Psicoterapia e letteratura

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ARACNE Psicoterapia e letteratura Pietro Barbetta / Franco Brevini

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ARACNE

Psicoterapia e letteratura

Pietro Barbetta / Franco Brevini

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I edizione: agosto 2008

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Indice INTRODUZIONE Habent sua fata colloquia ......................................... 7 CAPITOLO I. L’isterica Con un intervento di Daniele Giglioli ....................... 35 CAPITOLO II. Anoressia Con un intervento di Raffaella Trigona .................... 51 CAPITOLO III. Il coro greco Con un intervento di Dario Toffanetti ....................... 67 CAPITOLO IV. Psicoterapia postcoloniale. Con un intervento di Michele Capararo ................... 83 CAPITOLO V. Isadora Duncan e la psicoterapia Con un intervento di Silvia Briozzo .......................... 97

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INTRODUZIONE Habent sua fata colloquia

Questo volumetto nasce da un colloquio radiofonico tra

Pietro Barbetta e Franco Brevini, uno psicoterapeuta e un italianista, entrambi docenti presso la Facoltà di Scienza della Formazione dell’Università di Bergamo. Tutto nac-que circa un anno fa, quando, nel bicentenario della nasci-ta, discutemmo intorno alla figura di Hans Christian An-dersen. Cosa metteva in luce lo scrittore danese in quella sfera che sarebbe poi divenuta appannaggio della psicoa-nalisi? E quali indicazioni possono ricavare gli analisti dalla lettura delle fiabe di Andersen? In nuce c’era già l’argomento di questo libro.

Pietro Barbetta aveva insistito molto su un racconto in-solitamente lungo, La regina della neve, che presenta il rapporto di amicizia tra due bambini, Kay e Gerda. Kay abbandona la piccola Gerda dopo avere ricevuto il bacio della Regina della neve, che lo porta con sé lontano, in luoghi inaccessibili.

Questo racconto ne aveva richiamato un altro analogo, diffuso nella psicopatologia trans–culturale, che ha per protagonista il Withigo o Windigo, un mostro di ghiaccio che si presenta in alcune aree del Nord America tra le tribù native che risiedono nelle zone subartiche.

Il Withigo è antropofago, si nutre di carne umana, ma è nello stesso tempo un uomo che si è trasformato in un mo-stro di ghiaccio. I primi sintomi accusati dal Withigo sono

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il ritiro dalla vita sociale, il silenzio, l’ombrosità, i disturbi del sonno e in particolare il sonnambulismo. Piano piano la persona si trasforma estraniandosi, esce di notte al fred-do e incomincia a uccidere gli abitanti che dormono negli accampamenti per poi divorarli.

Il Withigo costituisce evidentemente una categoria dia-gnostica locale, che indica chi subisce un processo di estra-niazione della persona causato dalle terribili condizioni am-bientali, una specie di sindrome da disagio climatico. Ma è anche un vero e proprio fenomeno isterico: una conversione.

La somiglianza con la fiaba di Andersen è evidente, an-che se Kay, anziché tornare per divorare gli esseri umani, scompare tra le braccia gelide della regina della neve. Al-meno finché Gerda, dopo lunghe peripezie, non lo ritrove-rà e non lo riporterà a casa pienamente reintegrato, scon-figgendo con l’amore il gelo trasmesso, inoculato dalla re-gina attraverso il bacio. La storia indiana invece è tragi-camente destinata a portare il processo di estraniazione fi-no agli estremi dell’antropofagia. L’essere umano trasfor-mato in Withigo torna infatti come mostro di ghiaccio presso la propria gente, ma per divorarla, ormai trasforma-to in uno zombie ghiacciato.

Inoltre rispetto al Withigo la Regina della neve mantie-ne un’identità separata e fin dal principio disumana. Il Wi-thigo invece è il risultato di un processo di trasformazione della persona: chiunque durante il freddo inverno canadese può trasformarsi in Withigo.

Nella storia di Andersen il male, che in entrambi i casi viene identificato con il freddo, può essere sconfitto per-ché è un’entità esterna all’uomo, un’entità che già fin da principio è non–umana, è uno spettro. Una figura femmi-nile: l’isterica.

Dopo questo colloquio, incuriosito dalle implicazioni tra letteratura e psicoterapia emerse nel corso della discus-

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sione su Andersen, Franco Brevini propose alla Radio del-la Svizzera Italiana di programmare un ciclo di cinque tra-smissioni dedicate appunto a questo argomento: Psicotera-pia e letteratura. L’idea piacque al caporete Lorenzo Sgan-zini e a Daniela Fornaciarini, responsabile della trasmis-sione di approfondimento culturale Laser, e la serie andò in onda nel 2006 su Rete Due.

Decidemmo di partire proprio dalla figura dell’isterica, poiché in quel periodo si assisteva a un rinnovato interesse intorno all’isteria da parte sia dei clinici, sia degli studiosi di letteratura. Secondo lo schema della trasmissione, ogni volta invitammo a commentare ciò che avevamo detto un ospite che ci raggiungeva al telefono. In questo primo momento la scelta cadde su Daniele Giglioli, che insieme ad Alessandra Violi aveva appena concluso la curatela di un numero del periodico Locus Solus dal titolo L’imma-ginario dell’isteria.

Qual è il punto chiave dell’isterica? L’isterica fa e-mergere una texture nascosta sotto l’apparenza scientifi-ca del discorso clinico. Da una parte, addirittura a parti-re dal Seicento con Thomas Willis, l’isteria viene rico-nosciuta come una malattia dei nervi, dunque una ma-lattia universalmente contraibile. Vengono abbandonate cioè le antiche teorie dell’utero che, come un misterioso animale, si muoverebbe entro il corpo della donna, e-sprimendone una seconda intenzionalità. Dall’altra però non si può passare sotto silenzio che l’exemplum clinico presentato attraverso il materiale fotografico raccolto presso il famoso ospedale della Salpêtrière, così come i casi clinici descritti in psicoanalisi, rimangono intera-mente femminili.

Nell’immaginario occidentale l’isterica è l’Altro. Come osserverà Giglioli, i primi casi d’isteria maschile piena-mente significativi si trovano in letteratura, si pensi a Con-

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rad o a Melville, che in qualche modo ripercorrono il cammino di Ulisse di fronte al canto delle sirene.

Nel volume Le radici culturali della diagnosi Teresa Arcelloni e Gabriela Gaspari Boi rintracciano il fenomeno isterico in alcuni casi clinici di lavoratori immigrati che si recano in ospedale con disturbi somatoformi. Vengono in-viati in psichiatria dopo innumerevoli esami che non ri-scontrano alcun elemento organico in grado di trasformare i sintomi in segni rilevanti ai fini diagnostici. Si tratta di cefalee, disturbi di stomaco, dolori agli organi genitali, manifestazioni epilettiche, spossatezza. A patirli sono però giovani uomini che lavorano in fabbrica, non più, come era accaduto nell’Ottocento, giovani donne appartenenti ai ceti elevati.

C’è qualcosa che accomuna queste sintomatologie? Certamente la frammentazione del corpo, gli organi che parlano attraverso i sintomi, una parte del corpo che delira. Al capitolo settimo del saggio su Francis Bacon, Logica della sensazione, Deleuze parla di un corpo senza organi, che non si definisce né per l’assenza di organi, né per l’esistenza di un organo indeterminato, ma per la presenza temporanea e provvisoria di organi determinati. Questi organi emergono come frammenti dolenti del corpo isteri-co. L’isteria può venire descritta come il delirio somatico di un organo, un dolore senza cause. In un certo senso l’opposto della schizofrenia. Se la schizofrenia è un delirio della mente, con possibili ragioni organiche ― dai neuro-trasmettitori alla genetica ― l’isteria è un delirio del corpo senza alcuna causa organica. Ragione per cui prima di Charcot le isteriche non venivano ammesse negli ospedali psichiatrici e venivano in larga misura considerate delle mentitrici e delle pervertite morali.

Invero il fenomeno isterico mostra caratteristiche che, più che alla resistenza, fanno pensare alla decostruzione.

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CAPITOLO I. L’isterica Con un intervento di Daniele Giglioli

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Brevini – Psicoterapia e letteratura: per quanto le due discipline risultino piuttosto eterogenee il binomio si stabi-lisce all’inizio della storia della psicoanalisi, al punto da sembrarne uno degli elementi caratterizzanti. Sappiamo che Freud era un grande lettore e che la letteratura e i per-sonaggi della letteratura hanno svolto nella sua opera un ruolo fondamentale: si pensi solo a Edipo, a Amleto e ai fratelli Karamazov. E tutti sanno che Freud ha scritto an-che dei testi specificamente dedicati all’arte e alla lettera-tura. Ma c’è di più. Persuasi dell’importanza della scrittura freudiana, alcuni interpreti hanno addirittura rimproverato di scarsa attenzione i traduttori di Freud: sto pensando so-prattutto alle riserve espresse da Lacan, che ha insistito sugli spessori letterari delle opere del padre della psicoa-nalisi, importanti almeno quanto le affermazioni scientifi-che.

All’opposto la letteratura, sia pure con gli strumenti che le appartenevano, aveva da sempre fatto i conti con i mate-riali che avrebbero costituito l’oggetto della nuova disci-plina, procurando mirabili incarnazioni di disturbi e disagi ora indagati con gli strumenti della scienza. Anche la criti-ca letteraria avrebbe mostrato di apprezzare gli strumenti ermeneutici elaborati dalla psicoanalisi, non senza qualche rischio, poi superato, di scambiare l’attività interpretativa per quella clinica.

Ecco dunque la ragione del titolo di questi incontri, ai quali partecipano uno psicoterapeuta e uno storico della letteratura, affiancati lungo il percorso da altre figure di studiosi interessati alle scienze della psiche.

Pietro Barbetta ha pubblicato un libro che si intitola Anoressia e isteria. Forse potremmo partire di qui. Come sappiamo, dal romanzo al cinema, il personaggio dell’iste-rico appartiene a una specie molto diffusa nei territori dell’arte, ma la riflessione su questa classe di nevrosi che

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manifesta quadri clinici quanto mai differenziati ha cono-sciuto nel corso di un secolo una notevole evoluzione. Da-gli studi di Breuer a quelli dello stesso Freud dedicati alla figura dell’isterica se ne è fatta di strada. Lungo tutta la tradizione occidentale l’isteria, questa malattia sine mate-ria, come si diceva per sottolineare l’assenza di ogni le-sione organica, è stata ricondotta alla figura femminile. Ippocrate fin dai primordi la attribuiva a un cattivo fun-zionamento dell’utero, che in greco si chiama appunto ΰστερον. Semplificando robustamente si potrebbe dire che la psicoanalisi ha cercato di smontare questa equazione tra isteria e mondo femminile.

Barbetta – Prima della psicoanalisi, con Charcot, si era

sostenuto come l’isteria non fosse un problema femminile. Addirittura nel XVII secolo, Thomas Willis aveva posto la questione in termini di nervi e non di utero. È rimasta pe-rò, nel senso comune, e nell’inconscio psichiatrico, l’idea che il personaggio isterico fosse femmineo. Il mondo femminile rimase un buon obiettivo per questo tipo di dia-gnosi. In un saggio di Daniele Giglioli, apparso su “Locus solus” si parla dell’Altro: l’africano, il colonizzato. Il per-sonaggio isterico sembra assumere in letteratura una con-notazione in relazione al mistero dell’alterità.

Brevini – E con questo ci infiliamo subito in un pro-

blema scottante, in cui sono in gioco le diversità di genere e quelle etniche. Che rapporto possiamo stabilire tra una polarizzazione in cui l’altro è la donna a un’altra polariz-zazione in cui l’altro è invece quello che ha la pelle di un colore diverso o è portatore di una cultura, di una religio-ne, di una lingua diverse? E quali conseguenze si possono prevedere per la pratica clinica?

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Barbetta – Si tratta di una questione letteraria, però si tratta pure dell’ordine del discorso diagnostico. Una volta penetrata nel senso comune, l’idea dell’isterico come per-sonaggio femmineo si radica nel linguaggio della psicote-rapia. L’Altro che è l’isterico, è in primo luogo la donna, l’Altro più prossimo. Poi è il colonizzato.

Potremmo chiamarlo l’inconscio della psichiatria, una forma di organizzazione del linguaggio in cui, sotto il velo del discorso scientifico, che dice che l’isteria è una sin-drome sia maschile che femminile, c’è un discorso sotter-raneo, che ha coinvolto Charcot e Freud. Entrambi ritene-vano non essere l’isteria un fenomeno femminile, però, nel discorso sotterraneo, i casi clinici sono femminili.

Brevini – Il pregiudizio ha gravato dunque anche sulla

tradizione psicoanalitica, nonostante i suoi migliori intenti? Barbetta – Sì, il narcisista è l’uomo e l’isterica è la

donna, così è organizzato il discorso psicoanalitico in in-terlinea. Nella tradizione del discorso diagnostico questo linguaggio nascosto fa da sfondo a un discorso sicuramen-te più complesso. Però alla fine, nel momento in cui si a-nalizzano i casi clinici, ci si trova di fronte a questa polari-tà. Diventa un modo di pensare.

Brevini – Vediamo di accordarci almeno sul piano ter-

minologico, cercando di recuperare alla sua origine la de-finizione di isteria. Per Freud è quella sindrome per cui un disagio psicologico non ancora chiarito conosce delle ma-nifestazioni di tipo corporeo. La sua idea era che l’isteria fosse una malattia a tutti gli effetti, con una propria ezio-logia. Attraverso il metodo delle libere associazioni, Freud riconduceva l’isteria al mancato deflusso delle cariche af-fettive associate al ricordo dell’evento traumatico.