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Biogas aziendale, A.A. 2010-11 Dipartimento Ingegneria del Territorio, Università di SS 1 PRODUZIONE AZIENDALE DI COMBUSTIBILI DA BIOMASSE ANIMALI LA FERMENTAZIONE ANAEROBICA La storia del biogas da effluenti zootecnici è stata caratterizzata in Italia da due distinte fasi. La prima, non positiva, risale agli anni ’80, mentre al seconda ha avuto inizio nel decennio successivo, quando tecnologie più semplici e studiate espressamente per il mondo agricolo hanno iniziato ad essere adottate e a garantire agli allevatori un effettivo ritorno economico dell’investimento. A rendere ancora meno positiva l’immagine della digestione anaerobica agli occhi degli allevatori negli anni ’80 ha contribuito pure il fatto che gli impianti realizzati a quell’epoca erano un adattamento alle aziende zootecniche di processi e tecnologie nati per il settore industriale. Negli ultimi dieci anni la digestione anaerobica dei reflui zootecnici si è diffusa in molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, allo scopo di recuperare energia rinnovabile sotto forma di biogas. Pensata inizialmente in ambito agricolo soprattutto come valorizzazione dei liquami prodotti negli allevamenti zootecnici, questa tecnologia presenta anche il vantaggio di controllare le emissioni maleodoranti e di stabilizzare le biomasse prima del loro utilizzo agronomico. Ora le prospettive per il mondo agricolo sono notevolmente ampliate, poiché nella produzione di biogas possono entrare convenientemente in gioco anche biomasse vegetali appositamente coltivate allo scopo. Un forte impulso alla digestione anaerobica è fornito dal Dlgs 387/2003 che, in accordo con una direttiva europea, sancisce l’obbligo, da parte di tutti i produttori e importatori di energia elettrica da fonte convenzionale, di immettere in rete, ogni anno, una quota di elettricità prodotta da fonti rinnovabili (tra cui il biogas) pari almeno, nel 2006, al 3,05% della quantità totale immessa. Per poter rispettare tale quota, i produttori di energia da fonte convenzionale devono acquistare i cosiddetti certificati verdi dai produttori di energia rinnovabile. Attualmente la durata dei certificati verdi è di 12 anni (come indicato nel testo unico recante norme in materia ambientale, Dlgs n. 152/2006), elevabile per l’energia ricavata dalle biomasse, quale è il biogas, per altri quattro anni, anche se con il riconoscimento solo del 60% dell’energia elettrica prodotta e se non si sono ottenuti contributi pubblici in conto capitale nella realizzazione dell’impianto. Nasce così il mercato o borsa dei certificati verdi gestito dal Gestore dei Servizi Elettrici (GSE). La fermentazione anaerobica, detta comunemente digestione anaerobica, rappresenta il mezzo più idoneo per demolire la sostanza organica di prodotti ad elevato contenuto di umidità quali sono ad esempio i reflui zootecnici (acqua ≥ 70%). Le deiezioni animali per le quali risulta possibile lo sfruttamento con finalità energetiche sono quelle provenienti da allevamenti stabulati. La produzione di gas biologico da fermentazione anaerobica è un fenomeno che avviene spontaneamente in natura: il gas metano estratto dai giacimenti sotterranei e il gas prodotto nello stomaco dei bovini sono prodotti di reazioni dovute all’attività di batteri anaerobi, che operano in assenza di ossigeno. Questi fenomeni possono raggiungere entità notevoli se si pensa, ad esempio, che la flora microbica insediata nell’apparato digerente di un bovino arriva a sviluppare fino a 500 litri di gas al giorno. La digestione anaerobica è un processo biochimico consistente nella demolizione da parte dei microrganismi di quella frazione dei solidi totali (ST) - rappresentata dai lipidi, glucidi e protidi, identificabili come solidi volatili (SV) -, per la produzione del biogas. Il processo di demolizione avviene attraverso tre fasi successive denominate idrolisi enzimatica, acidogenesi e fermentazione metanica (fig. 1).

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Biogas aziendale, A.A. 2010-11 Dipartimento Ingegneria del Territorio, Università di SS

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PRODUZIONE AZIENDALE DI COMBUSTIBILI DA BIOMASSE ANIMALI

LA FERMENTAZIONE ANAEROBICA La storia del biogas da effluenti zootecnici è stata caratterizzata in Italia da due distinte fasi. La prima, non positiva, risale agli anni ’80, mentre al seconda ha avuto inizio nel decennio successivo, quando tecnologie più semplici e studiate espressamente per il mondo agricolo hanno iniziato ad essere adottate e a garantire agli allevatori un effettivo ritorno economico dell’investimento. A rendere ancora meno positiva l’immagine della digestione anaerobica agli occhi degli allevatori negli anni ’80 ha contribuito pure il fatto che gli impianti realizzati a quell’epoca erano un adattamento alle aziende zootecniche di processi e tecnologie nati per il settore industriale. Negli ultimi dieci anni la digestione anaerobica dei reflui zootecnici si è diffusa in molti Paesi europei, tra i quali l’Italia, allo scopo di recuperare energia rinnovabile sotto forma di biogas. Pensata inizialmente in ambito agricolo soprattutto come valorizzazione dei liquami prodotti negli allevamenti zootecnici, questa tecnologia presenta anche il vantaggio di controllare le emissioni maleodoranti e di stabilizzare le biomasse prima del loro utilizzo agronomico. Ora le prospettive per il mondo agricolo sono notevolmente ampliate, poiché nella produzione di biogas possono entrare convenientemente in gioco anche biomasse vegetali appositamente coltivate allo scopo. Un forte impulso alla digestione anaerobica è fornito dal Dlgs 387/2003 che, in accordo con una direttiva europea, sancisce l’obbligo, da parte di tutti i produttori e importatori di energia elettrica da fonte convenzionale, di immettere in rete, ogni anno, una quota di elettricità prodotta da fonti rinnovabili (tra cui il biogas) pari almeno, nel 2006, al 3,05% della quantità totale immessa. Per poter rispettare tale quota, i produttori di energia da fonte convenzionale devono acquistare i cosiddetti certificati verdi dai produttori di energia rinnovabile. Attualmente la durata dei certificati verdi è di 12 anni (come indicato nel testo unico recante norme in materia ambientale, Dlgs n. 152/2006), elevabile per l’energia ricavata dalle biomasse, quale è il biogas, per altri quattro anni, anche se con il riconoscimento solo del 60% dell’energia elettrica prodotta e se non si sono ottenuti contributi pubblici in conto capitale nella realizzazione dell’impianto. Nasce così il mercato o borsa dei certificati verdi gestito dal Gestore dei Servizi Elettrici (GSE). La fermentazione anaerobica, detta comunemente digestione anaerobica, rappresenta il mezzo più idoneo per demolire la sostanza organica di prodotti ad elevato contenuto di umidità quali sono ad esempio i reflui zootecnici (acqua ≥ 70%). Le deiezioni animali per le quali risulta possibile lo sfruttamento con finalità energetiche sono quelle provenienti da allevamenti stabulati. La produzione di gas biologico da fermentazione anaerobica è un fenomeno che avviene spontaneamente in natura: il gas metano estratto dai giacimenti sotterranei e il gas prodotto nello stomaco dei bovini sono prodotti di reazioni dovute all’attività di batteri anaerobi, che operano in assenza di ossigeno. Questi fenomeni possono raggiungere entità notevoli se si pensa, ad esempio, che la flora microbica insediata nell’apparato digerente di un bovino arriva a sviluppare fino a 500 litri di gas al giorno. La digestione anaerobica è un processo biochimico consistente nella demolizione da parte dei microrganismi di quella frazione dei solidi totali (ST) - rappresentata dai lipidi, glucidi e protidi, identificabili come solidi volatili (SV) -, per la produzione del biogas. Il processo di demolizione avviene attraverso tre fasi successive denominate idrolisi enzimatica, acidogenesi e fermentazione metanica (fig. 1).

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L'idrolisi enzimatica é la fase iniziale aerobica con la quale l'ossigeno presente nell'impianto, introdotto inizialmente con la carica, viene consumato dai batteri aerobici con la produzione di CO2 e NH3 e trasformazione parziale delle molecole complesse in prodotti più semplici, generalmente solubili in acqua. Pertanto, i polisaccaridi sono trasformati in monosaccaridi, le proteine in peptidi e aminoacidi, i grassi in glicerolo e acidi grassi. Fig. 1 Schema del processo biologico di digestione anaerobica. L'acidogenesi é la fase iniziale del processo anaerobico ed avviene ad opera di batteri definiti acidoformanti che hanno il ruolo di trasformare le sostanze organiche presenti in acidi semplici, quali il propionico e l'acetico, con la formazione di CO2, NH3 e H2. I batteri acidoformanti presenti nella fermentazione anaerobica consumano l’ossigeno presente nel liquame immerso nel reattore portando così l’ambiente in stretta anaerobiosi: ciò risulta fondamentale per la fase di massificazione successiva, operata da batteri esclusivamente anaerobi. La fermentazione metanica é la seconda fase anaerobica nella quale agiscono i batteri "metaniferi" che trasformano gli acidi semplici ed i loro sali in anidride carbonica e

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metano, in altre parole biogas. Questa fase, ritenuta da molti lo stadio più lento del processo, é quella che controlla la digestione. I processi biologici che s’instaurano nella digestione anaerobica portano alla quasi completa stabilizzazione dei liquami zootecnici. I composti organici degradabili, infatti, sono utilizzati dai batteri anaerobi per la produzione di biogas. Il prodotto ottenuto dal processo può essere distribuito in copertura, non solo senza problemi di ritardi vegetativi, ma con migliori risposte produttive, anche sulle leguminose presenti nei prati stabili, di norma inibite dalle concimazioni con liquami non stabilizzati. Anzi, col razionale utilizzo dei liquami digeriti si può ottenere anche uno sfalcio in più da prati permanenti e medicai. Con la stabilizzazione anaerobica si ottiene anche una notevole deodorizzazione dei liquami (tab. 1). Infatti, i composti organici cui viene attribuito il negativo effetto odorigeno vengono metabolizzati e solubilizzati. La riduzione dell'impatto olfattivo dei liquami e' un aspetto che dovrebbe essere valutato con molta piu' attenzione di quanto normalmente non si faccia, in particolare per i reflui suinicoli. I liquami digeriti, inoltre, per effetto dell'eliminazione di gran parte dei solidi sospesi, possono essere distribuiti con gli impianti d'irrigazione senza particolari problemi di inquinamento degli ugelli come, invece, avviene con i liquami tal quali, anche se sottoposti a separazione liquido\solido. Ciò consente l'utilizzo agronomico con un frazionamento dei liquami digeriti anche in post-emergenza delle colture. Il processo di digestione agronomica non produce la riduzione del contenuto in azoto dei liquami: questo aspetto e' da tenere sempre ben presente per evitare di incorrere in scelte sbagliate. Infatti, la Direttiva CEE sui nitrati, recepita in Italia nel 2006, impone per i terreni agricoli in aree vulnerabili il limite di azoto applicabile per anno pari a 170 kg N\ettaro e di 340 kg N\ettaro per i terreni in aree non vulnerabili. Nel processo anaerobico la carica microbica patogena subisce una significativa riduzione. L'abbattimento non e' totale e dipende essenzialmente dalla temperatura e dal tempo di ritenzione (durata) del processo: in ogni caso si ottiene una riduzione dei patogeni quantificabile attorno al 90%. Tab. 1 Emissioni di odore, espresse come Threshold Odor Number (TON), emesse dal flushing di liquami bovini freschi, stoccati per tre giorni e digeriti (fonte: Wilkie, 2005).

LIQUAMI BOVINI Livello di odore (TON)

Variazione TON (%)

tal quali 247 - stoccati per tre giorni 437 +77 dopo digestione anaerobica 7 -97 PRINCIPALI PARAMETRI DI FUNZIONAMENTO Per avere un buon andamento della digestione anaerobica occorre garantire alla popolazione batterica in essa coinvolta un ambiente di sviluppo ottimale. A questo proposito vanno attentamente controllati i diversi parametri funzionali e in particolare: la temperatura, il pH, il tempo di ritenzione o di sosta, il carico specifico del digestore e i substrati metabolici. Temperatura

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La temperatura condiziona l'andamento del processo e l'attività enzimatica che é debole sui 5°C e cessa del tutto al di sopra dei 65°C. A seconda della temperatura possiamo distinguere tre tipi di fermentazione metanica, a cui corrispondono ceppi batterici diversi: - processo psicrofilo (b. psicrofili) tra 5°C e 25 °C; - processo mesofilo (b. mesofili) tra i 25°C e i 45°C; - processo termofilo (b. termofili) tra i 45°C e i 60°C. I processi mesofili sono i più diffusi specie nei piccoli impianti; il loro vantaggio deriva dalla economicità nel mantenere basse temperature, dal maggior pregio del fango ottenuto che é più ricco in azoto e quindi impiegabile come concime e dalla maggior resistenza di questi a sbalzi termici e dalla maggior velocità di riproduzione di tali batteri. Acidità (pH) Anche il valore di acidità (pH) ha notevole influenza sui processi fermentativi; per valori di pH inferiori a 6,2 l'acidità aumenta rapidamente bloccando l'azione batterica. Per valori di pH superiori a 8,5 si ha forte produzione di H2S e di H2. Dunque i valori ottimali do pH sono compresi fra 6,5 e7,5. Generalmente la tendenza più frequente di un digestore mal condotto é quello dell'aumento dell'acidità a causa ad esempio di un'eccessiva quantità di sostanza organica introdotta che accelera la fase acida di fermentazione. Tempo di ritenzione Il tempo di ritenzione (RT = Retention Time) é il periodo di permanenza effettiva nel digestore del materiale fermentescibile per la degradazione e la conversione della sostanza organica in gas. In alcuni casi, parlando di impiantistica, viene fatta la distinzione tra il tempo di ritenzione della frazione solida (SRT = Solid Retention Time) e quella della frazione liquida (HRT = Hydraulic Retention Time). Di norma, però, si fa riferimento al tempo di ritenzione della miscela solido-liquido. Il suo valore, espresso in giorni, si ricava dal rapporto fra il volume del digestore e la massa di liquami caricata giornalmente. Se, dunque, il tempo di ritenzione non è un parametro fisso, essendo correlato direttamente col volume del digestore e inversamente con il carico giornaliero di biomasse, esistono, però, dei limiti di progettazione entro i quali occorre mantenerlo. Nel caso più comune di digestori non miscelati, nei quali si hanno stratificazioni del prodotto e differenze di temperature della biomasse in fermentazione, il valore ottimale del tempo di ritenzione è di circa 40 giorni. Negli impianti più funzionali, con temperatura costante e completa miscelazione del materiale organico all’interno del di gestore, il tempo di ritenzione si può ridurre a 10-15 giorni. Per scendere al di sotto di 10 giorni occorre lavorare in termofilia e operare con biomasse ad alto livello di degradabilità. Un tempo di ritenzione più lungo richiede un digestore di maggiori dimensioni ma porta ad una maggiore degradazione della sostanza organica e, quindi, ad una maggiore produzione di biogas. L’aumento della degradazione della sostanza organica comporta anche un più elevato abbattimento del carico inquinante; tuttavia, di norma, è difficile abbattere più dell’80% del BOD5 e più del 50% del COD. Nella scelta del tempo di ritenzione occorre, in definitiva, individuare le condizioni che garantiscano una buona degradazione della sostanza organica ma senza arrivare a condizioni di efficienza decrescente del processo di conversione della sostanza organica in gas biologico. Appare evidente che scegliendo un tempo di ritenzione ridotto la dimensione del digestore, a parità di quantità di biomassa da digerire, risulti inferiore, con ovvi riflessi positivi sull’aspetto sul costo di realizzazione.

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Carico specifico del digestore Negli impianti a carico continuo immettendo ogni giorno nel digestore, detto anche reattore, un prefissato volume di biomasse, viene scaricato un pari volume di materiale digerito, secondo la relazione:

Q = Vd

RT (m3/giorno) Dove Vd = volume utile del digestore (m3) RT = tempo di ritenzione (giorni) Con il volume (Q) di materiale organico viene immessa nel digestore una determinata quantità di sostanza organica. Tale entità, riferita all’unità di volume del digestore, viene definita carico specifico del digestore (loading rate). Con l’intento di fornire indicazioni orientative, si può affermare che non appare conveniente eccedere nel carico specifico, per non far prevalere la fase acida del processo sulla fase metanigena, fatto questo che porterebbe progressivamente all’inibizione del processo. L’andamento della produzione di gas per kg di sostanza organica degradata tende, infatti, a decrescere all’aumentare del carico specifico. In alcuni impianti, ad esempio, raddoppiando il carico specifico, vale a dire i kg di SV per m3 di volume del digestore, la produzione specifica di biogas (m3/kg di SV distrutti) si è ridotta del 10%. Se, da un lato un valore troppo alto del carico specifico sembra creare problemi, con un valore troppo basso, dall’altro, si apporta una scarsa quantità di sostanza organica da metabolizzare. Nei processi mesofili, come regola generale, non si dovrebbe scendere al di sotto di carichi volumetrici di 1 kg di sostanza organica per m3 di digestore al giorno, con un range considerato ottimale per la mesofilia di 4-5 kg SV/m3 giorno; di norma non si devono superare 6 kg SV/m3 di digestore giorno. Substrati metabolici Per fornire sufficienti elementi nutritivi alle attività metaboliche dei batteri la concentrazione di sostanze solide totali (ST) sia compresa nel campo

3% < ST < 18%.

Se la percentuale di sostanza secca è troppo bassa si corre il rischio di deprimere in misura consistente la produzione di biogas; se è troppo alta esiste il pericolo di raggiungere soglie di tossicità per i batteri. Un elevato contenuto di ST, inoltre, crea problemi di movimentazione della biomassa Importante è anche il rapporto C/N e C/P. Se nel liquame è presente un eccesso di carbonio questo resta in parte inutilizzato; con un rapporto C/N basso, invece, il carbonio viene completamente metabolizzato e l’azoto in eccesso viene ridotto ad ammoniaca, con il pericolo di raggiungere un livello tossico per i batteri. Allo stato attuale delle conoscenze, si ritiene conveniente solo l'utilizzazione di prodotti organici aventi un rapporto

C/N = 20 e 30 e C/P = 150. PRODOTTI DELLA FERMENTAZIONE ANAEROBICA I prodotti ottenuti dal processo di fermentazione anerobica sono costituiti dal biogas e dall'effluente, cioè il prodotto che esce dopo il processo di fermentazione. Il biogas prodotto viene espresso come m3 di gas per kg di SV. L'indice di conversione dei liquami zootecnici oscilla, in funzione del substrato usato, nell'intervallo di 0,25-0,60 m3

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di biogas/kg di SV immessi. Gli elementi che costituiscono il gas biologico sono rappresentati dal metano (CH4), compreso fra il 55 e il 75% e da altri gas fra cui la CO2. Per il biogas prodotto da liquami bovini il potere calorifico è dell'ordine di 21-23.000 kJ/m3, mentre per quelli suinicoli si arriva a 26-27.000 kJ/m3. Nella tab. 2 sono riportati i valori di conversione di diverse biomasse di origine zootecnica e agro-industriale, espressi in m3 di biogas prodotto per kg di SV immesso. Tab. 2 Indice di conversione delle biomasse in biogas.

BIOMASSE BIOGAS (m3/kgSV)

Bovini 0,25-0,35 Suini 0,40-0,50 Avicoli 0,35-0,60 Paglia 0,35-0,45 Erba 0,40-0,55 Insilato di mais 0,45-0,60 Insilato di erba 0,40-0,55 Residui alimentari 0,50-0,60 Siero di latte 0,80-0,90

Limitandoci al settore zootecnico, la produzione di biogas ottenibile dalle deiezioni animali può essere desunta dalla tab. 3. La produzione netta di biogas dalle diverse specie animali è influenzata dall’alimentazione, dalla presenza o meno di paglia nei liquami e dal tempo di permanenza in stalla delle deiezioni. La presenza della paglia contribuisce alla produzione di biogas, anche se con tempi di digestione molto più lunghi dei liquami e con qualche problema in più per la movimentazione degli stessi. Più tempo intercorre tra la produzione e l’immissione dei liquami nel digestore e maggiore risulta la degradazione della sostanza organica, che inizia a fermentare in tempi molto brevi. Tab. 3 Valori medi della produzione unitaria di biogas e del contenuto di metano nel biogas.

Peso vivo (kg)

Liquami

(l/giorno)

Sostanza secca (%)

Sostanza organica

(% su secco)

Biogas

(m3/giorno)

Metano nel biogas

(%)

Vacca da latte 650 50-60 10-12 80-90 1,2-1,5 55-60 Manza 500 40-50 10-12 80-90 09-1,3 55-60 Vitellone 400 30-40 10-12 80-90 0,8-1,2 55-60 Suini 100 8-10 5-6 70-80 0,07-0,15 70-75

Il biogas può essere utilizzato quale combustibile sia in caldaie, per la produzione di vapore o di acqua calda, che per la produzione di energia elettrica mediante motori a combustione di gas, accoppiati ad alternatore. In quest'ultimo caso, si possono ottenere 1,8-2,0 kWh per m3 di biogas oltre al recupero di energia, sotto forma di acqua calda a 75-80 °C, pari a circa 10.000 kJ. La produzione di energia termica viene utilizzata sia per la termostatazione del digestore sia per usi domestici e aziendali. Molto interessante si presenta l'impiego del biogas nella produzione di energia elettrica con l'utilizzazione di motori endotermici la cui energia meccanica viene trasmessa ad un generatore elettrico. Questa operazione viene effettuata con rendimenti totali piuttosto bassi (35% circa).

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Altra sostanza ottenuta dal processo di fermentazione anaerobica è l'effluente il quale risulta un ottimo fertilizzante nel quale l'azoto contenuto, del quale si perde al massimo il 10%, si presenta in forma ammoniacale direttamente assimilabile da parte delle piante e nello stesso tempo, come si è detto, viene distrutta in buona parte la carica batterica patogena. CODIGESTIONE La codigestione di effluenti zootecnici con altri scarti organici, al fine di aumentare la produzione di biogas, è pratica standard in Europa ormai da diversi anni (in Germania il 94% dei circa 3.000 impianti esistenti praticano la codigestione) per il fatto che la maggior quantità di energia elettrica prodotta, unitamente agli introiti ricevuti dai produttori del rifiuto organico utilizzato come co-substrato, permette di ottenere guadagni maggiori. La miscelazione di diversi prodotti consente di compensare le fluttuazioni di massa stagionali dei rifiuti, di evitare sovraccarichi o al contrario carichi inferiori alla capacità stessa del digestore e di mantenere quindi più stabile e costante il processo. Le matrici attualmente più utilizzate nella codigestione con effluenti zootecnici sono: - gli scarti organici agroindustriali (siero, scotta, vinacce, ecc.); - gli scarti colturali (paglia, residui potature, ecc.); - gli scarti di macellazione (grassi, sangue, contenuto stomacale, ecc.); - le colture energetiche (mais, sorgo, triticale, ecc.). Gli scarti organici da utilizzare come co-substrati provengono dalle più svariate fonti e possiedono quindi forti differenze nella composizione chimica e nella biodegradabilità. Alcune sostanze (acque reflue, fanghi, grassi, siero, ecc.) sono facilmente degradabili mediante digestione anaerobica senza richiedere particolari pre-trattamenti, mentre altre (scarti di macellazione, sostanze ad elevato tenore proteico) necessitano di essere fortemente diluite con il substrato base (effluenti zootecnici liquidi), in quanto possono formare metaboliti inibitori del processo (ad esempio l’ammoniaca). Nel caso di codigestione con liquami zootecnici di colture energetiche e/o scarti organici agroindustriali, è necessaria la presenza in testa al digestore di un sistema di alimentazione che tagli e sminuzzi i co-substrati, e ne consenta la dosatura e la pesatura. Nel caso di codigestione con liquami zootecnici è necessario considerare l’azoto che si aggiunge con le biomasse vegetali, quando si determinano le superfici agricole su cui procedere all’uso agronomico del digestato (vedere Direttiva Nitrati). TIPOLOGIE DI PROCESSO Le tecniche di digestione anaerobica possono essere suddivise in due gruppi principali: – digestione a umido, quando il substrato in digestione ha un contenuto di sostanza secca inferiore al 10%; è questa la tecnica più diffusa, in particolare con i liquami zootecnici; – digestione a secco, quando il substrato in digestione ha un contenuto di sostanza secca superiore al 20%; – digestione a semisecco, quando il substrato in digestione ha un contenuto di sostanza secca del 10-20%. Questi processi con valori intermedi di sostanza secca sono meno comuni. Il processo di digestione anaerobica è anche suddiviso in:

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– processo monostadio, quando le fasi di idrolisi, fermentazione acida e metanigena avvengono contemporaneamente in un unico reattore; – processo bistadio, quando si ha un primo stadio durante il quale il substrato organico viene idrolizzato e contemporaneamente avviene la fase acida, mentre la fase metanigena avviene in un secondo momento. Gli impianti per la digestione anaerobica possono essere suddivisi, in base alla modalità di alimentazione, in impianti ad alimentazione continua e ad alimentazione discontinua. Nei processi di tipo continuo si ha l'immissione quotidiana nel digestore di una certa quantità di materia prima (in genere 1/40-1/60 del volume del digestore, con un tempo di ritenzione, quindi, di 40-60 giorni), prelevandone altrettanta dal digestore stesso. Tale soluzione è attuabile sino a che la concentrazione di ST è inferiore al 12-14% e quindi la massa si presenta allo stato fluido. In questo caso le tecnologie applicabili al contesto zootecnico sono quelle che prevedono un digestore esterno, monostadio o bistadio (figg. 2-4), e un gasometro per l’accumulo del biogas.

Fig. 2 Schema impianto continuo, mesofilo e monostadio con agitazione del substrato a ricircolo di biogas. 1) vasca liquami; 2) di gestore; 3) coibentazione; 4) scambiatore di calore; 5) sistema di agitazione a ricircolo di biogas; 6) biogas; 7) effluente; 8) compressore; 9) gasometro; 10) utenza.

Fig. 3 Diagramma di flusso del processo di digestione anaerobica deiezioni avicole in un impianto continuo, mesofilo e bistadio. Questa soluzione risulta molto più onerosa di quella monostadio, anche se consente una più completa digestione della frazione organica.

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Nei processi di tipo discontinuo, utilizzabili per letame paglioso con ST superiore al 15%, si riempie il digestore in un'unica volta, lo si lascia chiuso per circa sei settimane, durante le quali si produce il biogas, quindi lo si scoperchia, si toglie la massa fermentata e si fa un nuovo carico (fig. 5). Per avere, quindi, una produzione sufficientemente costante nel tempo, occorre poter disporre di almeno due digestori indipendenti la cui carica venga reciprocamente sfalsata di almeno tre settimane. Tale tecnologia presenta alcuni limiti operativi ed economici relativi a: mancanza di elasticità di funzionamento nel tempo; conseguente esigenza di serbatoi di accumulo del biogas prodotto onde far fronte alla variabilità delle esigenze delle utenze; impossibilità di economico trasporto del biogas prodotto; elevati costi di costruzione ed esigenze di assistenza dell’impianto.

Fig. 4 A sinistra. Impianto continuo bistadio per la digestione anaerobica di deiezioni avicole (1. digestore primario 2. Digestore secondario 3. Gasometro 4. Stazione di deidrisolforazione. A destra. Tubazioni per il travaso della biomasse dal digestore secondario a quello primario.

Fig. 5 Impianto discontinuo di fermentazione anaerobica di letame paglioso. 1) digestore; 2) tubazione biogas; 3) contatore biogas; 4) filtro biogas; 5)gasometro; 6) utenza.

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Fig. 6 Impianto mesofilo di fermentazione anaerobica di tipo plug-flow (flusso a pistone). I liquami sono immessi dal basso e lo scarico avviene per semplice tracimazione. 1) pompa di immissione affluente; 2) scambiatore di calore; 3) effluente; 4) biogas; 5) centralina elettrica; 6) digestore; 7) copertura in gomma. L'orientamento di maggiore interesse per le aziende zootecniche, specie ai fini di una utilizzazione agronomica dei liquami parzialmente depurati, è verso processi di tipo continuo con tecnologie semplificate di basso costo, realizzabili in azienda utilizzando le esistenti vasche di raccolta dei liquami stessi. Fra queste sono da ricordare la soluzione a volume variabile in cui l'impianto è costituito da una vasca coperta da un manto di gomma armato con rete in poliestere; in essa i liquami vengono introdotti meccanicamente mediante raschiatori meccanici o pneumaticamente con pompe monovite, generalmente dal basso (figg. 6-7). Con adattamenti relativamente modesti possono divenire dei digestori a volume variabile le normali vasche di accumulo dei liquami presenti nelle stalle, in cui i raschiatori a farfalla scaricano una o più volte al giorno i liquami. Per questo tipo di impianto si dovrà valutare l'utilità del riscaldamento dei liquami in funzione della temperatura ambiente e della produzione di biogas che si desidera ottenere.

Fig. 7 Diagramma di flusso del processo di digestione anaerobica di deiezioni bovine e suine in un impianto plug-flow. Nel digestore si immette solo la frazione liquida dell’affluente, la frazione solida viene utilizzata come fertilizzante. L’IMPIANTO DI BIOGAS

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Il classico impianto per la produzione di biogas è costituito essenzialmente da: • pozzetto di carico per l'omogeneizzazione dei liquami e per il convogliamento controllato al digestore; • sistema di separazione solido/liquido • digestore esterno di forma rettangolare o cilindrica, oppure digestore interrato a pianta rettangolare; • sistema di copertura del digestore e accumulo del biogas; • sistema di riscaldamento e di miscelazione della biomasse all’interno del digestore; • laguna di stoccaggio dei reflui esausti; • centralina di depurazione del gas biologico; • impianto di co-generazione per la produzione di energia elettrica e termica.

Pozzetto di carico Nel caso di digestione anaerobica di soli liquami zootecnici il pozzetto va dimensionato per un tempo di ritenzione di almeno 24 ore, anche se il carico viene effettuato automaticamente su comando di un sensore di livello o di un timer. Il trasferimento dei liquami a questa vasca può essere meccanico, realizzato mediante i comuni raschiatori utilizzati nelle stalle per bovini (fig. 8), o con il ricircolo di liquami trattati. Per la movimentazione dei liquami dalle stalle all’impianto si utilizzano in genere pompe centrifughe dotate di apparato di frantumazione, indispensabili nel caso di presenza di paglia o materiali a fibra lunga (fig. 9).

Fig. 8 Pozzetto di carico dei liquami. 1) con- Fig. 9 Apparato di pompaggio e triturazione per vogliatore meccanico dalle stalle; 2) misce materiali fibrosi collegato a monte con la vasca latore di miscelazione e a valle col digestore. Sistema di separazione solido/liquido Negli impianti che utilizzano solo liquami zootecnici lo scarico avviene quasi sempre direttamente nelle vasche di stoccaggio, mentre nel caso di co-digestione con biomasse vegetali appare consigliabile effettuare la separazione della frazione solida ed immettere solamente quella liquida (fig. 10). In tal modo si allontana la frazione più difficilmente digeribile e si riduce il volume del digestore. Se è prevista la separazione solido/liquido deve essere realizzata una vasca di scarico dalla quale con una pompa viene alimentato il separatore: il solido viene stoccato in una concimaia in attesa della sua utilizzazione agronomica mentre la frazione liquida alimenterà il digestore.

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Fig. 10 Separazione solido-liquido prima dell’immissione del liquame nel digestore. Digestore Le forme del digestore più comuni sono quella cilindrica, a sviluppo orizzontale o verticale, e quella rettangolare esterna o interrata (figg. 11-12). Le forme sferica o ovoidale non sono diffuse a causa dei maggiori costi di realizzazione. Il materiale di costruzione più utilizzato è il cemento armato, che consente di costruire sul posto senza problemi di trasporto o di elevata richiesta di manodopera. Sul mercato si trovano anche numerosi impianti realizzati in elementi prefabbricati in cemento armato. Se non sufficientemente isolata la struttura prefabbricata viene isolata esternamente con applicazione di lastre di materiale isolante.

Fig. 11 Digestore esterno di forma cilindrica Fig. 12 Digestore esterno a pianta rettango- a sviluppo verticale. La copertura gasometri lare per la digestione di reflui suinicoli. La ca è a volume costante. copertura gasometrica è a volume costante. Come materiale di costruzione si può impiegare anche l’acciaio, in questo caso la struttura presenta il vantaggio di essere realizzata con qualunque forma e dimensione, anche in altezza, mentre i manufatti in cemento armato difficilmente possono superare i 6 metri. Per contro bisogna curare le saldature delle lastre perché la tenuta della struttura deve risultare perfetta. Da citare, infine, anche i digestori realizzati col sistema Harvestore, da tempo utilizzato per costruire silos, che si basa sull’assemblaggio per imbullonatura di pannelli di acciaio vetrificati a caldo sui due lati. Sistema di copertura del digestore e accumulo del biogas Nella soluzione più semplice, la cosiddetta copertura gasometrica a volume costante, il digestore è coperto da un telo opportunamente ancorato alle pareti del digestore che viene tenuto in tensione dalla pressione del biogas prodotto (fig. 12). Un pressostato consente di convogliare all’utenza il biogas al raggiungimento della pressione prefissata.

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Per evitare che il telo giunga a contatto con il liquame si fa ricorso ad un pilastro centrale di supporto (fig. 13) o da una struttura in legno. Per la copertura di solito si utilizzano materiali plastici rinforzati o in fibre poliesteri che garantiscano una durata di almeno 10 anni. La copertura gasometrica a volume costante è costituita da uno o due teli di protezione esterna e dal vero e proprio telo gasometrica. Il telo esterno mantiene una tensione costante, indipendentemente dal contenuto di biogas nel digestore.

Fig. 13 Copertura gasometrica con pi- Fig. 14 Gasometro a sacco in telo di materiale pla- lastro centrale di supporto al telo. stico analogo a quello delle coperture gasometriche. I gasometri possono essere di tipo tradizionale a campana, a sacco e a cupola pressostatica. Nel primo caso (fig. 4) il gasometro è costituito da una campana metallica che si innalza, scorrendo su guide rettilinee, per la pressione esercitata dal biogas al suo interno e il peso stesso della campana mantiene in pressione il biogas. I gasometri a sacco sono costituiti da sacconi in telo di materiale plastico, analoghi a quelli utilizzati nelle coperture gasometriche (fig. 14). Le norme di sicurezza impongono la sistemazione di questi gasometri all’interno di una struttura edilizia. Il gasometro a cupola pressostatica è costituito da un telo esterno e da uno interno che costituisce il contenitore del gas. La camera d’aria presente fra i due teli è mantenuta in pressione da una centralina di controllo e da valvole che, aggiungendo o sfogando aria, mantengono in biogas sempre in pressione indipendentemente dalla quantità di biogas contenuto (fig. 15). In tal modo l’alimentazione dei bruciatori, o dei motori, è costante e la membrana esterna risulta sempre tesa garantendo tenuta nei confronti di vento e neve. La cupola gasometrica ha forma di semicilindro o calotta sferica ed è realizzata con tre membrane sovrapposte in tessuto di fibre poliesteri. Questo tipo di copertura, di costo elevato, presenta una serie di vantaggi:

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Fig. 15 Nella cupola gasometrica pressostatica la camera d’aria è mantenuta a pressione costante da una centralina di controllo, in tal modo si garantisce la tenuta nei confronti di vento e neve. - evita la costruzione separata di un gasometro - semplifica la costruzione del digestore, essendo facilmente rimovibile - assicura un elevato grado di coibentazione della sommità del digestore - è facilmente adattabile a vasche esistenti - consente d’immagazzinare il biogas già alla pressione di utilizzo dei bruciatori, evitando l’installazione di compressori per il gas - è resistente alla neve e al vento - favorisce la deumidificazione del gas contenuto, soprattutto nei mesi più freddi, mediante la condensa dell’acqua a contatto della parete della cupola. Sistema di riscaldamento e di miscelazione delle biomasse Per la termostatazione delle biomasse in digestione l’orientamento prevalente è verso l’utilizzo di uno scambiatore di calore interno: il riscaldamento dei liquami fino alla temperatura di digestione viene effettuata nel digestore ed è favorita dalla miscelazione della massa. Di norma si utilizza l’acqua calda prodotta dal cogeneratore che viene immessa nell’impianto ad una temperatura massima di 65 °C per non influire negativamente sulla flora batterica agente del processo fermentativo. Lo scambiatore interno viene realizzato nella maggior parte dei casi con tubazioni in acciaio inox ancorate alla parete e da questa distanziate di almeno 50 cm e posizionate nella parte bassa del digestore a partire da un metro dal fondo per restare al di sopra di eventuali sedimenti. In alcuni casi lo scambiatore viene sistemato al centro del digestore, sempre ad un’altezza di sicurezza del fondo. Nei digestori a struttura di acciaio si utilizza anche lo scambiatore di calore esterno, posizionato nell’intercapedine di norma presente tra il reattore e le lastre di materiale isolante (fig. 16).

Fig. 16 Nei digestori a struttura di acciaio si utiliz- Fig. 17 Miscelatore sommerso di tipo tra za anche lo scambiatore di calore esterno posizio- dizionale. Visibili anche le tubazioni per nato tra il digestore e il materiale isolante. il riscaldamento dei liquami. Per la miscelazione dei liquami si possono impiegare macchine con motore esterno e macchine con motore sommerso (fig. 17), ancorate ad un sistema di sollevamento-posizionamento all’interno del digestore. I vantaggi di quest’ultima soluzione sembrano prevalere, soprattutto quando si operi con liquami suinicoli (di facile sedimentabilità) o con liquami di bovini con paglia, potendosi in questo caso avere la formazione di crosta superficiale. La variabilità di posizione del miscelatore può garantire, infatti, la soluzione

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di questi problemi; ciò ovviamente non può essere ottenuto con miscelatori fissi. Per i materiali ad elevato contenuto di sostanza secca sono molto utilizzati i miscelatori a moto lento a pale. Sono presenti sul mercato sia nella versione ad asse di rotazione orizzontale che verticale (fig. 18). L’agitatore a pale costituisce anche la principale tecnica di miscelazione di digestori orizzontali, di norma caratterizzati da digestione di biomasse ad alto contenuto di sostanza secca.

Fig. 18 Miscelatori a pale con asse di rotazione orizzontale: molto utilizzati in presenza di materiali ad alto contenuto di sostanza secca, come liquami e biomasse vegetale (granella di mais, mais ceroso, erba silo, ecc.) Laguna stoccaggio reflui esausti

Per lo stoccaggio del digestato, vale a dire dell’effluente del digestore, è necessario realizzare una vasca, detta laguna di stoccaggio, con un volume utile pari ad un tempo di ritenzione di 180 giorni (fig. 19). Il predetto tempo di ritenzione è calcolato considerando, come previsto dalla normativa vigente, l’apporto d’acqua meteorica e tenendo un franco di sicurezza per non meno do 0,1 metri. Le acque piovane, che cadendo sui recinti esterni (paddock) dilavano le deiezioni, non possono essere immesse nei corsi d'acqua superficiali e, quindi, confluiscono nella vasca di raccolta dei liquami. A queste acque si devono aggiungere anche quelle che cadono sui tetti e da questi poi, a causa della mancanza di canali di gronda, nuovamente sui recinti. La laguna per lo stoccaggio dei reflui si può ricavare anche dalla vasca dei liquami preesistente in azienda, previa impermeabilizzazione del fondo e delle pareti.

Fig. 19 Laguna di stoccaggio dell’effluente. Fig. 20 Filtrazione biogas: 1) filtro a ghiaia; Il tempo di ritenzione è di 180 giorni. 2) filtro a candele. Centralina di depurazione del gas

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Nel biogas sono presenti piccole quantità di alcuni composti che, a causa delle loro proprietà ossidanti o di incombustibilità, devono essere eliminati per favorire un buon processo di combustione mediante i seguenti processi : • filtrazione con filtri a ghiaia o sabbia (fig. 20), necessari per eliminare i solidi in

sospensione che sono essenzialmente materiale organico, grassi ed eventuali schiume; • deumidificazione, può essere effettuata per condensazione semplicemente

abbassandone la temperatura. Nei digestori riscaldati la temperatura del biogas (circa 35 °C) è superiore a quella ambientale e, quindi, all’uscita dell’impianto tende naturalmente a raffreddarsi. La deumidificazione è particolarmente importante in quanto l’idrogeno solforato (H2S) tende a solubilizzarsi nell’acqua formando acido solforico, che può deteriorare non solo i materiali costituenti le tubazioni, ma anche le camere di combustione del motore;

• desolforazione, necessaria per abbattere i composti a base di zolfo, può avvenire tramite filtri chimici riempiti con ossidi di ferro che provocano la precipitazione dei composti e quindi la loro estrazione.

Impianto di co-generazione L’utilizzo del biogas per la sola produzione di energia termica risulta oggi economicamente conveniente solo per impianti di tipo semplificato, realizzati con finalità essenzialmente depurative (vedi liquami suinicoli). Il biogas può essere bruciato in caldaia previa deumidificazione ed eliminazione dell’idrogeno solforato. Il biogas viene trattato come il gas metano, mentre vengono realizzate modifiche al bruciatore per l’introduzione del gas, la miscelazione del combustibile col comburente e l’utilizzo di materiali più resistenti alla corrosione per lo scambiatore di calore e il bruciatore stesso. L’acqua calda ottenuta dalla combustione del biogas è prioritariamente destinata al riscaldamento del digestore e per la restante parte al soddisfacimento delle utenze aziendali. Nella maggior parte dei gasi il biogas viene impiegato per la produzione contemporanea di energia elettrica e calore tramite gruppi di co-generazione (fig. 21). Questo sistema di produzione di energia consente un notevole risparmio energetico rispetto al caso di produzione separata delle stesse quantità di calore di energia elettrica/meccanica in quanto si può arrivare infatti a superare il 90% di rendimento: 30-35% di rendimento elettrico e 55-60% di rendimento termico. L’impianto di co-generazione è costituito essenzialmente da: un gruppo motore a ciclo Otto o a ciclo Diesel, modificato per poter essere alimentato con biogas; un sistema di recupero termico; un alternatore.

Fig. 21 Impianto di co-generazione da 170 kW Fig. 22 Impianto di co-generazione assembla- Per taglie inferiori a 50 kW la disponibilità di to all’interno di un container.

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impianti è limitata. Il rendimento elettrico dei co-generatori risulta proporzionale alla potenza del motore:

- 25-30% per potenze < 150 kWe - 30-35% per potenze di 150-750 kWe - 35-40% per potenze > 750 kWe

Il recupero di energia termica, dal raffreddamento del motore e dei gas di scarico, risulta del 40-45% e di ottiene sotto forma di acqua calda a 80-90°C. I co-generatori a ciclo Otto vengono alimentati solo con biogas, mentre i motori Diesel sono sul mercato nella versione a biogas e a biogas con aggiunta di gasolio (10-15%) per aumentare il potere calorifico del combustibile. Attualmente sul mercato si trovano solo co-generatori a ciclo Diesel con potenza anche superiore a 1MW elettrico; per contro, è assai difficile reperire motori con potenza inferiore a 50 kWe. Il rapporto cilindrata potenza elettrica risulta di 50-100 cm3/kW e la durata fisica è compresa fra 30.000 e 50.000 ore di funzionamento. Considerando un utilizzo annuo di almeno 800 ore, la vita utile del gruppo di co-generazione risulta di 4-6 anni. I gruppi di co-generazione sono installati in locali appositi, oppure sono assemblati dall’azienda costruttrice all’interno di container (fig. 22). In caso di mancato utilizzo il biogas deve essere bruciato in torcia. Difatti, se si libera in atmosfera il biogas, il metano in esso contenuto risulta un gas serra molto più dannoso della CO2. Nei co-generatori di potenza inferiore a 50 kW si utilizza un generatore asincrono con collegamento con la rete in bassa tensione per la quale non viene richiesta la presenza di una cabina. Con potenze superiori a 50 kW si utilizzano, invece, generatori sincroni e si immette in rete corrente in media tensione: in questo caso è necessario disporre di cabina, il cui costo non è trascurabile. TIPOLOGIE IMPIANTISTICHE Gli impianti di biogas di uso e applicazione più frequenti sono assimilabili a 5 distinte tipologie, aventi ciascuna peculiarità particolari e per questo adatte ciascuna a specifiche e differenti realtà aziendali:

- lagunaggi anaerobici - impianti plug-flow o flusso a pistone - impianti a miscelazione completa - impianti miscelati a flusso orizzontale - impianti a letto fisso o a biomassa adesa.

Lagunaggi anaerobici. Con il termine di lagunaggio anaerobico si definiscono impianti a tipologia semplice, costituita da vasche ricavate sotto il livello di campagna, con formazione degli argini del bacino con la terra di riporto dello scavo, nelle quali le necessarie condizioni di anaerobiosi e la captazione del biogas prodotto sono garantite da un semplice telo di copertura (figg. 23-24). I lagunaggi anaerobici costituiscono la tipologia di impianto di digestione anaerobica più semplice, ma ritenuta adatta solo al trattamento di liquami a limitato contenuto di sostanza secca, come quelli degli allevamenti zootecnici. Questi impianti in genere sono privi di termostatazione e, quindi, psicrofili.

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Fig. 23 Schema di laguna anaerobica. 1) telo ga- Fig. 24 Copertura di laguna anaerobica leggiante; 2) collettore biogas; 3) pompa; 4) tu- con materassino galleggiante. bazione biogas per la connessione all’utenza.) Con questa tipologia d’impianto, per garantire a temperatura ambiente un’accettabile produzione di biogas –che può arrivare al massimo su base annua al 50% di quella ottenibile in regime mesofilo- occorre adottare un tempo di ritenzione idraulica dell’ordine di 60-90 giorni a seconda della biomasse utilizzata. L’impianto non prevede la miscelazione. Per favorire l’ottimizzazione del processo anaerobico la profondità della vasca dovrebbe essere di almeno 5 metri; profondità superiori garantiscono una maggiore stabilità termica alla biomasse. Fino a qualche anno fa, considerato il limitato valore economico dell’energia, si sono realizzati lagunaggi anaerobici scoperti o parzialmente coperti. La funzione di questi impianti era, infatti, essenzialmente quella di stabilizzare e deodorizzare i liquami. Oggi con l’emanazione delle nuove normative ambientali, molto attente a limitare la produzione di gas serra, ed in considerazione del fatto che il metano è un gas serra di pericolosità superiore di almeno 20 volte rispetto alla CO2, tutti i lagunaggi anaerobici devono essere coperti ed il gas prodotto se non utilizzato per la produzione di energia deve essere bruciato in torcia. La copertura di norma è ottenuta con teli polimerici dello spessore di almeno 0,6 mm, la cui durata è prevista pari a circa 10 anni. La messa in funzione di una laguna deve essere preceduta e seguita da una serie di controlli che vanno dalla verifica della tenuta, alla capacità di resistere all’erosione delle sponde, alla verifica della copertura vegetale delle sponde. Impianti plug-flow. Questa soluzione impiantistica può essere validamente utilizzata sia nel trattamento dei liquami zootecnici, sia nella stabilizzazione dei fanghi ottenuti dalla flottazione di reflui agrozootecnici. Nel caso di utilizzo di liquami zootecnici, richiede una preventiva separazione dei solidi grossolani, non tecnicamente biodegradabili in tempi brevi, utilizzando nella digestione anaerobica solo la frazione liquida delle deiezioni. Il digestore, quindi, risulta assolutamente privo di organi di miscelazione interni e si deve prediligere la conformazione rettangolare (figg. 25-26). La differenziazione rispetto ai lagunaggi anaerobici va ricondotta essenzialmente all’adozione di vasche in cemento armato, a pareti verticali, generalmente con un rapporto lunghezza/larghezza dell’ordine di 10:1-20:1 e con lunghezza di norma superiore a 50 m. Oltre all’impianto classico a sviluppo rettilineo i plug-flow possono essere realizzati nella tipologia “ad U” (fig. 27). L’impianto plug-flow è adatto ad allevamenti di grandi e di medie dimensioni che intendono produrre energia con lo scopo di utilizzarla quasi totalmente per i fabbisogni aziendali e solo in caso di eventuale surplus cederla al gestore di rete. Inoltre, a chi in generale è costretto in modo sensibile alla riduzione dell’impatto ambientale indotto dalla propria attività zootecnica, attraverso la flottazione e depurazione biologica degli scarichi da destinare allo sversamento in corpi idrici superficiali.

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Fig. 25 Tipico impianto plug-flow caratterizzato dalla massima semplicità costruttiva. In questa tipologia impiantistica risulta indispensabile la separazione meccanica solido-liquido.

Fig. 26 Impianto plug-flow a pianta rettango- Fig. 27 Schema di impianti plug-flow lare con copertura in fibre poliesteri. singoli, a due vasche e “ad U”: In questa tipologia impiantistica il trattamento di separazione meccanica delle frazioni liquide dai solidi grossolani è quasi sempre necessario e serve per eliminare le parti non biodegradabili nei tempi tecnici di digestione previsti. Le parti più difficilmente biodegradabili, come ad esempio i residui vegetali e il pelo animale, tendono ad affiorare per effetto della risalita del biogas ed a formare sulla superficie del liquame una crosta di materiale cellulosico intrecciato, che occupa volume utile e può provocare a lungo andare intasamenti del digestore. La frazione solida separata a monte del digestore potrà essere compostata o accumulata e portata come ammendante sui terreni agricoli, mentre la frazione liquida, ricca di sostanze organiche, alimenterà il digestore, di norma a sezione trasversale rettangolare. Nel caso di fanghi di flottazione non si rende necessaria la separazione delle fasi prima dell’immissione nel digestore. Per operare in condizioni termicamente controllate, le pareti del digestore devono essere opportunamente isolate e l’interno del digestore deve essere riscaldato e mantenuto alla temperatura di processo da uno scambiatore di calore posto in prossimità del fondo, realizzato con tubazioni in acciaio inossidabile nelle quali è fatta circolare acqua calda prodotta dalla combustione del biogas in cogenerazione.

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Il biogas prodotto è raccolto direttamente nella parte superiore del digestore mediante una copertura a cupola gasometrica ed eventualmente altre coperture raccogligas a cupola pressostatica. Attraverso un’apposita condotta collegata con la copertura del digestore (fig. 28), il gas prodotto e recuperato è avviato ad bruciatore o ad un impianto di co-generazione che bruciando il biogas produce energia elettrica e calore (fig. 29). Il fattore limitante alla diffusione dei piccoli impianti di digestione anaerobica è quello della limitata disponibilità di impianti di co-generazione di taglia inferiore a 50 kW. Infine, l’effluente, ormai quasi completamente stabilizzato e deodorizzato, viene raccolto in uno o più bacini di stoccaggio in attesa dell’utilizzazione agronomica.

Fig. 28 Il gas prodotto viene convogliato verso Fig. 29 Di norma il biogas viene utilizzato per Il bruciatore o il co-generatore mediante ap- alimentare un impianto di co-generazione per posite condutture collegate con la copertura produrre energia elettrica e termica. del digestore. Impianti a miscelazione completa. Gli impianti a miscelazione completa sono caratterizzati dalla presenza di un sistema di miscelazione delle biomasse (fig. 17) che garantisce un’elevata omogeneità all’interno del digestore, determinando la drastica riduzione dei fenomeni di sedimentazione e di flottazione. Questa tipologia impiantistica, nonostante i maggiori investimenti richiesti ed il maggior auto-consumo di energia elettrica, viene considerata la soluzione più interessante in virtù della maggiore produzione di biogas: è la soluzione di gran lunga più utilizzata dagli impianti operanti in regime mesofilo o termofilo. Le forme di digestore più usate sono quelle cilindrico-verticale (fig. 11), anche se le forme sferiche ed ovoidali sono quelle a minore dispersione termica ed a più facile miscelazione. In realtà le forme sferiche ed ovoidali sono scarsamente adottate a causa dell’elevato costo di realizzazione. Il rapporto ottimale diametro/altezza del digestore, considerando che esso influenza la superficie esposta agli agenti esterni e di conseguenza il bilancio energetico dell’impianto, di norma è considerato pari a 1:1. Tuttavia i digestori installati negli ultimi anni, in gran parte in cemento armato, presentano un diametro di 25-30 ed un’altezza di soli 4-4,5 m. Ciò non per scelta tecnica ma per la necessità di contenere i costi realizzando strutture di minore altezza. Assai diffusa è la struttura interrata, di forma rettangolare, che sfrutta la coibentazione offerta dal terreno. Impianti miscelati a flusso orizzontale. Questi impianti sono caratterizzati dall’avere uno sviluppo orizzontale e, come i plug-flow, operano in continuo, con il carico da un’estremità e lo scarico dall’altra (fig. 30). A differenza dei plug-flow, sono caratterizzati dalla presenza di un sistema di miscelazione lenta, operata mediante

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miscelatore a pale ad asse orizzontale. Questo apparato, oltre a rendere omogeneo il prodotto, ne favorisce l’avanzamento all’interno del digestore. Gli impianti miscelati a flusso orizzontale, particolarmente indicati per il trattamento di liquami ad elevato tenore di sostanza secca, fino al 15%, è più diffusa nel campo del trattamento dei reflui civili che non in ambito zootecnico. La taglia degli impianti di norma è compresa fra 300 e 400 m3 e risultano particolarmente adatti alla co-digestione.

Fig. 31 Gli impianti miscelati a flusso orizzontale sono molto adatti alla co-digestione. Impianti a letto fisso o a biomassa adesa. Questi impianti sono caratterizzati dalla presenza di materiale di riempimento inserito all’interno del digestore, sulla cui superficie si sviluppo un biofilm batterico. Con l’associazione di microrganismi adesi ad una superficie si ha la possibilità di migliorare le prestazioni di impianti esistenti o sottodimensionati. Tra i digestori a letto fisso si possono distinguere i filtri naerobici up-flow, caratterizzati da un flusso del liquame dal basso verso l’alto, e quelli down-flow, caratterizzati da un flusso dall’alto verso il basso. Esistono anche i cosiddetti digestori ibridi, che non sono altro che reattori a flusso ascendente in cui la parte superiore è occupata da materiale di riempimento, che costituisce una sezione a letto fisso, mentre la parte inferiore è libera e si comporta come un digestore tradizionale (fig. 32). In queste tipologie di reattore il processo fermentativo è riconducibile non solo alla presenza di batteri sospesi nel liquame, ma anche e soprattutto a quelli fissati sul materiale di riempimento. Maggiore è la superficie disponibile per l’adesione del biofilm batterico e maggiore risulta la biomasse adesa, con conseguente miglioramento dell’efficienza del processo. Per questo motivo il materiale utilizzato come riempimento presenta innumerevoli sfaccettature e può raggiungere uno sviluppo superficiale di oltre 200 m2/m3 di riempimento. I principali vantaggi conseguibili con gli impianti a letto fisso o a biomasse adesa sono: - riduzione dei volumi dei digestori, in quanto operando con i liquami suinicoli è sufficiente un tempo di ritenzione pari alla metà di quello richiesto dagli impianti tradizionali; - riduzione del fabbisogno di energia per la termostatazione dell’impianto, data la minore superficie disperdente del digestore di ridotte dimensioni;

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Fig. 32 Le tre principali tipologie degli impianti a letto fisso o a biomassa adesa. (da sinistra a destra) up-flow, con flusso dal basso all’alto; down-flow, con flusso dall’alto in basso; ibrido, con flusso dal basso all’alto e con parziale riempimento del digestore. - miglioramento della resa energetica per la maggiore produzione specifica di biogas dovuta alla maggiore presenza di biomasse batterica. Questi impianti si prestano assai bene alla digestione di liquami a basso contenuto di sostanza secca, come i liquami suinicoli dopo separazione liquido/solido, in grado di fluire attraverso il letto di riempimento senza causarne il progressivo intasamento. Pertanto, è da escludere la co-digestione di liquami e di altre biomasse ad elevato tenore di sostanza secca, quali ad esempio il silomais. Questa tipologia impiantistica, quindi, se da un lato semplifica e rende particolarmente efficace il trattamento e la gestione dei liquami a valle dell’impianto, dall’altro lato l’allontanamento di una parte di sostanza organica comporta una minore produzione di biogas.

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DIMENSIONAMENTO IMPIANTO AZIENDALE PER LA PRODUZIONE DI BIOGAS DA LIQUAMI ZOOTECNICI

(Esempio di allevamenti con 200 t di peso vivo)

PARAMETRI DI RIFERIMENTO (1)

Bovine da latte mt = 200 t p.v. mt = massa totale animali Le = 70 kg/giorno t p.v. Le = letami(2) Li = 125 kg/giorno t p.v. Li = liquami diluiti(3) ST = 6,1 kg/giorno t p.v. ST = solidi totali SV = 4,4 kg/giorno t p.v. SV = solidi volatili BSV = 0,26 m3/kg SV BSV = biogas per kg di SV Bp.v. = 420 m3/anno t p.v. Bp.v. . = biogas per t p.v. Pc = 22 MJ/m3 Pc = potere calorifico gas(4)

Suini da ingrasso mt = 200 t p.v. mt = massa totale animali Le = 90 kg/giorno t p.v. Le = letami Li = 120 kg/giorno t p.v. Li = liquami diluiti ST = 4,3 kg/giorno t p.v. ST = solidi totali SV = 3,2 kg/giorno t p.v. SV = solidi volatili BSV = 0,30 m3/kg SV BSV = biogas per kg di SV Bp.v. = 350 m3/anno t p.v. Bp.v. = biogas per t p.v. Pc = 25 MJ/m3 Pc = potere calorifico gas Galline ovaiole mt = 200 t p.v. mt = massa totale animali Le = 55 kg/giorno t p.v. Le = letami Li = 110 kg/giorno t p.v. Li = liquami diluiti ST = 12,0 kg/giorno t p.v. ST = solidi totali SV = 9,0 kg/giorno t p.v. SV = solidi volatili BSV = 0,33 m3/kg SV BSV = biogas per kg di SV Bp.v. = 1.100 m3/anno t p.v. Bp.v. = biogas per t p.v. Pc = 25 MJ/m3 Pc = potere calorifico gas

___________________

(1) I dati sono medi e orientativi a causa del gran numero di fattori che influiscono sul volume e sulla composizione delle deiezioni animali. (2) I letami sono costituiti da deiezioni solide e liquide unite a quantità variabili di lettimi. (3) I liquami diluiti sono costituiti dalle deiezioni solide e liquide addizionate alle acque di lavaggio dei locali di allevamento, alle acque meteoriche raccolte nei recinti aperti e, nel caso delle vacche, alle acque di lavaggio della sala di mungitura.

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(4) Si rammenta che un MJ è pari a 240 kcal e che il potere calorifico del gasolio è di 42,9 MJ/kg. VASCA DIGESTORE Determinando in 60 giorni per i suini e in 50 giorni per le bovine e per le ovaiole il tempo medio di sosta (Tsd) dei liquami nella vasca del digestore, il volume (Vd) di quest'ultima, considerando pari a 0,85 kg/dm3 il peso specifico (Ps) del liquame, risulta dalla relazione:

Vd = mt Li TsdPs 1000 = m3

vacche Vd = 200 x 125/0,85 x 50 x 10-3 = 1.470 m3 suini Vd = 200 x 120/0,85 x 60 x 10-3 = 1.700 m3 ovaiole Vd = 200 x 110/0,85 x 50 x 10-3 = 1.300 m3

LAGUNA STOCCAGGIO REFLUI Il volume della laguna di stoccaggio (Vl) che deve ospitare i reflui esausti provenienti dal digestore prima dello spandimento in campo deve tener conto, oltre che delle esigenze aziendali (tempi utili di spargimento), anche delle specifiche normative che fissano il periodo minimo (180 giorni) di stoccaggio per l'abbattimento del carico inquinante. Considerando il tempo di permanenza del liquame nel digestore, il tempo di sosta in laguna (Tsl) può essere fissato in 130 giorni per i liquami prodotti dalle bovine e dalle ovaiole, e in 120 giorni per quelli provenienti dai suini. Pertanto Vl si ottiene dalla relazione:

Vl =Vd TslTsd = m3

vacche Vl = 1.470 x 130/50 = 3.800 m3 suini Vl = 1.700 x 120/60 = 3.400 m3 ovaiole Vl = 1.300 x 130/50 = 3.400 m3 PRODUZIONE NETTA DI BIOGAS La produzione annua di biogas (Ba) si può determinare analiticamente seguendo la relazione:

Ba = SV mt Bsv 365 = m3/anno

vacche Ba = 4,4 x 200 x 0,26 x 365 = 83.500 m3/anno suini Ba = 3,2 x 200 x 0,30 x 365 = 70.100 m3/anno ovaiole Ba = 9,0 x 200 x 0,34 x 365 = 223.400 m3/anno ;

oppure in maniera più sintetica nel modo seguente :

Ba = Bpv mt = m3/anno Vacche Ba = 420 x 200 = 84.000 m3/anno suini Ba = 350 x 200 = 70.000 m3/anno ovaiole Ba = 1.100 x 200 = 220.000 m3/anno

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PRODUZIONE NETTA DI ENERGIA ELETTRICA Considerando che il rendimento del gruppo motore-alternatore m) è pari a 0,30 e che 3,6 è il fattore di conversione dei MJ in kWh, la quantità netta di energia elettrica (Ee) ritraibile dalla combustione del biogas si ottiene dalla relazione:

Ee = Ba m Pc

3,6 = kWh/anno

vacche Ee = 84.000 x 0,35 x 22/3,6 = 180.000 kWh/anno suini Ee = 70.000 x 0,35 x 26/3,6 = 177.000 kWh/anno ovaiole Ee = 220.000 x 0,35 x 25/3,6 = 535.000 kWh/anno

POTENZA DEL MOTORE ALIMENTATO CON BIOGAS Determinando in 2.920 ore/anno (pari a 8 ore/giorno) il tempo di funzionamento (Tf) del motore e considerando un fattore di potenza (cos) pari a 0,7, la potenza del motore (Pm) necessaria per produrre l'energia elettrica preventivata risulta dalla relazione:

Pm = EeTf cos = kWh

vacche Pm =180.000/2.920 x 0,7 = 88 kW suini Pm =177.000/2.920 x 0,7 = 86 kW ovaiole Pm =535.000/2.920 x 0,7 = 262 kW

RECUPERO DI ENERGIA TERMICA Come si è visto soltanto il 30% dell'energia posseduta dal biogas viene trasformata in energia elettrica m), pertanto la rimanente parte è dispersa sotto forma di calore dei gas di scarico (40% circa), del raffreddamento del motore e dell'olio lubrificante (30% circa). Ponendo uguale a 1,6 il fattore di recupero termico (Kt), vale a dire il rapporto fra potenza termica recuperata e potenza elettrica prodotta, la quantità di energia termica (Et) recuperabile per mezzo della cogenerazione risulta dalla relazione:

Et = EeKt = kWh/anno

Vacche Et = 180.000 x 1,6 = 288.000 kWh/anno suini Et = 177.000 x 1,6 = 283.000 kWh/anno ovaiole Et = 535.000 x 1,6 = 856.000 kWh/anno

PRODUZIONE FERTILIZZANTI La quantità di fertilizzanti organici solidi (Fo) ricavabile dalla frazione solida del liquame è subordinata, principalmente, al tenore di ST presenti nel liquame stesso. Ponendo pari a 0,4 il coefficiente di trasformazione dei ST in fertilizzante organico (Fo), il valore approssimato di Fo si ottiene nel modo seguente:

Fo = mt ST fo 365

1000 = t /anno

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vacche Fo = 200 x 6,1 x 0,4 x 365 x 10-3 = 178 t/anno suini Fo = 200 x 4,3 x 0,4 x 365 x 10-3 = 126 t/anno ovaiole Fo = 200 x12,0 x 0,4 x 365 x10-3 = 350 t/anno

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GLOSSARIO ESSENZIALE

AEEG – Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. Autorità indipendente istituita con la legge

481 del 14 novembre 1995, con funzioni di regolazione e di controllo dei servizi pubblici nei settori dell’energia elettrica e del gas, beni considerati di pubblica utilità e l’accesso ai quali deve essere garantito a tutti gli utenti in condizioni non discriminatorie.

Aerobico – Processo attuato mediante l’azione di microrganismi aerobi, che utilizzano cioè l’ossigeno libero.

Ammendante – Qualsiasi sostanza (o miscuglio), naturale o sintetica, minerale od organica, capace di modificare e migliorare le proprietà e le caratteristiche chimiche, biologiche e meccaniche di un terreno.

Ammonio – L’ammonio (NH4+) è uno ione positivo, contenete azoto, che si forma nel

terreno dalla degradazione biologica della sostanza organica o che viene aggiunto sotto forma di concime.

Anaerobico – Processo attuato da microrganismi anaerobi, che vivono cioè in assenza di ossigeno.

Biodegradabilità – Proprietà delle sostanze organiche e inorganiche presenti nei reflui, per la quale esse possono esserre completamente demolite dai microrganismi.

Biogas – Miscela gassosa costituita in prevalenza da CO2 (30-40%) e CH4 (60-70%), prodotta nel corso del processo di digestione anaerobica.

BOD5 - Domanda biologica di ossigeno corrispondente alla quantità di ossigeno (mg/l) necessaria alla demolizione della sostanza organica per via batterica, operata dalla flora batterica presente nel liquame, in un tempo di 5 giorni.

COD - Domanda chimica di ossigeno corrispondente alla quantità di ossigeno (mg/l) necessaria a ossidare per via chimica le sostanze riducenti (organiche e inorganiche).

Compost o terricciato – E’ il risultato della decomposizione e dell’umificazione di un misto di materie organiche (residui vegetali, letame, liquame, ecc.) da parte di macro e microrganismi in presenza di ossigeno.

Cogeneratore – Motore endotermico accoppiato ad un generatore elettrico in grado di recuperare l’energia termica prodotta durante il funzionamento e utilizzarla per fini civili o agricoli.

Digestore – Reattore nel quale avviene il processo di digestione anaerobica. Flottazione – Processo largamente utilizzato per il trattamento delle acqua reflue. La

flottazione (galleggiamento) è l’inverso della sedimentazione e consiste nel portare in superficie, all’interno di apposite vasche, i materiali in sospensione.

Gasolio - Calore specifico 42,71 MJ/kg. GPL - Calore specifico 34,33 MJ/kg. Letame – Refluo di allevamento in forma palabile, costituito da una miscela di deiezioni,

materiali di lettiera, residui alimentari. Lettime – Materiale (paglia, truccioli, segatura) utilizzato per la realizzazione della lettiera in

un ricovero zootecnico. Liquame – Refluo di allevamento in forma liquida o pastosa costituita da una miscela di

deiezioni, materiali di lettiera, acqua di lavaggio, perdite di abbeverata e residui di mangime. Metano - Calore specifico 46,02 MJ/kg. Mineralizzazione – Demolizione biologica della sostanza organica apportata e/o di quella

costitutiva del terreno, che porta alla liberazione di composti semplici: acqua, anidride carbonica, ammoniaca, ecc.

Motori asincroni – Motori nei quali la velocità di rotazione del rotore è sempre un pò inferiore a quella di rotazione del campo magnetico. Per la sua semplicità costruttiva e di funzionamento è indicato negli impieghi agricoli per M.O. e impianti a punto fisso.

Motori sincroni – Motori in cui la velocità di rotazione del rotore è uguale a quella del campo magnetico. Sono di applicazione poco pratica e usati solo eccezionalmente in agricoltura.

Nitrificazione – Processo condotto da microrganismi aerobi, mediante il quale l’azoto passa dalla forma ammoniacale (NH3) a quella nitrosa (NO2) e poi a quella nitrica (NO3).

Solidi totali (ST) - Quantità totale di sostanze (organica e inorganica) contenuta nei liquami. Il valore viene ottenuto essiccando un campione in stufa a 60 °C fino al raggiungimento di un peso costante.

Solidi volatili (SV) - Quantità di sostanza organica contenuta nei liquami. Sono determinati con l'incenerimento di un campione in muffola a 550 °C.