli odori. L’affioramento del burro dicacao, causato dal caldo, non comporta alterazioni organoletti-che, mentre l’umidità è più dannosa in quanto provoca l’affio-ramento dei cristalli di zucchero che formano una patina grigiache deteriora anche il sapore del prodotto.

ENZA PELLEGRINODocente di Scienza dell’Alimentazione

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DELEGAZIONE DI MESTRE E TERRAFERMA

I BAGAGLI DELLE PRINCIPESSE

Fra le varie teorie (a volte in contrasto fra loro) del viaggiodel cacao in Europa si cita, comunemente, quella secon-

do la quale la figlia di Filippo II di Spagna, Anna d’Austria(1601-1666), Infanta data sposa a Luigi XIII, re bambino, chela sposò nel 1615, portò alla corte di Francia il cioccolato.Tutto questo è materiale per letture affascinanti (ricordiamoche la suocera dell’Infanta era la terribile Maria de’ Medici,che il ministro era il Cardinale Richelieu e che AlessandroDumas scrisse di tutti questi intrighi di corte) ma non vi sonoprove certe di questo.

Così come un’altra teoria che vede il passaggio del cacaodai monasteri spagnoli a quello dei confrères francesi comedono è certamente possibile ma non documentata.

Vi è, per contro, una prova certa del passaggio del cacaodalla Spagna alla Francia: lo scrittore Bonaventure d’Argon-ne, nel suo “Mélanges d’Historie et de Littérature” del 1713precisa che “non è da molti saputo che il Cardinale di LioneAlfonse Richelieu (fratello maggiore del politico) è stato ilprimo ad usare questa droga (sic!) in Francia”. Lo usava permitigare “i vapori della sua malinconia ed aveva avuto il se-greto da alcuni monaci spagnoli che l’avevano portata inFrancia”. Il periodo è circoscritto agli anni 1640/1645.

Ed in un altro scritto si precisa che, nel 1642, questo Car-dinale di Lione chiese ad un medico famoso di Parigi, RenéMoreau, notizie sulle proprietà terapeutiche del cioccolato.

Sia come sia, resta assodato che il cioccolato viaggiò inuna cassa assieme ad un’altra principessa spagnola, Maria

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Teresa, che nel 1660 sposò Luigi XIV.Assieme a lei viaggiava anche la damigella Molina, che di-

venne la sola autorizzata a preparare il cioccolato per i So-vrani. La regina amava tanto il cioccolato da dire che era unadelle sue due grandi passioni: l’altra era il suo Re. Peccatoche non fosse ricambiata di tanto amore, dato che Luigi pre-feriva a lei Madame de Maintenon, che divenne, alla mortedi Maria Teresa, sua moglie segreta.

Il Re era amante del lusso, molte volte stravagante, dellasmisurata prodigalità ed amava il cioccolato al punto che ve-niva regolarmente servito in occasione di tutte le funzionipubbliche, oltre che nella “quotidianità” della sua corte, alpunto da farla divenire entusiasta. Ed anche il Cardinale Ma-zarino, successore di Richelieu, era grande appassionato dicioccolato.

Verso la fine del secolo, lo “stile francese” si è già sostitui-to a quello spagnolo ed il cioccolato, in questa eleganza ro-cocò, diviene la bevanda dell’aristocrazia, uno status symbolcome la lingua, la tabacchiera ed il ventaglio.

Nascono nuove mode; l’occasione nella quale gli aristo-cratici preferiscono bere la cioccolata è la prima colazione: lasi gradisce nei “boudoir” o a letto. Numerosissime illustrazio-ni dell’epoca mostrano quello stato intermedio fra il giacereo lo stare in piedi: è il risveglio mattutino di una classe dedi-ta al dolce far niente. E la pittura ritrae, allo stesso modo del-le scene arcadiche e pastorali, una classe che sembra viveresolo per l’alcova e le feste. Lo spirito erotico-gioioso del tem-po è raffigurato dalle cioccolate mattutine preferibilmente aletto o, almeno, in “negligé”. Un quadro di Nicholas Lancretmostra infatti la scena della toeletta mattutina alla quale par-tecipano l’abate ed il cicisbeo, mentre si beve cioccolata.

E la raffinatezza sensuale del cioccolato non poteva non

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essere accompagnata da grande delicatezza ed eleganza neiservizi. La porcellana bianca, che esaltava il colore scuro del-la cioccolata, divenne la regina incontrastata dei servizi. Im-portata dall’Oriente e poi, all’inizio del ’700, prodotta in Eu-ropa, la porcellana accompagnò l’entusiasmo per il cioccola-to.

Cioccolatiere, tazze e piccole bomboniere, ornate di deco-razioni floreali o bucoliche, fecero da compagne, con il lorolusso e raffinatezza, a questo periodo.

Lo splendore di questa bevanda durò ancora nei secoliXVII e XVIII: numerosissimi personaggi la elessero a loropreferita. Goethe, ad esempio, ne fece un culto, come Mada-me de Pompadour, favorita di Luigi XV o Madame de Barryed il marchese De Sade. Ricordiamo, infine, Maria Antonietta“l’austriaca”, che si recò in Francia per sposare Luigi XVI, ac-compagnata dal suo cioccolatiere personale che usava anchepolvere d’orchidea, fiori d’arancio e latte di mandorle. Un ca-pitolo a parte meriterebbe il rapporto di Brillat-Savarin con ilcioccolato: lo amava al punto tale da considerare “sacrilego”il cioccolato che veniva prodotto nelle fabbriche che, semprepiù, si infittivano. Unica eccezione era il fornitore del Re,Monsieur Debauve, ma era logico: “è un farmacista di rilievoed è depositario di un sapere di cui si serve in una sfera piùampia”.

ALFREDO PELLEAccademico di Mestre e Terraferma

(da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI MILANO

EL CICCOLATTEE

Il cioccolataio è una figura ormai scomparsa; nella sua pro-fumata bottega si beveva la cioccolata.

“La gh’è pù, la gh’è pù; spazzada anch leela botteghetta del ciccolattee.Quj botteghitt scur scur, quj bus de rattDove andaven a bev el ciccolatt,prima che’l so el spontass, i noster vecc ...Quj cogomitt de ramm, lùster’me specc ...”

(G. Bolza)

Particolari erano, rispetto a quelle degli altri negozi, le in-segne dei cioccolatai; non si appendevano ma si appoggiava-no semplicemente alle pareti esterne, di fianco all’ingresso;servivano per invogliare i passanti all’acquisto o alla consu-mazione. Alcune rappresentavano negri delle piantagionicentro-americane; altre raffiguravano a grandezza naturale imuscolosi e talvolta baffuti e barbuti garzoni che, con fatica,lavoravano la pasta di cacao.

“E quii ciccolattee cont pitturadaLa figura d’on omm cont i brasc biottMasnand el ciccolatt cont el borlott ...”

(O. Chiesa)

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La locuzione milanese “Fà ona figura de ciccolattee”, fareuna figura da cioccolataio, secondo alcuni deriverebbe daqueste figure dipinte malamente da principianti e rovinatedalle intemperie; secondo altri dall’aspetto succube dei negri;secondo altri dalla faccia impiastricciata dalla polvere di cioc-colato e dal sudore dei garzoni che lavoravano in mortaiaperti.

GIANNI STACCOTTIAccademico di Milano

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DELEGAZIONE DI NAPOLI-CAPRI

LA BARBAJATA DA MILANO A NAPOLI

Nell’anno del Signore 1800, a Milano, un giovane garzonedi caffè, Domenico Barbaja, fece fortuna servendo agli

avventori una soave miscela di caffè, cioccolato e panna chedal suo nome fu detta barbajata. Con i lauti guadagni, accu-mulati grazie alla sua ghiotta invenzione, riuscì ad assicurarsil’appalto del gioco nel ridotto della Scala, dove oltre a fareutile esperienza conobbe molti influenti personaggi.

Dotato di un eccezionale intuito artistico, dopo qualcheanno ebbe l’occasione della sua vita e si trasferì a Napoli co-me impresario del San Carlo e degli altri principali teatri del-la città, ricoprendo l’incarico per oltre trent’anni, dal 1809 al1840. Infallibile scopritore di talenti lanciò grandi musicisticome Rossini, Donizetti e Bellini e moltissimi cantanti lirici,divenendo un personaggio leggendario della Napoli ottocen-tesca, città che egli considerava la sua patria di adozione edove vivono ancora i suoi discendenti.

Anche a Napoli l’industria artigianale del cioccolato hatradizione antica, distinguendosi per la particolare e raffinataproduzione degli intramontabili nudi dal piacevole gustodolce-amaro. Tra le botteghe storiche, quella fondata a Na-poli alla fine dell’Ottocento, dal confettiere svizzero IsidoroOdin. Egli fuse la sua azienda con quella del cioccolataiopiemontese Gay, dopo averne sposato la figlia Onorina, dan-do vita alla fabbrica di cioccolato “Gay-Odin”, famosa ancoroggi per alcune specialità irripetibili. Tra queste il cioccolato“foresta”, dalla struttura estremamente friabile ottenuta conun’originale tecnica di lavorazione; le famose cialde farcite

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per creare “coppetti al rum”, “noci” e “ghiande” ed i raffinaticonfetti ai semi di cacao.

Un altro dolce tipico napoletano è il “ministeriale” creato,nei primi anni dell’Unità, dall’estro di Giovanni Scaturchio,che dette questo nome alla sua invenzione per le lungagginiburocratiche affrontate nei vari ministeri per riuscire a pre-sentare il dolce alla corte dei Savoia. La ricetta esclusiva èprotetta da brevetto, ma non è un segreto che nel medaglio-ne di cioccolato fondente è racchiusa una crema di ricotta,zucchero, cacao e liquore.

Specialità napoletana sono gli spumoni, composti da duequalità di gelato: l’esterno più duro e compatto cela all’inter-no un cuore spumoso e morbido. Uno di questi gelati al gu-sto di cioccolato, battezzato dal suo ideatore “testa di moro”,fece negli anni ’50 la fortuna di Fontana, nota pasticceria na-poletana. Tra i gelati va ricordata anche la “coviglia” nellasua versione al cioccolato, morbida, spumosa e un po’ de-modé, specialità esclusivamente napoletana a base di uovamontate, zucchero e panna. La parola “coviglia” non è ripor-tata in nessun vocabolario italiano perché è mutuata dallospagnolo “cubillo” che vuol dire secchiello ed il recipienteha dato il nome al contenuto.

Solo a Napoli il “sanguinaccio” è una crema servita con ilcucchiaio e accompagnata da biscotti per celebrare il Carne-vale; nelle altre regioni i sanguinacci sono degli insaccati ru-stici da servire affettati come antipasto.

Fino a poco tempo fa, a Carnevale, tutte le pasticcerieconfezionavano il sanguinaccio con sangue di maiale, latte,zucchero, spezie e cioccolato fondente, ma oggi che è vieta-to severamente commercializzare sangue fresco, la fantasiadei napoletani ancora una volta ha salvato la tradizione, in-ventando il sanguinaccio senza sangue. Eliminato il sangue,

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la densa crema al doppio cioccolato viene insaporita con unpizzico di cannella e di vaniglia in più e tanti cubetti canditidi arancia e cocozzata.

A novembre, in occasione della ricorrenza dei morti, aNapoli si prepara uno speciale “torrone” morbido a base dicioccolato, nocciole o mandorle e canditi, tipico anche delbeneventano. Ancora cioccolato fondente a base della “Tortacaprese”, introdotta nell’isola a fine Ottocento o inizi Nove-cento da una dama straniera, torta cui ormai è stata tacita-mente conferita la cittadinanza di Capri. A Sorrento, invece,si ricoprono con cioccolato, in modo squisitamente artigiana-le noci, fichi e scorzette d’arancia candite. Tipiche della co-stiera amalfitana le “melanzane al cioccolato” che chiudeva-no il pranzo della ‘nzegna, festa popolare ormai dimenticata,che nell’Ottocento si svolgeva nel borgo di Santa Lucia allametà di agosto.

Ancora oggi molte botteghe artigiane mantengono viva aNapoli la tradizionale lavorazione del cioccolato con nuovied originali prodotti, dovuti all’inventiva ed alla fantasia dimaestri cioccolatai, come i cioccolatini modellati in forma diVesuvio o di Faraglioni o quelli al peperoncino ed altre no-vità.

LEJLA MANCUSI SORRENTINOAccademica di Napoli-Capri

(da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI NAPOLI-CAPRI

LA CIOCCOLATA NEL SEICENTO

Hora più sicura di pigliarla

Si potrà bere una o due volte al giorno al più, con giovamentocioè la mattina per tempo fatta la digestione, e il giorno cinquehore al massimo doppo il pranzo. Prima di pigliarla la mattinanon si deve mangiar cosa alcuna, se non fusse poca cosa. E cosìquando il pranzo o la cena è stata leggiera si che lo stomaco nondiventa gravato, se ne potrà pigliare una giara di misura solitadoppo l’uno o doppo l’altra perché ajuta la digestione, poichépigliarlo più volte il giorno nuoce assai.Alcuni in luogo di cena, la sera andando a letto, quando si è pranzatola mattina lautamente la bevono con molto giovamento, sia allecomplessioni sanguigne, o calde ed humide toglie il sonno.

Effetti del cioccolate

Fortifica il calore naturale, genera buon sangue, conserva leprincipali facoltà naturali, dissipa i flati, e toglie l’ostruzioni,lubrifica il corpo e provoca l’orina et a’ vecchi giova piùet a quelli c’hanno stomaco debole, o son flatulenti et a’ giovani.A molto biliosi pigliandosi la sera disvia il sonno, e nell’estàgiova più per li cibi humidi e frutti che si mangiano.

Avvertimenti

1. Doppo preso non si deve far esercizio ma acquietarsi perun poco di tempo, né si deve pigliare altra cosa.

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2. Non si facci bollire nell’acqua al fuoco, ma quando vi si mettesi levi il vaso dal fuoco e poi vi si getti, e si conservi caldaquanto si può senza però farla bollire di nuovo.

3. Non si deve mangiare in tavoletta o pasta perché genera ostruzioni.4. Alcuni biasimano il pigliarlo molto denso e spesso se bene

è contraria l’opinione comune di spagnoli come si vede nella composta seguente

Por ser como ha de serel chocolate calientetres cosas ha da tenerespeso, dulce y caliente.

5. Doppo preso il cioccolate non si deve bere alcuna bevanda o brodo.6. Nell’està in luogo di molto caldo si può pigliare tiepido

e doppo, (ne maggiori calori però) un sorso d’acqua fresca mentre vi sia sete.

7. Pigliandosi freddo genera patimenti et ostruttioni.

(da un manoscritto anonimo del Seicento riportato in una brochure distribuita in occasione

della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI PADOVA

ALLA CONQUISTA DELL’EUROPA

Uno dei primi Paesi ad apprezzare il cioccolato fu l’Italia,nella quale era forte l’influenza spagnola. Noto amante

del cioccolato fu il golosissimo Cosimo III de’ Medici, Gran-duca di Toscana. Per lui Francesco Redi (autore del ditiram-bo “Bacco in Toscana”) poeta, medico e scienziato di cortecreò diverse ricette di cioccolato, al muschio, all’ambra grigiae al gelsomino. Quest’ultimo era molto apprezzato nelle cortieuropee.

I pasticceri dell’Italia meridionale, tradizionalmente legatiall’arte del gelato, furono i primi ad impiegare il cioccolatonella preparazione di sorbetti e semifreddi.

A Roma il cioccolato venne introdotto direttamente daiGesuiti, superando notevoli pregiudizi di tipo religioso. Do-vettero però dimostrare che il cioccolato non induceva alpeccato carnale e non interrompeva il digiuno. Furono aiuta-ti in ciò dall’intelligente prelato Francesco Maria Brancaccioche si guadagnò per questo la porpora cardinalizia.

È Torino la città in cui si forma la più famosa scuola di“chocolatiers” italiani (Streglio, Caffarel, Peyrano, Croci, Ba-ratti e Feletti). Si sono formati nell’ambiente torinese il cele-bre pasticcere bavarese Pfatisch e Cailler, il primo industrialesvizzero del cioccolato. A Torino è stata inventata la gradevo-lissima specialità “Gianduia” in onore della caratteristica ma-schera. In epoca napoleonica il cacao scarseggiava in Pie-monte, si decise così di allungarlo con farina di nocciole to-state di primissima qualità: il Gianduja è padre del Gian-dujotto, chiamato familiarmente dai Torinesi givu (cicca).

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In Francia il cioccolato è stato diffuso da Maria Teresa,moglie del Re Sole ed Infanta di Spagna. Stranamente LuigiXIV, “grand gourmet”, non sembrava apprezzare adeguata-mente il cioccolato, tanto che proibì venisse offerto nei rice-vimenti di Versailles. Tuttavia c’è il sospetto che si trattassesolamente di tirchieria. Vero intenditore fu il cardinaleAlphonse de Richelieu, Cardinale di Lione e fratello del piùfamoso Armand, Cardinale di Parigi. Grazie a lui Lione è an-cor oggi un importante centro di produzione di cioccolato.

Gli illuministi ricusavano il cioccolato che, secondo loro,puzzava di sacrestia e di potere assoluto e preferivano con-sumare il caffè che consideravano borghese e laico. Voltaire,pur di comprovata fede illuminista, non avrebbe rinunciatoper nessuna cosa al mondo al suo cioccolato (riusciva a con-sumarne anche quattordici tazze al giorno).

Non si può dimenticare un altro grande cultore del cioc-colato: Donatien Alphonse Françoise marchese de Sade. Vit-tima della sua sfrenata fantasia di scrittore non ortodosso, il“divino marchese” trascorse la maggior parte della sua vita inprigione. Bellissima è una lettera alla moglie dalla Bastiglia,nella quale chiede “del gelato nero di cacao come il culo deldiavolo è nero di fumo”.

I Francesi, che tenevano molto all’etichetta, inventarono la“chocolatière” d’argento, con il coperchio forato per permet-tere l’introduzione del “moussoir”, con il manico di legnoorizzontale inserito a metà del recipiente per facilitare la ro-tazione del contenuto. Il servizio veniva completato dalleporcellane viennesi con tazze e piattini detti “trembleuses”.

In Inghilterra il cioccolato cominciò a diffondersi dopo laconquista di Giamaica (1655). Samuel Pepys, Primo Segreta-rio dell’Ammiragliato, amico e confidente di Sua Maestà, raf-finato scrittore e pregevole ritrattista della società, grande

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amatore del cioccolato, contribuì a diffonderne il gusto tra isuoi concittadini. Il cioccolato arrivò nel Regno Unito dopo ilcaffè e il tè, prodotti con i quali veniva consumato nelle“Coffee Houses”. Il caffè era il prodotto più economico e piùpopolare. Il cioccolato e il tè i prodotti più costosi e raffinati.Il tè era ancora più caro del cioccolato. Con l’evolversi dellasocietà inglese, le “Coffee Houses” si trasformarono in“Clubs” famosi per il gioco con alte poste e per le discussionipolitiche. Il più celebre è lo “White’s Club”, nato come “Whi-te’s Chocolate House” nel 1693, fondato da uno “chocolatier”italiano: Francesco Bianchi. Il club, che conta trecento annidi vita, è tuttora in auge ed ha avuto tra i suoi soci personag-gi illustri della famiglia reale, tra cui tre Re ed eminenti rap-presentanti dell’aristocrazia, delle scienze, delle lettere e del-le arti. Tra i soci più famosi: il Duca di Wellington, BeauBrummel, Lord Chesterfield e, in tempi più recenti, lo scritto-re Graham Greene.

È luogo comune che le parole Svizzera e cioccolato sianoinseparabili. Dalla fine del secolo scorso la Svizzera ha, in ef-fetti, dominato il mondo del cioccolato. Gli Elvetici detengo-no tuttora il primato di maggiori consumatori di cioccolatocon 5 kg all’anno, distaccando gli Statunitensi di quasi 3 kg.

La storia del cioccolato svizzero comincia con FrançoisLouis Cailler (1796-1852), allievo di Caffarel, che a Torino,crea un’industria con macchinari di sua invenzione. Poco do-po, Philippe Suchard (1797-1874), un golosone parsimonio-so, iniziò a fabbricare il cioccolato per sé e per i suoi amici.Egli, apportando notevoli innovazioni al processo produttivo,diede origine alla celebre e omonima ditta. Henry Nestlè (in-ventore del latte in polvere) si unì allo “chocolatier” DanielPeter, nel 1879, per produrre un cioccolato al latte mescolan-do il latte in polvere con il cacao, prodotto tipicamente sviz-

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zero. Infine Rudolphe Lindt, nello stesso anno, riuscì a pro-durre quella cosa piacevolissima che è il cioccolato fondente,mediante l’operazione di concaggio.

Per fortuna ci sono piccoli laboratori artigianali che hannouna produzione di qualità destinata a veri intenditori e ai lo-cali più esclusivi. Tra questi si distingue la “Godiva Chocola-tier” di Bruxelles.

Il produttore europeo più rinominato è forse la “Valrhona”di Lione. Il fiore all’occhiello della sua produzione è il “Gua-naja 1502”, un cioccolato con il 70% di cacao criollo. Il nomeindica la località (l’isola di Guanaja) e l’anno nel quale il pri-mo europeo, Cristoforo Colombo, conobbe il cioccolato.L’ultima sua creatura dall’inconfondibile aroma è il “Manjari”(parola sanscrita che significa “bouquet”), realizzato con uncacao prodotto in una località segreta dell’Oceano Indiano.

Esiste tuttavia un cioccolato ancora più pregiato: l’“Aloha”,realizzato nella fabbrica di Jim Walch, collocata presso le suepiantagioni situate, non a caso, nelle Isole Hawaii. I numero-si moscerini che popolano le isole, i più importanti impolli-natori dei fiori di cacao, consentono alle piantagioni una ec-cezionale produttività.

In tempi più recenti è comparso nei supermercati anglosas-soni il “Maya Gold”, realizzato negli States con il cacao pro-dotto dai Maya del Belize. Comprare questo cioccolato signifi-ca permettere di far vivere dignitosamente i discendenti diquel popolo che ci ha fatto conoscere una simile squisitezza.

ANTONIO BOSCHETTIAccademico di Padova

(Stralcio dalla relazione pronunciata nella Sala Bianca del Caffè Pedrocchi

in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI PESCARA

IL VIAGGIO DEL CIOCCOLATO

Il lungo viaggio del cacao ha inizio dalla rigogliosa fioriturasull’albero del cacao da cui si formeranno le “cabosse”, dei

grossi baccelli che contengono le “fave”, cioè i chicchi di ca-cao. Questi risultano immersi, all’interno delle cabosse, in unamucillagine biancastra di gusto zuccherino acidulo, utilizzatadagli indigeni di alcune regioni produttrici per la preparazionedi una bevanda rinfrescante e di una marmellata.

Le cabosse maturano nell’arco di 4/6 mesi dalla fecondazio-ne del fiore e il loro raccolto comporta la delicata operazionedi recisione del peduncolo da effettuarsi evitando di danneg-giare i cuscinetti fioriti circostanti. I frutti così staccati dai ramivengono aperti e trasportati nei centri di stoccaggio in cui av-verrà la “fermentazione”, che dura dai 3 ai 15 giorni, necessariada un lato per eliminare sia la mucillagine in cui sono immersele fave, sia il loro potere germinativo, e dall’altro per far acqui-stare alle fave il caratteristico sapore proprio del cacao.

Dopo la fermentazione, le fave vengono essiccate, doven-do, ai fini della conservazione, ridursi il loro tasso di umiditàdal 60% al 5-7%. Generalmente, “l’essiccamento” avviene al so-le e, in certe regioni tropicali americane e africane, le fave,sparse su stuoie, vengono movimentate mediante una danzapropiziatoria, chiamata “danza del cacao”, con la quale si ottie-ne la necessaria movimentazione dei frutti per il migliore essic-camento.

È da notare che dopo queste operazioni di fermentazione edi essiccamento, le fave assumono il caratteristico colore “bru-no-violetto”, per la specie denominata “forastero” che è la più

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diffusa tanto da costituire l’80% della produzione mondiale, ov-vero il colore “bruno-cannella” per la specie “criollo” che è il ti-po più aromatico e più pregiato, ma più difficile da coltivare,sicché costituisce appena il 5% della produzione mondiale.

Dopo la pulizia, meccanica o manuale, dalle varie impuritàaccumulatesi nel trasporto, le fave di cacao subiscono il pro-cesso di “torrefazione” che è fondamentale sia per la definizio-ne della qualità, sia per l’eliminazione delle bucce delle fave, lequali si gonfiano e si sgretolano e sono così facilmente elimina-bili. Il procedimento di torrefazione è molto delicato perché daun lato non deve superare il grado ottimale, altrimenti si perdein aroma, e dall’altro deve procedersi all’immediato raffredda-mento delle fave per bloccare il processo di tostatura.

Successivamente si procede alla “frantumazione”, attraversoil passaggio in mezzo ad una serie di mulini con l’eliminazionedelle briciole delle bucce per aspirazione: da questo procedi-mento si ottiene una pasta al 50-60% di materia grassa (burrodi cacao), che seguirà ulteriori, diversi procedimenti se si vuoleprodurre cacao in polvere o cioccolato.

Infatti, per la produzione del “cacao in polvere” bisognaestrarre la parte grassa (il burro di cacao), sottoponendo la pa-sta ad una temperatura di 100°C ad una pressione di 350/600bar. Dopo di che, mentre il burro viene raccolto, filtrato e mo-dellato in pani, il panello di cacao, secco, viene frantumato epolverizzato finemente, pronto per il consumo.

Per la produzione del “cioccolato” non viene, invece, estrat-to il burro dalla pasta, ma vi si aggiunge in primo luogo lo zuc-chero, in proporzione variabile per renderlo più gradevole algusto, essendo amaro, e poi il latte, se si vuole ottenere il tipoal latte: la miscelazione viene, in questo stadio, seguita dallaraffinazione, con il passaggio della pasta, ancora granulosa, inmezzo a cilindri rotanti.

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Di seguito, la pasta passa alla fase del “concaggio”, cioè vie-ne immessa in una conca, riscaldata a 50-70°C, dove un rullomescola e raffina continuamente la pasta che con il calore di-venta fluida. Durante questa operazione si aggiunge il burro dicacao, se necessario al fine di aumentarne la fluidità, ma anchealtre sostanze aromatiche, come la vaniglia, per creare il gustodefinitivo del prodotto. La fase del concaggio fornisce al cioc-colato il suo tipico aspetto e una incomparabile raffinatezza.

L’ultimo procedimento, prima del confezionamento, a cuideve essere sottoposto il cioccolato, è il “temperaggio”, manua-le (in famiglia o artigianale) o meccanico (industriale), che ser-ve a dare una struttura cristallina stabile al prodotto, in mododa ottenere un aspetto brillante, un colore uniforme e una soli-da e raffinata consistenza.

Bisogna, infine, ricordare l’alto valore nutritivo del cioccola-to, perché esso contiene oltre a glucidi, lipidi e proteine, anchevarie vitamine (A, B1, B2, D, E) e minerali (calcio, fosforo, po-tassio, magnesio nonché tracce di ferro e di rame). Il valorenutritivo viene ovviamente aumentato quando si aggiungonolatte, noci, mandorle, nocciole, miele, ecc., mentre esso è po-vero di colesterolo in quanto le sue sostanze grasse sono vege-tali.

Devo concludere ricordando che il cioccolato si consuma,non solo per i suoi pregi gustativi e per il suo valore nutritivo,ma principalmente per puro piacere, per propria e altrui con-solazione, per festeggiare, per offrire una particolare attenzioneagli amici.

OLINDO PELINOAccademico di Pescara e industriale del confetto

(Relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI SALERNO

LA CIOCCOLATA DI DORIAN GRAY

Ecco due citazioni letterarie. La bilancia del dare e averefra cioccolato e uomini di lettere pende probabilmente

dalla parte del primo: se molti scrittori hanno personalmentegoduto del piacere del cacao, e penso alla tazza di cioccolatache Goethe pretendeva tutte le mattine nel corso del suoviaggio in Svizzera, nelle opere invece esso svolge sempreun ruolo marginale, relegato alla rievocazione di un’ambien-tazione sofisticata o sensualmente seducente, come in un fa-moso racconto di Maupassant. Voglio però porre in risalto latazza di cioccolata fumante con cui Oscar Wilde fa svegliare,a mattina già piuttosto avanzata, Dorian Gray: “Il mattino do-po, alle nove, il cameriere entrò con una tazza di cioccolatasu un vassoio e aprì le imposte. Dorian dormiva tranquilla-mente, coricato sul fianco destro, con una mano sotto laguancia. Sembrava un ragazzo affaticato dal gioco o dallostudio”. E se l’eterna giovinezza di quel personaggio fossedovuta, più che al famoso ritratto, ai benefici effetti delle ol-tre trecento sostanze che la chimica moderna ha identificatonel cioccolato?

L’altra citazione è dell’abate Salvini, siamo nel 1726, e siriferisce all’introduzione in Toscana della cioccolata: “La cioc-colata venne in uso a Firenze verso il 1660, e un tempo veni-va offerta alle persone che si volevano trattar bene, com’eraofferta la sportula presso i Romani”.

Non possiamo concordare in tutto con l’opinione dell’illu-stre accademico della Crusca: la sportula, più che un mezzoper vezzeggiare qualcuno, costituiva a Roma il modesto so-

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stentamento quotidiano dei clienti, quella manovalanza dicui si servivano i grandi uomini pubblici a scopo politico, ecertamente non avrebbe potuto contenere un alimento cosìprelibato. C’è però del buono nella testimonianza del Salvini,ed è nell’antica usanza fiorentina di offrire cioccolata allepersone che si voglion trattar bene. Essa merita davvero diessere ripresa e diffusa, magari cominciando proprio da noistessi, concedendoci, per una volta, una razione più abbon-dante del “cibo degli dei”.

MARIO LAMAGNAProfessore dell’Università “Federico II” di Napoli

(Stralcio dalla relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI SAN PAOLO DEL BRASILE

CURIOSITÀ SUL CIOCCOLATO

Il Re di Francia Luigi XV (1710-1774) coniugato sì con Ma-ria Laszczynska, ma in cronico surmenage con la marche-

sa de Pompadour (1721-1764), prima, e la contessa duBarry (1743-1793) poi, nonché con tutto il furtuito casuale,finì col trasformare addirittura in rito del mattino la ciocco-lata, che veniva gustata nella sua stessa camera da letto.Ancora in “desabillé”, circondato da cortigiane e favorite,aveva luogo un’originale prima colazione collettiva al cioc-colato.

Il “mago” Giuseppe Balsamo, palermitano, sedicenteconte di Cagliostro (1743-1795), pure lui presente nella li-bertina Parigi del 1700, non poteva certo sottrarsi alla ghiot-ta occasione. Da quel vivace avventuriero, ciarlatano e ma-gnetizzatore che era, inventò le pastiglie di cacao, che pre-se a vendere (carissime) come potenti rimedi per restituireinsperati vigori giovanili a quanti li avevano perduti.

Specialista nel settore, lo stesso Casanova (1725-1798)non esitò a vantare le virtù afrodisiache del cioccolato.

In realtà, persino i medici ebbero in grande stima la no-vità del momento e Giovanni Maria Lancisi (1654-1720),uno dei maggiori clinici seicenteschi, consigliere di LuigiXIV, oberato dal lavoro, scriveva al Marsigli che “con unachicchera in più della mia cioccolata posso abbreviare ilsonno quanto mi aggrada”.

Mentre Carlo Goldoni (1707-1793) profumava le suecommedie di caldo cioccolato, che servette maliziose rubac-chiano ai padroni, Vittorio Alfieri (1749-1803) se ne viaggia-

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va per il mondo sempre sdegnoso e maldicente, ma prontoad istruire casa sua sul come meglio procedere per fare lacioccolata.

AMEDEO BOBBIOAccademico di San Paolo del Brasile

(Stralcio dalla relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI TORINO

LA CULLA DEL CIOCCOLATO

Nel 1946, l’avvocato Omodei, legale di famiglia ed amicodei miei genitori ebbe in visione all’Archivio Comunale

dei permessi di Torino, una patente rilasciata da Madama Rea-le Gioanna Battista, nel 1678: “Avendoci Giò Antonio Ari fattosupplicare di concedergli il privilegio di vendere pubblicamen-te la ciocolata in bevanda nella presente Città per anni 6 pros-simi dalla data della presente, abbiamo accondisceso volentierialla sua domanda, per essere lui il primo introduttore”.

L’iter del caffè a Torino, come luogo di ritrovo è comples-so, perché già nella seconda metà del ’600, il caffè era usatoabbinandolo alla cioccolata e alla “bavareisa”. Lavorata in pre-cedenza e servita pronta al cliente diventava “bicerin”, ottenu-to preparandolo all’istante. Fu creato ufficialmente nel 1704nel Caffè Florio di Torino in via Po, allora “contrada di Po”.

“Bicerin” divenne famoso già allora e fu celebrato con en-tusiasmo dal Dumas, quando fu a Torino nel 1852. Poteva es-sere fatto in diversi modi: pur-e-fort (latte e caffè); un po’ detut (caffè, latte e cioccolato); pur-e-barba (caffè e cioccolato).

Entrando in un caffè torinese il cliente degusterà il “bice-rin” al mattino, il vermuth a mezzogiorno (nelle 4 versionitorinesi, Carpano, Gancia, Martini e Rossi, Cinzano) e al po-meriggio il sorbetto o la granatina.

Nel periodo invernale, per sopportare meglio il freddo, il“bicerin” era corretto con rhum o grappa.

In riferimento alla “cicolata in bevanda” chiamata poi “ba-vareisa”, non distoglie la fondata possibilità che già allora silavorasse il cioccolato solido, chiamato allora (ed ancora, ma

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rarissimamente oggi) “diablotin” (diavoletto). Dal dizionariodel Cav. Vittorio di Sant’Albina (Torino 1859) il “diablotin” ècosì definito: “pasticca: pastiglia di cioccolato: propriamentepezzettino di cioccolata in figura di rotella piana che si man-gia crudo”.

Ed ancora nel 1659 (solo 19 anni prima della licenza diMadama Reale) in Parigi, con l’autorizzazione del Re Sole, siaprì una bottega (Croix du Tiroir) che vendeva cioccolato informa di liquore o di pastiglie.

La “cicolata” (come è pronunciata ancor oggi nel dialettopiemontese) era prodotta, alla fine del ’700 in quantità alloracospicua, 750 libbre giornaliere e se ne esportava in Austria,Svizzera, Germania e Francia.

Che l’arte del cioccolatino sia nata quasi certamente a To-rino, è confermato dal fatto che nel 1815 vennero gli stessisvizzeri, tra i quali François Louis Cailler, che tornato al suopaese nel 1819, fondò la Vevey la prima fabbrica di cioccola-to. Il genero ed erede Daniel Peter inventò il cioccolato allatte, utilizzando il latte in polvere inventato da Henry Nestlè,e con la fusione di Cailler, Nestlè e la Kholer, nacque la mul-tinazionale che ancor oggi domina il mercato mondiale.

A testimonianza della superiorità dei torinesi nell’industriadel cioccolato, fu un piemontese, certo Doret, a creare la pri-ma macchina idraulica (l’energia pulita era alimentata dal Ca-nale Michelotti, sulla destra del Po dopo la “Gran Madre”)per raffinare la pasta del cacao miscelandola con lo zucche-ro. Il brevetto fu depositato a Lione e nel 1820 si chiede didare una medaglia d’oro al “meccanico Doret” come apparesul “Bulletin de la Société pour l’Encouragement de l’Indu-strie nationale” di Parigi.

Tornando ai nostri tempi, sul giandujotto nascono vari cu-riosi episodi, fra cui una controversia in un seminario, a So-

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lingen, seguito dal sottoscritto alla fine degli anni ’60. Un re-latore francese, infatti, affermava che “Le Gianduja” era unaspecialità francese: poiché nessuno obiettava questo asserto,feci notare che il termine “Giandujotto” è legato alla masche-ra carnevalesca di Torino, Gianduja, e risale alla secondametà dell’800.

L’abbinamento, al cacao ed allo zucchero, della nocciola“Tonda Gentile delle Langhe”, fu realizzato già nei primi annidell’800, quando l’occupazione napoleonica creò grande dif-ficoltà a reperire il cacao.

Nel 1978 fu stampato a Torino, in occasione del 25° anni-versario della fondazione del Mediocredito, il volume “L’in-dustria piemontese 1870-1970, un secolo di sviluppo”. Ilprof. Mario Abate, nel capitolo 4°, afferma che “La fabbrica-zione del cioccolato si inizia a Torino e la città, ancor oggi, èsempre in testa, creando nuovi tipi, inventando prodotti difantasia, perfezionando gli involucri e la presentazione tantoche questi prodotti sono stati poi copiati dai Paesi industrial-mente più avanzati del nostro”.

Un aneddoto, ben noto in tutta Italia, “Fare la figura delCiocolaté”, si racconta che risalga addirittura ai tempi del ReCarlo Felice. Nel 1823 infatti, un ricco cioccolataio torinese siè fatto costruire una carrozza ricchissima di addobbi e traina-ta da 4 cavalli. Sembra sia stato proprio il Sovrano a dire,quando gli si consigliò di farsi fare una carrozza ancor piùlussuosa, “Veui nen fé la figura de Cicolaté”.

Vorrei dire qualcosa sulla direttiva europea che dá la pos-sibilità di surrogare parte del burro di cacao con grassi sosti-tutivi. Non mi allarma più di tanto la legge che diverrà ope-rativa nel 2003, perché sarà consentito informare il consuma-tore, tramite l’etichettaggio e la descrizione del prodotto, chenon sono utilizzati grassi sostitutivi del burro di cacao. Riten-

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go inoltre che buona norma per far rilevare l’utilizzo esclusi-vamente di burro di cacao senza l’immissione di grassi sosti-tutivi, consista nel rispettare la scelta non soltanto nel guscioche riveste la pralineria ma anche nel ripieno dove i prodottigrassi utilizzati sono burro di cacao, nocciole, mandorle enoci.

GIORGIO PEYRANOindustriale del cioccolato

(Stralcio dalla relazione pronunciata al “Convegno sul Cioccolato”,

organizzato dalla Delegazione di Torino)

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DELEGAZIONE DI TORINO

GLI ARGENTI DEL CIOCCOLATO

Benché importato dal Messico in Spagna dal ’500, il cioc-colato non passò la frontiera dei Pirenei che verso la

metà del ’600. La bevanda che si preparava nella penisolaiberica dal seme di cacao macinato fu introdotta in Franciadalle due regine spagnole del ’600. Anna d’Austria, moglie diLuigi XIII, e Maria Teresa di Spagna, moglie di Luigi XIV, ReSole. Quest’ultima rimase legata alle usanze spagnole per tut-ta la vita ed ebbe una vera passione per questa bevanda chesi faceva preparare dalla sua domestica particolare, a nomeMolina.

La corte di Versailles, prima per imitazione poi per gusto,adottò il cioccolato che si diffuse a partire dal 1670. La pre-parazione di questa bevanda richiede un lungo bollore eduna costante agitazione del liquido. Questo modo di prepa-razione implica la scelta di un materiale solido che conserviperfettamente il calore della bevanda.

L’argento si impone, per la cioccolatiera, ancor più cheper la teiera o la caffettiera. Anche la forma del versatoio di-pende dalla preparazione del cioccolato; piuttosto alta dicorpo, piriforme di preferenza, deve avere un foro sul coper-chio per far uscire il manico del frullino con il quale si agitala miscela di acqua o latte bollente e le scaglie di pasta dicioccolato.

Al fine di far bollire il cioccolato e di assicurare la stabilitàdel versatoio, questo è sovente montato su tre piedi suffi-cientemente alti per poter far scivolare sotto la pancia unpiccolo scaldino ad alcool.

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In Inghilterra la più antica cioccolatiera conosciuta è data-ta 1685, realizzata sotto l’influenza stilistica degli orafi france-si ugonotti, cacciati con la revoca dell’editto di Nantes.

Purtroppo non sono giunti fino a noi moltissimi esempi diargenti antichi. I motivi sono molteplici. Innanzitutto l’argen-to dall’antichità, fino ai primi anni dell’Ottocento, aveva unvalore altissimo, ma non è facilissimo stabilire quale.

Possiamo fare una serie di raffronti tra il costo odierno equello nelle varie epoche del passato, di alcuni generi di pri-ma necessità, di beni voluttuari e di materie prime. Così sipuò ragionevolmente ipotizzare, tra la fine del Seicento e laprima metà del Settecento, un valore dell’argento comparabi-le a circa 15-20 milioni di lire al chilo.

In epoche più antiche poteva valere ancora di più; per gliegizi, ad esempio, era ancor più prezioso dell’oro. Un mate-riale così prezioso veniva utilizzato solamente dalle personepiù abbienti, quali nobili ed alti prelati, o dalle corporazionipiù ricche. Possedere oggetti d’argento era un modo per esi-bire la propria ricchezza, ma era anche un’elegante e raffina-ta forma di capitalizzazione.

Infatti in caso di necessità non solo brocche e bacili, piattie posate, ma anche mobili ed arredi che talvolta venivano ri-coperti d’oro e d’argento, si potevano facilmente rivendere ericavarne denaro contante.

Sovente nel corso dei secoli, in quasi tutte le nazioni eu-ropee, nei casi di crisi economica o politica furono promul-gati editti reali che costringevano i sudditi e le comunità reli-giose a portare gli argenti di loro proprietà alla zecca, controemissioni di buoni del tesoro, per fonderli ed avere quindi ilmetallo prezioso con cui battere moneta.

Di conseguenza un materiale così prezioso veniva utiliz-zato solamente da grandi artisti e non da modesti artigiani

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che avrebbero corso il rischio di sciuparlo o di realizzare og-getti di poco conto.

Infine proprio perché il materiale di base era comunquesempre riciclabile, nel corso dei secoli, grandi opere di ar-genteria, ma fuori moda o usurate furono distrutte e fuse perrealizzarne altre secondo le nuove esigenze o il nuovo “stile”di moda in quel momento.

Gli orafi italiani del Settecento erano sicuramente all’altez-za dei loro colleghi francesi, inglesi o tedeschi, ma le vicissi-tudini storiche, politiche ed economiche del XVIII secolohanno fatto si che la gran parte delle opere di argenteria ita-liane siano andate perdute. Così gli esempi di cioccolatieresono molto pochi, ma dalla percentuale di esemplari rimastipossiamo ipotizzare che soprattutto nel centro-sud era prefe-rito il caffè al cioccolato. Quest’ultimo era invece molto gra-dito alla Corte Sabauda che, nel corso del XVIII secolo, so-vente commissionò ai grandi argentieri torinesi, quali Andreae Giovan Battista Boucheron e Giacomo Gerard, alcunesplendide cioccolatiere di cui purtroppo non restano tracce.

GIANFRANCO FINAantiquario

(Relazione pronunciata al “Convegno sul Cioccolato” organizzato dalla Delegazione di Torino)

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DELEGAZIONE DI TORINO

VERSATILE CIOCCOLATO

Parlare di cioccolato in cucina implica, necessariamente,un percorso a ritroso nel tempo allo scopo di cogliere

qualche notizia per verificare l’effettivo utilizzo del preziosoalimento.

Tale percorso non è agevole in quanto il cioccolato si èaffermato nella preparazione di delizie dolci diventandonesubito un protagonista di prim’ordine. Di conseguenza ne èstata trascurata la possibilità d’impiego in cucina.

Di poco aiuto sono le notizie relative ai primi anni di af-fermazione del cioccolato. Nel XVI e XVII secolo il VecchioContinente scopriva sapori, aromi e bevande esotiche allorasconosciuti. Vengono descritti “bricchi fumanti, dai qualiscendevano, nelle diverse ore del giorno pozioni soccorrevo-li al palato ed allo spirito, e dal liquido non esalavano fumialcolici e saporiferi, ma benevoli e stimolanti vapori che aiu-tavano a ragionare, ad esercitare l’intelligenza, lo spirito el’arte della galanteria”.

Il caffè, il tè, la cioccolata vennero in Europa da diversi elontani paesi e si affermarono come bevande da compagnia,contribuendo in modo determinante al formarsi di un nuovomodo di alimentarsi, di stare insieme, di scambiarsi idee.

Sottile, metafisico, meditativo il tè; tonico, vivificante, sti-molante il caffè; voluttuosa, energetica e sensuale la ciocco-lata. Girolamo Benzoni nella sua “Historia del Mondo Nuo-vo”, pubblicata nel 1565, giudicò dapprima il “Gacauate” ne-gativamente e lo rifiutò tra lo stupore degli indigeni i quali“volendo darmi bere, e non volendo accettare, molto meravi-

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gliato, ridendo se ne andava. Ma poi, avendo mancamento divini, ancor io per bever sempre acqua, faceva come gli altri.Il suo sapore è alquanto amaro, satia e rinfresca il corpo,però non imbriaca. La zucca piena di quel liquido pepatonutre e ristora...”.

Francesco Carletti, un fiorentino viaggiatore attento e rela-tore scrupoloso, nell’intento di spezzare il monopolio spa-gnolo, visitò le piantagioni, descrisse la lavorazione dei semidel cacao e la preparazione della bevanda che si faceva mi-schiando le scaglie dei chicchi abbrustoliti e pestati in acquae zucchero, che si serviva “rimestando in essere con un le-gnetto che raggirandolo con le palme delle mani si li fa fareuna spuma di color rosso”. Aggiunge anche che il cacao, so-lidificato in “panellini”, veniva trasportato come provvista perviaggio e alla bisogna sciolto in acqua e poi “tracannato d’unfiato”.

Lo splendore dei pranzi del XVIII secolo ha indotto i cuo-chi dell’epoca ad utilizzare ingredienti esotici per stupire icommensali e anche il cioccolato, al di là delle valutazioninutrizionali, è entrato in qualche ricetta senza rivendicarneun ruolo determinante. La cucina messicana, interpretandoantiche ricette, propone abbinamenti con la carne di tacchi-no o pollo.

Si può affermare che il cioccolato è utilizzato ancora oggicome correttivo del sapore e del colore in alcune salse a ba-se di vino ed in alcune preparazioni di selvaggina quali la le-pre, il cinghiale in agrodolce ed, ancora, con il coniglio ocon la lingua di manzo in dolceforte.

Il cacao, invece, è presente anche in alcuni impasti di pa-sta fresca in cui il condimento è sempre costituito da salse abase di vino e selvaggina nonché in alcune preparazioni dipaste ripiene in forma di tortelli della Carnia e negli gnocchi

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di patate conditi con ricotta, cannella e burro.Durante la manifestazione “Dolc’è” (svoltasi recentemente

a Torino) è stato proposto persino in abbinamento con l’ace-to balsamico.

Non è affatto futuribile, invece, il sapiente accostamentotra cioccolato e peperoncino sia sotto forma di uova pasqua-li, sia di crema da spalmare, proposto da una nota pasticceriatorinese, né la traslazione, all’inizio di un pasto, di uno sfor-mato di castagne con salsa di Castelmagno e lievi note dicioccolato amaro.

Un vuoto da colmare dunque? Forse c’è la possibilità, so-prattutto oggi in cui si affermano proposte di accostamentiper contrapposizione, di inserimento di note dolce-amaroovvero si va alla ricerca di pietanze antiche in cui il confinetra il dolce ed il salato non era marcato.

CARLO DI JACOVOdocente all’Istituto Alberghiero

“Colombatto” di Torino

(Stralcio dalla relazione pronunciata al “Convegno sul Cioccolato”

organizzato dalla Delegazione di Torino)

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DELEGAZIONE DELLA VERSILIA

PER FARE IL CIOCCOLATO CI VUOLE UN ALBERO

La storia del cioccolato ruota tutt’intorno ad un albero delsottobosco della foresta pluviale: alto e sottile, cresce di

preferenza all’ombra dei grandi alberi.Nel 1753 Carl von Linné, lo scienziato svedese che ha da-

to un nome ed una classificazione a tutto il mondo botanico,gli attribuì il nome di “Theobroma cacao”, dal nome del ge-nere “Theobroma” (cibo degli Dei) e “cacao” relativo allaspecie.

Quest’albero ha il suo areale primigenio nelle umide fore-ste centroamericane ed i suoi frutti (le cabosse) venivanoraccolti per ottenere i semi che, essiccati e macinati, davanovita ad una bevanda, il “cioccolatte”, dove il latte non c’era elo zucchero nemmeno. Questi semi venivano già raccolti nelperiodo olmeco (circa 2000 a.C.); all’arrivo degli Spagnoli labevanda, riservata alle caste nobili, aveva già avuto innume-revoli varianti con aggiunta di farine, aromi, fiori, frutta e so-prattutto tante varietà di peperoncino di cui il Messico è pro-digo.

Non è un caso che il cacao prediliga l’umidità del sotto-bosco; questa umidità favorisce la crescita di funghi che a lo-ro volta gli permettono di assorbire i minerali. Gli animalidella foresta traggono nutrimento dalla polpa che avvolge lefave di cacao. Abbandonandole, danno avvio alla decompo-sizione del frutto e creano l’habitat ideale per i moscerini chesono i veri impollinatori dei fiori. Il tipo di fioritura dell’albe-ro era allora del tutto sconosciuta in Europa. Diversamente

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dagli alberi da frutto europei, infatti, il “Theobroma cacao”fiorisce direttamente sul tronco. Oggi sappiamo che questosistema di fioritura si definisce “caulifloria” ed è presente an-che in altri alberi da frutto tropicali.

BORIS GIANNACCINIAccademico della Versilia

(Stralcio dalla relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI VICENZA

IL BITUME PREZIOSO

Un po’ di storia del cioccolato, questa sostanza che neisecoli scorsi era chiamata “il bitume prezioso”, è d’ob-

bligo. Dirò anche subito il motivo per cui abbiamo sceltoquesto ristorante per questa conviviale un po’ speciale. Il 7marzo 1926, proprio nel 500esimo anniversario dell’appari-zione della Madonna sul Monte Berico, in questa villa deiprimi dell’800 (Villa Disconzi che divenne poi l’abitazionedi Antonio Fogazzaro) veniva inaugurato un piccolo, mode-sto locale, tenuto dalle Suore Dorotee che subentrarono aiFogazzaro, dove si preparava qualche genere di confortoper i pellegrini che venivano a Monte Berico. E questo “ri-storo” consisteva in una tazza di cioccolato denso e bollen-te, accompagnato da qualche savoiardo. Questa tazza dicioccolato è rimasta la specialità di questo locale, anche seoggi tutto è cambiato.

Ecco l’aggancio col tema della nostra conviviale ecume-nica. Anche oggi al bar, si può gustare il cioccolato con isavoiardi in ogni ora del giorno e della notte. E io ho vistoqui, ancora conservata, una tazzina delle Suore, in cui labollentissima bevanda veniva servita.

Vorrei dire che alla fine del ’600 lo spostamento dell’asseculturale dal centro-sud europeo al nord-ovest, dal Mediter-raneo al mare del Nord, coincise anche con la fine dellatradizione della mensa tardo-rinascimentale e con l’emargi-nazione dell’Italia quale centro di cultura gastronomica.

Quest’asse si sposta dalla cultura italiana a quella nordi-ca, cancellando i ricordi della grande cucina rinascimentale

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italiana che aveva conquistato la Francia. Tutto questo mo-difica in breve tempo la concezione del pranzo: tutto diven-ta più leggero, lontano dagli affastellamenti delle tavole ri-nascimentali, senza l’uso obbligato di spezie e droghe pernascondere la cattiva conservazione delle vivande.

Ora tutto si fa elegante, semplice e discreto; nasce unnuovo modo di considerare il cibo, nascono nuove mode,nuovi gusti. È questo il tempo in cui anche l’arte abbando-na le forme gonfie del Barocco e si ispira a linee leggere esvelte. È questo il tempo in cui si affermano nuove delizie:la vaniglia, la cannella, il the, il caffè e, sopra ogni cosa, ilcioccolato, il “bitume prezioso”.

Allora il cioccolato aveva già 500 anni, perché i primi acoltivare l’albero del cacao furono i Maya prima e gli Azte-chi poi. Il nome deriva da Xocoatl (xoco, onomatopeico dalsuono del legno che si batteva per rompere i semi e dall’ac-qua, latl).

In uno dei suoi primi viaggi, a Colombo venne offertaquesta brodaglia scura ed amarissima che non gli piacqueper niente. Invece Cortes intuì che con quei semi si potevafare qualcosa e nel 1519 ne portò in Europa un sacchettino.

Dieci anni dopo la Spagna aveva già il monopolio delcommercio mondiale del cacao: l’uso dello zucchero poi,portò il cioccolato ad una diffusione mondiale. Tappe fon-damentali furono sicuramente due matrimoni che feceroepoca: quello di Anna d’Austria con Luigi XIII di Francia equello di Maria Teresa d’Austria con Luigi XIV: la moda diquesta deliziosa bevanda, ma sempre bevanda, preparatadai maestri cioccolatai spagnoli, si diffuse in breve tempo.

E c’è un’altra osservazione interessante da fare: la diffu-sione di questa bevanda è diametralmente opposta a quelladel caffè. Mentre il caffè si sviluppa nel nord e dal punto di

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vista ideologico-religioso è protestante, la cioccolata si svi-luppa nel sud Europa, in Spagna, in Italia ed è bevanda cat-tolica.

In effetti, il cioccolato era stato al centro di una contesateologica: si era discusso a lungo se questa bevanda inter-rompesse o meno il digiuno che, di solito, i liquidi non in-terrompevano. Papa San Pio V, nel 1569, aveva già detto dino, ma restavano sempre dubbi, discussioni e contese.

Solo dopo 100 anni il Cardinale Brancaccio stabilì, condotti motivi, che questo “liquidum jejunum non frangit”.Tutto questo rende il cioccolato bevanda preziosa per i cat-tolicissimi Paesi di Spagna e d’Italia, e diventa, anzi, unostatus symbol. Si allontana sempre più dal caffè, bevandaborghese, bevanda da uomini: il cioccolato diventa bevandafemminile, in gran voga nei salotti, nei boudoir, o a letto,nelle prime colazioni.

Il caffè stimolava, è vero, ma il cioccolato era bevandada classi agiate, oziose, gioiose. Era considerato, se nonproprio afrodisiaco almeno “di rinforzo a certi doveri”, se-condo un pudico testo della fine del ’700. E fu l’olandeseVan Housten che estrasse il burro dai grani di cacao, lo pol-verizzò e lo rese più digeribile: così il cioccolato diventa fi-nalmente tavoletta. Lentamente cacao e cioccolato diventa-no prodotti per donne e bambini (il caffè è sempre riserva-to agli uomini), mentre la nascente società borghese comin-cia a disdegnare il cioccolato legandosi sempre più al caffèed al tabacco.

Siamo vicini all’800: nel 1819 lo svizzero Caillers, dopoun periodo di apprendistato a Torino, presso Caffarel, tornain Svizzera ed apre la prima fabbrica di cioccolato.

Il resto è storia di oggi. La passione per questa sostanzache Linneo chiamò “Theobroma”, cioè bevanda degli dei,

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sublime e dolce, che “resta 2 minuti in bocca, 2 ore nellostomaco e tutta la vita sui fianchi” continua imperterrita. Le-gioni di psicologi, medici, nutrizionisti cercano di capire ilperché di una cosiddetta cioccolato-dipendenza; la rispostaè semplice: perché è buona, anzi buonissima.

FRANCO PERIAAccademico di Vicenza

(Relazione pronunciata in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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DELEGAZIONE DI VIGEVANO

IL CIOCCOLATESonetto

Di quante cose sono, e sono state,E nel mondo saran, la più pregiataCredo che sia, sarà e che sia stataLa invenzion gentil del Cioccolate.

Fra le bevande dolci, e delicate,Questa è la più soave, e la più grata:E s’usa in general dalla brigataAutunno, Inverno, Primavera, e state.

Questo licore piace a’ MaritatiFin dalle madri Reverende è usatoÈ caro a’ Preti e non dispiace a’ Frati.

Si bee caldo, e si prende anche gelato,Conforta i sani e giova agli ammalatiE benedetto sia chi lo ha inventato.

GIAN CARLO PASSERONIda “Rime” - Milano 1791

(da una brochure distribuita in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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LE SEI DELEGAZIONI

ALESSANDRIA, AOSTA, IVREA, NOVARA, CUSIO-VERBANO-OSSOLA, VIGEVANO

DALLA CIOCCOLATA AL CIOCCOLATO

In sintonia con i temi culturali, testimonianze della conti-nuità accademica, il cioccolato diventò (per mezzo di più

svariati interventi dell’uomo, delle diverse civiltà, delle modee dei costumi) prima, “cioccolata” (liquida e calda) poi “cioc-colato” (solido e freddo) antenato dei nostri cioccolatini.

Ciò che mi preme evidenziare, come studioso, è la grandeimportanza storico-sociale riferibile al modo di prendere lacioccolata in quanto significato del passaggio tra due epo-che: da quella barocca a quella illuministica.

Non si trattò solo ed esclusivamente di mode ma di duetipi diversi di società (quindi di uomini e di classi) che ancheattraverso il rito di prendere la cioccolata si rappresentavanoe si contrapponevano. Da un lato, quindi, l’aristocrazia ed ilmondo prelatizio seicenteschi (la cioccolata barocca: densa,aromatica, complicata nel gusto e nella preparazione),dall’altro l’aristocrazia più recente e la neonata borghesia,settecentesche (la cioccolata illuministica: con preparazionepiù semplice, mescolata con zucchero e cacao e spruzzatacon una leggera velatura di cannella e vaniglia).

Finiva con il Seicento barocco, l’epoca degli odoristi: iltrionfo del naso. Iniziava con il Settecento l’epoca dell’oc-chio. Piaceva di più vedere e immaginare intellettualmente espiritualmente che sentire per mezzo del gusto. Cambieran-no, in quest’epoca di passaggio, anche i canoni fondamentalidella medicina che da negromantica e anche non poco eso-terica, diventerà scientista e quasi razionale.

Le bevande calde preferivano “gli spazi diurni” e la “pri-

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vatizzazione del tempo” in momenti ben definiti: la camerada letto e il boudoir. La cioccolata si consumava, infatti, inuna dimensione intima e privata. Al mattino (“lever”) o allapiccola colazione (“petit-déjeuner”) o in pranzi confidenziali(“petits soupers”).

Le bevande fredde, a parte le merende estive, si consuma-vano ai galà o durante i ricevimenti ufficiali.

L’alternanza delle bevande calde con quelle fredde se-gnerà il distacco dei pranzi “all’antica” da quelli “alla moder-na”. Insomma, anche la cioccolata funzionerà da grimaldelloper portarci, definitivamente, verso i tempi nuovi che risulte-ranno, anche per merito suo, sempre più vicini.

Con l’Ottocento i laboratori artigianali e l’uso delle impa-statrici, prima idrauliche e poi a vapore, permettevano ad unmaggior numero di persone di diventare anche smodatamen-te golose. Il resto è quotidianità.

Sono certo che gli accademici di Alessandria, Aosta, Ivrea,Novara, Cusio, Verbano, Ossola e Vigevano difficilmente sidimenticheranno di questo incontro proposto, ideato e orga-nizzato dal Delegato di Novara, Costantino Tromellini, in col-laborazione con il Delegato di Vigevano. Unitamente, hannosaputo riunire intorno a questa mensa, elegante e raffinata ead un menu, così originale, attentamente e sapientementestudiato da tanto anfitrione, non solamente gli amici ma i va-lori portanti della ricercatezza culinaria e culturale che fannodell’Accademia il primo ed il più nobile tra i suoi consimilisodalizi.

ALBERTO GAMALERI CALLERI GAMONDIAccademico di Alessandria

(Stralcio dell’intervento pronunciato in occasione della “Giornata del Cioccolato”)

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PRESENTAZIONE pagina 5(Giuseppe Dell’Osso)

INTRODUZIONE 6(Gianni Franceschi)

LE RELAZIONI

DELEGAZIONE DI ROMAIl Cibo degli Dei 9(Marina Cepeda Fuentes)

DELEGAZIONE DI ALBA/LANGHEDal giandujotto alla Nutella 22(Gigi Padovani)

DELEGAZIONE DI AVELLINOBiochimica del cioccolato 24(Mario De Simone)

DELEGAZIONE DI BIELLA/VERCELLIIl cioccolato in cucina 27(Aldo Tavella)

DELEGAZIONE DI CATANZAROPiccolo dizionario del cioccolato 29

DELEGAZIONE DI CITTÀ DEL MESSICOIl dolce-forte dagli Aztechi alla Toscana 33(Isabella Spagnuolo Borgia)

I N D I C E

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DELEGAZIONE DI CITTÀ DEL MESSICOUn dono del Maessico al mondo pagina 37(Martha Figueroa De Duenas)

DELEGAZIONE DI CORTINA D’AMPEZZOLa Merendina 40Le date del cioccolato 41

DELEGAZIONE DI CREMONAUn poemetto per il vescovo 43

DELEGAZIONE DI MACERATAAttenti alle etichette 46(Vincenzo Perini)

DELEGAZIONE DI MARSALAPsicologia del cioccolato 48(Giacomo Pellegrino)Conoscere il cioccolato 50(Enza Pellegrino)

DELEGAZIONE DI MESTRE E TERRAFERMAI bagagli delle principesse 52(Alfredo Pelle)

DELEGAZIONE DI MILANOEl cioccolattee 55(Gianni Staccotti)

DELEGAZIONE DI NAPOLI-CAPRILa barbajata da Milano a Napoli 57(Lejla Mancusi Sorrentino)La cioccolata nel Seicento 60

DELEGAZIONE DI PADOVAAlla conquista dell'Europa 62(Antonio Boschetti)

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DELEGAZIONE DI PESCARAIl viaggio del cioccolato pagina 66(Olindo Pelino)

DELEGAZIONE DI SALERNOLa cioccolata di Dorian Gray 69(Mario Lamagna)

DELEGAZIONE DI SAN PAOLO DEL BRASILECuriosità sul cioccolato 71(Amedeo Bobbio)

DELEGAZIONE DI TORINOLa culla del cioccolato 73(Giorgio Peyrano)Gli argenti del cioccolato 77(Gianfranco Fina)Versatile cioccolato 80(Carlo Di Jacovo)

DELEGAZIONE DELLA VERSILIAPer fare il cioccolato ci vuole un albero 83(Boris Giannaccini)

DELEGAZIONE DI VICENZAIl bitume prezioso 85(Franco Peria)

DELEGAZIONE DI VIGEVANOIl cioccolate 89(Gian Carlo Passeroni)

LE SEI DELEGAZIONIDalla cioccolata al cioccolato 90(Alberto Gamaleri Calleri Gamondi)

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EDIZIONE: ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

VIA NAPO TORRIANI 31, 20124 MILANO

REALIZZAZIONE EDITORIALE:STUDIO RICCIARDI & ASSOCIATI

VIA CASALE DI TOR DI QUINTO 1, 00191 ROMA

FINITO DI STAMPARENEL MESE DI APRILE 2002 PRESSO LA TIPOGRAFIA:

GRAFICA GIORGETTIVIA DI CERVARA 10, 00155 ROMA

QUESTO QUADERNO È STATO STAMPATOIN 5200 COPIE FUORI COMMERCIO

RISERVATE AGLI ACCADEMICI DELLA CUCINA

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LA GIORNATADEL CIOCCOLATORELAZIONI, INTERVENTI & CONTRIBUTI

22 NOVEMBRE 2001

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