Psicopatologia e neuroscienze cognitive

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Psicopatologia e neuroscienze cognitive Stefano Bussolon 8 febbraio 2008 1 Introduzione C’era una volta la psicologia cognitiva, fondata sul paradigma dell’human information processing, se- condo cui le scienze cognitive studiano gli stati mentali, definiti come relazioni tra gli organismi e le rappresentazioni interne, che si succedono in base ad espliciti principi computazionali (Fodor, 1983). Esplicitamente cartesiano, questo paradigma consi- derava la struttura del cervello del tutto incidentale rispetto agli aspetti funzionali della mente: il cogni- tivismo classico assumeva di poter astrarre comple- tamente dai fondamenti biologici ed anatomofisiolo- gici del cervello (Clark, 1991; Johnson-Laird, 1988). Negli anni 90, per` o, questo paradigma venne mes- so in discussione in numerosi contetsti (Norman, 1993). Se nella neuropsicologia clinica la relazione fra mente e cervello non ` e mai stata messa in discus- sione (Bisiach et al., 1985; Farah, 1994), gli argo- menti tipici della psicologia cognitiva iniziarono ad essere sistematicamente affrontati nei termini del paradigma definito di (integrative) cognitive neuro- sciences. Citiamo, a titolo di esempio, l’attenzio- ne selettiva spaziale (Desimone and Duncan, 1995; Koch and Ullman, 1985; Sparks and Groh, 1995) o la categorizzazione (Ashby et al., 1998; Ashby and Spiering, 2004; Grossman et al., 2002; Little et al., 2006). Lungi dall’essere riduzionista, il paradigma delle neuroscienze cognitive elabora dei modelli teorici della cognizione che permettono di evidenziare la complessit` a del rapporto fra mente e cervello. 1.1 Neuroscienze cognitive e psico- patologia Sebbene l’approccio integrativo delle neuroscienze cognitive alla psicopatologia sia pi` u recente, vi ` e oramai una letteratura piuttosto ampia sull’argo- mento (si vedano, ad esempio, Davidson et al., 2002; Davidson, 2003; Luan Phan et al., 2002). Cio- nonostante, i modelli diagnostici, esplicativi e tera- peutici del cognitivismo clinico sono tuttora ampia- mente, se non esclusivamente, basati sul paradigma cognitivista classico. I pi` u importanti manuali te- rapeutici di riferimento del cognitivismo clinico so- stanzialmente ignorano il correlato cerebrale della psicopatologia. Vi sono, a mio avviso, differenti ragioni che rendo- no auspicabile l’adozione del paradigma integrativo nello studio della psicopatologia e della psicoterapia Integrazione fra psicoterapia e farmacotera- pia La farmacoterapia e la psicoterapia sono, no- toriamente, le terapie di elezione per diverse tipolo- gie di psicopatologie (Baldwin et al., 2005). Sebbe- ne vi siano numerosi studi sull’interazione fra far- maco e psicoterapia, n´ e i modelli psicoterapeutici e quelli biochimici riescono da soli a rendere con- to del motivo dell’efficacia terapeutica di approcci cos` ı differenti fra di loro. Le neuroscienze cognitive possono costituire un ponte fra la psicoterapia e la farmacoterapia. Sviluppo di modelli esplicativi neurocogniti- vi Lo studio dei disturbi psichiatrici attraverso le bioimmagini permette di evidenziare le aree cere- brali la cui attivazione ` e significativamente diversa (iper o ipoattivata) nelle varie patologie. Conoscen- do i ruoli funzionali di tali aree ` e possibile elaborare dei modelli funzionali della psicopatologia compa- tibili con il substrato cerebrale. Particolarmente promettenti sono, ad esempio, gli studi sulla cor- teccia cingolata anteriore nei pazienti con disturbo ossessivo compulsivo (Bush et al., 2000; Critchley et al., 2003) Modelli diagnostici e prognostici pi` u raffina- ti Attraverso l’uso di bioimmagini ` e possibile non 1

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Gli aspetti cerebrali dei disturbi dell'umore

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Psicopatologia e neuroscienze cognitive

Stefano Bussolon

8 febbraio 2008

1 Introduzione

C’era una volta la psicologia cognitiva, fondata sulparadigma dell’human information processing, se-condo cui le scienze cognitive studiano gli statimentali, definiti come relazioni tra gli organismi ele rappresentazioni interne, che si succedono in basead espliciti principi computazionali (Fodor, 1983).Esplicitamente cartesiano, questo paradigma consi-derava la struttura del cervello del tutto incidentalerispetto agli aspetti funzionali della mente: il cogni-tivismo classico assumeva di poter astrarre comple-tamente dai fondamenti biologici ed anatomofisiolo-gici del cervello (Clark, 1991; Johnson-Laird, 1988).Negli anni 90, pero, questo paradigma venne mes-so in discussione in numerosi contetsti (Norman,1993). Se nella neuropsicologia clinica la relazionefra mente e cervello non e mai stata messa in discus-sione (Bisiach et al., 1985; Farah, 1994), gli argo-menti tipici della psicologia cognitiva iniziarono adessere sistematicamente affrontati nei termini delparadigma definito di (integrative) cognitive neuro-sciences. Citiamo, a titolo di esempio, l’attenzio-ne selettiva spaziale (Desimone and Duncan, 1995;Koch and Ullman, 1985; Sparks and Groh, 1995) ola categorizzazione (Ashby et al., 1998; Ashby andSpiering, 2004; Grossman et al., 2002; Little et al.,2006).Lungi dall’essere riduzionista, il paradigma delleneuroscienze cognitive elabora dei modelli teoricidella cognizione che permettono di evidenziare lacomplessita del rapporto fra mente e cervello.

1.1 Neuroscienze cognitive e psico-patologia

Sebbene l’approccio integrativo delle neuroscienzecognitive alla psicopatologia sia piu recente, vi eoramai una letteratura piuttosto ampia sull’argo-mento (si vedano, ad esempio, Davidson et al.,

2002; Davidson, 2003; Luan Phan et al., 2002). Cio-nonostante, i modelli diagnostici, esplicativi e tera-peutici del cognitivismo clinico sono tuttora ampia-mente, se non esclusivamente, basati sul paradigmacognitivista classico. I piu importanti manuali te-rapeutici di riferimento del cognitivismo clinico so-stanzialmente ignorano il correlato cerebrale dellapsicopatologia.Vi sono, a mio avviso, differenti ragioni che rendo-no auspicabile l’adozione del paradigma integrativonello studio della psicopatologia e della psicoterapia

Integrazione fra psicoterapia e farmacotera-pia La farmacoterapia e la psicoterapia sono, no-toriamente, le terapie di elezione per diverse tipolo-gie di psicopatologie (Baldwin et al., 2005). Sebbe-ne vi siano numerosi studi sull’interazione fra far-maco e psicoterapia, ne i modelli psicoterapeuticine quelli biochimici riescono da soli a rendere con-to del motivo dell’efficacia terapeutica di approccicosı differenti fra di loro. Le neuroscienze cognitivepossono costituire un ponte fra la psicoterapia e lafarmacoterapia.

Sviluppo di modelli esplicativi neurocogniti-vi Lo studio dei disturbi psichiatrici attraverso lebioimmagini permette di evidenziare le aree cere-brali la cui attivazione e significativamente diversa(iper o ipoattivata) nelle varie patologie. Conoscen-do i ruoli funzionali di tali aree e possibile elaboraredei modelli funzionali della psicopatologia compa-tibili con il substrato cerebrale. Particolarmentepromettenti sono, ad esempio, gli studi sulla cor-teccia cingolata anteriore nei pazienti con disturboossessivo compulsivo (Bush et al., 2000; Critchleyet al., 2003)

Modelli diagnostici e prognostici piu raffina-ti Attraverso l’uso di bioimmagini e possibile non

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solo identificare alcuni peculiari pattern di attiva-zione cerebrale in individui con specifiche patologie(quali la depressione) ma anche di ipotizzare del-le distinzioni diagnostiche e prognostiche piu raf-finate. Alcuni pattern di attivazione, ad esempio,paiono correlare con l’outcome di trattamenti far-macologici (si veda, ad esempio, Pizzagalli et al.,2001).

Valutazione di efficacia attraverso bioimma-gini Le ricerche sperimentali finalizzate a valu-tare l’efficacia d’esito delle diverse terapie (psico-terapie, farmacoterapie o terapie alterntive) gene-ralmente misurano l’outcome confrontando indiciquali i questionari di self report o le valutazionidiagnostiche di personale clinico specializzato. Glistudi d’esito che utilizzano le bioimmagini posso-no affiancare a questi tipi di misurazione anche de-gli indicatori concernenti gli eventuali cambiamentiche hanno avuto luogo, durante il trattamento, alivello cerebrale.

1.2 Il cervello depresso

Sebbene siano presenti in letteratura lavori con-cernenti praticamente ogni disturbo psicopatologi-co, in questa breve rassegna ci focalizzeremo qua-si esclusivamente sulle aree cerebrali che appaionocoinvolte nella depressione.La ricerca con uso di neuroimmagini ha permessodi far emergere delle anormalita nel flusso metabo-lico ed ematico di alcune strutture corticali (preva-lentemente nella corteccia limbica e prefrontale) insoggetti con disturbi dell’umore.Le aree il cui livello di attivazione nei soggetti de-pressi sono modificate sono numerose. Piu in parti-colare sono state riscontrate delle alterazioni nelleseguenti aree:

• Corteccia prefrontale dorsolaterale.

• Corteccia prefrontale ventromediale.

• Corteccia prefrontale dorsomediale.

• Corteccia prefrontale orbitofrontale.

• Corteccia prefrontale insulare.

• Corteccia cingolata anteriore rostrale (subcal-losale)

• Corteccia cingolata anteriore dorsale

• Amigdala

• Ippocampo

• strutture sottocorticali quali il talamo media-le, il nucleo accumbens, l’area tegmentale ven-trale, la substantia nigra pars compacta, ilnucleo del raphe, il locus coeruleus e il giroperiaquedottale.

2 Corteccia prefrontale

2.1 Corteccia prefrontale dorsolate-rale (DLPFC)

2.1.1 Funzioni

La corteccia prefrontale dorsolaterale e implicatanella memoria di lavoro, nella rappresentazione de-gli obiettivi, nella fluenza verbale, in compiti visuo-spaziali (Davidson and Irwin, 1999, pag. 14). Nel-la valutazione degli aspetti emotivi di uno stimolo,l’area dorsolaterale sinistra mostra una attivazionemaggiore per gli stimoli positivi, mentre l’area ven-trolaterale destra mostra una attivazione maggioreper gli stimoli negativi (Dolcos et al., 2004).Secondo (Ochsner et al., 2004, pag.1216) quest’a-rea e coinvolta nel processo di reappraisal, ovverodi rivalutazione cognitiva di un evento (negativo).

2.1.2 Studi lesionali

La lesione della DLPFC focale sinistra aumen-ta la probabilita di sintomi depressivi in pazientineurologici (Davidson and Irwin, 1999, pag. 13)

2.1.3 Attivazione in pazienti depressi

Nei pazienti depressi il livello di attivazione dellacorteccia prefrontale dorsolaterale tende ad essereridotto. Il livello di attivazione e legato allo statopatologico, e torna nella norma alla remissione deisintomi (Drevets, 2000)

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Figura 1: Lobo frontale: mappe laterale e mediale. Tratto da Petrides and Pandya (1999)

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2.2 Corteccia prefrontale ventrome-diale

2.2.1 Funzioni

Quest’area e implicata nella valutazione e anticipa-zione delle conseguenze delle proprie azioni. Talevalutazione sembra specializzata per emisfero: dal-la parte destra vengono anticipate le conseguenzenegative, a sinistra quelle positive (Davidson andIrwin, 1999, pag. 13).A quest’area viene inoltre attribuita la funzione dimemoria di lavoro affettiva.La corteccia prefrontale ventromediale destra ap-pare inoltre implicata nella inibizione di risposteemotive impulsive, in quanto risulta implicata nel-l’apprendimento e nella memorizzazione delle puni-zioni (Davidson, 2003).Quest’area e implicata negli aspetti emotivi di“autoprocessamento” (Dolcos et al., 2004, pag. 71)

2.2.2 Studi lesionali

Pazienti con lesioni in quest’area presentano deideficit di vario tipo:

Competenze sociali incapacita di rispondere inmaniera appropriata a dei cues sociali nell’am-biente; mancata consapevolezza dei comportamen-ti socialmenti appropriati; quest’area e stata dun-que considerata coinvolta nei processi di competen-za sociale necessari per condurre delle interazioniinterpersonali adeguate.

Valutazione del rischio Le persone con lesio-ne alla corteccia ventromediale tendono ad averecomportamenti disadattativi nella valutazione deirischi futuri; queste persone sembano insensibilialle conseguenze future, positive o negative, delleproprie scelte, e sono guidate esclusivamente dalleprospettive immediate (Bechara et al., 2000).

Sintomi perseverativi La corteccia prefrontalemediale e implicata nella inibizione di risposte inap-propriate, e la sua lesione causa comportamenti ditipo perseverativo (Quirk et al., 2000)

Ricordo dell’estinzione Studi lesionali su rat-ti hanno dimostrato un ruolo della corteccia pre-frontale ventromediale nell’estinzione di associazio-

ni aversive apprese. Secondo Quirk et al. (2000)l’area VMPFC e implicata nel ricordo dell’estin-zione: ratti con lesione in quest’area tendono adavere normali curve di estinzione di comportamen-ti di panico durante la fase di desensibilizzazione,ma tendono a ripresentare tali comportamenti 24ore dopo la prima fase di estinzione. Il risultato eche la lesione di quest’area comporta la necessitadi un numero maggiore di sessioni di estinzione perestinguere a lungo termine il condizionamento.

2.2.3 Attivazione in pazienti depressi

Nei pazienti depressi il livello di attivazione dellacorteccia prefrontale ventromediale tende ad essereridotto.

2.3 Corteccia prefrontale dorsome-diale (DMPFC)

2.3.1 Funzioni

La corteccia prefrontale dorsomediale aumenta lapropria attivita in compiti che richiedono valuta-zioni di tipo emozionale. L’area pare esercitare unafunzione di modulazione dell’ansia: attraverso le af-ferenze al giro periaqueduttale modula le rispostecardiovascolari associate alle emozioni (diminuzio-ne della frequenza cardiaca) (Drevets, 2000, pag.820).La DMPFC viene attivata in compiti di “giudiziosociale” in paradigmi in cui si chiede al partecipan-te di “formarsi un’idea su di una persona”.La DMPFC codifica lo stato di arousal: nell’espe-rimento di Dolcos et al. (2004) la corteccia prefron-tale ventromediale codifica la valenza (positiva onegativa) degli stimoli, mentre l’area dorsomedialeera legata al livello di arousal: attivazione maggioreper gli items a valenza positiva e negativa rispettoagli items neutri.Secondo (Ochsner et al., 2004, pag.1223) quest’a-rea e deputata consapevolezza delle proprie emozio-ni (emotional awareness) e alla lettura degli statiemotivi propri ed altrui. Quest’area probabilmen-te modula gli effetti dell’attivazione dell’amigdala,non tanto con una inibizione diretta quanto attra-verso la modulazione delle risposte fisiologiche, inuna forma di controllo delle risposte difensive.

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2.3.2 Studi lesionali

Nei ratti la lesione omologa della DMPFC induceun aumento esagerato del battito cardiaco in ri-sposta a stimoli condizionati aversivamente, men-tre l’attivazione artificiale di quest’area attenua lerisposte di allerta e difesa.

2.3.3 Attivazione in pazienti depressi

Nei pazienti depressi il livello di attivazione dellacorteccia prefrontale dorsomediale tende ad esse-re ridotto(Drevets, 2000, pag. 820). La riduzio-ne nell’attivazione di quest’area correla con sintomidepressivi anche in pazienti affetti da Parkinson.

2.4 Corteccia orbitofrontale

2.4.1 Funzioni

La corteccia orbitofrontale e implicata, assiemea parte dello striato e all’amigdala, alla rap-presentazione o alla anticipazione del rinforzonell’apprendimento condizionato.

Quest’area e associata al vissuto del “disgusto”,inteso sia in termini di disgusto sensoriale – nei con-fronti, ad esempio, di un cibo o di un odore – chein termini di “disgusto morale”.Quest’area modula il processo decisionale in baseal contesto (Ochsner et al., 2004): quest’area inibi-sce le risposte inappropriate e seleziona le rispostecontestualmente ed emotivamente appropriate.

2.4.2 Studi sperimentali e lesionali

In paradigmi sperimentali di induzione di umorenegativo o ansia in soggetti normali si misura unaumento del livello di attivazione di quest’area.Si registra un aumento di attivazione anche all’e-sposizione dello stimolo fobico in pazienti DOC oanimali con condizionamento fobico. L’attivazio-ne dell’area, pero, correla negativamente sia con leideazioni che i comportamenti ossessivi, ansiosi odepressivi. Negli animali fobici l’attivazione ha luo-go nella fase di abituazione ad uno stimolo aversivo(Drevets, 2000, pag. 818).

2.4.3 Attivazione in pazienti depressi

Il livello di attivazione di quest’area nei pazientidepressi e a volte superiore, a volte inferiore aisoggetti di controllo.

Alcuni studi suggeriscono che questa differenzacorreli con l’outcome del trattamento farmacologi-co: pazienti con iperattivazione risultano trattabilicon farmaci RSSI, mentre in depressi gravi o nontrattabili quest’area risulti ipoattivata (Drevets,2000, pag. 818).Nei pazienti affetti da parkinson l’ipoattivazione diquest’area correla con lo stato depressivo.

Corteccia orbitofrontale e DOC L’attivazio-ne di quest’area sembra implicata nel disturbo os-sessivo compulsivo. Alcuni autori sospettano chel’iperattivazione del senso di “disgusto” di quest’a-rea possa avere un ruolo causale nei rituali compul-sivi dei pazienti DOC.In setting sperimentali in cui a pazienti DOC ven-gono elicitati gli stimoli attivanti il comportamen-to ossessivo compulsivo si registra una correlazionenegativa fra l’andamento dell’attivazione dell’areaorbitofrontale e i correlati fisiologici del’ansia (adesempio il battito cardiaco).

Corteccia orbitofrontale e amigdala In sog-getti depressi e stata riscontrata una correlazionenegativa fra livello di attivazione della corteccia or-bitofrontale e amigdala. Tale correlazione lasciasupporre che vi siano due diversi pattern di attiva-zione della depressione, uno legato all’iperattivazio-ne dell’amigdala (che sembra piu trattabile con lapsicoterapia) ed uno legato all’iperattivazione del-la corteccia orbitale, trattabile con successo dagliantidepressivi.

3 Corteccia cingolata anterio-re

La corteccia cingolata anteriore fa parte del sistemalimbico. L’area e coinvolta in un circuito finalizzatoalla reciproca modulazione degli aspetti cognitivied emozionali (Bush et al., 2000, pag. 215).

3.1 Ruolo funzionale

La corteccia cingolata anteriore ha la funzione diintegrare e modulare informazioni di tipo sensoria-le, motorio, cognitivo ed emotivo, integrando dif-ferenti aspetti; esercita il suo ruolo modulando le

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risposte cognitive, motorie, endocrine e viscerali.(Bush et al., 2000, pag. 215).Quest’area ha anche un ruolo importante nella mo-dulazione del dolore (Luu and Posner, 2003) e nellamodulazione dello stato di arousal fisico (frequenzacardiaca) (Critchley et al., 2003).Gli aspetti emotivi e gli aspetti cognitivi sono pro-cessati dalla corteccia cingolata anteriore in areeanatomiche separate: Bush et al. (2000) distinguo-no la parte dorsale, deputata agli aspetti cognitivi,e la parte ventrale-rostrale, coinvolta negli aspettiemotivo-affettivi.Alcuni paradigmi sperimentali – prevalentementecon dei test di Stroop a contenuto emotivo vs. emo-zionale (Bush et al., 2000) – hanno fatto emergereuna complementarieta fra le due parti (cognitiva edemotiva) della corteccia cingolata anteriore: nelleprove con Stroop cognitivo (interferenza numerica)vi e un aumento dell’attivazione della parte cogni-tiva ed una diminuzione di quella emotiva. Nelleprove con Stroop emotivo (items ad alto contenu-to emotivo) vi e un aumento dell’attivazione nellaparte emotiva ed una diminuzione in quella cogni-tiva. Sarebbe interessante verificare la possibilitadi utilizzare questo meccanismo nel trattamentocognitivo della depressione.

3.1.1 Studi lesionali

Lesioni di quest’area producono sintomi qualiapatia, inattenzione, disregolazione delle funzioniautonome, instabilita e labilita emotiva.

3.2 Corteccia cingolata anteriore ro-strale

3.2.1 Ruolo funzionale

L’area rostrale (subcallosale) e la “parte emotiva”della corteccia cingolata anteriore. E coinvoltanella valutazione della salienza di informazioni ditipo emozionale e motivazionale e nella regolazionedelle risposte emozionali. Viene attivata, insoggetti sani, in paradigmi di induzione di statiemotivi negativi (Mayberg et al., 1999) e in test diStroop emotivo (Bush et al., 2000).

3.2.2 Attivazione in pazienti depressi

Vi e ipoattivazione “relativa” di quest’area in sog-getti affetti da depressione, sia uni che bipolare.L’ipoattivazione pare legata ad una riduzione vo-lumetrica, tendenzialmente lateralizzata a sinistra.La riduzione e piu apparente nei casi di depressionefamiliare e sembra correlare con l’eta di insorgen-za dei sintomi (Drevets, 2000, pag. 816). Al nettodella riduzione volumetrica il livello di attivazionedell’area nei depressi e superiore alla norma; i far-maci antidepressivi tendono a ridurne l’attivita.L’iperattivazione di quest’area in fase di pre-trattamento e un predittore della risposta in sogget-ti depressi al trattamento farmacologico (Pizzagalliet al., 2001)

3.3 Corteccia cingolata anterioredorsale

3.3.1 Ruolo funzionale

L’area dorsale e la “parte cognitiva” della cortecciacingolata anteriore. E coinvolta nella modulazio-ne delle funzioni esecutive, nel monitoraggio dellefunzioni in competizione nel controllo motorio com-plesso, nella detezione degli errori e nella memo-ria di lavoro (Bush et al., 2000).Quest’area viene attivata in compiti cognitivamen-te impegnativi che implicano una selezione della ri-sposta: test di Stroop, attenzione divisa, compitilegati alla memoria di lavoro (Bush et al., 2000).In soggetti normali vi e ipoattivazione in paradig-mi di induzione di stati emotivi negativi (Mayberget al., 1999).

Detezione dell’errore e DOC Il ruolo di que-st’area nella codifica degli errori di esecuzione puoessere modulata dalla motivazione: il segnale e piuforte quando al partecipante si chiede di essere ac-curato di quando gli e richiesto di essere veloce.Nei pazienti ossessivo compulsivi il segnale di er-rore e piu forte che nei soggetti normali, e il li-vello correla con la severita del sintomo. Si ipo-tizza un legame causale fra il segnale di errore, laresponsabilizzazione e la coazione al controllo.

3.3.2 Attivazione in pazienti depressi

Quest’area risulta spesso ipoattivata in pazienti de-pressi in fase acuta; in fase di remissione il livello

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di attivazione torna nella norma (Mayberg et al.,1999; Drevets, 2000, pag. 820);

4 Amigdala

4.1 Ruolo funzionale

Numerosi studi indicano un ruolo importante del-l’amigdala in numerosi funzioni cognitive. L’amig-dala influenza il livello di arousal, e influenzata dal-la motivazione, modula il comportamento di avvi-cinamento o allontanamento. L’amigdala e impli-cata nella valutazione dell’espressione facciale, nel-la valutazione della piacevolezza degli odori, vieneelicitata da rumori biologicamente salienti quali ilpianto. L’amigdala e coinvolta ed influisce nei pro-cessi attentivi, di condizionamento e di apprendi-mento. La risposta dell’amigdala agli stimoli ten-de, piuttosto velocemente, all’abituazione, e parelegata prevalentemente alla valutazione di stimolinuovi o poco noti (Zald, 2003).Nella valutazione delle espressioni facciali la rispo-sta dell’amigdala non e influenzata dall’attenzione(Ochsner et al., 2004). Questo fatto lascia intende-re che tale valutazione ha luogo preattentivamen-te. L’amigdala e responsabile del comportamentofobico condizionato (Davidson, 2002)

4.1.1 Specializzazione emisferica, connes-sione interemisferica

Vi sono evidenze a favore di una specializzazioneemisferica dell’amigdala: l’amigdala dell’emisferodestro sembra maggiormente implicata nell’elabo-razione degli aspetti emotivi dell’informazione per-cepita, mentre l’amigdala dell’emisfero sinistro pa-re prevalentemente deputata alla valutazione di taliaspetti. In secondo luogo la parte sinistra sembramaggiormente legata ad una valutazione cognitiva(o verbale), mentre la destra ad una valutazione de-gli input percettivi (Zald, 2003).I soggetti depressi mostrano, in 3 studi che utiliz-zano la risonanza magnetica e la pet (Irwin et al.,2004) una connessione interemisferica funzionalemaggiore rispetto ai soggetti di controllo.

4.1.2 Studi lesionali

In studi lesionali su primati la lesione dell’amig-dala induce comportamenti di iper-oralita, iper-

sessualita, assenza di paura. Pazienti con lesionebilaterale dell’amigdala hanno difficolta specifichenel riconoscimento di espressioni facciali di paura,nell’espressione autonomica del condizionamentoaversivo Davidson (2002).

4.2 Psicopatologia

4.2.1 Attivazione in pazienti depressi

In pazienti con sindrome depressiva e storia fami-liare di depressione e stata riscontrata una iperatti-vazione fino al 50% dell’amigdala. L’iperattivazio-ne dell’amigdala sembra essere presente prevalente-mente in pazienti con comitante sindrome ansiosa.Il livello di attivazione correla con la gravita sinto-matica, e nei pazienti trattati in remissione il livel-lo di attivazione dell’amigdala rientra nella norma(Davidson et al., 2002).L’eccessiva stimolazione che l’amigdala esercita suaree implicate nella memoria dichiarativa puo esse-re una delle cause della tendenza alla ruminazionedei pazienti depressi.

4.2.2 Disturbo Borderline di Personalita

Herpertz et al. (2001) hanno riscontrato una ipe-rattivazione dell’amigdala in pazienti con diagnosidi BPD. Risultati simili sono riportati da Doneganet al. (2003).

5 Ippocampo

5.1 Ruolo funzionale

L’ippocampo codifica la memoria dichiarativa, pre-valentemente verbale, la memoria episodica e lamemoria autobiografica.

Competizione con l’amigdala E interessantenotare come una forma di “competizione” esisteanche fra amigdala ed ippocampo: Williams et al.(2001) hanno mostrato a dei soggetti dei volti, al-cuni con espressioni di paura, altri con espressionineutrali. Hanno misurato il livello di attivazione(fMRI) di ippocampo e amigdala e la conduttanzadei soggetti. Dai loro risultati si evince che l’amg-dala viene attivata solo in presenza di conduttanza

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e l’ippocampo solo in assenza. Gli autori concludo-no che l’amigdala ha un ruolo nell’elaborazione vi-scerale ed emotiva delle informazioni e l’ippocamponell’elaborazione cognitiva e fattuale.

5.1.1 Plasticita neuronale

Alcuni studi sottolineano la plasticita neurona-le dell’ippocampo: esperimenti su roditori han-no dimostrato effetti di neurogenesi nell’ippocam-po di esemplari adulti a seguito di trattamentocon farmaci antidepressivi, schock elettroconvulsi-vo ed anche – aspetto estremamente interessante –a seguito dell’esposizione degli animali ad un am-biente cognitivamente stimolante (Davidson et al.,2002). La plasticita neuronale dell’ippocamposembra presente anche negli umani adulti.

5.1.2 Attivazione in pazienti depressi

Alcuni studi hanno riscontrato la presenza di atro-fia ippocampale in pazienti con diagnosi di depres-sione maggiore.Pare che il livello di atrofia sia significativamen-te correlato con l’anamnesi patologica del paziente:sembra esserci un legame fra il numero e la dura-ta complessiva degli episodi depressivi ed il livellodi atrofia dell’ippocampo. Questa relazione lasciasupporre che l’atrofia costituisca una conseguenza,piu che una causa, della depressione. L’ipercortiso-lemia associata alla depressione pare essere il fat-tore legato all’ipotrofia dell’ippocampo nei soggettidepressi (Davidson et al., 2002).

6 Aspetti morfologici

6.1 Riduzione del numero di cellulegliari

Studi istologici post mortem hanno evidenziatouna riduzione della densita e del numero di cellulegliari nella corteccia prefrontale dei soggetti condiagnosi di depressione uni o bipolare.Alcuni dati lasciano supporre un effetto neuropro-tettivo da parte del trattamento farmacologico.E lecito supporre che la riduzione del numerodi cellule gliari eserciti un effetto negativo sullefunzioni cerebrali. La relazione causale fra lapatologia depressiva e la riduzione gliare e ancora

incerta.

La modifica istologica o morfologica di alcunearee del cervello e generalmente osservata in pazien-ti con un esordio precoce, mentre e virtualmenteassente nei pazienti con esordio tardivo.

7 Conclusioni

La rassegna che abbiamo presentato lascia suppor-re che alcune strutture corticali e sottocorticali,note per essere implicate nel mediare le emozionie le risposte allo stress, siano attivate in manierapatologica. Aree cerebrali che modulano odinibiscono espressioni emotive sono attivate, altrearee deputate in alcune attivita attentive sonoipoattivate.L’iperattivazione dell’amigdala, per altro, pareessere presente esclusivamente nei pazienti consintomi ansiosi. Alcuni modelli ipotizzano che l’i-perattivazione dell’amigdala abbia un ruolo causalenelle manifestazioni d’ansia (Davidson et al., 2002).

7.1 Asimmetria di attivazione destro- sinistro

Alcuni studi hanno evidenziato una asimmetria nellivello di attivazione della corteccia prefrontale neidue emicampi: in un sottoinsieme di pazienti de-pressi vi e un livello di attivazione della cortecciaprefrontale sinistra significativamente minore che adestra. Secondo Davidson (2003) vi e una specia-lizzazione emisferica della corteccia prefrontale neicomportamenti approach - withdrawal (avvicina-mento e allontanamento): l’area prefrontale destraappare coinvolta in comportamenti di inibizione elegata a stati emotivi aversivi. La corteccia sinistraappare coinvolta in comportamenti di avvicinamen-to. Davidson (2003) sostiene che il livello di attiva-zione relativo della corteccia prefrontale destra vssinistra sia un tratto relativamente stabile degli in-dividui (sia in soggetti umani che nei primati) e chequesto tratto abbia dei correlati comportamentalie di personalita.L’assimetria nell’attivazione della corteccia pre-frontale dei due emisferi (con vantaggio dell’emisfe-ro destro) puo dunque essere correlato con alcunitratti sintomatici dei soggetti depressi. L’assimme-

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tria puo essere attribuibile ad una ipoattivazionedell’emisfero destro, ad una ipoattivazione del si-nistro o ad entrambe. Secondo Pizzagalli et al.(2001) l’iperattivazione dell’emisfero destro e piutipica della depressione ansiosa, mentre l’ipoattiva-zione dell’emisfero sinistro correla con sintomi dirallentamento psicomotorio.Secondo Urry et al. (2004), al contrario, una leg-gera asimmetria a favore dell’emisfero sinistro cor-rela con lo stato di benessere psicologico dell’eu-donia. E inoltre estremamente interessante nota-re come vi sia una relazione fra l’assimmetria ver-so destra e l’efficacia di antidepressivi SSRI (inibi-tori del reuptake della serotonina): i soggetti conmaggiore asimmetria tendono a non rispondere (oa rispondere meno) a questo trattamento.

7.2 Competizioni fra aree

Amigdala e corteccia prefrontale Oltre aduna competizione fra emisferi sembra esserci unacompetizione fra diverse aree cerebrali. Da unaparte, appunto vi e correlazione negativa fra l’atti-vazione dell’amigdala e quella della corteccia pre-frontale orbitofrontale e ventromediale. Si ipotizzache questo sia indicativo di 2 diversi pattern di at-tivazione, associabili rispettivamente a depressioneansiosa e non ansiosa.

Corteccia cingolata rostrale e dorsale Vi ecompetizione fra l’area emotiva e cognitiva dellacorteccia cingolata. Nella depressione la presen-za di iperattivazione della parte rostrale predicel’outcome al trattamento farmacologico.

8 Modelli esplicativi ed effica-cia del trattamento

Fra gli elementi che vengono generalmente portatia supporto di un modello esplicativo l’argomen-to dell’efficacia risulta importante in numerosicontesti, ma in ambito clinico diviene addiritturacentrale. Proviamo dunque ad analizzare la bontadei modelli esplicativi a partire dall’efficacia deitrattamenti che tali modelli propongono.Secondo il who Who (2001) i trattamenti consi-derati efficaci contro la depressone sono i farmaciantidepressivi, la psicoterapia, la combinazionefra psicoterapia e farmaci. Vengono inoltre citati

interventi basati su sistemi di rete di supporto pergli individui, le famiglie o i gruppi.A conclusioni simili giunge il National Institute ofMental Health NIMH (1999), che nell’analisi deitrattamenti analizza in maggior dettaglio sia l’ap-proccio farmacologico che quello psicoterapeutico.In campo farmacologico vengono citati i farmaciSSRI (inibitori selettivi del reuptake della sero-tonina), gli antidepressivi triciclici (TCA) e gliinibitori dell’ossidasi delle monoamine (MAOI).Per quanto concerne la psicoterapia il NIMH citaesplicitamente la psicoterapia cognitiva (compor-tamentale) e la psicoterapia interpersonale.Il NIHM cita infine la terapia elettroconvulsivacome un trattamento estremamente efficace, seb-bene molto invasivo e con alcuni importanti effetticollaterali.

Valuteremo brevemente l’efficacia terapeuticadelle terapie classiche (psico e farmacoterapia) e dialcune terapie complementari (Jorm et al., 2002;Zunkel, 2003). Alcune di queste (ad esempio laterapia aerobica) possono rientrare in piena re-gola nella psicoterapia cognitivo comportamenta-le (sotto la forma di homeworks comportamentali)o in approcci terapeutici integrati. Lo studio de-gli aspetti anatomofunzionali delle terapie standarde complementari puo permetterci una maggiorecomprensione dei meccanismi della loro efficacia.

8.1 Psicoterapia e farmacoterapia

L’efficacia dei trattamenti farmacologici e dellapsicoterapia e confermata da numerosi studi spe-rimentali. In una rassegna dei lavori sperimentali(Gloaguen et al., 1998) vengono analizzati 78lavori. Fra questi 48 sono stati selezionati edinclusi in una meta-analisi dell’efficacia dei tipi ditrattamento. Fra i criteri di inclusione nell’analisil’assegnazione randomizzata dei pazienti ai gruppisperimentali. I risultati dell’analisi indicanouna significativa superiorita della psicoterapiacognitiva e della psicoterapia comportamentale suigruppi di controllo (lista d’attesa o placebo), sugliantidepressivi (in assenza di psicoterapia) e su altritipi di psicoterapia.La superiorita della psicoterapia cognitiva ecomportamentale su altre psicoterapie e statamessa pero in discussione da un’altra rassegnadove, utilizzando gli stessi lavori ma raggruppando

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in maniera diversa le altre psicoterapie, non sievidenzia un vantaggio della psicoterapia cognitivanei confronti di altre psicoterapie in buona fede(Wampold et al., 2002).A titolo di esempio citiamo un lavoro di recentepubblicazione (March et al., 2004), che giunge aconclusioni simili: la combinazine di psicofarmaco(fluoxetine) e terapia cognitiva si e dimostratasuperiore sia al solo psicofarmaco che alla sola psi-coterapia. Lo psicofarmaco da solo si e dimostratopiu efficace della psicoterapia da sola, la quale si edimostrata piu efficace del placebo.

8.1.1 Outcome: evidenze di cambiamenti alivello cerebrale

Se la depressione puo essere descritta anche intermini neurofisiologici puo essere utile capirequale effetto psicoterapia e farmacoterapia hannosull’attivazione delle aree cerebrali che paionocoinvolte negli stati patologici.

L’attivazione di aree cerebrali legate agli stati de-pressivi puo essere modulata da interventi di carat-tere cognitivo: Paquette et al. (2003) hanno sotto-posto a fMRI soggetti con aracnofobia prima e dopoun trattamento cognitivo comportamentale, e sog-getti di controllo. Ad entrambi i gruppi venivanomostrate immagini o filmati di ragni. Le fMRI deisoggetti fobici prima del trattamento hanno mo-strato una iperattivazione della corteccia frontaledorsolaterale superiore e del giro paraippocampale,rispetto ai soggetti di controllo. Alla fine del trat-tamento il pattern di attivazione del gruppo cli-nico non differiva significativamente da quello delgruppo di controllo.

Goldapple et al. (2004) hanno confrontato la tacdi 14 pazienti trattati con psicoterapia cognitivocomportamentale.L’articolo non solo conferma l’efficacia del trat-tamento, ma anche il riscontro di cambiamentimetabolici significativi: aumento del metabolismonell’ippocampo, nella corteccia cingolata dorsale;diminuzione nella corteccia frontale dorsale, ven-trale e mediale. Questo pattern e chiaramentedistinto da quello riscontrato in pazienti trat-tati farmacologicamente: in questo caso e statoriscontrato un aumento delle aree prefrontali euna diminuzione dell’ippocampo e della corteccia

cingolata rostrale.Da queste differenze si puo dedurre che i due trat-tamenti agiscono in maniera diversa sul substratocerebrale.

Per una recente metaanalisi sugli studi che usanole neuroimmagini per valutare i cambiamenti nellaneuroanatomia funzionale a seguito di psicoterapiasi veda Roffman et al. (2005).

8.2 Stimolazione magnetica trans-cranica

La stimolazione magnetica transcranica (TSM)permette una stimolazione non invasiva della cor-teccia; in base alla frequenza, intensita e duratadella stimolazione la TMS puo sia bloccare ed inibi-re che aumentare la funzionalita dell’area corticaletarget.Negli ultimi 10 anni la TMS e stata utilizzata, a fi-ni sperimentali, nel trattamento della depressione.La giustificazione teorica

Il razionale a cui questa tipologia di intervento siispira e legato proprio alla competizione emisferi-ca ed all’assimmetria di attivazione fra le cortecceprefrontali destra e sinistra (per una buona intro-duzione si veda Paus and Barrett, 2004).L’efficacia della stimolazione magnetica transcrani-ca nella cura della depressione e studiata da piu diun decennio (Pascual-Leone et al., 1996). Numero-se ricerche dimostrano l’efficacia della stimolazionemagnetica transcranica come trattamento non inva-sivo della depressione, sia in assenza (George et al.,2000) che in concomitanza (Rumi et al., 2005) difarmacoterapia. Il trattamento appare efficace an-che in soggetti resistenti alla terapia farmacologicase in assenza di psicosi (Paus and Barrett, 2004).Fitzgerald et al. (2003), ad esempio, hanno divi-so 60 persone depresse, resistenti al trattamentofarmacologico, in 3 gruppi; hanno somministratola TMS ai 2 gruppi sperimentali (alta frequenzaemisfero sinistro, bassa frequenza emisfero destro),mentre ad un gruppo di controllo e stata sommini-strata in modalita sham (che corrisponde alla con-dizone placebo della TMS). Il livello depressivo po-st trattamento nelle due condizioni sperimentali esignificativamente minore che nella condizione dicontrollo.

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8.3 Terapia aerobica

Jorm et al. (2002) hanno analizzato la letteratu-ra concernente trattamenti complementari alla de-pressione. Fra i trattamenti analizzati uno dei piupromettenti appare essere l’esercizio aerobico.L’esercizio fisico e la sua influenza su depressione,ansia e tolleranza allo stress sono l’argomento diuna rassegna di Salmon (2001). L’autore si dimo-stra piuttosto critico nei confronti della letteratu-ra analizzata. I limiti metodologici della lettera-tura analizzata da Salomon sono legati a numerosiproblemi. Alcuni studi riportano una correlazio-ne negativa fra attivita fisica e livello di depressio-ne, particolarmente nella popolazione anziana. Talicorrelazioni, tuttavia, nulla ci dicono in merito allarelazione causale fra le due dimensioni, in quanto elecito supporre che anche lo stato depressivo portii soggetti ad un minore esercizio fisico.Anche alcuni studi sperimentali sono soggetti adambiguita interpretative. In alcuni casi il grupposperimentale si differenziava dal gruppo di control-lo non solo in riferimento al lavoro fisico, ma ancheal livello di socialita o la piacevolezza intrinseca delcompito sperimentale. In questi casi, dunque, edifficile capire se i risultati ottenuti siano da attri-buire al lavoro fisico, al fatto che venisse fatto incondizioni di socialita oppure al fatto che l’eserci-zio risultava essere piacevole.Altri problemi emergono nella selezione del cam-pione: i soggetti fortemente depressi difficilmentesono disposti a sottoporsi ad un programma di alle-namento fisico. Nei soggetti con depressione lieve omedia vi e il rischio di incorrere in un “floor effect”.

Nonostante queste critiche, tuttavia, Salmon ri-conosce che le evidenze empiriche a favore dell’effi-cacia dell’attivita fisica siano numerose.Conclusioni simili vengono riportate da WayneT. Phillips (2003). In questa rassegna viene eviden-ziato come non solo l’esercizio aerobico ma anchel’esercizio anaerobico puo avere un effetto positivosul tono dell’umore. Babyak et al. (2000) hannocondotto uno studio sperimentale sugli effetti del-l’esercizio aerobico e degli antidepressivi sulla de-pressione. Nel loro lavoro 156 pazienti sono sta-ti assegnati casualmente a 3 gruppi sperimentali:esercizio aerobico, psicofarmaci, esercizio + psico-farmaci. 32 pazienti hanno abbandonato il tratta-mento. Alla fine del trattamento (16 settimane) 83persone erano in remissione (non piu depresse). I

3 gruppi sperimentali non differivano significativa-mente ai punteggi di misura della depressione DMSIV, Hamilton Rating Scale for Depression (HAM-D), Beck Depression Inventory (BDI). Un follow upa 6 mesi dalla fine dell’intervento (a dieci mesi dal-l’inizio) i soggetti in remissione a 4 mesi del gruppoesercizio erobico aveva un tasso di ricaduta signifi-cativamente migliore degli altri gruppi: 8% controil 38% del gruppo psicofarmaci ed il 31% del grup-po esercizio + psicofarmaci. Secondo gli autori unprogramma di moderato esercizio fisico ( tre voltea settimana per 30 minuti ad una frequenza cardia-ca del 70%) e un trattamento efficace e robusto neiconfronti della depressione.

8.3.1 Attivita aerobica e cervello

Ma quali effetti ha l’attivita aerobica sul cervello?Greenwood et al. (2003) hanno sottoposto dei ro-ditori a 4 condizioni sperimentali (disegno 2 x 2):a due dei quattro gruppi venivano somministratidegli stimoli aversivi noti in letteratura per indur-re una sindrome simile alla depressone (depressio-ne comportamentale - learned helplessness), men-tre gli altri due gruppi non ricevevano tali stimoli.La seconda condizione sperimentale consisteva nel-la possibilita data ai roditori di utilizzare le runningwheels (le ruote per criceti) per correre all’internodelle loro gabbie. I roditori sottoposti agli stimoliaversivi ma a cui veniva concesso di correre sullaruota mostrarono un livello di depressione compor-tamentale significativamente inferiore a quello deiroditori sottoposti agli stimoli aversivi ma ai qua-li era impedito di correre. L’analisi istologica deidorsal raphe nucleus ha dimostrato una diversa di-stribuzione dei neuroni serotonergici nei due gruppidi animali.

8.4 Effetto placebo

In ogni esperimento farmacologico che si rispetti algruppo di controllo viene somministrato il placebo.Ma che influenza ha il placebo a livello cerebra-le? Mayberg et al. (2002) hanno risposto a questadomanda, esaminando i cambiamenti del metabo-lismo cerebrale associato alla somministrazione diplacebo in pazienti depressi.Su 15 pazienti analizzati, 8 hanno mostrato remis-sione dei sintomi dopo 6 settimane di trattamentocon placebo. L’analisi della PET degli otto pazien-

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ti in remissione ha evidenziato dei cambiamenti si-gnificativi nel metabolismo di alcune aree. Piu inparticolare vi e stato un aumento del metabolismonella corteccia prefrontale (BA 9, 46) premotoria(BA 6), parietale inferiore (BA 40), insula poste-riore, cingolato posteriore (BA 23,31) e una dimi-nuzione nel cingolato rostrale subcalloso (BA 25),ipotalamo, talamo, area sensoriale supplementare eparaippocampo.

8.5 Conclusioni

Questa breve rassegna dimostra che, nell’affrontarele sindromi depressive, trattamenti fra loro moltodiversi si sono dimostrati efficaci. L’efficacia del-la psicoterapia (sia essa di impostazione cognitiva,comportamentale o interazionale) dimostra la legit-timita dei modelli esplicativi della depressione chesi collocano sul livello descrittivo psicologico: sela depressione fosse esclusivamente una questionebiochimica non si spiegherebbe come un interventopsicologico possa essere efficace. D’altro canto l’effi-cacia degli psicofarmaci dimostra che la depressionepuo essere descritta anche in termini di squilibriobiochimico. Una breve rassegna degli studi di ana-tomofisiologia dei disturbi dell’umore puo offrircidelle preziosi indicazioni sia sul substrato anato-mico delle emozioni sia sui meccanismi cerebrali,funzionali e cognitivi sottostanti la depressione.

9 Conclusioni

Gli studi che utilizzano le bioimmagini, integratidalle conoscenze acquisite in merito ai ruoli fun-zionali delle diverse aree corticali e sottocorticalipossono offrirci un interessante quadro dellaneurofisiologia della depressione, possono portarciad una migliore categorizzazione diagnostica dellevarie forme depressive, possono offrirci dei predit-tori sull’efficacia dei trattamenti farmacologici.

9.1 Modelli diagnostici - prognostici

Dalla breve rassegna che abbiamo presentato, pos-siamo trarre alcune indicazioni di tipo diagnostico eprognostico. La tipologia e l’ampiezza dell’asimme-tria fra le aree prefrontali destra e sinistra, ad esem-pio, sembrano correlare con sintomatologie depres-

sive diverse (ansiosa versus rallentamento motorio)e sembrano predire diversi outcome al trattamentofarmacologico.

9.2 Modelli esplicativi

Lo studio delle neuroscienze cognitive puo dar-ci delle utili indicazioni sui meccanismi funzionalisoggiacenti alcune psicopatologie. Ad esempio:

• il ruolo funzionale della corteccia prefron-tale, orbitofrontale e cingolata nel disturboossessivo compulsivo;

• il ruolo della corteccia prefrontale nell’estinzo-ne di stimoli aversivi;

• il ruolo della corteccia prefrontale sinistra nel-le pseudodemenze depressive (Mayberg et al.,1999);

• il ruolo dell’amigdala nei sintomi del disturboborderline di personalita;

• la competizione fra le aree emotive e le areecognitive del cervello potrebbero costituire unmodello esplicativo di alcune evidenze cliniche:

la fluttuazione delle capacita cognitive emetacognitive dei pazienti, anche nel corsodella seduta terapeutica;

l’efficacia di processo dell’intervento co-gnitivo nel modulare le emozioni in seduta;

l’efficacia della riattribuzione cognitiva nelmodulare le emozioni;

la verbalizzazione come strumento impli-cito di attivazione dell’area prefrontale sinistra(area verbale);

9.3 Efficacia terapeutica

L’utilizzo di bioimmagini offre ulteriore supportoallo studio dell’efficacia terapeutica non solo del-la farmacoterapia, ma anche della psicoterapia,delle terapie comportamentali, della stimolazionemagnetica e persino dell’effetto placebo.

D’altro canto le neuroscienze cognitive possonooffrirci degli strumenti per comprendere e permisurare l’efficacia della psicoterapia della de-pressione. Infine le neuroscienze stanno offrendoun contributo alla spiegazione dell’efficacia di

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trattamenti non convenzionali (quale l’eserciziofisico) nella cura della depressione.

Ci auspichamo che questi fruttuosi tentativi diintegrazione portino ad un paradigma delle scienzecognitive capace di superare la netta distinzione framente e cervello (e fra mente e corpo). Da questopunto di vista l’efficacia dell’attivita fisica nel trat-tamento della depressione si colloca al centro di unaprospettiva epistemologica non cartesiana, efficace-mente riassunta nell’adagio mens sana in corporesano.

9.4 Indicazioni terapeutiche

Alcune delle evidenze empiriche che abbiamo citatolasciano intuire come, spesso, la depressione inducaad un circolo vizioso: lo stato depressivo induce del-le modificazioni a livello cerebrale che, a loro volta,rinforzano lo stato depressivo.Per rompere il cerchio puo risultare necessario, so-prattutto nelle forme patologiche piu gravi, interve-nire su entrambi i corni del problema, attraverso deitrattamenti che coinvolgano sia l’aspetto cognitivoed emotivo (attraverso la psicoterapia) che quel-lo biochimico (prevalentemente attraverso il trat-tamento farmacologico).Gli studi anatomofunzionali possono avere delle in-teressanti implicazioni anche per lo psicoterapeuta.Proviamo ad elencarle:

9.4.1 Accettabilita degli psicofarmaci

E esperienza clinica comune la resistenza di alcu-ni pazienti agli psicofarmaci. Spiegare loro che unoculato uso dei farmaci puo avere un effetto neu-rogenerativo e che, al contrario, la depressione nontrattata puo avere degli effetti neurogenerativi puoaumentare la compliance terapeutica.

9.4.2 Psicoeducazione

La psicoeducazione e una parte importante nellapsicoterapia cognitiva. Se la spiegazione della pa-tologia, della terapia e dei risultati attesi viene in-tegrata da un modello divulgativo degli aspetti ce-rebrali, e possibile che il quadro complessivo diventiagli occhi del paziente piu chiaro e piu accettabile.

9.4.3 Modulazione terapeutica del cervelloemotivo

Questo e l’aspetto a mio avviso piu affascinante.Confesso che, in alcune circostanze, in seduta indi-viduale o di gruppo, mi sono immaginato l’amigda-la o la corteccia cingolata dei pazienti. Avere chiaroin testa il funzionamento, ma soprattuto la compe-tizione fra il cervello emotivo ed il cervello cogniti-vo puo guidare il terapeuta nel gestire la seduta edalcune emergenze cliniche.

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