PRIMO PERCORSO La promessa dell'immortalità Somnium...

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PRIMO PERCORSO La promessa dell'immortalità nel Somnium Scipionis OPERE FILOSOFICHE E FILOSOFICO-POLITICHE Somnium Scipionis LA SUBLIMAZIONE DEI VALORI REPUBBLICANI Il Somnium Scipionis è la parte finale del De re publica, il dialogo in sei libri che riassume e dibatte le vedute dell'antichità classica in tema di governo. Composto tra il 54 e il 51 a.C., il De re publica segnò un momento di crisi della vicenda politi- ca di Cicerone e della stessa repubblica. Erano gli anni in cui Cesare si preparava al duello de- cisivo con Pompeo, e Cicerone, che ormai aveva percorso con successo e non senza incidenti il cursus honorum, cercava o si illudeva di trovare uno spazio di mediazione tra i due. Il suo obiettivo era quello di non essere definitivamente emarginato dalla scena politica e di conte- nere le spinte eversive che stavano mettendo in forse la salute dello stato stesso, al cui servi- zio Cicerone militava da un trentennio. All'interno dell'opera, il Somnium Scipionis presenta una serie di profezie e di norme di comportamento che si immaginano rivelate in sogno a Scipione Emiliano dal nonno adot- tivo Scipione Africano e dal padre Lucio Emilio Paolo. Lo scritto, dunque, riprende ed esalta, associandoli alla figura dell'Emiliano vissuto un secolo prima, tutti i valori legati alla forma repubblicana, che ormai da tempo aveva iniziato la sua lunga agonia. In esso, l'elogio dell'uomo di governo trascende l'ambito profano dei valori puramente civili, ereditati anche Il Somnium Scipionis Cornice narrativa: il colloquio di Scipione Emiliano con Masinissa Paragrafo 1: Incontro con Masinissa. Paragrafo 2: Masinissa invita a cena l'Emiliano e Il sogno di Scipione Emiliano • Predizioni dell'Africano Paragrafo 3: L'Africano predice al nipote una gloriosa carriera politica. Paragrafo 4: Profezia della morte violenta dell'Emiliano. Paragrafo 5: Ai benemeriti della patria è riser- vata eterna beatitudine in cielo. Intermezzo Paragrafo 6: Compare all'Emiliano l'ombra del padre Lucio Emilio Paolo. Paragrafi 7-8: Emilio Paolo esorta Scipione a perseverare nella giustizia, in attesa di raggiun- gere la sede dei beati nella Via Lattea. • Continua la profezia dell'Africano Paragrafo 9: L'Africano illustra il sistema delle nove sfere celesti. Paragrafi 10-11: L'Emiliano ode l'armonia musi- cale prodotta dalla rotazione delle sfere. Paragrafo 12: La vanità della gloria umana. Paragrafi 13-14: Descrizione delle cinque zone in cui è suddivisa la Terra e degli ostacoli natu- rievoca la figura di Scipione Africano. Questo compare in sogno a Scipione Emiliano. rali che si oppongono alla diffusione della gloria umana. Paragrafi 15-16: La gloria umana non può dura- re perché il mondo è soggetto a cataclismi pe- riodici che delimitano il 'grande anno' cosmico. Paragrafo 17: L'Emiliano non deve aspirare alla gloria terrena, ma alla vera immortalità nelle sfere celesti, che si consegue con la pratica del- la virtù. Paragrafo 18: L'anima dell'uomo è immortale e partecipe della natura divina. Paragrafi 19-20: Dimostrazione dell'eternità dell'anima. Paragrafo 21: Conclusione: esercitando la virtù al servizio dello stato e mantenendosi immuni dalla contaminazione corporea si può raggiun- gere più speditamente la dimora celeste. Fine del sogno Paragrafo 21 (ultima frase): Il fantasma dell'Africano scompare. Primo Percorso 251

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PRIMO PERCORSO

La promessa dell'immortalità nel Somnium Scipionis

OPERE FILOSOFICHE E FILOSOFICO-POLITICHE Somnium Scipionis

LA S U B L I M A Z I O N E DEI V A L O R I R E P U B B L I C A N I Il Somnium Scipionis è la parte finale del

De re publica, il dialogo in sei libri che riassume e dibatte le vedute dell'antichità classica in

tema di governo.

Composto tra il 54 e il 51 a.C., il De re publica segnò un momento di crisi della vicenda politi-

ca di Cicerone e della stessa repubblica. Erano gli anni in cui Cesare si preparava al duello de-

cisivo con Pompeo, e Cicerone, che ormai aveva percorso con successo e non senza incidenti

il cursus honorum, cercava o si illudeva di trovare uno spazio di mediazione tra i due. Il suo

obiettivo era quello di non essere definitivamente emarginato dalla scena politica e di conte-

nere le spinte eversive che stavano mettendo in forse la salute dello stato stesso, al cui servi-

zio Cicerone militava da un trentennio.

All'interno dell'opera, il Somnium Scipionis presenta una serie di profezie e di norme di

comportamento che si immaginano rivelate in sogno a Scipione Emiliano dal nonno adot-

tivo Scipione Africano e dal padre Lucio Emilio Paolo. Lo scritto, dunque, riprende ed

esalta, associandoli alla figura dell'Emiliano vissuto un secolo prima, tutti i valori legati alla

forma repubblicana, che ormai da tempo aveva iniziato la sua lunga agonia. In esso, l'elogio

dell'uomo di governo trascende l'ambito profano dei valori puramente civili, ereditati anche

Il Somnium Scipionis

Cornice narrativa: il colloquio di Scipione Emiliano con Masinissa Paragrafo 1: Incontro con Masinissa. Paragrafo 2: Masinissa invita a cena l'Emiliano e

Il sogno di Scipione Emiliano • Predizioni dell'Africano Paragrafo 3: L'Africano predice al nipote una gloriosa carriera politica. Paragrafo 4: Profezia della morte violenta dell'Emiliano. Paragrafo 5: Ai benemeriti della patria è riser-vata eterna beatitudine in cielo. • Intermezzo Paragrafo 6: Compare all'Emiliano l'ombra del padre Lucio Emilio Paolo. Paragrafi 7-8: Emilio Paolo esorta Scipione a perseverare nella giustizia, in attesa di raggiun-gere la sede dei beati nella Via Lattea.

• Continua la profezia dell'Africano Paragrafo 9: L'Africano illustra il sistema delle nove sfere celesti. Paragrafi 10-11: L'Emiliano ode l'armonia musi-cale prodotta dalla rotazione delle sfere. Paragrafo 12: La vanità della gloria umana. Paragrafi 13-14: Descrizione delle cinque zone in cui è suddivisa la Terra e degli ostacoli natu-

rievoca la figura di Scipione Africano. Questo compare in sogno a Scipione Emiliano.

rali che si oppongono alla diffusione della gloria umana. Paragrafi 15-16: La gloria umana non può dura-re perché il mondo è soggetto a cataclismi pe-riodici che delimitano il 'grande anno' cosmico. Paragrafo 17: L'Emiliano non deve aspirare alla gloria terrena, ma alla vera immortalità nelle sfere celesti, che si consegue con la pratica del-la virtù.

Paragrafo 18: L'anima dell'uomo è immortale e partecipe della natura divina. Paragrafi 19-20: Dimostrazione dell'eternità dell'anima.

Paragrafo 21: Conclusione: esercitando la virtù al servizio dello stato e mantenendosi immuni dalla contaminazione corporea si può raggiun-gere più speditamente la dimora celeste.

Fine del sogno Paragrafo 21 (ultima frase): Il fantasma dell'Africano scompare.

Primo Percorso 251

dalla tradizione greca, per sublimarli sub specie aeternitatis in una sanzione mistica e divii

che riconosce ai benemeriti della patria il compenso della beatitudine celeste.

IL L E G A M E T E M A T I C O C O N IL DE RE PUBLICA Il Somnium occupa i capitoli 9-26 (parr. 9-2

del libro VI del De re publica (indicati tra parentesi nella numerazione). Anche se ci è giuri

come trattazione a sé stante, il suo significato è da valutare in rapporto con l'opera complet

della quale riassume tutte le principali tematiche e le lega in una prospettiva di superiore unii

Il libro I del De re publica, infatti, definisce il concetto di stato e illustra le tre forme di gì

verno (monarchia, aristocrazia e democrazia) indicando come soluzione ottimale il model

misto, che Cicerone vedeva realizzato nella costituzione romana. L'opera continua poi trattar

do della giustizia come fondamento dello stato e in particolare delineando la figura del prina

ps o moderator rei publicae come cittadino garante dell'ordine al di sopra delle parti.

Nel Somnium tutti questi temi puntualmente ritornano, dalla teoria della costituzione mist

alle problematiche relative, alla politica interna ed estera alla riflessione sulla figura del per

fetto uomo di governo: il personaggio che garantisce unità e coesione al complesso - protago

nista del De re publica come del Somnium - è Scipione Emiliano, nel quale Cicerone ve

deva riassunte tutte le principali prerogative del moderator rei publicae.

LA TRADIZIONE SEPARATA DEL SOMNIUM SCIPIONIS Somnium Scipionis non è il titolo originale d

queste pagine. Esso non risale a Cicerone - che non l'aveva concepito come un'opera a sé stante

ed è probabile che sia stato formulato all'atto del distacco dal De re publica di cui era parte. I mo-

tivi della tradizione separata del Somnium sono da ricercare nella peculiare natura di questo te-

sto nei confronti dell'opera complessiva. Il De re publica illustrava un modello di costituzione re-

pubblicana che di fatto era già superato nell'epoca in cui il libro veniva composto: esso non poteva

dunque riscuotere interesse nell'età dell'impero, quando il solo fatto di appellarsi alla visione cice-

roniana dello stato poteva apparire indice di un'opposizione al principato. Il Somnium, al contra-

rio, con la speculazione sull'immortalità dell'anima e con il suo misticismo, non poteva passa-

re inosservato da parte dei pensatori neoplatonici e cristiani dei primi secoli dopo Cristo. Non è da

sottovalutare, per un'epoca come la tarda antichità, che prediligeva le summae e i compendi, il

pregio della brevità e della maneggevolezza di un'opera che riassumeva il misticismo platonico e

pitagorico, richiamava la speculazione astronomica con spunti di teoria musicale e forniva un fan-

tasioso quadro escatologico di sapore premedievale (vd. L'opera nel tempo, pp. 262-263).

LA F O R T U N A D E L L ' O P E R A Questo particolare apprezzamento assicurò al

Somnium una tradizione indipendente da quella del De re publica. All'inizio del V secolo

d.C., l'erudito Teodosio Macrobio compose due libri di Commentarii in Somnium

Scipionis, grazie ai quali il Somnium non solo fu letto nella tarda antichità e nel Medioevo,

ma è disponibile anche per noi in numerosi codici. Il De re publica, invece, fu conosciuto fino

al VII secolo d.C., poi se ne persero le tracce per tutto il Medioevo e il Rinascimento fino al

1819, quando venne riscoperto da Angelo Mai nel codice palinsesto (un codice di pergamena

raschiato e riscritto) Vaticano Latino 5757 e pubblicato in prima edizione nel 1822.

Per leggere il testo

Per approfondire

Per il testo critico: E. Bréguet, «Les Belles Lettres», Paris 1981. Per la traduzione italiana: L. Ferrerò nel primo volume delle Opere politiche e filosofiche di M. T. Cicerone, UTET, Torino 1974; F. Stok, Marsilio, Venezia 1993.

A questioni esegetiche particolari risponde il commento scientifico a cura di A. Ronconi: Cicerone, Somnium Scipionis, Le Monnier, Firenze 1961. Dello stesso Ronconi si può vedere l'articolo Osservazioni sulla lingua del «Somnium Scipionis» nel volume complessivo Interpretazioni grammaticali, Ateneo, Roma 19712, pp. 61-80. Sull'età scipionica si può vedere P. Grimal, Il secolo degli Scipioni, trad. it., Paideia, Brescia 1981 : una rassegna sistema-tica, ma di agevole lettura, di tutti gli aspetti peculiari dell'epoca cui idealmente si riferisce il Somnium. Dalla profezia della morte dell'Emiliano prende spunto R. Montanari Caldini, Necessità e libertà nel Somnium Scipionis: la morte dell'Emiliano, in «Atene e Roma» 1984, pp. 17-41, per poi estendere l'analisi a un'ampia ricognizione sul tema del destino. A far luce sulla situazione di Cicerone nel contesto delle vicende politiche contemporanee alla stesura del De re publica possono servire le pp. 172-178 di S. L. Utcenko, Cicerone e il suo tempo, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1975.

252 Cicerone

La profezia di Scipione Africano

• I primi due paragrafi del Somnium introducono la rivelazione dei premi oltremondani riservati ai benemeriti della patria. A questo scopo Cicerone ricorre a un espediente: Scipione Emiliano racconta un sogno da lui fatto nel 149 a.C., quando si trovava in Africa presso il re di Numidia Masinissa per partecipare alla terza guerra punica. In tale visione gli era apparso il nonno adottivo Scipione Africano, che gli aveva fatto una predizione.

• I paragrafi 3-4, qui riportati, contengono la parte preliminare della predizione di Scipione Africano, il quale dall'alto della Via Lattea rivela al nipote la gloriosa carriera politica che gli è destinata e la morte violenta che a essa seguirà.

La morte dell'Emiliano nel 129 a.C. viene da Cicerone inquadrata nel clima di turbolenza poli-tica e di vendetta familiare che era venuto creandosi negli anni difficili seguiti alla riforma a-graria fatta approvare dal cognato Tiberio Gracco, proprio quando si pensava da parte aristo-cratica che la dittatura di Scipione, ritenuto T'uomo forte' del momento, potesse mettere fine ai conflitti sociali destinati a provocare, a lungo termine, la fine della repubblica (vd. Storia Costume Società, pp. 256-257).

2,3 (11) "Videsne illam urbem, quae parere populo Romano

coacta per me renovat pristina bella nec potest quie-

scere?". Ostendebat autem Karthaginem de excelso et

pieno stellarum, illustri et claro quodam loco. "Ad

quam tu oppugnandam nunc venis paene miles, hanc

hoc biennio consul evertes, eritque cognomen id tibi

per te partum quod habes adhuc a nobis hereditarium.

2,3. (11) "Vedi quella città1 che, costretta per opera mia

a obbedire al popolo romano, rinnova le antiche guerre2

e non r i esce a s ta re t ranqu i l l a? " . In tanto Ind icava

Cartagine da un luogo elevato e pieno di stelle, lumino-

so e splendente"3 ."Questa città che ora, poco più che

semplice soldato, tu vieni ad assediare, come console

tra due anni la distruggerai4, e otterrai, guadagnato per I

2, 3 (11). "Videsne: in-terrogativa diretta segnata dall'enclitica -ne: anche se la domanda attende rispo-sta affermativa, usualmen-te introdotta da nonne, Videsne contrassegna l'in-terrogazione debole. - il-lam urbem: cioè Cartagi-ne. Scipione parla dall'alto della Via Lattea e pertanto il dimostrativo illam indi-cherà la lontananza della Terra, anche se non è da escludere che il pronome stia semplicemente a indi-care che la città di Carta-gine è ben nota: si potrà dunque tradurre «quella città» o «la città». - per me: «per opera mia». L'accusativo con per ren-de meglio di un eventuale complemento d'agente espresso in a + ablativo la partecipazione diretta di Scipione alla sottomissio-ne di Cartagine dopo la vittoria di Zama (202 a.C.). - quodam: il prono-

me indefinito quidam in-dividua l'oggetto a cui si riferisce, ma non lo speci-fica: il luogo, ossia la Via Lattea, è dunque lasciato per il momento indetermi-nato (quodam), con la so-la funzione, di contrappor-re Cartagine, città terrena, alla «vera Terra» celeste. -"Ad quam... venis... hanc... evertes: l'orga-nizzazione del periodo è fondata sulla prolessi del relativo Ad quam, ripreso dal dimostrativo hanc, che con il seguente hoc dà luogo a una figura di po-liptòto. Il tono oracolare della rivelazione suggeri-sce un'accurata elabora-zione formale, che si ri-scontra nel chiasmo op-pugnandam... miles... consul evertes, nella kli-max oppugnandam... evertes e nella relazione /opposizione tra la condi-zione presente, espressa da nunc, e il futuro pros-

simo, evocato da hoc biennio. - paene miles: Scipione ricopriva allora (nel 149, quando è ipotiz-zato il sogno) solo il grado di tribuno, una magistra-tura militare minore, an-che se aveva già un ruolo di comando. Infatti era ad-detto alla IV legione con il console Manio Manilio du-rante le prime azioni della terza guerra punica. - tibi per te partum: lett. «e sarà prodotto a te per mezzo tuo», cioè «e avrai ottenuto per i tuoi meriti». Il costrutto pleonastico, marcato da una forte allit-terazione, insistendo sul pronome di 2a persona singolare vuole rendere l'i-dea del merito personale dell'Emiliano. Il participio funge da predicato nomi-nale di erit e non dà luogo a un futuro anteriore pas-sivo. - hereditarium: il concetto è che, grazie alle benemerenze che acqui-

m Cioè Cartagine (in lat. illam urbem). È l 'Africano che, come risulterà chiaro dal par. 8, parla dall'alto del-la Via Lattea.

[ T I Cioè riprende le ostilità che dopo le prime due guer-re puniche, combattute ri-spet t ivamente dal 264 al 241 e dal 218 al 201 a.C., sembravano cessate defini-tivamente. Il giudizio, oltre a essere vistosamente di par-te in quanto r ispecchia il punto di vista senatorio ac-colto da Cicerone, è storica-mente infondato. In realtà i car tag ines i , che dopo la sconfitta di Zama si erano ben presto risollevati, co-stretti nell 'arco di un cin-quantennio a ripetute ces-sioni territoriali a causa del-la prepotenza del re della Numidia Masinissa, appog-giato da Roma, erano ricorsi alle armi dopo che l'amba-sceria guidata da Catone

nel 153 aveva persuaso il senato all'intervento. La no-ta frase di Catone censeo Carthaginem delendam es-se esprimeva il timore che la prosperità di Cartagine potesse costituire ancora una ser ia minacc ia per Roma, soprattutto se fosse-ro nate coalizioni con altri fronti di guerra.

|~3l Questo luogo è la Via Lattea, che secondo le cre-denze pitagoriche era sede delle anime degli eroi, come si dirà nel par. 8.

[ T I In realtà, la distruzione di Cartagine avvenne non due ma tre anni dopo, nel 146, quando Scipione era proconsole; forse, però, la precisazione dell 'Africano allude al fatto che già nel 147, durante il suo consola-to, Scipione impresse una svolta risolutiva alle opera-zioni di guerra.

Primo Percorso 253

Cum autem Karthaginem deleveris, triumphum

egeris, censorque fueris et obiéris legatus

Aegyptum, Syriam, Asiara, Graeciam, deligére

iterum cónsul absens bellumque maximum

conficies, Numantiam exscindes. Sed cum eris

curru in Capitolium invectus, offendes rem pu-

blicam consiliis perturbatam nepotis mei.

tuoi meriti, il soprannome di Africano che ora porti come eredita

da me. Quando poi avrai distrutto Cartagine, avrai celebrato

trionfo5 e sarai stato censore6 , e ti sarai recato come ambasciato

in Egitto, in Siria, in Asia e in Grecia7, sarai fatto console per la s

conda volta8 pur non essendo presente alle elezioni, e porrai term

ne a una guerra disastrosa, distruggerai Numanzia9 . Ma quand

sarai portato in Campidogl io sul carro trionfale, troverai lo stato tu

bato dai piani di mio nipote10.

sirà nella distruzione di Cartagine, l'Emiliano sarà degno di assumere di per-sona il soprannome di Africano che pure già por-ta in quanto nipote adotti-vo dell'Africano stesso, cui era stato conferito nel 201 in occasione del trionfo dopo la battaglia di Zama. Avo e nipote vennero in-fatti distinti con gli ulte-riori appellativi rispettiva-mente di Africano Maggio-re e Africano Minore. -Cum autem... deligere: la subordinata, una propo-sizione temporale retta da Cum con quattro futuri anteriori che indicano azioni precedenti rispetto al futuro semplice deli-gere (= deligèris) della principale, è ritmata, in geometrica concinnitas,

5li omeoteleuti delle de-sinenze verbali deleveris, egeris, fueris, obieris e suddivisa nel suo inter-no in due kola: il primo, bimembre in asindeto CKarthaginem deleveris, triumphum egeris), indi-ca l'attività militare, l'altro, pure bimembre in polisin-deto e legato al primo dal-la congiunzione enclitica -que {censorque fueris et obieris legatus'), indica l'attività politica. La frase principale con la notizia del secondo consolato se-gna il culmine del cursus honorum dell'Emiliano. -obieris: futuro anteriore di obeo («ti sarai recato») costruito con l'accusativo del luogo. - exscindes: futuro da exscindo («fac-cio a pezzi», quindi «an-

niento»), si addice bene a un evento radicale come la distruzione di Numan-zia. - cum eris curru... invectus: il costrutto sembra da intendere, me-glio che come futuro ante-riore, come predicato no-minale, analogamente a erit... partum all'inizio del capitolo. La perifrasi curru... invectus («por-tato sul carro») sembra esprimere la portata solo formale di quel trionfo, che di fatto dovette consi-stere in una pura e sem-plice sfilata, senza poter esibire bottino perché i numantini avevano incen-

' diato la loro città prima di arrendersi: Scipione aveva dovuto provvedere a sue spese a un donativo per i soldati.

[ T I Nel 146, dopo la distru-zione di Cartagine e la co-st i tuzione della provincia d'Africa.

[ 6 1 Scipione ricevette l'in-carico nel 142 ed ebbe co-me collega Lucio Mummlo, il distruttore di Corinto (146 a.C.); esercitò la magistratu-ra con severità e cercò di porre argini al lusso che or-mal si stava diffondendo in Roma con grave pregiudizio per l'integrità morale.

m Per incarico del senato e probabilmente allo scade-re della carica di censore, Scipione condusse un'in-chiesta sulle condizioni poli-tiche delle regioni orientali dell'impero e degli alleati di Roma, recandosi di persona in Egitto, Siria, Asia Minore e Grecia. Probabilmente si trattò di una missione diplo-matica a scopo informativo e di controllo sulle monar-chie ellenistiche.

I T I Lelezione a console per la seconda volta, avvenuta nel 134, sembra dovuta a una procedura eccezionale in quanto vi era una legge del 151 che vietava l'iterazio-ne delle cariche: essa viene attribuita alla speranza che Scipione risolvesse l'assedio di Numanzia che durava or-mai da quattro anni.

[~9~1 La caduta di Numanzia, roccaforte dei celtibèri nel cuore della Spagna Tarraco-nense, avvenne, dopo un guerra decennale, nel 133, quando gli eroici difensori, stretti d'assedio per otto me-si da Scipione con un eserci-to di 60 000 uomini, giunsero

al punto di cibarsi dei rad veri dei caduti, poi diede fuoco alle proprie case e masero in gran parte sepo sotto le macerie. Il trionfo Numanzia, celebrato n 132, conferì a Scipione il tit lo di Numantinus e segnò I' pice della carriera e della ma dell'Emiliano, ma dovev aver suscitato dubbi già ne l'antichità circa la giustificab lità di quel tragico assedi Intanto si trattò di un trìum phus... tantum de nomiti (come scrive Floro II 18 cioè solo di nome, senz bottino, visto che tutto vi e andato distrutto, ma anche credibilità di soluzioni radica come quella presa pe Numanzia, che faceva segu to alla distruzione di Carta giné e di Corinto, doveva 0 mai vacillare. Infatti per affé maria Cicerone stesso in D officiis I 34 deve porre nu mantini e cartaginesi tra i ne-mici crudeles e inmanes e 138 attribuire contro ogni ve-rosimiglianza storica la d struzione dei celtibèri a un lotta per la sopravvivenza Roma stessa.

[101 SI tratta di Tiberio Gracco, figlio di Cornelia, sua volta figlia dell'Africano e cognato dell'Emiliano die ne aveva sposato la sorella Sempronia. Quelle che un conservatore come Cicero-ne chiama in senso dispre-giativo Consilia («macchina-zioni», «piani») sono le pro-poste di legge agraria ohe Tiberio Gracco aveva fatto approvare nel 133 a.C. in qualità di tribuno della plebe (vd. Storia Costume Socie-tà, pp. 256-257).

254 Cicerone

(12) Hie tu, Africane, ostendas oportebit patriae

lumen animi ingeniique tui consiliique. Sed eius

temporis ancipitem video quasi fatorum viam.

Nam cum aetas tua septenos octiens solis an-

fractus reditusque converterit, duoque hi numeri,

quorum uterque plenus alter altera de causa ha-

betur, circuitu naturali summam tibi fatalem con-

fecerint, in te unum atque in tuum nomen se tota

convertet civitas, te senatus, te omnes boni, te

socii, te Latini intuebuntur, tu eris unus in quo ni-

tatur civitatis salus, ac, ne multa, dictator rem

publicam constituas oportet, si impias propin-

quorum manus effugeris".

4. (12) A questo punto tu, Africano11, bisognerà che dimostri alla

patria tutta la luce del tuo coraggio e del tuo ingegno, e anche

del tuo senno. Ma di quel tempo vedo dubbia quella che si po-

trebbe dire la via del destino. Infatti, quando la tua età avrà per-

corso per otto volte sette giri e rivoluzioni del Sole12 e quando

questi due numeri, del quali l 'uno e l'altro, per diversi motivi, si

considerano perfetti13, avranno compiuto con il loro naturale per-

corso la somma degli anni stabilita dal fato, a te solo e al tuo no-

me si volgerà tutta la città14, a te il senato, a te tutti i buoni "citta-

dini, a te gli alleati, a te i latini guarderanno, tu sarai II solo a cui

possa appoggiarsi la salvezza dello stato e, per non farla troppo

lunga, bisogna che tu come dittatore riordini lo stato15, qualora

s i a r i usc i t o a s f u g g i r e a l le e m p i e m a n i de l tuo i pa ren t i " .

2, 4 (12). Hic: avverbio dimostrativo con valore temporale: «qui», cioè «in queste circostanze», quan-do l'Emiliano avrà fatto ri-torno a Roma dopo la pre-sa di Numanzia (133 a.C.). - tu, Africane: sta par-lando l'Africano Maggiore e il vocativo Africane è dunque riferito a Scipione Emiliano Africano Minore con la funzione psicologi-ca di rammentargli il suo passato di gloria militare perché si impegni a dare prova di pari virtù politica.

- ostendas oportebit: oportet, che indica perlo-più una convenienza mo-rale, si costruisce di solito con il congiuntivo senza ut. - eius temporis: di qui in avanti il discorso si fa involuto, sia per imitare una certa oscurità di taglio oracolare sia, più probabil-mente, per la complessità degli eventi stessi, relativi agli ultimi anni della vita di Scipione, cioè dal 133 alla morte, avvenuta nel 129 a.C. - ancipitem: ag-gettivo composto da am-bo e caput, quindi etimo-logicamente «a due te-ste», ma in senso generale «ambiguo», «dubbio», «in-certo». - solis anfractus reditusque: la perifrasi sta a significare gli anni: anfractus indica la curva che si immaginava il Sole compisse nel suo giro in-

torno alla Terra da uno al-l'altro tropico; reditus, in-vece, potrebbe rappresen-tare il movimento del Sole in direzione opposta, cioè il giro di ritorno dopo il solstizio, oppure, più sem-plicemente, potrebbe co-stituire una coppia sinoni-mica con anfractus per dire che a ogni giro com-pleto il Sole ritorna nel punto di partenza. - te se-natus, te omnes boni, te socii, te Latini: il te-trakolon (serie di quattro membri di frase), caratte-rizzato dall'anafora del pronome te, che pone in risalto la figura dell'Emi-liano, e dall'asindeto, svol-ge la funzione logica e re-torica di elencare le classi sociali che guarderanno (intuebuntur) a Scipione come all'unico capace di salvare la situazione di cri-si determinata dal proget-to di riforma graccano. Esse sono, in primo luogo, i gruppi conservatori del-l'oligarchia senatoria ([se-natus), perlopiù coinci-denti con quelli che Cice-rone solitamente chiama boni (qui omnes boni), cioè gli ottimati, l'aristo-crazia nobiliare che dete-neva Yager publicus e quindi si vedeva colpita nei suoi interessi. I socii, poi, sono gli alleati italici tra i quali si distinguevano i latini legati a Roma da

rapporti particolari: essi erano danneggiati dalla legge agraria in quanto erano detentori di ager publicus, perciò soggetti a espropriazione, ma esclusi dalle nuove distri-buzioni, riservate ai citta-dini di pieno diritto. - in quo nitatur: relativa im-propria con il congiuntivo di valore consecutivo. È stato osservato che il ver-bo nitor, «mi appoggio», «mi sforzo», può prestarsi a un sottile gioco di parole sul termine Scipio, che come nome comune signi-fica «bastone», «appog-gio», come a dire che Scipione farà appunto da Scipio, da «sostegno» del-lo stato. - ne multa: frase parentetica con sottinteso dicam. - si... effugeris": la proposizione ipotetica è un controsenso logico do-po che è stato detto che la morte dell'Emiliano è or-mai predestinata. In realtà questa protasi, con il futu-ro anteriore («se sarai riu-scito a sfuggire») per se-gnare l'anteriorità rispetto al presente oportet, sem-bra un artificio retorico volto a introdurre il so-spetto che quella di Scipione sia stata una morte violenta, preparata tra le pareti domestiche, come dice l'espressione impias propinquorum manus, «le mani empie

[Ti] Da in tenders i come Africano Minore, cioè l'Emi-liano.

[121 Cioè a cinquantasei an-ni. La perifrasi e il ricorso a numeri mistici sono propri del linguaggio delle profe-zie.

[ Ì 3 l Cicerone non spiega perché i due numeri debba-no considerarsi perfetti, ma possono valere le ragioni addotte dal suo commenta-tore Macrobio: il sette risulta dalla somma del tre - nu-mero perfetto che ha in sé il principio, il centro e la fine -con il quattro che rappre-senta gli e lement i fonda-mentali: terra, acqua, aria e fuoco; l'otto è perfetto per-ché otto punti delimitano il cubo. Queste spiegazioni affondano le loro radici nel pitagorismo, che trasmise all'Occidente l'antichissima credenza orientale nel valo-re magico dei numeri, desti-nata a sopravvivere a lungo nel Medioevo latino.

[141 Negli anni dal 132 al 130 l'Emiliano avrà goduto principalmente del favore del partito aristocratico e dei possidenti. In particolare, a vantaggio di questi nel 129 a.C. egli era riuscito a impe-dire l'applicazione della leg-ge agraria di Tiberio Gracco facendo trasferire ai consoli le prerogative di ridistribuire l 'ager publicus confiscato, che erano invece di compe-tenza dei tresviri agris adsi-gnandis. I consoli, impegnati nelle campagne militari, di fatto non avevano concluso nulla.

[151 In quale modo l'Emilia-no dovesse riordinare lo sta-to non viene precisato, ma il verbo oportet, «bisogna», afferma la necessità di un intervento straordinario, ve-rosimilmente in linea con l'esautorazione dei tresviri agris adsignandis, che però poteva essere legitt imato solo dal conferimento di una magistratura che prevedes-se pieni poteri quale la ditta-tura.

Primo Percorso 255

Hie cum exclamavisset Laelius ingemuissentque vehe-

mentius ceteri, leniter arridens Scipio: "St! quaeso" in-

quit "ne me e somno excitetis, et parumper audite ce-

tera".

dei tuoi parenti». - "St!: l'interiezione, che è rima-sta nell'italiano, appartie-ne all'uso familiare e ha la funzione di smorzare la tensione che si è venuta accumulando con le ulti-

me parole dell'Africano. - quaeso": formula pa-rentetica di cortesia; si tratta di una voce isolata di quaeso, desiderativo di quaero, che talora si trova costruito con ut o ne e il

A queste parole Lelio gettò un grido e gli altri16 prorup-pero in forti lamenti, ma Scipione sorridendo serena-mente "Silenzio! Vi prego - disse - , non destatemi dal sonno e ancora per un poco ascoltate il seguito"17.

(trad. di A. Roncoroni)

congiuntivo. - "ne... exci-tetis: imperativo negativo in luogo della forma più comune con il perfetto congiuntivo.

[161 Si tratta degli amici di Scipione che partecipavano al dialogo, cioè, oltre a Gaio Lelio - citato nominativa-mente in quanto principale interlocutore insieme con Furio Filo - , Manio Manilio e Spurio Mummio, poi Quinto Elio Tuberone, nipote dell'E-miliano, i due generi di Lelio - Gaio Fannio e Quinto Mucio Scevola - e infine Publio Rutilio Rufo.

[171 L'Emil iano invita gli astanti a non svegliarlo, co-me se stesse rivivendo il so-gno nel racconto. In realtà l'intervento del dialogo tra gli astanti ha la funzione di in-terrompere per un istante l'il-lusione scenica, segnando il trapasso dalla prima parte del sogno contenente la pro-fezia sulla vita di Scipione alla seconda con la rivela-zione del destino oltremon-dano dei benemeriti dello stato (cfr. par. 5, p. 257 s.).

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Chi fu veramente Scipione Emiliano?

La carriera di Scipione. Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo (il vincito-re del re Perseo di Macedonia nella battaglia di Pidna del 186 a.C.), era nato nel 185 o nel 184. Rimasto orfano della madre, era stato adottato dal figlio del famoso Publio Cornelio Scipione Africano (il vincitore di Annibale a Zama nel 202) assumendo così il nome della gens Cornelia. Dopo le prime prove militari, a soli diciassette anni era stato tribuno militare in Macedonia nel 151 e in Africa nel 149 durante le prime azioni della terza guerra punica. Console nel 147, assunse il co-mando della guerra e la concluse vittoriosamente l'anno dopo radendo al suolo Cartagine. Nel 142 fa censore, nel 134 ottenne il secondo consolato e pose fine alla guerra contro i celtiberi, nella Spagna Tarraconense, espugnandone la roccaforte di Numanzia (133 a.C.).

Scipione e i Gracchi. Mentre Scipione era impegnato nell'assedio di Numanzia, nel 133 era stata approvata la legge agraria di Tiberio Gracco, seguita nello stesso anno dall'assassinio del tribuno. Tornato a Roma, l'Emiliano fu il leader della opposizione antigraccana, tanto che si pensò di affi-dargli una dittatura costituente del tipo di quella che avrebbe poi rivestito Siila (Somnium Scipionis 4): egli riuscì in effetti a bloccare momentaneamente l'applicazione della legge agraria trasferendo la giurisdizione in materia dai triumviri incaricati della ridistribuzione delle ter-re ai consoli, i quali, perlopiù assenti da Roma per campagne militari, di fatto si astennero da ogni forma di intervento.

La morte. Questo provvedimento gli valse l'odio popolare e l'accusa di voler invalidare la riforma graccana; Scipione promise di rispondere a tale accusa con adeguate spiegazioni proprio nel giorno in cui - era l'aprile o il maggio del 129 a.C. - venne misteriosamente trovato morto. In quel gior-no egli avrebbe dovuto ripetere davanti al popolo l'orazione contra legem iudiciariam Tiberi Gracchi, che aveva tenuto in senato il giorno prima. Quale fosse la sua opinione nei confronti di Tiberio Gracco risulta dal giudizio che è stato tramandato da una peridcha (cioè da un riassunto) a Livio LIX: sembrava all'Emiliano che Tiberio fosse stato ucciso ben a ragione (in lat. iure cae-sum viderì).

È dunque naturale che la voce pubblica abbia accusato della sua morte i fautori del partito gracca-

256 Cicerone

Il premio riservato ai benemeriti della patria

• A consolazione del triste destino di morte che lo aspetta, l'Emiliano deve però sapere che

ai benemeriti della patria è riservata eterna beatitudine in cielo. Nel formulare questa teo-

ria, Cicerone prende spunto dall'idea dei pitagorici, secondo i quali nel cielo, e precisamente

nella Via Lattea, vi era un luogo riservato ai grandi sapienti. Platone aveva attribuito analogo

destino ai filosofi, i quali, simili a moribondi, evitano la contaminazione corporea e pertanto

sono degni di accedere per primi alla «vera Terra». Per Platone i filosofi sono i veri reggitori

degli stati, perché hanno una cognizione teorica della giustizia; per Cicerone, invece, il gran-

de statista non è il filosofo, ma un magistrato, o un oratore o, a ogni modo, un uomo che

sappia dare attuazione concreta alla virtù, secondo il principio esposto nel proemio (12)

dello stesso De re publica: «Non è sufficiente possedere la virtù come una qualche arte, se non

la si pratica;... la virtù è tutta posta nella pratica che se ne fa e la più elevata pratica di essa è

il governo della città».

no, ma circolarono anche altre versioni, da quella ufficiale espressa dall'amico Lelio, che parlava di decesso naturale, a quella che ipotizzò un suicidio motivato con l'impossibilità di mantenere le pro-messe fatte ai sodi italici e latini. La storiografia antica, sempre interessata al pettegolezzo, ha raccolto tutte queste versioni e Cicerone nel Somnium, parlando delle «empie mani dei parenti», sembra dare credito ai sospetti nei confronti della moglie Sempronia, sorella di Tiberio, che secondo Appiano avrebbe agito con la complicità della madre Cornelia e dell'altro fratello, Gaio Gracco. In al-tri passi delle sue opere Cicerone non fa parola di trame familiari, ma accoglie senz'altro la tesi del-l'assassinio politico che effettivamente, dato il clima rovente di quegli anni, non sembra affatto da escludere.

Una prefigurazione del princeps? La dittatura di Scipione, se si fosse realizzata, avrebbe dovuto sfruttare le agitazioni dei latini e degli italici per paralizzare i lavori della commissione triumvirale e, nel contempo, ricostituire una maggioranza senatoria che fosse in grado di avviare una norma-lizzazione della situazione politica interna (cfr. par. 4 del Somnium: rem publicam constituas oportet, «bisogna che tu riordini lo stato»),

È certo tuttavia che l'Emiliano, quand'anche avesse applicato nella politica interna il metodo radica-le dell'eliminazione degli avversari che aveva sperimentato nella politica estera, avrebbe solo argina-to temporaneamente una situazione esplosiva che soltanto il cieco conservatorismo senatorio poteva illudersi di controllare con la forza, senza cercare rimedi per la questione agraria e senza riformare l'ordinamento sociale.

Cicerone, nella sua prospettiva conservatrice, vede nell'Emiliano una prefigurazione del princeps che, senza uscire dalla legalità e senza rovesciare l'ordine repubblicano, sarebbe stato in grado di ri-stabilire la concordia ordinum e di porre fine alle agitazioni sociali. Pur rivolto al passato, il suo sguardo è fisso alla sua epoca e alla crisi della repubblica: egli scrive queste pagine sullo scorcio degli anni Cinquanta, quando la lotta tra Cesare e Pompeo per il potere personale stava esautorando l'oligarchia senatoria. Pompeo, scegliendo l'accordo con il senato, diveniva agli occhi di Cicerone, pur senza destarne l'entusiasmo, il campione del lealismo repubblicano e l'erede spirituale di Scipione.

Primo Percorso 257

(13) "Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habèto: omnibus

qui patriam conservaverint, adiuvérint, auxérint, certum esse in caelo definitimi lo-

cum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo qui omnem

mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque homi-

num iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc

profecti hue revertuntur".

3, 5 (13). "Sed... habeto: «"Ma perché tu, Africano, sia più sollecito a difende-re lo stato, tieni per certo questo». - "Sed: dopo l'in-terruzione dovuta al grido di dolore levato da Lelio e ai sospiri degli astanti, l'Emiliano riprende il rac-conto del sogno, nel quale l'Africano continua la pro-fezia apostrofando diretta-mente il nipote con quel cognomen di Africanus che evocava di per sé l'i-dea di un futuro di gloria e fungeva da incentivo a se-guire la via aperta dall'avo. - quo sis: la proposizione finale è introdotta da quo per la presenza del compa-rativo alacrior e regge il gerundivo finale ad tutan-dam rem publicam. - ha-beto: imperativo futuro, conferisce solennità a quanto sta per essere rive-lato. - omnibus... fruan-tur: «per tutti quelli che hanno salvato, aiutato, ac-cresciuto la patria, ben preciso è stato riservato in cielo un luogo nel quale possano felici godere di una vita eterna». - con-servaverint, adiuvérint, auxérint: la successione dei tre verbi in asindeto segue una disposizione in forma di klimax. Quanto al tempo, possono essere intesi come futuri anteriori o perfetti congiuntivi per anteriorità rispetto alla frase reggente esse... defi-nitum. - certum esse... definitum locum: cer-tum è aggettivo con valore predicativo riferito a lo-cum e da esso separato per iperbato; il verbo del-l'infinitiva è esse defini-

tum, infinito perfetto pas-sivo da definió. - ubi... fruantur: relativa intro-dotta dall'avverbio di luogo ubi e costruita con il con-giuntivo per esprimere una sfumatura consecuti-va-eventuale. - aevo sem-piterno: il costrutto poe-tico contrassegna uno dei concetti fondamentali del Somnium, del tutto origi-nale per la mentalità roma-na, l'idea cioè che ai bene-meriti della patria sia riser-vata una ricompensa cele-ste. - illi principi deo: «al dio supremo»: Cicerone sembra riferirsi al dio uni-co detto da Platone, in Timeo 41a, «colui che ha generato il tutto», quindi princeps non perché sia primo fra gli altri dèi, ma perché dirige il mondo. Secondo il panteismo stoi-co, a cui Cicerone era pure sensibile, questo dio su-premo si identificava con il Lògos universale e pertan-to i principes degli stati terreni dovevano ispirarsi al suo modello per diveni-re partecipi della società cosmica degli dèi e degli uomini. - qui omnem mundum regit: il prin-ceps deus dirige l'universo nel suo complesso {om-nem)-. come si dirà nel par. 9, esso si identifica con l'ultimo cerchio cele-ste, che abbraccia tutto l'universo e ne costituisce l'anima. - quod quidem in terris fiat: «di quanto almeno accade sulla Terra»: relativa con valore limitativo, costruita con quidem, «almeno», e il congiuntivo; il plurale in terris è di uso comune per

indicare il mondo, il singo-lare in terra viene perlo-più riferito a un paese, a una regione, o alla terra contrapposta al mare. -concilia coetusque: nes-so stereotipo caratterizza-to da endiadi e allitterazio-ne, indica «le comunità e gli aggregati», cioè «gli or-ganismi sociali», «le comu-nità di uomini». - iure so-ciati: l'aggettivo sociati (riferito a coetus), deter-minato dall'ablativo stru-mentale iure (quindi «as-sociati su base giuridica»), circoscrive il concetto di stato secondo la definizio-ne che ne viene data, sem-pre dall'Africano, in De re publica I 39: Est igitur... res publica res populi, populus autem non om-nis hominum coetus quoquo modo congrega-tus, sed coetus multitudi-nis iuris ccmsensu et uti-litatis communione so-ciatus, «È dunque... lo stato (= la cosa pubblica) cosa del popolo, il popolo poi non è ogni comunità di uomini aggregata in ma-niera qualunque, ma una comunità di molte persone associata dall'accordo nel diritto e dalla comunione dell'utile». - quae: il pro-nome relativo va inteso co-me un femminile concor-dato con civitates invece che come un neutro in ri-ferimento a concilia coe-tusque. Infatti, nelle pro-posizioni relative accesso-rie il pronome concorda perlopiù con il predicativo e non con l'antecedente. -rectores et conservato-res: «i reggitori e i salvato-ri». Il concetto, lapidario

nella sua concisione, con- j densa il pensiero più origi- ; nalmente ciceroniano. La i concezione mistica del eie- ; lo come sede delle anime è j platonica e pitagorica; l'i- ; dea del premio riservato a ; particolari categorie di uo- ; mini, i filosofi, risale al dia- ! logo platonico Fedone; l'i- ; dentificazione degli eletti ! con i benemeriti dello sta- ; to è invece genuinamente j ciceroniana. In essa trova : espressione la gerarchia di i valori che Cicerone ha as- ; sorbito dalla più autentica i tradizione romana, awez- ; za ad anteporre il nego- \ tium e la virtus ali'otium, ; l'impegno civile alla cultu- i ra disinteressata, la vita at- ; tiva a quella contemplati- ; va. - hinc profecti huc revertuntur": «partiti di ; qui, qui ritornano"». Se-condo i pitagorici l'anima ha origine astrale; secondo Parmenide ed Eraclito è fuoco divino dotato di in-telligenza, e Platone ri-prende questi concetti nel Timeo e nel Fedone attri-buendo all'anima, oltre che origine astrale, la possibi-lità di fare ritorno, se abbia ben vissuto, alla propria sede originaria. Sembra quasi che nel Somnium Cicerone abbia timore di mostrarsi originale e vada in cerca di modelli su cui autenticarsi, come fa qui suggellando la prima parte della profezia dell'Africano con un enunciato categori-co, scandito dai pronomi dimostrativi (harum, hinc, huc) e dall'omeoteleuto rectores-conservatores.

8 Cicerone

Dal dialogo filosofico alla visione oltremondana

Cicerone filosofo. Nel proemio delle Tusculanae (15) Cicerone dichiara con orgoglio che «la filo-sofia è stata trascurata fino a quest'epoca e non ha trovato nessuna luce nelle lettere latine: sta a me il compito di darle splendore e vigore in modo tale che, se da uomo politico ho recato qualche giovamento ai miei concittadini, possa essere loro utile, se possibile, da cittadino privato». Le sue opere rispondono infatti al tentativo ambizioso di saldare filosofia e retorica nell'educazione dell'oratore fornendo così le basi per una conciliazione fra teoria filosofica e prassi politica. In particolare, Cicerone si fece divulgatore di quelle dottrine del mediostoicismo nelle quali la classe dirigente romana poteva trovare una giustificazione, da un lato, dei propri privilegi e, dall'al-tro, in base alle teorie del filosofo greco Panezio (185 ca.-109 a.C.), anche dell'imperialismo di Roma. Dopo Cicerone, invece, la filosofia passò all'opposizione. Lo stoicismo stesso rimase legato ai gruppi intellettuali aristocratici, tanto da diventare, in autori come Seneca, il pensiero di riferi-mento per l'opposizione al dispotismo del principe.

Il dialogo filosofico. Per realizzare il suo progetto, letterario ma anche etico-politico, Cicerone (come poi Seneca) scelse la forma del dialogo, cioè uno scritto in forma di conversazione nel quale il pensiero dell'autore emerge attraverso le idee espresse dai partecipanti. Nato nella letteratu-ra greca come cellula originaria dell'opera di teatro, il dialogo ricevette una destinazione filosofica da parte di Platone. Questi, cercando di riprodurre in esso il tenore e lo spirito della conversazio-ne orale che Socrate intratteneva con i suoi discepoli, ne fece lo strumento di ricerca della verità in un processo maieutico che si snodava attraverso domande e risposte. In Aristotele, invece, il dialogo rivestì una forma più vicina al trattato, nel senso che un personaggio si assumeva il ruolo di esporre ampi discorsi e di trarre le conclusioni.

Il dialogo ciceroniano. Il dialogo ciceroniano segue il modello aristotelico nella presenza di un protagonista che espone la tesi di fondo, mentre la parte degli altri personaggi è ridotta al minimo: così nel Somnium parla sempre Scipione Emiliano e gli interlocutori si limitano ad ascoltarne il racconto, fatta eccezione per il solo paragrafo 4, in cui, di fronte alla profezia della morte dell'Emiliano, Lelio alza un grido e gli altri prorompono in lamenti. All'interno del racconto, poi, la parola è tenuta perlopiù dall'Africano, che pronuncia la profezia, affiancato nei soli paragrafi 7 e 8 da Lucio Emilio Paolo, mentre l'Emiliano limita i propri interventi a poche battute - perlopiù ri-chieste di chiarimenti - e di tanto in tanto riprende la funzione di narratore, come quando nei pa-ragrafi 6-7 rammenta la propria commozione alla vista del padre.

Il Somnium e le sue fonti. Il rapporto con la fonte platonica e con quella aristotelica non si pone solo per il genere dialogico, ma anche per lo spunto che ha dato origine al Somnium. L'idea di concludere il De re publica narrando il sogno dell'Emiliano richiama il mito di Er, esposto alla fi-ne della Repubblica di Platone. Propriamente quella di Er è una vicenda di morte e resurrezio-ne: il soldato Er di Panfilia, caduto in battaglia, era posto sul rogo ma tornava in vita e narrava quello che aveva veduto nell'Aldilà. Uno spunto integrativo è stato offerto a Cicerone daìl'Eudemo di Aristotele: l'opera narrava il sogno di Eudemo al quale, malato in Tessaglia, era comparso un giovane e gli aveva predetto che sarebbe presto guarito, che il tiranno del luogo, Alessandro di Fere, sarebbe morto e che egli dopo cinque anni avrebbe fatto ritorno in patria. Infatti il tiranno moriva mentre Eudemo guariva, ma dopo cinque anni cadeva in battaglia, inverando e non smen-tendo la profezia nel senso che la vera patria dell'anima è il cielo e non la terra. Cicerone, per parte sua, mantiene lo schema platonico a conclusione dell'opera, ma, sostituendo al mito di Platone il sogno di Aristotele, consegue un effetto di maggiore verosimiglianza, stori-cizzando il racconto nel momento stesso in cui lo attribuisce a Scipione Emiliano. La profezia dell'Africano, poi, che consente al nipote di contemplare lo spettacolo eterno e grandioso delle sfe-re celesti e gli predice l'immortalità nella Via Lattea come ricompensa dei suoi meriti civili, proietta l'opera oltre i limiti del genere propriamente politico. Essa sconfina infatti nell'ambito degli scritti apocalittici e utopistici, che troveranno largo seguito nell'età dell'impero, soprattutto nella let-teratura cristiana, e poi continueranno nel Medioevo nei testi di letteratura oltremondana, che sa-ranno modelli di Dante nella Divina Commedia.

Primo Percorso 259

ANALISI DEL TESTO I temi. I momenti forti di questa prima parte della profezia dell'Africano sono: • la predizione della carriera di Scipione Emiliano, dalla distruzione di Cartagine (146 a.C.) alla distruzione di Numanzia (133 a.C.) e al movimento dei Gracchi (dal 133 a.C.); • la predizione della morte violenta dell'Emilia-no (129 a.C.); • la promessa di beatitudine ai benemeriti della patria. Quest'ultimo motivo è enunciato nel paragrafo 5: «per tutti quelli che hanno salvato, aiutato, accre-sciuto la patria, ben preciso è stato riservato in cielo un luogo nel quale possano felici godere di una vita eterna». Si ha qui uno sviluppo dell'idea pitagorica e plato-nica di un luogo nel cielo riservato ai grandi sa-pienti o filosofi tra cui Platone peraltro identifica i governatori dello stato. Cicerone riserva tale pri-vilegio non già ai filosofi, bensì all'oratore o all'uo-mo politico che dà concretezza al concetto di virtù.

Nella triplice caratterizzazione dei reggitori Cicerone fissa dunque la varietà delle beneme-renze che a suo giudizio si possono acquisire nei confronti della patria: • conservare («salvare») nell'ottica conservatri-ce dell'autore va inteso nel senso di «mantenere» lo stato nel suo assetto politico, prevenendo o stroncando eventuali tentativi di cambiamento; da questo punto di vista la reazione dell'Emiliano alla legge agraria graccana si configurava come salvataggio della patria;

• adiuvare («aiutare») significa assecondare il corso politico dello stato e favorire la realizzazio-ne degli obiettivi costituzionali, nel caso specifico gli interessi conservatori del senato,

• augére («accrescere») significa invece rendere lo stato più vasto e potente: non si precisa qui in quale ambito specifico la crescita debba essere intesa, ma si allude verosimilmente agli ingrandi-menti territoriali dell'impero cui Scipione aveva contribuito con la distruzione di Cartagine e di Numanzia.

La Struttura. Questo primo segmento della profe-zia è strutturato lungo una klimax concettuale e formale che, dopo una rassegna descrittiva delle principali campagne vittoriose dell'Emiliano, introduce il tema delicato dei conflitti civili desta-ti dalla riforma graccana. L'apice della tensione narrativa è raggiunto dalla predizione della mor-te di Scipione, suggestivamente formulata dal-l'ambigua espressione si impías propinque/rum manus effugeris (par. 4). La pausa con le espressioni di stupefatto dolore degli astanti se-gna un intermezzo tra la prima parte del sogno, con le rivelazioni relative a Scipione, e la seconda, con la predizione del destino oltremondano delle anime.

Lo Stile. Lo stile della profezia si concretizza sul piano formale con la serie di tempi futuri del paragrafo 3, e trova sottili riscontri espressivi nel-lo stile allusivo degli enunciati del paragrafo 4 {eius temporis ancipitem video quasi fatorum viam) e nella forma arcana del simbolismo aritmetico {curri aetas tua septenos octiens so-lis anfractus reditusque converterit). La rivela-zione del destino delle anime è invece introdotta dall'imperativo futuro sic habeto, caratteristico delle prescrizioni di legge e dei testi oracolari, dal quale la profezia ricava perentorietà e solen-nità.

Quesiti e,proposte,

7 Nel par. 3 il periodo Ad quam tu oppugnandam nunc venis paene miles, hanc hoc biennio consul evertes appare elaborato con una cura conforme al suo tono oracolare. In esso si possono indivi-duare: • parallelismi antitetici • allitterazione • chiasmo • klimax • prolessi

2. La frase che segue nel medesimo par. 3 eritque cognomen id tibi per te partum quod habes adhuc a nobis hereditarium, coordinata con la

precedente, ne mantiene lo schema attentamen-te elaborato mediante: • parallelismo antitetico • pollptòto • omeoteleuto • variatio tra

3 Nel l 'espressione del par. 5 qui conservaverint, adiuverint, auxerint Individua e illustra: • il modo e il tempo verbale • le figure retoriche presenti • il valore concettuale nel contesto della promes-sa di immortalità

260 Cicerone

ma è stata incarcerata dal dio creatore - prima di avere acquisito quelle benemerenze che saranno ricompensate con la beatitudine eterna.

• In questi capitoli Cicerone concentra i temi fondamentali dell'opera. Nel paragrafo 6, Cicerone afferma che la vera vita è quella dello spirito: la frase hi vivunt qui e corporum vinclis tamquam e carcere evolaverunt, vestra vero, quae cLicitur vita, mors est («i vivi sono questi che volarono via dalle catene del corpo come da un carcere, invece quella che voi chiamate vita è morte») esprime la dimensione mistica dell'opera, il fondamento spiritualistico che ha fatto convergere sul Somnium l'interesse e la simpatia degli scrittori cristiani della tarda antichità e del Medioevo. Cicerone desume dal Fedone platonico il concetto del corpo-carcere dell'anima, che tramite il misticismo orfico-pitagorico ha lontane ascendenze orien-tali, nelle quali con ogni probabilità si collega anche con il tema veterotestamentario del pec-cato originale. L'immagine del corpo-carcere è funzionale a rovesciare la comune opinione che identifica la vita con l'esistenza corporea.

La vita terrena, di riflesso, non è altro che un munus (par. 7), una gravosa incombenza asse-gnata dal dio agli uomini; secondo i pitagorici, per espiare una colpa originaria. La conseguenza sarà poi raccolta nel paragrafo 12 del Somnium: haec caelestia semper spedato, illa huma-na contemnìto, «contempla sempre queste cose celesti, non darti pensiero di quelle umane». Se dunque la vera vita è quella celeste, tutti i valori terreni sono secondari, compreso quello che rappresenta il bene supremo per un leale cittadino romano, cioè Yimperium di Ro-ma: «la Terra mi sembrò talmente piccola che mi vergognavo del nostro dominio, con il quale arriviamo a toccarne, per così dire, un punto» (par. 8).

Qual è lo scopo di questo bilancio? Cicerone non è un 'disfattista', naturalmente; egli intende solo stornare l'ideale uomo di stato da un'eventuale sopravvalutazione dei valori connessi con il potere, dai quali potrebbe essere pericolosamente indotto ad appropriarsi della cosa pubblica e a trasformarsi in tiranno. In questo modo si chiude il circuito tra il Cice-rone filosofo e il Cicerone politico.

3,6 (14) Hic ego, etsi eram perterritus non tarn mortis

metu quam insidiarum a meis, quaesivi tarnen vive-

retne ipse et Paulus pater et alii quos nos exstinc-

tos esse arbitraremur. "Immo vero" inquit "hi vivunt

qui e corporum vinclis tamquam e carcere evolave-

3,6. (14) A questo punto io, anche se ero rimasto sconvolto non tanto per la paura della morte, ma delle insidie da parte dei miei, chiesi nondimeno se lui vivesse e così mio padre Paolo1 e altri che noi consideriamo estinti. "Anzi" disse "i vivi sono proprio questi che volarono via dalle catene del corpo

3, 6 (14). ego: a parlare ora è l'Emiliano. - vive-retne: interrogativa indi-retta dipendente da quae-sivi e introdotta dalla par-ticella enclitica -ne, che esprime totale incertezza circa il tenore della rispo-sta. • alii: cioè «altri» dei quali si lascia intendere che l'Emiliano abbia fatto

il nome: naturalmente non si tratta di tutti gli estinti, ma solo di coloro che con-dividono con l'Africano e con Lucio Emilio Paolo le benemerenze e le virtù ci-viche. - arbitraremur: il congiuntivo è richiesto dal discorso indiretto, l'imper-fetto dalla consecutio temporum in quanto la

relativa quos... arbitrare-mur dipende dai tempi storici della reggente vi-veret e della principale quaesivi e il rapporto è di contemporaneità: dal mo-mento che la frase espri-me un concetto di caratte-re generale, in italiano si può tradurre con un pre-sente acronico, quindi

I T I Lucio Emilio Paolo è il padre dell'Emiliano. Fu figu-ra esemplare per valore mi-l i tare e in tegr i tà morale. Dopo aver soggiogato i pira-ti liguri, nel secondo conso-lato, quando era già quasi sessantenne, vinse il re ma-cedone Perseo nella batta-glia di Pidna del 168, dopo la quale riordinò la Grecia e

riportò a Roma un ricco bot-tino. Tra le spoglie di guerra figurava anche la biblioteca di Perseo, che costituì un im-portante tramite per l'ellenlz-zazione della cultura latina. Morì nel 160 in dignitosa po-vertà. Il figlio Publio era stato adottato dalla gens Cornelia, divenendo così nipote del-l'Africano (Maggiore).

Primo Percorso 2 6 1

runt, vestra vero, quae dicitur vita, mors est. Quin

tu aspicis ad te venientem Paulum patrem?".

Quern ut vidi, equidem vim lacrimarum profudi, ti-

le autem me complexus atque osculans flere

prohibebat.

(15) Atque ego ut primum fletu represso loqui pos-

se coepi, "Quaeso" inquam "pater sanctissime at-

come da un carcere2 , invece quella che voi chiamate vita è !

morte3. Non vedi tuo padre Paolo che viene verso di te?". Non i

appena lo vidi, per parte mia scoppiai a piangere a dirotto. !

mentre egli, abbracciandomi e baciandomi, cercava di tratte- !

nermi dal piangere.

7. (15) E io, non appena, trattenuto il pianto, cominciai a esse- !

re In grado di parlare, "TI prego - dissi - padre santissimo e ot- j

«che noi consideriamo estinti». - Quin: l'avverbio interrogativo composto da qui, antico ablativo del pronome interrogativo, e dall'enclitica -ne era usato nelle opere di teatro per segnare l'ingresso in scena di un nuovo personaggio: quindi propriamente «Per-ché non (guardi tu stes-so)?». - venientem: parti-cipio presente predicativo che in dipendenza da ver-bi di percezione (aspicis) indica che l'azione è in corso di svolgimento e in-troduce un nuovo interlo-cutore, Lucio Emilio Paolo, il padre dell'Emi-liano, che si affianca nella profezia a Scipione Afri-

cano. - ut: la congiunzione ha valore temporale, e-sprime coincidenza di tempo o precedenza im-mediata dell'azione della dipendente rispetto a quella della principale (profudi, «versai»), -vini: il termine vis, oltre a quello di «forza», ha an-che il significato meno usuale di «quantità». -complexus: participio perfetto di complector. Analogamente al seguente osculans con cui è coordi-nato, esprime azione con-temporanea e pertanto si rende in italiano con il ge-rundio semplice. - prohi-bebat: imperfetto conati-vo: Emilio Paolo cerca di

distogliere il figlio dal pianto. 7 (15). "Quaeso": questa parola, già comparsa alla fine del par. 4 (vd. p. 256), è una voce isolata del ver-bo quaeso, con valore di inciso. - optume: forma arcaica per optine. - quid moror in terris? la do-manda esprime garbata-mente l'idea che il suicidio possa rappresentare la strada più breve verso la beatitudine. Nel Fedone (61d) Cebète rivolge ana-loga domanda a Socrate: «Come puoi dire, o Socrate, che non è lecito recare violenza a se stes-so, ma che il filosofo possa desiderare la morte?». -

ITI L'origine di questo con-cetto è sicuramente platoni-ca. L' immagine del corpo come prigione dell'anima (in lat. e corporum vinclis tam-quam e carcere) compare in vari passi del Fedone (62b, 67d, 81 e, 92a) e la rappre-sentazione dell'anima alata che se ne va dal corpo (cfr. in lat. evolaverunt) disper-dendosi come soffio di ven-to o come fumo si trova in Fedone 70a: ambedue risal-gono al repertorio orfico-pi-tagorico, che attribuiva l'in-carcerazione dell'anima nel corpo al la necess i tà di espiare una colpa originaria.

[ 3 1 È la mistica dichiarazio-ne che la vera vita è quella

del lo spir i to. La fonte di i Cicerone (in lat. vestra... \ quae dicitur vita, mors est] è | ancora il Fedone, che pro- : prio in questi termini egli di-chiara esplicitamente di co- i noscere nell'orazione Pro \ Scauro 5: Piatonis... iibrum ; de morte, in quo, ut opina.; i Sócrates disputai... hances-se mortem quam nos w'íara i putaremus, «Il libro di Pia- ; tone sulla morte, nel quale, i come credo, Socrate asserì- : sce che è morte questa che noi riteniamo vita». Il riferi- i mento può essere al Fedone 64 ove si ribadisce ; insistentemente che la mor- ; te altro non è se non libera-zione dell'anima dal corpo.

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< OC LU O. o

L'eredità del Somnium Scipionis

La ricezione del De re publica. Mentre il De re publica vedeva la luce nel momento stesso in cui perdevano attualità le problematiche politiche sulle quali è imbastito, il Somnium, al contrario, ave-va tutti i requisiti per destare il massimo interesse da parte delle generazioni future. Al De re publica comunque non mancarono certamente lettori ed estimatori: Attico, l'amico di Cicerone, lo lesse e lo meditò, Livio e forse anche Tacito lo tennero presente, Seneca lo trovava interessante. Le attenzioni non erano rivolte al messaggio autentico dell'opera, ma a singoli aspetti, i quali talora erano oggetto di palese fraintendimento, come nel caso di Plinio il Giovane, che vede-va in Traiano la realizzazione del princeps ciceroniano. In realtà, se da una parte il De re publica non doveva destare l'entusiasmo degli imperatori per il suo messaggio sostanzialmente repubblica-no, dall'altra, l'ambiguità di Cicerone nei confronti di Cesare e di Ottaviano impedì a quest'opera di diventare il manifesto dell'opposizione repubblicana, che anzi rinnegò Cicerone in nome di Bruto e di Catone.

Gli scrittori cristiani, che invero ammirarono in Cicerone soprattutto 0 maestro di retorica e lo imitarono come supremo modello della prosa latina, continuarono regolarmente a leggere il De re publica fino al V secolo d.C. e oltre: esso è frequentemente citato da sant'Agostino, ma come de-posito dei valori profani della tradizione greco-latina, quindi di un mondo non più attuale a cui il cri-stianesimo ha sostituito i nuovi valori della 'Città di Dio'.

Le ragioni del distacco del Somnium dal De re publica. Tuttavia, sono proprio alcuni di questi va-lori che hanno determinato il distacco del Somnium dal resto dell'opera. In un'epoca come il V se-colo, contrassegnata dal misticismo cristiano e dal neoplatonismo, il primo posto nella gerar-chia dei valori è riservato alla contemplazione: di pari passo con l'inversione di valori che è in atto ri-spetto alla tradizione profana, l'appendice mistica del De re publica si rivela per i lettori come l'uni-co settore dell'opera veramente vitale.

262 Cicerone

que optume, quoniam haec est vita, ut Africanum

audio dicere, quid moror in terris? Quin hue ad vos

venire propero?". "Non est ita" inquit ille. "Nisi

enim cum deus is, cuius hoc templum est omne

quod conspicis, istis te corporis custodiis liberave-

rit, hue tibi aditus patere non potest. Homines enim

sunt hac lege generati, qui tuerentur ilium globum,

quem in hoc tempio medium vides, quae terra dici-

timo, dal momento che questa è la vita, come sento dire dall'Africano, perché indugio sulla Terra? Perché non mi affretto a venire qui da voi?". "Non è così" rispose. "Infatti, se il dio a cui appartiene tutto questo spazio celeste che vedi non ti avrà liberato da codesto carcere che è II tuo corpo, l'accesso In questo luogo non ti può essere aperto4. Gli uomini, infatti, sono stati generati con questa legge, che custodiscano II globo5 chiamato Terra che vedi

templum: il termine ap-partiene al linguaggio sa-crale e designa lo spazio delimitato dall'augure nel cielo e sulla terra all'inter-no del quale raccoglieva e interpretava i presagi, quindi per estensione il cielo tutto intero, lo spazio celeste o, anche, la distesa dello spazio abbracciato dallo sguardo. Il significa-to di «tempio» è seconda-rio e in questo senso tem-plum concorre con i ter-mini aedes, fanum, detu-brum. - omne: t'aggettivo omnis esprime la totalità analizzata in tutte le sue parti, mentre la figura di iperbato, cioè il distacco

dell'aggettivo dal sostanti-vo, accentua la caratteriz-zazione, come a dire «lo spazio celeste nella sua ampiezza e in tutte le sue componenti», perché ne risalti la potenza del dio. -istis... corporis custo-diis: il dimostrativo di 2a

persona istis è impiegato correttamente a designare il carcere corporeo, cui so-lo l'Emiliano è ancora sog-getto, e proprio dalla sua natura dimostrativa deriva il valore dispregiativo, co-me se Emilio Paolo - che parla - respingesse da sé verso l'interlocutore un oggetto disgustoso. - libe-raverit: la liberazione

dell'anima dal carcere del corpo è dunque decisa dal dio, secondo quanto So-crate precisa in Fedone 67a in risposta all'obiezio-ne espressa da Cebete. -huc: avverbio dimostrati-vo di moto a luogo; indica la .regione celeste, di cui sono ormai cittadini l'A-fricano e Lucio Emilio Paolo, con marcata con-trapposizione al dimostra-tivo-spregiativo istis, rife-rito al carcere corporeo. -sunt... generati: espres-sione da intendere come perfetto passivo e non co-me predicato nominale, come dimostrano, sul pia-no sintattico, la reggenza

m II concetto presuppone l' idea pitagorica della vita corporea come espiazione di una colpa originaria: solo quando sarà trascorso il pe-riodo fissato per l'espiazio-ne, l'anima potrà fare ritorno nelle sfere superiori. Il suici-dio è dunque qui esplicita-mente condannato, in pole-mica con le vedute del cini-smo, dell'epicureismo e so-prattutto del lo stoic ismo, che ne ammettevano la le-gittimità in circostanze parti-

colari quali dolori insoppor-tabili, mutilazioni o malattie.

ITI I pitagorici furono i primi ad attribuire forma sferica alla Terra per il principio che la sfera è il corpo perfetto; i filosofi ionici la Immaginava-no perlopiù piatta, ruotante in mezzo alle acque secon-do Talete, compressa nell'a-ria secondo Anassimene, li-brata nella sfera celeste se-condo Empedocle, di forma cilindrica per Anassimandro.

La separazione peraltro ricalca una alterità, che è intrinseca all'opera stessa: argomento del De re publica è la città terrena, ma il Somnium con il suo misticismo platonico-pitagorico e con le sue prospettive oltremondane configura compiutamente una 'città celeste' ante litteram. Ha così inizio la lunga fortuna di questo testo, risparmiato dalla dispersione dei classici che nel VII secolo coinvol-ge lo stesso De re publica. Il Somnium rimane agganciato al potente veicolo del commento di Macrobio, che grazie alle sue allegorie a sfondo pitagorico e neoplatonico gode fama di essere lo scrigno della mitologia e della filosofia greca e registra un continuo incremento di popolarità: nel XII secolo diviene a sua volta oggetto di un monumentale commento, le Glosae super Macrobium di Guglielmo di Conches, filosofo della scuola capitolare di Chartres. Grazie a Macrobio, dunque, il Somnium attraversa indenne il Medioevo, arriva a Dante, che spesso lo riecheggia per il tramite di Boezio; affidato a numerose copie manoscritte e tradotto anche in greco, rende più acuto presso gli umanisti e nell'età moderna il rimpianto dell'opera completa fino alla scoperta del cardinale Angelo Mai nel 1819.

Una lunga durata. Ma intanto la prospettiva generale del Somnium e le sue tematiche erano state assimilate nel corso dei secoli fino a divenire parte integrante della comune coscienza spiri-tuale e politica, sicché risulta impresa disperata pretendere di identificare in questo o in quell'au-tore singoli echi o riprese puntuali. I temi portanti del Somnium hanno permeato a tal punto la mo-rale comune che, quando noi oggi ritroviamo nella nostra formazione spirituale concetti come la di-stinzione tra spirito e materia, la fede nella sopravvivenza dell'anima, la fiducia in un premio oltre-mondano, l'idea di servizio allo stato, forse non siamo consapevoli di raccogliere un'eredità che si è consolidata anche grazie all'autorevolezza di queste poche pagine del Somnium.

Primo Percorso 263

tur, iisque animus datus est ex illis sempiternis

ignibus quae sidera et stellas vocatis, quae glo-

bosae et rotundae, divinis animatae mentibus,

circulos suos orbesque conficiunt celeritate

mirabili. Quare et tibi, Publi, et piis omnibus

retinendus animus est in custodia corporis nec

iniussu eius, a quo ille est vobis datus, ex ho-

minum vita migrandum est, ne munus huma-

nuni adsignatum a deo defugisse videamini.

(16) Sed sic, Scipio, ut avus hie tuus, ut ego qui

te genui, iustitiam cole et pietatem, quae cum

magna in parentibus et propinquis, tum in pa-

tria maxima est; ea vita via est in caelum et in

hunc coetum eorum qui iam vixerunt et corpo-

re laxati ilium incolunt locum, quem vides

posto al centro6 di questo spazio celeste e a essi l'anima è stata

data da quei fuochi sempiterni7 che voi chiamate costellazioni e

stelle che, sferiche e rotonde, animate da menti divine8, compio-

no orbite circolari con mirabile celerità. Perciò tu, Publio, e t

le persone devote al dio dovete mantenere l'anima nel carcere

del corpo9 né senza II consenso di colui dal quale l'anima vi è

stata data dovete emigrare dalla vita tra gli uomini, perché non

sembri che slate venuti meno al dovere umano assegnato (

dio10.

8. (16) Così dunque, Scipione, come fece II tuo avo11 qui presen-

te, come feci io che ti ho dato la vita, coltiva la giustizia e la de-

vozione, la quale, se già è grande nei confronti di genitori e [

renti, tanto più deve essere grandissima quando si tratta della

patria. Una tale vita è la via verso il cielo12 e verso la comunità di

coloro che già hanno vissuto e, svincolati dal corpo, abitano i

del congiuntivo imperfetto tuerentur e, concettual-mente, la perentorietà e l'irrevocabilità di questa legge alla quale gli uomini sono stati sottoposti all'at-to stesso della loro crea-zione. - qui tuerentur: relativa impropria con va-lore epesegetico, più che finale o consecutivo, anti-cipata in prolessi dal nes-so hoc lege. Il congiuntivo imperfetto è dovuto alla consecutio temporum, ma può essere tradotto in italiano con un presente acronico, come arbitrare-mur nel par. 6. - illuni: va tradotto come semplice articolo determinativo me-glio che come aggettivo dimostrativo, in quanto funge da correlativo della relativa quem... vides. -quae terra dicitur: il pronome relativo quae concorda con il predicati-vo terra e non con l'ante-cedente globum perché la frase ha funzione accesso-ria. - quae sidera et stellas vocatis: come nella relativa precedente, il pronome quae è accor-dato con il predicativo si-dera et stellas e non con l'antecedente ignibus. -piis: pius è chi compie i suoi doveri verso gli dèi e verso i parenti: nel pre-sente contesto la pietas sembra dovuta soprattutto al dio creatore dell'anima

umana. - iniussu eius: il corpo è carcere dell'ani-ma, ma è stato assegnato dal dio creatore e pertan-to non è lecito abbando-narlo senza il suo consen-so (iniussu eius), tanto più che gli uomini pii pro-prio nel corso della loro vi-ta corporea acquisiscono quelle benemerenze che il dio ricompenserà consen-tendo loro di ritornare nel luogo della beatitudine. -ne... videamini: proposi-zione finale negativa con costruzione personale del verbo videor, da rendere in italiano in forma imper-sonale, costruendo il ver-bo alla 3a persona singola-re e trasferendone il sog-getto alla dipendente, cioè «affinché non sembri che voi».

8 (16). iustitiam... et pietatem: i due termini, disposti in crescendo, rappresentano altrettanti cardini della morale roma-na e si riferiscono rispetti-vamente ai rapporti civili regolati dal diritto (iusti-tiam) e al sentimento del dovere verso gli dèi, verso genitori e familiari e verso la patria (pietatem). -cum... tum: le due con-giunzioni indicano una correlazione gerarchica, ribadita dall'accostamento di cum all'aggettivo ma-gna e di tum al superlati-vo maxima. Nella gradua-

toria aristocratica dei va-lori consolidati dal mos maiorum, i servizi resi al-la patria occupano senz'al-tro il primo posto, seguiti in sottordine dalle virtù private. - ea vita via est in caelum: allitterazione e omeoteleuto in quanto procedimenti tipici delle antiche preghiere conferi-scono all'espressione un tono di sacralità, rimar-cando il contributo origi-nale di Cicerone alla teoria dell'eternità dell'anima: è agli uomini che hanno da-to in primis un valido so-stegno alla patria che vie-ne riservata la beatitudine celeste. - in hunc coe-tum: il coetus è la «schie-ra», la «comunità» degli eletti. Il dimostrativo hic indica cosa idealmente vi-cina a chi parla: Emilio Paolo e l'Africano, infatti, appartengono già a questa comunità di beati. Sul pia-no retorico l'accostamento caelum... coetum crea una figura di paronomasia (accostamento di parole simili con significato di-verso). - iam vixerunt: dopo quanto si è precisato nel par. 6 invertendo i va-lori di vita e mors, l'e-spressione appare non un eufemismo per indicare i morti, bensì una prima ca-ratterizzazione dei beati come coloro che hanno assolto gli obblighi della

|~6l Secondo la dot t r ina geocen t r i ca f issata da Aristotele (384-322 a.C.) ma già presente in Anassiman-dro, in Parmenide (V sec. a.C.) e nei p i tagor ic i , la Terra è fissa al centro dell'u-niverso: nel Fedone (108e) Socrate accoglie la tesi pita-gorica secondo la quale la Terra è sferica, posta al cen-tro dell'universo, in equilibrio perfetto in quanto è circon-data da ogni parte dal cielo e l'aria la preme in modo omogeneo, sostenendola.

I T I Cicerone ritorna in altri scritti sull'Idea dell 'origine astrale dell'anima e ne di-chiara le fonti, in primo luo-go Pitagora (570-490 ca. a.C.), ma anche gli stoici, soprat tu t to per la natura ignea. Circa l'origine divina del l 'anima, Cicerone non nutre dubbi, anche se non appare al t ret tanto sicuro della composizione ignea di essa.

|~8~] La spiegazione del con-cetto è ormai implici ta in quanto si è detto sin qui: se gli astri sono divinità e han-no natura ignea, la sostanza dell'anima, che appunto ha origine astrale, non può che condividerne la natura se-condo il principio stoico per cui il fuoco primigenio costi-tu isce l 'anima stessa del mondo.

I T I In questa parte nodale del Somnium Cicerone co-niuga due diverse concezio-ni: l'immagine di repertorio è quella orfico-pitagorica e platonica del corpo prigione del l 'an ima, già espressa dalle parole dell'Africano r par. 6; Cicerone la fa propria nel par. 7 e la rivitalizza in-nestandovi , nel par. 8, concetto pragmatistico e ti-picamente romano di una missione da compiere asse-gnata dal dio.

f ìOl II processo discorsivo rimane orientato verso una fatalistica attesa della morte l iberatr ice e solo nel se-guente par. 8 subisce una svolta decisiva nel recupero positivo della vita intesa co-me missione. Qui munus in-dica semplicemente il «do-vere» della custodia corpo-ris, ma nel grave compito imposto dalla necessità si avverte l'eco del Fedone, dove il corpo funge sempre da ostacolo alla contempla-zione della verità.

i m LAfricano era il nonno adottivo dell 'Emiliano dal momento che questo era stato adot tato da Publio Cornel io Scipione, figlio dell'Africano.

f Ì 2 l In questa affermazione si manifesta l'apporto origi-nale di Cicerone al tema del l 'eterni tà dello spirito.

264 Cicerone

(erat autem is splendidissimo candore inter

flammas circus elucens), quem vos, ut a Grais

accepistis, orbem lacteum nuncupatis". Ex

quo omnia mihi contemplanti praeclara cete-

ra et mirabilia videbantur. Erant autem eae

stellae, quas numquam ex hoc loco vidimus,

et eae magnitudines omnium, quas esse num-

quam suspicati sumus, ex quibus erat ea mini-

ma quae ultima a caelo, citìma terris luce lu-

cebat aliena. Stellarum autem globi terrae

magnitudinem facile vincebant. Iam vero ipsa

terra ita mihi parva visa est, ut me imperii nos-

tri, quo quasi punctum eius attingimus, paeni-

teret.

luogo che vedi (quel luogo era infatti uno spazio circolare rilucente

di splendidissimo candore tra le f iamme degli astri) e che voi, co-

me avete appreso dai greci, denominate Via Lattea". A me che

contemplavo l'universo da quel luogo, tutto il resto sembrava ma-

gnifico e degno di meraviglia. Vi erano infatti quelle stelle che mal

abbiamo visto di qui13 e le dimensioni di tutte erano quali non ab-

biamo mai sospettato. Tra queste la più piccola era quella che, ulti-

ma dalla parte del cielo e più vicina alla Terra, brillava di luce non

propria. I globi delle stelle, poi, superavano di molto la grandezza

della Terra. Anzi, la Terra mi sembrò talmente piccola che mi senti-

vo insoddisfatto del nostro dominio, con il quale arriviamo a toccar-

ne, per così dire, un punto.14

(trad. di A. Roncoroni)

vita. - is: pronome deter-minativo con valore epa-nalettico: riprende cioè il-luni locum per meglio precisarlo. - inter flam-mas: naturalmente non si tratta di fiamme vere e proprie, ma, per metoni-mia, l'oggetto è indicato tramite la materia di cui è composto; dunque l'e-spressione può essere tra-dotta come fosse inter si-derei flammantia. - cir-cus: equivale a orbis e in-dica la figura piana deli-neata da una circonferen-za; il termine più usuale è il diminutivo circulus. - a Grais: il termine Grai sta per Graeci ed è un arcai-smo poetico che eleva il tono della rivelazione. -orbem lacteum: trasposi-zione del termine greco galaxias (in italiano «ga-lassia»), spiegabile in rife-rimento al candore latteo proprio dei corpi stellari incandescenti. Era stato Pitagora a porre la sede delle anime nella Via Lattea: Cicerone ne ha dunque desunto anche questo particolare, ma ha riservato la galassia alle anime dei beati. - nuncu-patis": il verbo nuncu-pare, composto da no-

I men e capere, significa propriamente «prendere nome», «pronunciare il nome», poi «designare con il suo nome», quindi «chiamare». - Ex quo: cioè dalla Via Lattea; ri-prende il racconto del-

l'Emiliano che nella finzio-ne poetica del sogno cre-de anch'egli di trovarsi nella Via Lattea vicino all'Africano e a Emilio Paolo. - cetera: come precisa il periodo seguen-te, non si tratta di «tutto il resto» semplicemente contrapposto alla Terra, ma di tutti gli astri che si possono vedere dalla Via Lattea: si potrebbe tradur-re «tutto ciò che vedevo». - ex hoc loco: significa «di qui», cioè dalla Terra, ed è contrapposto a Ex quo (loco) della frase pre-cedente. - magnitudines: il termine non è da inter-pretare nell'accezione di «grandezza», ma nel signi-ficato relativo di «dimen-sione» e significa che dalla Via Lattea si vedono molto più grandi gli astri a essa vicini e lontani dalla Terra, e viceversa. - omnium: ri-ferito non soltanto a eae stellae, ma a tutti gli astri, sia a quelli che Scipione vede per la prima volta sia a quelli già noti, le cui di-mensioni risultano altera-te dalla novità del punto di osservazione. Anche se la traduzione con il fem-minile «di tutte (le stel-le)» non manca di ambi-guità, va mantenuta per-ché consente l'accordo con la relativa che segue al femminile: a ogni modo, il genitivo omnium è da intendere «di tutti gli astri». - ea: si tratta della Luna, a cui già i presocra-

tici, a partire da Talete (VI sec. a.C.), avevano attribui-to luce riflessa dal Sole. -ultima a caelo, citima terris: antitesi simmetrica in asindeto, nella quale ul-timus regge l'ablativo di al-lontanamento, citimus (superlativo dall'avverbio citra) il dativo di contatto. - luce lucebat aliena: /li-ce lucebat è una figura eti-mologica che crea forte coesione tra i due termini staccando l'aggettivo alie-na dal sostantivo luce me-diante iperbato e conferen-dogli forte rilievo in chiusu-ra di periodo, come si addi-ce al termine che, insieme a minima, contiene l'infor-mazione più significativa. -ut... paeniteret: propria-mente il verbo paenitere significa «provare dispetto di qualcosa»: pertanto non va tradotto con il significa-to corrente di «pentirsi», ma con un verbo che espri-ma tutto il disappunto dell'Emiliano nel prendere atto della piccolezza del-l'impero di Roma. - punc-tum: il termine, etimologi-camente connesso con il verbo pungere, «punge-re», sta à indicare metafo-ricamente qualsiasi oggetto che appaia di piccole di-mensioni. Naturalmente, in riferimento all'impero di Roma, la parola assume l'a-spetto di una caratterizza-zione iperbolica, nei cui confronti l'avverbio quasi ha valore attenuativo.

Sulla base di quanto l'Afri-cano e Lucio Emilio Paolo sono venuti dicendo sin qui, egl i ha fuso in man iera eclettica concetti tradiziona-li, dalla fede nella sopravvi-venza dell 'anima ai motivi orfico-pitagorici, mediati dal-la fonte platonica e ormai di dominio comune nel mistici-smo greco-latino. Ma nel ri-servare la beatitudine agli uomini giusti e pii, beneme-riti della famiglia e della pa-tria, egli ha impresso il sigil-lo autentico della sua perso-nalità di filosofo e di statista, di interprete genuino della mentalità romana.

p i3 l L'espressione non va intesa nel senso che dalla

Via Lattea si vedono soltan-to le stelle che non è possi-bile vedere dalla Terra, ma che si vedono proprio tutte: Scipione sta contemplando l'universo nel suo comples-so e ciò spiega il suo senso di ammirato stupore.

f14l Latitudine dell'Emiliano ad associare al fatti profon-de riflessioni esistenziali gli è attribuita anche da Polibio nel famoso passo del le Storie (XXXIX 6) In cui lo rappresenta intento a pian-gere sulle rovine di Cartagi-ne e a riflettere, di fronte al-la città da lui stesso distrut-ta, sulla precarietà delle sor-ti umane e sulla fragilità de-gli imperi.

Primo Percorso 265

Quando un politico parla dell'Aldilà

Pragmatismo e misticismo in Cicerone. Nel Somnium vediamo un Cicerone intento a crea problemi più che a risolverli. Come mai uno scrittore che nelle opere di argomento religioso - s prattutto nel De divinatione, scritto meno di una decina di anni più tardi - avrebbe fatto profe sione di scetticismo sembra qui sinceramente convinto della sopravvivenza dell'anima? E a cora, come si concilia l'impegno tutto terreno del negotium, a cui Cicerone aveva votato la \ ta, con l'invito alla contemplazione, al mantenersi estranei alla sfera degli interessi corpore che a più riprese risuona nell'opera? Nel paragrafo 12 l'esortazione espressa in forma ieratic dall'Africano (haec caelestia semper spedato, illa fiumana contemnito, «contempla sempr queste cose celesti, non darti pensiero di quelle umane») è un inequivocabile invito alla vita con templativa, ribadito nelle parole del paragrafo 17: «non prestare attenzione ai discorsi del volgo i non riporre le tue speranze nei premi umani». E questi non sono che corollari del problema di fon do suscitato dal Somnium, un finale all'insegna della spiritualità e del misticismo apposto a un'o pera di stampo schiettamente pragmatico come il De re publica.

Uno scettico non può credere nell'immortalità dell'anima e noi lettori non possiamo pretendere dj conciliare ciò che è inconciliabile. Possiamo però cercare di capire perché Cicerone sia giunto si queste posizioni.

Lo scetticismo di Cicerone. In primo luogo bisogna precisare che veramente Cicerone fa profes-sione di scetticismo: nel De natura deorum il neoaccademico Cotta adduce argomenti contro l'esistenza degli dèi e della provvidenza; nel De divinatione sono messe in ridicolo le assurde pra-tiche divinatorie. Ma è anche vero che lo scetticismo di per sé non ammetteva convinzioni assolu-te: e così nel De natura deorum Cicerone appare interessato alla visione con cui lo stoico Balbo descrive le manifestazioni della provvidenza nella natura, e nel De divinatione non nascon-de le gravi ripercussioni che l'incredulità potrebbe avere sulla religione romana, che era la più va-lida garanzia della compagine statale.

Del resto, lo scetticismo escludeva per definizione uno spirito di sistema, e Cicerone si affrettava ad accantonare il suo 'illuminismo' quando la patria chiamava a raccolta per rifondare i valori tradizionali, come nel De officiis. Che cosa è successo, dunque, nel Somnium?

li canto del cigno della repubblica morente. Occorre non perdere di vista il contesto politico degli anni 54-51 a.C., in cui Cicerone attendeva alla composizione del De re publica. Ben poche illusioni dovevano rimanergli circa il futuro della repubblica, anche se sperava ancora che la causa di Pompeo e del senato potesse avere la meglio su quella di Cesare. Proponeva dunque un modello di repubblica adattato all'emergenza sull'esempio dell'età scipionica: come nel 129 a.C. il sena-to aveva creduto che la dittatura di Scipione Emiliano potesse normalizzare la situazione turbata dalla legge agraria di Tiberio Gracco (vd. Storia Costume Società, pp. 256-257), così Cicerone po-teva ancora illudersi che il suo princeps o, meglio, un gruppo scelto di moderatores dello stato, fossero in grado di ripristinare la concordia. Perché questi principes si sentissero missionari al servizio del senato e non esponenti di una guerra senza quartiere per l'appropriazione dello stato, andavano educati a comprendere la vanità del potere e della gloria umana, a non identifica-re il bene supremo con il potere personale, ma ad aspirare alla ricompensa eterna proposta dal Somnium.

Ancora una volta Cicerone non si presentava come un teologo, ma come un politico. Anche se ave-va sbagliato i suoi calcoli per difetto di realismo a causa dell'ingenuità tipica dell'intellettuale, che crede che a muovere la storia sia la forza delle idee, non quella degli interessi e delle armi. Di lì a qualche anno scriveva all'amico Attico (Ep. ad Atticum VIII 11,1-2): «Ti ricordi quel moderatore dello stato a cui vorremmo che tutto facesse capo? [...] Ebbene questo il nostro Pompeo né in pas-sato né in quell'occasione se lo è mai proposto. Egli, come l'altro [cioè Cesare], ha cercato il potere, non il vantaggio e il bene dello stato [...]: tutti e due vogliono regnare».

16 Cicerone