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7/23/2019 Prima Lettura Riforma Cpc http://slidepdf.com/reader/full/prima-lettura-riforma-cpc 1/34  Prima lettura alla riforma del processo civile 2009  A cura di Mirco Minardi www.lexform.it 2009

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Prima lettura alla riforma

del processo civile 2009

 A cura di Mirco Minardi

www.lexform.it 2009

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SOMMARIO

Premessa.....................................................................................................................................3

Uno sguardo di insieme..............................................................................................................4

La disciplina transitoria. .............................................................................................................4

L’aumento di competenza per le cause decise dal giudice di pace (art. 7).................................6Più ordinanze, meno sentenze. ................................................................................................... 6

La riduzione dei termini .............................................................................................................8

 Notificazione informatica (art. 137)...........................................................................................9

L’art. 101 c.p.c. e il principio del contraddittorio sulle questioni rilevate dal giudice............... 9

La pubblicità della sentenza (art. 120). .................................................................................... 11

Le modifiche riguardanti la procura alle liti (art. 83)............................................................... 13

L’art. 115 c.p.c. e il principio di contestazione......................................................................... 15

La rimessione in termini (art. 153) ........................................................................................... 16

Le modifiche riguardanti la CTU. ............................................................................................ 17

Le modifiche relative al procedimento in Cassazione. ............................................................ 18

Esecuzione degli obblighi di fare e di non fare. Uno strumento in più (art. 614 bis) .............. 20Opposizione all’esecuzione: si ritorna al passato (art. 616)..................................................... 21

Il processo sommario di cognizione (art. 702 bis e ss). ........................................................... 23

La testimonianza scritta (artt. 257 bis e 103 disp. att.)............................................................. 26

L’abrogazione del rito del lavoro per le cause in materia di risarcimento del danno da lesione

o da morte conseguenti ad incidenti stradali (art. 3 legge 102/2006) ...................................... 28

Le modifiche minori................................................................................................................. 30

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Premessa

Il presente lavoro è la raccolta, rielaborata, degli articoli che ho scritto

 per LexForm a mano a mano che il progetto di legge sulla riforma del

 processo civile faceva i suoi passi in Parlamento.

Si tratta di una prima lettura; manca dunque quell’approfondimento

necessario per cogliere appieno le sfumature, la portata e le conseguenze

di tutte le modifiche.

Riusciranno questi ritocchi a migliorare il processo e a renderlo più veloce?

Ne dubito fortemente. Si tratta di aggiustamenti fatti qua e là, senza una

vera e propria logica e comunque limitati alle regole del processo. Tutti

sanno, però, che il problema è nelle risorse organizzative e umane. A poco

vale eliminare i termini per memorie se un giudizio di appello, in cui non ci

sono termini se non per le difese conclusionali, impiega sei, sette a volte

otto anni per giungere alla sentenza.

Ovviamente, a Roma si continua a far finta che la colpa sia del processo e

di noi maledetti avvocati che scriviamo sempre troppo e ce la prendiamo

sempre troppo comoda.

Ma tant’è.

Mirco Minardi

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Uno sguardo di insieme

Diamo prima uno sguardo di insieme alla riforma, ripercorrendo a grandi

linee le novità. La legge ha previsto: 

•  l’inserimento del processo sommario di cognizione, più snello e

alternativo al rito ordinario;

•  l’inserimento di sanzioni processuali  a carico di chi ritarda, con il

proprio comportamento, la conclusione del processo;

•  l’introduzione di un filtro per l’ammissibilità dei ricorsi in

Cassazione  al fine di deflazionare il carico di lavoro del giudice di

legittimità;

•  la previsione di uno strumento di coercizione nei confronti del

debitore  per ogni giorno di inadempienza di alcune tipologie di

obbligazioni;

•  la previsione di ulteriori misure quali l’aumento delle competenze del

giudice di pace, la semplificazione della fase di decisione delle

controversie, la riduzione dei tempi per il compimento dei singoli atti

processuali e la prova testimoniale scritta, previo accordo tra le parti;

•  la soppressione del rito societario  e l’applicazione del rito

ordinario per le cause in materia di sinistri stradali.

La disciplina transitoria.

Le disposizioni transitorie si trovano nell’art. 58.

In particolare, il comma 1 pone la regola generale in base alla quale le

modifiche apportate al codice di procedura civile e alle norme di

attuazione dello stesso dal disegno di legge si applicano solo ai giudizi

instaurati dopo l’entrata in vigore della riforma.

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Il comma 2 introduce una eccezione alla suddetta regola, individuando

alcune disposizioni riformate che dovranno essere applicate anche ai

giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del disegno di

legge. Si tratta:

• 

dell’art. 132 c.p.c.,  relativo al contenuto della sentenza, come

modificato dall’art. 45, comma 17, del disegno di legge in esame;

•  dell’art. 345 c.p.c., relativo alla produzione di nuovi documenti in

appello, come modificato dall’art. 46, comma 18, del disegno di legge

in esame;

•  dell’art. 616 c.p.c., come modificato dall’art. 49, comma 2, del

disegno di legge in esame che, in particolare, ha escluso la non

impugnabilità della sentenza che decide l’opposizione all’esecuzione;

•  dell’art. 118 disp. att. c.p.c., sempre in tema di contenuto della

sentenza, come modificato dall’art. 52, comma 5, del disegno di legge

in esame.

Il comma 3 interviene per estendere anche ai procedimenti pendenti alla

data del 1° marzo 2006 l’applicazione della riforma operata nel 2005

attraverso la novella dei commi quinto e sesto dell’art. 155 c.p.c. in tema

di computo dei termini. Tali disposizioni stabiliscono che i termini per il

compimento di atti processuali svolti fuori dall’udienza, che scadono nella

giornata di sabato, sono prorogati di diritto al primo giorno seguente non

festivo. Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra

attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che

ad ogni effetto è considerata lavorativa.

Il comma 4 prevede che entro 12 mesi dall’entrata in vigore delprovvedimento in esame debbano essere rinnovate le trascrizioni della

domanda giudiziale, del pignoramento immobiliare e del sequestro

conservativo sugli immobili (nelle forme previste dall’art. 62 del disegno di

legge in esame, cui si rinvia), che siano state eseguite oltre vent’anni

prima. Se non si procederà in tal senso, tali trascrizioni perderanno

efficacia.

Il comma 5 prevede che le disposizioni che introducono un filtro per il

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ricorso in Cassazione (di cui all’art. 47 del disegno di legge in esame) si

applichino anche alle controversie nelle quali il provvedimento avverso il

quale si ricorre sia stato pubblicato o depositato dopo l’entrata in vigore

della riforma. 

L’aumento di competenza per le cause decise dal giudice di

pace (art. 7).

La riforma ha aumentato la competenza per valore del giudice di pace:

• 

fino a 5.000,00 euro per quelle relative a beni mobili;

•  fino a 20.000,00 per quelle di risarcimento del danno prodotto dalla

circolazione stradale.

La ratio è quella di sottrarre il carico di lavoro ai giudici togati, ovviamente

con ricadute sulla qualità del servizio giustizia, visto che la preparazione di

un magistrato onorario non è paragonabile a quella del magistrato togato.

Ciò non toglie che talvolta leggiamo ottime sentenze emesse da magistrati

onorari e pessime sentenze emesse da magistrati togati.

Sorprende poi l’introduzione di un ulteriore caso di competenza per

materia: si tratta delle cause relative agli interessi o accessori da ritardato

pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali, per le quali però

non si applica il rito del lavoro.

Più ordinanze, meno sentenze.

Una delle riflessioni del legislatore è stata questa: la sentenza è un atto

del processo la cui redazione richiede molto tempo. In questa cornice si

inseriscono una serie di modifiche che:

• 

da un lato, sostituiscono l’ordinanza alla sentenza;

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•  dall’altro, rendono l’elaborazione della sentenza più rapida.

Vediamo le modifiche del primo tipo. Il legislatore ha deciso che il giudice

dovrà emettere ordinanza e non più sentenza in questi casi:

•  quando pronuncia sulla competenza;

• 

quando dichiara la litispendenza e la continenza (art. 39 c.p.c.);

•  quando pronuncia sulla connessione (art. 40 c.p.c.);

•  quando pronuncia sul regolamento di competenza (art. 49 c.p.c.);

Di conseguenza vengono modificati:

•  l’art. 42  (regolamento necessario di competenza)  sostituendo

 “ordinanza” a “sentenza”;

•  l’art. 43  (regolamento facoltativo di competenza) sostituendo

 “provvedimento” a “sentenza”;

•  l’art. 44  (efficacia della sentenza che pronuncia sulla

competenza) sostituendo “ordinanza” a “sentenza”;

•  l’art. 45  (conflitto di competenza) sostituendo “ordinanza” a

 “sentenza”;

•  l’art. 47  (procedimento del regolamento di competenza) 

sostituendo “ordinanza” a “sentenza”;

•  l’art. 50  (riassunzione della causa) sostituendo “ordinanza” a

sentenza”;

•  l’art. 279  (forma dei provvedimenti del collegio) sostituendo

anche qui l’ordinanza alla sentenza in caso di pronuncia sulla

competenza.

Sotto il secondo aspetto, invece, viene modificato il n. 4 del secondo

comma dell’art. 132, stabilendo che il giudice, nella sentenza, deve fornirela concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione,

mentre non è più necessario riportare la concisa esposizione dello

svolgimento del processo.

Che le sentenze non debbano essere dei trattati il legislatore lo precisa

anche nell’art. 118 disp. att. c.p.c. là dove dice che la motivazione

consiste nella “succinta” esposizione dei fatti rilevanti della causa, delle

ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti

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giurisprudenziali. Si dà dunque la possibilità al giudice di richiamare

precedenti giurisprudenziali propri o di altri uffici.

Che dette modifiche possano davvero permettere un alleggerimento del

carico di lavoro del giudice ne dubito fortemente. Ben altri sono i mali

della giustizia.

La riduzione dei termini

La riforma ha accorciato molti termini. Segnalo in particolare la modifica

dell’art. 327 per effetto della quale le sentenze di primo grado dovranno

essere appellate entro il termine massimo di 6 mesi dalla pubblicazione

della sentenza. Con la conseguenza che sarà impossibile beneficiare - in

certi casi - della doppia sospensione feriale.

•  art. 50 (riassunzione della causa): passa da 6 a 3 mesi;

•  art. 296 (sospensione su istanza delle parti): passa da 4 a 3

mesi;

•  art. 297 (fissazione della nuova udienza dopo il

provvedimento di sospensione): passa da 6 a 3 mesi;

•  art. 305 (prosecuzione o riassunzione del processo): passa

da 6 a 3 mesi;

•  art. 307 (estinzione per inattività delle parti): passa da 1 anno

a 3 mesi;

•  art. 327 (decadenza dall’impugnazione): passa da 1 anno a 6

mesi;

•  art. 353 (rimessione al primo giudice per ragioni di

giurisdizione): la riassunzione passa da 6 a 3 mesi;

•  art. 392 (riassunzione della causa a seguito di rinvio per

intervenuta cassazione): passa da 1 anno a 3 mesi.

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Notificazione informatica (art. 137).

La riforma apre alla tecnologia, aggiungendo un comma dopo il secondo

dell’art. 137. Il nuovo terzo comma dispone:

 “Se l’atto da notificare o comunicare è costituito da un documento informatico e il

destinatario non possiede indirizzo di posta elettronica certificata, l’ufficiale giudiziario

esegue la notificazione mediante consegna di una copia dell’atto su supporto cartaceo, da

lui dichiarata conforme all’originale, e conserva il documento informatico per i due anni

successivi. Se richiesto, l’ufficiale giudiziario invia l’atto notificato anche attraverso

strumenti telematici all’indirizzo di posta elettronica dichiarato dal destinatario della

notifica o dal suo procuratore, ovvero consegna ai medesimi, previa esazione dei relativi

diritti, copia dell’atto notificato, su supporto informatico non riscrivibile”.

Pertanto qualora si debba notificare o comunicare un documento

informatico si potranno avere le seguenti ipotesi:

•  il destinatario ha un indirizzo di posta elettronica certificata:

l’ufficiale giudiziario può inviare il documento informatico a

quell’indirizzo;

•  il destinatario non ha un indirizzo di posta elettronica certificata:

l’ufficiale giudiziario gli consegna una copia cartacea conforme

all’originale e conserva il documento informatico per due anni;

•  il procuratore o il destinatario chiede l’invio all’indirizzo di posta

elettronica non certificata: in tal caso può procedere all’invio oppure

consegnare il supporto informatico non riscrivibile.

L’art. 101 c.p.c. e il principio del contraddittorio sulle

questioni rilevate dal giudice.

La legge di riforma ha disposto l’inserimento del seguente comma all’art.

101:

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 “Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il

giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non

inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in

cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.

In buona sostanza viene introdotto il principio del contraddittorio sulle

questioni rilevate d’ufficio dal giudice che attualmente registra un

contrasto giurisprudenziale (in senso affermativo v. ad es. Cass. civ. n.

16577/2005; contra, v. Cass. civ. n. 15705/2005).

La questione era stata affrontata “ex professo” dalla S.C. con sentenza n.

14637/2001 in un caso in cui il Pretore aveva rilevato d’ufficio,

direttamente in sentenza, la carenza del potere sanzionatorio della P.A.,

così annullando l’ordinanza ingiunzione emessa, nonostante dalle parti non

si fosse mai messo in discussione tale potere.

La Corte, in quella occasione, osservò che il comma 3 dell’art. 183 c.p.c.

(oggi quarto comma), il quale recita il giudice richiede alle parti, sulla base

dei fatti allegati, i chiarimenti necessari ed indica le questioni rilevabili di

ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, “esprime pienamente ilprincipio del contraddittorio che governa il processo. Contraddittorio che il

giudice deve fare osservare e deve osservare egli per primo, tant’è che

deve significare alle parti le questioni che ritiene rilevino, cosicché esse

non possano trovarsi di fronte ad una decisione a sorpresa, adottata sulla

base di una terza via rispetto a quelle alternativamente da esse

sostenute”.

Tale affermazione, secondo il S.C., risulta coerente con il regime dellepreclusioni e dello “ius poenitendi” (n. 4 della norma citata, oggi 5) i quali

consentono alle parti di aggiustare il tiro, anche in considerazione delle

rispettive difese, cosicché è la dialettica del processo che segna il limite

alle possibili novità. E la dialettica è travolta se si consente una decisione

sulla base di questioni che ne sono state estranee, ancorché un tale

effetto risalga all’esercizio dei poteri del giudice.

Il predetto principio, a parere del Collegio, prescinde, per la sua centralità

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nell’intero processo, dal meccanismo particolare della prima udienza di

trattazione. Pertanto il giudice che ritenga dopo di tale udienza di far

rilevare un fatto o una questione non considerati dalle parti, deve

segnalarli alle medesime e consentire che prendano posizione.

Conferma dell’ultima conclusione esposta si trae dalla norma dell’art. 184

bis c.p.c., secondo la quale la parte che dimostra di essere incorsa in

decadenze per cause ad essa non imputabili può chiedere al giudice

istruttore di essere rimessa in termini. Essa infatti esprime lo stesso

principio del contraddittorio perché, rimettendo in termini la parte che

senza colpa non ha potuto giovarsi delle facoltà che la legge prevede sia

nella fase di trattazione che in quella dedicata alle deduzioni istruttorie,

consente di strutturare un contraddittorio altrimenti carente.

Pertanto in base a tale norma, concluse la Cassazione, se il giudice si

avvede tardivamente di una questione rilevabile di ufficio, e la indica alle

parti dopo dell’udienza di trattazione, deve consentire ad esse di eccepire

e di argomentare, con analoga tardività.

Un autorevole autore, il Luiso, applaudì la pronuncia per la sensibilità

dimostrata dalla Corte verso il principio del contraddittorio.

Oggi il principio (sacrosanto) viene finalmente consacrato in una norma di

legge.

La pubblicità della sentenza (art. 120).

L’art. 120 del codice di rito, intitolato “Pubblicità della sentenza”, oggi

stabilisce:

 “Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, il

giudice, su istanza di parte, può ordinarla a cura e spese del soccombente, mediante

inserzione per estratto in uno o più giornali da lui designati.

Se l’inserzione non avviene nel termine stabilito dal giudice, può procedervi la parte a

favore della quale è stata disposta, con diritto a ripetere le spese dall’obbligato”.

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Le caratteristiche dell’istituto (poco applicato nella prassi) sono queste:

•  la pubblicità della decisione di merito deve contribuire a riparare il

danno;

• 

può essere disposta solo su istanza di parte;

•  va eseguita a cura e spese del soccombente;

•  l’inserzione si fa per estratto in uno o più giornali designati dal

giudice;

•  se il soccombente non vi provvede nel termine stabilito dal giudice,

può provvedervi l’altra parte con diritto a ripetere le spese

dall’obbligato.

Parte della dottrina ritiene che il fondamento dell’istituto sia quello della

riparazione del danno non patrimoniale (contra  Satta-Punzi i quali

sostengono che, al contrario, la pubblicazione miri proprio a risarcire un

danno patrimoniale); altra dottrina sostiene che il fondamento sia

ravvisabile nell’interesse generale a che non circolino false

rappresentazioni della realtà (Cavallone).

Il primo orientamento richiede pertanto l’elemento soggettivo del dolo o

della colpa; il secondo, invece, lo ritiene non necessario. La Corte di

Cassazione ha precisato che tale funzione riparatoria prescinde dalla

natura extracontrattuale o contrattuale del fatto illecito, perché, in

entrambe le ipotesi, a fronte della risonanza che il fatto stesso abbia avuto

al tempo del suo accadimento, la divulgazione della notizia inerente

all’individuazione del responsabile può valere, secondo le circostanze del

caso concreto, a delimitare il danno già verificatosi ed a prevenire ulterioripregiudizi (Cass. civ. 11801/98).

Le modifiche definitivamente approvate dal Senato sono queste:

•  si specifica che la pubblicità può essere disposta anche in caso di

responsabilità per lite temeraria ai sensi dell’art. 96;

•  si stabilisce che la pubblicazione può avvenire in una o più testate

giornalistiche (non dunque solo “giornali”), e anche su testate

radiofoniche, televisive o in siti internet.

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Le modifiche riguardanti la procura alle liti (art. 83)

In tema di procura alle liti le novità da segnalare sono queste:

•  espresso riconoscimento della validità della procura inserita nella

memoria di nomina del nuovo difensore in aggiunta o in sostituzione

del difensore originariamente designato (art. 83, III comma);

•  previsione della validità della copia informatica autenticata con firma

digitale della procura rilasciata su supporto informatico (art. 83, III

comma);

•  previsione della sanabilità della procura nulla (art. 182, II comma).

La prima modifica è evidentemente volta a porre fine a quella

giurisprudenza di legittimità che afferma che nel giudizio di cassazione -

diversamente rispetto a quanto avviene con riguardo ai giudizi di merito -

la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti

diversi dal ricorso o dal controricorso, poiché l’art. 83, comma 3,

nell’elencare gli atti a margine o in calce ai quali può essere apposta la

procura speciale, individua, con riferimento al giudizio di cassazione,

soltanto quelli suindicati. Pertanto, se la procura non viene rilasciata su

detti atti, è necessario che il suo conferimento si realizzi nella forma

prevista dal comma 2 del citato art. 83, cioè con atto pubblico o con

scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali

del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata. A

quest’ultima conclusione la Suprema Corte perviene anche con riferimento

all’ipotesi in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore nominato con il

ricorso (o controricorso), non rispondendo alla disciplina del giudizio di

cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio a seguito della sua

instaurazione con la notifica e il deposito del ricorso (o controricorso) e

non soggetto agli eventi di cui agli art. 299 ss. c.p.c., il deposito di un atto

redatto dal nuovo difensore (nella specie denominato “atto di

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costituzione”) su cui possa essere apposta la procura speciale (Cass.

13087/2006).

Da accogliere con favore è la possibilità di sanare o rinnovare la procura.

L’art. 182, secondo comma, nuova versione, stabilisce che:

 “quando rileva ….. un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice

assegna alle parti un termine perentorio …. per il rilascio della procura alle liti o per la

rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi e gli effetti sostanziali e

processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione” .

Come sancito espressamente dalla norma, gli effetti, sostanziali eprocessuali, sono retroattivi. In effetti, costituiva una sanzione

gratuitamente severa quella della non sanabilità della procura tutte le

volte in cui l’effettivo titolare del potere manifestava la volontà di voler far

propri gli atti compiuti dal difensore.

Occorre però rilevare che la norma parla di “nullità” e non di “inesistenza”.

In effetti, l’inesistenza è una categoria giurisprudenziale e dottrinale; il

codice di rito non parla mai di inesistenza. Occorre allora chiedersi se la

nuova disposizione copra anche questi casi (si pensi alla procura rilasciata

da soggetto privo di rappresentanza della persona giuridica ovvero munito

di poteri ma che non spenda il nome della società rappresentata). A mio

parere, il fatto che la norma parli tanto di “rilascio” quanto di

 “rinnovazione” lascia intendere che la disposizione copra gli uni e gli altri.

D’altra parte, come già detto, il codice non poteva parlare di inesistenza

visto che tale categoria, nello stesso codice, non esiste, si perdoni il gioco

di parole.

Altra novità riguarda l’espresso riferimento alla procura “digitale”. All’art.

83 viene aggiunto un periodo che prevede la validità della procura

rilasciata su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale

e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici,

individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. La procura

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alle liti potrà essere conferita anche supporto cartaceo; in tal caso il

difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la

copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della

normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la

trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via

telematica.

L’art. 115 c.p.c. e il principio di contestazione.

La legge ha inserito il seguente periodo al primo comma dell’art. 115:

 “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le

prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente

contestati dalla parte costituita”.

La modifica vuole porre fine ad una questione assai controversa in

giurisprudenza e in dottrina.

A fronte di sentenze che anche di recente hanno affermato che non

sussiste nel vigente ordinamento processuale un onere per la parte di

contestazione specifica di ogni fatto dedotto ex adverso, tanto che la mera

mancata contestazione in quanto tale non può avere automaticamente

l’effetto di prova (Cass. civ. n. 13958/2006), si registra un orientamento

per così dire intermedio e un orientamento estremo.

L’orientamento intermedio è quello espresso, ad esempio, da Cass. civ. n.

2273/2005, in cui si dà la possibilità al giudice di valutare tale

comportamento, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., non semplicemente di per se

(e quindi solo in quanto omessa contestazione), ma come espressione

significativa del comportamento processuale della parte, da inquadrare

nell’ambito di quest’ultimo e valutata in relazione all’intero complesso di

tesi difensive esposte.

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L’orientamento estremo, già affermato dalla giurisprudenza del lavoro e da

quella di merito, è stato sposato di recente dalla Suprema Corte (sent.

5191/08) la quale ha stabilito che l’onere di contestazione tempestiva

deriva da tutto il sistema processuale, come si evince:

• 

dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura

dialettica a catena;

•  dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti

l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a

circoscrivere la materia controversa;

•  dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto,

•  dal generale principio di economia che deve informare il processo,

così come previsto dall’art. 111 Cost..

Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti

(attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di

contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza,

ritenersi tale fatto pacifico e la controparte non più gravata del relativo

onere probatorio.

Pertanto, secondo il più recente orientamento della Suprema Corte la

parte ha l’onere di contestare specificamente i fatti principali affermati

dall’altra parte con la prima difesa utile, dovendosi altrimenti il fatto

ritenere pacifico.

La legge di riforma intende mettere la parola fine sulla questione

stabilendo, come sopra abbiamo visto, l’onere di contestare

 “specificatamente” i fatti allegati dall’altra parte, in difetto di che dovranno

ritenersi provati senza necessità di istruzione.

La rimessione in termini (art. 153)

L’art. 184 bis c.p.c. che prevede, come a tutti noto, la rimessione in

termini è stato abrogato e sostituito dall’art. 153, secondo comma, che

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stabilisce:

 “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile

può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma

dell’articolo 294, secondo e terzo comma”.

La rimessione in termini, dunque, diviene norma generale del processo e

non collegata alla sola fase istruttoria.

Ciò, infatti, aveva portato la S.C. (non sempre per la verità) a pronunce

assai rigorose, quale quella n. 2946/2008 in cui si stabilì che la disciplina

della rimessione in termini, concernendo appunto la sola fase istruttoria, è

applicabile a tutte le decadenze verificatesi entro la prima udienza ditrattazione e, comunque, all’interno del giudizio di primo grado, mentre

non riguarda la fase di proposizione delle impugnazioni. Nella specie, la

S.C. aveva confermato la sentenza di merito che - dichiarando

l’improcedibilità dell’appello per tardivo deposito dell’originale dell’atto di

citazione - aveva negato che l’appellante potesse essere rimesso in

termini deducendo che il ritardo nel deposito era dovuto allo smarrimento

dell’atto da parte dell’ufficiale giudiziario.

E’ pertanto da salutare con favore l’introduzione del secondo comma

dell’art. 153 c.p.c..

Le modifiche riguardanti la CTU.

Due le modifiche riguardanti la CTU.

La prima attiene alle modalità di nomina e alla relazione (o al processo

verbale). Oggi funziona in questo modo. Il giudice nomina il CTU e fissa

l’udienza di comparizione. A quell’udienza il CTU giura; quindi il giudice

formula i quesiti. Viene fissato l’inizio delle operazioni peritali e stabilito il

termine per il deposito della relazione.

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Con la riforma funzionerà così:

•  il giudice nomina il CTU, formula i quesiti e fissa l’udienza per il

giuramento;

•  nell’ordinanza resa all’udienza fissata per il giuramento dovranno

essere previsti tre termini:

o  il primo per l’invio alle parti costituite della relazione;

o  il secondo per l’invio delle osservazioni scritte dalle parti al

CTU;

o  il terzo per il deposito della relazione, delle osservazioni delle

parti e di una sintetica valutazione sulle stesse.

In realtà, viene recepita una prassi già adottata dai giudici più illuminati.

Altra importante modifica riguarda la vigilanza sulla distribuzione degli

incarichi. Il nuovo art. 23 delle disp. att. c.p.c. stabilisce che a nessuno dei

consulenti iscritti possono essere conferiti incarichi in misura superiore al

10 per cento di quelli affidati all’ufficio.

Il Presidente del Tribunale dovrà garantire che sia assicurata l’adeguata

trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti

informatici.

Le modifiche relative al procedimento in Cassazione.

Scompare prematuramente il quesito di diritto. Nessun rimpianto, almeno

da parte di noi avvocati. Peccato che lascia sul campo di battaglia

un’infinità di ricorsi, dichiarati inammissibili da una giurisprudenza sin

troppo rigorosa. Ancora un altro esempio di come le norme fatte male

durino poco e negli ultimi tempi di norme così se ne trovano sempre più

spesso.

La riforma ha previsto due nuovi casi di inammissibilità in un nuovo

articolo, il 360 bis (originariamente il progetto elencava i casi di

ammissibilità):

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Il ricorso è inammissibile:

1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme

alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o

mutare l’orientamento della stessa;

2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi

regolatori del giusto processo).

Il numero 1 impone al difensore, allorquando si trova di fronte ad una

giurisprudenza di segno opposto, di indicare specificamente i motivi per

cui quella giurisprudenza merita di essere abbandonata. Ecco che allora

ritorneranno ad essere indispensabili i contributi dottrinali, che potranno

aiutarci ad argomentare meglio il ricorso. Come ha scritto il Prof. Sassani

vedremo l’uso che ne farà la Corte.

Per accertare l’eventuale inammissibilità verrà formata una commissione

di cinque magistrati appartenenti a tutte le sezioni. Il primo presidente

trasmetterà il ricorso alla commissione che giudicherà in camera di

consiglio. Se il ricorso è ammissibile viene restituito al primo presidente

che lo assegnerà ad una delle sezioni.

Se il ricorso appare inammissibile, il relatore della sezione deposita in

cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che

possono giustificare la relativa pronuncia. Il presidente fissa con decreto

l’adunanza della Corte. Almeno venti giorni prima della data stabilita per

l’adunanza, il decreto e la relazione sono comunicati al pubblico ministero

e notificati agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare, il

primo conclusioni scritte, e i secondi memorie, non oltre cinque giorniprima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono.

Se il ricorso è dichiarato inammissibile amen. Se il ricorso, invece, non è

dichiarato inammissibile, il relatore nominato ai sensi dell’articolo 377,

primo comma, ultimo periodo, quando appaiono ricorrere le ipotesi

previste dall’articolo 375, primo comma, numeri 2) (si deve cioè ordinare

l’integrazione del contraddittorio) e 3) (occorre provvedere

sull’estinzione), deposita in cancelleria una relazione con la concisa

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esposizione dei motivi in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere

deciso in camera di consiglio e si applica il secondo comma.

Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste dall’articolo 375, primo

comma, numeri 2) e 3), la Corte rinvia la causa alla pubblica udienza.

Altri articoli vengono ritoccati per ragioni di coordinamento. Così l’art. 375

viene aggiustato per rendere la procedura in camera di consiglio adeguata

alle modifiche; l’inammissibilità per “mancanza dei motivi previsti

dall’articolo 360” passa dal n. 5 al n. 1 (del comma 1); lo stesso n. 5

perde anche l’inciso finale relativo al “difetto dei requisiti previsti

dall’articolo 366 bis”, considerata l’abrogazione di questo.

Viene riformulato, in ragione delle modifiche dell’art. 360-bis e 376, anche

l’art. 380-bis la cui rubrica diventa “Procedimento per la decisione

sull’inammissibilita` del ricorso e per la decisione in camera di consiglio”

Esecuzione degli obblighi di fare e di non fare. Uno

strumento in più (art. 614 bis)

Dopo l’art. 614 c.p.c. la riforma ha aggiunto un 614 bis intitolato

 “Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare”, il quale

stabilisce:

Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo,

fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o

inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il

provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme

dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non

si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di

collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409.

Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del

valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o

prevedibile e di ogni altra circostanza utile.

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Le caratteristiche della disposizione sono le seguenti:

•  occorre una istanza di parte, pertanto il giudice non può disporla

d’ufficio;

•  la condanna può riferirsi tanto alla violazione o inosservanza

successiva, quanto al ritardo;

•  il giudice deve compiere una duplice valutazione sull’an e sul quantum:

   “an“: dovrà accertare che non si tratti di una controversia di lavoro

subordinato pubblico e privato ovvero di rapporti di collaborazione

coordinata e continuativa di cui all’articolo 409. Dovrà inoltre

valutare la non manifesta iniquità della misura;

   “quantum“: dovrà determinare l’ammontare tenuto conto del valore

della controversia, del danno quantificato o prevedibile e di ogni

altra circostanza;

•  il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento della

somme dovute per ogni violazione o inosservanza.

Opposizione all’esecuzione: si ritorna al passato (art. 616)

Nel consueto valzer - lo modifico, ci ripenso, forse era meglio prima - il

legislatore è intervenuto nuovamente sull’art. 616 c.p.c.. Stiamo parlando

di opposizione all’esecuzione.

Dal primo marzo 2006 la norma stabiliva che la sentenza emessa a

seguito del giudizio de quo non era impugnabile, e dunque solo ricorribile

in Cassazione. Lo scopo era stato quello di parificare il regime di

opposizione all’esecuzione a quello degli atti esecutivi e di alleggerire il

lavoro della Cassazione. La disparità di trattamento, infatti, aveva creato

non pochi problemi. Ci si chiedeva:

•  qual’è il regime di impugnazione se una stessa sentenza giudica

sull’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi?

• 

qual’è il regime di impugnazione se il giudice non qualifica l’azione

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esercitata?

•  come si deve comportare la parte se, proposta opposizione agli atti

esecutivi, il giudice la qualifichi come opposizione all’esecuzione (o

viceversa)?

Dunque la modifica del 2006 era certamente da apprezzare. Ma il

legislatore vuole sgravare la Cassazione e così si ritorna al passato,

ovviamente con tutti i problemi annessi e connessi. Ricordiamo allora

alcuni principi affermati dalla giurisprudenza.

 “L’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento

giurisdizionale, deve essere fatta in base al principio dell’apparenza con riferimento

esclusivo alla qualificazione dell’azione proposta compiuta dal giudice, indipendentemente

dalla sua esattezza. Pertanto, è impugnabile con l’appello la sentenza emessa in sede di

esecuzione forzata se l’azione è stata qualificata come opposizione all’esecuzione, mentre

è esperibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost., qualora l’azione sia stata

definita come opposizione agli atti esecutivi” (Cass. Civ. 10801/2001)

 “Quando le contestazioni della parte si configurino, nello stesso procedimento, come

opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi, si deve ritenere che la

sentenza, formalmente unica, contenga due decisioni distinte soggette rispettivamentead appello ed a ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost. Nel caso poi in cui il

giudice non abbia dato alcuna qualificazione all’opposizione, questa spetta d’ufficio al

giudice dell’impugnazione non solo ai fini del merito, ma anche ai fini dell’ammissibilità

dell’opposizione stessa” (Cass. Civ. 10804/2000)

 “Qualora avverso una sentenza di primo grado - ancorché costituita da un unico capo su

un’unica domanda (nella specie: opposizione all’esecuzione per nullità-inesistenza

dell’atto di pignoramento immobiliare notificato nel domicilio eletto dalla debitrice

deceduta ex art. 20 t.u. 16 luglio 1905 n. 646) - la parte abbia proposto sia appello sia

ricorso per cassazione ex art. 111 cost., sull’erroneo presupposto che contenga due

pronunce distinte su un’opposizione all’esecuzione e su un’opposizione agli atti esecutivi,

la pronuncia di rigetto dell’appello nel merito, ove passata in giudicato, comporta

l’inammissibilità del coevo ricorso per cassazione ostandovi la qualificazione della

domanda come opposizione all’esecuzione (con la correlativa appellabilità della

sentenza)” (Cass. Civ. 6882/1987)

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Il processo sommario di cognizione (art. 702 bis e ss).

La riforma ha introdotto il Capo III-bis nel libro IV intitolato “Del

procedimento sommario di cognizione”.

Tre gli articoli di cui si compone:

•  Art. 702-bis. - (Forma della domanda. Costituzione delle parti).

•  Art. 702-ter . - (Procedimento).

•  Art. 702-quater . - (Appello).

La domanda introduttiva si propone con ricorso al tribunale competente.

Deve peraltro trattarsi di causa sottoposta al giudizio del tribunale

monocratico competente per territorio, non potendosi far ricorso al

procedimento in esame nel caso in cui la competenza sia devoluta al

tribunale collegiale.

Il ricorso, sottoscritto dal difensore, deve contenere le indicazioni di cui ai

numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo

comma dell’articolo 163, ovverosia:

1) l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è

proposta;

2) il nome, il cognome e la residenza dell’attore, il nome, il

cognome, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e

delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se

attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non

riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la

denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che

ne ha la rappresentanza in giudizio;

3) la determinazione della cosa oggetto della domanda;

4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le

ragioni della domanda, con le relative conclusioni;

5) l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende

valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione;

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6) il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura,

qualora questa sia stata già rilasciata;

7) l’invito al convenuto a costituirsi nel termine che verrà stabilito

dal giudice e comunque non inferiore a dieci giorni prima

dell’udienza indicata e a comparire dinanzi al giudice designato con

l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le

decadenze di cui agli articoli 38 e 167.

A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo

d’ufficio e lo presenta al presidente del tribunale, il quale designa il

magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Nelle sezioni

distaccate, tale designazione viene effettuata con provvedimento

generale; dunque non è necessario depositare il ricorso nella sede

centrale.

Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti,

assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve

avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza; il ricorso, unitamente al

decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto

almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Il

termine minimo per preparare la difesa è dunque di venti giorni.

Ricevuto il ricorso e il decreto, il convenuto ha l’onere di costituirsi in

cancelleria nel termine fissato dal giudice, mediante deposito della

comparsa di risposta, nella quale avrà l’onere di:

a) proporre le sue difese;

b) prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento

della domanda;c) indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che

offre in comunicazione;

d) formulare le conclusioni;

e) proporre le eventuali domande riconvenzionali a pena di

decadenza;

f) sollevare le eccezioni processuali e di merito non sono rilevabili

d’ufficio;

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g) fare dichiarazione a pena di decadenza di voler chiamare un terzo

in garanzia e chiedere al giudice designato lo spostamento

dell’udienza. In tal caso il giudice, con decreto comunicato dal

cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della

nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del

terzo.

La costituzione del terzo in giudizio avviene secondo le modalità del

convenuto.

All’udienza così fissata il giudice compierà anzitutto delle verifiche

preliminari:

a) accerterà la propria competenza per materia, valore, territorio

e in difetto la dichiarerà con ordinanza;

b) verificherà che la domanda sia di competenza del tribunale

monocratico, pronunciando in caso contrario ordinanza non

impugnabile di inammissibilità;

c) verificherà di avere competenza anche sulla riconvenzionale;

in caso contrario pronuncerà lo stesso ordinanza non impugnabile di

inammissibilità;

d) valuterà se la causa richiede o meno una istruzione non

sommaria. Nel primo caso fisserà con ordinanza non impugnabile

l’udienza di trattazione ex art. 183 e si applicheranno le norme

previste dal libro II;

e) valuterà altresì che la riconvenzionale non richieda una attività

ordinaria e dunque non sommaria; in tal caso, disporrà la

separazione delle cause.Se non provvede ai sensi dei commi precedenti, alla prima udienza il

giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al

contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di

istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e

provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande.

L’istruttoria, dunque, è rimessa all’apprezzamento del giudice. Il

provvedimento finale è costituito dalla ordinanza e non dalla sentenza ed

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ha queste caratteristiche:

a) è provvisoriamente esecutiva;

b) costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la

trascrizione;

c) è idonea a passare in giudicato.

Con la stessa ordinanza, il giudice provvede sulle spese del procedimento

ai sensi degli articoli 91 e seguenti.

L’appello è disciplinato dall’art. 702-quater il quale stabilisce che

l’ordinanza de qua produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice

civile, cioè fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, se

non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o

notificazione. L’articolo non specifica se la forma dell’atto introduttivo sia il

ricorso, per il principio di ultrattività del rito, ovvero la citazione. Propendo

per la seconda ipotesi, visto che la citazione è la forma dell’atto

introduttivo del processo di secondo grado e che in questo grado il

procedimento perde la sua specialità.

In appello nuovi mezzi di prova e nuovi documenti saranno ammessi in

due casi:

•  qualora il collegio li ritenga rilevanti ai fini della decisione,

•  oppure qualora la parte dimostri di non aver potuto proporli nel

corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile.

In caso di ammissione di prove costituende, il presidente del collegio potrà

delegare uno dei componenti del collegio per l’assunzione.

La testimonianza scritta (artt. 257 bis e 103 disp. att.)

Ha suscitato molto clamore e molti timori l’introduzione della

testimonianza scritta (art. 257 bis c.p.c. e 103 bis disp. att. c.p.c.),

paventando taluni il rischio di testimonianze false o quanto meno ben

pilotate. Analizziamola sotto forma di domande e risposte.

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In quali casi si può ricorrere alla testimonianza scritta?

Alla testimonianza scritta si può ricorrere:

•  se c’è accordo tra le parti; e

•  se il giudice la ritiene possibile in base alla natura della causa e di

ogni altra circostanza.

Pertanto, dovrebbe bastare il dissenso di uno dei difensori per impedirne

l’utilizzo.

Cosa è tenuto a fare il testimone?

Il testimone, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 203, deve fornire, per

iscritto e nel termine fissato dal giudice, le risposte ai quesiti sui quali

deve essere interrogato.

Come si differenza la testimonianza scritta, allorquando abbia ad

oggetto documenti di spesa già in atti?

Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati

dalle parti, può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal

testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è

stata ammessa, senza il ricorso al modello di cui al secondo comma e

senza necessità di accordo delle parti.

Il giudice è vincolato dalla resa testimonianza scritta o può

comunque decidere di sentire il testimone?

Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre

che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice

delegato.

Come va resa la testimonianza scritta?

La testimonianza scritta è resa su di un modulo conforme al modelloapprovato con decreto del Ministro della giustizia, che individua anche le

istruzioni per la sua compilazione, da notificare unitamente al modello.

Cosa deve contenere il modello?

Il modello va sottoscritto in ogni suo foglio dalla parte che ne ha curato la

compilazione e deve contenere:

•  l’indicazione del procedimento e dell’ordinanza di ammissione da

parte del giudice procedente;

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•  idonei spazi per l’inserimento delle complete generalità del

testimone, dell’indicazione della sua residenza, del suo domicilio e,

ove possibile, di un suo recapito telefonico;

•  l’ammonimento del testimone ai sensi dell’articolo 251 del codice e

la formula del giuramento di cui al medesimo articolo, oltre

all’avviso in ordine alla facoltà di astenersi ai sensi degli articoli 200,

201 e 202 del codice di procedura penale, con lo spazio per la

sottoscrizione obbligatoria del testimone, nonché le richieste di cui

all’articolo 252, primo comma, del codice, ivi compresa l’indicazione

di eventuali rapporti personali con le parti, e la trascrizione dei

quesiti ammessi, con l’avvertenza che il testimone deve rendere

risposte specifiche e pertinenti a ciascuna domanda e deve altresì

precisare se ha avuto conoscenza dei fatti oggetto della

testimonianza in modo diretto o indiretto.

Come va apposta la sottoscrizione?

La sottoscrizione va apposta al termine di ogni risposta, di seguito e senza

lasciare spazi vuoti.

Le sottoscrizioni devono essere autenticate?

Sì, le sottoscrizioni devono essere autenticate da un segretario comunale

o dal cancelliere di un ufficio giudiziario. L’autentica delle sottoscrizioni è

in ogni caso gratuita nonché esente dall’imposta di bollo e da ogni diritto.

L’abrogazione del rito del lavoro per le cause in materia di

risarcimento del danno da lesione o da morte conseguenti

ad incidenti stradali (art. 3 legge 102/2006)

E tutto finì con una squallida abrogazione. Quando il legislatore si chiede

perché in Italia i processi durano tanto, dovrebbe interrogarsi sui danni

prodotti da questo modo scellerato di fare le leggi, che restano in vita

neanche tre anni (e anche meno se fosse stato approvato il disegno di

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legge Mastella).

Nel frattempo tutto ciò ha prodotto danni enormi: contrasti di

giurisprudenza, per non parlare del tempo impiegato per studiare la

riforma, i costi legati alla nuova organizzazione degli uffici, etc.. E poi con

un colpo di penna cambia tutto.

Ma tant’è. Vediamo la disciplina transitoria.

Recita la legge:

L’articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, è abrogato.

Alle controversie disciplinate dall’articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, pendenti

alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni

di cui al libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile. La disposizione di

cui al presente comma non si applica ai giudizi introdotti con il rito ordinario e per i quali

alla data di entrata in vigore della presente legge non è stata ancora disposta la modifica

del rito ai sensi dell’articolo 426 del codice di procedura civile.

Occorre dunque verificare:

a) l’entrata in vigore della legge;

b) la data di pendenza della lite;

c) la eventuale conversione del rito.

La pendenza della lite è data, grazie anche alla modifica dell’art. 39,

ultimo comma:

a) dalla notifica, per la citazione;

b) dal deposito, per il ricorso.

Avremo pertanto le seguenti ipotesi:

•  controversie pendenti introdotte con ricorso: si continua ad

applicare la legge 102/2006;

•  controversie pendenti introdotte con citazione non

convertite: si applica il rito ordinario

•  controversie pendenti introdotte con citazione convertite: si

continua ad applicare la legge 102/2006

Si supponga che la legge entri in vigore il 1° luglio 2009:

 

se ho depositato il ricorso entro il 30 giugno si applicherà il rito del

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lavoro;

•  se deposito il ricorso il 1 luglio (o dopo) non accorgendomi

dell’abrogazione della legge, il giudice dovrà semplicemente

convertire il rito, ferma la sua competenza, ai sensi dell’art. 427

c.p.c.;

•  se il procedimento è iniziato prima del 1° luglio con la notificazione

di una citazione e il giudice non ha disposto la conversione del rito,

si applicherà il rito ordinario;

•  se invece il giudice ha già disposto la conversione alla data del 1°

luglio si applicherà il rito del lavoro.

Le modifiche minori

Ci sono poi una serie di modifiche che ho chiamato minori, ma in realtà in

alcuni casi molto importanti. Vediamole:

•  Art. 54 (ordinanza sulla ricusazione): viene elevata la pena

pecuniaria in caso di rigetto della istanza di ricusazione;

•  Art. 67 (responsabilità del custode): viene elevata la pena

pecuniaria per il custode che non esegue l’incarico;

•  Art. 118 (ordine di ispezione di persone e di cose): viene

elevata la pena pecuniaria per il terzo che rifiuta l'ispezione;

•  Art. 163 (contenuto della citazione): viene previsto

l'inserimento dell'art. 38 tra gli avvertimenti da inserire nell’atto di

citazione;

•  Art. 249 (facoltà d'astensione): vengono modificati gli articoli

richiamanti il nuovo codice di procedura penale;

•  Art. 255 (mancata comparizione dei testimoni): viene prevista

una ulteriore sanzione per il testimone che non compare per la

seconda volta, nonché l'obbligo dell'accompagnamento coattivo;

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•  Art. 285 (modo di notificazione della sentenza): si richiama

tutto l'art. 170 con la conseguenza che sarà possibile notificare una

copia anche se il procuratore è costituito per più parti;

•  Art. 300 (Morte o perdita della capacità della parte

costituita): sostituisce il quarto comma dell’art. 300 c.p.c. che fissa

il momento dell’interruzione del processo nel caso in cui l’evento

interruttivo (di cui all’art. 299) riguardi la parte contumace. In tale

ipotesi, infatti, l’attuale norma stabilisce che il processo sia

interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è notificato o è

certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notifica o

comunicazione di un atto al contumace. Il nuovo quarto comma

dell’art. 300 c.p.c. prevede come momento che interrompe del

processo anche quello in cui il fatto interruttivo (morte o perdita

della capacità di stare in giudizio da parte del contumace) è

documentato dall’altra parte.

•  Art. 310 (effetti dell'estinzione del processo): il termine

 “sentenze” è sostituito con “pronunce”;

•  Art. 330 (luogo di notificazione dell'impugnazione): si

richiama tutto l'art. 170 con la conseguenza che sarà possibile

notificare una copia anche se il procuratore è costituito per più parti;

•  Art. 345 (domande ed eccezioni nuove): viene codificato il

principio di diritto vivente secondo cui nel giudizio di appello non si

possono produrre nuovi documenti;

•  Art. 385 (provvedimenti sulle spese): abroga il quarto comma

dell’art. 385 c.p.c., ai sensi del quale, quando pronuncia sulle spese,la Corte di cassazione, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte

soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una

somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei

massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha

resistito anche solo con colpa grave. L’abrogazione assume natura di

coordinamento con la modifica apportata all’art. 96 c.p.c. dall’art.

45, comma 12, del disegno di legge in esame;

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•  Art. 442 (controversie in materia di previdenza e di

assistenza obbligatorie): si prevede l'esclusione del rito del

lavoro per i giudizi che si svolgono davanti al giudice di pace in

materia di interessi e accessori da ritardato pagamento di

prestazioni previdenziali;

•  Art. 444 (giudice competente): integra la formulazione del primo

comma in materia di giudice competente per le controversie in

materia di previdenza e assistenza obbligatorie. La disposizione

aggiuntiva definisce la competenza in caso di attore residente

all’estero assegnandola al tribunale del lavoro nella cui circoscrizione

l’attore risiedeva prima del trasferimento all’estero; se la

prestazione è, invece, chiesta dagli eredi, è competente il tribunale

nella cui circoscrizione il defunto aveva l’ultima residenza;

•  Art. 540 bis (integrazione del pignoramento):  disciplina la

possibilità di integrazione del pignoramento quando il ricavato della

vendita non sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori o quando i

beni pignorati rimangano invenduti anche dopo il secondo incanto;

•  Art. 624 (sospensione per opposizione all’esecuzione): 

riformula i commi terzo e quarto dell’art. 624 c.p.c., in materia di

effetti della sospensione dell’esecuzione nel caso di opposizione

all’esecuzione stessa, prevedendo quale ulteriore condizione alla

dichiarazione giudiziale di estinzione del processo, la mancata

introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato ex

art. 616 c.p.c. dal giudice dell’esecuzione;

• 

Art. 630 (inattività delle parti): stabilisce che l’estinzione puòanche esser dichiarata d’ufficio, introducendo un termine ultimo per

la dichiarazione di estinzione da parte del giudice nonché l’obbligo di

comunicazione dell’ordinanza, a cura del cancelliere, ove non

pronunciata in udienza;

•  Art. 669-septies (provvedimento negativo): viene eliminata la

possibilità di fare opposizione alla condanna alle spese pronunciata

dal giudice in fase cautelare ante-causam;

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•  Art. 669-octies (provvedimento di accoglimento): si stabilisce

che nel pronunciare un provvedimento cautelare idoneo ad

anticipare gli effetti della sentenza di merito, il giudice deve sempre

provvedere sulle spese del procedimento cautelare;

• 

Art. 81 bis disp. att. (calendario del processo): si prevede

l’obbligo per le parti e per il giudice di fissare le udienze successive

con l’indicazione degli incombenti che verranno espletati;

•  Art. 104 disp. att. (mancata intimazione dei testimoni): si

prevede che la mancata intimazione possa essere rilevata d’ufficio

dal giudice ma che la decadenza non può essere pronunciata se

l’altra parte intende comunque sentire i testi;

•  Art. 152 bis disp. att. (esenzione dal pagamento di spese,

competenze e onorari nei giudizio per prestazioni

previdenziali): si prevede un limite per la liquidazione delle spese

e degli onorari nelle cause previdenziali stabilendo che non possono

superare la prestazione dedotta in giudizio;

•  Art. 186 bis disp. att. (trattazione delle opposizione in

materia esecutiva): stabilisce che i giudizi di cui all’art. 618 sono

trattati da un magistrato diverso da quello che ha conosciuto gli atti

avverso i quali è proposta opposizione;

•  Rito societario: viene abrogato. Per le cause pendenti si continuerà

ad applicare il rito societario.

•  Art. 22 l. 689/1981: si stabilisce che la prova scritta della

conoscenza del ricorso e del decreto equivale alla notifica degli

stessi.•  Artt. 2668-bis e ter c.c.:  si prevede che la trascrizione della

domanda giudiziale, del pignoramento immobiliare e del sequestro

conservativo ha durata ventennale con possibilità di rinnovo prima

della scadenza.

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Chiuso in redazione il 10 giugno 2009

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