Pagine 02-08 - Nuove Arti Terapie - La mediazione ... · nella rivista, La redazione nei prossimi...

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EDITORIALE 2 Il ru m o re dell’arte F. Pecorari 3 Te a t ropera supersensibile R. A. Bianconi 5 Danzaterapia: linguaggio d’integrazione I. Aparo 7 Dipendenze, compulsioni e identità R. Peru c c h i 8 Dall’io negato all’io ritrovato R. Pedrinis 9 L’oggetto mediatore in Danza/movimento terapia L. Montanare l l a 13 Te a t ro multiaccadimentale G. Errico 16 L’esperienza della reclusione e l’arteterapia C. Coppelli 18 L’esperienza del muro E. La Puca, F. Barbieri, D. Marzattinocci 24 L’ o s s e rvazione e la sincroterapia T. Taddei, R. Carini 26 Liberare l’espressività in carcere R. Pagni 28 A teatro con non-vedenti R. A. Bianconi 30

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E D I T O R I A L E 2Il ru m o re dell’art eF. Pecorari 3Te a t ropera supersensibileR. A. Bianconi 5Danzaterapia: linguaggio d’integrazioneI. Aparo 7Dipendenze, compulsioni e identitàR. Peru c c h i 8Dall’io negato all’io ritro v a t oR. Pedrinis 9L’oggetto mediatore in Danza/movimento terapiaL. Montanare l l a 1 3Te a t ro multiaccadimentaleG. Err i c o 1 6L’esperienza della reclusione e l’art e t e r a p i aC. Coppelli 1 8L’esperienza del muroE. La Puca, F. Barbieri, D. Marz a t t i n o c c i 2 4L’ o s s e rvazione e la sincro t e r a p i aT. Taddei, R. Carini 2 6L i b e r a re l’espressività in carc e reR. Pagni 2 8A teatro con non-vedentiR. A. Bianconi 3 0

In copertina: JOAN MIRÒ, “The song of theVowel” (La canzone delle vocali), 1966, olio sutela (336x114,8), fondo Mrs. Simon Guggenheim,speciale contributo in onore di Doroty C. Miller.Elaborazione pittorica tratta dal poema diArthur Rimbaud (“Voyelles” Vocali).

La mediazione artistica della relazione d’aiuto

Anno XIV • N. 1/2GENNAIO-FEBBRAIO 2008

ED I T O R E

OLIVIERO ROSSIP. IVA 07621890586

DI R E T T O R E

OLIVIERO ROSSI

VI C E D I R E T T O R E

MARIKA MASSARA

HA C O L L A B O R AT O

FRANCO PECORARI

w w w. a r t i t e r a p i e . n e ti d e o g r a fico Enrico Acocella

S E D EVia Costantino Martire, 24 - 00195 Roma

Tel/Fax 063725626email: [email protected]

sito: www. a r t i t e r a p i e . b i e

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Tel. 06/8611149 – Fax 06/23318922

RE A L I Z Z A Z I O N E GR A F I C A

Silvia Barv a

STA M PA

FINITO DI STA M PARE FEBBARIO 2008

G entili abbonati e lettori, dopo molti anni di amicizia e confronti con Rolando Renzoni – ideatoree realizzatore di questo periodico che per 13 anni ha prodotto e conser-vato un patrimonio singolare culturale, scientifico ed esperienziale di

queste discipline del sensibile – mi trovo a proseguire, con la sua collaborazione, l’at-tività di ricerca, divulgazione e informazione nelle arti terapie in Italia. Questa nuovarivista pur facendosi continuatrice dell’esperienza della rivista ARTI TERAPIE, vuo-le passare ad un secondo gradino nel lavoro di sviluppo in questo campo. L’intenzio-ne è quella di sviluppare l’informazione su due linee: • Una che troverà spazio nella rivista cartacea N u o v e A RTI TERAPIE dedicata al-

l’approfondimento teorico ed applicativo come base per una riflessione che espli-citi la metodologia, troppo spesso implicita, in una applicazione che finisce pernascondere il quadro di riferimento teorico che l’ha permessa e la guida. In questosenso le innovazioni riguardano la modalità di raccolta degli interventi ospitatinella rivista, La redazione nei prossimi numeri avrà cura di promuovere dei temimonografici, spunto di riflessione e dialogo di cui annuncio ora il tema del prossi-mo “La narrazione nelle arti terapie”.

• Una seconda di attualità, che possa fornire a chi opera nel campo della relazioned’aiuto a mediazione artistica la visione di insieme sulle modalità arteterapeuti-che che trovano applicazione nei servizi pubblici, privati e nella pratica professio-nale degli arteterapeuti, attraverso l’ottimizzazione di un portale on line (www.ar-titerapie.biz) che possa facilitare la comunicazione e lo scambio di esperienze trai professionisti e le persone che condividono questo interesse. Ritengo sia impor-tante per chi opera in questo settore avere la possibilità di conoscere e poter con-dividere la propria e l’altrui esperienza professionale attraverso il feed back e ilconfronto che la condivisione proprio sul piano dell’applicazione nella praticaprofessionale dei mediatori artistici può offrire.

Costruire il portale di Nuove ARTI TERAPIE permette di far nascere in tempo realela possibilità di accogliere e far emergere il fermento, spesso parcellizzato e di nic-chia, di forme di intervento che invece meritano di essere raccolte e divulgate.

Tutto questo ha bisogno di una nuova forma di redazione della rivista sia on lineche cartacea. La mia idea è quella di dare vita ad una rete di redazioni territoriali chepossa essere in contatto con le singole realtà pubbliche e private potendo così racco-gliere direttamente quelle applicazioni arteterapeutiche che altrimenti rimarrebberoinvisibili al resto degli operatori in questo campo.

Attualmente le sedi locali sono: Roma, Firenze, Lucca, Viareggio, Bari, Lecce eLivorno.

O l i v i e ro Rossi

EDITORIALE

Delle opinioni, delle dichiarazioni, delle affermazioni,

dei riferimenti personali e bibliografici, delle ipotesi,

contenuti negli articoli pubblicati e firmati, sono responsabili

esclusivamente i rispettivi autori.

Così pure delle informazioni sulle attività scolastiche,

sulla convegnistica e seminariale, sono responsabili i centri referenti

citati. La Direzione del periodico, pertanto, declina

ogni responsabilità su improvvise diverse realtà risultanti

dopo la verificata attendibilità del contenuto informativo

e culturale effettuata in sede di stampa.

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ARTI TERAPIE 3

È straordinario aprirsi al mondoattraverso gli occhi di unbambino. Le forme ed i coloriraggiungono un senso di stu-

pore non ancora condiviso, muovendosiall’interno di tensioni indifferenziate chesollecitano emozione. È l’esperienza pro-tomentale della nascita del bambino chelo psicoanalista Donald Meltzer ricono-sce come primo oggetto estetico, primafrattura tra il mondo sognato pre-natale eil contatto con la realtà, conflitto da luidescritto “…come enigma dell’interno edell’esterno dell’oggetto estetico, con ilpotere di evocare emotività… eguagliatodalla capacità di generare ansia, dubbio,s fiducia” (D. Meltzer, 1984). Oggetto chediventerà poi motore di sviluppo di sé co-me transfert di creatività (H. Kohut,1971; T.B. Feldmann, 1989), capace diconsolidare e ristabilire coerenza, coesio-ne, sicurezza e forza nel bambino (J.D.L i c h t e m b e rg, 1995).

L’esperienza pittorica di Joan Miró,autore dell’immagine di copertina, è ca-ratterizzata dall’assoluta mancanza dicensure formali, al di fuori di giustific a-zioni simboliche, considerando tali giu-stificazioni come uno degli effetti dellacensura sociale all’esistenza. Partendodalla scoperta surrealista dell’inconscionell’arte, Miró agisce sull’immagine vi-siva con l’istinto che si esprime, stabili-sce e consolida nel gesto che dà forma al-l’emozione. “… La si può leggere nellavibrazione delle linee e nella fosfore-scenza dei colori, come una corrente elet-trica che rende incandescente il filo chepercorre. L’immagine non è una proie-zione, ma un prolungamento dell’essereprofondo dell’artista: un venire a gallaper respirare una boccata d’aria, brillareun istante nel sole” (C.G. A rgan, Storiadell’Arte Contemporanea).

Come già abbiamo osservato in Klee( r i v. Arti Terapie, n.9-10, settembre-ot-tobre, 2004), anche in Miró la dimensio-ne psichica, l’esperienza vitale introiet-tata attraverso l’opera d’arte diviene ir-razionale. Nell’opera di Miró il dominio

della razionalità e del pensiero sonoconfinati nella coscienza e trasformatinell’esperienza come ritmo espressivocorporeo, astraendosi nel significatosentimentale del mondo che si costrui-sce attraverso i sensi, in forma e spazio.Come Klee anche Miró indaga il mondoinfero della psiche ma, con un moto in-verso, egli risale ed affiora alla coscien-za dove la percezione si arresta. Nel-l’immagine proposta, apprezziamo co-me il segno si esprima: “come tracciadel gesto, che conduce all’origine delmito, al punto di indistinzione e comu-nicazione tra vita biologica e psichica”(C.G. A rgan, Storia dell’Arte Contem-poranea).

Nel quadro di Miró vediamo l’operad’arte trasformarsi all’interno del percor-so della poiesis dell’artista, in un gioco didestrutturazione formale, una sorta didanza composta di segni attinti all’inter-no di un lessico segreto fantastico-oniri-co, inquietante ma allo stesso tempograndioso. È il lessico sognato di un v e c -chio bambino che nel ru m o re della vitanon ha mai smesso di sognare. È il sognodell’arte, che nel rumore del tempo n o nha mai smesso di sognare di essere viva.

FRANCO PECORARI, Psicologo fenome-nologo ad orientamento psicofis i o l o g i c o ,studioso d’arte contemporanea, Roma,e-mail: [email protected].

B I B L I O G R A F I AD. ME LT Z E R, 1984, L’ o b j e c t e s t h e t i c, 1985,

Reveu Francaise de Psycoanalise, n.49, pag. 1385-1389.

H. KO H U T, 1971, N a rcisismo e analisi delS é, B. Boringhieri.

T.B. FE L D M A N N, 1989, Crativity and Nar -cisim: a self-psycology axamination ofthe life and the work of Jackson Pol -l o c k, arts in psycoterapy, n. 16, pag.2 0 1 - 2 0 9 .

J.D. LI C H T E M B E R G, 1995, Psicoanalisi e si -stemi motivazionali, Raffaello Cortina.

C.G. AR G A N, 1984, Storia dell’Arte Con -t e m p o r a n e a, Sansoni.

ESPERIENZE

IL RUMORE DELL’ARTE

Franco Pecorari

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ARTI TERAPIE 5

A coronamento di un con-vegno sulla malattia diA l z h e i m e r, la Fondazio-ne Teatro dell’Opera di

Roma ha offerto la prima rappresenta-zione della “Bella addormentata” diCiaikovskij - il 26 settembre 2007 - allepersone colpite da quel morbo e alle lo-ro famiglie.

A seguire - il 12 novembre - lo stes-so ente ha organizzato un concerto in se-rata di gala a favore dell’infanzia: quel-l’infanzia spesso colpita ingiustamenteda diagnosi fuori luogo e comunque esa-gerate, dove spesso e volentieri si arrivaad attribuire condizioni eziopatogeneti-che a comportamenti appena appena de-vianti. I danni conseguenti saranno spes-so più gravi delle manifestazioni com-portamentali, soprattutto quando si siaproceduto alla somministrazione di far-maci. “Perché non accada anche in Ita-lia” era il titolo della serata. Non deve ac-cadere la psichiatrizzazione dei bambiniappena presentino una devianza dal co-mune standard di comportamento, sfor-zandosi di etichettare quella devianza ecategorizzarla tra le patologie.

Lo abbiamo ribadito più volte - e suqueste stesse pagine - spesso anche aproposito dell’autismo, che pure costi-tuisce ahimè una sindrome, ma dellaquale non si è trovata la radice biochimi-ca.

La scoperta stessa dei neuroni-spec-chio (Rizzolatti, 2006), assenti negli au-tistici, è alla fine una rilevazione fisiolo-gica, e si ferma là. Così come da sempreinvitiamo a considerare l’autistico un di-verso, e non un malato, aderiamo piena-mente all’iniziativa che vede i bambiniiperattivi immuni da ogni indagine sani-taria in senso stretto, e avviati dunque aduna vita normale, pervasa di creatività,incanalante il loro fervore e slancio ver-so musica, danza, esperienze plastico-fi-gurative, sport… contatto con la Natu-ra…

Mentre si fa attenzione a che l’auti-smo non degeneri in vera malattia psi-

chiatrica, attinta l’età adulta, tanto più silavora perché l’iperattività e il disturbodell’attenzione non vengano trattati confarmaci che annientano la personalità.Nel corso della serata del 12 novembresono stati presentati casi di decesso dibambini psichiatrizzati e farmacizzati, al-cuni addirittura per suicidio!

Non si pensi che stiamo parlando diuna serata pesante… Tutt’altro! Come ègiusto che sia, perché è attraverso lagioia che si prende meglio coscienza deiproblemi. Elogio incondizionato allaproposta di un concerto di pianoforte(con nientemeno che Giorgio Gaslini eGiovanni Allevi), orchestra d’archi e per-cussioni, danza, cantanti di spessore co-me Ron e i Pooh, autori come Mogol…Madrina di elegante gestualità ed eloquiosobrio era l’ex-danzatrice Elisabetta Ar-miato. Luciana Savignano ha esibito almeglio la sua tecnica e le sue doti natu-rali. Il soprano Daniela Dessì ha esegui-to un puntuale “Vissi d’arte”, ma non haesitato a dirigere con passione e compe-tenza consolidata il coro di alunni dell’e-lementare Baccarini in “pezzi” dal “Tur-co in Italia” di Rossini e “La fille du reg-giment” di Donizetti. Questo discendevada un eccezionale evento pregresso, du-rante la stagione del Teatro, in cui glialunni sono stati invitati a scomporre eanalizzare il melodramma sulla loro lun-ghezza d’onda, imparandone poi 5 cori.Esperienza splendida, grazie all’acumedell’attuale sovrintendente Francesco Er-nani, che ha voluto la partecipazione at-tiva dell’apparato scolastico al posto del-la fruizione passiva delle “prove aperte”(che peraltro avviene, ma più verso altrecategorie di popolazione). La danza poiha coperto un’ampia metà della serataspeciale.

Ma allora - per amore di cronologia-dobbiamo tornare all’altra serata tutta disola danza: la “première” del 26 settem-bre, dedicata anche, come si è detto, allasindrome di Alzheimer. Diremo tra pocoquanto opportuna sia stata la scelta, làdove si trattava - questa volta sì - di ef-

fettiva condizione eziologica.La serata ha visto dipanarsi uno dei

capisaldi del balletto imperiale ottocen-tesco, preciso tecnicamente e stupefa-cente nell’impianto scenico e scenogra-fico. La stessa partitura musicale della“Bella addormentata” si pone notoria-mente più in alto della routine ballettisti-ca; l’orchestra ha seguito con proprietàl’accorta direzione di Gianluigi Gelmet-ti. Spiccava il virtuosismo del primo fla u-to nella celebre variazione dell’UccelloAzzurro al terzo atto, demandata sullascena alla tecnica impeccabile di Ta r a sDomitro e Annette Delgado. Sorpren-dente il corpo di ballo, sia nei divertisse-ment che nelle parti di composizione einterpretazione. L’ambientazione origi-nale tra sei e settecento ha richiesto unaprova ardua a dei danzatori imbrigliati incostumi d’epoca completi e realistici: ef-fetto ammaliante verso il pubblico, con-quistato dai molti metri di tessuto usatomagistralmente, ma ci è noto il disagionon indifferente in chi danza. Doppia-mente encomiabile perciò l’impegno ditutta la compagine romana. Nel ruolodella protagonista si è profusa A s h l e yB o u d e r,in quello del principe che la ri-sveglia Jared Angle. Carla Fracci, diret-trice della danza di tutta la Fondazione,ha riservato a sé il ruolo della perfida fa-ta Carabosse, facendo appello al suo ta-lento comunicativo, eccellente al di fuo-ri di ogni perplessità. Puntualissima lapartecipazione di alcune allieve grandi edei piccoli della scuola dell’Opera diret-ta da Paola Jorio con finezza e buon gu-sto.

Ma l’eccellenza di quella scuola èstata apprezzata al meglio nella serataper l’infanzia, dove il rigore unito allapassione è emerso nella creazione “Ba-lalaika magica” di Bella Ratchinskaya.Subito dopo è apparso l’ex-allievo dellastessa scuola Raffaele Paganini, salito alruolo di étoile, ma in questa occasioneoffertosi con la sua connaturata genero-sità nell’“Omaggio a Sirtaki”, affiancatoda un solido corpo di ballo. Senza di-

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ESPERIENZE

TEATROPERA SUPERSENSIBILE

Renzo Arturo Bianconi

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ARTI TERAPIE 6

Casa Editrice BIBLIOSOFICACasella Postale 11200, 00141 Roma - Te l . / Fax 0774363928Web: members.xo o m . i t / b i b l i o s o fica - E-mail: bibliosofic a @ h o t m a i l . c o m

Giuseppe SaponaroHu s s e rl - K a n d i n s k y. L’eclissi della natura nella fenomenologia e nella pittura del primo Nove c e n t oRoma, Bibliosofica, 2001. ISBN 978-88-87660-05-0Formato cm 15 x 21, pagine 160, h 12,39Questo libro promette un’ i n t roduzione all’ u n i verso della fil o s o fia e della pittura, ma al lettore chiedein cambio uno sforzo di immedesimazione. La fenomenologia di Husserl e la pittura astratta diKandinsky sono due eventi della cultura europea contrassegnati da una doppia affinità e specularità:sembrano simultanei nella nascita e insieme caratterizzano un tempo che continua ad essere sempre il nostro. Come Husserl è un classico della fil o s o fia, così è arte classica la pittura astratta di Kandinsky.

menticare un complesso esibitosi prima,a conferma dell’ispirazione fecondissimadi un danzatore, cantante e attore qual èManuel Fratini.

A questo punto il pensiero ritorna al-la fiaba danzata, per il significato dupli-ce che essa rappresenta tanto nell’omag-gio all’infanzia che nel supporto al-l’Alzheimer.

La magia della danza, cioè dell’azio-ne senza parole demandata al linguaggiouniversale del corpo, rappresenta la stel-la polare della metafora che si rivolge almondo infantile.

La caratteristica della fiaba, con lasua capacità di richiamare direttamente eimmediatamente l’emozione, si pone peraltro verso come catalizzatore nei gruppidi pazienti. Rammentiamo come la fiabain genere ripercorre tutto lo sviluppo diuna qualche vita. Questa fiaba poi, chequi ci perviene nella sua forma coreo-grafica, indica l’opposizione al concettodi morte, pur concesso che interviene au-

tomaticamente a ricordarci che con lamorte ci dobbiamo confrontare, non as-sumendola come “veleno disgustoso” macome evento.

Così è stato presentato l’ inserimentodella fiaba durante il convegno del mat-tino stesso del 26 settembre all’IstitutoItaliano di Medicina Sociale, correlatoalla Giornata Mondiale dell’Alzheimerfissata dall’O.M.S. nel 21 settembre.

Nell’Alzheimer viene a mancare lacognitività,ma non è esclusa l’emotività.Assistiamo all’impossibilità di racconta-re una vita se non in terza persona, cioèda parte di un parente; ma siamo ben per-suasi che quella stessa vita può venir re-stituita tramite sentimenti ed emozioni.

Ecco allora che la fiaba viene a costi-tuire il ponte fra il “pieno” dei sentimen-ti pregressi e il “vuoto” di morte e nega-zione degli abbracci ambiti.

Precisa e pregnante osservazione, chedal convegno è passata ad avere confer-ma nella rappresentazione teatrale. For-

se conferma ancorapiù solida potrà tro-vare nella rappresen-tazione interna, riser-vata agli ospiti deisoggiorni per anzia-ni, dove il dialogo edil flusso di sensazio-ni conseguenti vengaraccolto ed elaboratodai sanitari e daglialtri preposti, insie-me agli utenti. Un’e-sperienza in questadirezione è allo stu-dio nella RegioneVeneto, ad opera delgeriatra cardiologoClaudio Alberto Mu-nari e della psicote-rapeuta Nuccia Spa-gnolo.Straordinaria perciòla spinta e l’incorag-giamento forniti aquesto tipo di ricer-

che dall’establishement dello spettacolo.Non dimentichiamo che la somministra-zione di certi farmaci in età infantile puòdiventare prodromo facilitante l’assun-zione poi di sostanze alienanti! L’eventodi Gala “p e rc h é N o N a c c a d a” (n.d.a.: èscritto proprio così) si è tenuto nel 2006al Teatro alla Scala. Sarà, speriamo, au-spicio per il futuro in seno ad altri enti efondazioni.

Preziose sono state le due manifesta-zioni con cui il Teatro dell’Opera di Ro-ma si è posto all’attenzione del mondo.Nella serata del 12 novembre ’07 è statodistribuito un opuscolo ben preciso ed ar-ticolato; e il premio “Arte e Differenza”,istituito per l’occasione, è stato conferi-to al sovrintendente, a giusto riconosci-mento di piena condivisione tra approc-cio artistico e risorse umane.

RENZO ARTURO BIANCONI, Movimento-danza terapeuta, Cortina d’Ampezzo (BL).

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ARTI TERAPIE 7

I l corpo, attraverso la gestua-lità, dipinge coi colori dellavita tutte le bandiere a di-spetto di ogni confine e apre

la via a quel linguaggio proverbiale checi accompagna fin dai nostri più remotipassi. Il linguaggio del corpo espresso at-traverso il gesto, la mimica, il suono, ladanza si fa pieno quando è in grado ditradurre emozioni, stati d’animo, deside-ri, rifiuti; così il corpo diventa “segno”,supera le barriere spazio-temporali, portalo spirito oltre i confini del finito.

Il tema delle capacità comunicativedell’individuo è stato affrontato da piùpunti di vista e in riferimento a discipli-ne diverse, ma quando ci si trova difronte a situazioni di disagio e disadat-tamento o più in generale di handicap,leggi e teorie scientifiche quasi non ap-paiono più pienamente sufficienti a faci-litare e guidare il ruolo di reciprocacomprensione.

La persona nel suo processo di auto-realizzazione passa attraverso diversi sta-di evolutivi. In ognuno di questi stadi, ca-ratterizzato da una particolare modalitàrelazionale di scambio con l’ambiente, lapersona è chiamata a realizzare un parti-colare compito evolutivo; se il processodi crescita procede positivamente in ognistadio evolutivo l’io si arricchisce di unadiversa forza o virtù, se invece il proces-so di crescita procede negativamente daessa emerge un vizio o disagio particola-re per ogni stadio evolutivo.

Il contatto con bambini portatori dihandicap apre il varco ad un concetto dilinguaggio che, senza ancorarsi a moda-lità rigidamente verbali, si espande e sieleva dirigendosi verso una volontà co-municativa basata sulla interpretazione erivalutazione del linguaggio del corpo,delle reazioni e relazioni del soggetto inq u e s t i o n e .

Il fatto di vivere in una società basatasul verbalismo ed il mancato riconosci-mento delle possibilità comunicative ditipo corporeo-sensoriale dell’individuoche non può usare la parola per esprimer-

si è alla base della dichiarazione di moltiinsegnanti di non essere in grado di inte-ragire con alunni con handicap gravi.

In quest’ottica l’intervento di Danza-terapia risulta, potenzialmente, “riparati-vo” del disagio. L’intervento danzatera-peutico su un soggetto con problemi po-trebbe definirsi come quell’arco di spa-zio/tempo in cui avviene un “cambia-m e n t o ” .

La DANZAT E R A P I A secondo il me-todo Fux, come tecnica riabilitativa arte-terapeutica afferisce al registro non ver-bale dell’espressività individuale: unostrumento attraverso il quale il soggettopuò esprimere e comunicare le sue emo-zioni più profonde, spesso indicibili.

A sostegno di quanto sovraespostopresenterò sinteticamente il resoconto diun progetto d’intervento danzaterapeuti-co che ho realizzato all’interno di unascuola elementare di Ragusa, a favore diA n d rea (così qui la chiamerò) una bam-bina di 8 anni, con handicap psicofis i c omedio-grave: ritardo mentale e modalitàcomunicative verbali molto limitate.

In tale ottica appare basilare distin-guere i diversi elementi costitutivi di una“presa in carico” di un utente da parte diun danzaterapeuta: l’osservazione, la dia-gnosi, l’intervento, il contesto, la verifi-ca, la supervisione.

La bambina, chiusa in uno stato di se-mi-isolamento presentava comportamen-ti aggressivi e violenti, il suo inserimentoè stato molto difficoltoso: era la classicasituazione in cui gli insegnanti sostene-vano la possibilità di scolarizzazionemettendo in dubbio la sua possibile “in-t e g r a z i o n e ” .

La sfida da me proposta, in qualità dicomponente dell’equipe socio-psico-pe-dagogica operante nella scuola, è stataquella di realizzare un programma chepotesse fornire strumenti comunicativialternativi nella convinzione che l’in-trattabilità e l’aggressività nascondesse-ro un profondo disagio e la rabbia perl’incomprensione delle proprie esigenzee necessità.

L’intervento danzaterapico, ha pre-visto un ciclo di incontri a cadenza setti-manale della durata di cinquanta minuticiascuno, realizzati nell’arco di 6 mesi.Gli incontri hanno visto protagonistaAndrea con un piccolo gruppo di com-pagni di classe, normodotati; il tutto si èsvolto in presenza delle altre figure pro-fessionali operanti all’interno dell’equi-pe di cui sopra.

L’obbiettivo primario è stato quello dicreare uno spazio privilegiato che favo-risse la relazione tra me e lei, tra lei e ilpiccolo gruppo. Ogni incontro è constatodi tre momenti: il I° è il momento del-l’accoglienza, dell’osservazione e del ri-scaldamento (un atteggiamento osserva-tivo, diretto e partecipe sta alla base dellarelazione col paziente ); il II° è il momen-to creativo, quello in cui viene propostoil tema centrale dell’incontro; l’ultimo èun momento di sintesi, di verbalizzazio-ne dei vissuti (in questo caso spesso ese-guito utilizzando i colori) e di commiato.

Dopo una prima fase di ascolto em-patico, ho agito attraverso l’utilizzo dellinguaggio del corpo secondo il metodoFux favorendo innanzi tutto una consa-pevolezza di base che facilitasse l’acqui-sizione dello schema corporeo e poi gra-dualmente si è lavorato sulla “presenza”del gesto, sulla proposività e l’originalitàdel movimento. Tutto ciò al fine di mi-gliorare il benessere globale di Andrea, lasua integrazione mente-corpo-emozionee la sua relazione con gli altri. Con le col-leghe d’equipe si è collaborato sinerg i c a-mente al fine di creare una piacevole di-mensione comunicativo/relazionale tesaanche alla raccolta e allo sviluppo delleproposte di Andrea e alla successiva pre-sa di coscienza e organizzazione delles t e s s e .

P r o p o s i t i v i t à intesa quindi come ac-quisizione di un maggiore grado di auto-nomia, come fattore determinante di svi-l u p p o !

Il clima sempre più piacevole di at-tenta accoglienza e la qualità della rela-zione sempre più significativa tra noi, ha

ESPERIENZE

DANZATERAPIA:LINGUAGGIOD’INTEGRAZIONEIrene Aparo

DIPENDENZE, COMPULSIONI E IDENTITÀRenato Perucchi

R obert Dilts, grande divulgatore e studioso nel campo della PNL, al-lievo e poi collaboratore di personaggi autorevoli quali J. Grinder,R. Bendler, G. Bateson ed altri, propone, oltre agli innumerevoli al-tri tenuti in ogni angolo del pianeta, un seminario dal titolo “Dipen-

denze, compulsioni e identità”. Le dipendenze più comuni si riferiscono ad alcool, droghe, gioco, lavoro, ses-

so, fumo ed alimentazione. Le dipendenze conducono spesso ad una situazioneparadossale, nella quale una persona fa o assume, in modo compulsivo, qualchecosa che ritiene necessario alla propria sopravvivenza, ma ad un punto tale chequesto comportamento o questa assunzione mette la sua vita in pericolo. Le di-pendenze e le compulsioni sono spesso legate alle percezioni e credenze sulla no-stra identità e sulla nostra sopravvivenza.

Per far fronte alle situazioni di dipendenza ed offrire al cliente gli strumentipiù idonei al superamento del problema, Dilts propone alcune strategie d’inter-vento mirate ad esplorare le relazioni esistenti fra comportamenti compulsivi edidentità.

Uno degli strumenti base della PNL è lo schema dei “livelli logici” (Bateson eDilts), che prevede sei diversi gradi di elaborazione dell’informazione gerarchica-mente strutturati – ambiente, comportamento, capacità, criteri e valori, identità,transpersonale). Questi livelli sono nettamente distinti, anche se interdipendenti, emolto spesso una confusione di livelli è responsabile dell’instaurarsi del proble-ma. Nel caso dei comportamenti di dipendenza e compulsione, come in altri casi,è necessario differenziare il comportamento del soggetto dalla sua identità.

Il processo prosegue con la messa in atto di strategie tendenti a trasformare lecompulsioni in scelta.

La messa in luce delle “intenzioni positive” e dei “benefici secondari”, che sicelano dietro i comportamenti di dipendenza e compulsione, è un momento deter-minante del processo terapeutico, perché permette di individuare la possibilità disoddisfare gli stessi criteri e valori (molto spesso legati a protezione, sicurezza,sopravvivenza) attraverso comportamenti e modalità più adeguate (aggiornamen-to delle “strategie di sopravvivenza”).

I LIVELLI LOGICI

RENATO PERUCCHI, Psicologo, master pratictioner PNL.

permesso in lei una evidente migliore ac-cettazione di sé, l’emergere di una gra-duale inequivocabile armonia e creati-vità nei movimenti, portandola ad unprogressivo avvicinamento corporeo neimiei confronti e ad un atteggiamento dirichieste specifiche. Sono migliorate no-tevolmente il movimento e la postura, iltratto somatico è risultato più disteso, èdiventato più facile l’emissione vocalicae la capacità di gestire la propria voce ele proprie emozioni. Così siamo riusciteprogressivamente a mantenere una pre-senza, uno sguardo, il sorriso, il contattocorporeo sempre più intenzionalmenteconsapevole. Negli ultimi tempi si è re-gistrato un sensibile miglioramento nellesue qualità relazionali e affettive ancheall’interno del gruppo-classe.

Ve d e re un corpo significa coglierela presenza dell’altro, identificarlo,ma anche aprirsi al suo fascino! Nelp rocesso di intervento danzaterapico,s t i m o l a re e suggerire il senso della bel-lezza e dell’armonia, propria di cia-scun individuo, mediante la ricerc adell’originalità ed unicità del movi-mento e per mezzo di un’azione con-sapevole scaturita dall’acquisizione diuna tecnica maturata che appro d an e l l ’ a rte, ci permettere di coglierequella luce intensa di colore diff e re n t eche da ogni corpo emana.

IRENE APARO, Danza-terapeuta.

B I B L I O G R A F I AROGER GARAUDY, D a n z a re la vita,

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ESPERIENZE

ARTI TERAPIE 8

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ARTI TERAPIE 9

P e rcorso di un paziente, attraversol’illustrazione di una serie di disegnia colori, frutto di un percorso di art e - t e r a p i a .

STUDI E RICERCHE

D ue sono le ipotesi che stan-no alla base del lavoro svol-to. La prima mutuata daglistudi nell’ambito delle neu-

roscienze, la seconda dalla semioticastrutturalista.

L’assunto della prima ipotesi è che inogni individuo, pur trovandosi in situa-zione di disagio, sia di tipo psicologico,fisico e/o sociale, permangono intattedelle zone capaci di entrare in una dina-mica di creazione a valenza espressiva.

È l’attivazione di queste forze vitaliche permette il rinnovamento, la cresci-ta e la possibilità di una trasformazioneterapeutica.

La seconda ipotesi che sta alla basedel lavoro svolto è che il linguaggio gra-fico-pittorico sia un linguaggio partico-larmente indicato a favorire l’espressio-ne nel caso della malattia mentale, in par-ticolare in casi di psicosi.

I pionieri della semiotica plastica: A.J. Greimas (1979, 1983), F. Thürlemann( 1982) o Jacques Fontanille con il suorecente libro F i g u re del corpo. Per unasemiotica dell’impronta (2004) defini-scono il linguaggio semi-simbolico, un“linguaggio-ponte” tra il linguaggio se-gnico, il linguaggio della parola - e il lin-guaggio simbolico, il linguaggio onirico,il linguaggio corporeo.

Caratteristica del linguaggio semi-simbolico è quello di funzionare per ca-tegorie di opposti, il livello più profondodel percorso generativo della significa-zione. Greimas afferma che il senso na -sce dal contrasto. È la presenza di dueelementi opposti appartenenti alla stessacategoria che fa nascere il senso. In unsistema semi-simbolico si crea una cor-rispondenza tra una categoria dell’e-spressione e una categoria del contenu-to. In questo modo i due elementi oppo-sti di una categoria dell’espressione si le-gano a due elementi opposti di una cate-goria del contenuto. Queste categoriepossono essere individuate sul piano cro-matico (toni, saturazione, luminosità),quello eidetico (forme aperte/chiuse;

continue/discontinue; curvilinee/rettili-nee), quello topologico (occupazionedello spazio; assialità; alto/basso, de-stra/sinistra), o su quello della sostanza(qualità e pregnanza del tratto). È altresìimportante non leggere solo il singolo di-segno ma l’intero sistema di disegni nelloro sviluppo diacronico come una sortadi macrotesto.

Secondo il principio di intelligibilitàla semiotica pone inoltre come ipotesi ilfatto che il modo dei segni sia compren-sibile, che ci sia del senso, oltrepassandocosì la soglia vietata della creatività,spesso appassionatamente difesa come ilmondo dell’indicibile.

È stato proprio assumendo il fatto chein ogni sistema di segni plastici sia cela-to un messaggio più o meno criptato cheè stato possibile effettuare un dialogografico-pittorico con valenza terapeuticaed evolutiva. E stata la convinzione chedietro ai frammenti e alle tracce pittori-che ci fosse sempre un senso, pur mante-nendosi celato, che ha permesso l’in-staurarsi ed il mantenimento della rela-zione anche nei momenti più difficili.

Illustrerò un caso che ho avuto mododi seguire a partire dall’ottobre del 2005,data di apertura di un day hospital, dovelavoro in qualità di arte terapeuta.

Si tratta di un uomo di 66 anni, chechiamerò Giovanni, con alle spalle di-versi ricoveri in strutture psichiatriche, ilprimo all’età di 18 anni.

Vive solo, separato dal 1999, dopo 25anni di matrimonio. Una figlia di 21 anniche sta compiendo studi di psicologia edun figlio di 27 anni, meccanico d’auto.

Stabilizzato ormai da alcuni anni,l’ultimo ricovero è avvenuto nel 2000, sipresenta tuttavia come un uomo stanco,privo di grandi slanci vitali. Un po’ c o-me se la vita gli passasse accanto e seogni cosa, in fondo, gli fosse indifferen-te. Si direbbe che soffra rinchiuso nel suocorpo disabitato.

Il suo comportamento nel gruppo èpiuttosto schivo, taciturno, non interagi-sce con gli altri partecipanti. Poco pre-

sente all’azione in corso. Ripiegato su disé, evita la relazione. Vive in un propriomondo. Pone domande razionalizzanti.

Gli è stata diagnosticata una schizo-frenia, tipo depressivo F25.1 secondo ilDSM IV.

L’obiettivo che mi pongo durante gliincontri settimanali di arte terapia è quel-lo di favorire l’espressione attraverso l’u-so di linguaggi non verbali, soprattuttoattraverso l’uso del colore.

Durante i primi incontri, per supera-re l’horror vacui della pagina bianca hoproposto dei temi, non direttivi ma cheservissero da stimolo per l’immaginarioe l’attivazione della creatività.

Come arte terapeuta non sempre hocapito il senso dei lavori prodotti ma hosempre considerato che questo ci fosse,per quanto nascosto, criptato, parziale oplurimo.

Non ho neppure mai insistito per for-zare questa ricerca. Per saturare le formedi senso. Ho preferito lasciare spazio al-l’invenzione creativa, ad un discorso cheandava costruendosi tra noi seguendo unproprio ritmo e delle proprie regole in-ventate lì per lì.

In genere sollecitavo invece la ricer-ca di un titolo per fare da ulteriore con-tenitore all’immagine e per cercare dicreare connessioni strutturanti tra imma-gine e parola.

Per chiarezza espositiva ho pensatodi suddividere la presentazione dei lavo-ri svolti in tre macro-fasi.

Ogni fase è testimoniata graficamen-te dalla comparsa di elementi di novità.Per ogni fase ho scelto di presentare al-cuni dei lavori più significativi.

Per questioni di spazio e di scelta l’a-nalisi presentata in questa sede non hapretese di esaustività. Il lettore interessa-to potrà divertirsi a ritrovare nelle imma-gini una moltitudine di ulteriori elemen-ti significativi che in questo scritto nonho voluto rendere pertinenti perchè uneccesso di analisi smorzerebbe inelutta-bilmente il potere evocativo e dinamicodelle opere. Potere che in questo modo

D A L L’IO NEGATO A L L’IO RITROVATO: TRACCE DI UN PERCORSO DI ARTE TERAPIARoberta Pedrinis

ARTI TERAPIE 10

STUDI E RICERCHE

può continuare a riattualizzarsi attraver-so una lettura co-oper-attiva alla scoper-ta di elementi che fanno da trama ed or-dito verso la tessitura del senso in un mo-vimento costante di andata e ritorno a va-riazione continua.

1a F a s e. Si tratta della fase iniziale, ca-ratterizzata da una rigidità formale, dauna sorta di meccanicità corrispondentead una certa freddezza, ad un distaccoemozionale.

Tema: il mio albero

Giovanni dice di questo disegno: E un al -b e ro asettico, stilizzato. Lo intitola “L’ a l-bero meccanico”.

Si può immaginare nella parte infe-riore un corpo legato e in quella superio-re l’espressione di uno sguardo attonitoo di un grido tacito. Questo disegno ri-corda i disegni arcaici, tribali.

Tema: un luogo protetto

Durante il momento di parola Giovannigira il disegno, quasi alla ricerca di ele-menti umanizzanti e lo intitola “Ritrattodi persona”. Tema: autoritratto

E come se non ci fosse alcuna percezio-ne corporea, nessuna immagine corporeae nessuna rappresentazione fosse possi-bile. Qui sono le iniziali del nome chevengono prese “au pied de la lettre”, etrattate come se fossero sostanziali.

Titolo “Autoritratto stilizzato”Durante l’incontro successivo propongodi lavorare sulla forma mandalica delcerchio, scelto quale simbolico conteni-tore.

In questo disegno vi è rappresentato unoggetto estremamente polisemico: c’èl’evocazione di una maschera tribale.Dal punto di vista formale c’è una buonasimmetria tra destra e sinistra, un primoeffetto di profondità, un effetto di peso edi radicamento dato dalla sabbia chescende. Sul piano del contenuto c’è l’e-vocazione dello scorrere del tempo.

Giovanni intitola il disegno “La cles-sidra e dice “se la guardo vedo la testa diun pesce”. Per la prima volta è visibil-mente soddisfatto della propria produ-zione. Ne fa una fotocopia che vuole por-tarsi a casa per farne un quadretto.

E come se ci fosse un primo rispec-chiamento nell’oggetto creato e un pri-mo riconoscimento in una forma vivente.

In seguito a questo lavoro si presentanella mente di Giovanni l’immagine delpavone (un elemento di narcisismo) chegli chiedo di rappresentare durante l’in-contro successivo.

Titolo: “Il pavone con la coda”A disegno realizzato Giovanni dice di nonsentirsi soddisfatto della propria rappre-sentazione. Possiamo vedere come il prin-cipio di realtà provochi uno scarto tra im-maginario e simbolico, espresso in termi-ni di frustrazione.

La volta seguente per la prima voltaGiovanni lascia la scatoletta di tempere“privata”, intima, rassicurante, quasi unoggetto transizionale per usare i barattolidi colore più grandi, quelli comuni, ai qua-li prima non osava avere accesso e realiz-za questo disegno:

“La linea, quella nera” – commenta, e ag-giunge: “Non ho mai fatto così tanto”.

Con quella linea nera e la dichiarazio-ne implicita sul suo contenuto stabilisceuna nuova regola del nostro dialogo.

Questo disegno anticipa l’inizio di unaseconda fase dalla dominanza dei toni ros-so e nero, un fase di forte carica emozio-nale, dai toni a volte drammatici.

La serie di disegni che seguirà si av-varrà di un linguaggio criptato, fatto di sim-boli, esplicitato solo in parte. Sulla scortadi Nicolas Nicolaïdis si potrebbe parlare diuna lingua autoctona, una lingua altra dal-la lingua madre. Una lingua privata che di-ce sono io, non sei tu. Una sorta di autolo-go al posto del dialogo. Come afferma Ber-nard Cadoux: une écripture, une écriturec r i p t i q u e, una scrittura criptata.

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STUDI E RICERCHE

Simboli. Di questo disegno Giovannicommenta: “Ho disegnato solo simboli.Potrebbero creare riso o pianto”. Poi ag-giunge: “3/4 riso e 1/4 pianto”.

2a parte

Commento di Gianni: “Il titolo che hopensato è “Lucerna”, città del leone mo-rente, io invece l’ho fatto che è dormien-te. Quello verde dovrebbe essere un pin-guino. Quelli gialli sono topi. Quello blusembra ET. Quello nero è un letto. Dallanuvola scende la pioggia”.

In questo disegno sembrerebberoconfluire elementi di rappresentazionedella realtà miscelati ad elementi di unarappresentazione immaginaria o deliran-te. Elementi del mondo interno siconfondono con elementi del mondoesterno e trovano nel disegno una propriarappresentazione.

Giovanni intitola il disegno “L’uomo pri-gioniero”.

Questa volta Giovanni riesce a rap-presentare il proprio corpo unificato, al-la guida di una sorta di veicolo volantecon delle antenne.

Titolo del disegno è “Il suicidio dei coniu-gi”. “Dalle onde del mare emerge il globoterraqueo”.

Continuiamo a dialogare attraverso ilveicolo del disegno servendoci del codicesemisimbolico che abbiamo creato assie-me nel corso dei nostri incontri: una sortadi ponte intrapsichico che ci collega dialo-g i c a m e n t e .

A volte, dopo l’attività del disegnoGiovanni si esprime attraverso un lin-guaggio metaforico, fortemente evocati-vo, affascinante ma traslato. I contenutinon emergono in modo manifesto edesplicito ma sembrerebbero soggiaceread una logica simile a quella del disegno.Abbiamo istaurato un canale ed un codi-ce comunicativi a forte carica emoziona-le che permette a Giovanni di aprirsi ri-spetto al suo ripiegamento autistico enello stesso tempo di poter essere sog-getto attivo e creativo del proprio per-corso in un duplice movimento di anda-ta e ritorno di apertura comunicativa enello stesso tempo di protezione.

Titolo: L’ a p a t i aIn questa fase sembrerebbe che venga-no elaborati ricordi particolarmente trau-matici.

I toni emotivi si fanno più pregnanti,le scelte cromatiche e i contenuti rappre-

sentati esprimono un senso di angoscia edi violenza.

Per la prima volta Giovanni disegnadelle scene figurative, anche se espressein termini simbolici (o semi-simbolici).Alla staticità dei disegni precedenti vie-ne sostituito un programma narrativo di-namico in cui vi è la presenza di più sog-getti. Si può notare ora una chiara rap-presentazione dell’Altro, mentre in pre-cedenza era solamente evocato (gli occhidello sguardo del pavone).

“Il Martello: Donna alla finestra che guar-da che succede.”

Qui abbiamo un primo chiaro riferi-mento sessuale

3a p a rt e

“Il Disagio: C’è una tomba. C’è lui e c’èlei. Lui dice a lei che non vuole figli. Leiurla e poi muore.”

“Palla e la sua ombra.”Per la prima volta Giovanni crea il verdemischiando il colore giallo con quelloblu. Introduce così un nuovo elemento,un terzo elemento bilanciante tra il neroe il giallo.

Dopo questo periodo comincia a cer-care relazioni, e luoghi di incontro. Si

ARTI TERAPIE 12

STUDI E RICERCHE

mostra maggiormente autonomo. Si di-mostra molto più attratto dalla realtàesterna. Prende iniziative, per esempioarriva con la macchina fotografica di-cendo di voler andare a fotografare dellechiese.

Interrompe per circa sei mesi il lavo-ro di atélier venendo di tanto in tanto peruna visita per stabilire e mantenere ilcontatto, quasi a rassicurarsi della conti-nuità della relazione, senza voler dise-gnare. Leggo questa pausa come il biso-gno di un momento di integrazione e distabilizzazione.

Riprende una nuova fase dopo seimesi, ed è quella che possiamo defin i r ecome la t e rza fase, caratterizzata dallacomparsa di forme più rotonde, più mor-bide, i toni emotivi sembrano addolcirsi,il nero tende a lasciare spazio al blu e algiallo.

Il titolo del disegno è “Semplicità”. Vi èuna maggior presenza di forme curve,più aggraziate, più morbide, più femmi-nili.

“Tristezza”“Camaleonte, Calabrone o Tartaruga?”

Nelle settimane seguenti rappresenta

“3 occhi”

4a p a rt e

“ B i l a n c i a ”

“ S o rr i s o ”

“ A g ro d o l c e ”Per la prima volta in questo disegno Gio-vanni lascia la forma più grafica e si af-fida al colore creando un effetto diprofondità. Dalla forma lasciata libera-mente fluire sembrerebbe emergere l’ef-fetto di un paesaggio.

In questo disegno vi è una prima chiarastrutturazione in termini di figura e sfon-do. Qui possiamo vedere uno sfondouniforme e luminoso, particolarmente cu-rato ed una figura che appare in primo pia-no: netta e chiaramente defin i t a .

La figura ha una base, un tetto e vi èl’idea della terza dimensione.

L’ e ffetto ottenuto globalmente esprimeuna sensazione di ordine e benessere.

“Il leone”Giovanni nel frattempo si è aperto al pro-prio mondo emotivo ed affettivo. Si è in-namorato e sta coltivando una relazione.Continua a frequentare i gruppi all’internodel day hospital, in particolare un grupposulla gestione delle emozioni, ma anche lasua vita relazionale si è arricchita di nuovii n c o n t r i .

Ora è possibile dialogare verbalmentecon lui in maniera più cosciente e consa-pevole. La forma comunicativa attraversoil disegno diventa sempre più una sceltache Giovanni continua ad esplorare, paral-lelamente all’uso della parola, per conti-nuare il proprio processo di individuazio-ne servendosi del colore nella sua formaespressiva e creativa.

E per concludere posso dire di aver so-lamente accompagnato e sostenuto uma-namente il percorso terapeutico di Gio-vanni, ma che è stato lui stesso, facendoappello alle proprie risorse creative pertracciare la via della propria cura, il veroa r t e fice della sua trasformazione,

È stato utile rispettare le modalità ed itempi del suo percorso all’interno di uncontenitore discreto e flessibile ma pre-sente e rassicurante.

R O B E RTA PEDRINIS, Laureata al DAMS diBologna, Formatrice ed Arte Te r a p e u t a .

B I B L I O G R A F I ANI C O L A S NI C O L Ï D I S, La représentation, es -

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Pubblicato con la gentile concessione daparte dell’autore.

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ARTI TERAPIE 13

Q uante volte il conduttore di se-dute di DMT ha sentito il biso-gno di introdurre in un gruppol’uso di vari oggetti “mediatori”

nella danza? Che valenza hanno tali ogget-ti? E sono mediatori di cosa? Questo è l’ar-gomento che ha riguardato la tesi da meelaborata per la fine del corso di Danza-movimentoterapia Espressiva Psicodina-mica tenutosi dal 2003 al 2006 a Genova.Per conoscere il valore di qualunque og-getto mediatore occorre tornare ad alcuniaspetti teorici che ne stanno a fondamentoper poi riflettere su cosa accade al settingterapeutico quando li si introduce…

U N A P R E M E S S A T E O R I C ALa prima, chiara teorizzazione sull’ogget-to mediatore è offerta da D.W. Wi n n i c o t t ,che delinea una fase “transizionale” dellosviluppo dell’Io durante la quale il bam-bino, attraverso un oggetto, costruisce unponte tra la pura soggettività e la realtà og-gettiva. L’oggetto contiene, secondo Wi n-nicott, un paradosso creativo e irrisolvibi-le, perché l’oggetto è reale e al contempoproduce un’illusione, cioè si carica di tut-te le proiezioni vissute dal bambino. Essoè fondamentale perché è lo “stadio teori-co che precede la separazione del non-medal me”. Quando il bambino entra in rela-zione con un oggetto e lo carica di proie-zioni ed identificazioni, passa ad una im-portante fase successiva in cui si rendeconto che l’oggetto non è solo proiezionedi sé, bensì appartiene al mondo reale edè un’entità indipendente. Quando realizzaciò, il suo primo impulso è quello di di-struggere l’oggetto che esce dal suo con-trollo onnipotente, e l’oggetto assume va-lore proprio perché riesce a “sopravvive-re” all’impulso distruttivo del bambino.

F. Schott-Billmann afferma che il pri-mo oggetto transizionale che il bambinoincontra è il seno della madre, e con essovive lo stesso processo descritto da Wi n-nicott. La madre gradualmente disillude ilbambino dimostrandogli che il seno non èsotto la sua influenza onnipotente ma ap-partiene a lei.

A. Lapierre e B. Aucouturier sottoli-neano che l’oggetto, per il bambino pic-colo, rappresenta la presenza simbolicadel corpo dell’altro. Dai nove ai dodicimesi il piccolo ammette il contatto conl’adulto attraverso il mediatore che sta incontatto con il bambino da una parte e ilconduttore dall’altra: il bambino non la-scia ancora l’oggetto. Solo successiva-mente esso potrà tenere l’oggetto tolle-rando l’assenza dell’adulto, perché l’og-getto ne racchiude la sua presenza simbo-lica. Questo processo si ripete in conti-nuazione anche nella vita adulta: “ancheil mondo degli adulti è pieno di oggetti diquesto tipo, e molti di essi servono a com-pensare una mancanza all’essere” (La-pierre, A u c o u t u r i e r, 2001).

Come si nota da tali contributi, l’og-getto ha una valenza mediatrice quando ilsoggetto lo carica del suo contenuto im-maginativo ed in tal modo il mediatore sipone dialetticamente tra il mondo del tan-gibile, del reale, ed il mondo dell’imma-ginario e della storia della persona.

C A R AT T E R I S T I C H ED E L L’ O G G E T TO MEDIATO R EGli oggetti sono “prolungamenti del cor-po” ed il corpo adatta i suoi movimenti al-l’oggetto con cui si trova a contatto. Essipossono avere:• una funzione transizionale perché fa-

cilitano l’accesso al mondo simbolico• una funzione relazionale quando l’og-

getto si pone come mediatore tra duecorpi e ripara dal contatto fisico diretto

• una funzione psicomotoria quando sti-molano il corpo a percepire delle pre-cise sensazioni (un foulard morbido efluttuante, un sasso ruvido e pesante,un bastone rigido…)

La danza con l’oggetto “distrae” il danza-tore dai contenuti emozionali troppo for-ti, lo può riportare alla consistenza delmondo reale creando un passaggio flu i d otra “dentro e fuori”.

Il gioco di passare un oggetto adun’altra persona, o di tenerlo stretto, o di

buttarlo ecc… rimanda ai meccanismi re-lazionali sperimentati nel primo-secondoanno di vita, hanno a che fare con la re-lazione tra la madre ed il bambino e of-frono preziosi spunti di osservazione.

L’oggetto, anche solo immaginario osimbolico (quando lo si offre come spun-to per immaginare di danzare “comese…avessimo in mano un bastone, unapiuma…”), obbliga il danzatore a dareconcretezza al suo mondo fantasmatico.Se si chiede di immaginare di danzare in-torno ad un albero, si porterà ciascunmembro del gruppo ad immaginare ilproprio albero nei suoi aspetti concreti(altezza, consistenza, colore, profumo…)stimolando ogni persona a riconnettersicon il proprio specifico mondo simbolicoed emotivo.

QUALI OGGETTI?Tutti e nessuno… non c’è alcun limite sulgenere di oggetti da poter introdurre nelsetting terapeutico, purchè ci sia una mo-tivazione fondata per introdurli. Nei lavo-ri di Maria Fux troviamo molti oggetti direcupero (carta, giornali, sassi…), chespesso rappresentano tutto quello che but-tiamo via e che invece va riportato alla lu-ce e trasformato.

Nella DMT che attinge alla ricercadell’Expression Primitive troviamo variepercussioni che hanno il valore di scandi-re il tempo e di portare il corpo a danzarenel ritmo universale percussivo, che ri-chiama il battito cardiaco.

Anche le forme spaziali assunte nelledanze tradizionali o simboliche hanno unavalenza mediatrice perché sollecitano,nella forma coreografica, a dare forma ed e finizione al mondo dell’inconscio (os-serviamo danzare una persona/gruppo informa di spirale, di cerchio, di serpentina,in riga, in diagonale…).

Troviamo l’uso mediatore della ma-schera, che cancella le espressioni faccia-li per sollecitare maggiormente il movi-mento corporeo.

Ricordiamo che il conduttore rappre-senta il mediatore per eccellenza perché

ESPERIENZE

L’OGGETTO MEDIAT O R ENELLE SEDUTE DI DANZAM O V I M E N T O T E R A P I ALaura Montanarella

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ARTI TERAPIE 14

ha la responsabilità di farsi “paradossale”,come ricorda Winnicott, restando corpooggettivo ma facendosi attraversare daogni proiezione del gruppo e di ogni sin-gola persona.

L A V I TA DI UN OGGETTOM E D I ATO R EÈ evidente che la scena terapeutica cambiacompletamente quando viene introdotto unoggetto mediatore. Maria Fux ci insegnanei suoi scritti quanto il conduttore debbaessere accurato nella scelta delle parole,delle musiche, delle consegne nell’intro-durre un oggetto. Il conduttore dovrebbeprivilegiare il corpo e la danza rispetto al-le parole e non dovrebbe guidare in modoeccessivamente induttivo la danza conl’oggetto. Come sottolinea V. Bellia, ilconduttore può dare una consegna e pochivincoli, in modo che la massima parte digioco e di creatività sia lasciata al gruppoe alla singola immaginazione.

Quando si crea la danza, il gioco crea-tivo, il conduttore resta ad osservare mo-vimenti, dinamiche, emozioni…si mantie-ne duttile nella trasformazione creativadelle sue consegne con la capacità di con-tenere le dinamiche che possono diventa-re talvolta forti, o fuorvianti.

Poi, la relazione con l’oggetto deve ter-minare. Lo scopo di tutto ciò, infatti, risie-de nel far emergere alla coscienza dei con-tenuti emotivi e di trasformarli proprio conl’ausilio dell’oggetto. Esso, dopo la danza,tornerà alla sua anonima funzione ogget-tuale ma al danzatore deve restare un’e-sperienza consapevole…non vogliamocerto caricare l’oggetto di energie perso-nali per poi lasciarlo in disparte senza ri-prenderci tutta questa nuova energ i a !

Anche il modo di separarsi da un og-getto è altamente significativo, e nuova-mente il conduttore sarà il meno induttivopossibile: attraverso il proprio corpo intro-durrà il congedo, per esempio con un ral-lentamento dei movimenti, con un gradua-le allontanamento dall’oggetto, con unadanza collettiva intorno agli oggetti depo-sti insieme… la “carica” proiettiva abban-

dona l’oggetto e torna al danzatore; egliporterà con sé questa nuova energia chepotrà trasformare creativamente e danzareancora, quando incontrerà un nuovo og-getto mediatore capace di ispirarlo.

LAURA MONTA N A R E L L A , D a n z a m o v i m e n-toterapeuta Espressiva Psicodinamica.

ESPERIENZE

B I B L I O G R A F I A

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ROSE H., The Power of the Form, Inter-national University Press, New Yo r k ,1 9 8 0 .

SACCOROTTI C., La complessità e l’au -tonomia del processo terapeutico ind a n z a m o v i m e n t o t e r a p i a, in Danzamo-vimentoterapia Modelli e Pratiche nel-l’esperienza italiana, Edizioni Scienti-fiche Magi, Roma, 2004.

S C H O T T-BILLMANN FRANCE, Q u a n dla danse guerit, La Recherche en dan-se, Chiron, Paris, 1989.

W I N N I C O T T D. W., Gioco e re a l t à, A r-mando Editore, Roma 1993.

Giovanni FelicianiBìblius. Libro dei libriRoma, Bibliosofica, 1999.ISBN 978-88-87660-00-5Formato cm 15 x 21, pagine 400, h 17,04

Una vera e propriaEnciclopedia del Libro,nata con l’intento dipromuovere e diffonderel’amore per i libri e lalettura. “366 modi diDirLi-bri” (Leggerli,Scriverli, Pubblicarli,Venderli, Custodirli,Stamparli, e così via), conuna selezionata rassegna di1.014 famosi e importantieditori degli ultimi secoli. Ilvolume è corredato dabibliografia (820 titoli),indici dei nomi, analitico edei “verbi”. Il libro per tuttigli italiani che leggono(5%), che leggono poco(25%), che leggono male oniente (70%).

Casa Editrice BIBLIOSOFICACasella Postale 11200, 00141 Ro m aTe l . / Fax 0774363928Web: members.xo o m . i t / b i b l i o s o fic aE-mail: bibliosofic a @ h o t m a i l . c o m

Il Corso di Pe rf ezionamento pre vede lezioni frontali e laboratori per un totale di350 ore (17 cfu).L ezioni, il sabato mattina, presso l’ Un i versità di Milano Bicocca, laboratori re s i d e n-ziali, nei week end presso Casa degli Artisti a Tenno di Tre n t o. La frequenza è obbligatoria.Inizio del Corso il 29 marzo 2008 e conclusione il 20 ottobre 2008.Il numero minimo dei partecipanti è 20, il massimo è 26. È prevista la selezione in ingre s s o. La domanda di iscrizione e il bando sono re p e r i-bili sul sito dell’ Un i versità di Milano Bicocca all’ i n d i r i z zo www. u n i m i b.it seguendoil percorso bandi e concorsi, Of f e rta Fo r m a t i va, Corsi di perf ez i o n a m e n t o.

Termine delle iscrizioni 31 gennaio 2008.Costo: 1.000 euro

PER ULTERIORI INFORMAZIONI È POSSIBILE CONTATTARE Dott.ssa Caterina Fiorilli alla seguente mail: [email protected] Dott.ssa Manuela Peserico alla seguente mail: [email protected]

CORSO DI PERFEZIONAMENTO INE D U C ATORE ALLE ATT I V I TA’ ESPRESSIVE

NELLE SITUAZIONI DI DISAGIO (Responsabile Scientifico: Prof. Ottavia Albanese)

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ARTI TERAPIE 16

STUDI E RICERCHE

P er chi scrive la prassi tea -t r a l e da sempre ha costi-tuito, pratica di sperimen-tazione sociale ed accadi-

mento multiforme. Le esperienze prati-che degli anni passati, ai confini del cam-po p s y, con pazienti psichiatrici, opera-tori e tossicodipendenti (cfr. La Nave deiFolli, Compagnia di Strada Pool-Cynel-la-Band) che consentivano a numerosepersone ed addetti ai lavori provenientida strutture pubbliche, di poter attuare ipropri diritti umani, di realizzare un pro -getto di arte collettiva (popolare) e di in-clusione sociale, insieme ad artisti citta-dini, partecipando all’organizzazione ealle manifestazioni carnevalesche in ma-schera, rende bene l’idea di una p r a s s imultiaccadimentale che contiene in sèoperativamente modalità sperimentali edeventi espressivi e linguistici: esperien-za personale, esperimento, pratica so -ciale allargata, teatro-vita, cura, etc. Edè qui che la prassi multiaccadimentalecontiene tutti gli elementi alla ricercamentre la narrazione antropologica mi-sura il suo confine: infatti come descri-vere tali esperienze artistiche senza con-netterle con il campo antropico e con i ta-lenti dei singoli? Come non cogliere intali esperienze di vita, arte e cura i mol-teplici aspetti multiaccadimentali legatialla storia del singolo e dell’operatore(paziente, operatore sociale, artista, psi-cologo, infermiere, etc.) e al campo an-tropico?

Questo teatro che comporta la c u r adella normalità necessariamente si ponecome un processo di avvicinamento traArte (Teatro) e Vita ed è risultato esserealla base di quella «negazione dell’Arte»,le cui idee-forza possono così sintetizza-te: a) superamento/negazione di un tea-tro concepito solo come finzione e comerappresentazione; b) s u p e r a m e n t o / n e g a-zione del professionismo teatrale e di

quello attorico, in particolare rigidamen-te intesi; c) superamento/negazione del-la divisione netta di ruoli tra attori e spet-tatori; d) proposta di un teatro come fat-to comunitario, processualità creativa digruppo. Non è probabilmente un casoche il tasso di teatralità collettiva dellasocietà aumenta enormemente nei mo-menti di crisi e di passaggio da un’epocaall’altra, da una struttura socio-economi-ca all’altra, da un sistema politico ad unaltro. Accade addirittura che nei periodirivoluzionari la teatralità diffusa arriviquasi a soppiantare il teatro delegato: èl’esistenza sociale stessa che diventa, inquanto tale, teatro, recita, festa continua.La natura innovativa e rivoluzionaria delteatro nel campo antropico continuo è or-mai particolarmente evidente – nel gra-do microepocale in cui stiamo vivendo –nei congiunti settori sociali ed artisticidella lotta all’esclusione sociale. Al di làdella personale esperienza si riconoscenel progetto il «teatro/vita» di Pippo Del-bono una esperienza importante ai finidel discorso che qui si accenna e relativoa l l ’ uso dell’arte (teatro) nel campo an-tropologico-trasformazionale. Le nume-rose tappe intermedie di questo percorsoespressivo sono composte da spettacoliche contaminano testimonianza politico-civile, tensione poetica e radicalità di vis-suti, danza, varietà e teatro di strada [M o -r i re di musica (‘89), Enrico V (‘92), L arabbia. Un omaggio a P. P. Pasolini(‘96)]. In particolare e soprattutto B a r -boni (‘97), spettacolo che erode ulterior-mente, e definitivamente, i già esili con-fini fra teatro e vita delle proposte prece-denti, mettendo in scena accanto ad arti-sti professionisti dei non-attori, persone-personaggi provenienti dal mondo del di-sagio e dell’emarginazione (a comincia-re da Bobò, sessantenne microcefalo in-contrato da Delbono nel manicomio cri-minale di Aversa, dove era rinchiuso dapiù di quarant’anni), e nei quali il registariesce, con grande sensibilità e non co-mune intuito teatrale, a valorizzare l’uni-cità e la straziante bellezza di modi

espressivi e comunicativi diversi, ano-mali, ma efficaci quanto e anche più diquelli cosiddetti “normali”, se solo ci sidispone davvero al loro “ascolto”.

Tuttavia ancora oggi si assiste, non dirado, ad un parziale scollamento fra il la-voro pratico degli specialisti del teatro(attori, registi, teatranti, studiosi, storici,etc.), decisamente orientato alla com-prensione e la conoscenza del fenomenoespressivo e l’immagine diffusa propriadella disciplina teatrale, talvolta ancora-ta a schemi teorici ed interpretativi, an-che antropologici, ormai desueti.

Chi scrive si è sempre sforzato inmille modi a non voler definire il teatro alivello teorico o tecnico (a cosa serve ilteatro nei territori della psiche?) ondeprolungare il processo di sperimentazio-ne. Infatti la sua attenzione è posta sullasperimentazione personale nel campo an-tropico continuo, sulle prassi pluriacca -dimentali, sul rapporto teatro-vita vissu-ta, sulle dialettiche sofferenza e scopertadel talento, su una provvisoria zona diconfine tra l’arte e le scienze umane ap-plicate, vale a dire, sull’intreccio ormaiindissolubile esistente tra teatralità, cu -ra e monde psy, sui possibili orizzonti econtributi operativi che si offrono allostudioso dell’interiorità e che possonoe m e rgere solo – nel corso del tempo –dal campo antropico e/o scaturire dall’u-so dell’a rte attoriale e spettacolare a l-l’interno dei contesti di reclusione (luo-ghi non-artistici), della riabilitazione psi-chiatrica e del trattamento psicologico.Questo settore d’indagine e di sperimen-tazione espressiva, che possiamo defini-re come “teatro-cura della normalità”,con cui ci si confronta, è collocabile inuna parte del campo antropico, in unaprecisa zona del viaggio scientifico edespressivo personale, dell’u n i v e r s o(co)sconosciuto in cui non può farsi maia meno di ricercare, sperimentare e pro -v o c a re. Questa prassi con le persone econ il teatro ha permesso di ricercare ilteatro (nei luoghi non teatrali); di speri-mentare le prassi teatrali con soggetti/

Che il teatro si affolli, finalmente diombre, non di luce e di utopie. Di rantoli, di soffi e non di comiziali,ben scandite, arringhe. D’epilettici, mitomani, di sognanti cri-minali, alla Genet. Di predicatori, inventori, cesellatori dipatiboli e delitti (dell’arte – come de-litto del delitto – come rigorosa ascesiestetica).Che il teatro si spalanchi all’interiorestillicidio degli appelli.

ENZO MOSCATO

TEATRO MULTIACCADIMENTALE NELLA CURAGiuseppe Errico

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STUDI E RICERCHE

persone non-attori; di osservare il fareteatro proprio e quello degli altri (altrecompagnie, altri registi, altri attori); diprovocare ed istigare all’agire teatrale perscopi curativi e trasformativi e di riflette-re (successivamente) sull’evento teatro.

«Nelle scene trasformazionali dellavita, dell’insegnamento e della terapia, unsingolo può essere portatore intenzionaledi un singolo copione personale oppure diuna molteplicità di copioni personali, inaccordo con l’ipotesi antropologico-tra-sformazionale che la singolarità coincidacon una molteplicità di persone o “ma-schere”» (Piro S. 2000). Lo sforzo di vo-ler realizzare una piena alleanza tra il tea-tro e le scienze psicologiche, tramite unaconnessione/sussunzione degli aspettidella trasformazione umana alla scenateatrale, è risultato non solo inutile dalpunto di vista pratico ma difficile.

A parere di chi scrive non può essererealizzata una piena alleanza fra la psico-logia, la psicoterapia, la psichiatria, l’an-tropologia, ossia il sapere per eccellenzadell’umano o della cura psichica da un la-to e le forme della teatralità (arte attoria-le, arte spettacolare, arte di testo, arte diregia, etc.) poiché diversi sono i registrilinguistici ed espressivi, come i loro con-fini. Inoltre tale alleanza si è spesso rive-lata soltanto in un’unica direzione (teatrocome cura: psicodramma, teatro-terapia,dramma/teatroterapia) una “fragile attra-zione” legata alla psicoterapia umana, po-co più che un dialogo incompiuto, diffic i-le da mettere in pratica quando non forie-ro di fraintendimenti e incomprensione.

«Per uno psicologo il mondo del tea-tro rappresenta un grande laboratorio incui processi psicologici, che sono presen-ti anche ovviamente al di fuori dell’espe-rienza scenica, appaiono ingigantiti. A l-cuni meccanismi sono, nel teatro, parti-colarmente enfatizzati, quasi isolati, co-me posti sotto una lente di ingrandimen-to» (Ruggieri V. 2002 p. 27).

Sotto il profilo epistemologico il rap-porto fra teatro, da un lato, e la psicologiae psichiatria o la psicanalisi dall’altro, è

stato spesso ricco di malintesi, di abusiscientifici quando non di critiche inutili(l’arte è terapia?). Recentemente ci si in-terrogava sulle ragioni di un analogofraintendimento favorito dall’uso incerto(talora solo pratico) che del termine curateatrale era stato fatto da non pochi ricer-catori (psicologi e artisti, soprattutto) ne-gli ultimi anni.

Malgrado tali inutili conflitti di com-petenza e di specialismi di basso livello,il teatro più che mai rispetto al Novecen-to, alle esperienze teatrali alternative (tea-tro-laboratorio di Grotowski, L i v i n gT h e a t re, il Te a t ro della Cru d e l t à di A r-taud, etc.), continua a proporsi come unos t rumento pluriaccadimentale, comeprassi trasformazionale, risulta cioè ca-pace di creare legami tra le singolarità, dimettere a nudo i conflitti e le contraddi-zioni dell’uomo e della donna nel loro le-game con il tempo.

Per tali motivi risulta necessario con-siderare la scena teatrale come una, tra letante, scene t r a s f o r m a z i o n a l i , utili per ap-profondire e indagare nella vita quotidia-na della donna e dell’umano, utile nei ser-vizi di salute mentale, nelle carceri, nellestrutture comunitarie e, comunque, in tut-ti quei luoghi in cui sono presenti situa-zioni di sofferenza oscura, di reclusione edevianza, di marginalità e di gioia, di li-mitazione e di danno alle persone.

Apprendere il teatro è dunque proten-sione all’accadere, complessa rete di re-lazioni ed attività/azioni/prassi multiplein cui si è coinvolti quando si mette in at-to una pratica espressiva, quando si viveuna passione comune, quando ci si in-contra con l’altro, con un testo o raccon-to. Da ciò consegue che l’apprendimentoartistico è sempre un processo protensio -nale.

GIUSEPPE ERRICO, psicologo, psicote-rapeuta, teatroterapeuta, Membro ri-c e rc a t o re della Fondazione Onlus “Cen-t ro Ricerche sulla psichiatria e le scien-ze umane”, Napoli.

Giuseppe SaponaroHusserl-Kandinsky. L’eclissi della natura nellafenomenologia e nella pittura del primo NovecentoRoma, Bibliosofica, 2001.ISBN 978-88-87660-05-0Formato cm 15 x 21,pagine 160, h 12,39

Questo libro pro m e t t eu n’ i n t roduzione all’ u n i ve r s odella fil o s o fia e della pittura, maal lettore chiede in cambio unos f o rzo di immedesimazione. La fenomenologia di Husserl ela pittura astratta di Kandinskysono due eventi della culturae u ropea contrassegnati da unadoppia affinità e specularità:sembrano simultanei nellanascita e insieme caratterizzanoun tempo che continua ade s s e re sempre il nostro. Come Husserl è un classicodella fil o s o fia, così è arte classicala pittura astratta di Kandinsky.

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“È una strana appare c c h i a t u r a - d i s s el ’ u f ficiale all’esploratore; e con unos g u a rdo in un certo qual modo d’ammi-razione, veniva considerando quellamacchina a lui così familiare. Il viaggia-t o re pareva aver accettato solo per cort e-sia l’invito del comandante, che gli chie-deva di assistere alla esecuzione di unsoldato condannato per insubord i n a z i o-ne e oltraggio ad un suo superiore ” .

Così inizia il breve racconto di FR A N Z KA F K A “nella colonia penale”.

IL DELITTO E IL CASTIGO

I l tema della condanna edella relativa punizione ap-pare ripetutamente nell’o-pera del grande scrittore

praghese (si pensi alle suoi testi più co-nosciuti, come “il processo” o “il castel-lo”). Soprattutto in quella che nelle sueintenzioni, non però concretizzate in unarisoluzione editoriale, avrebbe dovuto es-sere la cosiddetta trilogia delle punizio-ni: “Der Strafen”; volume deputato a rac-cogliere tre diversi racconti, scritti in treanni: “La condanna” (1912); “La meta -morfosi” (1912); “Nella colonia penale”(1914).

Nei primi due racconti il tema svolto èquello della detenzione; una detenzioneper niente carceraria, istituzionale e, quin-di, sociale, bensì interiore, essendo matu-rata in ambito familiare: il protagonistadel primo racconto vive la condanna delsenso di colpa relativo al conflitto con ilpadre. La conseguente espiazione passeràattraverso la via del suicidio (più o menoindotto...), cioè la propria fine come la ri-soluzione della problematica fra se e leproprie origini, altra parte di se non risol-ta. Racconto scritto di getto, sembra in unsol giorno. Nella m e t a m o r f o s i G r e g o rS a m s a, il protagonista, mediocre espo-nente della piccola borghesia (è un com-messo viaggiatore), si ritrova detenutonella propria stanza, mutato in un enormescarafaggio. A ben vedere è interessante iltitolo dato da parte di K a f k a: “ m e t a -m o r f o s i” nella mitologia allude ad una tra-sformazione soprannaturale di un essereun un altro di natura diversa, in natura adun cambiamento progressivo di stato,mentre il racconto lascia alludere ad unaimprovvisa modific a z i o n e .

Forse è la condizione umana stessa acontenere al proprio interno e a svilup-pare in modo silente la larva dell’estra-neità?

Comunque, la pena sarà sempre piùcrudele con l’aumentare della marg i n a-lità spaziale, del progressivo abbruti-

mento e dell’ostilità, sempre più manife-sta dei “propri cari”.

Il problema del cambiamento si ri-solverà, anche in questo caso, nell’elimi-nazione non solo fisica del protagonista,ma pure nella memoria della sua fami-glia, nell’oblio più completo.

Nel terzo racconto, invece, l’azione sisvolge all’interno di una colonia penale.

Qui, l’ambito diviene esplicitamentesociale. Trascurando il significante dellostile del racconto, che lascia intuire laconsistenza metaforica del vissuto di col-pa dell’autore (del resto, come si è visto,assai ridondante), ci si può invece sof-fermare sullo strumento stesso del sup-plizio, un’autentica “macchina estetica”di tortura, composta da un l e t t o (parte in-feriore), da un incisore (parte superiore)e da un erpice (parte oscillante). Il con-dannato dovrà “accomodarsi” nella mac-china, quindi, verrà marchiato con il te-sto della propria condanna mediante l’er-pice: un’arzigogolata e criptica incisionedirettamente sul proprio corpo; un dolo-re sublime ed arabescato nell’intenzionedel giudicante.

Il senso “riabilitativo” della condan-na passa attraverso la sofferenza comenecessario strumento per giungere all’il-luminazione, alla consapevolezza delproprio essere e giungerà alla liberazionedal proprio corpo imperfetto, disubbi-diente, con l’espiazione e anche in questocaso, con la morte.

Pur nell’esagerazione della formafantastica, si tratta, a ben vedere, di un’a-deguata e poetica metafora dello stato didetenzione nelle nostre strutture peniten-ziali. Chiunque abbia vissuto l’esperien-za di lavoro con i detenuti è in grado diriconoscere queste fasi di annullamentodella personalità. D’altronde, da sempre,il concetto stesso di pena porta come na-turale filiazione una forma estetica di tor-tura; un percorso diseducativo ed implo-sivo, com’è dimostrato dall’altissimapercentuale di episodi di violenza, auto-lesionismi e suicidi presenti in condizio-ni di “cattività”.

Attraverso i dati del Ministero diGrazia e Giustizia, aggiornati al 2002, sievidenzia come il carcere sia un vero eproprio produttore di marginalità socia-le. I detenuti extracomunitari e quelliprovenienti da sole quattro regioni delsud Italia costituiscono il 75% della po-polazione carceraria. Inoltre, in carcere,ci si suicida 19 volte in più che all’ester-no e questa percentuale è simile pure perciò che riguarda l’estensione del feno-meno agli agenti di custodia.

L’interiorizzazione del luogo comu-ne di “giusta punizione” è ancora estre-mamente diffusa nella nostra società,questo al di là delle stesse leggi che pre-vedono differenti percorsi detentivi infunzione di ottiche rieducative e di rein-serimento sociale.

Mentre riusciamo a trovare facilmen-te sinonimi alla parola “prigioniero” (ar-restato, carcerato, detenuto, galeotto, for-zato, recluso, segregato) o alla parola“prigione” (galera, penitenziario, coloniapenale, casa di lavoro, casa di correzione,riformatorio, carcere minorile, casa cir-condariale, stabilimento o bagno penale,manco i detenuti andassero al mare...),d i fficilmente troveremo un eguale ric-chezza terminologica in grado d’indica-re le parole “libero” e “libertà”, nono-stante un grande sforzo di memoria.

Spesso si manifestano forti resisten-ze ad interventi di tipo espressivo da par-te pure del personale “riabilitativo” del-la struttura carceraria (educatori, assi-stenti sociali...). Questo in quanto un per-corso indirizzato alla consapevolezza deldetenuto, però basato su vissuti non ne-gativi come quelli attivati da proceduredi tipo artistico e nel contesto gruppale èconsiderato in contrasto con la necessità“penale” del contesto.

I laboratori di arte terapia all’internodi strutture carcerarie siano esse carceri dimassima sicurezza, carceri minorili, casedi lavoro, case circondariali ecc. sono in-vece orientati ad una “estetica della libe-razione”. “Arte d’evasione”, quindi, perusare una facile battuta, ma intendendo

STUDI E RICERCHE

L’ESPERIENZA DELLA RECLUSIONE E L’ARTE TERAPIA Carlo Coppelli

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ARTI TERAPIE 19

Per essere forti bisogna conoscere sestessi, bisogna conoscersi in pro f o n d i t à ,s a p e re tutto di se, anche le cose più na-scoste, le più difficili da accettare. Comesi fa a compiere un processo del generem e n t re la vita con il suo ru m o re ti trasci-na avanti? Gran parte della mia vita èstata così, più che nuotare affogavo, congesti insicuri e confusi, senza eleganzanè gioia, sono riuscito a tenermi a galla(...) Così vanno le cose, ci vuole genero-sità nella vita, il cuore è il centro dellospirito, la mente è moderna quando ilc u o re è antico (...).”

Tratto da: “il viaggio”, di GI A N C A R L O, detenuto della Casa Circondariale

S. Anna di Modena

con ciò qualcosa di completamente diver-so dalla mera occupazione del tempo at-traverso l’attività artistica, ovvero delsemplice stemperare la tensione internacon una occupazione gradevole o, ancorpeggio, un impiego nascostamente fun-zionale ad un controllo interno.

Liberazione intesa come riapprio-priazione del se, ridisegnando un profil o ,il proprio profilo. Difatti, all’interno diun setting di arte terapia (soprattutto inquelle che possiamo definire “istituzionitotali”), vengono attivati, con maggiorfrequenza alcuni importanti processi ditipo: Performativo,consistente nell’attri-buire all’azione espressiva stessa il sen-so di conoscenza e consapevolezza; A t t i -vo, cioè, non enfatizzare la mancanza (od e ficit) ma attivare le esplicite o poten-ziali risorse; S o c i a l e, nello spostamentodall’attenzione mirata quasi esclusiva-mente all’IO alla costruzione di un NOI;Coevolutivo, nel riconoscimento e resti-tuzione durante il feedback .

Questo ultimo aspetto, a ben vedere,estremamente importante in un contestodove gran parte delle persone provengo-no da altre culture e continenti. Infattil’ultima serie di interventi, recentemen-te portata a compimento (“Arti in carce-re 2007”), ha visto la partecipazione di24 unità nel reparto maschile di cui 15provenienti dall’area nord africana, 3dalla penisola balcanica, 2 dal Sud A m e-rica e 5 soli italiani (il 20% del totale),tutti provenienti dal sud Italia; con un’etàvariabile dai 20 ai 50 anni (età media 31anni). In questo “caravanserraglio” la ca-pacità d’integrazione dei linguaggi arti-stici e teatrali ha consentito una buonacomunicazione ed empatia altrimenti im-possibile da raggiungere utilizzando lasola mediazione della parola.

LE PREMESSEDELL’INTEVENTO

Può apparire difficile motivare l’utilizzodel linguaggio artistico senza inciampa-

re nei consueti luoghi comuni che corre-dano la parola A RTE: “libertà espressi-va, valorizzazione delle potenzialitàcreative, conoscenza delle capacità” ecc.Questo a maggior ragione in contesti do-ve libertà, personalità, espressività per-sonale e condivisione sono esplicitamen-te negate. Qual’è stato allora il senso diquesta proposta?

Innanzitutto il progetto è stato pensa-to come laboratorio e non come corso.Apparentemente i due termini possonosembrare dei sinonimi, ma in realtà lastruttura del c o r s o prevede una serie ditecniche e strumenti da parte del condut-tore; questi verranno poi assimilati, più omeno efficacemente, dal corsista, a se-conda dalla capacità comunicativa, di-dattica e professionale del conduttore. In-vece, in questo caso, per l a b o r a t o r i os’intende uno spazio (setting) entro ilquale tutti i partecipanti sono recettivi al-lo scambio e all’apprendimento più arti-colato.

Colui che precedentemente abbiamodefinito come conduttore diventa un“e d u c a t o re”, laddove per “educere” s’in-tende la capacità di aiutare a “tirar fuo-ri”; un f a c i l i t a t o re quindi, o ancor meglioun “n e g o z i a t o re”, ovvero colui che riu-scirà a “negare l’ozio”. Del resto non èforse una stagnante situazione d’ozioquotidiano ciò che contraddistingue ladetenzione?

Si è trattato quindi di negoziare con idetenuti, cercando, metaforicamente, disuperare le diffidenze e le barriere nonsolo fisiche ma culturali ed etniche cherendono ancor più invalicabili quelle fi-siche.

Il segno, il colore, così come il suono,la drammatizzazione e il movimento del

corpo, soprattutto se proposti in formeintegrate, rappresentano gli indispensa-bili codici di un alfabeto in larga partesconosciuto, canali entro i quali far scor-rere le proprie energie vitali e pulsioninon necessariamente solo positive.

Sotto questo aspetto, le espressioni diuna vita bloccata, le ripetitività ossessive,lo scoramento, l’angoscia, gli episodi di-struttivi ed autodistruttivi possono trovareuna trasformazione nella (ri)elaborazioneartistica, una forma che rappresenta il pro-prio mondo (interno ed esterno) ma allostesso tempo nuova, in molti casi in gradodi contenere questi spunti e talvolta di ali-mentare un senso di autostima indispen-sabile per innestare un autentico processodi cambiamento.

L’ESPERIENZA ALLACASA CIRCONDARIALE S. ANNA DI MODENA

L’Arte e la Danza terapia rappresentanoda 7 anni una presenza attiva e consoli-data all’interno delle pratiche rieducati-ve della Casa Circondariale S. Anna diModena.

Nell’ormai lontano 2001, il progettodenominato “ART TRE” era stato propo-sto e iniziato con uno spirito pionieristi-co e sperimentale e un limitato numerodi incontri, nelle diverse sezioni maschi-le e femminile, grazie al sostegno del-l’associazione Carcere-Città ed ancheeconomico del Comune .

In seguito, i successivi progetti “I lM u ro Dipinto”, “l’Ora d’Art e” ed infin e“Prendere P’Arte” si sono via via carat-terizzati da una maggior continuità e daun radicamento nella struttura stessa del-

STUDI E RICERCHE

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STUDI E RICERCHE

la Casa Circondariale. Ha concorso a ciòcertamente l’aumento dei laboratori, iltentativo di dialogare con le aspettative ele necessità sia degli operatori che dei de-tenuti.

Questo ha portato alla formulazionedi progetti sempre diversi, al coinvolgi-mento delle differenti sezioni presenti alS. Anna e all’elaborazione di interventianche rivolti alla realtà territoriale comela partecipazione alla rassegna “Teatro diclasse”, la produzione dell’allestimentointerattivo “corporecluso” e la divulga-zione dell’esperienza modenese attraver-so relazioni in convegni nazionali.

L’articolazione degli interventi, ini-zialmente proposta e realizzata da treoperatori, ha considerevolmente aumen-tato l’offerta professionale, coinvolgen-do nell’ultima edizione cinque esperti:l ’a r t e t e r a p e u t a, la d a n z a m o v i m e n t o t e r a-p e u t a, l’operatore multimediale, il p e r-cussionista e l’attore. Si è cercato di darcorpo al progetto formulando soluzionied interventi “a più mani” cercando di in-tegrare diversi linguaggi.

Il progetto “Artincarcere”, di valen-za biennale, in corso di attuazione, nelmodulo di arte terapia è coordinato dall’arteterapeuta, Carlo Coppelli, con l’in-

tervento dell’attore Tony Contartese; ilmodulo di danzamovimento terapia ècoordinato invece da Cristina Lugli c o a-diuvata, in tempi e modi diversi, da Um -berto Stefano Benatti e dal percussioni-sta Marcello Davoli.

Il rapporto con il Direttore, gli edu-catori, gli agenti coinvolti, le psicologhe,i volontari, insomma tutti i protagonistidel percorso rieducativo, si è progressi-vamente consolidato, raggiungendou n ’ e fficacia comunicativa, certamenteancora migliorabile ma comunque sod-disfacente, forse impensabile alcuni an-ni fa. In questo la duttilità (requisito chedovrebbe essere indispensabile all’arte-terapeuta) ha giocato da collante nei con-fronti di operatori ed agenzie di per secompartimentale e, molto spesso, imper-meabili alle sollecitazioni della cosiddet-ta società civile.

Si può pertanto affermare la peculia-rità dell’esperienza della Casa Circonda-riale S. Anna, anche rispetto alla panora-mica degli interventi nelle diverse strut-ture penitenziarie nazionali.

Infatti, a tutt’oggi, in Italia non risulta-no tante altre esperienze di laboratori sul-le arti terapie rivolte ai detenuti e alle de-tenute altrettanto consolidate e durature econ una tale integrazione di linguaggi.

Quanto detto è stato possibile graziealla sensibilità e al coinvolgimento del-l’associazione Carcere-Città e del Co-mune di Modena, alla succitata disponi-bilità e professionalità degli operatori, al-la fondamentale risposta positiva dei de-tenuti e delle detenute e al contributoeconomico sostanziale della FondazioneCassa di Risparmio di Modena.

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IL PROGETTO CAPPUCCETTO ROSSO

Il progetto di rappresentazione teatraledel 2007, all’interno della casa circon-dariale S. Anna di Modena, è nato dal-l’idea di coinvolgere i detenuti in unevento dedicato ai bambini.

Questo in effetti perché, in alcunimomenti dell’anno, i detenuti possonoincontrare i loro parenti compresi i lorofigli in occasioni di ricorrenze festive co-me il Natale o in occasione dell’estate.Allora perché non coinvolgerli diretta-mente in uno spettacolo creato da lorostessi apposta per i piccoli?

L’idea è stata proposta e subito è sta-ta colta positivamente da tutto il gruppo,perché il carcere potesse diventare perquesti bambini un luogo diverso, piùospitale e più accogliente, un luogo difesta e sorpresa. Da qui la fiaba e dopovarie proposte si è scelta la favola diCappuccetto Rosso.

Il programma è stato quello di far co-struire ai detenuti la scena per poi inter-pretarla, ma la favola non è stata inter-pretata fisicamente (almeno, non solo...)ma con la mediazione di sagome che idetenuti/attori hanno mosso dandoglivoce o meglio, vita. Lo spazio teatrale èdiventato così un contenitore di imma-gini che si sono susseguite nella storia,animati dagli attori, come avviene nelteatro delle ombre cinesi e nel teatro deiburattini.

I detenuti sono stati così spinti e gui-dati a disegnare e a costruire figure perun immaginario fanciullesco, ed inoltrea trovare un modo interpretativo, sia dinarrazione che di suggestione adatto ecoinvolgente per un pubblico così gio-vane. Si è sperato con ciò di poterli aiu-tare ad esplorare e a recuperare una par-te della loro vita importante quella del-l’infanzia. Autori dei propri spettatori.Autori e creatori del gioco e del sorriso,che è ciò che più ci colpisce dei nostribambini.

STUDI E RICERCHE

MODULO DI ARTETERAPIA sezione maschile

D u r a t a

S e t t e m b re 2006 S e t t e m b re / G e n n a i o / S e t t e m b re / S e t t e m b re /

D i c e m b re 2008 D i c e m b re 2006 Maggio 2007 D i c e m b re 2007 D i c e m b re 2008

18 INCONTRI 20 INCONTRI 18 INCONTRI 18 INCONTRI

U t e n z a

Detenuti comuni D e t e n u t i D e t e n u t i D e t e n u t i

Sezione Sezione c o m u n i

P rotetti (I) P rotetti (II) t o s s i c o d i p .

Contenuti del Laboratorio L a b o r a t o r i o L a b o r a t o r i o L a b o r a t o r i o

training e e s p re s s i v o e s p ressivo e s p re s s i v o e s p re s s i v o

a rticolazione di arteterapia con di art e t e r a p i a di art e t e r a p i a di art e t e r a p i a

del perc o r s o integrazione di a cadenza a cadenza con integrazione

drammatizzazione s e t t i m a n a l e s e t t i m a n a l e teatrale nella

e teatro nella (2 h) (2 h) con seconda part e

seconda part e i n t e g r a z i o n e

teatrale nella

seconda part e

Eventuale Messa in Allestimento Messa in scena

fin a l i z z a z i o n e scena a per la festa a conclusione

conclusione di fine anno del percorso con

del percorso la re a l i z z a z i o n e

con la realizzazione di un fil m a t o

di un fil m a t o

R a p p o rto con 3 incontri con 3 incontri con

il terr i t o r i o visita alla Galleria visita alla Galleria

Civica di Modena Civica di Modena

INCONTRI: nr. 80 arteterapeuta, nr. 45 operatore teatrale

Tutti i dipinti qui riprodotti sono stati elaborati nei laboratori di arte terapia, nelle casa cir-condariale di Modena.

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ARTI TERAPIE 22

Progetto socio-culturale dell’Assessorato Cultura

Provincia di Modena

SPAZIO LIBEROArte dai luoghi di reclusione

Modena - Chiesa di San PaoloCentro d’Arte e Cultura

26 maggio - 17 giugno 2007

S ogni, paure, drammi? Certo. Ma anche “Arte”. Libertà di espressione, crea-tività senza limiti.

Una mostra, organizzata dall’Assessora-to alla Cultura della Provincia di Mode-na con la collaborazione della GalleriaCivica di Modena, della CooperativaMade in Jail di Roma, del Gruppo Car-cere-Città, della Casa Circondariale S.Anna e con il contributo della Fondazio-ne Cassa di Risparmio di Modena, è di-venuta l’occasione, per gli autori invita-ti, per parlare di forti esperienze dal mon-do recluso e, indirettamente, di sé: dete-nuti negli istituti di pena, negli ospedalipsichiatrici, in luoghi di emarginazione,di solitudine si sono fatti strada con la lo-ro arte dura, ricca, culturalmente violen-ta, e, sottilmente, invitano il mondo arti-stico a riflettere sul significato delle mo-stre e dell’arte.

In un momento in cui il carcere è alcentro dell’attenzione, dalla Provincia diModena è stata organizzata, dietro laspinta di un sentito coinvolgimento macon la consapevolezza della delicatezzad e l l ’ a rgomento, una complessa e riccainiziativa, con l’intento di avvicinare,grazie a quella “passione” che è l’arte, unmondo chiuso, lontano dai nostri occhi.L’operazione, non semplice, ha datogrande soddisfazione anche perché hapermesso di valorizzare il lavoro di chi -associazioni, operatori, uomini e donne -ogni giorno si dedica, con costanza e vo-cazione, alle attività rieducative, didatti-che e di sostegno psicologico all’interodel carcere.

Il progetto, partito dall’esposizionedelle opere dei reclusi, si è via via am-pliato: un’importante tavola rotonda daltitolo Oltre il muro ha visto confrontarsisul tema rappresentanti del Ministerodella Solidarietà Sociale, responsabilidelle Amministrazioni penitenziarie,operatori che lavorano negli istituti di de-tenzione, esperti d’arte, teatro, artetera-pia e socio-psichiatria; rappresentazioniteatrali, letture di testi hanno catturatol’attenzione degli spettatori per l’altaqualità artistica; un concerto e visite gui-date nel carcere hanno permesso ai re-clusi e agli esterni, a studenti delle scuo-le superiori del territorio, di entrare incontatto.

I lavori esposti, provenienti dalla Ca-sa circondariale di Modena, di C a s t e l -franco Emilia, da R e b i b b i a, dall’Ospe-dale Psichiatrico Giudiziario di C a s t i -glione delle Stiviere (Mantova), selezio-nate da un gruppo di lavoro interno alServizio Cultura, hanno mostrato chel’arte dell’emarginato, del recluso, delmalato di mente è tutt’altro che ingenua,bensì lucida, tagliente, profonda: è emer-genza fatta pensiero. Menti squadernateattraverso la pittura, la serigrafia, l’in-stallazione, anche il video, si rimodella-no, proiettano fuori di sé paure e ombre,cessano di subire.

Sono state raffigurate impronte digi-tali come palloncini, legati a catene alposto dei fili, poi chiavi, buchi di serra-tura. Una crudele ironia tra volti defor-mi, spaventosi, porte sbarrate. Un videoe una video-installazione hanno raccon-tato, con linguaggio incisivo, il lavorostraordinario, sperimentale, artistico, tea-trale e danza-terapeutico, svolto da vo-lontari nell’istituto detentivo di Modena:il corpo, costretto, recluso, percepito avolte come unità smembrate, diviene,grazie alla pratica artistica, strumento diespressione, nuovamente Uno.

Altri artisti hanno rappresentato pae-saggi naturali, campagne, marine, facen-do esplodere, debordare il colore e le for-me, con uno stile anche “bruto, infantile,

ingenuo”: la mente va all’Art Brut, degliO u t s i d e r, di chi sta fuori dal mercato,rompendo con gli schemi.

In questa particolare circostanza l’ar-te mostra al mondo la sua vera essenza,la sua magìa, la forza, la potenza e i frut-ti di una vena di follìa dominata che è al-la sua origine.

In uno “spazio libero” si è liberato ilpensiero.

Teatro, poesia, letteratura d’alto livel-lo sono le altre forme d’arte, legate almondo dei reclusi, presentate durante glieventi collaterali: il Te a t ro del Pratello,con la regia di Paolo Billi, ha org a n i z z a t oletture di brani scritti dai giovani reclusid e l l ’Istituto Penale Minorile e da studen-ti di istituti secondari superiori di Bolo-gna, il Te a t ro dei Ve n t i di Modena ha te-nuto un laboratorio teatrale con i detenutidella Casa di re c l u s i o n e di CastelfrancoEmilia e messo in scena Vita Prigionieracon Beatrice Skiros (evento org a n i z z a t odal Comune di Modena – Assessorato al-le Politiche Giovanili), la Compagnia del -la Fort e z z a di Volterra ha proposto Il Li -b ro della Vi t a, di e con Mimoun El Ba -r o u n i, un suggestivo monologo ideato ediretto da Armando Punzo. Hanno porta-to inoltre un contributo prezioso la C o o -perativa Sociale Passaggi, che ha presen-tato, durante l’incontro pubblico, la pro-pria attività presso la Casa Circ o n d a r i a l edi Viterbo, e il C.R.A.T. – C e n t ro Ricerc aA rte Te s s i l e, che ha prestato, per l’esposi-zione, arazzi realizzati al telaio dai giova-ni dell’Istituto Penale Minorile S i l v i o P a -t e r n o s t r o di Catanzaro.

Si è cercato, dunque, di mostrare laricchezza di esperienze artistiche vissutenei luoghi in cui si scontano dure pene ela varietà dei punti di vista sull’arg o-mento “arte, creatività come strumenti direcupero e reinserimento sociale”.

L’iniziativa, che ha riscontrato un ve-ro, sentito, ampio interesse del pubblico eha permesso, con la vendita di diverse ope-re in mostra, l’utilizzo del ricavato per al-tre attività da svolgere in carcere, ha con-sentito di avventurarci in territori umani,

STUDI E RICERCHE

ARTI TERAPIE 23

culturali ed emotivi a noi ancora quasi sco-nosciuti, lasciandoci alle spalle il già noto.

Forse è anche e soprattutto attraversouna sorta d’isolamento mentale che è pos-sibile far emergere un nuovo senso dellavita e dell’arte?

L’arte in carcere è l’espressione di undesiderio, di una necessità di ritrovare sestessi e la propria identità.

È una ricerca che va oltre i pregiudizie le resistenze; una quotidianità che salvae distrugge allo stesso tempo.

È anche un’isola, una cella di metri 3x 3, un piatto con una forchetta di plasti-ca. Un respiro delimitato e forzato.

È un’utopia?

CARLO COPPELLI, Arteterapeuta, Docen-te a contratto Università di Modena eReggio Emilia, Docente di Disciplineplastiche all’Istituto d’Arte di Modena,Carpi, (MO).

STUDI E RICERCHE

Dipinto eseguito da un pazientedi Castiglione delle Siviere.

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L ’ esperienza del muro nascecome micro progetto al-l’interno del laboratorio diespressività corporea inte-

grata che si svolge nel reparto Psichiatri-co Diagnosi e Cura (S.P.D.C.) dell’ospe-dale S. Giovanni Addolorata di Roma ilcui responsabile è il Dott. Walter Gallotta.

L’idea è nata un giorno mentre per-correvamo l’androne che precede l’en-trata nel reparto. In questo spazio diver-so tempo fa è stato eretto un muro di car-tongesso che aveva la funzione di sepa-rare l’ambiente antecedente l’S.P.D. C, incui i pazienti passano del tempo, anchesolo per fumare o “prendere aria” e l’am-biente deputato alle visite mediche del-l’ospedale e al pagamento dei ticket.

La sensazione che avevamo percor-rendo il corridoio era quella di sfio r a r e ,ogni volta, non solo un muro, ma un mu-ro esteticamente brutto, qualcosa messalì “alla buono e meglio” ma con una pre-cisa funzione: una vera e propria barrie-ra architettonica.

Ci siamo allora dette che sarebbe sta-to interessante “spostare” il lavoro chesvolgevamo con i pazienti all’interno delreparto, lì fuori, sul muro. Il pretesto eraquello di renderlo meno squallido e piùgradevole alla vista, ma contemporanea-mente si lavorava sul processo trasfor-mativo del singolo paziente e del grup-po.

Ci piaceva che il tema della malattiamentale intesa come qualcosa da ghet-tizzare, isolare, nascondere magari pro-prio attraverso un muro, fosse il filo con-duttore del nostro lavoro e potessimo co-sì inventarci, insieme ai pazienti, un mo-do nuovo per affrontarla e trattarla uti-lizzando i linguaggi artistici.

Il micro progetto è iniziato con l’ a p-provazione del primario e con l’adesione,alla nostra proposta di collaborazione, de-gli altri due laboratori attivi nel reparto,quello di musicoterapia e quello di scrit-tura collettiva. Ognuno di noi ha mante-nuto la piena autonomia all’interno delproprio laboratorio ma abbiamo condivi-

so, sin dall’inizio, il progetto terapeutico ela sua organizzazione generale.

LABORATORIO DI ESPRESSIVITÀ CORPOREADOTT.SSA ELENA LA PUCA,DOTT.SSA FRANCESCA BARBIERI

Per quanto riguarda il nostro laboratorio,il lavoro iniziava spesso all’interno delreparto con esperienze psico-fis i o l o g i c h eo altre esperienze a base corporea perpoi, in qualche modo, “transitare” fuoridal reparto e trovare uno spazio di me-moria sulla superficie del muro. Parte im-portante e strutturante del lavoro, è statala gestione dello “spazio interno”, intesocome mondo interiore, e dello “spazioesterno” come luogo fisico di proiezionedei propri vissuti, da condividere con glialtri e di cui avere rispetto.

La proposta era quella di integrarsiagli altri attraverso i propri lavori, di sfio-rarsi a volte, molto spesso incontrarsi mamai sovrapporsi, mai cancellare e quindimai nascondere.

Molto interessante è stato accorgersidi come le esperienze corporee e i giochiespressivi compiuti all’interno del “set-ting reparto” trovassero,poi, un altro mo-do per essere raccontati fuori e quindi ri-vissuti dai singoli pazienti attraverso al-tre forme espressive come il colore, l’im-pronta, il disegno, il racconto e la com-posizione attraverso materiali diversi (la-na, ritagli di giornale, carta).

Ad un certo punto del lavoro è statoevidente ai nostri occhi come il muro, daostacolo, fosse diventato una possibilità,una risorsa, un sostegno, un grande con-tenitore, qualcosa con cui giocare, e so-prattutto qualcosa che ci aiutasse a nondimenticare ciò di cui si ha bisogno. Ilmuro stava diventando uno spazio rela-zionale, dove s’intrecciavano vissuti masoprattutto stava diventando un corpo“vivo e parlante”.

Il setting atipico del “muro” ponevapiù difficoltà per la gestione del gruppo,

in quanto spazio più aperto, meno con-trollabile e quindi più dispersivo. Nellostesso tempo, però, ci ha permesso conpiù facilità, di coinvolgere pazienti mol-to gravi o reticenti che, sostando fuoriper una sigaretta o per prendere un po’d’aria, sono entrati nel lavoro, dapprima,come “semplici” osservatori, e poi incu-riositi, hanno partecipato lasciando con-tributi molto significativi e ritrovandoquel senso di leggerezza, frutto dell’e-sperienza del lasciarsi andare...

Qui di seguito raccontiamo breve-mente alcune delle esperienze più signi-ficative del progetto:

• La sagoma dalla personalità multipla.Segnalare i confini del corpo attra-verso le proprie mani; creazione diuna sagoma umana sul muro (il cor-po è stato “prestato” da uno dei pa-zienti).Il gruppo gli ha dato un nome e hacolorato le diverse parti del corpo conil colore che pensava potesse rappre-sentarle e lo ha riempito di particola-ri e di elementi. In ultimo gli è statadata un’espressione.

• “Qui dentro”.Dopo aver giocato con il soffio dellebolle di sapone, il gruppo esprimeproprie immagini e sensazioni rispet-to al “qui dentro” inteso come vissu-to sia all’interno del reparto e quindidell’ospedalizzazione sia rispetto alproprio mondo interiore. Successiva-mente il gruppo viene invitato a por-tare i contenuti dell’esperienza “lìfuori” sul muro, scegliendo la propriamodalità.

• Il “collage”: scomporre per ricom-porre.Lavoro con ritagli di immagini o fra-si di giornali; i pazienti hanno com-posto un proprio collage personaleaggiungendo altre immagini o scri-vendo un racconto o una storia ai ri-tagli da noi proposti.

LABORATORI IN S.P.D.C.

L’ESPERIENZA DEL MURO

Elena La Puca, Francesca Barbieri, Davide Marzattinocci

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ARTI TERAPIE 25

• Lavoro sul muro: “la mia gioia”. Scegliamo il colore della gioia; cos’èla gioia per ognuno di noi?Disegniamo liberamente la gioia sulmuro.

• Lavoro a tema sul giorno della me-moria: 27 gennaioR i flettendo sul senso della memoria ein particolare sull’olocausto, il gruppoha prodotto immagini e pensieri..chesi sono tradotti poi in versi...arrivandoa comporre una poesia integrando ipezzi di ciascuno. Ognuno ha poiscritto sul muro il proprio verso. Ilgruppo ha poi deciso il titolo dellapoesia e un nome unitario con cui fir-marsi: Gli esposti dell’S.P. D . C .

• Esperienza dell’elastico e dello spazio. Esplorazione libera dello spazio;Un grande elastico poi ci ha racchiu-si tutti. Abbiamo lavorato sui vari di-stretti del corpo appoggiandoli di vol-ta in volta sull’elastico, facendo espe-rienza delle possibili flessibilità del-

lo spazio: lo “stretto” e il “ largo”. Alla fine dell’esperienza abbiamo ri-portato i vissuti sul muro.

• Ricomincio da te: A partire dall’osservazione dei lavo-ri già esistenti, i partecipanti sono sta-ti invitati a scegliere uno spazio sucui lavorare con la possibilità di ag-giungere, integrare o proseguire trac-ce già esistenti e creare così una nuo-va e personale immagine.

LABORATORIO DI MUSICOTERAPIADOTT. DAVIDE MARZATTINOCCI

Non ho avuto difficoltà nell’accettare laproposta di entrare in contatto, attraver-so il lavoro di musicoterapia, con il mu-ro. Ho sempre avuto l’impressione chequel muro fosse collocato in un punto li-minale, tra il dentro e il fuori. Un luogodove il paziente resta per fumare, parla-re, passeggiare; un luogo che non è il re-

parto ma nemmeno il giardino, la stra-da, la città. Insomma, un luogo

q u a s i dentro e q u a s i fuori. Ilmuro taglia in due il corri-

doio, lo restringe dellametà ed è perciò vicino

a chi entra nel repartoa tal punto che èquasi impossibilenon accorgersi dilui, entrarci incontatto, sentire lasua p resenza fisi -c a. Se dunque luientra in contattocon noi, noi pos-

siamo stabilire uncontatto con lui.

Mi sono chiesto, datele particolari condizio-

ni del contesto, come farentrare in contatto i pazien-

ti e la loro musica con il muro.D i fficile sarebbe stato lavorare

nell’immenso corridoio dove c’è il mu-ro; troppo dispersivo lo spazio, luogostretto di passaggio. Poi ho pensato chesi sarebbe potuto trasportare la musicasul muro, farla uscire dalla sala del re-parto dove si fa il laboratorio, sottoun’altra forma: impressa su un grande fo-glio con segni e colori. Nel mio labora-torio già utilizzavo, durante momenti diimprovvisazione musicale, attaccare aduna parete un grande foglio e sotto di es-so mettere colori di tutti i tipi. Così chivoleva, poteva suonare e/o disegnare econtribuire a tracciare su carta una im-pressione dell’improvvisazione musica-le. Svaniva il suono dell’improvvisazio-ne e persa era la sua irripetibilità, ma ilfoglio colorato (oppure scritto con paro-le e frasi) ne conservava il senso. Ad ogniincontro (date le caratteristiche dell’-SPDC il gruppo è sempre diverso) spie-gavo del muro e della sua posizione tra ild e n t ro e il f u o r i e poi presentavo il fogliovuoto che sarebbe stato messo a com-porre un altro tassello del muro. Alla fi-ne dell’incontro avveniva il rituale deltrasporto del foglio dal reparto al muro;poi alcuni pazienti commentavano il ri-sultato, altri aggiungevano qualcosa chenon avevano avuto il tempo di mettere,altri, tra quelli che stavano nel corridoio,intervenivano con commenti o diretta-mente aggiungendo qualcosa.

Così ad ogni incontro un nuovo foglioandava ad integrarsi a quello ch’egli altrilaboratori avevano creato. E la volta do-po, nell’arrivare al reparto, prima del la-boratorio, era bello perdersi nel lungo mu-ro tra scritte e colori per scoprire cosa erastato aggiunto e cosa non c’era più.

Dott.ssa ELENA LA PUCA, psicologa,danzatrice, arteterapeuta.

Dott.ssa FRANCESCA BARBIERI, psico-loga, arteterapeuta.

Dott. D AVIDE MARZAT T I N O C C I, Art e t e-rapista ad orientamento psicofisiologi-co, attore e regista.

LABORATORI IN S.P.D.C.

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ARTI TERAPIE 26

L a Sincroterapia® è frutto diun’osservazione, di una pra-tica e di una sperimentazio-ne che si svolge da più di un

decennio. Essa si rivela un approccio attoa sintonizzare ed armonizzare diversiorientamenti e discipline, basandosi su unmetodo fondato sull’integrazione d’osser-vazione e teorie cliniche e psicoterapeuti-che attraverso la partecipazione dei sog-g e t t i .

È proprio la costante dettata dalla dan-za in acqua che caratterizza la versatilitàdi questa arte-terapia.

L’analisi del movimento, dei compor-tamenti non verbali, dei gesti archetipici,dei significati simbolici universali ad essisottesi hanno potuto essere individuatigrazie alla principale metodologia per laraccolta di dati: l’osservazione.

L’osservazione è una tecnica non ver-bale che consente uno studio in profonditàdell’individuo o/e di un sistema nella suaglobalità, può essere partecipante, se l’os-servatore prende parte a ciò che osserva enon partecipante (ad esempio dietro unospecchio direzionale); può essere inoltrenon strutturata (quando non si cerca uncomportamento specifico, ma si osservasemplicemente ciò che accade), semistrutturata o strutturata.

La fase preliminare di questo studio ècaratterizzata da un’osservazione semistrutturata (in seguito approfondita da piùarticolate elaborazioni dei dati raccolti). Ilmetodo dell’osservazione consente unostudio profondo dell’individuo nella suaglobalità, intesa come quell’insieme divissuti, relazioni e rapporti intra e inter-personali che si giocano nel continuo di-venire di un sistema di equilibri. Inoltre èimportante sottolineare il fatto che la na-tura primaria della relazione osservatore– osservato consente maggiori e più diret-te conoscenze del soggetto stesso e unad e finizione delle categorie necessaria-mente ascrivibili al fine di una sempremaggiore strutturazione del metodo.

L’osservazione sul campo, traduzioneoperativa di quella semi strutturata, ha

consentito uno studio mediante un ap-proccio antropologico etnologico ed eto-logico dei codici interpretativi, degli og-getti e strumenti d’interpretazione pre-simbolica e simbolica connessi all’acquaed al di fuori di essa.

L’ipotesi di partenza si muove dallevalenze protosimboliche che caratterizza-no un processo creativo onto-fil o g e n e t i c o ,per giungere a coglierne la loro funzionenella rappresentazione dell’elaborazioneprimaria dell’esperienza vissuta.

Da un punto di vista filogenetico, so-no state avanzate numerose teorie per ten-tare di avvalorare le ipotesi di una fase na-tatoria dell’essere umano durante l’incan-descente Era Pliocenica (10 milioni d’an-ni, fino a 2 milioni d’anni fa). Secondo lateoria dell’uomo acquatico di cui parlaH a r d y, l’essere umano ha attraversato unafase d’unione con l’acqua che ha contri-buito a modellare molte caratteristicheanatomiche (basti pensare alla disposizio-ne pilifera idrodinamica e non aerodina-mica dell’uomo) e quello è stato il perio-do in cui egli “sguazzava allegramentenella sua calda acqua primordiale”. Quin-di, per poter verificare l’ipotesi di parten-za, solo mediante un’osservazione diquelle che sono le attuali caratteristicheanatomiche, le abitudini alimentari e les p e c i ficità del movimento in acqua della“scimmia nuda”si può supporre una fil o-genesi di questo tipo.

L’osservazione sul campo di tipo na-t u r a l i s t i c o, caratterizzata dalla sua noninvasività, ha consentito di studiare neltempo i comportamenti in relazione alrapporto con l’acqua di popolazioni neivari continenti e paesi (Australia, Cina,India, Tailandia, Venezuela, Africa delnord ed isole del Pacifico e dell’OceanoIndiano, e in Europa: Grecia, Spagna,Turchia, Albania, Jugoslavia…) da cui èemersa la comune matrice: nasciamo e cimuoviamo nell’acqua, ogni essere vi-vente ha avuto origine dall’acqua. In tut-ti i paesi visitati si è notato come gli abi-tanti amino giocare, tuffarsi, nuotare epescare…

Donne e uomini lavorano e vivono dasempre a contatto con l’acqua.

L’osservazione dei rituali, delle tradi-zioni, dei miti, che investono l’inconsciocollettivo acquatico, condizionando grup-pi primari e secondari propri della psicoa-nalisi junghiana è stato lo strumento di let-tura di questa ricerca. Da quest’osserva-zione si è risaliti allo studio dei movimentifetali che sono stati osservati grazie alletecniche ecografiche e all’osservazionedel parto indolore e naturale in acqua pervagliare il movimento dei neonati appenanati; l’osservazione del movimento infan-tile primario, poi, ha permesso di prende-re coscienza del fatto che i bambini dallanascita nuotano e sono soliti avere gli oc-chi bene aperti sott’acqua, i loro movi-menti sono fluidi e affatto impacciati.Inoltre si è analizzato il movimento deibambini nelle varie fasce d’età notandocome, crescendo, amino giocare, divertir-si, tuffarsi, schizzare, prendere oggetti, fa-re smorfie … .

È proprio con l’osservazione del com-portamento acquatico dei neonati, del lo-ro nuotare istintivo, che si palesa un im-maginario anello di congiunzione tra l’e-voluzione di una specie e l’evoluzione diun singolo essere.

Molti lavori hanno richiesto un’atten-ta osservazione di matrice antropologicaed etnologica dei vissuti primari in acqua,ciò ha consentito un apprendimento perimitazione dei rispettivi gesti per condur-re alla possibilità d’individuazione del“gesto universale” (Katherine Dunham)attraverso la ripetizione e la diff e r e n z i a-zione dei movimenti dei piedi, delle mani,del corpo, sulla superficie o dentro l’ac-qua, per creare la base di questa tecnicapsicocorporea.

Per l’elaborazione della metodologiaclinica terapeutica, siamo partiti d a l l ’ o s -s e rvazione del movimento libero, passan-do all’imitazione gestuale d e l l ’ a t t o , s e-guendo le tappe evolutive di Piaget e del-la Kestenberg, attraverso l’introduzionedel diverso e del gioco (l’oggetto transi -zionale di Wi n n i c o t t ) e l’osservazione del

“La mia danzanacque dal ritmo delle onde dell’oceano……”

ISODORA DUNKAN

ESPERIENZE

L’OSSERVAZIONE E LA SINCROTERAPIA®

Renata Taddei, Romana Carini

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ARTI TERAPIE 27

gesto percepito (le teorie di DMT, Reich eLowen), l’inversione dei ruoli (M o re n o )l’analisi del movimento di Laban (t e m p o– spazio – gesto - effort ) per approdaresincronicamente alla libertà espressiva in-serita nel contesto sistemico – relazionale.

Al lavoro d’osservazione e clinico puòe deve aggiungersi la ricerca attraversotutti gli strumenti in nostro possesso atti avagliare scientificamente la validità di unametodologia.

La Psicoanalisi permea il lavoro svol-to dalla Sincroterapia® e permette di ri-trovare il proprio corpo ed integrità psi-c o fisica attraverso il movimento nello spa-zio – tempo.

Il movimento grazie al quale, sin dal-le prime fasi della vita, s’impara a cono-scere ed esperire se stessi ed il mondo,rappresenta la modalità comunicativafondamentale che modula gli scambi re-lazionali e scandisce la sincronia del rap-porto madre – bambino, sincronia che èriproposta e restituita alla coscienza perpoi essere rielaborata grazie a questa tec-nica.

Nel lavoro sincronico agito con l eC o p p i e, che si avvale anche della teoriaSistemico Relazionale, si è rivelata essen-ziale l’osservazione delle relazioni e deimovimenti degli animali acquatici, ciò haconsentito così di rivelare l’utilità dellaSincroterapia® nelle problematiche ses-suali (un esempio riportato: i delfini chesono tra i pochi animali ad utilizzare an-che il coito ventrale), grazie alla funzioneche ha l’elemento acqua di “altro”, di ter-zo che agevola ed aumenta le possibilitàdi contatto, di scambio e relazione.

La S. è utilizzata con le coppie anchecon più nuclei contemporaneamente perfavorire processi sistemici.

Il contributo teorico Sistemico Rela-zionale, ha consentito l’applicazione del-la Sincroterapia® anche in ambito fami-liare: la Famiglia è vista qui come un si-stema aperto in cui i processi d’org a n i z-zazione e differenziazione avvengono at-traverso modificazioni delle relazioni trai membri del sistema e l’intervento tera-

peutico in acqua tende a ristabilire il pas-saggio d’informazioni anche attraverso ilmovimento e a promuovere modific a z i o-ni nei ruoli (le azioni diventano gesti ed igesti trasmettono messaggi).

L’utile apporto metodologico deriva-to ancora una volta dall’ osservazione de-gli animali e degli uomini nella loro ap-partenenza in un Gruppo inserito in unambiente acquatico, ha permesso di porrel’accento sull’intercambiabilità dei ruoli,sulla relazione, sulle modalità di presa dicontatto, che si palesano nei differenti gio-chi e movimenti. Questi ultimi, parallela-mente alle danze caratteristiche di diversespecie animali e dell’uomo, svolgono an-che la funzione di ristabilire una sincroniaall’interno del gruppo, definendo un lega-me, creando un allineamento emotivo.

Per esempio i pesci, al posto dell’udi-to e del tatto, per percepire la situazioneambientale, utilizzano la linea laterale c h eè un organo posto sul fianco, una termi-nazione nervosa atta a percepire le varia-zioni di pressione dell’acqua ed eventualispostamenti o movimenti circostanti. Re-centemente è stato scoperto che è unostrumento la cui funzione è di mantenerecoeso il branco, il singolo, infatti, perce-pisce anche piccoli spostamenti del restodel gruppo.

I residui di tale organo nell’uomo sitrovano nella zona gastro-ventrale, vaga-le e sono sollecitati da rumori a bassa fre-quenza (battito cardiaco o in ogni casosuoni cupi, sordi come il tamburo o i rit-mi da discoteca che hanno sempre un po-tere mobilitante, un effetto sincronizzanteresiduo della nostra fase natatoria).

L’osservazione del movimento deibranchi di pesci consente di ristabilire lacomunicazione dell’Io pelle con l’io pan-cia e la S. DMT in gruppo in acqua per-mette di ritrovare alcuni gesti, movimen-ti e significati ancestrali.

Il pensiero di Freud sull’“Oceano Pri-mordiale” ha consentito dal punto di vistaclinico, già dagli anni settanta, di lavora-re con problemi di grave entità di tipo psi-c o fisiologico: handicap, psicosi problemi

di dipendenza affettiva, tossicomanica edisturbi alimentari.

È da citare per tutti un esempio:L’Osservazione nasce, in primis, dalla

v e r i fica clinica di R., bambina prematuradi otto mesi dimessa dopo due mesi dal-l’ospedale con problemi d’anossia cere-brale ed elettroencefalogramma grave-mente alterato, priva di movimenti spon-tanei se non di tipo parossistico, che, po-sta per la prima volta a contatto con l’ac-qua nel bagnetto, ha mosso gambe e brac-cia ritrovando un movimento morbidoprenatale del nuoto, da questo nuovo con-tatto madre acqua bimbo è avvenuta la ri-nascita del rapporto madre - figlia (“Nonè solo un ciocco di legno”) e la successi-va completa scomparsa della sintomato-logia nel tempo (un anno).

R E N ATA TADDEI e ROMANA CARINI, Q u e-sto lavoro è stato presentato al Con-g resso APID – Milano 2001.

B I B L I O G R A F I AA AV V “Change”, Astrolabio, Roma,

1 9 7 4 .A AV V “Paradosso e controparadosso”,

Feltrinelli, Milano, 1975.Anzieu, D. “L’Io- Pelle”, Borla , Roma,

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ESPERIENZE

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ARTI TERAPIE 28

N ei mesi di giugno, luglio,agosto e settembre del2005 la Comunità tera-peutica per tossicodipen-

denti “Franco Chiarella” del Vi l l a g g i odel Ragazzo, in collaborazione con l’As-sessorato alla Città Solidale e con la Di-rezione della Casa Circondariale di Chia-vari, ha proposto una serie di incontri ri-volti ai soggetti detenuti della Terza Se-zione, incentrati sull’Espressività e sullaComunicazione.

Il progetto, 15 incontri per un totaledi 30 ore, è nato dall’idea di fornire —così come la Comunità sta già facendocon i suoi residenti da alcuni anni — al-cuni momenti di lavoro sul valore dell’e-spressività e della comunicazione perso-nali, per mezzo dei quali offrire ai dete-nuti un tempo per riflettere con maggio-re consapevolezza sul senso di sé, suipropri vissuti e sul rispetto per l’altro.

Potrei a questo punto iniziare una se-rie di considerazioni sul valore e l’im-portanza dell’esperienza che ho vissutoma preferisco — proponendo solo alcu-ni stralci della sua relazione conclusiva— lasciare spazio e voce a Giuseppe conil quale, nel corso di questi 15 incontri,ho visto crescere e maturare, così comecon gli altri, un rapporto di conoscenzaprofonda e forse, se lui me lo permette,anche di affetto.

Credo che bisogna essere grati allavita quando, anche attraverso l’attivitàprofessionale, ci dà l’opportunità di in-contrare dei “fuoriscena”, come li chia-ma Cesare Pavese, “persone rifiutate daaltri o che rifiutano gli altri, uomini chenon sanno stare sulla scena della vita,che fanno del male, che si fanno del ma -le”, perché, con la drammaticità della lo-ro esistenza, ci ricordano che “tutto ilproblema della vita è questo: come rom -p e re la propria solitudine, come comuni -care con gli altri.”

RELAZIONE CONCLUSIVAS U L CORSO DI ESPRESSIVITÀG i u s e p p eCH I AVA R I 26 A G O S TO 2 0 0 5

Scrivere una relazione adeguata sul corsodi espressività che si è appena concluso,senza incentrarla sui contenuti emotivi chehanno caratterizzato il ciclo di sedute, amio sommesso parere, è pressoché impos-sibile. Per questo motivo ripercorrerò or-dinatamente i cambiamenti umorali chehanno segnato l’atteggiamento di noiiscritti rispetto alla docenza.

Ma per dare il senso pieno della pro-porzione, c’è anche bisogno di una pre-messa anteriore che aiuti a contestualizza-re bene l’ambiente in cui il corso ha presoforma ed è maturato. Perché, al di là deidati cognitivi, è il passaggio da una condi-zione di contrarietà e malevolenza ad unacondizione di consenso e soddisfazioneche dà idea del valore del risultato che èstato conseguito. La premessa allora è che,in carcere, prima o poi la vita interroga.Mette ognuno di noi davanti a sé stesso echiede risposte alla coscienza. E’ c o m eguardarsi nudi allo specchio. Nessuno puòsottrarsi alla regola. Quando questo acca-de esistono due possibilità: o si finge dinon sentire le domande e si rifugge larealtà o si cede all’impulso di arrestarsi perun consuntivo, per una pausa introspettivada cui ricavare una visione organica diquel che è stato il passato. Ma optare perquest’ultima evenienza vuol dire rimasti-care episodi dolorosi della vita, che quan-do riemergono si manifestano sempre sot-to forma di fitte lancinanti, dolorosissime.

Il punto da tener ben fermo, allora, èche, prima di questo corso, noi eravamopreparati soltanto ad anestetizzare le fit t ee a farle sparire immediatamente. Erava-mo bravi unicamente a ricacciarle là den-tro da dove venivano, anzi più in profon-dità, più nascoste, sopraffatti dall’ansia dinon sapere come esorcizzare il dolore chepotevano arrecarci.

Secondariamente, nessuno aveva maisentito parlare di espressività prima del-

l’introduzione al corso e quindi la nostraadesione per partecipare alle sedute erastata più forzata che libera.

Poi, un altro argomento di qualcheconsistenza è che l’impressione generaled i ffusasi dopo la prima lezione era tutt’al-tro che incoraggiante. Si vociferava infat-ti che il dannatissimo corso di espressività,fra gli altri propositi, avesse quello incon-fessato di analizzarci. Per di più slealmen-te. La facciata si presentava in modo di-verso, certo, perché i temi in voga eranol’immaginazione, la creatività, la fantasia,ma poi in soldoni si chiedeva a ognuno ditirar fuori quello che aveva dentro per con-frontarcisi alla luce del giorno. In pratica,anche se in forma più blanda, meno diret-ta, il corso di espressività poneva le stessedomande che fa la vita quando interroga.Le domande alle quali ognuno di noi si èsempre sforzato di non rispondere.

Con queste premesse, all’inizio dei la-vori c’era molta voglia di essere “contro”per forza, E le disposizioni d’animo eranobellicose al di là di ogni dubbio. Parteci-pavamo alle lezioni con sentimenti misti.Con un po’ di rabbia e speranza: da un la-to era preferibile non insistere troppo conl ’ a rgomento di liberare la creatività perstemperare le tensioni, scaricare le ansie,che magari poi si scopriva qualche altari-no che assolutamente doveva restare nel-l’ombra; dall’altro forse c’era un periododella nostra vita che poteva essere riaper-to e questo ci invogliava a continuare le le-zioni. Ma il generico e larghissimo sospet-to che qualcuno potesse psicologizzarlorendeva la materia inaccettabile.

Praticamente non riuscivamo a trovareun terreno d’intesa che permettesse di por-tare avanti una relazione magari soltantoformale - dato che la direttrice teneva mol-to alla frequentazione del corso -, ma civi-le. Iniziarono così i primi ritiri. Il docente,Roberto, veniva trattato con freddezza, consussiego, con sospetto. Gli argomenti cheproponeva erano considerati astruserie.Non stavamo troppo a sottilizzare nem-meno con Silvia, la sua assistente, che pen-savamo annotasse su un quaderno di com-

ESPERIENZE

LIBERARE L’ESPRESSIVITÀIN CARCERE Roberto Pagni

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ARTI TERAPIE 29

putisteria la radice di ogni nostro pensie-ro, e invece col tempo si è rivelata una mi-te studentessa in psicologia con buoni pro-positi filantropici. Insomma, il corso diespressività procurava più di qualche pa-tema e, in generale, c’era volontà di tron-care da subito quel connubio poco graditocon la docenza.

Per quel che mi riguarda, con diligen-za, nulla di più, continuai a seguire le le-zioni assieme a qualche spirito intrapren-dente che non aveva digerito le assurditàdivulgate da chi si era ritirato per scelta. Edevo ammettere, col senno di poi, che èstata una scelta fortunata.

Aveva ragione Roberto a dire che oc-correva sforzarsi di frequentare il corso perqualche lezione prima di decidere se ab-bandonare perché, a parte i problemi con-sueti, sentivamo crescere una curiosità na-turale di vedere dove ci avrebbe condotticon quelle sue cicalate a sfondo fil o s o fic oe con il materiale informativo, tra l’altrointeressantissimo, che di volta in volta ciforniva.

Si formò a questo modo una cordata disei/sette persone, che sotto l’accorta regiadel docente, avevano deciso di addentrar-si nella materia. Io ero fra questi.

Per dirla tutta, non eravamo propriocosì convinti: persisteva ancora lo spau-racchio dell’analisi, dell’osservazione atrucco, a perseguitare gli animi. Ma ormaiavevamo preso il coraggio a due mani edeciso di andare avanti. Magari alla scon-siderata maniera, senza sapere bene dovesaremmo potuti approdare, ma comunqueavanti. Sennonché, c’era qualcuno che nonstava aspettando altro.

Per rendere l’idea, era come se ci fos-simo lanciati su una porta chiusa per cer-care di sfondarla e chi c’era dietro l’aves-se aperta, con calma. Roberto, infatti, dabravo tessitore di trame - non nel senso diintrighi, ma di filati -, sapeva attendere ilmomento propizio per assestare i suoi col-pi. Ed erano sempre colpi ad effetto. Av e n-do intuito le nostre intenzioni, si era siste-mato dietro la porta ad aspettare. E l’ave-va aperta, un attimo prima dell’impatto,

quando si era accorto che stavamo pren-dendo la rincorsa.

Questa metafora per ribadire che adogni lezione dava sempre l’impressione disapere in anticipo quello che stavamo perdire o per fare e riusciva a trasformare an-che le critiche motivate in argomenti di di-scussione interessanti.

La prevedibilità è frustrante, sicuro,ma io ero affascinato da questa sua capa-cità, da questa sorta di veggenza che sape-va mettere in campo quando il caso lo ri-chiedeva. Così, passin passetto, cominciòa farsi largo la convinzione che la materiada lui proposta potesse essere molto più in-teressante di quello che avevo immagina-to. Peraltro la memoria con cui ricordavale cose che ognuno di noi aveva detto allalezione precedente era a dir poco esem-plare: mai un lapsus, mai una defaillance.Forse era proprio il caso di riconoscereche, in un eccesso di ottusità, di asinaggi-ne, l’avevamo giudicato male. Tutti quan-ti. Non rimaneva allora che assoggettarmialle sue indicazioni, anche senza preten-dere di capire le ragioni, se non altro per-ché, nel giro di poco tempo, era riuscito afar cambiare radicalmente la visione ini-ziale del corso che sette persone su quin-dici avevano. Ed io ero fra quelle.

Ma cosa aveva detto Roberto di cosìconturbante per convincerci improvvisa-mente a frequentare? Nel breve spazio ditre/quattro incontri ci aveva fatto capireanzitutto che le storie personali di ognuno,quelle che ci hanno condotto qui, a poco apoco avevano anestetizzato le emozioni, idesideri, i ricordi, tutte le sensazioni ri-conducibili alla nostra sfera intimistica.

Ora la possibilità di frequentare il cor-so era un’occasione per riappropriarsenee, una volta rientratine in possesso, un’op-portunità per elaborarle con consapevo-lezza diversa.

Era un’occasione per esprimersi inmodo multiforme, per raccontarsi con li-bertà interiore e rispetto sia della metodo-logia sia della nostra sensibilità.

Ognuno di noi poteva, a misura dellasua sincerità e in ragione delle sue possibi-

lità, elevare lo sguardo nel tentativo di di-scernere che cosa c’è sopra la propria testa.

Il che, detto così, sembrava davvero unbuon affare per noialtri. Ma come tradurrein fatti tutte queste chiacchiere? Con le ri-sorse che, senza saperlo, nascondiamo innoi: fantasia, creatività, immaginazione.Ridetto per esteso: con espressività.

Quando ho realizzato che lo spazio e iltempo che mi si chiedeva di dedicare alcorso erano assolutamente personali, nelsenso che li avrei regalati soltanto a mestesso, perché dell’utilità mi sarei reso con-to io e non altri, improvvisamente mi si èa l l a rgata la visuale. Le lezioni sono diven-tate come una boccata d’aria fresca, uns o ffio di vento con cui spazzare tutto ilvecchiume che avevo accumulato in setteanni di carcere. Ho avvertito la necessitàfisiologica di uscire da un periodo di letar-go, di liberarmi dalle incrostazioni dellachiusura. Allora mi sono deliberatamentelasciato trasportare e ho partecipato alle le-zioni con spirito diverso. Forse con unacomponente di giocosità.

Con questa disposizione d’animo misono improvvisato poeta, scrittore, pittore,inventore, umorista, star, interprete non-sense, miliardario, io che non sono maistato niente di tutto questo.

Ho dialogato con un gomito, con unmattone, con una sonnambula in corsa,con un pollo senza lenti a contatto e viacondannando, io che mi sono sempre sfor-zato di essere una persona razionale.

L’ e ffetto curioso è che durante le eser-citazioni il coperchio dell’inconscio salta-va letteralmente e dalla pentola venivanofuori molte cose che non immaginavo eche, in parte, non avrei voluto vedere. A n-che perché non è bene quando quelle coseaccantonate vengono fuori. Tutte insieme.Ma poterle rimasticare l a t e r a l m e n t e, conquella parte di pensiero generativo che nonsapevo nemmeno di avere, mi ha aiutato arivalutarle e, di conseguenza, a cambiarei d e a. Rispetto alla premessa iniziale, quin-di, credo che il risultato sia stato sorpren-dente. La r i s t rutturazione intuitiva di cer-te esperienze vissute e l’aggiornamento di

ESPERIENZE

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ARTI TERAPIE 30

A ll’interno di una metro-poli votata al teatro comesolo due o tre nel mondos’incontra sia il tradizio-

nale che l’avanguardia. In seno a q u e-st’ultima un evento risuona come qualco-sa di veramente eccezionale,ed è il “teatrociego”, eseguito da 8 persone non-veden-ti in un ambiente tutto oscurato. Buio alpunto che gli spettatori vengono accom-pagnati a tasto all’entrata, e poi restanoimmersi nel nero più totale ed imprevedi-bile. Si realizza così la condizione talequale a quella di chi realmente non vede,per indurre le persone vedenti a verifica-re quello stato, passando così alla sine-stesia, cioè, come tutti sanno, al vicaria-mento del senso mancante tramite l’atti-vazione massima degli altri sensi. Questi“altri” vengono opportunamente stimola-ti dalla regia con l’innesto di sensazioniolfattive, con l’udito costretto a spostarsiqua e là, davanti o dietro, a seconda dellaprovenienza di voci, rumori, inserti mu-sicali, addirittura con il modulo tattile diuna soavissima pioggia durante una “sce-na” di tempesta. Oltre ovviamente a tuttigli sfioramenti discreti dovuti al passag-gio degli attori nel loro continuo peregri-nare per gli spazi d’azione che conosconoperfettamente. La vicenda quasi non esi-ste, ma poco importa: l’“Isla desierta” diRoerto Arlt è un copione già rappresenta-to allo stato “normale”, che lascia larg ospazio alla fantasia. Persone che lavora-no in un ufficio vicino ad un porto imma-ginano di partire con qualcuna delle bar-che che stanno a tiro e di vivere le loro vi-cende presenti o passate in luoghi amma-lianti della Cina, del Pacifico, isole in-cantate e così via... Una trama come altre,classiche o contemporanee, di cui è co-stellata Buenos Ayres nei suoi 150 e piùteatri. Si recita Cocteau in modo sempli-cemente mirabile, con “Les monstres sa-crés” (tutti ricordano che fu il copione cheispirò Cukor per “Eva contro Eva”) e“Les parents terribles”; si danno comme-die musicali allo stesso tempo che ripro-poste di Molière sul modulo della com-

media dell’arte secentesca, magari in unacantina scarsa di ossigeno ma con il ri-storo di bevande fresche servite ai tavo-li...Si va incontro al massimo alle esigen-ze del pubblico, ripetendo la funzione duevolte di seguito, al venerdì e al sabato: laseconda passa alle 23,30! In mezzo a tan-ta scelta, a un fervore che si moltiplicacostantemente, fa spicco il teatro cieco,perché costituisce qualcosa di originalecome non ci risulta nessuno abbia mai at-tuato finora.

La “Isla desierta” si dà all’interno diuna fabbrica trasformata in città cultura-le, dal nome impenetrabile di Konex, do-ve si utilizzano più zone, anche a cieloaperto. Per la “Isla” gli spettatori vengo-no accompagnati a gruppi di 10, mate-rialmente uniti fra loro, attraverso un lun-go camminamento in cui si sfiorano aper-ture costituite da tende; il buio è già com-pleto. Ci si siede dove viene indicato tat-tilmente, e ognuno sa a mala pena chi staalla sua destra e alla sua sinistra. Il restoné si indovina né si raggiunge con le pro-prie terminazioni corporee: lo si immagi-na “motu proprio”, e si rimane sorpresi espesso interdetti quando alla fine tutto lospazio s’illumina. Chi è in grado di vede-re (cioè la stragrande maggioranza delpubblico) rimane ancor più affascinato daun intervento di lucciole, che appaionochiare per se stesse ma non illuminano ilresto. La dimensione risulta quasi disu-mana, con la cattura da parte del suono inquel contesto annullante, eppure non mi-naccioso, dove non manca l’aria, anzi tal-volta viene accresciuta, dove la propriastessa consistenza corporea materiale èmessa in gioco. Un’esperienza da prova-re. Si viene avvisati all’inizio che se qual-cuno prova sgomento o qualsiasi intolle-ranza non deve fare altro che chiamare...ma pare che questo non si verifichi mai.

Il lavoro degli attori, in tutto speciale,risulta consapevole e prezioso. Consape-vole di dover rendere udibile e compren-sibile quello che viene detto, visto chemanca il completamento visivo alla cosa:questo usualmente supplisce quando il

CRONACA DALL’ESTERO

A TEATROCON NON-VEDENTI

Renzo Arturo Bianconi, da Buenos Ayres

altri concetti sono serviti a rimuoverecompletamente il dolore che mi impedivadi affrontare con coerenza alcuni problemiesistenziali e ad abbattere quella sorta diblocco comunicativo che mi rendeva trop-po enigmatico.

C O N C L U S I O N ISono giunto alla conclusione, assoluta-mente personale, che quando siamo tenta-ti di nascondere una verità che ci spaven-ta dobbiamo semplicemente cambiare ilnostro punto di vista. Non dobbiamo ave-re paura di ciò che è accaduto. Mai. A l t r i-menti ci chiudiamo interiormente e la no-stra vita diventa come quella dei pesci inun acquario, che immersi nel loro piccolomondo, sono incapaci di vedere che, al dilà del vetro, c’è un universo.

Negli ultimi anni mi sono sforzato diessere una persona profondamente razio-nale, ma frequentando il corso ho capitoche l’intelligenza deve servirsi di tutte lerealtà, senza escluderne nessuna, per ilsemplice motivo che questo è l’unico mo-do per costruire una solida struttura men-tale. Peccato averlo capito tardi. Peccatoaver affrontato la vita con troppe posizio-ni precostituite in testa, dando sempre perscontati risultati che tali non erano. Se mifossi reso conto prima di quello che ho ap-preso in questi ultimi mesi, mi si sarebbe-ro ingarbugliati i calcoli almeno un “goo-gol” di volte in meno nella vita.

Oggi, al termine del corso, più di unodi quelli che consideravo solidi pilastri delmio pensiero hanno cominciato a vacilla-re e, in parte, sono crollati.

Forse il mio modello mentale è menosolido di prima, ma mi sento liberato dal-la schiavitù, chiamiamola così, di una lo-gica eccessivamente rigida. Questa con-sapevolezza è inusuale per me.

E mi fa sentire bene.

R O B E RTO PA G N I, Form a t o re della Co-munità terapeutica per tossicodipen-denti “Franco Chiarella” del Vi l l a g g i odel Ragazzo di Chiavari. ro b e rt o . p [email protected]

ARTI TERAPIE 31

pubblico non arriva ad intendere alcunipassaggi verbali. Molto esatta la scan-sione sillabica, molto calibrata semprel’altezza e l’intensità del suono, non im-porta se uno parla il “cordobès”, un altrocon l’accento porteno (la parlata di Bue-nos Ayres). L’interpretazione si avvale ditalenti indubbiamente coltivati e selezio-nati; ma è chiaro che per loro l’attivitàprofessionale costituisce un canale di af-fermazione vasto e differenziato. Si pen-si questo in una nazione che stenta pursempre a fornire ai propri cittadini solidepossibilità di occupazione, nel senso ma-teriale ma anche nel senso morale. Chia-ro come a questi attori l’impegno fun-ziona da vero elemento propulsore dienergia vitale, là dove l’appiattimento diuna vita istituzionalizzata, o comunquedi massima programmata nel solo conse-guimento dell’essenziale biologico, puòfrequentemente (non sempre beninteso)approdare ad una condizione depressiva.Le voci pervengono scintillanti in quellanotte che pare infinita, immensa e senzaritorno; si integrano con il suono, ovvia-mente preregistrato, in un allineamentoimpeccabile, che si giova di un impiantoe di una competenza tecnica, di un impe-gno che non consente approssimazioni:cosa ormai rara in tutto il mondo dellospettacolo, purtroppo. Il successo giovacome sempre al riposo mentale degli ese-cutori: cosa necessaria a tutti gli esseriumani, ma che per queste persone rap-presenta un traguardo di alta incidenza.

Per lo spettatore si presenta il temadella comprensione; ma non solo del te-sto. Indubbiamente l’impresa è destinata

a far intendere “quello che prova” la per-sona che non vede niente, Si tratta di im-m e rgersi completamente nella loro s i-tuazione, rendendosi conto, d’altro lato,di come fino ad un certo punto si riesce asupplire alla mancanza totale di vista. Siribadisce “totale”, perché ci è noto comela gente che vede dei contorni, delle om-bre, o solo con luce bassa, o solo alta,viene a situarsi pur con molti limiti piùaccanto allo stato delle persone vedenti:si parla solo di una “riduzione”, mentreper i non-vedenti totali siamo da questoevento portati a constatare qualcosa difortemente diverso.

Nell’invisibile platea, nell’invisibile(e inesistente) palcoscenico, nell’invisi-bile percorso d’entrata si è indotti ini-zialmente a sorridere... si sentono scoppidi risa di molti spettatori. Questa è lamodalità tipica della gente che si ritrovain una condizione nuova parzialmenteimbarazzante, condivisa in un modo inu-sitato, dove si vedono persone in atto diaderire se pur minacciate e nello stessotempo divertite dall’incognito.

Ma appena le prime note musicalipartono il silenzio più devoto prende luo-go. Il permanere dell’oscurità fa il resto;gli odori e le sensazioni tattili via via en-fatizzano l’influsso ambientale.

Si materialzza per l’appunto “tutto unambiente”, che si distacca da quello in-dotto dalla radio allo stesso modo che daeventi prevalentemente sonori con am-p l i ficazione estesa. In quei casi il contor-no visivo è presente, e non si cancellanemmeno se viene richiesto; d’altrondenon si immaginano necessità del genere.

Al massimo viene richiesto ai presenti dichiudere gli occhi: questo si verificaspesso negli incontri di Terapia del Mo-vimento e in alcune altre attività corpo-ree; ma è ben evidente che in qualsiasimomento uno è libero di riaprire gli oc-chi. Qui, a teatro, non si possono aprireocchi o cercare uno spiraglio: non cam-bierebbe assolutamente nulla. Come giàricordato, chi non sopporta può chiederedi uscire, e allora cambia tutto. Una or-ganizzazione così pronta e decisa va elo-giata senza condizioni. Il reperimento diun locale parimenti oscurabile favorirà iltrasferimento altrove di tutta l’avventu-ra. Già si capisce che è adatta a festivalinternazionali. Il caso particolare nonconsente (per la natura stessa dell’opera)l’apposizione di sottotitoli, ma il proble-ma della comprensione linguistica è unproblema secondario. Assicuriamo chealla fine tutti assorbono perfettamente ilmessaggio e tutti ne sono toccati emoti-vamente.

Una nota curiosa che dimostra comequeste coraggiose operazioni necessitinoimpellentemente di supporto economico.In Buenos Ayres i teatri tradizionali, ubi-cati nelle zone canoniche della città, in-vitano gli addetti stampa (come lo scri-vente in questo caso) con ripetute prof-ferte di “bienvenido”. Questi luoghi al-ternativi se ne guardano bene... Se il cro-nista estensore viene accompagnato albar per evitargli magari l’attesa in coda,il caffè poi se lo paga!

RENZO ARTURO BIANCONI, M o v i m e n-to/Danzaterapeuta, Buenos Ayres.

PONTIFICIA UNIVERSITÀ ANTONIANUMFacoltà di Filosofia

SEMINARIO DI FOTO VIDEO TERAPIAMetodologie dell’immagine video e fotografica

nella relazione di aiuto e nelle artiterapieDirettore prof. Oliviero Rossi

In collaborazione con la Rivistae l’Istituto Gestalt Firenze, sede di Roma

SEDE DEL SEMINARIOPONTIFICIA UNIVERSITÀ ANTONIANUM - VIA MERULANA, 124 - 00135 ROMA

Agli allievi del corso saranno riconosciuti 6 Crediti ECTS (o CFU)

INFORMAZIONI SU:http://www.antonianum.ofm.org; http://www.teatrovideoterapia.it; http://www.artiterapie.net;

http://www.in-psicoterapia.com; http://www.fotovideoterapia.orgPer ulteriori informazioni: prof. O. Rossi - tel. 06.3725626 - email: [email protected]

Questa rappresentazione grafica raccoglie alcune delle tante copertinepubblicate in tredici anni del periodico ARTI TERAPIE: è la nostra storia,consultabile sul sito online www.artiterapie.net

La rivista è vissuta e cre s c i u t a

in libertà, come nacque: è patrimoniocomune. Tutti gli interessati

possono chiederedi farne part e .