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63 Il compito del terapeuta nelle prime fasi della terapia cognitivo-comporta- mentale (TCC; per esempio, le prime tre sedute; Wenzel, Brown e Karlin, 2011) è motivare il paziente al trattamento e valutare la sua propensione al cambia- mento. Ciò garantisce che terapeuta e paziente procedano di pari passo nel corso del trattamento e consente di identificare ogni ostacolo che potrebbe interferire con il trattamento stesso, oltre che identificare le strategie per superarlo. Questo capitolo fornisce una serie di indicazioni per la formazione del paziente in meri- to alla natura della problematica clinica presentata e alla strategia attraverso la quale la TCC gli consentirà di affrontarla e superarla. Questo capitolo descrive inoltre un modello per inquadrare la propensione del paziente al cambiamento e le tecniche per motivarlo al cambiamento. Tali tecniche motivazionali si basano sul colloquio motivazionale (Miller e Rollnick, 2002, 2012) e sono state strut- turate in un approccio strategico denominato potenziamento motivazionale per aiutare il paziente a massimizzare i benefici della TCC. La Tabella 3.1 riassume le principali tecniche specifiche che il terapeuta può applicare per raggiungere gli obiettivi terapeutici. 3 PSICOEDUCAZIONE E POTENZIAMENTO MOTIVAZIONALE

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Il compito del terapeuta nelle prime fasi della terapia cognitivo-comporta-mentale (TCC; per esempio, le prime tre sedute; Wenzel, Brown e Karlin, 2011) è motivare il paziente al trattamento e valutare la sua propensione al cambia-mento. Ciò garantisce che terapeuta e paziente procedano di pari passo nel corso del trattamento e consente di identificare ogni ostacolo che potrebbe interferire con il trattamento stesso, oltre che identificare le strategie per superarlo. Questo capitolo fornisce una serie di indicazioni per la formazione del paziente in meri-to alla natura della problematica clinica presentata e alla strategia attraverso la quale la TCC gli consentirà di affrontarla e superarla. Questo capitolo descrive inoltre un modello per inquadrare la propensione del paziente al cambiamento e le tecniche per motivarlo al cambiamento. Tali tecniche motivazionali si basano sul colloquio motivazionale (Miller e Rollnick, 2002, 2012) e sono state strut-turate in un approccio strategico denominato potenziamento motivazionale per aiutare il paziente a massimizzare i benefici della TCC. La Tabella 3.1 riassume le principali tecniche specifiche che il terapeuta può applicare per raggiungere gli obiettivi terapeutici.

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E POTENZIAMENTO MOTIVAZIONALE

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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PSICOEDUCAZIONE

La psicoeducazione consiste nell’intervento effettuato in un setting tera-peutico finalizzato a comunicare al paziente le informazioni che gli consentono di proseguire nel trattamento. Dobson e Dobson (2009) definivano la psicoe-ducazione come “l’insegnamento al paziente di rilevanti principi e conoscenze psicologici” (pag. 78). La psicoeducazione può essere effettuata dal terapeuta sia verbalmente sia in forma scritta (per esempio: brochure, volantini). Si può eseguire sia sotto forma di risposte alle domande del paziente in merito alla sua problematica clinica o alla natura del trattamento, oppure come informazioni preliminari che consentano al paziente di comprendere il razionale di una spe-cifica strategia terapeutica. Gran parte delle informazioni fornite durante la psi-coeducazione è tratta direttamente dalla letteratura ed espressa in un linguaggio che sia comprensibile per il paziente. Può tuttavia capitare che alcuni terapeuti, per spiegare al paziente in modo personalizzato e convincente una condizione reale, condividano informazioni aneddotiche (per esempio: il numero di pazienti trattati con una determinata strategia terapeutica). Anche se non sono mai stati condotti studi specifici sul contributo della psicoeducazione nell’efficacia della TCC, la psicoeducazione viene generalmente inclusa nella TCC, in quanto il suo contributo nella riduzione significativa dei sintomi psichiatrici è dimostrato sulla base dell’esperienza. In questo capitolo viene presa in considerazione la psicoeducazione in merito a cinque aspetti: a) la problematica clinica presen-tata, b) la struttura e il decorso della TCC, c) la basi teoriche della TCC (per esempio: il modello della TCC), d) la TCC basata sull’evidenza clinica ed e) la

TABELLA 3.1 Tecniche di psicoeducazione e di potenziamento motivazionale (Seguito)

TABELLA 3.1 Tecniche di psicoeducazione e di potenziamento motivazionale

Tecnica Descrizione Risultati attesi

Psicoeducazione in merito alla problematica clinica presentata.

Il terapeuta spiega al paziente la prevalenza e la sintomatologia della problematica clinica presentata e illustra i risultati attesi dal trattamento.

Il paziente comprende pienamente la problematica clinica presentata.

La relazione terapeutica si rinforza.

Psicoeducazione in merito alla struttura e al decorso della terapia cognitivo-comportamentale (TCC).

Il terapeuta spiega al paziente le principali caratteristiche della TCC (per esempio: il fatto che è attiva, limitata nel tempo) e il razionale alla base della struttura delle sedute.

Il paziente comprende pienamente le caratteristiche principali e la struttura della TCC.

La relazione terapeutica si rinforza.

Psicoeducazione in merito al modello TCC.

Il terapeuta spiega al paziente la correlazione tra la teoria cognitivo-comportamentale e la problematica clinica presentata.

Il paziente comprende pienamente i principi cognitivi e comportamentali alla base della TCC.

La relazione terapeutica si rinforza.

Psicoeducazione in merito alla TCC basata sull’evidenza clinica.

Il terapeuta spiega al paziente i risultati di ricerca sulla TCC.

Il paziente ha delle aspettative realistiche in merito all’aiuto che potrà ricevere dalla TCC.

La relazione terapeutica si rinforza.

Psicoeducazione in merito alla farmacoterapia.

Il terapeuta spiega l’utilità clinica di effettuare la TCC in concomitanza alla farmacoterapia e risponde a eventuali domande sugli effetti collaterali.

Il paziente ha una conoscenza che gli consente di comprendere se la farmacoterapia è adatta a lui o meno.

La relazione terapeutica si rinforza.

,GHQWLÀFD]LRQH di obiettivi a breve termine.

Il terapeuta aiuta il paziente a individuare obiettivi a breve termine che vorrebbe ottenere con la terapia.

Il paziente riesce a comprendere meglio in che modo la TCC potrà essergli utile.

Il paziente diventa più motivato al trattamento.

Il paziente sviluppa speranza per il futuro.

La relazione terapeutica si rinforza.

Discussione in merito ai sintomi psichiatrici.

Il terapeuta aiuta il paziente D�LGHQWLÀFDUH�LQ�FKH�PRGR i sintomi psichiatrici abbiano interferito con la sua vita e provocato stress.

Il paziente diventa più motivato al trattamento.

Il paziente sviluppa speranza per il futuro.

La relazione terapeutica si rinforza.

(Segue)

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3. PSICOEDUCAZIONE E POTENZIAMENTO MOTIVAZIONALE

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PSICOEDUCAZIONE

La psicoeducazione consiste nell’intervento effettuato in un setting tera-peutico finalizzato a comunicare al paziente le informazioni che gli consentono di proseguire nel trattamento. Dobson e Dobson (2009) definivano la psicoe-ducazione come “l’insegnamento al paziente di rilevanti principi e conoscenze psicologici” (pag. 78). La psicoeducazione può essere effettuata dal terapeuta sia verbalmente sia in forma scritta (per esempio: brochure, volantini). Si può eseguire sia sotto forma di risposte alle domande del paziente in merito alla sua problematica clinica o alla natura del trattamento, oppure come informazioni preliminari che consentano al paziente di comprendere il razionale di una spe-cifica strategia terapeutica. Gran parte delle informazioni fornite durante la psi-coeducazione è tratta direttamente dalla letteratura ed espressa in un linguaggio che sia comprensibile per il paziente. Può tuttavia capitare che alcuni terapeuti, per spiegare al paziente in modo personalizzato e convincente una condizione reale, condividano informazioni aneddotiche (per esempio: il numero di pazienti trattati con una determinata strategia terapeutica). Anche se non sono mai stati condotti studi specifici sul contributo della psicoeducazione nell’efficacia della TCC, la psicoeducazione viene generalmente inclusa nella TCC, in quanto il suo contributo nella riduzione significativa dei sintomi psichiatrici è dimostrato sulla base dell’esperienza. In questo capitolo viene presa in considerazione la psicoeducazione in merito a cinque aspetti: a) la problematica clinica presen-tata, b) la struttura e il decorso della TCC, c) la basi teoriche della TCC (per esempio: il modello della TCC), d) la TCC basata sull’evidenza clinica ed e) la

Tecnica Descrizione Risultati attesi,GHQWLÀFD]LRQH H�PRGLÀFD]LRQH di atteggiamenti sbagliati nei confronti del trattamento.

,O�WHUDSHXWD�LGHQWLÀFD�H�PRGLÀFD�HYHQWXDOL�atteggiamenti e convinzioni che potrebbero compromettere la compliance terapeutica.

Il paziente sviluppa consapevolezza in merito all’empirismo collaborativo della TCC.

Il paziente diventa più motivato al trattamento.

Il paziente sviluppa speranza per il futuro.

La relazione terapeutica si rinforza.

Superamento di ostacoli alla partecipazione al trattamento.

Il terapeuta aiuta il paziente D�LGHQWLÀFDUH�JOL�RVWDFROL che gli impediscono di prendere parte al trattamento e a individuare le strategie per superarli.

Gli ostacoli vengono superati. Il paziente diventa più motivato

al trattamento. Il paziente sviluppa speranza

per il futuro. La relazione terapeutica

si rinforza.

TABELLA 3.1 Tecniche di psicoeducazione e di potenziamento motivazionale (Seguito)

(Segue)

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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TCC. Per quei terapeuti che invece scelgono di condividere con il paziente la diagnosi, è importante considerare una serie di aspetti che consentano di presen-tare l’informazione nel modo più utile possibile.

! Dare informazioni in merito alla prevalenza della diagnosi consente al paziente di normalizzare i propri sintomi e la problematica clinica pre-sentata.

! Dare al paziente i riferimenti per ulteriori letture in merito alla diagnosi può stimolare la curiosità del paziente e motivarlo a conoscere maggior-mente la propria diagnosi.

! Dare informazioni in merito alla presenza di trattamenti e ai tassi di efficacia degli stessi fornisce al paziente la speranza che la sua diagnosi è trattabile.

! Invitare il paziente a fare domande in merito alla diagnosi può essere se-gno di sensibilità a ogni possibile reazione avversa che il paziente possa avere e promuove una relazione terapeutica basata sulla collaborazione.

! Valutare la presenza di pensieri erronei in merito alla diagnosi consente di identificare potenziali reazioni avverse alla comunicazione della dia-gnosi, fornisce tematiche da affrontare successivamente nel trattamento e, più in generale, struttura un modello di approccio cognitivo-compor-tamentale per affrontare i problemi di vita.

***

Psicoeducazione in merito alla struttura e al corso della TCC

Molti pazienti non sanno che cosa aspettarsi dalla TCC. I pazienti che non sono mai stati in terapia prima spesso hanno dei preconcetti in merito alla tera-pia. Alcuni di questi pazienti presentano delle aspettative sviluppate attraverso l’immagine fornita dai media (per esempio: film, show televisivi), immagine che raramente, se non mai, rispecchia l’approccio cognitivo-comportamentale del-la terapia. Altri pazienti, nel momento in cui si parla di psicoterapia, pensano subito alla psicoanalisi freudiana e credono che la terapia consista nello stare sdraiati su un divano a raccontare dei propri sogni e delle proprie fantasie. Altri ancora che non sono mai stati in terapia pensano che il terapeuta fornirà loro dei consigli o dirà loro quello che devono fare. Molti di loro si presentano con l’idea di pagare il terapeuta affinché quest’ultimo li ascolti lamentarsi delle loro problematiche di vita e con l’idea che il principale ruolo del terapeuta sia quello di essere di supporto. Se invece il paziente era già stato in terapia in passato, con buona probabilità ha effettuato una terapia con un indirizzo diverso rispetto alla TCC e, pertanto, si aspetta che la terapia proceda in modo diverso.

Quindi, la parte di psicoeducazione in merito alla struttura e al corso della TCC è di fondamentale importanza nelle prime sedute di TCC. In particolare, i terapeuti possono condividere con il paziente le seguenti informazioni.

farmacoterapia. Nel corso di tutto il capitolo, sono inoltre prese in considerazio-ne i punti decisionali che i terapeuti possono talvolta dovere affrontare nel corso della psicoeducazione.

Psicoeducazione in merito alla problematica clinica presentata

Al giorno d’oggi, i pazienti che si presentano per il trattamento sono general-mente molto informati in merito alla natura della problematica presentata, grazie soprattutto a Internet che consente un’ampia accessibilità alle informazioni medi-che. Ciò nonostante, molti pazienti si presentano con un corteo disparato di sin-tomi e problemi, per apprendere dal terapeuta che essi sono tutti parte di un’unica sindrome (per esempio: la depressione). Così, una delle tipologie di psicoeduca-zione effettuata dal terapeuta consiste nella spiegazione in merito alla natura della problematica presentata (per esempio: i nove sintomi della depressione descritti in Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th edition, rev.; Ameri-can Psychiatric Association, 2000). In aggiunta alla descrizione dei sintomi della sindrome alla base della problematica clinica presentata dal paziente, i terapeuti possono inoltre fornire informazioni in merito alla prevalenza del disturbo psichia-trico, ai livelli di interferenza e di disagio nella vita quotidiana. Questa tipologia di psicoeducazione spesso consente ai pazienti di sentirsi sollevati, in quanto le loro problematiche psichiatriche e i loro sintomi sono riportati alla normalità. I pazien-ti si rendono conto che quello che stanno provando ha un nome; che molte altre persone prima di loro hanno vissuto un’esperienza simile; che ci si aspetta che essi combattano. In questo modo viene rafforzata anche la relazione terapeutica, in quanto i pazienti sentono che il terapeuta comprende quello che stanno provando.

***

Punto decisionale: il terapeuta si domanda se possano esserci controindicazioni al fatto di condividere con il paziente la diagnosi psichiatrica.

Alcuni terapeuti si preoccupano del fatto che i pazienti potrebbero presen-tare delle reazioni avverse nel momento in cui apprendono che è stata posta loro una diagnosi psichiatrica, per esempio una diagnosi di disturbo borderline della personalità. È importante che i terapeuti riconoscano che tale preoccupazione è basata su una supposizione piuttosto che su un dato di fatto e che, pertanto, agire sulla base di una supposizione senza verificarla rischia di strutturare un modello di comportamento incompatibile con i presupposti di base della TCC. Inoltre, è importante che i terapeuti ricordino la natura trasparente della TCC, nella quale i terapeuti spiegano appieno le basi delle loro decisioni terapeutiche e coinvolgono sempre il paziente nel processo decisionale, in modo da svilup-pare quel processo di collaborazione che consenta al paziente di comprendere l’applicazione della TCC alla problematica clinica presentata. La scelta di non informare il paziente in merito alla sua diagnosi è contraria alla trasparenza della

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3. PSICOEDUCAZIONE E POTENZIAMENTO MOTIVAZIONALE

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TCC. Per quei terapeuti che invece scelgono di condividere con il paziente la diagnosi, è importante considerare una serie di aspetti che consentano di presen-tare l’informazione nel modo più utile possibile.

! Dare informazioni in merito alla prevalenza della diagnosi consente al paziente di normalizzare i propri sintomi e la problematica clinica pre-sentata.

! Dare al paziente i riferimenti per ulteriori letture in merito alla diagnosi può stimolare la curiosità del paziente e motivarlo a conoscere maggior-mente la propria diagnosi.

! Dare informazioni in merito alla presenza di trattamenti e ai tassi di efficacia degli stessi fornisce al paziente la speranza che la sua diagnosi è trattabile.

! Invitare il paziente a fare domande in merito alla diagnosi può essere se-gno di sensibilità a ogni possibile reazione avversa che il paziente possa avere e promuove una relazione terapeutica basata sulla collaborazione.

! Valutare la presenza di pensieri erronei in merito alla diagnosi consente di identificare potenziali reazioni avverse alla comunicazione della dia-gnosi, fornisce tematiche da affrontare successivamente nel trattamento e, più in generale, struttura un modello di approccio cognitivo-compor-tamentale per affrontare i problemi di vita.

***

Psicoeducazione in merito alla struttura e al corso della TCC

Molti pazienti non sanno che cosa aspettarsi dalla TCC. I pazienti che non sono mai stati in terapia prima spesso hanno dei preconcetti in merito alla tera-pia. Alcuni di questi pazienti presentano delle aspettative sviluppate attraverso l’immagine fornita dai media (per esempio: film, show televisivi), immagine che raramente, se non mai, rispecchia l’approccio cognitivo-comportamentale del-la terapia. Altri pazienti, nel momento in cui si parla di psicoterapia, pensano subito alla psicoanalisi freudiana e credono che la terapia consista nello stare sdraiati su un divano a raccontare dei propri sogni e delle proprie fantasie. Altri ancora che non sono mai stati in terapia pensano che il terapeuta fornirà loro dei consigli o dirà loro quello che devono fare. Molti di loro si presentano con l’idea di pagare il terapeuta affinché quest’ultimo li ascolti lamentarsi delle loro problematiche di vita e con l’idea che il principale ruolo del terapeuta sia quello di essere di supporto. Se invece il paziente era già stato in terapia in passato, con buona probabilità ha effettuato una terapia con un indirizzo diverso rispetto alla TCC e, pertanto, si aspetta che la terapia proceda in modo diverso.

Quindi, la parte di psicoeducazione in merito alla struttura e al corso della TCC è di fondamentale importanza nelle prime sedute di TCC. In particolare, i terapeuti possono condividere con il paziente le seguenti informazioni.

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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l’apprendimento. Il terapeuta controlla inoltre che il paziente sia in linea con questa modalità di organizzazione delle sedute. Alcuni pazienti inizialmen-te sono esitanti in merito ad alcuni aspetti dell’organizzazione delle sedute. Il terapeuta può collaborare con il paziente al fine di identificare la fonte delle preoccupazioni ed eseguire delle modifiche se necessario. Per esempio, alcuni pazienti possono continuare a presentare la necessità di sfogarsi anche dopo che il terapeuta ha spiegato loro le motivazioni per cui si ritiene che lo sfogarsi non sia particolarmente utile. Una possibile soluzione può essere quella di modificare l’organizzazione della seduta lasciando i primi 15 minuti della seduta a disposi-zione del paziente per sfogarsi, per poi procedere con il resto della seduta al fine di effettuare progressi nella direzione degli obiettivi terapeutici (Beck, 2005). Altri pazienti invece accettano di effettuare un esperimento comportamentale nel quale seguono l’organizzazione della TCC per quattro sedute e, solo succes-sivamente, valutano il grado di approvazione dell’organizzazione. Altri pazienti ancora, invece, semplicemente necessitano di condizioni meno contrarie per alcuni dei componenti dell’organizzazione delle sedute. Come affermato in pre-cedenza, io spesso utilizzo il termine piano di gioco piuttosto che agenda. Inoltre spesso impiego il termine lavoro tra una seduta e l’altra piuttosto che compiti.

Psicoeducazione in merito al modello di TCC

I terapeuti cognitivo-comportamentali sono scrupolosi nella spiegazione del modello cognitivo comportamentale che sta alla base del trattamento. Tale spiegazione consente al paziente di comprendere e, infine, dare il proprio con-tributo ai principi cognitivi e comportamentali che costituiscono la base delle strategie di intervento. È di fondamentale importanza che il paziente abbia pa-dronanza di tali principi in modo che abbia delle solide basi per comprendere perché è effettuato il trattamento, con quale strategia si ritiene di potere fornire un sollievo alla sofferenza emotiva e come sia possibile effettuare una generaliz-zazione anche su altri fattori stressanti o problematiche che potrebbero presen-tarsi una volta che il trattamento è terminato. Ci si augura che il paziente ricordi i principi base della TCC in modo da potersene avvalere nell’affrontare le prove della vita di tutti i giorni.

In genere non basta enfatizzare con il paziente la correlazione tra cognizio-ne, affettività e comportamento. La maggior parte dei pazienti scuoterà la testa, affermando che tale considerazione è assolutamente veritiera ma che comunque fatica a comprendere in che modo la si possa applicare ai propri sintomi psi-chiatrici e alla propria problematica. Pertanto, i terapeuti devono essere pronti a illustrare in maniera convincente l’impatto di questi costrutti psicologici sulle problematiche quotidiane e sull’umore attraverso l’utilizzo di esempi chiari e preparati in anticipo. Per esempio, il terapeuta di Eddie utilizzava un esempio come il seguente.

! La TCC è un trattamento attivo, incentrato sulle problematiche. L’o-biettivo di ogni seduta è effettuare un passo avanti nell’affrontare la pro-blematica clinica e nel gestire i sintomi psichiatrici, con una progressiva modificazione significativa della vita del paziente nel corso delle sedute.

! La TCC è un trattamento incentrato sul presente. Soprattutto nelle prime fasi del trattamento sono affrontate le problematiche del “qui e ora”, in modo che il paziente senta subito un sollievo dal dolore emotivo che sta provando. Nel momento in cui si affrontano invece tematiche correlate al passato, generalmente si utilizza una strategia che permetta al paziente di comprendere come le esperienze del passato contribuisca-no allo sviluppo di pensieri erronei e di schemi comportamentali che continuano a danneggiare il paziente anche nel presente.

! La TCC è un trattamento limitato nel tempo e a breve termine. Ge-neralmente si ritiene che il paziente riesca a sviluppare le competenze per gestire la sofferenza emotiva e affrontare i problemi in un numero di sedute compreso tra 12 e 16. In ogni caso viene specificato al paziente che il trattamento è limitato nel tempo e che non deve quindi aspettarsi anni e anni di sedute.

! La TCC è incentrata sulla collaborazione e sulla trasparenza. L’exper-tise del paziente in merito alla propria condizione di vita è altrettanto importante dell’expertise del terapeuta in merito alle patologie psichia-triche e all’approccio cognitivo-comportamentale. Pertanto, le sedute sono condotte secondo una prospettiva di lavoro di squadra, cosicché il paziente e il terapeuta sono compagni di pari livello nel viaggio che aiuterà il paziente a trovare conforto alla sua sofferenza emotiva. Il te-rapeuta si astiene dal prendere decisioni senza consultare il paziente e si astiene dal dare al paziente espliciti suggerimenti. Al contrario, il tera-peuta condivide con il paziente il proprio processo di pensiero e fornisce al paziente un ambiente che gli consenta di valutare criticamente le diverse direzioni da dare al corso del trattamento e le diverse soluzioni alle problematiche, al fine di permettere al paziente di trarre le proprie conclusioni.

! Uno dei principi fondamentali della TCC è l’empirismo collaborativo, cioè quel processo in cui terapeuta e paziente, in quanto compagni di squadra allo stesso livello, esaminano attentamente le osservazioni em-piriche e i dati, e da essi traggono conclusioni di senso in merito alle credenze del paziente (Tee e Kazantzis, 2011).

Oltre a queste caratteristiche generali della TCC, il terapeuta cogniti-vo-comportamentale spiega al paziente l’organizzazione delle sedute descritta nel Capitolo 2 di questo volume. Descrivono chiaramente le basi logiche di una breve valutazione dell’umore, dell’ordine del giorno, degli esercizi comportamen-tali e delle varie possibilità di avviare il riassunto e il feedback per consolidare

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3. PSICOEDUCAZIONE E POTENZIAMENTO MOTIVAZIONALE

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l’apprendimento. Il terapeuta controlla inoltre che il paziente sia in linea con questa modalità di organizzazione delle sedute. Alcuni pazienti inizialmen-te sono esitanti in merito ad alcuni aspetti dell’organizzazione delle sedute. Il terapeuta può collaborare con il paziente al fine di identificare la fonte delle preoccupazioni ed eseguire delle modifiche se necessario. Per esempio, alcuni pazienti possono continuare a presentare la necessità di sfogarsi anche dopo che il terapeuta ha spiegato loro le motivazioni per cui si ritiene che lo sfogarsi non sia particolarmente utile. Una possibile soluzione può essere quella di modificare l’organizzazione della seduta lasciando i primi 15 minuti della seduta a disposi-zione del paziente per sfogarsi, per poi procedere con il resto della seduta al fine di effettuare progressi nella direzione degli obiettivi terapeutici (Beck, 2005). Altri pazienti invece accettano di effettuare un esperimento comportamentale nel quale seguono l’organizzazione della TCC per quattro sedute e, solo succes-sivamente, valutano il grado di approvazione dell’organizzazione. Altri pazienti ancora, invece, semplicemente necessitano di condizioni meno contrarie per alcuni dei componenti dell’organizzazione delle sedute. Come affermato in pre-cedenza, io spesso utilizzo il termine piano di gioco piuttosto che agenda. Inoltre spesso impiego il termine lavoro tra una seduta e l’altra piuttosto che compiti.

Psicoeducazione in merito al modello di TCC

I terapeuti cognitivo-comportamentali sono scrupolosi nella spiegazione del modello cognitivo comportamentale che sta alla base del trattamento. Tale spiegazione consente al paziente di comprendere e, infine, dare il proprio con-tributo ai principi cognitivi e comportamentali che costituiscono la base delle strategie di intervento. È di fondamentale importanza che il paziente abbia pa-dronanza di tali principi in modo che abbia delle solide basi per comprendere perché è effettuato il trattamento, con quale strategia si ritiene di potere fornire un sollievo alla sofferenza emotiva e come sia possibile effettuare una generaliz-zazione anche su altri fattori stressanti o problematiche che potrebbero presen-tarsi una volta che il trattamento è terminato. Ci si augura che il paziente ricordi i principi base della TCC in modo da potersene avvalere nell’affrontare le prove della vita di tutti i giorni.

In genere non basta enfatizzare con il paziente la correlazione tra cognizio-ne, affettività e comportamento. La maggior parte dei pazienti scuoterà la testa, affermando che tale considerazione è assolutamente veritiera ma che comunque fatica a comprendere in che modo la si possa applicare ai propri sintomi psi-chiatrici e alla propria problematica. Pertanto, i terapeuti devono essere pronti a illustrare in maniera convincente l’impatto di questi costrutti psicologici sulle problematiche quotidiane e sull’umore attraverso l’utilizzo di esempi chiari e preparati in anticipo. Per esempio, il terapeuta di Eddie utilizzava un esempio come il seguente.

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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Questo esempio mostra diversi punti della psicoeducazione in merito al modello di TCC alla base del trattamento. Per prima cosa, il terapeuta ha uti-lizzato un giusto intervallo di tempo per spiegare l’esempio in modo adeguato e completo, fornendo così una dimostrazione convincente della relazione tra cognizione ed emozione. E cioè, l’esempio andava ben oltre la semplice afferma-zione: “I nostri pensieri sono collegati alle nostre emozioni”. In secondo luogo, il terapeuta ha utilizzato un linguaggio di facile comprensione per Eddie. È im-portante che il terapeuta si ricordi sempre di non utilizzare un linguaggio troppo astratto o specialistico. In terzo luogo, il terapeuta ha normalizzato le reazioni emotive alla luce della cognizione presente nelle diverse rappresentazioni della situazione. Tali dichiarazioni forniscono un sollievo ai pazienti, in quanto com-prendono che le loro reazioni emotive sono in linea con il modo in cui vedono i loro problemi di vita e fornisce loro una speranza in merito alla possibilità di affrontare tali problematiche e i sintomi psichiatrici. In quarto luogo, il terapeu-ta chiedendo a Eddie quale fosse il messaggio principale che si poteva trarre dal dialogo, gli ha permesso di consolidare il suo apprendimento. Quando un pa-ziente esprime a parole sue i principi alla base del modello di TCC, aumentano le possibilità che il paziente sia in grado di utilizzare gli stessi principi nella vita di tutti i giorni, quando presentano sintomi psichiatrici o quando affrontano un problema. Infine, il terapeuta ha concluso ricevendo un feedback positivo da Eddie in merito alla modalità con cui sono state affrontate le problematiche che lui ha presentato nella seduta.

***

Punto decisionale: il paziente riferisce di non riconoscere l’associazione tra co-gnizione ed emozione o non ritiene che tale associazione sia applicabile alla sua condizione. Come deve gestire la situazione il terapeuta?

In questo caso, il terapeuta deve prendere in considerazione diversi fattori, tra cui: a) il caso che il paziente realmente non comprenda l’associazione, b) il caso in cui il paziente stia affrontando un fattore stressante acuto che risulte-rebbe difficile da affrontare per chiunque e se il paziente lo stia percependo nel modo corretto e c) il caso in cui il paziente abbia una reazione avversa nell’ap-prendere che la cognizione potrebbe esacerbare i suoi sintomi psichiatrici o le sue problematiche di vita. Le questioni che il terapeuta può considerare sono le seguenti.

! Il paziente è in grado di spiegare con le sue parole l’associazione tra co-gnizione e umore? In questo caso è probabile che il paziente comprenda l’associazione ma non la ritenga applicabile alla problematica che vor-rebbe affrontare nel corso della terapia. In questo caso, sarebbe utile chiedere spiegazioni in merito alle ragioni per cui il paziente non ritiene che l’associazione sia applicabile alla sua situazione e affrontare tali spie-gazioni utilizzando le strategie cognitivo-comportamentali descritte in

Terapeuta: Metti il caso che stai guidando e qualcuno ti taglia la strada all’improvviso, costringendoti a sterzare e a schivare di poco un ciclista che sta pedalando sul bordo della strada. Se la tua reazio-ne fosse: “Accidenti! Quell’automobilista non ha assolutamente rispetto per gli altri!”, come ti sentiresti?

Eddie: Molto arrabbiato. Mi succede spesso.

Terapeuta: Certamente ti sentiresti arrabbiato. È una reazione emotiva as-solutamente in linea con il modo in cui hai vissuto la situazione. Ma consideriamo la medesima situazione da un’altra prospettiva. Qualcuno ti taglia la strada mentre stai guidando, tu sterzi e schi-vi di poco il ciclista. Ma ora la tua prima reazione è: “Sono un pessimo automobilista. Non riesco a fare niente di giusto. Sono davvero un perdente”. Ora come ti sentiresti?

Eddie: Mhmm. Credo che non sarei arrabbiato. O forse sarei arrabbiato con me stesso. Ma mi sentirei anche giù di umore, in quanto sono focalizzato sul fatto di essere un perdente.

Terapeuta: Hai ragione. È naturale sentirsi giù di umore se ti focalizzi sul fatto di essere un pessimo guidatore, di non riuscire a fare niente di giusto, di essere un perdente. Ora prendi in considerazione una terza prospettiva. Stessa situazione – qualcuno ti taglia la strada mentre stai guidando, tu sterzi e schivi di poco il ciclista. Ma ora la tua reazione è: “Caspita, c’è mancato un pelo. Spero che non sia successo nulla di grave a quell’automobilista. Ma devo prose-guire e assicurarmi di non arrivare in ritardo al prossimo appunta-mento”. Come ti sentiresti in questo caso?

Eddie: Non lo so, forse mi sentirei un po’ preoccupato? O forse niente?

Terapeuta: Hai ragione; quando ho presentato la situazione da questa pro-spettiva agli altri pazienti ho ottenuto entrambe le risposte. Dim-mi, che cosa credi che abbia cercato di comunicarti nel presen-tarti la medesima situazione dalle diverse prospettive?

Eddie: [pensa per un momento] Credo che tu abbia voluto comunicarmi che il modo in cui ti senti in una determinata situazione dipende da quale prospettiva tu hai.

Terapeuta: Esatto. In base alla mia esperienza, spesso le persone credono che una determinata situazione automaticamente ti faccia sentire in un modo piuttosto che in un altro. Invece, il nostro stato emoti-vo spesso gioca un ruolo fondamentale nel determinare da quale prospettiva affrontiamo una situazione o il significato che gli at-tribuiamo. Uno degli aspetti che affronteremo nel corso del trat-tamento consiste nello sviluppare le competenze per riconoscere da quale prospettiva affronti le situazioni che ti accadono nella vita e per valutare in che misura tali prospettive siano corrette e utili. Che cosa ne pensi? Credi che possa esserti utile affrontare nel corso del trattamento le tematiche che ti ho proposto?

Eddie: [fa una pausa] Sì, credo di sì. Nel corso degli anni le persone mi hanno spesso detto che io iper-reagisco e interpreto le situazioni nella maniera scorretta.

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3. PSICOEDUCAZIONE E POTENZIAMENTO MOTIVAZIONALE

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Questo esempio mostra diversi punti della psicoeducazione in merito al modello di TCC alla base del trattamento. Per prima cosa, il terapeuta ha uti-lizzato un giusto intervallo di tempo per spiegare l’esempio in modo adeguato e completo, fornendo così una dimostrazione convincente della relazione tra cognizione ed emozione. E cioè, l’esempio andava ben oltre la semplice afferma-zione: “I nostri pensieri sono collegati alle nostre emozioni”. In secondo luogo, il terapeuta ha utilizzato un linguaggio di facile comprensione per Eddie. È im-portante che il terapeuta si ricordi sempre di non utilizzare un linguaggio troppo astratto o specialistico. In terzo luogo, il terapeuta ha normalizzato le reazioni emotive alla luce della cognizione presente nelle diverse rappresentazioni della situazione. Tali dichiarazioni forniscono un sollievo ai pazienti, in quanto com-prendono che le loro reazioni emotive sono in linea con il modo in cui vedono i loro problemi di vita e fornisce loro una speranza in merito alla possibilità di affrontare tali problematiche e i sintomi psichiatrici. In quarto luogo, il terapeu-ta chiedendo a Eddie quale fosse il messaggio principale che si poteva trarre dal dialogo, gli ha permesso di consolidare il suo apprendimento. Quando un pa-ziente esprime a parole sue i principi alla base del modello di TCC, aumentano le possibilità che il paziente sia in grado di utilizzare gli stessi principi nella vita di tutti i giorni, quando presentano sintomi psichiatrici o quando affrontano un problema. Infine, il terapeuta ha concluso ricevendo un feedback positivo da Eddie in merito alla modalità con cui sono state affrontate le problematiche che lui ha presentato nella seduta.

***

Punto decisionale: il paziente riferisce di non riconoscere l’associazione tra co-gnizione ed emozione o non ritiene che tale associazione sia applicabile alla sua condizione. Come deve gestire la situazione il terapeuta?

In questo caso, il terapeuta deve prendere in considerazione diversi fattori, tra cui: a) il caso che il paziente realmente non comprenda l’associazione, b) il caso in cui il paziente stia affrontando un fattore stressante acuto che risulte-rebbe difficile da affrontare per chiunque e se il paziente lo stia percependo nel modo corretto e c) il caso in cui il paziente abbia una reazione avversa nell’ap-prendere che la cognizione potrebbe esacerbare i suoi sintomi psichiatrici o le sue problematiche di vita. Le questioni che il terapeuta può considerare sono le seguenti.

! Il paziente è in grado di spiegare con le sue parole l’associazione tra co-gnizione e umore? In questo caso è probabile che il paziente comprenda l’associazione ma non la ritenga applicabile alla problematica che vor-rebbe affrontare nel corso della terapia. In questo caso, sarebbe utile chiedere spiegazioni in merito alle ragioni per cui il paziente non ritiene che l’associazione sia applicabile alla sua situazione e affrontare tali spie-gazioni utilizzando le strategie cognitivo-comportamentali descritte in

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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il terapeuta suggerisca al paziente che lui è l’unico responsabile delle proprie sofferenze emotive, non i fattori esterni. Per identificare queste preoccupazioni e assicurarsi che il paziente le stia affrontando nel modo più corretto e utile possibile, i terapeuti possono avvalersi degli stru-menti descritti nel Capitolo 4 del presente volume.

***

Giunti a questo punto, mi sono focalizzata sull’associazione tra cognizione ed emozione. Tuttavia, è bene che il lettore ricordi che il trattamento è basato sulla terapia cognitivo-comportamentale e che, quindi, i principi comportamen-tali sono importanti quanto quelli cognitivi. Infatti è importante che i terapeuti mantengano nel corso del trattamento un equilibrio tra i principi cognitivi e comportamentali e le strategie di intervento.

È possibile spiegare al paziente in diversi modi la natura comportamentale dei sintomi psichiatrici e delle altre problematiche. Come punto di partenza, il terapeuta può ampliare la spiegazione della relazione tra cognizione ed emozione con una considerazione sulla modalità con cui la sequenza cognizione p emozione può influenzare anche il comportamento. Sempre facendo riferimento all’esempio presentato dal terapeuta di Eddie, se una persona a cui viene tagliata la strada da un altro automobilista ha la reazione “Accidenti!” potrebbe anche suonare il clacson energicamente o persino inseguire l’altro automobilista e provocare uno scontro. Se invece una persona reagisce dicendo “Sono un pessimo guidatore”, potrebbe poi stare a casa e decidere di rinunciare a prendere l’auto per recarsi a eventi in cui si sarebbe divertito. Se la reazione di una persona è “Caspita, spero che sia tutto ok, ma ora devo assicurarmi di arrivare in tempo al mio appuntamen-to”, potrebbe semplicemente continuare a guidare e dimenticarsi dell’incidente. In questo modo, la psicoeducazione in merito agli aspetti cognitivi del modello di TCC può essere estesa alle relative reazioni comportamentali.

In base alla presentazione clinica, potrebbero esserci principi comporta-mentali che sono fondamentalmente indipendenti dai modelli cognitivi sopra descritti, ma di cui è importante discutere con i pazienti in quanto sono alla base di interventi comportamentali chiave. Per esempio, nel modello comportamen-tale della depressione di Lewinsohn, Sullivan e Grosscup (1980) si ritiene che la depressione sia correlata a un basso tasso di rinforzi positivi e/o a un alto tasso di rinforzi negativi nel proprio ambiente. Sarebbe quindi opportuno lavorare con il paziente incrementando la frequenza di attività piacevoli e utilizzando la strategia del problem-solving per affrontare quei fattori situazionali che general-mente costituiscono rinforzi negativi. Se il terapeuta non spiega al paziente tale modello, allora le tecniche di attivazione comportamentale (si veda il Capitolo 6 del presente volume) e di problem-solving (si veda il Capitolo 7 del presente volume) non hanno una base teorica per cui essere applicate. Allo stesso modo, uno degli elementi fondamentali della TCC dei disturbi di ansia è l’esposizione.

questo volume. Può inoltre essere utile chiedere un feedback al paziente in merito a quale potrebbe essere per lui l’approccio più significativo e cercare di inserire i suoi desideri nel progetto terapeutico, in modo da potenziare una relazione terapeutica basata sulla collaborazione. In caso contrario, è possibile che il paziente non comprenda l’associazione tra cognizione ed emozione. In questo caso, il terapeuta può cercare di spie-gare tale associazione utilizzando un esempio diverso, preferibilmente tratto dalla vita stessa del paziente. È possibile che il paziente si trovi in una condizione di tale sofferenza emotiva che è difficile per lui distan-ziarsi da essa. In questi casi, è consigliabile utilizzare esempi tratti da persone che il paziente conosce piuttosto che dal paziente stesso.

! Il paziente sta affrontando un fattore stressante acuto o un evento di vita che la maggior parte delle persone troverebbe molto disturbante (per esempio: la perdita di una persona cara)? Sembra che il pazien-te stia affrontando tale situazione in maniera fondamentalmente cor-retta? In questo caso, il terapeuta può momentaneamente sospendere gli interventi cognitivi e utilizzare un approccio comportamentale o di problem-solving per affrontare la problematica attuale. Mentre applica l’approccio comportamentale o di problem-solving, il terapeuta può in-dividuare alcune problematiche cognitive che potrebbero esacerbare i disturbi dell’umore del paziente e può quindi iniziare a creare durante la seduta un ambiente che consenta al paziente di riconoscerle. In caso contrario, si potrebbe verificare che il paziente stia affrontando un fat-tore stressante di minore entità, ma in merito al quale ritiene che i suoi pensieri “siano giustificati” (per esempio: un’arrabbiatura in risposta al fatto che un parente non restituisca un prestito personale). In questi casi, il terapeuta può aiutare il paziente a domandarsi se gli aspetti co-gnitivi con cui sta affrontando i disturbi dell’umore, oltre che fonda-mentalmente corretti, siano anche utili. Il terapeuta può inoltre spiega-re al paziente una serie di principi comportamentali (riportati di seguito in questo capitolo) e chiedere al paziente se ritiene che tali principi possano spiegare in maniera più corretta le sue problematiche o i suoi sintomi psichiatrici. Se il paziente riconosce che il modello comporta-mentale proposto è maggiormente adeguato alla sua situazione, allora il terapeuta può spostare l’attenzione sul modello comportamentale e sulle corrispondenti strategie comportamentali.

! Il paziente presenta una reazione avversa nell’apprendere che esiste un’associazione tra cognizione ed emozione? Il terapeuta non dovreb-be domandarsi se il paziente sta presentando una reazione avversa, ma dovrebbe verificarlo direttamente, in modo da basare la decisione cli-nica sui fatti piuttosto che su ipotesi. Le reazioni avverse che i pazienti possono presentare includono: a) la sensazione che il terapeuta ritenga che il problema “è tutto nella mia mente” e b) la preoccupazione che

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il terapeuta suggerisca al paziente che lui è l’unico responsabile delle proprie sofferenze emotive, non i fattori esterni. Per identificare queste preoccupazioni e assicurarsi che il paziente le stia affrontando nel modo più corretto e utile possibile, i terapeuti possono avvalersi degli stru-menti descritti nel Capitolo 4 del presente volume.

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Giunti a questo punto, mi sono focalizzata sull’associazione tra cognizione ed emozione. Tuttavia, è bene che il lettore ricordi che il trattamento è basato sulla terapia cognitivo-comportamentale e che, quindi, i principi comportamen-tali sono importanti quanto quelli cognitivi. Infatti è importante che i terapeuti mantengano nel corso del trattamento un equilibrio tra i principi cognitivi e comportamentali e le strategie di intervento.

È possibile spiegare al paziente in diversi modi la natura comportamentale dei sintomi psichiatrici e delle altre problematiche. Come punto di partenza, il terapeuta può ampliare la spiegazione della relazione tra cognizione ed emozione con una considerazione sulla modalità con cui la sequenza cognizione p emozione può influenzare anche il comportamento. Sempre facendo riferimento all’esempio presentato dal terapeuta di Eddie, se una persona a cui viene tagliata la strada da un altro automobilista ha la reazione “Accidenti!” potrebbe anche suonare il clacson energicamente o persino inseguire l’altro automobilista e provocare uno scontro. Se invece una persona reagisce dicendo “Sono un pessimo guidatore”, potrebbe poi stare a casa e decidere di rinunciare a prendere l’auto per recarsi a eventi in cui si sarebbe divertito. Se la reazione di una persona è “Caspita, spero che sia tutto ok, ma ora devo assicurarmi di arrivare in tempo al mio appuntamen-to”, potrebbe semplicemente continuare a guidare e dimenticarsi dell’incidente. In questo modo, la psicoeducazione in merito agli aspetti cognitivi del modello di TCC può essere estesa alle relative reazioni comportamentali.

In base alla presentazione clinica, potrebbero esserci principi comporta-mentali che sono fondamentalmente indipendenti dai modelli cognitivi sopra descritti, ma di cui è importante discutere con i pazienti in quanto sono alla base di interventi comportamentali chiave. Per esempio, nel modello comportamen-tale della depressione di Lewinsohn, Sullivan e Grosscup (1980) si ritiene che la depressione sia correlata a un basso tasso di rinforzi positivi e/o a un alto tasso di rinforzi negativi nel proprio ambiente. Sarebbe quindi opportuno lavorare con il paziente incrementando la frequenza di attività piacevoli e utilizzando la strategia del problem-solving per affrontare quei fattori situazionali che general-mente costituiscono rinforzi negativi. Se il terapeuta non spiega al paziente tale modello, allora le tecniche di attivazione comportamentale (si veda il Capitolo 6 del presente volume) e di problem-solving (si veda il Capitolo 7 del presente volume) non hanno una base teorica per cui essere applicate. Allo stesso modo, uno degli elementi fondamentali della TCC dei disturbi di ansia è l’esposizione.

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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che fornisce informazioni in merito alla portata dell’efficacia di una particola-re questione di ricerca (Hunter e Schmidt, 1990). Pertanto, una meta-analisi sull’efficacia della TCC comprende sia studi che valutano la gravità della sinto-matologia prima e dopo il trattamento TCC sia studi in cui la TCC viene para-gonata ad altri trattamenti o a condizioni di controllo. Pur presentando alcuni limiti nella metodologia (Borenstein, Hedges, Higgins e Rothstein, 2009), le meta-analisi consentono al lettore di avere una stima abbastanza valida e corret-ta dei dati e della letteratura disponibile in merito a una particolare questione. In alternativa alla lettura delle meta-analisi, è utile leggere articoli pubblicati su giornali stimati e con elevato impact factor, come per esempio Journal of Con-sulting and Clinical Psychology per quanto riguarda la psicologia clinica e JAMA Psychiatry per quanto riguarda la psichiatria. Una terza possibilità per rimanere aggiornati è partecipare attivamente in organizzazioni come l’Accademia di te-rapia cognitiva (http://www.academyoct.org), l’Associazione per le terapie co-gnitivo-comportamentali (http://www.abct.org), o l’Associazione internazionale per la psicoterapia cognitiva (http://www.the-iacp.com). Queste organizzazioni spesso rendono accessibili ai loro membri i nuovi risultati di ricerca, anche grazie all’utilizzo di mailing list in cui tali risultati sono discussi.

Psicoeducazione in merito alla farmacoterapia

Molti dei pazienti che si presentano per la terapia pongono delle domande in merito all’assunzione delle terapie. In particolare, alcuni pazienti si domandano se invece che prendere parte alla psicoterapia dovrebbero assumere farmaci; altri pazienti si domandano perché devono assumere un farmaco in aggiunta alla psi-coterapia; altri ancora si domandano se in qualche modo l’assunzione di farmaci possa essere dannosa. Spesso i terapeuti non sono medici e, pertanto, non gestisco-no direttamente la parte farmacologica dei loro pazienti. È di fondamentale impor-tanza che questi terapeuti ricordino sempre al paziente che loro non si occupano di quell’aspetto e invitino sempre il paziente a consultare il medico. Tuttavia, i terapeuti cognitivo-comportamentali possono fornire al paziente una psicoeduca-zione in merito ai dati presenti in letteratura in cui sono paragonati l’efficacia della TCC, della terapia farmacologica, e/o dei trattamenti combinati (si veda l’Intro-duzione del presente volume) e in merito alle linee guida per i trattamenti di pri-ma scelta (American Psychiatric Association, 2006). I terapeuti possono inoltre guidare il paziente in un approccio di ricerca in merito a: a) quanto il trattamento che stanno assumendo è corretto per loro, b) in che misura il trattamento farma-cologico può agevolare l’esecuzione di una buona psicoterapia, c) in che misura il farmaco sta facendo effetto e in che misura gli effetti collaterali sono tollerabili. È di fondamentale importanza che i terapeuti siano sempre in contatto con i medici dei pazienti in farmacoterapia, in modo da coordinarsi e garantire che i due ap-procci di trattamento siano complementari piuttosto che in contraddizione.

Anche se esistono numerose evidenze che le tecniche di esposizione funziona-no attraverso meccanismi cognitivi (Abramowitz, Deacon e Whiteside, 2011; Hofmann, 2008), è di fondamentale importanza spiegare ai pazienti le basi com-portamentali, in particolare in riferimento al concetto di abitudine. Il concetto di abitudine consiste nel fatto che il nostro corpo, non potendo sostenere elevati livelli di ansia, si adatterà a ogni presentazione dello stimolo o della situazione temuti (Abramowitz et al., 2011). Nel Capitolo 8 del presente volume sono descritti nel dettaglio i principi teorici alla base dell’esposizione.

Il messaggio più importante per il lettore è che i terapeuti cognitivo-com-portamentali spiegano scrupolosamente ai loro pazienti i principi teorici alla base del trattamento così come le specifiche tecniche che selezionano. In questo modo, si fornisce al paziente una solida base logica per comprendere il corso del trattamento e le strategie che si presuppone siano efficaci. Inoltre è importante che i pazienti sappiano spiegare tali principi con parole loro, in modo da poterli generalizzare per i fattori stressanti e le sfide che non sono state affrontate diret-tamente nel corso della seduta.

Psicoeducazione in merito alla TCC basata sull’evidenza clinica

Una delle più importanti caratteristiche della TCC è il fatto che esistono moltissime ricerche cliniche che dimostrano la sua efficacia (si veda l’Introdu-zione del presente volume). In altre parole, la TCC è considerata un tratta-mento per disturbi mentali basato sulle evidenze cliniche. Così, molti terapeuti trovano utile illustrare ai loro pazienti che la TCC, più di ogni altra forma di psicoterapia, si è dimostrata efficace per numerose presentazioni cliniche. È bene inoltre informare i pazienti che, per potersi considerare un trattamento basato sulle evidenze, la TCC è stata sottoposta dai ricercatori a studi sia con gruppi placebo sia con gruppi controllo in lista di attesa per il trattamento di condizioni cliniche in diversi contesti.

Molti pazienti che si presentano per il trattamento pongono altre domande molto specifiche in merito all’efficacia della TCC. Quale percentuale di pazien-ti presenta un miglioramento significativo dopo avere completato un ciclo di TCC? Dopo quanto tempo si riscontrano i primi miglioramenti? Quale percen-tuale di pazienti ricade nei mesi successivi al completamento del trattamento TCC? È possibile rispondere a tutte queste domande servendosi dei dati empirici presenti in letteratura.

Certamente è molto difficile, se non impossibile, rimanere aggiornati alla letteratura, in quanto è in continua espansione. Oggi la TCC è applicata in una miriade di diverse condizioni cliniche. I risultati degli studi sono continuamente pubblicati sia da numerosi giornali sia da altri organi di stampa. In che modo un clinico può scegliere quale articolo leggere nel tempo ristretto che ha a dispo-sizione? Io consiglio di partire dalle meta-analisi sull’efficacia della TCC. Una meta-analisi consiste in un’analisi di dati provenienti da diversi singoli studi,

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che fornisce informazioni in merito alla portata dell’efficacia di una particola-re questione di ricerca (Hunter e Schmidt, 1990). Pertanto, una meta-analisi sull’efficacia della TCC comprende sia studi che valutano la gravità della sinto-matologia prima e dopo il trattamento TCC sia studi in cui la TCC viene para-gonata ad altri trattamenti o a condizioni di controllo. Pur presentando alcuni limiti nella metodologia (Borenstein, Hedges, Higgins e Rothstein, 2009), le meta-analisi consentono al lettore di avere una stima abbastanza valida e corret-ta dei dati e della letteratura disponibile in merito a una particolare questione. In alternativa alla lettura delle meta-analisi, è utile leggere articoli pubblicati su giornali stimati e con elevato impact factor, come per esempio Journal of Con-sulting and Clinical Psychology per quanto riguarda la psicologia clinica e JAMA Psychiatry per quanto riguarda la psichiatria. Una terza possibilità per rimanere aggiornati è partecipare attivamente in organizzazioni come l’Accademia di te-rapia cognitiva (http://www.academyoct.org), l’Associazione per le terapie co-gnitivo-comportamentali (http://www.abct.org), o l’Associazione internazionale per la psicoterapia cognitiva (http://www.the-iacp.com). Queste organizzazioni spesso rendono accessibili ai loro membri i nuovi risultati di ricerca, anche grazie all’utilizzo di mailing list in cui tali risultati sono discussi.

Psicoeducazione in merito alla farmacoterapia

Molti dei pazienti che si presentano per la terapia pongono delle domande in merito all’assunzione delle terapie. In particolare, alcuni pazienti si domandano se invece che prendere parte alla psicoterapia dovrebbero assumere farmaci; altri pazienti si domandano perché devono assumere un farmaco in aggiunta alla psi-coterapia; altri ancora si domandano se in qualche modo l’assunzione di farmaci possa essere dannosa. Spesso i terapeuti non sono medici e, pertanto, non gestisco-no direttamente la parte farmacologica dei loro pazienti. È di fondamentale impor-tanza che questi terapeuti ricordino sempre al paziente che loro non si occupano di quell’aspetto e invitino sempre il paziente a consultare il medico. Tuttavia, i terapeuti cognitivo-comportamentali possono fornire al paziente una psicoeduca-zione in merito ai dati presenti in letteratura in cui sono paragonati l’efficacia della TCC, della terapia farmacologica, e/o dei trattamenti combinati (si veda l’Intro-duzione del presente volume) e in merito alle linee guida per i trattamenti di pri-ma scelta (American Psychiatric Association, 2006). I terapeuti possono inoltre guidare il paziente in un approccio di ricerca in merito a: a) quanto il trattamento che stanno assumendo è corretto per loro, b) in che misura il trattamento farma-cologico può agevolare l’esecuzione di una buona psicoterapia, c) in che misura il farmaco sta facendo effetto e in che misura gli effetti collaterali sono tollerabili. È di fondamentale importanza che i terapeuti siano sempre in contatto con i medici dei pazienti in farmacoterapia, in modo da coordinarsi e garantire che i due ap-procci di trattamento siano complementari piuttosto che in contraddizione.

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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stadio di mantenimento stanno lavorando da un lungo periodo (per esempio: 6 mesi), stanno consolidando i risultati ottenuti nel trattamento e stanno svilup-pando un piano per prevenire le ricadute. Norcross et al. (2011) hanno segna-lato che molti terapeuti ritengono erroneamente che i pazienti si trovino nello stadio di cambiamento nel momento in cui si presentano per il trattamento, tale convinzione erronea condiziona poi la scelta di una strategia di intervento non appropriata al paziente. Pertanto, i terapeuti dovrebbero valutare nelle prime sedute di trattamento lo stadio di cambiamento del paziente e, nel caso in cui il paziente non si trovi nello stadio di cambiamento, dovrebbero applicare una serie di strategie di intervento per incrementare la propensione al cambiamento.

Uno dei più noti approcci per incrementare la propensione al cambiamen-to è il potenziamento motivazionale. Il potenziamento motivazionale è basato sui principi del colloquio motivazionale (Miller e Rollnick, 2002) utilizzato per pre-parare il paziente al trattamento nel momento in cui c’è ambivalenza o sono presenti condizioni che ostacolano e diminuiscono la probabilità di successo del trattamento. Il colloquio motivazionale ha un approccio incentrato sul pa-ziente, sono rispettate le sue sensazioni in merito ai vantaggi e agli svantaggi del cambiamento, la decisione finale per il cambiamento o meno spetta al pa-ziente e viene effettuato un rinforzo positivo di qualsiasi affermazione che vada nella direzione del trattamento. Il colloquio motivazionale è stato inizialmente sviluppato per affrontare il problema dell’alcolismo ed è stato poi esteso per il trattamento di numerose altre condizioni psichiatriche e problematiche com-portamentali. La versatilità del colloquio motivazionale è dimostrata dal fatto che va a completamento degli altri trattamenti e può essere utilizzato sia prima sia durante l’applicazione del trattamento nel momento in cui si presentano problematiche motivazionali (Westra e Arkowitz, 2011).

Una ristretta ma crescente parte della letteratura suggerisce che aggiunge-re dei colloqui motivazionali prima del trattamento incrementi l’efficacia della TCC (Westra, Arkowitz e Dozois, 2009; Westra e Dozois, 2006). Per esempio, in uno studio è stato dimostrato che la TCC era più efficace in un gruppo di pazien-ti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo sottoposti a colloquio motivazionale (e di mappatura del pensiero) prima della TCC rispetto al gruppo sottoposto a TCC da sola (Meyer et al., 2010). Inoltre è stato dimostrato che il potenziamen-to motivazionale incrementa la compliance al trattamento. Per esempio, McKee et al. (2007) riportavano che i pazienti sottoposti a un colloquio motivazionale prima di iniziare la TCC si presentavano con maggiore frequenza alle sedute suc-cessive e presentavano un maggiore desiderio di mantenere l’astinenza rispetto a coloro che effettuavano la TCC da sola, anche se i pazienti che ricevevano il colloquio motivazionale riportavano maggiore difficoltà a mantenere l’astensio-ne. Analogamente, Buckner e Schmidt (2009) riportavano che tra i soggetti an-siosi, chi riceveva il colloquio motivazionale si presentava alla seduta successiva nel 50% dei casi rispetto al 13% di coloro che ricevevano solo la TCC. Westra, Arkowitz e Dozois (2009) riportavano che tra i pazienti con disturbo di ansia

POTENZIAMENTO MOTIVAZIONALE

Pur presentandosi alle sedute, molti pazienti non sono pienamente pronti ad affrontare una psicoterapia. Anche se riconoscono che i sintomi psichiatrici e le problematiche di vita sono dolorosi, potrebbero essere spaventati dalla prospet-tiva del cambiamento. Oppure potrebbero avere un vantaggio secondario dalla loro condizione attuale. Potrebbero non essere sicuri di potere cambiare in posi-tivo la loro vita. Potrebbero non essere in grado di concepire una vita differente.

Circa trent’anni fa, è stata strutturata una cornice teorica rivoluzionaria per la valutazione della propensione del paziente al cambiamento (Prochaska e DiClemente, 1982, 2005; Norcross, Krebs e Prochaska, 2011), secondo la quale il paziente può trovarsi in uno dei cinque stadi del cambiamento, che si svilup-pano in un continuum che va dal non essere pronti a cambiare i propri sintomi e problematiche al fatto di avere effettuato con successo il cambiamento. In particolare, nella fase di precontemplazione, i pazienti non sono consapevoli della natura e della portata dei loro sintomi e problemi e non sono disponibili al cam-biamento. Per esempio, un uomo che si presenta alla visita solo perché la moglie ha minacciato di lasciarlo è un paziente che molto probabilmente si trova nello stadio di precontemplazione.

I pazienti che si trovano nello stadio di contemplazione sono in grado di riconoscere i propri sintomi e le proprie problematiche ma sono esitanti al cam-biamento a causa dei vantaggi secondari della loro condizione di malattia e in quanto sono dissuasi dalla prospettiva di sforzo e di energie necessarie al cam-biamento. Un esempio di paziente in stadio di contemplazione può essere il caso di una donna che riconosce di bere alcol in eccesso ed è consapevole delle problematiche che questo comporta nella sua vita, ma continua a bere in quanto non ritiene di essere in grado di affrontare la propria condizione di addiction. All’inizio del trattamento anche Eddie si trovava in uno stadio di contemplazio-ne; seppure riconosceva la propria sofferenza emotiva, riteneva che fossero gli altri a dovere cambiare, in quanto fonte dei suoi problemi.

I pazienti nello stadio di preparazione del cambiamento hanno definitiva-mente scelto di affrontare nel breve termine i propri sintomi e problemi e hanno già iniziato a muovere i primi passi nella direzione del trattamento. Per esempio, una donna depressa che inizia a leggere un libro di autoaiuto prima di presen-tarsi alla visita si trova in uno stadio di preparazione. Eddie è subito passato allo stadio di preparazione nel momento in cui gli è stato spiegato il modello cognitivo-comportamentale e lui ha riconosciuto che fosse applicabile alle sue problematiche di vita.

I pazienti negli ultimi due stadi del cambiamento affrontano attivamente le loro problematiche. In particolare, i pazienti nello stadio di azione hanno già sviluppato un piano di cambiamento e stanno implementando le strategie per ottenere il cambiamento. Eddie è passato allo stadio di azione nel momento in cui ha completato con successo i compiti a casa. I pazienti che si trovano in uno

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stadio di mantenimento stanno lavorando da un lungo periodo (per esempio: 6 mesi), stanno consolidando i risultati ottenuti nel trattamento e stanno svilup-pando un piano per prevenire le ricadute. Norcross et al. (2011) hanno segna-lato che molti terapeuti ritengono erroneamente che i pazienti si trovino nello stadio di cambiamento nel momento in cui si presentano per il trattamento, tale convinzione erronea condiziona poi la scelta di una strategia di intervento non appropriata al paziente. Pertanto, i terapeuti dovrebbero valutare nelle prime sedute di trattamento lo stadio di cambiamento del paziente e, nel caso in cui il paziente non si trovi nello stadio di cambiamento, dovrebbero applicare una serie di strategie di intervento per incrementare la propensione al cambiamento.

Uno dei più noti approcci per incrementare la propensione al cambiamen-to è il potenziamento motivazionale. Il potenziamento motivazionale è basato sui principi del colloquio motivazionale (Miller e Rollnick, 2002) utilizzato per pre-parare il paziente al trattamento nel momento in cui c’è ambivalenza o sono presenti condizioni che ostacolano e diminuiscono la probabilità di successo del trattamento. Il colloquio motivazionale ha un approccio incentrato sul pa-ziente, sono rispettate le sue sensazioni in merito ai vantaggi e agli svantaggi del cambiamento, la decisione finale per il cambiamento o meno spetta al pa-ziente e viene effettuato un rinforzo positivo di qualsiasi affermazione che vada nella direzione del trattamento. Il colloquio motivazionale è stato inizialmente sviluppato per affrontare il problema dell’alcolismo ed è stato poi esteso per il trattamento di numerose altre condizioni psichiatriche e problematiche com-portamentali. La versatilità del colloquio motivazionale è dimostrata dal fatto che va a completamento degli altri trattamenti e può essere utilizzato sia prima sia durante l’applicazione del trattamento nel momento in cui si presentano problematiche motivazionali (Westra e Arkowitz, 2011).

Una ristretta ma crescente parte della letteratura suggerisce che aggiunge-re dei colloqui motivazionali prima del trattamento incrementi l’efficacia della TCC (Westra, Arkowitz e Dozois, 2009; Westra e Dozois, 2006). Per esempio, in uno studio è stato dimostrato che la TCC era più efficace in un gruppo di pazien-ti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo sottoposti a colloquio motivazionale (e di mappatura del pensiero) prima della TCC rispetto al gruppo sottoposto a TCC da sola (Meyer et al., 2010). Inoltre è stato dimostrato che il potenziamen-to motivazionale incrementa la compliance al trattamento. Per esempio, McKee et al. (2007) riportavano che i pazienti sottoposti a un colloquio motivazionale prima di iniziare la TCC si presentavano con maggiore frequenza alle sedute suc-cessive e presentavano un maggiore desiderio di mantenere l’astinenza rispetto a coloro che effettuavano la TCC da sola, anche se i pazienti che ricevevano il colloquio motivazionale riportavano maggiore difficoltà a mantenere l’astensio-ne. Analogamente, Buckner e Schmidt (2009) riportavano che tra i soggetti an-siosi, chi riceveva il colloquio motivazionale si presentava alla seduta successiva nel 50% dei casi rispetto al 13% di coloro che ricevevano solo la TCC. Westra, Arkowitz e Dozois (2009) riportavano che tra i pazienti con disturbo di ansia

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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differenza tra il livello di funzionamento attuale del paziente nei diversi ambiti e il loro livello desiderato. Tale differenza viene affrontata con un approccio ot-timistico, il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere che i suoi obiettivi a breve termine sono realizzabili in un periodo di tempo relativamente breve. In altre parole, l’identificazione degli obiettivi a breve termine permette al paziente di sperare in una vita differente. Inoltre consente al paziente di focalizzare la pro-pria attenzione su potenziali risorse positive e sfruttabili piuttosto che sui limiti e le problematiche (Wenzel et al., 2011).

Discussione in merito ai sintomi psichiatrici

Per molti pazienti è difficile accettare l’impatto che i sintomi psichiatrici hanno sulla qualità di vita. Per questo motivo, una delle tecniche del potenzia-mento motivazionale consiste nel facilitare una schietta discussione in merito alle conseguenze dei loro sintomi psichiatrici. Questo tipo di strategia a dire il vero ha un punto di vista più negativo rispetto all’identificazione degli obiettivi a breve termine, ma nonostante ciò è in grado di incrementare la propensione al trattamento, dato che i pazienti si rendono conto di quanto i sintomi psichiatrici condizionino la loro qualità di vita. Il terapeuta può porre una serie di doman-de al fine di stimolare una valutazione critica di tali conseguenze: a) “In quale misura i sintomi interferiscono con ciò che tu normalmente faresti?”, b) “In che modo i sintomi condizionano il tuo lavoro? E le tue relazioni?” e c) “In che modo i sintomi hanno condizionato il tuo sentirti realizzato nella vita?” (Wenzel et al., 2011; Zanjani et al., 2008).

Dopo avere individuato le conseguenze dei sintomi psichiatrici, l’attenzio-ne viene focalizzata sui potenziali benefici che si otterrebbero dalla riduzione di tali sintomi. Così come avviene durante l’identificazione degli obiettivi a breve termine, anche la discussione dei benefici contribuisce ad aumentare l’ottimi-smo del paziente. Il terapeuta deve prestare attenzione alla tendenza del paziente di dismettere il compito, spesso spinto da sentimenti quali: “Non capisco come ciò possa essere possibile per me”, “Ci ho provato anche in passato e non ha funzionato”, oppure “Non so nemmeno da dove partire”. Queste convinzioni possono essere allontanate attraverso la psicoeducazione descritta in precedenza in questo capitolo ed esprimendo al paziente la volontà di lavorare con lui fian-co a fianco al fine di ottenere quei benefici. Alcuni pazienti tendono a pensare sempre in termini molto generici e faticano a rievocare specifiche informazioni che consentirebbero loro di risolvere i propri problemi (Williams et al., 2007). Questi pazienti potrebbero anche avere difficoltà nell’identificare specifici bene-fici dalla riduzione dei sintomi. In questi casi, è utile che il terapeuta sia pronto a proporre una serie di benefici, tra i quali una maggiore fiducia in se stessi, meno stress, la capacità di godersi attività piacevoli, una maggiore produttività (Wen-zel et al., 2011; Zanjani et al., 2008).

generalizzato, chi riceveva il colloquio motivazionale e la TCC presentava una maggiore riduzione dei livelli di preoccupazione rispetto a chi riceveva la TCC da sola, inoltre tale riduzione era mediata dalla compliance ai compiti valutata dai terapeuti. Tali risultati dimostrano che la compliance agli esercizi a casa è quella che potenzialmente trae maggiore beneficio dai colloqui motivazionali e che quindi sarebbe utile sviluppare nei futuri progetti di ricerca tecniche di col-loquio motivazionale specifiche per migliorare la compliance ai compiti.

Le ragioni per cui includere il colloquio motivazionale nella TCC sono molteplici. Entrambe hanno come obiettivo principale quello di favorire un cambiamento nella vita dei pazienti. In entrambi i casi, l’approccio è basato su una relazione terapeutica di collaborazione e sul rispetto per le differenze indivi-duali. È stato dimostrato che il risultato alla fine del trattamento è peggiore se la TCC viene effettuata in maniera direttiva e aderente strettamente ai protocolli prestabiliti (Huppert, Barlow, Gorman, Shear e Woods, 2006). Ciò può essere spiegato dal fatto che se un paziente con motivazione scarsa ha la sensazione di essere spinto dal terapeuta a seguire l’agenda del terapeuta stesso, il paziente rea-gisce opponendo resistenza (Westra e Arkowitz, 2011). Le tecniche di colloquio motivazionale consentono di superare queste problematiche, in quanto permet-tono al paziente di procedere con il suo passo e di identificare quali sono le problematiche da affrontare prima di dedicarsi alle strategie orientate all’azione.

Alcuni studiosi hanno mostrato preoccupazione in merito al fatto che al-cuni pazienti potrebbero presentare difficoltà nel passaggio dal colloquio moti-vazionale, che ha un approccio umanistico, alla TCC, che ha un approccio più direttivo e didattico (Burke, 2011). Tale preoccupazione è indice di una conce-zione erronea in merito alla TCC, in quanto è contrario ai principi fondamentali della TCC condurre sedute in una modalità eccessivamente direttiva e didattica con scarsa attenzione alla natura collaborativa della relazione terapeutica. In altre parole, se viene applicata correttamente, la TCC è umanistica e non viene considerata dal paziente come eccessivamente rigida, strutturata o direttiva. Le parti successive del capitolo descrivono numerose specifiche tecniche di poten-ziamento motivazionale (Wenzel et al., 2011; Zanjani, Miller, Turiano, Ross e Oslin, 2008) che possono essere applicate quando il terapeuta si rende conto che il paziente non ha ancora raggiunto lo stadio di azione.

Identificazione degli obiettivi a breve termine

Una parte importante della TCC è lo sviluppo di specifici obiettivi di trat-tamento. Comunque, l’identificazione degli obiettivi può anche essere utilizzata per il potenziamento motivazionale. All’interno del potenziamento motivazio-nale, il terapeuta incoraggia i pazienti a identificare specifici obiettivi a breve termine in diverse aree della propria vita, come la salute, sia fisica sia emotiva, il lavoro, il tempo libero, la famiglia e le altre relazioni strette, e il benessere finan-ziario. I terapeuti prendono anche in considerazione la presenza di un’eventuale

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differenza tra il livello di funzionamento attuale del paziente nei diversi ambiti e il loro livello desiderato. Tale differenza viene affrontata con un approccio ot-timistico, il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere che i suoi obiettivi a breve termine sono realizzabili in un periodo di tempo relativamente breve. In altre parole, l’identificazione degli obiettivi a breve termine permette al paziente di sperare in una vita differente. Inoltre consente al paziente di focalizzare la pro-pria attenzione su potenziali risorse positive e sfruttabili piuttosto che sui limiti e le problematiche (Wenzel et al., 2011).

Discussione in merito ai sintomi psichiatrici

Per molti pazienti è difficile accettare l’impatto che i sintomi psichiatrici hanno sulla qualità di vita. Per questo motivo, una delle tecniche del potenzia-mento motivazionale consiste nel facilitare una schietta discussione in merito alle conseguenze dei loro sintomi psichiatrici. Questo tipo di strategia a dire il vero ha un punto di vista più negativo rispetto all’identificazione degli obiettivi a breve termine, ma nonostante ciò è in grado di incrementare la propensione al trattamento, dato che i pazienti si rendono conto di quanto i sintomi psichiatrici condizionino la loro qualità di vita. Il terapeuta può porre una serie di doman-de al fine di stimolare una valutazione critica di tali conseguenze: a) “In quale misura i sintomi interferiscono con ciò che tu normalmente faresti?”, b) “In che modo i sintomi condizionano il tuo lavoro? E le tue relazioni?” e c) “In che modo i sintomi hanno condizionato il tuo sentirti realizzato nella vita?” (Wenzel et al., 2011; Zanjani et al., 2008).

Dopo avere individuato le conseguenze dei sintomi psichiatrici, l’attenzio-ne viene focalizzata sui potenziali benefici che si otterrebbero dalla riduzione di tali sintomi. Così come avviene durante l’identificazione degli obiettivi a breve termine, anche la discussione dei benefici contribuisce ad aumentare l’ottimi-smo del paziente. Il terapeuta deve prestare attenzione alla tendenza del paziente di dismettere il compito, spesso spinto da sentimenti quali: “Non capisco come ciò possa essere possibile per me”, “Ci ho provato anche in passato e non ha funzionato”, oppure “Non so nemmeno da dove partire”. Queste convinzioni possono essere allontanate attraverso la psicoeducazione descritta in precedenza in questo capitolo ed esprimendo al paziente la volontà di lavorare con lui fian-co a fianco al fine di ottenere quei benefici. Alcuni pazienti tendono a pensare sempre in termini molto generici e faticano a rievocare specifiche informazioni che consentirebbero loro di risolvere i propri problemi (Williams et al., 2007). Questi pazienti potrebbero anche avere difficoltà nell’identificare specifici bene-fici dalla riduzione dei sintomi. In questi casi, è utile che il terapeuta sia pronto a proporre una serie di benefici, tra i quali una maggiore fiducia in se stessi, meno stress, la capacità di godersi attività piacevoli, una maggiore produttività (Wen-zel et al., 2011; Zanjani et al., 2008).

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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zione gli atteggiamenti dannosi del paziente e le sue aspettative consente inoltre di modellare al momento le strategie di intervento.

In molti casi, alla base di un atteggiamento negativo o di aspettative erronee ci sono falsi presupposti come: “Ai terapeuti non importa proprio nulla dei pazien-ti” oppure “Le mie problematiche sono così uniche che certamente nessuno mi può aiutare”. I terapeuti possono avvalersi delle strategie descritte nel Capitolo 4 al fine di modulare l’associazione tra queste convinzioni, l’emotività e il comporta-mento a esse associati (per esempio: il modello cognitivo) e applicare delle strate-gie di ristrutturazione cognitiva per aiutare i pazienti a prendere le distanze da tali convinzioni. Cioè il terapeuta e il paziente possono valutare tali atteggiamenti e aspettative in una modalità collaborativa e basata sull’esperienza prima di consi-derarli come verità assolute. Se il paziente continua a essere scettico, il terapeuta può applicare il concetto dell’esperimento comportamentale (si veda il Capitolo 4 del presente volume): il paziente accetta di concordare un numero ridotto di sedute (per esempio: quattro), di mantenere un atteggiamento di apertura e di par-tecipazione attiva al trattamento e alla fine delle sedute prestabilite valuta in che misura la sua esperienza di trattamento corrispondeva al suo atteggiamento e alle sue aspettative iniziali. Ci si aspetta che le sedute iniziali dimostrino ai pazienti che la TCC può modificare in maniera significativa le loro vite.

Superamento di ostacoli alla partecipazione al trattamento

Nel momento in cui i pazienti hanno un atteggiamento ambivalente nei confronti della terapia, essi possono incontrare ostacoli che impediscono loro di partecipare al trattamento. Come descritto in precedenza nel capitolo, alcu-ni ostacoli sono di natura attitudinale. Altri ostacoli sono di natura ambienta-le, come per esempio la mancanza di accesso ai mezzi di trasporto o il fatto di vivere molto distanti dal luogo di trattamento. Nel momento in cui vengono individuati ostacoli esterni, il terapeuta cognitivo-comportamentale sfrutta le tecniche di problem-solving descritte nel Capitolo 7 del presente volume per trovare delle soluzioni per superare gli ostacoli e sviluppa uno specifico piano per implementare tali soluzioni. Possono esserci anche degli ostacoli correlati ai sin-tomi del paziente, come per esempio la mancanza di organizzazione, i problemi di memoria, la difficoltà a uscire dal letto e di casa. Per superare questi ostacoli possono essere applicate strategie comportamentali pratiche (si veda il Capitolo 6 del presente volume) e di problem-solving (si veda il Capitolo 7).

CONCLUSIONI

Nella TCC la psicoeducazione consiste nel fornire al paziente informazioni in merito alla sua presentazione clinica e in merito alla natura dell’approccio cogni-tivo-comportamentale al trattamento. Il potenziamento motivazionale indica una

Identificazione e modificazione di atteggiamenti sbagliati nei confronti del trattamento

Molti dei pazienti ambivalenti rispetto al trattamento presentano un approc-cio negativo o aspettative dal trattamento che riducono la loro apertura a inter-venti terapeutici. Ciò può derivare da diverse fonti. Come affermato in preceden-za, spesso i pazienti che non hanno mai effettuato una psicoterapia, presentano dei preconcetti in merito a ciò che avviene nelle sedute, e questi preconcetti ori-ginano spesso da descrizioni erronee dei media oppure dalla loro immaginazione. I pazienti possono presentare una reazione avversa nel momento in cui la TCC procede in maniera diversa da come si aspettavano. Molti pazienti che hanno già effettuato una psicoterapia in passato si aspettano che la TCC non sia utile, in quanto la associano alle psicoterapie passate. In questo modo, i pazienti iniziano il trattamento con un atteggiamento scettico e con aspettative pessimistiche.

Come descritto in precedenza, è di fondamentale importanza spiegare al paziente la struttura della TCC e i fondamenti teorici, al fine di assicurarsi che il paziente abbia delle aspettative adeguate nei confronti della TCC. È importante che il paziente sviluppi un atteggiamento positivo nei confronti del trattamento, cosicché possa aspettarsi da esso dei benefici reali. È stato dimostrato che un atteggiamento positivo al trattamento e delle alte aspettative sono associate a un minore numero di sintomi psichiatrici alla fine del trattamento (Devilly e Borkovec, 2000; Joyce e Piper, 1998; Safren, Heimberg e Juster, 1997; Sotsky et al., 1991; Wenzel, Jeglic, Levy-Mack, Beck e Brown, 2008; per una revisione si veda Shapiro e Shapiro, 1997). Alcune ricerche suggeriscono che tali risultati sono attribuibili al fatto che i pazienti con un atteggiamento positivo al tratta-mento sviluppano un’alleanza terapeutica più forte con il terapeuta (Gibbons et al., 2003; Meyer et al., 2002). Altre possibili spiegazioni sono le seguenti: a) i pazienti con un atteggiamento positivo al trattamento svolgono i compiti a casa con maggiore impegno e b) i pazienti con un atteggiamento positivo al trattamento sono più propensi a individuare pattern di pensiero disfunzionali. Al di là delle ragioni alla base di un atteggiamento negativo al trattamento e delle diverse modalità con cui esso viene manifestato nel corso del trattamento, è importante che il terapeuta affronti tale atteggiamento in maniera empatica e accogliente, tenuto conto delle pregresse esperienze di vita del paziente.

Affrontando la discussione in merito all’atteggiamento negativo al tratta-mento e alle aspettative del paziente, il terapeuta dimostra di essere interessato al punto di vista del paziente e che lo prenderà seriamente in considerazione. Una volta che la natura, il corso e la struttura della TCC è stata spiegata, se il paziente continua a esprimere delle riserve in merito, il terapeuta può collabora-re con il paziente e modificare con lui gli aspetti della struttura e del corso della TCC in modo da soddisfare le sue preferenze e il suo stile. In questo modo, il terapeuta rafforza il concetto di lavoro di squadra e mostra al paziente che sono entrambi allo stesso livello all’interno della squadra. Prendere in seria considera-

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zione gli atteggiamenti dannosi del paziente e le sue aspettative consente inoltre di modellare al momento le strategie di intervento.

In molti casi, alla base di un atteggiamento negativo o di aspettative erronee ci sono falsi presupposti come: “Ai terapeuti non importa proprio nulla dei pazien-ti” oppure “Le mie problematiche sono così uniche che certamente nessuno mi può aiutare”. I terapeuti possono avvalersi delle strategie descritte nel Capitolo 4 al fine di modulare l’associazione tra queste convinzioni, l’emotività e il comporta-mento a esse associati (per esempio: il modello cognitivo) e applicare delle strate-gie di ristrutturazione cognitiva per aiutare i pazienti a prendere le distanze da tali convinzioni. Cioè il terapeuta e il paziente possono valutare tali atteggiamenti e aspettative in una modalità collaborativa e basata sull’esperienza prima di consi-derarli come verità assolute. Se il paziente continua a essere scettico, il terapeuta può applicare il concetto dell’esperimento comportamentale (si veda il Capitolo 4 del presente volume): il paziente accetta di concordare un numero ridotto di sedute (per esempio: quattro), di mantenere un atteggiamento di apertura e di par-tecipazione attiva al trattamento e alla fine delle sedute prestabilite valuta in che misura la sua esperienza di trattamento corrispondeva al suo atteggiamento e alle sue aspettative iniziali. Ci si aspetta che le sedute iniziali dimostrino ai pazienti che la TCC può modificare in maniera significativa le loro vite.

Superamento di ostacoli alla partecipazione al trattamento

Nel momento in cui i pazienti hanno un atteggiamento ambivalente nei confronti della terapia, essi possono incontrare ostacoli che impediscono loro di partecipare al trattamento. Come descritto in precedenza nel capitolo, alcu-ni ostacoli sono di natura attitudinale. Altri ostacoli sono di natura ambienta-le, come per esempio la mancanza di accesso ai mezzi di trasporto o il fatto di vivere molto distanti dal luogo di trattamento. Nel momento in cui vengono individuati ostacoli esterni, il terapeuta cognitivo-comportamentale sfrutta le tecniche di problem-solving descritte nel Capitolo 7 del presente volume per trovare delle soluzioni per superare gli ostacoli e sviluppa uno specifico piano per implementare tali soluzioni. Possono esserci anche degli ostacoli correlati ai sin-tomi del paziente, come per esempio la mancanza di organizzazione, i problemi di memoria, la difficoltà a uscire dal letto e di casa. Per superare questi ostacoli possono essere applicate strategie comportamentali pratiche (si veda il Capitolo 6 del presente volume) e di problem-solving (si veda il Capitolo 7).

CONCLUSIONI

Nella TCC la psicoeducazione consiste nel fornire al paziente informazioni in merito alla sua presentazione clinica e in merito alla natura dell’approccio cogni-tivo-comportamentale al trattamento. Il potenziamento motivazionale indica una

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I. STRATEGIE COMUNI DI TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

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serie di tecniche basate sul colloquio motivazionale che consente di preparare al trattamento i pazienti ambivalenti, nel rispetto della loro decisione a cambiare o meno e consentendo al paziente stesso di esaminare i benefici del cambiamento. Anche se da un punto di vista logico la psicoeducazione e il potenziamento mo-tivazionale andrebbero applicati all’inizio del trattamento, in realtà è possibile integrarli in qualsiasi punto nel corso del trattamento. Entrambi questi approcci strategici hanno lo scopo di coinvolgere il paziente nella TCC.

Un numero sempre maggiore di ricerche dimostra che il colloquio motiva-zionale e il potenziamento motivazionale influenzano positivamente l’efficacia della TCC. Invece non esiste una significativa letteratura in merito all’influenza della psicoeducazione. Tuttavia, sono disponibili dati in merito all’influenza del-la psicoeducazione e del potenziamento motivazionale in merito alla riduzione dei sintomi, alla compliance al trattamento e a quella all’esecuzione dei com-piti a casa. È importante che le ricerche future valutino l’efficacia delle singole tecniche sui diversi pazienti, in modo tale da riuscire a individuare i singoli meccanismi di cambiamento a esse associate. Grazie a queste informazioni sarà possibile per i terapeuti effettuare una TCC sulla base della specifica concettua-lizzazione cognitiva del caso.

I terapeuti spesso hanno notato che quando effettuano la psicoeducazione e il potenziamento motivazionale devono affrontare meno punti decisionali ri-spetto a quando utilizzano le altre tecniche. Ciò può essere attribuito al fatto che spesso la psicoeducazione e il potenziamento motivazionale vengono applicate come soluzioni a questioni cliniche che emergono durante l’utilizzo delle altre tecniche. Per esempio, spesso la psicoeducazione è utilizzata in risposta a un punto decisionale che insorge la prima volta che si utilizza una tecnica, in quan-to fornisce al paziente il razionale per l’utilizzo stesso della tecnica. Si impiega invece il potenziamento motivazionale quando ci si rende conto che il paziente ha dismesso il compito, non è partecipe al percorso di cura e non ripone alcuna fiducia in esso. Quindi, il potenziamento motivazionale e la psicoeducazione possono essere considerate come strategie terapeutiche da utilizzarsi nel momen-to in cui il percorso terapeutico non procede come dovrebbe.

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