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175 SILVÆ Anno I - n. 3 LA PROPRIETÀ FORESTALE di Giorgio Corrado * L a lingua latina indica come silva decidua il bosco da tagliare e con lucus il bosco sacro da conservare: non per nulla i lucumo- nes erano i sacerdoti etruschi, come i fratres arvales erano spe- ciali ordini sacerdotali a cui era affidata la tutela delle selve, considera- te res divinis iuris. I termini bosco e foresta sono invece d’origine franco-longobarda Solo di recente è stato precisato cosa debba intendersi, dal punto di vista giuri- dico, per “bosco”, questa vera e propria realtà ambientale che ha sempre costituito un patrimonio per l’umanità: i boschi for- niscono, oltre alle produzioni legnose e no, servizi senza prezzo, quali sono da consi- derare a tutti gli effetti le funzioni vitali esplicate, dalla sicurezza per l’uomo in presenza di pericolo di frane o piene, all’equilibrio della Terra. Ciononostante, negli ultimi cento anni sono stati distrutti nel mondo 22 milioni di chilometri qua- drati di foreste. Con la legge di riordino, il C.F.S. ha assunto in sé anche i compiti fino al 1977 spettanti all’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali. Only recently the concept of wood, this important environmental entity which has always been a real patrimony for men, has been defined under a legal point of view. In fact, apart from wood products, woods offer essential services to the earth including those vital functions linked to emergency measures in case of landslips and floodings. Nevertheless, during the last hundred years, 22 million of square kilometres of forest have been destroyed in the whole world. With the new Administrative Organization law the S.F.P.F. has taken up all the functions that until 1977 were carried out by the State Agency deputed for the conservation of State-owned Forests. __________________ * Dirigente Superiore del Corpo Forestale dello Stato

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Legge sul patrimonio forestale dello Stato.

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LA PROPRIETÀ FORESTALE

di Giorgio Corrado *

La lingua latina indica come silva decidua il bosco da tagliare econ lucus il bosco sacro da conservare: non per nulla i lucumo-nes erano i sacerdoti etruschi, come i fratres arvales erano spe-

ciali ordini sacerdotali a cui era affidata la tutela delle selve, considera-te res divinis iuris.

I termini bosco e foresta sono invece d’origine franco-longobarda

Solo di recente è stato precisato cosadebba intendersi, dal punto di vista giuri-dico, per “bosco”, questa vera e propriarealtà ambientale che ha sempre costituitoun patrimonio per l’umanità: i boschi for-niscono, oltre alle produzioni legnose e no,servizi senza prezzo, quali sono da consi-derare a tutti gli effetti le funzioni vitaliesplicate, dalla sicurezza per l’uomo inpresenza di pericolo di frane o piene,all’equilibrio della Terra. Ciononostante,negli ultimi cento anni sono stati distruttinel mondo 22 milioni di chilometri qua-drati di foreste.

Con la legge di riordino, il C.F.S. haassunto in sé anche i compiti fino al 1977spettanti all’Azienda di Stato per leForeste Demaniali.

Only recently the concept of wood, thisimportant environmental entity which hasalways been a real patrimony for men, hasbeen defined under a legal point of view.In fact, apart from wood products, woodsoffer essential services to the earthincluding those vital functions linked toemergency measures in case of landslipsand floodings. Nevertheless, during thelast hundred years, 22 million of squarekilometres of forest have been destroyedin the whole world.

With the new AdministrativeOrganization law the S.F.P.F. has takenup all the functions that until 1977 werecarried out by the State Agency deputedfor the conservation of State-ownedForests.

__________________* Dirigente Superiore del Corpo Forestale dello Stato

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(bois e forêt) e nel nostro ordinamento vengono usati indistintamente,come sinonimi.

Solo di recente la norma giuridica ha chiarito cosa debba intendersiper bosco, lasciando alle Regioni la competenza di legiferare in merito;nel frattempo l’articolo 2del decreto Legislativo227/2001 afferma che«si considerano bosco iterreni coperti da vege-tazione forestale arbo-rea associata o meno aquella arbustiva di origi-ne naturale o artificiale,in qualsiasi stadio di svi-luppo, i castagneti, lesugherete e la macchiamediterranea… Le sud-dette formazioni vege-tali e i terreni su cui essesorgono devono avereestensione non inferiore a2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri ecopertura non inferiore al 20 per cento».

1. Il valore del boscoI boschi, in quanto tali, oltre alle produzioni legnose e no, facilmen-

te monetizzabili, forniscono, indipendentemente dalla proprietà, servi-zi “senza prezzo”, ovvero utilità sociali, da tutti riconosciute, usufrui-bili anche dai non proprietari o possessori degli stessi beni. Le utilitàsenza prezzo del bosco, secondo Worrell, seguono verosimilmente unandamento analogo, quasi parallelo, a quello dei prodotti primari, deiquali è noto il prezzo mercantile.

Tali benefici indiretti producibili e prodotti dal bosco, concepitocome unità eco-sistemica, sono strettamente legati e connessi alle fun-zioni vitali espletate dai complessi boscati e sono di insostituibile

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Gli amministratori delloStato devono agire non solonell’interesse della generazione loro,ma anche delle future. Se tale risultato non si può sempreconseguire, ragguardevoli risultati sipossono ottenere affidando losvolgimento del programma forestalead un Corpo Forestale specializzato,fornito del pregio della continuità. Eper le foreste, la continuità d’azioneper lunghi periodi di tempo, si puòdire sia tutto.

(Luigi Einaudi - 1948)

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necessità per la vita dell’uomo, per la sua sicurezza, contro il pericolodi frane e di improvvise piene, per mantenere l’equilibrio del pianeta.

Per tali ragioni il bosco va preservato dal diffuso disboscamento.I terreni strappati alla foresta equatoriale e divenuti poi aridi o deser-

tici sono aumentati in questo secolo del 140%, passando da 12 milionia 28 milioni di chilometri quadrati.

Il ritmo degli abbattimenti è aumentato nel tempo ad una velocità di30 ettari al minuto, il che vuol dire la distruzione di 160mila chilometriquadrati l’anno.

Secondo stime recenti, negli ultimi 100 anni nel mondo sono statidistrutti oltre 22 milioni di chilometri quadrati di foresta, quasi il 40%dell’intero patrimonio verde. In Europa restano circa 140 milioni diettari di boschi.

Le utilità senza prezzo del bosco, secondo Worrell, seguono verosi-milmente un andamento analogo, quasi parallelo, a quello dei prodottiprimari, dei quali è noto il prezzo mercantile.

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Sistemazioni montane, anni ’30 (Foto C.F.S.)

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Il bosco è produttore di beni, a fecondità ripetuta, solo se vienerispettato nella sua integrità ecosistemica, se cioè il prelievo forestaleavviene esclusivamente sugli interessi, rappresentati dagli incrementilegnosi, e mai sul capitale, ovverosia sulla provvigione legnosa.Diversamente, nel volgere di pochi anni, si va all’involuzione, regressio-ne, distruzione della foresta.

Si è mai riflettuto abbastanza sugli alti, onerosi costi che le comuni-tà nazionali devono sostenere a posteriori, dopo il verificarsi di eventicalamitosi, provocati direttamente o come concausa, dalla distruzionedella copertura arborea?

Il potersi garantire, in via preventiva, con una oculata, lungimirantepolitica di salvaguardia ambientale e forestale, contro tali ipotesi didanno, per altro poi di fatto frequentemente ricorrenti, non è forsel’equivalente di una economica capitalizzazione di ricchezza?

I criteri di valutazione dei benefici indiretti spillovers del bosco, pre-sentano forti limiti in quanto il valore sociale della foresta e la sua ester-nalità sono solo parzialmente e approssimativamente considerati, quan-do non del tutto trascurati, dal sistema dei prezzi di riferimento. Il valo-re del materiale legnoso è calcolato applicando il prezzo di macchiatici allaquantità degli assortimenti legnosi ritraibili.

Le utilizzazioni boschive ammontano, in questi ultimi anni, in mediaa 8 milioni di metri cubi/anno di legno, mentre, prima della Legge del1923, i tagli producevano 13 milioni di metri cubi. Se ne deduce comela produzione lorda vendibile selvicolturale sia molto bassa, in mediadell’ 1-1,3% della Plv agricola complessiva, pari quest’ultima, nel 2004,a 48 miliardi di euro. Di contro, il legno è la terza voce nelle nostreimportazioni, dopo il petrolio e la carne, per far fronte ad un fabbiso-gno nazionale pari a 38 milioni di metri cubi.

È del tutto evidente come l’Italia sia ricca di boschi poveri, come, conuna felice espressione, ebbe a dire Alessandrini.

Oggi, nelle nuove analisi costi-benefici o di un impatto ambientale, è semprepiù necessario quantificare anche quelle funzioni “senza prezzo” svoltedal bene-foresta, che nel tempo si rivelano di gran lunga predominanti.

A tal fine vengono utilizzati: coefficienti indicatori di benefici;modelli matematici realizzati per ciascuna funzione offerta dal bosco;

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metodi basati sul valore di ricostruzione e di surrogazione; modellisimulativi per evitare danni, secondo il concetto di costo alternativo oquello del costo-opportunità; come anche si valuta l’utilità percepita daivisitatori del bosco, ovvero si quantifica il richiamo turistico, stimatosulla disponibilità a pagare un costo per accedere in ambiti protetti.

Ad esempio, il metodo del costo alternativo del Prodan valuta le possi-bili destinazioni urbanistiche del terreno boscato e la mancata trasfor-mazione del bosco comporta un mancato guadagno e questo rappre-senterebbe il valore minimo del bosco.

Tali criteri di valutazione, non esenti da critiche, pur tuttavia hannoil riconosciuto merito di tendere a massimizzare in termini economico-finanziari l’utilità sociale della foresta.

Il Patrone, con il metodo deduttivo, ha tentato una quantificazionedi massima del “prodotto lordo dei boschi italiani” con riferimentoanche alla tutela idrogeologica.

Il valore del servizio idrogeologico, stimato sulla base dell’interesseannuo relativo al costo di un ettaro di rimboschimento per la superficie boschi-va vincolata ai fini idrogeologici, all’attualità oscillerebbe tra i 10 e i 12miliardi di euro.

La valutazione della funzione idrogeologica del bosco è di notevoleimportanza per esprimere la fattibilità economica degli interventi pub-blici miranti alla difesa del suolo, quali sono le sistemazioni idraulico-forestali.

Nella valutazione dei benefici apportati dalle predette sistemazionimontane si può far riferimento al costo opportunità, per cui il costo di unsimile progetto si identifica con quella quota di reddito a cui la colletti-vità deve rinunciare a favore di una azione generale di tutela.

Maggiore è il grado di dissesto e di pericolosità, più elevato sarà ilbeneficio sociale e per altro verso minore l’intensità dei tagli e la pro-duttività legnosa. Ne consegue che l’utilità sociale del bosco quale fat-tore di tutela idrogeologica è spesso in rapporto di trade-off con la pro-duttività privata. Ciò giustifica l’elevato costo delle sistemazioni mon-tane, l’apposizione dei vincoli e gli aiuti finanziari concessi a favore deirimboschimenti volontari ed obbligatori. Mentre le produzioni direttesono godute unicamente dal proprietario, le utilità sociali vanno a favo-

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re anche di altri soggetti, ovvero di una più vasta comunità.In ragione di ciò prevale la dottrina per la quale i boschi sono da

considerare veri e propri “beni ambientali” e come tali beni d’interessepubblico. In altri termini la proprietà forestale svolge una compiutafunzione sociale, nel rispetto del dettato costituzionale.

2. I vincoli forestaliLe funzioni del bosco: idrogeologica, disinquinante, igienico-sanita-

ria, ecologica e bioclimatica, estetica e paesaggistica sono le ragioniintrinseche del regime vincolistico che nel tempo il legislatore ha postosul territorio boscato.

Il vincolo è una limitazione all’uso di un bene; quelli forestali, dalvincolo idrogeologico del 1923 al vincolo paesistico ambientale dellac.d. Legge Galasso del 1985, sono delle limitazioni poste per la premi-nenza dell’interesse generale, ma è sempre possibile effettuare un usonormale del bene vincolato, quali possono essere i tagli selvicolturali fatticonformemente alle autorizzazioni ottenute.

Per i proprietari o posses-sori di beni così vincolati nonè prevista, anche se molto sene è discusso, la corresponsio-ne di alcun indennizzo, trannecasi eccezionali, espressamen-te indicati dalla norma dilegge, quando cioè il bosco èfinalizzato a particolari obiet-tivi per la difesa militare, lasalubrità di specifici luoghi,contro la furia dei venti, lacaduta dei massi e delle valan-ghe; in tali casi il bosco vinco-lato è integralmente e total-mente sottratto a qualsiasiforma di utilizzazione e di red-ditività, così che ai proprietari

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Attività vivaistica della Milizia Forestale (Foto C.F.S.)

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è corrisposto un congruo indennizzo.La stragrande maggioranza dei terreni boscati e montani è vincola-

ta sotto il profilo idrogeologico ai sensi del R.D. Lg.vo 3267/1923. Lasuperficie interessata è di circa 13 milioni di ettari e di questi 5,5 milio-ni di ettari sono boschi cedui e fustaie (I.F.N. -1985).

La ratio della Legge forestale del 1923 è quella di voler conciliarel’aspetto produttivistico-legnoso, con quello sociale per la perpetuitàdel soprassuolo, posto a peculiare difesa contro l’erosione ed il disse-sto, per evitare così il verificarsi di un possibile danno pubblico.

Nei reati forestali – successivamente depenalizzati – la valutazione deldanno forestale è fatta, in via esclusiva, dagli agenti forestali.

Per contemperare l’interesse soggettivo a quello pubblico, il legisla-tore ha inteso con lo strumento del vincolo disciplinare l’uso del bosco,la sua utilizzazione e trasformazione, in modo tale che possa perpetuar-si nel tempo con vantaggio generalizzato sul territorio, attivando a talfine un articolato sistema autorizzatorio, disciplinato con le Prescrizionidi Massima e di Polizia Forestale.

Queste ultime hanno lo scopo di dettare, per ambiti provinciali osub-provinciali, specifiche norme regolamentari a cui attenersi pereffettuare: le utilizzazioni boschive, il pascolo, il dissodamento.

La Legge del 1923 ed il collegato Regolamento del 1926 non con-tengono espressamente norme in ordine alla possibilità o meno di edi-ficare nelle zone sottoposte al vincolo idrogeologico, essendo le stessenorme riferite e confinate all’ambito delle trasformazioni agrarie.

Ciò è ben logico con riferimento all’uso del suolo che se ne facevain quegli anni oramai lontani. Quando nel 1923 venne emanata laLegge forestale, il bisogno di terra da coltivare e l’intensa attività pasco-liva costituivano una seria minaccia per la conservazione dei boschi.Inoltre non sempre la messa a coltura di terreni saldi di montagna e dicollina veniva accompagnata da una razionale sistemazione.

Con il passare del tempo, l’evoluzione delle condizioni economico-sociali delle popolazioni di montagna e dei modi di vita in generalehanno fatto diminuire di molto la ricerca di terreni da dissodare ai finiagricoli; ma queste aree sono state oggetto di altri fenomeni che hannocreato nuove preoccupazioni per la conservazione dei boschi, quali:

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l’espansione dei centri turistici; la costituzione di insediamenti residen-ziali; le attrezzature di aree per l’esercizio degli sport e della ricreazio-ne; lo svilupparsi di attività estrattive; lo sviluppo della rete stradale.

Negli anni 70, con l’industrializzazione del Paese cambiano le situa-zioni e nasce la necessità di proteggere le zone sottoposte al vincoloidrogeologico, ed in particolare i boschi, da insediamenti edificatori pernon compromettere la stabilità del terreno.

L’articolo 7 della Legge 3267/1923, che disciplina la trasformazionedei boschi in altra qualità di coltura e la trasformazione dei terreni saldiin terreni soggetti a periodica lavorazione, alla luce di tali nuove situa-zioni, andava necessariamente riletto in modo estensivo e non più soloin senso agricolo; l’evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria è interve-nuta in proposito.

Infatti il Consiglio di Stato (con sentenza n. 183 del 16 marzo 1971)così si esprime: «si deve osservare che presumibilmente nel corso del-l’emanazione della Legge 20 giugno 1877 n. 3917 e del R.D.Lg.vo 30 set-tembre 1923 n. 3267 non emerse il problema degli insediamenti urbaniin zone vincolate o da vincolare a scopo idrogeologico; tuttavia questacircostanza non è preclusiva di un’interpretazione della normativa fore-stale, intesa in senso tale da soddisfare l’esigenza della disciplina degliinsediamenti edilizi in rapporto anche al vincolo idrogeologico».

Ancora il Consiglio di Stato (sentenza n. 571 del 30 ottobre 1985)rimarca che «qualsiasi opera che comporti distruzione della vegetazio-ne è potenzialmente idonea a compromettere la stabilità dei suoli e adalterare l’equilibrio idrogeologico… È legittimato pertanto il diniego diconcessione edilizia».

Successivamente il Consiglio di Stato (sentenza n. 663 del 2 settem-bre 1987) ha parzialmente modificato il proprio orientamento, restrin-gendo l’applicabilità dell’articolo 7 del R.D.Lg.vo del 1923 e dell’artico-lo 21 del Regolamento, con la conseguenza che la PubblicaAmministrazione competente può formulare un divieto assoluto adedificare solo sui terreni vincolati boscati.

Con il D.P.R. 11/1972 e successivamente con il D.P.R. 616/1977 lamateria è passata di competenza delle Regioni, che hanno legiferato inmerito.

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Così, dopo l’avvenuto decentramento amministrativo, il vincoloidrogeologico, come sostengono più autori (Abrami, Tamponi ed altri),si viene ad inserire a pieno titolo nella disciplina urbanistica per esseremezzo e strumento di gestione del territorio e non più limitato allasfera degli interventi di tipo agro-silvo-pastorale.

La proprietà forestale è sempre ed in ogni caso soggetta a vincolipubblici, che ritroviamo non solo nelle specifiche leggi, ma anche nelCodice Civile. Così l’art. 866 ripropone per intero la stessa enunciazio-ne della Legge 3267 del 1923 là dove recita: «i terreni di qualsiasi natu-ra e destinazione possono essere sottoposti a vincolo idrogeologico…al fine di evitare che possano con danno pubblico subire denudazioni,perdere la stabilità o turbare il regime delle acque». Inoltre… «il gover-no dei boschi e dei pascoli sono assoggettati, per effetto del vincolo allelimitazioni stabilite dalle leggi in materia». Ed ancora «possono esseresottoposti a limitazione nella loro utilizzazione i boschi che per la lorospeciale ubicazione difendono terreni o fabbricati dalla caduta di valan-ghe, dal rotolamento di sassi, dal sorrenamento1 e dalla furia dei ventie quelli ritenuti utili per le condizioni igieniche locali».

Ma c’è di più. Il successivo articolo 867 del C.C. detta la possibilitàacché i terreni già vincolati ai fini idrogeologici possano essere espro-priati od occupati temporaneamente per favorire il rimboschimento ele sistemazioni dei terreni.

L’altro vincolo territoriale è quello derivante dalla Legge sulle bellez-ze panoramiche del 1939 poi ripreso dalla Legge 431/1985; ma que-st’ultima si differenzia dalla prima volendo superare la concezione idea-listica di paesaggio quale bellezza naturale; ed in tale ottica non vengo-no sottoposti al regime vincolistico alcuni quadri naturali di particolare bel-lezza, bensì intere categorie di beni, indipendentemente dalla selezioneparticolareggiata, specifica di alcune aree.

Questo vincolo ambientale non è puntiforme, come era quello impo-sto con la precedente Legge del 1939, ma investe precise strutture ter-ritoriali da salvaguardare perché considerate a rischio e non già soloalcuni beni di particolare bellezza.

La Legge 431/1985 estende, come detto, il “vincolo panoramico” dicui alla Legge 1497/39, anche ai «terreni coperti da foreste e da boschi,

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ancorché percorsi e danneggiati dal fuoco, e sottoposti a vincolo dirimboschimento».

Ne consegue che tutti i terreni boscati assurgono a categoria di chia-ro ed inequivocabile interesse pubblico, generale, sociale. Per tale ragio-ne il vincolo paesaggistico diventa concettualmente vincolo ambienta-le, sottoposto all’azione pianificatoria della Regione attraverso l’adozio-ne di adeguati “Piani Paesistici Territoriali”.

La Legge Galasso aggiunge poi che nei terreni boscati «sono con-sentiti: il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere dibonifica, antincendio e di conservazione previsti ed autorizzati in basealle norme vigenti in materia».

Inoltre è specificato che non rientra nel regime autorizzatorio«l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale se non comporta alterazio-ne permanente dello stato dei luoghi per costruzioni edilizie ed altreopere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterinol’assetto idrogeologico del territorio».

Con ciò non si vietano in assoluto le utilizzazioni forestali, ma le sisottopongono a specifica autorizzazione paesistico-ambientale, là dovetali opere, unitamente alle attività agro-silvo-pastorali possono alterarelo stato dei luoghi in modo permanente. Il termine permanente non vainteso però in assoluto, ma relativo, giacché altrimenti nessuna attivitàsarebbe consentita; onde possono essere escluse quelle che creano unvulnus duraturo al bene protetto, cioè protratto per lungo tempo. Silascia così discrezionalità alla Pubblica Amministrazione nel definirenel dettaglio le utilizzazioni possibili e compatibili.

Le Regioni devono predisporre ed adottare i “Piani paesistici” neiquali ricomprendere tutti i vincoli presenti sul territorio adattabili allediverse situazioni di fatto e graduando l’intensità dell’azione di divietoal valore intrinseco del bene oggetto di tutela.

Il decreto legislativo del 27 gennaio 2004 n. 42 “Codice dei beni cul-turali e del paesaggio”, detto anche Codice Urbani, abroga il D.Lg.vo490/1999, che sostituisce la Legge 431/85 e ricomprende i contenutidella precedente normativa in materia.

Di innovativo c’è che le categorie di beni già indicati dalla Legge431/85 e tra questi i boschi, sono qualificati come “beni paesaggistici” e

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parti integranti del nostro patrimonio culturale. Restano inalterate le pre-cedenti disposizioni in merito all’esercizio delle attività agro-silvo-pasto-rali e alle operazioni specificatamente forestali, come è il taglio colturale.

In merito a quest’ultimo punto si sono sviluppate linee e tesi diver-se. In selvicoltura, per tagli colturali si intendono solo quelli volti amigliorare ed a conservare il bosco, come possono essere: gli sfolli, idiradamenti, i tagli selettivi, a scelta nelle fustaie ed il taglio a sterzo nelceduo, in quanto non determinano una rottura dell’omeostasi forestaleed un’utilizzazione generalizzata del bosco. Il Pavari, insigne maestro diselvicoltura, ci ricorda: …«proprio per garantire la buona conservazio-ne forestale non vanno eseguiti tagli intensi e tali da lasciare denudatoil terreno per vaste aree. Occorre creare quanto più possibile unambiente di ombra e frescura nel soprassuolo arboreo, il che si dovreb-be poter raggiungere con una elevata densità del soprassuolo stesso».

Sull’interpretazione di cosa debba intendersi per taglio colturale unasentenza della Cassazione penale (n. 2386/1988) fornisce un eloquen-te indirizzo; si afferma, tra l’altro, che «il taglio a raso delle piante nonrientra nell’ordinario taglio colturale in quanto interessa tutte le piante

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L’ecosistema forestale, un bene tutelato (Foto C.F.S.)

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e non una parte di esse ed è idoneo per le sue caratteristiche ad espor-re a pericolo il sistema ambientale interessato nelle sue molteplici com-ponenti estetiche e naturalistiche».

Diverse Regioni, con apposite leggi e/o norme regolamentari,hanno disciplinato l’ambito e la natura degli interventi selvicolturalibisognosi e no d’essere autorizzati; ad esempio c’è il Regolamentodell’Umbria n. 7/2002 in base al quale le potature e le spalcature, leripuliture antincendio, le operazioni colturali nei castagneti da fruttonon necessitano di alcuna comunicazione o del progetto di taglio.

La Corte Costituzionale nel 1992, esprimendosi sulla legittimitàcostituzionale della L.R. Friuli Venezia Giulia, in via incidentale, hasostanzialmente stabilito che il taglio degli alberi, quando non compor-ta alterazione permanente dello stato dei luoghi e quando venga esegui-to nel rispetto delle prescrizioni forestali, rientra nel normale governodel bosco e non necessita di preventiva autorizzazione paesaggistica.Concetto questo che trova conferma nella giurisprudenza dellaCassazione Penale (sentenza n. 14292/2002).

L’orientamento più condiviso è dunque quello di considerare taglicolturali quelli già acconsentiti dalle norme forestali, oggi regionali.

Conclusivamente i boschi hanno ritrovato, dopo la depenalizzazio-ne dei reati (Legge 681/1981), già previsti dalla Legge Forestale, unarinnovata tutela penale, prima con la “Legge Galasso” e poi con il“Codice Urbani”, tanto da potersi così configurare la distruzione o ildeturpamento di bellezze naturali protette, secondo l’art. 734 delCodice Penale.

3. I boschi pubbliciIn base alla proprietà (Inventario Forestale Nazionale - 1985) in

Italia il 66% della superficie boscata appartiene ai privati, il 34% è pub-blico; di quest’ultima quota lo Stato e le Regioni posseggono il 27%, leProvince ed i Comuni il 73%, gli altri Enti il 5%.

Degli 8.675.000 ettari di boschi, la proprietà privata si estende peroltre 5.700.000 ettari, quella pubblica per quasi 3 milioni di ettari, di cui2.155.500 ettari appartengono ai Comuni e 644.400 ettari allo Stato edalle Regioni.

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Rispetto alla forma di governo si ha che le fustaie sono pressochésuddivise al 50% tra pubbliche e private, mentre i boschi cedui sonoper i due terzi di proprietà privata, anche in ragione del loro più breveturno di utilizzazione.

Di norma i boschi di proprietà pubblica formano complessi moltoestesi, superiori ai 1.500-2.000 ettari, mentre la proprietà forestale pri-vata è molto frazionata, in gran parte all’interno di piccole e medieaziende agrarie.

I risultati provvisori dell’ultimo Inventario Forestale Nazionale(maggio 2005) indicano un’estensione delle superfici boscate per oltre10 milioni di ettari, ma i parametri inventariali sono stati modificatirispetto a quelli impiegati in precedenza.

Il bosco svolge, come osservato, indipendentemente dal titolo diproprietà, una funzione d’interesse pubblico, fornendo un’utilità gene-rale, che travalica i limiti di proprietà ed i confini di uno Stato. Ne deri-va che i beni forestali sono per loro stessa natura ritenuti idonei a sod-disfare un’esigenza pubblica; anche per tale ragione, dalla Legge del1923 sino ai più recenti Regolamenti della U.E. sono state previstecospicue misure incentivanti e di sostegno per incrementare, migliora-re e tutelare le aree boscate.

La normativa sulle foreste pubbliche e quella sulle foreste privateformano, come dice Giannini, «un continuo organico per l’identità del-l’interesse pubblico di fondo», anche perché le foreste sono tutteimprenditorialmente utilizzabili, sia pur nel rispetto di precise normeregolamentari e sempre soggette ai controlli ed alla vigilanza delle auto-rità forestali e di quelle amministrative.

Secondo il Milani i beni forestali sono assimilabili ai beni demaniali,in quanto entrambi, rivestendo un particolare pubblico interesse, sonotutelati da specifiche norme anche penali, sono oggetto di regolamen-tazione, finalizzata alla loro conservazione.

Così che anche i boschi di proprietà privata, dal momento che assol-vono a finalità d’interesse generale, «assumerebbero persino il caratte-re dell’indisponibilità relativa» in quanto sarebbero strumenti dell’inte-resse pubblico.

Dice il Tamponi: «la proprietà forestale, molto più che di altri tipi di

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proprietà fondiaria, costretta com’è tra due contrastanti esigenze di sod-disfare le attese della collettività e di garantire contemporaneamente l’in-teresse del singolo, è chiamata ad esercitare una funzione sociale».

Il Sandulli concorda su tale aspetto, rilevando che «la figura delbene privato d’interesse pubblico, è chiaramente riscontrabile nei ter-reni d’interesse idrogeologico, nei boschi e nelle foreste private, poi-ché tali beni sono assoggettati ad un particolare regime di indisponi-bilità e di vigilanza».

Diversi autori sono del parere che il bosco e l’attività selvicolturale sitrovano a cavallo tra norme di carattere pubblicistico e altre di tipo pri-vatistico, che possono coesistere tra il sistema dei vincoli, il regime delleautorizzazioni e le diverse finalità del bosco – protettive, di salvaguardiaambientale ed economico-produttiva – tanto che l’interesse generale ditipo sociale ricomprende anche quello privato, relativo all’impresa agro-silvo-pastorale, individuabile nell’articolo 2135 del C.C.

Dal che deriva come «il potere del proprietario e/o imprenditoreforestale», secondo Abrami, «può esercitarsi a proprio vantaggio, soloin quanto venga contemporaneamente perseguito l’interesse pubblico

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La foresta di Vallombrosa (Foto C.F.S.)

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che risulta dalle disposizioni dell’ordinamento forestale».Le foreste che, a norma delle leggi in materia, costituiscono il dema-

nio forestale dello Stato, fanno parte, come recita l’art. 826 del C.C., delpatrimonio indisponibile dello stesso.

I boschi comunali e degli altri Enti pubblici, a differenza di quellidello Stato e delle Regioni, per usare le parole del Frassoldati, apparten-gono al patrimonio disponibile degli stessi, ovvero «non hanno per essialtro valore che quello di beni redditizi».

Sull’argomento non tutti gli autori concordano, facendo notarecome i boschi comunali gravati da “uso civico” normalmente, non pos-sono essere alienati, né soggetti a cambiamento d’uso.

Il R.D.Lg.vo 3267 del 1923 definisce compiutamente la gestione diqueste proprietà comunali e degli altri boschi pubblici, da attuarsisecondo un Piano economico, o Piano di assestamento forestale, comeavviene per i boschi del demanio statale. Tale obbligo è esteso anchealle foreste private, se realizzate con il concorso finanziario dello Stato.

I “Piani economici” degli Enti pubblici sono parificati ad ogni effet-to di legge alle “Prescrizioni di massima” valide per tutti i boschi e tra-sferiscono sul terreno un vincolo di destinazione e d’utilizzazione eco-nomica; l’obiettivo è di conciliare le esigenze economiche dell’attivitàselvicolturale, mirante a realizzare un reddito fondiario annuo il piùpossibile costante, con l’obiettivo della conservazione del bosco.

Diversamente dai boschi pubblici, soggetti alla specifica tutela tecni-co-economica, quelli privati e delle società per azioni sono sottopostisolo alla disciplina dei vincoli forestali. Negli ultimi anni le Leggi regio-nali hanno mirato ad estendere l’adozione del piano economico anche aiboschi privati, di ampie dimensioni, prevedendo specifici aiuti finanziari;così, ad esempio la Legge Regionale n. 30/1981 dell’Emilia Romagna, laL. R. n. 58/1978 del Veneto, la L.R. n. 22/1984 della Liguria.

Anche i boschi di proprietà pubblica debbono avere un’utilità eco-nomica, realizzabile, in modo organico e programmato nel tempo,tanto che secondo il legislatore del 1923 una parte dei proventi realiz-zati con i tagli straordinari dovrà essere reimpiegata in interventi dimiglioria per raggiungere i predetti obiettivi.

I Comuni, affermava già il Serpieri nel 1922, debbono conservare i

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boschi al loro patrimonio, come preziosissimo elemento di prosperitàper le loro popolazioni; ma debbono riordinarli e migliorarli, in modoche rispondano alla loro funzione.

«Per non pochi Comuni di montagna - scrive Patrone - i redditi deiboschi, mentre costituiscono una delle maggiori entrate di bilancio,vanno considerati come surrogati di imposte… ed i boschi finisconoper avere una notevole influenza anche sulla vita sociale».

Al Comune è data la facoltà di costituire “Aziende Speciali”, finaliz-zate alla gestione del patrimonio forestale; tale norma verrà resa obbli-gatoria con la Legge sulla montagna del 1952. Più Comuni o più Entimorali, pur mantenendo separata la gestione dei rispettivi patrimonisilvo-pastorali, nella forma di economia od in quella dell’Azienda spe-ciale, possono anche costituirsi in consorzio. Inoltre è prevista la pos-sibilità da parte del Ministero di costituire sui boschi e sui pascoli diproprietà dei Comuni “Distretti amministrativi” per la loro più effica-ce ed economica gestione.

La Legge del 1923 disponeva che a vigilare sull’applicazione deiPiani economici doveva essere il Corpo Forestale dello Stato, affidan-dogli il compito di avallare e tradurre in esecutività il progetto di tagliocomunale, attraverso la “martellata” delle piante da tagliare.

Tra i beni forestali pubblici vanno poi considerati quelli gravati dal-l’uso civico, ovvero da antichi diritti reali di godimento da parte dideterminate comunità su proprietà altrui in genere appartenenti aiComuni. Analogamente vanno ricordate in tale contesto le «proprietàcollettive, e fra queste sono tipiche le Comunanze Agrarie, leUniversità Agrarie, le Comunioni familiari, localizzate in alcune zonealpine, come le Regole della Magnifica Comunità cadorina». I rispettiviStatuti affermano l’inalienabilità, l’indivisibilità e la regolamentazionedei loro patrimoni silvo-pastorali.

La Legge Forestale del 1923 considera positivamente queste formeparticolari di domini collettivi e ne favorisce l’iniziativa per il loro miglio-re funzionamento rinviando ai singoli Statuti per quanto attiene leopere di miglioria da apportare, la vendita dei prodotti, il godimentodei beni comuni.

Tale impostazione trova conferma nella Legge della montagna del

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1952 e nella successiva Legge istitutiva delle Comunità Montane(Legge n. 1102 del 1971) là dove si ribadiscono per le Comunioni fami-liari montane i principi fondamentali dell’autonomia statutaria ed orga-nizzativa, già delineati.

Alle Regioni sono date competenze relativamente alla pubblicitàdegli Statuti, alla nomina delle rappresentanze legali, al potere di auto-rizzare destinazioni d’uso diverse, di tipo turistico, senza però andare aridurre il patrimonio boschivo.

Le zone gravate da uso civico e le aree assegnate alle Università agra-rie sono anche esse soggette al già ricordato vincolo paesistico di cui allaL. 431/85. Tale precetto ha sollevato non poche questioni, ma la CorteCostituzionale (sentenza n. 391 del 4 novembre 1989) ha chiarito come«la destinazione pubblica dei beni del demanio civico non si determinain funzione dell’esercizio dei diritti di uso civico, connessi a economiefamiliari di consumo sempre meno attuali, bensì in funzione dell’utiliz-zazione di tali beni a fini di interesse generale», per cui la funzione diconservazione ambientale è prevalente sull’ utilizzazione produttiva.

Il D.P.R. 616/1977 ha completato il trasferimento della materia alla

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Dolomiti Bellunesi (Foto C.F.S.)

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competenza delle Regioni, escludendo l’approvazione della legittimazionedegli usi civici, funzione questa rimasta in capo allo Stato.

4. Dalle foreste demaniali alle strutture per la biodiversitàÈ ben nota a tutti e non solo agli addetti ai lavori l’operatività della

vecchia e gloriosa Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, ufficial-mente soppressa nel 1977 con il D.P.R. n. 616.

Da questa data, sino al recente provvedimento di riordino del CorpoForestale dello Stato, avvenuto con la Legge n. 36 del 2004, sono tra-scorsi ventisette anni, tra non poche difficoltà e contraddittorietà.

Ricordiamo ancora le marcate contrapposizioni con le Regioni per ilpassaggio a quest’ultime dei beni demaniali! Ora però i rapporti sononettamente migliorati, il quadro normativo di riferimento è ben defini-to, chiarezza è stata fatta sui compiti del C.F.S.

Quest’ultimo si è conseguentemente dotato di strutture centrali eperiferiche specificatamente dedicate ed impegnate per la tutela dellabiodiversità. Uffici, questi, eredi morali dell’A.S.F.D. con il precipuocompito di tenere il passo con l’evolvere dei tempi e con le nuoverichieste di una società post-industriale e globalizzata, dove la valenzaecologica è particolarmente sentita.

Con la riforma del C.F.S. i nuovi Uffici per la biodiversità fondanodunque la loro operatività essenzialmente su quattro pilastri di prima-ria importanza:

- la salvaguardia della biodiversità animale e vegetale;- la tutela delle Riserve Naturali Statali riconosciute d’importanza

nazionale o internazionale;- lo studio e la ricerca forestale, l’educazione ambientale, intesa

sempre più come attività propedeutica di polizia preventiva;- il supporto operativo e logistico alle attività istituzionali del Corpo.Ripercorriamo la storia.L’A.S.F.D. trae origine nel 1910 con la Legge Luzzatti, ma è il Serpieri

a definirne compiutamente compiti e funzioni, prima con la Leggeforestale del 1923 che istituisce l’Azienda del demanio forestale e poicon la più specifica Legge n. 30 del 1933, che la trasforma in Aziendadi Stato per le Foreste Demaniali.

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In quegli anni intensa è l’economia montana e le foreste sono forte-mente utilizzate, pascolate, antropizzate; c’è fame di terra e il disboscamen-to è intenso, un vero pericolo per la stabilità e l’integrità del territorio.

Le foreste dello Stato da allora sono considerate beni demaniali ina-lienabili ed indisponibili, dovendo essere esempio di una buona gestio-ne e fornire l’incremento alle attività selvicolturali e al commercio deiprodotti forestali.

Con il R.D.Lg.vo n. 3267 del 1923 e più ancora con quella del 1933,il demanio forestale si amplia progressivamente; all’Azienda di Stato sichiede anche di fornire una riserva strategica di legname per i bisognidel Paese. È altresì facoltà del Ministero espropriare terreni per amplia-re le foreste demaniali.

La Legge del 1923 dà la facoltà al Ministero di fare concessioni tem-poranee di aree nei terreni amministrati dall’A.S.F.D. per edificarvialberghi, stabilimenti idroterapici o climatici, per l’esercizio di industrieforestali ed altre finalità prettamente economiche.

L’Azienda è gestita da tre Organi: il Consiglio d’Amministrazione,composto da dieci membri e presieduto dal Ministro dell’Agricoltura;il Comitato Amministrativo, di cui fa parte il Direttore Generaledell’Economia Montana e Foreste e due funzionari del Ministero delTesoro e delle Finanze; il Direttore Generale, con il compito di dareattuazione alle delibere del Consiglio e del Comitato.

L’Azienda nel 1927 assume personalità giuridica propria, con gestio-ne autonoma, alla stessa stregua di un “Ente parastatale”, equiparata allealtre Amministrazioni dello Stato per quanto attiene il regime fiscale.

In questi stessi anni all’A.S.F.D. è affidata la gestione tecnica edamministrativa dei Parchi Nazionali d’Abruzzo, dello Stelvio, del GranParadiso e del Circeo, a cui, poi, si aggiungerà il Parco della Calabria.

Nel dopoguerra la Legge della montagna del 1952, detta anche LeggeFanfani, apporta notevoli impulsi all’A.S.F.D. per darle la possibilità dinuovi acquisti immobiliari ed incrementando l’attività di rimboschi-mento e di sistemazioni idrauliche attraverso i famosi “cantieri scuola”.

Così l’Azienda può accedere a mutui presso la Cassa depositi e pre-stiti e presso altri Istituti di credito per acquistare terreni nudi, cespu-gliati, parzialmente boscati da rimboschire o per farne prati-pascolo e

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per costituirvi zone di ripopolamento e di cattura per la selvagginanobile stanziale.

Interessante è stata alla fine degli anni ’50 la proposta di legge cheintendeva trasformare l’Azienda in un Ente pubblico, posto sotto lavigilanza dell’allora Ministero delle Partecipazioni Statali, con il nomedi “Azienda Nazionale Autonoma Forestale”, alla quale far gestire, conmodalità di tipo privatistico, anche i terreni demaniali delle Regioni, deiComuni e degli altri Enti ed istituti pubblici.

Con il 2° Piano Verde (Legge 910/1966 – art. 29) l’A.S.F.D. puòulteriormente ampliare i propri obiettivi, costituendo anche vere e pro-prie aziende zootecniche, accentuando così la vocazione ad esseremodello di proposta per lo sviluppo dell’economia montana in Italia.

I terreni dell’A.S.F.D. sono considerati di diritto bandite permanen-ti dello Stato, con facoltà per l’Azienda di catturare e vendere selvaggi-na a scopo di ripopolamento.

Crescente e progressiva è l’acquisizione all’A.S.F.D. di nuovi terreni,passando dai 95.719 ettari del 1914 agli oltre 224.000 ettari del 1924,per arrivare alla massima estensione nel 1974, quando la proprietà

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Parco Nazionale dello Stelvio (Foto C.F.S.)

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demaniale, gestita dall’A.S.F.D., si sviluppa per oltre 418.000 ettari,senza contare che già erano stati trasferiti alle Regioni a Statuto Specialeoltre 99.500 ettari (al Trentino 64.814 Ha; alla Sicilia 4.865 Ha; allaSardegna 26.152 Ha; al Friuli Venezia Giulia 3.702 Ha).

Sulla base della Legge delega del 16 maggio 1970 n. 281 viene ema-nato il D.P.R. n. 11/1972 col quale si dichiara il trasferimento dei beniforestali dallo Stato alle Regioni; sono esclusi quei terreni che non ave-vano caratteristiche colturali produttive forestali ovvero che costitui-scono fasce litoranee frangivento, riserve naturali, boschi da seme, aventi finali-tà di protezione idrogeologica naturalistica e comunitaria.

Ed in tal senso ha operato intensamente in quel periodo l’A.S.F.D.,attraverso l’istituzione e l’identificazione di gran parte delle forestedemaniali in Riserve Naturali Statali. Il 1977 segna l’anno della svolta,con la soppressione dell’A.S.F.D. e con il passaggio, ope legis (D.P.R.616/1977, art. 68), alle Regioni di gran parte del demanio, per circa345.000 ettari; continua a restare una gestione residuale su una proprie-tà non superiore all’1% di quella complessiva, da destinare a scopiscientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale.

Non rientrano nel trasferimento alle Regioni a Statuto Ordinario leRiserve Naturali dello Stato ed altri ambiti protetti, le aree sperimentalidi interesse nazionale, i terreni d’interesse militare, le caserme forestali,per una consistenza complessiva di oltre 76.500 ettari, così suddivisi:

Il demanio forestale statale viene ad essere regionalizzato in massi-ma parte (tab. 1), ponendo le Regioni nella condizione di scegliere unproprio modello di gestione, che è diverso, variando dalla costituzionedi “aziende forestali regionali”, alla delega gestionale del demanioregionale agli Enti locali, Comunità Montane e Comuni.

Già anni prima le Regioni a Statuto Speciale, dove peraltro non

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Riserve Naturali Ha 71.471Superfici Interesse Militare ” 436Aree Sperimentali ” 4.560Superfici Caserme ” 21Altri Edifici ” 24Totale Ha 76.512

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opera il Corpo Forestale dello Stato, si erano viste trasferire le forestedemaniali. Fa eccezione la foresta di Tarvisio, nel Friuli-Venezia Giulia,passata per vicende storiche al Ministero degli Interni Fondo per ilculto e data in gestione all’A.S.F.D.

La soppressione dell’Azienda non ha significato, come affermaAbrami, il venir meno del demanio forestale statale, non solo perché èresiduato allo Stato quell’1% di terreni ed aree boscate di cui parla l’ar-ticolo 68, 2° comma, ma soprattutto perché il decreto delegato 616/77ha riconosciuto di proprietà statale le porzioni di foreste demaniali

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Tabella 1 - PROSPETTO RIASSUNTIVO BENI TRASFERITI ALLE REGIONI FINO AGLI ANNI ’70

Territori trasferitialle Regioni

Territori rimasti allo Stato alladata del 31/12/1978** - Ha

Ha Ha %FRIULI-V.GIULIA* 3.702 399 11VENETO 13.028 21.620 166TRENTINO-A.ADIGE* 64.814 0 0LOMBARDIA 21.580 233 1PIEMONTE 14.987 3.383 23LIGURIA 6.207 17 0EMILIA-ROMAGNA 33.916 4.508 13TOSCANA 104.796 12.423 12UMBRIA 24.630 474 2MARCHE 19.256 0 0LAZIO 11.911 3.272 27ABRUZZO 11.485 3.534 31MOLISE 1.783 665 37CAMPANIA 4.178 1.728 41PUGLIA 13.108 3.385 26BASILICATA 14.011 1.242 9CALABRIA 49.698 18.054 36SICILIA* 4.865 0 0SARDEGNA* 26.152 1.575 6

444.107 76.512 17

* Regioni a Statuto Speciale con trasferimenti avvenuti dal 1948 al 1965** Dal 1980 in poi ulteriori territori sono stati ceduti alle Regioni; nuovi territori del dema-nio marittimo, militare e dei Monopoli di Stato sono stati presi in carico a partire dal 1979(Fonte: Corpo Forestale dello Stato - Dati elaborati da M. Panella)

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costituite in riserva (integrali, orientate, di luoghi naturali ecc.).La Corte dei Conti, con decisione n. 855 del 1978, ha riconosciuto

alla soppressa Azienda la figura di Organo dello Stato, stabilendo checontinuasse con la denominazione di Gestione ex A.S.F.D.

Così dal 1° gennaio 1978 inizia la difficile gestione “ex A.S.F.D.”, suquasi 76.500 ettari tra boschi ed alcune aziende agro–zootecniche efaunistiche; terminerà solo nel 2004, con l’emanazione della recenteLegge di riordino del C.F.S.

Si è trattato di un lungo periodo transitorio durante il quale la exA.S.F.D. ha effettuato, comunque la si voglia vedere, una gestione con-servativa del patrimonio, impiegando in media circa 1.500 operai, concontratto di diritto privato, come esplicita la Legge 124 del 1985, per lagestione: di aree protette, di Riserve Naturali ed Integrali; di aree di rile-vante interesse naturalistico anche per conto del Ministero dell’Internoo di altri soggetti pubblici; di aziende pilota per la conservazione dellabiodiversità animale e per l’allevamento di cavalli da impiegare per scopiistituzionali; di centri per la produzione di sementi forestali selezionate.

Negli ultimi anni, con il manifestarsi di crescenti bisogni volti allatutela della biodiversità, e all’imporsi della “selvicoltura naturalistica”,anche l’attività gestionale dell’ex A.S.F.D. ha accelerato in tali direzioni,virando nettamente le “aziende pilota” da prototipi aventi anche risvol-ti commerciali, in Centri Nazionali per lo studio, la conservazione e lasalvaguardia del patrimonio genetico di razze in via d’estinzione o perfavorire la diffusione di fauna selvatica autoctona.

Negli anni ’90 l’Azienda allevava, in modo estensivo, fauna selvaticain propri Centri, arrivando ad avere mediamente all’anno, 1.000 capi diungulati tra daini, cervi, caprioli e 70.000 tra lepri, pernici, starne, fagia-ni, tutti animali rigorosamente di ceppo autoctono e dotati di marcatecaratteristiche di rusticità e selvatichezza, atti al ripopolamento ed allaricostituzione di particolari habitat.

Attualmente tale attività è stata fortemente ridotta nelle quantitàallevate, per privilegiare ancor più la ricerca e la sperimentazione, cosìda poter aumentare la naturalità dei riproduttori.

Vengono mantenute razze bovine minacciate d’estinzione (come adesempio la Burlina, la Modicana, la Gerolese, la Garfagnina ed altre)

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con un centinaio di capi, attuando specifici programmi di ricerca, diintesa con qualificati Istituti di ricerca.

Nel 1997 viene soppresso il bilancio autonomo dell’ex A.S.F.D., allo-cando le poste contabili direttamente all’interno dello stato di previsio-ne del Ministero per le Politiche Agricole.

Ancora oggi il principale filone di attività consiste nella gestione di130 Riserve Naturali Statali, in virtù della Legge Quadro sulle aree pro-tette ( L. 394/1991) e delle Riserve biogenetiche; queste aree sono trale meglio conservate, come rimarcano i riconoscimenti ricevuti a livel-lo internazionale.

Si ha infatti che:- 68 aree sono ricompresse nella rete europea delle riserve bioge-

netiche istituita dal Consiglio d’Europa;- 105 aree sono ricomprese nella rete Natura 2000, istituita ai sensi

della Direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habi-tat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica edelle Direttiva 79/409 CEE relativa alla conservazione degliuccelli selvatici;

- 3 aree (Circeo, Monte di Mezzo e Collemeluccio) godono del

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Foresta Umbra (Foto C.F.S.)

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riconoscimento di riserva della biosfera dell’UNESCO;- 9 aree sono riconosciute zone umide d’importanza internaziona-

le ai sensi della Convenzione di Ramsar;- 2 aree (Montecristo e Sassofratino) sono Riserve Integrali, che

hanno acquisito il Diploma Europeo istituito dal Consigliod’Europa.

I predetti ambiti, che rappresentano circa il 5% della superficie pro-tetta, ospitano quasi il 20% delle specie vegetali considerate a rischio diconservazione in Italia ed il 70% delle 88 specie di avifauna sempreoggetto a tale rischio.

Le Riserve Statali inserite in Parchi Nazionali sono 58, per un tota-le di oltre 58.000 ettari; esse sono così distribuite:

- 8 nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi- 8 nel Parco nazionale del Gargano- 7 nel Parco nazionale del Maiella- 6 nel Parco nazionale del Circeo- 5 nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi- 3 nel Parco nazionale del Pollino- 4 nel Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano- 9 nel Parco nazionale della Calabria (oggi Sila)- 2 nel Parco nazionale d’Abruzzo- 1 nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga- 2 nel Parco nazionale della Val Grande- 1 nel Parco nazionale del Vesuvio- 1 nel Parco nazionale dell’Arcipelago toscano- 1 nel Parco nazionale della MaddalenaCon il D. Lg.vo 227 del 2001 vengono riconosciuti i “Centri

Nazionali per lo studio e la conservazione della biodiversità forestale”.Trattasi delle strutture, già dell’Azienda, di Verona – Bosco Fontana,per l’ecologia forestale ed il monitoraggio faunistico; di Fogliano (LT)per lo studio dell’ittiofauna; di Peri (VR) e Pieve S. Stefano (AR) per laconservazione della genetica forestale.

Di particolare importanza e prestigio è stata l’approvazione da partedella Commissione Europea dei c.d. progetti “Life-Natura”, presentatidalle strutture del C.F.S. e finalizzati alla conservazione di alcune spe-

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cie animali a rischio d’estinzione (l’Orso bruno dell’Appennino centra-le) o di habitat dichiarati di interesse naturalistico dalla U.E.

Recentemente, con Decreto del Capo del Corpo, gli Ufficidell’A.S.F.D. hanno ceduto il passo ai nuovi Uffici centrali e perifericiper la biodiversità, che devono essere armonizzati al perseguimentodelle funzioni proprie della Legge di riordino del C.F.S.

Nelle tabelle 2 e 3 sono stati riportati, per ogni Ufficio dellaBiodiversità del C.F.S. , sia le loro principali attività, che l’ampiezza ter-ritoriale su cui le stesse attività si svolgono.

Quali le prospettive?L’Amministrazione sta lavorando per dare compiutamente attuazio-

ne alla Legge 36 del 2004, là dove dispone che sono trasferiti alle Regionied agli Enti locali le riserve naturali, nonché tutti gli altri beni che non risultinoindispensabili ai fini dello svolgimento delle attività istituzionali del CorpoForestale dello Stato.

Va però rimarcato come quasi tutti gli attuali beni demaniali, gestitidalle nuove strutture del C.F.S., siano strettamente funzionali e stru-mentali all’assolvimento dei compiti istituzionali del stesso Corpo, perperseguire compiutamente le finalità della Legge 36/04, ovvero l’edu-cazione ambientale, l’attività addestrativa e formativa, l’attività di stu-dio, la conservazione della biodiversità animale e vegetale; basi questefondanti i nuovi e riorganizzati Uffici per la biodiversità.

Sul trasferimento delle Riserve Naturali interne in tutto o in parte aiParchi Nazionali, pari ad oltre 58.000 ettari, l’Amministrazione ha giàavviato una opportuna interlocuzione col Ministero dell’Ambiente econ gli Enti Parco per verificare la possibilità di una fattiva collabora-zione tra i vari soggetti interessati, aventi tutti il comune obiettivo: latutela ambientale.

Pare inoltre di indubbia importanza ampliare, d’intesa con ilMinistero dell’Ambiente, la rete dei Centri Nazionali per lo studio e laconservazione della biodiversità forestale.

Conclusivamente si può affermare come il Corpo Forestale delloStato si stia attrezzando nel miglior modo, per fronteggiare e soddisfa-re i cambiamenti della società, le sfide incombenti, le crescenti e muta-te esigenze della nostra Comunità Nazionale.

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Tabella 2 - UFFICI DELLA BIODIVERSITÀ - PRINCIPALI ATTIVITÀ

U.T.B.Gestione

AreeProtette

Programmie ricerca

Flora-Fauna

ProgettiLIFE

Centri NazionaliConservaz.Biodiversità

EducazioneDivulgazione

StruttureScuolaCFS

CentriIppici

GruppiCinofili

CASALE MONF. OOOO OOOO

TARVISIO OOOO OOOO OOOO OOOO

BELLUNO OOOO OOOO OOOO OOOO OOOO

VITTORIO VENETO OOOO OOOO OOOO OOOO

VERONA OOOO OOOO OOOO OOOO OOOO

PARMA OOOO OOOO OOOO OOOO

PUNTA MARINA OOOO OOOO OOOO OOOO

CECINA OOOO OOOO

FOLLONICA OOOO OOOO OOOO OOOO OOOO

LUCCA OOOO OOOO OOOO

PISTOIA OOOO OOOO OOOO

PIEVE S. STEFANO OOOO OOOO OOOO OOOO

PRATOVECCHIO OOOO OOOO OOOO

SIENA OOOO OOOO OOOO OOOO OOOO

VALLOMBROSA OOOO OOOO OOOO

CASTEL DI SANGRO OOOO OOOO OOOO OOOO OOOO

L'AQUILA OOOO OOOO OOOO

PESCARA OOOO OOOO OOOO

PERUGIA OOOO OOOO

ROMA OOOO OOOO OOOO

SABAUDIA OOOO OOOO OOOO OOOO

CASERTA OOOO OOOO OOOO

POTENZA OOOO OOOO OOOO

ISERNIA OOOO OOOO OOOO

FORESTA UMBRA OOOO OOOO OOOO OOOO

MARTINA FRANCA OOOO OOOO OOOO

CATANZARO OOOO OOOO OOOO

COSENZA OOOO OOOO OOOO OOOO OOOO

MONGIANA OOOO OOOO OOOO OOOO OOOO

REGGIO CALABRIA OOOO OOOO

(Fonte: Corpo Forestale dello Stato - Dati elaborati da M. Panella)

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Tabella 3 - UFFICI DELLA BIODIVERSITÀ - DATI TERRITORIALI

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Terreniamministrati

(ha)

Riserve Naturali dello StatoRiserve

Biogenetiche(ha)

Siti diImportanzacomunitariaNatura 2000

(ha)

Totale(ha)

Entro i ParchiNazionali

(ha)

CASALE MONF. 3.383 3.383 3.383 3.383 3.383

TARVISIO 23.200 399 0 399 378

BELLUNO 17.150 17.120 15.985 17.120 17.120

VITTORIO VENETO 2.339 2.337 0 2.337 2.337

VERONA 241 233 0 233 233

PARMA 306 306 289 306 306

PUNTA MARINA 3.816 3.682 0 3.682 3.682

CECINA 594 594 0 594 478

FOLLONICA 3.893 3893 2.614 3.294 3.187

LUCCA 1.195 1.195 498 999 1.308

PISTOIA 1.553 1.515 0 1.515 1.273

PIEVE S. STEFANO 1.892 165 0 165 1.206

PRATOVECCHIO 5.315 5.315 5.315 5.315 5.315

SIENA 1.789 1.444 0 909 575

VALLOMBROSA 1.326 1.279 0 1.279 1.279

CASTEL DI SANGRO 7.567 5.040 1.488 4.555 6.472

L’AQUILA 2.671 1.600 1.622 0 2.577

PESCARA 11.734 11.616 11.596 9.778 11.712

PERUGIA 474 0 0 0 474

ROMA 182 170 0 0 170

SABAUDIA 4.945 3.401 3.401 0 4.945

CASERTA 1.732 1.728 1.005 1.460 1.728

POTENZA 1.199 927 212 667 703

ISERNIA 1.217 1.217 0 374 665

FORESTA UMBRA 6.351 6.351 2.268 5.939 6.290

MARTINA FRANCA 2.350 2.350 0 2.350 2.293

CATANZARO 6.247 2.086 2.086 2.086 6.247

COSENZA 12.770 7.385 6.970 7.385 11.895

MONGIANA 1.929 1.494 0 1.494 608

REGGIO CALABRIA 2.871 0 0 0 2.871

(Fonte: Corpo Forestale dello Stato - Dati elaborati da M. Panella)

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Note

1 Il sorrenamento è lo spostamento ad opera del vento delle dune e della sabbia lungo i lito-ranei.

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