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SR Scienze e Ricerche N. 24, 1° MARZO 2016 ISSN 2283-5873 24.

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SRScienze e RicercheN. 24, 1° MARZO 2016

ISSN 2283-5873

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GLI ANNALI 2015

1 numero in formato elettronico: 7,00 euro

( UN NUMERO A SCELTA IN OMAGGIO AGLI ABBONATI )

SRScienze e RicercheRIVISTA BIMENSILE · ISSN 2283-5873

Abbonamento annuale a Scienze e Ricerche in formato elettronico (24 numeri + fascicoli e numeri monografici): 42,00 euro * * 29,00 euro per gli autori e i componenti del comitato scientifico e del collegio dei referees

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24. Sommario

ERMINIO GIAVINILa nuova vita di un farmaco nefasto pag. 5

FILOMENA MONTELLAInvito alla lettura della “Storia della Astronomia dalla sua origine sinoall’anno 1811” di Giacomo Leopardi pag. 7

FRANCESCA SOMENZARIWilson, l’internazionalismo e la nuova diplomazia: un quadrocomplesso tra fallimento momentaneo e valore duraturo pag. 16

AUGUSTO MINIERI, FRANCESCO AGRESTRI, SIMONE ASSEDIATO, MARIA BARRA, ALESSANDRO IORIO, ILARIA PISANO, LUIGI ROMANO, MARIAELENA TROMBONE, GUENDALINA FROECHLICH, NICOLA ZAMBRANOCaenorhabditis elegans, un modello inatteso nella sperimentazione animale pag. 21CITTADINANZA EUROPEAANGELO ARIEMMARatto d’Europa pag. 29ANGELO ARIEMMAPiù Europa pag. 30SALVATORE SINAGRAPiketty il federalista pag. 32

NEWS DAL MONDO DELLA RICERCA E DELL’UNIVERSITÀ pag. 35

MARCELLA TAMBURELLO, GIOVANNI VILLONEL’intervento di medici e infermieri nella Grande Guerra pag. 43

ANTONIO TRINCONECom’è profondo il mare... pag. 47

VINCENZO VILLANIAndré-Marie Ampère, genio universale e primo chimico-teoricomoderno pag. 53

VINCENZO CROSIOIl diagramma rituale. Ritualità e rito nella fondazione degliimpianti urbanistici in Asia e nelle strutture indoarie pag. 61

RICERCHE

LUCA GRANIERIEssere o non essere, questo è il problema! pag. 71

FILIPPO CAROLLO, GABRIELE VIRZÌ MARIOTTI, EDOARDO SCALICIValutazione delle lesioni nell’impatto ciclista adolescente-veicolocon simulazione multibody pag. 75

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ISSN 2283-5873 Scienze e RicercheRivista bimensile (esce due volte al mese)n. 24, 1° marzo 2016

Coordinamento• Scienze matematiche, fisiche, chimiche e della terra:

Vincenzo Brandolini, Claudio Cassardo, Alberto Facchini, Savino Longo, Paola Magnaghi-Delfino, Giuseppe Morello, Annamaria Muoio, Andrea Natali, Marcello Pelillo, Marco Rigoli, Carmela Saturnino, Roberto Scan-done, Franco Taggi, Benedetto Tirozzi, Pietro Ursino

• Scienze biologiche e della salute: Riccardo N. Barbagallo, Cesario Bellantuono, Antonio Brunetti, Davide Festi, Maurizio Giuliani, Caterina La Porta, Alessandra Mazzeo, Antonio Miceli, Letizia Polito, Marco Zaffanello, Nicola Zambrano

• Scienze dell’ingegneria e dell’architettura: Orazio Carpenzano, Federico Cheli, Massimo Guarnieri, Giuliana Guaz-zaroni, Giovanna La Fianza, Angela Giovanna Leuzzi, Luciano Mescia, Maria Ines Pascariello, Vincenzo Sapienza, Maria Grazia Turco, Silvano Vergura

• Scienze dell’uomo, filosofiche, storiche, letterarie e della forma-zione: Enrico Acquaro, Angelo Ariemma, Carlo Beltrame, Marta Bertolaso, Ser-gio Bonetti, Emanuele Ferrari, Antonio Lucio Giannone, Domenico Ien-na, Rosa Lombardi, Gianna Marrone, Stefania Giulia Mazzone, Antonella Nuzzaci, Claudio Palumbo, Francesco Randazzo, Luca Refrigeri, Franco Riva, Mariagrazia Russo, Domenico Russo, Domenico Tafuri, Alessandro Teatini, Patrizia Torricelli, Agnese Visconti

• Scienze giuridiche, economiche e sociali: Giovanni Borriello, Marco Cilento, Luigi Colaianni, Riccardo Gallo, Ago-stina Latino, Elisa Pintus, Erica Varese, Alberto Virgilio, Maria Rosaria Viviano

Abbonamenti in formato elettronico (pdf HD a colori):• annuale (24 numeri + supplementi): 42,00 euro (29,00 euro per gli autori,

i componenti del comitato scientifico e del collegio dei referees)Una copia in formato elettronico: 7,00 euroUna copia in formato cartaceo (HD, copertina a colori, interno in b/n):

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La rivista ospita due tipologie di contributi:• interventi, analisi, recensioni, comunicazioni e articoli di divulgazione

scientifica (solitamente in italiano).• ricerche e articoli scientifici (in italiano, in inglese o in altre lingue).

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N. 24, 1° MARZO 2016

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE DELLA SALUTE

che il farmaco venisse immesso sul mercato, ed era figlia di un dipendente della Grunenthal che lo aveva dato alla moglie durante i primi mesi di gravidanza. Nel novembre del 1957 fu lanciato sul mercato tedesco con il nome di Contergan. Già nel dicembre 1959 il dottor Weidenbach segnalava, in un meeting tenutosi in Germania, la nascita di un bambino privo di arti. Nel settembre 1961 il prof. Wiedeman pubblicava un articolo scientifico che richiamava l’attenzione su un inspie-gabile incremento dell’incidenza di malformazioni agli arti: 13 casi negli ultimi 10 mesi. Il 16 dicembre 1961 il pediatra australiano W.G. McBride pubblicava una lettera su Lancet (1) in cui segnalava la nascita di bambini con gravi malfor-mazioni agli arti da donne che avevano assunto la talidomide (Distaval in Australia) durante la gravidanza. Questo dato veniva confermato da W. Lenz (2) che il 29 dicembre 1961 riportava sulla rivista Deutsche Medizinische Wochenschrift 41 casi di malformazioni agli arti correlati all’assunzione di talidomide in gravidanza. Inoltre, sulla base di ben condotte sperimentazioni cliniche, venivano segnalati numerosi casi di neuriti periferiche nella popolazione adulta trattata con questo nuovo farmaco.

Si stima che la talidomide abbia provocato, nel breve pe-riodo in cui fu commercializzata, oltre 400.000 casi di neu-

riti periferiche e più di 10.000 casi di malforma-zioni in bambini esposti al farmaco in gravidanza. Negli USA la talidomide non entrò mai sul merca-to, nonostante le pressioni della Richardson-Merrell, licenziataria per gli USA, perché una funzionaria della Food and Drug Ad-ministration, la dottores-sa Francis Kelsey, aveva continuamente richiesto

Talidomide: la nuova vita di un farmaco nefasto

ERMINIO GIAVINIUniversità degli Studi di Milano

La talidomide fece la sua comparsa sul mer-cato alla fine degli anni ’50, quando ormai le popolazioni occidentali erano relativamente al sicuro dalle gravi malattie infettive grazie alla scoperta degli antibiotici e all’uso di al-

cuni vaccini. L’industria farmaceutica rivolse, allora, l’atten-zione ad altri disturbi: cominciarono ad entrare in commer-cio pillole non per malattie organiche ma, per così dire, per disagi o per un maggior benessere psicofisico. Si calcola che già a quei tempi circa un milione di inglesi facesse uso di se-dativi e negli USA l’utilizzo dei barbiturici era molto diffuso. Risale a quegli anni la sintesi e la commercializzazione di benzodiapine quali Valium e Librium. Nell’ambito di questo redditizio mercato farmaceutico arrivò un nuovo sedativo: la talidomide. Sintetizzata e venduta originariamente dalla tedesca Grunenthal, fu successivamente data in concessione alla Distillers Company che la distribuì in Gran Bretagna e in tutto il Commonwealth. Fu venduta in circa quaranta stati con denominazioni diverse. I pochi esperimenti effettuati su ani-mali da laboratorio (quelli previsti dalla legislazione dell’e-poca) ne avevano evidenziato una tossicità incredibilmente bassa. I test clinici furono inizialmente scarsi: il farmaco veniva dato ai dipendenti della Grunenthal ed a medici che lo distribuivano ai loro pazienti senza un adegua-to disegno sperimentale con la sola regola che ciò che non fa male, può fare bene. Così la talidomide divenne in breve tempo il più venduto sedativo da banco del mondo. La prima bambina con mal-formazioni agli arti pro-babilmente indotte dal farmaco nacque il 25 di-cembre del 1956, prima

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SCIENZE DELLA SALUTE | SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016

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mento nella progressione della malattia in una paziente trat-tata con talidomide. Ma fu Bart Barlogie, uno dei più grandi esperti di mieloma, ad introdurne l’utilizzo dopo un impor-tante e ben condotto esperimento clinico su 84 pazienti. Le conclusioni di questo trial iniziato nel 1995 furono che la talidomide ha una effettiva attività antitumorale in pazienti affetti da mieloma multiplo in stadio avanzato: il 40% dei pazienti ha avuto una completa remissione del tumore ed il 32% ha avuto una remissione parziale, come indicato dai pa-rametri chimico-clinici (5). Gli autori attribuirono gli effet-ti osservati alle proprietà della molecola, in particolare alla sua capacità di inibire la sintesi di TNFα e alla sua notevole capacità antiangiogenica. Studi clinici su un numero signifi-cativo di pazienti hanno, successivamente, confermato che il trattamento con questo farmaco, in associazione con de-sametasone, è in grado di aumentare l’aspettativa di vita di otre il 40% in pazienti affetti da questa forma tumorale (6). IL 16 aprile del 2008 la Commissione Europea ha rilasciato l’autorizzazione alla commercializzazione della talidomide proprio per il trattamento del mieloma multiplo, una forma tumorale che colpisce il midollo osseo provocando un’ecces-siva proliferazione di plasmacellule. Così un vecchio medi-cinale con scarsi effetti sedativi e una pessima fama legata al suo devastante effetto sullo sviluppo embrionale è assurta a nuova vita diventando un farmaco d’elezione per la lebbra ed un valido farmaco contro il mieloma multiplo. Tutto ciò evidenzia, ancora una volta, quanto sia essenziale la cono-scenza dei meccanismi d’azione dei farmaci. Questa cono-scenza può spesso aprire orizzonti insperati per l’utilizzo di molecole apparentemente prive di una buona attività farma-cologica. Nel caso della talidomide, il fatto stesso che fosse così devastante sullo sviluppo dell’embrione significava che possedeva un’attività a livello molecolare che, se adeguata-mente compresa e finalizzata, avrebbe potuto svolgere una qualche attività farmacologica sull’individuo adulto. Cosa che si è puntualmente verificata.

BIBLIOGRAFIA

1) McBride WG. Thalidomide and congenital malforma-tions. Lancet, 278: 1358, 1961.

2) Lenz W. Kindliche Mißbildungen nach Medicament-Einnahme während der Gravidität? Dtsch. Med. Wochen-schr. 86: 2555-2556, 1961.

3) Sheskin J. Thalidomide in lepra reaction. Int.J. Derma-tol. 14: 575-576, 1975.

4) D’Amato RJ. et al. Thalidomide is an inhibitor of angio-genesis. PNAS, 91: 4082-4085, 1994.

5) Singhal S. et al. Antitumor activity of thalidomide in refractory multiple myeloma. NEJ Med., 341: 1565-1571, 1999.

6) Rajkumar SV et al. Phase III clinical trial of Thalid-omide plus Dexamethasone compared with Dexamethado-sone alone in newly diagnosed multiple myeloma: a clinical trial coordinated by Eastern Cooperative Oncology Groups. J. Clin. Oncol. 24: 431-436, 2006.

nuovi studi e chiarimenti proprio in relazione alle segna-lazioni di neuriti periferiche. Nel frattempo la Grunenthal, sulla base dello scandalo provocato dall’enorme numero di bambini malformati attribuiti all’uso della talidomide come antiemetico e ansiolitico in gravidanza, ritirava il farmaco dal mercato. L’evento talidomide fu il punto di partenza per rivedere tutta la legislazione sulla sicurezza dei farmaci pri-ma della loro immissione sul mercato che ha portato alle so-fisticate e costose sperimentazioni cliniche e di laboratorio ancora oggi in atto

La storia della talidomide avrebbe potuto concludersi definitivamente nella prima metà degli anni ‘60 del secolo scorso, se non fosse stato per il dermatologo israeliano Ja-cob Sheskin che nel 1964 stava curando un paziente affetto da lebbra presso l’Hadassah University Hospital di Gerusa-lemme. Disperato perché non riusciva ad alleviare i terribili dolori del suo paziente e avendo trovato alcune confezioni di talidomide nella farmacia dell’ospedale, decise di provare anche quel sedativo e ne somministrò due pastiglie al suo lebbroso il quale, dopo notti insonni, dormì finalmente bene e senza dolori, fu in grado di alzarsi dal letto e, dopo alcuni giorni di trattamento con il farmaco, le sue lesioni comincia-rono a migliorare fino a scomparire del tutto (3). La casuale scoperta del prof. Sheskin (un caso di serendipity?) portò ad effettuare ulteriori studi sulla possibile attività antiinfiamma-toria della talidomide, studiandone più approfonditamente il meccanismo d’azione. Si constatò, così, che quel terribile agente teratogeno era in grado di interferire con alcuni tipi di reazioni immunitarie e poteva essere efficace non solo sui pazienti affetti da lebbra, in particolare contro l’eritema no-doso tipico di questa malattia, ma anche in altre forme in-fiammatorie. Gli studi condotti sul suo meccanismo d’azione hanno, infatti, evidenziato che essa è in grado di inibire la protein-chinasi α e, di conseguenza, la sintesi di interleuchi-ne e del TNF-α (Tumor Necrosis Factor α), molecole attive nei processi infiammatori. L’efficacia della talidomide nel controllare l’evoluzione dell’eritema nodoso della lebbra sembra proprio legato alla sua capacità di inibire il TNF-α con conseguente riduzione dell’infiammazione. Non solo, per queste sue caratteristiche è stata utilizzata anche in pa-zienti affetti da artrite reumatoide (ma con scarso successo) e nella cura delle ulcerazioni della mucosa boccale in soggetti HIV positivi. Sembra anche funzionare bene nella sindrome di Behcet, una rara malattia autoimmune caratterizzata da un disordine infiammatorio generalizzato che coinvolge cute, mucose (afte), articolazioni e vasi sanguigni (flebiti).

Le numerose ricerche condotte per cercare di comprende-re il meccanismo d’azione attraverso il quale la talidomide esercita il suo potente effetto teratogeno hanno fornito nu-merose risposte (stress ossidativo, degenerazione dei nervi, ecc.). La scoperta che la talidomide è, nell’embrione, un po-tente inibitore dell’angiogenesi (4) ha indotto alcuni ricerca-tori a sperimentarla anche come un possibile antitumorale. In questi ultimi anni si è dimostrata essere un buon farmaco nella terapia del mieloma multiplo. Già nel 1965 KB Olson (un pioniere in questo campo) aveva riportato un rallenta-

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE FILOLOGICO-LETTERARIE

Invito alla lettura della “Storia della Astronomia dalla sua origine sino all’anno 1811” di Giacomo Leopardi FILOMENA MONTELLADocente di Lettere

affinerà in seguito.La formazione di Leopardi era classica ed era alimenta-

ta, soprattutto, dai testi presenti nella biblioteca del “pater-no ostello”, ricca di oltre 16000 volumi, collocati in diverse stanze. Nella stan za centrale il giovanissimo Giacomo, pri-ma dei quindici anni, compose la sua monumentale Storia

dell’Astro nomia. Scriveva ad un «tavolino presso la finestra, con le spalle rivolte a levante», così racconta Monaldo del suo «dilettissimo figlio» in una lettera inviata ad un ami co romano per sollecitargli la ricerca di un ennesimo libro di astronomia.

Diamo un po’ di cifre che possono chiarirci la grandiosità della Storia dell’Astronomia: 300 libri citati in 1700 note nei primi quattro capitoli; oltre 300 pagine di testo; oltre 2000 nomi di astronomi, filosofi, poeti, tutti in una ottocentesca

«La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è senza dub-bio l’Astronomia».

È con questo inno alla scienza del cielo che si apre l’ardito pro-

getto che un giovane quindicenne di Recanati di nome Gia-como Leopardi ha realizzato con il titolo Storia della Astronomia dalla sua origine sino all’anno 1811, un’opera che propone un excursus storico-culturale della storia dell’astronomia, partendo dalle “strava-ganze” dei primi filosofi per giungere alla più sobria scienza dei suoi tempi, edificata dall’”immortale” Newton e seguaci.

L’opera del giovane Giacomo, tuttavia, non è soltanto una sterile storia che parte dall’antichità fino al 1811, ma un affresco vivo e piacevole degli sviluppi delle inda-gini sul cielo, e affronta anche temi quali la pluralità dei mondi, l’eventuale vita ex-traterrestre, l’infinità dell’universo.

L’idea di Leopardi, quindi, era quella di realizzare una biblioteca, e, allo stesso tempo, non solo una biblioteca, ma anche una storia, in altre parole, una narrazione concatenata dei progressi compiuti dall’a-stronomia, in un modo colto e letterario. E c’è riuscito pienamente.

Per sei mesi del 1813, Leopardi si è dedicato alla stesura di un lavoro che è veramente ammirevole ancora ai nostri giorni. Si tratta di un’opera davvero stupefacente, se si pensa all’incredibile estensione della bibliografia citata da Leopar-di. A fine opera, infatti, è riportato un elenco di testi consul-tati (circa 224 nomi). E non bisogna dimenticarsi che nello stesso periodo il giovane studiava greco, latino ed ebraico (l’opera in questione è ricca di citazioni non tradotte) e in-cominciava a tracciare le linee di quella sua poetica, che si

Giacomo Leopardi

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SCIENZE FILOLOGICO-LETTERARIE | SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016

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nell’invettiva contro l’«astrologia giudiciaria», che vuole le-gare agli astri il destino degli uomini: «Il creder possibile la cognizion del futuro serve a pascere la curiosità dell’uomo, e il riputar di conoscerlo in effetto lusinga la sua ambizione. Questa infermità di mente fu ed è tuttora incurabile, e gli astrologi divennero ben presto l’oggetto dell’ammirazione del volgo». E, tuttavia, l’opera è ricca di excursus poetici molto delicati e che dimostrano la vena artistica e sentimen-tale del poeta Leopardi. I passaggi sono tenui e armoniosi, le descrizioni sottili e romantiche.

Dallo scritto si evince la necessità della conoscenza: «Il mondo è pieno di errori e prima cura dell’uomo deve essere quella di conoscere il vero»; «La natura generalmente na-sconde delle verità, ma non insegna degli errori; […]. La cattiva educazione fa ciò che non fa la natura. Essa riempie l’idee vane le deboli menti puerili: la culla del bambino è circondata da pregiudizi d’ogni sorta, e il fanciullo è allevato con questi perversi compagni».

Nel corso del tempo Leopardi si convincerà che non è solo la «cattiva educazione» a produrre tali effetti, ma la migliore istruzione e civiltà: «tutte le scoperte fondate sulla nuda os-servazione delle cose, non fanno quasi altro che convincerci de’ nostri errori e delle false opinioni da noi prese e formate e create col nostro proprio raziocinio o naturale o coltiva-to e (come si dice) istituto». Per questo Leopardi è sempre più tentato di definire «sapientissima» proprio l’ingenuità e l’ignoranza, e di proporre una «ultrafilosofia» capace di ri-portarci in qualche modo (un modo che sappia, però, tener conto della cultura, dalla quale comunque non si torna in-dietro) allo stato di dimenticanza e di ingenuità proprio degli animali e dei selvaggi. «E questo dovrebb’essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo».

La natura non insegna né verità né errori. La vita dell’uo-mo invece ne è piena. Ma a che serve sradicarli, a che serve il progresso della ragione, della conoscenza, della filosofia, dei lumi, se poi tutto questo nuoce alla vita? I vecchi errori vengono sistematicamente sostituiti da nuovi errori. Da acu-to osservatore delle cose scientifiche, egli ci fa capire che una teoria può “vacillare”, ma che questo non significa che abbiano meno valore. Il problema piuttosto è che, in certi momenti, non vi sono grandi uomini capaci di inventare nuove favole più credibili e meglio fondate sulle precedenti. Leopardi denuncia la pigrizia nell’accettare acriticamente un sistema (Newton).

Un elemento caratteristico è l’idea della continuità degli studi: dalla morte di uno segue la nascita di un altro. Ad esempio Leopardi scrive: «Nel 1656 morì in età di 96 anni Tommaso Finck Danese […]. La natura non distrugge, che per creare, e non crea, che per distruggere. Togliendo la vita a Finck, la diede ad Halley, uno dei più insigni illustratori della scienza degli astri». Di Finck è difficile che qualcuno oggi si ricordi. Di Halley invece tutti sanno almeno che il suo nome appartiene – e sempre apparterà – a una cometa. C’è una involontaria ironia in questo creare della natura qualcosa

italianizzazione; numerosissime citazioni in greco e latino.Non è una lettura facile né scorrevole per la ricchezza di

informazioni che letteralmente bombardano ed investono il lettore, ma, tuttavia, questi è facilmente coinvolto nella sco-perta e nella ricerca, nonché nei voli romantici, ricolmi di poesia.

La scansione dei capitoli obbedisce ad esigenze di carat-tere cronologico: i primi quattro capitoli, che costituiscono la prima stesura del 1811, sono dedicati rispettivamente all’astronomia dalle origini a Talete, da Talete a Tolomeo, da Tolomeo a Copernico, da Copernico sino all’apparizione della cometa dell’anno 1811. Seguono alcune considerazio-ni sui Progressi fatti dall’astronomia, che costituiscono il quinto capitolo, nato dall’esigenza di mettere in ordine tutte le informazioni raccolte nei primi quattro capitoli, una serie di aggiunte, una raccolta di testi consultati (bibliografia) e infine una Dissertazione sopra l’origine e i primi progressi dell’astronomia del 18141.

Il carattere principale – come si intuisce da questa struttu-ra – resta quello di un immenso, e il più possibile esaustivo, repertorio bio-bibliografico, in cui il quindicenne e già “en-ciclopedissimo” Leopardi ha modo di sfoggiare con entusia-smo tutta la sua estrema erudizione. Così, molto spesso, nel testo i collegamenti sono dettati, più che dai contenuti, dalla cronologia, o dall’esigenza di ordinare per gruppi gli oltre 2000 riferimenti bibliografici.

Per questo la Storia dell’astronomia, che lo stesso Leopar-di non volle dare alle stampe perché non ne era pienamente soddisfatto, e che fu pubblicata postuma nel 1880 da Halle, è stata spesso sottovalutata dalla critica, ritenendola un’opera di esercizio erudito. Tuttavia, se si elimina il contesto erudi-tissimo che sembra soffocare l’opera, ci si accorge che sono in nuce i pensieri che si svilupperanno in età matura (come ad esempio l’idea della natura benigna). L’esempio di Finck e Halley, espediente effimero per passare da un autore all’al-tro, dimostra già l’idea centralissima del pensiero leopardia-no della natura in itinere.

E ci si trova spesso a chiedersi come possa un’opera tanto ricca e documentata essere stata scritta da un quindicenne, pur eccezionalmente dotato. A volte lo sfoggio di erudizione si fa un po’ pesante, specie nella parte di astronomia antica, e si fatica a procedere tra riferimenti bibliografici e citazioni in latino, greco e aramaico. La prosa diventa godibile, come

1 Questo è il piano dell’opera:* INTRODUZIONE* CAPITOLO I: Storia della astronomia dalla sua origine sino alla nascita di Talete* CAPITOLO II: Storia della astronomia dalla nascita di Talete sino a quella di Ptolomeo* CAPITOLO III: Storia della astronomia dalla nascita di Ptolomeo sino a quella di Copernico* CAPITOLO IV: Storia della astronomia dalla nascita di Copernico sino alla cometa dell’anno 1811* CAPITOLO V: PROGRESSI FATTI DALLA ASTRONOMIA* GIUNTE ALLA STORIA DELLA ASTRONOMIA* BIBLIOGRAFIA

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE FILOLOGICO-LETTERARIE

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libri e coltivi giu-ste curiosità at-torno ai cammini di scoperta che ruotano attorno a l l ’as t ronomia, troverà attraente questa coraggiosa iniziativa edito-riale: dai tempi di Leopardi ai giorni nostri, la crescita delle conoscenze umane ha fatto passi giganteschi. E, come annota la Hack in chiusura, forse «noi ci sia-mo perché questo universo, casual-mente, ha i valori adatti alla nostra comparsa».

Entriamo ora in medias res. Si desidera illustrare alcuni punti fon-damentali dell’in-troduzione e del capitolo V. Suc-

cessivamente, saranno analizzati alcuni punti dei capitoli I-IV.

Fine dell’opera è: «L’Astronomia dunque sì stimata da tut-ti i sapienti, sì favorita da tutti i principi saggi ed illuminati, sì utile ad ogni genere di persone, condotta dalle umane ri-cerche allo stato in cui al presente si ritrova merita alcerto che lo studioso filosofo si applichi ad indagarne l’origine, a ricercarne i progressi, e a conoscerne l’epoche principali. Non credei far cosa discara alla letteraria repubblica nel tes-ser la Storia delle più ardite imprese dell’umano intelletto. I più celebri astronomi sì antichi, che moderni, e le più inte-ressanti vicende dell’astronomia verranno in questa con la possibile esattezza noverate e descritte».

Nell’introduzione, l’astronomia è presentata subito come una scienza (complesso organico delle conoscenze che si posseggono intorno a un determinato ordine di fenomeni).

Una scienza utile, risorta dopo che per molto tempo era stata soggetta alle tenebre dell’errore ed alle follie degli an-tichi filosofi.

L’astronomia è nata con l’uomo: le prime osservazioni furono fatte per curiosità. Per curiosità l’uomo iniziò a con-templare «quei corpi che, senza urtarsi e senza distruggersi, annunziavano la potenza del Creatore e la magnificenza della natura».

di qualitativamente migliore di ciò che aveva distrutto; un segno della natura del suo “operare verso il bene”, ele-mento che verrà poi rifiutato da Leopar-di in età matura.

Il libro, inoltre, ci ricorda quale rapporto comples-so, ma profondo, esista tra scienza e arte. Arte e scienza sono due modalità, diverse ma poten-ti, di interpretare il mondo. E ciascuna può aiutare l’altra, sia pure in ma-niera non lineare. Grazie alla Storia dell’Astronomia si può trarre una pic-cola morale: arte e scienza si rimanda-no l’un l’altra idee e concetti, che poi ciascuno interpreta secondo le proprie modalità e che contribuiscono a creare «visioni del mondo». Questa reciproca contaminazione ren-de unica, anche se articolata, la cultura umana.

L’opera del giovane Leopardi ha ispirato la stessa Marghe-rita Hack per comporre la sua Storia dell’astronomia. Dalle origini al duemila e oltre. Ovviamente, si tratta di una scelta editoriale quanto mai originale: proseguire, fino ai primi ri-sultati del ventunesimo secolo, la Storia dell’astronomia che Leopardi fa concludere con l’inizio dell’Ottocento. Un’ope-razione riuscita? Sembrerebbe di sì. La prima parte del libro, che giunge sino agli inizi dell’Ottocento, appartiene a Giaco-mo Leopardi. La seconda parte, scritta da Margherita Hack, comincia dove Leopardi finisce e si proietta sino a illustrare le prospettive aperte sul XXI secolo dalle straordinarie con-quiste più recenti. Lo scienziato moderno “prende per mano” il geniale studioso giovinetto dallo studio di Recanati e, con lui, accompagna noi tutti lungo l’affascinante itinerario, non ancora concluso, sulle strade del firmamento, con un lin-guaggio che unisce precisione e chiarezza.

La scoperta del cielo accomuna i due autori. Una storia, due autori. Giacomo Leopardi, Margherita Hack, solo in ap-parenza fra loro estranei e lontani. Li unisce in realtà la pas-sione per l’astronomia.

Si è convinti che anche il cittadino colto, purché ami i

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sieri. Noi abbiamo veduto il successivo sviluppo dell’Astro-nomia in tutte le sue parti prese insieme. Vediamolo ora nelle sue parti considerate separatamente l’una dall’altra. Abbia-mo sin qui veduta la scienza degli astri acquistar sempre maggior perfezione nelle mani di quegli uomini grandi che si sono applicati ad illustrarla, ad apprenderla e ad accrescer-la. Ma questi uomini grandi hanno impiegato diversi mezzi a tale effetto. Sminuzziamo ora il loro lavoro. Vediamo a parte a parte i progressi della scienza degli astri. Così verrà vie meglio a conoscersi lo sviluppo delle nostre cognizioni, ed il carattere dello spirito umano».

Il capitolo è poi diviso in cinque paragrafi:1. Origine dell’Astronomia 2. Prime osservazioni astronomiche 3. Sole 4. Luna 5. Stelle

Ancora una volta si afferma che l’astronomia è nata coll’uomo e che per curiosità l’uomo iniziò a contemplare «quei corpi che, senza urtarsi e senza distruggersi, annunzia-vano la potenza del Creatore e la magnificenza della natura».

Il paragrafo sul Sole si apre con un excursus storico sulle interpretazioni e gli studi fatti su questa stella (Anassago-ra, Aristotele, Galilei). Sono prese in considerazione anche le macchie solari, considerate dall’astronomo M. de la Hire «come le eminenze di una materia solida, e iregolare, che nuota sulla materia fluida del Sole, e talvolta vi s’immerge». Nella parte finale è presentato un elogio poetico al Sole, rap-presentato come il regolatore della natura: «il suo incarico è di diffonder per ogni dove insieme con la luce il calore e la vita. Egli si affetta per adempiere a questo incarico: scaglia i suoi fuochi penetranti, ravviva tutto ciò a cui giunge il suo calore, scorre da un lato all’altro del cielo, e termina la sua carriera come un instancabile atleta. Tutto si anima, tutto ac-quista un nuovo vigore, al diffondersi de’ suoi benefici raggi, egli apporta alla natura refrigerio e sollievo, e colle penetran-ti sue fiamme giunge perfino in quei luoghi ove giunger non possono i suoi raggi».

«Ma già il Sole è giunto al termine del diurno suo corso... Il palagio della natura non rimane però privo di luce. Benché la notte bon sia destinata che al silenzio ed al sonno, può nondimeno l’uomo aver mestieri di prolungare il suo trava-glio, o di continuare i suoi viaggi. La natura sempre atten-ta a provvedere a tutti i suoi bisogni, oltre le varie fiaccole che nel cielo ha disposte, e che abbastanza rischiarano il suo cammino, gli ha altresì somministrato un luminare superiore in chiarezza a tutte le stelle, un magnifico specchio, da cui gli vien resa nella notte una parte della luce solare che avea perduta».

Così, anche per la Luna Leopardi segue lo stesso schema: dopo un’analisi degli studi sulla Luna (da Talete, ad Eraclito, da Newton a Galilei, fino agli astronomi contemporanei), si passa alla poesia, affermando che essa è il magnifico spec-chio che restituisce di notte la luce solare.

«La notte sembra incaricata di far sì che il Re della natu-

Lo studio degli astri dimostra la grandezza dell’Essere Su-premo, il Creatore: esso non ha la pretesa di identificarsi con un dio religioso, ma è un essere supremo che ha dato origine al tutto.

Dopo la curiosità, subentrò la necessità: l’astronomia è uti-le per la navigazione e quindi per il commercio e per l’agri-coltura. Di qui la conclusione che esiste una relazione a chia-mo fra Terra-uomini e ammiratori-cielo, sicché l’astronomia è una scienza utile e dilettosa.

Nell’introduzione Leopardi rileva che l’astronomia ha avuto molti ammiratori illustri (Lucrezio, Orazio, Virgilio). Lo stesso Davide «prendeva dalle stelle argomento di elevar-si a Dio». E da sempre gli astronomi hanno occupato anche ruoli di prestigio. I sapienti hanno sempre dato importanza all’astronomia. Si consideri Anassagora, VI a.C. che, alla domanda quale fosse la sua patria, rispose elevando gli occhi al cielo che era il Cielo stesso. O si veda Ovidio, che nelle Metamorfosi, un’opera in versi, afferma che gli occhi sono stati dati per l’astronomia.

E che dire poi degli eventi astronomici non capiti per igno-ranza in corrispondenza di episodi storici importanti: Nicia e l’eclissi di Luna; Luigi il Buono, figlio di Carlo Magno e la cometa dell’837; lo scisma della chiesa in Inghilterra e la cometa; Newton e la cometa del 1680; Leopardi che assiste allo spavento del volgo per l’eclissi di Sole dell’11 febbraio 1804.

E inoltre: «Di quali stravaganze non è capace lo spirito umano allorquando non è regolato da cognizioni astronomi-che». Al contrario capire gli eventi astronomici è utile: ne è un esempio il comportamento di Pericle, che, mentre si ve-rificava un’eclissi di Sole, assicura l’equipaggio della flot-ta ateniese, spaventato, «con una comparazione familiare»: «Vedendo Pericle, che quivi trovavasi, il suo piloto incerto e smarrito, gli pose sul volto il suo mantello, e gli domandò poi, se vedeva. Al che avendo risposto il piloto, che glielo impediva il suo mantello, Pericle mostrogli, che per simile causa il corpo della Luna, interposto fra essi ed il Sole, impe-diva loro di vedere quest’ultimo».

Le cognizioni astronomiche hanno necessità pratiche: si consideri che il calendario, utile per le vicende umane, è re-alizzato in base a conoscenze astronomiche. È necessario, pertanto, dare onori agli astronomi e per questo il fine dell’o-pera è: «L’Astronomia dunque sì stimata da tutti i sapienti, sì favorita da tutti i principi saggi ed illuminati, sì utile ad ogni genere di persone, condotte dalle umane ricerche allo stato in cui al presente si ritrova merita alcerto che lo studioso filoso-fo si applichi ad indagare l’origine, a ricercarne i progressi, e a conoscerne l’epoche principali. Non credei far cosa discara alla letteraria repubblica nel tesser la Storia delle più ardite imprese dell’umano intelletto. I più celebri astronomi sì anti-chi, che moderni, e le più interessanti vicende dell’Astrono-mia verranno in questa con la possibile esattezza noverate e descritte».

Il capitolo quinto si apre con questa affermazione:«La principal cura dell’uomo esser dee quella di riordinar

le sue idee, e di dare un’adequata distribuzione ai suoi pen-

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Bilancia: «vale a contrassegnare l’equinozio»;Scorpione: «il veleno dello Scorpione dinota le malattie

autunnali»;Sagittario: «caccia delle fiere selvaggie, che gli antichi so-

lean fare all’approssimarsi del verno»Capricorno: «ed il costume della Capra di andar per le

montagne, inerpicandosi, in cerca del pascolo, mostra l’ascendere che fa il Sole per lo Zodiaco, dopo oltrepassato un tal segno»;

Acquario: «dinota le invernali pioggie»;Pesci: «dinota l’abbondanti pesche, che soglion farsi al

declinar della fredda stagione»;

Non sembra che gli inventori siano stati gli Egiziani per-ché la loro agricoltura era diversa per la presenza del Nilo e sulla loro regione non erano frequenti le piogge (Acquario); tuttavia, nei loro geroglifici sono presenti dei segni zodiacali.

L’invenzione fu realizzata per descrivere il corso del Sole. Fra i vari sistemi proposti sull’invenzione dello Zodiaco, curioso è quello che affida l’invenzione dei dodici segni a Giacobbe (essi rappresenterebbero i suoi undici figli maschi, fra cui i gemelli, Simeone e Levi, e della figlia Dina, la Ver-gine); i segni rispetterebbero i loro caratteri.

A questo punto Leopardi passa in rassegna gli effetti de-plorabili delle osservazioni del cielo.

L’astrologia, in primo luogo, è considerata un «parto infe-lice dell’umana ambizione e follia». E dopo aver fornito un elenco di astrologi, afferma che l’unico merito dell’astrolo-gia è che «ne’ secoli barbari, quando le scienze non avevano attrattiva, il desiderio di saper l’avvenire ha occupato il cuore dell’uomo, ed ha sostenuta in qualche modo l’astronomia. Ciò serve a provare, che non v’è quasi alcun male, dal quale non tragga origine qualche bene».

L’astrolatria, invece, è il culto religioso riservato agli astri, soprattutto al Sole e alla Luna.

Continua poi con la descrizione dell’astronomia presso i Babilonesi, gli Egiziani (sistema geocentrico), gli Indiani, i Cinesi (Dragone), i Persiani, gli Arabi, i Druidi, gli Etiopi, i popoli dell’America (Peruviani e la descrizione favolosa del tempio del Sole, i Messicani e la notte buia cercata dal re).

Continua con Adamo, Urano e Atlante.

Nel secondo capitolo, il giovane Leopardi prende in esa-me l’astronomia greca. Il capitolo si apre con un excursus sull’eclissi, la prima predetta da Talete. Questi sono i filoso-fi-astronomi dei quali si riportano delle notizie:

TALETE (Mileto, nato nel 640 a.C.), che fu in grado di prevedere l’eclissi solare del 585 a.C.;

ANASSIMANDRO (Mileto, floruit nel 547 a.C.);ANASSIMENE (Mileto, floruit metà del VI secolo), co-

struttore di uno gnomone ;ANASSAGORA (Clazomene, nato nel 500 a.C.) e le pie-

tre nel cielo;SENOFANE (Colofone, floruit nel 540 a.C.) e l’excursus

sulla pluralità dei mondi;FERECIDE (Siro, floruit metà VI secolo);

ra (il Sole) tranquillamente riposi, e che si rispetti in ogni dove il suo sonno. Non era però conveniente che a coloro che vegliano, un lume si dasse capace di disturbare la quiete di coloro che riposano. Fu quindi disposto che la Luna non risplendesse che di una luce soave e poco brillante, capace di recar soccorso all’uomo che veglia, e incapace di recar mo-lestia all’uomo che riposa. Tutto è provvidamente distribuito dalla natura. La confusione, e il disordine non possono aver luogo nelle opere di quella sapienza che detta leggi a tutto il creato».

Ma «la Luna non è la sola che adorna e rende bello lo spettacolo della notte», perché ci sono le stelle, “innumera-bili faci” che accrescono la bellezza delle terrestri regioni. «L’uomo divien come statico nel contemplare l’ordine am-mirabile in cui schierate sono e disposte quelle sfolgoranti lumiere che brillan sospese alla ricca volta che cuopre la sua abitazione... Il Creatore ha così provveduto perché l’uomo godesse della vista di quella moltitudine di globi senza che questi arrecassero alcun pregiudizio alla freschezza della notte e alla tranquillità del sonno».

Segue un excursus storico sull’osservazioni delle stelle, con numerose citazioni in latino.

Passiamo ora ai capitoli I-IV.Nel primo capitolo si afferma di nuovo che l’astronomia

è una delle più antiche scienze, necessaria e utile all’uomo. È presentato anche il giudizio del grande Cassini, il quale affermò che l’astronomia «fu inventata al principio del mon-do»; «non fu sola la curiosità che trasportò gli uomini ad applicarsi all’osservazioni astronomiche; si può dire che vi furon costretti dalla necessità. Poiché se non si osservano le stagioni, che si distinguono dal moto del Sole, è impossibile di riuscire nell’agricoltura».

Proprio perché si tratta di una scienza antica, è difficile determinare «presso qual popolo ebbe ella la prima sua ori-gine». Molti credono che l’invenzione sia attribuibile ai Cal-dei, che conoscevano il periodo luni-solare di 6000 anni e il ciclo di Sarö di 223 mesi Lunari, che riconduce il Sole e la Luna quasi al medesimo punto del cielo.

Quando parla di Egiziani e astronomia, Leopardi considera l’utilità di tale conoscenza per questo popolo per la presenza del Nilo.

Segue un excursus sullo Zodiaco e su quale popolo lo ab-bia inventato.

Leopardi descrive i dodici segni:Ariete: «mostra la robustezza degli agnelli, i quali al co-

minciar di primavera sono ormai pronti a seguire al pascolo il montone ne’ prati»;

Toro: «ingrossa la mandra uniti ai capretti»;Gemelli: «capretti»; Cancro: «il quale cammina allo indietro e obliquamente …

esprime il moto retrogrado ed obliquo, che fa il Sole dopo oltrepassato questo segno»;

Leone: «la ferocia del leone simboleggia l’ardore e la for-za de’ raggi del Sole»;

Vergine: «esprime la mietitura»;

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BIONE (Abdera, V secolo a.C.) discepolo di Democrito;AUTOLICO (Eolide, V secolo a.C.) discepolo di Demo-

crito;PITEA (Marsiglia, floruit 330 a.C.);Excursus sulla costruzione del primo quadrante solare ad

opera di Papirio Cursore nel 306 a.C;EUCLIDE (floruit 300 a.C.);ERATOSTENE (Cirene, 290-195 a.C.) e il suo esperimen-

to per la misurazione della circonferenza della Terra;ARATO (Soli, III secolo a.C.);CONONE (Samo, III secolo a.C.);ARISTARCO (Samo floruit nel 264 a.C.)APOLLONIO (Perge in Panfilia, III secolo a.C.);ARCHIMEDE (Siracusa, nato nel 287 a.C.);IPPARCO (Nicea, in Bitinia, nato nel 190 a.C.) e il suo

catalogo delle stelle;GAIO SULPICIO GALLO (Roma, II a.C.), con un giudi-

zio di Leopardi sull’astronomia nel Lazio;GEMINO (Rodi, floruit 137 a.C.);ASTRONOMI CINESIPOSIDONIO (Apamea, in Siria, 135-51 a.C.);GAIO GIULIO CESARE (morto nel 44 a.C.);MANILIO (floruit I secolo d.C.);

PITAGORA (Samo o Toscana, nato nel 570 a.C.) e il va-lore della matematica;

CLEOSTRATO (Tenedo, floruit 536 a.C.);ARPALO (floruit nel 480 a.C.);SOCRATE (Atene, 470-400 a.C.), il quale “fe’ scendere

la filosofia dal cielo in Terra, e nelle città la introdusse, ed abitar la fece tra le mura delle domestiche magioni, e la sta-bilì regolatrice della vita e dei costumi degli uomini”;

FAINO (Elide, V secolo a.C.);METONE (Elide, V secolo a.C.), discepolo di Faino;LEUCIPPO (Abdera, floruit 428 a.C.), discepolo di Zeno-

ne e maestro di Democrito;FILOLAO (Crotone, floruit 392 a.C.);PLATONE (Atene, 427-347);FILIPPO MEDMEO (discepolo di Platone, IV secolo

a.C.);EUDOSSO (Cnido, floruit 390 a.C.);ARISTOTELE, detto l’immortale (Stagira, in Macedonia,

nato nel 384);DICEARCO (Messina, IV secolo a.C.) discepolo di Ari-

stotele;DEMOCRITO (Abdera, costa della Tracia, nato nel 460

a.C.);

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DOLFO CAPUANO, RAIMONDO MONACO, ABRAMO CHUA, MICHELE PSELLO, SIMEONE SET (secolo XI);

ALEARDO (fine XI inizio XII secolo);ABEN-EZRA e GENEBRARDO (XII secolo);AVERROE (XII secolo);FEDERICO II (1230-1250) ;ALFONSO IX (re di Leone e di Pastiglia, chiamato il Sa-

vio e l’Astronomo);MELITENIOTA (fine XIII secolo);SACROBOSCO (vissuto al tempo di Alfonso IX);COCHEOU-KING (floruit nel 1278, astronomo cinese);RUGGERO BACONE (morto circa 16 anni dopo questa

epoca);ENRICO di Bruxelles (inizio XIV secolo);FLAVIO GIOIA AMALFITANO (nel 1302 inventò la

bussola);TEODORO METOCHITE (morto nel 1332);GREGORA, GIACOMO DONDO, ISACCO ARGIRO e

altri (XIV secolo);GIOVANNI LEGNANO (morto nel 1383);GIOVANNI AVONIO INGLESE e altri (XIV secolo);PAOLO TOSCANELLO (nato nel 1397);G. GMUNDEN, G. GUALTERIO e altri (XV secolo);ULUG BEG (re della Battriana nel 1430);GIOVANNI MÜLLER (nato in Franconia nel 1436);WALTHER (inizio XVI secolo);G. CAPUANO, G. VALLA e altri (XVI secolo);LEONARDO (nato a Vinci nel 1443);MANFREDI (astronomo di Bologna, floruit nel 1450);CARDINALE NICCOLÒ di Cusa (contemporaneo del

precedente);COPERNICO (Thorn 1473 - Frauenburg, odierna From-

bork 1543)La conclusione del capitolo recita: «Di tutto ciò, che dopo

il nascimento di quest’uomo immortale accadde di spettante nell’Astronomia, ci serbiamo a parlare nel seguente capito-lo».

Il quarto capitolo si apre con queste paroel: «Benché gli uomini fatti avessero de’ grandi progressi nella scienza de-gli Astri, non avevano ancora sufficiente cognizione del vero sistema del mondo. Il famoso Copernico fu quello, che pose in chiaro la ipotesi di Pitagora, di Aristarco di Samo e del Cardinale di Cusa, e rese finalmente manifesta la verità».

Gli astronomi, dei quali Leopardi riporta notizie biografi-che e imprese, sono:

COPERNICO (nato nel 1473 o nel 1474 – morto nel 1543); il sistema copernicano: «il Sole occupa il centro del nostro sistema planetario. Intorno ad esso si aggirano Mer-curio, Venere, la Terra, Marte, Giove e Saturno, ed il tutto è terminato dal cielo delle stelle fisse. I pianeti vanno da oc-cidente in oriente, e la Luna gira intorno alla Terra, la quale cotidianamente si rivolge intorno al suo asse»;

PIASIO Cremonese (nato nel 1410 e morto nel 1492);FEDERICO COMMANDINO (nato nel 1509);ERASMO REINHOLD ed altri, vissuti al tempo di Co-

Excursus sui poeti che hanno scritto di astronomia;RE MAGI e apparizione di un astro meraviglioso;TEODOSIO TRIPOLITA (floruit 30 d.C.);Apparizione di una cometa crinita (79 d.C.);PLUTARCO (Cheronea, in Beozia, 47-127 d.C.);AGRIPPA (Roma, floruit 93 d.C.);MENELAO (Roma, floruit 98 d.C.).

Le parole conclusive del capitolo sono: «Tale progressi fece lo spirito umano nell’Astronomia in tutto il tempo, che passò dalla nascita di Talete sino a quella di Ptolomeo. Ciò che accadde, da quest’epoca sino al nascimento di Coperni-co, intorno alla scienza degli astri, formerà il soggetto del seguente capitolo»

L’incipit del terzo capitolo recita: «La scienza astronomi-ca. Illustra precipuamente da Talete, da Anassimandro, da Pitagora, da Metone, da Eratostene e da Ipparco, non era ancora che un composto di dottrine disordinate e confuse. L’immortale Claudio Ptolomeo pose in ordine coteste dottri-ne, e dette una forma regolare alla scienza degli astri».

Gli autori, che hanno scritto di astronomia, analizzati da Leopardi, sono:

TOLOMEO (I secolo d.C.);S. IPPOLITO, vescovo di Porto (inizio III secolo);EUSEBIO (? 260 ca. - Cesarea di Palestina 340);GIULIO MATERNO FIRMICO (floruit nel 355);IERARCA EGIZIO, DIDIMO ALESSANDRINO, PAP-

PO, DIODORO TARSETE, TEONE DI ALESSANDIA (astronomi del IV secolo);

TEONE SMIRNEO (Smirne, IV d.C.);IPAZIA (Alessandria d’Egitto ? - 415 d.C.), figlia di Te-

one;SINESIO (discepolo di Ipazia, vescovo di Ptolemaide);Prime osservazioni della luce zodiacale;CLEOMEDE (floruit nel 427);EUDOCIA, SIMPLICIO, PROTERIO, PROCLO DIA-

DOCO (floruerunt nel V secolo);CASSIODORO (fondatore del monastero di Vivarium

presso Squillace, VI secolo);GIOVANNI FILOPONE, ANDREA CRETESE (florue-

runt nel VII secolo);GIOVANNI DAMASCENO, B. FLACCO ALBIBO o

ALCUOINO (floruerunt nell’VIII secolo);Incendio Biblioteca di Alessandria (metà VII secolo);CALIFFO ABU ABBAS ALMAMONN (inizia il suo im-

pero nell’813);MOHAMMED BEN GELLER (floruit nell’870);Astronomi durante la dinastia degli ABASSIDI;ALFRAGANO ALFERGANI (X secolo);Riflessione sul ruolo che ebbero i “barbari” nello studio

dell’astronomia;GERBERTO, poi papa SILVESTRO II nel 999;Ottico ALHAZEN (XI secolo);COSTANTINO CARTAGINESE, G. GARLANDIO, S.

GUGLIELMO ABATE, HIRSANGE, ERMANNO, PAN-

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N. MULERIO e M. di PEIRESC (morti nel 1630);C. WREN (nato nel 1632);R. HOOKE (nato nel 1635);BLAEU (morto nel 1638);L. TOZZI ed EIMMART (nati nel 1638);G. KIRCH (floruit nel 1681);F. de la HIRE (nato nel 1640);

MARIA CUNITZ (vis-suta al tempo del prece-dente);

G. CRABTREE (mor-to nel 1641);

I. NEWTON (nato nel 1642 e morto nel 1727); con lui nasce l’astrono-mia fisica;

A. MONFORTE ed O. BOEMERO (nati nel 1644);

G. GOTTIFREDO e G. FLAMSTEED (nati nel 1646);

F. VILLEMOT e N. di MALEZIEU (nati nel

1650); D. PETAU e FLORIMONDO di BEAUNE (morti nel

1652);GIACOMO BERNOULLI (nato nel 1654);GIOVANNI BERNOULLI (più giovane del precedente);TOMMASO FINCK (morto nel 1656);HALLEY (nato nel 1656);G. M. di CHAZELLES (vissuto al tempo di Halley);A. TACQUET (morto nel 1660);F. BIANCHINI (nato nel 1662);A. LAVAL (vissuto al tempo di Bianchini);G. F. MARALDI (nato nel 1665);B. F. Conte di Pagan (morto nel 1665);AUZOUT (vissuto al tempo di Maraldi);G. KEILL (nato nel 1671);RICHER (floruit nel 1672);S. LUBIENIETSKI (morto avvelenato nel 1675);L. OMODEO (morto nel 1680);PICARD (morto nel 1682);BORDONI e altri vissuti al tempo di Picard;N. G. DE L’ISLE (nato nel 1688);L. DE L’ISLE (morto nel 1741);F. VERBIEST (morto nel 1688);E. BERNARDI (morto nel 1696);WEGELIO (morto nel 1699);D. GREGORY (morto nel 1708);D. GUGLIELMINI (morto nel 1710);N. L. de la Caille (nato nel 1713);la Regina Anna in Inghilterra promulga un atto del Par-

lamento nel 1714, col quale prometteva 20.000 lire sterline a chi avesse scoperto le longitudini in mare di circa mezzo grado;

pernico;GUGLIELMO II, Langravio di Assia-Cassel ;TICONE BRAHE (nato nel 1546 – morto nel 1630) (culto

dell’astrologia);WENDELIN e altri, vissuti al tempo di Ticone;GIOVANNI SCHONER (morto nel 1547 a 62 anni), ma-

tematico;ORONZIO FINÈ

(morto nel 1555);LUCA GUARICO

(morto nel 1559);FILIPPO LAUSBERG

(nato nel 1561);CRISTIANO SEVE-

RINI (nato nel 1562);GALILEO GALILEI

(nato nel 1564 e morto nel 1642): moto, pendo-lo, telescopio, nuove sco-perte, il metodo matema-tico-sperimentale;

GIOVANNI KEPLE-RO (nato nel 1571); la vita di Keplero fornisce al Leopardi l’occasione di ribadire l’atavico confitto fra gio-vani e dotti, i quali non riconoscono ai primi la saggezza, a causa della loro tenera età ed inesperienza; la morte prematu-ra dell’astronomo sottrasse un genio al bene umano: «Egli fu un uomo grande, un uomo meraviglioso; e il titolo brillante di Padre dell’astronomia è appena sufficiente a rimunerarlo de’ benefizi inestimabili, che egli ha fatti a questa scienza»;

CIPRIANO LEOWIEZ (morto nel 1574);M. AUROLICO (morto nel 1575);CORNELIO GEMMA (morto nel 1579);Excursus sulla riforma del Calendario;GIOVAN BAATTISTA MORIN (nato nel 1583);IGRAZIO DANTI (morto nel 1586);GIUSEPPE MOLETTI (morto nel 1588);PIETRO GASSENDI (nato nel 1592);RENATO DESCARTES (Cartesio, nato nel 1596);B. CAVALIERI e G. B. RICCIOLI (nati nel 1598);ENRICO RANTZAW (morto nel 1599 a 73 anni);A. PICCOLOMINI (morto nel 1600);G. BAYER (floruit nel 1603);I. BOUILLAUD (nato nel 1605);G. HEVELIO (nato nel 1611);SNELLIO (abile matematico, vissuto al tempo di Heve-

lio);G. MAGINI (morto nel 1617);L. BOOK (nato pochi anni dopo la morte di Magini);P. MEGERLIN (nato nel 1623);G. B. du HAMEL (nato nel 1624);G. CASSINI (nato nel 1625) “uomo immortale”, colpito,

come Galilei, dalla cecità (entrambi sono paragonati al veg-gente Tiresia);

C. HUGHENS (nato nel 1629);

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE FILOLOGICO-LETTERARIE

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A fine capitolo, Leopardi scrive: «Qui pongo la fine del-la Storia dell’Astronomia. Plinio lamentossi un tempo della negligenza degli antichi nello scrivere la storia de’ progressi dello spirito umano nella scienza degli astri. Ella è, dic’egli, una vera depravazione dello spirito, che si ami riempir le car-te di narrazioni di guerre, di stragi e di delitti, e non si voglia poi tramandare alla posterità nelle storie i benefici di coloro, che han posta ogni cura nell’illustrare una scienza così utile. Mosso da questo sì giusto rimprovero, intrapresi di scrivere la Storia dell’Astronomia, della quale son giunto a compi-mento. Se di codesto mio lavoro non curasi la presente età, possano almeno sapermene grado le ombre sacre di coloro, che contribuirono all’avanzamento della scienza degli astri».

Con le stesse parole del giovane Leopardi, desidero anch’io completare questo breve contributo sulla sua opera giovanile, invitando tutti i lettori a non fermarsi a questo la-voro, ma a leggere personalmente la Storia dell’astronomia, per gustare personalmente la meraviglia che vi traspare.

BIBLIOGRAFIA

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S. BERGIA, G. DRAGONI, G. GOTTARDI, Dizionario biografico degli scienziati e dei tecnici, Bologna 2000.

G. LEOPARDI, Storia della Astronomia dalla sua origine sino all’anno MDCCCXIII (con uno scritto di A. Massarenti e un’appendice di L. Zampieri),

G. LEOPARDI - M. HACK, Storia dell’Astronomia dalle origini al 2000 e oltre, Edizioni dell’Altana, 2002.

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F. VETRANO, Giacomo Leopardi e la scienza, in «Gior-nale di Fisica», Vol. XXXIX, N.1, Gennaio – Marzo 1998, pp. 39-44.

G. WITTY e altri (vissuti al tempo di N. L. de la Caille);G. POLENI (floruit nel 1723);BRADLEY e MOLINEUX (floruerunt nel 1727);G. L. ROST (morto nel 1727);G. E. d’Allonville (morto nel 1732);E. MANFREDI (morto nel 1739);Padre O. BORGONDIO (morto nel 1741);R. G. BOSCOVICH (nato nel 1711);Padre S. SOUCIET (morto nel 1744);M. WARGENTIN (floruit nel 1746);G. F. SIMONELLI (floruit nel 1747);MELCHIORRE della BRIGA (morto nel 1749);G. P. GUGLIENZI (morto nel 1750);G. F. WEIDLER (floruit nel 1755);T. SIMPSON (morto nel 1760);nel 1761 avvenne il passaggio di Venere sul disco solare;

nel 3 maggio dello stesso anno M. MONTAGNE scoprì un satellite intorno allo stesso pianeta;

M. de la LANDE e M. MAUDUIT (floruerunt nel 1764);A. CLAIRAUT (morto nel 1765);nel 1769 avvenne il passaggio di Venere sul disco solare e

apparve una cometa, osservata da P. Pingré;D. MELANDER e altri (seconda metà del 700);Excursus su aurore boreali;1781 G. HERSCHEL scopre un nuovo pianeta (Urano);PALCANI (floruit nel 1791);1801 Padre Piazzi teatino scopre un nuovo pianeta (Ce-

rere);1802 OLBERS scopre un nuovo pianeta (Pallade);1804 HARDING scopre un nuovo pianeta;Al 1811, dopo la scoperta di nuovi corpi, questo era l’or-

dine del sistema solare: «il Sole occupa il centro di questo sistema. Girano intorno ad esso Mercurio, Venere e la Terra. Seguono Marte, Pallade, Cerere, Giunone, Giove, Saturno ed Urano. Vien terminato il tutto dal cielo delle stelle fisse»;

Nel 1811 apparve una cometa, creando molta paura fra il volgo.

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STORIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016

Wilson, l’internazionalismo e la nuova diplomazia: un quadro complesso tra fallimento momentaneo e valore duraturoFRANCESCA SOMENZARIDipartimento di Culture, Politica e Società, Università degli Studi di Torino

Sarebbe proprio un’ironia della sorte se la mia amministrazione do-

vesse occuparsi principalmente di politica estera4.

Come sostiene Link, il più accreditato studioso di Wilson, c’era in questa frase la candida ammissione di una comple-ta inadeguatezza nel campo della diplomazia e una massima consapevolezza del fatto5. Sappiamo che le cose, a partire dal suo secondo mandato, andarono proprio nella direzione non auspicata da quella famosa frase e, come sostiene Robert Tucker, Wilson si ritrovò a doversi confrontare con una va-sta gamma di questioni diplomatiche, la cui complessità non

4 R. Tucker, Woodrow Wilson’s “New Diplomacy”, in “World Policy Journal”, vol. 21, n. 2, 2004, pp. 92-107, p. 92. 5 Ibidem.

Come sostiene John Milton Co-oper, “la figura di Wilson e quella di Theodore Ro-

osevelt si stagliarono, agli albori del secolo americano, allo stesso modo di quelle di Thomas Jeffer-son e Alexander Hamilton all’ini-zio dell’Ottocento. Come Jefferson e Hamilton rappresentarono gli ar-chitetti politici del diciannovesimo secolo, così Wilson e Roosevelt fu-rono i primi artefici istituzionali del Novecento1”. Parte della storiogra-fia statunitense sembra convergere su questa tesi, riconoscendo sia a Roosevelt sia a Wilson l’indiscus-so statuto di “cultural icons” della politica estera americana di inizio Novecento2. Si insiste infatti sulla eccezionalità della figura di questi presidenti nell’aver interpretato e, allo stesso tempo, reinter-pretato le due principali correnti di pensiero della politica estera degli Stati Uniti (e cioè il realismo e l’internazionali-smo liberale3). Eppure, non si può non ricordare la ben nota frase che Wilson aveva detto ad un amico il giorno del suo insediamento alla Casa Bianca:

1 J.M. Cooper, The Warrior and the Priest, Cambridge Mass., 1983. Nello specifico, rimando alla citazione di G. Bottaro, Internazionalismo e democrazia nella politica estera wilsoniana, in “Il Politico”, n.2, 2007, pp. 5-23, p. 7.2 S. Walker e M. Schafer, Theodore Roosevelt and Woodrow Wilson as Cultural Icons of U.S. Foreign Policy, in “Political Psychology”, Vol. 28, n. 6, 2007, pp. 747-776. Il titolo del saggio è già eloquente. 3 G. Bottaro, Internazionalismo… cit., p. 7.

Thomas Woodrow Wilson

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Il fatto di essersi saputo svincolare dalle logiche burocrati-che e dalle regole più o meno tacite della politica tout court dell’epoca, gli ha dato “mano libera” sia a livello interno sia a livello internazionale. In ultima analisi, però, non si posso-no omettere due fattori “critici” e cioè il fatto di aver amplia-to moltissimo i poteri presidenziali e di aver ignorato, spesso apertamente, i pareri del Congresso12. Quando analizziamo, quindi, l’eccezionalità della politica wilsoniana, non possia-mo prescindere da questo.

Comunque, l’arrivo di Wilson alla Casa Bianca, dopo de-cenni e decenni di amministrazioni repubblicane è, fin dall’i-nizio, qualcosa di estremamente dirompente. Le linee sono subito esplicitate: gli interessi materiali devono essere su-bordinati ai superiori principi morali. All’interno di una vi-sione del tutto personale e- per certi versi opinabile- Wilson è convinto che la moralità debba porsi anche al di sopra delle stesse leggi. Secondo Link, questa insistenza sul concetto di moralità gli deriva dalla forte e pervasiva educazione pre-sbiteriana in cui è cresciuto13, mentre l’anelante desiderio di una “pace giusta e duratura”- che poi diventerà la cosiddetta “pace senza vittoria”- sembra derivargli, in ultima analisi, dall’esperienza stessa della Guerra Civile, che l’ha profon-damente colpito in giovane età e che gli ha posto davanti l’immagine di un mondo, soprattutto quello degli Stati Uniti del Sud, duramente toccato nelle proprie strutture sociali ed economiche14. Se non partiamo da questa premessa, non pos-siamo comprendere il sostrato dell’internazionalismo wilso-niano.

La politica estera dev’essere più interessata ai diritti dell’uomo che al diritto di proprietà. E’ evidente quindi il completo rigetto della filosofia “repubblicana” che antepo-neva gli special interests (e cioè i grandi interessi finanziari) ai national interests. In Wilson l’ordine di questi elementi va invertito: gli interessi nazionali vengono prima degli interes-si individuali e specifici di determinati settori della società. Nel mondo, la missione degli Stati Uniti non è quella di ac-quistare ricchezze e potere, ma di realizzare

Un ideale di libertà, di fornire un modello di democrazia e di difende-

re i principi morali15.

A quest’ottica si può ricondurre uno dei suoi primi discor-si ufficiali, un discorso pronunciato a Mobile, in Alabama, all’indomani della sua elezione, con cui rifiuta e condanna la taftiana Diplomazia del Dollaro, politica economico-finan-ziaria estremamente aggressiva (in quanto in extrema ratio si serviva dell’intervento militare), con cui gli Stati Uniti si

12 R. Eden, Opinion Leadership and the Problem of Executive Power: Woodrow Wilson’s Original Position, in “The Review of Politics”, vol. 57, n.3, 1995, pp. 483-503 e C. Wolfe, Woodrow Wilson: Interpreting the Constitution, in “The Review of Politics”, vol. 41, n. 1, 1979, pp. 121-14213 Sul tema rimando al recente studio di B. Foley e Robert Calhoon, Woodrow Wilson and Political Moderation, in “The Journal of Presbyte-rian History”, vol. 85, n. 2, 2007, pp. 137-150. 14 G. Bottaro, Internazionalismo…cit., p. 6. 15 J. B. Duroselle, Da Wilson… cit., p. 79.

aveva precedenti nella storia degli Stati Uniti6. Pur essendo coraggioso ed innovativo o come lo definisce

Dallek “un po’ scaltro e un po’ furbo7”, il suo internaziona-lismo non potè del tutto prescindere dai capisaldi, dai punti di forza e anche dalle “zavorre” della tradizione diplomatica americana del tempo. Sulla figura di Wilson e sul suo opera-to, Robert Dallek, scrive:

Davvero pochi presidenti della storia americana suscitano così tan-

ti sentimenti ed opinioni contrastanti come Wilson. E perché la cosa

ci dovrebbe stupire? La sua vita e la sua carriera furono un letterale

coacervo di contraddizioni su cui la storiografia si dibatte da oltre set-

tant’anni […]. Quella creaturina, affetta da una forte dislessia infan-

tile, divenne un avido lettore, un accademico di rango, il governatore

del New Jersey e il presidente degli Stati Uniti8.

Nel luglio del 1917, a pochi mesi dall’entrata in guerra, Wilson aveva scritto al colonnello House, uno degli uomini a lui più vicini:

La Francia e l’Inghilterra hanno delle idee di pace che sono totalmente

differenti dalle nostre. Quando la guerra sarà finita, noi le indurremo

a pensare a modo nostro9.

Non andò proprio in questi termini.

UN PRESIDENTE CHE INNOVA

Alla figura di Wilson è legato non solo l’avvento di una nuova concezione delle relazioni internazionali e di una New Diplomacy, ma l’inizio di una nuova era anche nella stessa politica americana: si parla di un vero e proprio “fenomeno Wilson” perché per la prima volta, “si fa largo” una perso-nalità che si rivolge direttamente al popolo americano e al suo elettorato, senza bisogno della tradizionale mediazione della figura del boss10. Come sottolinea Baker, il presiden-te Wilson ha- certamente più all’inizio del suo mandato che non alla fine-

lo straordinario dono di mettersi immediatamente in contatto intimo e

persino confidenziale col suo uditorio. E’ disinvolto, umano, cortese e

ha la virtù di amare i suoi ascoltatori11.

6 Ibidem.7 R. Dallek, Woodrow Wilson, Politician, in “The Wilson Quarterly”, vol. 15, n. 4, 1991, pp. 106-114, p. 106.8 Ibidem. 9 J. B. Duroselle, Da Wilson a Roosevelt, Cappelli Editore, Bologna, p. 137. 10 K. Crews, Woodrow Wilson, Wisconsin, and the Election of 1912, in “Presidential Studies Quarterly, vol. 12, n.3, 1982, pp. 369-376.11 Citazione di J. B. Duroselle, Da Wilson… cit., p. 74.In termini più generali, vedi anche B. Cook, Expertise, Discretion and Definite Law: Public Administration in Woodrow Wilson’s Presidential Campaign Speeches of 1912, in “Administrative Theory & Praxis”, vol. 24, n. 3, 2002, pp. 487-506 e H. Turner, Woodrow Wilson and Public Opinion, in “The Public Opinion Quarterly”, vol. 21, n. 4, 1957-1958, pp. 505-520.

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Già nei tentativi - falliti - di mediazione tra le potenze europee, emerge subito uno dei principi fondamentali che saranno poi propugnati dal Presidente a Versailles: l’impor-tanza della libertà dei mari e, nel caso di specie, la volontà wilsoniana di difendere il diritto degli Stati Uniti ad eserci-tare, in maniera indisturbata, il libero commercio. Alla luce dell’importanza e della tutela di questo principio a prima vista “egoistico”, si spiegano, in concomitanza con i ten-tativi di mediazione, anche i momenti di tensione politico-diplomatica rispettivamente tra gli Stati Uniti e la Gran Bre-tagna e tra gli Stati Uniti e le potenze centrali e in particolare la Germania. Se sul piano diplomatico, gli Stati Uniti non parteggiano apertamente né con l’Intesa né con gli Imperi Centrali, sul piano meramente economico - come documenta Jean Baptiste Duroselle - l’America si è già schierata a fa-vore dei primi: il commercio con Francia e Gran Bretagna rappresenta, in termini monetari, quasi il triplo di quello con la Germania e l’Austria-Ungheria e alla fine del 1916 l’Intesa ha ricevuto 2.300 milioni di dollari contro i 27 milioni asse-gnati alle Potenze Centrali21.

A partire dall’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917, il Presidente nomina una commissione ad hoc, il Peace In-quiry Bureau, incaricato, anche a costo di un lavoro massa-crante, di studiare i problemi politico-geografici della pace: è cioè da questo momento che si entra nel pieno del cosiddetto “internazionalismo wilsoniano”, basato sull’autodetermina-zione dei popoli, sulla diffusione ed esportazione della de-mocrazia, sulla fine della diplomazia segreta, sul disarmo, sulla libertà dei mari e sull’organizzazione mondiale degli Stati nella Società delle Nazioni. Tutti questi principi non solo vanno contro alla tradizionale politica europea, ma per essere davvero realizzati, secondo la visione wilsoniana, de-vono essere accompagnati da una ridefinizione dei confini, a danno soprattutto dei grandi imperi22.

Si comprende facilmente, alla luce di un programma in-ternazionale tanto specifico e dettagliato, ma soprattutto for-mulato in modo unilaterale, (programma) che si propone di innestarsi sulla realtà contingente dell’Europa, che gli stati europei non abbiano visto di buon occhio la partecipazione di Wilson alla Conferenza di Pace, considerandolo alla stre-gua di una vera e propria “mina vagante”.

CRITICHE, PUNTI DEBOLI MA ANCHE GRANDE

VALORE DELL’INTERNAZIONALISMO WILSONIANO.

CONCLUSIONI FINALI

Nell’applicazione di tali principi, l’internazionalismo wil-soniano e il progetto della Società della Nazioni sono stati accusati, da più parti, di forte astrattismo e di svalutazione

examination, in “Rhetoric and Public Affairs”, vol. 2, n. 1, 1999, pp. 107-135.21 J. B. Duroselle, Da Wilson… cit., pp. 107-110.22 Sul fronte interno, si promuove invece la nascita del Committee on Public Information, il cui compito era di convincere l’opinione pubblica della giustezza della causa e di dare una legittimazione teorica e pratica sull’autoderminazione dei popoli.

erano estesi in molti territori del continente americano16. Già in questo discorso- come nei successivi- c’è già in fieri parte del suo internazionalismo e della sua visione del mondo.

GLI STATI UNITI E LA GUERRA: LE TRE FASI DELLA

POLITICA WILSONIANA

Alla luce di queste premesse, non dobbiamo stupirci che quello che è stato definito “il profeta della democrazia” abbia cercato di esportare le sue visioni oltre i confini degli Stati Uniti. Con questo discorso, profondamente intriso di Destino Manifesto, prima ancora che di internazionalismo, giustifica al Congresso l’entrata degli Stati Uniti in guerra il 2 aprile 1917:

E’ una cosa terribile gettare in guerra questo grande e pacifico popolo,

nella più terribile e disastrosa di tutte le guerre, che sembra mettere

in gioco la stessa civiltà. Ma il diritto è più prezioso della pace; e noi

dobbiamo combattere per le cose che abbiamo sempre amato, per la

democrazia, per il diritto di coloro che accettano l’autorità delle forme

rappresentative, per i diritti e le libertà delle piccole nazioni, per la

sovranità universale della giustizia. Con l’aiuto di Dio, l’America non

può che fare questo17.

Ed è proprio grazie all’idea della missione, tanto cara al popolo americano, che Wilson può entrare finalmente “a gamba tesa” nella Prima guerra mondiale e fare dell’Europa il terreno di applicazione di un internazionalismo che, in ter-mini meramente intellettuali, discende dal liberalismo di ma-trice britannica18 e che è successivamente arricchito di nuovi e vecchi elementi.

Durante il conflitto e immediatamente dopo, l’opera del presidente americano si svolge in tre direzioni:

1. dal 1914 al 1916 si concretizza o meglio si vorrebbe con-cretizzare in un’attività di mediazione tra le potenze eu-ropee19;

2. dal 1917 (quando gli Stati Uniti entrano in guerra) fino alla Conferenza di Versailles si traduce nel ridisegnare la cartina d’Europa nei suoi 14 punti;

3. dalla Conferenza di Versailles fino alle elezione del 1920 è tutta incentrata sul progetto della Società delle Nazioni e sull’approvazione congressuale del testo del Cove-nant20.

16 F. Howe, Dollar Diplomacy and Financial Imperialism under the Wil-son Administration, in “Annals of the American Academy of Political and Social Science”, vol. 68, 1916, pp. 312-320. Il fatto che Wilson abbia scelto Atlanta per pronunciare uno dei suoi primi discorsi non è del tutto casuale: Atlanta era una della principali città del Sud e Wilson aveva sempre appoggiato la causa sudista; “per tutta la dura-ta della guerra si trovò con la sua famiglia ad affrontare dalla parte dei vinti la difficile fase della ricostruzione”. Vedi G. Bottaro, Internazionalismo cit., p. 6.17 Ivi, p. 13.18 Ivi, pp. 8-9.19 R. Tucker, A Benediction on the Past: Woodrow Wilson’s War Ad-dress, in “World Policy Journal”, vol. 17, n. 2, 2000, pp. 77-93. 20 L. Dorsey, Woodrow Wilson’s Fight for the League of Nation: A Re-

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internazionale, senza sa-crificare tuttavia il tipi-co processo decisionale unilaterale degli Stati Uniti. Ambrosius estre-mizza i termini quando scrive che nella visione di Wilson la nuova orga-nizzazione avrebbe per-messo agli Stati Uniti di prendere parte agli affari mondiali, senza per que-sto doversi “invischiare” nella politica del Vec-chio Mondo27.

L’internazionalismo wilsoniano è in sostan-

za troppo eversivo per l’America perché, col suo progetto finale, mette in pericolo molte delle tradizioni statunitensi come l’isolazionismo e la dottrina Monroe e non è un caso che, alle elezioni del 1920, negli Stati Uniti si chieda il ri-torno dei Repubblicani e al profeta della diplomazia e della democrazia internazionale e ai suoi eventuali discendenti si preferisca un americano di provincia, Harding, che invita il popolo americano a coltivare il proprio orto di casa; ma la visione wilsoniana è al tempo stesso distante e per certi versi un po’ estranea anche alla complessità dei problemi e alle vecchie incrostazioni europee. Nel tentativo convinto di dare dignità e autonomia a nuove popoli, come a quello polac-co e a quello cecoslovacco, nella volontà di ripristino della sovranità belga, e nella vera e propria “crociata” intrapresa contro il Patto di Londra e contro le annessioni in esso sta-bilite a favore dell’Italia, il Presidente, che Dallek definisce “un po’scaltro e un po’ furbo”, perde di vista il vero nodo della Conferenza di Pace e cioè la questione tedesca e il pro-blema delle riparazioni, permettendo ai francesi di mettere in pratica la minacciosa formula “La Germania pagherà”, di includere nel totale delle riparazioni non soltanto i danni causati alle popolazioni civili, ma anche le pensioni milita-ri, e di consentire ai vincitori europei di inserire nel trattato l’articolo 231 e cioè l’articolo responsabile della Schulfrage. Il progetto della pace futura si trasforma, in una specie di ter-ribile “eterogenesi dei fini”, nel progetto della guerra futura.

Quindi si potrebbe anche concludere, in modo un po’ dis-sacrante, che quel presidente, che Dallek definisce un po’ scaltro e un po’ furbo, quello studioso poco brillante, che rimase a lungo tra gli ultimi della classe28- come lo descrive Duroselle- e che era riuscito a diventare professore univer-sitario, quel presidente che era stato molto abile nel ribaltare la politica americana, quel politico che alle elezioni del 1916 aveva riconquistato la presidenza dichiarandosi un convinto

27 L. Ambrosius, Woodrow Wilson, Alliances, and the League of Na-tions, in “The Journal of the Gilded Age and Progressive Era”, vol. 5, n.2, 2006, pp. 139-165, p. 144. 28 J. B. Duroselle, Da Wilson… cit., p. 65.

delle questioni pratiche europee23. Piero Gobetti, pur vedendo con simpa-tia il presidente Wilson, obietta:

Non ci si può fermare ad

un esame del valore po-

tenziale in astratto dell’i-

dea e della sua importanza

filosofica e morale, ma bi-

sogna scender subito a ve-

dere il valore in relazione

alla vita sociale24.

Di un’idea molto simi-le è lo stesso Salvemini, che attribuisce alla vi-sione wilsoniana una mancanza di “problematismo”: l’in-ternazionalismo del Presidente tralascia “la complessità di problemi pendenti e la differenza di posizioni esistenti, di culture e di civiltà25”. In una parola, la visione wilsoniana è considerata assolutamente “utopica”. Su questo punto, la storiografia è molto divisa. L’internazionalismo wilsoniano è stato considerato molto astratto dalla prospettiva europea, e a questo proposito le parole di Sofer possono in parte illu-minarci:

La diplomazia wilsoniana non deriva solo da una visione astratta e

idealistica, ma da “realistiche origini diplomatiche”. I quattordici pun-

ti sono del tutto pertinenti e quindi non presentano contraddizioni con

gli interessi politici degli Stati Uniti26.

Considerazioni tanto diverse sulla New Diplomacy deriva-no, in ultima analisi, dallo statuto per certi versi ambiguo del-la stessa ideologia wilsoniana, che si propone di conciliare, a volte in modo improbabile, le due opposte tendenze della tradizione diplomatica statunitense, e cioè l’isolazionismo e l’entanglement. Nella declinazione dell’entanglement c’è in Wilson un po’ di isolazionismo e viceversa. Questo aspetto è evidente nella posizione che gli Stati Uniti devono assu-mere, una volta entrati nel conflitto: gli Stati Uniti vi entrano come potenza associata e non alleata alle Potenze dell’Intesa. Anche nel progetto della SdN si possono riscontare contrad-dizioni simili: si mette al centro il principio di autodetermi-nazione dei popoli e soprattutto la parità degli stati, ma gli Stati Uniti conservano comunque all’interno dell’organizza-zione un’egemonia politica incontestabile. Wilson promette una nuova diplomazia mondiale, basata sulla cooperazione

23 Rimando a C. Malandrino, Gobetti e Treves: due approcci critici al progetto di Società delle Nazioni, in C. Malandrino (a cura di), Atti del convegno di Torino, 28-29 novembre 1991, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1992, p. 85.24 Ivi, p. 86.25 Ivi, p. 86. 26 S. Sofer, Old and New Diplomacy, in “Review of International Stu-dies”, vol. 14, n. 3, 1988, pp. 195-211, p. 198.

Il Trattato di Versailles

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Wilson per sostituire alla balance of Powers la cosiddetta community of Powers, che sarà organizzata e diretta dall’al-to da una potenza che deve essere al tempo stesso superio-re e legittimata agli occhi dell’opinione pubblica. Il nesso democrazia-potenza attraversa tutta la strategia di Wilson. Il progetto della comunità internazionale serve, in ultima ana-lisi, a conciliare l’interdipendenza della modernità con una nozione globalista della sicurezza, degli interessi e della pro-sperità americana, che non possono essere difesi e affermati in chiave nazionale ma vanno ancorati a una trasformazione dinamica e controllata, dell’intero ambiente mondiale. Il va-lore del wilsonismo è dato quindi da un fatto che non può essere mai omesso e cioè di aver improntato di sé tutti gli ap-procci successivi americani alle relazioni internazionali. La Carta Atlantica del 1941 e lo schema di Bretton Woods del 1944 sono tra gli esempi più noti, anche se non unici.

Concludo dicendo che “quel Presidente un po’ scaltro e un po’ furbo” si è dimostrato tuttavia anche molto perspicace e lungimirante a livello di prospettiva mondiale, e non solo europea. “Quella creaturina, affetta da una forte dislessia in-fantile”, anche se non è stata compresa, ha compreso prima degli altri le potenzialità e i rischi della globalizzazione e ha cercato di prevenirli, ribaltando per sempre la concezione internazionale della politica.

pacifista e definendosi “too proud to fight” per poi entrare in guerra l’anno seguente, quell’uomo che fino a quel momen-to sembrava non aver sbagliato un “colpo”, non era tuttavia stato in grado di mettere in scacco la ben più furba, navigata, diffidente e distruttiva diplomazia europea.

Ma al di là, dell’insuccesso momentaneo del suo progetto, e al di là delle critiche che i suoi detrattori gli hanno mos-so, il valore del wilsonismo è rimasto: se oggi riteniamo di vivere in un mondo di globalizzazione, liberalizzazione e affermazione delle democrazia, lo dobbiamo sicuramente alla concezione di questo Presidente o meglio ai percorsi in-nescati dal wilsonismo. Il giudizio negativo che parte della storiografia ha dato, riferendosi all’insuccesso finale del suo internazionalismo, è viziato da una lettura puramente trionfa-le del percorso della democrazia. Lettura distorta, perché tale percorso, e la storia ce lo dimostra, non è sempre stato line-are. La via verso la democrazia, spesso, non è né diretta né immediata. Ed è proprio, ripartendo con questa premessa, a Wilson più favorevole, che devono anche essere riviste le tre fasi della sua azione e cioè l’iniziale neutralità, il successivo intervento nella guerra e la sua presenza alla conferenza di pace. Come ha spiegato, in modo illuminante Federico Ro-mero, il wilsonismo si muove tra paura e trionfalismo; forse solo in questi due termini sta la sua ambivalenza: promes-sa di rigenerazione e incubo del crollo29. La prima fase, e cioè la neutralità, da un lato incarna una difesa degli interessi nazionali, dall’altra si spinge sempre di più a comprendere i diritti dei paesi neutrali non solo quelli economici degli esportatori americani, ma quelli umani e politici del Belgio violato e in generale di tutto il mondo che non è parte diretta del conflitto. Ma risale al periodo della neutralità la matura-zione in Wilson di un percorso che lo porterà all’internazio-nalismo che da lui prende il nome. Si fa sempre più strada la convinzione secondo cui, se un piccolo incidente locale nei Balcani è divenuto una guerra europea inarrestabile e poi un conflitto globale di violenza illimitata, è chiaro che gli anti-chi meccanismi equilibratori sono tragicamente inadeguati e storicamente obsoleti. La distruttività della guerra, la rapidità della sua espansione e la catastrofica totalità delle sue conse-guenze mettono insomma in luce per Wilson una “dinamica a cascata”, un movimento a spirale potenzialmente irrefrena-bile che costituisce il rovescio oscuro dell’interdipendenza e della modernità. Wilson vede, meglio e ancor prima di altri, il lato critico dell’interdipendenza, in particolare la sua fra-gilità e vulnerabilità di fronte agli egemonismi di potenza che la vogliono segmentare in aree separate. Ed ecco quindi che il concetto di equilibrio di potenza gli appare ora non solo iniquo ma storicamente superato. La sua presenza forte, quasi invadente alla Conferenza di Pace, vorrebbe essere da monito agli Europei, per rimproverarli dell’obsolescenza e della miopia dei loro vecchi metodi e strumenti analitici. Il progetto della Società delle Nazioni è proprio concepito da

29 F. Romero, La democrazia nel Novecento. Un campo di tensione, testo provvisorio dell’intervento al Convegno Sissco, Siena 9-10 Novembre 2000

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE BIOLOGICHE

Caenorhabditis elegans, un modello inatteso nella sperimentazione animale AUGUSTO MINIERI1, FRANCESCO AGRESTI1, SIMONE ASSEDIATO1, MARIA BARRA1, ALESSANDRO IORIO1, ILARIA PISANO1, LUIGI ROMANO1, MARIAELENA TROMBONE1, GUENDALINA FROECHLICH2, NICOLA ZAMBRANO3

1 Corso di Biologia Molecolare e Cellulare a.a. 2014/15, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II

2 Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche, Università degli Studi di Napoli Federico II

3 Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche, Università degli Studi di Napoli Federico II; Associazione Culturale

DiSciMuS RFC, Casoria (NA)

trascritti di RNA (nel caso degli acidi nucleici) e di sequenze polipeptidiche (nel caso delle proteine) possono mantenere un certo grado di conservazione tra specie diverse. Alla base di questo concetto si fonda la definizione di geni ortologhi, che codificano in specie diverse per prodotti genici (RNA e proteine) con struttura e funzioni sovrapponibili. Questo ha permesso negli anni di caratterizzare in organismi modello la funzione di molti geni diversi e dei loro prodotti all’interno di meccanismi biologici fondamentali (Figura 1).

Esistono numerosi vantaggi derivanti dall’utilizzo degli organismi modello; la loro diffusione nei laboratori di ricer-ca sperimentale da un lato esso permette di accumulare rapi-damente numerosi individui per la sperimentazione, avendo rapidi processi di riproduzione e crescita, dall’altro permette di superare, almeno in parte, problemi di natura etica legati alla sperimentazione. È da sottolineare che non esiste un mo-dello animale migliore di un altro, in quanto il loro utilizzo va contestualizzato al meccanismo biologico che si intende analizzare; quindi, potremmo generalizzare, affermando che un modello animale sia maggiormente adatto, rispetto ad un altro. Nè, tantomeno, si può pretendere di poter dirimere un problema biologico, attraverso l’uso di un singolo organi-smo modello; le acquisizioni ottenute in un modello sem-plice dovranno essere esplorate in modelli più complessi per poterne verificare la validità. Tra i modelli utilizzati, quelli che sicuramente hanno lasciato segni indelebili, e consentito progressi continui e significativi nella storia della biologia e delle scienze biomediche sono rappresentati dal batterio Escherichia coli, dal lievito Saccharomyces cerevisiae, dagli invertebrati Drosophila melanogaster e Caenorhabditis ele-gans e, tra i mammiferi, dal topo, Mus musculus. In questo articolo descriveremo brevemente le caratteristiche di alcuni di essi, concentrando però la descrizione del modello del ver-me nematode C. elegans. E di esso ne esalteremo le validità alla definizione di organismo modello.

Tra i procarioti (organismi unicellulari privi di nucleo e di sistemi membranosi intracellulari), E. coli rappresenta sicu-

Questo articolo è stato elaborato da un gruppo di studen-ti del I anno del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, su argomenti trattati nel modulo di attività didattica interattiva (ADI) del Corso di Biologia Molecolare e Cellulare, svoltosi nel II semestre dell’a.a. 2014-2015. L’iniziativa che ha porta-to all’elaborazione e alla stesura dei contenuti di questo arti-colo è stata promossa dall’Associazione Culturale DiSciMuS RFC, nell’ambito delle sue attività di stimolo e supporto per attività pubblicistico-divulgative da parte di giovani studen-ti. AM, GF e NZ hanno anche contribuito alla revisione dei contenuti e all’elaborazione finale del testo.

1. ORGANISMI MODELLO NELLA RICERCA

BIOMEDICA: UN BREVE EXCURSUS

Gli organismi modello sono stati e costitui-scono tuttora una risorsa fondamentale per gli studi negli ambiti delle scienze biome-diche. Essendo infatti ben noto che molti meccanismi biologici fondamentali sono

estremamente simili tra i viventi, grazie alla sperimentazione sugli organismi modello si è riusciti ad appropriarsi di infor-mazioni di rilievo per il progresso scientifico e clinico, acqui-sendo nuove informazioni sulle malattie umane, sul loro de-corso, sulla loro prevenzione e talvolta sulla loro cura. È ben noto infatti che tutte le specie viventi condividono le unità molecolari più semplici alla base della vita, ed i meccanismi che li utilizzano. A partire dal DNA infatti, i nucleotidi che lo costituiscono sono i medesimi per tutte le specie viventi. Anche l’informazione genetica in esso contenuta è codifica-ta con un linguaggio pressoché universale chiamato codice genetico. Più a valle, nel percorso dell’espressione genica troviamo gli amminoacidi, i building blocks delle proteine, che rappresentano altre molecole che rendono simili tutti gli organismi viventi. Non solo le unità semplici, ma anche le loro combinazioni, nell’assortimento di sequenze di geni e

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lievito S. pombe che, inve-ce, si divide per scissione. Il genoma di S. cerevisiae è stato il primo, tra quelli eucariotici, ad essere stato completamente sequenzia-to (1996); esso contiene 6.100 geni, distribuiti nel-le 12,1 milioni di coppie di basi che costituiscono il suo DNA. Questo è con-traddistinto da una note-vole ridondanza poiché il 30 % dei geni è presente in due o più copie; carat-teristica che lo rende utile per lo studio di fenomeni di dominanza genetica. Inol-tre S. cerevisiae è spesso utilizzato in applicazioni biotecnologiche, per pro-durre proteine ricombinan-ti eterologhe (non proprie); infatti in quanto specie eu-cariotica, e diversamente dal modello di E. coli, il

lievito è capace di apportare modifiche post-traduzionali alle proteine prodotte, rendendole maggiormente simili a quelle umane rispetto a quelle prodotte in batteri.

L’utilizzo di sistemi modello animali ha determinato un impulso notevole allo sviluppo della genetica attraverso il moscerino della frutta D. melanogaster; agli inizi del ‘900 W. Castle dapprima, e quindi T.H. Morgan, portarono nuo-va linfa agli esperimenti del monaco Gregorio Mendel, sce-gliendo Drosophila come organismo modello. Mendel aveva utilizzato per i suoi esperimenti le piante di pisello comune (Pisum sativum). All’epoca si credeva all’ereditarietà dei caratteri per mescolanza, ma già dalla metà dell‘800 i ri-sultati degli esperimenti di Mendel furono in contrasto con tale ipotesi. I brillanti risultati che Mendel ottenne però, non potevano essere supportati da un’adeguata conoscenza della genetica. Ciò nonostante, egli formulò le due leggi, ancora oggi alla base della genetica classica. Quando, agli inizi del ‘900 Morgan decise di ripercorrere i suoi studi, il successo delle sue sperimentazioni fu sancito dalla scelta di questo ap-propriato modello sperimentale animale. Morgan con i suoi esperimenti su D. melanogaster riuscì non solo ad individua-re i caratteri associati ad un certo cromosoma, o a cromoso-mi diversi, ma anche quelli legati al sesso. A Morgan, e a D. melanogaster, dobbiamo ad esempio le prime intuizioni sull’organizzazione dei cromosomi e dei geni in essi conte-nuti, grazie alle caratterizzazioni delle distanze fisiche tra i geni, ed il conio dell’unità di misura di tali distanze, il centi-morgan. Oggi, il dettaglio molecolare acquisito anche grazie a queste conquiste della conoscenza consente di misurare la successione dei geni lungo i cromosomi in coppie di basi.

ramente un modello di ec-cellenza ai fini della ricer-ca biomedica. Si tratta di un batterio gram-negativo, non patogeno, normalmen-te presente all’interno della flora batterica dell’inte-stino dei vertebrati, uomo compreso. La sua forma allungata lo fa annove-rare tra i bacilli. Vive in un ambiente semplice da ricreare in laboratorio ad una temperatura di 37 °C, sia in presenza che in as-senza di ossigeno. I suoi tempi di duplicazione sono molto brevi (~20 minuti) ed inoltre, riproducendosi per scissione, è capace di creare milioni di cellule fi-glie geneticamente identi-che (concetto, questo, alla base del clonaggio). E. coli è stato utilizzato come or-ganismo modello sin dalla metà del ‘900 quando due scienziati, Salvador Luria e Max Delbruck, in seguito al “test di fluttuazione” dimostrarono che questo batterio acquisisce spontaneamente delle mutazioni per poter sviluppare una resistenza ai batteriofagi. Sfruttando la semplicità molecolare di E. coli, nel suo modello sono stati caratterizzati, nei dettagli molecolari, molti fenomeni biolo-gici, come quelli che provvedono alla perpetuazione ed alla stabilità dell’informazione genetica delle cellule, la replica-zione del DNA, la ricombinazione omologa, ed il riparo dei danni al DNA. Non da meno, gli studi sull’espressione genica condotti in E. coli, come la trascrizione del DNA in RNA, e la traduzione degli RNA in proteine, hanno segnato tappe fondamentali nella caratterizzazione di questi mecca-nismi nelle cellule più complesse degli eucarioti. Ed infatti, tutti questi processi nel modello del procariote E. coli si sono dimostrati eccezionalmente simili ai corrispondenti processi degli eucarioti più complessi.

S. cerevisiae è, tra i modelli eucariotici, quello più sempli-ce; si tratta di un microrganismo unicellulare, come E. coli, ma più complesso del batterio, essendo dotato di tutte quelle caratteristiche (es., involucro nucleare, sistemi intracellula-ri di membrane, citoscheletro) che caratterizzano le cellule eucariotiche, rendendole più specializzate. Si tratta del co-mune lievito, noto fin dall’antichità, per essere utilizzato nella panificazione e nella fermentazione di vino e birra. Il ciclo cellulare del lievito è stato caratterizzato nel dettaglio, anzi, ha contribuito notevolmente alla caratterizzazione del ciclo cellulare di cellule degli eucarioti pluricellulari. Esso ha una durata di 90 minuti circa, e in S. cerevisiae avvie-ne per gemmazione; questa caratteristica lo differenzia dal

Figura 1. Il sequenziamento dei genomi dell’uomo e di numerose specie modello fornisce le basi strutturali per comprendere le funzioni di molti geni diversi e dei loro prodotti (RNA e proteine) all’interno di meccanismi biologici fondamentali e nei meccanismi delle malattie. I riquadri mostrati sono immagini rappresentative di una selezione di specie per cui sono disponibili dati di sequenziamento dei rispettivi genomi, tratte dal database Ensembl (http://www.ensembl.org).

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Crick. Tra i suoi primi studi nel campo della biologia mo-lecolare ricordiamo l’intuizione che portò Francis Crick a proporre il concetto di adattatore o, come è ormai noto, RNA transfer (tRNA), alla base del flusso unidirezionale dell’in-formazione genetica. A seguito di questa intuizione, Brenner propose il concetto di RNA messaggero e successivamente, con Francis Crick, Leslie Barnett e Richard J. Watts-Tobin, egli dimostrò il ruolo e la natura delle triplette del codice per la traduzione di proteine. Le sue ricerche su C. elegans iniziarono nel 1965. Brenner ipotizzò che gli studi sul dif-ferenziamento cellulare e sullo sviluppo organogenetico po-tessero essere trattati e meglio gestiti su animali di piccola taglia. La soluzione si rivelò essere il verme nematode C. elegans. Brenner gettò le basi di questo lavoro in una pubbli-cazione del 1974, in cui dimostrava che le mutazioni di geni specifici nel genoma di C. elegans potevano essere indotte dal composto chimico sulfonato di etil-metano. Queste sco-perte rappresentano la pietra miliare di un lavoro condotto per oltre 30 anni da Brenner in collaborazione con Horvitz e Sulston, culminato nel 2002, anno in cui i tre ricercatori furono insigniti del premio Nobel per la Medicina o la Fi-siologia. Utilizzando questo modello essi hanno compreso le basi dello sviluppo organogenetico e quelle della apoptosi, o morte cellulare programmata. I contemporanei progres-si nel sequenziamento completo del genoma di C. elegans e degli organismi superiori, uomo compreso, permisero di individuare i geni responsabili di questi processi, e di verifi-care che essi fossero del tutto analoghi tra i metazoi (animali pluricellulari). A Stoccolma, durante la relazione in occasio-ne della consegna del premio Nobel, Brenner intervenne af-fermando: “È importante ribadire che siamo tutti accomunati da un processo biologico che ci rende simili. E, finalmente, possediamo gli strumenti per studiare l’uomo; per la prima volta possiamo definire un collegamento tra la biologia e la medicina umana”.

John Sulston, sfruttando il modello di C. elegans e proficue collaborazioni con Brenner e Horvitz, sviluppò tecniche per lo studio di tutte le divisioni cellulari nel verme, a partire dall’ovocita fecondato e fino alle 959 cellule dell’organismo adulto. In una pubblicazione del 1976, egli descrisse la di-scendenza cellulare per una parte del sistema nervoso in fase di sviluppo, dimostrando che in tutti i nematodi si verifica lo stesso programma di divisione e differenziazione cellulare. Sulla base di questi risultati, Sulston giunse alla scoperta fondamentale che cellule specifiche nella discendenza cellu-lare muoiono sempre per apoptosi, a sottolineare il significa-to assolutamente fisiologico di questi eventi. Egli descrisse le fasi visibili del processo di morte cellulare e dimostrò le prime mutazioni dei geni che partecipano all’apoptosi, com-preso il gene nuc-1. Lo studio di questo gene ha portato alla scoperta che la proteina da esso codificata è necessaria per la degradazione del DNA della cellula in apoptosi.

Robert Horvitz, parallelamente al lavoro di Brenner e Sul-ston sulla genetica e sulla discendenza cellulare di C. ele-gans, in una serie di esperimenti iniziati negli anni ’70, inda-gò sulle basi genetiche del programma preposto al controllo

Ancora oggi D. melanogaster è ampiamente utilizzato come organismo modello, in particolare per gli studi di embrioge-nesi e più in generale nella biologia dello sviluppo.

Enormi progressi della scienza più moderna sono stati san-citi dall’introduzione di mammiferi nella ricerca. Mus muscu-lus, il topo comune, è il mammifero maggiormente utilizzato tra gli organismi modello in tutto il mondo. Esso possiede un genoma abbastanza affine a quello umano; esso infatti ne ha quasi la stessa estensione e codifica per un numero simile di proteine. Ben il 99% dei geni di Mus musculus trova una cor-rispondenza nei geni ortologhi della specie umana. Anche in considerazione della complessità dell’organismo, il topo ha dei tempi di riproduzione relativamente brevi (tre settimane di gestazione ed un’età di circa due mesi per raggiungere la maturità sessuale), e genera una prole numerosa. Permette inoltre l’osservazione di condizioni fisio-patologiche sovrap-ponibili a quelle umane, ed infatti il topo costituisce un siste-ma maggiormente utilizzato per generare modelli di malattie, umane ed animali. A Clarence Cook Little è riconosciuto il merito di aver compreso, e soprattutto, di aver generato, le prime linee pure di topo per conferire maggiore validità alla sperimentazione con il roditore. Attraverso l’incrocio tra consanguinei egli sviluppò per primo il ceppo DBA, quindi il ceppo C57BL (dal manto nero), che venne successivamente preso come modello per determinare l’intera sequenza del genoma murino, e che a tutt’oggi rappresenta un modello di riferimento per gli studi genetici, comportamentali e per la riproduzione di condizioni legate a malattie umane. Da quel momento gli scienziati, avvalendosi delle metodiche di transgenesi e di knock-out genico ottengono preziosi modelli per lo studio di specifici geni e per l’analisi di malattie uma-ne. Fondamentali, nella relativa facilità con cui oggi possia-mo studiare le funzioni in vivo di numerosi geni, e generare modelli animali di malattie umane in questo roditore, sono stati i progressi nell’embriologia e nella capacità di alterare geneticamente il genoma del topo attraverso ricombinazione omologa (scoperte del Premio Nobel 2007 per la Fisiologia o la Medicina, Mario Capecchi).

2. IL SISTEMA MODELLO CHE NON TI ASPETTI:

CAENORHABDITIS ELEGANS

C. elegans è un verme, appartenente al phylum dei nema-todi, che vive in terreni fangosi in zone temperate. Come è stato introdotto C. elegans tra gli organismi modello? Chi ha intuito che, nonostante le profonde differenze di organizza-zione macroscopiche, gli organismi superiori e C. elegans non fossero poi così diversi nei meccanismi molecolari fon-damentali della vita,? E soprattutto, chi ha intuito che que-ste somiglianze potessero rappresentare le basi per scoprire meccanismi biologici di rilievo per la Medicina? Fu Sydney Brenner, il “papà” di C. elegans.

Sydney Brenner nacque a Germiston, in Sudafrica, nel 1927. Nel 1947 si laureò in Medicina presso l’Università di Johannesburg, ma ben presto si trasferì in Inghilterra, dove iniziò a collaborare con scienziati del calibro di Francis

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visa in tre porzioni, il corpo, l’istmo e il bulbo terminale, ed è composta da 20 cellule muscolari, 20 nervose e 18 epiteliali. Tali cellule si organizzano in modo da consentire l’ingestione dei batteri attraverso una contrazione muscolare coordinata. I movimenti eseguiti dall’organismo per catturare batteri sono il pumping e la peristalsi istmica. Il primo consiste nella con-trazione della maggior parte dei muscoli della faringe (del corpo, della parte anteriore dell’istmo e del bulbo terminale). Ciò permette che il lume della faringe si apra in modo da in-camerare liquido e i batteri in esso sospesi. La contrazione è mediata dai recettori dell’acetilcolina attivati a loro volta dai motoneuroni MC. La peristalsi istmica corrisponde ad una contrazione dei muscoli della metà posteriore dell’istmo che porta all’intestino il cibo incamerato.

Una volta ingeriti, i batteri vengono demoliti nel bulbo ter-minale a livello del grinder e, attraverso la valvola faringo-intestinale, passano all’intestino. Quest’ultimo è costituito da una struttura tubulare di un unico strato di 20 cellule che formano una struttura a 9 anelli.

Lo pseudoceloma separa il canale digerente dall’ipoderma, formato da un solo strato di cellule multinucleate, che hanno il compito di sintetizzare il collagene, tra i maggiori com-ponenti della cuticola, una struttura che forma una sorta di esoscheletro, che riveste il corpo del verme e permette l’at-tacco dei muscoli per la locomozione. Le cellule muscolari formano le quattro bande che attraversano l’intero corpo del verme, sottoventralmente e sottodorsalmente. Contrazioni coordinate dei muscoli subventrali e subdorsali generano il tipico movimento sinuoso di C. elegans.

Il sistema escretore è formato da 4 cellule: cellula del cana-le escretorio, cellula del poro escretore, cellula della ghian-dola escretoria e cellula escretoria. L’apparato digerente ed escretore sono abbastanza simili in entrambi i sessi, mentre le maggiori differenze tra maschio ed ermafrodita risiedono nel sistema delle gonadi. Le gonadi dell’ermafrodita sono costituite da due bracci (gonade prossimale e gonade dista-

della morte cellulare. Con i suoi collaboratori egli individuò numerosi geni, tra cui ced-3 e ced-4, dimostrandone il ruolo nella morte cellulare fi siologica. Horvitz dimostrò, inoltre, che un altro gene, ced-9, esplicava un’azione protettiva nei confronti della morte cellulare interagendo funzionalmente con ced-4 e ced-3, e giungendo altresì all’identifi cazione dei geni per l’eliminazione della cellula morta. Infatti, l’apoptosi è un meccanismo “pulito” di morte cellulare, innocuo per il tessuto in cui essa avviene. Ciò, a differenza della necrosi, che può comportare danni al tessuto circostante, in quanto la cellula che la subisce rilascia all’esterno numerosi enzimi degradativi. Oggi, grazie alle intuizioni ed alle scoperte di Brenner, Sulston ed Horvitz, siamo in grado di affermare che la maggior parte dei geni coinvolti nel controllo della morte cellulare programmata in C. elegans hanno corrispondenti nell’uomo, e che le proteine codifi cate da questi geni agi-scono lungo una serie di eventi successivi, lungo un vero e proprio percorso, o pathway.

2.1 Caratteristiche anatomo-fi siologiche dell’organismo modello C. elegans

Come per tanti organismi modello, C. elegans è fa-cilmente allevabile in laboratorio. Ha il corpo traspa-rente, peculiarità che lo rende molto utile per osserva-zioni al microscopio. Il suo breve ciclo vitale, di 3,5 giorni a 20 °C, permette di ottenerne rapidamente popo-lazioni numerose; caratteristica, quest’ultima, fondamen-tale sia per le indagini genetiche che per quelle molecolari.C. elegans è caratterizzato da due sessi: l’ermafrodita e il maschio. Il primo è capace di auto- fecondazione, mentre il secondo feconda gli ermafroditi, rendendo così possibile l’incrocio tra genotipi diversi. Nonostante alcune differenze, entrambi i sessi hanno una lunghezza intorno ad 1 mm nelle rispettive fasi adulte (Figura 2).

L’estremità cefalica del verme rappresenta la porzione an-teriore, occupata essenzialmente dalla faringe; essa è suddi-

Figura 2. La fi gura mostra l’organizzazione anatomica generale dell’ermafrodita (in alto, genotipo XX) e del maschio (in basso, genotipo X0) di C. elegans. Ermafroditi e maschi presentano caratteristiche anatomiche leggermente differenti e tali differenze raggiungono la massima espressione a livello delle gonadi e delle strutture della coda. L’immagine, adattata, è tratta da wormbook.org.

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Nella prima fase larvale L1 avviene il differenziamento di parte dell’ectoderma in neuroni. Questi ultimi subiscono poi una profonda riorganizzazione sinaptica. Il sistema riprodut-tivo invece si sviluppa nella seconda metà di questa fase. Du-rante la seconda fase larvale L2 avvengono, seppure in nume-ro limitato, delle divisioni cellulari. Si sviluppano due gangli a livello ventrale, e le gonadi si accrescono attraverso una serie di divisioni cellulari. Nella fase L2 le cellule germinali e somatiche delle gonadi sono ancora disorganizzate, ma da questo punto in poi comincia un riarrangiamento che porterà all’organizzazione delle gonadi adulte. Nel maschio iniziano a mostrarsi le prime differenze con l’ermafrodita; le gonadi si allungano da un solo lato per formare l’unico braccio delle gonadi maschili. Uno dei possibili passaggi dalla fase larvale L2 porta alla formazione della larva Dauer, determinata da fattori ambientali come la mancanza di cibo, una cattiva con-centrazione di feromoni, una temperatura ambientale troppo alta etc.. Tali fattori iniziano a manifestarsi nella fase L1 e se persistono fino alla fine della fase L2 si ha il differenzia-mento in Larva Dauer. In questa fase la larva non si nutre e limita i suoi movimenti al minimo indispensabile. Una lar-va di C. elegans in questo stadio è molto piccola e presenta una porzione della cuticola che occlude la cavità orale, e i vari organi sono ancora poco sviluppati. Il penultimo stadio, prima del raggiungimento dello stato adulto è rappresentato dalla larva L3; nell’ermafrodita il numero di cellule delle go-nadi arriva a 143 (distribuite tra i vari componenti di queste ultime). I bracci continuano ad allungarsi, e quello distale cambia orientamento. Nascono, per divisione cellulare, le cellule che comporranno la vulva e si differenziano 16 nuove cellule muscolari. Nel maschio, invece, il numero di cellule gonadiche arriva a 53; queste formeranno il singolo braccio e la vescicola spermatica. Nell’ultima fase L4 si completa la formazione delle gonadi, la meiosi nelle cellule germinali che in L3 aveva portato alla formazione di spermatozoi, e co-mincia la meiosi che porta alla formazione di oociti. Inoltre iniziano a formarsi i tessuti che rivestono la vulva e il canale uterino. Nel maschio invece si formano 41 muscoli sessuali e le gonadi arrivano al loro completo sviluppo; inoltre vi è una netta separazione tra la vescicola seminale e il vasus de-ferens. A livello della cloaca, anche grazie a morte cellulare per apoptosi, alcune cellule del proctodeum si fanno strada e mediano l’apertura all’esterno del vasus deferens. Dopo cir-ca 50 ore di sviluppo abbiamo la formazione di un esempla-re adulto e fertile di C. elegans, caratterizato da un numero pressoché costante di cellule in individui diversi: durante lo sviluppo dell’ermafrodita si saranno formate 1090 cellule, la cui genealogia è nota nel dettaglio. Di queste, 959 restano a far parte del verme adulto, mentre le restanti 131 sono anda-te perse, in maniera assolutamente fisiologica, per apoptosi.

2.3 Caratteristiche genetico-molecolari di C. elegansGrande importanza assume C. elegans anche per la simila-

rità del suo genoma con quello degli eucarioti superiori per quel che riguarda la struttura dei geni, suddivisi in introni ed esoni.

le) uniti all’utero, posto al centro mediante una regione detta spermateca. Uno dei due bracci ha il compito di generare gli oociti i quali, dopo divisione mitotica e meiotica, a livello della spermateca vengono fecondati e dopo un breve periodo di gestazione, che analizzeremo in seguito, sono rilasciati a livello della vulva, un orifizio che si apre a livello della cuti-cola nella zona medio-ventrale del verme.

Il maschio invece presenta una gonade caratterizzata da un solo braccio che si apre all’esterno attraverso la cloaca (l’a-no). La cloaca è costituita dal proctodeum, una particolare disposizione dell’epitelio; quest’ultima infatti comprende dei sensori che individuano l’ermafrodita e fanno sì che la vulva di quest’ultima non si chiuda durante la fecondazione.

2.2 Il ciclo vitale di C. elegansCome già affermato precedentemente, uno dei motivi per

cui C. elegans è un ottimo modello è la breve durata del suo ciclo vitale. La sua progressione può essere facilmente vi-sualizzata al microscopio e si articola in stadi, come negli altri nematodi, in uno stadio embrionale ed una serie di stadi larvali. Il primo dei due a sua volta si suddivide in uno stadio di proliferazione ed uno di organogenesi o morfogenesi.

La prima parte della fase di proliferazione (da 0 a 150 mi-nuti dalla fecondazione) avviene all’interno dell’utero, dove lo zigote inizia a dividersi per mitosi fino a raggiungere il numero di 30 cellule. La seconda parte di questa fase dello sviluppo (da 150 a 350 minuti dalla fecondazione) avviene tipicamente al di fuori dell’utero, una volta che l’ermafrodi-ta depone l’embrione. A questo punto l’embrione presenta una struttura tondeggiante, in cui le cellule si organizzano a formare tre strati: l’ectoderma da cui si differenzieranno ipoderma e neuroni; il mesoderma, da cui si differenzieran-no la faringe e le cellule muscolari; l’endoderma, da cui si differenzieranno le gonadi e l’intestino. Durante l’organoge-nesi non avvengono divisioni cellulari, ma solo migrazioni e differenziazioni cellulari che danno vita ai tessuti e organi dell’embrione. Infatti, già all’interno dell’uovo, prima della fine dell’organogenesi, è possibile osservare il caratteristico movimento e la prima contrazione della faringe.

Non meno importanti delle ripetute divisioni cellulari, ne-cessarie per il corretto sviluppo del nematode, sono i processi di apoptosi, o morte cellulare programmata, di alcune cellule sovrannumerarie, sia nella fase embrionale che in quella lar-vale. Ed infatti, come abbiamo già avuto modo di descrivere, si deve proprio al modello di C. elegans la scoperta dell’a-poptosi, che sarà trattata nel dettaglio in un successivo arti-colo. Alla fine dell’embriogenesi C. elegans presenta già le caratteristiche morfologiche generali ben definite, ovvero la forma del corpo si è già sviluppata, anche se gli organi sono ancora in via di sviluppo.

Lo sviluppo post-embrionale, o larvale, inizia solo a con-dizione che il cibo sia disponibile. Nel caso mancasse, lo sviluppo può arrestarsi, fino al momento in cui il cibo non diventi nuovamente disponibile. Gli stadi principali dello sviluppo si distinguono in quelli larvali (da L1 a L4) che pre-cedono lo stadio adulto.

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tribuzione di quel fenotipo a uno o a più geni. In questo modo, attraverso un approc-cio top-down, potranno es-sere chiarite le funzioni di geni del nematode coinvolti nella normale locomozione. Più recentemente, tuttavia, la conoscenza dettagliata dei genomi e dei geni in essi contenuti ha rivoluzionato questi approcci, e favorito quelli della genetica inver-sa, particolarmente in mo-delli semplici, come quello di C. elegans, per la relativa facilità e rapidità nella gene-razione di mutanti di speci-fici geni. Infatti, l’approccio classico della genetica è

invertito e, con una metodologia bottom-up si ottengono i mutanti del gene di interesse (o se ne riduce l’espressione mediante la già citata tecnologia dell’interferenza mediata da RNA), quindi se ne studia il fenotipo per l’attribuzione della funzione specifica.

2.4 I contributi di C. elegans alla ricerca biomedica

Abbiamo già descritto l’importanza del sistema modello di C. elegans per scoperte scientifiche esemplari, come l’a-poptosi ed i meccanismi dell’interferenza mediata da RNA, alla base del chiarimento di meccanismi fondamentali della vita, e che sono valse ai loro scopritori i riconoscimenti di premi Nobel per la Medicina o la Fisiologia, negli anni 2002 e 2006. Ma soprattutto, ciò che per noi rende queste scoper-te così importanti, da meritare tali riconoscimenti, è il loro potenziale applicativo nei confronti della salute dell’uomo (Figura 3). Successivi articoli, attualmente in preparazione, tratteranno con il dovuto dettaglio la storia e le applicazioni di queste scoperte.

L’importanza del modello di C. elegans non è tuttavia li-mitata a scoperte che, per quanto importanti, non possono essere frequenti come vorremmo. Ed infatti C. elegans è ampiamente utilizzato come “cavia” per riprodurre in questo sistema, così facilmente allevabile e caratterizzabile, alcune caratteristiche fondamentali di malattie complesse. Una vol-ta ottenuto il modello, attraverso il suo utilizzo potremo, ad esempio, stimare l’efficienza di potenziali farmaci.

Ciò che del modello di C. elegans maggiormente affascina il ricercatore è probabilmente il sistema nervoso, tanto da es-sere il sistema meglio caratterizzato del nematode, nonostan-te la sua relativa complessità, grazie anche al fatto che i corpi cellulari dei neuroni e le loro proiezioni possono essere fa-cilmente individuati mediante proteine fluorescenti, come la green fluorescent protein, GFP (Figura 4). A formarlo sono 302 neuroni nell’ermafrodita (circa 1/3 del numero totale di cellule dell’adulto!), di cui 20 dedicati alla faringe che, come

Il genoma di C. elegans, come già accennato pre-cedentemente, è stato reso quasi del tutto disponibile già dal 1998, permettendo di condurre un‘ampia gamma di esperimenti di genetica, sia classica che inversa. In C. elegans i geni che co-dificano per proteine sono quasi sempre brevi, ma pur sempre con rare eccezioni. Mediamente un gene di C. elegans contiene 6,4 esoni, con lunghezza media di 201 coppie di basi, e brevi intro-ni con una lunghezza media di 67 coppie di basi. Altra caratteristica fondamentale del genoma di C. elegans è la presenza del fenomeno dello splicing alternativo in almeno il 18% dei geni codificanti. Il DNA non codificante è meno caratterizzato di quello codificante, e viene trascritto in vari tipi di RNA come gli asRNA (RNA antisenso), micro-RNA (regolatori dell’espressione di determinati geni) e svariati al-tri tipi di RNA.

Un ulteriore meccanismo biologico molto interessante e fondamentale per la vita degli organismi pluricellulari, ani-mali e vegetali, anch’esso scoperto in C. elegans nel 1998 da Andrew Fire e Craig Mello è quello della interferenza mediata da RNA (RNA interference o RNAi). Esso, pur essendo stato scoperto “per caso”, come un meccanismo per ridurre l’espressione di specifici geni e studiarne quindi le funzioni, ha poi dato il via alla comprensione sempre più det-tagliata delle funzioni, negli eucarioti, di piccole molecole di RNA note come micro-RNA (miRNA) ed ha meritato il riconoscimento di un secondo premio Nobel per la Medicina o la Fisiologia ai suoi scopritori. Dobbiamo pertanto ancora una volta a C. elegans la comprensione di uno degli aspetti più affascinanti della moderna biomedicina, anche per le pro-babili applicazioni che nei prossimi anni certamente saranno possibili per piccole molecole di RNA, utilizzabili come far-maci.

La conoscenza dettagliata del genoma di C. elegans ha certamente favorito lo sviluppo di approcci genetici alla comprensione delle funzioni dei suoi geni (e quindi dei cor-rispondenti geni ortologhi degli organismi superiori, uomo compreso) e alla generazione di modelli animali di malattie. I percorsi della genetica classica prevedono, tipicamente, approcci di mutagenesi e l’analisi dei fenotipi che ne conse-guono; ad esempio, si possono isolare da una popolazione di vermi mutagenizzati tutti quelli accomunati da alterata loco-mozione. La caratterizzazione sempre più dettagliata dei ver-mi mutanti, effettuata attraverso incroci ed approcci della ge-netica classica, conduce via via alla classificazione dei geni coinvolti e alla loro mappatura sui cromosomi. Quindi, all’at-

Figura 3. Il cartoon risale all’a.a. 2005-2006 ed è stato realizzato da Livia Barba e colleghi, all’epoca studenti di Medicina e Chirurgia del I anno (Università di Napoli Federico II), e testimonia la sensibilità dei giovani studenti nei confronti di modelli sperimentali, come quello di C. elegans, che è stato determinante per comprendere alcuni meccanismi biologici fondamentali e di interesse medico, come l’apoptosi e l’interferenza mediata da RNA.

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE BIOLOGICHE

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potenziali farmaci nel contrastare la perdita neuronale e le funzioni alterate. In defi nitiva, il modello di C. elegans rap-presenta un sistema utile per la selezione dei cosiddetti lead compounds, vale a dire molecole “guida”, la cui ottimizza-zione ed adattamento possono rappresentare delle importanti strategie per la riduzione nell’utilizzo di modelli animali più complessi, come quello del topo.

Questi esempi rappresentano un’esperienza concreta di come C. elegans sia effettivamente utilizzabile nella moder-na ricerca biomedica, nell’ottica di generare modelli prelimi-nari e di minore impatto etico rispetto a quelli di animali più complessi, purché compatibili con le esigenze sperimentali e la validità scientifi ca.

BIBLIOGRAFIA E FONTI

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abbiamo visto, è l’organo fondamentale per l’alimentazio-ne. La funzione copulatoria del maschio richiede un sistema nervoso più complesso, fatto da 381 neuroni. Probabilmente C. elegans è tra i pochi organismi di cui si conoscano tut-ti i neuroni, non solo per quanto riguarda la posizione, ma anche per le connessioni sinaptiche (circa 8.000) che essi stabiliscono, per i neurotrasmettitori coinvolti, tipici degli organismi superiori (acetilcolina, dopamina, serotonina, glu-tammato e GABA, acido gamma-ammino butirrico), e per le loro funzioni specifi che. La maggior parte dei neuroni si concentra in gangli cefalici o caudali; in particolare, il nerve ring, localizzato intorno alla faringe, presenta una notevole concentrazione di corpi cellulari e di sinapsi, rappresentando pertanto una sorta di struttura centrale. I neuroni emanano al-tresì processi, semplici e poco ramifi cati, organizzati in fasci interconnessi, che percorrono l’asse longitudinale del verme, dorsalmente e ventralmente.

In accordo con la dettagliata conoscenza del suo sistema nervoso, il modello di C. elegans è stato, e tuttora lo è, am-piamente utilizzato nella ricerca sulla neurodegenerazione e sulle malattie neurodegenerative, come la malattia di Alzhei-mer e il morbo di Parkinson. La malattia di Alzheimer è ca-ratterizzata da sovra-produzione ed aggregazione di peptidi amiloidi (Aβ) nelle cellule nervose e dalla presenza di grovi-gli neurofi brillari. La neurotossicità di questi peptidi è ritenu-ta uno dei meccanismi responsabili della perdita progressiva di neuroni che caratterizza il decorso di questa grave malat-tia. Nel caso del morbo di Parkinson, i tremori e la lentezza nei movimenti che caratterizzano questa condizione sono il risultato di una perdita progressiva di neuroni dopaminergici, anche in questo caso associata ad accumuli patologici di pro-teine cellulari (tra cui l’α-sinucleina). Ovviamente i sintomi che caratterizzano queste malattie non possono essere fedel-mente riprodotti in C. elegans, motivo per cui le ricerche spe-rimentali hanno teso a verifi care la tossicità delle componenti degli aggregati proteici che le caratterizzano. Questi possono essere prodotti nel verme tramite transgenesi, per poterne evidenziare le risposte evocate (ad esempio, i danni neurona-li e le loro conseguenze, come le anomalie del movimento) e per poter valutare l’effi cacia ed il meccanismo di azione di

Figura 4. La trasparenza di C. elegans all’osservazione microscopica garantisce la possibilità di effettuare analisi e studi utilizzando proteine fl uorescenti come la green fl uorescent protein, GFP. Quest’ultima risulta particolarmente utile per evidenziare strutture cellulari ed anatomiche del verme. In questo caso viene adoperata per mettere in evidenza l’espressione di un gene neuronale, e quindi l’intero sistema nervoso del verme. L’immagine è tratta da wormbook.org.

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MARIAROSA SANTILONI La Grande Madre Terra LAURA CASTELLUCCI Expo Milano 2015. Sfamare il pianeta? Scomode verità dall’economia AGNESE VISCONTI Da Londra 1851 a Milano 2015. Riflessioni sulle grandi esposizioni universali ALDO ZECHINI D’AULERIO Effetti dei cambiamenti climatici sulle piante e le loro malattie FRANCESCA DILUISO, IGOR

BAZEMO Sicurezza alimentare e politiche di sviluppo rurale FRANCESCO RENDE - ROBERTO SAIJA Tutela della salute, sicurezza e qualità del cibo nel diritto alimentare europeo EMANUELE MANES La spesa consapevole: pochi consigli per la nostra salute e contro lo spreco alimentare LIA GIANCRISTOFARO Un mondo alimentare sommerso come “museo vivo” della dieta mediterranea VINCENZO CROSIO Il cibo e la ritualità PAOLO COSTA Cibo, etica e identità: qual è la morale della tavola? FRANCO RIVA Grasso/Magro. Un circolo perfetto ADOLFO VILLAFIORITA Tecnologie per combattere lo spreco alimentare GIUSEPPE MORELLO RFId. La nuova frontiera della tracciabilità. Le applicazioni nel settore agro-alimentare SILVIA CAMILOTTI Saperi e Sapori d’altrove: le scrittrici (si) raccontano ANGELO ARIEMMA Pinocchio: fame e cibo nell’Italia contadina ANGELO ARIEMMA François Vatel. Scenografie di una vita MARCO LOMBARDI Quando l’enogastronomia esplode sul grande schermo PAOLO CORVO E GIANPAOLO FASSINO Alimentazione e qualità della vita. Teorie, problematiche, esperienze CLAUDIO TUNIZ E PATRIZIA TIBERI VIPRAIO Cibo, corpo & mente ELENA MARCHETTI E

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | CITTADINANZA EUROPEA

Cittadinanza europea A CURA DI ANGELO ARIEMMA

Centro di Documentazione Europea Altiero Spinelli, c/o Sapienza Università di Roma

amentato gli scambi monetari, proprio per evitare un nuovo Ventinove, ridette fiato alle speculazioni finanziarie e mon-etarie. L’Unione europea pensò di difendersi creando la sua moneta, la quale, nel progetto degli statisti che la definirono (Mitterand, Kohl, e gli altri) avrebbe dovuto essere il primo passo verso una maggiore integrazione politica fra gli stati dell’Unione, che si avviavano a diventare 24, con l’allar-gamento del 2004 a 10 paesi usciti dalla “tutela” sovietica, e non sarebbe stata più gestibile con le regole di unanimità che governavano le istituzioni europee. Purtroppo a quegli statisti sono subentrati piccoli uomini, incapaci di “vedere” un progetto e di traghettarvi i popoli, incapaci di guardare al di là delle prossime elezioni per blandire solamente il ventre di quei popoli.

Ratto d’Europa

Il Ratto d’Europa ha da sempre rap-presentato l’immagine iconica di una sorta di prelezione della civiltà che, dalla sponda asiatica del Mediterra-neo, si è poi trasferita sulla sponda

occidentale e da qui diramata sull’intero con-tinente.

In questi anni però il Ratto d’Europa ci ap-pare più come il tentativo, da parte di forze economiche e anche militari, di volerci sot-trarre quei valori di pace e di condivisione che in questi 70 anni l’Europa ha saputo sviluppare con il suo modello, che è riuscito a coniugare il mercato con la solidarietà sociale. Attacco partito già dalla signora Thatcher, che, al suo primo incontro, Altiero Spinelli così dipingeva nella pagina del 29 aprile 1975 dei suoi diari: “La sera cena-discussione di parecchi com-missari con la signora Thatcher (…). Le sue risposte erano banali e superficiali. È evidente che sa di dover essere europeista, ma non sa ancora cosa ciò significhi e implichi”1. Si vedrà poi il suo disprezzo per la Comunità europea, il suo attacco alla soli-darietà sociale, la sua ideologia neoliberista nello smantella-mento di ogni regolamentazione del mercato (appaiata alla deregulation imposta da Reagan agli americani e al mondo), che hanno aperto la strada alla speculazione finanziaria e a un’economia capitalistica non più produttiva, ma esclusiva-mente speculativa2. Del resto già Nixon, quando fece crollare il Patto di Bretton Woods, che, dopo la guerra, aveva regol-

1 A. Spinelli, Diario europeo : 1970-1976, a cura di Edmondo Paolini, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 779-780.2 Cfr. A. Zanca, La crisi e le crisi del capitalismo, in “Scienze e Ricerche” n. 21, 15 gennaio 2016, p. 13-33.

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Sotto questi colpi l’Europa che abbiamo conosciuto vacil-la, scossa al suo stesso interno da risorgenti nazionalismi e difese dello Stato-Nazione, struttura politica che ha determi-nato tutte le guerre che, per almeno 3 secoli, hanno insangui-nato le terre d’Europa, fino alle immani stragi della Grande Guerra (della quale solo l’anno scorso abbiamo ricordato il centenario) e della Seconda Guerra Mondiale (appunto con-clusasi 70 anni orsono). Struttura politica ormai totalmente e inevitabilmente superata3 dalla globalizzazione, che prima di essere economica, è stata comunicativa e culturale (non dimentichiamoci che già negli anni ’70 del secolo scorso si parlava di “villaggio globale”, intendendo proprio la medesi-ma identità culturale che in ogni parte del mondo coinvolge-va le giovani generazioni di allora).

Tanto più ora che la comunicazione e l’informazione viaggiano contemporaneamente in ogni parte del globo, in maniera quasi incontrollabile, attraverso la rete, è scelta illu-soria e perdente quella di volersi trincerare nel proprio Sta-to-Nazione o addirittura nel proprio Villaggio.

Da qui, per non essere quella generazione che ha distrutto il lavoro dei nostri padri, prima nel nostro paese e ora anche nell’Unione europea, cercheremo in questa rubrica di pro-porre visioni “altre” rispetto al tam tam mediatico che vor-rebbe portarci di nuovo a scannarci tra popoli che da sempre hanno avuto una cultura comune, dove il teatro di Shake-speare vive insieme alla musica di Beethoven, la pittura di Goya vive insieme alla poesia di Dante, il grande romanzo abbraccia Cervantes con Dickens con Balzac con Dosto-evskij in un unico afflato, che può ora solamente aprirsi ad altre culture, anziché chiudersi ognuno nel proprio “dialetto”.

Angelo Ariemma

3 Ma già Il Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita (stilato nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni nel loro Confino nell’isola tirrenica) con grande chiarezza definiva la futura prospettiva della lotta politica: “La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono ancora come fine essenziale della lotta la conquista del potere politico nazionale e quelli che vedranno finalmente come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere naziona le, lo adopereranno prima di tutto come strumento per realizzare l’uni tà internazionale”. Citazione tratta dal sito del Movimento Federalista Europeo http://www.mfe.it/site/index.php?option=com_content&view=article&id=47&Itemid=29

Più Europa

Riflessioni sull’Europa. Lo spunto viene da due libri, che da punti di vista diversi, arri-vano alla stessa conclusione: occorre dare vita a una Federazione europea. Il monito, già lanciato da Altiero Spinelli ed Ernesto

Rossi nel 1941 con Il Manifesto di Ventotene, diventa oggi ancora più attuale. L’UE si è costruita secondo la strategia, promossa da Jean Monnet, dei piccoli passi, che ha mietuto successi, ma anche molte crisi, ogni qual volta i revanscismi nazionalisti si sono frapposti alla costruzione di una unità politica dell’Europa. Ricordiamo solo l’opposizione di De Gaulle alla Comunità di Difesa, o il naufragio della proposta di Costituzione promossa da Spinelli nel 1984, approvata dal Parlamento europeo, ma respinta dai Governi nazionali, in favore del misero “Atto unico” del 1987; ultimo la boccia-tura referendaria in Francia e Olanda del Progetto di Costi-tuzione Europea elaborato dalla Convenzione presieduta da Valéry Giscard d’Estaing.

Ora la crisi economica ripropone la questione. Di fronte alla globalizzazione gli Stati nazionali sono impreparati ad affrontare una economia che non guarda più alle frontiere. La grande intuizione del Manifesto di Ventotene fu proprio quella di dichiarare la fine della funzione storica degli Stati-nazione. Adesso i nodi vengono al pettine. Dopo la diarchia franco-tedesca, ora assistiamo a un confronto-scontro tra una Merkel disposta a cedere un po’ di sovranità pur di mante-nere salda la barra del rigore economico, e un Hollande che propende maggiormente alla solidarietà, ma non vuole ce-dere nulla della propria sovranità nazionale. Mentre gli altri stati si vedono imporre norme e regole dettate altrove. Per dare nuovo slancio all’Europa, al suo modello socio-politico, la sola strada percorribile è quella della Federazione, che si dia istituzioni democraticamente elette e controllabili a livel-lo europeo.

Ulrich Beck1 punta il dito sullo scarto che si è creato tra le istituzioni europee, ferme a un chiuso rigore economico, e la vita degli individui che tale rigore subiscono, come ingiusta mannaia che cade dall’alto. Scarto che favorisce la Germa-nia, il suo senso di corretta prassi economica da ‘esportare’ anche ai paesi indebitati. Scarto che rischia di far deflagrare l’euro e l’UE stessa. In fondo, l’analisi di Beck parte dalla stessa consapevolezza che ha mosso Spinelli: lì fu la guerra, qui è la crisi economica: “il ramo finanziario globale non può più essere regolato a livello nazionale”2; devono quindi cambiare le categorie del politico: “Si tratta di eventi letteral-mente mondiali, che permettono di constatare l’interconnes-sione sempre più stretta degli spazi d’azione e di vita e che non possono più essere colti con gli strumenti e le categorie di pensiero e azione dello Stato nazionale”3. Laddove lo Sta-

1 U. Beck, Europa tedesca, Roma-Bari, Laterza, 20132 Ivi, p. 31.3 Ivi, p. 22.

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to, di fronte alla crisi, si chiude in sè, nella vecchia logica di amico-nemico, ora, nella dinamica del rischio, occorre inve-ce aprirsi all’altro, comprederne le ragioni, e darsi reciproca solidarietà. Invece la forza economica di una Germania che vuole imporre la sua ricetta agli altri, rischia di far naufra-gare l’intero progetto europeo, trascinando nel baratro la stessa economia tedesca, che da sola non potrebbe reggere la globalizzazione. Ecco quindi lo scatto che si impone agli uomini europei: non solo elaborare una nuova struttura istitu-zionale; non solo vivere i tanti vantaggi dell’UE (viaggiare, studiare, lavorare, in Europa) come acquisiti e superflui, ma rendersi conto che sono la nostra vita, che non si può tornare in-dietro, ai nazionalismi e ai facili populismi, e solamente con più Europa si avrà più libertà, più si-curezza sociale, più democrazia; “abbiamo allora bisogno di una campagna di alfabetizzazione cosmopolitica per l’Europa”4, di un nuovo contratto sociale, che dal basso faccia nascere la Fe-derazione europea, dotata di un potere democraticamente eletto, e di un proprio bilancio, che le istituzioni europee possano gestire per il bene comune.

Nel libro di Elido Fazi e Gianni Pittella5, lo stesso titolo impone una riflessione sulla costruzione di una vera Fede-razione europea. Gli autori ritengono che la crisi parta dal-la messa in mora degli accordi di Bretton Woods da parte dell’amministrazione Nixon negli anni ‘70, quando fu aboli-ta la parità aurea del dollaro. Il venir meno di quell’accordo ha privato gli Stati del controllo sulla finanza, che via via, attraverso l’apertura dei mercati e la globalizzazione, si è mostrata libera da ogni vincolo, fino all’attuale deflagrazio-ne, che rende la speculazione finanziaria padrona dei destini delle nazioni e dei cittadini.

L’euro ha rappresentato il tentativo di porre rimedio alla caduta di Bretton Woods, a cui necessariamente avrebbe do-vuto far seguito una graduale maggior integrazione econo-mica e politica dell’UE. Purtroppo la miopia dei governanti succedutisi ai ‘visionari’ di Maastricht, e il mito dell’ideolo-gia liberista, a cui tali governanti si sono piegati, ha ostacola-to il percorso sulla strada dell’integrazione europea.

La crisi economica, causata appunto dall’esplodere di una bolla speculativa, ha rimesso all’ordine del giorno la questio-ne di tale integrazione, che superi le reciproche diffidenze fra gli Stati, i quali, presi singolarmente, non avrebbero possi-bilità di scampo di fronte alla globalizzazione incontrollata.

Gli autori non sono avari di suggerimenti e propongono l’istituzione di Eurobond, di una fiscalità europea, dell’unio-ne bancaria, di un bilancio autonomo dell’UE; a cui deve far

4 Ivi, p. 76-77.5 E, Fazi-G. Pittella, Breve storia del futuro degli Stati Uniti d’Europa, Roma, Fazi, 2013

seguito una democratizzazione del livello decisionale, con un Parlamento europeo che sia responsabile delle decisioni europee e controlli una Commissione eletta dal popolo eu-ropeo. Hic Rodus, hic salta: il tempo è ora. Il Parlamento europeo eletto lo scorso anno, con la novità dei candidati alla Presidenza della Commissione presentatisi direttamente al popolo degli elettori dovrebbe avere una funzione costituen-te della Federazione europea, magari ristretta a quegli Stati che vorranno starci, lasciando per ora fuori chi, come la Gran Bretagna, vuol restarsene isolato. Solamente un’Europa uni-ta e forte potrà tentare di imporre un nuovo accordo inter-

nazionale, tipo Bretton Woods, che faccia da argine alla spe-culazione finanziaria: “La bat-taglia tra mercati e democrazia sarà quindi decisiva per il futuro degli Stati Uniti d’Europa. Solo sottraendosi al ricatto dei mer-cati finanziari, si potrà creare un’Europa indipendente. Anzi sarà proprio attraverso questo confronto che prenderà forma quello spazio politico transna-zionale europeo auspicato da

tutti gli europeisti. Per sconfiggere i mercati finanziari c’è bi-sogno di una democrazia forte che possa appoggiarsi sull’u-nica istituzione direttamente legittimata dai cittadini europei, il Parlamento europeo”6.

Purtroppo non possiamo non constatare come oggi non solo la globalizzazione ha ristretto gli spazi, ma anche i tem-pi sono notevolmente accorciati, e libri pubblicati solamen-te due anni fa, vengono fagocitati dal rapido accadere degli eventi e dal costante surplus mediatico che quotidianamente ci inonda. Così, sia le elezioni italiane, sia quelle tedesche, e ora quelle francesi con l’affermazione dei nazionalisti, hanno mostrato il loro volto antieuropeista, mentre tutta la discus-sione politico-mediatica torna a occuparsi delle tematiche nazionali e a parlare di Europa solo in termini negativi, pun-tando il dito sull’immigrazione, sul terrorismo e sul Trattato di libera circolazione di Schengen, abbagliando l’opinione pubblica nel suo vacuo e deleterio localismo, che non fa che dare sempre più peso a una speculazione finanziaria sempre più incontrollata.

Ma “l’Europa non cade dal cielo”, come diceva Altiero Spinelli; e allora siamo qui, nel nostro piccolo, nani sulle spalle di un gigante, a portare avanti la sua battaglia, quella battaglia per la quale ha voluto spendere l’intera sua esi-stenza.

Angelo Ariemma

6 Ivi, p. 184-185.

“Di fronte alla globaliz-zazione gli Stati nazionali

sono impreparati ad affron-tare una economia che non guarda più alle frontiere”

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Piketty il federalista

Thomas Piketty, l’autore del fortunato libro Il capitale nel XXI secolo1 è diventato celebre perché ha rilanciato e forse globalizzato il dibattito sulle disuguaglianze. Il suo best sel-ler ha riscosso un successo senza precedenti

non solo nella sua Francia, ma anche in altri paesi d’Europa, negli Stati Uniti ed in Giappone. I più associano l’economi-sta francese alla sua proposta di tassare di più i ricchi ed in particolar modo all’imposta patrimoniale, un provvedimento che nonostante la crisi e le crescenti disparità non riscuo-te particolare successo nella classe politica della gran parte delle nazioni industrializzate. Eppure nei suoi scritti Piketty non parla solo di tasse, ha un approccio olistico alle disparità (tema di cui si occupa per lavoro) ed ha una chiara visione dell’Unione Europea e della globalizzazione.

Gli scritti di Piketty sono molto politici, e questo è inevita-bile. Quando ci si occupa di disuguaglianze nessuna conclu-sione può prescindere da considerazioni politiche. Sbagliano i suoi detrattori quando lo accusano di essere poco realista e di non comprendere la globalizzazione, perché dalla sua attenzione alla stabilità del sistema pensionistico2 alla sua comprensione dei limiti delle politiche monetarie, non man-cano gli elementi per affermare che il francese è realista. Pro-babilmente il suo Capitale non è stato un contributo così in-novativo: Stiglitz, Krugman e Atkinson da anni denunciano le crescenti disuguaglianze, e non è nemmeno impeccabile da un punto di vista tecnico, per colpa di qualche formula matematica spesa con troppa sufficienza; eppure il francese ha il grande merito di inquadrare la crescita delle disugua-glianze in un contesto di squilibri esplosivi e di trovare un filo comune tra l’iniquità, l’invecchiamento delle popolazio-ni di alcuni paesi, il terrorismo, i terremoti finanziari. Giusto per fare un esempio Piketty ha previsto con molti mesi di anticipo la possibilità di un Front National molto competitivo alle elezioni;3 inoltre da tempo denuncia che uno dei costi di tante piccole patrie europee è costituito da Stati come la Francia che per far crescere di un miliardo l’export accettano di vendere armi a chiunque4.

Leggendo alcune sue interviste Piketty mi era sembrato un po’ ondivago, da una parte nella sua produzione scientifica si è sempre opposto ad ogni smantellamento dell’Unione, dall’altro talvolta è sembrato troppo sommario in alcune cri-tiche; devo però ammettere che mi sono sbagliato, il libro che raccoglie una serie di suoi articoli Si può salvare l’Eu-

1 T. Piketty, Le capital au XXIe siècle, Paris, Éditions du Seuil, 2013; edizione italiana Il capitale nel XXI secolo, Milano, Bompiani, 2014.2 T. Piketty, Pensioni: ricominciamo tutto da capo, 20 aprile 2010, in T. Pketty, Si può salvare l’Europa? : cronache 2004-2015, Milano, Bompiani, 2015. 3 T. Piketty, Quante crisi ancora ci vorranno per smuovere l’Europa. 29 dicembre 2014, in T. Piketty, Si può salvare l’Europa?, op. cit. 4 T. Piketty, Dall’Egitto al Golfo una polveriera di disuguaglianze, 17 Giugno 2014, in T. Piketty, Si può salvare l’Europa?, op. cit.

ropa, cronache 2004-2015 è la sintesi di una chiara visione del mondo.

È ragionevole che chi si identifica nei valori della destra non condivida la proposta fiscale dell’economista francese, tuttavia i suoi scritti enfatizzano temi a cui tutti ci dovremmo interessare:

1. Qual è la crescita sostenibile per paesi in calo demogra-fico? Piketty ci ricorda che dalla rivoluzione industriale la crescita media reale annua del mondo occidentale si attesta all’1,6%, di cui circa la metà è frutto della crescita demogra-fica. Esistono ricette o riforme che possono portare paesi in declino demografico, o a crescita demografica zero ad otte-nere, grazie all’immigrazione, tassi di crescita reale del PIL del 2, 3 o 4%?

2. Quali sono gli effetti sulle disparità delle crisi finanzia-rie?

3. Quali sono gli effetti della tecnologia? Se da un lato la storia recente ha dimostrato che i paesi occidentali che sono cresciuti sono quelli le cui imprese hanno saputo trasformare in profitti il progresso tecnologico, dall’altro i salti tecnolo-gici portano sempre, nel breve periodo, al calo dell’occupa-zione.

4. Quali impatti avrà sulla crescita il deterioramento dell’ambiente? Secondo Piketty la sostenibilità ambientale sarà uno dei problemi fondamentali con cui si confronteran-no gli economisti. Se nel breve periodo l’adeguamento agli standard ambientali è un costo, nel medio lungo periodo i costi dell’inquinamento potrebbero frenare la crescita.

Piketty è chiaramente federalista. Ha il merito di non cade-re nella retorica della necessità di più Europa/meno Europa e di fare proposte concrete, di spiegare “che tipo d’Europa serve”. Non è facile trovare un economista di fama interna-zionale che scrive un articolo dal titolo Un’unica soluzione: il federalismo5; inoltre è stato un precursore: da più di un anno abbiamo un presidente della Commissione che parla di esercito europeo e propone meccanismi solidaristici come la ripartizione dei migranti che arrivano in Europa tipici di una federazione; pochi mesi fa i presidenti dei Parlamenti di Ita-lia, Francia, Lussemburgo hanno sottoscritto una dichiara-zione in cui auspicano un percorso di maggiore integrazione tra alcuni paesi dell’UE che può portare ad una federazione6; il ministro dell’economia italiano Pier Carlo Padoan sostiene l’introduzione di un sussidio europeo di disoccupazione7 e il suo collega agli esteri Paolo Gentiloni propone una fede-razione tra i sei Stati fondatori della Comunità Europea8, tre

5 T. Piketty, Un’unica soluzione: il federalismo. 5 giugno 2012, in T. Piketti, Si può salvare l’Europa?, op. cit.. pag. 2846 S. Sinagra, La dichiarazione dei quattro presidenti, i paesi fondatori e la federazione europea con chi ci sta, http://www.europainmovimento.eu/italia/la-dichiarazione-dei-quattro-presidenti-i-paesi-fondatori-e-la-feder-azione-con-chi-ci-sta.html 25 settembre 2015.7 S. Sinagra, Uno schema comune europeo contro la disoccupazione, http://europainmovimento.eu/europa/uno-schema-comune-europeo-con-tro-la-disoccupazione.html 16 ottobre 2015.8 F. Scianchi, Gentiloni, Europa a due velocità? Possibile, ripartiamo dai sei paesi fondatori, in “La Stampa”, 20 gennaio 2016.

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o quattro anni fa, al netto di alcuni politici considerati sui generis, come i cofondatori del gruppo Spinelli9 al Parlamen-to europeo, Guy Verhofstadt e Daniel Cohn Bendit, nessuno parlava di federalismo.

Piketty non esita a criticare François Hollande e i politici francesi, che sono consapevoli della necessità di una fede-razione europea, ma non mettono il tema in agenda perché soffrono di una sorta di sindrome della Costituzione Euro-pea: non difendono idee federaliste per il timore che vengano bocciate nell’urna10.

Piketty è molto diverso da tanti economisti riconducibili alla sinistra radicale, perché bisogna dire che il francese non è affatto un economista radicale11, ha solo la peculiarità di

9 “Il Gruppo Spinelli nasce da un'iniziativa lanciata nel settembre 2010 da Guy Verhofstadt, Daniel Cohn-Bendit, Sylvie Goulard e Isabelle Durant e seguita da Andrew Duff e Jo Leinen in qualità di co-presidenti del Grup-po Spinelli-MEP. Il Gruppo ha l'obiettivo di inserire la spinta federalista all'interno delle decisioni e delle politiche dell'Unione europea. Attraverso il suo Manifesto e ispirandosi ad Altiero Spinelli - il Gruppo Spinelli fa appello ai MEPs [europarlamentari] e alle personalità di rilievo negli affari europei affinché sviluppino una rete di tutti coloro che hanno scelto di anteporre gli interessi dell'Europa a quelli nazionali, tutti coloro che sono desiderosi di portare avanti il progetto federalista nei loro rispettivi campi. Proprio come Altiero Spinelli, vogliamo operare dall'interno del Parlamen-to europeo, ma non esclusivamente nel Parlamento europeo”. http://www.spinelligroup.eu/it/chi-siamo10 T. Piketty, Cambiare l’Europa per superare la crisi, 18 giugno 2013, in T. Piketty, Si può salvare l’Europa?, op. cit.11 Si noti tra le altre cose che nel dibattito corrente l’aggettivo radicale ha

affermare senza mezze misure che l’agenda di riduzioni delle tasse e tagli al welfare che si è affermata a partire degli anni ottanta ha controindicazioni e ha il coraggio di proporre un modello in cui si può arrivare a meno tasse, ma non per tutti. Si noti per esempio che negli ultimi anni anche l’OCSE, il Fondo Monetario internazionale12 e la Commissione Euro-pea13 hanno ammesso che paesi con elevati debiti pubblici non possono sostenere tasse bassissime e che probabilmente in molti contesti un’imposta sul patrimonio potrebbe dare a paesi con vincoli di bilancio gli spazi necessari per ridurre le imposte sui redditi con beneficio sulla crescita.

Piketty dice che senza l’euro gli speculatori avrebbero vita facile, ma la moneta comune non può sopravvivere nella for-

assunto una connotazione negativa, è un perfetto succedaneo dell’aggetti-vo estremista. Eppure una crisi che dura ormai da molti anni dovrebbe por-tarci a pensare che i percorsi di riforma intrapresi da molti paesi non sono sufficienti a garantire un’inversione di tendenza e che quindi servirebbero soluzioni radicali come un’evoluzione federale dell’Unione Europea, che di fatto superi l’Europa di Maastricht, una mutualizzazione dei debiti pub-blici dell’area euro o un drastico ripensamento dei sistemi fiscali.12 T. Piketty, FMI ancora uno sforzo, 22 Ottobre 2013, in T. Piketty, Si può salvare l’Europa?, op. cit.13 Nell’Annual Growth Survey 2013 e 2014 la Commissione Europea af-ferma che gli Stati con elevata pressione fiscale devono tagliare le tasse ristrutturando la spesa ma non devono tagliare gli investimenti strategici e il capitale umano. Ovviamente gli spazi sono particolarmente stretti per i paesi indebitati, per cui è difficile pensare a significativi tagli delle tasse ed è necessario puntare sul “design” di strutture “growth-friendly” spostando i carichi d’imposta dove sono meno dannosi per l’economia. In particolare viene suggerito di ridurre le tasse sulle imprese e sui lavoratori, tagliando regimi agevolativi e tassando il patrimonio immobiliare e finanziario.

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ma attuale ed ha avuto modo di contestare aspramente alcune firme storiche della sinistra che sostengono che una maggio-re integrazione europea comporterebbe la fine del welfare. L’economista francese afferma che federazione non vuol dire uniformarsi su tutto14.

Thomas Piketty ha quindi una vera e propria proposta di federazione europea, con qualche imperfezione dal punto di vista istituzionale:1. All’Unione Europea serve una costituzione

Ha in passato criticato i socialisti francesi che si sono schierati contro la Costituzione europea del 2003, sia perché nel documento rigettato nei primi anni del nuovo millennio non vi erano affatto elementi anti-sociali sia perché su diver-se questioni, quali la direttiva Bolkestein una parte del partito socialista francese ha fatto affermazioni discutibili.2. All’area euro non basta la BCE

Serve un’Unione Politica. Se da una parte nel Capitale Pi-ketty afferma che l’inflazione non è mai la soluzione miglio-re per ridurre il debito eccessivo, anche se in realtà è stata una soluzione assai praticata da molti paesi europei nel no-vecento, dall’altro scrive che visto che il rischio di inflazione è assai lontano sarebbe necessaria una politica monetaria più coraggiosa.3. Eurobond per andare oltre la crisi

A parere dell’economista l’esigenza degli Eurobond è or-mai innegabile: la necessità di interventi solidaristici travali-ca ormai i limiti della sinistra, anche colui che Piketty defini-sce il “leader dei centristi” a Bruxelles, Guy Verhofstadt, ex premier belga, è favorevole alla mutualizzazione del debito. A parere del francese occorre mettere in comune il debito creato dalla crisi15. Scrive che il problema non è che ci sia un fiscal compact e limiti al debito pubblico dei singoli Stati membri, ma che non ci sia un ministro dell’economia euro-peo e che il Parlamento europeo non abbia voce in capitolo sulle questioni di bilancio. Sostiene che il Meccanismo Eu-ropeo di Stabilità sia una soluzione ampiamente sotto le ne-cessità dell’Europa, perché vale il 5% del PIL del’area euro.

Secondo Piketty l’emissione di Eurobond non può prescin-dere dalla condivisione di sovranità. Per questo afferma che nonostante le dichiarazioni formali il governo francese sia il più grosso ostacolo per i federalisti. Addirittura in Germania sono state partorite in questi anni buone idee di evoluzione dell’area, mentre Hollande continua a parlare di Eurobond eludendo il tema della necessaria evoluzione federale che deve accompagnare il debito in comune16.4. Parlamento dell’area euro

L’economista ritiene che servano immediatamente isti-tuzioni per far sopravvivere l’area euro. Fa bene a dire che serve un parlamento dell’euro, lascia perplessi il fatto che Piketty pensi ad una camera che almeno inizialmente eserciti

14 T. Piketty, Quale federalismo? Per fare cosa? 4 luglio 2012, in T. Piketty, Si può salvare l’Europa?, op. cit.15 T. Piketty, L’Europa contro i mercati, 18 maggio 2010, in T. Piketty, Si può salvare l’Europa?, op. cit.16 T. Piketty, Un’unica soluzione: il federalismo, 5 giugno 2012, cit.

competenze di bilancio e lascia perplessi il fatto che ritiene che il parlamento dell’area euro debba essere composto dai membri delle commissioni bilancio dei parlamenti nazionali. Un parlamento nuovo fatto di rappresentanti non direttamen-te eletti rischia di riportare indietro l’Europa agli anni prece-denti al 1979, quando i parlamentari europei non erano eletti a suffragio universale e rischia di depotenziare il Parlamento Europeo. Forse sarebbe preferibile che il Parlamento Euro-peo, per le questioni della moneta unica, si riunisca in ses-sioni a cui partecipano i soli parlamentari dei paesi dell’area euro17. I principali compiti della “camera di bilancio dell’a-rea euro” a suo parere dovrebbero essere stabilire il livello di defict europeo e approvare leggi finanziarie europee.5. Fisco Europeo

L’economista francese è favorevole all’introduzione di una tassa europea sulle società (corporate income tax). La tassa unica potrebbe da un lato frenare la concorrenza al ri-basso sulle aliquote e dall’altro garantire un budget per l’area euro. Ritiene che la dimensione ottimale per tassare i grandi patrimoni e gli elevati redditi sia quella mondiale, tuttavia il realismo suggerisce si possa trovare un coordinamento a livello di area euro. È cruciale che l’area euro usi con i grandi evasori la stessa tolleranza zero che gli Stati Uniti usano con la Svizzera18. Ad un incontro tenutosi a Milano Piketty ha affermato che se per riformare bene l’area euro e per porre fuori dai suoi confini l’evasione fiscale l’Irlanda dovesse la-sciare la moneta unica non ci sarebbe alcun dramma.

In conclusione non mancano imperfezioni né nell’approc-cio matematico alle disuguaglianze, né nell’architettura eu-ropea che Piketty propone, tuttavia il sincero federalismo e la capacità di visione sistematica delle dinamiche economi-che e degli squilibri della globalizzazione, fanno del francese uno degli studiosi più interessanti sulla scena europea con-temporanea.

Salvatore Sinagra

17 T. Piketty, L’Europa contro i mercati, 18 maggio 2010, cit.18 T. Piketty, Alle urne cittadini, 20 maggio 2014, in T. Piketty, Si può salvare l’Europa?, op. cit.

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Si rafforza la collaborazione tra la Scuola Universitaria Superiore di Pavia e il Sant’Anna di Pisa

La Scuola Universitaria Superiore di Pavia ha una attività di ricerca incen-trata su due Aree scientifiche, entram-be con vocazione multidisciplinare e profilo internazionale comune: l’area del Trattamento delle incertezze e del-la valutazione dei Rischi (IR) e l’area delle Scienze cognitive, sociali e del comportamento (SCSC). In tempi de-cisamente brevi le due aree hanno rag-giunto risultati notevoli testimoniati dalle pubblicazioni, dal livello dei fi-nanziamenti e dall’attrattiva espressa in termini di domande di partecipazione ai concorsi interni. “A partire da questo anno – ha spiegato il Rettore Michele Di Francesco - le attività delle due aree IUSS si consolideranno ulteriormente. Con il progetto IUSS 2.0, in parte finan-ziato dal MIUR, andremo ad attuare nei prossimi tre anni iniziative che permet-teranno un ulteriore sviluppo dell’area del Trattamento delle Incertezze e della valutazione dei Rischi, storicamente la punta più avanzata della ricerca IUSS, e il raggiungimento della piena com-petitività internazionale dell’area delle Scienze Cognitive, Sociali e del Com-portamento”. In riferimento all’area del Trattamento delle Incertezze e della valutazione dei Rischi(IR) il progetto IUSS 2.0 riguarda in modo specifico i tre ambiti della ricerca, della didattica e della internazionalizzazione del siste-ma. “In ambito didattico – prosegue il Rettore – mi preme sottolineare il pro-

getto di attivazione di un corso di Laurea Magistrale Interateneo con l’Università di Pavia in “Ingegneria Civile - valuta-zione e mitigazione del rischio sismico e idrogeologico”, mentre in tema di in-ternazionalizzazione andremo a creare ulteriori corsi integrati e titoli congiunti con la University of Washington, Seat-tle, da integrare con quelli esistenti con la University of Toronto, l’Université Joseph Fourier, Grenoble, la Universi-ty of Patras e la Middle East Technica University, Ankara. “Questo sarà un progetto di richiamo internazionale, che porterà a Pavia studenti e ricercatori da ogni parte del mondo. Negli ultimi anni ci siamo abituati a sentir parlare di fuga di cervelli, noi vogliamo andare in controtendenza ed essere capaci di attrarre cervelli dando nuovo impulso alla ricerca. Per quanto riguarda l’area delle Scienze Cognitive, Sociali e del Comportamento SCSC, l’obiettivo pri-mario del progetto è lo sviluppo dell’at-tività sperimentale che sarà perseguito sia nell’ambito delle convenzioni con enti di ricerca già partner dello IUSS nell’ambito delle scienze cognitive e neurocognitive (Università di Pavia, Ospedale IRCCS San Raffaele, Univer-sità “Vita-Salute” San Raffaele; Fon-dazione IRCCS “Maugeri”, Policlinico IRCCS “San Matteo”), sia attraverso lo sviluppo di un laboratorio di ricerca ad hoc, che opererà privilegiando le ri-cerche sul linguaggio (e le relazioni tra linguaggio, scelte razionali e, più in ge-nerale, mente e cervello).

Ulteriore obiettivo della Scuola Uni-versitaria Superiore Pavia è il rafforza-mento dell’area socio – economica con un dottorato Internazionale in Econo-mics, in collaborazione con la Scuola

Sant’Anna, e la realizzazione di un cen-tro studi di Economia in collaborazione con l’Università di Pavia.

Arriva Efesto: il drone realizzato dal CNR per accrescere la qualità dell’agricoltura

Il CNR ha realizzato nell’Area di ricerca di Pisa un prototipo di drone che sarà utilizzato ad ampio raggio nei settori dell’agricoltura di precisione. Il drone, denominato ‘Efesto’, e prodotto da Sigma Ingegneria. I sistemi utiliz-zati per la realizzazione del prototipo sono stati messi a punto dall’Istituto di scienze e tecnologie dell’informazione (Isti-Cnr), dall’Istituto di biometeorolo-gia di Firenze (Ibimet-Cnr) e dal gruppo Refly del Cnr pisano. “Grazie a Efesto abbiamo la possibilità di acquisire dati provenienti da più sensori contempo-raneamente e ad altissima risoluzione in modo da poterli elaborare assieme”, dice Alessandro Matese dell’Ibimet-Cnr. “L’agricoltura di precisione trove-rà una forte implementazione in quanto si potranno ad esempio, aggiustare i parametri della semina, la modulazione delle dosi di fertilizzante, l’applicazio-ne sito-specifica dell’acqua, dei pestici-di, degli erbicidi. Utilizzando le mappe prodotte da drone, si applica una strate-gia di deficit irriguo che può portare ad un risparmio di acqua del 25%”. L’uti-lizzo del drone del Cnr nella viticoltu-ra moderna permette di programmare una gestione agronomica differenziata all’interno del vigneto con l’obiettivo di ottenere una produzione di qualità.

SRScienze e RicercheSUPPLEMENTO AL N. 24, 1° MARZO 2016

ISSN 2283-5873

news

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parte numerosi ricercatori e esponen-ti del mondo istituzionale e aziendale, che aiuteranno gli studenti nel loro la-voro. Gli studenti saranno guidati dai ricercatori del CERN e del Politecnico di Torino alla scoperta di strumenti e di soluzioni tecnologiche d’avanguardia e saranno chiamati a ideare prototipi di prodotti o servizi innovativi, che al termine della fase di test, potrebbero essere introdotti sul mercato, fornendo la base su cui avviare nuove imprese. Il progetto si avvale anche della collabo-razione di cinque istituzioni e aziende, che hanno indicato agli studenti le sfi-de di interesse comune su cui è urgen-te unire gli sforzi e trovare soluzioni praticabili: il Ministero italiano dello Sviluppo Economico, l’Organizzazio-ne delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, Barilla, ENEL e Smat. Al termine del progetto gli studenti avranno la possibi-lità di presentare il frutto del loro lavoro a una platea di aziende e investitori, nel corso di un incontro pubblico a Torino, a cui prenderanno parte anche i vertici delle istituzioni fondatrici.

Un tavolo tecnico coordinato dall’AIRI sul tema della ricerca responsabile

Sapienza Università di Roma, in col-laborazione con numerosi soggetti pub-blici e privati del mondo della ricerca tra i quali il MIUR e Federchimica, ha partecipato ad un tavolo tecnico coor-dinato da AIRI e CNR sul tema della RRI – Responsible Research and Inno-vation. I lavori del tavolo hanno portato alla stesura di un primo rapporto teso ad individuare una possibile roadmap sul tema. Il Report sulla Ricerca e Innova-zione Responsabile, presentato al CNR analizza 4 elementi fondamentali della RRI - Normazione volontaria e cogente, Corporate Social Responsibility, Valu-tazione della Ricerca e Public Engage-ment – e delinea nelle conclusioni delle indicazioni operative per i policy maker al fine di inserire il contesto italiano della ricerca entro il panorama europea della science with and for society.

Roberto Costantini, edito da Marsilio. Il concorso prevede due modalità di par-tecipazione: gli studenti del terzo anno ottengono la certificazione del percorso Alternanza Scuola-Lavoro, fino a un massimo di 60 ore per ciascuno stu-dente coinvolto; gli studenti del quarto e quinto anno concorrono ai premi uf-ficiali del Festival. Ogni gruppo ade-rente al progetto, composto di massimo 5 studenti, dovrà inviare una scheda di iscrizione con indicata la scuola, la classe, l’insegnante di riferimento e i nomi degli studenti partecipanti. Il per-corso prevede tre fasi per un totale di 40 ore: la lettura del libro, la formazione su storytelling e produzione video, l’idea-zione dello storytelling con le relative riprese e il montaggio del video. I video possono essere realizzati con qualunque strumento di ripresa, dovranno durare da 1 a 2 minuti ed essere caricati online su Youtube e inviati al Festival dei Gio-vani entro il 20 Marzo 2016.

Parte al Cern di Ginevra il progetto “Innovation for change”

Ha preso avvio oggi presso il CERN di Ginevra il progetto “Innovation for Change”, promosso dalla Scuola di Alta Formazione al Management di Torino, dal Politecnico di Torino e dal cen-tro sperimentale Ideasquare, un centro specializzato di innovazione sperimen-tale che fa parte del Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire. Il progetto coinvolge 50 giovani studenti e ricerca-tori, di livello post-universitario e con una formazione di tipo scientifico-in-gegneristico, che nel corso dei prossimi cinque mesi lavoreranno a Ginevra e a Torino, suddivisi in diversi gruppi ma uniti dal medesimo obiettivo: applicare le più avanzate tecnologie per contribu-ire a risolvere problemi di interesse so-ciale, quali l’utilizzo più efficiente delle risorse idriche nelle città e nelle campa-gne, la riduzione delle emissioni di gas serra, o il miglioramento dell’efficienza della produzione di energia elettrica. All’esordio del progetto hanno preso

L’architettura e l’economia spiegate a tutti all’Università di Bolzano

Come è cambiato il modo di costrui-re le città nel corso della storia? Come posso leggere e interpretare corretta-mente le notizie delle pagine di econo-mia e finanza dei quotidiani? Arrivano all’Università di Bolzano sue nuovi corsi aperti a tutta la popolazione che mirano a soddisfare questi interrogati-vi. I seminari, tenuti dall’arch. Oswald Zöggeler e dall’economista Enrico Fo-scolo, possono essere frequentati anche come singoli corsi, senza l’obbligo di iscrizione allo Studium Generale. Lo Studium Generale è stato lanciato alla Libera Università di Bolzano nel 2011: si trattava di una nuova offerta forma-tiva nell’ambito dell’apprendimento permanente. Il primo anno furono circa 200 le persone - di tutte le età - che si iscrissero al nuovo percorso per assi-stere alle lezioni di etica, musica, storia dell’arte, ecologia, storia regionale, lin-gue o letteratura.

La Luiss partner del Festival dei Giovani di Gaeta

La LUISS è partner del primo Festi-val dei Giovani che si terrà a Gaeta dal 14 al 16 aprile 2016: un grande evento per studenti di scuole superiori e uni-versità che prevede dibattiti, seminari di orientamento e scoperta delle nuove professioni, percorsi tematici e testi-monianze sul mondo giovanile e sulle iniziative più importanti in corso nelle scuole italiane. La partecipazione alla tre giorni di incontri e laboratori a misu-ra di studente è gratuita e sono previste convenzioni per l’alloggio e il vitto a Gaeta. Gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori potranno inoltre partecipare a un’iniziativa realizzata dalla LUISS per il Progetto Alternanza Scuola-Lavoro del Ministero dell’Istru-zione, dell’Università e della Ricerca: un concorso per realizzare un breve vi-deo sul romanzo La moglie perfetta di

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mercato per evidenziare in quali ambiti le PMI del Lazio hanno oggi più biso-gno d’innovare i loro prodotti. I risul-tati ottenuti nell’ambito dell’iniziativa saranno promossi attraverso l’organiz-zazione di workshop ed eventi scienti-fici per la diffusione della ‘cultura del trasferimento tecnologico’. Inoltre, sul sito Internet dell’Università Campus Bio-Medico di Roma sarà attivata una pagina web che presenterà brevetti e al-tri risultati di ricerca in fase di sviluppo avanzato presso l’Ateneo. Infine, sarà disponibile un indirizzo di posta elet-tronica dedicato al quale scrivere per ottenere informazioni e indicazioni di massima su consulenze o servizi legati all’innovazione tecnologica delle PMI.

Minni, il sistema modellistico dell’Enea per tenere sotto controllo lo smog

Per affrontare l’emergenza smog, l’ENEA mette in campo un sistema modellistico realizzato per il Ministero dell’Ambiente che simula il comporta-mento degli inquinanti nell’atmosfera e consente di creare mappe orarie di concentrazione, in particolare per le ‘famigerate’ polveri sottili. Si tratta di MINNI, uno strumento operativo a di-sposizione delle amministrazioni pub-bliche per valutare efficacia e costi sia di misure a contrasto delle emergenze smog che di interventi anti-inquinamen-to strutturali a lungo termine. MINNI è composto da due sistemi interconnessi: un sistema modellistico per descrivere i processi chimico-fisici in atmosfera e le concentrazioni degli inquinanti sul-la base delle condizioni meteo e uno strumento di analisi, il “Gains-Italy”, in grado di valutare costi e impatti in termini di riduzione delle concentra-zioni. “MINNI è uno strumento potente – sottolinea Gabriele Zanini, responsa-bile della Divisione ENEA Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali – Ci dice qual è la natura del fenomeno dell’in-quinamento atmosferico, quando e

ovvero trasformare e rendere disponibi-le alla società e al sistema economico la conoscenza prodotta. È questo il con-testo in cui si inserisce il progetto ‘IN-TESE’: contribuire a creare un collega-mento stabile tra il mondo della ricerca e il mondo della produzione di beni e servizi. Lo scopo del progetto, in conti-nuità con le nostre esperienze degli anni passati, è di costruire e mantenere una rete dotata di una massa critica di com-petenze e risorse in grado di aumentare la competitività tecnologica delle im-prese del territorio”. Grazie a ‘INTE-SE’, in particolare, verrà data l’opportu-nità a neo-laureati, dottorandi e giovani ricercatori del Campus Bio-Medico di effettuare stage, tirocini e collaborazio-ni per attività di ricerca congiunta con e nelle aziende, per un totale di oltre 22mila ore complessive. Inoltre, po-tranno essere depositati brevetti in con-titolarità con le imprese o concesse li-cenze d’uso di soluzioni tecnologiche e prototipi brevettati all’interno del Cam-pus Bio-Medico per favorirne la com-mercializzazione. Ci sarà la possibilità di veder nascere ’spin-off’ in compar-tecipazione tra aziende e ricercatori e il progetto favorirà anche l’avvicina-mento delle start-up tecnologiche appe-na ’nate’ alla micro-finanza, rendendole più competitive nelle loro prime fasi di vita. L’immissione dei ‘cervelli’ prove-nienti dal Campus Bio-Medico nei mec-canismi di ricerca e sviluppo delle im-prese garantirà, peraltro, un più rapido passaggio di dispositivi brevettati e di tecnologie sperimentali dai banconi di laboratorio alle catene produttive, per-ché verrà assicurata fin dall’inizio un’interazione in entrambe le direzioni. Gli interventi d’innovazione più appro-priati e i prodotti innovativi più utili da sviluppare saranno selezionati dalla Commissione Scientifica del Centro In-tegrato di Ricerca dell’Università Cam-pus Bio-Medico di Roma. Alla base del progetto ‘INTESE’ ci saranno, da un lato, la mappatura delle competenze e delle tecnologie sviluppate dalle Uni-tà di Ricerca del Campus Bio-Medico, con la valutazione del loro potenzia-le commerciale; dall’altro, le visite in aziende e la predisposizione di studi di

“Intese” nel Lazio: un progetto del Campus Bio-Medico per un collegamento stabile tra i mondi della ricerca e della produzione

Alcune équipes di ‘cervelli’ impe-gnati nel campo delle bioscienze incon-trano i bisogni d’innovazione tecnolo-gica e la domanda di esperienza delle piccole e medie imprese del territorio laziale, fornendo loro supporto nella progettazione e sviluppo di dispositivi e soluzioni d’avanguardia per il setto-re biomedicale: è il cuore del proget-to ‘INTESE’, promosso dall’Università Campus Bio-Medico di Roma e finan-ziato per il 50 per cento dalla Regione Lazio, nell’ambito di un Bando riserva-to alle Università e ai Centri di Ricer-ca. Il progetto, di durata biennale, è sta-to presentato martedì 21 aprile a Roma, presso la sede italiana della Commis-sione Europea, insieme ad altre inizia-tive co-finanziate dalla Regione Lazio. Con ‘INTESE’ il know-how dei ricer-catori del Campus Bio-Medico si mette al servizio del rafforzamento di alcuni tra i settori produttivi con più forte rica-duta sociale: dispositivi biomedici, neu-roscienze, biorobotica, farmaceutica, agroalimentare, tecnologie dell’infor-mazione, della comunicazione, dell’au-tomazione e della robotica per il settore salute. Il suo obiettivo principale sarà lo sviluppo di un ‘ecosistema dell’inno-vazione’ sul territorio regionale che renda più stabile e sistematico il lega-me tra l’universo dei ricercatori prove-nienti dall’Università e il mondo delle imprese produttrici di beni e servizi. Sono già una quindicina le aziende che hanno dato disponibilità ufficiale alla partnership con il Campus Bio-Medico di Roma nella concretizzazione degli scopi dell’iniziativa. “Le università – ha sottolineato il Rettore dell’Università, Andrea Onetti Muda – siano esse statali o non statali, sono parte integrante del sistema pubblico dell’Alta Formazione. In quanto tali, non possono sottrarsi alla sfida della cosiddetta ‘terza missione’,

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HUMANITS UNIVERSITY (ROZZANO - MI)

Rettore: Marco MontorsiIMT SCHOOL FOR ADVANCED STUDIES LUCCA

Rettore: Pietro PietriniISTITUTO UNIVERSITARIO DI STUDI SUPERIORI DI PAVIA

Rettore: Michele Di FrancescoLIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO

Rettore: Walter A. LorenzLIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM

(MILANO)

Rettore: Mario NegriLUISS - LIBERA UNIVERSITÀ INTERNAZIONALE DEGLI

STUDI SOCIALI GUIDO CARLI

Rettore: Massimo EgidiLUMSA - LIBERA UNIVERSITÀ MARIA SANTISSIMA

ASSUNTA (ROMA)

Rettore: Francesco BoniniPOLITECNICO DI BARI

Rettore: Eugenio Di SciascioPOLITECNICO DI MILANO

Rettore: Giovanni AzzonePOLITECNICO DI TORINO

Rettore: Marco GilliSAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA

Rettore: Eugenio GaudioSCUOLA INTERNAZIONALE SUPERIORE DI STUDI

AVANZATI (TRIESTE)

Rettore: Stefano RuffoSCUOLA NORMALE SUPERIORE (PISA)

Rettore: Fabio BeltramSCUOLA SUPERIORE SANT'ANNA DI STUDI UNIVERSITARI

E DI PERFEZIONAMENTO (PISA)

Rettore: Pierdomenico PerataSECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI

Rettore: Giuseppe PaolissoUNINT - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI INTERNAZIONALI DI

ROMA

Rettore: Francisco Matte BonUNIVERSITÀ CA' FOSCARI VENEZIA

Rettore: Michele BugliesiUNIVERSITÀ CAMPUS BIO-MEDICO DI ROMA

Rettore: Andrea Onetti MudaUNIVERSITÀ CARLO CATTANEO - LIUC (CASTELLANZA -

VA)

Rettore: Federico ViscontiUNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE (MILANO)

Rettore: Franco AnelliUNIVERSITÀ COMMERCIALE LUIGI BOCCONI (MILANO)

Rettore: Andrea SironiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE (CAMPOBASSO)

Rettore: Gianmaria Palmieri

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE

AMEDEO AVOGADRO (VERCELLI)

Rettore: Cesare EmanuelUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SANNIO (BENEVENTO)

Rettore: Filippo de RossiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL'AQUILA

Rettore: Paola InverardiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL'INSUBRIA (VARESE)

Rettore: Alberto Coen PorisiniUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA

Rettore: Auelia SoleUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA (VITERBO)

Rettore: Alessandro RuggieriUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI ALDO MORO

Rettore: Antonio Felice UricchioUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO

Rettore: Remo Pellegrini MorzentiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA

Rettore: Sergio PecorelliUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

Rettore: Maria del ZompoUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO (MC)

Rettore: Flavio CorradiniUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CASSINO E DEL LAZIO

MERIDIONALE (FR)

Rettore: Giovanni BettaUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA

Rettore: Giacomo PignataroUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ENNA KORE

Rettore: Giovanni PuglisiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA

Rettore: Giorgio ZauliUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

Rettore: Luigi DeiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA

Rettore: Maurizio RicciUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

Rettore: Paolo ComanducciUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSINA

Rettore: Pietro NavarraUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

Rettore: Gianluca VagoUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA

Rettore: Maria Cristina MessaUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA

(MODENA)

Rettore: Angelo Oreste AndrisanoUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II

Rettore: Gaetano ManfrediUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI L'ORIENTALE

Rettore: Elda Morlicchio

I rettori delle università italiane

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | NEWS

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI PARTHENOPE

Rettore: Claudio QuintanoUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

Rettore: Rosario RizzutoUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO

Rettore: Fabrizio MicariUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA

Rettore: Loris BorghiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

Rettore: Fabio RuggeUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA

Rettore: Franco MoriconiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA FORO ITALICO

Rettore: Fabio PigozziUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA

Rettore: Giuseppe NovelliUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

Rettore: Aurelio TommasettiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI

Rettore: Massimo CarpinelliUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SCIENZE GASTRONOMICHE

(POLLENZO, BRA - CN)

Rettore: Piercarlo GrimaldiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA

Rettore: Angelo RiccaboniUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TERAMO

Rettore: Luciano D'AmicoUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

Rettore: Gianmaria AjaniUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO

Rettore: Paolo ColliniUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE

Rettore: Maurizio FermegliaUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE

Rettore: Alberto Felice De ToniUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO CARLO BO

Rettore: Vilberto StocchiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

Rettore: Nicola SartorUNIVERSITÀ DEGLI STUDI G. D'ANNUNZIO CHIETI-

PESCARA (CHIETI)

Rettore: Carmine Di IlioUNIVERSITÀ DEGLI STUDI GIUSTINO FORTUNATO

(BENEVENTO)

Rettore: Augusto Fantozzi

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI GUGLIELMO MARCONI (ROMA)

Rettore: Alessandra BrigantiUNIVERSITÀ DEGLI STUDI MAGNA GRAECIA DI

CATANZARO

Rettore: Aldo QuattroneUNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE

Rettore: Mario PanizzaUNIVERSITÀ DEGLI STUDI SUOR ORSOLA BENINCASA

(NAPOLI)

Rettore: Lucio d'AlessandroUNIVERSITÀ DEL SALENTO (LECCE)

Rettore: Vincenzo ZaraUNIVERSITÀ DELLA CALABRIA (COSENZA)

Rettore: Gino Mirocle CrisciUNIVERSITÀ DELLA VALLE D'AOSTA (AOSTA)

Rettore: Fabrizio CassellaUNIVERSITÀ DI BOLOGNA - ALMA MATER STUDIORUM

Rettore: Francesco UbertiniUNIVERSITÀ DI MACERATA

Rettore: Luigi LacchèUNIVERSITÀ DI PISA

Rettore: Massimo Mario AugelloUNIVERSITÀ EUROPEA DI ROMA

Rettore: Luca GalliziaUNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA

Rettore: Alberto FerlengaUNIVERSITÀ LUM JEAN MONNET (BARI)

Rettore: Emanuele DegennaroUNIVERSITÀ MEDITERRANEA DI REGGIO CALABRIA

Rettore: Pasquale CatanosoUNIVERSITÀ PER STRANIERI DANTE ALIGHIERI (REGGIO

CALABRIA)

Rettore: Salvatore BerlingòUNIVERSITÀ PER STRANIERI DI PERUGIA

Rettore: Giovanni PaciulloUNIVERSITÀ PER STRANIERI DI SIENA

Rettore: Pietro CaraldiUNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE (ANCONA)

Rettore: Sauro LonghiUNIVERSITÀ TELEMATICA E-CAMPUS (NOVEDRATE - CO)

Rettore: Carlo Maria BartoliniUNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO

Rettore: Maria Amata GaritoUNIVERSITÀ VITA-SALUTE SAN RAFFAELE (MILANO)

Rettore: Alessandro Del Maschio

I rettori delle università italiane

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NEWS | SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016

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Lombardia ha avviato una serie di atti-vità che saranno ospitate nel Museo del Cenacolo. Nei mesi di dicembre 2015 e febbraio 2016 sono stati sottoscritti tre protocolli d’intesa con istituti dediti alla ricerca scientifica e all’evoluzione delle tecnologie, al fine di provvedere a una gestione migliore e più consapevole del sito museale e per lo studio di imple-mentazione del HVAC (Heating Ven-tilation and Air Conditioning System). Oltre al Politecnico di Milano e all’U-niversità di Milano-Bicocca, partecipa alle attività di ricerca anche la City Uni-versity di Hong Kong, School of Ener-gy and Environment, per il controllo e lo studio delle relazioni tra condizioni indoor e outdoor, per il controllo della qualità dell’aria, con particolare riguar-do ai gas inquinanti.

I ricercatori del Laboratorio di Chi-mica dell’Ambiente e dei Beni culturali dell’Università di Milano-Bicocca, co-ordinati dal professor Ezio Bolzacchini, associato di chimica dell’atmosfera, effettueranno l’indagine del particolato atmosferico sia all’interno sia all’ester-no del Refettorio. Bolzacchini e i suoi collaboratori si concentreranno su sei punti chiave: concorrere a definire il condizionamento ideale per il Museo del Cenacolo; monitorare le nanoparti-celle all’interno del Museo e della sala denominata Refettorio, in particolare; monitorare la presenza di Black Carbon al fine di conoscere eventuali processi di annerimento; eseguire l’analisi delle polveri deposte sulla superficie pittori-ca; studio in laboratorio delle tipologie di interazioni tra nanoparticelle e pel-licola pittorica in differenti condizioni termodinamiche e in relazione alle pro-prietà delle particelle depositate; studio di strumenti per la rimozione del parti-colato atmosferico.

La convenzione con il Politecnico è estesa a tutto l’Ateneo e consentirà di attivare le competenze nei settori di-sciplinari dell’Ingegneria, dell’Archi-tettura del Design. «Questa importante duplice intesa con gli atenei milanesi – afferma Stefano L’Occaso, direttore del Polo Museale Regionale della Lom-bardia – va a consolidare il rapporto tra il Museo del Cenacolo Vinciano, ove si

l’obiettivo di favorire il trasferimento delle competenze tecnico-scientifiche dalla Normale alle realtà di Legacoop Servizi Toscana. Docenti, ricercatori e tecnici della Scuola Normale Superio-re, in particolare del Laboratorio NEST (National Enterprise for nanoScience and nano Technology), saranno diret-tamente coinvolti in attività di forma-zione, docenza e consulenza all’interno delle cooperative associate. La Normale aprirà inoltre le porte dei suoi laboratori e centri di ricerca agli iscritti di Lega-coop Servizi Toscana. È fondamentale mettere in circolo le produzioni dei cen-tri di eccellenza universitaria con gli at-tori dello sviluppo industriale. Nella lo-gistica integrata e nei porti, nella cultura e nel turismo, nel sociale e nel knowled-ge intensive, nel facility e nella ristora-zione, nell’energia e nell’ambiente.

Arte e ricerca scientifica alleate per la conservazione dell’Ultima Cena.

Le Direzioni del Polo Museale della Lombardia e del Museo del Cenaco-lo Vinciano hanno avviato una serie di attività congiunte di studio, ricerca scientifica e tecnologica finalizzate a un miglioramento delle condizioni con-servative dell’opera leonardesca, attra-verso l’inserimento di una seconda e, successivamente, di una terza unità di trattamento dell’aria. L’obiettivo atte-so è duplice: migliorare le condizioni all’interno del Refettorio – dove è con-servata L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci - garantendo anche un trattamen-to dell’aria specifico di tutti gli spazi che costituiscono il compendio muse-ale; garantire la presenta di un siste-ma di emergenza in caso di particolari condizioni di inquinamento atmosfe-rico o di guasto o mal funzionamento ai dispositivi attualmente in essere. Il perfezionamento degli studi e delle do-tazioni tecnologiche produrrebbe effetti benefici non solo sulla conservazione dell’opera, ma anche per il migliora-mento della sua fruizione pubblica. In questa direzione, il Polo Museale della

perché si verifica. Indica inoltre l’im-patto degli interventi, come ad esempio gli investimenti per ridurre le emissioni di ammoniaca in agricoltura, a beneficio anche dell’abbattimento del particolato atmosferico nella Pianura Padana”. Il sistema anti-smog messo a punto da ENEA evidenzia anche l’importanza di introdurre“stufe di nuova generazione e filtri antiparticolato per l’utilizzo di legna nel riscaldamento domestico e di efficientare il nostro patrimonio edilizio per consumare meno combustibili fos-sili. Per il settore trasporti – aggiunge Zanini - è sicuramente importante l’in-troduzione di autobus meno inquinanti, ma occorre soprattutto ridurre le auto in circolazione e portare dalla gomma al ferro sia il trasporto delle merci che del-le persone”. “Oltre alla distribuzione degli elementi chimici - sottolinea Mas-simo Angelone dell’ENEA – le nostre indagini hanno riguardato la mobilità degli inquinanti dal suolo o dalla pavi-mentazione stradale. Per comprendere le dinamiche ambientali e individuare misure più adatte per il controllo e la ri-duzione dell’inquinamento, questi studi sulla mobilità rappresentano uno stru-mento fondamentale che purtroppo non è stato ancora preso in considerazione dalla legislazione ambientale vigente”.

Il progetto Urbesoil ha posto l’accen-to anche sull’importanza dell’adozione di misure preventive, in particolare in assenza di precipitazioni come in que-sto periodo. “Con semplici interventi di lavaggio delle strade e di pulizia dei tombini – aggiunge Massimo Angelone - potremmo ridurre gli inquinanti al suo-lo e la loro mobilità nell’aria, rendendo più efficaci i piani anti-inquinamento.”

Le nanotecnologie nel mondo dei servizi. Accordo tra la Normale e Legacoop Toscana

Legacoop Servizi Toscana e la Scuo-la Normale Superiore hanno deciso di unire le forze per mettere l’innovazio-ne al servizio del settore terziario. È stato infatti firmato un accordo che ha

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | NEWS

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in modo da favorire il ripristino del corretto equilibrio ecologico della zona. È facile – aggiunge – prevedere come le tecnologie sviluppate nel progetto possano favorire il rapido risanamento di aree molto più vaste del Mar Picco-lo, restituendo alle comunità locali un ambiente di straordinaria bellezza e for-temente attrattivo sia per il turismo na-turalistico che per attività economiche remunerative come la mitilicoltura di qualità.” L’approccio tecnico innovati-vo e il know-how generato dal progetto potranno avere ricadute considerevoli sia da un punto di vista scientifico che socio-economico. Analisi molecolari avanzate sul “microbioma” del Mare Piccolo, consentiranno di identificare microrganismi e funzioni enzimatiche capaci di trasformare alcuni composti inquinanti in sottoprodotti innocui e di possibile valore industriale.

Economia e Management, nasce un hub di cultura manageriale

Con il primo numero realizzato se-condo il progetto editoriale del nuovo editore, Egea, e l’avvio dell’ambiente digitale E&M Plus (www.economiae-management.it), la rivista della SDA Bocconi, Economia & Management, si trasforma in un hub di cultura manage-riale. Il processo di rinnovamento tec-nologico appena concluso consente al direttore, Guido Corbetta, di realizzare un prodotto fruibile non più solo su car-ta ma anche da computer e device mobi-li. “La svolta digitale non migliora solo la fruibilità”, afferma Corbetta, “ma consente di mantenere viva la discus-sione sui temi di attualità economica e manageriale, grazie anche all’impegno di tutto il comitato editoriale”. Grazie alla disponibilità dei nuovi strumenti, l’economista Michele Salvati ha potu-to replicare a un articolo di Innocenzo Cipolletta sulla produttività, pubblicato sull’ultimo numero di Economia & Ma-nagement del 2015. Il dibattito, dispo-nibile qui agli utenti registrati, è giunto alla controreplica di Cipolletta. Tra i

sviluppo economico; il dott. Angelo Mario Reggiani, designato dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il dott. Francesco Enri-chens e la dott.ssa Amalia Cecilia Bruni designati dalla Conferenza unificata. Il Comitato scientifico è, in base allo Sta-tuto dell’ISS, l’organo di indirizzo e di coordinamento dell’attività scientifica dell’Istituto.

Un progetto europeo coordinato dall’Enea per la bonifica del Mar Piccolo a Taranto

Ridurre fortemente l’inquinamento del Mare Piccolo di Taranto in modo da produrre ricadute sull’industria del turi-smo e sulle attività economiche legate ad un bacino unico in Europa. È questo l’obiettivo del progetto “A New Life For Mar Piccolo”, coordinato dall’E-NEA e cofinanziato dalla Commissio-ne europea nell’ambito del Programma Life 2014, che prevede la bonifica di una porzione di uno dei due “seni” del mare interno tarantino, quello più vici-no alla città. Il progetto sarà realizzato da un consorzio italiano, coordinato dall’ENEA e costituito da Comune di Taranto, CNR-IAMC, GENELAB srl e Nova Consulting srl. In prospettiva le tecniche utilizzate potranno contribuire alla riqualificazione ambientale di altri bacini con analoghe caratteristiche di inquinamento da metalli pesanti quali, ad esempio, idrocarburi policiclici aro-matici (IPA) e polilorobifenili (PCB). L’intervento sarà realizzato grazie ad un impianto pilota di depurazione, ba-sato su una tecnologia di microfiltrazio-ne a membrana, in grado di agire sia sui sedimenti dei fondali che sulle acque. Dispositivi di ultima generazione ga-rantiranno un monitoraggio costante dal punto di vista chimico-fisico e biologi-co-molecolare su tutta l’area interessata all’opera di bonifica. “Il progetto – sot-tolinea il ricercatore ENEA Gaetano Perrotta - prevede la bonifica dai prin-cipali inquinanti depositati sui sedimen-ti superficiali o in parziale sospensione,

conserva la celeberrima quanto fragile Ultima Cena di Leonardo, e il mondo della ricerca. L’accordo ci consente di avere il conforto di altissime professio-nalità, per una maggior consapevolezza nella conservazione dell’opera, anche in previsione di una diversa e miglior fruizione da parte del pubblico. La regia di questa complessa operazione spetterà alla direttrice del Museo, Chiara Rosta-gno». «Si tratta di un accordo importan-te – dice Cristina Messa, rettore dell’U-niversità di Milano-Bicocca – perché è la prima volta che si attiva una collabo-razione concreta tra università e sistema museale in Lombardia. L’Ultima Cena è uno dei simboli mondiali di Milano e siamo orgogliosi di contribuire con le nostre conoscenze scientifiche a miglio-rarne la conservazione e la fruibilità». «Siamo orgogliosi di sancire con questo accordo il nostro rapporto di coopera-zione con il Polo Museale della Lom-bardia e di poter così mettere, in modo continuativo e mirato, le nostre com-petenze scientifiche e tecnologiche a servizio di una delle opere rinascimen-tali più amate al mondo, l’Ultima Cena, contribuendo a rendere Milano sempre più attrattiva e competitiva, anche da un punto di vista turistico e culturale» afferma Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano.

Nominato il Comitato scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità

E’ stato nominato a gennaio il Comi-tato Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità. Ne fanno parte: Walter Ric-ciardi in qualità di presidente dell’I-stituto; i ricercatori eletti dall’Istituto stesso Giuseppe Traversa e Paola Fat-tibene; i professori Armando Santoro e Francesco Vitale, designati dal Ministro della Salute; il dott. Salvatore Amato, designato dal Ministro dell’Istruzio-ne, dell’Università e della Ricerca; il prof. Francesco Bazzoli, designato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del mare; il dott. Andrea Piccioli, designato dal Ministro dello

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NEWS | SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016

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Nasce “Agroecology Europe” per lo sviluppo sostenibile dei sistemi agricoli

Promuovere l’agroecologia come mo-dello migliore per lo sviluppo sostenibi-le dei sistemi agricoli e agro-alimentari in Europa: è l’obiettivo ambizioso di Agroecology Europe, associazione eu-ropea che si è costituita in Belgio con la partecipazione di 19 fondatori prove-nienti da 10 paesi. Tra questi anche l’I-stituto di Scienze della Vita della Scuo-la Superiore Sant’Anna. Agroecology Europe si pone già traguardi ambiziosi. L’agroecologia si basa sull’utilizzazio-ne delle conoscenze ecologiche per la gestione razionale dei sistemi agricoli e delle loro filiere, puntando alla mini-mizzazione dell’utilizzo di input ester-ni, come fertilizzanti e pesticidi. Un numero sempre maggiore di ricerche indica che, attraverso la conoscenza e l’uso appropriato delle risorse ambien-tali locali (in primo luogo l’agrobio-diversità) e delle interazioni tra flora, fauna e microrganismi a diverse scale spazio-temporali, è possibile sostituire per intero o quasi input esterni quali fertilizzanti e pesticidi. Inoltre, l’agro-ecologia promuove le aziende agricole familiari, le filiere e la conoscenza lo-cali, la qualità dei prodotti, sviluppando sistemi agro-alimentari del tutto soste-nibili, sul piano ambientale, economico e sociale. Agroecology Europe punta a creare una comunità di agricoltori, tec-nici, professionisti, ricercatori, consu-matori a livello europeo.

“Millenials and cars”, le auto del futuro le disegnano i giovani studenti

Come sarà l’auto del futuro, lo rac-contano gli studenti di economia di Napoli e di Cassino al “Millenials and cars”. Promosso da Fiat Chrysler Auto-mobiles in collaborazione con la Secon-da Università di Napoli e l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, il contest ha coinvolto gli studenti di Eco-nomia dei due atenei iscritti a corsi di laurea triennale e magistrale invitandoli a raccontare come vedono la vettura del prossimo futuro. L’obiettivo è quello di ottenere precise indicazioni su come i Millennials, i giovani nati a cavallo tra la fine dello scorso secolo e l’inizio di questo, immaginano le auto di domani, raccogliendo in modo diretto le idee dei giovani universitari di Economia e Ma-nagement con una forte familiarità con la comunicazione e le tecnologie digita-li. Più di 500 le proposte presentate, che sono state analizzate e giudicate dall’In-novation Board valutatore e dodici quelle scelte per aver rispettato i princi-pi di originalità, fattibilità e sostenibili-tà. Ora si è alla fase finale project work, con cui verranno approfondite la fatti-bilità e le modalità di comunicazione al mercato delle idee proposte con l’aiuto della sede di Pomigliano del CRF, dove tecnici ed esperti di FCA aiuteranno gli studenti a redigere i lavori. Entro fine marzo saranno scelti quattro vincitori, che potranno svolgere uno stage di sei mesi offerto da Fiat Chrysler.

contenuti usufruibili via web, Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presiden-za del consiglio, spiega che cosa spinge un economista a prestare il proprio tem-po alla politica. Economia&Mangement vuole essere protagonista del dibattito sulle questioni di maggiore rilevanza per l’economia, la società e l’impresa anche attraverso la partecipazione agli eventi in cui tale dibattito si sviluppa. Si parte, dall’1 al 3 aprile, al Festival Città Impresa di Vicenza, con l’organizzazio-ne di due workshop a marchio E&M.

Studenti–praticanti per accelerare l’inserimento nel mondo del lavoro

Tra l’Università Ca’ Foscari e l’Ordi-ne dei Consulenti del lavoro di Vicenza sono stati stipulati due importanti ac-cordi con con l’obiettivo di accelerare l’accesso alla professione. Il primo ac-cordo offre la possibilità agli studenti dell’ultimo anno del Dipartimento di Management iscritti al corso di laurea in Economia aziendale – Economics and management curriculum economia aziendale e al corso di laurea magistrale in Amministrazione, Finanza e Control-lo, curriculum consulenza amministra-tiva, di iscriversi all’Ordine già come praticanti anticipando così, nei limiti di un semestre, il tirocinio professionale presso uno studio di consulenza del la-voro, che potranno poi concludere una volta laureati. La seconda convenzione consente il riconoscimento delle speci-fiche competenze acquisite da ciascuno studente sulla base dei contenuti ogget-to dell’esame di stato per consulenti del lavoro da lui sostenuto. Tale ricono-scimento sarà ritenuto equipollente ad attività didattiche presenti del percorso di studi per 12 CFU di ambito giuridico per gli studenti che intendano immatri-colarsi al corso di laurea in Economia aziendale – Economics and manage-ment – curriculum economia aziendale.

La firma è avvenuta alla presenza del Rettore e del prof. Gaetano Zilio Gran-di, direttore del Dipartimento di Mana-gement, giuslavorista.

ISSN 2283-5873 Scienze e Ricerche NewsRivista bimensilesupplemento al n. 24 di Scienze e Ricerche, 1° marzo 2016

Scienze e RicercheSede legale: Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 RomaRegistrazione presso il Tribunale di Roma n. 19/2015 del 2/2/2015Gestione editoriale: Agra Editrice Srl, RomaTipografia: Andersen Spa, BocaDirettore responsabile: Giancarlo Dosi

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE STORICHE

morti, più di un milione di feriti, dei quali quasi la metà resa completamente invalida; in questo massacro il compito so-stenuto dal Corpo di Sanità Militare fu gravoso. Il sacrificio di vite fu altissimo anche per il personale sanitario, che ebbe più di 400 morti fra gli ufficiali medici, oltre ai tanti caduti fra il personale infermieristico ed ausiliario del Corpo di Sa-nità Militare.

Il tentativo di salvare le vite ed alleviare le sofferenze dei soldati in prima linea fu un impegno complesso ed imponen-te che si snodò durante tutto il periodo del conflitto e, natu-ralmente, anche dopo la fine della stessa guerra, soprattutto per i tanti militari che tornarono a casa portando con sé ferite fisiche e mentali.

Si stima, considerando tutte le nazioni che parteciparo-no alla Guerra, che durante il conflitto persero la vita poco meno di 9.700.000 soldati nel contesto degli oltre 26 milioni di morti e degli oltre 21 milioni di feriti, molti dei quali rima-sero segnati o menomati a vita.

Migliaia di soldati soffrirono di uno sconosciuto insieme di sintomi, studiato per la prima volta nel primo dopoguerra, dovuto a una serie di traumi psicologici, che poteva portare a un completo collasso nervoso o mentale. Si parlò di “trauma da bombardamento” o “nevrosi di guerra”. Si trattava di vere e proprie malattie psichiche conseguenza dei lunghi periodi passati al fronte, con la minaccia costante della morte, sia quella proveniente dal nemico che quella proveniente dai reparti addetti alla “dissuasione dal cedere”, pagina amara, tragica, ormai incontestabilmente documentata anche per l’esercito italiano, oltre che per quelli di altri Paesi coinvolti nel conflitto.

Come le fonti epistolari ci documentano, tutti i soldati schierati in prima linea erano ben consapevoli che, in qual-siasi momento, sarebbero potuti morire, sia per i continui bombardamenti dell’artiglieria nemica sia per il fuoco dei cecchini (attenti a vigilare e a sparare sugli obiettivi), sia per l’esecuzione in caso di cedimento e “codardia”, sia, più len-

L’intervento di medici e infermierinella Grande Guerra MARCELLA TAMBURELLO, GIOVANNI VILLONEDipartimento di Medicina e di Scienze della Salute “Vincenzo Tiberio”, Università degli Studi del Molise

Relazione degli autori al Convegno promosso dalla CRI “Pax in Bello… sempre dalla parte di chi soffre”, Campo-basso, 29 maggio 2015, pubblicato sulla piattaforma Road dell’Università degli Studi del Molise

Nelle situazioni critiche, come le calamità naturali e le guerre, le figure professionali di soccorso ed assistenza maggiormen-te impegnate sono sicuramente quelle sanitarie, come medici e infermieri, cui

occorre accomunare nel ricordo i tanti volontari, tra i quali, senz’altro, le “Dame della Croce Rossa”. La Grande Guer-ra rappresenta, infatti, la prima occasione in cui le donne si impegnano massicciamente anche in Italia nell’assistenza ai feriti di guerra, secondo i dettami di Florence Nightingale1, l’infermiera inglese, nata a Firenze da famiglia benestante, che durante la sua lunga vita rinunciò ad essere moglie e ma-dre per dedicarsi interamente alla cura dei malati e dei feriti di guerra. La Nightingale nota come “la signora con la lanter-na” è considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, essendo stata la prima ad applicare il metodo scien-tifico mediante l’uso della statistica; la sua figura risulta, inoltre, importante per la precisa ed attenta organizzazione che seppe dare agli ospedali da campo fin dai primi conflitti in cui partecipò in veste di infermiera.

La Grande Guerra, durata oltre 4 anni per la maggior parte dei paesi belligeranti e poco di meno per l’Italia, entrata uffi-cialmente nel conflitto il 24 maggio 1915, è uno degli esempi tangibili dell’impegno profuso da medici ed infermieri per curare migliaia di militari e civili feriti, tra l’altro in condi-zioni a dir poco precarie: fuori dagli ospedali e spesso senza nemmeno i mezzi necessari per le cure stesse.

La Prima Guerra Mondiale costò all’Italia oltre 650.000

1 (Firenze, 12 maggio 1820 – Londra, 13 agosto 1910).

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SCIENZE STORICHE | SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016

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di combattimento si trovavano i Posti di Medicazione; si trat-tava di infermerie campali sistemate in punti defilati e il più possibile al riparo dal fuoco nemico, dove venivano medicati nell’immediato i feriti che non erano riusciti da soli ad arre-stare emorragie, immobilizzare arti rotti (fosse pure a mero scopo antalgico), fasciare arti maciullati.

Successivamente i feriti raggiungevano - a piedi o in grop-pa a muli, se in grado, o trasportati a spalla o in autoambulan-

ze - gli Ospedaletti da Campo,Qui il personale medico chirurgi-

co della Sezione di Sanità operava direttamente i feriti più gravi men-tre medicava, disinfettava e manda-va verso le retrovie i meno urgenti, somministrava adrenalina ai dissan-guati e sedativi, per lo più morfina, ai più sofferenti mentre lasciava agonizzare quelli per cui ogni inter-vento sarebbe stato inutile.

Allo scopo di decongestionare le strutture ospedaliere nelle zone di guerra, i feriti vennero ricoverati an-che nelle Navi Ospedale o nei Treni Ospedale.

Fondamentale fu anche il ruolo delle autoambulanze. Prima si trattò di semplici autocarri, i cui cassoni furono attrezzati con letti o pertiche per il posizionamento delle barelle e

con casse contenenti materiale medico, e in seguito di modi-fiche del camion Fiat 15 Ter.

Le autoambulanze si suddividevano in due tipi a seconda della funzione: le ambulanze chirurgiche prendevano i feriti gravi a ridosso delle prime linee e li trasportavano verso le retrovie e l’interno mentre le ambulanze radiologiche tra-sportavano pazienti barellati ed erano sostanzialmente della Croce Rossa Italiana.

I soldati che giungevano feriti negli ospedali da campo presentavano complicanze spesso mortali delle loro lesioni sia a causa della tumultuosa evoluzione delle patologie infet-tive sia a causa della oggettiva inadeguatezza dello strumen-tario diagnostico e terapeutico dell’epoca.

All’inizio del secolo XX, infatti, la medicina e la chirur-gia presentavano ancora ampie lacune specie sul fronte delle condizioni igienico-sanitarie di erogazione delle prestazioni, soprattutto durante le operazioni.

Da ciò deriva che uno dei problemi più gravi fu senz’altro quello delle infezioni. Gli antibiotici ancora non esisteva-no, benché un molisano, Vincenzo Tiberio, nel 1895 avesse già scoperto la potenza antibatterica delle muffe4, e una fe-

4 Vincenzo Tiberio, “Annali d’igiene sperimentale, Sugli estratti di al-cune muffe”.

tamente ma solo in senso relativo, in conseguenza di ferite e malattie. Da questo quadro emerge l’enorme peso sociale della Grande Guerra, una condizione che implicò la trasfor-mazione delle identità individuali e collettive.

Fu proprio in questi anni che nacque l’espressione “sce-mo di guerra” per indicare tutti quegli uomini che, durante o subito dopo la Grande Guerra, mostravano segni di pato-logia mentale. Si trattava di una malattia ancora oscura ai medici, i quali, non sapendo come curarla e certo non preparati nella loro gran parte a seguire le “nuo-ve” teorie dell’inconscio di Freud e Jung2, dagli anni Trenta si affidaro-no quasi esclusivamente alla pratica dell’elettroshock di Cerletti, provo-cando ulteriori dolori e complicanze ai pazienti, già fortemente debilitati dal peso della guerra. “Ma siccome più che malati veri, parevano astuti simulatori […], in un’ottica mili-taresca il nevrotico era trattato alla stregua di un vigliacco che sfuggi-va ai suoi doveri di cittadino. Lo scopo di questa cura disumana era costringere il malato ad abbando-nare la sua infermità, che gli aveva garantito l’allontanamento dal fron-te, inducendogli una paura ancora peggiore dell’elettricità. Ma anche quando il trattamento aveva succes-so, una volta tornato al fronte, sottoposto al fuoco dei nemici e alla vita insopportabile della trincea, il malato aveva una ricaduta”3.

Riguardo alle patologie fisiche, durante la Grande Guerra, per i soldati, oltre alle conseguenze del combattimento fra gli schieramenti, un problema terribile fu rappresentato dalla diffusione delle malattie dovute alle proibitive condizioni di vita in trincea: il freddo, l’assenza di ripari, la mancanza di igiene personale per lunghissimi periodi, il cibo mal conser-vato e consumato in mezzo alla sporcizia, la scarsa alimen-tazione, la mancanza di latrine erano solo alcune delle cause che contribuirono alla diffusione di parassiti, batteri e virus.

Tra le varie malattie, le più diffuse furono il tifo e il cole-ra, entrambe caratterizzate dalla dissenteria, con conseguen-te disidratazione dei pazienti. Ma moltissimi combattenti si ammalarono anche di patologie respiratorie: da un semplice raffreddore si arrivava a patologie più gravi che interessava-no, spesso, i polmoni, provocando la morte dei malati.

Nella maggior parte dei casi subito dietro alle prime linee

2 “Freud e Jung. Il dibattito epistolare 1906-1913”3 Claudio Fiocchi in “Un’esplosione di nevrosi: fuga nella follia” da http://aulalettere.scuola.zanichelli.it/ come-te-lo-spiego/2014/05/19/une-splosione-di-nevrosi-fuga-nella-follia/

Dalla mostra “La Grande Guerra”, curata per il Centenario della Prima Guerra Mondiale da Fernando Mazzocca, Francesco Leone e Anna Villari.

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spesso, da una parte le condizioni in cui essi operavano era-no talmente precarie da non garantire la sopravvivenza dei feriti e dall’altra le stesse condizioni di salute dei feriti erano esageratamente gravi da non permetterne la sopravvivenza nonostante la dedizione e le cure prestate dalla Sanità Milita-re, sempre presente, al fianco dei sofferenti, nel lungo e triste periodo della Prima Guerra Mondiale.

Non mancò neppure un esempio di ricerca di tipo neuro-fisiopatologico svolta, ovviamente negli ospedali delle re-trovie, spesso cittadini, sui feriti da baionetta. Si trattava di soldati colpiti da questa arma bianca (posta sul fucile a ren-derlo quasi una lancia) a livello della colonna vertebrale con conseguente sezione del midollo spinale.

A seconda del livello cui il midollo era stato sezionato, quando la lesione non provocava la morte o perché troppo alta o perché infettata, si poterono studiare le funzioni moto-rie e sensoriali che venivano selettivamente perse e, soprat-tutto, si poterono misurare i tempi e le modalità delle even-tuali riprese, totali o parziali, delle funzioni perse.

Si trattò di una messe davvero imponente di dati che per-mise di fare valutazioni neuro-fisiopatologiche sui maschi (ad esempio riguardo le perdita e la ripresa del controllo sfinterico o la perita e la ripresa del riflesso di erezione o di eiaculazione) laddove per giungere ad analoghe conclusioni sulle femmine si dovettero attendere le conseguenze degli incidenti stradali a partire dagli anni Sessanta del XX secolo.

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SITOGRAFIA

www.aulalettere.scuola.zanichelli.it www.cimeetrincee.it www.cri.it www.lagrandeguerra.net www.storiaememoriadibologna.it/corpo-di-sanita-militare

rita qualsiasi, specie se da arma da fuoco o da arma bian-ca (solitamente la baionetta) diventava porta di accesso per l’“immondizia” esterna e così poteva trasformarsi in qualco-sa di molto più grave, che, non infrequentemente, causava la morte dei militari.

Spesso chi giungeva in ospedale ferito dalla prima linea era già stato colpito da un’infezione o dalla cancrena. Se la ferita si trovava su un arto, l’unica soluzione per i medici, per cercare di salvare la vita del ferito, era l’amputazione. Chi invece era colpito dall’infezione in altre parti del corpo, come l’addome, il torace o la testa, aveva ben poche possibi-lità di sopravvivere e spesso non veniva nemmeno curato, in conseguenza di quel principio della sanità militare che stabi-liva che, in presenza di due feriti da trattare chirurgicamente, di cui uno più grave dell’altro, si dovesse operare prima il meno grave e poi, eventualmente fosse ancora possibile, il più grave e ciò per ‘massimizzare’ (come si direbbe oggi) le probabilità di salvare almeno uno dei due soldati; infatti, se si fossero impiegate forze e tempo per tentare un intervento sul ferito più grave (con rischio di non farcela neppure a sal-varlo), il meno grave avrebbe avuto il tempo per aggravarsi a sua volta e così si sarebbe rischiato di perderli entrambi.

In ossequio a questo principio venne stilata un classifica dei feriti:

- gravissimi trasportabili, quelli già operati e destinati alle ambulanze chirurgiche per altri interventi d’urgenza;- gravi trasportabili, feriti che necessitavano di altri inter-venti, smistati in altri Ospedali delle retrovie o passati ad ambulanze chirurgiche o radiologiche;- gravi trasportabili a distanza breve, destinati agli Ospe-daletti da Campo più vicini, trasportati tramite carri o au-toambulanze per barelle;- trasportabili a lunga distanza, feriti in condizioni stabili ma non in grado di camminare, caricati su autocarri diretti in retrovia;- leggeri, feriti che potevano deambulare autonomamente5.Ma, come ovvio, un tale regolamento, con la paura delle

bombe e del nemico, non fu sempre tenuto pienamente in considerazione, anche dagli stessi medici ed infermieri, che, seguendo i principi della propria morale professionale, cer-cavano di operare nel miglior modo possibile per assicurare a tutti le proprie cure.

Nonostante l’organizzazione sanitaria militare, emerge, drammaticamente, che durante la Grande Guerra la morta-lità tra i feriti fu spaventosamente alta a causa delle compli-canze derivanti dalla scarsità dei mezzi chirurgici e medici dell’epoca, dell’impossibilità di sfruttare appieno in zona di guerra le conoscenze mediche che si stavano accumulando nelle sedi accademiche e, soprattutto, della grave mancanza di igiene. La causa principale di morte furono infatti, come già detto, le infezioni pre o post operatorie.

L’impegno dei medici e degli infermieri fu massimo ma,

5 Mirtide Cavelli in “Corpo di sanità militare” da www.storiaememoria-dibologna.it/corpo-di-sanita-militare-86-organizzazione.

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ELISABETTA STRICKLAND Essere donna e fare scienza in Italia: un’impresa difficile DAVIDE BARBA E MARIANGELA

D’AMBROSIO Donne e ricerca: “fare” genere nell’ambito scientifico ALESSANDRA MAZZEO Tertium non datur DANIELA

GRIGNOLI Donne in ricerca ROSA MARIA FANELLI, ANGELA DI NOCERA La presenza delle donne nel settore europeo della ricerca scientifica e tecnologica STEFANO OSSICINI Marie Curie, Hertha Ayrton e le altre. Donne e scienziate VINCENZO VILLANI Marie-Sophie Germain: matematica e fisica romantica dell’800 ANNA TOSCANO Il gabbiano ha preso il volo. Valentina V. Tereshkova - Samantha Cristoforetti. Una conquista lunga cinquantuno anni GABRIELLA

BERNARDI Pino e le sue astronome PATRIZIA TORRICELLI Donne, e le parole per parlarne AGOSTINA LATINO Genesi e analisi della Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica PAOLA

MAGNANO, ANNA PAOLILLO, GIUSEPPE SANTISI Autostima e autoefficacia, identità di genere e soddisfazione lavorativa. Implicazioni per la scelta di carriera DOMENICO CARBONE Cos’è la politica? Opinioni a confronto tra le donne elette nei comuni italiani LUCIA PIETRONI Rosa vs Blu. I Gender Studies e la cultura del design GIULIANA GUAZZARONI La realtà aumentata nell’arte: una scelta di genere è mettersi in gioco e performare CHIARA D’AURIA La donna cinese nel Nuovo Millennio SILVIA CAMILOTTI Saperi e sapori d’altrove: le scrittrici (si) raccontano LAURA MOSCHINI Con occhi di donna: Margaret Fuller e la Repubblica Romana (1847-49), Un’analisi di genere nel giornalismo del XIX secolo

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SCIENZE E RICERCHE • N. 24 • 1° MARZO 2016 | SCIENZE DELLA VITA

Com’è profondo il mare... ANTONIO TRINCONEIstituto di Chimica Biomolecolare, Consiglio Nazionale delle Ricerche

C’è un punto centrale poco evidente ai non addetti ai lavo-ri, intorno al quale ruota la definizione di biotecnologie ma-rine. Si tratta degli enzimi, i catalizzatori biologici di natura proteica che rendono possibile la vita in tutti gli organismi Wikipedia a parte, se un giornalista

dovesse risalire alla definizione di un settore scientifico si rivolgerebbe ad un esperto del campo. Quanto più specifico l’esperto, tanto più precisa

sarà la definizione. Se la definizione che si cerca è quella del-le biotecnologie marine però, una buona idea sarebbe rivol-gersi ad un antropologo. Alla fine di un suo articolo1 dedicato a studi etnografici sulla vita di eminenti biotecnologi marini, Stephan Helmerich definisce con parole chiare e cristalline che le biotecnologie marine sono la naturale estensione delle pratiche culturali relative alla pesca e al procacciare cibo dal mare.

L’uso del plurale nell’appellativo “biotecnologie” è in ge-nere più che appropriato. “Sono nato in un mondo in bianco e nero” dice un interessante professionista della fotografia come Cole Thompson, in un’intervista.

I was born into a world of Black and White images. Television and

movies were in Black and White. The evening news was in Black and

White. The nation was segregated into Black and White. My child-

hood heroes were in Black and White and that image was an extension

of the world, as I knew it2.

Ai suoi tempi l’iridescenza delle discipline biotecnologi-che (vedi scheda) non sarebbe stata possibile. Il colore blù (Blue biotechnology) è stato dedicato come ovvio alle bio-tecnologie marine forse per cogliere romanticamente in un colore l’uso delle risorse da questo ecosistema (esseri viven-ti, sistemi e processi) per la creazione di prodotti e processi con l’applicazione delle tecniche delle biotecnologie, della biologia molecolare e della bioinformatica.

1 Helmerich, S. (2003). A Tale of Three Seas: From Fishing through Aquaculture to Marine Biotechnology in the Life History Narrative of a Marine Biologist. Maritime Studies 2, 73-94.) 2 http://www.colethompsonphotography.com/

I colori delle biotecnologieBlue biotechnology o biotecnologie marine è definito

come quel settore che riguarda l’utilizzo delle risorse ma-rine. L’aumento delle conoscenze in ambito produttivo ed ecologico, il potenziamento della produzione di alimenti derivati e la loro salubrità, nuove soluzioni per il controllo di organismi acquatici dannosi per l’uomo e la ricerca su nuove molecole con potenzialità farmaceutiche sono tutti settori di punta delle biotecnologie marine.

Grey biotechnology o biotecnologie ambientalisi occu-pa delle applicazioni direttamente correlate all’ambiente: la salvaguardia della biodiversità e la protezione dai con-taminanti.

Green biotechnology o biotecnologie agroalimentari. È il settore delle biotecnologie che si occupa dei processi agricoli

Red biotechnology o biotecnologie farmaceutiche. È il settore delle biotecnologie che si occupa dei processi bio-medici e farmaceutici.

White biotechnology o biotecnologie industriali. È il settore delle biotecnologie che si occupa dei processi di interesse industriale, anche in questo settore l’utilizzo di enzimi è uno dei punti chiave.

Al di là di questa comoda classificazione vari settori possono appartenere a diversi domini. E’ come se i con-fini tra i vari colori fossero sfumati, ed è questo proprio il caso dei biocatalizzatori come tool unici che interessano tutti i settori biotecnologici.

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biocatalizzatori di origine marina e delle numerose rassegne pubblicate negli ultimi anni sull’argomento5. In particolare, il libro Marine enzymes for biocatalysis riporta gli studi di una serie di ricercatori in un linguaggio diretto ed informale. Sono riportati i dettagli delle ricerche in genere non inclusi negli articoli formali. Il punto di vista che attraversa tutti i capitoli è quello molecolare per la piena comprensione de-gli aspetti dei processi enzimatici legati alla biocatalisi con una selezione di esempi degli aspetti chimici e stereochimi-ci dell’azione enzimatica rispetto agli enzimi noti in ambito terrestre.

Viene esplorato un panorama della natura e del livello di interesse della biodiversità dell’ambiente marino, i dettagli sulle fonti naturali (microbiche, animali e piante) di biocata-lizzatori marini più studiati e il futuro potenziale della ricer-ca nelle Scienze e delle Biotecnologie Marine.

SOGNI E BISOGNI

Novità catalitiche e resistenza alle condizioni di utilizzo, sono due delle sirene a cui i chimici che studiano i biocata-lizzatori sono più sensibili. Le fonti marine di catalizzatori biologici possono essere interessanti, dato il presupposto delle varie condizioni ambientali in cui questi enzimi devo-no operare e la maggiore variabilità delle strutture chimiche, rispetto a quelle terrestri, che essi devono manipolare. Lo

biocatalytic characteristics and bioprocesses of marine enzymes. Elsevier, Woodhead Publishing Series in Biomedicine No. 38 Cambridge, CB22 3HJ, UK ISBN 1 907568 80 85 (a) Trincone, A. (2011). Marine biocatalysts: enzymatic features and applications. Mar. Drugs 9, 478-499. (b) Trincone, A. (2012). Some en-zymes in marine environment: prospective applications found in patent literature. Recent Pat. Biotechnol. 6, 134-148. (c) Trincone, A. (2013). Biocatalytic processes using marine biocatalysts: ten cases in point. Curr. Org. Chem. 17, 1058-1066

viventi favorendo fra l’altro le trasformazioni di natura chi-mica specializzata che predispongono i componenti del cibo ad essere trasformati in energia e in prodotti di scarto nelle cellule. Non è un caso che gli enzimi siano state le prime biomolecole ad essere studiate nei primordiali sviluppi della chimica biologica del novecento, lasciando il posto ai com-ponenti e alla struttura del DNA a partire dalla seconda metà del secolo (1953, James Watson e Francis Crick pubblicaro-no sulla rivista Nature l’articolo scientifico in cui si presen-tava il modello di struttura a doppia elica della molecola di DNA) e alla complessità del mondo dei carboidrati (glico-biologia3) di oggi. Durante gli anni in cui si affrontavano gli studi biochimici dei processi enzimatici, in altri laboratori, quelli di chimica organica, i successi della sintesi chimica stavano mano a mano per essere raccolti.

Una delle difficoltà cui i chimici non riuscivano pienamen-te a far fronte era la richiesta di sostanze pure dal punto di vista stereochimico per l’analisi precisa dell’influenza che la disposizione degli atomi in una molecola apporta alle caratte-ristiche chimiche e all’attività biologica. Tentare di indossare il guanto sinistro sulla mano destra rispetto a quella giusta, rivela immediatamente tale concetto di chiralità. La creazio-ne di tali molecole in maniera selettiva è molto facilitata con l’utilizzo degli enzimi al posto dei catalizzatori inorganici in uso nelle reazioni chimiche. A tale richiesta potevano pertan-to far fronte i catalizzatori biologici e la biocatalisi moderna poteva mano a mano venire alla ribalta con una popolarità sempre crescente negli ultimi trent’anni.

Si riporta l’esperienza di editing per un recente libro4 sui

3 Coniato nel 1980 il termine stava significare la fusione delle conoscen-ze sulla chimica dei carboidrati e sulla biochimica per la comprensione degli aspetti molecolari della biologia dei glicani specie in relazione ai composti coniugati con proteine e lipidi.4 Trincone, A. (ed) (2013). Marine enzymes for biocatalysis: sources,

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batterio marino Marinomonas mediterranea, che aveva atti-rato l’attenzione per la gran quantità di melanina prodotta, si è giunti ad una serie di utili informazioni sulle ossidasi marine di interesse biotecnologico6. Tali enzimi trovano le

6 Sanchez-Amat, A.; Solano, F.; Lucas-Elío, P. Finding new enzymes from bacterial physiology: a successful approach illustrated by the detec-

studio sul perchè tali biomolecole mostrano attività ottimali a diversi valori di concentrazioni saline, di pH e temperatura è indispensabile per un loro sfruttamento razionale.

Tutti i farmaci agiscono per via delle loro interazioni con le biomolecole nel nostro organismo. Tali interazioni dipen-dono dalla struttura atomica di una molecola nel senso più lato del termine inclusa la disposizione nello spazio per le molecole chirali. Alcuni studi dimostrano che per quanto riguarda il rapporto tra la grande variabilità strutturale del-le molecole direttamente traducibile in attività biologica e l’utilizzo terapeutico, quelle da fonti naturali (terrestri e ma-rine) sorpassano di gran lunga quelle sintetiche per quanto riguarda i successi applicativi. D’altro canto gli esseri umani hanno già compreso da millenni il pericolo proveniente dai veleni in alcune creature marine per non parlare delle cono-scenze sui principi attivi di origine vegetale. Già a partire da duemila anni fa vari estratti di organismi marini erano usati come medicine in varie parti del mondo. Nell’ottocento le proprietà benefiche dell’olio di fegato di merluzzo erano già note e a partire dal ventesimo secolo è partita un’analisi più sistematica per la ricerca di farmaci dal mare (vedi scheda).

Le implicazioni pratiche sono diverse e risultano chiare seguendo alcune considerazioni sull’interesse commerciale oltre che scientifico. Dall’analisi dei brevetti basati sulle ri-sorse biologiche marine, dal 1973 al 2007 sono stati iden-tificati 5 settori applicativi. I settori chimico (circa 50%) e farmacologico (ca 30%) sono quelli prevalenti e l’interesse per entrambi si fonda sulle caratteristiche peculiari dei bio-catalizzatori marini che sono alla base della produzione ne-gli organismi viventi delle molecole attive.

UN PANORAMA MARINO… DEI BIOCATALIZZATORI

I settori della ricerca dai quali si può risalire ad infor-mazioni utili per lo studio dei biocatalizzatori marini sono numerosi.

Le fonti di tali biomolecole sono gli organismi viventi come per i principi attivi delle piante terrestri e per i micro-organismi produttori di antibiotici. Pertanto la raccolta e lo studio degli organismi marini, non solo alla ricerca di picco-le molecole biologicamente attive ma anche di biomolecole come gli enzimi, è stata storicamente necessaria e per certi versi è ancora così. Una menzione particolare va fatta per gli estremofili e per i funghi marini. Queste forme di vita così interessanti come gli estremofili popolano nicchie ecologi-che ad alta o bassa temperatura, ad estremi di pH e concen-trazioni saline e ad alte pressioni. Tutti i processi vitali che i loro enzimi presiedono devono non solo essere possibili ma avere il loro ottimale svolgimento proprio in quelle dra-stiche condizioni a cui vivono. Storicamente hanno avuto la precedenza le ricerche microbiologiche basate su organismi e funghi terrestri. E’ solo di recente che i microbiologi han-no rivolto l’attenzione a queste creature provenienti da fonti marine non solo come produttori del prodotto finale (anti-biotici o altri farmaci) ma anche di molecole enzimatiche. Da un approccio simile, lo studio dei tratti fisiologici di un

Farmaci dal mare: curiosità storiche

Alcuni reports storici indicano che gli esseri umani erano coscienti della natura velenosa di alcune creature marine a partire da almeno 4000 anni fa. Inoltre le antiche popolazioni che vivevano lungo le coste, specie quelle cinesi e giapponesi, si cibavano di una varietà di alghe ricche di iodio che è stata indubbiamente la ragione per cui la gotta era una malattia sconosciuta per questi popoli. Le alghe erano riportate nelle antiche farmacopee cinesi come rimedi per varie malattie come la ritenzione idrica, disturbi mestruali, ascessi e cancro ed un derivato dell’a-gar era noto per curare i disordini gastro-intestinali. Nella medicina tradizionale alghe rosse come Chondrus crispus e Mastocarpus stellatus erano alla base dii rimedi contro il raffreddore e mal di gola. Bollite nel latte erano usate per curare problemi ai reni e scottature.

Anche se gli scrittori classici in Occidente non ascrive-vano a questi prodotti naturali proprietà curative, c’è da dire che le matrone romane usavano un’alga per tessere meravigliose tuniche colorate di rosso. Plinio il Vecchio raccomandava gli aculei delle razze mescolate con aceto per la cura del mal di denti. Lo stesso Plinio non consi-gliava il veleno di una lepre di mare (lepus marinus, spe-cie di molluschi appartenenti alla famiglia delle Aplyisii-dae) per abortire, lo riteneva così potente infatti che una donna incinta poteva ammalarsi, cadere preda di nausee e vomito ed abortire al solo guardare questi animali. Ippo-crate riportava che il succo di vari molluschi poteva essere usato come lassativo.

Era già noto agli antichi pescatori giapponesi che alcuni insetti carnivori morivano quando si posavano su un ver-me marino chiamato Lumbrineris brevicirra e nel 1934 fu isolata una neurotossina che è presente solo in questa specie e non in altre specie di anellidi. Da questi studi si è sviluppato un potente insetticida anche per gli insetti resistenti ai più comuni organofosfati.

Prima dell’invenzione delle spugne sintentiche quel-le naturali erano usate come assorbenti anche in campo medico. Per esempio gli anestetici erano somministrati impregnando una spugna naturale con alcuni soporiferi. Anche le perdite di sangue erano tamponate con le spu-gne naturali. Agenti contraccettivi come succo di limone e chinino erano applicati in loco per via di pezzettini im-bevuti di queste spugne.

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da molluschi per le quali non esistono efficaci metodi di detossificazione. Un estratto algale contenente varie tossi-ne (sassitossina, neo-sassitossina e gonyatossina ed altre) è messo a contatto per cinque giorni con il materiale biologico in questione e la riduzione di tossicità è analizzata sia at-traverso metodi di chimica analitica (HPLC) che con saggi in vivo. Sono stati individuati nuovi ceppi di Pseudoaltero-monas haloplanktis capaci di disattivare tali tossine grazie a biocatalizzatori che trasformano le loro strutture chimiche. Questa capacità è di estremo interesse e i biocatalizzatori marini coinvolti possono essere usati in tappe enzimatiche per la trasformazione di questi composti con tali potenti at-tività biologiche.

La metagenomica è un altro settore da cui trarre utili in-formazioni in questo campo. L’analisi del DNA estratto da un campione ambientale rende possibile infatti definire le capacità del genoma rispetto alle sue funzioni di espressione di biocatalizzatori utili. Per via di tali tecniche è possibile un approccio che risulta indipendente dal fatto di dover produr-re la biomassa responsabile per l’accesso alle potenzialità di quei microorganismi che non si riescono a coltivare in labo-ratorio. Il biocatalizzatore può essere espresso in organismi host più produttivi e facili da crescere.

Tradizionalmente la scoperta di un enzima parte dall’ana-lisi delle cellule che lo contengono per poi adottare tecniche di purificazione della proteina in questione. Nella scoperta delle funzioni del biocatalizzatore marino trovato con i me-todi e le informazioni provenienti dagli studi sopra descritti, una tecnica nuova ed utile che permette analisi su grande scala è la metabolomica. Nella pratica una miscela di diversi metaboliti è messa a contatto con l’enzima espresso e puri-ficato e l’analisi della miscela di reazione usando la spettro-metria di massa permette l’identificazione dei prodotti che diminuiscono (substrati) e di quelli che aumentano (prodotti di reazione). L’identificazione chimica di tali molecole per-mette di comprendere i cambiamenti specifici, il che suggeri-sce informazioni sulla natura della reazione condotta dall’at-tività enzimatica9.

DIMMI DA DOVE VIENI E TI DIRÒ CHI SEI…

Come già indicato in precedenza l’interesse per i bioca-talizzatori marini risiede (i) nelle condizioni ambientali in cui essi operano (ii) nella variabilità strutturale dei substrati sui quali agiscono e (iii) nelle possibili novità catalitiche che caratterizzano le loro reazioni. Le caratteristiche ecologiche degli habitat dai quali sono scoperti e alcuni esempi che illu-strano l’interesse specifico per queste proprietà sono riportati di seguito in questa sezione.

L’acqua del mare ha generalmente una concentrazione di cloruro di sodio intorno al 3,5% mentre i microorganismi alofili possono vivere a concentrazioni ben superiori. Un patrimonio enzimatico stabile e operativo in condizioni di

9 S.Natsumi, R. Martin, S. Kitamura, R. Baran, T. Soga, M. Hirotada, N. Takkaaki, T. Masaru, J. Proteome Res. 5, (2006), 1979-1987

loro applicazioni nei biosensori per la determinazione della presenza di fenoli in vari fluidi (scarti industriali, vino, etc.). Questi biocatalizzatori sono capaci di modificare non solo il loro substrato naturale, l’aminoacido libero L-tirosina, ma possono agire anche dove questa molecola è legata all’in-terno delle catene peptidiche. Tale reazione è alla base del meccanismo di adesione dei molluschi negli adesivi marini e questi enzimi possono essere un’utile risorsa per lo sviluppo di colle in ambienti acquosi o su superfici bagnate con possi-bili ricadute interessanti in campo biomedico (suture chirur-giche, ricostruzioni tissutali etc.)7.

Gli studi rivolti ad approcci sostenibili per l’industria dei prodotti ittici sono un’altra ricca sorgente di utili informa-zioni sui biocatalizzatori marini. Gli esempi più interessanti rappresentano un uso intelligente degli enzimi marini per la trasformazione e l’utilizzo degli scarti di questo settore in-dustriale. Parti del mollusco capasanta (Pecten, conchiglia di San Giacomo) che non sono consumate come cibo sono ricche di peptidi del collageno che sono molto utili nel cam-po della cosmetica per prodotti per la rigenerazione del ca-pello ed in altre applicazioni e possono con faciltà sostituire quelli provenienti dal mondo terrestre (bovini). Applicazioni mediche per la beta-chitina (capacità di accelerare la cicatriz-zazione) ottenuta dalle penne del calamaro sono sproni per la ricerca di catalizzatori che agiscono su questi biopolimeri naturali (chitinasi). La chitina non trova grandi applicazioni industriali proprio a causa della difficoltà di lavorazione do-vuta alla sua struttura8. La manipolazione di altri polisaccari-di marini con interessanti attività biologiche (fucani, lamina-rani, etc.) è di grande interesse per la produzione di definite unità oligosaccaridiche più facilmente gestibili dal punto di vista della formulazione delle preparazioni e dello studio dell’attività biologica in relazione alla struttura chimica di queste molecole così complesse.

Un altro campo della conoscenza che concorre ad ottenere utili informazioni sui biocatalizzatori marini che possono es-sere usati nella biocatalisi è quello del monitoraggio dell’in-quinamento via biomarkers. Le conoscenze sono aumentate per l’aumentata sensibilità per i rischi degli effetti a lungo termine degli inquinamenti e il ruolo dei catalizzatori natu-rali nel recupero delle condizioni iniziali è uno studio molto interessante. Sono altamente significativi in questo campo i risultati di una ricerca sull’espressione, nelle cozze (Mytilus edulis), in risposta a differenti inquinanti chimici, di specifi-che proteine coinvolte nelle tappe di ossidazione ed in quelle di trasformazione di prodotti estranei. Un particolare aspetto ancora più interessante in questo campo è la scoperta in que-sti molluschi bivalvi (o in microorganismi ad essi associati) dell’abilità a trasformare le tossine naturali (biotossine), in special modo quelle responsabili della sindrome paralitica

tion of novel oxidases in Marinomonas mediterranea. Mar. Drugs 2010, 8, 519–541.7 http://www.lescienze.it/news/2007/07/19/news/geckel_la_colla_che_imita_gli_animali-582175/8 K. Takahashi, K. Fukunaga in C.T. Hou, J.-F. Shaw (Eds.) Biocatalysis and Bioenergy 2008, pp. 417-430

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zioni sposterà il suo equilibrio verso una riduzione di volu-me e ci sono indubbi vantaggi nella possibilità di regolare un’attività enzimatica con la pressione perchè non sono indi-spensabili agenti esterni da aggiungere per la disattivazione e tali biocatalizzatori possono essere usati in bioreattori ad alta pressione. Non ci sono studi definitivi per una chiara vi-

sione molecolare della capacità di resistenza di queste biomolecole alle alte pressioni. Alle tipi-che condizioni di acque profonde la fluidità del-la membrana cellulare corrisponde a quella che si avrebbe a pressione atmosferica a -18 °C, pertanto un aumento di pressione (allo stesso modo di una riduzione della temperatura) pro-voca la solidificazione dei fosfolipidi presenti

nelle membrane cellulari e la distruzione delle sue naturali funzioni. La cellula risponde mettendo in moto una serie di meccanismi biochimici che fanno aumentare la produzione di molecole più adatte a resistere ad aumenti di pressione (es. acidi grassi insaturi, aumento flessibilità dei polisacca-ridi nelle pareti cellulari rigide, etc.) e queste modulazioni, sulla produzione di enzimi destinati a questi processi sono di estremo interesse.

Come per le alte temperature anche i biocatalizzatori fun-zionanti alle basse temperatura sono di interesse biotecnolo-gico quasi allo stesso livello. Si pensi all’utilizzo possibile nel campo dei detergenti per esplicare la loro azione in con-dizioni meno drastiche per i tessuti. O nell’industria alimen-tare per ridurre il rischio della contaminazione microbica ma anche un risparmio sui consumi energetici e una manipola-zione di sostanze che possono degradarsi a temperature più elevate.

UNICO.. .COME TUTTI GLI ALTRI. . .

La variabilità strutturale dei substrati e le novità cataliti-che presenti negli enzimi da fonti marine sono illustrate di seguito con qualche esempio. Tali caratteristiche del nuovo biocatalizzatore possono essere portate alla luce solo da ap-profonditi studi biocatalitici dopo che si ha accesso alla pro-teina e si conoscono le proprietà biochimiche e le condizio-ni ottimali per la reazione. Particolari reazioni, su substrati unici possono aumentare l’interesse per gli enzimi da fonti marine rispetto a quelli per analoghe reazioni da fonti terre-stri. Sono due le classi principali di enzimi in cui si ritrovano queste specifiche unicità: le ossidoreduttasi e gli enzimi che agiscono sui carboidrati.

Alla prima classe appartengono enzimi che aiutano gli organismi viventi ad affrontare gli inquinamenti ambientali

alta salinità è di interesse biotecnologico per svariati moti-vi, uno dei quali legato alla termostabilità di queste proteine ma anche alla loro tolleranza ai solventi organici che spes-so devono essere usati per sciogliere le sostanze insolubili in acqua sulle quali possono agire. Gli enzimi digestivi che scindono i legami nelle proteine, possono essere usati anche per la sintesi di impor-tanti peptidi di interesse medico. Una proteasi dall’intestino del pa-lombo (Mustelus muste-lus), un pesce carnivoro usato come cibo umano, si è mostrata attiva a concentrazioni di clo-ruro di sodio del 30%. Con tale importante capacità di resistenza a queste condizioni il suo utilizzo nei processi di lavorazione dell’indu-stria ittica ed alimentare in genere è di particolare interesse10. Le amilasi sono enzimi usati per la saccarificazione di polisaccaridi a zuccheri sem-plici prima della fermentazione a bioetanolo. L’utilizzo di biomasse algali marine era stato impedito fino al ritrovamen-to di amilasi capaci di funzionare in presenza di cloruro di sodio. L’attività, spesso resistente anche a pH alcalini, rende questi biocatalizzatori particolarmente utili anche nel mondo dei detergenti.

Un processo biocatalitico condotto ad alte temperature ha diversi vantaggi: i substrati si sciolgono meglio, in par-ticolare quelli poco solubili e quelli polimerici, diminuisce la viscosità del mezzo di reazione e c’è una minore o nulla tendenza alla contaminazione microbica. Le proteine con-venzionali ad alta temperatura non sono più attive perchè si denaturano. Sono noti organismi sia terrestri che marini che sopravvivono a temperature alte dagli 80 a più di 100 °C. Gli enzimi derivanti da questi estremofili sono altamente stabili non solo al calore ma anche alla pressione, ai detergenti e ai solventi organici e spesso sono anche più resistenti all’attac-co proteolitico nei naturali processi degradativi. La ricerca è stata molto attiva in questo campo negli ultimi cinquant’an-ni anche per scoprire i motivi strutturali che erano alla base della differenza e una larga serie di biocatalizzatori sono noti ed utilizzati nell’industria grazie a queste peculiarità. Ricca è la bibliografia riguardante anche altre biomolecole (come i lipidi di membrana) capaci di assicurare una funzionalità di questa struttura cellulare alle alte temperature.

Gli organismi che vivono in acque profonde sono soggetti a pressioni elevate. Un processo biochimico a in tali condi-

10 Bougatef, A.; Balti, R.; Nasri, R.; Jellouli, K.; Soussi, N.; Nasri, M. Biochemical properties of anionic trypsin acting at high concentration of NaCl purified from the intestine of a carnivorous fish: smooth hound (Mustelus mustelus). J. Agric. Food Chem. 2010, 58, 5763–5769

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se marine e un impoverimento degli oceani. Analizzata di recente da vari punti di vista, la grande sfi-

da delle biotecnologie marine è la conoscenza13. Da questi sotterranei (o subacquei?) collegamenti mentali la citazione dell’antica ma bella canzone del nostro cantautore bolognese del titolo di questo articolo che è stata evocata per la strug-gente malinconia del suo testo (…Frattanto i pesci/Dai quali discendiamo tutti/Assistettero curiosi/Al dramma collettivo/Di questo mondo/Che a loro indubbiamente/Doveva sembrar cattivo/E cominciarono a pensare…). Ma “Come è profondo il mare” è anche il titolo di un recente libro di Nicolò Carni-meo che mette in risalto come il mare sia diventato una delle più grandi discariche del pianeta, nelle sue parole in un’in-tervista “…ne abbiamo più che altro una visione “balneare” e utilitaristica, cioè per la maggior parte di noi il mare esiste solo durante l’estate…”.

La conoscenza, da cui deriva la consapevolezza, per “…cominciare a pensare…” passa anche per la ricerca scientifi-ca nel campo delle Biotecnologie blù.

RINGRAZIAMENTI

La stesura di questo articolo divulgativo è fatta sotto gli auspici del progetto “DCM.AD003.011 - Progetti comuni di istituto per la comunicazione e divulgazione dei risultati e della conoscenza scientifica e per la formazione del persona-le, Sede di Napoli” dell’Istituto di Chimica Biomolecolare. L’autore desidera esprimere i suoi ringraziamenti al servi-zio bibliografico del Consiglio Nazionale delle Ricerche a disposizione dei ricercatori per il reperimento degli articoli scientifici.

13 Antonio Trincone Increasing knowledge: the grand challenge in ma-rine biotechnology Front. Mar. Sci., 25 February 2014 | doi: 10.3389/fmars.2014.00002

cui sono sottoposti. L’azione biochimica richiesta a questi biocatalizzatori deve essere potente al punto da renderle ca-paci di poter reagire con molecole tossiche ma chimicamente inerti, quali sono gli idrocarburi. Gli idrocarburi policiclici aromatici PAH, in particolare, sono una classe di inquinanti presenti negli ambienti marini che per le loro caratteristiche di inerzia alla trasformazione chimica tendono a bioaccumu-larsi e a persistere nell’ambiente mantenendo la loro tossicità per lungo tempo. Enzimi capaci di reagire con tali moleco-le così refrattarie sono presenti negli organismi marini ed in particolare svolgono la loro azione su parti specifiche della molecola usualmente resistenti alle trasformazioni con enzi-mi da fonti terrestri, superando in efficienza anche le tappe chimiche per la trasformazione di questi prodotti tossici. Un microorganismo di sicuro interesse a tale riguardo è l’Alca-nivorax borkumensis che è uno dei batteri chiave per la bio-degradazione degli oli inquinanti.

Nella seconda classe sono presenti enzimi che degradano i carboidrati che sono noti come glicosidasi. Alcuni tipi di questi enzimi da fonti marine si sono rivelati di estremo in-teresse sia per la loro capacità idrolitica che per quella di sintesi che caratterizza questi biocatalizzatori. Un interesse particolare per le applicazioni delle xilanasi presenti in vari organismi marini estremofili è sfociato nello studio sull’uti-lizzo di tali biocatalizzatori per la degradazione dello xilano (costituente principale delle emicellulose delle piante). In un processo applicativo questi polisaccaridi provenienti dai rizomi della canna (Arundo donax) sono stati processati da estratti batterici di alcune specie marine come Thermotoga neapolitana, T. maritima ed altre. I prodotti di tali idrolisi come lo xilobiosio e altri tetra e pentasaccaridi, con una serie di applicazioni in cosmetica e chimica farmaceutica, sono di estremo interesse per la trasformazione di tale biomassa in prodotti chimici ad alto valore aggiunto11. Altri enzimi come le alfa-galattosidasi da fonti marine trovano impieghi in cam-pi biomedici per la manipolazione delle molecole che deter-minano i gruppi sanguigni12.

L’importanza economica di tutti gli esempi qui brevemen-te menzionati si riscontra in una serie di brevetti sull’uso di questi biocatalizzatori marini in vari campi tecnologici.

CONCLUSIONI

Il potenziale dell’habitat marino per quel che riguarda i biocatalizzatori deve ancora essere ben compreso, ciò deve avvenire attraverso nuove vie di selezione efficace e produ-zione su scala economica, oggi realistiche ed attuabili, che dovranno evitare soprattutto la raccolta distruttiva di biomas-

11 Licia Lama, Annabella Tramice, Ilaria Finore, Gianluca Anzelmo, Valeria Calandrelli, Eduardo Pagnotta, Giuseppina Tommonaro, Annarita Poli, Paola Di Donato, Barbara Nicolaus, Massimo Fagnano, Mauro Mori, Adriana Impagliazzo and Antonio Trincone Degradative actions of mi-crobial xylanolytic activities on hemicelluloses from rhizome of Arundo donax AMB Express 2014, 4:5512 Bakunina, I., Balabanova, L., Pennacchio, A. and Trincone, A. (2015). Hooked on α- D-galactosidases: from biomedicine to enzymatic synthesis. Critical Reviews in Biotechnology, 36(2), pp.233-245.

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André-Marie Ampère, genio universale e primo chimico-teorico moderno VINCENZO VILLANIDipartimento di Scienze, Università della Basilicata

raccogliendo nei boschi erbe e fiori ed elaborando accura-te classificazioni, e alla chimica attraverso la collezione dei minerali.

La sua preparazione informale, lo rese sempre ben dispo-sto a ipotesi ardite: questa tendenza a muoversi fuori dalla scienza accademica, fu alla base della fantasia scientifica, la grande immaginazione che costituisce il suo carattere pe-culiare, che lo spinse a formulare entità ipotetiche e dedurre dai principi della fisica, teorie innovative anche in chimica.

Nel 1799 sposò Julie Caron, per la quale nutrì delicati sen-timenti di cui è rimasta memoria nell’epistolario e nel diario Amorum. Purtroppo, l’idillio fu troncato dalla morte prema-tura di Julie nel 1804. Da questo momento, i suoi affetti si concentrarono sul figlio Jean-Jacques (1800-1864, storico e letterato) al quale lo unì non solo un profondo sentimento di amore paterno ma anche un forte legame sul piano intellet-

Andrè-Marie Ampère (1775-1836) fu genio universale i cui contributi spaziarono dalla matematica alla fisica, dalla chimica alla biologia, dalla filosofia alla teologia. Oggi è ricordato soprattutto tra i padri dell’elettromagnetismo, tut-tavia fu anche il primo chimico-teorico in senso moderno, elaborando una teoria della combinazione chimica (1816), della classificazione degli elementi (1816), della legge dei gas di Boyle-Mariotte (1815) e della relazione tra luce e ca-lore (1832 e 1835). Partendo dai principi della meccanica e dall’ipotesi atomistica della materia, applicando il metodo ipotetico-deduttivo di cui era maestro, ottenne risultati em-piricamente controllabili. In questo modo lanciò un ponte tra la fisica e la chimica, inaugurando una linea di ricerca che si è rivelata di grande successo.

In questo lavoro ci occuperemo della formazione di Ampère e delle teorie della combinazione chimica e della legge dei gas.

Andrè-Marie nacque nei pressi di Lione, in un’agiata famiglia borghese, dove fu edu-cato in una solida fede religiosa e secon-do gli ideali illuministici. Sin da bambino mostrò una spiccata tendenza al calcolo,

interesse per i fenomeni naturali ed una formidabile sete di sapere. Studiò in modo sistematico l’Histoire naturelle di Buffon e l’Encyclopédie di Diderot e d’ Alambert con tan-ta attenzione che per tutta la vita fu capace di citarne interi brani a memoria. A sedici anni imparò il latino per accedere ai classici e alle opere di Newton, Euler e Bernoulli. Allora, abbozzò poemi epici, tragedie, odi e tentò di elaborare un nuovo linguaggio universale.

Il giovane André non frequentò mai alcuna scuola. Edu-cato dal padre secondo l’educazione ‘naturale’ teorizzata da Rousseau, divenne professore di liceo, di analisi e meccanica all’Ecole Polytecnique ed infine Accademico di Francia.

Sin da giovane, sapeva trasformare ogni nuovo interesse in una vera passione, in questo modo si avvicinò alla botanica,

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LA TEORIA DELLA COMBINAZIONE CHIMICA

Dalla Lettre à Jacques Roux-Bordier (filosofo svizzero) dell’11 marzo 1814, leggiamo:

Le mie conversazioni con il sig. Davy [Sir Humphry Davy (1778-1829) illustre chimico inglese] hanno suscitato in me un grandissimo interesse per la chimica. Per circa due mesi mi sono occupato di un lavoro il cui risultato mi sem-bra poter aprire in questa scienza un nuovo corso e dare il mezzo di prevedere a priori i rapporti fissi secondo i quali i corpi si combinano, riportando le loro diverse combinazio-ni a princìpi che sarebbero l’espressione di una legge della natura, la cui scoperta sarà forse, dopo quanto ho fatto la scorsa estate in metafisica, la cosa più importante che ab-bia concepito in tutta la mia vita. In realtà, la teoria delle combinazioni chimiche è chiara e incontestabile e diventerà tanto comune nelle scienze fisiche quanto le altre teorie ge-neralmente ammesse.

Cos’è questa ‘teoria delle combinazioni chimiche’ che en-tusiasma tanto Ampère? Egli si dedicò allo sviluppo di que-sta teoria geometrico-molecolare sin dal 1809. Tuttavia, essa apparve solo nel ’15 sotto forma di una lunga lettera aperta al Berthollet sul Journal des Mines e ripubblicata nel ’16 sugli Annales de Chimie.

Nel solco di Laplace, Gay-Lussac e Hauy, inaugurò la linea di ricerca tendente ad avvicinare la chimica alla fisi-ca, programma che ha avuto in seguito, nello sviluppo della chimica-fisica, un enorme successo.

Secondo Laplace (1749 – 1827) la forza gravitazionale è la causa della coesione dei materiali. Al contrario, nei gas ab-biamo un grande spazio libero intermolecolare dovuto all’a-zione repulsiva associata al calorico (il fluido imponderabile responsabile del calore). In queste condizioni l’attrazione gravitazionale diviene trascurabile e le uniche forze signifi-cative sono la pressione interna del calorico in equilibrio con quella esterna applicata.

Ampère, assume che tra le molecole allo stato gassoso la distanza media (il ‘cammino libero medio’) sia molto più grande delle dimensioni molecolari, ovvero, immagina un gas composto da particelle puntiformi non interagen-ti: è il modello del gas ideale adottato da Maxwell (1859) e Boltzmann (1871) nello sviluppo della teoria cinetica dei gas.

Se il volume gassoso è indipendente dalle dimensioni molecolari, ne segue che: ‘A parità di pressione e tempera-tura, volumi uguali di gas contengono lo stesso numero di particelle, indipendentemente dalla loro natura chimica’ , V/N= costante. Ampere deduce ante litteram il principio di Avogadro.

Gay-Lussac (1778 – 1850) nel 1809 aveva dimostrato la ‘Legge della combinazione dei volumi’, in cui si hanno pro-porzioni semplici tra quelli dei reagenti e dei prodotti allo stato gassoso (vi/vj=nij). Ampere, alla luce delle leggi ‘tanto volume, tante molecole’ e ‘rapporti interi tra i volumi dei re-

tuale e morale.A partire dal 1803 nasce il suo interesse per la metafisica e

la filosofia in generale: ‘Le idee di Dio e dell’eternità domi-nano completamente la mia immaginazione’.

Le questioni metafisiche e religiose, costituivano il prin-cipale argomento di discussione con gli amici più cari, coi quali fondò nel 1804 la Società cristiana. Inoltre, la chimi-ca ebbe un posto privilegiato e il gruppo di amici si dedica-va alla lettura ad alta voce del Traité Élémentaire de Chi-mie (1789) di Lavoisier.

In questi stessi anni, si applica in campo matematico. Nel 1802 scrive la prima opera che lo rese famoso: ‘Considera-zioni sulla teoria matematica del gioco ’. Accanto all’analisi del calcolo delle probabilità, vi è l’impegno civile e morale nel denunciare i danni derivanti all’individuo e alla società dalla diffusione dei giochi d’azzardo. La dimostrazione è di grande attualità: il giocatore incallito è destinato alla rovina sicura! Se poi l’economia di un paese diventa finanza e le contrattazioni di borsa gioco d’azzardo, in pericolo è l’intera società!

Nel 1814 è nominato accademico di Francia nella sezione di geometria: è in questa sede che egli discuterà la maggior parte delle sue scoperte ed esperimenti. Nel 1815 la produ-zione matematica è molto intensa e finalmente viene nomi-nato professore al Politecnico.

Ampère, il cui disinteresse per gli onori era ben noto, spes-so dimenticava di rielaborare in forma scritta le sue scoperte comunicate talvolta solamente in forma orale o epistolare. Accade pertanto che molti risultati da lui trovati, sono ge-neralmente attribuiti ad altri che ebbero il merito di pubbli-carli in forma ordinaria. Molti suoi studi ci sono pervenuti attraverso le Lettre, con le quali egli spesso comunicava ai colleghi le sue scoperte, senza preoccupazioni di paternità.

E’ quanto avvenne con il ‘Principio d’Avogadro’ che egli abbozzò sin dal 1809 ma pubblicò solo nel 1815 dietro le insistenze del conte Claude Louis Berthollet (1748 –1822, chimico e scienziato francese):

…a pari pressione e temperatura le particelle di tutti i gas, semplici o composte, saranno situate alla stessa distanza le une dalle altre. In questa supposizione, il numero delle par-ticelle è proporzionale al volume del gas…

Analogamente, Avogadro nel 1811 scriverà:

…volumi uguali di gas, nelle stesse condizioni di tempe-ratura e di pressione, contengono lo stesso numero di mo-lecole.

Sembra che Ampère e Avogadro non si siano mai incon-trati ed è verosimile che giunsero al principio in modo del tutto indipendente. Tuttavia, nella biblioteca che fu di Avo-gadro è stata trovata una copia della Théorie des phénomenès électrodynamiques (1825) di Ampère sul cui frontespizio è scritto a mano ‘A Monsieur Avogadro de la part de l’auteur’.

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fluttuazioni.La teoria prende le mosse da 5 strutture fondamentali:

Consideriamo le forme primitive dei cristalli stabilite dai mineralogisti come le forme rappresentative delle molecole più semplici, ammettendo nelle molecole tanti atomi quanti sono i vertici delle forme corrispondenti, troveremo che esse sono in numero di cinque: il tetraedro, l’ottaedro, il paral-lelepipedo, il prisma esagonale e il dodecaedro romboidale. Le molecole corrispondenti a dette forme rappresentative sono composte di 4, 6, 8, 12 e 14 atomi.

Quindi, individua le 2 forme fondamentali, tetraedro e ot-taedro, a partire dalle quali è possibile ottenere le 23 for-me rappresentative che terrebbero conto in modo esaustivo dell’infinita varietà molecolare.

Ampère, comincia con la formazione delle 2 strutture mo-lecolari fondamentali a partire dai loro componenti atomici. Il tetraedro è ottenuto dalla combinazione simmetrica di due gruppi bi-atomici, si ha:

Per farci un’idea più chiara della posizione rispettiva di due atomi, supponiamoli uniti da un segmento di retta; se vi si aggiungono altri due atomi uniti allo stesso modo, dappri-ma nello stesso piano in maniera che i due segmenti si tagli-no in due parti uguali, poi allontanandoli tenendoli sempre in posizione parallela a quella che avevano in quel piano, si otterrà un tetraedro, che sarà regolare solamente nei casi in cui i due segmenti siano uguali e perpendicolari tra loro e siano stati allontanati ad una distanza che stia alla lunghez-za come 1:√2 (Figura 1).

Figura 1. Due gruppi bi-atomici danno luogo ad una molecola tetra-atomica: 2 segmenti→tetraedro

agenti e dei prodotti’, deduce: ‘Il numero relativo degli atomi nella composizione molecolare è lo stesso che tra i volumi dei reagenti’ (ni/nj= nij), posto alla base della geniale teoria della combinazione molecolare.

Renè Just Haüy (1743 – 1822), padre della cristallogra-fia moderna, nel 1784 aveva ridotto tutti i possibili ‘retico-li cristallini’ ad un insieme di 6 ‘forme primitive’ (le ‘celle elementari’ del cristallo) che riempiono lo spazio in modo completo. Inoltre, aveva mostrato che era possibile ottenere queste forme primitive a partire dalla combinazione di 3 sole forme fondamentali dette ‘molecules integrantes’ (tetraedro, prisma triangolare e parallelepipedo) che coinciderebbero con la struttura delle molecole stesse cristallizzate dalla so-luzione.

Ampère considera solo 5 delle ‘forme primitive’ di Hauy (tetraedro, ottaedro, parallelepipedo, prisma esagonale e do-decaedro romboidale), e le deriva da solo 2 poliedri fonda-mentali (tetraedro e ottaedro). A partire da questi, attraverso combinazioni di crescente complessità, ottiene le 23 ‘forme rappresentative’ delle strutture molecolari, le sole che terreb-bero correttamente conto dei rapporti di Gay-Lussac noti.

Il disegno unificatore di Laplace era grandioso: la legge gravitazionale governa le forze della materia a tutte le scale, tanto tra gli atomi che tra le stelle. In questa linea Ampère elabora la sua teoria della struttura molecolare, introducen-do di fatto il concetto di legame chimico e meccanismo di reazione.

Le molecole reagenti si legano in modo altamente simme-trico secondo un modello in cui gli atomi sono dotati di un volume proprio, le ‘sfere di calorico’, ed interagiscono sotto l’azione del potenziale gravitazionale. Allora, la teoria della ‘combinazione chimica’, si basa sull’equilibrio tra le forze attrattive gravitazionali e repulsive del calorico. In seguito (1822) interpreterà le molecole come microscopici conden-satori (bottiglie di Leida) in cui le cariche di segno opposto sono separate da un mezzo dielettrico (l’etere).

Ovviamente le cose non stanno così: le interazioni inte-ratomiche sono di natura elettromagnetica governate dalle leggi della meccanica quantistica (la forza elettrostatica tra un elettrone e un protone nell’ atomo d’idrogeno è 1039 vol-te maggiore della forza gravitazionale tra i due). Inoltre, a causa dell’agitazione termica, effettivamente le particelle de-finiscono un ‘volume escluso’, associato all’ampiezza delle

Ampère, Lettre a Berthollet, Journal des Mines, 1815

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Se si suppone, nel caso del tetraedro, di condurre per i due segmenti di cui abbiamo parlato, due piani paralleli tra loro […] è possibile costruire il tetraedro simmetrico al primo: gli otto vertici dei due tetraedri, uniti in questo modo, saran-no i vertici di un parallelepipedo. Il parallelepipedo diventa un cubo quando i due tetraedri sono regolari (Figura 3).

Con linguaggio moderno, possiamo dire che, le struttu-re molecolari dei reagenti vengono combinate secondo un ‘meccanismo di reazione’ in cui l’interazione gravitazionale è la driving force: i reagenti si attraggono fino a far coinci-dere perfettamente i loro baricentri. Allora, gli atomi com-ponenti si dispongono in modo compatto mediante la rottura dei ‘legami chimici’ dei reagenti e la formazione di quelli del prodotto finale passando, necessariamente, attraverso uno ‘stato di transizione’ di massima energia.

La visione che Ampère aveva delle reazioni chimiche era rivoluzionaria e conserva tutt’oggi elementi di modernità, con valore didattico-formativo.

Quindi, abbiamo: 2 tetraedri + ottaedro à dodecaedro; … e così di seguito fino alla XXVII forma molecolare derivante dall’unione di 7 ottaedri per formare un epta-ottaedro con

Quindi passa all’ottaedro ottenuto dalla combinazione simmetrica di due gruppi tri-atomici:

Immaginiamo ora tre atomi congiunti da segmenti for-manti un triangolo qualsiasi: poniamo nello stesso piano un altro triangolo uguale al primo e in posizione tale che i due triangoli abbiano i loro centri di gravità nello stesso punto e i loro lati uguali rispettivamente paralleli: allontanando questi due triangoli in modo che i tre lati di ogni triangolo rimangano sempre paralleli alla loro posizione primitiva, si otterranno sei punti situati ai vertici di un ottaedro; questo sarà regolare solo nel caso di triangoli equilateri allontanati perpendicolarmente al loro piano di una quantità che stia ai lati come √2:√3 (Figura 2).

Ottenute le forme molecolari fondamentali, Ampère pas-sa a descrivere le ‘reazioni chimiche’, la più semplice delle quali è quella tetraedro-tetraedro: le rigorose descrizioni ge-ometriche da questo punto in poi diventano estremamente complesse; le strutture finali sono riassunte in una tavola in coda alla Lettre:

Figura 2. Due gruppi tri-atomici danno luogo ad una molecola esa-atomica: 2 triangoli equilateri→ottaedro.

Figura 3. Due molecole tera-atomiche si combinano per dare una molecola octa-atomica: 2 tetraedri→cubo.

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cettabile’.Finalmente nel 1874, in modo indipendente, Le Bel e van’t

Hoff, sebbene preceduti dal chimico siciliano Emanuele Pa-ternò la cui ipotesi passò inosservata (1869), congetturarono l’atomo di carbonio tetraedrico: era nata la stereochimica moderna e… la visione geometrica di Ampère si prese la ri-vincita!

LA TEORIA DEI GAS

La Démonstration de la relation découverte par Mariotte entre les volumes des gaz et les pressions qu’ils suportent à une meme température’, fu pubblicata nel 1815 su gli Anna-les de Chimie. Ampère dedusse la legge dei gas dai princìpi

42 vertici!In questo modo, viene costruita una ‘tavo-

la molecolare’ che conterrebbe tutte le possi-bili strutture osservabili (Figura 4).

Ampère commette un errore iniziale: po-stula che le molecole debbano essere almeno tetra-atomiche:

Si deve considerare una molecola come l’unione di un numero determinato di atomi in posizione determinata […] affinché que-sto spazio abbia tre dimensioni tra loro pa-ragonabili, è necessario che una molecola unisca almeno quattro atomi.

Può sembrare un’ipotesi arbitraria, ma considerando atomi puntiformi, per avere molecole tridimensionali è necessario unire almeno quattro atomi. In questo modo, idro-geno, ossigeno, azoto, diventano: H4, O4, N4. Quest’assunzione portò a un errore sistema-tico nella previsione delle formule e struttu-re molecolari: l’ ossido d’azoto NO diventa N2O2, l’acqua H4O2, l’acido cloridrico H3Cl3, l’ammoniaca N2H6, il cloruro d’ammonio N2H8Cl2… In questo modo:

H3Cl3 (ottaedro) + N2H6 (cubo) → N2H8Cl2 (dodecaedro)

Un ottaedro di acido cloridrico si unisce con un cubo di ammoniaca per dare un do-decaedro di cloruro d’ammonio, rispettando i rapporti di Gay-Lussac, come in figura 5.

Ampère conclude:

Quando delle molecole si riuniscono in una molecola unica, esse si dispongono in modo che, essendo i loro baricentri nello stesso punto, i vertici dell’una si mettono negli intervalli lasciati da quelli dell’altra e viceversa. E’ in tal modo che concepisco la combinazione chimica, ed è in ciò che questa differisce dall’aggregazione di par-ticelle simili, che si compie per mezzo di una semplice giu-stapposizione di particelle come si vede nella bella teoria della cristallizzazione di Hauy. In questo modo combinando differenti numeri di tetraedri ed ottaedri ho ottenuto le diver-se forme rappresentative come esige la spiegazione di tutte le combinazioni in rapporto determinato che mi sono note.

La bella teoria geometrico-molecolare cadde nel vuoto: i tempi non erano ancora maturi per accettare la visione ste-reochimica che Ampère aveva delle molecole. Inoltre, il me-todo ipotetico-deduttivo da lui adottato in chimica dovette apparire troppo astratto.

Nel 1836 il chimico Dumas scriveva: ‘L’ipotesi di Ampère, non discuto quanto geniale essa sia, è assolutamente inac-

Figura 4. Le più complesse ‘molecole rappresentative’ di Ampère (1815)

Figura 5. La reazione acido-base HCl-NH3 secondo Ampère.

Figura 6. La tavola delle 23 ‘molecole rappresentative’ di Ampère (1814)

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generale, la distanza e la posizione delle particelle dei corpi sono determinate da tre tipi di forze: la pressione esterna, la repulsione tra le particelle prodotta dal calorico, e le forze attrattive e repulsive proprie delle particelle, che dipendono dalla loro natura e impartiscono qualità diverse ai corpi di specie differente.

All’equilibrio meccanico concorrono tre tipi di forze: la pressione esterna applicata (1), la forza repulsiva intermole-colare associata al calorico (2), le eventuali forze attrattive e repulsive intermolecolari (3).

L’attrazione gravitazionale appartiene a questo terzo tipo di forze e produce i fenomeni della coesione, della ri-frazione, della capillarità, della polarizzazione della luce e dell’affinità chimica.

Le forze proprie delle particelle di materia dipendono, a distanze molto piccole, dalla distanza stessa e dalla natura dei corpi; le funzioni che le rappresentano, e che possono essere molto differenti nelle differenti specie di materia, ci sono completamente sconosciute.

La natura delle forze repulsive intermolecolari rimane sco-nosciuta: Ampère in un lavoro del 1835 le associa alle vi-brazioni dell’etere, il fluido imponderabile responsabile delle forze elettromagnetiche che si riteneva permeasse lo spazio vuoto e la materia tutta.

A questo punto enuncia l’ipotesi di lavoro alla base del suo metodo deduttivo:

In tutti i gas le particelle sono a distanze tali che le forze che gli sono proprie non hanno alcuna influenza sulle loro distanze relative.

Ovvero, le particelle gassose sono a distanze maggiori del raggio d’azione delle forze molecolari, a causa della repul-sione esercitata dall’espansione del calorico, e pertanto la loro interazione è trascurabile. Questo, sarebbe suggerito dal fatto che le miscele di gas non si combinano chimicamente in modo spontaneo e non alterano il volume totale. Ad esem-pio, miscelando gas come idrogeno e ossigeno non si osserva la condensazione ad acqua, come sarebbe dovuto accadere se l’attrazione molecolare fosse stata significativa, inoltre il volume totale risulta uguale alla somma dei volumi parziali.

A questo punto, Ampère considera il classico cilindro pie-no di gas chiuso da un pistone mobile. Le particelle inte-ragiscono con il pistone secondo la forza repulsiva f(T, z) dipendente dalla temperatura T e dalla distanza z particella-pistone.

Indicando con n il numero di particelle per unità di volume (densità), il numero di particelle nel volume infinitesimo

dV= dxdydz sarà N= ndV e la conseguente pressione eser-citata da quest’elemento di gas sul pistone sarà dp= n f(T, z) dV.

Allora, riducendo il problema al caso bidimensionale sen-za perdita di generalità (Figura 8), la pressione totale P sarà

primi, applicando le leggi della meccanica all’ipotesi atomi-stica della costituzione della materia. Sebbene affrontasse il problema da un punto di vista statico, trascurando la distribu-zione delle velocità molecolari, ottenne un risultato corretto e coerente con la successiva rigorosa teoria cinetica dei gas di Maxwell (1859) e Boltzmann (1871).

La legge di Boyle-Mariotte era stata enunciata per la pri-ma volta da Robert Boyle (1627-1691) nel 1662. Quindi, ri-formulata in modo rigoroso da Edme Mariotte (1620-1684) nel 1676, confermò l’analisi di Boyle e specificò le condi-zioni isoterme del gas: se la massa del gas è costante e T=T0, PV= costante, dove T, P e V sono rispettivamente la tempe-ratura, la pressione e il volume del gas (Figura 7).

Oggi, sappiamo che il risultato è corretto in un campo di pressione sufficientemente bassa e di temperatura sufficien-temente alta, nei limiti di validità del gas ideale, PV= nRT, in cui le molecole si comportano come punti materiali non-interagenti tra loro.

Figure 7. Rappresentazione grafica della legge dei gas di Boyle-Mariotte.

Ampère è un raffinato matematico ed epistemologo, per cui la sua analisi è un modello di rigore logico in cui vengono discusse sia la problematica che le ipotesi date:

L’insieme dei fenomeni che presentano i corpi, hanno con-dotto i fisici che ne ricercano le cause, a questa conclusione oggi generalmente ammessa, che le particelle di cui sono composti, di qualunque natura essi siano, non sono in alcun modo in contatto, e che le distanze e le posizioni rispettive di queste particelle sono di conseguenza determinate dall’equi-librio delle forze che sperimentano.

Le ipotesi di base sono tre: i corpi sono costituiti da atomi e molecole (1), le particelle costituenti non sono legate tra loro (2), le distanze intermolecolari sono determinate dall’equili-brio delle forze in gioco (3). Inoltre:

Tralasciando le forze che producono i fenomeni elettrici e magnetici, ancora troppo poco note per poterne parlare in

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nale e non diffusivo, come dev’essere). Nella teoria cinetica dei gas di Maxwell-Boltzmann, la

pressione è interpretata come il numero di collisioni delle particelle sul pistone per unità di area e nell’unità di tem-po. Questo risultato era stato anticipato da Daniel Bernoulli (1700 - 1782) in Hydrodynamica (1738), opera che Ampère conosceva sin da giovane.

Tenendo conto dell’energia cinetica molecolare, la distri-buzione delle velocità porta all’espressione:

PV = Nm<c2>/3 Dove m è la massa molecolare, <c2> la velocità quadratica

media di tutte le molecole (<c2 >= ∑i ci 2 /N ). Quindi, la

popolazione molecolare viene sostituita da una ‘popolazio-ne equivalente’ con velocità media <c>= costante (nulla nel calcolo di Ampère). Allora, essendo n= N/V la densità mo-lecolare, otteniamo la dipendenza della pressione dall’inver-so del volume, ovvero: PV=costante, in accordo con Boyle, Mariotte e… Ampère.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Ampère, A. M., Démonstration de la Rélation Découverte Par Mariotte, Entre les Volumes des Gaz et les Pressions qu’ils Suporttent à une Même Température, Ann. Chim., 94, 145-160, (1815).

Ampère, A. M., Lettre de M. Ampère à M. le Comte Ber-thollet, Sur la Détermination des Proportions Dans Lesquel-les les Corps se Combinent d’Après le Nombre et la Di-sposition Respective des Molècules Don’t Leurs Particules Intégrantes Sont Composées, Ann. Chim., 90, 43-86, (1816).

Wisniak, J., André-Marie Ampère. The chemical side, Educación Química 15[2], 166-176; (2004).

ottenuta mediante una doppia integrazione:P= n ∫ f(T, z)dz ∫ ydz

P= n ò f(T, z)dz ò ydz.

Figura 8. Il sistema modello di Ampère nella deduzione della legge dei gas di Boyle-Mariotte.

Il secondo integrale, è un fattore geometrico costante rela-tivo alle dimensioni del sistema. Il primo integrale è sempli-cemente una funzione della temperatura, F(T) e quindi una costante in condizioni isoterme. Allora, la pressione risul-tante è proporzionale alla densità n, ovvero PV= costante, come volevasi dimostrare.

La deduzione di Ampère, è semplice e geniale, essa rap-presenta il punto di vista microscopico in cui le particelle sono prive di energia cinetica: le particelle hanno posizioni fisse e la pressione totale è il risultato della pressione eserci-tata dalle particelle l’una sull’altra.

Questa ‘teoria statica dei gas’ conduce allo stesso risulta-to della ‘teoria cinetica dei gas’ di cui rappresenta un caso speciale:

il ‘gas di Ampère’ somiglia ad un solido di bassissima den-sità, in cui, con linguaggio moderno, le molecole oscillano intorno alla posizione di equilibrio (il loro moto è vibrazio-

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All’età di 246 anni, Taddeus Sierpinskij ci ha lasciati. Un’età ragguardevole,

certamente; ma, ciononostante, una grave perdita per la Scienza e la Cultura. Non ci si può non chiedere, infatti, quante altre gemme di pensiero avrebbe potuto regalare all’umanità il Nostro, se solo avesse potuto stare con noi ancora qualche tempo. Sulla sua età Egli soleva spesso scherzare: «Non è mio merito - amava ripetere - si tratta soltanto di buona salute». E spesso soggiungeva: «Buona salute che mi deriva probabilmente dall’aver imparato sin da bambino a dire: ‘No!’». Come ebbe a rimarcare una volta, durante una sua conferenza all’università di Cambridge: «Di fronte ad una persona di oggi sono senza dubbio un fenomeno da baraccone; di fronte ad un profeta pre-diluvio sono invece soltanto un giovanotto di belle speranze». Ma ora, purtroppo, se n’è andato per sempre. Parlare di un uomo come lui non è facile: si rischia in ogni momento di cadere nell’esaltazione del personaggio o nel commento più banale. Certo è che Taddeus Sierpinskij è stato un precursore in numerosi campi dello scibile, dalla Matematica alla Sofrologia, dalla Fisica alla Contabilità Generale dello Stato. Elencare tutti i Suoi contributi, noti e meno noti, a quello che potremmo in modo riduttivo definire ‘Progresso Scientifico, Tecnico, Creativo ed Etico’ dell’H. sapiens sapiens, appare impresa destinata in partenza all’insuccesso; tuttavia, uno sforzo in questo senso sembra opportuno e quanto mai attuale in un mondo proteso verso un futuro incerto; in un mondo che dimentica sovente messaggi ed insegnamenti preziosi del passato, quali quelli del Sierpinskij, i soli che possano fornire indicazioni razionali per la soluzione di nuovi e vecchi problemi. A questa impresa, ardua e delicata ma, come detto, dovuta ed opportuna, decidemmo trent’anni or sono di dedicarci, con costanza, testardaggine, rigore ed entusiasmo. (dall’introduzione)

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Il diagramma rituale. Ritualità e rito nella fondazione degli impianti urbanistici in Asia e nelle strutture indoarieVINCENZO CROSIOStorico della conoscenza

suo confine ai percorsi di animali domestici, al confine topo-grafico della comunità di villaggio che sta celebrando una fe-sta o un rituale di sacrificio, è nelle pitture di Cangyuan, nel-lo Yunann. Lì i fiumi, le valli e i grandi anfratti montagnosi permettono ai gruppi umani di scegliersi la sede e la con-formazione del territorio da destinare ai depositi di cereali, alle abitazioni vere e proprie, all’incanalazione delle acque, alle aree per il lavoro dei campi e della cura del bestiame. A Chatal Huyuk ad esempio gli alloggi per gli uomini sono abitati addossati ai monti in una pianta informe, bilocali con l’accesso dall’alto attraverso una scala e che consentono alla famiglia una mensa di pietra, un locale da cucina con focale e separatamente una stanza per dormire. Il pasto viene con-sumato fuori all’aperto, condiviso con altri gruppi se il lavo-ro comune nei campi o nella caccia prevede una spartizione egualitaria. Solo successivamente questo primo impianto ur-banistico diventa l’urbs, la città, dove i gruppi umani si dan-no delle strutture civili e poi in ultimo palaziali, quando la divisione del lavoro e dei gruppi è ormai distinta come fase politica dell’umano. La popolazione urbana ormai è una plu-ralità, i ruoli, le gerarchie, le abilità, sono fissate entro norme rigide e non più fluide, permeabili alle necessità della caccia e della guerra. Le norme di Manu ad esempio sono nella ci-viltà indica estremamente dettagliate circa questa fase che per esempio, trova esplicita organizzazione nel codice di Hammurapi. Nella civiltà cinese questo tipo di legislazione è estremamente procedurale e divinatoria. La coeva e succes-siva divisione in caste è presente nelle civiltà di Urartu, Ha-rappa, Moenjo Dario, culture della valle dello Yangtze, dei gruppi semiti-cananei, nei gruppi asiatici, nelle popolazioni indoarie. Spicca dunque nella fase di stabilizzazione politica la classe sacerdotale i Levi, i Cohen, i Caim per i semiti, gli ksatria e i kavi prima e i brahmana dopo per gli indoiranici, i divinatori(pu) e i sacerdoti(wu) nella Cina arcaica, classe che esprime anche la burocrazia politica e divinatoria, del diritto civile e sacerdotale, cui il rex, il legislatore, il basi-leus, lo ksatr deve non solo il rispetto ma anche le cerimonie

A) IL CENTRO, LA PERIFERIA, L’ABITATO

Quasi come eredità psichica ed immagina-ria, nell’homo sapiens si esprime questa qualità geometrica e spaziale alla costru-zione. Le abitazioni, le abitudini sono da sempre l’abito mentale degli uomini. Il

suo passato nomadico e di piccoli gruppi nomadici sono alla sue spalle quando nelle alte valli siriane e mesopotamiche sorgono i primi villaggi rurali, con gli innesti agricoli, già geometricamente definiti, le nicchie ecologiche che permet-tono la domesticazione, la cacciagione stagionale e non solo più perenne. La foresta cede il passo all’abitato, la grande esperienza del viaggio e della sosta ha prodotto una sapien-za dei luoghi, delle coste e dei fiumi, degli attrezzi e degli utensili, che allontana l’uomo dai chopper e lo avvicina al mattone. Anche nella Bibbia questo passaggio è registrato come discrimine fondamentale, da una primitività incoscien-te ad un uso civile della materia e dei materiali, nella para-bola tutta ebraica dei mattoni, della Torre di Babele, della intercomunicazione/ confusione dei linguaggi e dei popoli, mescolanza rilevante di una interazione dei gruppi etnici e lessicali; opera dunque di un cervello collettivo dei maestri d’opera così importanti in questa fase della comunità allarga-ta alle famiglie e poi ai clan. Nella fase protostorica dunque a dettare la forma degli abitati è indubbiamente il territorio, il clima, le risorse e la consuetudine alla vita sociale dei primi gruppi umani, che dal 9000-8000 avanti Cristo si stanzializ-zano dentro un’area che comunemente chiamiamo mezzalu-na fertile. Le lance, le asce s’incurvano e diventano falcetti per la mietitura, percussori e cunei di rame e di metallo, di-ventano ‘artrum/artrom’, protesi estensive della mano e del braccio, gli artefatti. La forgia e la fucina sono all’ordine del giorno già da tempo.

La prima mappa conosciuta di un impianto urbanistico asiatico primitivo, la mappa di un villaggio di palafitte, a pianta centrale da cui si diramano i sentieri che portano al

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territorio secondo la topografia dei limiti (un boundary lan-guage ante litteram), un diagramma rituale della cultura stes-sa. Un criterio importante per la delimitazione del territorio Shang consiste nella identificazione di territori non-Shang, il centro e la periferia di un territorio vengono chiaramente identificati con un termine equivalente di limes, fang per il territorio Shang e duofang per il territorio non-Shang. Così come vengono identificate due città, una come centro politi-co dello stato Shang (Yin, ‘questa città’, zi yi) e l’altra come centro religioso Dayi Shang (la grande città Shang) detta pure Tianyi Shang (la città celeste Shang). In questo stadio di evoluzione culturale l’epigrafia sacra sancisce la dualità del territorio e delle funzioni della città cinese.

La linea, la regula, la direttrice che permette l’epifania del sacro, la sacralizzazione del campo recintato, il teme-nos (la linea sacra, secondo la giustezza, la misura giusta, la sua epi-steme), è tracciata; la linea geometrica e spaziale è tracciata (l’axis mundi), bisogna solo predisporre il culto e la cerimonia cultuale che attivano questa linea del sacro e successivamente procedere alla delimitazione geometrica dell’ordo, dell’ordinamento, della themis, secondo un punto cardine (cardo) e un punto decumano che sono il canovaccio strutturale, il diagramma rituale, di questa effettuazione se-condo la themis, in greco, che corrisponde alla legge univer-sale, cosmica e pratica che in sanscrito è il Dharma e in semi-tico è la Torah, da una quasi identica radice *Dhrw. Questa tessutazione del terreno, questa scrittura geometrica, questo textus dell’humus, il suo essere mantra invocativo e manda-la dell’humus, identifica secondo uno schema, secondo un modulo spazio-temporale il suo essere rytmos, celebrazione rituale, scorrimento, processione rituale e arytmos, proces-sione numerica, procedura degli atti che in sequenza devono, stanno per essere compiuti per la santificazione del campus, dell’ager che fa dell’humus, una cuivilitas, una civiltà. In Roma sono Quirites che abitano il Quirinale, che compon-gono il collegio sacerdotale, la Curia sacerdotale, che ha un suo magister augustus, un suo pontifex maximus, colui che fa da ponte, da linea corporale, tra gli uomini e gli dei, che ne detta gli auguria, le sue sacrae vocationes, i suoi voti, parole che ne fanno il sacerdote vate; che produce secondo una phonè, la parola santa perché di origine divina, ispirata; è vac, votum, la lex pontificia e lo ius iurandum. Presso i greci è lo archeghetes, l’arconte basileus, che è prophetes nel momento in cui profetizza, pronuncia la parola magica, la parola secondo il rito magico-profetico, che fa la sua pro-phetia; presso i latini è il magister auguralis, che promuove gli auguria e la effatio, la parola mantrica liberatoria della condizione sacra, della sua themis, della sua didascalia, del suo dichtung. Presso gli aria-indù sono i bhrahmana coloro che vibrano (*wbr), la parola (vac) in quanto eredi dei vates, dei veggenti vedici, i Rsi. Nei Celti-germani sono i sacerdoti Druidi. Nella cultura cinese antica sono i divinatori pu e i sacerdoti wu. Coloro che costruiscono la casa, le città sono abili poeti, i kavayah dell’inno vedico AV, III, 17 e come espressamente viene detto nell’inno AV, IX, 3 Brahmana salam nimitam (Questa casa è fondata sul culto). R. Pannikar

di iniziazione alla sua dignità di primus caps, di princeps, del suo carisma come mandato celeste, kudo per il mondo miceneo e greco, de per la Cina antica, massiah per il re mandato, unto ebraico. L’origine celeste della regalità, il suo mandato celeste (tianming per l’antica Cina) è un fatto co-mune a questo stadio di evoluzione storica per tutto il Vicino oriente, il Medio oriente e l’Estremo oriente. Le genealogie divine dei sovrani testimoniano, nella memoria degli scribi di corte, questa necessità. Il diritto comunitario e familiare definiscono i limiti tra clan, status sociale ed evidenze delle élites che sono in questo modo chiaramente e così definite. E’ dunque nella fase avanzata dell’urbanizzazione che emer-ge perentorio lo rto/rta, il diritto, le regole, le cerimonie e le scansioni temporali e dunque ritmiche, aritmetiche dell’ag-gregazione politica dell’umano. Sembra quasi che la regula sia il prodotto delle tecniche e dei riti. Le antichità vediche ci indicano chiaramente questo. Una disciplina ferrea, quasi ossessiva permea dall’alto al basso il sociale-politico come primo luogo comune avanzato, conosciuto, dopo la comunità primigenia. E’ evidente dunque che le cerimonie, il rito e il culto degli antenati, costituiscono il fondamento statutario su cui stabilire le regole dell’agire umano nel nuovo contesto civile. Chi fa e come, è tenuto, nell’ambito delle sue compe-tenze regali, sacerdotali o servili di eseguire il gesto, l’atto operativo/comunicativo in modo:

a) pubblicob) intellegibile c) e successivamente rituale, rispettoso del regolamento

orale e poi scritto.Il primo atto che definisce il territorio, la territorialità di

questa comunità urbana è il suo limes, il confine con tutto il resto. Confine geografico ed etnico, che un magister augu-ralis, un sacerdote istruito nell’agrimensura del sacro, nella limitazione di un ager o di un campus sa come definire in quanto luogo sacro della comunità. La soglia liminare, la pie-tra d’angolo e il recinto sacro, sono i primi segni di questa grammatica del rito, la ritualità, le procedure ordinate (-ordo in latino, ardu in avestico-iranico, rto in sanscrito) che met-tono in moto, agiscono, fanno l’ortosintassi della fondazione che è themis, la trascendente linea di coordinazione tra il ce-leste, il divino e il terreno, che da humus diventa sacer, ager sanctus, ierophanè, ierofania, manifestazione dell’atto sacro-santo; la giustezza che è anche jus, yoga, giogo, legamento col sacro, la linea per dritto, l’ordo universalis, che da questo momento definisce il giusto e lo sbagliato, il diritto e il rove-scio, la linea manca e la linea diritta (la sinistra e la destra), l’atto sano (fas) da quello nefasto (nefas), e dunque anche il suo crimen, il suo essere reato, il suo essere un atto punibi-le. In riferimento al suo essere diritto celeste, ordinamento cosmico, dharma, legge universale ed esso si esprime per la civiltà indoaria in un Signore celeste, Dyaus pitar, Giuppiter, Giove padre, nel (D)yaus dikaios, Zeus della giustizia, come nel miceneo e nel minoico, nel greco, nel latino e nell’indico.

Nella cultura Shang (dinastia Shang 1751-1122 a.C.) sono le iscrizioni oracolari su ossa di animali e su corazze di tar-tarughe a fornirci numerosi elementi sulla ritualizzazione del

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la foresta che permette la penetrazione del lux, della luce in contrapposizione alla nux, alla notte. Dove viene eretto il pri-mo altare sacro di pietra, che è la prima res aedificatoria, la prima cosa da edificare, il cui aedilis, il cui aedo, poietes, è anche un magister sacer aedilis, il suo agrimensore.

Geografia dei luoghi e teologia onomastica servono a sta-bilire questa limitazione, il suo recinto sacro, entro cui il suo prophetes, il suo magister augustus, il suo brahmano, pro-nuncia i voti, le sue parole beneauguranti, le sue hawugas, le sue vauces, le sue voci, il suo sibilare la voce. Il principio archeologico va mantenuto. L’archegheta pone sopra e al centro della fondazione, il sacramentum, le divinità giurate, le antichità prescritte, secondo un principio fondativo, fon-damentale, e la sua archè, la sua arce, luogo cuspidato che è anche l’axis mundi che illumina, dà senso alla comunità, il suo templum, il luogo dello spazio e del tempo sacro. E’ Frontino un gromaticus, un agrimensore del I sec. d.C. a farci intendere cosa sia un templum nel modo sopradescritto. E’ l’universo quadripartito partendo da un centro di un cerchio, l’orbis terrarum, che viene suddiviso in una parte destra e una sinistra e poi ancora in parte a sud e a nord secondo una linea discendente, cardo e una linea secante, decumano. Lo scopo sacrale del quadratio, regionum descriptio è trovare la parte favorevole, dove cioè il sacerdote può riconoscere i segni favorevoli, il sacerdote che opera con il suo bastone divinatorio, il lituus. Siamo cioè dentro una serie di norme

come introduzione a quest’inno: ‘La casa non è solo un ripa-ro per il corpo, è un riparo anche per il mondo intero perché spesso il sacrificio verrà officiato in casa. Infatti la parola sala stava ad indicare innanzitutto l’edificio sacrificale e solo in seguito… assunse il significato di abitazione. Poiché il sa-crifico è il centro della casa e della vita familiare dell’uomo, si dice che la casa viene costruita da brahman, dall’azione liturgica e dalla parola sacra, che è progettata dal kavi, il po-eta o il saggio, ed è la dimora di rta, dell’ordine cosmico’ (R. Pannikar, I Veda, vol. I, pag. 394, Bur).

Il rito di fondazione è dunque il primo atto costitutivo, la sua prima condizione (il condere urbem), di un luogo comu-nitario che costituisce il suo ager cintus, il suo luogo recin-tato, il suo temenos, il suo dharmadatu, definito geografica-mente e geometricamente. Il circolo entro il quale avviene la sua themis, la sua legislazione fondativa, il suo fondamento costitutivo, il suo essere communitas, gemeinwesen, polus-theia. Il limite oltre il quale (extramoenia) ed entro il quale (intramoenia), la comunità è protetta sacralmente. Quel ma-gister, quel maddix, quel sacerdote magistrale sa per espe-rienza e per dettato normativo come va ritualizzato un terri-torio secondo delle regole che costituiscono anche il diritto, la legislzione della città, il suo ius iurandum, il suo essere votum. Il Rito dunque themizza, legifera e sacralizza tutto il locus communis, a memoria di un altro primigenio, ancestra-le luogo sacro, il lucus, il luogo-non luogo, il forum dentro

Torre di Babele, Pieter Bruegel, 1563

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regale e la pagoda hanno a pianta quadra il posto centrale e in cui l’abitato civile si distende come prosecuzione laterali dei gradoni della reggia imperiale. Gli asceti, i guru e gli yogi, o i monaci, abitano o il deserto, o la foresta o un palazzo particolare, in quanto shukke, scomparsi al mondo, fuggiti e rinunciatari del mondo del reale trascendente. Il monastero è sostanzialmente un luogo ‘povero’, di ascesi, prosecuzione di questa fuga volontaria dal mondo, ma ritualizzato anch’esso da un pratica comune col segno del sacro, costruito secondo le regole del mandala e del Feng shui, dove i monaci impa-rano a costruire questa misura del cyberspazio sacro, l’antico mandala primordiale, scrittura sacra del Luogo per eccellen-za. I monasteri zen sono ad esempio l’evoluzione pratica e architettonica di questo modello di cybersintassi estetica che traduce il mandala cosmico in luogo di culto, nel suo dia-gramma mentale. Al centro del quale c’è la sala del Dharma e intorno alla quale si succedono quadrati seriali sostanzial-mente concentrici, al confine dei quali ci sono gli abitati di uso quotidiano, e poi il confine ulteriore con il bosco, o la fo-resta montagnosa, verso cui il porticato coperto guarda come asimmetria sul mondo. Olograficamente ancora il giardino zen, ne costituisce il racconto, la narrazione del suo essere luogo dell’impermanenza assoluta.

In uno Yantra del Rajastan per esempio la divinità, la Shakti è rappresentata da un triangolo al cui interno è un pendolo, con cui sorregge i tre mondi e le tre qualità che li sorreggono, satva, rajas e tamas. Nel Sutra del loto questa edificazione è la Grande Reggia dove si manifestano tutte le divinità e i buddha del passato storico, del presente e fu-turo, ma è anche l’universo profetico del mondo che verrà, la sua apocalisse, la sua Gerusalemme liberata. E’ una me-moria così concreta che Marco Polo ne darà memoria fan-tastica nella descrizione meravigliosa del Palazzo regale di Kublai khan. Nel lamaismo tibetano questa regalità sovrana esoterica è disciplinata attraverso il Tantra, esercizio sacro della rimeditazione del palazzo sacro, dove abita Amitaba, il Buddha delle origini e tutti gli infiniti Buddha dell’antico, del presente e del futuro.

La cuivitas, la civitas del cintus murarius ha un suo centro archetipico nel Templum e nella temporalità sacra, il calen-dario delle regole e dei giorni, i suoi Annales, le sue historiai, i suoi Rig-Veda,i mantarmanjari, i suoi poemi eroici, il Ma-habharata e i poemi omerici, gli eroi eponimi, i suoi arche-ghetes, i suoi fondatori e le divinità che fondano la città-cul-to: la dea madre, Demetra, il dio padre, Zeus, la genealogia degli dei e degli antenati, fino agli uomini e ai suoi fondatori genetici, quali Prometeo e Cadmo, Arjuna e i Pandeva, il suo uomo primordiale, Purusha Sukta, l’Hadama Cadmon di biblica memoria. La città santa, la città celeste si distin-gue però dalla città degli uomini, che recintata nei quarter, nel demos, e nei damusi si distribuisce lungo un pendio o la pianura secondo la divisone del lavoro sociale. Solo le caste alte e le corporazioni mercantili hanno il privilegio di abitare nella seconda cinta muraria, mentre il centro viene occupato dagli Aria e dai Brahmani. Nella civiltà palaziale minoica e micenea l’adattamento del megaron, grande atrio centra-

che sono il frutto della intuizione divinatoria e della sapienza tramandata. Una teologia dei nomi e dei luoghi, un diagram-ma rituale che descrive, sacralizzandolo, il territorio. E’ così per lo Zigurrat, è così per il tempio greco,è così per la tenda sacra, dove è conservata l’arca contenente la disciplina litur-gica fondamentale, la Torah; sarà così per l’ashram indico, dove avviene la puja, la cerimonia sacra del fuoco, l’agni gothra all’aperto e al chiuso. L’agni gothra ultima memo-ria vedica ancora presente in India, la cerimonia del fuoco, avviene dopo che è stato costruito un fabbricato in mattoni che lo cinge, cerimonia e gesto simbolico del fuoco vivo, del focolare e delle Vestalia che dominano il mondo arcai-co indo-ario e asiatico in particolare. L’antico rito sacrificale vedico dell’agnicayana (letteralmente accumulo dell’Agni) ancora praticato dai brahmani ultraortodossi, detti Namburi, del Kerala. Questo rito richiede la costruzione di un altare del fuoco a forma di uccello composto da più di duemila mattoni (iṣṭaka). Il rito ha la durata di dodici giorni, e durante la co-struzione occorre, tra l’altro, la recitazione di specifici man-tra estratti dal Veda. Sembra quasi che questo rituale, tranne poche eccezioni, segua un percorso prestabilito dentro proce-dure, modelli e una vera e propria cybersintassi di complica-tissime dimensioni, un ipertesto in cui la scrittura è a quattro, dieci e a volte 24 dimensioni. Segua un modello matematico altamente complicato. Scrive R. Calasso in ‘L’ardore’, pag. 31: «Perché gli uomini vedici erano così ossessionati dal ri-tuale? Perché tutti i loro testi, direttamente o indirettamente, parlano di liturgia? Volevano pensare, volevano vivere in certi stati della coscienza. Scartato ogni altro, questo rima-ne l’unico motivo plausibile. Volevano pensare e soprattutto essere coscienti di pensare. Questo avviene esemplarmente nel compiere un gesto. C’è il gesto - e c’è l’attenzione che si concentra sul gesto. L’attenzione trasmette al gesto il suo significato»

E’ nel ricordo italico e latino il flamen, il fuoco sacro e il rispettivo collegio sacerdotale, i flamini, da cui la gens Flaminia e i suoi culti particolari, i Flamina. In ricorso di questo primitivo, ancestrale mos compobratus, in Roma sto-rica si costruiranno gli altari in pietra, compresa l’ara pacis augustea, in memoria dell’antico altare all’aperto, palizzata dentro il lucus. Così come il mandala è in origine lo schema di costruzione del Palazzo e dell’abitato esterno, il centro e la periferia, la reggia sacra, del re sacerdote indo-asiatico, lo ksatria, lo csar, colui che è Rex e basileus e l’intorno della città, l’abitazione dei demoi, delle corporazioni e delle ca-ste. Nella cultura indica il mandala è uno yantra rituale, in cui sono iscritte le sillabe sacre della fondazione del cielo e della terra, è una perfetta ricostruzione dell’abitato celeste e terreno, una regola e un regolamento di come è costruita la città celeste e di come si deve costruire la città terrena, la visione cosmoteandrica dell’universo. In cui sono iscritte le formule sacre e le sillabe da pronunciare, con al centro l’Om, il brahm, il vibratim, la voce vibrata, il flumen e i flumina, la voce e vibrazione originaria.

Tutte le città asiatiche, centro ed estremo orientali hanno questo schema del mandala, questo modulo in cui il palazzo

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libri sibillini per l’una, ad esempio, e il libro dei Ching per l’altra. E sono poeti veggen-ti, abili artisti, quelli che comporranno gli inni, gli edifici oraco-lari, le sacrae aedes, e le parole ispirate, i bija mantra indoarii e i sacramenta latini: i kavayah indici, i magi-stri augurales, e i navi semitici nella costru-zione dei salmi e degli inni sacri biblici. In questa misura va letto anche tutto il poema virgiliano dell’Eneide, come rimemorazio-ne tarda, restaurativa degli antichi mores, in età augustea, ispi-rata da quella pietas, da quella antica mater (antiquam exquirite matrem! Eneide, III, 96). Tutto questo se-condo i presocratici definisce il pankratos, l’universo intero degli uomini e degli dei, la civiltà vitale, il bios, e la civiltà umana del

kratos, della forza consapevole degli uomini.Questa abilità artistica ci è stata tramandata chiaramente

dal mondo minoico attraverso il dedaleion, le costruzioni de-daliche, il labirinto e la leggenda del primo costruttore, archi-tetto, sbarcato nell’Europa occidentale in un viaggio simboli-co ed altamente significativo. Il mito di Dedalo ed Icaro, che dalle prigioni minoiche approdano alla Cuma d’occidente, quasi a delimitazione e a celebrazione iniziatica di un altro tipo di città e di culto, quello antico-preolimpico e ctonio, la città di Ade. Quello orfico sciamanico, che fonda sacralmen-te le città e le ordina secondo il rituale catactonio proprio delle città asiatiche-ioniche.

Esaminiamo ora il rituale di fondazione indoario romano, il rituale di purificazione indoario di una città e la descrizione dell’oltretomba nel rito della nekuya di una città particolare, la città dei morti, il sacro Ade.

B) IL RITO INDOARIO ROMANO DELLA FONDAZIONE

Il giurista Gaio ricorda che era definito sacer il terreno o l’edificio che fosse designato tale da una legge approvata dal popolo romano. Il concetto di spazio urbano e i riti di fonda-

le del palazzo o della villa, testimonia del passaggio della comu-nità organica alla co-munità politica divisa in classi secondo la divisione del lavoro. La pianta dunque può essere centrale, ovale o quadrata a seconda dell’idea statutaria, la sua themis, che gli ar-cheghetes hanno scelto secondo la volontà au-gurale del sacrificio di cui parleremo tra poco, il rito di fondazione.

Un collegio magi-strale definisce dunque secondo questi mores parentum,il mos com-probatus, abitutidini antiche, la memoria dei padri, la successio-ne temporale ritmica e non ritmica (aritmos) di questa ripetizione in serie, di questa ritualità seriale, e in capitoli (le leggi di Manu, i man-tramanjari, i codici e le formule, i regola-menti, i libri profetici e sibillini, il feng shui, gli inni sacri) di queste forme (numa e rupa, nome e forma, nome et subsustantia rerum - il vero e proprio brahman, il suo aeòn, l’ayus, la sua essenza; la sua forma e i suoi linea-menta). Tutto questo è una Regula, un regolamento cui sono tenuti al rispetto tutti, la totalità di ogni genere, perché questa è la themis, il dharma, la costituzione fondamentale, dunque anche la sua parte divina. Il regolamento, lo ius, il legamento (bund) tra cielo e terra secondo una visione comune. Il suo luogo comune dunque, l’abitato, serve all’uomo per vivere secondo le regole dei padri, del padre, e della legge che un magister regalis fa rispettare, la cui funzione è quello di sal-vaguardare questa unione armonica tra cielo e terra, è esso stesso un pontifex magister. ‘Solo quando gli uomini arroto-leranno lo spazio come se fosse una semplice pelle, solo allo-ra ci sarà fine al dolore senza riconoscere Dio?’ Recita l’Inno SU VI, 20. E sarà sulla pelle di capra o di bue, che l‘Ulisse di Omero e il più tardo Giasone di Apollonio Rodio, scrive-ranno le prime mappe terresti o di navigazione. Saranno le pietre e i legni oracolari, o la corazza delle testuggini, a con-servare le prime parole sacre, le prime sillabe sacre, in India e in Cina, i bija mantra secondo la sapienza ispirata del bra-mahvidya vedica, o della mantica oracolare greca e cinese. I

Mandala buddhista

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nari, in due fasi centrali e in due terminali, questo rito che Van Gennep sottoscriverebbe come originale se se ne fosse occupato come tale, come rito sciamanico religioso di inizia-zione alla catabasi. Ma a questo hanno posto rimedio Fraser ed altri e per ultimo con certezza d’acume Pugliese Carra-telli, riconoscendolo come tale, anche se dentro lo specifico contesto cultuale orfico. Dunque anche l’orfismo va ricon-dotto ai culti originali, di religione primigenia non olimpica e non politica dell’area traco-misia, trasmesso tal quale dal profetismo sciamanico della Sibilla cimmeria a Cuma, del cui lontano deposito misio-teutranico è attestazione nel ter-ritorio e nella topologia nomica, oltre che nella memoria e l’ immaginazione poetica di Stazio (Silvae, III, V 74-5) e Ne-vio (Bell. Punicum fr. 18B). Tutta la scena è in questo clima e in questo ambiente che ben collima con l’amore georgico di Virgilio, originario ricordiamolo di un territorio contadino e cimmerio, gallico, nordico, come il mantovano. La scena sono i boschi e gli anfratti dell’Averno e di Cuma, il rito è scandito da testimonianze telluriche chiaramente epifaniche del dio Poteidon e di Demetra/Ecate. Ricordiamo qui che la triade Poseidon/Plutone, Hera-Demetra e Kore/Persefone, e Dioniso-Zagreus si contendono il dominio ancestrale della terra come scuotimento, del suolo tellurico e cavernoso e delle fonti di zampillamento, già nella Teogonia di Esiodo e nei miti correlati alle origini greche. La scansione dei tempi della scena sacrale, epifanica nel doppio aspetto di profezia oracolare e nekyomanzia (divinazione per consultazione dei morti), vera e propria ierofania, manifestazione del sacro, avviene in questo modo:

Una fase preparatoria a) ricerca e contatto con la sacerdotessa di Apollo, la Si-

billa; possessione (enθousiasmòs) e primo oracolo della pro-fetessa

b) condizioni della discesa agli inferi, prescrizioni rituali: 1) purificazione dell’intorno col seppellimento more paren-tum, secondo il costume degli antichi, del cadavere di Mise-no sull’omonima spiaggia; 2) la ricerca e lo spicco del ramo d’oro, quale munus alla Iuno infera, Proserpina.

c) L’epifania di Ecate Trivia, che annuncia l’avvento della Notte

La “catabasi”a) L’ingresso in antrum, - in ferum - nell’Oscuro (cata-

basi), dove Enea e la Sibilla si intrattengono in un vestibo-lo pre-Ade, primo incontro con le anime infere e attraver-samento dell’Acheronte, dopo aver mostrato a Carun il ramo d’oro

b) Incontro con Didone e gli eroi troiani mortic) L’Aurora annuncia che il tempo della Notte sta sca-

dendod) Enea e la profetessa presso le porte dell’Ade. Enea ap-

pende alle porte dell’Ade vero e proprio il ramo d’oro.e) Enea al bivio tra Tartaro e Campi Elisi. Incontro con

Museo che lo conduce da Anchise che gli predice quanto avverrà nel Lazio e gli espone la dottrina orfica della puri-ficazione lethéia, nel fiume dell’Oblio, - catarsis lèthaia - e dell’incarnazione e delle rinascite che regge tutto l’universo

zione della città esprimono la volontà esplicita di delimitare un’area in cui si manifesterà la volontà degli dei protettori della città e non altri. Spazio urbano sacro perché protetto da-gli antenati e dagli dei cui è dedicata la città stessa. La puri-ficazione dello spazio è dunque una precondizione affidata ai magistri augurales, ai sacerdoti che conoscono la disciplina e le tecniche dell’effatio (parola magica, formula magica che definisce il luogo) e il rito della liberatio, la cacciata dei de-moni contrari alla città, formule magiche che liberano l’area stessa dall’influenza maligna, nefasta dopo che è stato trac-ciato il sulcus primigenius con un aratro trainato da un toro e una mucca. Questa prima parte del rituale serve a delimitare l’area nella quale il sacerdote romano trae gli auspicia urba-na, i segni positivi o negativi mandati dagli dei. La parte re-stante della superficie urbana rimane però civile, profana ed è lo spazio intra-moenia, e dunque abitabile. Sono sacre solo la cinta muraria e il suo pomerium, la fascia di terra dentro al solco stesso e fuori del solco stesso che non può essere abi-tato e che in qualche modo delimita il confine tra l’interior e l’exterior del luogo sacro stesso alla comunità. Dunque è una topografia sacra che definisce lo spazio sacro da ciò che non lo è, la sua totemizzazione e il suo tabù. E’ un locus effatus et saeptus secondo il rito antico, more parentum, il costume degli antenati. Il termine ritus indicava l’ordine ufficiale dei gesti sacri, il rituale della consacrazione, della fondazione e del sacrificio. Erano cioè sacra, i riti sacri.

C) IL RITO CATACTONIO, LA DISCESA NELL’ADE,

DIVINITÀ PRESCRITTA ALLA SACRALITÀ DELLA

CITTÀ-REGNO INFERO

Di questo ed altro ci parla il libro VI dell’Eneide, cioè dell’iniziazione ad un rito di nekyomanzia, di catabasi tipico dello sciamanesimo dionisiaco e orfico, attestato ampiamen-te per l’area analoga della Misia-Lidia e della Troade tracica, in particolare con i culti del tempio di Hierapolis in Frigia, in Anatolia, nel luogo di connessone se non di origine, con l’origine propria del culto tragico-dionisiaco, la Tracia balca-nica, da Mircea Eliade e Dumezil. Virgilio dunque e il libro VI dell’Eneide è la memoria più recente, primo secolo prima di Cristo, raccolta da Virgilio sui luoghi napoletani e flegrei e nel suo ultimo viaggio in Grecia - su questa memoria religio-sa antica - prima di morire sulle sponde pugliesi e seppellito per sua volontà a Napoli, sulla via che da Mergellina porta alla baia flegrea. Non poteva essere dunque se non Cuma, e il capo di Miseno la messa in scena della discesa agli inferi di Enea, eroe Troiano sconfitto proveniente dalla guerra di Troia nella troade misia contro gli Achei del Peloponneso, alla ricerca di un incontro col padre Anchise (solo un cenno prefigurato nel libro III da Eleno altro sacerdote indovino che lo invita a rivolgersi alla Sibilla a Cuma), che non aveva fatto in tempo a dirgli quali destini gli riservava quel viaggio sulle rotte del Tirreno. Anchise muore prima di poter dire ad Enea la profezia tragica ed eroica delle genti asiane nel Lazio. E la fantasia religiosa di Virgilio ricostruisce, poeticamente, il rito di iniziazione attribuendolo ad Enea, in due fasi prelimi-

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M. Liverani. L’Antico Oriente. LaterzaP. D’Amore. La Palestina e l’Arabia; L’Anatolia dall’età

del bronzo agli stati aramaici,in Atlante di Archeologia. UtetA. Padoux. Mantras et diagrammes rituels dans l’hindui-

sme. CNRS, ParisG. Tucci. Teoria e pratica del mandala. Ubaldini. Astro-

labioO. Rotermund. Collection de sable et de pierres. Shaseki-

shu. GallimardE. Anati. Il museo immaginario della preistoria. Jaca BookP. Gros. Roma. in Atlante delle Religioni. UtetJ. Scheid. Le liturgie romane. UtetD. Sabbatucci. La religione di Roma antica. Il SaggiatoreJ. de Vries. I Celti. Jaca BookR. Tagliaferri. La magia del rito. Ed. MessaggeroS. Levy. La doctrine du sacrifice dans les Brahmanas.

P.U.FG.P. Carratelli.Tra Cadmo e Orfeo. Il MulinoP. Scarpi.Le religioni preelleniche di Creta e Micene in G.

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Pugliese Carratelli, Magna Grecia.W. Johannowsky.L’organizzazione del territorio in età

greca e romana. Napoli. 1985Arpad Szabo. Le scienze, in Optima hereditas. Utet

(la dottrina del sēma soma). La “anabasi”a) L’uscita ab antro - ab fero - (anabasi) verso la luce del

Giorno (Dyaus) attraverso le due porte del Sonno oltre i So-gni illusori. Anchise, il padre di Enea li accompagna fin alle soglie e li fa uscire dalla porta d’Avorio, la porta delle ombre sottili, illusorie.

Come ben si vede qui il tracciato della città infera è la co-struzione di un labirinto dedalico che giustifica l’iscrizione sul tempio d’Apollo dell’epigrafe che ricordava l’approdo di Dedalo nella città cumana e la costruzione del tempio attri-buita a Dedalo stesso.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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te; La Mesopotamia dal protourbano alla caduta di Babilo-

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ROBERTO SCANDONE, LISETTA GIACOMELLICatastrofi naturali: Previsione e Prevenzione

ROBERTO SCANDONE, LISETTA GIACOMELLITerremoti e Catastrofi sismiche in Italia

GIOVANNI MENDUNILe catastrofi idrogeologiche in Italia

FRANCESCO M. GUADAGNO E PAOLA REVELLINOLe Frane: tra difficoltà interpretative e modifiche dell’ambiente

antropizzato e del climaRAFFAELLO CIONI, ROBERTO SANTACROCE

La pericolosità vulcanicaVINCENZO ARTALE E ALESSANDRO DELL’AQUILA

Evoluzione del clima della regione mediterranea

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Le ricerche e gli articoli scientifici sono sottoposti prima della pubblicazione alle procedure di peer review adottate dalla rivista, che prevedono il giudizio in forma anonima di almeno due “blind referees”.

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Essere o non essere, questo è il problema! LUCA GRANIERIDottore di ricerca in matematica

costruiti artificialmente per astrazioni successive, magari partendo da procedure concrete.

Forse, la matematica potrebbe essere entrambe le cose, un po’ inventata ed un altro po’ scoperta. Su queste questioni si veda ad esempio [8,3,7,11].

Naturalmente, i riferimenti a Platone e ad Aristotele sono piuttosto approssimativi e di certo opinabili. Ma, come tal-volta si dice, la matematica non è un’opinione!

Comunque stiano le cose, come fanno i matematici a sa-pere che qualcosa esiste davvero? In effetti, non bisogna pensare che le questioni di esistenza siano un lusso o una sofisticheria inutile. Si consideri infatti il seguente

(Paradosso di Perron) Il più grande numero intero è 1.

Dimostrazione. Sia N il più grande numero intero. Poiché 1 è un numero intero, allora 1 ≤ N. D’altra parte, se fosse 1<N, moltiplicando per N si otterrebbe N < N2, che contrad-dice il fatto che N è il più grande tra tutti i numeri. Allora dev’essere N = 1.

Naturalmente, i problemi nel ragionamento precedente sono proprio nella premessa, nel fatto cioé che il numero più grande tra tutti i numeri esista davvero.

Pertanto, chiarire qualche idea sul problema dell’esistenza è piuttosto importante.

1. COSTRUTTIVO O NON-COSTRUTTIVO?

Un primo modo per stabilire l’esistenza di un oggetto è quello di esibirlo, costruirlo. Come ci ha insegnato Euclide, in questo senso, il triangolo equilatero esiste perché lo pos-siamo costruire, ad esempio utilizzando riga e compasso. Da questo punto di vista (costruttivismo) lo Yeti esisterebbe se fossimo in grado di trovarlo, fotografarlo e magari toccarlo con mano.

Ma lo stesso Euclide contempla un altro modo, forse più

Gli orsi polari esistono. Forse ancora per poco ma comunque esistono.

Gli unicorni, a quanto pare, non esisto-no. Alcuni filosofi potranno anche dis-sentire, ma in linea di massima, almeno

su cose concrete come queste, possiamo tutti essere più o meno d’accordo. Ma quando rivolgiamo l’attenzione a cose più astratte la faccenda si complica alquanto.

Dio esiste o non esiste? Su quale possibilità scommettere-ste, ci chiederebbe B. Pascal? ([6, Cap. 11]). D’altra parte, Dio stesso, rispondendo a Mosé dal roveto ardente (Esodo 3, 13-14) in fondo ci tiene proprio a puntualizzare in qual-che modo la propria esistenza. Del resto, anche la questio-ne metafisica per eccellenza: Perché esiste qualcosa anziché il nulla? costituisce alla fine un problema di esistenza. Non bisogna pensare però che le questioni di esistenza siano in-teresse esclusivo di teologi e/o filosofi. Anzi, man mano che l’impresa scientifica avanza, e divenendo più astratta, tali questioni acquistano maggiore rilevanza. Come facciamo infatti a sapere che ad esempio quark e buchi neri esistono?

Rivolgendoci alla scienza, non possiamo non imbatter-ci nella matematica che tratta di quanto più astratto non si può. La questione obbligata é allora: In che senso gli oggetti matematici esistono? Sebbene se ne discuta da millenni, la questione è tutt’altro che archiviata, specialmente rispetto al fondamentale quesito: La matematica è scoperta o inven-zione?

Il tema della scoperta rimanda ad una tradizione filosofica che potrebbe considerarsi di stampo platonico. Gli oggetti matematici esisterebbero in un mondo a sé, magari accessi-bile con il solo pensiero. Compito del matematico è penetrare in questo mondo per scoprirlo. In questo senso, il matema-tico scopre un teorema in modo più o meno analogo a come Colombo scoprì l’America.

Il tema dell’invenzione rimanda invece ad una tradizione, più o meno vicina a posizioni di stampo aristotelico, secondo la quale gli oggetti matematici sarebbero in qualche modo

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sta. Se invece p non è primo, poiché ogni numero è prodot-to di numeri primi, allora p è divisibile per qualche numero primo. Ma non es-sendo divisibile per nessun primo della lista data, essendo il resto della divisione sempre pari ad uno, allora ci dev’essere comunque qualche altro primo che non si trova nella lista data. Ingegnoso, senza dubbio.

Tuttavia, l’argo-mento di Euclide pone un limite su-periore entro cui è possibile trovare questi nuovi primi che ampliano la lista di partenza.

Ad esempio, dati i numeri primi 2, 3, 5, 7, l’argomento di Euclide prova che esiste almeno un al-tro primo più picco-lo di 211 = 2 · 3 · 5 · 7 + 1.

E questo primo può essere determi-nato con un metodo costruttivo, ad esem-

pio con il crivello di Eratostene. Quest’ultimo consiste nel depennare dalla lista di numeri interessata, nel nostro esem-pio quella dei numeri fi no a 211, tutti i multipli di due, poi tutti i multipli di tre, poi tutti i multipli di cinque, e così via. I numeri che sopravvivono a questa operazione sono solo e soltanto i numeri primi di quella lista. In questa prospettiva, l’argomento euclideo, o meglio l’argomento euclideo unito al crivello di Eratostene, può essere considerato in qualche misura costruttivo. In effetti, il fatto che un metodo costrut-tivo, come ad esempio il crivello di Eratostene, sia in grado in linea di principio di trovare sempre nuovi primi è alla fi ne garantito da un argomento non costruttivo, ovvero dal fatto di sapere che la lista dei numeri primi non si esaurisce mai. Pertanto, il crivello di Eratostene ci dovrà indicare un primo minore di 211 diverso da 2, 3, 5, 7. Altrimenti, senza questa garanzia, avremmo potuto trascorrere molto tempo calco-lando senza alla fi ne trovare niente di nuovo.

esoterico, per sta-bilire l’esistenza di qualcosa. Ad esem-pio, quando oggi si afferma che Esisto-no infi niti numeri primi ( [1, Cap. 1] per la rassegna di sei diverse dimostra-zioni), tali numeri, infi niti, esistono non perché si possa dire costrut t ivamente chi siano, ma per-ché Euclide ci ha mostrato che non può che essere così, poiché altrimenti la matematica sarebbe contraddittoria. E in una teoria contrad-dittoria, per la legge di Duns Scoto (vedi [5, cap. 1]), è vero tutto e il contrario di tutto. Allora, in questo senso, lo Yeti esisterebbe non perché lo abbiamo catturato, ma perché altrimenti il mondo non sarebbe quello che è e due più due non farebbe quattro. Può sembrare stra-no, ma molti risul-tati importanti della scienza si basano proprio su questo modo di pensare, spesso e volentieri non-costruttivo.

Tuttavia, in matematica non sempre è facile (o possibile) distinguere ciò che è costruttivo da quello che non lo è. L’ar-gomento di Euclide sui numeri primi può ad esempio essere considerato in prima battuta non costruttivo in quanto si limi-ta a dire che data una qualunque lista di numeri primi, esiste un non meglio specifi cato numero primo che non si trova nella lista di partenza. Se ad esempio in questa lista ci sono diciamo i numeri primi p1, p2, p3, p4, allora Euclide considera il nuovo numero

p = p1 · p2 · p3 · p4 + 1

ottenuto moltiplicando i numeri primi dati tra loro e poi aggiungendo uno. Questo nuovo numero p è senz’altro più grande di tutti i primi di partenza. Ora, se p è primo allora abbiamo trovato un primo (lo stesso p) che non era nella li-

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ciato può essere vero o falso. Se escludiamo che sia falso, allora deve essere vero. Se invece escludiamo che sia vero, allora deve essere falso. Tutto qui. Si tratta di un metodo in-diretto perché non proviamo ad esempio che una cosa è vera, ma soltanto che non può essere falsa. Naturalmente, in quan-to detto fino ad ora c’è qualcosa di implicito che vale la pena mettere in evidenza. Il primo assunto implicito, come abbia-mo già detto, è il cosiddetto principio del terzo escluso. Cioè, stiamo ammettendo che per un enunciato esistono soltanto due possibilità, vero o falso. Nessuna terza opzione. Questo assunto corrisponde ad una logica a due soli valori di verità.

L’altro assunto implicito è il cosiddetto principio di non contraddizione, per il quale niente può essere contemporane-amente vero e falso. Questo principio corrisponde al deside-rio di evitare i paradossi, le contraddizioni, in accordo con la legge di Duns Scoto.

Anche nella formulazione del risultato di Euclide sui nu-meri primi si annida la riduzione all’assurdo. In effetti, l’ar-gomento di Euclide mostra che l’insieme dei numeri primi non è finito. Se infatti, per assurdo, così non fosse, allora tale insieme sarebbe tutto contenuto in una certa lista di nume-ri primi. Ma allora, visto che possiamo trovare un numero primo che non si trova in quella lista, avremmo una contrad-dizione. Pertanto i numeri primi sono infiniti, così come lo sono i numeri interi (per una introduzione al tema dell’infini-to si veda [5, cap. 16]). Qualunque lista di numeri interi non può contenerli tutti. Infatti, possiamo sempre considerare un numero talmente grande da non comparire nella lista data.

3. ASTRATTO O CONCRETO?

Esistere in senso costruttivista può senz’altro apparire un modo più concreto di considerare le cose rispetto ad un metodo indiretto. Qualcuno dalla mentalità pratica potrebbe infatti chiedersi: ma a cosa può mai servire sapere che qual-cosa esiste così in astratto? Un caso paradigmatico riguarda il cosiddetto Teorema di finitezza di Hilbert. Hilbert inviò il suo lavoro scientifico ad una delle più importanti riviste di matematica, i Mathematische Annalen. Paul Gordan, un esperto del settore per tale rivista, non voleva accettare per la pubblicazione il lavoro di Hilbert. Troppo astratto. Questa è Teologia, non Matematica! fu il suo commento.

Ma i matematici riconobbero ben presto l’importanza e l’utilità del metodo di Hilbert. Lo stesso Gordan dovette poi ammettere che anche la teologia ha i suoi pregi.

Inoltre, paradossalmente, può capitare che l’esistenza in astratto possa produrre quella in concreto. Per illustrare la questione ricorriamo ad un esempio.

In molte circostanze, anche pratiche, si perviene al pro-blema di determinare il massimo di una funzione matema-tica. Si tratta ad esempio di un tipico problema che in certe circostanze incontrano gli studenti durante gli ultimi anni di scuola superiore o nei primi di università.

Ora, tornando al nostro caro Sherlock Holmes, facciamo finta che tale massimo sia l’assassino in uno dei suoi casi po-lizieschi. Ovviamente, se l’assassino non esiste, ad esempio

2. PER ASSURDO

Il tipico modo per ottenere risultati non-costruttivi è tra-mite la cosiddetta dimostrazione per assurdo, che tra l’altro abbiamo già utilizzato nello stabilire il paradosso di Perron.

Nei giochi a quiz ogni domanda è corredata da una lista di possibili risposte, composta ad esempio da quattro alternati-ve. Ovviamente, se il concorrente conosce la risposta giusta dà questa risposta e tutto finisce lì. Questo è un metodo diret-to per risolvere la questione.

Ma c’è anche un altro modo, più indiretto, per rispondere. Sherlock Holmes, il famoso detective, in una sua avventura affermò: quando si sia escluso l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, è pur sempre la verità. Mi pare di aver sentito anche il vulcaniano Spock affermare qualcosa del genere nel film alla ricerca di Spock della saga Star Trek. E se lo dice Spock c’è da fidarsi!

D’altronde, il ragionamento di Holmes è limpido: si tratta di un ragionamento per esclusione. Io non conosco la rispo-sta esatta. Ma so che esiste una sola risposta corretta. Allo-ra, se riesco ad escludere tre risposte su quattro perché non possono essere la risposta giusta, quella che resta, per quan-to bizzarra possa essere, deve essere la risposta giusta. E il gioco è fatto. Dovrebbe essere chiaro anche perché si tratta di un metodo indiretto. Diamo la risposta giusta non perché conosciamo la risposta esatta, ma soltanto perché le altre ri-sposte non possono esserlo. Del resto, questo succede spesso quando ad esempio andiamo dal medico. Dopo il colloquio e la visita, anche se non ce lo dice, spesso il medico continua a non sapere da quale malattia siamo affetti. Allora, in base ai sintomi, dentro di sé può pensare qualcosa del genere: Ok, quindi può essere una infezione di questo batterio, o di un certo virus, che potrebbe passare da sola tra qualche giorno, o la malattia cavolina (una malattia che mi sto inventando al momento e che si cura mangiando cavolo per un mese). Va bene, allora gli prescrivo un antibiotico. Intanto, l’effetto placebo qualcosina può sempre fare. Comunque sia, alla fine della cura, se il paziente è guarito tanto di guadagnato. Se non è guarito gli faccio mangiare cavoli a merenda. Se poi i sintomi persistono mi rivolgo allora all’antivirale. Se poi il paziente muore allora cosa volete da me? Sono un povero dottore non un mago!

Naturalmente, le cose nella realtà sono ancora più compli-cate. Chi ha visto dottor House in TV può intuire di cosa si tratti. Il problema è che in medicina o nelle indagini di poli-zia, le alternative possibili possono essere anche molte di più di tre o quattro e potrebbero riguardare anche cose (ad esem-pio malattie) ancora da scoprire. Anche chi ha figli piccoli spesso deve ragionare in questo modo. Se il bimbo piange avrà fame. Se non ha fame allora potrebbe avere il pannoli-no sporco. Altrimenti avrà sonno. E se continua a piangere inconsolabile allora forse non si sente bene ed è meglio con-sultare il pediatra.

Ora, la dimostrazione per assurdo è un caso semplificato rispetto a quello dei quiz televisivi. Si tratta del caso in cui ci sono soltanto due alternative tra le quali scegliere. Un enun-

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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[2] R. Courant, H. Robbins, Che Cos’è la Matematica?, Bollati Boringhieri, 1971.

[3] E. Giusti, Ipotesi sulla Natura degli Oggetti Matemati-ci, Boringhieri, 1999.

[4] L. Granieri, Ottimo in Matematica. studi progressivi per (quasi) tutti, in preparazione.

[5] L. Granieri, Elementi di Matematica, Matematica Ele-mentare pre-Universitaria, LaDotta, 2013.

[6] L. Granieri, Dio c’è e la scienza, Edizioni LaDotta, 2015.

[7] R. Hersch, Cos’è davvero la matematica, Baldini & Castoldi, 2001.

[8] M. Livio, Dio è un matematico, RCS Libri, 2009.[9] P. Odifreddi, C’era una volta un paradosso, Einaudi,

2001.[10] P. Odifreddi, Le menzogne di Ulisse, Longanesi,

2004.[11] J. D. Stein, La Matematica non è un’opinione, New-

ton Compton, 2010.

perché la presunta vittima è morta di morte naturale, allora non ha senso cercarlo. Sarebbe una fatica sprecata.

Ha senso allora sapere che l’assassino, anche se in astratto, esiste per poi tentare di acciuffarlo. Altrimenti, quand’anche si avesse una lista di persone sospette, le indagini potrebbero non portare a nulla, o peggio a mettere in carcere un inno-cente. Allora, da questo punto di vista, se l’autopsia riesce a determinare con certezza le cause della morte, abbiamo un vero e proprio teorema di esistenza (o di non-esistenza). Per il problema del massimo, un tale risultato potrebbe essere costituito dal Teorema di Weierstrass ([4, sez. 5.1]), tipica-mente non-costruttivo, per il quale, sotto certe condizioni, un tale massimo esiste, anche se non sappiamo chi sia.

In molte situazioni, è poi relativamente facile stilare la lista dei sospettati. Si tratta dei cosiddetti punti critici o stazionari. Pertanto, l’assassino deve trovarsi in questa lista. Magari per Sherlock Holmes le cose potrebbero essere più complicate perché ad esempio i sospettati potrebbero mentire. Ma una funzione matematica non mente. Basta controllare i punti di tale lista uno per uno (se naturalmente non sono troppi) e il gioco è fatto. L’assassino non ha scampo e in questo modo lo mettiamo con le spalle al muro.

Ma questa strategia funziona solo perché preventivamente avevamo dimostrato in astratto che l’assassino esisteva.

Pertanto, anche l’astratto può essere più concreto di quanto non si pensi.

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viene calcolata la probabilità AIS 4 +, concludendo che la lesione alla testa è più pericolosa in caso di pedone adole-scente, mentre la ferita della cassa toracica è più pericolosa nel caso di ciclista adolescente. Inoltre il ciclista adolescente ha una maggiore possibilità di sopravvivenza rispetto al ci-clista adulto. Incidentologia e simulazioni mostrano che il parabrezza è una posizione di impatto frequente per testa e torace.

1. INTRODUZIONE

Ogni giorno in Italia un ciclista perde la vita, e altri ciclisti mostrano ferite più o meno gravi, che richiedono ospedalizzazione. I numeri mostrano una vera emergenza per-ché ci sono almeno 1.000 morti negli ulti-

mi 3 anni. Il rischio di mortalità, calcolando il valore medio di 1, per i ciclisti è 2.18, più del doppio del valore di base. Il tasso di mortalità è uguale a 0,78 per le automobili, 0,67 per i camion, 0,48 per gli autobus, 1.06 per i ciclomotori.

Le cause degli incidenti sono le condizioni delle strade, troppo spesso ina-deguate e pericolose per la presenza eccessiva di bu-che, tombini installati in modo non corretto e ter-reno irregolare. Il pericolo più grande per il ciclista è determinato da automo-bili e camion che sono classificati come le cause più pericolose. La causa di possibili incidenti, tut-tavia, è determinata dalla disattenzione del ciclista o da una condotta dissoluta

Le situazioni di impatto e la dinamica di ciclista e pedone sono le informazioni fondamentali per lo sviluppo di solu-zioni efficaci per migliorare la protezione del pedone e del ciclista in caso di urto con autovetture. La casistica degli incidenti a Palermo, negli ultimi anni, avvenuti su strade ur-bane (84%) che coinvolgono adolescenti (6,4%), mostra che i ciclisti hanno in genere una posizione di impatto superio-re rispetto al pedone, con una quota maggiore di lesioni per urti nella zona del parabrezza. In questo lavoro è eseguita la simulazione dinamica per lo studio delle lesioni alla testa e al torace dell’adolescente, tra una bicicletta generica e un modello di auto che presenta caratteristiche vantaggiose per la sicurezza del pedone o del ciclista. Il software SimWise (Visual Nastran) è stato usato per la simulazione multibody dell’impatto; il modello antropomorfo, l’auto e le biciclet-te sono quelli utilizzati in lavori precedenti. L’attenzione è su un ciclista adolescente, perché i relativi dati di lesione si trovano in letteratura con difficoltà. I dodici test d’impatto completo (auto contro ciclista) hanno come parametri prin-cipali: velocità del veicolo (20, 30, 40 e 50 km/h), con tre di-verse posizioni del ciclista rispetto al veicolo: fronta-le, laterale e posteriore. La posizione di impatto della testa (sopra il cofano, nel parabrezza), determinato dalla prova di crash, mo-stra che la protezione del ciclista dovrebbe essere migliorata nella zona più alta del parabrezza, ri-spetto a quelle pedonali. La ferita alla testa viene analizzata utilizzando il parametro HIC e la ferita al torace è analizzata se-condo il criterio dei 3 ms;

Valutazione delle lesioni nell’impatto ciclista adolescente - veicolo con simulazione multibody FILIPPO CAROLLO1, GABRIELE VIRZÌ MARIOTTI1, EDOARDO SCALICI2

1 Dipartimento Ingegneria Chimica, Gestionale, Informatica, Meccanica (DICGIM), Università di Palermo

2. Dipartimento di Biopatologia e Biotecnologie Mediche e Forensi (DIBIMEF), Università di Palermo

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Figura 3: luogo di incidente stradale

Figura 4: tipologia di bicicletta

Figura 5: tipologia dei trasporti coinvolti

Figura 6: dinamiche di incidente

Figura 7: lesioni del ciclista

nella gestione delle due ruote.Si è fatto riferimento a lavori precedenti per lo studio del

modello antropomorfo della figura umana di un adolescente [1], [2] o adulto [3], [4], [5] intesi come un complesso di ossa, muscoli e articolazioni; per la progettazione del telaio e la geometria della bici [6] [7],e infine per il modello della macchina [8]. Si studiano le lesioni sul ciclista adolescente perché la letteratura è carente, mentre qualche articolo si tro-va per gli adolescenti sugli scooter [9] o con il casco [10].

I documenti sull’impatto veicolo-ciclista sono frequenti nella letteratura, come [11], [12], [13], [14], [15]; molti au-tori si soffermano sul confronto dei risultati di impatto tra veicolo–ciclista e veicolo -pedone [16], [17], [18]; infine, al-tri autori [19] fermano l’attenzione sul rischio di lesioni alla testa con l’analisi del casco [10] [20]. Molti lavori riportano un’analisi statistica di effettivi incidenti, eseguendo prove con programmi di simulazione numerica; i programmi più ampiamente usati sono MADYMO e PcCrash. In [21] gli au-tori concludono che il parabrezza è di frequente una posizio-ne di impatto per testa e busto; in [22] gli autori indicano che le contromisure sulle auto, progettate per mitigare le ferite dei pedoni, sono potenzialmente efficaci anche per i ciclisti. In questo lavoro è dato un contributo per l’ottimizzazione di automobili e biciclette, per limitare i danni alle parti. Le simulazioni sono eseguite utilizzando SimWise (Visual Na-stran) per quantificare i danni alla testa e al torace. Le lesioni alla testa sono studiate usando il criterio HIC mentre i danni al torace sono stimati utilizzando il criterio dei 3ms.

2. STATISTICHE D’IMPATTO VEICOLO-CICLISTA

Le statistiche [23] [24] mostrano che i ciclisti, interagendo con altri e soprattutto con veicoli a motore, sono gli utenti che meno di tutti rispettano le regole della circolazione stra-dale, adottando spesso un comportamento imprevedibile.

Figura 1: età dei ciclisti coinvolti in incidenti stradali.

Figura 2: sesso di ciclisti coinvolti in un incidente stradale.

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risultato del colpo sul terreno dell’arto che si frattura (in que-sto caso l’arto contro laterale al punto di impatto).

La frattura isolata della clavicola (controlaterale al punto di impatto) si verifica nella fase di riduzione, in collisioni a velocità bassa/moderata.

I trauma cranici con o senza frattura (dentale, maxillo-facciale o ossa nasali) sono prodotti generalmente nella fase di caricamento o proiezione del soggetto. Nella stessa fase si producono lesioni alla testa con o senza fratture. Inoltre, nei casi di impatto posteriore (soprattutto a velocità media) si ottengono lesioni di massa facciale o lesioni multiple ad arti superiori (protesi in avanti in difesa delle zone più nobili: testa e faccia).

Infine, lesioni complesse e combinate (fratture multiple per gli arti superiori e inferiori, così come i traumi cranio facciali) sono presenti in casi di proiezione, come risultato di un impatto posteriore.

L’integrazione e l’analisi dei dati disponibili rende possi-bile una ricostruzione (seppur breve) dell’incidente e la de-terminazione della velocità di impatto.

3. SCALA DELLE LESIONI

La più diffusa scala delle lesioni anatomiche è AIS, (Ab-breviated Injury Scale). Essa classifica le lesioni presenti in una determinata regione del corpo attraverso un sistema di punteggio globale basato su aspetti anatomici. Trova appli-cazione in medicina legale per quantificare l’entità del trau-ma trovato su un corpo in modo che i valori più alti corri-spondano alle lesioni AIS più gravi. La scala della gravità è ordinata in 9 punti; il punteggio più alto corrisponde ad una ferita mortale. La valutazione del punteggio della gravità delle lesioni è fatta dividendo il corpo in sei regioni, come mostra la tabella 1.

Il valore numerico della scala AIS è determinato attraverso studi di vittime di incidenti in cui le lesioni erano già sta-te classificate secondo la scala di AIS. Una descrizione più dettagliata si trova nella letteratura internazionale, [7] o [1], [3], [4].

Lo studio di lesioni al cervello è stato molto ricercato in passato; ad esempio in [26] è stato condotto uno studio per determinare lo sforzo sul cranio e sul cervello per mezzo di un’analisi elastica con il FEM. Oggi si preferisce l’uso di criteri di rischio, sulla base di analisi statistiche, per la te-sta e per le varie parti del corpo. I più comuni sono: criterio di lesioni alla testa (HIC) e indice Gadd (GSR) per la testa; risposta di lesioni viscose (VC), e criterio 3ms (3ms) per il torace, il collo, il femore e la tibia, l’Indice Trauma Toracico (TTI) per il torace. Anche in questo caso la letteratura inter-nazionale fornisce informazioni sui vari criteri di rischio [1], [3], [27], [28]. HIC è utilizzato per caratterizzare le ferite della testa nell’impatto con le varie zone del veicolo; è usato anche per trovare correlazioni tra le deformazioni osservate nel veicolo e la grandezza dell’accelerazione.

Secondo la direttiva FMVSS [29], l’HIC non deve esse-re maggiore o uguale a 1000 sopra una gamma di larghezza

I risultati statistici di incidenti a Palermo sono riportati in fig. 1-6 e sono effettuati analizzando i dati di 154 incidenti che coinvolgono piloti di biciclette. I dati sugli ultimi due anni sono derivati dagli archivi della polizia municipale del-la città di Palermo e dagli archivi di tre compagnie di assi-curazione: i dati personali (età e sesso) del guidatore, i dati che sono registrati sul luogo dell’incidente, il tipo di bici, e danni ai veicoli coinvolti, così come i danni fisici segna-lati dal ciclista. Questi dati sono disaggregati prendendo in considerazione solo le cause più importanti, perché le lesioni coinvolgono più regioni del corpo. In tutti i casi le lesioni e/o contusioni che sono riportate in varie parti del corpo (so-litamente arti superiori e inferiori), sono segnalate in Fig. 7.

I dati più rilevanti emergono dall’integrazione delle lesioni che il ciclista ha sostenuto con l’incidente; Inoltre la dimen-sione e posizione delle lesioni può dare informazioni con-clusive sulla velocità di impatto e la dinamica (soprattutto in situazioni con dichiarazioni contrastanti).

Analizzando i dati disponibili, la frattura (anche di entram-be le ossa - tibia e perone) delle gambe è dovuta all’impatto con il paraurti del veicolo, o come il risultato di una caduta con appiattimento dell’arto sul terreno (in questo caso arto controlaterale al punto di impatto).

Il caso più frequente è l’impatto laterale a velocità bassa/moderata, senza caricamento o proiezione del ciclista. Allo stesso modo, in un incidente a velocità bassa/moderata si in-corre nella frattura isolata della clavicola durante la fase di caduta.

Così come nell’investimento di un pedone, nel caso del conducente di una bicicletta, possono essere differenziate cinque fasi, che non sono sempre presenti e/o consequen-ziali:

-Fase di impatto;-Fase di riduzione;-Caricamento;-Fase di propulsione (o spinta);-Fase di arruotamento.La fase di impatto si verifica con il primo contatto tra il

veicolo e il corpo ed è il più chiaro segno dell’investimento.La fase di riduzione si verifica quando la vittima va a con-

tatto con il suolo dopo la collisione, ed è la causa predomi-nante dei danni delle parti sporgenti delle superfici degli arti (gomiti, ginocchia, mani).

La fase di caricamento si verifica quando il soggetto è “ca-ricato”, come conseguenza di impatto, contro il cofano e/o parabrezza del veicolo investitore, questo può causare lesioni alla testa o alla faccia.

La fase di spinta avviene quando il soggetto investito è proiettato in avanti con lesioni diffuse o escoriazioni nocive per le membra.

Infine la fase di arruotamento avviene quando la ruota del veicolo investitore monta sopra il corpo della vittima giacen-te a terra.

L’analisi dei dati disponibili mostra che la frattura (isolata o di entrambe le ossa - tibia e perone) delle gambe è causata dall’urto diretto sul paraurti del veicolo investitore, o come

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solo su prove di impatto che interessano la testa; gli esperi-menti per lo sviluppo di questa correlazione sono stati effet-tuati sui cadaveri. Questo è indicato per esempio nei lavori [3] e [4].

Il trauma al torace può coinvolgere la parete ossea del pet-to, le costole e la colonna vertebrale, la pleura, il polmone, il diaframma o il contenuto del mediastino. A causa del poten-ziale della lesione anatomica e funzionale delle coste e dei tessuti molli, le lesioni toraciche sono emergenze mediche: se non sono trattate rapidamente e correttamente possono portare alla morte. Le lesioni toraciche sono la causa di tutte le morti per infortunio dal 20% al 25%; le maggiori compli-cazioni del trauma toracico sono il 25% della causa di tutte le morti.

Tab. 3: Classificazione delle lesioni allo scheletro e dei tessuti molli secondo AIS

AIS Lesioni dello scheletro Lesioni ai tessuti molli

1 Frattura della costola Contusione ai bronchi

2 Fratturadi 2-3 costole; frattura dello sterno rottura parziale di un bronco

3Fratture di 4 o più costole su un lato; fratture di 2-3 costole con emotorace o pneumotorace

contusione polmonare; minore contusione cardiaca

4

Frattura del torace, frattura di 4 o più costole su ogni lato, frattura di 4 o più costole con emo-pneumotorace

lacerazione polmonare bilaterale; piccola lacerazione aortica; grande livido al cuore

5 rottura bilaterale del toracegrave lacerazione aortica; lacerazione polmonare con tensione pneumotorace

6 Lacerazione aortica con emorragia

Il torace è l’unica parte del corpo che beneficia della man-canza di cintura di sicurezza e di airbag; in effetti, supportato da una cintura di sicurezza, ha sofferto uno schiaciamento fino a 20 mm con la sola cintura, 15 mm con l’airbag. L’A-merican Standard [31] dichiara che il valore critico di schiac-ciamento del torace, per il manichino Hybrid III è 76 mm (60g), e quindi questo parametro non è troppo grave nei con-fronti del conducente. Nel caso di manichino libero il valore di schiacciamento è di soli 3 mm. Le lesioni più frequenti sono allo scheletro e ai tessuti molli. La Tab. 3 dà una pa-noramica completa dei tipi di lesione e delle parti coinvolte secondo l’AIS.

In questo lavoro si usa il criterio dei 3 ms per il torace, poiché è particolarmente utile per il feedback sul ciclista e viene utilizzato dalle norme sia dell’Europa che degli Stati Uniti. Esso prescrive che i centri di gravità del torace e della testa non siano soggetti ad accelerazioni sopra 60g e 80g ri-spettivamente, per un tempo maggiore di 3 ms.

La probabilità di lesioni AIS4+ è data dalla seguente espressione:

Prob (AIS4 +) = 1/(1+exp (4,3425-0, 063*gt) (2)

È uguale a 36% assumendo gt = 60 g.

massima di 36 ms. Esso è basato su un’elaborazione risul-tante dall’accelerazione del centro di gravità della testa del manichino, secondo la seguente formula:

(1)

Dove:• R(t) è l’accelerazione risultante, in g, misurata nel centro

di gravità della testa;• T0 è il momento di inizio della simulazione in secondi;• TF è il tempo di fine simulazione in secondi;• t1 e t2 rappresentano rispettivamente l’istante iniziale e fi-

nale di un intervallo di tempo; l’ampiezza di questo interval-lo è convenzionalmente uguale a 36 ms, la finestra temporale si sceglie in modo che HIC assuma il valore massimo.

La curva di accelerazione è costruita con valori sperimen-tali di accelerometri, e poi viene applicata una finestra di scorrimento temporale. I valori di HIC sono più alti in cor-rispondenza dei montanti del parabrezza, dei lati del cofano e della zona di giunzione cofano-parabrezza. È stata fatta la proposta di ridurre l’intervallo di tempo da 36 a 15 ms [30] nei casi di impatto della testa con corpi rigidi.

Tab. 1 – Segmenti del corpo in scala AIS

Segmenti del corpo specifiche

Testa o collo tra cui la colonna vertebrale cervicale

Viso compreso lo scheletro del viso, naso, bocca, occhi e orecchie

Torace tra cui la colonna vertebrale toracica e il diaframma

Addome e regione pelvica compresi gli organi addominali e lombari della colonna vertebrale

Estremità o cintura pelvica compreso lo scheletro pelvico

Area esterna

Tab. 2: Trauma cranico su scala AIS

AIS Descrizione

1 Abrasioni della pelle e del cuoio capelluto, lacerazioni superficiali. Viso: frattura del naso

2 Maggiori abrasioni della pelle. Semplice fratture del viso, fratture aperte o spostamenti della mandibola, fratture della mascella

3 Diverse fratture, perdita totale del cuoio capelluto, contusione al cervelletto.

4 Complesso di fratture al viso, esposizione o perdita di tessuto cerebrale, piccolo ematoma subdurale o epidurale.

5una maggiore penetrazione del danno cerebrale, ematoma subdurale al tronco o compressione epidurale, diffusione di lesioni assonali.

6 distruzione di massa del cranio e del cervello

HIC uguale a 1000 identifica un incidente di forte gravità, un valore di HIC pari a 2000 ha valore di gravità superiore, ma la gravità e la probabilità di letalità dell’evento non sono proporzionali. Le lesioni alla testa nella scala AIS sono clas-sificate in Tab. 2. La correlazione HIC-AIS viene utilizzata

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tato in Visual Nastran, poi vengono inseriti le masse, i centri di gravità e i momenti di inerzia dei singoli componenti come telaio, ruote, paraurti anteriore, cofano.

Il modello di bicicletta viene implementato per lo studio di stabilità e manovrabilità [7], per l’esecuzione di test dinamici per diverse configurazioni geometriche. Elemento di fonda-mentale importanza è la posizione del suo centro di gravità, che influenza significativamente il comportamento dinamico della bici, soprattutto in accelerazione e frenatura.

Le quantità geometriche utili per la caratterizzazione delle biciclette sono [6]: interasse, avancorsa, angolo di inclina-zione dello sterzo (Fig. 9).

Queste quantità definiscono la geometria e la manegge-volezza del veicolo; gli effetti di un singolo parametro non possono essere testati indipendentemente dagli altri, a causa delle loro forte interazione. La posizione del centro di gravità influenza il comportamento dinamico della bicicletta in ma-niera determinante, in particolare nelle fasi di accelerazione e frenata.

Figura 9 - Geometria bicicletta (G = baricentro).

L’Unione Ciclistica Internazionale pone un limite all’in-clinazione del tubo superiore nel design del telaio per frenare la produzione di biciclette, che siano troppo diverse dalle al-tre, e per attribuire le differenze di prestazioni solo alle ca-pacità fisiche degli atleti. Il tubo superiore deve adattarsi in un parallelogramma avente un’altezza massima di otto cen-timetri (Fig. 10).

Fig. 10: Esempio di telaio secondo le regole.

4. MODELLO VIRTUALE

L’approccio indiretto ha l’obiettivo della riproduzione di un incidente veicolo–ciclista sotto determinate condizioni, ricostruendo fedelmente l’evento.

Fig. 8 – Modello antropomorfo con gli assi di riferimento.

ProserPro è il programma di animazione ideale per l’attua-zione del modello umano; è efficace in questo tipo di lavoro, soprattutto per la possibilità di dosaggio di ogni segmento del corpo. Il modello umano rappresenta un adolescente che ha un’altezza di 1,45 m e una massa totale di 45 kg [1] [8] ed è una modifica del modello adulto [4].

Il modello è importato in Rhinoceros per non creare in-compatibilità con Visual Nastran; la determinazione del momento di inerzia, l’accelerazione e la velocità richiede un sistema di riferimento sul centro di gravità della testa; suc-cessivamente ogni segmento del corpo è importato in Visual Nastran. Il manichino è costruito senza mani, perché hanno un comportamento casuale (Fig. 8).

La tecnica multibody considera rigidi gli elementi del cor-po; le forze vengono scambiate in corrispondenza dei vin-coli imposti durante l’assemblaggio; la tecnica consente di rappresentare l’impatto tra auto e moto, senza modifiche di forme originali.

La posizione del centro di gravità di ogni segmento del corpo viene inserito manualmente ed uno per uno. Per farlo, sono stati presi come riferimento studi condotti sui cadaveri [32] [33] [34].

L’auto scelta per le simulazioni è un’auto utilitaria Audi. Le informazioni sull’altezza, la lunghezza sono fornite dal produttore. Questo veicolo viene scelto per le caratteristiche della sua parte anteriore: l’angolo non è molto acuto e il co-fano non è troppo alto, poiché la prima parte della macchina che subisce il contatto è il paraurti anteriore in un impatto frontale.

Anche in questo caso il software che viene utilizzato per ottenere il modello CAD è Rhinoceros 4.0 che viene impor-

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in tre posizioni diverse: nella prima è posizionato come de-scritto precedentemente, sulla strada con il lato di fronte al veicolo (impatto laterale). Nel secondo caso, il ciclista è di fronte al veicolo (impatto frontale), mentre nel terzo e ultimo caso il veicolo è posto dietro la bici (impatto posteriore o tamponamento).

Poiché la legge impone la velocità massima di 50 km/h su strada urbana, anche le prove di crash test sono conformi a questo limite. Mentre una velocità di 50 km/h può essere fatale nell’evento impatto, le simulazioni di impatto vengono anche eseguite alla velocità di 20 km/h, 30 km/h e40 km/h.

I parametri misurati durante le simulazioni sono le accele-razioni del centro di gravità della testa e del torace. Le Fig. 11, Fig. 12 e Fig. 13 mostrano gli andamenti dell’accelera-zione della testa e del torace rispetto al tempo.

Fig. 11: Accelerazioni nell’impatto frontale

5. SIMULAZIONE DI IMPATTO VEICOLO-CICLISTA

Nel caso generale il ciclista adolescente viene inserito nella posizione perpendicolare all’asse longitudinale della strada, e procede ad una velocità trascurabile nella direzione perpendicolare al veicolo in arrivo. L’azione del conducente del veicolo prende un ruolo decisivo nell’evoluzione dell’in-cidente. Una riduzione della velocità può solo causare minori lesioni sul ciclista rispetto ad una velocità costante o superio-re. In realtà l’effettivo diminuire della velocità della vettura è spesso molto povera: anche se l’auto ha un potere di frenata che impone una decelerazione media uguale o maggiore di 0,6 g, l’efficacia dell’azione frenante può essere raggiunta in un momento molto ravvicinato a quello di impatto.

Nel presente lavoro il ciclista adolescente è considerato

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Fig. 13: Accelerazioni nell’impatto posterioreFig. 12: Accelerazioni nell’impatto laterale

Gli impatti laterali vedono una serie di picchi di accelera-zione causati dall’impatto sul piano laterale del cranio contro la parte anteriore del veicolo (cofano e parabrezza), in questi casi il primo contatto con il cofano si verifica con la spalla e in un secondo tempo con la testa. Questi picchi vengono ri-petuti solitamente nel breve tempo di 0.01 s a causa di rapide rotazioni della testa intorno all’articolazione della cervicale e all’articolazione del collo.

La grafica accelerazione-tempo negli impatti anteriore e posteriore dipende dalla velocità assunta per il test; i risultati

sono molto diversi alle varie velocità. Ciò si verifica perché la testa è fortemente proiettata all’indietro, a causa del primo contatto con il paraurti del veicolo. In questo modo il centro di rotazione istantaneo dell’articolazione cervicale varia, de-terminando una variazione del momento di quantità di moto che si traduce in un aumento sostanziale dell’accelerazione angolare della testa. Quando c’è una sovrapposizione di im-patto della testa e il contatto del torace sul cofano, c’è un considerevole aumento delle accelerazioni del torace.

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La Tab. 4 presenta una sintesi dei risultati ottenuti e dei valori HIC.

Tab. 4: Sintesi dei risultati ottenuti

Test Crash speed [km/h] A

max head [g] HIC AIS %

1 20 18,1 11,9 1 0

2 30 15,9 13,2 1 0

3 40 21,1 25,9 1 0

4 50 73,2 384,9 1 0-5

5 20 25,3 34,8 1 0

6 30 76,8 521,8 2 0-5

7 40 84,7 607,6 2 5-10

8 50 77,5 644,1 2 5-10

9 20 36,5 100,2 1 0

10 30 64,0 316,4 1 0-5

11 40 69,9 344,2 1 0-5

12 50 148 499,1 2 5-10

30km/h.

Fig. 16: Impatto laterale a velocità costante di 40 km/h

Fig. 17: Impatto posteriore a velocità costante di 50 km/h.

La Fig. 14 mostra la dinamica della prova d’impatto po-steriore a 20 km/h; si può notare la proiezione in avanti del ciclista.

La Fig. 15 mostra la traiettoria del ciclista nello scontro frontale con un veicolo ad una velocità costante di 30 km/h. Si può notare il caricamento sul cofano e il graduale rilascio del corpo del pilota sul suolo.

La ricostruzione degli eventi in Visual Nastran in determi-nate condizioni e circostanze permette l’osservazione delle traiettorie prese dal ciclista adolescente durante l’impatto.

La Fig. 16 mostra il ciclista in posizione laterale rispetto al veicolo che procede a velocità costante di 40 km/h. Si può notare la fase di caricamento sul cofano e il volteggio del ciclista.

La Fig. 17 mostra il ciclista in una posizione posteriore rispetto al veicolo che va alla velocità costante di 50 km/h. In questa simulazione si può notare il volteggio del corpo sul tetto della vettura che è tipico degli incidenti ad alta velocità.

Fig. 14: Tamponamento a velocità costante 20 km/h.

Fig.15: Impatto frontale a velocità costante di 30 km/h

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Fig. 21 – Velocità della testa e del torace nell’impatto laterale a 20 km/h

Fig. 22 – Velocità della testa e del torace nell’impatto laterale a 30 km/h

Fig. 23 – Velocità della testa e del torace nell’impatto laterale a 40 km/h

Fig. 24 – Velocità della testa e del torace nell’impatto laterale a 50 km/h

La Fig. 18 mostra la correlazione HIC–AIS nel caso di im-patto posteriore. I dati HIC ottenuti nelle simulazioni, insie-me con la scala delle lesioni AIS, determinano la percentuale di mortalità dell’evento. In modo analogo la correlazione è determinata negli altri due casi di incidente frontale (Fig. 19) e impatto laterale (Fig. 20). Le ultime due colonne della ta-bella 4 riassumono gli AIS ottenuti e la percentuale di leta-lità.

Le Figg. 21-24 visualizzano l’andamento della velocità della testa e del torace in caso di impatto laterale a varie ve-locità di 20, 30, 40 e 50 km/h rispetto al tempo.

Fig. 18: Correlazione HIC-AIS (tamponamento).

Fig. 19: Correlazione di HIC-AIS (impatto frontale).

Fig. 20: Correlazione di HIC-AIS (impatto laterale).

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Fig. 25:Confronto HIC ciclista adolescente– pedone adolescente in impatto frontale [1].

Fig. 26:Confronto HIC ciclista adolescente– pedone adolescente in impatto laterale [1].

Figura 27: Confronto Vmax, tra simulazioni in Visual Nastran, APROSYS e MADYMO.

Tab. 7: Tempo di contatto e velocità massima della testa

test PosizioneVelocità

d’impatto [km/h]

Vmax testa[m/s]

V max torace[m/s]

Tempo contatto

[ms]

5 Laterale 20 8,29 8,11 272

6 Laterale 30 11,13 11,96 208

7 Laterale 40 16,03 18,49 176

8 Laterale 50 16,98 17,26 176

Tab. 5: Criterio 3 ms e probabilità AIS4 +.

prova Posizione velocità [km/h] 3ms [g] Prob (AIS 4+)

1 Frontale 20 125 97,2%

2 Frontale 30 115 94,8%

3 Frontale 40 145 99,2%

4 Frontale 50 225 100%

5 Laterale 20 31 8,4%

6 Laterale 30 28 7,1%

7 Laterale 40 58 33,4%

8 Laterale 50 57 32,0%

9 Posteriore 20 22 4,9%

10 Posteriore 30 92 81,1%

11 Posteriore 40 250 100%

12 Posteriore 50 565 100%

Tab. 6: Confronto HIC ciclista - pedone.

Prova Posizione Velocità d’impatto [km/h]

HIC differenza percentuale

1 Frontale 20 -95,4%

2 Frontale 30 -98,4%

3 Frontale 40 -98,5%

4 Frontale 50 -84,4%

5 Laterale 20 -62,6%

6 Laterale 30 -21,3%

7 Laterale 40 -46,0%

8 Laterale 50 -56,7%

Un accelerometro virtuale è stato aggiunto al centro di gravità del torace al fine di ottenere risultati di interesse per le simulazioni frontali. La Tab. 5 mostra i risultati: l’ultima colonna mostra la probabilità della ferita AIS4+ (frattura del petto e strappo dell’aorta) facendo uso della relazione (2). I valori di accelerazione del torace nell’impatto anteriore e posteriore sono molto alti. Questo è dovuto alla capacità del tronco di flettersi a diretto contatto del torace con il veicolo.

6. CONFRONTO DEI RISULTATI E DISCUSSIONE

La Tab. 6 mostra la differenza percentuale dell’analisi di impatto tra pedone adolescente-veicolo e ciclista adolescen-te-veicolo, in termini di HIC.

La Fig. 25 e la Fig. 26 mostrano il confronto: il ciclista adolescente ha una migliore possibilità di sopravvivere in impatti frontali e laterali rispetto ad un pedone della stessa età perché i valori di HIC sono consistentemente inferiori.

La Tab. 7 presenta una sintesi dei risultati ottenuti e dei va-lori di velocità di massimo impatto con il tempo di contatto. I dati sono segnalati dalle Fig. 21-24, in caso di impatto latera-le e sono utili per il confronto con dati analoghi in letteratura [13], [14] ottenuti dal software MADYMO e APROSYS.

Il confronto grafico è mostrato in Fig. 27.

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cofano deve essere considerato meno pericoloso che l’impat-to con il parabrezza, perché quest’ultimo è più rigido [35].

La Tab. 9 mostra la differenza percentuale tra ciclista ado-lescente-veicolo e l’analisi di impatto pedone adolescente-veicolo, seguendo il criterio 3 ms. La Fig. 28 mostra l’anda-mento e il confronto.

Il ciclista adolescente ha maggiori probabilità di riportare una ferita al petto, nell’impatto frontale rispetto a un pedone della stessa età, perché i valori ottenuti dal criterio 3 ms sono consistentemente maggiori.

Le Fig. 29, Fig. 30 e Fig. 31 visualizzano la marcatura del veicolo per l’identificazione delle aree del cofano coinvolte quando la testa del soggetto colpisce la parte anteriore del veicolo (WAD); esso si verifica secondo le direttive EU-RONCAP [36].

Si può osservare che la dispersione dei punti di impatto è localizzata in tutti i casi nella zona di WAD 1500 tranne per impatti a 20 Km/h e per impatto posteriore ciclista adole-scente-veicolo a 30 km/h (WAD 1000).

La dispersione di punti nell’impatto laterale coinvolge un’area più grande rispetto al caso frontale. Inoltre, l’analisi dei punti di contatto di entrambi i casi, permette di ottenere una nuova conferma della precisione dei valori. L’intensifi-carsi di picchi di accelerazione corrisponde ad una collisione contro una parete rigida della parte anteriore del veicolo.

Tab. 9: Differenze percentuali del criterio di 3 ms

Prova Posizione Velocità di impatto [km/h]

3 ms differenza percentuale con il

pedone

1 Frontale 20 + 214,9%

2 Frontale 30 + 84,3%

3 Frontale 40 +8,9%

4 Frontale 50 +66,9%

Fig. 28: Impatto frontale ciclista – pedone adolescente

Si possono fare le seguenti considerazioni:-La differenza nel valore della velocità massima di impatto

della testa è dovuta al fatto che il ciclista esaminato è un ado-lescente (con massa e altezza inferiori a quelle di un adulto) e che i veicoli hanno diverse geometrie nella parte anteriore.

-La velocità massima di impatto della testa aumenta non appena la velocità del veicolo aumenta.

È possibile un ulteriore confronto con i dati riportati in [21]. Le prove di impatto ciclista-veicolo vengono esegui-te per mezzo di due altri software multibody (MAYDMO, APROSYS). Il ciclista adulto si trova in posizione laterale o anteriore o posteriore rispetto al veicolo che va alla velocità 50 km/h. La Tab. 8 riepiloga i dati più significativi.

Tab. 8: HIC a 50 km/h

Impatto Visual NastranHIC36

[21]

HIC15

laterale 644 1433

Frontale 384.9 753

Posteriore 499,1 4429

Si possono fare queste ulteriori considerazioni:-la differenza dei valori HIC nell’impatto posteriore, ri-

spetto al modello sviluppato in Visual Nastran, è imputabile al fatto che il ciclista è un adolescente, con più bassa massa e altezza di un adulto; quest’ultimo ha maggiore probabilità di eseguire una traiettoria simile al volteggio sul tetto. In questo caso il ciclista adulto viene sollevato in alto a causa dell’ef-fetto combinato della velocità di impatto e della sagoma del veicolo. Alla fine del volteggio il corpo del ciclista si trova dietro il veicolo.

- I valori HIC con MADYMO e Visual Nastran nella si-mulazione di impatto laterale possono essere considerati in buona concordanza, perché il primo contatto dell’adolescen-te con il cofano si verifica con la spalla e successivamente con la testa. Un’altra causa della differenza è dovuto al tem-po di intervallo che è 15 ms in [21] e 36 ms in questo lavoro. Naturalmente la deformazione della carrozzeria non è stata presa in considerazione.

-WAD: i valori riportati in [21] sono superiori per motivi analoghi.

Il confronto mostra che il ciclista adolescente ha maggio-re possibilità di sopravvivenza rispetto al ciclista adulto, a parità di tutte le altre condizioni; l’influenza della forma del cofano deve essere valutata con attenzione, poiché può avere un’importanza fondamentale. In tutti i casi l’impatto con il

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colpisce la parte superiore del cofano (l’area tra 1000-1500 WAD). A 50 km/h i punti di impatto sono sul parabrezza ma ad un’altezza diversa. Le differenze sono dovute alla più alta posizione della testa. Il valore WAD ottenuto in [21] nel caso di ciclista adulto è 2500 circa, a causa di una maggiore altezza del ciclista.

7. CONCLUSIONI

Lo scopo di questo lavoro è la valutazione del danno in caso di incidente al fine di ispirare miglioramenti e soluzioni ai progettisti per l’aumento della sicurezza, limitando i danni alle persone.

L’analisi dei dati sperimentali e delle simulazioni mostra-no l’importanza di elementi chiave come: l’altezza del cicli-sta, il profilo anteriore della vettura e l’altezza minima dal suolo, la rigidità delle parti che vengono in contatto con il ciclista al momento dell’urto.

L’impatto sul cofano piuttosto che sul parabrezza, (è il caso tra veicolo e pedone), ha maggiore possibilità ad evol-versi positivamente, poiché il cofano dell’auto è molto meno rigido del parabrezza e la percentuale di rischio di sofferen-za e di danno letale è inferiore. I punti d’impatto della testa del ciclista sono molto più alti. Si verificano ad un’altez-za tale da causare la caduta nelle vicinanze del parabrezza. Questa differenza si verifica perché il centro di gravità del ciclista è più alto rispetto a quello del pedone.

La posizione del ciclista nel momento dell’incidente è molto importante: la posizione laterale è più dannosa di quella frontale, infatti i valori ottenuti dalle simulazioni mostrano che valori i HIC sono più alti, perché la testa del ciclista colpisce immediatamente il cofano; la bici avrebbe dovuto assorbire l’impatto, ma non può.

Una cosa diversa avviene nell’impatto frontale e laterale. In questo caso l’auto colpisce principalmente la bici che as-sorbe l’urto, poi il punto di impatto viene evidenziato nelle vicinanze della ruota e il ciclista cade in modo diverso.

I valori HIC sono entro il valore 1000 in tutte le simula-zioni; questo accade perché buona parte dell’impatto vie-ne assorbita dalla bicicletta e non dal corpo del ciclista; il contrario si verifica nel caso del pedone. Valori di HIC più alti sono ottenuti nell’impatto sia anteriore che posteriore del pedone.

I valori delle lesioni del torace con il criterio dei 3 ms sono al di sopra del limite impostato dalla norma (60g), e sono superiori a quelli derivanti da simulazioni pedone-veicolo. Anche il parametro AIS4 + (cioè frattura del petto e strap-po dell’aorta) è più alto. Anche questa volta la causa è la posizione del centro di gravità del ciclista; il cui torace al momento dell’impatto cade vicino al parabrezza.

In generale il ciclista adolescente ha maggiore possibilità di sopravvivenza rispetto all’adulto o al pedone adolescente e al ciclista adulto, anche se la lesione toracica è più perico-losa nel caso del ciclista adolescente.

L’uso del software multibody per le simulazioni è vantag-gioso: in questo caso le simulazioni vengono eseguite a par-

Fig. 29: Punti di contatto della testa nell’impatto frontale.

Fig. 30: Punti di contatto della testa nell’impatto laterale.

Fig. 31: Punti di contatto della testa nel tamponamento.

Le Fig. 29 e Fig. 30 confrontano i punti di contatto del ciclista adolescente con quelli del pedone adolescente. Le si-mulazioni mostrano le stesse zone di impatto (WAD 1000), a 20km/h; il ciclista colpisce la parte inferiore del parabrezza (aree tra 1500-2100 WAD) a 30 e 40 km/h, mentre il pedone

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Questo tipo di simulazione ha un impatto sulla sicurezza, grazie al test sulla sicurezza passiva e attiva per una perfor-mance impeccabile ed efficiente. Le case automobilistiche hanno iniziato a concentrare la loro attenzione sulla sicurez-za dei ciclisti, studiare e brevettare paraurti deformabili per mitigare, in caso di incidente con una bicicletta, la violenza dell’impatto. Altre soluzioni includono l’introduzione di ai-rbag per la protezione della testa del pilota, posizionato tra il cofano e il parabrezza, in quei punti critici di impatto che sono evidenziati nelle simulazioni

RINGRAZIAMENTI

Grazie alla Polizia municipale della città di Palermo, per i dati forniti e l’amichevole collaborazione.

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