Problemi di Ecologia Nei Boschi di Picea Delle Alpi: Il Punto di Vista...

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This article was downloaded by: [Colorado College] On: 15 October 2014, At: 16:41 Publisher: Taylor & Francis Informa Ltd Registered in England and Wales Registered Number: 1072954 Registered office: Mortimer House, 37-41 Mortimer Street, London W1T 3JH, UK Bolletino di zoologia Publication details, including instructions for authors and subscription information: http://www.tandfonline.com/loi/tizo19 Problemi di Ecologia Nei Boschi di Picea Delle Alpi: Il Punto di Vista di un Forestale Pietro Piussi a a Istituto di Ecologia forestale e Selvicoltura, Università di Firenze , Italy Published online: 14 Sep 2009. To cite this article: Pietro Piussi (1977) Problemi di Ecologia Nei Boschi di Picea Delle Alpi: Il Punto di Vista di un Forestale, Bolletino di zoologia, 44:1-2, 87-96, DOI: 10.1080/11250007709430156 To link to this article: http://dx.doi.org/10.1080/11250007709430156 PLEASE SCROLL DOWN FOR ARTICLE Taylor & Francis makes every effort to ensure the accuracy of all the information (the “Content”) contained in the publications on our platform. However, Taylor & Francis, our agents, and our licensors make no representations or warranties whatsoever as to the accuracy, completeness, or suitability for any purpose of the Content. Any opinions and views expressed in this publication are the opinions and views of the authors, and are not the views of or endorsed by Taylor & Francis. The accuracy of the Content should not be relied upon and should be independently verified with primary sources of information. Taylor and Francis shall not be liable for any losses, actions, claims, proceedings, demands, costs, expenses, damages, and other liabilities whatsoever or howsoever caused arising directly or indirectly in connection with, in relation to or arising out of the use of the Content. This article may be used for research, teaching, and private study purposes. Any substantial or systematic reproduction, redistribution, reselling, loan,

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Bolletino di zoologiaPublication details, including instructions forauthors and subscription information:http://www.tandfonline.com/loi/tizo19

Problemi di Ecologia Nei Boschidi Picea Delle Alpi: Il Punto diVista di un ForestalePietro Piussi aa Istituto di Ecologia forestale e Selvicoltura,Università di Firenze , ItalyPublished online: 14 Sep 2009.

To cite this article: Pietro Piussi (1977) Problemi di Ecologia Nei Boschi di PiceaDelle Alpi: Il Punto di Vista di un Forestale, Bolletino di zoologia, 44:1-2, 87-96, DOI:10.1080/11250007709430156

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Boll. ZOO^., 44 : 87-96, 1977 Atti del XLlV Conuegno dell’ U.Z.I.

PROBLEM1 DI ECOLOGIA NEI BOSCHI DI PICEA DELLE ALPI: IL PUNT0 DI VISTA DI UN FORESTALE

PIETRO PIUSSI Istituto di Ecologia forestale e Selvicoltun, UniversitA di Firenze (Italy)

Mi & sembrato che potesse essere interessante esporre in questa sede i risultati delle indagini che sto svolgendo s u l problema della rinnovazione della picea, un argomento che, pur partendo da problemi d’ordine .tecnico forestale, si presta a varie considerazioni di interesse pi6 generale: esso costituisce un buon esempio di come si vadano evolvendo le idee sul modo di procedere nell’utilizzazione delle risorse forestali.

La rinnovazione di un bosco consiste nel mod0 con cui ha luogo la sostituzione di piante adulte, che per motivi diversi (in genere di ordine economico) vengono tagliate, oppure deperiscono e muoiono avendo rag- giunto la maturitl fisica, con piante giovani della s t e m - od altra - specie cod da assicurare, nelle zone in cui la cenosi climax & la foresta, la continuitl della copertura arborea pur con un succedersi di generazioni di alberi della s t e w specie o un alternarsi di specie arboree diverse.

I1 problema assume una grande importanza dal punto di vista econo- mico quando si pensi che il taglio di una pianta adulta e la sua sostituzione con una pianta giovane diventano fasi ben precise, programmate ed attuate dall’uomo, di un process0 di coltivazione. In termini forestali diremo che si tratta dello studio di una forma di trattanzerzto del bosco; in modo pi6 generale diremo che si tratta dello studio delle tecniche di gestione di una risorsa naturale rinnovabile.

La picea (Piceu abies KARST.) i: una specie di rilevante interesse per la nostra selvicoltura: essa occupa circa 100.000 ha all0 stato puro ed i: presente in altri 600.000 ha, in mescolanza con abete bianco, faggio, la- rice pcc.

L’areale della picea, anche se frammentato, 8 molto vasto - dall’Ap pennino settentrionale alla Scandinavia e dalla Francia agli Urali - ed in questo ampio territorio tale specie vegeta molto spesso in consociazione con altre: faggio, abete bianco, pino silvestre, ecc. Altre volte si trova d o

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stato puro per effetto di forme di trattamento che l’hanno favorita per ra- gioni economiche, ma nelle regioni alpine d’alta quota, a partire - gross0 modo - dai 1500 msm, la pecceta pura, a cui si mescolano rari sorbi, la- rici, pini cembri, rappresenta la formazione climax.

I1 territorio in cui si sono svolte le mie ricerche i: In valle di Fiemme, in Trentino, ed in particolare il settore rappresentato dall’alto bacino del Travignolo, aflluente dell’Avisio ed occupato dalla foresta di Paneveggio.

L’ambiente in cui vegetano le peccete di Fiemme 6 caratterizzato da estati fresche in cui si verifica un massimo di piovosith ed inverni rigidi con forti precipitazioni nevose che coprono il terreno per 3 - 6 mesi. Le pre- cipitazioni si aggirano intorno a 1200 - 1600 mm.

I1 problema della rinnovazione della picea in alta montagna preoccu- pa i forestali - sia studiosi che uomini di campagna - da molto tempo. Nella valle di Fiemme, cod come in altri settori dell’arco alpino, le utiliz- zazioni boschive risalgono ad epoche antichissime Sia per soddisfare il fab- bisogno di legno (costruzioni, riscaldamento, industria mineraria, ecc.) che per allargare le aree da destinare a coltivi e a pascoli. I1 commercio di le- gname, attraverso l’ddige ed il Piave, era molto attivo con la pianura padana e con Venezia. Risalgono ad alcuni secoli fa le prime disposizioni tendenti a ridurre i dissodamenti ed a regolamentare i tagli boschivi, ma in F. ’iemme & solo a partire dall’inizio dell’Ottocento che si cominciano a considerare con pih attenzione le tecniche adat te alla rinnovazione delle peccete.

I n val di Fiemme i boschi venivano in genere trattati a taglio raso, ma soprattutto nelle zone situate a maggiore altitudine si procedeva a volte con taglio a scelta. Nel primo caso, dopo il taglio era concessa la coltivazione agraria, senza l’uso dell’aratro, per un period0 di tre anni dopo di che il terreno veniva abbandonato e nel giro di qualche decennio si ricopriva spontaneamente di vegetazione arborea. Tale processo, turtavia, era assai Iento, o addirittura non si verificava, nei boschi posti ad alta quota, cod che ebbero inizio tentativi di ricostituzione del bosco mediante la semina o la piantagione. Nel second0 caso il taglio a scelta non era seguito da una suaciente rinnovazione, cod che la densith di questo soprassuolo andava via via riducendosi. Anche il reimpianto artificiale non dava sempre risultati soddisfacenti, forse perch6 tra i fattori avversi che agivano sulle giovani piantine v’era, massiccio, il pascolo degli animali condotti durante l’estate nelle malghe. Per questi motivi attraverso i secoli I’area delle peccete sub1 una contrazione, ‘ particolarmente evidente presso il suo limite supc- riore, a favore dei pascoli 0, pih di rado, dei prati falciabili. A volte tutta- via la scomparsa del bosco determinava l’erosione del suolo e lasciava posto a rocce nude ed improduttive.

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L’azione del pascolo non 2: consistita solo nella distruzione del bosco, ma anche nell’alterazione dei boschi rimasti: riduzione di densiti, mancanza di rinnovazione o forti danni alla s tem, compattazione del suolo, ecc.

Questo stato di cose va d’altronde inquadrato nell’economia montana del passato in m i era scarso o nullo il valore del legno situato nelle zone di pih difficile access0 mentre un grande ruolo era esercitato dall’allevamento del bestiame: bovini, ovini ed in particolare caprini.

Le esigenze dell’economia curopea durante il secolo scorso mutarono la situazione, e forse anche cod si spiega il maggiore intercsse da parte dei forestali per ottenere pih sollecitamente, per via naturale oppure con il rimboschimento (per semina o per piantagione), la rinnovazione del bosco, ricorrendo P tecniche diverse.

Dalla documentazione che ci i: pervenuta si deve concludere che, per quanto riguarda la foresta di Paneveggio, durante gli ultimi 150 anni si sono segnalate a pih riprese delle difficolti nell’otte‘nere la rinnovazione sia naturale che artificiale, ma ciononostante i: stat0 possibile percorrere con i tagli tutta la foresta ed assicurarne - per lo pih mediante la piantagione - la ricos ti t uzione.

Le cause della mancata rinnovazione naturale venivano attribuite .ai fattori pih diversi: scarsiti di seme e sua scadente qualiti, nciditi del suolo, densith della vegetazione erbacea, rigore del clima, pascolo di animali domes tici,

Questo era il quadro, piuttosto complesso e confuso, che si presentava quando si cominciarono ad esaminare gli aspetti biologici ed ecologici della rinnovazione.

Lo studio ebbe inizio con un controllo delle diverse ipotesi fino a quel momento avanzate riguardo aUe cause della mancanza di rinnovazione e,

E’ opportuno anzitutto dtscriiere alcune caratteristiche strutturali del- le peccetc adulte. Si tratta in genere di popolamenti praticamente puri di picei alti 25-30 m, con densiti ridotta, chiome strette ed allungate verso il basso, apparenternente formato da piante di eguale e t i o per lo meno di e t i poco diverse. Rare e di aspetto malconcio le piante cosidette giovani (alte fino a 2-3 m) presenti nelle chiarie pih ampie.

Sembra di poter riconoscere vari tipi di sottobosco corrispondenti a condizioni ambientali leggermente diverse: due tipi sono molto diffusi e pre- cisamente il sottobosco a mirtillo nero e muschi nelle zone pih fredde ed umide, ed il sottobosco a graminacee nelle stazioni pih calde ed asciutte. C‘2: quasi sempre sul terreno un sensibile accumulo di sostanza organica solo parzialmente decomposta; il suolo tende alla podzolizzazione.

ove possibile, con la verifica sperimentale dei processi naturali. 1

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Un esame pih accurato di 5 zone scelte in quanto ritenute abbastanza rappresentative della pecceta adulta ha fornito altri dati.

Si i: visto anzitutto che alcune piante, la cui eta veniva stimata a 2 secoli, contavano in realti 300-400 anni. Inoltre tra piante situate a di- stanza di qualche metro vi potevano essere differenze di et; fino a due se- coli. Tale disetaneita reale, che contrasta con la coetaneith di struttura (distribuzione di diametri, statura, chiome) pub essere pih o meno marcata, ma si Lt finora presentata come carattere comune a tutti i popolamenti studiati.

Altro carattere molto interessante i: la lenteua di accrescimento iniziale, constatata sia per il diametro che per I’altezza. L’accrescimento longitudinale si mantiene in media sui 3-6 cm I’anno per 1 secolo ed oltre, ma nei primi decenni di vita della pianta a volte non raggiunge nemmeno un centi- metro. Dopo un periodo pih o meno lungo l’accrescimento si fa pih rapido, con cacciate annue di 30-40 cm, 6no a raggiungere i 25-30 m di altezza. E’ interessante osservare che le dac i l i condizioni di vita durante-il periodo iniziale non iduiscono minimamente su longevith e dimensioni raggiunte dalla pianta.

E’ opportuno ricordare che i popolamenti studiati si sono costituiti nel ’600 e ’700, almeno in parte come conseguenza di tagli boschivi, ma senza che venissero attuate misure particolari per ottenere la rinnovazione, cod che si possono considerare seminaturali. Sembra quindi possibile affermare che gradualita di insediamento e lentezza di accrescirnento sono fenomeni fisiologici nella vita delle peccete e non anomalie dovute ad errate forme di trattamento o a fatti di degradazione ambientale.

La gradualith di insediamento si spiega forse mediante lo studio d e b produzione di seme. Con un sistema di trappole ed una serie di campio- namenti di strobili si sono appurati dcuni fatti interessanti. La prodqione di seme varia notevolmentc da un anno all’altro; essa sembra rispondere durante certi periodi ad una periodicith biennale (ricordo che la matura- zione dello strobilo i: annuale), ma gli anni in cui si ha una produzione rela- tivamente abbondante (100 semi pieni e sani /mq nel 1962 contro 10-20 negli altri anni, limitatamente a1 periodo 1962-75) sono piuttosto rari e si presentano ad intervalti di tempo irregolari. Anche questo fenomeno ri- sulta comune a tutto l’arco alpino (ed in genere a tutto l’areale della picea): le annate di buona produzione si verificano mediamente ogni Otto - dieci m i , ma non son affatto distribuite con regolariti nel tempo.

Ad ogni mod0 nell’interno della foresta di Paneveggio si osservano, in un determinato anno, delle variazioni secondarie correlate ad esposizione ed altitudine: la produzione t superiore sulle pendici volte B Sud che su

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quelle volte a Nord e decresce, su entrambi i versanti, a1 crescere dell’alti- tudine. Nel 1966 si 2 osservata una diminuzione lineare della qualith del seme (facolti gcrminativa) a1 crescere dell’altitudine, mentre ncl 1968 tale diminuzione ha avuto luogo bruscamente in corrispondenza dei 1600- 1650 rnsm.

Questi fatti, che non sempre trovano una facile spiegazione, indicano che gih la produzione di seme & influenzata da diversi fattori, in buona parte d di fuori - come quelli climatici - di ogni possibilith pratica di controllo da parte dell’uomo. Sembra perb che la produzione di seme, anche se non abbondante, non rappresenti il principale fattore limitante la rinnovazione, ma semmai sia la ragionc dell’insediamento lento e scalato nel tempo e quindi influisca sulla struttura cronologica del popolamcnto.

hli sono finora riferito alla produzione di seme germinabile: ma in effetti nelle trappole si rinviene una elevata quantith di tegumenti di semi che sono stati rnangiati, quasi certamente, da uccelli o da roditori. La quan- t i t i di seme chc in tal modo viene distrutta pub essere stimata pari a1 30-60% della produzione totale di seme. Mi sono pi6 volte posto il quesito sul significato clie la predazione e distruzione del seme hanno nel funziona- mento dcll’ecosistema pecceta: se si tratta ciok di un fatto anomalo, una disfunzione (come pub apparire a chi si dedica allo studio o alla gestione della cornponente vegctale della foresta) oppure se 2: un fatto del tutto regolare, sc non addirittura indispensabile per la conservazione di alcune specie animali caratteristiche di tale ecosistema.

Nello studio della rinnovazione, un’altra fase che riveste grande in- teresse E quella della germinazione e del primissirno accrescimento. Si desidcra sapere se il seme, quando ve n’&, t in grado di germinare, se le piantine che nascono possono sopravvivere, ed inoltre sc vi sono ambienti particolarrnente favorevoli - oppure ostili - alla germinazione ed all3 sopravvivenza. Per questo aspetto dello studio si sono utilizzate sia le nascite in bosco dopo la disseminazione naturale, che quelle provenienti da alcune semine speri- mentali eseguite in vivaio, in bosco ed in laboratorio.

I risultati ottenuti si possono compendiare nel mod0 seguente: 1) le perdite di seme causate dagli animali proseguono durante il

period0 di germinazione che dura fino a tutto luglio: alcune plmtule sono distrutte da animali che, aggredendo il tegument0 del seme, troncano i co- tiledoni che ancora lo sorreggono. Le semine protette con reti hanno un percent0 di levata pari a 2,5-10,O volte quello delle scmine non protette.

2) Anche partendo da semc di buona qualitd il rendimento come nu- mero di piantine E assai basso nelle condizioni naturali. Infatti l’emergenza di piante (per semine protette dai danni causati dagli animali) oscilla in

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bosco tra il 5 ed il 50% e la sopravvivenza alla fine della prima stagione vegetativa varia dal 40 a1 95%.

3) Le condizioni favorevoli per l’emergenza (ombra) sono anche quelle sfavorevoli per la sopravvivenza. Di conseguenza il fattore limitante varia per le singole piante nel giro di poche settimane. Se poi si tiene conto del fatto che la germinazione di un lotto di seme ii scalare e le ultime nascite hanno luogo quando le prime plantule si sono gii sviluppate, si deve con- cludere che in una singola stazione ed in un determinato momento le condi- zioni d’ambiente non possono mai essere favorevoli per tutte le piante.

4) L’accertamento sistematico dei fattori che provocano la morte delle giovani plantule non 6 semplice ed 6 impossibile elencare tali fattori in ordi- ne di importanza. A seconda dei casi sono stati accertati l’insufficienza di luce, di acqua (che agisce attraverso il substrato di germinazione e di accresci- mento), l’azione di parnssiti fungini ed i danni meccanici provocati dagli animali. Sembra tuttavia che germinazione, soprayvivenza ed acc!escimento iniziale siano fortemente condizionati dal substrato; pih precisamente, l’oriz- zonte olorganico che copre il suolo e che rappresenta il substrato pih diffuso in foresta i: il meno favorevole all’ernergenza dato che in esso si creano diffi- cili condizioni di rifornimento idrico. E’ molto pih favorevole ii substrato minerale formato da orizzonti profondi portati alla luce da lavori boschivi (scarpate di strade, solchi lasciati dallo strascico di tronchi, ecc.), da frane o da sradicamenti.

Questi risultati permettono una migliore comprensione delle osserva- zioni fatte sui novelleti sia di origine naturale chc derivati da rimboschimenti recenti. I giovani popolamenti di origine naturale denotano anzitutto lentezza di accrescimento iniziale. L’incremento longitudinale medio i: di citca 1,5 cm all’anno per i primi 50 anni. Cib dipende sia dalle condizioni di micro- clima e di suolo in cui It: giovani piante si trovano a vegetare, sia dai dpnni che esse subiscono: rottura della cima, suo disseccamento, perdita degli aghi. I danni meccanici possono essere causati dal pascolo ed in passato si riteneva che questo fosse un fattore determinante nell’ostacolare la rinnovazione. Al- cuni impianti sperimentali non recintati, eseguiti nel corso di questa ricerca, sono stati totalmente distrutti dai bovini a1 pascolo. Questo stato di cose si verifica anche se negli ultimi anni il carico di animali pascolanti i inferiore alla meta di quello massimo consentito ed in passato sicuramente oltrepassato.

La rinnovazione naturale si insedia con scalarid: accanto a piante di 30-40 anni si hannoanon di rado piantine di 2-3 anni. Si conferma cosl I’osservazione fatta sui popolamenti adulti. Altra caratteristica degna di nota i: la tendenza del novellame di insediarsi a gruppi, lasciando tra questi dei tratti di terreno relativamente grandi privi di piante di picea. E’ evidente

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quindi che nella fase di insediamento hanno un grande peso determinante condizioni microambientali - verosimilmente il suolo per i riflessi chc ha sul bdancio idrico - assai variabili da un punto nll'altro.

Dall'esame di alcuni rimboschimenti compiuti nella foresta di Paneveg- gio di eth non superiore ai 16 anni si sono ricavati dati che in parte con- cordano con i risultati ottenuti in altro modo, e precisamente la lentezza di accrescimento iniziale, che si manifesta anche per impianti eseguiti con piantine di quattro anni messe a dimora in buche e quindi per i primissimi anni abbastanza protette dalla concorrenza e l'elevata frequenza di danni di origine meccanica. Con questa indagine si i: potuta definire perb pih precisa- mente I'importanza delle gelate tardive, fattore finora segnalato occasional- mente, ma, ritengo, sottovalutato. In occasione dei rilievi compiuti in questi rimboschimenti ho infatti accertato che gli effetti di una gelata verificatasi nel mese di luglio si erano fatti sentire sul 55% delle piante esaminate, determinando danni molto gravi su un terzo circa (19% del totale) di esse. Misure termometriche compiute nel periodo 1968-72 hanno rilevato che la temperatura pub scendere sotto lo 0" (e fino a -4") in quasi ogni mese: in altre parole il pericolo di geli durante il periodo di vegetazione 2: pmtica- mente continuo.

Ho cercato di determinare esistenza ed entit; dei danni provocati dalla selvaggina - in questo caso caprioli e cervi - nei rimboschimenti misti, dato che nelle peccete situate nel versante settentrionale delle Alpi i danni causati dagli ungulati sono a volte diventati intollerabili. Per ora, anche se il problema 2 stato affrontato in mod0 molto sommario, la situazione per la picea non sembra grave. Cervi (e caprioli) ostacolano invece le latifoglie ed il larice oltre che il reingresso dell'abete bianco nella zona inferiore della pecce t a.

Va fatto un breve cenno su un fenomeno che si osserva, oltre che .per la picea, per numerose altre specie arboree e che ha dato origine da molto tempo a varie congetture: la rinnovazione su legno marcio. Si possono os- servare facilmente giovani piante su ceppaie marcescenti o su tronchi ab- bandonati da tempo a1 suolo in foresta.

Nei popolamenti arborei studiati si i: visto che dal 47 a1 61% delle piante adulte esaminate era radicato su legno marcio; di conseguenza a volte la ceppaia era sollevata dal suolo e sorretta da <( trampoli D. I1 legno marcio i: piuttosto raro come substrato in una foresta assogettata a coltivazione mentre i: assai pih frequente nei boschi naturali vergini dato che le piante morte rimangono a giacere s u l suolo per molti anni prima di venire completamente decomposte e quindi sparire. Un discorso analogo pub essere fatto per il terreno minerale che viene portato alla luce dallo sradicamento degli alberi

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adulti per effetto della neve o di venti particolarmente forti. Legno marcio e terreno minerale scoperto possono aver avuto un ruolo importante nella rinnovazione dei boschi naturali o poco antropizzati in passato, e non solo per la germinazione (a questi due substrati corrisponde in genere una maggio- re quantiti di Iuce e diverse condizioni di nutrizione minerale). E‘ inoltre improbabile che nei boschi regolarmente coltivati questi due substrati pos- sano essere diffusi. Sarebbe molto interessante, anche per poter trovare una soluzione alternativa pratica, interpretare pi& precisamente il signgcato di questi fenomeni nella vita della pecceta: sapere ciok se in condizioni comple- tamente naturali essi rappresentano uno dei possibili modi di rinnovazione della picea o se sono iI meccanismo pi2 egciente afEnch.4 si realizzi la suc- cessione di generazioni.

Le osservazioni fatte fin0 a questo punto possono venire riepilogate molto sinteticamente come segue:

1) dcuni tratti di pecceta, oggi molto vecchi, Sono i resti dei boschi formatisi due o pih secoli or sono in condizioni relativamente prossime a quelle naturali;

2) i substrati su cui ha luogo l’insediamento nei boschi naturali o seminaturali si riscontrano oggigiorno con molta minore frequenza che in passato;

3) la lentezza di accrescimento iniziale e la gtadualith di insediamento dei novelleti non rappresentano un fatto eccezionale, ma caratterizzavano anche in passato i giovani popolamenti di picea;

4) i mezzi artificiali, in particolare il rimboschimento, riescono solo in parte ad assicurare una pih rapida ricostituzione del bosco dopo il taglio.

Se ne pub concludere che Ia rinnovazione di questi boschi 2: inevita- bilmente un processo lungo e d%ciIe e che l’adozione di misure tecniche per renderla pib rapida e sicura comporta una profonda dterazione delle caratteristiche dei popolamenti.

11 problema della rinnovazione diventa cod il problema della conserva- zione della pecceta stessa. In questo caso non si tratta di sdvare una specie prossima alla estinzione, ma una cenosi intera nelIe sue caratteristiche sta- tiche (struttura) e dinamiche (processi).

Possiamo distinguere due aspetti. Un prim0 aspetto riguarda i lembi resi- dui di bosco formati da piante plurisecolari ed originatisi in condizioni assai vicine a quelle naturali, a c h e se oggi Sono pih o meno fortemente alterati dall’azione deIl’uomo e degli animali a pascolo. Sono, presumibilmente, tutto quell0 che rimane dei boschi originari ed oggi corriamo il rischio di vederli distruggere senza mcora conoscere esattamente il loro valore come mate- riale scientifico e biologico.

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Un secondo aspetto di portata assai pih ampia 2 quello della rinnova- zione delle peccete‘subalpine in genere (quindi anche quelle di origine arti- ficiale), della scelta ciok di una forma di trattamento che consents a questi boschi di mantenere o di riacquistare certi caratteri che possono assicurare una maggiore stabiliti. Ci si pub quindi chiedere, in particolare, quali opera- zioni pub effettuare il selvicultore per modificare l’ambiente in mod0 da con- sentire la nascita e successivamente la crescita della picea.

Una soluzione pub consistere nell’abbandono totale di questi boschi, quindi nella sospensione di ogni utilizzazione, cod da consentire, in tempi indubbiamente lunghi, il ricostituirsi di un equilibrio naturale, anche se di- verso da quello originario. E‘ una soluzione che trova il favore di molti conservazionisti e che viene sostenuta, per motivi economici, in alcune regioni a Nord delle Alpi dove l’aumento dei costi della manodopera (per i tagli del legname e per la costruzione delle infrastrutture) non k compensato da un corrispettivo aumento del prezzo del legname.

La soluzione di abbandonare questi boschi va esaminata anche alla luce delle osservazioni fatte, soprattutto in Austria, sul dinamismo naturale del soprassuolo arboreo in alcune riserve integrali. Risulta infatti che a1 deperi- mento, rnorte e crollo delle piante fisicamente mature segue un period0 di 50 anni ed oltre durante il quale le giovani piante della nuova generazione - sia a causa della gradualiti dell’insediamento che della lentezza di accre- scimento -non riescono ad assicurare Ia copertura del terreno. La questione & particolarmente delicata quando la funzione protettiva e regimante di questi boschi abbia - caso frequentissimo in alta montagna - un ruolo primario.

Una seconda soluzione pub consistere nello spingere piii a fondo e per- fezionare Ie tecniche di trattamento che facciano ricorso alla rinnovazione artifrciale, cos1 da accelerare i processi biologici ed aumentare la produzione. Cib comporta l’uso di materiale d’impianto opportunamente selezionato, mo- a c h e del suolo con lavorazione e concimazione, controllo chimico della vegetazione erbacea ed arbustiva. Gli interventi artificiali nella selvicoltura di montagna hanno senza dubbio aspetti positivi che si Sono potuti apprez- zare nel caso della ricostituzione di boschi distrutti da eventi catastrofici (ven- to, valanghe, ecc.) o da pascolo esercitato per secoli. In qualche caso i ri- sultati ottenuti, soprattutto in passato, sono stati deludenti: una conseguenza quasi certa ed inevitabile & la maggiore uniformith genetica, strutturale, cro- nologica e Ia povert8. specifica, tutti fattori che diminuiscono la stabiliti dei popolamenti di nuova costituzione. Concimi e diserbanti creano pericoli di inquinamento chimico ed infine i costi non Sono trascuralili. Natural- mente questa seconda soluzione non pub essere respinta, ma deve eventual-

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mente venire affrontata quando sia ben definito il model10 di bosco n cui si tende. Gih ora si hanno esempi di boschi in cui 6 evidente l’inquina- mento genetico, I’alterazione delle mescolanze specifiche, l’abbassamento deIIa qualits tecnologica, la Iabilitl strutturale.

Infine una terza soluzione pub consistere nell’adozione di un trattn- mento che consenta di non allontanarsi troppo d d e strutture naturali e dal- l’andamento dei processi biologici quali si verificano in boschi poco antro- pizzati, Cib implica tagli boschivi applicati senza rigorosi schemi spaziali e temporali ed in cui la rinnovazione sia integrata se 6 il caso, ma non sosti- tuita, da piantagioni. Oggigiorno, questa soluzione intermedia, ma che alero non 6 se non l’applicazione delle conoscenze deIIa biologia ed ecologia delle peccete alfa Ioro coltivazione in vista del mantenimento dei principali carat- teri naturali, & quella che nei Paesi dell’arco alpino si ritiene preferibile. Tuttavia la diffusione di queste pratiche 6 ostacolata sia da considerazioni economiche a breve termine che dalla mancanza di conoscenze approfondite sul funzionamento di questi ecosistemi. Le ricerche di cui ho riferifo hanno 10 scopo di arricchire queste conoscenze, ma ovviamente vi Sono altri setto- ri ancora scoperti. In questa sede vorrei ricordare alcuni temi che sono al- meno in parte di pertinenza degli zoologi e per i quali, per quanto io ne sappia, le informazioni disponibili Sono insufficienti: ricordo il ruolo degli animali sulla produzione di seme, l’azione degli animali fossori nel modificare iI substrato di germinazione con I’apporto in superficie di terreno prove- niente da orizzonti profondi, le conseguenze sulla fauna delle forme di trattamento proposte, il pericolo di pullulazioni di insetti in seguito all’ab- bandono in bosco di alberi morti, i metodi per regolare i meccanismi di con- troll0 biologico in foresta (ad es. rapport0 fra vegetazione arborea e cervidi, o avifauna ed insetti corticali e/o sottocorticali).

Solo una pih ampia disponibilith di dati, osservazioni, studi, anche,di discipline collaterali quali la zoologia, perrnetterl la difisione di una selvi- coltura naturalistica, che 6 oggi il migliore strumento per la conservazione di tanti boschi di montagna. D

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