Psicopatologia Dell'Arco Della Vita

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PSICOPATOLOGIA DEL CICLO DI VITA CAPITOLO 1: PSICOLOGIA DEL CICLO DI VITA

1.LA PSICOLOGIA DEL CICLO DI VITA La psicologia del ciclo di vita può essere definita come la disciplina che ha come oggetto di studio la descrizione,la spiegazione del comportamento e della stabilità intra-personali. Il presupposto teorico fondante la prospettiva del ciclo di vita è che lo sviluppo non sia una trasformazione direzionale,lineare e coerente verso il raggiungimento di una condizione ottimale, ma che lo sviluppo abbracci l’intero arco di vita. Lo sviluppo è un processo che si snoda nel corso di tutta la vita. La prospettiva del ciclo di vita supera le teorie tradizionali dello sviluppo che hanno descritto la crescita come una progressione attraverso una serie di stadi comuni che si succedono secondo un ordine precostituito che deve essere percorso per raggiungere una condizione di teorica normalità. (vedi tab sotto) ® Il concetto di multidimensionalità permette di distinguere diverse dimensioni dello

sviluppo,permette di riconoscere che esso non procede necessariamente in maniera simultanea o equivalente su tutti i fronti,ma che si possono osservare disarmonie come ad esempio tra lo sviluppo cognitivo e quello affettivo oppure tra ambiti diversi come quello musicale e sociale,senza che questo stia a indicare un difetto della persona. ® Il concetto di plasticità fa riferimento al fatto che l’evoluzione di un individuo può in certa misura essere modificata dalle esperienze e dalle condizioni di vita. La plasticità si riferisce al cambio di traiettoria che si può modificare nell’individuo,cioè al fatto che un percorso evolutivo può essere modificato anche una volta che è stato avviato. (es: un ambiente ricco emotivamente e intellettualmente è in grado di migliorare lo sviluppo di un bambino la cui vita sia stata caratterizzata da esperienze di deprivazione). ® Per quanto riguarda il concetto di perdite/acquisizioni bisogna tener presente che non sono uniformi nel corso della vita,in quanto,le perdite possono diventare prevalenti con l’invecchiamento sia per l’influenza delle convenzioni sociali sia per la riduzione delle risorse biologiche e mentali . ® Il concetto di multidisciplinarità fa riferimento al fatto che lo sviluppo va considerato come il risultato dell’influenza di diversi sistemi,ognuno dei quali associato a campi di studio specifici. ® Lo sviluppo è inoltre un processo calato nella realtà storica e culturale,le esperienze vitali,infatti, influenzano lo sviluppo psicologico non solo in rapporto alla loro natura,ma anche all’età in cui si compiono: la temporalizzazione dell’esperienza è importante sia a

livello biologico,perché i suoi effetti sul funzionamento neuronale sono influenzati dallo stato attuale del cervello,sia a livello psicologico perché le esperienze possono essere vissute diversamente o dar luogo a risposte diverse se avvengono in tempi atipici,ovvero diversi da quelli normalmente condivisi da una determinata cultura. È

Concetto di sviluppo - è un processo che dura tutta la vita - è un processo multidimensionale - è un processo che comprende guadagni e perdite -è un processo interattivo -è un processo calato nella realtà storica e culturale -è un campo di studi multidisciplinare

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necessario ,inoltre tener conto del fatto che le persone sono attive,cioè che reagiscono e rispondono in modi differenti agli eventi e ai momenti di transizione che non vengono semplicemente subiti passivamente. Non basta quindi limitarsi a considerare l’impatto delle esperienze,ma occorre soffermarsi sulla loro negoziazione,cioè sulle modalità con cui il soggetto agisce,pensa e vive quella specifica esperienza. 2. UN CONFRONTO TRA ALCUNE TEORIE DELLO SVILUPPO Le teorie a cui viene fatto riferimento utilizzano un concetto di stadio e di fase dello sviluppo,intendendo con questi termini un insieme di caratteristiche che connotano le diverse tappe dell’evoluzione individuale. Il concetto di stadio viene usato con diversi significati che vanno da quello maturazionale,che indica lo sviluppo biologico,a quello strutturale che implica cambiamenti qualitativi,universali e gerarchici delle competenze, e quello socioculturale che ingloba in una definizione maturazionale anche i fattori ambientali e sociali come elementi di cambiamento. Nella prospettiva del ciclo di vita,invece di una definizione restrittiva, è forse meglio utilizzare una definizione aperta comprensiva del modello “crescita mantenimento e declino” che caratterizza i percorsi evolutivi sia biologici che psicologici , e del modello “acquisizione specializzazione integrazione” che prevede una variabilità individuale, una possibilità di oscillazione tra i vari stadi e una complessità non lineare,nel delineare una progressione non normativa del corso della vita che propone un percorso potenziale,senza presupporre che tutte le persone percorrano il medesimo tratto. 2.1 LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO PIAGET la teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget può essere considerata lo studio delle modalità di acquisizione,modificazione e sviluppo delle capacità di pensiero,organizzata in quattro stadi che comprendono il periodo dalla nascita all’adolescenza. Gli stadi procedono seguendo un determinato ordine e il percorso evolutivo non può saltare nessuno stadio. La struttura organizzativa degli stadi è di tipo gerarchico: ogni stadio è preliminare a quello successivo e le acquisizioni precedenti vengono elaborate nel corso del processo di sviluppo. i tre motivi conduttori della teoria piagetiana sono: • ipotesi dell’egocentrismo e del realismo infantile • concetto di adattamento come equilibrio dinamico tra assimilazione e accomodamento • concetto di contrapposizione tra irreversibile e pensiero reversibile o operatorio. Con il termine egocentrismo Piaget indica una tendenza molto accentuata del bambino a non rendersi conto,o comunque a non tener conto del fatto che possano esistere punti di vista diversi dal proprio. Con il concetto di realismo Piaget si riferisce al primato dell’attività percettiva sull’attività rappresentativa, nel senso che la realtà materiale e tangibile appare al bambino come l’unico tipo di realtà,almeno per un certo periodo. L’intelligenza veniva considerata come una forma di adattamento all’ambiente che si presenta come un equilibrio dinamico tra il processo di assimilazione e quello di accomodamento. Per assimilazione si intende quel processo per cui ogni nuovo dato di esperienza viene incorporato in schemi mentali già esistenti nel bambino senza però che abbia luogo alcuna modificazione di tali schemi. Il termine accomodamento indica un processo complementare al primo, in quanto i nuovi dati dell’esperienza che vengono incorporati in schemi già posseduti,modificano questi stessi schemi adattandoli

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ai nuovi aspetti della realtà. L’adattamento intelligente si ha quando tra i due processi di assimilazione e accomodamento vi è un equilibrio. L’altro motivo conduttore del pensiero piagetiano consiste nella contrapposizione tra irreversibilità del pensiero intuitivo e reversibilità del pensiero operatorio. Il pensiero intuitivo non reversibile è il solo tipo di attività cognitiva presente nel bambino fino ai 6 anni circa. Esso consiste nella rievocazione di avvenimenti o di azioni ai quali il bambino ha assistito o che ha compiuto; questa rievocazione non è altro che un rintracciare il susseguirsi delle modificazioni che sono intervenute in una situazione,e che costituiscono nel loro insieme l’avvenimento osservato o l’azione compiuta e tende ad assumere lo stesso carattere di uni direzionalità che l’avvenimento o l’azione reali hanno presentato. Il pensiero assume carattere di reversibilità nel momento in cui l’azione mentale che ripete un avvenimento o un atto reale cessa di avere certi caratteri che sono propri di una azione affettiva,per assumere invece quelli di una azione puramente possibile,i cui risultati possono in ogni momento venire annullati. La teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget comprende quattro stadi,ognuno dei quali ha caratteristiche specifiche di pensiero che vengono descritte analiticamente.

1- Periodo senso motorio (dalla nascita ai due anni circa; caratterizzato da sei sottostadi) il bambino comprende il mondo limitatamente alle azioni fisiche che egli esercita direttamente su di esso e attraverso i vari sottostadi evolve dall’uso dei riflessi verso un insieme di schemi organizzati corrispondenti agli adattamenti intenzionali,che utilizzano la combinazione mentale di schemi già posseduti. L’obbiettivo fondamentale di questo periodo è lo sviluppo di una permanenza dell’oggetto,cioè di una capacità del bambino di comprendere che gli oggetti hanno una propria esistenza indipendentemente dal rapporto che egli ha con ciascuno di essi. In questo stadio i bambini imparano a distinguere se stessi dal mondo esterno e divengono capaci di mantenere un’immagine mentale di un oggetto anche quando non è presente. Verso i 18 mesi,infatti, cominciano a sviluppare le rappresentazioni mentali .

2- Periodo pre-operazionale (dai 2 ai 7 anni circa) il bambino non compie più semplici aggiustamenti percettivi ma può usare simboli in modo sempre più organizzato (parole,gesti ecc…). lo sviluppo delle funzioni rappresentative è favorito dall’attività imitativa,dal gioco e dall’uso del linguaggio verbale. Il pensiero si esplica a livello intuitivo senza l’uso del ragionamento, in questo stadio,infatti, i bambini sono in grado di denominare singoli oggetti ma non categorie di oggetti. Essi utilizzano anche una forma di pensiero “magico”, secondo il quale gli eventi non sono concatenati da nessi logici ma sono considerati l’uno causa dell’altro, ed una forma di pensiero “animistico” che gli spinge ad attribuire agli eventi e agli oggetti caratteristiche psicologiche simili a quelle degli essere umani. Caratteristico di questa fase è l’egocentrismo che rende n bambino incapace di immedesimarsi negli altri e centrato esclusivamente su se stesso come se fosse al centro dell’universo.

3- Periodo delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni) vengono acquistate funzioni logiche che permettono di compiere varie operazioni mentali come: ordinare,riunire in serie,raggruppare in classi gli oggetti e di ragionare per sillogismi. Il bambino comincia a

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prendere in considerazione il punto di vista degli altri,perché il pensiero egocentrico viene sostituito dal pensiero operazionale. L’obbiettivo di questo stadio consiste nell’organizzazione e nell’ordinamento degli eventi che avvengono nel mondo reale.

4- Periodo delle operazioni formali (dagli 11 ai 15 anni circa) è caratterizzato dall’acquisizione del pensiero astratto,del ragionamento deduttivo e dalla definizione di concetti. In questo periodo l’adolescente può generare ipotesi astratte: il pensiero diventa logico astratto e ipotetico.

2.2 LO SVILUPPO PSICODINAMICO SECONDO FREUD La teoria freudiana ha 4 concetti chiave: la maturazione dell’io Con lo sviluppo del bambino il suo io si differenzia gradualmente rispetto allo stato indifferenziato neonatale,si incrementano il principio di realtà e i processi secondari del pensiero,la graduale comparsa de meccanismi di difesa e una comprensione più differenziata delle relazioni interpersonali. lo sviluppo psicosessuale evolve attraverso cinque stadi ognuno dei quali è definito nei termini delle aree del corpo in cui sono centrate le pulsioni in quello specifico periodo dello sviluppo. 1.FASE ORALE (0-1): gli impulsi orali consistono in due componenti separate: libidica e aggressiva. Gli obbiettivi di questa fase sono rappresentati dallo stabilire una dipendenza fiduciosa dagli oggetti di nutrimento e di sostegno. L’effetto di scarsa gratificazione nella fase orale può causare fissazioni libidiche che contribuiscono a indurre tratti patologici del carattere che comprendono: eccessivo ottimismo,narcisismo e una esagerata tendenza ad essere esigenti e eccessivamente dipendenti dagli oggetti per il mantenimento dell’autostima. Il successo della risoluzione della fase orale fornisce una base nella struttura del carattere relativa alla capacità di dare e ricevere dagli altri senza eccessiva dipendenza o invidia,e alla capacità di far affidamento sugli altri con un senso di fiducia negli altri e in se stessi. 2.FASE ANALE (1-3): L’erotismo anale si riferisce al piacere provato dal bambino nella ritenzione delle feci e nel presentarle come un dono alla madre; mentre il sadismo anale si riferisce all’espressione di desideri aggressivi connessi con l’emissione delle feci intese come strumenti di potere nei confronti della madre. L’eccessivo controllo sfinterico e la mancanza di controllo sono associati ai tentativi del bambino di raggiungere l’autonomia senza eccessiva vergogna o insicurezza. I tratti caratteriali derivati dalle fissazioni nelle funzioni anali sono l’ordine,l’ostinazione,la caparbietà,la parsimonia. Gli obbiettivi di questa fase sono rappresentati dal raggiungimento di una relativa dipendenza e dall’allentamento del controllo del genitore. Il successo della risoluzione della fase anale fornisce la base per lo sviluppo dell’autonomia personale,della capacità di indipendenza e di iniziativa senza senso di colpa,della capacità di determinare autonomamente il proprio comportamento senza un senso di insicurezza e di vergogna,di affrontare l’ambivalenza e di collaborare spontaneamente senza eccessiva ostinazione e autosvalutazione. 3.FASE FALLICA (3-5): in questa fase il pene diventa l’organo di interesse principale per i bambini di entrambi i sessi e la mancanza del pene nella femmina è considerata come un segno di castrazione. Lo stadio fallico è associato ad un aumento della masturbazione genitale accompagnata da fantasie prevalentemente inconsce di coinvolgimento sessuale con il genitore di sesso opposto. La minaccia di castrazione

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sorge in connessione con il senso di colpa per la masturbazione e per i desideri edipici che in questa fase si consolidano. La fissazione a questo stadio di sviluppo si collega con i problemi di castrazione nei maschi e di invidia del pene nelle femmine (complesso d Edipo). La risoluzione del complesso di Edipo conduce al rafforzamento delle risorse interne per regolare le pulsioni e per indirizzarle verso fini costruttivi. La fonte interna della regolazione è rappresentata dallo svilupparsi del Super-io che si fonda sulle identificazioni derivate da ambedue le figure genitoriali e dalle norme di vita da esse trasmesse. 4.FASE DI LATENZA (5-11): quiescenza delle pulsioni sessuali. Questo periodo è caratterizzato dal formarsi di relazioni amicali dello stesso sesso e dalla sublimazione delle energie libidiche e aggressive in attività di apprendimento e di gioco,di esplorazione dell’ambiente e di miglioramento delle abilità nel trattare col mondo circostante. 5.FASE GENITALE (11 in poi): la maturazione sessuale conduce ad una intensificazione degli impulsi libidici che produce una regressione nell’organizzazione della personalità tale da riaprire i conflitti tipici degli stadi precedenti,ma anche da fornire l’opportunità di una nuova risoluzione dei conflitti nel contesto del raggiungimento di una identità sessuale matura. Gli obbiettivi di questa fase sono rappresentati da: conclusione delle dipendenza dai genitori,organizzazione di relazioni mature non incestuose,raggiungimento di un senso di identità personale,accettazione di ruoli e di funzioni proprie dell’età adulta. Il modello topografico della mente nel modello topografico la mente è divisa in tre regioni: il sistema inconscio,il sistema conscio,il sistema preconscio. Il sistema dell’inconscio è una struttura dinamica,cioè i contenuti e i processi mentali sono mantenuti al di fuori della consapevolezza attraverso la forza della censura e della repressione ( meccanismo di esclusione del materiale doloroso dalla coscienza,elemento essenziale per la formazione dei sintomi psichici).. l’inconscio è strettamente correlato agli istinti costituiti da pulsioni sessuali e di autoconservazione. Il contenuto dell’inconscio è limitato ai desideri che cercano appagamento,che forniscono la motivazione dei sogni e determinano la formazione dei sintomi nevrotici . il sistema dell’inconscio è caratterizzato dal processo primario del pensiero il cui scopo principale è la facilitazione dell’appagamento del desiderio e della scarica istintuale. I contenuti dell’inconscio possono diventare consci solo attraverso il preconscio: quando la censura viene sopraffatta gli elementi inconsci possono raggiungere la coscienza. Il sistema conscio è quella parte della mente in cui le percezioni che provengono dal mondo esterno o dall’interno dell’organismo o dalla mente stessa sono portate a livello di coscienza. La coscienza viene considerata come un fenomeno soggettivo il cui contenuto può essere comunicato solo per mezzo del linguaggio o del comportamento. Il sistema preconscio comprende quegli eventi processi e contenuti mentali che è possibile portare a livello della consapevolezza mediante l’atto di focalizzazione dell’attenzione. Il preconscio è collegato sia con il sistema inconscio che con quello conscio e mantiene la barriera repressiva censurando i desideri inaccettabili. Ipotesi strutturale dell’apparato psichico Freud elaborò l’ipotesi strutturale dell’apparato psichico definendo le strutture mentale rispettivamente come: Es,Io e Super-Io. L’Es è la “sede” di tutte le nostre pulsioni. L’Io riguarda i rapporti del soggetto con l’ambiente. Le funzioni dell’Io sono costituite dal controllo e dalla regolazione degli impulsi istintivi,dal giudizio,cioè dalla capacità di prevedere le

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conseguenze delle proprie azioni,dalla relazione con la realtà,dalle relazioni oggettuali,dalla organizzazione dei meccanismi di difesa. Nel processo di differenziazione dell’Io sono implicate quelle modalità di funzionamento psichico definite come processo primario,o principio del piacere, e processo secondario,o principio di realtà. Il principio del piacere definisce la tendenza innata dell’organismo a evitare il dolore e a cercare il piacere attraverso la scarica delle tensioni. Il principio di realtà è considerato una funzione appresa ,strettamente correlata alla maturazione dell’Io, che modifica il principio del piacere e permette il differimento della gratificazione immediata. La trasformazione del processo primario in secondario è un procedimento graduale che fa parte della differenziazione e della crescita dei processi psichici che costituiscono l’Io. Il Super-Io si sviluppa per ultimo e comprende tutte le funzioni morali della personalità come: onestà,autosservazione crititca,autopunizione,esigenza di riparare il malfatto o pentirsene,autostima ecc… Le funzioni del Super-Io sono in gran parte o completamente inconsce. 2.3 LO SVILUPPO PSICOSOCIALE SECONDO ERIKSON Erikson ha formulato un approccio in cui lo sviluppo viene teorizzato come un processo che si estende lungo tutto l’arco della vita. La concezione di Erikson era fondata sulla tesi che la personalità continua a cambiare e a evolversi anche durante la maturità e fino alla vecchiaia. Il suo contributo è stato determinante nel favorire una distinzione tra la “psicologia infantile” e la “psicologia dello sviluppo” riferita all’intero arco dell’esistenza. Nello specifico Erikson propone un individuo il cui sviluppo è immerso in una società in costante cambiamento,pone l’accento sul ruolo della cultura nel plasmare il bambino,il cui sviluppo è influenzato non solo dall’acquisizione dei vari stadi ma anche del tipo di sistema socio-culturale in cui è inserito. Erikson attribuisce all’ambiente il potere di influenzare le modalità con cui le tappe del ciclo di vita vengono risolte. Lo sviluppo è influenzato in due modi dalla cultura: in primo luogo,sebbene la sequenza degli stadi sia universale,ogni cultura ha proprie modalità di gestire,promuovere ,guidare il comportamento del bambino;inoltre anche all’interno di uno stesso sistema sociale si possono verificare nel corso del tempo notevoli cambiamenti per cui certe modalità,appropriate in specifiche fasce generazionali,possono non essere completamente condivisibili per altre. Lo sviluppo psicosociale segue il principio epigenetico secondo il quale esso si realizza in stadi sequenziali chiaramente definiti,e ciascuno stadio deve essere risolto in modo soddisfacente perchè lo sviluppo possa procedere senza problemi. Secondo questo principio se non si ottiene una risoluzione adeguata di un particolare stadio,tutti gli stadi successivi riflettono questo insuccesso nella forma di un inadeguato adattamento cognitivo,sociale e emozionale. Il modello di Erikson prevede la risoluzione sequenziale di una serie di “crisi psicosociali” definite come punti di svolta nello sviluppo,ovvero periodi in cui il soggetto si trova in uno stato di maggiore vulnerabilità,la cui evoluzione positiva porta allo sviluppo di nuove capacità e il cui insuccesso si collega con manifestazioni psicopatologiche diverse. Erikson individua 8 stadi che il soggetto deve fronteggiare:

- PRIMO STADIO (O-3) Consiste nell’acquisire un senso di fiducia,grazie all’esperienza fornita dalla madre di soddisfacimento di bisogni fondamentali come l’alimentazione, il sonno,il rilassamento. È proprio durante il primo anno di vita che il bambino impara a fidarsi della prevedibilità del suo ambiente e di conseguenza del caregiver. Fiducia/sfiducia rappresenta la prima crisi che il bambino deve affrontare: infatti, ricevere cure adeguate,costanti e di alta qualità da parte del caregiver favorisce l’acquisizione della

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fiducia nell’altro ed in se stessi, mentre se la madre non è sollecita si sviluppa un senso di sfiducia,di non poter ottenere quello che si desidera. Erikson ritiene che lo sviluppo della fiducia si manifesti nella capacità di sopportare l’assenza temporanea del caregiver dal campo percettivo senza che questo provochi ansia o rabbia esagerate. Tuttavia se il bambino acquisisce un senso eccessivo di fiducia, può non imparare a riconoscere un pericolo incombente o a discriminare tra persone oneste e individui disonesti; il compito di questa fase consiste nell’acquisire un buon equilibrio tra fiducia /sfiducia.

- SECONDO STADIO (1-3) la crisi di questo stadio è rappresentata da: autonomia/vergogna e dubbio. Sebbene in questa fase il bambino sia capace di scegliere non è stata ancora acquisita la capacità di discernere ciò che è possibile o meno fare, quindi il bambino si può trovare davanti a numerosi fallimenti e essere punito per la sua autonomia o eccessivamente controllato,sperimentando dubbi rabbia e vergogna,che sono tanto più probabili quanto minore è il senso di fiducia che si è sviluppato nel primo stadio. L’obbiettivo di questa fase consiste,quindi, nell’acquisizione di un buon equilibrio tra libertà e controllo,al fine di permettere al bambino di sperimentare sia la libertà di scegliere sia il sostegno necessario al senso di autonomia che va mutando.

- TERZO STADIO (3-5) corrisponde alla crisi iniziativa/colpa. Il bambino in questa fase ha acquisito una capacità intellettiva e motoria che, se non rinforzata e soddisfatta,può determinare un senso di colpa relativo alle attività svolte autonomamente. Conflitti relativi all’iniziativa possono impedire ai bambini di sperimentare a pieno il loro potenziale e interferiscono a interferiscono con il loro senso di ambizione che si sviluppa in questo periodo. Il crescente senso di curiosità sessuale si manifesta con la partecipazione ai giochi di gruppo o con il toccare i genitali propri o di altri bambini. Se questi impulsi sessuali non costituiscono un problema per i genitori,gli impulsi vengono progressivamente repressi per riapparire durante l’adolescenza come parte integrante della pubertà,ma se i genitori danno un peso eccessivo a questi impulsi,il bambino può diventare sessualmente inibito. Alla fine di questo stadio la coscienza del bambino è stabilita: egli impara che esistono dei limiti al suo comportamento,che gli impulsi aggressivi possono essere espressi in modo costruttivo attraverso il gioco e la competizione,e che esiste un senso morale che regola il bene e il male. Se la crisi dell’iniziativa viene risolta con successo si sviluppa un senso di responsabilità,di fiducia e di autodisciplina adeguato,mentre l’eccessiva punizione può indurre alla formazione di un Super-Io rigido e persecutorio.

- QUARTO STADIO (6-11) è caratterizzato dalla crisi dell’industriosità/ inferiorità. I bambini a questa età partecipano a programmi organizzati di apprendimento che coinvolgono gruppi di coetanei e imparano a gestire e completare i compiti assegnati,ad apprendere l’uso degli strumenti fisici e intellettuali tipici della società e definire se stessi sulla base di ciò che apprendono. Esperienze positive in questo senso facilitano nel bambino lo sviluppo dell’industriosità e della competenza,del piacere del lavoro e dell’orgoglio di fare qualcosa in positivo. Un senso di inadeguatezza e di inferiorità può

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derivare da varie situazioni come ad esempio una discriminazione scolastica,dall’affermazione di inferiorità espressa da una persona significativa,da un eccesso di proiettività o di dipendenza dalla famiglia o da un confronto sfavorevole con il genitore dello stesso sesso. Se viene posta una eccessiva enfasi sulle regole e sui doveri il bambino può sviluppare un senso eccessivo del dovere a scapito del naturale desiderio di lavorare.

- QUINTO STADIO (12-20) In questo stadio si ha la crisi identità/diffusione del ruolo. Il principale compito di questo stadio è costituito dalla formazione di una propria identità. Nella ricerca del proprio senso di identità si rivivono le crisi degli stadi precedenti e si riattualizzano situazioni di conflitto oramai superate come il complesso di Edipo,che si ripresenta nell’adolescenza in termini più complessi e drammatici. In questo periodo la crisi di identità può esser risolta positivamente attraverso una rielaborazione dei contenuti delle fasi precedenti in una serie di valori e credenze più coerenti,nei confronti dei quali il soggetto sperimenta un senso di impegno e di lealtà. Il rischio di questa fase è rappresentato dalla diffusione dell’identità e dalla confusione del ruolo caratterizzata dall’incertezza su se stessi e sul proprio posto nel mondo.

- SESTO STADIO (20-40) se l’individuo nello stadio precedente non ha costruito una identità ben integrata e non ha sviluppato un senso di fiducia nel proprio sé, nel sesto stadio non sarà in grado di fonder la propria individualità con quella di un’altra persona stabilendo relazioni di intimità. La paura di perdere se stessi,di distruggere la propria individualità nel contatto intimo può portare il giovane adulto ad evitare le relazioni affettive e le amicizie. L’intimità delle relazioni sessuali,delle amicizie e di tutte le relazioni profonde non incute timore alla persona che ha risolto la crisi di identità. Infatti attraverso la crisi dell’intimità/isolamento una persona trascende l’esclusività delle precedenti dipendenze e stabilisce una mutualità con un gruppo sociale diverso e esteso.

- SETTIMO STADIO (40-65) è caratterizzato dalla crisi tra generatività/ stagnazione, intendendo per generatività non solo educare e cresce i figli, ma anche avere un interesse vitale, esterno alla famiglia, nel guidare la generazione successiva o nel migliorare la società,in altri termini esprimere la propria creatività in altri settori. La mancanza di generatività si esprime come stagnazione, cioè come una eccessiva indulgenza su sé stessi,un senso personale di noia e disinteresse. La stagnazione è uno stato sterile e dannoso perché la persona non è in grado di accettare l’eventualità di non esistere e l’idea che l’impossibilità di sfuggire alla morte fa parte della vita.

- OTTAVO STADIO (OLTRE I 65) se le crisi degli stadi precedenti sono state risolte si passa all’ultimo stadio nel quale è stata raggiunta idealmente l’integrità. L’integrità comporta l’accettazione dei limiti della propria vita,il senso di far parte di una storia più ampia che comprende le generazioni precedenti e l’assenza di rimpianto per ciò che non è stato possibile fare nella vita. L’antitesi dell’integrità è la disperazione,ovvero la tendenza a

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soffermarsi in modo angoscioso sulle mete mai raggiunte,sui desideri rimasti inappagati e sulla mancanza di significatività della vita,sul timore della morte e sulla sensazione che sia troppo tardi per trovare stimoli nell’ambiente circostante. La disperazione si esprime spesso come disgusto,come sprezzante scontento nei confronti di certe istituzioni o di certe persone che rispecchia il disgusto che la persona prova per se stessa.

3.CAMBIAMENTO E CONTINUITA’ NEL CORSO DELLA VITA Le teorie dello sviluppo sinteticamente esposte,consentono di esaminare criticamente il concetto di stadio di sviluppo. • Una prospettiva deterministica sottovaluta sia il ritmo dinamico del cambiamento sia il fatto che nell’arco della vita gli individui affrontano richieste e opportunità molto differenti che,implicando problemi,sfide e situazioni di adattamento,possono condurre a percorsi evolutivi molto diversi e a significativi cambiamenti anche nell’età adulta e senile. • un’altra critica va alla tendenza a presumere che lo sviluppo si svolga attraverso un progresso cumulativo (ogni acquisizione è conseguenza di quelle fatte precedentemente). • un’altra questione è che non ha senso identificare lo sviluppo con una trasformazione, in quanto non tutti i cambiamenti costituiscono necessariamente dei progressi. Il processo di sviluppo implica anche la perdita di alcune modalità di funzionamento o di comportamenti che si attenuano o scompaiono una volta esaurita la loro funzione. • un’altra critica alla concezione di sviluppo declinata attraverso i concetti di stadio è che spesso si concentra l’attenzione sulla stabilità e sulla immutabilità invece che sul cambiamento. 4.CONTINUITA’ DINAMICA E SVILUPPO NEL CICLO DI VITA A sostituzione del concetto di sviluppo come successione di stadi è stata proposta una teoria della continuità dello sviluppo normale per spiegare il processo attraverso il quale gli individui conservano nel tempo il senso della propria identità e spiegano i proprio comportamento alla luce del suo legame col passato. Tale teoria distingue due tipi di continuità: la continuità statica e la continuità dinamica. La continuità statica viene intesa come un tipo di continuità difficilmente applicabile al ciclo di vita per le sue implicazioni di immutabilità,uniformità e assenza di cambiamento proprie di questo concetto. La continuità dinamica implica l’ipotesi di una struttura fondamentale che,permettendo una serie di cambiamenti, rimane stabile nel tempo. La continuità dinamica si suddivide a sua volta in continuità dinamica interna e continuità dinamica esterna,intendendo con quest’ultima la continuità dell’ambiente,delle relazioni e dei ruoli. Parlando di continuità dell’ambiente ci si riferisce al fatto che gli individui tendono a scegliere ambienti nei quali possono esprimere le proprie potenzialità ed aspirazioni. La continuità ambientale può essere il risultato non solo della tendenza a scegliere ambienti nei quali possiamo realizzare il concetto che abbiamo di no stessi ma anche dell’accumulo di esperienze che hanno permesso di sviluppare o affinare specifiche abilità. La continuità delle relazioni si riferisce alla stabilità dalla quale sono caratterizzate le relazioni più significative. È possibile,infatti, individuare per ogni essere umano un certo numero di persone con le quali la relazione è rimasta stabile nel corso del tempo,malgrado o cambiamenti avvenuti. La continuità delle aspettative e dei

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ruoli fa riferimento al fatto che all’interno della cerchia delle persone frequentate si instaura l’aspettativa che il nostro comportamento non sia differente da quello mostrato in precedenti occasioni. Con continuità dinamica interna,invece,ci si riferisce alla stabilità della struttura interna degli individui grazie alla quale essi,dall’età adulta in poi mantengono un senso coerente della propria identità nel corso della vita. La continuità interna si realizza perché gli individui tendono a fare attribuzioni a se stessi di caratteristiche che formano il nucleo dell’identità. Tali attribuzioni possono essere ridefinite e rielaborate ma difficilmente vengono modificate del tutto. Una definizione di sviluppo come una serie di cambiamenti continui che avvengono nel corso della vita,piuttosto che una serie di transizioni attraverso determinati stadi, non implica il rifiuto del concetto di stabilità. Al contrario, solo le persone che sono in possesso di un senso del sé stabile sono in grado di gestire in modo flessibile eventuali problemi di identità mantenendo uno stabile sentimento di sé, e al contempo di cambiare per fronteggiare gli eventi che mettono in discussione proprio il sentimento di identità. Detto in altri termini: il cambiamento è possibile dove c’è continuità dinamica. Sia la continuità interna che la continuità esterna possono essere minacciate; la continuità esterna è più vulnerabile in quanto può essere minacciata da fattori come il trasferimento geografico o la perdita della rete sociale di sostegno. Non necessariamente le fratture nella continuità esterna portano l’individuo verso una crisi,in quanto i nuovi elementi derivanti dal cambiamento possono essere integrati nell’immagine che il soggetto possiede del corso della propria vita,in modo da preservare la coerenza del sé e il sentimento della propria identità. Il senso di continuità interna può essere messo in discussione da quelle esperienze o eventi che richiedono una riorganizzazione della propria identità a cui il soggetto non riesce a far fronte adeguatamente. 5. GLI EVENTI DELLA VITA Ogni persona incontra nella propria vita un numero consistente di eventi e di cambiamenti da affrontare,che caratterizzano il percorso vitale dell’individuo e ne rappresentano lo sviluppo psicosociale. L’evento è definito come ciò che avviene in una certa data e in un certo luogo determinato,cioè una esperienza nella quale è presente sempre un elemento di sorpresa,che ne fa un evento mentale per un soggetto o per un gruppo di persone. Esistono due diversi tipi di eventi: • eventi di vita: eventi che appartengono alla normalità della vita ma che per alcuni possono essere vissuti in maniera traumatica (es: la menopausa,il pensionamento,la perdita di una persona cara,la nascita del primo figlio ….) • eventi stressanti: eventi il cui potere dirompente per l’equilibrio di una persona può essere oggettivo e socialmente riconosciuto (es: subire una violenza,vivere in uno stato di guerra …) Eventi di vita e eventi stressanti vengono utilizzati per indicare quegli avvenimenti occorsi nella vita di una persona oggettivamente identificabili,delimitati e circoscritti nel tempo,che modificano in modo variabile e sostanziale l’assetto di vita del soggetto richiedendo uno sforzo di entità significativa per adattarsi alla nuova situazione. In alcuni soggetti eventi apparentemente non dirompenti,o almeno non considerati tali nella normalità condivisa,come ad esempio cambiare casa,avere una delusione affettiva,essere colpiti da una malattia fisica anche in modo non grave,o addirittura fisiologici come partorire un figlio o entrare in menopausa,possono indurre effetti

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destabilizzanti o addirittura la comparsa di manifestazioni psicopatologiche evidenti,che appaiono collegate con l’evento stesso con un legame temporale e di significato. Quello che è necessario chiedersi come clinici si riferisce alla comprensione di come l’evento viene raccontato,di come viene vissuto,di quali implicazioni può aver per il futuro tanto del soggetto che del suo ambiente,e se,e in quale misura,esso interferisce col funzionamento mentale del soggetto e anche degli altri. Oltre a questi aspetti dobbiamo riflettere anche sul fatto che,di fronte ad eventi sia oggettivamente che soggettivamente traumatici, la maggior parte delle persone sembra capace di fronteggiarne la dirompenza senza subire danni mentali evidenti,mentre un certo numero di soggetti pare non avere le risorse psichiche sufficienti per elaborare il significato traumatico dell’evento e mostra segni di sofferenza psicologica che assumono forme cliniche e intensità diverse. Quindi, se non tutti i soggetti che subiscono eventi stressanti vanno incontro a patologie psichiatriche, è ragionevole supporre che il rapporto sia concausale in quanto l’evento stressante può rappresentare un cofattore in soggetti predisposti,cioè che abbiano una certa vulnerabilità di ordine biologico e psicologico. La vulnerabilità biologica è essenzialmente relativa al carico genetico che predispone alla malattia,mentre la vulnerabilità psicologica è soprattutto legata a eventi di vita lontani nel tempo, in particolare dell’infanzia che incidono sullo sviluppo della struttura del personalità del soggetto. Altri fattori influenzano l’effetto degli eventi stressanti,primo fra questi il significato che viene attributo all’evento. Esistono diverse classificazioni degli eventi: Baltes et al. (1980) hanno distinto tre tipologie di eventi: gli eventi normativi ( intendendo con il termine normativo quegli eventi che tutte le persone incontrano nella vita) legati alla storia, gli eventi normativi legati all’età,gli eventi non normativi,cioè che non riguardano tutti i soggetti. • con eventi normativi legati all’età gli autori fanno riferimento a tutti i fattori di tipo biologico o ambientale che hanno un legame con l’età cronologica dell’individuo. Tali eventi sarebbero predominanti durante l’infanzia e ,in modo meno incisivo,durante la terza età. Un esempio in tal senso potrebbe essere rappresentato dalla forza fisica,il cui massimo sviluppo viene raggiunto dagli individui più o meno alla stessa età e la cui progressiva riduzione è altrettanto prevedibile in un arco di tempo standard. • gli autori individuano inoltre eventi normativi legati alla storia,considerandoli associati al tempo storico e comuni in uno specifico momento agli individui facenti parte di una stessa comunità,ma non condivisi con le generazioni precedenti e successive. Come evento normativo legato alla storia si può citare il passaggio dalla formazione scolastica al mondo del lavoro. • infine gli eventi non normativi , a differenza di quelli normativi legati all’età e alla storia, non sono caratterizzati da un alto grado di stabilità del processo. La categoria degli eventi non normativi implica che i percorsi vitali degli individui non sono né universali né immutabili e che non esiste nessun elenco di caratteristiche e nessuna teoria sul corso della vita in grado di spiegare in modo adeguato la varietà dei percorsi. Hendry e Kloep (2002) suddividono gli eventi in “cambiamenti di maturazione” “cambiamenti sociali normativi” e “mutamenti quasi normativi” • i cambiamenti di maturazione sono tutti quegli eventi di tipo biologico che,pur variando nell’inizio o nella durata, sono caratterizzati da obbiettivi e processi comuni a tutti gli essere umani (es: la crescita dei denti, la menopausa ecc…) . Questi

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cambiamenti sono caratterizzati dal fatto di essere inevitabili e quindi altamente prevedibili. • i cambiamenti sociali normativi sono quelli eventi sociali regolati da norme codificate e spesso legati all’età cronologica, ma a differenza di questi ultimi non necessariamente comuni all’interno di tutti i contesti socio-culturali e quindi non inevitabilmente caratterizzati da una impossibilità per l’individuo di sottrarvisi (non in tutti i paesi,per esempio,i bambini sono obbligatoriamente tenuti a frequentare la scuola,così il raggiungimento della maggiore età è differente nelle diverse organizzazioni sociali). Mostrano un alto grado di prevedibilità dal momento che individui appartenenti agli stessi gruppi sociali,regolati da norme non scritte appartenenti alla tradizione di un gruppo o di una etnia o di una confessione religiosa. • i mutamenti non normativi,infine,sono tutti quegli eventi che per loro natura o per il momento o il luogo nel quale si presentano,vengono sperimentati da un numero ristretto di individui. Questi mutamenti sono a loro volta classificati in “mutamenti fuori tempo”, “mutamenti storici”, “mutamenti provocati dall’individuo”, “mutamenti particolari” e “ non eventi”. I mutamenti fuori tempo sono rappresentati da tutti quegli eventi inattesi rispetto ai momenti del ciclo di vita nei quali si presentano. I mutamenti storici sono quegli eventi che comportano influenze temporanee o permanenti all’interno di un macrosistema come ad esempio le guerre. Sebbene i cambiamenti storici non siano prevedibili,in quanto eventi che influiscono su tutti i membri di un gruppo culturale essi non necessariamente delineano specifiche traiettorie individuali di sviluppo. Mutamenti provocati dall’individuo rappresentano processi di svolta che possono avere anche conseguenze permanenti. Nella categoria dei mutamenti particolari vengono inclusi tutti quegli eventi positivi o negativi che sono sperimentati da un numero ristretto di soggetti come rimanere vittima di un incidente stradale o vincere una grossa somma di denaro. Infine, ci sono i cambiamenti che possono derivare dal non verificarsi di certi eventi. In altri termini alcuni eventi che accadono alla maggior parte delle persone possono rappresentare un fattore stressante per quei soggetti nel cui percorso vitale questi accadimenti non si sono verificati; un esempio di non evento può essere rappresentato dal non avere figli per un problema di sterilità. Nell’intento di individuare quantitativamente il peso che il singolo evento può avere sull’individuo,viene utilizzata una categorizzazione degli eventi a cui ad ogni evento corrisponde un punteggio fissato in base ad un criterio di carico obiettivo di stress,calcolato tramite studi di calibrazione sulla popolazione generale,in maniera da esprimere l’impatto potenziale medio dell’evento. Una delle tecniche più conosciute, il Social Readjustment Rating Scale (SRRS), permette di ricavare un punteggio complessivo di stress riferito ad un intervallo temporale prestabilito rispetto alla comparsa dell’evento. La scala SRRS è composta da una lista di quarantatre eventi (quali ad esempio: il matrimonio,la morte di una persona cara,la separazione,la nascita di un figlio ecc…) considerati i più importanti e frequenti nella vita di un individuo e tali da produrre significative modificazioni delle condizioni di vita e richiedere uno sforzo di riadattamento psicosociale. I punteggi relativi allo stress prodotto dai singoli eventi,che vanno da 0 a 100 e prendono come misura media dello stress i 50 punti,vengono quindi sommati in modo da ottenere la Life Change Unit,ovvero un indicatore della qualità di stress sperimentato dagli individui rispetto al riadattamento psicosociale richiesto per ogni evento. Una delle principali critiche a questo metodo di valutazione sottolinea che,nonostante abbia avuto il merito di riconoscere che sia gli eventi negativi

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sia quelli positivi possono avere un impatto stressante,la loro categorizzazione ignora le differenze individuali per quanto riguarda l’impatto e il significato che gli eventi hanno per i soggetti e per lo stesso soggetto in momenti diversi dalla vita. Nel tentativo di risolvere tale limite è stato ipotizzato che lo stesso evento possa avere effetti diversi in contesti differenti. Gli autori hanno costruito un intervista semi-strutturata che presenta due tipi di informazione: “eventi di vita” e “difficoltà”. Nasce così il metodo contestuale che prevede che gli eventi biografici siano raccolti in modo dettagliato per valutare estensivamente, oltre all’evento stesso,anche il background in cui l’evento si è verificato,cioè le circostanze ed ogni elemento della storia di vita del soggetto considerato significativo. Quando l’attenzione si sposta dal definire le caratteristiche degli eventi della vita al valutare le esperienze delle persone coinvolte negli eventi,emergono aspetti relativi alle capacità individuali di affrontare i cambiamenti e alle differenze soggettive di risposta agli eventi. Il concetto di “coping” è stato definito come “gli sforzi della persona sul piano cognitivo e comportamentale per gestire le richieste interne ed esterne da quelle interrelazioni persona-ambiente che vengono valutate come eccedenti le possibilità di risposta”. Il presupposto fondamentale di questo approccio è che quando una situazione viene percepita come stressante le persone si attivano per dominarla,in modo che la misura in cui la situazione viene vissuta come stressante dipende anche dalla modalità che la persona attiva per fronteggiarla. L’impatto di un evento dipende non solo dal processo di coping che l’individuo attiva,ma anche dal tipo di risorse psicologiche di cui il soggetto dispone come ad esempio la percezione di controllo,la self-efficacy ,la propensione all’ottimismo,le abilità di problem solving,la resilienza,che rappresentano fattori protettivi potenzialmente capaci di modificare l’impatto di un evento stressante e permettere all’individuo di superarlo con esiti positivi e costruttivi. In questa prospettiva lo sviluppo avviene ogni volta che il processo di superamento di una situazione traumatica,invece di ridurre le risorse individuali, ne aumenta il livello. Quindi gli eventi di vita possono essere considerati come fattori positivi per lo sviluppo individuale,poiché possono condurre al miglioramento di abilità precedenti e nell’apprendimento di nuove: il processo di far fronte agli eventi potrebbe,cioè,fornire i mezzi attraverso i quali lo sviluppo prosegue anche in età adulta. Recentemente Schlossberg et el. hanno messo a punto un quadro di riferimento denominato delle “quattro S” (situazione,sé,sostegno,strategie),che identifica i quattro fattori fondamentali che influenzano la capacità di una persona di affrontare le transizioni,ovvero i processi di cambiamento. ® per quanto riguarda la situazione gli autori hanno evidenziato otto fattori chiave (tra cui lo stadio di vita che la persona sta affrontando nel momento in cui l’evento si verifica,la durata dell’evento,l’eventuale presenza di transizioni simili vissute in passato ecc…) che influenzano le modalità con le quali le persone affrontano il processo di cambiamento. ® per quanto riguarda il sé si tiene conto delle caratteristiche delle persone (età,sesso,gruppo etnico,stato socioeconomico ecc… ) che possono influenzare sia il numero sia il tipo di eventi con cui l’individuo è messo a confronto. ® l variabile del sostegno fa riferimento al supporto sociale e si riferisce al ruolo giocato dalle relazioni sociali nella valutazione di un evento. Legami e relazioni sociali possono costituire sia fonti di stress importanti sia rappresentare fattori protettivi nei confronti dell’esperienza traumatica.

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® l’ultimo fattore si riferisce alle reazione attivate dal soggetto per affrontare il processo di cambiamento (variabile delle strategie). Gli autori distinguono un coping focalizzato sull’ambiente (o situazione) da un coping focalizzato sulla persona. Il coping focalizzato sull’ambiente può dirigersi verso la modifica della situazione e delle richieste che essa impone all’individuo; il coping focalizzato sulla persona si realizza attraverso lo sviluppo di strategie addizionali oppure mediante la modifica della percezione e della valutazione della situazione. La questione dell’efficacia delle varie strategie è particolarmente delicata in quanto un coping efficace implica un uso flessibile delle strategie,il cui grado di adeguatezza varia in base alla situazione piuttosto che alle caratteristiche della strategia stessa. Gli approcci considerati affrontano solo parzialmente il versante soggettivo degli eventi ed il loro diverso significato per ogni soggetto. Il concetto di evento contiene quindi una sorta di ambiguità in quanto può essere destabilizzatore come rinnovatore, ma comunque testimonia la capacità auto-organizzativa dell’essere umano inteso come un sistema aperto. In questo senso ogni evento è anche evento interno,evento mentale che appartiene al tempo stesso al registro attuale come a quello del passato,alla realtà come all’immaginario. Il trauma viene considerato come un evento della vita caratterizzato da una sua intensità, dall’incapacità del soggetto di rispondervi adeguatamente,da viva agitazione e da effetti patogeni durevoli .la ricerca si è orientata allo studio degli eventi precocissimi,cioè relativi al primo anno di vita, che si possono considerare significativi in senso traumatico in quanto gli eventi attuali possono riattivare vissuti traumatici infantili. È stata ipotizzata l’importanza del cosiddetto “trauma silente”,che non si presenta al bambino come evento esterno,anche se è effettivamente reale,ma come non evidente e nascosto,del “trauma cumulativo”,dei “microtraumi”,facendo riferimento alle vicissitudini della relazione madre-bambino,specialmente se avvenute in un’epoca in cui non è ancora completa la distinzione tra corporeo e mentale. Il trauma può essere costituito anche da una esperienza troppo precoce in relazione allo stato maturativo raggiunto da quel soggetto in quel momento,e altre volte può apparire come il risultato di una omissione,cioè di una assenza di presenze che avrebbero dovuto esserci. Per tutti,comunque, è traumatico ciò che non è possibile elaborare ed eventualmente rendere conflittuale in modo che,pur soffrendo,sia possibile crescere. 6. LA CRISI Il concetto di crisi indica situazioni di disagio soggettivo di varia natura capaci di determinare una sofferenza tendenzialmente considerata transitoria. Il termine “crisi” presenta una complessità semantica notevole,significando da un lato un atteggiamento cognitivo e dall’altro un momento cruciale di passaggio e di transizione. Esso richiama in prima istanza una esperienza subitanea a rapido decorso,tendente al superamento,sebbene la crisi possa non essere acuta e richiedere tempi lunghi per la sua manifestazione. Sta di fatto che le crisi possono riflettere un disagio o una disfunzione preesistenti che,ad un certo momento,spontaneamente o con il concorso di circostanze o fattori contingenti,si rendono palesi e irriconoscibili anche all’esterno e contrassegnano in modo profondo l traiettoria vitale della persona. In psicopatologia col termine “crisi” si possono intendere da un lato quelle rotture dell’equilibrio con la realtà a risonanza prevalentemente interiore che si sviluppano spontaneamente all’interno del

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processo evolutivo individuale (microcrisi),dall’altro quelle interruzioni brusche del processo esistenziale che coinvolgono anche il contesto socio-ambientale della persona (macrocrisi). Come risulta evidente la nozione di crisi si pone tra il registro della normalità e il registro della psicopatologia attraversando al tempo stesso il normale e il patologico e ponendosi a cavallo tra i due registri. Varie sono le definizioni di crisi che sono state utilizzate dagli autori:

- Jaspers: “un momento in cui tutto subisce un cambiamento subitaneo dal quale l’individuo esce trasformato sia dando origine ad una nuova soluzione sia andando verso la decadenza.

- Erikson: “momento cruciale dello sviluppo a carattere evolutivo”

- Caplan: “ uno stato che si verifica quando una persona si trova a fronteggiare un ostacolo che le impedisce il raggiungimento di importanti obbiettivi vitali: questo è,per un certo lasso di tempo,insormontabile tramite l’utilizzazione di metodi abituali di risoluzione dei problemi. Ne consegue un periodo di disorganizzazione,di sconvolgimento,durante il quale vengono fatti molti tentativi verso la risoluzione del problema che però falliscono. Alla fine viene raggiunta una qualche forma di adattamento che può rivelarsi o meno come la soluzione più utile per la persona e per chi le sta vicino.

- Grinberg e Grinberg: “momento cruciale,un punto critico necessario in cui lo sviluppo deve assumere un’altra direzione che comporta la ripresa della crescita nonché ulteriori recuperi e differenziazioni.

- Sinfeos: “intensificarsi e aggravarsi di uno stato doloroso così intenso da costituire un punto di svolta decisivo verso un miglioramento o un peggioramento.

- Racamier: “processo specifico e globale di cambiamento consecutivo ad una rottura di un equilibrio anteriore e con un risultato più o meno aleatorio,sottolineandone la caratteristica di processo nel senso del suo svolgimento temporale da un lato, e del lavoro psicologico di elaborazione necessario per risolverla dall’altro.

Queste definizioni si riferiscono a situazioni il cui carattere patologico o il cui rapporto con la patologia è molto sfumato e discutibile. Capire una crisi emotiva significa far luce sui passaggi che conducono alla produzione di sintomi psichiatrici prima che questi si cristallizzino in una nevrosi e offre anche la possibilità di azioni preventive sotto forma di interventi di breve durata per impedirne l’evoluzione. Sono infatti gli eventi traumatici della vita o le normali vicissitudini del vivere che possono facilitare la comparsa di una acuta sofferenza soggettiva che caratterizza il vissuto della crisi. La crisi quindi, nel suo significato più ampio, è un momento costitutivo dell’esistenza individuale che ha tendenzialmente una valenza evolutiva e di crescita. Nella pratica clinica può rivelarsi utile definire le caratteristiche e i limiti di questo concetto distinguendo tra crisi esistenziali,crisi emotive e crisi psicotiche. La crisi esistenziale La vita di ognuno è un continuo flusso di esperienze emozionali in cui è implicito un elemento perturbante in quanto vi è insito il cambiamento. Ogni cambiamento è

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angoscioso in quanto richiede sempre di sperimentare una perdita e l’incertezza del nuovo, e rappresenta una caduta del sentimento di onnipotenza. La crisi esistenziale è da considerarsi qualcosa di fisiologico,anzi può essere ritenuta responsabile di un buon funzionamento quando permette una presa di consapevolezza di sé in un processo di continuo sviluppo. La storia di ogni individuo non è il risultato di un percorso di sviluppo omogeneo e lineare, ma è ben più complessa e caratterizzata da un riequilibrio costante tra momenti evolutivi,bruschi regressi e lunghe fasi di stagnazione. L’esperienza di crisi esistenziale rappresenta quindi la rottura di un equilibrio e si sviluppa in un lasso di tempo in cui il sentimento di continuità del sé è messo alla prova e minacciato e la persona sperimenta un sentimento di pericolo e una condizione di precarietà. Questo stato di allarme attiva le consuete strategie difensive,che di solito sono sufficienti ad assicurare il recupero di un equilibrio interno,oppure che possono dar luogo a nuove e più evolute forme di adattamento favorendo il cambiamento e la sua elaborazione. Nella maggior parte dei casi la crisi viene vissuta in modo tale da non essere avvertita dal soggetto come uno stato di particolare sofferenza, ma, contribuisce ad arricchire la mentalizzazione e il funzionamento complessivo dell’individuo. La crisi emozionale Nella crisi emozionale quello che appare in primo piano è un profonda sofferenza in relazione a una perdita di sicurezza e ad un sentimento di impotenza di fronte a pericoli esterni e interni,stabilitasi acutamente o preparatasi silenziosamente,la cui minaccia per l’integrità fisica e mentale del soggetto rappresenta l’esperienza fondamentale. Questa sofferenza non può essere padroneggiata utilizzando le strategie difensive di cui il soggetto dispone e ce abitualmente utilizza in modo inconsapevole e spontaneo. L’individuo si trova di fronte alla sensazione di non poter più intervenire per modificare la situazione e di dover essere egli stesso protagonista di un cambiamento, che richiede però una perdita e l’incontro con l’ignoto che comportano inevitabilmente una ulteriore sofferenza. La crisi emozionale viene così a configurarsi inizialmente come una condizione bloccata dell’esistenza. Sentimenti di ansia,di disperazione,di paura e di rabbia,ma anche di speranza,si traducono in una esperienza di vicolo cieco che è intollerabile per il soggetto. I sintomi clinici sono rappresentati soprattutto dall’ansia nelle sue manifestazioni anche somatizzate,dalla disforia,dalla depressione, e da un senso di impotenza e di disperazione. Il processo psicologico della crisi è caratterizzato da un rinforzo delle energie pulsionali e da una parallela inadeguatezza dei meccanismi difensivi che si manifesta su due livelli: sul piano clinico si può evidenziare un rinforzo di certi aspetti difensivi della personalità,mentre sul piano latente le difese stanno per frantumarsi. In un secondo tempo sarà ciò che era latente a raffiorare e a rendesi evidente. La crisi emozionale tende a risolversi secondo tre diverse modalità: stabilendo nuovi e più efficaci equilibri,favorendo il recupero delle condizioni psichiche precedenti oppure evolvendo verso soluzioni patologiche acute oppure croniche. L’evoluzione positiva,che rappresenta il raggiungimento di un nuovo equilibrio,avviene quando la persona riesce a integrare i dati dell’esperienza della crisi nella continuità della vita ed è in grado di fare affidamento su un sentimento di sicurezza più solido e funzionale avendo sperimentato e attuato un cambiamento. Nei casi in cui la crisi emozionale non evolve in patologie clinicamente inquadrabili si può osservare una sorta di incistamento e di sdrammatizzazione della sofferenza soggettiva a favore di un irrigidimento caratteriale ce si presenta all’esterno come un recupero delle precedenti condizioni psichiche individuali. Se la condizione di crisi non si risolve,possono comparire

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manifestazioni psicopatologiche come alterazioni della condotta o agiti suicidari,quadri di ansia generalizzata o di ansia acuta,disturbi dell’adattamento,come anche stati depressivi e episodi psicotici acuti. La crisi psicotica In questo caso il concetto di crisi va inteso come rottura,palese e spesso drammatica dell’equilibrio con la realtà esterna che irrompe bruscamente nella continuità del percorso esistenziale. Le manifestazioni psicotiche acute coprono gran parte dell’urgenza psichiatrica e sono un’evidenza clinica che comporta problemi di notevole spessore come la loro definizione diagnostica,l’evoluzione,la presenza di fattori precipitanti,la partecipazione della personalità morbosa al costituirsi del’esperienza psicotica,le modalità dell’intervento ecc… Si tratta di un quadro delirante e allucinatorio con una rilevante componente affettiva che compare acutamente e corrisponde alla categoria diagnostica di Disturbo psicotico breve: in genere è di breve durata e la prognosi è positiva. Rappresenta il più grave livello di destrutturazione e compare con frequenza in relazione a stress psicosociali gravi,in occasione di eventi esterni del tutto sopportabili dalla maggior parte delle persone o addirittura in concomitanza di passaggi del ciclo vitale,come ad esempio la maternità e la paternità. L’evento sembra infatti agire con la sua portata traumatica soprattutto sul mondo soggettivo: nello stabilirsi della crisi psicotica è implicita infatti la relazione tra eventi reali e accadimenti fantasmatici. La possibilità di vivere una crisi psicotica è pur sempre una eventualità che riguarda tutti,ma le persone più esposte sono quelle con disturbi di personalità. Spesso si tratta di persone che sono ance discretamente adattate da un punto di vista sociale pura avendo disarmonie nel processo di individualizzazione. Il loro equilibrio è fragile perché troppo rigido,sono combattuti fra l’idealizzazione e la valorizzazione e si trovano in preda a sentimenti alterni di avvicinamento e distanziamento nei confronti degli altri significativi. L’evento, o il cambiamento, agendo sul versante della personalità,possono farle confrontare bruscamente con la loro fragilità o al contrario,proporre un avvicinamento intollerabile. Tutto questo comporta la necessità di una elaborazione che diventa però impossibile: nessuna difesa è attuabile,gli investimenti e i legami si dissolvono,la vita psichica si destruttura e la crisi psicotica emerge drammaticamente. 6.1 CRISI EVENTI E VULNERABILITA’ I problemi che possono determinare una crisi riguardano tutti quegli eventi o situazioni che rappresentano una fonte di cambiamento sia nel mondo esterno che nel mondo interno e che hanno un diretto rapporto con il sentimento di identità e in particolare problemi di perdita,problemi di cambiamento,problemi interpersonali e di conflitto. Un evento,per il suo significato traumatico,può costituire il movente di una crisi sia come causa sia come elemento scatenante. L crisi,di intensità e pregnanza diversa,è quindi collegabile con le caratteristiche intrinseche dell’evento, come ad esempio la sua qualità,intensità e durata. In sintesi, una crisi, sia essa fisiologica/esistenziale, emozionale o psicotica è il risultato dell’interazione dell’evento traumatico e del significato che questo assume per la persona con la vulnerabilità del soggetto e le strutture difensive che si attivano inconsciamente in ogni occasione di cambiamento. Se le difese sono molto rigide e ripetitive,l’impatto dell’evento sarà maggiore,cioè,in altri termini il soggetto avrà a disposizione minori capacità di farvi fronte e minore elasticità e possibilità di elaborazione. A questo proposito è utile richiamare il concetto di

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resilienza, questo termine indica letteralmente la capacità di affrontare situazioni problematiche e ridefinire la propria identità in seguito a vari tipi di eventi traumatici. Questo concetto non deve essere confuso con la resistenza,caratterizzata da passività,né con la invulnerabilità,che si riferisce ad una assoluta impermeabilità alle conseguenze negative dello stress, la resilienza implica,invece, un processo dinamico di ricostruzione di se stessi che avviene attraverso un lavoro attivo sugli elementi specifici dell’evento traumatico. Le crisi sono quasi sempre legate a due esperienze fondamentali: quella che riguarda il pericolo, il rischio,la minaccia per la vita e l’incolumità soggettiva e quella che rimanda alla separazione,alla perdita,al lutto. Per entrambe queste esperienze appare centrale l’incontro con ciò che riguarda la scoperta dei limiti,la precarietà propria e dei propri oggetti e la finitezza della vita: non tanto una presa di coscienza quanto un più o meno diretto e traumatico con la inevitabilità del cambiamento. In genere viene considerato traumatico l’evento che comporta un impegno affettivo tale da superare, per quel soggetto , la soglia di tollerabilità e di una adeguata capacità di risposta in tempi utili. Se è evidente l’importanza traumatica di ceti eventi (le catastrofi naturali,le violenze ecc…) è anche vero che spesso sono le lente variazioni,difficilmente coglibili ,legate allo svolgersi dell’esistenza e al ciclo della vita a portare all’emergenza di brusche rotture dell’equilibrio individuale. Si tratta in questo caso di situazioni che rappresentano normali punti di passaggio nella vita individuale in cui è richiesto un cambiamento di ruolo e di identità che non sempre è problematico,ma spesso è invece complessivamente desiderabile. Esistono diverse risposte agli eventi traumatici. Alcune persone sono in grado di fronteggiare cambiamenti,perdite e altri eventi traumatici senza raggiungere livelli di destrutturazione e gravi quadri psicopatologici, mentre altre si mostrano più esposte alle difficoltà e possono andare incontro a psicopatologie anche gravi ma transitorie; altre ancora sono totalmente vulnerabili da non riuscire a vivere e superare una crisi emozionale in quanto,di fronte ai fatti della vita,adottano soluzioni inadeguate più o meno stabili a scapito della loro autonomia e della loro realizzazione che spesso si riducono sempre di più nel tempo. Per comprendere l’aspetto soggettivo della relazione individuo-ambiente e per spiegare la diversità delle risposte dobbiamo analizzare i limiti di alcuni apparati psichici che sono la causa delle diverse modalità di intervento. Nel caso di soggetti che dispongono di una buona autonomia e che hanno acquisito la possibilità di viver la variabilità intra e interpersonale,l’organizzazione sufficientemente integrata del carattere consentirà loro di superare, il più delle volte,il cambiamento e la crisi che questo comporta conservando comunque una discreta “normalità” di funzionamento. I soggetti con funzionamento psichico meno adeguato,che li predispone ad una disregolazione affettiva e ad una certa instabilità, in cui l’esame di realtà è conservato ma l’identità appare disturbata e spesso diffusa,in cui sono scarse: la tolleranza alle frustrazioni,la capacità di empatia e di simbolizzazione e le difese appaiono talmente rigide da rendere molto difficile affrontare le vicende critiche della vita,si possono sviluppare emergenze critiche nel tempo. Si tratta di una tipologia di persone che possono essere inquadrate nella categoria dei disturbi di personalità. 6.2 EVOLUZIONE DELLA CRISI La nozione di crisi implica dunque la nozione di cambiamento di un equilibrio precedente,che diventa inadeguato,e di svolgimento nel tempo,di conseguenza è possibile descriverne l’inizio lo svolgimento e la fine:

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• iniziale ascesa della tensione connessa con la messa in atto di abituali meccanismi di risoluzione dei problemi • il fallimento di queste strategie comporta un aumento della tensione tale per cui l’individuo ne risulta sconvolto e incapace di agire • vengono tentate nuove strategie e possono essere presi in considerazione aspetti del problema prima trascurati e utilizzati strumenti già sperimentati in passato • il fallimento di ogni tentativo porta ad un ulteriore aumento della tensione ma, dopo un arco di tempo limitato, la crisi tende spontaneamente a concludersi e viene trovata una risposta Gli elementi psicologici costitutivi di una crisi sono: ® cambiamento nel mondo esterno e nel mondo interno ® perdita dell’oggetto e di aspetti del proprio se ® esperienza angosciosa di disorganizzazione della propria identità ® riassestamento Il cambiamento e la perdita sono elementi e concetti strettamente collegati con una situazione di crisi. Ogni persona ha una soglia di tolleranza collegata alla capacità di sopportare livelli di ansia più o meno elevati e gran parte delle crisi derivano dall’interazione tra un evento esterno e quella che si può definire la vulnerabilità del soggetto,legata alle sue precedenti esperienze. Ai cambiamenti l’individuo agisce non solo con angoscia per la nuova situazione,ma anche con sentimenti depressivi che riguardano la perdita di rapporti o di condizioni precedenti. Ogni crisi prevede una risoluzione spontanea nel giro di qualche settimana,ma non è detto che questa avvenga sempre in senso positivo e di crescita. L’elaborazione delle perdite può essere difficile,le possibilità evolutive della persona limitate,assente o inefficace una funzione di sostegno da parte dell’ambiente e la crisi si configura così come una disfatta,quasi un ripetersi obbligato di modalità fallimentari di rapporto con la realtà. Le possibilità evolutive di una crisi infatti vanno dalla riorganizzazione in senso positivo della personalità, all’accentuazione e all’irrigidimento delle difese caratteriali,alla comparsa di manifestazioni psicopatologiche come segnale della mancata elaborazione. È chiaro che non si può individuare un quadro clinico definito come possibile evoluzione,ma ogni crisi si può collegare con quadri patologici diversi che ne rappresentano le modalità di fallimento. Considerando la patologia in una prospettiva dinamica,i disturbi dell’adattamento e i disturbi di ansia si possono considerare da un lato come espressione di sofferenza, ma contemporaneamente come segnale di una “relativa” efficacia delle risorse individuali e delle difese. Invece i disturbi dell’umore,sia nella forma più frequente della depressione che in quella più rara della mania, esprimono la difficoltà strutturale di organizzare adeguatamente le difese e di elaborare le perdite e i cambiamenti. La psicosi acuta può essere considerata come espressione estrema di una sorta di collasso totale delle difese ,che si drammatizza in un quadro delirate e confusionale. 6.3 CRISI NEL CORSO DELLA VITA I momenti evolutivi che hanno un particolare significato trasformativo per l’individuo nel corso della vita sono rappresentati dall’adolescenza, dall’innamoramento e dalla formazione di un progetto ci coppia,dalla genitorialità, dalla mezza età e dall’invecchiamento. L’adolescenza

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L’adolescenza costituisce il momento di crisi più noto ed inevitabile per ognuno. A partire dalla pubertà gli equilibri degli investimenti e delle difese che erano stabili nel periodo di latenza sono rimessi in discussione e gli apporti di energie nuove che derivano dalla spinta puberale determinano una riattivazione dei conflitti infantili e del conflitto edipico. La relativa calma che si era stabilita nel periodo di latenza si rompe e la tregua viene interrotta. L’aspetto più evidente dei mutamenti che avvengono nel periodo dell’adolescenza è quello delle modificazioni corporee che hanno conseguenze sia reali che simboliche. L’adolescente si confronta con un corpo che cambia con estrema rapidità e la valenza sessuale di tali cambiamenti comporta la necessità per l’adolescente di riconoscersi come corpo sessuato che si distacca dall’immagine indifferenziata dell’infanzia. In questi anni si definisce l’identità sessuale attraverso la maturazione dei caratteri sessuali secondari, da tenere distinta dall’identità di genere,cioè dal vissuto di appartenenza ad un determinato sesso che esiste anche prima della pubertà. La definizione dell’identità sessuale implica una perdita narcisistica,ovvero la rinuncia alla fantasia onnipotente di possedere le caratteristiche di ambedue le immagini interiorizzate dei genitori. Il riemergere delle pulsioni sessuali comporta una riattualizzazione della conflittualità edipica e, di conseguenza, la necessità di prendere distanza dai genitori in quanto oggetti d’amore primitivi. L’adolescenza quindi è caratterizzata da alcuni elementi di perdita,di cui quella narcisistica,intesa come perdita dell’immagine onnipotente di se stesso, e quella oggettuale,intesa come l’allontanamento simbolico dalle figure significative dell’infanzia. Il distacco dalle figure significative dell’infanzia porta l’adolescente a scegliere se stesso come oggetto d’amore con un aumento dell’investimento narcisistico a spese dell’investimento oggettuale. Non è raro,infatti, osservare negli adolescenti uno spiccato interesse per se stessi,che può prendere sia la forma di una ipervalutazione sia quella di una eccessiva insicurezza. In adolescenza la stima di sé è assolutamente precaria ed è spesso osservabile l’alternarsi di momenti di estrema tristezza che rivelano un’alterazione dell’equilibrio narcisistico. Il processo di trasformazione del sé si basa quindi su nuove identificazioni e sull’eliminazione progressiva delle rappresentazioni del sé infantile,derivate dalle identificazioni del passato. Il gruppo dei coetanei può essere utile come punto di riferimento per l’evoluzione del sé adolescenziale: ogni membro del gruppo è vissuto come una parte del sé che viene proiettata all’esterno,ma il gruppo permette al tempo stesso una riunificazione delle parti,funzionando da contenitore. L’adolescenza comporta anche un cambiamento nei valori morali che sono stati interiorizzati nell’infanzia sulla base delle rappresentazioni che il bambino ha avuto dai genitori. In adolescenza si verifica una parziale rimozione del Super-io perché è necessario che si modifichino le sue esigenze al fine di permettere l’accesso alla sessualità e alle nuove relazioni. L’adolescente deve quindi privarsi di una parte del Super-io,costruito sui modelli genitoriali,per modellare una morale personale. Una eccessiva dipendenza dal Super-io che limita il cambiamento rende l’adolescente vulnerabile a successive manifestazioni patologiche. Jeammet ha individuato due aree peculiari come espressione psicopatologica: l’area del corpo,terreno privilegiato di espressione dei conflitti in questo periodo di vita come documentano ad esempio i disturbi del comportamento alimentare, e l’ara del comportamento, in quanto l’adolescente tende a interiorizzare i conflitti interni trasformandoli in comportamenti impulsivi spesso anche dissociali.

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L’età adulta e la crisi dell’età di mezzo La cosiddetta “crisi dell’età di mezzo” è una esperienza soggettiva che inizia intorno ai 40 anni e si mantiene per alcuni anni successivi legata prevalentemente al conflitto generazionale tipico di questa età e caratterizzata dalla consapevolezza della fine propria e degli altri. La persona di età intermedia vive una particolare situazione nel rapporto con le diverse generazioni anteriori e posteriori alla propria: da un lato si trova a essere oggetto di crescenti richieste di accadimento e dipendenza da parte dei genitori,o comunque inizia a pensarlo,dall’altra parte è investita direttamente dalla ricerca di emancipazione dei figli. Si realizza così una duplice identificazione con i vecchi e con i giovani e si riattivano sentimenti ambivalenti sia verso i genitori,che però stanno invecchiando e non possono quindi essere considerati come rivali, che verso i figli che si stanno emancipando e costituiscono il termine di confronto immediato. Una dimensione soggettiva così contraddittoria determina un profondo rimaneggiamento dell’immagine di individuo,di genitore e di figlio che viene concettualizzato nell’espressione “crisi dell’età di mezzo”. Jacques (1963) focalizza la crisi sull’incontro con la morte e con la vecchiaia e la consapevolezza come un riemergere della posizione depressiva infantile: la crescente consapevolezza del proprio invecchiamento e della propria mortalità fanno rivivere le memorie inconsce di odio,invidia,distruzione mitigate dalla riparazione dalla gratitudine e dall’amore. La rielaborazione dell’esperienza infantile della perdita aumenta la fiducia nelle proprie capacità di amare e di rimpiangere ciò che è perduto,piuttosto che odiare e sentirsi perseguitato. Oltre a questo aspetto nella crisi dell’età di mezzo sono presenti anche tappe critiche strettamente legate alle vicissitudini della relazione amorosa familiare e dell’attività professionale,fattori fonte ,al tempo stesso, di soddisfazione come di insoddisfazione. Il soggetto si chiede in questa età se e in quale misura ha realizzato i suoi obbiettivi,le sue ambizioni e i suoi ideali, confrontandosi con l’ideale dell’Io e la conflittualità interna che una persona può vivere relativamente a questo. Nelle donne il climaterio, cioè quel lungo periodo che va dalla piena funzione riproduttiva alla perdita di questa e che si conclude con la menopausa,ovvero la cessazione dei flussi mestruali,coincide in buona parte con questa fase della vita. La menopausa non può essere considerata come un evento isolato,svincolato dalla storia personale, dalle modalità con cui è vissuta la femminilità e dal contesto socio-culturale di riferimento:essa infatti non è solo un evento biologico,ma una vicenda esistenziale che investe la donna nella sua totalità. La menopausa rappresenta per ogni donna una crisi che è caratterizzata da profondi cambiamenti interni ed esterni nelle varie sfere dell’identità femminile. La crisi climaterica è caratterizzata da elementi di perdita e di lutto che possono determinare nella donna una riduzione della fiducia di base. Il climaterio è pervaso da una umiliazione narcisistica in quanto la donna perde la fertilità e vive fantasie narcisistiche legate al distacco della sessualità dalla riproduzione che fanno attribuire a questo periodo il significato di castrazione. È inoltre costretta a modificare l’immagine del proprio corpo vissuto nel senso che le modificazioni biologiche spesso non coincidono con i cambiamenti dell’immagine inconscia del corpo che si evolve più lentamente e più in base a desideri e conflitti soggettivi che ai cambiamenti reali,ed a rinunciare al modello ideale di giovinezza. Si deve confrontare anche con il cambiamento negativo dell’immagine sociale,con le modificazioni della relazione con il partner,con il distacco dei figli. Una particolare rilevanza assume, nel periodo del climaterio, il problema della solitudine nella sua doppia valenza di

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dimensione psicologica,che corrisponde al sentirsi soli, e di elemento reale, che corrisponde all’essere effettivamente soli. Sentirsi soli indica una situazione soggettiva che è spesso indipendente dalla condizione di effettivo isolamento., nel senso che sentimenti di solitudine possono essere dominanti ance quando la persona è oggettivamente ricca di rapporti sociali. Intorno alla menopausa la donna può sentirsi sola anche se ha intorno una famiglia che l’apprezza e relazioni sociali soddisfacenti. Quindi l’adattamento alla menopausa dipende da una varietà di fattori che caratterizzano la personalità individuale come la capacità di essere soli e di adattarsi a nuove situazioni,la qualità della relazione di coppia,l’importanza del legame con i figli e la capacità di accettare la loro autonomia, l’abilità a modificare il ruolo materno in uno più orientato verso soddisfazioni esterne e altro ancora. Questo periodo della vita nella donna può essere definito anche come periodo del “nido vuoto”, indicando con tale denominazione la cessazione dei compiti di allevamento dei figli. Il periodo che corrisponde all’allontanamento dell’ultimo figlio dal nucleo familiare,rappresenta,infatti, un ulteriore motivo di crisi per la donna come per la coppia che si trovano a perdere gran parte del loro significato. Nella clinica la cosiddetta sindrome del nido vuoto corrisponde alla comparsa in alcune donne di una depressione dell’umore di varia intensità che si manifesta in coincidenza con l’allontanamento dei figli e con la cessazione delle funzioni di accadimento. Il concetto ormai classico del “nido vuoto” è ,tuttavia,controverso: è stato infatti osservato che il mancato allontanamento dei figli all’età prevista comporterebbe maggiori difficoltà per la donna e che le donne i cui figli hanno lasciato la casa sono generalmente più soddisfatte rispetto a quelle che ne hanno ancora il carico. L’evoluzione della crisi del climaterio è di solito positiva in quanto la donna elabora i lutti investendo in altri oggetti le sue energie,mentre in alcuni soggetti una problematica depressiva ed uno stato di ansia testimoniano il relativo fallimento del processo di elaborazione. L’invecchiamento L’invecchiamento è caratterizzato da una serie di modificazioni oggettive e soggettive con significato di perdita,a sottolineare soprattutto il declino e le rinunce che fanno parte di questo periodo della vita. Quando si invecchia infatti si devono affrontare eventi della vita che rappresentano esperienze estremamente negative come il pensionamento,il cambiamento dello stato sociale ed economico,il declino della salute,l’eventuale perdita del coniuge e degli amici,il relativo isolamento ecc... Queste modificazioni però possono essere considerate anche come cambiamenti,lasciando aperta la possibilità di una sorta di riorganizzazione dell’identità personale. Il disimpiego è un meccanismo per spiegare come di norma la percezione della vecchiaia non è particolarmente dolorosa né traumatica,ma è caratterizzata dal punto di vista affettivo da un crescente distacco emotivo e da una parallela riduzione del coinvolgimento attivo che permettono all’anziano di “guardare dall’alto” il proprio percorso di vita. Ci sembra opportuno indicare alcuni fattori psicologici che interferiscono con il sentimento di identità individuale e con il mantenimento di una adeguata immagine di sé quali in particolare: le relazioni interpersonali,l’angoscia di morte,il sentimento di identità,la rappresentazione mentale della vecchiaia,la solitudine e il narcisismo. Relazioni interpersonali

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Un elemento importante nel vissuto dell’anziano è rappresentato dai cambiamenti delle relazioni sociali e familiari legati a fattori che,hanno una grande risonanza affettiva. La ridotta partecipazione sociale modifica le relazioni familiari soprattutto nel rapporto tra coniugi,che può rafforzarsi con una maggiore solidarietà o dipendenza,come può deteriorarsi con l’emergere di conflitti rimasti latenti che si manifestano sottoforma di invidie,frustrazioni reciproche,sentimenti di rabbia focalizzati sulle modalità soggettive di affrontare l’invecchiamento o di difendersi dalla relativa ansia. Anche il rapporto con i figli cambia con l’accentuarsi di conflittualità generazionali legate da un lato al cambiamento delle caratteristiche del rapporto genitore-figlio che da ablativo verso i figli bambini diviene prevalentemente captativo verso i figli adulti, dall’altro alla presenza di sentimenti di rivalità dell’anziano nei confronti dei figli che possono realizzare o hanno realizzato quanto a lui non è possibile. Nella vecchiaia le frustrazioni per le perdite inevitabili e il riaccendersi di desideri e pulsioni “per procura”, cioè connesse all’identificazione con i figli e con i loro successi, possono essere alla base del riattivarsi di antichi conflitti. Le spinte relative al conflitto edipico represso subiscono un ulteriore incremento e la conflittualità che ne deriva non è rivolta a figure del passato ,bensì del presente: l’oggetto del conflitto non è il proprio genitore,ma il figlio al culmine della sua potenzialità. Angoscia di morte L’esperienza del corpo che invecchia e si ammala costituisce per l’anziano un’anticipazione della morte che diviene una possibilità reale. Gli atteggiamenti dei vecchi verso la morte sono tutt’altro che univoci. Da un lato si può assistere ad una rassegnata accettazione di questa realtà biologica,sostenuta e protetta dai sentimenti attivati dalla continuità delle generazioni. Mentre dall’altro il pensiero della morte può essere fonte di angoscia e disperazione tali da disorganizzare ulteriormente il precario equilibrio dell’anziano. Identità Se i bisogni del vecchio sono il rispetto,la sicurezza e l’autodeterminazione, la condizione senile è,invece,caratterizzata soprattutto dalla dipendenza materiale e affettiva dall’ambiente circostante. Questa contraddizione rappresenta il dramma senile che richiama quello adolescenziale. L’analogia è però caratterizzata da una profonda differenza dal momento che la crisi adolescenziale rappresenta un’apertura verso il mondo mentre la vecchiaia acquista una dimensione di bilancio e ridimensionamento delle potenzialità vitali. È simile,invece,il pericolo che i cambiamenti oggettivi e soggettivi e la drammatizzazione delle pulsioni portino a mettere in discussione l’identità personale. Ogni cambiamento si collega con il sentimento di identità . il sentimento di identità si riferisce al concetto di identità del sé intesa nel senso del progressivo sviluppo dell’identità individuale. Il sentimento di identità di sé comporta un livello simbolico nel campo dell’autoconoscenza,che permette di continuare a sentire che “io sono io” nonostante i cambiamenti e addirittura proprio in funzione di questi. I cambiamenti comunque creano angoscia per ciò che inevitabilmente si perde e richiedono un importante lavoro psicologico. Dall’altra parte i cambiamenti costituiscono lo sfondo,il campo che permette a una persona di continuare a sentirsi se stessa. Rappresentazione mentale della vecchiaia Ci sono molti fattori che influenzano la percezione del proprio essere vecchi ma da punto di vista psicologico è importante sottolineare la modalità con cui s forma nell’individuo l’immagine della vecchiaia. Spesso ci si stupisce dell’interesse con cui i

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bambini esplorano il significato della parola vecchio. Il bambino che vive una condizione di dipendenza dagli adulti significativi,sa che quando sarà grande gli adulti della sua infanzia e in particolare i genitori saranno vecchi. Se, nello sviluppo infantile è prevalsa la rabbia per lo stato di dipendenza dai genitori l’immagine mentale della vecchiaia avrà un significato prevalente di impotenza, se invece ha prevalso la fiduciosa attesa di un aiuto,nell’immagine della vecchiaia prevarranno i caratteri della saggezza e della serenità. Solitudine Una particolare rilevanza assume in questa fascia di età il problema della solitudine, intesa sia come dimensione psicologica corrispondente al termine corrente “sentirsi soli” che come condizione effettiva corrispondente “all’essere soli”. I due significati indicano l’uno una situazione soggettiva,l’altro una condizione oggettiva che possono essere anche indipendenti dal momento che il sentimento di solitudine non è necessariamente collegato all’isolamento reale. In un approccio cognitivo al problema la solitudine è stata concepita come una esperienza soggettiva più o meno correlata a fattori situazionali come la percezione di se stessi nel tessuto sociale e le relazioni interpersonali,coincidente così con un isolamento sociale soggettivo in cui la quantità delle relazioni è inferiore alle attese del soggetto o in cui i desideri di intimità non sono stati soddisfatti. Da un punto di vista psicologico “sentirsi soli” si riferisce ad uno stato mentale,al sentimento della mancanza dell’altro,alla ricerca di una relazione con parti di sé, a una situazione quindi nettamente diversa dall’essere soli che non è collegabile con la quantità di contatti sociali ma che addirittura può essere accentuata dalla presenza degli altri. Sentirsi soli quindi indica uno stato soggettivo di sofferenza che si può sperimentare anche quando si è circondati da amici e da oggetti di interesse. Narcisismo L’invecchiamento interessa primariamente il narcisismo come investimento affettivo di se stessi e richiede degli aggiustamenti che ognuno deve inevitabilmente affrontare nel corso del proprio ciclo vitale. Infatti nella vecchiaia,oltre al processo di trasformazione biologica che investe il corpo nella sua totalità,esiste una modificazione interiore caratterizzata dalla necessità di far fronte al cambiamento della prospettiva temporale,che si orienta verso il passato,all’inversione dei ritmi di cambiamento esterni e interni per cui ogni stabilità sembra minacciata dalle trasformazioni del mondo,alla consapevolezza dei limita della propria personalità e creatività,al riemergere della conflittualità edipica centrata sulla generazione dei figli,alle perdite reali e simboliche che si accumulano. Si può determinare quindi una situazione conflittuale nella quale il soggetto non riesce più a conciliare l’immagine di se con la propria realtà e con l’immagine proposta socialmente. In tal modo il conflitto io-mondo si risolve spesso con un conflitto dell’io con se stesso, tra io attuale e io ideale, che attiva difese narcisistiche volte a preservare l’immagine di sé. Di fronte a tali conflittualità si possono avere nell’anziano modalità diverse di reazioni collegate con le caratteristiche individuali e con le esperienze passate. Si può ,infatti, osservare,ad esempio, la messa in atto di difese narcisistiche che permettono al soggetto di mantenere un adeguato equilibrio consentendogli,paradossalmente,di arrivare alla morte senza essere mai invecchiato,oppure una relativa incapacità di adattarsi alla nuova situazione senile con la conseguente comparsa di manifestazioni psicopatologiche anche di tipo nevrotico,oppure l’accentuazione di alcune caratteristiche della personalità narcisistica che si piano clinico si collocano nell’ambito dei fenomeni ansioso-depressivi e

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ipocondriaci. Solo una equilibrata modulazione narcisistica permette di affrontare adeguatamente la realtà dell’invecchiamento e della morte.

CAPITOLO 2: PSICOPATOLOGIA EVOLUTIVA 1.LA PSICOPATOLOGIA EVOLUTIVA La nascita e la diffusione della prospettiva della psicopatologia evolutiva,propria della branca della psicologia clinica,della psicologia evolutiva e della psicopatologia, sono avvenute a partire dagli anni ’70. L’accostamento dei termini “psicopatologia” e “evolutiva” ha lo scopo di evidenziare l’importanza dello studio della psicopatologia in relazione ai principali cambiamenti che avvengono nel ciclo vitale. In particolare con il termine evolutivo si intende l’attenzione alla specificità dei processi,cambiamenti e caratteristiche proprie delle diverse età; tale approccio indica due obbiettivi di base:

1- Il tentativo di esaminare le specifiche capacità emergenti caratteristiche della persona nei vari stadi dello sviluppo lungo tutto l’arco di vita,utilizzando una visione ampia che tenga conto della complessità dei vari domini di funzionamento.

2- Il tentativo di esaminare le sequenze di adattamenti precedenti nello sviluppo che hanno contribuito all’esito di un particolare periodo evolutivo,esprimendo l’interesse per i processi ed i meccanismi alla base dei passaggi evolutivi.

La coerenza del significato di comportamento,che risiede nella funzione adattiva che esso svolge rispetto al contesto interpersonale, è il presupposto su cui si basa la psicopatologia evolutiva: l’attenzione è centrata sulla comprensione dei processi che sottostanno sia alla continuità sia ai cambiamenti dei modelli di adattamento. Da questa prospettiva quindi le diverse espressioni comportamentali che emergono nei vari momenti del ciclo vitale non sono espressione di una discontinuità dello sviluppo quanto espressione di una co-evoluzione all’interno della diade individuo-contesto. Le trasformazioni evolutive acquistano coerenza se lette come espressione di un processo di adattamento della persona alle diverse perturbazioni ambientali. In tal senso possiamo considerare come obbiettivo primario della psicopatologia dello sviluppo la comprensione del percorso ontogenico che caratterizza lo sviluppo individuale dai pattern di adattamento precoci a quelli più maturi. La necessità di storicizzare e contestualizzare i disagi ed i sintomi per fornire una visione ampia,articolata e complessa che permetta la comprensione dei processi e dei meccanismi,ha condotto ad una accezione estesa della psicopatologia evolutiva che volge il proprio interesse al di là dei delimitati confini dell’età evolutiva e della patologia rivolgendosi all’intero arco di vita ed alla normalità. Gli psicopatologi-evolutivi devono quindi essere a conoscenza del percorso dello sviluppo normale,trovare le deviazioni da tale percorso,e comprendere le trasformazioni evolutive che avvengono nel progresso evolutivo ontogenico. La prospettiva della psicopatologia evolutiva dovrebbe prendere in considerazione l’emergere del repertorio comportamentale,delle funzioni cognitive e linguistiche,dei processi sociali ed emotivi,e dei cambiamenti che avvengono nelle strutture anatomiche e nei processi fisiologici del cervello nel corso del ciclo vitale. La psicopatologia evolutiva fornisce una potente cornice teorica per la comprensione della complessità dei processi evolutivi, che permette di integrare le conoscenze all’interno e

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tra le differenti discipline,contesti e domini di conoscenze. Essa non si caratterizza,dunque, per l’assunzione di un approccio teorico unitario,ma per l’assunzione di una prospettiva organizzativa dello sviluppo basata sul presupposto che,come avviene nei processi biologici,l’individuo emerge dagli scambi con l’ambiente e ogni comportamento si organizza e prende forma nel’interazione con altri comportamenti e con il contesto. Sroufe (1995) delinea due principi generali propri della prospettiva organizzativa dello sviluppo: • l’unitarietà dello sviluppo: le varie dimensioni dell’organismo si sviluppano in maniera reciprocamente dipendente; non è così possibile ad esempio,comprendere lo sviluppo cognitivo in maniera indipendente dalla crescita emozionale e sociale,facendo tali sfere parte di unno stesso processo • la complessità emergente: nuovi comportamenti sono considerati proprietà emergenti dell’organizzazione precedente, lo sviluppo procede nella direzione sia di una complessità crescente sia di cambiamenti qualitativi tra i vari livelli di accresciuta complessità. Quindi, ciò che emerge è qualitativamente differente dal precedente ed ha un nuovo livello di complessità,tuttavia il precursore costituisce un prototipo per l’emergente. Questa prospettiva dello sviluppo ha come conseguenza che ,concependo lo sviluppo non in termini di accrescimenti ma di integrazioni e riorganizzazioni qualitative , diviene non ipotizzabile un isomorfismo tra i sintomi di uno stesso disturbo nei differenti livelli dello sviluppo. Tale approccio è espressione dei contributi all’origine della psicopatologia evolutiva principalmente rintracciabili in tre importanti apporti: la teoria evolutiva organismica proposta da Werner, la teoria psicoanalitica di Freud e la teoria strutturale evolutiva avanzata da Piaget. Tutti questi apporti hanno posto l’accento su una visione “organismica” dello sviluppo versus una meccanicistica: l’attenzione è,cioè,posta sul ruolo delle dinamiche dell’individuo considerato come un insieme organizzato, in cui i principi comportamentali sono visti nei termini di organizzazione tra le parti ed il tutto e di relazioni dinamiche tra l’individuo e l’ambiente; l’individuo viene considerato come una entità dinamicamente funzionante definita dalle sue interazioni con l’ambiente. 2. LE RELAZIONI INTERPERSONALI COME CONTESTI FONDANTI PER LA DEFINIZIONE E COMPRENSIONE DELLA PSICOLOGIA EVOLUTIVA E’ possibile considerare la qualità delle relazioni interpersonali come un fondamentale criterio per identificare la presenza di una possibile psicopatologia. I problemi evolutivi,infatti,non sono mai unicamente problemi del bambino ,ma soprattutto problemi di relazione tra il bambino e l’ambiente. In un’ottica organizzativa ,si considerano come molteplici i fattori che conducono ad un disturbo,differenti anche nei singoli individui che presentano anche lo stesso disturbo che,a sua volta può essere espressione di percorsi anche molto diversi tra loro. Questo concetto viene espresso con i principi di equifinalità e multifinalità derivati dalla teoria generale dei sistemi. L’equifinalità si riferisce all’osservazione che in qualsiasi sistema aperto possono condurre allo stesso esito una diversità di percorsi, includendo quelli fortuiti; il principio di multifinalità suggerisce che all’interno di un sistema l’effetto di un componente cambia in base alla posizione che vi occupa. In psicologia evolutiva con equifinalità si fa riferimento alla varietà di percorsi che possono confluire in uno stesso esito. La multifinalità indica come un particolare evento o elemento non debba di necessità condurre allo stesso esito: esso acquista un significato ed una propria funzionalità

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all’interno dell’organizzazione più ampia che dipende da fattori quali il particolare momento della storia evolutiva in cui accade,il contesto circostante in cui esso si inserisce,il periodo specifico in cui avviene e la vulnerabilità individuale. In tal senso il disagio psichico viene inteso come espressione di una molteplicità di fattori che possono agire sia ostacolando sia favorendo l’adattamento dell’individuo. Appartenere ad una popolazione cosiddetta “a rischio” per l’insorgere di una psicopatologia significa che una persona fa parte di un gruppo di individui che hanno maggiori possibilità di manifestare in futuro quel determinato disturbo,riguardano i vari domini di funzionamento biologici,psicologici e sociali. In linea con tale impostazione ,Cicchetti e Cohen individuano tre principali parametri che definiscono la psicopatologia evolutiva essi sono:

1. Lo studio delle popolazioni ad alto rischio e dei disturbi;

2. L’interesse per i meccanismi ed i processi evolutivi che moderano gli esiti finali dei fattori di rischio;

3. L’attenzione all’intero ciclo vitale che permette di conoscere pienamente la continuità/discontinuità dello sviluppo;

Lo studio dei fattori di rischio si è scontrato nel tempo anche con le difficoltà di distinguere tra le loro funzioni e ruoli: i fattori di rischio tendono,ovviamente, a presentarsi contemporaneamente e risulta difficile alle volte cogliere quali siano considerabili come processi causali per un esito, quali invece siano espressione di altri sistemi solo indirettamente connessi con il rischio o la patologia studiata e quali,infine,siano presenti ma difficilmente coglibili perché mascherati dall’influenza di altri sistemi. A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un maggior interesse allo studio dei fattori protettivi,fattori,cioè, che quando presenti moderano o riducono l’impatto di un variabile di rischio promuovendo l’adattamento. I fattori protettivi agiscono sia in maniera compensatoria ,controbilanciando gli effetti dei rischi,oppure interattivamente, come variabili di mediazione,influenzando nei momenti di forte stress l’impatto dei fattori di rischio e rimanendo pressochè silenti in altri periodi. Tra i fattori protettivi si includono,quindi,quelli che: a) riducono l’impatto dei fattori di rischio attraverso l’efficacia dei loro effetti sulla pericolosità stessa del rischio oppure modificando l’esposizione o coinvolgimento del rischio; b) riducono la catena di reazioni negative che origina dall’incontro con il rischio; c) promuovono la stima di sé e il senso di efficacia di se stessi attraverso la disponibilità di relazioni personali sicure o supportive oppure il successo nel raggiungimento di obbiettivi; d) offrono nuove opportunità. Nella psicopatologia evolutiva ,inoltre,accanto ai fattori protettivi che promuovono le capacità dell’individuo si considerano fattori che le limitano: i cosiddetti fattori di vulnerabilità. Quest’ultimi indicano condizioni o circostanze,solitamente durevoli,che promuovono il disadattamento. Divengono fonti di vulnerabilità,che possono avere cause interne o esterne all’individuo,i fattori che limitano il raggiungimento di un buon adattamento favorendo un’organizzazione patologica nei vari domini dello sviluppo. L’influenza di questi fattori deve essere contestualizzata sia nello specifico periodo evolutivo sia all’interno delle condizioni sociali e ambientali nel quale si inserisce. Non solo,infatti,fattori temporanei possono influenzare il possibile esito disadattivo rendendo

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più o meno “rischiosa” l’influenza di un fattore, ma anche le condizioni socio-ambientali determinano la criticità di uno stesso evento,quale la perdita del lavoro di un genitore in una famiglia in condizioni agiata vs precarie ,accanto al ruolo che quello stesso fattore riveste nelle esigenze proprie di una determinata fase del ciclo di vita ad esempio la perdita di un genitore in età molto precoce oppure in adolescenza. Nella comprensione del disagio psichico,dunque,la prospettiva della psicopatologia evolutiva considera come in ogni individuo i fattori di rischio e quelli protettivi siano presenti in un equilibrio dinamico: il disagio emerge laddove tale equilibrio venga alterato a sfavore delle risorse protettive,intendendo con “disagio” un equilibrio mantenuto con difficoltà e sofferenza,con “patologia” la perdita di tale equilibrio con l’emergere di sintomi o condotte disadattive. La psicopatologia emerge quando è presente una storia evolutiva che ha portato ad una organizzazione patologica e le risorse protettive e le capacità di coping della persona non sono in grado di fronteggiare le vulnerabilità di vecchia data e i fattori di stress e di rischio acuti attuali. 3.L’ATTENZIONE AI PROCESSI REGOLATORI DELLO SVILUPPO: EMOTIVI, BIOLOGICI E NEURO-PSICOLOGICI,COGNITIVI E SOCIO-COGNITIVI Nella prospettiva della psicopatologia evolutiva ogni disturbo acquista significato solo se inscritto in una visone più ampia che consideri l’interazione tra differenti considerate all’interno dell’organizzazione evolutiva. Dalla prospettiva organizzativa,lo sviluppo è considerato come un processo dinamico multi-determinato in cui le variabili e i processi in esso coinvolti operano in interazione l’uno con l’altro al fine di contribuire al funzionamento individuale: i processi interattivi sono centrali a tutti i livelli di funzionamento,dal funzionamento individuale alla relazione con l’ambiente. Lo sviluppo è,infatti,un processo unitario, in cui i funzionamenti ed i meccanismi acquistano significato dal ruolo che reciprocamente rivestono per il funzionamento globale dell’individuo. All’interno di questo processo,l’individuo è un partecipante attivo: egli condivide e crea le esperienze attraverso le predisposizioni fisiologiche e psicologiche e con lo sviluppo di capacità connesse sempre più complesse. Lungo l’arco dello sviluppo le interazioni tra i numerosi sistemi di regolazione e gli scambi relazionali accrescono nell’individuo le capacità di autoregolazione nei differenti domini e permettono lo sviluppo di una regolazione intersoggettiva coerente e complessa. Viene ipotizzato che l’organismo in certi momenti evolutivi salienti,geneticamente determinati,sia particolarmente sensibile all’incontro con specifici fattori ambientali. In questi periodi critici,le influenze ambientali possono avere un effetto maggiore se avvengono in determinati archi di tempo,minore in altre fasi. Sono identificabili almeno due posizioni differenti rispetto al funzionamento di questi periodi, da una parte, una visione dello sviluppo che vede i soggetti come relativamente passivi in “attesa” di un ambiente che,in determinati peridi critici,fornisca al momento giusto le cure adeguate durante le fasi critiche dello sviluppo; dall’altra parte si contrappone una visione maggiormente attiva dell’individuo in cui lo sviluppo viene considerato espressione di un adattamento ottimale ad un determinato ambiente anche grazie a specifiche esperienze accadute durante fasi relativamente sensibili.

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3.1 PROCESSI EMOTIVI: IL RAPPORTO BAMBINO AMBIENTE NELLE TEORIE PSICODINAMICHE L’apporto di Sigmund Freud viene considerato un importante punto di riferimento della psicopatologia evolutiva. Molto sinteticamente,nella prospettiva evolutiva avanzata nella teoria freudiana l’accento è posto sull’inconscio come potente plasmatore dello sviluppo e ,quindi,sul significato psicologico delle precoci esperienze e delle dinamiche affettive. Per quanto concerne il legame del bambino piccolo con l’ambiente,nel modello pulsionale non viene considerata l’esistenza di un legame pre-ordinato con l’ambiente umano non concependo il bambino come primariamente un essere sociale: il motore dell’apparato psichico è l’energia pulsionale,originata dal patrimonio genetico,ed il legame con la madre è legato alla funzione materna di gratificazione dei bisogni,costituendi così come un derivato secondario. La concezione della psicopatologia riguarda una visione del disagio come espressione di un conflitto intrapsichico,con una propria dinamica e trasformazione nel tempo,in cui il sintomo acquista senso se inscritto nella personalità dell’individuo. In tale prospettiva,l’accento nell’opera freudiana viene comunque posto sulle dinamiche intrapsichiche e sulla loro evoluzione,leggendo prevalentemente la patologia come espressione di una fissazione o regressione a fasi precoci e ponendo in secondo piano il ruolo dei fattori ambientali. Negli sviluppo della teoria psicanalitica si è assistito ad una rivisitazione di alcuni concetti teorici anche in ambito evolutivo e psicopatologico principalmente legati a due fattori: il superamento del paradigma intrapsichico e unipersonale e lo sviluppo di teorie psicoanalitiche evolutive basate sull’osservazione diretta del bambino. Nel tempo,infatti,la rivisitazione della teoria motivazionale psicoanalitica ha posto una crescente attenzione agli aspetti relazionali e contestuali all’origine del disagio psichico. Il cambiamento di ottica nella concezione energetico-pulsionale nella mente ha portato al prevalere di una visione dell’uomo come essere sociale motivato ad entrare in relazione con gli altri:l’obbiettivo primario della motivazione umana è divenuto il tentativo di stabilire e mantenere relazioni con gli altri. L’abbandono del modello pulsionale ha comportato inoltre una modificazione nella comprensione dell’eziologia dei disturbi mentali: dalla formulazione freudiana di una sequenza di fasi di sviluppo si è passati ad una concezione evolutiva relazionale che comporta la necessità di comprendere lo sviluppo del bambino all’interno della complessa rete interattiva che lo circonda. Conseguentemente,è divenuta fonte di osservazione,di indagine e di analisi la complessa matrice relazionale in cui il bambino è immerso. Questo cambiamento è stato anche espressione dell’introduzione in ambito psicoanalitico di studi basati sull’osservazione diretta del bambino. Una critica diffusa,infatti,alla teoria evolutiva freudiana riguarda il suo essersi basata prevalentemente su ricostruzioni dello sviluppo basate su resoconti di adulti nevrotici in analisi. Da questa lettura “ricostruita” a posteriori dello sviluppo si è passati alla diffusione della “osservazione” diretta dello sviluppo del bambino nel suo ambiente sociale. Questi sviluppi hanno permesso di ridurre lo iato esistente tra ricerca e clinica ed hanno avvicinato le teorie psicoanalitiche alla psicologia dell’età evolutiva attraverso il superamento del divario tra il cosiddetto “bambino clinico” ed il “bambino osservato”. Questi cambiamenti hanno inoltre permesso un sempre maggiore riconoscimento delle competenze del bambino alla nascita e una diffusione di una visione del bambino come più attivo e partecipe alla vita di relazione.

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3.1.1 LA PROSPETTIVA ORGANIZZATIVA DELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITA’ NEL CONTRIBUTO DELLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: LA REGOLAZIONE DEGLI AFFETTI Ha rivestito un importante ruolo nella riconcettualizzazione del rapporto madre-bambino la teoria dell’attaccamento formulata da John Bowlby costituendo un punto di riferimento delle ricerche e della teoria nella psicopatologia evolutiva. Brevemente, la teoria dell’attaccamento si basa sul presupposto che il bambino nasca biologicamente predisposto ad entrare in contatto con il mondo esterno e a stabilire legami significativi. L’attaccamento,un tipo di relazione unica tra bambino e caregiver,evolve nel primo anno di vita da un repertorio di comportamenti innati che promuovono l’interazione con la funzione evolutiva di proteggere il bambino dai predatori e lo scopo di mantenere la prossimità da una figura di riferimento ben riconosciuta. Nello sviluppo l’interazione tra predisposizione genetica e ambiente determinano il percorso che verrà intrapreso: nell’infanzia il bambino è particolarmente sensibile agli stimoli ambientali ed ha a disposizione una ampia gamma di potenzialità,con lo sviluppo tali potenzialità si restringono in un percorso in cui,l’eventuale patologia,diviene espressione di una serie di deviazioni occorse nel tempo. Sebbene il sistema di attaccamento sia biologicamente radicato,le esperienze influiscono direttamente sulla sua organizzazione. Le differenze individuali dipendono dalla qualità dell’organizzazione dell’attaccamento., a sua volta espressione del livello di responsività materna e del grado di reciprocità che si è costruita tra il bambino e il caregiver. Ciò che attiva il comportamento di attaccamento e la ricerca della vicinanza al caregiver,sonno principalmente le variazioni del sentimento di sicurezza,espressione quest’ultime di aspetti più qualitativi della relazione. La qualità affettiva del legame tra il bambino e il caregiver è alla base della stabilità dell’organizzazione dell’attaccamento nel corso del tempo: la disponibilità delle figure di riferimento,infatti,permette al bambino di sviluppare in maniera sintona le proprie esperienze affettive interne e l’espressione all’esterno dei propri sentimenti,portando ad un’organizzazione sicura dei legami di attaccamento. Stili di attaccamento sicuri si basano sull’esperienza di un genitore capace di svolgere le funzioni di “base sicura” attraverso il suo essere presente e disponibile nel cogliere i segnali del figlio ed il suo essere una fonte di riferimento e di rassicurazione nei momenti di paura e di pericolo. Diversamente,esperienze con genitori non disponibili, espongono troppo precocemente il bambino ad esperienze affettive che divengono disorganizzanti in quanto non contenute e regolate da un caregiver sensibile a tali segnali,portando il piccolo a sviluppare modalità di organizzazione dell’attaccamento non sicure,ma che gli permettono di fronteggiare in maniera adattiva le esperienze affettive vissute nel proprio contesto. La modalità di regolazione degli affetti deriva dalla storia delle interazioni tra il bambino ed i genitori;tale esperienza è alla base della creazione e dello sviluppo delle regole che governano l’interpretazione e l’espressione delle emozioni e del comportamento. Il bambino organizza le proprie esperienze,aspettative e comportamenti in “modelli operativi interni”,rappresentazioni che si formano all’interno della matrice relazionale attraverso la costruzione di schemi interattivi. Dalla seconda metà del primo anno di vita il bambino inizia ad essere influenzato dall’esperienza passata e dall’anticipazione degli esiti delle interazioni in cui è coinvolto: dagli scambi relazionali con le figure di riferimento il bambino,infatti,inizia ad apprendere i modelli sottostanti le regolarità delle relazioni attraverso una conoscenza implicita,registrata come

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rappresentazioni non simboliche. Tale conoscenza agisce non a livello cosciente, ma tende ad operare sotto forma di azioni non pensate. I modelli operativi interni,dunque,non sono repliche delle esperienze interpersonali con altri significativi,ma svolgono una funzione di valutazione e organizzazione delle esperienze e dei ricordi. Il parametro fondamentale su cui valutare lo sviluppo normale vs patologico dei processi di regolazione è la flessibilità,espressione di esperienze affettive basate sulla sincronia,reciprocità e sintonia. Alla base dello sviluppo di una buona regolazione nella diade non vi è solo il fornire un livello di stimolazione appropriato alle capacità del bambino,con rari momenti caratterizzati da una attivazione disorganizzante ma sono associati a emozioni positive,sia di interruzioni della sincronia all’interno di cicli di rotture e riparazioni o di “riparazioni interattive”; quest’ultime sono all’origine della modulazione dell’attivazione e dell’aspettativa di ristabilire l’organizzazione dopo una rottura: nelle interazioni che hanno successo,infatti,la mancanza di sintonia viene rapidamente riaggiustata. Le riparazioni che hanno successo e le esperienze di stati coordinati sono associati a stati affettivi positivi,diversamente gli errori interattivi generano stati affettivi negativi. Una buona regolazione nella diade madre bambino non significa però,una sincronizzazione perfetta dell’uno a rispondere ai segnali dell’altro, infatti,una coordinazione bidirezionale ottimale nella diade bambino caregiver è quella intermedia in cui la coppia mantiene un equilibrio tra l’autoregolazione e la regolazione interattiva,influenzandosi reciprocamente senza che questo legame divenga costrittivo in quanto privo di flessibilità. Così come un livello intermedio di regolazione interattiva predice un attaccamento sicuro,allo stesso modo è ottimale un grado intermedio di autoregolazione,che permette alla persona una fluttuazione dell’attenzione, dell’affetto e dell’attivazione. Coloro che hanno sperimentato una buona regolazione affettiva e conforto,saranno in grado di valorizzare se stessi, gli altri e le relazioni,avendo sperimentato la reciprocità e la condivisione,e quindi di utilizzare le altre persone come risorse nei momenti di difficoltà. Diversamente, i legami di attaccamento insicuri incidono sul sentimento di sicurezza rendendo le persone maggiormente vulnerabili e fragili. Le organizzazioni adattive non sicure dell’attaccamento riguardano prevalentemente due strategie opposte: quella “ansioso evitante”,in cui l’esperienza di non disponibilità dei caregiver si esprime nel bambino con il tentativo di minimizzare il bisogno ed i comportamenti relativi al sistema di attaccamento attraverso il mascheramento delle proprie espressioni emotive,il mantenimento di una immagine di se stesso come invulnerabile e degli altri come meno importanti e la conservazione di un’immagine delle proprie esperienze di attaccamento come perfette; la strategia “ansioso ambivalente”, in cui l’esperienza dei genitori disponibili in maniera non consistente porta il figlio ad accentuare i propri bisogni e comportamenti relativi all’attaccamento,con una tendenza a vivere le emozioni come soverchianti e difficilmente contenibili con un vissuto di confusone e di invischiamento. Una quarta classificazione definita come stile di attaccamento “disorganizzato/disorientato” si è rivelata un forte fattore di rischio per l’insorgenza di psicopatologie. I bambini disorganizzati mostrano comportamenti e affetti non organizzati nei momenti di difficoltà. È stato ipotizzato che alla base di tali peculiari reazioni vi sia una commistione di ricerca di protezione e di paura nei confronti del caregiver che sembra impedire al bambino una organizzazione coerente dell’attaccamento: essendo gli stessi caregiver fonte di paura o di minaccia i bambini

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sono posti di fronte ad un dilemma irrisolvibile tra la ricerca di protezione e l’evitamento. Quindi, la contemporanea esperienza di sentimenti di paura e di attivazione del sistema di attaccamento causano un forte conflitto motivazionale,costituendo anche un fattore di rischio per un successivo emergere di disturbi psicopatologici. Si ritiene,infatti,che tale conflitto interferisca in maniera drammatica con lo sviluppo e la stabilità di strategie efficaci di comunicazione delle emozioni e con la capacità di mantener un’organizzazione interna,portando ad una maggiore vulnerabilità a disturbi dissociativi. 3.2 PROCESSI BIOLOGICI E NEUROPSICOLOGICI: IL CONTRIBUTO DELLE NEUROSCIENZE La complessità nel determinare l’influenza del ruolo dell’ambiente e/o della genetica sullo sviluppo dell’individuo si è articolata nel tempo attorno alla spinosa questione della contrapposizione tra natura e cultura. Tale dibattito si è inizialmente centrato su due posizioni: i teorici “innatisti”,che asseriscono la tesi di un ruolo dominante del codice genetico in cui la sfera emotiva e quella comportamentale sono espressione di aspetti innati,lasciando così poco spazio ai cambiamenti innescati dalle esperienze dell’individuo nell’ambiente; e i “culturalisti” che reputano gran parte delle variazioni degli individui di una stessa specie come espressione della mutevolezza e della plasmabilità dell’organismo all’ambiente,ritenendo quest’ultimo responsabile della formazione dell’individuo. È possibile individuare due teorie intermedie tra i “culturalisti” e gli “innatisti”: quella che ipotizza una interazione tra genetica e ambiente e la teoria della selezione. La prima teoria si basa sul “principio dell’interazione” per cui considera alcuni aspetti universali del comportamento umano espressione di processi genetici,mentre ritiene influenzati dall’ambiente altri aspetti del comportamento legati alle differenze individuali. La teoria basata sul principio della “selezione”,avanzata principalmente nell’ambito della biologia molecolare,è regolata su posizioni fortemente innatiste: il ruolo dell’ambiente consiste nel selezionare,e non modificare,facoltà pre-esistenti dell’organismo. In quest’ultima prospettiva il processo di adattamento degli organismi all’ambiente non si baserebbe su un processo formativo,che prevede una modificazione nel tempo degli esseri viventi per meglio adattarsi all’ambiente,quanto si fonderebbe su un processo selettivo in cui solo gli organismi con alcune opzioni innate sopravvivrebbero. Successivamente queste teorie limitative sono state superate a favore di una visione interazionista nella quale l’espressione genica,l’attività mentale,il comportamento e le continue interazioni con l’ambiente sono strettamente correlate in una serie di processi di sviluppo. Al centro del dibattito scientifico, oramai,non è più la questione dell’individuazione dell’origine biologica o culturale dei comportamenti umani,quanto lo studio i “come” natura e cultura interagiscono reciprocamente nel delineare lo sviluppo dell’individuo. Grazie anche agli sviluppi nella biologia molecolare,l’attenzione dei ricercatori e dei clinici,anche nell’ambito della psicopatologia evolutiva,si sta focalizzando in misura sempre maggiore sugli studi sullo sviluppo del cervello. Vi sono numerose ragioni all’origine di tale interesse, tra queste:

- Tutti i processi mentali,anche i più complessi processi psicologici,riflettono operazioni del cervello. Corollario di tale principio è che i disturbi comportamentali che caratterizzano i disordini psichiatrici sono disturbi nel funzionamento del cervello,compresi quelli chiaramente legati a cause ambientali;

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- I geni contribuiscono in maniera importante al funzionamento mentale e quindi,combinazioni di geni esercitano un controllo significativo sul comportamento. Ne consegue che una componente che contribuisce alle principali malattie psichiatriche è genetica;

- Alterazioni nella espressione genica dovute all’apprendimento comportano cambiamenti nei pattern di connessioni neuronali. Questi cambiamenti non solo contribuiscono alle basi biologiche dell’individualità,ma sono anche responsabili dell’insorgere e stabilizzarsi di anomalie comportamentali indotte dalle contingenze sociali;

- I cambiamenti a lungo termine sul comportamento dovuti ad interventi psicoterapici probabilmente sono espressioni di cambiamenti nella espressività genetica che modifica la forza delle connessioni sinaptiche e di cambiamenti strutturali che alterano i pattern anatomici di interconnessioni tra le cellule nervose.

3.2.1 VERSO UNA NEUROBIOLOGIA INTERPERSONALE: LA REGOLAZIONE DEGLI AFFETTI NEL MODELLO PSICONEUROBIOLOGICO DI SCHORE L’interesse del lavoro di Schore si focalizza sulla comprensione dei meccanismi psiconeurobiologici sottostanti alla salute mentale,in particolare,sullo sviluppo delle capacità regolatorie. La proposta si articola intorno all’influenza che le esperienze del bambino ,ed in particolare le esperienze di attaccamento,rivestono sullo sviluppo dell’emisfero destro: il modello psiconeurobiologico proposto indica chiaramente un legame tra attaccamento sicuro,sviluppo in maniera efficiente delle funzioni regolatorie del cervello destro e salute mentale infantile. Diversamente, contesti mentali mal sintonizzati generano alti livelli di affetto negativo che agiscono come ambienti inibitori per i sistemi corticolimbici in evoluzione. La capacità di regolazione delle emozioni concerne,secondo Schore,nel raggiungimento nei primi anni di vita di due traguardi: la capacità di sviluppare e mantenere stati di attivazione positiva e,la successiva,capacità di regolare e recuperare stati di attivazione negativa. Per il raggiungimento del primo traguardo è fondamentale nel primo anno di vita l’esperienza di transizioni sincronizzate emotivamente con il caregiver,che,a livello neurobiologico, è resa possibile da una sintonizzazione psicobiologia degli stati affettivi ed uno scambio interattivo mutuo dei ritmi fisiologici legati al crescere/decrescere dei sistemi periferici e centrali sottostanti le emozioni: l’emisfero destro del bambino viene psicobiologicamente sintonizzato all’output dell’emisfero destro della madre che svolge così una funzione di regolazione delle emozioni del figlio. Tale legame simbiotico tra il sistema nervoso maturo della madre e quello immaturo del figlio,che passa attraverso l’attivazione del sistema nervoso simpatico,permette la modulazione dello stato affettivo del bambino attraverso la stimolazione di un simile stato di attività simpatica. La regolazione degli affetti non consiste solo nella riduzione della loro intensità,nello smorzarsi di emozioni negative,ma riguarda inoltre l’amplificazione e l’intensificazione delle emozioni positive alla base anche del desiderio di esplorare l’ambiente circostante. Sono le comunicazioni diadiche che generano stati affettivi intensi e positivi,con alti livelli di dopamina e oppiacei endogeni,che promuovono la crescita della corteccia prefrontale. I forti cambiamenti

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documentati a livello della corteccia prefrontale intorno ai 10-12 mesi,legati alle esperienze diadiche,svolgerebbero un ruolo essenziale nel generare rappresentazioni pre-simboliche delle relazioni (i modelli operativi interni), che si organizzano infatti nel primo anno di vita. Il raggiungimento del secondo traguardo nella regolazione degli affetti,cioè la capacità di modulare e recuperare stadi di attivazione negativa,è strettamente connesso all’inevitabile mutare del ruolo del genitore in “agente di socializzazione” che assume anche il ruolo di proibire molti comportamenti del bambino ai fini della socializzazione. Nello stesso periodo evolutivo si assiste all’emergere del sentimento di vergogna,inibitore specifico degli affetti. Da un punto di vista fisiologico,essa indica un improvviso spostamento da una attività dominante del sistema nervoso autonomo,che immobilizza energie del simpatico,ad una attività con energie del parasimpatico. Nelle relazioni interpersonali l’emergere della vergogna viene letta dal bambino come esito dell’esperienza di non sintonizzazione affettiva da parte del genitore che porta ad una caduta dell’affetto positivo: in questo caso la non sintonizzazione,legata al ruolo di proibizione genitoriale,diviene un mediatore del processo di socializzazione. La vergogna e le transizioni caratterizzate da rotture/riparazioni,grazie anche all’intervento riparatore del genitore,permettono lo sviluppo della capacità di regolare internamente l’affetto negativo,attraverso l’autoregolazione ed i meccanismi di recupero dello stress. Ciò comporta,sempre seguendo Schore, una ri-organizzazione e maturazione della corteccia orbito-frontale alla base dell’emergere di rappresentazioni simboliche di sé e dell’altro. Tale corteccia orbito-frontale è coinvolta nel doppio meccanismo funzionale eccitatorio e inibitorio del sistema limbico: essa agisce come un meccanismo di recupero che monitorizza e autoregola la durata,la frequenza e l’intensità degli stati affettivi sia positivi sia negativi. Lo sviluppo e la maturazione della regione frontale sarebbero anche all’origine dell’emergere di sentimenti più complessi nel bambino non polarizzati sugli estremi positivi e negativi. Come commenta Schore: “il raggiungimento ontogenico di un sistema interno efficiente,capace di autoregolare in modo adattivo varie forme di aurosa, e di conseguenza l’affetto, la conoscenza e il comportamento,avviene solo in un ambiente socio emotivo ottimale…la partecipazione della madre nella regolazione interattiva durante episodi di sintonizzazione,mal sintonizzazione e risintonizzazione psicobiologia non solo modula lo stato interno del bambino,ma modella anche indelebilmente e permanentemente la capacità del sé emergente di auto-regolarsi” Nelle esperienze di attaccamento sicuro avviene una regolazione dell’aurousal a livello ottimale,cioè all’interno di un range moderato,sufficientemente alto per mantenere le interazioni,non troppo intenso da causare angoscia: un equilibrio tra stati di aurousal simpatico-ergotropico e parasimpatico-trofotropico. Negli attaccamenti non sicuri,invece, l’esperienza vissuta con il caregiver non permette lo sviluppo di tale equilibrio. In particolare negli ansioso-evitanti i bassi livelli di espressione emotiva del genitore e la sua scarsa accessibilità nell’interazione portano il bambino a sviluppare una tendenza verso uno stato parasimpatico dominante,espressione di un adattamento a bassi livelli di stimolazione socio emotiva: questa organizzazione sarebbe alla radice del rischio di sviluppare una psicopatologia su un versante ipercontrollato. Nei bambini con un attaccamento ansioso-resistente l’esperienza di un caregiver che è accessibile in modo incoerente,labile ed imprevedibile,sono alla base della tendenza a esprimere e vivere le emozioni in modo

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intenso e pervasivo,tendendo verso umori negativi,espressione di una predominanza del circuito simpatico che si esprime con una organizzazione della personalità sotto controllata ed impulsiva. Le esperienze di mancanza di sintonizzazione proprie degli attaccamenti ansiosi,evitanti o resistenti sarebbero così all’origine di ritardi nello sviluppo delle regioni orbito-frontali ,che maturano lentamente e che sono particolarmente influenzate dalle esperienze con l’ambiente esterno. Essendo la prima infanzia un periodo critico per lo sviluppo certe interazioni con ambienti non ottimali costituirebbero un ambiente inibitore della crescita divenendo sorgenti potenziali delle alterazioni patologiche del circuito limbico immaturo,all’origine di una predisposizione alla psicopatologia. Il risultato sarebbe infatti una riduzione delle strategie di regolazione dell’affetto che incidono notevolmente sull’adattamento all’ambiente,limitando le capacità di coping,lo sviluppo dell’empatia e della capacità di percepire gli stati emotivi degli altri esseri umani. Schore sottolinea così il ruolo cruciale della figura di riferimento nella prima infanzia per l’organizzazione neuronale e l’acquisizione della capacità di regolazione della propria omeostasi interna,mettendo in luce come anche a livello biologico l’organizzazione omeostatica sia in funzione dell’interazione con l’ambiente: la responsività genitoriale diviene fondamentale nel guidare il precoce sviluppo ella mente essendo sia i sistemi dei neuro-trasmettitori del bambino sia il sistema che modula le risposte allo stress alla nascita dei sistemi aperti che dipendono dai pattern di comportamento genitoriale per stabilizzare i parametri del loro funzionamento nel ciclo vitale. 3.3 PROCESSI COGNITIVI E SOCIOCOGNITIVI Il contributo di Piaget viene considerato come un apporto determinante per la nascita della psicopatologia evolutiva. Il contributo di Piaget ha costituito un ribaltamento nel concetto del rapporto tra ambiente e persona: l’adattamento da risposta del sistema vivente alle esigenze dell’ambiente diviene un processo attivo dell’individuo che agisce attraverso la selezione degli stimoli ambientali al fine di garantire l’organizzazione interna del sistema. Per Piaget la cognizione si caratterizza per due aspetti complementari: l’assimilazione e l’accomodamento. Lo sviluppo cognitivo infantile diviene,dunque,la conseguenza del ripetuto funzionamento cognitivo di assimilazione dell’ambiente alla mente e di accomodamento della mente all’ambiente. Accanto al modello piagetiano sono individuabili altri tre principali modelli dei processi cognitivi dello sviluppo cognitivo: “l’approccio dell’elaborazione dell’informazione”,in cui lo sviluppo riguarda la messa in pratica e maggiore efficienza dei procedimenti mentali di attenzione,trasformazione in rappresentazioni mentali,attribuzione di significato e conservazione delle informazioni,permettendo una maggiore flessibilità e completezza nella codifica degli stimoli e acquisizioni di strategie; i “neopiagetiani” che,integrando il contributo di Piaget con quello dell’elaborazione dell’informazione,pongono maggiore attenzione alle specificità di dominio di abilità cognitive e all’aumento delle capacità mentali nello sviluppo; “la teoria contestuale” derivata da Vygotskij,in cui le principali fonti di cambiamento cognitivo sono determinate dalle influenze del contesto sociale e culturale. Attualmente con il concetto di cognizione si fa riferimento ad una concezione della mente come di “un sistema di processi interattivi che generano, codificano, trasformano e manipolano in modi diversi informazioni di tipo diverso”. Nel tempo rispetto al bambino descritto da Piaget,gli sviluppi delle teorie e della ricerca nell’ambito della prima infanzia hanno descritto un bambino più competente di quello

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piagetiano,capace precocemente di elaborazioni non solo cognitive ma anche percettive,che giocano un ruolo cardine nello sviluppo,e dotato dalla nascita anche di capacità intermodali,di collegamento tra i sensi,non considerate più come prodotto dell’esperienza. Si è andata così sempre più affermando una visione dell’essere umano come dotato di meccanismi innati pre-adattati che si sviluppano nell’interazione con l’ambiente: l’attenzione nell’ambito della scienza cognitiva si è focalizzata sui processi di costruzione della conoscenza e,in particolare,di formazione di rappresentazioni della realtà. Lo sviluppo dei processi di rappresentazione come costruzione di schemi della realtà,in cui l’essere umano è considerato attivo nell’estrapolare le informazioni rilevanti dall’ambiente ai fini dell’adattamento,è un concetto cardine anche ai fini dell’attaccamento. Il contributo di Bowlby,infatti,può essere considerato uno dei primi tentativi di comprendere lo sviluppo affettivo attraverso un modello di funzionamento mentale proprio delle scienze cognitive. In particolare,nel bambino lo sviluppo nell’interazione con l’ambiente di modelli operativi interni di sé,dell’altro e della loro relazione permette di spiegare come : in un sistema innato sia possibile l’apprendimento attraverso le esperienze; si sviluppano le aspettative e le differenze individuali in base a specifiche esperienze; la specifica storia infantile perpetui la sua influenza nel tempo. Dalla prospettiva dello sviluppo socio-cognitivo,la teoria dell’attaccamento rappresenta in modo eclatante il legame non districabile tra sviluppo cognitivo e relazioni sociali. Nello studio dell’attaccamento sociale l’attenzione degli studiosi viene posta sui pre-requisiti socio-cognitivi necessari per lo sviluppo del legame di attaccamento. Tra i presupposti cognitivi per l’attaccamento sociale gli studiosi di questa prospettiva si sono occupati dello sviluppo cognitivo di capacità quali: discriminare le percezioni e fornire risposte selettive,consentendo di discriminare i genitori dalle altre figure; costruire delle aspettative sulle interazioni con il caregiver,che permettono di interpretare gli eventi e di predire che cosa accadrà nel futuro; la permanenza degli oggetti,alla base della percezione degli oggetti esterni come differenziati dalle proprie azioni e come entità separate; la competenza rispetto all’imitazione,presente precocemente nei bambini ed alla base anche della preferenza a prestare attenzione agli adulti che lo imitano,alla base dello sviluppo della sensazione del noi. ‘acquisizione di queste competenze cognitive permette al bambino,alla fine del primo anno di vita,di sviluppare concetti di sé,dell’altro e delle relazioni sociali alla base di una emergente consapevolezza della propria mente e dello sviluppo di una teoria della mente. 3.3.1 L’ESPERIENZA DELLA PRIMA INFANZIA: LO SVILUPPO DI UNA TEORIA DELLA MENTE NELL’APPORTO SOCIO-COGNITIVO Con sviluppo di una teoria della mente si fa riferimento alla capacità di attribuire stati mentali,quali pensieri,sentimenti,desideri,intenzioni a se stessi e agli altri. Possedere una teoria bellamente ha indubbie funzioni evolutive e adattive. Essa permette,infatti, funzioni quali il prevedere come una persona si comporterà sulla base dei sui stati mentali,il comprendere i significati del linguaggio,il mostrare empatia. Lo sviluppo di una teoria della mente costituisce una capacità cognitiva particolarmente vulnerabile nei disturbi psicopatologici,tra cui,quello maggiormente indagato,la sindrome autistica. Le ricerche su questa sindrome hanno dimostrato come le indubbie difficoltà nella normale acquisizione di una teoria della mente nei bambini autistici riguardi alcune competenze specifiche: problemi sono presenti nella comprensione delle credenze,intenzioni,conoscenze e finzioni non sono presenti in alcuni aspetti della

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comprensione dei desideri e della percezione; è risultato comunque che questi deficit sono specifici della sindrome autistici rispetto ad altri gruppi clinici. Le serie conseguenze delle difficoltà nell’acquisizione di una teoria della mente in maniera generalizzata da parte di bambini autistici,sindrome di cui è stata documentata ance una componente biologica, hanno portato ad ipotizzare l’esperienza di specifici meccanismi cognitivi per la comprensione degli stati mentali radicati anch’essi su basi biologiche. 4. REGOLAZIONE DEGLI AFFETTI E SVILUPPO DI UNA TEORIA DELLA MENTE: MATURAZIONE NEUROCOGNITIVA E INTERSOGGETTIVISMO COGNITIVO AFFETTIVO NEL CONTRIBUTO DI FONAGY E TARGET Il costrutto di teoria della mente è stato operazionalizzato in ambito psicoanalitico da Fonagy e Target con il concetto di riflessività o funzione riflessiva,che fa riferimento alla possibilità del soggetto di discernere i propri ed altrui stati mentali identificandoli come rappresentazioni,distinte dalla realtà esterna,e che influenzano in modo determinante il comportamento. Fonagy e Target sottolineano come la capacità riflessiva sia il prodotto influenzato da processi dinamici di varia natura e come essa non possa prescindere da una cornice intersoggettiva di sviluppo,differenziandosi così dalla diffusa tendenza a considerarla come esito di una sequenza maturativa prefissata geneticamente. Punto di partenza del costrutto è che la comprensione del mondo mentale non sia data e la qualità del suo sviluppo dipenda dall’interazione con altre persone sufficientemente amorevoli e riflessive. In particolare,per gli autori,l’affetto ha una priorità evolutiva nello sviluppo della teoria della mente. La funzione riflessiva si sviluppa a partire dai quattro anni integrando due primitive modalità di funzionamento psichico: ® la modalità “equivalenza psichica” nella quale il bambino stabilisce una esatta corrispondenza tra i propri contenuti mentali e la realtà esterna con un dominio della realtà psichica. ® la modalità “far finta” tipica del gioco infantile,in cui il bambino è in grado di rappresentarsi i propri stati mentali,ma li considera come non avessero relazione con il mondo esterno,scindendo quindi i pensieri ed i sentimenti della realtà quotidiana. L’unificazione delle due modalità avviene,secondo gli autori, nelle interazioni di gioco grazie al ruolo svolto dai genitori o dai fratelli più grandi e consente al bambino di arrivare a sperimentare i propri stati mentali come rappresentazioni che sono distinte sia dagli stati mentali della persona sia dal mondo esterno. Questo passaggio sarebbe favorito da una forma “imperfetta” di rispecchiamento attraverso il quale il genitore riflette lo stato interno espresso dal bambino nella modalità di gioco e ,al tempo stesso,mostra quanto questo non coincida con la realtà esterna. Nel processo di mentalizzazione ,quindi, l’adulto riveste un ruolo fondamentale nella costruzione da parte del bambino della propria mente permettendo a quest’ultimo di divenire capace di giocare con la realtà usando la mente del genitore: la mente dell’adulto deve consentire la dualità nel mantenere la cornice della realtà esterna ed allo stesso tempo ripresentare lo stato mentale del bambino. L’attenzione al ruolo delle relazioni nello sviluppo della teoria della mente esprime uno spostamento degli studi sulla teoria dell’attaccamento che si va a focalizzare sul ruolo delle relazioni nel determinare la modalità e profondità con cui l’ambiente viene interpretato: nell’equipaggiare,cioè,il bambino di abilità di mentalizzazione che permettano un adeguato funzionamento

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rispetto al contesto. Dal punto di vista della regolazione degli affetti,l’attenzione degli autori, si è spostata sul contributo della cognizione alla regolazione affettiva: la mentalizzazione conduce a un tipo diverso di relazione che gli autori denominano “affettività mentalizzata” che riguarda la capacità di regolazione affettiva in cui è presente una consapevolezza degli affetti mentre vengono sperimentati e che costituisce un ulteriore livello della regolazione affettiva riguardando il significato che gli affetti rivestono per la persona. Il “Meccanismo di Interpretazione Interpersonale” (MII) costituisce il sistema di elaborazione dell’informazione soggiacente alla funzione riflessiva,e riguarda appunto il meccanismo che presiede alla capacità di interpretare in termini psicologici l’ambiente psico-sociale. Esso si sviluppa nell’ontogenesi dall’interiorizzazione delle risposte delle risposte del caregiver di rispecchiamento dello stato emozionale del figlio che permette di sviluppare una rappresentazione del proprio stato interno. L’espressione materna costituisce un feedback dello stato emozionale per il bambino e viene percepita come organizzatrice del suo stato del sé: cioè diviene l’anello tra le esperienze di attaccamento o lo sviluppo della successiva autoregolazione. Fonagy parla di “bio-feedback sociale” del rispecchiamento dell’affetto indicando un complesso sistema biosociale in cui il bambino istintivamente portato ad esprimere i cambiamenti dei propri stati interni affettivi nel comportamento,mentre la madre è portata istintivamente a rispecchiar i comportamenti che esprimono lo stato del bambino. Il sistema MII nascerebbe da una predisposizione genetica che svolge la funzione di moderatore delle influenze genetiche della personalità. L’interpretazione dell’ambiente circostante acquista così il ruolo fondamentale di determinare l’espressione genica. La mentalizzazione diviene lo snodo centrale che modera il passaggio tra genotipo e fenotipo. In questo senso le prime esperienze di attaccamento determinano la “profondità di elaborazione” dell’ambiente psicosociale. Le cure materne,quindi,oltre a presiedere alla regolazione dello stato momentaneo del figlio,incidono fortemente sulla strutturazione psichica,sulla consapevolezza e sul controllo emotivo del sé. L’insicurezza dell’attaccamento diviene allora espressione di limitazioni nella capacità di mentalizzare,portando a rappresentazioni di sé poco coese che richiedono l’utilizzo di strategie per impegnarsi in relazioni interpersonali. Alla base di una vulnerabilità alla psicopatologia vi sarebbero,quindi,difficoltà nel rispecchiamento affettivo del caregiver,tali difficoltà sono raggruppabili in due tipi principali di fallimenti: ® un rispecchiamento affettivo congruente ma non marcato : il rispecchiamento affettivo congruente ma non marcato riguarda genitori che,cogliendo le emozioni del figlio,se ne fanno simmetricamente invadere non riuscendo a contenerle. Il bambino percepirà così le proprie espressioni negative come una emozione propria del genitore,ostacolando lo sviluppo di una propria rappresentabilità. Questa esperienza,se ripetuta,può condurre ad una carente percezione di se stessi e ad scarso controllo degli affetti,accanto alla tendenza ad attribuire i propri stati affettivi negativi all’esterno. Tale modalità di funzionamento è strettamente associata con il disturbo borderline di personalità. ® un rispecchiamento affettivo non congruente: esperienza frequente in genitori iper-controllanti con forti meccanismi di difesa rispetto ad alcuni affetti del figlio che gli portano a percepirli in modo distorto. Questa esperienza condurrà il bambino a rappresentare in modo distorto le proprie emozioni e,quindi,a sviluppare una

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rappresentazione di sé distorta. Tale esperienza predispone al disturbo narcisistico di personalità. Come si può evincere da questa breve disamina,gli autori tentano di gettare un ponte nella diatriba tra cultura vs natura,sostenendo che l’ambiente di cui si devono occupare i genetisti non è quello oggettivo ma quello psicologico: è l’esperienza che l’individuo fa dell’ambiente. A determinare lo sviluppo non sarebbero,dunque,né gli aspetti innati,né le caratteristiche dell’ambiente,ma, l’interpretazione che il soggetto compie dell’ambiente.

CAPITOLO 3: EVENTI DI VITA E PSICOPATOLOGIA 1. leggere (paragrafo solo discorsivo). 2. EVENTI E PSICOPATOLOGIA In Europa nei primi del 1900 due autori in particolare svolsero un ruolo di rilievo nel definire il concetto di forme psicopatologiche secondarie e reattive ad eventi: Jaspers e Schneider. Le “reazioni ad avvenimenti” descritte da Jaspers sono disturbi considerati come risposte ad eventi esterni,a cui sono collegabili in un rapporto di comprensibilità psicologica,che non hanno comunque un loro inquadramento clinico preciso. Le “reazioni abnormi all’avvenimento” definite da Schneider sono considerate tali soprattutto per l’insolita intensità,per l’inadeguatezza rispetto al motivo o per l’abnormità della durata o dell’aspetto clinico o del comportamento,centrando l’attenzione non sulla comprensibilità psicologica,ma sul metodo analitico descrittivo della reazione psicopatologica. Negli Stati Uniti Adolf Meyer ha sostenuto che molti disturbi mentali possono essere interpretati come reazioni ad esperienze di vita ed espressione dell’adattamento attivo dell’individuo alla realtà e alle circostanze sociali,introducendo il concetto di malattia mentale come reazione,che ha influito anche nella costruzione del DSM. Il pensiero freudiano,passato dal considerare un evento traumatico reale come causa di disturbi nevrotici al vederlo,invece, come la fantasia di un trauma,ci rimanda ad un processo caratterizzato da oscillazioni tra la valutazione degli eventi come accadimenti esterni,e quella del loro significato soggettivo,cioè dal vissuto che può essere indipendente dal loro far parte della realtà esterna condivisa. È evidente che un evento passa attraverso una elaborazione intrapsichica che attribuisce ad esso un significato (significato individuale) specifico,connesso con la situazione,col contesto nel quale l’evento si è verificato e con i significati legati a recedenti esperienze,quindi alla storia ed alla memoria della persona,che coloriscono questo evento e possono anche costituire possibili fattori che hanno contribuito a generarlo. Accanto al “significato individuale” unico e irripetibile degli eventi,esiste anche un “significato gruppale”,collettivo,condiviso che è connesso verosimilmente al valore degli eventi per la specie e per la sua evoluzione. In quanto condiviso questo significato è conoscibile e,entro certi limiti prevedibile e valutabile. A questo presupposto si deve la messa a punto di metodi di valutazione standardizzata dei così detti “life events” (casi della vita),che permettono di attribuire un peso concordato e codificato ai diversi tipi di evento. Si sono sviluppati in psicopatologia due metodi di valutazione del significato degli eventi,uno psicologico e uno quantitativo. Quello psicologico,di origine psicoanalitica, studia caso per caso i possibili significati ed i diversi livelli degli eventi,giungendo alla identificazione della

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sovra determinazione degli atti,concetto secondo il quale i significati individuali hanno un peso molto forte anche se,in definitiva,riportabile ad alcune grandi aree,il cui valore antropologico e storico interferisce,spesso inconsciamente, col significato attuale valutabile di un evento. Quello quantitativo valuta il peso di ogni evento che si può verificare nella vita delle persone basandosi sul suo valore condiviso. Utilizzando questo metodo si possono ottenere dati empirici riproducibili,che hanno permesso di collegare alcune patologie mentali con gli eventi della vita,i “life events”,nell’ottica di stabilire un rapporto fra la patologia psichica e gli elementi ambientali e di individuare i fatti di rischio delle diverse forme cliniche. Il problema del ruolo degli eventi stressanti in psicopatologia può essere affrontato facendo riferimento ad alcune tematiche principali quali: 1) lo studio del ruolo degli eventi e degli affetti ad esso collegati nella formazione,nello sviluppo e nella crescita della vita mentale e delle origini infantili dei disturbi psicopatologici,attraverso le prospettive aperte dalla “psicopatologia dello sviluppo”,intesa come quella disciplina che studia le origine ed i processi che conducono a modelli individuali di comportamenti mal adattivi. In questa prospettiva gli eventi possono influenzare lo sviluppo della vita psichica sia in senso positivo che negativo. 2) lo studio di modelli animali di risposta agli stressors,anche in una prospettiva evolutiva. 3) lo studio delle osservazioni cliniche e delle posizioni teoriche che riguardano i disturbi collegati a traumi psichici rilevanti. Gli eventi sono necessari per la nascita e lo sviluppo della vita mentale come anche della disposizione alla salute o ad un equilibrio non adattivo. Il rapporto tra esperienze, eventi e sviluppo psicologico normale si può evidenziare nel seguente schema: • gli eventi sono insostituibili nello sviluppo sia per il loro valore affettivo che per quello cognitivo; • gli eventi infantili creano una base fondante per la vita successiva,e pongono le basi sia per la successiva risposta agli eventi che per una quota di genesi degli eventi stessi; • gli eventi lasciano tracce sia nella memoria implicita che in quella esplicita o dichiarativa. Un ruolo fondamentale assumono gli affetti collegati agli eventi,che acquistano la funzione di segnali comunicativi. Gli affetti costituiscono una funzione mentale che facilita lo scambio di informazioni con l’ambiente sociale,di percezioni e di comunicazioni di segnali sui propri stati interni e su quelli degli altri membri del gruppo sociale, così importante che molti eventi vengono a costituirsi come conseguenza di scambi comunicativi; • gli eventi tendono a porsi in catene causali anche di segno contrapposto. 3. I PROCESSI DISSOCIATIVI Fa parte degli eventi traumatici la “nevrosi traumatica”,un’entità nosografica collegata con gli incidenti,con le catastrofi naturali e con quelle legate alla civiltà industrializzata ed alle guerre. Questi eventi possono generare da un lato conseguenze fisiche acute e gravi,che minacciano la vita e l’integrità dei soggetti,dall’altro alcune situazioni che non comportano lesioni fisiche,ma un quadro di grave shock con confusione mentale e agitazione,a cui segue una seconda fase caratterizzata da sintomi quali paralisi,tremori,anestesie,disturbi della vista,dell’udito,amnesie ed i così detti “attacchi”,cioè la ripetizione di alcune sequenze dell’incidente in un alterato stato di coscienza o in sogni ripetuti. Con il termine “idea fissa” si indica,appunto,proprio quella

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scena dell’incidente di cui la mente non riesce a liberarsi e che Charcot paragonò ad un “parassita”,riunendo le diverse componenti di questi quadri in quella che chiamò “isteria traumatica” e che Oppenheimer denominò “nevrosi traumatica”. Il problema del perché,a parità di esposizione ad eventi traumatici,alcune persone possono presentare questo disturbo ed altre no,si sono evidenziati nel tempo,oscillando tra la concezione di una “vera malattia”,e altre concezioni come quella di una predisposizione che evidenzia un terreno biologicamente “degenerato”,o quella di un terreno comunque alterato e vulnerabile in rapporto a esperienze infantili disturbanti o carenze affettive primarie. Fenichel sostenne che un trauma è un concetto relativo: un evento diviene trauma quando supera le capacità di controllo individuale ed in questa veste può indurre sia un blocco o una riduzione delle funzioni dell’Io,sia problemi psichici secondari legati alla gestione mentale del trauma e alla possibile riaccensione di confitti latenti. In questa prospettiva la piche è in grado di accogliere ed elaborare gli stimoli solo se è organizzata,non solo per elaborare l’informazione, ma anche per preservare il proprio senso di continuità e di identità,e quindi,di differenza,nonché la capacità di desiderare e agire. In questo senso un evento diviene traumatico in quanto non elaborabile secondo gli schemi mentali acquisiti,i copioni abituali di condotta,le strutture narrative solide. Nella situazione di impossibilità o di grave difficoltà ad elaborare mentalmente gli eventi si possono verificare “divisioni” nell’apparato mentale dell’individuo che si collegano a manifestazioni psicopatologiche che vanno dalla “psicopatologia della vita quotidiana”,a quelle che fanno parte di forme cliniche definite. Si pensi alla frase freudiana “io ho fatto questo,dice la mia memoria,io non posso aver fatto questo,dice la mia autostima….e la memoria perde sempre”. In questo caso i ricordi possono essere “perduti” in quanto,per così dire, “nascosti” e difficilmente accessibili o inaccessibili anche al soggetto stesso (rimozione),oppure in quanto essi sono “spostati” in aree mentali separate e non direttamente accessibili alla coscienza (dissociazione). Si potrebbe dire metaforicamente che nel prima caso i ricordi,scomparsi ma non cancellati,sono sepolti sotto terra con una copertura che ne impedisce la riemersione (la censura freudiana),nel secondo essi sono trasferiti in aree superficiali,ma situate al di là del limite dell’orizzonte e l’individuo è “diviso” in una parte che conosce certe cose ed in una che le ignora. 3.1 DISTURBI DISSOCIATIVI Dal 1980 circa l’interesse sulle “personalità multiple” si è acceso negli Stati Uniti,nazione nella quale in precedenza i lavori sull’argomento erano così scarsi da far supporre che un tale quadro clinico fosse quasi esclusivo della cultura europea. Nel DSM IV questo tipo di disturbi è compreso in quella categoria diagnostica denominata “Disturbi Dissociativi”,la cui caratteristica essenziale è rappresentata dalla sconnessione delle funzioni,solitamente integrate,della coscienza,della memoria,dell’identità. La categoria diagnostica include il Disturbo dissociativo di identità (Disturbo di personalità multipla) il Disturbo da depersonalizzazione, l’Amnesia dissociativa,la Fuga dissociativa e il Disturbo dissociativo non altrimenti specificato. I criteri diagnostici illustrati nel DSM IV per il Disturbo Dissociativo dell’Identità sono i seguenti:

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a) presenza di due o più identità o stati di personalità distinti,ciascuno con i suoi modi relativamente costanti di percepire,di relazionarsi e di pensar nei confronti di se stesso e dell’ambiente; b) almeno due di queste identità o stati di personalità assumono in modo ricorrente il controllo del comportamento della persona; c) l’incapacità di ricordare importanti notizie personali è troppo estesa per essere spiegata come una banale tendenza alla dimenticanza; d) l’alterazione non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o ad una condizione medica generale. Nel Disturbo dissociativo dell’identità esistono nella persona almeno due tipi diversi di personalità che si ignorano a vicenda,essendovi amnesia delle azioni, dei pensieri,delle emozioni dell’una quando è l’altra ad assumere il controllo del comportamento,presupponendo,quindi, almeno due stati distinti di coscienza. Le prime osservazioni di personalità multiple avvennero alla fine dell’800 durante le sedute ipnotiche cui venivano sottoposti i pazienti isterici,che mettevano in evidenza uno stato “secondo di coscienza”,cioè la comparsa di un’altra personalità della quale il paziente non aveva nessuna coscienza. Questa personalità “altra” veniva dimenticata al risveglio dallo stato ipnotico,per poi ricomparire in una seduta successiva sotto precisa richiesta del terapeuta. Furono poi individuati casi nei quali il fenomeno si presentava spontaneamente,con frequenza variabile,anche al di fuori dello stato ipnotico. La seconda personalità,o comunque le altre personalità,hanno caratteristiche comportamentali completamente diverse dalla personalità originale ed in contrasto con questa,possono avere età e sesso diversi,e il passaggio da una identità all’altra è in genere improvviso. È evidente come la diagnosi di questo disturbo,di cui il soggetto spesso non è consapevole, sia difficile e come ponga problemi di non facile risoluzione nel differenziarlo soprattutto dai disturbi di personalità,in particolare dal disturbo borderline,con il quale può avere in comune l’impulsività,le brusche variazioni dell’umore e l’instabilità delle relazioni interpersonali, dalla simulazione e dall’isteria. Non bisogna comunque considerare le varie personalità, corrispondenti a diversi stati di coscienza,come insiemi totalmente separati,ma invece come frammenti di una personalità unica che sono stati separati e che si manifestano saltuariamente. 3.2 LA DISSOCIAZIONE Pierre Janet ha elaborato un modello della mente basato sull’adattamento all’ambiente piuttosto che sulla difesa da impulsi interni inaccettabili. ‘adattamento all’ambiente si raggiunge attraverso la “sintesi personale” delle strutture di significato che al suo più alto livello indica il senso de sé. La dissociazione,secondo la formulazione originale del concetto,è il fallimento della sintesi personale,causata non solo dal trauma psicologico,ma anche da altre condizioni come emozioni violente,malattie debilitanti, variabili di temperamento. Anche quando i processi dissociativi sono causati dall’evento traumatico essi non sono una difesa attiva della mente,ma una conseguenza diretta del trauma. Un aspetto delle conseguenze psicologiche del trauma è il crollo dei processi mentali adattivi che mantengono l’integrazione del sé,e un altro aspetto correlato è che la memoria dell’evento traumatico assume uno status subconscio,non come risultato di un meccanismo di difesa,ma perché non raggiunge mai una piena rappresentazione della coscienza. Il punto di vista di Janet sembra in accordo con la recente teoria formulata da Edelman secondo la quale un più elevato livello di coscienza implica l’integrazione,mediata dal linguaggio,di ricorsi del sé sociale e del non sé sociale. Le

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esperienze ordinarie vengono automaticamente integrate in schemi cognitivi precostituiti che attribuiscono loro senso e organizzazione;tutto ciò avviene in condizioni normali in modo automatico. Janet aveva definito “automatismi” questi adattamenti. Esperienze improvvise,terrorizzanti,devastanti che corrispondono indubbiamente ad un trauma,non possono essere immagazzinate attraverso gli automatismi dei canali usuali. Interviene allora un processo di dissociazione e la conseguente formazione di sacche mnesiche ,escluse dal controllo conscio, che tendono ad esprimersi attraverso sintomi. Questa caratteristica di inaccessibilità alla coscienza delle esperienze traumatiche soggette a dissociazione ha sostenuto la convinzione che si dovesse bypassare la coscienza attraverso l’ipnosi per fare riemergere il trauma. Dopo la pubblicazione degli Studi sull’isteria Freud intraprese una strada diversa da Janet e ritenne che i fenomeni isterici fossero il risultato di un processo mentale attivo (rimozione),mentre Janet sottolineò il ruolo dei processi mentali passivi (dissociazione come processo automatico). Quella di Janet è una concezione della dissociazione come spaccatura verticale tra diversi stati del sé che non sono integrati, a cui si sostituirà nel pensiero freudiano il concetto di rimozione,intesa come una separazione orizzontale tra coscienza e pulsioni inconsce. Da un lato il concetto di dissociazione di Janet come crollo basilare di fronte ad avvenimenti traumatici delle funzioni integrative e significanti della coscienza e della memoria è di grande interesse clinico. Da un lato è difficile ricondurre le idee di Janet alle questioni che da Freud in poi sono indispensabili ad ogni approccio dinamico moderno alla psicopatologia,ma che non hanno interessato Janet, cioè lo sviluppo della personalità sin dai primi periodi della vita,le influenze interpersonali e le dinamiche spesso inconsce dei processi motivazionali. Oggi definiamo “Dissociazione” uno stato in cu il soggetto subisce un’alterazione più o meno temporanea delle normali funzioni integrative come identità,memoria,coscienza,percezione dell’ambiente costante. Gli aspetti chiave di questa definizione della Dissociazione sono definiti come segue: • un processo in cui determinate funzioni mentali tendono ad operare in modo più compartimentalizzato o automatico; • separazione dell’associazione tra due elementi; • strategia di coping usata per fronteggiare un’esperienza soverchiante; è un processo attraverso cui un soggetto compartimentalizza diverse parti della propria personalità,delle emozioni e dell’esperienza corporea e le considera come separate rispetto al suo vero sé; • esclusione dalla coscienza e impossibilità di accesso al volontario recupero mnesico di contenuti mentali specifici o articolati di diverso grado di complessità; • la caratteristica essenziale dei disturbi dissociativi è la sconnessione delle funzioni,solitamente integrate,della coscienza,della memoria,dell’identità e della percezione dell’ambiente. Le alterazioni possono essere improvvise o graduali,transitorie o croniche. Esiste poi una classificazione dell’area patologica dei quadri dissociativi: ® dissociazione primaria- contenuti non elaborabili vengono immagazzinati in aree somato-sensoriali senza integrazione nelle narrazioni soggettive usuali. Gli stessi contenuti stimolati da imput emotivi, situazionali,sensoriali prevalentemente visivi,possono tornar con la stessa nitidezza dell’esperienza passata dando luogo alla

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classica sintomatologia del Disturbo Post Traumatico da Stress come ricordi intrusivi,flashback e incubi; ® dissociazione secondaria- dissociazione tra l’Io osservante e l’Io che vive l’esperienza . un esempio può essere rappresentato dalla condizione vissuta da persone che,in situazioni di esperienze catastrofiche,sentivano di abbandonare il loro corpo e contemporaneamente di guardarsi dall’alto. La finalità difensiva del processo è chiaro in quanto preserva dall’impatto intollerabile con l’evento; ® dissociazione terziaria- completa scissione dell’Individuo in personalità distinte; una di queste porta di solito le emozioni correlate al trauma mentre l’altra (o talora le altre) restano apparentemente intatte ed in grado di funzionare usualmente. La “dissociazione” della vita normale è intesa,quindi,come una risposta adattiva di fronte ad eventi che,per il loro essere intensi e terrorizzanti,non possono essere adeguatamente inseriti nella vita mentale in quanto non assimilabili alle esperienze precedenti,né adattabili al funzionamento mentale normale. Si tratta cioè di eventi traumatici,di fronte ai quali la vita mentale si dissocia ,conservandoli in un’area separata dalle esperienze quotidiane. 3.3 LA TEORIA TRAUMATICA DEI DISTURBI DISSOCIATIVI Diverse ricerche cliniche ed empiriche hanno sottolineato il legame tra evento traumatico e Disturbi dissociativi. Molti soggetti che sviluppano disturbi dissociativi hanno nella storia personale traumi di vario tipo,specialmente di natura sessuale,avvenuti per lo più prima dei nove anni,allorché la dissociazione sembra costituire l’unica via di fuga,cioè un meccanismo di difesa “automatico” della mente di fronte ad eventi psicologicamente traumatici,che permette di isolare drasticamente il trauma dal campo di coscienza in una sorta di compartimentalizzazione delle diverse parti della personalità che vengono considerate come separate rispetto al vero sé. Si riportano di seguito i fattori in gioco nel determinismo traumatico del disturbo dissociativo dell’identità: 1. capacità di attuare una dissociazione difensiva nei confronti del trauma attraverso ipervigilanza,dissociazione,evitamento e confusione,operazioni efficaci al momento del trauma ma che,persistendo,si traducono in modelli di relazione e strategie di difesa disadattavi,compromettendo il senso di continuità della propria identità. 2. esistenza di esperienze traumatiche travolgenti come un abuso fisico o sessuale,che superano le capacità di adattamento e le consuete operazioni difensive,in particolare nel bambino. 3. influenze ambientali ed opportunità disponibili che contribuiscono a dare forma specifica alla difesa dissociativa. 4. esperienze rassicuranti e ristrutturanti con il caregiver o con altre persone significative che però non sono sufficienti a far sentire il bambino completamente protetto. La così detta “teoria traumatica” dei disturbi dissociativi può essere in breve così riassunta: 1. traumi psicologici reali subiti nell’infanzia si ritrovano nella storia di soggetti affetti da disturbi dissociativi in oltre il 95% dei casi. 2. i disturbi dissociativi sono stati considerati disturbi post traumatici da stress cronicizzati ad insorgenza infantile. 3. traumi analoghi a quelli dei pazienti affetti da disturbo dissociativo sono stati tuttavia riportati con alta frequenza in disturbi diversi come: il Disturbo Borderline di

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personalità, i Disturbi del Comportamento alimentare,i Disturbi d’ansia e in particolare gli attacchi di panico. 4. solo alcune persone che subiscono traumi psicologici gravi sviluppano poi un disturbo post-traumatico che si cronicizza in un numero ancora inferiore di soggetti. 5.esistono fattori aggiuntivi che da un lato determinano la reazione al trauma e la sua cronicizzazione,dall’altro conducono al disturbo dissociativo. Tra questi fattori aggiuntivi si possono individuare: la precocità del trauma,la sua natura cronica o episodica,il ruolo dei familiari se trascurante o collusivo oppure in opposizione ma capace o meno di intervenire,la storia della vita dopo gli eventi traumatici,il problema della vulnerabilità individuale e quindi della diversa capacità di resilienza che ognuno possiede nei confronti degli eventi traumatici,altre ragioni di eterogeneità,l’influenza che l’ambiente nel quale il trauma si genera ha esercitato sia sul soggetto che sull’oggetto primario (caregiver,madre) e sulla sua capacità-possibilità di svolgere una funzione di accudimento in modo “sufficientemente buono”. Di recente il Disturbo dissociativo dell’identità è stato collegato anche alle caratteristiche del Modelli Operativi Interni di attaccamento prevalenti nel soggetto. È stato descritto in anni abbastanza recenti nell’ambito dei modelli di attaccamento di tipo insicuro,un ulteriore modello operativo interno nel bambino,il così detto “Tipo D” o Disorganizzato/Disorientato. Questo pattern è caratterizzato da sequenze di modelli di comportamento contradditori come esitamento intenso e intensa ricerca del contatto col caregiver. Questo tipo di Modello Operativo Interno è risultato correlato soprattutto all’esperienza di una figura di attaccamento spaventata e spaventante e a traumi precoci come il maltrattamento,l’abuso sessuale,la depressione maggiore e il disturbo bipolare della madre,l’abuso di alcool nel genitore. Queste conoscenze autorizzano l’ipotesi che l’attaccamento disorganizzato sia il primo gradino in un percorso di sviluppo che porta,probabilmente attraverso una lunga sequenza di interazioni familiari drammatiche o violente dall’infanzia in poi,alla dissociazione patologica nella vita adulta. L’attenzione dei ricercatori si è posta sull’ipotesi che il pattern disorganizzato/disorientato dell’attaccamento nel bambino comporti l’attivazione di una dissociazione come risposta difensiva alle situazioni di maltrattamento aumentando la vulnerabilità del bambino ad entrare in stati alterati di coscienza o ad avere disturbi dissociativi nelle loro diverse forme cliniche. Tale ipotesi permette di esaminare la genesi dei disturbi dissociativi nel contesto delle relazioni interpersonali,dello sviluppo e dell’espressione dei sistemi motivazionali,dello sviluppo affettivo e cognitivo secondo la seguente schematica successione dei fatti: • violenza o maltrattamento subiti da parte delle figure di attaccamento; • conseguente presenza di rappresentazioni multiple di sé e dell’adulto come persecutore,come vittima e come salvatore,cioè come personaggi di una fantasia o di un gioco di ruoli concreto nel senso del pensiero operatorio piagetiano; • solo con l’adolescenza le eventuali molteplici rappresentazioni di sé non integrate potranno acquisire il carattere di veri e propri “Altri”,in prevalenza secondo il modello del salvatore,del persecutore e della vittima, ma in modi sempre più personalizzati e con gravità e fenomenica clinica diverse; • l’adolescente può infatti trattare una rappresentazione di sé con i nuovi strumenti del pensiero astratto; • tale costruzione avviene in una matrice relazionale secondo lo schema freudiano delle “serie complementari”.

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Secondo questo modello la dissociazione,quando non è collegata a disturbi neuropsicologici primari,riguarda rappresentazioni del sé precoci, molteplici, incoerenti, reciprocamente incompatibili e drammatiche,mediate da relazioni interpersonali con una figura curante spaventata e spaventante,e basate sul bisogno innato della vicinanza protettiva di un altro essere umano in situazioni di pericolo e di sofferenza. L dissociazione appare oggi come una possibile difesa “automatica” della mente di fronte ad eventi psicologicamente traumatici,una difesa che tuttavia può essere ,a sua volta, fonte di disturbo poiché consiste essenzialmente nel fatto che una parte della persona sa,ma un’altra parte sa di non sapere. Riprendendo il tema del rapporto fra eventi e psicopatologia si può quindi sostenere che alcuni eventi dell’infanzia come carenze di stimolazione ambientale ed eventi stressanti si possono collegare anche alla strutturazione di tratti disturbati di personalità oltre che a veri e propri quadri clinici come i Disturbi Dissociativi. I tratti anormali della personalità potranno successivamente essere soggetti a trasformazioni in relazione ad eventi con significato protettivo come ad eventi patogeni,spesso collegati in modo circolare con la disposizione derivata dagli eventi infantili. Le psicoterapie, ad esempio sono,o dovrebbero essere, comprese tra gli eventi mutativi in senso migliorativo e protettivo.

CAPITOLO 4: CICLO VITALE E PASSIONE AMOROSA 2. CICLO VITALE ED ESPERIENZE PASSIONALI In ogni esperienza passionale le coordinate su cui si regge l’identità personale e la conseguente organizzazione della mente,vengono fisiologicamente sottoposte a potenti pressioni perturbatorie con possibilità continue di rotture anche in senso psicopatologico. Questo perché lo specifico dell’esperienza passionale si può individuare nella irruzione in uno spazio mentale già strutturato secondo le coordinate dello spazio,del tempo e della differenziazione,di istanze pre-simboliche,non differenziate e atemporali. Per il determinarsi di questo stato è importante sia la tendenza centripeta data dalla presenza di un ordine,di una “verticalizzazione” della esperienza di realtà. inserita in questo schema possiamo intendere la passione come una sorta di viaggio la trascendenza della propria egoicità trasferita. Resta comunque il dato di fatto dell’alta portata mutativa dell’esperienza passionale che, tra le sue molteplici possibilità evolutive,ammette sempre quella di essere un’occasione,pur con molti rischi,per rimpaginare l’esistenza. Un momento di esplosione vitalistica che pone il soggetto in una posizione esistenziale nuova ed impone così la necessità di una ridefinizione della sua posizione del Mondo. Infatti,specialmente alla uscita da una esperienza passionale,c’è la concreta opportunità di ripensare la propria esistenza. I rischi connessi con l’esperienza passionale sono da individuare nella difficoltà di uscita dall’esperienza stessa,dal restare irretiti dalla passione. In questi casi si fa concreta la possibilità della declinazione patologica dell’esperienza passionale. Contemporaneamente si costruisce il terreno che permette la coniugazione della passione con la morte,sia intesa come morte fisica (l’omicidio,il suicidio,la malattia mortale),sia come morte psichica (la follia),sia come morte sociale (la marginalizzazione,l’assunzione di comportamenti socialmente riprovevoli ecc…).

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Il significato delle esperienze passionali diventa quindi duplice: - Da un lato è stata vista come lo scopo ultimo dell’esistenza,un’esperienza umana

essenziale.

- Dall’altro è stata considerata come la via per la perdizione, la fonte prima dei mali del mondo,l’esempio più palese dell’irrazionalità della natura umana.

tradotto in linguaggio medico la passione è stata vista sia come mezzo per guarire,per salvarsi dalle miserie della vita sia come una delle vie che possono portare alla malattia e alla sofferenza. 5. ESPERIENZA DI INNAMORAMENTO L’innamoramento è una delle esperienze con maggior impatto sul ciclo vitale umano perché è capace di cambiare profondamente le persone, di modificarne l’auto rappresentazione, il modo di pensare e di comportarsi, di modificare il micro ambiente umano in cui ciascuno di noi vive,di destrutturare relazioni consolidate e di costruirne di nuove anche in tempi brevi. Tutto questo naturalmente può portare a patologie sia fisiche che psichiche. 5.4 MOMENTI COSTITUTIVI DELL’INNAMORAMENTO Si possono individuare tre momenti che strutturano esperienza di innamoramento: 1) il primo momento è dato dalla costruzione di un particolare spazio coscienziale strutturato dall’attesa dell’amore: dal desiderio che aspira ad una esperienza amorosa volta a riempire un “gap” ,che è prima di tutto oncologico,fra percezione della propria limitatezza soggettiva ed aspirazione verso un incontro che sia il “definitivo” superamento di questa percezione. Riassumendo possiamo dire che l’esperienza di innamoramento non nasce ,dunque,dal vuoto,ma si struttura in uno spazio già costituito,dove il “segno” esterno può colpire parlando il linguaggio della seduzione e dell’incanto narcisistico. Proponendo ,cioè, un dialogo in cui l’Altro dice ciò che il nostro desiderio vuole che dica. Molto spesso letture, fantasie, racconti, confidenze…., contribuiscono ad infondere nell’animo questo atteggiamento di “attesa orientata” che può arrivare ad occupare gran parte della vita psichica. La costruzione di questo spazio coscienziale si può considerare come il primo momento dell’esperienza di innamoramento.(Io non c’ho capito nulla in tutto questo discorso se lo capisci fammi un fischio,scrive in ostrogoto questo qui!). 2) momento dell’incontro è il momento dell’ingresso dell’Altro aspettato nello spazio coscienziale costruito dall’attesa. Il “segno d’amore” non necessariamente ha i connotati della concretezza. Spesso quello che si da è solo un “segno” che però permette di attrarre e concretizzare quanto si era costruito nella propria interiorità. Già fisiologicamente il segno esterno può essere solo lievemente ancorato alla realtà così che essa finisce per essere “pretesto” che trascende ed insieme suggerisce una “superiore” oggettività delle cose. In questo passaggio si può individuare un “salto” trasgressivo di ogni legge della logica comune. Il salto si svela con l’intensità della scoperta che quanto si desiderava e che precedentemente era assente,si è materializzato. Ed è vissuto come il superamento di una distanza che pareva un abisso. Questo secondo momento è ,prima di tutto, sostanziato da un vorticoso movimento di istanze proprie sull’Altro,che così finisce di essere più sognato che francamente vissuto,più ideale che reale. Naturalmente questa immaginari età dell’Altro è tale solo se prendiamo la ragione come misura del reale,per cui tutto ciò che sfugge alla presa

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razionale passa nell’immaginario. Nel vissuto di chi vive l’esperienza questa logica è tutt’altro che accettata,così quando l’esperienza si esaurisce questo particolare momento dell’esistenza può risultar staccato dalla continuità esistenziale e ancorato a un momento “magico” della vita. 3) spinta all’azione a questo punto si è già costruita tutta la base soggettiva dell’esperienza passionale amorosa che ora cerca di tradursi nella realtà attraverso la spinta all’azione. Durante questo terzo momento l’Altro manda segnali di disponibilità, di accettazione e di interesse così da permettere l’instaurarsi di una relazione affettiva nella quale sono cadute le idealizzazione sull’Altro e prevale una conoscenza effettiva e oggettiva. 4. CARATTERISTICHE DELL’ESERIENZA PATOLOGICA DI INNAMORAMENTO Le caratteristiche dell’esperienza patologica di innamoramento vennero delineate da Clèarambault: 1. abnorme quantità della passione 2. abnorme persistenza di un dato nucleo passionale 3. incoercibilità dei contenuti ideici: cioè,incapacità del soggetto di allontanarsi dalle tematiche ideiche della passione che diventano addirittura ossessive. 4. impermeabilità di fronte ai riscontri con la realtà. 6. LE DECLINAZIONI PATOLOGICHE DELL’ESPERIENZA DI INNAMORAMENTO Passeremo ora in rassegna le declinazioni patologiche dell’esperienza di innamoramento. 6.1 SINDROME DELL’AMANTE FANTASMA La Sindrome dell’Amante Fantasma è una declinazione patologica che si ha quando il consueto sviluppo dell’esperienza di innamoramento si arresta al “primo momento”. Nella Sindrome dell’Amante Fantasma quindi, viene a mancare: l’incontro con l’Altro. Per cui il soggetto indirizza la sua passione amorosa verso persone sconosciute o appena intraviste. Questa passione può mantenersi per anni (talvolta anche tutta la vita),senza che l’Altro ne venga a conoscenza,né che il soggetto cerchi una qualche sorta di reciprocazione del sentimento. Il paziente spera di poter essere ricambiato in un futuro ma ha la dolorosa consapevolezza dell’origine solitaria del suo amore. Col passare del tempo la passione verso l’Altro si trasforma in un vero e proprio delirio. Il paziente, infatti,si abbandona al “sogno d’amore” mantenendo però un sottile legame con la realtà. 6.2 IL DELIROIDE AMOROSO (OVVERO L’AMORE DELIRANTE) Nella Sindrome dell’Amante Fantasma si può evidenziare come l’alterazione rilevante sia da individuarsi nel primo momento dell’esperienza di innamoramento (quello dell’attesa orientata) che non si evolve negli altri due stati ma resta come impedita e raggelata. Nel Delirio Amoroso l’esperienza riesce invece ad evolversi anche nel secondo momento (quello dell’incontro) ma poi rimane ancorata a questo senza svilupparsi nel terzo momento,quello della spinta all’azione. Per questo, il processo di conoscenza oggettuale e di caduta delle idealizzazioni risulta altamente deficitario e il paziente preferisce rimanere ancorato alla realtà dell’Altro intuita al momento del colpo di fulmine piuttosto che confrontarsi con la realtà oggettuale.

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Da un punto di vista clinico il processo morboso prende l’avvio da un concreto innamoramento e da una concreta relazione amorosa,in cui il corredo cognitivo che accompagna la comune infatuazione, con il relativo apporto di idealizzazione dell’altro amato, non solo si mantiene ma addirittura si accentua. La patologia sta proprio in questo: il soggetto non riesce ad abbandonare le idealizzazioni dell’Altro costruite durante la fase di infatuazione rischiando in tal modo di perdere di vista il contatto con la realtà. 6.3 IL DELIRIO EROTOMANICO (SINDROME DI DE CLEARAMBAUL) Delle possibili declinazioni patologiche dell’esperienza di innamoramento questa condizione è senz’altro la più famosa e la più grave. La prima sistematizzazione del Delirio Erotomanico è stata fatta da Kraepelin. Questi indicò l’erotomania come una forma tipica di paranoia. Successivamente la sistematizzazione dell’erotomania trova in de Clearambaul un altro inevitabile punto di riferimento. Questi arriva a distinguere nei casi di erotomania due realtà cliniche: 1. una forma detta “pura”,o primaria,caratterizzata da un inizio improvviso,dall’assenza di altri elementi psicopatologici come allucinazioni,ed a una evoluzione tematica caratteristica del primo nucleo delirante; 2. una forma “secondaria” ad altri quadri morbosi in cui l’esordio è più subdolo,il tema delirante non è unico e talvolta non è nemmeno centrale. Inoltre possono esistere accanto al delirio erotomanico altre tematiche deliranti,allucinazioni e disordini formali del pensiero. Nel DSM IV l’erotomania viene inserita tra i “Disturbi deliranti”. Il quadro clinico è caratterizzato da un delirio strutturato, e spesso anche assai elaborato,il cui nucleo tematico è dato dal convincimento delirante,di essere amati da un’altra persona. Nella sindrome di de Clèarambault “pura” questo convincimento si instaura in modo improvviso,immediato,con le caratteristiche della intuizione delirante per poi stabilizzarsi in un florido delirio. Lo sviluppo del delirio è tipico. Si parte dall’intuizione che l’Altro (l’oggetto della passione erotomanica) sia stato preso dall’amore travolgente per il paziente. Questo lo porterebbe a mettere in atto una serie di accorgimenti volti a segnalare la propria dedizione e a suggerire modi e meccanismi di contatto. In breve ad una serie di tecniche seduttive volte a far nascere la passione anche nel paziente. In questo passaggio si snoda un copioso delirio che talvolta viene ad assumere un andamento narrativo “epico” con progressiva comparsa di nuovi personaggi. Solitamente,anche se non esclusivamente,si tratta di donne di modestia origine,mentre gli “oggetti d’amore” sono quasi sempre uomini più vecchi e di più alto livello sociale. Le pazienti sostengono tenacemente che l’Altro è stato il primo ad innamorarsi e a mandare messaggi di disponibilità amorosa. Spesso la paziente descrive in modo elaborato,ma a suo dire evidente, con cui la tresca amorosa è stata portata avanti. Talvolta questi mezzi comunicativi possono apparire sorretti da logiche condivisibili: strizzate d’occhio,sorrisi ammiccanti,doppi sensi,telefonate,… altre volte invece appaiono decisamente bizzarri ed improbabili: telepatia ,TV, microfoni, altoparlanti,ipnosi…. La paziente per lo più tende a negare un suo coinvolgimento passionale,almeno all’inizio, per proporre una immagine di sé come di persona che “ha finito per innamorarsi” solo per le protratte insistenze e offerte amorose dell’Altro. Ferma rimane comunque la convinzione che l’opera di seduzione dell’Altro non si sia mai interrotta e questo si traduca in comportamenti nei suoi confronti che possono

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avere anche delle declinazioni legali. Ricapitolando esistono delle forme pure (o primitive,o Sindrome di de Clèarambault) che ,per dirsi tali, devono soddisfare le condizioni sotto elencate che corrispondono ai criteri di definizione del Delirio Erotomanico: 1. esiste un delirio di rapporto amoroso 2. con una persona per lo più di rango sociale più alto rispetto a quello del paziente 3. il paziente è fermamente convinto che sia stato l’Altro ad innamorarsi per primo e che per primo abbia fatto delle “avances” 4. l’esordio è improvviso 5. c’è una permanenza nel corso del tempo dell’ “oggetto” amoroso,nel senso che non c’è una tendenza a cambiare l’Altro da cui si crede di essere amati 6. il paziente tende a fornire spiegazioni sul comportamento paradossale dell’Altro e queste spiegazioni rendono talvolta estremamente efflorescente la costruzione delirante stessa 7. il decorso è cronico 8. non si hanno allucinazioni Esistono poi dei deliri erotomanici “spuri”,o “secondari” ad altre condizioni morbose in cui l’esordio improvviso viene a mancare. Spesso le tematiche deliranti si fanno strada in modo subdolo nella mente del paziente. C’è inoltre una tendenza a ampliare o addirittura a cambiare nel tempo l’ “oggetto” delle attenzioni erotomaniche. In queste altre forme si osservano altri fenomeni psicopatologici che si affiancano alle tematiche erotomaniche. Di qui l’aspetto tipicamente secondario di queste condizioni che si hanno in presenza di patologie psichiatriche diverse: disturbi schizofrenici,disturbi dell’affettività,sindromi involutive senili ecc… A differenza di quanto avviene nella Sindrome dell’Amante Fantasma, nel Delirio Erotomanico esiste anche il momento dell’incontro. Il terzo momento invece,(di ricerca della reciprocazione e di confronto passionale) è,in questo caso,semplicemente dato per scontato. Addirittura presupposto nella misura in cui una delle caratteristiche della condizione è che l’Altro amato sarebbe stato il primo ad essere preso da passione per il soggetto. 7. LA GELOSIA La gelosia, almeno nella sua tipica variante di “gelosia sessuale”,rappresenta una delle più antiche articolazioni della esperienza passionale amorosa. La “gelosia sessuale” si può definire come “la particolare reazione verso le intrusioni ,vere o presunte,ma sentite comunque come minacciose,nei confronti di una relazione sentimentale” Etimologicamente la parola “gelosia” è legata alla idea di “zelo”, e cioè,di dedizione accurata e un po’ assillante nei confronti della persona amata. L’origine etimologica della parola gelosia quindi, rimanda ad una idea positiva,semmai con una piccola punta di eccessività. Con il tempo, a questo benevolo orientamento, se ne è sostituito un altro decisamente contrario. La gelosia è venuta a veicolare una idea di intrusività ,non rispetto, possessività nei confronti dell’Altro che si ama,finendo per essere considerata l’espressione più tipica di chi teme di perdere il proprio oggetto d’amore. La gelosia,quindi, evoca un ampio alone di ambivalenza. Oltre alla polarità positivo/negativo, l’ambivalenza della gelosia allude a qualcosa di non chiaro,indefinito,suscettibile di esame. Attraverso la gelosia,infatti, l’osservatore tende più a intravedere che a vedere,a intuire piuttosto che ha capire. Persino nel

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delirio,infatti,la gelosia non mostra mai con chiarezza la scena temuta,ma solo segni,vestigia,reliquie di questa. In un’ottica socio-antropologica la gelosia può essere vista come una realtà con due corni: ad una estremità si trova un ideale di devozione umana sostanziata dalla devozione e dalla fedeltà. In quest’ottica la gelosia può essere considerata come un grido di protesta nei confronti di un “ideale di rapporto” che deve essere mantenuto e salvaguardato. All’altra estremità si trova un bieco tentativo da parte di una persona (colui che è geloso) di imporre i propri desideri e la propria scala di valori a un’altra (colui di cui si è gelosi). Nel primo caso siamo di fronte ad una speranza che non si vuole venga delusa. Questo comporta prima di tutto una amorosa sollecitudine nei confronti di qualcuno e soprattutto di una attenta salvaguardia delle travi portanti di una relazione. Nel secondo caso,invece,l’atteggiamento presunto è quello di una disdicevole possessività distruttiva,perché il fine non è la salvaguardia né di se stessi,né della relazione che ci lega all’altro,bensì del puro possesso e soprattutto del divieto all’altro amato di portare avanti un qualsiasi tipo di relazione con una terza persona. Questo modo di leggere la gelosia l’ambivalenza che può accompagnare il vissuto sociale nei confronti della gelosia e della persona gelosa. Ambivalenza all’interno del problema che si traduce anche in ambivalenti reazioni all’esterno. Nella gelosia,dunque,c’è un punto che va verso il bene (socialmente accettabile), e uno che si muove verso il male (socialmente stigmatizzata). Nella società occidentale del XX secolo la gelosia è finita per essere descritta come un disastro da evitare,almeno fin quando è possibile. Se non è possibile né evitarla né sopprimerla nasce il bisogno di “curarla”. Ecco che il campo della gelosia è finito per essere oggetto di attenzione medica. La gelosia è diventata un “difetto di carattere”,espressione di una bassa autostima,di una eccessiva dipendenza dal partner, di una oggettiva inadeguatezza come amante. La gelosia è diventata una patologia della persona. In un’ottica psicopatologica possiamo dire che la gelosia insorge quando una relazione con qualcuno viene minacciata o si ritiene che lo sia. La gelosia non contiene solo sofferenza per la privazione dell’Altro ma anche per l’amor proprio ferito. È insieme pena per l’amore perduto e rabbia per la gioia del rivale. Dunque,la gelosia nasce da una minaccia ad una relazione e si esprime: come espressione di privazione e perdita e come rabbia per l’amor proprio ferito. Il dato che “apre”,nell’esperienza passionale amorosa,alla dimensione della gelosia, è da ricercarsi nel fatto che l’Altro non è solo una nostra proiezione,ma che ha anche una sua quota di desideri,di emozioni,di attrazioni che possono anche andare non andare nella direzione che chi ama vorrebbe. La scoperta di questa “alterità” apre la strada al Rivale,ad una triangolazione che ammette nella relazione quel Terzo che è condizione fondamentale al prosperare dello stato di gelosia. Nel consueto svolgimento della struttura coscienziale in cui si articola l’esperienza passionale amorosa,possiamo,dunque, ipotizzare un quarto momento che possiamo definire della “frustrante scoperta della alterità dell’Altro”. Con questo passaggio la struttura dello spazio coscienziale di chi vive l’esperienza amorosa si modifica in modo importante,facendo scoprire quanto l’Altro si discosti dalla nostra primitiva proiezione amorosa. Questo momento doloroso premette,da un lato,di uscire dalla dimensione egoistica,che aveva,fin ora, pervaso l’esperienza,dall’altro lato

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“apre” una rabbiosa rivolta verso una possibile figura terza (il Rivale) che si profila all’orizzonte dell’esperienza amorosa. Quindi,riprendendo lo schema proposto,il momento che è stato definito “della frustrante scoperta dell’alterità dell’Altro” permette la costruzione di uno spazio coscienziale dove l’esperienza di gelosia diventa possibilie e per certi aspetti inevitabile. Contemporaneamente osta l’esperienza passionale amorosa ad una specie di bivio che ammette: • da un lato la possibilità dell’inserimento della figura del Terzo nella struttura soggettiva dell’esperienza,con tutte le gradazioni quantitative dell’esperienza di gelosia. • dall’altro lato una dolorosa coscienza di perdita che prepara lo spazio coscienziale verso le caratteristiche che sono proprie dei lutti. A seconda delle caratteristiche personologiche del geloso,la scoperta di questa alterità struttura “tipi” di gelosia diversi,con tutte le possibili declinazioni: dalla normalità alla patologia. Ogni reazione di gelosia (patologica e non) ha come presupposto che nella relazione minacciata venga praticato un cospicuo investimento affettivo,in altre parole è l’identità stessa di chi ama che si gioca. Sull’Altro amato avvengono una serie di movimenti proiettivi per cui parti importanti del proprio Sé vengono lì trasferiti. L’Altro diventa così una cosa nostra,un oggetto che noi abbiamo intentato. Ogni pericolo che minaccia la nostra relazione con l’Altro viene vissuto come una minaccia alla propria identità personale. Il tentativo per riconquistare il controllo sulla relazione va visto pertanto anche come tentativo per ripristinare il controllo sulla propria identità personale. Il geloso patologico si può distinguere dal normale per una esaltazione passionale prolungata,possessiva,esclusa,insaziabile,tendenzialmente oltraggiosa,dispotica, brutale. Questa può avere declinazioni cliniche diverse, m è sempre presente il rifiuto di permettere all’oggetto amato ogni cosa che non sia sottomissione alle proprie incoercibili esigenze. Anche la Psicoanalisi ha fornito importanti contributi nella comprensione sia della gelosia normale che di quella patologica. Nell’opera di Freud si può ritrovare la distinzione in tre tipi di gelosia: 1: una forma competitiva che si può ricondurre a situazioni di gelosia infantile edipica o di rivalità fraterna ,molto comuni e profondamente radicate nell’inconscio. Questo tipo di gelosia corrisponde alla cosiddetta gelosia normale. Sottende il dolore per la perdita dell’oggetto amato e sentimenti di animosità verso il rivale. Si uniscono anche valutazioni autocritiche per una,vera o presunta,responsabilità soggettiva. 2: esiste poi una gelosia “proiettiva”, è quella del soggetto infedele,o tendente all’infedeltà,che si scarica dal proprio senso di colpa rigettando l’accusa sul partner. 3: esiste poi una gelosia delirante. In questo caso la inadeguatezza che viene proiettata rivelerebbe una tendenza omosessuale. Freud fu fermamente convinto che la gelosia psicotica avesse basi omosessuali. Fenichel riassume e supporta il punto di vista frudiano asserendo che la gelosia si instaura quando la necessità di reprimere tendenze alla omosessualità ed alla infedeltà si accompagna ad una caratteristica intolleranza per situazioni di perdita dell’oggetto amato. Queste,in alcune particolari personalità arrivano ad essere vissute come una diminuizione di autostima ed una insanabile offerta narcisistica. Melanie Klein porta ben oltre il problema ed a livelli ben più arcaici la ricerca sulla gelosia. L’origine della gelosia non sarebbe autonoma ma deriverebbe dall’invidia iù per

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la capacità paterna di potersi appropriare del seno materno. Pertanto quanto più grande è stata l’indivia per il seno materno ,tanto più grande sarà la tendenza a sperimentare vissuti di gelosia nella vita infantile ed adulta. La Schmideberg ipotizza che la gelosia sia la “mancanza di capacità d’amore”,basata su di una profonda ambivalenza . nelle persone con tendenza alla gelosia delirante,cioè,tutte le reazioni interumane finiscono per essere mescolate con bisogni narcisistici. Questo a sua volta può spiegare la latente (o repressa) omosessualità insita nei rapporti delle persone candidate a forme deliranti di gelosia. A sua volta questa tendenza può ,con facilità,portare ad impotenza e questo ad un incremento nella tendenza verso il delirio di gelosia. Alla luce di quanto detto cerchiamo ora di definire alcuni punti riassuntivi sul tema della gelosia:

- La gelosia si può considerare come una serie di vissuti e comportamenti rattivi a intrusioni vissute come minacciose nei confronti della relazione.

- È una esperienza comune e umana.

- È molto difficile definire i confini tra normalità e patologia.

- Come tutti i sentimenti veicola vissuti ad ampia ambivalenza,sia da parte di chi ne soffre sia da parte di chi la osserva.

- Nel determinare il confine tra normalità e patologia rivestono una importanza basilare modelli culturali di tipo socio-antropologico.

- Nel mondo occidentale attualmente assisti stiamo ad una tendenza altamente stigmatizzante nei onfronti della gelosia.

- Da un punto di vista psicopatologico si possono riconoscere nella gelosia da un lato un vissuto di privazione (che può aprirsi a declinazioni di tipo depressivo) e dall’altra di rabbia per l’amor proprio ferito (con l’evocazione di tendenze potenzialmente pranoicali).

- Sempre da un punto di vista psicopatologico è l’esaltazione passionale che permette di fare una traccia tra gelosia normale e gelosia patologica.

- L’esperienza di gelosia nasce nella quarta modalità di strutturazione dello spazio coscienziale dell’esperienza amorosa da noi indicato come “spazio della frustrante scoperta dell’alterità dell’Altro”.

- Il punto di vista psicoanalitico fornisce utili inquadramenti clinici e genetici.

- Si possono distinguere tre quadri clinici diversi di gelosia patologica: iperestesia gelosa,gelosia ossessiva,gelosia delirante (o sindrome di Otello).

7.1 IPERESTESIA GELOSA

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Con il nome di “Iperestesia Gelosa” si delinea un quadro clinico di confine tra normalità e patologia. Le idee di gelosia sono quantitativamente floride e tendono ad occupare tutto il campo esperienziale del paziente. Sono anche notevolmente persistenti tanto che spesso,per certi pazienti,costituiscono un vero e proprio doloroso stile di vita,diventano cioè compagne insostituibili di ogni relazione umana significativa. Le idee di gelosia possono recedere almeno parzialmente di fronte alla critica e quindi il livello clinico raggiunto non può considerarsi psicotico. Complesivamente nell’Iperestesia gelosa possiamo dire di essere di fronte ad un sentimento di gelosia formalmente normale ,ma iperbolicamente ampliato e soprattutto distorto da particolari modelli di comportamento che peraltro si rilevano anche il anltri aspetti della vita di questi pazienti. Si può inquadrare questa realtà clinica nell’ambito di vissuti di gelosia che acquistano la loro patologicità per i tratti abnormi della strutturazione di personalità di questi pazienti. In questo quadro clinico le tematiche di gelosia hanno una forte componente affettiva e mantengono un costante confronto con la realtà. volendo ritornare agli attributi di ptologicità di Clèarambault,si rinvengono in questa patologia senz’altro i primi due aspetti (quantità abnorme e abnorme ersistenza) mentre il terzo punto (incoercibilità) ed il quarto (impermeabilità nei confronti dei dati di realtà) vengono soltanto sfiorati. 7.2 GELOSIA OSSESSIVA Nel quadro clinico della gelosia ossessiva le immagini e le idee di infedeltà sono incoercibili e il dubbio sulla infedeltà del partner è lacerante,non si riesce a metterlo a tacere. Chi ne soffre è continuamente alla ricerca di segnali che possono lenirlo,confermarlo e smentirlo. Il paziente si trasforma spesso in un detective a tempo pieno che può impiegare nelle attività di ricerca della infedeltà del partner il più e il meglio del suo tempo.i pazienti riconoscono l’infondatezza dei loro sospetti,arrivano anche a vergognarsene,ma sono,loro malgrado,trascinati e sommersi dalla tormentuosità del dubbio. Così c’è chi sottopone la moglie tutti i gorni a martellanti interrogatori,chi controlla minuziosamente la castità del suo abbigliamento e chi magari anche l biancheria intima alla ricerca di attività sessuali illecite. Queste persone riescono a rendersi conto delle loro esagerazioni ma “non ce la fanno” a cambiare condotta né a scacciare dalla propria mente certi pensieri pur sentiti come assurdi. Secondo i criteri che de Clèarambault ha dettato si osserva che sono senz’altro presenti il primo,il secondo (come nella ipersestesia gelosa) e vi si aggiunge anche il terzo. Infatti i sentimenti di gelosia vengono vissuti come permeati da un incoercibile dubbio. Sono tendenzialmente criticati e il paziente vive con pena il fatto di provarli e ancora di piùdi dver accondiscendere alle conseguenti condotte comportamentali. 7.3 GELOSIA DELIRANTE o SINDROME DI OTELLO La Sindrome di Otello (o Gelosia Delirante) si costruisce intorno alla certezza dell’infedeltà dell’altro,certezza assoluta ed impermeabile ad ogni confronto con la realtà. per meglio dire c’è la convizione assoluta che l’infedeltà sia già stata consumata. Il comportamento del paziente pertanto non è teso alla scoperta di qualcosa , che si pensa già di sapere, ma piuttosto a far ammettere all’altro la colpa. Da qui una continua richiesta di confessioni assillanti,portate aventi talvolta in modo reiteramente subdolo,altre volte con l’arma del ricatto,talvolta infine ricorrendo alla coercizione e alla violenza fisica. L’ammissione del tradiment viene presentata sempre come la “Medicina” che porrà fine ai tormenti e ai dubbi che ne conseguono. Talvolta il partner accusato,nella speranza di porre fine ad una situazione insostenibile,ammette

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un magari inesistente tradimento.lungi dal placarsi il delirante,che ha finalmente avuto la conferma dele sue certezze, intensifica la sua aggressività e tenta di far ammettere ulteriori infedeltà. In questa varietà clinica la gelosia assume tutte e quattro le caratteristiche che de Clèarambault indicava come criteri di patologicità delle esperienze passionali. Infatti accanto all’abnorme quantità e persistenza e alla incoercibilità delle idee di infedeltà si aggiunge l’impermeabilità di fronte ad ogni confronto con la realtà. l’esperienza di gelosia acquista così anche gli attributi formali del delirio. Questo quadro morboso è la più tipica forma di gelosia patologica. Secondo Kraepelin è una delle più tiche forme di paranoia. siamo di fronte ad una forma delirante pura,senza allucinazioni,né deterioramento di personalità,anzi spesso con il mantenimento di standard comportamentali e culturali consueti e socialmente accettabili. In questo tipo di gelosia sono assai frequenti declinazioni di tipo penale. Non è raro,infatti,che i conseguenti comportamenti violenti,per la loro efferatezza,riempiano i giornali di cronaca. 8. IL LUTTO AMOROSO L’evoluzione naturale di ogni vicenda passionale amorosa comporta esperienze di perdita. La fine di una relazione amorosa può comportare un rilevante stress psicosociale che meriterebbe di essere inserito specificamente nel DSM IV. Questo a prescindere dal fatto se l’amato è deceduto o sia soltanto terminata la relazione che legava il paziente a quella persona. Infatti, l’esperienza patoloigica del lutto si ha sia per la morte della persona amata sia quando alla perdita non corrisponde la morte dell’altro e sia nei casi in cui la perdita ha a che fare con una aspettativa verso l’Altro che deve essere modifcata. In quest’ottica si può considerare l’esperienza del lutto come un normale vissuto di tutte le vicende della vita passionale amorosa connesse con quel continuo movimento di idealizzazione-frustrazione che costella il viaggio di avvicinamento all’Altro, Altro che si rivela diverso da quello che primitivamente il soggetto che ama aveva costruito dentro di sé. Si tratta di un vero e porprio “lvoro” denso di perdite che devono essere accettate,modulate e elaborate. Spesso il soggetto si trova sospeso tra il deluso e stizzito abbandono e una dolorosa accettazione di quel che rimane “nonostante tutto” dell’immagine idealizzata dell’Altro. Fino all’accettazione che si può considerare il fine “maturo” del lavoro amoroso,dei risvolti positivi insiti in una “diversità” che in un primo mmento non si era desiderata. L’esperienza di lutto con tutte le implicazioni psicologiche,sociali e mediche,accompagna dunque con una continua concreta possibilità le vicende della passione amorosa, per cui certi lutti non complicati possono essere visti come una costante fisiologica e utile in ogni comune e normale esperienza amorosa. Lutti vissuti in maniera complessa possono,invece,dar luogo a patologie nelle quali c’è una perdita ,vera o presunta,di un oggetto d’amore ,oggetto che è esterno ed interno insieme. È esterno nel senso che si identifica con una persona o con un legame particolare e definito,ma è anche inteno in quanto è perdita di una

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“personale”,intima,rappresentazione dell’altro. Secondo Freud in base alla collocazione della perdita possiamo distinguere:

- Una perdita sentita nello spazio esterno dell’individuo, e qui parleremo di Lutto.

- Una perdita sentita nello sazio interno dell’individo, e qui parleremo di Malinconia Amorosa.

Nel Lutto è il mondo che si svuota e si impoverisce,nella Malinconia è l’io stesso. Nel Lutto la perdita dell’oggetto d’amore lascia il soggetto abbandonato e triste,senza un “nutrimento” per le sue parti migliori. Il soggetto sperimenta una vera e propria “fame dell’altro” che non ha la capacità di placarsi cos’ che spesso la perdita rischia di caricarsi di venature persecutorie fino a prendere l’aspetto di un attacco autodistruttivo e cannibalico che si scarica contro il sé. In altre parole, non potendo attaccare l’oggetto d’amore perso,che se ne è andato,si può finire per attaccare il vuoto interno, l’assenza che l’Altro ha lasciato dentro. Si può trasformare cioè in una rabbia diretta verso l’unica cosa dell’Altro che rimane quando se ne va: la sua rappresentazione interna. Tuttavia nella maggior parte dei casi la perdita dell’altro non sfocia nella patologia ma viene superata con un normale decorso: 1. inizialmente la perdita non desiderata dell’Altro da luogo ad un dolore di fondo,una pena con sentimenti di abbandono e conseguente perdita di senso della vita. È presente anche un marcato ritiro dalla vita sociale con abbandono e/o incapacità di svolgere le consuete occupazioni. Questa caduta delle “performances” è sorretta da una oggettiva difficoltà di concentrazione con conseguenti disturbi della memoria. Molto spesso ci sono anche modesti segni di “vitalizzazione” con disturbi dell’appetito e del sonno. Sono frequenti anche episodi di pena, caratterizzati da crisi di pianto e disperazione. Si presentano persino “passaggia all’atto” sostenuti dalla necessità di ricontattare la persona amata che si può tradurre in una ricerca spasmodica dell’Altro con pedinamenti, telefonate, lettere, biglietti…. 2. Con il passare del tempole esplosioni di pena si fanno più distanziate così come il dolore di fondo si attenua. Pochi giorni dopo scompaiono i segni di vitalizzazione, il sonno riprende e così anche l’appetito. Riprende l’interesse per il mondo. Siccome tutto questo lenisce la pena,per un meccanismo di rinforzo, si intensificano le condotte esplorative. Ne consegue un ulteriore rinforzo e quindi un’ulteriore applicazione di attitudini interne e ritrovate. Lentamente “l’assenza” che l’Altro ha lasciato si riempie e comunque diventa più sostenibile. Si riscoprono passatempi, attività lavorative,persone e relazioni abbandonate,piaceri dimenticati ma riconosciuti come propri in altri momenti dell’esistenza. Da tuto questo ne deriva spesso un arricchimento ed una maturazione, che compensa la perdita dell’altro. 8.1 PASSIONE AMOROSA E LUTTI PATOLOGICI Quanto sopra riferito rappresenta a grandi linee la normale risposta alla interruzione traumatica di una relazione amorosa. Ma non sempre le cose vanno così come descritto. Si possono ,cioè,avere condizioni sotto il nome di “Lutti Patologici”. Una serie di condizioni,cioè, in cui le reazioni all’esperienza di perdita si presentano clinicamente abnormi: • per intensità delle espressioni patologiche, ad esempio le crisi di pena e di disperazione si fanno drammaticamente intense e talvolta passano le una alle altre senza interruzione.

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• per durata. Il vissuto di perdita si imostra insanabile e supera di gran lunga la consueta dimensione temporale,acquistando,così, le caratteristiche di una condizione cronica. • per qualità delle espressioni psicopatologiche. Particolarmente significativi in quest’ottica appaiono i segni di vitalizzazione come i disordini dell’appetito e del sonno. • per gravità degli effetti: in particolar possono essere molto gravi le cadute delle “performances”,marcatissimo il ritiro sociale e l’incapacità a svolgere le consuete attività e i consueti compiti sociali. I lutti patologici possono essere di tre diversi tipi:

- Lutti conseguenti alla perdita improvvisa dell’oggetto amato: sono tipici delle interruzioni di un legame amoroso improvvise e imprevste (morte o abbandono repentino). Clinicamente questi lutti sono caratterizzati da una percezione di presenza dell’amato. In questo fenomeno psicopatologico si avverte la perturbante presenza dell’Altro di cui si ontinua a mantenere altissimo il livello di idealizzazione. Altro nei confronti del quale ci si sente ancora carichi di doveri ome ad esempio accondiscendere alle passate abitudini “come se ci fosse”.

- Lutti patologici che conseguono alla fine di una relazione con forti tratti di ambivalenza: la fine della relazione in questo caso viene vissuta con sentimenti di liberazione e esaltazione,nei primi giorni dopo la perdita prevalgono l’ottimismo, le condotte esplorative e un senso soggettivo di pienezza. In altre parole condotte che sembrano negare la stessa esperienza di lutto. Con il tempo fanno però la comparsa gravi vissuti di pena e disperazione che il tempo non lenisce,ma aggrava. In questo tipo di risposta alla perdita amorosa sono frequenti comportamenti autopunitivi,compaiono condotte atte a produrre espiazioni per il fallimento della relazione. È frequente in questi casi l’osservazione di condotte e espiatorie che si traducono con un divieto di ogni altra valida relazione amorosa. L’esistenza di queste persone,perciò, può prendere la via di una “coazione a ripetere” esiti falimentari di ogni altra relazione. Altre volte si espia scegliendo una persona antipodica rispetto a quelle che sono le prprie inclinazioni. Ci si “condanna” così ad un rapporto soggettivamente vissuto come insoddisfacente e che acquista un significato soggettivo di riparazione del precedente rapporto.

- Lutti patologici che seguono a relazioni caratterizzate da profonda dipendenza tra i due partner: relazioni simbiotiche con profondo attaccamento e dipendenza possono,quando interrotte,dar luogo con frequenza a Lutti Patologici. Questi sono caratterizzati,in primo luogo,da una abnorme lunghezza del lutto che da luogo alla costruzione di un vero e proprio stile di vita caratterizzato da intensi sentimenti di disperazione con la permanenza,anche dopo molto tempo,di quegli “attacchi di pena” che abbiamo visto essere presenti nelle prime fasi del lutto non complicato. In queste persone il ricordo dell’altro viene trattato come u n vero e proprio feticcio.

8.2 LA MALINCONIA AMOROSA Il quadro del lutto cronico sovente scivole verso la Malinconia Amorosa propriamente detta. In questo caso la perdita amorosa diventa l’evento che porta ad una vera a

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propria Depressione Maggiore,collocabile,sequendo i criteri del DSM IV fra i Disturbi Affettivi di tipo Depressivo. Questa condizione è caratterizzata da: • un sentimento pervasivo di essere destinati,dopo la perdita dell’Altro,alla rovina; • un senso profondo di impotenza e di abbandono di fronte agli eventi ed alle persone. Il paziente si rinchude tra le pareti di casa convinto che oramai niente possa più accadere nel mondo; • da ambivalenti sentimenti di amore e di odio nei confronti dell’Altro e del suo ricordo,individuato come causa prima del suo male; • da tipici atteggiamenti disforico-irritabili nei confronti di chiunque cerchi di interporsi tra il paziente e il ricordo dell’altro; • da grande irrequietezza motoria; • da episodi di irrequietezza,sonnolenza e di paralizzante stupore; • da un’attenzione esagerata alla vita onirica che spesso produce ricordi dell’Altro carichi di rabbia e di aggressività. Al di là del drammatico quadro della Malinconia Amorosa possiamo dire che il lutto amoroso ,quando giunge all’osservazione medica ha quasi sempre le caratteristiche di patologicità. Infatti il livello di tolleranza sociale (e individuale) nei confronti delle manifestazioni comportamentali connnesse con perdite amorose è assai alto e ne deriva una tendenza assai diffusa alla minimizzazione. In linea con gli studi sul lutto,il progetto terapeutico deve articolarsi intorno a misure che:

- Favoriscano l’espressione del lutto;

- Aiutino la persona nel necessario processo di rimaneggiamento della sua identità;

- Permettano di controllare sintomi ansiosi e depressivi così da evitare che raggiungano livelli patologici potenzialmente pericolosi per la vita stessa del soggetto. In questo senso deve essere valutata anche l’oppotunità di una terapia farmacologica.

Il primo punto fa riferimento a misure di tipo sociale. In questo senso bisognerà dare legittimazione sociale all’esperienza di lutto favorendo,ad esempio, l’assunzione del ruolo di malato, un periodo di assenza dal lavoro o di riduzione di impegni lavorativi. Questo,se da un lato permette di diminuire il carico sociale di doveri, dall’altro favorisce la acquisizione di nuovi impegni liberando dello spazio per nuove funzioni. Ma per favorire l’espressione del lutto isogna anche assicurare uno spazio ed un tempo per “fare il lutto”. il secondo punto è essenzialmente psicoterapeutico in quanto tende a favorire un rimaneggiamento dell’identità del paziente. Le due misure,quelle sociali e quelle psicoterapeutiche, devono avere come scopo quello di rendere reale la perdita,dare a questa dei confini. Con il terzo punto si proprone un vertice più propriamente medico volto ad un accurato monitoraggio sintomatologico e a proporre quando necessario anche supporti medici che: permettano il controllo di sintomi quali l’ansia la depressione ecc….. e permettano un controllo delle funzioni biologiche come il sonno,l’appetito ecc…. . CAP 5 : DIVENTARE GENITORI:DINAMICHE PSICOLOGICHE E RISCHIO PSICOPATOLOGICO

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"il mestiere di genitore" è qualcosa che si deve imparare durante un percorso complesso che richiede notevoli capacità di adattamento,di elaborazione e di tolleranza alle frustrazioni. Se ci domandiamo quali sono le fonti di riferimento cui attingere per crescere un figlio ci accorgiamo che la principale resta la nostra esperienza di figli,cioè la storia dei rapporti con i nostri genitori. Il processo mentale individuale di diventare genitori corrisponde a una lunga evoluzione stratiforme che atyìtraversa l'infanzia,l'adolescenza e l'età adulta. E' oppotuno tenere presente quella sottile distinzione fra il desiderio di una gravidanza e il desiderio di un figlio distinto da sé. Di fronte al raggiungimento dell'obiettivo prioritario,cioè procreare come gli altri ovvero avere finalmente realizzato la gravidanza,può essere difficile per queti genitori confrontarsi emozionalmente col bambino reale. i modelli di comportamento genitoriale a cui più spesso ognuno fa riferimento sono fondati sull'imitazione dell'esperienza vissuta e sulla contrapposizione rispetto a questa esperienza.La dimensione imitativa è quella in cui si aderisce al modello proposto dai propri genitori e si tenta di riprodurre le condizioni ,le relazioni e i modelli educativi che fanno parte dell'esperienza personale. La dimensione della contrapposizione è quella in cui ci si propone di modificar5e il modello del fìgenitore che appartiene alla nostra storia personale con l'intento di evitare ai figli quell'esperienze conflittuali che sono state fonte di conflitto e di sofferenza. Diventare genitori quindi può essere considerata da un punto di vista psicologico un'esperienza che attiva un processo di sviluppo e di cambiamento in ogni singolo soggetto e le mantiene lungo un percorso in cui i ruoli e le relazioni sono in continua trasformazione. Il funzionamento mentale dei genitori,e soprattutto della madre,si modifica nel senso di includere la rappresentazione mentale del bambino. La qualità del legame di coppia con le sue componenti libidiche,le sue costanti relazionali e il suo assetto difensivo acquista una grande importanza nel senso di poter funzionare come contenitore dei conflitti intrapsichici di ciascun coniuge al momento della nascita del figlio,fornendo un contesto affettivo di sostegno alla genitorialità.Una relazione solida e soddisfacente prima e durante il periodo del post-partum rende più facile l'adattamento nel nuovo ruolo di genitori,accresce la capacità genitoriale,preannuncia una buona competenza interattiva con i bambini. IL LAVORO DELLA MATERNITà LA GRAVIDANZA I nove mesi della gravidanza offrono ai futuri genitori l'occasione per una preparazione fisica e psicologica al nuovo ruolo che li attende.La preparazione psicologica è strettamente correlata con gli studi della gravidanza e con la sua evoluzione:infatti se compaiono complicazioni fisiche anche l'adattamento psicologico corre qualche rischio. Il lavoro della gravidanza può essere distinto in tre diversi periodi ognuno dei quali

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corrisponde indicativamente ad un diverso stadio dello sviluppo fetale. 1°stadio-->I genitori si adattano alla novità della gravidanza che è accompagnata dai progressivi cambiamenti del corpo della madre.I futuri genitori sanno che sono entrati in una nuova fase della loro vita nella quale la dipendenza dai propri genitori deve dare spazio alla responsabilità e il rapporto di coppia deve modificarsi in una relazione a tre. La prospettiva di diventare genitori fa rivivere agli adulti la loro infanzia e le difficoltà di crescita affrontate.La fantasia più frequente è quella di diventare genitori perfetti("non come mia madre" "spero di fare meglio di loro"...).I futuri genitori desiderano proteggere magicamente i loro figli dal mondo imperfetto e salvaguadarli dai sentimenti di inadeguatezza e di fallimento di cui ne sono consapevoli. L'intensità della preoccupazione rende la donna incinta così vulnerabile da far diventare reali i suoi timori nei confronti dei danni a cui può essere esposto il feto:tutte le donne per esempio pensano con ansia agli eventuali difetti fisici che il loro figlio potrebbe avere. In questo periodo la donna sviluppa bisogni di dipendenza molto forti che possono portarla a stabilire legami molto forti con le persone che l'aiutano professionalmente come il medico specialista o l'ostetrica.La donna si rivolge alla madre o alla suocera per essere aiutata. 2°stadio-->I genitori cominciano a riconoscere il feto come un essere che alla fine verrà separato dalla madre.La percezione dei movimenti fetali rappresenta il momento in cui la madre comincia ad individuare il bambino come diverso da sé e come possibile oggetto di relazione. Il riconoscimento che il bambino è reale favorisce le ansie della madre sulle condizioni di salute e sul sesso come anche le fantasie sul "bambino perfetto" che ella sogna come una sorta di compenso per la fatica che sta portando avanti. Condividere con il partner queste esperienze riconoscendo il suo ruolo paterno non solo aiuta la donna ad affrontare la separazione con il feto,ma la rassicura che non sarà sola nelle responsabilità del nuovo ruolo genitoriale e attenua i suoi timori di inadeguatezza.Indagando l'esperienza soggettiva della maternità è emerso che l'aspettativa nei confronti del partner è molto forte. 3°stadio-->I genitori cominciano a sperimentare il figlio come un individuo e il feto contribuisce attivamente alla propria individuazione con ritmi e livelli di attività crescenti. Contemporaneamente all'evoluzione del feto i genitori si istruiscono al loro bambino imparando a riconoscere le sue reazioni ai diversi stimoli,attribuendogli intenzionalità,capacità interattive e carateristiche personali.E proprio in questo periodo che prende forma nella mente dei genitori il "bambino immaginario" ovvero un'immagine del figlio che corrisponde alle fantasie coscienti che i genitori esercitano intorno al bambino ancora sconosciuto.Quest'immagine si sovrappone a quella fantasia che Lebovici ha chiamato"bambino fantasmatico",che ogni bambina ha sognato come immagine riparatrice e appagatrice di ogni solitudine,dolore e perdita,ricollegabile alle fantasie incoscie dell'infanzia in cui si intrecciano le relazioni oggettuali personali della madre e i conflitti con le sue immagini parentali,ed anche al cosidetto "bambino mitico" corrispondente agli elemnti culturali che rapprentano l'involucro della genitorialità e dell'educazione del bambino. In vicinaza del parto i timori della donna sul bambino si riacutizzano al punto da rendere difficile anche la loro verbalizzazione,ma la madre si difende sviluppando

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ulteriormente il suo attaccamento al bambinoe personificandolo sempre di più. Il lavoro della gravidanza corrisponde quindi ad una totale riorganizzazione della immagine di sè,dei rapporti con le figure dei genitori,della relazione di coppia,della valutazione della realtà che la donna deve fronteggiare per acquisire una nuova identità che comprenda anche l'acquisizione della funzione materna. La gravidanza rappresenta comunque un fattore di stress a causa delle trasformazioni biologiche,psicolgiche e ambientali che comporta per la donna,per la coppia e per la famiglia nel suo complesso. La maggioranza delle donne vive la maternità in termini di creatività e gratificazione,oscillando nelle diverse fasi fra sentimenti positivi e negativi secondo la personalità,la storia personale,le relazioni affettive e la situazione socio-culturale.(leggi tabella 1). Nel primo trimestre l'ansia della donna si coagula sopratutto nella sua persona,sui sentimenti ambivalenti verso la gravidanza e sulla competitività nei confronti della figura materna,ignorando quasi completamente l'esistenza del bambino.Nel secondo trimestre ineve l'ansia della madre si concentra di più sul feto,spesso vissuto come sconosciuto,limitante,fonte di vincoli e responsabilità e potenzialmente mal formato e sulla preoccupazione di vedersi sformata fisicamente e di rimanere tale per sempre.Questa sensazione di essere brutta costituisce un aspetto importante nelle ansia in gravidanza ,e dal momento che coincide con una riduzione del desiderio sessuale,può contribuire all'emergenza della gelosia nei confronti del partner.Nel terzo trimestre la paura del parto come esperienza dolorosa e potenzialmente mortale,il timore di non potere controllare l'angoscia,il timore per il bambino e la sua salute e l'insicurezza sullr proprie incapacità materne rappresentano i principali contenuti emotivi. LA NASCITA Alla nascita la madre deve essere pronta a stabilire un nuovo legame con il bambino e disposta ad entrare in quella condizione che Winnicott chiama"preoccupazione materna primaria",cioè uno stato di normale malattia in cui la sensibilità della madre è così amplificata da renderla capace di mettersi nei panni del neonato sviluppando una sorprendente capacità di identificarsi con lui e di comprendere e soddisfare le sue esigenze in modo tale che nessun insegnamento potrebbe far conseguire. Mentre durante la gravidanza l'unità biologica consentiva alla donna di contenere il feto e le ansie provocate dallo stato gravidico,dopo la nascita il bambino diviene il polo trainante di una madre che acconsente in misura maggiore o minore di entrare in una relazione particolare in cui il sistema diadico madre-bambino costituisce la base dell'organizzazione del sé del bambino. Stern ha definito"costellazione materna"la nuova organizzazione psichica che investe la madre in occasione soprattutto della sua prima esperienza materna.Come organizzatore psichico la costellazione materna determina una nuova serie di azioni,sensibilità,fantasie,paure e desideri che costituiscono la linea dominante della vita psichica della donna.Essa riguarda tre aspetti: 1)il rapporto della madre con sua madre e soprattutto in quanto madre di lei bambina; 2)il rapporto con sé stessa in quanto madre; 3)il rapporto col suo bambino.

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Questo stato mentale materno ha dirette ripercussioni sulle relazioni che la madre stabilisce con gli altri,siano essi i sanitari,il marito,le altre donne i genitori,relazioni che sono prevalentemente centrate sul desiderio di essere aiutata.Una mancanza di risposta a questi bisogni viene considerata dalle donne come un rifiuto a sostenerle. SCHEMATIZZANDO,LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE CHE LA DONNA DEVE AFFRONTARE ALLA NASCITA COMPRENDONO:

• la perdita della fusione con il feto e delle fantasie di completezza e onnipotenza favorite dalla condizione gravidica.

• il lutto per il bambino immaginato durante la gravidanza e l'adattamento alle caratteristiche del figlio reale

• l'adattamento ad una persona che provoca inizialmente sentimenti di estraneità • dominare i timori di doter danneggiare il bambino fragile e indifeso • imparare a tollerare la dipendenza totale del bambino e riuscire a trarne soddisfazione e

piacere • stabilire una relazione sufficientemente buona con il bambino • mantenere la relazione di coppia • mantenere le altre relazioni con i figli e con le persone della famiglia.

ATTEGGIAMENTI MATERNI Joan Raphael-Leff(1986)ha definito due diversi stili di comportamento materno che caratterizzano la gravidanza e tutto il primo anno di vita del bambino: la madre facilitante si sa adattare ai ritmi del bambino,si lascia guidare dall'intuito e dai segnali che il bambino le manda e sarà particolarmente capace di assecondarne le spinte evolutive.Per lei avere un figlio,è un'esperienza centrale che sente come un completamento della sua esistenza e della vita di coppia.Per entrare in sintonia con il bambino deve regredire psicologicamente e rimettersi in contatto con con la propria storia infantile soprattutto in relazione con la propria figura materna.Tutto questo la spinge a distaccarsi in parte dalle relazioni sociali e a vivere dentro di sé,sentendosi in alcuni momenti come il feto che porta nel suo corpo. Inizia così un intenso legame col figlio,che durante il primo anno diventa il compagno inseparabile di cui la madre si sente privata ogni volta che deve lasciarlo o affidarlo a qualcun altro anche per brevi periodi. La madre regolatrice è la madre per la quale esistono delle norme a cui cerca di attenersi sia per quanto riguarda il concepimento che lo svolgimento della gravidanza e l'accudimento del bambino.Questo tipo di donna crede che ad un certo punto della vita è giusto avere dei figli,che rappresentano il copletamento della vita di coppia.La gravidanza non interferisce troppo nella vita della donna che non si vuole far condizionare eccessivamente.Sente come una minaccia i cambiamenti fisici ede motivi e cerca di non farsi influenzare dallo stato di gravidanza e dalla presenza del bambino,rinforzando le proprie difese psicologiche.Ha di solito idee precise su come allevare un bambino e si aspetta una corrispondenza completa tra i suoi schemi mentali ed il comportamento del neonato. In questo tipo di donne la maternità può riattivare antichi conflitti che possono rendere particolarmente difficile questa esperienza.Possono provare invidia per le tenerezze rivolte al bambino da parte delle persone dell'ambiente circostante,e vivere

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priettivamente come appartenenti al bambino sentimenti di avidità e risentimento che caratterizzavano la loro infanzia ed erano diretti verso la figura materna. Riassumendo:La madre facilitante è è una donna che si lascia andare con piacere alla maternità,mentre la madre regolatrice è una donna che tenta di mantenere un controllo razionale sulle fantasie. Questi diversi modelli di stile materni spesso coesistono nell'atteggiamento corrente della madreverso il bambino,in una continua alternanza e sovrapposizione di stati emotivie comportamenti interattivi. I diversi stili richiamano l'esperienza infantile che ogno donna ha vissuto con la propria madre. IL LAVORO DELLA PATERNITà Quando un uomo viene informato per la prima volta della gravidanza della sua compagna rimane colpito da un flusso di emozioni intense che sono per lui inconsuete.Infatti è frequente che gli uomini vivano il figlio con sentimenti ambivalenti fino dall'inizio della gravidanza,combattuti tra la soddisfazione e il riaccendersi di antichi conflitti. La figura del padre è stata infatti spesso relegata nel ruolo di spettatore ai margini della relazione duale madre-bambino,interpretando come assenza questa bmarginalità. La paternalità e la maternalità sono l'insieme dei processi psicoaffettivi legati al divenire rispettivamente padre e madre. Il diventare padre può essere considerato come un momento di crisi che comporta la elaborazione di una serie di cambiamenti,di conflitti e di angosce collegate alle vicissitudini della realtà esterna e del mondo interno;questa elaborazione costituisce un lavoro psicologico,il lavoro della paternità,che si svolge simmetricamente a quello della madre. La paternità riattiva nell'uomo timori di abbandono da parte dei genitori e sentimenti di gelosia e rivalità che richiamano situazioni di conflitto vissute in passato quando la nascita di un fratello lo aveva privato parzialmente dell'amore materno.Il padre si trova ad essere il terzo elemento anche nella relazione con la compagna,dalla quale teme di essere escluso.Una delle prime reazioni è infatti una sensazione di esclusione.La moglie infatti concentra il suo interesse sempre di più al bambino e su stessa e divene lei stessa il centro d'attenzione di tutti gli altri,mentre quasi nessuno si preoccupa di quanto accade al padre. Questi sentimenti sono complicati dal senso di responsabilità che il padre prova verso la gravidanza:quasiasi fenomeno sperimenti la moglie,vomito,nausea,stanchezza o altro,tende ad attribuirsene irrazionalmente la colpa.L'uomo si trova anche ad affrontare una seirie di dubbi sulle sue reali capacità di provvedere alla famiglia,di essere un padre premuroso ed un compagno affidabile per la moglie. La maternità riattivca nell'uomo anche la sua antica doppia natura sessuale:l'identificazione con la donna si traduce in invidia per le capacità esclusivamente di produrre bambini attraverso il corpo e di nutrirli, e la rivalità verso la donna rimanda ai conflitti vissuti con la propia madre,nel senso di inferiorità provato nei suoi confronti in ragione del desiderio infantile di avere un bambino,presente anche nel maschio. I nuovi padri che spesso ricercano e ottengono l'uguaglianza con la madre,possono

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fornire il sostegno pratico che circonda e protege la madre nella prima relazione con il neonato e possono partecipare anche a tutti i compiti di cura con buoni risultati. Tuttavioa,come nota Stern, il padre non può nfungere da modello per la madre in modo articolato ed esperto,poichè nel fare il genitore è inesperto quanto la sua compagna e quindi sarà inadatto sotto questo aspetto del supporto. Il suo apprezzamento come marito.padre e uomo,è di grande importanza,ma è di un ordine diverso e può soddisfare solo una parte di holding psicologico della madre.Sottoposto a questo bisogno,l'uomo rischia di venire in parte"maternalizzato"cioè di venire investito di una competenza materna che non uèò avere. Mentre la donna non può sottrarsi alla gravidanza,il padre ha maggiore libertà d'azione per quanto riguarda l'intensità del suo impegno;può infatti scegliere di mettersi da parte ignorando quanto sta accadendo,come può allontanarsi concretamente dalla situazione dedicandosi ad avventure extraconiugali o sviluppando un'impotenza sessuale oppure ricorrendo all'alcool. In alcuni soggetti l'identificazione con la moglie incinta si può esprimere nella"sindrome della couvade"che si manifesta attraverso un comportamento rituale che mima le varie fasi del parto mentre questo si sta svolgendo. Anche l'uomo in occasione della sua paternità tende a rivivere,il rapporto con il proprio padre.Una adeguata identificazione con la figura del padre consente di affrontare la complessità e le difficoltà della funzione paterna. Nonostante le difficoltà a cimentarsi nelle nel ruolo paterno,spesso ,l'uomo dichiara di aver provato un sentimento di piacevolezza e di intensa attrazione ai primi contatti fisici col bambino. Una tale esperienza può avere importanti conseguenze sul triangolo familiare dal momento che un padre che ha vissuto tali sentimenti è più improbabile che si senta escluso o messo da parte dal bambino. La costruzione mentale della funzione paterna corrisponde indubbiamente ad un complesso percorso che richiede importanti capacità elaborative. Quindi una buona funzione paterna è caratterizzata proprio dalla capacità di tollerare la frustrazione di trovarsi escluso dalla relazione duale e di non essere sopraffatto dai sentimenti ambivalenti che comporta il compito i mediare l'accesso alla realtà ed impedire la ricomposizione continua della diade. Il padre offre la possibilità di modificare il rapporto del figlio con i suoi bisogni in quanto favorisce la sua indipendenza sia nelle percezioni di sé stesso che nella sua autonoma soddisfazione.Altrettanto importante è la funzione normativa del padre,cioè di guida rispetto alla realtà e di limite alla onnipotenza simbiotica che nel corso dello sviluppo del bambino si deve progressivamente ridimensionare. La funzione paterna infatti viene considerata importante per la costruzione di un sé autonomo in quanto introduce la realtà esterna nel campo comunicativo del bambino e facilita l'acquisizione dell'intersoggettività. In sintesi diventare padre richiede ad ogni uomo un complesso lavotro psicologico di adattamento a questa nuova funzione ce può avere un esito positivo,come nella maggior parte delle persone,oppure in alcuni soggetti,un esito insufficiente o inadeguato collegabile con ragioni complesse che riguardano i rapporti tra le caratteristiche della personalità,le esperienze affettive precoci,e gli eventi della vita.

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LE INTERAZIONI PRECOCI LA RELAZIONE DIADICA Durante la gravidanza il legame col feto si forma in modo analogo a qualto avviene dopo la nascita nella relazione madre bambino.La donna inizia così le sue fantasie sul bambino,impara a riconoscere i diversi movimenti,e spesso conversa col bambino originario,usa appellativi affettuosi per rivolgersi a lui e coinvolge il marito in quetsa attività fantastica. Mentre durante la gravidanza l'unità biologica consentiva alla donna di contenere il feto e le angosce suscitate in lei dallo stato gravidico,dopo la nascita il bambino diviene il polo trainante di una madre che acconsente,con una disponibilità variabile per intensità e qualità,ad entrare in una relazione in cui il sistema diadico madre-bambino costituisce la base dell'organizzazione del sé con il bambino.I bambini e i loro caregiver sono parte di un sistema regolativo e interattivo in cui si influenza e si regolano reciprocamente. La capacità di prestare cure materne è stata spesso considerata come il risultato della combinazione di predisposizioni biologiche e di interventi dipendenti da fattori culturali. Gli studi riguardanti le prime fasi dello sviluppo infantile hanno rappresentato a partire dagli anni settanta un momento di rottura,mettendo in luce le complesse competenze percettive,cognitive ed interattive presenti nel bambino già in questo periodo.I neonati della specie umana appaiono adattati rispetto ad un ambiente nel quale sono presenti consistenti contatti interpersonali.Già prima dei due mesi i bambini sono in grado di compiere la fondamentale distinzione tra persone e oggetti e sono in grado di reagire alla qualitò del comportamento del caregiver,rappresentato in primo luogo dalla madre. Gli affetti e le emozioni,svolgerebbero sin dalle origini dello sviluppo un ruolo di reglazione delle prime interazioni del bambino,oltre che di organizzazione del suo mondo intrapsichico in via di formazione,fungendo contemporaneamente da prima codifica della realtà circostante. I bambini sono in grado di comprendere il contenuto delle diverse sepressioni emotive prodotte dalla madre. Le reazioni dei bambini sembrano anche essere influenzate dal contesto nel quale avviene la comunicazione:ad esempio,una madre che porta una maschera provoca una risata mentre un estraneo che indossa la stessa maschera provoca distress e paura. Le ricerche attuali quindi convergono nell'evidenziare come la competenza affettiva del bambino si leghi strettamente a quella che la madre è in grado di manifestare nei confronti di quest'ultimo. Trevarthen assegna un ruolo fondamentale alla competenza emotiva del bambino,individuando una condizione di comunicazione intersoggettiva tra quest'ultimo e i suoi caregiver dal primo semestre di vita.Esiste una relazionalità tra madre-bambino e tale relazionalità che copre i primi tre mesi di vita,è definita"intersoggettività primaria"perchè è ristretta alle interazioni entro la diade madre-bambino,mentre nella successiva fase di intersoggettività secondaria le interazioni sono mediate da oggetti terzi,cioè oggetti presenti nel campo percettivo diadico come ad esempio anche il padre. I risultati delle diverse ricerche concordano quindi nell'affermare che la comunicazione hnel periodo dell'intersoggettività primaria è puramente emotiva in quanto si

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scambiano solo emozioni. L'intersoggettività secondaria è preparata da un periodo intermedio,dai quattro ai sei mesi,in cui il bambino si interessa alle cose che possono essere afferrate e manipolate,la sua attenzione si sposta progressivamente dalla madre allo spazio circostante e l'interazione con lei si evolve in una triangolazione fra lui,la madre e le cose interessanti che scopre in quello spazio.Ciò appare chiaramente dal fenomeno dell'attenzione condivisa:già prima dei sei mesi i bambini sono in grado di seguire l'orientamento dello sguardo della madre e di condividere con lei l'attenzione. Le interazioni col sistema biologico sono più importanti nell'embriologenesi e continuano in modo meno vistoso dopo la nascita,mentre le interazioni con il sistema sociale ddominano la maggior parte del peiodo che va dalla nascita all'età adulta. Attraverso lo sviluppo psicologico i bambini sono capaci di una conoscenza autoregolata.Il contributo dei genitori è vincolante per lo sviluppo dei bambini ma è anche determinato in modo molto complesso,cioè il complesso delle caratteristiche che organizzano il sistema di allevamento dei bambini in una società,e del proprio codice familiare,cioè il complesso di storie e rituali che regolano lo sviluppo di soggetti che partecipano al sistema condiviso della famiglia.E' quindi importante indicare il genitore come un agente di regolazione dello sviluppo del bambino,ma anche riconoscere che il comportamento del genitore èesso stesso racchiuso in contesti di regolazione e che il bambino rappresenta anche un elemento regolatore dell'interazione tra sè e i genitori e della relazione fra genitori. Il concetto di regolazione fa riferimento a quelle situazioni evolutive che sono state definite "macroregolazioni,miniregolazioni,microregolazioni" Macroregolazioni---> si intende momenti della vita che fanno parte della tabella di marcia di una cultura(svezzamento,addestramento alla pulizia,scolarizzazione). Miniregolazioni--->Si fa riferimento alle attività che operano quotidianamente nella famiglia e riflettono le ripetute esigenze di accudimento(nutrire i bambini,punirli,). Microregolazioni--->si intendono interazioni momentanee tra il bambino e la persona che se ne prensìde cura. I tre livelli di regolazione sono in costante interazione in quanto la famiglia si costruisce le abitudini di accudimento influenzata dalle norme sociali e dalle tradizioni familiari. Il sitema diadico madre-bambino è organizzato fin dalla nascita come uno scambio ininterrotto di adattamento e di regolazione reciproca in cui le progressive competenze del bambino pongono la madre in condizioni di modificare il propro comportamento in sintonia con quello del figlio e di speimentare risposte diverse ad ogni sua nuova necessità. La reciprocità delle inetrazioni permette la trasmissione delle emozioni e la percezione degli stati emotivi dell'altro:il bambino infatti partecipa allo stato affettivo della madre,lo può influenzare e sembra anche poterlo ricercare dentro di se. La funzione di contenimento(holding)garantisce al bambino nel corso dello sviluppo ed il ruolo di "base sicura",che consente al bambino di esercitare la sua capacità esplorativa e creativa avendo con la sicurezza di essere tranquillizzato e rassicurato dalla madre nelle situazioni di ansia e pericolo,costituiscono il presupposto di uno sviluppo cognitivo e affettivo relativamente armonico. La prospettiva evolutiva rileva quindi le origini dell'organizzazionbe interna(sé) nell'organizzazione diadica.

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L'ATTACCAMENTO Il concetto di attaccamentopuò essere definito come una relazione o legame affettivo che ciascun individuo stabilisce con un con specifico;tipicamentesi instaura tra il bambino e la madre e,più in generale,con le figure con cui il bambino interagisce in modo precoce,privilegiato e continuativo. Il legame che risulta da queste interazioni costituisce una relazione che è il rodotto di una storia di interazionie,cometale,può influenzare le interazioni siccessive non solo con la persona con cui c'è stato un attaccamento,ma anche con altre figure significative. Bowlby ha elaborato la teoria dell'attaccamento,utilizzandocome corpus di riferimento la PSICOANALISI.Rispetto ai paradigmi precedenti che vedevano il legame madre-bambino soprattutto come dipendenza,la teoria dell'attaccamento propone un decisivo cambiamento di prospettiva:il legame non è secondario alle cure fisiche ma primario,e si crea tra il bambino e la madre un attaccamento che presuppone l'esistenza di una predisposizione del bambino verso la madre. La psicoanalisi offriva due diverse descrizioni del rapporto madre-bambino:La teoria pulsionale e la teoria delle relazioni oggettuali. La prima veniva dalle prime formulazioni di freud:Il bambino sperimenta la libido e la madre diviene il veicolo per la scarica di questa tensione(attraverso l'allattamento al seno)e se la madre è assente,cresce questa tensione che viene sentita come un'angoscia dal bambino. La seconda teoria di freud:L'angoscia viene sperimentata al momento della separazione dal bisogno fisiologico che la madre può dargli (angoscia segnale)sottolineando cheche è l'assenza della madre la situazione che rappresenta un pericolo per il bambino. Melanie klein teorizzò uno stretto legame fra i processi fisiologici di nutrimento ed evacuazione e gli inizi delle strutture mentali ed etiche nel bambino piccolo nel senso che il seno che nutre e dà calore è il prototipo dell'oggetto buono,mentre il seno assente rifiutante è quello dell'oggetto cattivo contenente non solo le reali mancanze e assenze di relazione da parte della madre,ma anche le relazioni del bambino piccolo a queste mancanze proiettate nel seno cattivo e attribuite ad esso. La teoria dell'attaccamento si riferisce in primo luogo al bisogno di vicinanza del bambino ad una figura di riferimento,tendenzialmente la madre con cui stabilisce un legame,definito per la prima volta come "interazione".Il succhiare l'aggrapparsi,il piangere,il sorridere,sono modalità di interazione e di attaccamento con la madre innate,che il bambino possiede come meccanismi specifici. Sia l'attaccamento che il comportamento di attaccamento sono basati sul sistema dei comportamenti di attaccamento,cioè un modello del mondo in cui vengono rappresentati il sé,gli altri significativi e le loro interrelazioni e che codifica il particolare pattern di attaccamento mostrato da un individuo.Il comportamento di attaccamento è attivato dalla separazione dalla figura di attaccamento.Tale comportamento si attenua quando questa figura è vicina. Nei primi mesi di vita,il neonato nasce già predisposto a stabilire legami con gli altri esseri umani ma,a causa della sua immaturitàoccorre del tempo perchè la relazione di attaccamento possa manifestarsi.Egli è in grado fino dalla nascita di orientarsi verso il volto umano e stabilire un contatto visivo.Mentre inizialmente egli invia segnali ad ogni adulto che gli si avvicina perchè ancora non è in grado di distinguerli,nel corso dei primi mesi di vita impara a riconoscere il padre e la madre.Così inizia a costituirsi

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l'attaccamento verso di loro che è fondamentale sia per lo sviluppo psicofisico del bambino che per la costituzione della sua identità e per tutti gli atti della vita successiva. Nel primo anno di vita il sistema di attaccamento funziona nel bambino con l'obiettivo di mantenerlo costantemente vicino alla madre,usandola come una base sicura per le esplorazioni,quando la minaccia ambientale è al monimo.Nella seconda metà del primo anno comincia a divenatre evidente che si è creata una relazione di attaccamento:ad esempio intorno ai sette mesi compare nel bambino l'ansia dell'estraneo. Dai tre anni inoltre con l'avvento del linguaggio e l'espandersi della complessità psicologica del bambino sorge un pattern più complesso di attaccamento.La teoria dell'attaccamento si fonde con una teoria generale sulle relazioni o legami affettivi e su come esse vengono mantenute controllate e possono fallire. Un concetto chiave è quello di modello operativo interno derivato dalla prospettiva psicoanalitica e cognitivista.Il bambino in fase di sviluppo costrusce una certa quantità di modelli di sé stesso e degli altri basati su pattern ripetuti di esperienze interattive.Queste rappresentazioni delle interazioni che sono state generalizzate formano modelli rappresentazionali relativamente fissi che il bambino usa per predire il mondo e mettersi in relazione con esso.Tali rappresentazioni emergono come il risultato delle interiorizzazione della qualità delle interazioni ripetute fra il bambino e la figura di attaccamento. I modelli operativi interni dell'attaccamento che si costruiscono nella prima infanzia sono relativamente stabili e molto persistenti.E' attraverso il costituirsi di tali modelli che i pattern di attaccamento dell'infanzia vengono trasposti nella vita adulta e trasmessi alla nuova generazione. Gli attaccamenti di un bambinonei confronti dei caregiver possono essere divisi in sicuri e insicuri.Queste classificazioni sono basate sul comportamento di bambino dai 12 ai 20 mesi di età,osservato e codificato nel corso di una situazione sperimentale specifica(strange situation).(LEGGERE BOWLBY E I MODELLI DI ATTACCAMENTO SUL MANUALE DI SVILUPPO O DOVE VUOI) L'espressione base sicura è stata usata per la prima volta da Ainsworth per descrivere l'atmosfera affettiva creata dalla figura di attaccamento alla persona che le si attacca,in altri termini dalla madre nei confronti del bambino.La funzione della base sicura è che essa crea la possibilità di attivare nel bambino la curiosità e l'esplorazione del mondo esterno;quanto più quetsa figura è lontana o divine einaffidabile,tanto maggiore sarà la spinta del bambino a mettere in atto un comportamento di attaccamento,dal momento che il bisogno di legame si fa sentire prepotentementesul piano affettivo. Gli autori successivi a Bowlby spostano progressivamente il loro interesse dal considerare l'attaccamento come un sistema che mantiene bambino e genitori in contatto fisico,visivo e acustico l'uno con l'altro che può alterarsi solo in caso di perturbazioni massicce della relazione come nel caso della perdita della madre o la separazione dai genitori,e si concentrano da un lato sullo studio della relazione di attaccamento nel contesto di caregiver multipli. Il problema dei caregiver multipli è un dato di realtà della nostra attuale cultura dove i bambini si trovano ad avere una rete di adulti nel ruolo di figure di accudimento anzichè solo la madre. La costruzione dell'attaccamento con i caregiver alternativi(insegnanti,nonni,baby-sitter,operatori..)sembra simile a quella dell'attaccamento materno.

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La Adul Attchment Interview/AAI),è uin intervista semistrutturata costruita per indagare lo stato mentale di un genitore rispetto alle proprie esperienze precoci di attaccamento e degli effetti di queste esperienze sulla personalità e sul funzionamento attuali.Le modalità con cui le persone producono la narrazione relativa alla loro storia e alle figure di attaccamento costituiscono un modello della rappresentazione mentale(modello operativo interno) che hanno costruito;si ritiene infatti che la forma narrativa attraverso la quale un individuo può parlare di sé e della propria esperienza di attaccamento sia un comportamento misurabile,analogo allo schema mentale costruito nel corso dello sviluppo. Le categorie relative all'attaccamento dell'adulto sono state classificate dagli autori come: 1)sicuro /autonomo; 2)Abbandonanate/distaccato; 3)Preoccupato/intrappolato; 4)Irrisolto/disorganizzato. (LEGGERE L'ADULT ATTACHMENT INTERVIEW SU SVILUPPO) Utilizzando questo strumento,gli autori hanno descritto i pattern di attaccamento dell'adulto e messo in relazione questi con i modelli del bambino individuando fortio analogie,specialmente nelle madri,fra sicurezza infantile e adulta. Sul versante dello studiodella complessità della relazione madre-bambino è stato vosto che la sensibilità materna e la capacità di mettersi in sintonia con il bambino sono considerate caratteristiche essenziali nel determinare il costituirsi di legami di attaccamento sicuri o insicuri,nella condivisione sociale dell'esperienza e nell'acquisizione di un senso del sé nel bambino. La sintonizzazione affettiva implica che il genitore sia in grado di leggere lo stato mentale del bambino e coglierne l'esperienza interna a partire dal comportamento e che il bambino sia in grado a sua volta di leggere questa risposta manifesta del genitore e rendersi conto che essa riflette la sua esperienza affettiva originaria che gli permette di percepire in che modo egli viene percepito dai genitori. Di conseguenza le mancate sintonozzazioni,le sintonizzazioni imperfette e le stesse sintonizzazioni hanno implicazioni cliniche di vario tipo nello svilppo del bambino. Quella che è stata definita"funzione riflessiva"consiste nel comprendere l'esperienza psicologica propria e degli altri,di entrare nell'esperienza di un altro,di leggere la mente di un altro. Lo sviluppo della funzione riflessiva permette al abmbino di dare un senso e rendere prevedibile il comportamento degli altri e gli permette di ripondere in maniera adattiva a una gamma di situazioni interpersonali. Soprattutto può fornire protezione contro gli effetti dannosi di un abuso e dei traumi. La capacità della madre di entrare nella mente del figlio costituisce probabilmente un aspetto vitale dell'accudimento materno empatico e sensibile.L'esperienza di sé come reale,conosciuto e dotato di intenzionalità è centrale per l'esperienza della sicurezza. Madri e padri devono essere considerati in linea di massima intercambiabili per quanto riguarda la capacità di caregiver e il padre può avere la funzione di figura di attaccamento sostitutiva quando,ad esepio la madre non può svolgere il suo ruolo perchè sofferente di una grave forma di depressione,oppure quando la qualità della interazione madre-bambino è estremamente negativa.Col passare del tempo comunque il padre è sempre meno un satellite della madre e diviene progressivamente un'entità a

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sé stante che acquisisce la funzione di mediatore della separazione fra il bambino e la madre e di catalizzatore della sublimazione dell'aggressività attraverso il gioco,oltre che di intermediario fra il bambino e il mondo esterno.. IN SINTESI--->Come disciplina scientifica la teoria dell'attaccamento offre dei vantaggi in quanto,fondandosi sull'osservazione diretta dell'interazione genitore-bambino,fa riferimento all'osservazione dello sviluppo normale,che può essere quindi utilizzato come parametro per la comprensione della psicopatologia,permette inoltre di costruire un quadro complessivo del comportamento genitoriale adeguato e comporta importanti implicazioni nella ricerca e nel lavoro. IL TRIANGOLO PRIMARIO Rimanendo nell'ambito relativo alle ricerche sulla famiglia ci si riferisce allo studio della famiglia come gruppo reale o praticante,secondo la distinzione proposta da Reiss(1989),secondo la quale la famiglia può essere studiata sia come represented family(famiglia rappresentata)sia come praticing family(famiglia come gruppo rela ein interazione),nel comune presupposto che sono le relazioni familiari che danno forma al nostro sviluppo in quanto caratterizzate da stabilità e coerenza. Stern(2005)mette in evidenza che l'intersoggetività, o anche la competenza all'intersoggettività come portato motivazionale di base,riguarda innanzi tutto i gruppi come componente dell'insieme maggiore e poi l'interazione tra due persone,anticipando uno degli aspetti più interessanti di questa prospettiva che mette in discussione la visione classica dello sviluppo che presuppone un percorso che va dalla diade alla triade,dalla capacità cioè di regolare le relazioni diadiche per poi accedere a quelle triadiche e alla triangolazione. Anche gli studiosi dello sviluppo danno importanza alle interazioni triadiche;in realtà si descrive l'interazione tra il bambino e la madre in riferimento ad un oggetto o un evento terzo,che compare solo tra i 7 e i 9 mesi,combinando la comunicazione riguardo all'azione con gli oggetti con l'interazione diadica diretta.In quel periodo il bambino inizia a comprendere che i genitori e lui stesso hanno cose nella mente come un focus attentivo o un'intenzione o un sentimento interno,stati della mente che possono essere simili o diversi,condivisi o meno,armonizzati o meno. Lo spostamento intersoggettivo del bambino corrisponde a un cambiamento nelle risposte dell'adulto che si prende cura di lui:la sintonizzazione degli affetti prende il posto dell'imitazione. Interazioni triangolari,cioè in quelle che avvengono tra tre persone,come ad esempio il bambino e la madre che comunicano con un altra persona come il padre.Da risordare che il versante interattivo riguarda il comportamento osservabile ed è costituito da pattern di azioni e segnali comunicativi tra i partner,mentre quello intersoggettivo si riferisce allo stato psichico interno e comprende le intenzioni,isentimenti,e i significati condivisi nella relazione fra le persone e fra i membri della famiglia,ovviamente i due versanti sono indissociabili. La competenza triangolare del bambino può essere intesa come una parte integrante della motivazione diretta verso le persone e non dovrebbe essere confusa con lo sviluppo di pratiche coordinate fra persona e l'oggetto.Possiamo quindi presupporre che probabilmente dal punto di vista etologico le abilità che un bambino utilizza nel gioco

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possono essere trasferite dal gioco a due al gioco a tre,oppure che le abilità di sintonizzazione e regolazione affettiva nelle interazioni triangolari possono essere parallele a quelle diadiche,più studiate e documentate. Una recente teorizzazione sullla dinamica dei processi interattivi nella famiglia ipotizza l'esistenza di una triangolazione primaria alla base delle comunicazione che intercorrono fin dai primi mesi di vita tra il bambino ed entrambi i genitori,che rappresenta un processo normativo nelle inetrazioni familiari come nelle relazioni interpersonali,che sono fondate proprio sulla dinamica delle triangolazioni. Il concetto di triangolazione viene utilizzato sia nella teoria psicodinamica che in quella dei sistemi familiari. Toeria psicodinamica--->Il termine fa riferimento all'esperienza edipica soggettiva del bambino relativa al sentimento di esclusione dalla relazione intima fra i genitori descritta da Freud fra i tre e i quattro anni di età. Teoria dei sistemi familiari--->Il termine fa riferimento al processo problematico in cui un bambino viene preso nella relazione conflittuale con i genitori al fine di deviarne la tensione. Sia nella triangolazione psicodinamica che in quella dei sistemi familiari sono le caratteristiche dolorose del conflitto a renderla una tematica di fondamentale importanza. Le donne,anche nelle famiglie in cui l'accudimento è condiviso fra varie figure,svolgo9no la parte piu importante della cura necessaria al bambino. Questo fenomeno è stato discusso studiando la differenza fra l'uomo che "fa"il genitore e la donna che "è" genitore.Molti uomini sperimentano un senso di frustrazione e si sentono esculsi dalla relazione diadica madre-bambino nei primi mesi dopo il parto mentre altri cercano comunque di rimanere vicini alla propria partner ed al bambino. Il coinvolgimento paterno viene tendenzialmente valutato secondo il grado di partecipazione all'accudimento pratico del bambino,e nella gestione delle necessità domestiche,ma potrebbe essere meglio compreso considerando anche la percezione che la donna ha del contributo del partner nei confronti del bambino e della famiglia. Il mutuo coinvolgimento genitoriale dovrebbe favorire lo sviluppo infantile in funzione di quanto i partner reciprocamente si adattano alla modalità genitoriale dell'altro.Quando un genitore,sia esso padre o madre,tenta di imporre all'altro il suo punto di vista sul tipo di accudimento del bambino,si può giungere ad una disorganizzazione familiare. La madre è il centro emotivo della famiglia e tutte le dinamiche del gruppo familiare fanno comunque riferimento alle risposte della madre alla nuova condizione di genitore ed al ruolo che assumono i due partner,tanto che le differenze individuali delle donne nella transizione alla genitorialità possono detrminare le modalità delle dinamiche del gruppo familiare. Sebbene molte madri vivano i loro partner come un supporto e siano motivate a delegare le responsabilità,poche considerano realmente il padre come sostitutivo per le funzioni materne. Un altro fattore importante è la considerazione che la donna ha del contributo che il proprio partnerdà all'accudimento del bambino,e la volontà della madre di creare uno spazio per lui nella triade familiare. VALUTAZIONE DELLE INTERAZIONI PRECOCI

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Le diverse tecniche di valutazione fanno riferimento ai presupposti teorici illustrati nel descrivere le interazioni precoci. GLI STUMENTO OSSERVATIVI Bernard:L'osservazione come metodo scientifico per raccogliere dati rilevanti per una particolare ipotesi può essere invocata ,quando l'osservatore non interviene direttamente sul fenomeno oggetto di osservazione,o provocata, quando,invece,oggetto di osservazione è il risultato di una qualunque manipolazione della realtà effettuata dall'osservatore. Anche se la prima osservazione di un bambino è quella riportata da Freud nel famoso gioco del rocchetto,in cui egli stesso sottolinea l'importanza ed il potenziale euristico dell'osservazione diretta del comportamento,la formulazione e la definizione di un metodo osservativo su base psicoanalitica si delinea intorno agli anni 50 e si consolida negli anni 60 nell'ambito della psiocologia dell'Io(Hartmann,Anna Freud,Margaret Mahler). Fra i contributi che si siono avvalsi della metodologia osservativa quelli di Spitz e di Stern si spostano verso un nuovo territorio in cui l'osservazione psicoanaliticamente orientata entra nell'area della ricerca empirica.Spitz negli anni 50 rivolge il suo interesse soprattutto all'io,alla sua onotgenesied alla sua struttura preoccupandosi di evitare nelle teorie psicoanalitiche estrapolazioni arbitrarie.Egli si propose di fondare la psicologia dell'io sull'osservazione diretta del bambino come garanzia di obiettività scientifica,sviluppando una tecnica originale di osservazione denominata"screen analysis",intesa a distanziare maggiormente osservatore ed osservato. Stern ha introdotto in modo sistematico le metodiche osservative orientate in senso psicoanalitico per studiare i sistemi regolativi del sé infantile.Il suo contributo rappresenta una pietra miliare sugli studi sull'infanziaper il rigore metodologico,per la novità del suo impianto e per la prospettiva interazionale nella diade madre-bambino,volgendo l'attenzione alla particolarità degli scambi affettivi tra i due,mettendo in luce la capacità della madre di sintonizzarsi con gli stati d'animo del bambino e traducendone il profilo in una configurazione comportamentale.Le ricerche di stern mettono in discussione alcuni capisaldi del modello psicoanalitico dello sviluppo infantile,come ad esepio la teoria delle pulsioni. Il neonato,infatti,biologicamente ìè "predisposto" ad instaurare relazioni sociali con la madre e gli altri esseri umani,non è passivo e totalmente dipendente dalla madre,ma è in grado di stimolare le interazioni sociali oltre che rispondere. Secondo Stern vi è uno stato sombiotico costituito da relazioni interdipendenti e mutuamente vantaggiose per i due partner;i comportamenti individuali sono separabili,ma in virtù dell'interazione il ciomportamento dell'uno è indecifrabile quando viene separato. ELENCO DEGLI STRUMENTI OSSERVATIVI: 1)Infant Observation--->Prevede che un operatore addestrato esegua un'osservazione diretta e partecipe del bambino durante i primi due anni di vita come strumento per comprendere sia la specificità della relazione madre-bambino,sia i vissuti di entrambi con gli altri membri della famiglia all'interno della propria casa.Attraverso

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l'uso di questa tecnica si vuole conoscere in modo approfondito come i bisogni,il mondo interno del bambino e le funzioni già presenti alla nascita si integrano tra loro ed interagiscono con le capacità relazionali della madre,rivelando un neonato ricco di capacitàmotorie,sensoriali e mentali che lo rendono attivo e partecipe interlocutore della madre,in una visione di continuità tra il periodo prenatale e quello postnatale. 2)Strange situation--->Attraverso questa tecnica mMary Ainsworth ha contribuito a dare una base empirica alle ipotesi sui legami di attaccamento definendo i pattern di attaccamento(sicuro,insicuro-evitante,insicuro-ambivalente,insicuro-disorganizzato).Si crea una situazione mediamente stressante per il bambino allo scopo di valutare il tipo di attaccamento che ha stabilito con il genitore.L'intera procedura è videoregistrata.La tecnica della Strange Situation è composta da una sequenza di otto episodi: *Madre e bambino entrano insieme in una stanza predisposta in cui sono presenti alcuni giocattoli che il bambino viene invitato ad usare *Entra un estraneo *Esce la madre e il bambino resta solo con l'estraneo *La madre rienta ed esce l'estraneo *Il bambino resta solo *Entra l'estraneo *Rientra anche la madre *L'estraneo esce e il bambino resta di nuovo solo con la madre Da questa prospettiva,a partire dalla metà degli anni 70,l'interazione madre-bambino viene vista come la matrice dello sviluppo non solo emotivo ma anche cognitivo del bambino. 3)Global Rating Scale For Mother-Infant Interaction(GRS)--->Metodo che consente di studiare la qualità dell'interazione precoce madre-bambino utilizzando l'interazione face to face fra madre ed un bambino di due-quattro mesi. L'interazione,della durata di cinque minuti,viene videoregistrata e può essere filmata a casa della donna o in un ambiente attrezzato.Madre e figlio si dispongono l'uno di fronte all'altro in modo da permettere la libertà e naturalezza alla coppia,in modo che i loro sguardi siano alla stessa altezza.Il bambino si deve trovare in uno stato ottimale.Alle madri viene richiesto solo di giocare liberamente con i figliescludendo l'uso di oggetti, Con l'uso di questa tecnica si analizzano vari aspetti dell'interazione sulla base di tre scale materne composte da tredici sottoscale,e due scale del bambino composte da sette sottoscale ed una scala globale composta da cinque sottoscale che valutano la qualità generale dell'interazione.(LEGGERE TABELLA A PAGINA 217). Questo strumento è stato utilizzato per valutare se la depressione materna e la presenza di avversità personali e sociali possono influire sulla qualità dell'interazione,quanto la qualità delle interazioni precoci,delle avversità sociali e personali e della depressione materna influenzino lo sviluppo cognitivo del bambino,indagato in tempi sequenziali successivi nelle varie etò. 4)Lausanne Triadic Play(LTP) --->E' una procedura che si svolge secondo un preciso schema durante il quale vengono osservate 4 configurazioni relazionali:La prima(detta del primo più uno) in cui il padre e il bambino interagiscono direttamente mentre la

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madre assume un ruolo di osservatrice partecipante;la seconda in cui madre e padre si scambiano i ruoli,la terza(detta del tre insieme)in cui il padre,la madre e il bambino interagiscono pariteticamente come una triade e la qualrta in cui il bambino assume il ruolo di osservatore partecipante mentre madre e padre interagiscono direttamente tra loro.L'assunto è che i genitori per poter negoziare con successo la transizione tra la modealità del due più uno e la modalità del tre insieme debbano tradurre le istruzioni rivolte al loro bambino in un linguaggio non verbale. Il LTP permette la sistematica osservazione delle interazioni familiari e della coordinazione della famiglia nel raggiungere un obiettivo,avendo come presupposto di base che attraverso l'osservazione dei comportamenti(famiglia praticante)si possa accedere al livello di intersoggettività,ovvero delle intenzioni,dei sentimenti e significati che sono espressi nelle relazioni familiari. Ciascunaseduta di gioco viene videoregistrata in modo da poterla valutare secondo quattro letture: 1)Funzionale clinica:che consente costruendo una descrizione narrativa di quanto avviene nell'LTP,di definire le alleanze familiari o problematiche,più efficaci nel gioco a tre o meno efficaci,cooperative o disturbate. 2)Strutturale:considera le interazioni a tre come una struttura con una stratificazione gerarchica delle diverse azioni 3)Lettura del processo:che tenta di descrivere le dinamiche che sostengono quel determinato assetto triangolare,cioè come i partner coordinano le loro azioni o come riparano le eventuali coordinazioni errate. $)Lettura evolutiva: che prende in considerazione il cambiamento che si verifica nel primo anno di vita e che porta il bambino dalla comunicazione socialee quella intersoggettiva e socioaffettiva. GLI STRUMENTI NARRATIVI La ricerca narrativa costituisce un approccio qualitativo che mira a descrivere e comprendere il significato ed il valore attribuito dagli individui o da gruppi sociali agli eventio situazioni che costituiscono l'oggetto della ricerca. 1)Adult Attchment Interview--->é costruita per studiare le rappresentazioni dell'attaccamento delle madri di ungruppi di bambini osservati utilizzando la Strange Situation.L'ipotesi alla base dello strumento era quella di rintracciare una connessione o un collegamento fra le esperienza di accudimento vissute dai genitori e le modalità relazionali che si erano instaurate con i figli. Il sistema di codifica della AAI si limita dunque ad osservare lo "stato della mente" del soggetto relativo dell'attaccamento,ovvero un aspetto generale e narrativo del modo di porsi dell'individuo rispetto alla propria esperienza.(le categorie dell'AAI sono in tab.7 pag.220). La relazione tra i modelli di attaccamento e psicopatologia è oggetto di studio nell'ipotesi che i soggetti con problemi clinici possano riportare con maggiore frequenza rappresentazioni dell'attaccamento di tipo insicuro,ma al momento attuale nessuna entità diagnostica può essere messa in relazione sicuramente con un particolare stile di attaccamento. 2)Contextual Assessment of Maternity Experience(CAME) --->E' stata creata per

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vvalutare l'esperienza soggettiva della gravidanza e dei primi sei mesi dopo il parto. Questa intervista dura circa un'ora e viene audioregistrata e trascritta utilizzando le schede di valutazione che fanno parte del manuale d'uso dell'intervista.Il colloquio permette di ottenere un quadro dettagliato della vita della donna durante la transizione alla maternità ed una valutazione dettagliata dei maggiori fattori di rischio per i disturbi emotivi,,in speciale modo per la depressione,durante la gravidanza e il post-partum. La componente che indaga gli atteggiamenti ed i sentimenti verso la gravidanza e la maternità considera tre ambiti fondamentali:L'impegno attuale nella gravidanza,i sentimenti positivi verso la gravidanza,i sentimenti negatii verso la gravidanza. La parte che affronta il post-partum si focalizza sui sentimenti e e gli atteggiamenti della donna circa il bambino e la maternità e lo specifico contesto perinatale.In questo caso gli ambiti fondamentali sono:la realizzazione del ruolo materno,il sentimento di vicinanza e antipatia verso il bambino,la percezione del bambino come difficile,le proprie competenze ed incompetenze come madre,le informazioni circa il parto e l'allattamento. 3)Rappresentazioni Materne in Gravidanza (IRMAG)--->Elaborata su presupposti essenzialmente psicodinamici,indaga le modificazioni che riguardano il mondo rappresentazionale della donna nel periodo della gestazione,il modo in cui la donna organizza ed elabora le proprie informazioni,i propri affetti,ricordi pensieri e comportamenti affrontando l'esperienza della gravidanza.Il concetto di rappresentazione può essere considerato uno dei cardini nella teoria psicoanalitica:esso viene inteso come modo attraverso cui il soggetto organizza e costruisce con processi di introiezione ed identificazione immagini mentali di sé e dell'altro. Il presupposto su cui nasce l'intervista è quello di esplorare nella donna che si trova ad affrontare la maternità,l'area delle rappresentazionimentali concernenti non solo sè stessa ,ma anche il partner e la propria famiglia d'origine. Attraverso la valutazione,in cui si analizza l'organizzazione narrativa delle risposte indipendentemente dai contenuti,si codifica il trascritto secondo le scale della ricchezza delle percezioni,,l'apertura al cambiamento e la flessibilità,l'intensità dell'investimento,la coerenza,la differenziazion,la dipendenza sociale e la dominanza delle fantasie. *rappresentazioni materne integrate/equilibrate:L'esperienza della gravidanza è ricca dal punto di vista affettivo,percettivo cognitivo,il modello narrativo di sé e del bambino è coerente,flessibile ed autonomo. *Rappresentazioni ristrette/disinvestite:La donna tende a razionalizzare l'esperienza della gravidanza,con astrattezza,impersonalità e scarso coinvolgimento emotivo in un racconto piatto;le fantasie quando emergono sono di timore per la perdita e la morte del bambino;spesso vi sono atteggiamenti oppositivi e di contrasto verso la propria madre e la propria famiglia. *Rappresentazioni non integrate/ambivalenti:La donna mostra tendenze opposte nei confronti della gravidanza come pure del nascituro,il modello narrativo è oscillante,confuso e incoerente,denso di contenuti fantasmatici di inadeguatezza,malattia,perdita,morte e colpa relativi a sé ed al bambino. Nel post partum un'altra intervista è l'IRMAN che deriva dall'IRMAG e ha l'obiettivo di esplorare,attraverso l'analisi dello stile narrativo della neomadre(a 4 mesi dal parto),i cambiamenti nelle rappresentazioni materne che la nascita del figlio e le interazioni con

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il bambino"reale"possono suscitare relativamente alla percezione di sé come caregiver ed alla rappresentazione mentale del proprio bambino. Dall'adattamento di questo strumento,è derivata l'intervista anche per il padre che studia le modalità rappresentative e narrative dei futuri padri nel periodo di attesa del primo figlio e dopola nascita,nel momento cioè di passaggio ad una nuova identità familiare. Le aree di inadgine esplorate hanno soprattutto focalizzato le emozioni,le fantasie i vissuti della dimensione paterna,in specifico alla sfera individuale,di sé come figlio e di sé nella coppia.Particolare attenzione riveste,inoltre,nell'intervista il tema del cambimento dopo la nascita. LA PSICOPATOLOGIA DELLA MATERNITà DISTURBI PSICHICI IN GRAVIDANZA E' osservazione comune comune che durante la gravidanza alcune donne presentino una sintomatologia ansiosa o ansiosa-depressiva,più frequentemente durante il primo trimestre. Si tende a considerare anche quelle situazioni che si riferiscono ad una alterazione dell'adattamento alla condizione gravidica come il diniego della gravidanza e la mancanza di attaccamento al feto.,che potrebbe costituire un fattore di rischio della genesi dei disturbi della relazione madre-bambino. DISTURBI NELL'ADATTAMENTO ALLA GRAVIDANZA Durante la gravidanza la donna deve provvedere alla salute del feto e contemporaneamente affrontare i relativi sacrifici che la maternità comporta,valutare come la famiglia accetta la gravidanza,sviluppare progressivamente un legame con il feto,tollerare il cambiamento del suo aspetto fisico e della sua identità complessiva e modificare la sua relazione con il padre del bambino,in particolar modo se si tratta della prima maternità. E' stato evidenziato che una gravidanza non desiderata può determinare nella donna una reazione di rabbia e di rammarico,un vissuto di frustrazione delle ambizioni personali e notevoli difficoltà di rapporto col parter.. Inoltre è stato visto che la gravidanza modifica la relazione di coppia in quanto la donna diviene emotivamente più instabile,più bisognosa di attenzioni e sensibile ai segnali di rifiuto. La gravidanza è accompagnata spesso da sintomi fisici.In questo periodo infatti la nausea e il vomito sono molto frequenti e possono essere considerati come la manifestazione esterna dell'adattamento psicobiologico alla gravidanza nel senso che sono collegati da un lato con l'aumento della concentrazione delle gonadotropine corionoche,dall'altro con la conflittualità presente nella fase iniziale della gravidanza fra l0'accettazione ed il rifiuto della maternità. Sono stati descritti casi di diniego della gravidanza,collegato a situazioni di gravidanze accidentali,o di prime gravidanze in donne giovani,che può andare dal totale e duraturo disconoscimento alla mancata consapevolezza dello stato gravidico. I meccanismi psicologici implicati nel disconoscimento della gravidanza includono:

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*Il Diniego: è un meccanismo difensivo utilizzato inconsciamente per evitare aspetti della realtà estremamente angoscianti quali ad esempio eventi inaccettabili come una grave malattia o un agravidanza,oppure emozioni spiacevoli come l'invidia o la rabbia. *La Dissociazione:consente di escludere inconsapevolmente dalla coscienza conflitti emotivi e fonti di stress interne o esterne vissuti come troppo minacciosi,conflittuali o ansiogeni,come ad esempio la percezione dello stato gravidico. Al momento del parto in questi casi esiste un alto rischio di infanticidio,valutabile come una conseguenza del diniego di gravidanza e del mancato attaccamento madre-feto. Sono state descritte alcune alterazioni di questo processo affiliativo che non appartengono a quadri psiopatologici precisi,ma si riferiscono alle situazioni di diniego di gravidanza,ed a condizioni in cui la madre vive il feto come un intruso ed un elemento di disturbo sia fisico che psicologico. PSEUDOCIESI La falsa gravidanza o pseudociesi è una condizione rara caratterizzata dalla presenza di segni di una gravidanza,cioè amenorrea,aumento di volume dell'addome modificazioni del seno,aumento di volume dell'utero. Questa particolare condizione va differenziata rispetto ad un delirio di gravidanza,ad una simulazione di gravidanza.Il delirio di gravidanza può manifestarsi nelle forme acute o croniche di psicosi,ma il contesto è diverso perchè mancano i segni fisici di una gravidanza. La risoluzione di una falsa gravidanza viene giustificata a volte dalla donna con la morte del feto. La pseudociesi va ricordata per i rapporti con gli altri disturbi della gravidanza e del puerperio.Essa è stata considerata come un sintomi di conversione,una manifestazione dui paura e desiderio della gravidanza,una condizione collegabile ad un lutto o una separazione,un disturbo di personalità. DISTURBI D'ANSIA E DEPRESSIONE IN GRAVIDANZA I quadri clinici più frequenti sono rappresentati da disturbi d'ansia a tipo attacchi di panico,fobie,ossessioni-compulsioni,ansia generalizzata,disturbo post-traumatico da stress,da disturbi somatoformi e da formne di depressione.E' noto anche il fatto che la presenza di disturbi ansioso-depressivi in gravidanza si collega con la depressione puerperale costituendone un importante fattore di rischio. Da un punto di vista psicologico sono state individuate da Raphael-Leff alcune situazioni conflittuali collegabili alla gravidanza.Una di esse si verifica quando questa non è desiderata,o inopportuna,o avviene in un momento sbagliato per la donna o per la coppia. Una ulteriore situazione di conflitto si realizza quando la gravidanza è complicata da problemi fisici,socioeconomici o da eventi traumatici che possono rendere la donna ansiosa e insicura. Abitualmente lo stato emotivo della donna durante la gravidanza è più instabile,il suo umore tendenzialmente più iritabile e disforico con preoccupazioni per il parto e modificazione degli interessi,caratteristiche che si mantengono abbastanza stabili nel corso di questo periodo per poi variare nel puerperio.

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La gravidanza costituisce essenzialmente un fattore di stress a causa dei profondoi cambiamento biologici,psicologici e sociali che determina e può essere considerata per certi aspetti un agente etiologico per i disturbi psichici,ma con caratteristiche particolari. Nei confronti dei sintomi di tipo ansioso invece la gravidanza può costituire un effettivo fattore patogenetico o quando esistano dei fattori che aumentano la vulnerabilità di alcuni soggetti. Si può concludere comunque che lo stress della gravidanza può avere la capacità di indurre in donne sane la comparsa di sintomi ansiosi. Il primo trimestre risulta il periodo in cui va segnalata con maggiore frequenza la presenza di un disturbo depressivo,ma la presenza di una sintomatologia depressiva nel terzo trimestre della gravidanza costituisce un importante fattore di rischio per la comparsa della depressione post-partum. Si può sostenere che la gravido-puerperalità comporti un relativo aumento dei disturbi depressivi,più evidente nel puerperio ma evidenziabile anche nel corso della gravidanza. DISTURBI PSICHICI NEL PUERPERIO La gravidanza costituisce un periodo relativamente silente da un punto di vista psichiatrico in quanto la ptologia psicotica preesistentetende ad attenuarsi e le ricadute o la comparsa di nuovi episodi psicotici sono rari durante questo periodo. Negli ultimi vent'anni sono stati studiati le forme depressive del pueperio,i fattori associati con i diversi quadri clinici,l'evoluzione dei quadri pueperali e le ripercussioni di questa patologia nella relazione madre-bambino e sullo sviluppo infantile,con uno spostamento da un piano puramente clinico-nosografica verso aspetti epidemiologici e preventivi. La prospettiva psicodinamica la maternià può essere considerata una "crisi d'identità" per le modificazioni somatiche e psicologiche che la caratterizzano ed il parto l'evento che segna la realizzazione delle potenzialità creative. Non sorprende che le modificazioni biologiche sociali e psicologiche legate alla nascita di un figlio possano determinare numerose manifetsazioni psicopatologiche nel periodo pueperale quali:stati confusionali a insorgenza precoce,disturbi d'ansia,depressione,psicosi puerperali,disturbi della relazione madre bambino..(leggere tab 9). STATI CONFUSIONALI Sono stati descritti fin dall'800 stati confusionali insorti acutamente durante il parto,che possono durare alcuni giorni dopo la nascita del bambino,caratterizzati da transitorie alterazioni cognitive con deficit di memoria e di attenzione e stato di agitazione psicomotoria la cui patogenesi non è chiara,anche se oggi si tende ad attribuirla ad un parto particolarmente doloroso. DISTURBI D'ANSIA Alcune madri soffrono nei primi giorni dopo il parto di un disturbo definibile come

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Panico postpartum cioè una sintomatologia ansiosa acuta con attacchi di panico ricorrenti della durata complessiva di qualche settimana che riguarda le esperienza abituali della funzione materna come ad esempio rispondere al pianto del bambino,allattarlo,accudirlo,che in questi soggetti vengono vussuti come una grande fatica e responsabilità. Un aspetto particolare di questa forma rigurda la paura della morte improvvisa del neonato. Possono comparire anche disturbi ossessivi,il cui inizio può essere messo in relazione con l'evento nascita come unico evento vitale significativamente correlato,sottoforma di impulsi a danneggiare o uccidere il bambino,gettarlo dalla finestra,maltrattarlo. Disturbi sovrapponibili al Disturbo postraumatico da stress,che deriva da un'esposizione imprevista ad un grave trauma,sono stati osservati in donne che avevano avuto un parto estremamente difficoltoso per vari motivi ostetrici. Dopo il aprto,anche durante la gravidanza,possono comparire sintomi dismorfofobici,cioè preoccupazioni eccessive che riguardano l'aumento di volume del corpo e dell'addome. DEPRESSIONE POSTPARTUM Si può cofermare questa forma collegabile a una serie di fattori. Confermati--->si evidenziano una storia personale di depressione,la presenza di fattori in gravidanza,una relazione di coppia conflittuale e insoddisfaciente,una carenza di supporto da parte del partner e dei genitori e la presenza di eventi traumatici nel corsiìo e durante l'ultimo anno. Gli aspetti conflittuali sembrano collegati soprattutto alla cosidetta depressione minore,cioè quella forma a insorgenza tardiva e sintomatologia non totalmente invalidante che consente alla donna di svolgere,sia pure con grandi difficoltà,la funzione materna.Difficoltà abitative e finanziarie acuiscono la relativa fragilità psicologica della donna nel periodo puerperale e gravidico. Probabili--->si evidenzia una storia familiare di disturbi dell'umore,la presenza di un grave maternity blues,l'assenza del partner,alcune caratteristiche di personalità come ad esepio uno stile cognitivo negativo dopo la nascita,un' esperienza del parto traumatica con comlicanze ostetriche,una depressione del partner,difficoltà di comportamento e di temperamento del bambino,l'alterazione del sistema serotoninergico e dell'asse ipotalamo-ipofis-surrene.Una depressione postpartum non curata tende alla cronicizzazione è può incidere sul funzionamento complessivo della personalità determinando sentimenti di solitudine,riduzione,ostilità e difficoltà di relazione con gli altri. I figli delle donne depresse esprimono sentimenti più negativi e reagiscono più negativamente allo stress rispetto ai bambino di madri non depresse,mettendo in evidenza che l'alterazione dell'umore della madre interferisce negativamente con la qualità della relazione madre bambino. Possibili--->vengono segnalati l'allattamento,una disfunzione tiroidea di tipo autoimmunitario segnalata dopo quattro cinque mesi dal parto,i cambiamenti dell'assetto ormonale,l'età della donna,un parto prematuro,la presenza di disturbi fisici come stanchezza,dolori alla schiena,difficoltà sessualialcuni mesi dopo il parto.Sembra che le donne depresse interrompano l'allattamento più precocemente rispetto alle

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donne non depresse. CAPACITà PREDITTIVA DEI FATTORI DI RISCHIO Poter valutare i fattori di rischio prenatale non esaurisce il problema della predittività della depressione postpartum,dal momento che nel pueperio sono relativamente poche le donne che sviluppano una depressione. PROBLEMI DIAGNOSTICI La nozione di depressione puerperale deriva da una serie di osservazioni che hanno evidenziato la comparsa di depressione in un rilevante numero di donne nel corso del primo anno dopo il parto e un'alta frequenza di episodi depressivi in questo periodo. Un primo problema riguarda la variabilità nella prevalenza della depressione puerperale riportata da vari autori:i valori più bassi sono ricavati dalle casistiche dei medici generici che hanno diagnosticato verosimilmente solo i casi più gravi ed evidenti di depressione.I valori più alti corrispondono invece a criteri di valutazione basati sulla presenza di un certo numero di sintomi derivabili dall'uso di questionari e di rating scale. Il lavoro di pitt ha segnato una tappa importante nella definizione della depressione pueperale.I criteri clinici seguiti dall'autore sono stati i seguenti: 1)descrizione di sintomi depressivi da parte delle puepere; 2)i sintomi doveva ìno essere comparsi dopo il parto; 3)i sintomi dovevano essere inusuali nell'esperienza delle donne e ad un livello inabilitante; 4)i sintomi dovevano persitere per più di due settiamane. Un secondo problema riguarda l'intervallo di tempo cge intercorre tra il parto e la registrazione della sintomatologia depressiva.I dati sono disomogenei poichè so iscilla dalle tre settimane circa dopo la nascita fino ad un anno del parto,con un intervallo di tempo troppo disperso per essere indicativo. Un terzo problema è rappresentato dalla difficoltà di attuare una attendibile procedura di screening della depressione puerperale utilizzando strumenti che abbiano una buona sensibità,cioè la capacità di discriminare correttamente la depressione,ed una buona specificità di identificare la normalità. QUADRI CLINICI la depressione postpartum comprende tre quadri diversi distinguibili descondo i criteri diagnostici RDC di Spitzer: 1)Maternity Blues:Questa sindrome la cui denominazione fa riferimento alla tristezza del postpartum è nota anche come milk fever o transitory syndrome. Si tratta di una sintomatologia caratterizzata da facilità al pianto,che ne costituisce il sintomo centrale,astenia,orientamento depressivo e dell'umore,ansia irritabilità,cefalea,diminuzione della capacità di concentrazione e difficltà nel pensiero concettuale fino ad un leggero stato confusionale. Ha una durata di circa una settimana entro la quale si risolve completamente. In alcuni casi però si può osservare una diversa evoluzione che comprende:

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*In presenza di una sintomatologia più marcata e duratura che supera i quindici giorni dopo il parto; *L'evoluzione della sintomatologia in un quadro clinico depressivo vero e proprio *Una rapida trasformazione del maternity blues nella psicosi puerperale. Il maternity blues si può considerare non tanto una malattia,quanto piuttosto una reazione fisiologica,anche se la banalità del quadro non deve portarea sottovalutarla.(leggere tabella 14 pag.238) Si possono spiegare due differenti ipotesi per spiegare questa sindrome:una che che considera un'origine prevalentemente organica della sintomatologia(reazione organica acuta)confermata anche dalla presenza di disturbi cognitivi;l'altra che valorizza soprattutto il profilo psicoendocrino,che può determinare nella donna difficoltà nell'accettare il ruolo femminile e nell'assumere la funzione materna. Infatti nei primi tre giorni dopo il parto le angoscie di separazione e di perdita sono vissute intensamente,l'orientamento affettivo della donna è mutevole e l'incertezza sulle proprie capacità materne non ancora sperimentate. è molto presente. 2)Depressione Minore:La sintomatologia di questa forma comprende una depressione dell'umore associata a sensazione di esaurimento fisico più evidente nelle ore serali,irritabilità,diminuzione dell'appetito,riduzione del desiderio sessuale,insonnia,risentimento e ostilità e sintomi somatici di varia natura come riportato in tab.15(pag.238). Spesso sono presenti anche altri disturbi:per esempio l'ansia nella forma acuta da panico,manifestazione fobiche e ossessivo-complusive. L'aspetto più tipico di questa forma riguarda l'insicurezza circa la propria capacità materna,vissuta dalle donne in modo colpevolizzante,che può tradursi al tempo stesso in una eccessiva preoccupazione per il bambino.La sintomatologia assume le tinte di una continua pretesa di sostegno e rassicerazione,che trova accoglimento nell'ambito familiare. La massima frequenza della depressione corrisponde al periodo che va dai tre ai sei mesi dopo il parto,con segnalazione di casi anche fino ai ai nove mesi dal parto che probabilmente corrispondono a quelle forme depressive cosidette da svezzamento che segnano il primo significativo distacco nella relazione madre bambino. Molti autori segnalano l'associazione tra ansia e depressione in gravidanza e la depressione puerperale,ma relativamente pochi distinguono i casi ad insorgenza puerperale da quelli in cui la depressione è insorta precedentemente. La gravidanza infatti sembra costituire un fattore protettivo soprattutto nei confronti della schizofrenia,che può mostrare un miglioramento clinico nel periodo gravidico.Sul rapporto tra manifestazioni depressive in gravidanza e depressione puerperale c'è attualmente una concordanza di opinioni dal momento che la presenza di depressione in gravidanza costituisce uno dei fattori di rischio della depressione postpartum. L'evoluzione di questa forma prevede varie possibilità: *può risolversi in media entro 6 mesi senza lasciare conseguenze, *può presentare recidive successive che perdono il legame con il puerperio per assumere tutte le caratteristichhe della Depressione maggiore; *può cronicizzarsi trasformandosi in uno stile di vita nevrotico spesso con aspetti fobici e ossessivi,che caratterizza la relazione della donna con il figlio e con gli altri membri della famiglia.

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Depressione Maggiore:La sintomatologia della depressione maggiore appare più grave e persistente rispetto alla depressione minore,può essere associata a confusione ed avere esordio acuto.La maternità e l'accudimento del bambino costituiscono il contenuto della maggior parte dei vissuti e dei deliri depressivi.Le pazienti infatti possono manifestare sentimenti eccessivi e perfino deliranti di inutilità e autoaccusa accompagnati da intensa agitazione o rallentamento motorio,,o possono convincersi che i loro bambini non siano sani nonostante le smentite del pediatra o del medico curante. L'insorgenza della depressione maggiore è più precoce rispetto alla forma minore,dal momento che si distribuisce nel corso del primo mese dal parto con una maggiore concentrazione nella prima settimana. PSICOSI PUERPERALI FATTORI DI RISCHIO Nelle primipare il rischio di una psicosi puerperale è più alto che nelle multipare,anche se questo disturbo si può manifestare in occasione di gravidanze successive alla prima,indipendentemente dal numero. Per quanto riguarda la familirità psichiatrica non si può ipotizzare la presenza di un fattore ereditario,ma la letteratura è concorde nel segnalare la presenza di disturbi psichici prevalentemente dello spettro affettivo negli ascendenti delle donne affette da una psicosi puerperale. Gli stress psicosociali come ad esepio la condizione non coniugale,un parto cesareo o la morte del feto costituiscono secondo alcuni autori un fattore di rischio per la psicosi puerperale,mentre la presenza di eventi traumatici nel corso dell'anno precedente al parto,uno scarso supporto ambientale o una situazione conflittuale con il partner non sembra che aumentino il rischio di insorgenza di una psicosi,così come il sesso del bambino o l'avanzata età materna al momento del parto. In una prospettiva psicodinamica si può ipotizzare che il break-down psicotico puerperale rappresenti una sorta di fuga dal lavoro della maternità,cioè da quel processo di adattamento psicologico reciproco che avviene fra madre e bambino dopo l'interruzione del legame fisico della gravidanza. QUADRO CLINICO La sintomatologia si manifesta per lo più entro le prime due settimane dal parto ed il ricovero in ospedale,spesso necessario,avviene di solito entro il primo mese.Il quadro è composito in quanto coesistono sintomi affettivi(mania,depressione,e stati manicali e depressivi)con elementi deliranti sia congrui col disturbo dell'umore che incongrui,allucinazioni,perplessità incoerenza,disorganizzazione evidente del comportamento,disorientamento e confusione mentale. Nel DSM IV allo scopo di incrementare la specificità diagnostica e migliorare la formulazione delle diagnosi,è stata inserita la specificazione riguardante l'esordio nel postpartum sia per il disturbo psicotico breve che per i disturbi dell'umore;questa dizione si applica quando l'esordio di queste forme si colloca nelle prime quattro settimane dopo il parto. Nell'ICD 10 i disturbi mentali che insorgono nel postpartum vengono classificati come "puerperali" soltanto quando non sono identificabili in altre categorie diagnostiche. Studi recenti tendono ad individuare la schizofrenia nelle forme a inizio più tardivo(dopo

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le prime tre settimane dal parto)e le psiocsi affettive e cicloidi in quelle a inizio precoce. L'elemento confusionale viene segnalato fin dall'inizio come distintivo e specifico di queste forme e considerato come un sintomo delle forme affettive e cicloidi,oppure come un aspetto organico delle psicosi puerperali o infine come un elemento caratteristico del quadro della bouffè delirante allucinatoria con disorganizzazione transitoria della coscienza che indentifica le psicosi puerperali stesse. La durata della malattia viene indicata attualmente intorno a i due mesi.La prognosi è generalemnte buona relativamente al singolo episodio,tanto che le psicosi pueperali vengono condsiderate particolarmente curabili e con un esito migliore rispetto alle altre forme di psicosi. EFFETTI DELLA PSICOPATOLOGIA MATERNA SULLO SVILUPPO DEL BAMBINO E' molto difficile che i bambini che vivono accanto a genitori affetti da quadri psicopatologici lievi o severi non presentino problemi. Non è sempre chiaro invece quali siano i meccanismi attraverso i quali la psicopatologia del genitore possa agire sullo sviluppo del bambino.Sebbene vi siano dati che confermano il meccanismo genetico ed ambientale nella trasmissione dei disturbi psichiatrici,anche la qualità della relazione genitoriale,e delle interazioni familiari costituisce un elemento fondamentale che media queste variabili. Il bambino è visto come una parte di un sistema evolutivo e dinamico che può essere esaminato a tre diversi livelli di complessità(biologico,individuale,sociale,culturale)assumendo così importanza l'analisi delle transazioni tra le caratteristiche costituzionali del bambino e le caratteristiche affettive e sociali del suo ambiente. Vanno poi considerate le ripercussioni della depressione sulla relazione di coppia e sui rapporti intrafamiliari e la possibilità che si manifesti una forma depressiva anche nel partner. Alcuni problemi più attuali a proposito della depressione puerperale riguardano la qualità del rapporto tra madre depressa e il bambino e gli effetti della depressione materna sullo sviluppo infantile. Nelle madri depresse sono state osservate una riduzione del coinvolgimento emotivo e delle possibilità comunicative ed una notevole ostilità nei confronti dei figli. Inoltre la valutazione di madri sofferenti di depressione postpartum hanno dato dello sviluppo dei propri figli è risultata negativa,dal momento che esse hanno segnalato la presenza di difetti cognitivi,di disturbi emotivi e del comportamento nei loro bambini. Più complesse e in continuo sviluppo sono le indagini che studiano direttamente,utilizzando tecniche di videoregistrazione,l'interazione madre-bambino e i modelli di attaccamento.Questo tipo di osservazioni consente di valutare le caratteristiche della relazione nel suo svolgimento dinamico e di collegare i diversi modelli di attaccamento con le tappe significative dello sviluppo infantile. L'interazione di una madre depressa col bambino presenta delle caratteristiche specifiche quali la disforia,la ridotta espressività emotiva,la tonalità malinconica della comunicazione,l'insensibilità verso il bambino,l'aspetto punitivo e controllante,la mancata risposta alle sollecitazioni del bambino. Rispetto all'attaccamento è risultato che i bambini di donne sofferenti di disturbo bipolare hanno minore probabilità di strutturare modelli di attaccamento sicuro rispetto

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ai figli di donne sane,e che questi bambini adottano una strategia di attaccamento evitante rinunciando alla vicinanza con la madre in modo da evitare in parte la sua angoscia e tristezza,non riuscendo però ad evitare i propri sentimenti negativi. La gravità e la durata della sintomatologia depressiva sono ste messe in relazione con lo strutturarsi di strategie di attaccamento insicuro nel bambino,ed è stato osservato che modelli di attaccamento evitanti e ambivalenti sono correlati con quadri clinici di depressione maggiore nella madre.Bisogna comunque considerare che una strategia di attaccamento evitante può avere una funzione difensiva e adattiva del bambino. Anche se alcuni sistemi familiari patologici,queste strategie possono avere un significato adattivo,un attacamento insicuro è comunque correlato con problemi di disregolazione affettiva,con una ipersensibilità alle situazioni di stress,con ansia pervasiva e difficlotà nelle relazioni interpersonali.I bambini cratterizzati da strategie di attaccamento insicuro sono più esposti alle esperienze di stati emotivi di tristezza e di rabbia imprevedibili e fluttuanti,che li rendono più vulnerabili e meno capaci di svilupare un repertorio adeguato di abilità di regolazione delle loro emozioni. Le madri depresse sono risultate raggruppabili in quattro categorie di stile affettivo(intrusivo,ritirato,misto,positivo)valutato con l'interazione faccia a faccia registrata nel primo anno di vita del bambino,da cui successivamente sono derivate due classificazioni: Madri invadenti--->Trattano il bambino duramente,con un tono di voce arrabbiato,spingendolo con le dita e interferendo attivamente con le sue attività;I figli di madri invadenti evitano lo sguardo della madre,prestano solo raramente attenzione agli oggetti e pianono poco; Madri isolate--->Non interagiscono,non sono reattive affettivamente sono piatte e fanno poco per aiutare le attività dei propri figli;i filgi di madri isolate protestano e mostrano con più facilità il loro stato di distress rispetto ai bambini di madri invadenti,,suggerendo che il comportamento di isolamento della madre possa avere un effetto particolarmente negativo sui bambini più piccoli. E' noto il rapporto fra la depressione,la valutazione negativa che la madre dà del proprio figlio e i disturbi della relazione madre-bambino.Lo stato affettivo,i sintomi somatici e il quadro depressivo nel suo complesso riducono la tolleranza delle madri verso i comportamenti problematici del bambino e aggravano la valutazione negativa che esse danno dei propri figli,inducendole a comportamenti di accudimento ostile e sviluppando in loro il convincimento che i filgi manifestano difficoltà di comportamento tali da giustificare condotte coercitive. E' comunque ormai dimostrato che i figli di madri depresse,confrontati con gruppi di controllo,manifestano disturbi nella regolazione delle emozioni,difetti nella capacità di investimento con oggetti e persone,problemi cognitivi durante lo sviluppo ed un comportamento di attaccamento insicuro verso le loro madri a un anno d'età. L'effetto negativo della depressione materna è presente dalle prime due settimane di vita fino all'adolescenza,ma sembra che la vulnerabilità del bambino aumenti con l'età.Tuttavia l'importanza dell'età nojn viene valutata in modo univoco,dal momento che può ridursi nel tempo a causa del costituirsi di strategie di adattamento nei confronti della psicopatologia materna. La qualità dell'accudimento materno nella psicosi puerperale è stata descritta come disorganizzata,insensibile e bizzarra,ma esistono molti effetti indiretti sullo sviluppo da tenere presenti:ad esempio l'infanticidio o l'omicidio del bambino costituiscono la

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situazione più estrema,ma maltrattamento,traumatismi fisici e negligenza possono caratterizzare il comportamento genitoriale. La diagnosi di disturbo schizofrenico nel periodo precedente la gravidanza sembra essere a prognosi più infausta per il bambino. Uno dei primi studi sulla qualità delle interazioni delle madri psicotiche con i loro neonati risale agli anni 70 ed ha evidenziato una tendenza significativa di queste madri a rispondere lentamente ed in modo adeguato ai segnali dei bambini stimolandoli meno sul piano sociale e interattivo. Il bambino vive in un ambiente quotidiano spesso caotico e imprevedibile,caratterizzato da momenti di avvicinamento intenso da parte della madre alternati a lunghi momenti di assenza,distanza e abbandono.Si tratta di quelle che sono state definite "Cure incoerenti" che possono costituire un rischio per il bambino in rapporto agli impulsi della madre. Studiando lo sviluppo dei bambini sembra che nei primi mesi di vita non si osservino differenze particolari di comportamento rispetto ai bambini di mdri normali,mentre ad un anno di età,quando il bambino ricerca un rapporto emotivo più attivo con la madre,essi appaiono poco spontanei nelle loro interazioni e con un basso livello di sviluppo concettuale. LA PSICOPATOLOGIA DELLA PATERNITà I disturbi paterni vengono considerati nell'opinione corrente con una certa ironia e sufficienza a causa del diffuso pregiudizio che gli uomini sono superiori ai travagli affettivi. E' ovvio che la manifestazione patologica dipende da alcuni fattori quali la vulnerabilità del soggetto e il significato particolare che l'evento della gravidanza può assumere in funzione di questa. Da un punto di vista psicologico è possibile distinguere nel padre,livelli diversi di coinvilgimento conflittuale nel proceso di genitorialità,la cui maggiore o minore ampiezza è strettamente collegata alla storia personale del soggetto ed alla organizzazione delle sue difese. LA SINDROME DI COUVADE Nella letteratura antropologica vengono descritte due forme di couvade;una definita pseudomaterna in cui l'uomo mette in atto una simulazione del parto che ha lo scopo di alleviare i dolori della partoriente e di prevenire i pericoli nei quali pò incorrere,l'altra definita dietetica che consiste nell'osservare un regime dieteticostretto per un tempo prestabilito allo scopo di preservare la salute del bambino.Il padre pensa di essere unito al figlio da un legame così profondo,tale che ciò che lui farà avrà ripercussioni sul bambino e sulla sua salute. Questa sindrome è caratterizzata dalla comparsa,in coincidenza con l'ultimo periodo della gravidanza e della nascita,di sintomi somatici come nause,vomito,dolori addiminali acuti, perdita di cibo etc.Gli uomini che presentano sintomi di couvade non hanno alcuna idea del legame esistente fra i loro sontomi e la gravidanza. Questo atteggiamento quasi autopunitivo spinge ad esaminare un elemento importante della sindrome,l'ambivalenza.Il padre avrebbe forti impulsi aggressivi nei confronti del

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bambino e della donna,che vengono agiti nel rito collettivo della couvade nel quale il padre svolge sia un ruolo passivo-soffrente(le simulazioni dei dolori del parto)sia attivo(protezione esercitata dalle sue azioni sulle salute dell madre e del bambino). Una ulterire lettura vede la sintomatologia fisica tipica della sindrome come l'espressione di una strategia difebsiva nei confronti delle conflittualità che si riattivano alla prima paternità che investe massicciamente l'area del corpo,che può essere considerata come una barriera di fronte alla irruzione di angosce troppo intense. La couvade è quindi un fenomeno di natura difensiva,una modalità che alcuni uomini utilizzano per esprimere i conflitti derivanti dalla consapevolezza della paternità,con tutte le responsabilità che ciò comporta,con le paure rispetto alla propria capacità di allevare un figlio e al futuro della relazione di coppia con la compagna. Il padre può tentare di sitituirsi alla moglie nell'accudimento del neonato rivendicando un ruolo di sostituto materno e svolgendo nei confronti del figlio una funzione rivolta più al mantenimento del rapporto simbiotico che al suo superamento. Altre volte invece l'uomo può tentare di assumere un ruolo infantile e dipendente nei confronti della propria compagna sovrapponendosi ai bisogni del bambino e distogliendola dalla relaizone con lui,come se fosse geloso di questo legame e volesse interromperlo. GLI ACTING DELLA PATERNITà Da molti autori vengono descritte modalità comportamentali definibili come "acting della paternità"che sono il frutto di conflitti collegati al sentimento di esclusione e alla conseguente ostilità dell'uomo verso la sua compagna.non elaborati mentalmente ma esclusivamente agiti.Ne vengono individuati tre diverse categorie cliniche: Categoria delle lotte: rientrano atteggiamenti a carattere aggressivo che si esprimono ad esmpio come particolare litigiosità e aggressività dell'uomo nei confronti della propria famiglia e di quella della moglie o degli estranei,con abuso talvolta di alcol e stupefacenti.Tutti questi comportamenti hanno la caratteristica di essere in contrasto con le abitudini e gli atteggiamenti usuali di questi uomini. Categorie delle fughe: Si descrivono situazioni in cui i padri si gettano freneticamente nel lavoro nei mesi che precedono e seguono la nascita in modo da evadere da casa per ragioni professionali o scompaiono definitivamente. Categoria dell'attività sessuale: è di comune osservazione l'interruzione dei rapporti sessuali durante la gravidanza motivata soprattutto da timore di danneggiare il bambino.Altrettanto frequente è il rilievo di relaizoni extraconiugali che avvengono in coincidenza con la gravidanza e la nascita del figlio che sono da collegare non tanto a insoddisfazioni e frustrazioni nel rapporto di coppia,quanto alla riattualizzazione di conflitti e ansie che riguardano l'identità sessuale. Le angosce della paternità possono essere rimosse o negate attraverso modalità più o meno accettate come la couvade e i comportamenti appena descritti,ma può anche accadere che i tentativi di elaborare falliscano.In questo caso possono comparire manifestazioni psicopatologiche di varia gravità come depressioni e scompensi psicotici,certamente più rari nei padri che nelle madri. LE PSICOSI

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Le cosidette psicosi della paternità sono crisi psicotiche acute,riconducibili essenzialmentealla diagnosi del DSM IVdi Disturbo psicotico breve,che insorgono in occasione della prima paternità in soggetti con una storia personale essenzialmentepriva di alterazioni psichiche manifeste. Questi quadri clinici sono caratterizzati dalla presenza di deliri di gelosia,o meglio di tradimento,e di persecuzione,di una importante componente affettiva sia depressiva che maniacale. Difficili rapporti con i genitori,un legame particolare con la madre,una figura paterna assente o inefficace ed una dipendenza affettiva dalla compagna nella relazione di coppia sembrano costituire le caratteristiche delle relazioni di questi soggetti. Al momento della nascita del primo figlio,questi uomini sono costretti ad affrontare il confronto con la figura paterna,la mancata identificazione con questa figura ed il legame simbiotico con la propra madre,mantenuto intatto anche nella vita adulta.Tali caratteristiche psicodinamiche costituiscono gli elementi della vulnerabilità di questi soggetti nei confronti di un vento come la paternità.Si può quindi ipotizzare che i sintomi psicotici possano rappresentare la drammatizzazione di un conflitto che si attiva acutamente di fronte alla nascita di un figlio e che sia impossibile a questi soggetti accedere alla paternità in modo equilibrato dal momento che la funzione paterna è sostanziamente assente nel loro universo simbolico. DISTURBI DELLA RELAZIONE GENITORE-BAMBINO E' importante sottolineare il rapporto tra le conflittualità interne del singolo genitore,quelle relative alla coppia e alla situazione tridica e alcune manifestazioni patologiche del comportamento che esprimono l'incapacità di alcuni soggetti ad assumere le funzioni di protezione,accudimento e educazione dei figli specifiche del ruolo genitoriale. MALTRATTAMENTO---> La world Health Organisation definisce come"maltrattamento e abuso ai minori qualsiasi forma di maltrattamento fisico e/o pasicologico,abuso sessuale,trascuratezza,sfruttamento commerciale e di altro tipo in grado di detreminare un danno attuale o potenziale per la salute,la sopravvivenza,lo sviluppo o la dignità del bambino nel contesto di una relazione di responsabilità,fiducia e potere". Il maltrattamento fisico riguarda una fascia di età a rischio costituita da bambini fra 0 e 3 anni.I bambini oggetto di maltrattamenti possono essere fisicamente fragili,ad esemio i portatori di handicap fisici o ritardati mentali,quindi bisognosi di attenzioni e accudimenti particolari che costituiscono un fattore predisponente attivandonell'adulto sentimenti di frustrazione,di rifiuto e di aggressività. Sono state descritte forme diverse di maltrattamento fisico, come le percosse,lo scuotimento,le ustioni,il soffocamento ,l'intossicazione e l'avvelenamento e quella particolare forma definita come sindrome di Munchausen per procura,in cui la madre induce uno stato di malattia a carico dl proprio figlio allo scopo di ottenere cure,accertamenti medici o ospedalizzazioni ripetute. I genitori non necessariamente presentano una patologia psichiatrica,ma se questa è presente si tratta di disturbo depressivo,abuso di sostanze o disturbo di personalità. Il maltrattamento psicologico è una forma di violenza sui minori i cui confini sono spesso sfumati:da un lato infatti si può confondere con atteggiamenti pedagogici rigidi

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con violenza fisica,dall'altra con comportamenti generici di incuria,svalorizzazione,permissività,deresponsabilizzazione che ne rendono difficile la separazione con la trascuratezza.(leggere tab.20 pag 261). La rigida imposizione di ideali genitoriali può avvenire attraverso la proiezione sul figlio di fantasie compensatorie che riguardano l'impotenza,l'insicurezza economica,la frustrazione l'inadeguatezza. TRASCURATEZZA La trascuratezza consiste in tutti quei comportamenti passivi e omissivi nei confronti dlel bambino tali da non proteggerlo fisicamente o da non permettergli una normale crescita evolutiva in salute fisica e benessere psicologico.Le tipologie dela trascuratezza sono diverse:

• abbigliamento non adeguato • condizioni igeniche scadute • dieta inadeguata all'età • inadempienza all'obbligo scolastico • mancata somministrazione di cure mediche e preventive • assenza di sorveglianza sull'integrità fisica del bambino • privazione della socializzazione con i pari

abbandono con deprivazione fisica,emotiva e culturale. ABUSO SESSUALE Gli abusi sessuali opossono essere manifesti,mascherati oppure impropri cioè riguardare situazioni in cui il bambino vede,sente osserva attività sessuali che risultano psicologicamente inadeguate alla sua corretta evoluzione psichica. Con l'apparente intento educativo possono essere in atto comportamenti sessualizzati che implicano non solo le parole o lo sguardo ma anche dei passaggi all'azione come contatti fisici fra adulto e minore che il bambino può riportare a breve termine con una sorta di ripetizione dell'agire in situazioni sociali diverse. Questa lunga descrizione di situazioni relazionali disturbate,soprattutto tra la madre e il bambino,ci fa capire come non siamo riconducibili semplicemente a una patologia mentale materna o paterna,ma come si possano inquadrare in quelle condizioni di genitorialità vulnerabile collegabile con una mutifattorialità complessa che rende il lavoro del diventare genitori problematico soprattutto sul piano del comportamento responsabile e protettivo nei confronti del bambino. CAP 6:l'ESPERIENZA SOMATICA NELL'ARCO DELLA VITA Il termine "corpo" in medicina sta ad indicare una realtà anatomica e fisiologica con le sue patologie d'organo.In medicina quindi si vuole indicare il corpo come una realtà oggettiva,misurabile,quantificabile e verificabile. In psicopatologia lo stesso termine assume un significato più profondo.Il corpo è considerato in relazione con la vita psichica.Ad indicare soprattutto un esperienza corporea,il modo in cui la soggettività umana sperimenta il suo lato materiale e oggettivo.Quindi,quando si parla di corpo in psicopatologia,si fa riferimento ad un

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esperienza corporea che si apre al Mondo.Dunque la psicopatologia parla di CORPO VISSUTO. Il corpo vissuto è dunque muto,cioè che coincide con l'esperienza stessa dello esistere.Nonostante il corpo manda un flusso di messaggi,questi fisiologicamente non arrivano a staccare l'esperienza del corpo da quella del prorpio esistere.Infatti nella percezione dell'esistere non esiste l'idea di "avere un corpo",semmai quella di "essere il proprio corpo". Per "intenzionalizzazione"si intende l'attribuzione di senso ad una cosa che così diventa esperienza.Coiè attribuire significare vuol dire esperire,fare un esperienza. Il fondamento della fisiologia del vissuto corporeo è da individuarsi in: 1)una muta testimonianza della nostra esistenza:il mio corpo dice che ci sono. 2)una accessibile apertura verso il mondo di cui il corpo è fisiologicamente il veicolo.Dunque tramite il corpo io percepisco un apertura verso il mondo. Nelle esperienze quotidiane avvertamo di avere un corpo quando fa male o si esprime attraverso i bisogni e le difficoltà. Se il corpo è centrale nella costruzione dell'esperienza dell'esistere è ovvio il suo contributo nella costruzione dell'esperienza dell'essere malato.Esperienza che comporta parte Dal corpo, come fonte di segnali dolorosi e spiacevoli,e arriva Verso il corpo ,come tendenza a tradurre su di esso dati di malessere più mentalizzati. IL CORPO VISSUTO FRA MALATTIA E GUARIGIONE L'esperienza della malattia fisica ha un inevitabile impatto sull'esperienza somatica.Il corpo malato diventa una misteriosa esperienza di un corpo distanziato,che non coincide più con l'esperienza del Proprio Sé(cioè il corpo malato è vissuto in modo diverso rispetto a come lo si vive tutti i giorni). Il corpo fa male e questo interessa sia a chi lo vive sia a chi lo cura.Si crea una distanza,un allontanamento dal corpo che ha il duplice scopo di separarsi dal male e di permettere ad latri di intervenire. Il medico tenderà a a considerare la guarigione come la scomparsa dei segni della malttia. Il significato della guarigione deve essere considerato anche dal punto di vista del paziente,la cui valutazione è influenzata da due fattori: 1)La soggettiva visione della malattia,del corpo e del suo funzionamento 2)Il significato soggettivo della guarigione può essere considerato come un cambiamento esitenziale,talvolta anche con significato di perdita che avvicina la percezione soggettiva della guarigione al processo del lutto. Facendo riferimento al primo punto si può osservare che i pazienti,partendo da conoscenze parziali e approssimative,immaginano il corpo che ha uno scarso rapporto con la realtà anatomica e fisiologica e attribuiscono intenzioni vaghe e imprecise (ad esmpio alcune parti del corpo come il tubo digerente,le vie urinarie,il sistema circolatorio vengono interpretate in modo idraulico). Esaminando il secondo punto,si può dire che nella valutazione soggettiva del paziente la guarigione si può considerare raggiunta quando il paziente è in grado di accettare i cambiamenti connessi alla malattia,le modifiche nl corpo che essa ha comportato,anche permanentemente,comprese quelle connesse con il miglioramento e la risoluzione della malattia stessa.Quetse considerazioni pongono dunque grande enfasi sulla

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ristrutturazione dell'identita personale del paziente di fronte ai cambiamenti che la malattia ha comportato. In sintesi il modello che più si può avvicinare alla definizione del fenomeno malattia in un ottica soggettiva può essere quello del lutto,anzi del lavoro connesso con l'elaborazione delle perdite dovute alla malattia e ai suoi esiti,e anche con la riacquisizione del ruolo di persona sana. Guarigione fisica e guarigione psichica possono non avvenire congiuntamente.E' frequente infatti assistere ad una discordanza,ad una sorta di non coincidenza fra i tempi della guarigione clinica e quello che si può chiamare il tempo per la guarigione psichica.Questa non coincidenza è responsabile non solo ai postumi della malattia o al timore di una sua eventuale ripresa,ma soprattuto al riattivarsi nel mondo interno del paziente di immagini di dipendenza nei confronti di figure significative e autoritarie appartenenti all'esperienza individuale,che il rapporto col medico-salvatore ha riattivato e riportato attuali. CORPO E CICLO DI VITA:I MOMENTI CRITICI DELL'ESISTENZA Il corpo si modifica nel corso della vita.E si modifica l'esperienza che ciascuno di noi ha del proprio corpo. Modificazioni somatiche--->Modificazioni della propria autorappresentazione somatica(identità somatica)--->Modificazione dell'identità personale Ma è anche vero il cammino inverso per cui modificazioni a carico dell'identità personale si traducono anche in modificazioni dell'esperienza somatica e talvolta anche del corpo oggettivato. Crisi dell'esistenza---> Modificazioni della propria autorappresentazione(identità personale)--->Modificazioni anche a carico della autorappresentazione somatica(modificazione dell'immagine corporea)--->Modificazioni somatiche Si ha cioè un'intensa e continua rielaborazione della propria immagine corporea,un vero e proprio lavoro teso a registrare il mutamento dal corpo oggettivo alla immagine interiore di questo,dai mutamenti interiori alla trascrizione di questi sul corpo. In un'ottica medica il concetto di crisi ha significato quella drammatica resa dei conti che,nel corso di un processo patologico,porta sulla via della guarigione o quella della morte. Il nucleo di significato del termine è quello improvviso cambiamento,dagli esiti incerti,ma senz'altro decisivi. Nei momenti di crisi è come se ci fosse uno scontro e il campo dello scontro è proprio il corpo del paziente che manifesta i segni della crisi(scontro)in atto.Al medico il compito di distinguerli,riconoscerli,nominarli,sperli distinguere in quelli utili e quelli dannosi rispetto al progetto di guarigione che vuole proporre. In ambito psicologico e psichiatrico,occorre far riferimento a due importanti contributi: *Crisis Theory- di Clapan che pone particolare risalto al rapporto tra personalità ed eventi della vita,per cui il momento della crisi sarebbe da considerare come un giro di boa nel processo evolutivo di ogni personalità.

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L'ipotesi di Caplan è centrata sull'idea che il momento critico si abbia quando si presenta nell'esistenza un problema nuovo che non è possibile risolvere con le strategie adattive consuete. *Teoria delle catastrofi- il cui uso in ambito psicologico porta a considerare il momento della crisi come una situazione in cui un equilibrio di forze non può più essere mantenuto per cui le forza che sostengono quel particolare assetto della personalità cercano e trovano un nuovo equilibrio.Questo impone un cambiamento nell'organizzazione personologica di quel particolare individuo spesso drammatico.Da qui il concetto di "catastrofe"che mette in risalto come,dopo il cambiamento,l'oggetto non sia più lo stesso,ma abbia subito una vera e propria mutazione costitutiva del suo assetto esistenziale. La scuola di Palo Alto-->Una modifica a carico dell'oggetto esterno che sorregge una particolare struttura di personalità dà luogo ad un cambiamento tale da portare all'emergere di una nuova.Questa darebbe poi origine a nuove relazioni oggettuali ed in prospettiva,ad un nuovo assetto esistenziale. In riferimento alla scuola di palo alto e le considerazioni conseguenti permettono di evidenziare come ogni momento critico dell'esistenza finisca per mettere in moto una modificazione della propria autorappresentazione e di conseguenza della propria identità. Perchè avvengono questi momenti critici? La scuola di Palo Alto cerca di darne una spiegazione teoricamente articolata e aperta ad una dimensione genetica:le crisidell'esistenza permettono modificazioni interne tali per cui un particolare assetto di identità viene sostituito da un'altro preesistente ma,almeno fino ad allora subordinato all'identità principale e dominante. Jaspers considera la Coscienza dell'Io come la conseguenza del corretto funzionamento di almeno quattro subfunzioni: 1)In primo luogo che si tratta di una sorgente primitiva e non derivata di attività;la mia soggettività è una fonte inesauribile di attività mentale che viene da me percepita come originaria,e non derivata da altra fonte esterna; 2)La consapevolezza della propria unità:in un dato istante io avverto di essere uno solo,anche quando all'interno di me sono presenti contenuti di pensiero e progetti d'azione assai diversi e anche quando il mondo esterno si rapporta con me secondo aspettative apparentemente inconciliabili l'una con l'altra; 3)La coscienza di identità da intendersi come la consapevolezza di essere uno e uno solo nel corso del tempo;è una consapevolezza per molto versi assoluta nella nostra soggettività,pur essendo contraddetta da evidenze inoppugnabili.L'evidenza è tale che contraddirebbe ogni altra ipotesi.In primo luogo quella che che io sia sempre lo stesso. 4)C'è infine quella consapevolezza di avere nella mente degli specifici contenuti personali diversi da quelli degli altri;su questa consapevolezza si costruisce l'idea di possedere una specifica personalità,che mantiene un nucleo stabile anche nei momenti di cambiamento più radicali. Ma qual'è il ruolo del corpo? Il nucleo d'esperienza di identità è dato dall'esperienza di essere ed avere un corpo.Naturalmente quando si parla di corpo si intende l'esperienza somatica,cioè alla visione soggettiva che ciascuno di noi ha del proprio corpo come sede di bisogni,sentimenti,appetiti,relazionalità e soprattutto come veicolo che permette alla nostra soggettività di aprirsi al mondo.Veicolo che mi rivela al Mondo,ma insieme mi

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espone,potendomi così anche tradirerivelando coseche non deve ovvero piegandosi ai desideri e alle aspettative degli altri,a rischio di divetare non più strumento di apertura al mond,ma un mezzo che si introduce fra una soggettività interiore il mondo. Volendo riassumere si può affermare che i cambiamenti della vita hanno una traduzione sul corpo sia in senso materiale che rappresentazionale,che spesso inconsapevole,caratterizzata dalla necessità di testimoniare con il corpo. Anche le età della vita vengono evidenziate da modificazioni a carico del corpo.Ci sono le modificazioni primitive del corpo che danno il segno del cambiamento come nella pubertà o nella vecchiaia. In ciascuno di noi quindi un continuo rimaneggiamento delle proprie immagini somatiche che fluttuano reattivamente a modificazioni esterne ed interne. Le modificazioni del proprio corpo suscitano unfatti sentimenti che vanno dal piacere alla preoccupazione,dal desiderio al disgusto. Le modificazioni dell'esperienza somatica,cioè del modo do percepire e di vivere il corpo,e dell'immagine corporea sono da considerarsi punti di svolta da cui possono prendere l'avvio molte esperienze psicopatologiche a loro volta capci di declinarsi in vere e proprie condizioni cliniche. LA SOMATIZZAZIONE DELLE ESISTENZA NELL'ANZIANO(mettere nel riassunto di lisa) Le alterazioni del vissuto somatico derivano nell'ansiano nel cambiamento del rapporto fra il sogetto e il suo corpo in quanto esso,a causa del decadimento fisico e della maggiore vulnerabilità alle malattie,perde il silenzio e l'anonimia che caratterizzano l'equilibrio fisiologico a favore della "somatizzazione dell'esistenza" caratteristica della senilità,che assume anche un significato di minaccia indefinibile. IL CORPO NON PIù DISPONIBILE Una delle caratteristiche che sostanziano il fisiiologico rapporto con il nostro corpo è la accessibile apertura verso il mondo. Nell'anziano questa percezione si rompe quando il corpo comincia a farsi sentire in via di involuzione e non più disponibile in modo muto e trasparente nell'attuazione di progetti esistenziali.Non il corpo che sono ma il corpo che ho oggetto degno di osservazione,attenzione spesso carico di minacce e di paure. Successivamente il corpo si porrà in un'altra dimensione esistenziale caricandosi di immagini di perdita e di minacciose aspettative.L'anziano avverte cioè che il corpo non lo segue più nei suoi progetti,ma si carica di fatica,di impossibilità funzionali,di dolore fisico,oppure si dimostra incapace di veicolare immagini di efficienza e di attrazione. IL DECLINO ESTETICO Il declino estetico determina una ferita narcisistica centrata sul corpo che corrisponde ad una uòteriore perdita di anonimia del corpo e all'instaurarsi del vissuto somatico di elementi di negatività e minacciosità. Un immagine corporea socialmente svalutata e non soggettivamente non accettata

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incrementa i sentimenti di inadeguatezza caratteristici della senilità e che aumenta la continuità fra io e reale,e Io ideale vissuto come una dimensione arretrata della propria presenza rispetto alla realtà fisica.La difficile integrazione fra io corporeo e Io psichico favorisce la riduzione dell'interesse verso l'ambiente esterno ed il ripiegamento su sè stessi. L'ESPERIENZA DI MALATTIA L'esperienza di malattia che con l'avanzare dell'età si fa sempre più frequente,carica il corpo di ulteriori aspetti negativi. Con la comparsa delle malattie e con la riduzione o la perdita di alcune funzioni,l'anziano perde l'armoonia con il suo corpo che,attraverso un proceso di reificazione(diventare una cosa),appare solo come un peso,un oggetto che gli altri devono curare e di cui il soggetto diventa spettatore passivo. L'esperienza del proprio corpo vissuto nell'anziano diventa l'espressione simbolica da superare e il corpo rappresenta il limite dell'incapacità a esprimere e utilizzare le proprie possibilità. IL PENSIONAMENTO Il pensionamento sancisce il ritiro dal mondo socialmente legittimato e costituisce un fattore che favorisce il ripiegamento sul corpo. Sarà quindi probabile che una Coscienza di Sè che si vede negato il riconoscimento sociale dato dall'attività lavorativa e perde quelle conferme che contribuiscono al mantenimento dell'auto-immagine,cerchi nel corpo e nei suoi bisogni non più muti e trasparenti una conferma della propria esistenza. In questa situazione l'anziano è costantemente preoccupato per la salute,ossessivamente attento alle sue necessità fisiologiche come il sonno,il cibo,il funzionamento intestinale,desideroso di assumere farmaci che garantiscano un normale svolgimento delle funzioni dell'organismo e lo proteggono dalle malattie. E il mondo vissuto dell'anziano finisce per avere quasi esclusivamente orizzonti somatici. IL CORPO DEL GIOVANE "Sentirsi giovani" anche nel linguaggio comune può non coincidere con l'essere giovani. Il sentirsi e l'essere vissuti come giovani sono due esperienza che trovano nel corpo il terreno attuativo principale di un progetto,che nella realtà attuale è diventato un fenomeno di massa.Si fa riferimento al clima culturale attuale che tende ad identificare la giovinezza,e in particolare il corpo del giovane,con successo prestigio,salute,attrazione. Il primo requisito di una corpo che faccia sentire giovani è quello della accessibilità,cioè la possibilità a tradurre in progetti operativi la spinta vitale che permea il vissuto del giovane.E' un corpo che non si sottrae,che non sente la fatica,che non pone limiti,che è pronto a seguire ogni sfida. Ma c'è un'altra sfida a cui il corpo giovane,o che vuole sembrare tale,non può sottrarsi.Infatti uno dei requisiti della giovinezza è l'accettazione e trasformazione.Per il

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giovane la trasformazione è il mezzo prinicipale per accettare la realtà senza esserne schiacciato,il mezzo che permette di recuperare le caratteristiche biologiche ricevute geneticamente da una angolatura diversa che ne consente l'appropriazione ed evita di porsi in antitesi.Cambiare è infatti l'unico modo per adattarsi ad un mondo che sfugge e cambiare sè stessi e il mondo è la missione che ogni generazione affida a quella che la segue. Al bisogno di esprimere con il corpo il cambiamento si accompagna il bisogno di rivelarsi e di definire il proprio sé ed il proprio spazio.L'acquisizione di una identità definita costituisce la fine del viaggio giovanile e sancisce la definitiva costruzione del mondo adulto. LE PATOLOGIE DEL CORPO VISSUTO Durante il ciclo vitale umano avvengono molteplici cambiamenti a carico del corpo sia nella sua dimensione oggettualizzata che nella sua dimensione più soggettiva.Da questi snodi ritici possono prendere l'avvio percorsi psicopatologici che possono portare a veri e propri quadri clinici che sono pertanto strettamente connessi sia nella genesi che nell'espressività clinica,con la crisi dell'esperienza somatica di quella particolare persona. Il riferimento è a quei quadri morbosi la cui comprensione,riconoscimento e possibilità di teraèia,passano attraverso un primitivo coinvolgimento del corpo.Si tratta delle cosidette Patologie del corpo vissuto,in cui si raggruppano i quadri morbosi che hanno in comune un nucleo patologico derivanete dall'alterazione del modo in cui si struttura l'esperienza del corpo che assume un ruolo alterato nella dialettica fra soggettività e mondo. Questi quadri morbosi possono essere raggruppati in tre grandi campi accomunati dalla centralità del corpo e dalla sua reificazione come oggetto(staccato dalla soggettività)ed eventualmente da questa variamente usato per un dialogo con il mondo. Le diversità che definiscono i songoli campi invece,riguardano le modaòlità con cui il corpo vissuto viene coinvolto:infatti in alciune forme patologiche è coinvolta la rappresentazione mentale del corpo,in altre la sua realtà biologica,in altre ancora il corpo viene usato come campo espressivo di un disagio psichico. Una prima area propone il coinvolgimento del corpo nella sua realtà fisica.Qui si possono tradurre difficoltà dell'esistenza intesa nella sua complessità bio-psico-sociale.Il corpo co la sua concretezza biologica,dà sostanza a questo disagio.Questa area corrisponde alla Patologia somatica. Una seconda area fa riferimento all'uso del corpo per drammatizzare una sofferenza da esporre allo sguardo degli altri.Il corpo diventa teatro,un intermedio fra una soggettività che si esprime per suo tramite e lo sguardo degli altri a cui si offre. Una terza area fa riferimento all'alterazione della rappresentazione mentale del corpo(immagine corporea)concetto che illustra il modo con cui il nostro corpo appare a noi stessi. In quest'area l'immagine mentale del nostro corpo,può caricarsi di significati-altri,che ne modificano profondamente il significato esistenziale proponendone in primo luogo una centralità abnorme. Nel continuum che è stato delineato rispetto ai disturbi del vissuto corporeo si possono collocare le esperienze ipocondriache,dismorfofobiche ed anoressiche.

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IL CORPO VISSUTO NEI DISTURBI PSICOSOMATICI In letteratura si possono individuare alcune tendenze e modi di interpretare la psicopatologia somatica. Un primo indirizzo fa riferimento alla tradizione medico-filosofica che tende a riunire gli aspetti psichici e quelli somatici e quindi a vedere l'individuo come un tutto. Un secondo indirizzo vede nella psicosomatica l'orientamento medico che pone enfasi sul fatto che in ogni malattia organica esista un vissuto patologico.Pensiamo in primo luogo ai vissuti inerenti la perdita di salute,dell'immagine di sè,il problema della morte,della malatti cronica. In un accezione più ristretta la psicosomatica fa riferimento allo studio della psicogenesi di alcune malattie organicheE' questo il campo della patologia psicosomatica propriamente detta che individua alcune specifiche condizioni cliniche in cui la malattia organica sembre essere direttamente originata da conflitti psichici. Particolarmente importante nella riflessione sulla psicosomatica si è rivelato anche il contributo della Scuola Francese.Questo indirizzo vede nella patologia psicosomatica la "traduzione somatica"di un disturbo tutto psichico connesso con l'incapacità di acquisire una modalità fantastica e immaginativa del pensiero che viene definito "operatorio" in quanto trova nella traduzione somatica la sua unica possibilità espressiva.In uno stile somatico di esistenza,proprio di individui con ridotte capacità fantasmatiche e somboliche,si inserisce la malattia psicosomatica propriamente detta,che per questi soggetti, rappresenta un mezzo obbligato di espressione della sofferenza interna e della difficoltà relazionali. Un importante contributo arriva anche dal pensiero psicopatologico,cioè quell'orientamento che prende in considerazione la particolare esperienza che ogni singolo paziente ha della propria malattia.I pazienti infatti sviluppano modelli personali dei propri cambiamenti somatici e dei sintomi,che sembranoessere tutt'altro che ininfluenti nella costruzione e nell'evoluzione del fenomeno morboso. Nelle patologie psicosomatiche,il corpo fornisce il terreno in cui concretamente(sia organicamente che funzionalmente)si traduce un disagio psichico.Questa trascrizione sul corpo di disagi di vario ordine ed origine può essere descritto come un cammino in due tempi: il primo momento è dato dalla traduzione puramente funzionale di disagi esistenziali o relazionali.Per molte patologie la traduzione è conosciuta anche negli aspetti neurobiologici più minuti. Ma quando i sintomi funzionali si stabilizzano,si possono trasformare in veri e propri cambiamenti anatomici. IL CORPO COME TEATRO:LE MANIFESTAZIONI SOMATICHE DELL'ISTERIA Le manifestazioni somatiche dell'isteria del DSM IV sono state inserite fra i Disturbi Somatoformi,insieme alle manifestazioni ipocondriache e dismorfofobiche,ed in parte anche nei Disturbi Fittizi,la cui caratteristica è costituita dalla presenza di sintomi fisici o psichici,più o meno intenzionalmente prodotti dal soggetto,allo scopo di assumere un ruolo di malato. Uno degli aspetti caratteristici dell'esistenza isterica è costituito da un particolare stile di vita e di relazione col mondo caratterizzato dalla tendenza a modulare i

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comportamenti e le relazioni rispetrto alle esigenze dell'ambiente circostante,tanto da poterlo definire come un "vivere con gli occhi degli altri"fino al punto che gli altri possono costituire la dimensione strutturante della soggettività dell'isterico. In questa dimensione è facile immaginare come il corpo,che è la parte più espsta agli altri,possa un ruolo espressivo e sintomatologico di primo piano.Infatti in un'ampia parte della patologia isterica,il corpo costituisce un luogo di rappresentazione dele emozioni,un teatro che permette di realizzare una rappresentazione più o meno simbolizzata,di un conflitto intrapsichico o di una difficoltà esitenziale o relazionale utilizzando un linguaggio complesso che non gli è proprio. In altri termini si può definire lo stile istrionico di rapporto come un"apparire per essere",in cui il bisogno di attirare l'attenzione dell'altro per mezzo di sintomi fisici importanti,di comportamenti seduttivi,di condotte impulsive costituisce l'essenza della relazione. Il medico rappresenta la figura professionale a cui più facilmente a cui è più diretto il linguaggio dell'isteria.Nel dialogo col medico,che per sua formazione è portato a considerare soprattutto il corpo,l'isterico cerca di costringerlo a prendere iniziative diagnostiche e terapeutiche allo scopo di trovare una conferma del personaggio che sta rappresentando,cioè farsi accettare come malato. I DISTURBI DELL'AUTORAPPRESENTAZIONE SOMATICA Sono quelle patologie in cui l'alterazione nucleare è a carico della rappresentazione metale del corpo(del proprio corpo vissuto). Così l'esperienza del proprio corpo finisce per inserirsi come un cuneo nel rapporto fra soggettività e mondo,permeando gran parte dello spazio coscienziale. IL MALE DEL CORPO La struttura ell'esperienza somatica diventa dunque quella di un corpo"altro e inquietantemente modificato",caricato di un significato minaccioso,portatore ed espressione del mal d'essere.Pur in questa anomala posizione il corpo rimane sempre strumento di apertura al mondo e il suo stesso vissuto(il mal-d'essere)si confronta con una realtà esterna che ne modula l'espressività clinica. LA DIMENSIONE IPOCONDRIACA E DEMONOLOGICA Le persone ipocondriache sono sempre alla ricerca di cure mediche e di rassicurazioni,che comunque non risolvono mai i loro timori di malattia.Un tale comportamento innesca un circolo vizionso che tende a trasformare la loro esistenza in una costante ricerca di attenzione per il corpo da parte di terapeuti i varia competenza. Anche le idee di "affaturazione" partono dall'esperienza soggettiva di un corpo investito dal pericolo e dalla minaccia,non più accessibile come di solito.A differenza di quanto accade nell'esperienza ipocondriaca,in questo caso il vissuto si declina nel timore che qualcosa di estremamente negativo si sia inserito nel corpo o lo abbia danneggiato, determiando la perdita della fisiologica accessibilità.Da un punto di vista psicogenetico si possono individuare almeno tre tappe di un percorso comune fra esperienze ipocondriache e di affaturazione:

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1)Un precario assetto di identità in parte costituzionale,in parte reattivo agli eventi della vita,in parte collegato ad entrambi i fattori. 2)Con la perdita del fisiologico silenzio e anonimia,viene tradotto sul corpo il vissuto di minaccia all'integrità della persona. 3)Inizia un comportamento di ricerca di aiuto che ha come scopo primario quello di compensare il sentimento della propria sicurezza esistenziale. IL CORPO BRUTTO:LA DIMENSIONE DISMORFOFOBICA Il termine dismorfofobia letteralemnte significa"cattiva forma" "bruttezza". Indica quindi una sensazione soggettiva di deformità o difetto fisico di una parte del corpo che rende il paziente oggetto di attenzione da parte degli altri,nonostante che,ad un riscontro oggettivo,il difetto risulti assente e la forma normale.Va detto che comunque a volte il difetto fisico c'è,ma tuttavia la reazione del paziente è decisamente abnorme. Seguendo il punto di vista genetico-strutturale anche in questi casi il punto di partenza psicopatologico può essere ricondotto ad un'alterazione dell'esperienza somatica.Il corpo si carica di significato di inadeguatezza che preesiste alla comparsa del sintomo nella forma di una inadeguatezza esistenziale. IL CORPO CAMBIATO:LE ESPERIENZE DI METAMORFOSI L'identità personale trova nel corpo il fondamento e la fonte di continua verifica.Tramite il corpo ci siamo abituati a confrontare con il mondo condiviso la potenziale illusorietà della nostra immagine del mondo. Tramite il corpo avviene il confronto con la realtà esterna nel senso che un cambiamento interno viene reso visibile sul corpo e poi esportato sul mondo. Allo stesso modo ogni pressione ambientale tesa a condizionare l'identità si traduce in primo luogo sul corpo.Bisogna pertanto abutarci a pensare all'identità personale come ad un processo complesso che si srticola continuamente in queste tre direttive:L'autorappresentazione di Sé,la traduzione sul corpo di questa autorappresentazione,la sua esportazione nella realtà esterna.Contemporaneamente dobbiamo abituarci a pensare che la pressione ambientale verso certi tipi di comportamento tende prima di tutto a tradursi sul corpo e a modificare l'autorappresentazione del proprio Sé. L'esperienza di cambiamento a carico della propria dimensione interna può trovare nel corpo,nell'esperienza del corpo vissuto,la sua "realizzazione".Sentire il proprio corpo che si trasforma è esperienza frequente nei periodi di cambiamento interno,come cambiamenti a carico del corpo possono promuovere la necessità di modificare l'autorappresentazione e più in generale la propria identità. Quando l'esperienza della propria continuità nel tempo viene meno,l'esperienza di trasformazione del corpo diventa un passaggio quadi inevitabile. IL CORPO PERSECUTORE:LA DIMENSIONE ANORESSICA La caratteristica centrale dell'anoressia nervosa è costituita dalla prsenza di comportamenti autoimposti finalizzati alla perdita di peso,collegabili con la paura

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patologica di ingrassare e con una grave alterazione dell'immagine corporea che riguarda la forma e le dimensioni del corpo. Molto difficilmente le pazienti ammettono di esserne consapevoli e spaventate del loro aspetto emanciato e dell'alterazione della condotta alimentare,mentre abitualmente negano la condizione di malattia sostenendo di essere normalmente efficienti e tendono a rifiutare ogni cura anche quando sono al centro della preoccupazione dei familiari. Il corpo dell'anoressia è tutt'altro che "muto e trasparente",esiste con tutti i suoi bisogni a significare il limite dell'esistenza,che viene percepita proprio come limitata dal corpo rispetto alla possibilità di una ideale realizzazione. La paziente instaura con il suo corpo una lotta senza quartiere che non ammette conciliazioni nè soluzioni. LA RELAZIONE TERAPEUTICA NELLE PATOLOGIE DEL VISSUTO CORPOREO Lo stabilirsi di una relazione terapeutica è uno degli elementi fondamentali della pratica clinica.La qualità di questa relazione ha un'influenza determinante sulla stessa capacità di formulare diagnosi ed effettuare terapie e quindi sulla stessa qualità dell'assistenza. Dunque spesso il clinico si pone di fronte al paziente con patologie del vissuto corporeo in una posizione che lo può rendere cieco ed esporlo a possibilità di errore sia diagnostico che terapeutico. DALLA PARTE DEL PAZIENTE Il paziente porta nella relazione terapeutica il suo corpo che è presente non solo nella sua concretezza anatomo-fisiologica,ma anche come un oggetto significante altro.Il corpo diventa strumento espressivo di u n disagio che in questi casi a altre origini. Inoltre l'abnorme posizione del corpo influenza anche la percezione che il paziente ha del mondo. il corpo rischia continuamente di modularsi nella sua espressività in base alla realtà di significato che il paziente mantiene nel suo orizzonte relazionale.Così quando questo orizzonte è fornito dal medico,la modalità con cui il paziente presenta il suo corpo è adattata alle categorie e ai modelli della medicina,mentre se l'orizzonte relazionale è uno stregone,ad esempio,il corpo viene tendenzialmente presentato secondo altre modalità culturali che si riferiscono ad esempio a possessioni o invasamenti. Riassumendo:L'esperienza somatica che il paziente porta al clinico,veicola un disagio psichico di cui il paziente tende a non aver piena consapevolezza;propone un ruolo del corpo come strumento espressivo di questo disagio. Da queste osservazioni si possono derivare alcuni elementi che formano le fondamenta del rapporto fra questo tipo di pazienti e il terapeuta.I pazienti con patologie del vissuto corporeo infatto chiedono:

• Che il loro corpo sia accettato e fatto oggetto di cure; • Pretendono di stabilire una relazione con il clinico • Chiedono che il corpo(corpo vissuto)costituisca il fondamento di questa relazione; • Tendono ad evitare ogni approfondimento che porti a mentalizzare il disagio; • Qualsiasi intervento volto a dialettizzare questo schema e a coinvolgere il paziente in prima

persona può essere vissuto come persecutorio e suscitare risposte aggressive. In altre parole il paziente chiede che l'intervento medico allontani i fantasmi persecutori

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dal corpo(ipocondria e dismorfofobia)che lo carichi di interessi e significati(anoressia)che risolva l'oscura origine della malattia(disturbi psicosomatici) e che decodifichi il messaggio che esprime(isteria). Complessivamente dunque il paziente chiede al proprio terapeuta attenzione e stabilità di relazione usando il suo corpo come tramite. DALLA PARTE DEL MEDICO La relazione terapeutica con pazienti con alterazioni del vissuto corporeo comporta l'assunzione di alcuni rischi. Il corpo di questi pazienti costituisce il tramite per una relazione carica di implicazioni che fanno leva sul funzionamento menatle del medico,che rischia di disperdere le componenti terapeutiche insite nella relazione e di non assolvere ai suoi compiti relazionali come fare una corretta diagnosi o impostare le possibilità di cura. La presa di coscienza nel medico dell'ambiguità implicita nell'interesse del paziente per il corpo,può far evolvere la relazione medico paziente in senso persecutorio,soprattutto se l'atteggiamento del medico è percepito come aggressivo e svalutante. Di fronte a questi rischi non resta che enfatizzare l'importanza nella costruzione di una valida relazione con il paziente.Questa non può prescindere dalla conspevolezza della complessità del vissuto somatico e dall'accettazione della sfida relazionale che i pazienti di questo genere inevitabilmente propongono.In questo senso sono importanti due aspetti che devono essere tenuti in considerazione: 1)Evitare una lettura esclusivamente psicologica dell'alterazione del vissuto somatico,che avrebbe come conseguenza la fuga del paziente e la rottura della relazione. 2)Far sì che l'accettazione del corpo del paziente comprenda anche la dimensione del corpo vissuto. Si possono quindi delineare alcuni suggerimenti che tengano conto del fatto che sono necessarie: 1)Una capacità di accoglimento dei bisogni somatici del paziente 2)Una conoscenza psicopatologica e della dimensione relazionale medico-paziente in modo da inquadrare il disagio psichico del paziente e contemporaneamente comprendere quegli aspetti fantasmatici e conflittuali che il sintomo fisico veicola; 3)Una capacità di conciliare l'ambiguità del corpo che è insieme reale ed immaginario. Questo lavoro di decodificazione è in primo luogo diagnostico,perchè consente di inquadrare il problema del paziente da più punti di vista,permettendo un completamento del fenomeno malattia che copnsente possibili aperture nel tentativo di comprendere il disagio soggettivo del paziente;è anche terapeutico in quanto la ridialettizzazione del corpo vissuto può diventare il fulcro di ogni intervento terapeutico in queste patologie;infine è anche preventivo,perchè evita quelle distorsioni del rapporto che possono produrre molteplici complicazioni,prima fra tutte la possibilità di una cronicizzazione della patologia. CAP 7: INTERVENTO PSICOSOCIALE NELLE DEMENZE Una delle definizioni più complete di demenza è quella proposta nel 1984 da un gruppo di studio statunitense"la demenza è una sindrome clinica caratterizzata dal

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deterioramnto della memoria e delle altre funzioni cognitive rispetto al livello di sviluppo cognitivo precedentemente raggiunto dal paziente;il deterioramento è documentato da una storia clinica di riduzione della performance e da anomalie evidenziate dall'esame neurologico e dai tests neuropsicologici". CRITERI DI DIAGNOSI E CARATTERISTICHE CLINICHE La sindrome è caratterizzata dalla compromissione di uno o più domini cognitivi,dalla presenza di disturbi del comportamento che assumono entità e fenomenologia variabile nel corso della malattia,dall'incapacità di svolgere adeguatamente ed autonomamente le abituali attività.L'evoluzione clinica si smista su tre versanti:cognitivo,comportamentale,funzionale,dando luogo ad un'ampia e vaiegata tipologia di disturbi. All'esordio è difficile stabilire se i deficit sono da attribuirsi ad una demenza incipiente o ad una riduzione dell'efficienza cognitiva fisiologica per età o ad un disturbi psicopatologico.In particolare risulta sottilela distinzione tra demenza e depressione,data la possibile coesistenza di deficit cognitivi e disturbi del tono dell'umore in entrambe le sindromi. (leggere tabella 1 pag.310) Decadimento mentale e depressione potrebbero conseguire l'una all'altro come reazione psicologica alla consapevolezza delle proprie difficoltà o viceversa essere il primo indotto dalla seconda,come nel caso della pseudodemenza. La presenza di disturbi del tono dell'umore,la drammatizzazione dei deficit,la ricerca spontanea della consulenza medica sono considerati indicativi più di un disturbo dell'umore che di una sindrome demenziale.In quest'ultimo caso infatti il paziente appare scarsamente consapevole dei propri disturbi che tende a minimizzare,ma che vengono notati dai familiari,tanto che sono essi stessi e non il diretto interessato a rivolgersi al medico. Studi più recenti evidenziano il ruolo della depressione del tono dell'umore come evento predisponente alla demenza:infatti sembra che la tendenza a subire lo stress psicologico-che nella maggior parte dei casi si esplica con una depressione del tono dell'umore-sia associato ad un aumentato rischio di contrarre la malattia di Alzheimer e ad una ridotta performance in compiti di memoria. CLASSIFICAZIONE Nell'ambito della classificazione delle demenze si considerano sostanzialmente tre raggruppamenti all'interno dei quali si identificano una serie di malattie ad eziopatogenesi più o meno definita,a decorso variabile,e variamente passibili di intervento terapeutico o trattamento psicosociale. Le demenze su base neurodegenerativa-->Comprendono la malattia di Alzheimer,le demenze fronto-temporali.La Malattia dei corpi di Lewy,la Malattia di Parkinson e la Corea di Huntington. Le cause che determinano queste malattie sono sconosciute,nonostante in alcuni casi sia stato possibileidentificare alcuni meccanismi patogenetici.Il decorso è sempre progressivo,anche se con notevole variabilità da un caso all'altro e non vi sono fasi di remissione clinica.

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Le Demenze Vascolari-->All'interno di questa dizione ci sono numerose entità cliniche(Demenza Multinfartuale,Stato Lacunare,Infarti Strategici,Demenza post-ictus,...)Queste demenze sono tutte accomunate dal fatto che le lesioni cerebrali documentabili con le neuroimmagini,ancorchè molto diverse per sede ed estensione,sono secondarie ad una malattia dei vasi cerebrali.il decorso può assumere andamento progressivo. Demenze con causa esogena ed endogena-->causa esogena ci sono agenti infettivi,sostanze tossiche ,farmaci....A causa endogena ci sono stati carenziali,endocrinopatie malattie sistemiche collagenopatie.Tali forme sono definite secondarie,sono teoricamente passibili di miglioramento o anche di guarigione qualora vengano rimossi i fattori causali. LA MALATTIA DI ALZHEIMER ASPETTI EPIDEMIOLOGICI E CLINICI Il quadro clinico è caratterizzato da un deficit di memoria episodica,che inizialmente si condìfigura come amnesia anterograda,con difficoltà ad acquisire e richiamare nuove informazioni,e che in seguito comporta la perdita di ricordi già acquisiti,spesso secondo un gradiente temporale con relativo buon mantenimento della conoscenza degli eventi remoti rispetto ai recenti.Seguono deficit dei processi di pianificazione,programmazione e controllo,progressiva perdita del patrimonio conoscitivo(memoria semantica),delle competenze linguistiche,visuo-spaziali,prassiche e gnosiche.Rimangono invece sostanzialmente indenni,le abilità motorie anche complesse precedentemente apprese,e la capacità di acquisire alcune informazioni in modo inconsapevole(memoria procedurale). Un'accurata valutazione della tipologia e dell'entità dei deficit cognitivi è ottenibile con un estesa indagine neuropsicologica,applicando batterie di test che sondino i diversi domini cognitivi e che consentano di cogliere disturbi sia in fase iniziale,che relativamente avanzata. La descrizione del profilo neuropsicologico può essere di grande valore sia per quanto riguarda la diagnosi,sia per valutare il decorso della malattia attraverso regolari controlli longitudinali. La valutazione dell'autosufficienza assume notevole importanza sia come requisito diagnostico che per la stadiazione della malattia,ed è particolarmente rilevante negli stadi terminali,quando non è più applicabile una valutazione neuropsicologica normale. Disturbi del comportamento-allucinazioni,deliri,misidentificazione,depressione,agitazione,aggressività,alterazioni del ritmo sonno veglia-possono manifestarsi durante tutto il decorso della malattia e ricevono crescente attenzione,dal momento che rappresentano la maggior fonte di stres per i familiari e la più frequente causa di istituzionalizzazione del paziente. Studi sia trasversali(su pazienti con differenti livelli di gravità di malattia) sia longitudinali(su pazienti seguiti nel tempo)hanno consentito di formulare l'ipotesi di una progressione per stadi dei disturbi cognitivo-funzionali cui corrispondono diverse esigenze e diversi possibili interventi(tabella 6). L'acquisizione di neuroimmagini(TC cranio o RM encefalo)è ritenuta indispensabile per escludere danni cerebrali strutturali eventualmente responsabili del decadimento

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mentale(tumori,lesioni vascolari o pot-traumatiche),ma anche per evidenziare la atrofia cerebrale,in particolaredelle strutture temporo-mesiali,reperto questo considerato molto indicativo per la diagnosi di malattia di Alzheimer. MILD COGNITIVE IMPAIRMENT Il termine MCI coniato nel 1999 è ben traducibile in italiano come "compromissione cognitiva lieve". Secondo i criteri di petersen,la diagnosi di MCI può essere avanzata nel caso di un individuo non affetto da demenza nè da disturbi pschiatrici che lamenti un disturbo soggettivo di memoria,preferibilmente confermato da un familiare,non accompagnato da altri deficit cognitivi e non tale da interferire con le abituali attività,ma evidenziabile ad una valutazione neuropsicologica.Mentre il deficit isolato di memoria(MCI amnesico)è considerato una possibile fase preclinica di malattia di Alzheimer,deficit cognitivi in altri domini possono preludere anhe ad altre forme di demenza. Dati molto recenti,tuttavia,insistono nel considerare l'MCI soprattutto nella sua forma amnesica,come lo stadio iniziale della malattia di Alzheimer,anche sulla base di studi neuropatologici che descrivono in cervelli di soggetti classificati come MCI una densità di ammassi neurofibrillari e depositi di amiloide molto superiore a quella di soggetti normali di pari età e più simile quella riscontrata in soggetti affetti malattia di Alzheimer. E' da ricordare che attualmente non vi è nessuna indicazione a trattare soggetti con diagnosi di MCI con i farmaci impiegati nella malattia di Alzheimer. LE DEMENZE FRONTO-TEMPORALI Con questo termine si indica una serie di sintomi su base neurodegenerativa,caratterizzate da disturbi del compprtamento,dalla compromissione delle funzioni attentive,esecutive e di controllo,da disturbi del linguaggio e da varie anomalie dell'esame obiettivo neurologico. La sede della lesione(a carico della corteccia prefrontale dorso-laterale,orbito frontale o ventro-mediale),la sua natura,estensione e durata,non chè la personalità e le capacità intellettive premorbose dell'individuo e infine il tipo di test adottato per la valutazione contribuiscono alla variabilità clinica. Ritenuta un eventualità rara,le demenze fronto-temporali nel loro complesso rappresentano il 20% di tutte le demenze su base neurodegenerativa. sul piano neuropatologico queste forme si distinguono per un depauperamento neuronale circoscritto alle parti anteriori del cervello e per la presenza-almeno in alcuni casi-di caratteristiche inclusioni cellulari definite "corpi di Pick". La demenza frontale è caratterizzata da modificazioni del carattere e da anomalie della condotta sociale,con appiattimento emotivo,riduzione o assenza completa di consapevoleza di malattia,perdita di empatia,riduzione dell'iniziativa,rigidità mentale,conformismo,compulsività,facile distraibilità,alterata capacità di critica e di giudizio,bizzarria,apatia,disinteresse. Fanno parte delle demenze fronto-temporali due forme in cui le alterazioni del comportamento e la sindrome disesecutiva sono di lieve entità o addirittura assenti nelle fasi iniziali della malattia,caratterizzata invece da importanti e per lungo tempo

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esclusivi disturbi del linguaggio. AFASIA PRIMARIA PROGRESSIVA-->esordisce con difficoltà crescenti nel reperire i termini adeguati con progressiva riduzione della fluenza dell'eloquio che diviene povero,agrammatico,e successiva comparsa di disturbi dell'articolazione delle parole. DEMENZA SEMANTICA-->il quadro clinico è dominato da un eloquiospontaneo fluente,ma vuoto,con numerosi errori tipoparafasie semantiche,difficoltà nella comprensione del significato delle parole,impossibilità di denominare oggetti e di associare il nome alla figura,di riconoscere voltidi leggere parole irregolari la cui corretta pronuncia dipende dalla comprensione del loro significato. Infine sono considerate come appartenenti al complesso delle demenze fronto-temporali,la Degenerazione Cortico-Basale e la paralisi Sopranucleare Progressiva. Nella prima si sviluppa un disturbo aprassico,a carico inizialmente e principalmente di un arto superiore,con difficoltà a coordinare i movimenti,rigidità, sensazione di impaccio,legnosità ed estraneità con progressiva estensione agli altri arti e comparsa di aprassia articolatoria.Nella seconda inceve,si rilevano paralisi dei movimenti di verticalità dello sguardo,instabilità posturale con frequenti cadute,parkinsonismo. Situazioni patologiche che danneggiano strutture sottocorticali come il talamo o i gangli della base,pur non colpendo direttamente le cortecce prefrontali,le privano di una serie di connessioni neuronali,realizzando una sindrome frontale da deconnessione altrimenti indicata come"sindrome dei circuiti frontali-sottocorticali",eventualità non rara in corso di encefalopatia vascolare sottocorticale,Sclerosi Multipla,Malattia di Parkinson,Corea di Huntington. Le alterazioni del comportamento rendono difficle la gestione del paziente,turbano i familiari ostacolano una eventuale riabilitazione. TERAPIA DELLE DEMENZE Il trattamento farmacologico delle demenze è orientato su una duplice direzione;da una parte intervenire sulle cause ed i meccanismi della malattia,dall'altra agire sulle manifestazioni ed i decorso della sintomatologia nell'ambito dei tre domini prevalentemente compromessi:cognitivo,comportamentale e funzionale. Relativamente al primo punto,la possibilità di un intervento efficace dipende da quanto se ne sa sulla eziopatogenesi.Per quel che riguarda le demenze secondarie,la rimozione di patologie può determinare la remissione della sintomatologia.In realtà la guarigione di una sindrome demenziale è piuttosto rara. Relativamente alle demenze vascolari,l'intervento più efficace da mettere in atto è quello preventivo:riducendo i rischi cerebro-vascolari si può limitare e stabilizzare,almeno in parte,il danno. Nell'ambito delle demenze su base neurodegenerativa,le conoscenze sui meccanismi che inducono le forme fronto-temporali sono troppo scarse perchè sia ipotizzabile rixorrere in esse ad un intervento mirato. Nonostante questo,anche per questa patologia le possibilità di un intervento farmacologico efficace sono modeste e volte esclusivamente a potenziare l'attività del sistema colinergico. Attualmente per i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer sono disponibili in commercio tre farmaci inibitori:donepezil,rivastigmina e galantamina. un aspetto rilevante nella gestione dei pazienti affetti da demenza è quello relativo al

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trattamento dei disturbi del comportamento per cuo è disponibile una variabile gamma di farmaci,molti dei quali possono indurre effetti collaterali indesiderati,che si manifestano con maggior frequenza e gravità nei soggetti affetti con demenza. INTERVENTO PSICO-SOCIALE il presupposto dell'intervento psicosociale nella demenza è rappresentato dalla convinzione che i sintomi ed i comportamenti del paziente non siano solo espressione del processo patologico di base,ma riflettano anche le reazioni emotive dell'individuo così come il contesto sociale ed ambientale.L'obiettivo è aumentare l'autosufficienza e migliorare la qualità della vita sia del paziente che dei suoi familiari attraverso la promozione di un migliore adattamento e la riduzione dell'eccesso di disabilità,tenedo conto di aspetti neurobiologici,psicologici e sociali.Le strategie(psico-sociale)sono volte al potenziamento delle risorse personali ed alla ottimizzazione delle abilità residue,al sostegno dei familiari in termini di contenimento dello stress e del carico assistenziale,all'adattamento del contesto ambientale. Nel corso degli anni è stata sviluppata un'ampia gamma di tecniche che si prefiggono la stabilizzazione o una migliore gestione del deficit cognitivo,il contenimento dei disturbi del comportamento,la riduzione dello stress,la possibilità di far fronte alle difficoltà,ma nel complesso la reale efficacia dei diversi approcci non appare sufficientemente suffragata sul piano scientifico.In effetti ci sono da considerare dei fattori nella valutazione dell'efficacia dell'intervento psicosociale:

• Dimensione del campione • presenza di gruppi di controllo • Cecità dei valutatori • tipologia/gravità del paziente • selezione degli outcomes • modalità di somministrazione dell'intervento • durata dell'intervento • esperienza/capacità dell'operatore • presenza e ruolo dei caregivers

LA STIMOLAZIONE COGNITIVA Per quel che riguarda gli interventi rivolti direttamente al paziente,sono state ideate numerose tecniche di stimolazione cognitiva volte soprattutto a migliorare i processi di apprendimento,a consolidare memorie acquisite,a mantenere un corretto orientamento. Indicate per i pazienti in fase iniziale di malattia,si basano sostanzialmente su mnemotecniche che associaziono espressioni verbali a immagini visive o viceversa,indirizzano l'analisi approfondita del memorandum,tendono a stabilire nessi logici tra le informazioni che devono essere acquisite o ad organizzarle secondo un codice semantico o fonologico,o ancora,a contestualizzarle in una storia di senso compiuto. Tecnica dell'apprendimento senza errori: Consiste nell'incoraggiare i soggetti sottoposti ad apprendimento di nuove informazioni,a fornire la risposta solo quando sono convinti che esa sia corretta,onde evitare gli effetti negativi dell'interferenza. Recupero progressivo:Tende a favorire l'apprendimento ricordando le informazioni-

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prevalentemente associate nome faccia o collocazione di oggetto-per intervalli di tempo Vanishing cues: può essere facilitato da una serie di suggerimenti che vengono gradualmente ridotti nelle sedute successive. Manca una chiara evidenza scientifica della loro efficacia a causa dell'assenza di un disegno metodologicamente corretto dei vari studi. Terapia della reminiscenza autobiografica-->si basa sulla narrazione,spontanea o all'interno di un'attività strutturata,di eventi salienti della vita della persona,da sola o più spesso in gruppi in cui i partecipanti si incontrano una volta a settimana e sono incoraggiati a parlare di eventi passati.L'obiettivo è stimolare le capacità mnestiche risidue. Terapia di orientamento alla realtà--> è finalizzata a riorientrare i pazienti confusi o con deterioramento mentale rispett a sé,alla propria storia o lla'ambiente circostante.L'obiettivo è modificare comportamenti maladattivi e migliorare il livello di autostima facendo sentire il paziente partecipe di relazioni sociali significative e riducendone l'isolamento. Benchè la ROT sia una tecnica di stimolazione cognitiva molto diffusa,non è chiaro quale sia la tipologia di pazienti che ne maggiormente ne tragga benefici. In conclusione la stimolazione cognitiva in senso lato comprende una serie di tecniche il cui scopo dovrebbe essere non tanto aumentare la performance in compiti cognitivi,quanto piuttosto migliorare le capacità del paziente nel contesto quotidinao,basandosi più sul recupero di processi acquisiti che sull'apprendimento di nuovi, coinvolgendo processi di riconoscimento più che di richiamo e spostando le richieste da strategie interne ad aiutii esterni. CONTROLLI DEI DISTURBI SUL COMPORTAMENTO I trattamenti non farmacologici dei disturbi del comportamento dei pazienti affetti da demenza sono di vario tipo,ma tutti volti a creare situazioni che consentano la riduzione dell'ansia e della tensione emotiva,limitino la sensazione di solitudine e inutilità e creino un ambiente sufficientemente,ma non eccessivamente,stimolante dal punto di vista sensoriale. Musicoterapia Terapia Snoezele(stimolazione multisensoriale) Presenza simulata(nastri registrati o video o immagini con familiari) Attività ricreative Metodo Montessori(con esercizi che utilizzano una serie di suggerimenti e progrediscono per livelli crescenti di attività)Attività fisica Riduzione di stimoli sensoriali(abbassare il volume della televisione e del tono della voce) Modificazione dell'ambiente. Queste strategie non mostrano nel complesso un efficacia tale da rendere tali provvedimenti raccomandabili.I disturbi del comportamento sono sia l'espressione fenomenologica di alterazioni neurobiologiche,sia il riflesso dell'esperienza soggettiva che il pazinete demente fa dei propri deficit cognitivi e funzionali.Quindi,essendo frutto anche dell'esperienza soggettiva,è opportuno personalizzare gli eventi. INTERVENTI SULL'AMBIENTE

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Come per altre malattie caratterizzate da Handicap,nella demenza in fase avanzata l'ambiente può accentuare o ridurre il livello di disabilità. L'introduzione di suppellettili,utensili o oggetto da bagno colorati,ben impugnabili,facilmente lavabili può rappresentare una facilitazione per svolgere le attività quotidiane. il ricorso ad indumenti privi di bottoni,chiusure lampo,cinture o ganci o di scarpe senza stringhe consente al paziente una maggior autonomia nel vestirsi e spogliarsi. Tenere bene in vista oggetti,foto o libri significativi consente di rinforzare l'identità personale. Possono essere considerate ambientali anche le relazioni tra pazienti e personale incaricato all'assistenza.Merita infatti attenzione il ruolo dei programmi di educazionbe del personale nel gestire i disturbi del comportamento. SUPPORTO E COUNSELING AL FAMILIARE i familiari dei soggetti affetti da demenza rappresentano un aspetto cruciale della questione,sia come effettivi gestori dello stato di salute e di benessere del paziente,sia come soggetto passibili di sviluppare essi stessi una serie di disturbi(ansia,depressione,tono dell'umore..). La relazione paziente-familiare è così stretta che se ne parla come una diade e sempre più numerosi sono i dati che indicano come non solo la malattia del paziente induce problemi di salute nel familiare,ma come lo stato di stress di quest'ultimo influenzi negativamente il decorso della demenza del paziente.L'intervento psico-sociale rivolto al familiare è quindi uno strumento di protezione e rafforzamento della diade e di riduzione dei costi sociali della malattia in termini di ore di lavoro perduto,di visite mediche di farmaci,ecc. Lo stress sperimentato dai familiari di pazienti con malattia di alzheimer cresce con l'avanzare del deterioramento cognitivo del paziente ed è superiore a quello dei familiari di malati terminali. Alla luce di queste considerazioni l'esperienza di fornire assistenza al congiunto affetto da demenza non può essere considerata un fenomeno unitario,ma piuttosto come un'interazione tra fattori che si modulano reciprocamente e mutano nel tempo con diverso impatto sullo stato di salute del caregiver. Il supporto al caregiver si è quindi articolato attraverso diverse terapie psicologiche(cognitivo-comportamentali,psicodinamiche,di formazione e consulenza) sia individuali che di gruppo,la cui reale efficacia è praticamente insondabile. Complessivamente,sembra che solo la gestione dei disturbi del comportamento attraverso un'educazione specifica,sia dei familiari che del personale operante in reparti di lungodegenza,dia buoni risultati. Al di là dei songoli casi,una serie di provvedimenti appaiono raccomandabili in tutte le situazioni: 1)Fornire ai familiari e al personale addetto il maggior numero di informazioni,sia in generale che sull'individuo così da consentire la comprensione di comportamenti che appaiono inspiegabili ed evitare quindi reazioni incongrue,favorire il potenziamento delle facoltà residue del paziente,migliorare le modalità di comunicazione e promuovere l'autosufficienza

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2)Organizzare attività ricreative e rieducative per piccoli gruppi di pazienti,tenendo conto degli interessi e della personalità premorbosa 3)Preferire ambienti gradevoli,arredati in modo funzionale,non ingombri di mobili ed oggetti inutili,ben illuminati,non rumorosi,eventualmente rallegrati da pareti o oggetto colorati e da un sottofondo musicale adeguato. CONCLUSIONI La definizione del paziente affetto da demenza sia in termini diagnostici che psicosociali non è impresa banale e richiede l'impegno congiunto di tutti gli operatori sociali.E' importante sottolineare che l'assessment socio-familiare è fondamentale quanto la raccolta della storia clinica per fornire al paziente e alla famiglia un supporto adeguato. E' essenziale valutare lo stato di salute generale del soggetto,stabilire quali farmaci vengono assunti,il livello culturale,le caratteristiche dell'ambiente sociale e familiare,la tipologia dell'abitazione. su questa base potranno essere suggeriti comportamenti e accorgimenti che apporteranno benefici in termini della qualità della relazione paziente-caregiver ed una probabile riduzione dei costi in termini di farmaci,ricoveri impropri,consultazioni mediche.