Pomezia Notizie 2016 7

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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re- sponsabile: DOMENICO DEFELICE e-Mail: [email protected] Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene- merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 24 (Nuova Serie) n. 7 - Luglio 2016 - € 5,00 “LA “BUONA SCUOLA”: SECONDO RENZI O LA MASTROCOLA? di Giuseppina Bosco AOLA Mastrocola è un’insegnante di Lettere in un liceo scientifico di Torino, è nata nel 1956 a Torino ed è autrice di romanzi : La gallina volante, (di cui uno dei premi è stato il Campiello 2000), Palline di pane (finalista al premio strega 2001), Una barca nel bosco (Premio Campiello 2004), Più lontana della luna (2007), La narice del coniglio (2009); Il pamphlet narrativo La scuola raccontata al mio cane (2004); i due romanzi favola P

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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice

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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA

Anno 24 (Nuova Serie) – n. 7 - Luglio 2016 - € 5,00

“LA “BUONA SCUOLA”:

SECONDO RENZI O LA MASTROCOLA? di Giuseppina Bosco

AOLA Mastrocola è un’insegnante di Lettere in un liceo scientifico di Torino, è nata

nel 1956 a Torino ed è autrice di romanzi : La gallina volante, (di cui uno dei premi è

stato il Campiello 2000), Palline di pane (finalista al premio strega 2001), Una barca

nel bosco (Premio Campiello 2004), Più lontana della luna (2007), La narice del coniglio

(2009); Il pamphlet narrativo La scuola raccontata al mio cane (2004); i due romanzi favola

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.2

All’interno:

Gli scrittori italiani e la grande guerra, di Elio Andriuoli, pag. 5

Leonardo Sciascia e la scomparsa di Majorana, di Marina Caracciolo, pag. 7

Aurora De Luca tra esperienza e trascrizione poetica, di Ilia Pedrina, pag. 11

La rivolta del correntista, di Giuseppe Giorgioli, pag. 14

La Calabria si racconta, di Carmine Chiodo, pag. 20

Edoardo Sanguineti, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 23

Anna Vincitorio: Bambini, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 25

Giovanni Battista Rigon e Gioacchino Rossini, di Ilia Pedrina, pag. 28

Olinto Dini, di Leonardo Selvaggi, pag. 31

Domenico Defelice in un saggio di Claudia Trimarchi, di Marina Caracciolo, pag. 35

Antonia Izzi Rufo e La casa di mio nonno, di Tito Cauchi, pag. 37

La poesia di Domenico Defelice e la funzione catartica, di Luigi De Rosa, pag. 40

Leggendo poesie di Nazario Pardini, di Aurora De Luca, pag. 42

Che cosa intendo per poesia, di Nicola Lo Bianco, pag. 46

A mio padre, di Anna Vincitorio, pag. 48

I Poeti e la Natura (Umberto Saba), di Luigi De Rosa, pag. 51

Notizie, pag. 60

Libri ricevuti, pag. 63

Tra le riviste, pag. 65

RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in

Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 53); Carmine Chiodo (Il dialetto della vi-

ta/Il sogno la vita la bellezza, di Pasquale Montalto e Domenico Tucci, pag. 55); Domenico

Defelice (La grande poesia di Gianni Rescigno il poeta di Santa Maria di Castellabate, di

Luigi De Rosa, pag. 56); Elisabetta Di Iaconi (La funzione catartica e rigeneratrice della

poesia in Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 57); Anna Vincitorio (La funzione

catartica e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 58).

Lettere i Redazione (Ilia Pedrina), pag. 66

Inoltre, poesie di: Elio Andriuoli, Mariagina Bonciani, Domenico Defelice, Luigi De Rosa,

Salvatore D’Ambrosio, Michele Di Candia, Elisabetta Di Iaconi, Caterina Felici, Béatrice

Gaudy, Filomena Iovinella, Antonia Izzi Rufo, Adriana Mondo, Rossano Onano, Nazario

Pardini, Susanna Pelizza, Teresinka Pereira

Che animale sei? (2005), e E se covano i lupi

(2008); la raccolta di poesie La felicità del

galleggiante (2010), e i nuovi romanzi “Non

so niente di te” (2014), L’esercito delle cose

inutili” (2015).

Ciò che scrive e sostiene nell’opera “To-

gliamo il disturbo”1, saggio sulla libertà di

non studiare è condivisibile al cento per cen-

to, e un po’ rispecchia il malessere che la to-

talità degli insegnanti vive quotidianamente.

Si tratta di una fotografia della realtà giovani-

le, i giovani ridotti a “orda scomposta per

colpa del sistema-società che li ha ridotti così,

e che determina demotivazione nei docenti, i

quali vivono con disagio il proprio lavoro,

chiedendosi continuamente: che senso ha og-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.3

gi il lavoro d’insegnante? I ragazzi difatti,

non credono nell’istruzione, vanno a scuola

spinti dalle famiglie.

Esse in virtù dell’ambizione scolastica fa-

miliare li iscrivono al liceo scientifico o clas-

sico o delle scienze umane o linguistico e

questa ambizione delle famiglie, unita alla

trasformazione della scuola in azienda (che

deve assicurare e vendere un buon prodotto

formativo, si fa per dire) ha contribuito a sna-

turare la scuola stessa intesa come luogo di

trasmissione di cultura e conoscenze.

La scuola-azienda degli anni Novanta sorta

come scuola dell’autonomia che si autopro-

muoveva con il PEI prima e con il POF poi

mediante progetti e finanziamenti finalizzati

alla creazione di strutture efficienti (laborato-

ri-palestre-videoteche), ha bisogno di far leva

sui numeri: più iscritti, più promossi e licen-

ziati per garantire la propria sopravvivenza e

molto spesso, questi numeri (capestro), sono

condizionanti per la categoria.

I professori affinché gli allievi siano esortati

a frequentare la scuola e a studiare (forse!)

devono saperli motivare, fornire loro le com-

petenze necessarie, eliminare gli insuccessi,

altrimenti si tratta di cattivi insegnanti, in-

competenti, ed è colpa loro se i giovani non

scelgono quell’indirizzo di studi o, peggio

anco-

ra, se

abban-

ban-

dona-

no la

scuola.

Si

crea

sem-

pre più

spes-

so, so-

prat-

tutto

nelle

scuole

supe-

riori,

un circolo vizioso: malessere del docente, so-

litudine, disagio, insoddisfazione\ incompren-

sione, che può condividere solo con pochi (i

più illuminati), per il resto, si arriva ad una

spietata competizione come lotta per la so-

pravvivenza, L’ultima riforma sulla cosiddet-

ta “buona scuola” accentua sempre di più

questo processo).

Non ci sarà più (o forse non c’è mai stato)

un confronto leale tra colleghi, senza che si

assista alle performances dei più “competen-

ti”, dispensatori di dotti saperi e di innumere-

voli “ipse dixit”, con buona pace di quell’ at-

teggiamento collaborativo e di condivisione

relativo agli aspetti problematici del proprio

insegnamento.

E proprio questi docenti-monadi ,auto refe-

renziali, giudici impietosi del lavoro altrui,

severi censori verso altri colleghi che riten-

gono non abbastanza esperti ed innovativi, ri-

velandosi poco solidali, predomineranno

maggiormente nella scuola-azienda.

Le quotazioni di alcuni professori poi “sal-

gono” se preparano i propri allievi a parteci-

pare a concorsi vari (regionali, nazionali o in-

terni alla scuola) che si dia il caso poi vinca-

no, sono la garanzia della tanto declamata

“scuola di qualità o buona scuola”, come

adesso si suol dire.

I docenti “normali”, quelli che pretendono

dagli alunni lo studio, che siano scolarizzati,

ossequiosi delle regole del vivere civile, sono

considerati vessatori, intolleranti, contrari ad

un’impostazione democratica della scuola, la

quale deve garantire a tutti il successo forma-

tivo.

Alle famiglie e ai figli, si affida il giudizio

inappellabile sull’insegnante e se quest’ ulti-

mo si permette di fare un’interrogazione a

sorpresa o proporre compiti impegnativi o

peggio ancora, dà voti negativi, si accusa su-

bito l’insegnante che non sa insegnare.

Questi poveri docenti devono essere ricon-

dizionati o meglio ancora ri-programmati, so-

prattutto in questa scuola del terzo millennio,

che sull’onda delle direttive europee, conte-

nute nel trattato di Lisbona, deve assicurare

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.4

agli allievi le cosiddette “competenze, cono-

scenze e abilità”.

In cosa consistano queste competenze ci

viene chiarito dai nuovi formatori, esperti del-

la nuova scuola che devono, come tanti Kapò,

ricondizionare la classe docente (robotizzata)

e accettare il nuovo verbo: non bisogna tra-

smettere più le conoscenze (le poesie di Pa-

scoli, la filosofia di Kant, l’apparato digeren-

te) ma saper fare, o meglio ancora ,saper fina-

lizzare le discipline ai “ contesti lavorativi”.

Non importa sapere la filosofia di Hegel,

ma saper risolvere problemi, saper agire in si-

tuazioni significative, saper navigare su inter-

net e saper apprendere all’infinito (non im-

porta che cosa) e quindi programmare signifi-

ca assicurare a tutti le conoscenze, abilità,

competenze in modo tale che il ragazzo impa-

ri poche nozioni e dimostri di saperle applica-

re (abilità) e in futuro, in situazioni di lavoro,

saper far tesoro delle competenze e abilità.

Non si è in Europa se la scuola non tiene

conto delle otto competenze-chiave che alla

fine del percorso scolastico l’alunno deve

possedere. Non importa se gli alunni cono-

scano Manzoni, Dante, Tasso l ’importante è

come li utilizzino, se poi serva a conoscere

meglio la lingua italiana, è poco rilevante,

l’importante è che “conoscano” le lingue

straniere.

In una parte del saggio la Mastrocola2 cita

un importante studio di Erich Fromm sul va-

lore della libertà, dal titolo ”Fuga dalla liber-

tà”3, pubblicato nel 1941, che analizza in un

periodo dominato dai totalitarismi e dalla ne-

gazione delle libertà individuali, l’origine psi-

cologica e sociale di questa fuga dalla libertà.

Pertanto l’uomo per non sentirsi solo, esclu-

so, isolato, se rimane legato alla propria liber-

tà individuale, accetta di vivere sotto un go-

verno dittatoriale o diventa “uno dei tanti”

come massa informe, conformandosi così ai

modelli dominanti, spersonalizzandosi. L’

uomo esce dall’anonimato solo “chattando”

o aprendo un blog. Vivere secondo la propria

autentica personalità se da un lato ci rende li-

beri, dall’altro ci condanna all’isolamento e

all’incomprensione.

Difendere la propria libertà individuale si-

gnifica aver consapevolezza di quel che si è e

si vuole fare, pur andando controcorrente,

quando si pretende la propria realizzazione

personale attraverso lo studio e la preparazio-

ne. Non necessariamente essere studen-

ti/cittadini attivi significa freneticamente o

schizofrenicamente “ dover fare tante cose

contemporaneamente, come mandare un’e-

mail, ascoltare musica, studiare la lezione”.

Allo stesso modo è fondamentale, per un

una società veramente democratica, il rispetto

delle libertà di insegnamento e l’autonomia

degli insegnanti.

La scuola oggi deve, oltre a trasmettere i

saperi, formare i cittadini, consapevoli di po-

ter operare scelte in base alle proprie attitudi-

ni, attenti ai valori etici e relazionali e non

competitivi, egoisti e poco rispettosi verso il

prossimo.

Non è dunque più sostenibile che lo studio

di Dante, di Petrarca, di Kirkegaard sia un va-

lore in sé dal punto di vista culturale e forma-

tivo, se non spendibile ai fini commerciali.

Bisogna uscire da questa logica della società

di mercato e promuovere la cultura come va-

lore formativo per “essere” e non per “com-

petere”.

L’ex ministro della pubblica istruzione,

Gelmini, con i guasti provocati dalla sua

pseudo-riforma della scuola, pretendendo

di coniugare innovazione e tradizione, non

è stata credibile per: i continui tagli all’

istruzione, il riordinamento dei licei, che si

sono tradotti in una sfascio generalizzato

della scuola e il ricorso ai cosiddetti “nuovi

pedagogisti” (i diseducatori degli educatori

come molto pertinentemente li definisce la

Mastrocola) contribuiranno a formare l’

homo novus, non più sapiens, bensì videns,

anzi “zappiens”.

Giuseppina Bosco 1 Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo, saggio

sulla libertà di non studiare, Ugo Guanda editore,

2011. 2 ibidem, pp 264-271 3 Erich Fromm, tratto da “ Escape from freedom”

1941, “ Fuga dalla libertà”, edizioni di comunità, Milano 1978

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.5

MARIA TERESA CAPRILE

E FRANCESCO DE NICOLA:

GLI SCRITTORI ITALIANI

E LA GRANDE GUERRA di Elio Andriuoli

UELLO della guerra è un tragico even-

to che investe un’intera collettività: è

naturale pertanto che essa coinvolga

anche gli scrittori, sia narratori che poeti, i

quali in tale comunità vivono ed operano.

Della guerra quale fenomeno sociale e poli-

tico si erano già occupati Francesco De Nico-

la e Maria Teresa Caprile con un libro intito-

lato Gli scrittori italiani e il Risorgimento,

apparso nel 2011 ed ora sono tornati ad occu-

parsene con un libro Gli scrittori italiani e la

Grande Guerra, uscito nel 2014 (Ghenomena

Editore, Formia, € 18,00), cui dovrà far segui-

to un terzo volume, Gli scrittori italiani e la

Resistenza.

Sono, queste, delle ricerche di molto inte-

resse, perché mettono a fuoco, come osserva-

no gli autori, “pagine di buona e talora ottima

qualità letteraria”, sovente dimenticate o non

del tutto valorizzate per il significato che con-

tengono di testimonianza diretta e profonda

del loro tempo.

Ci siamo già occupati del primo di questi

libri, allorché apparve; spenderemo pertanto

qualche parola anche sul secondo, che è giun-

to in occasione del centenario della Prima

Guerra Mondiale.

L’argomento è vasto e opportunamente gli

autori lo hanno trattato suddividendolo in vari

capitoli, il primo dei quali è Dalla vigilia

all’entrata in guerra, che pone in primo pia-

no la figura di Filippo Tommaso Marinetti,

autore con altri del Manifesto del Futurismo,

pubblicato a Parigi il 20 febbraio 1909 su “Le

Figarò” dove, tra le diverse dichiarazioni

d’intenti, si legge: “Noi vogliamo glorificare

la guerra, sola igiene del mondo”.

Tra questi scrittori della “vigilia” sono an-

che da ricordare Renato Serra, del quale qui si

leggono alcune pagine del suo Esame di co-

scienza di un letterato; Luigi Pirandello, con

la novella Berecche e la guerra e Elio Vitto-

rini, con il racconto La mia guerra, oltre ad

altri autori molto noti, come Dino Campana.

Fa seguito un capitolo intitolato Poeti in

trincea, nel quale figura innanzi tutto Giusep-

pe Ungaretti, con alcune poesie di Il porto se-

polto, il suo libro d’esordio, dal quale ebbe la

fama, che vide la luce a Udine, nel dicembre

1916, ad opera di Ettore Serra, anch’egli poe-

ta, che aveva conosciuto Ungaretti in zona di

operazioni ed era stato il suo primo editore.

Vengono inoltre antologizzati in questo capi-

tolo Vittorio Locchi, con La sagra di Santa

Gorizia; Umberto Saba, con due brevi poesie:

Partendo per la zona di guerra e La stazione;

Piero Jahier, con Prima marcia alpina; Cle-

mente Rebora, con Voce di vedetta morta e

Viatico; Eugenio Montale, con Valmorbia;

Camillo Sbarbaro, con alcune delle sue Car-

toline in franchigia; Carlo Betocchi, con una

pagina del suo libro L’anno di Caporetto.

Sono questi, come ognuno può constatare,

alcuni dei maggiori poeti italiani del primo

Novecento, i quali parteciparono in vario

Q

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.6

modo alla Prima Guerra Mondiale, fermando

nei loro testi momenti indimenticabili dell’

esperienza vissuta.

La maggior parte delle pagine di questo vo-

lume sono però dedicate ai narratori, distri-

buiti negli altri cinque capitoli, che variamen-

te li raggruppano. Così, nel terzo capitolo, in-

titolato Dalle Alpi agli Altopiani, compaiono

scritti di Massimo Bontempelli: Cortina, 4

settembre 1915; Carlo Pastorino: Via!; Emilio

Lussu: Un anno sull’altopiano; Beppe Feno-

glio: Gli zii e la guerra; ecc.

Di ciascun autore sono inoltre date notizie

sulla vita e sulle opere, che valgono ad inse-

rirlo nel più generale contesto, e sono inoltre

date delle informazioni utilissime per com-

prendere il clima spirituale in cui i loro scritti

erano nati.

Ne risulta un quadro molto variegato, nel

quale la guerra è considerata sotto differenti

punti di vista, che vanno dal consenso alla ri-

pulsa, ma sempre con l’immediatezza e la

freschezza di un’arte che nasce direttamente

dalla vita vissuta. Questi scrittori infatti sono

stati per lo più testimoni diretti dei fatti narra-

ti, che vengono in tal modo da loro evocati

con autentica partecipazione emotiva. Percor-

re inoltre queste pagine il vivo sentimento

dell’ineluttabilità del destino che su tutti in-

combe, al quale non è dato sottrarsi.

E’ quanto emerge anche dagli altri capitoli

del libro, che seguono le varie fasi della guer-

ra o ne considerano i diversi settori. Ecco al-

lora le pagine del capitolo Dal Carso all’

Isonzo, dove compaiono gli scritti Vent’anni

di Corrado Alvaro; Nostro Purgatorio di An-

tinio Baldini; Rubè di Giuseppe Antinio Bor-

gese; La paura di Federico de Roberto; Ri-

torneranno di Giani Stuparich; ecc.

Aviatori, marinai e prigionieri è un capitolo

che contiene pagine di Umberto Saba Parten-

za d’aeroplani; Gabriele D’Annunzio: Not-

turno; Vittorio Giovanni Rossi: I lupi nell’

ovile; Carlo Emilio Gadda: Compagni di pri-

gionia; Carlo Pastorino: Prigionieri in Boe-

mia.

Sono scritti questi nei quali gli sviluppi del-

la guerra e i suoi orrori sono descritti con par-

ticolare efficacia ed evidenza, con un’analisi

sovente impietosa delle vicende belliche e

della sofferenza che esse comportano.

Gli ultimi due capitoli, Le vittime senza di-

visa e Da Caporetto al Piave, concludono un

libro per molti versi utilissimo a chiunque

voglia comprendere un periodo molto impor-

tante della nostra storia nazionale, che avrà

conseguenze determinanti per gli anni a veni-

re.

E si tratta di capitoli che contengono testi

degni, al pari degli altri, di molta attenzione,

come quelli di Mario Rigoni Stern (da Storia

di Tönle); Angiolo Silvio Novaro (da Il fab-

bro armonioso); Enrico Morovich (Memorie

da un altro mondo: da Le parole legate al di-

to), che parlano delle sofferenze patite dai ci-

vili a causa della guerra; e quelle di Mario

Puccini (Cappotto); Ardengo Soffici (La riti-

rata di Caporetto); Riccardo Bacchelli (da Il

mulino del Po) e italo Svevo (da La coscienza

di Zeno), che affrontano piuttosto le ragioni

della dolorosa ritirata di Caporetto e poi della

battaglia finale di Vittorio Veneto che segnò

l’ora della nostra rivincita.

Elio Andriuoli

NON SIA MAI CH’IO DIMENTICHI

Non sia mai ch’io ti dimentichi

o ti riduca

a un’immagine sbiadita,

tu che sei stato la ragione

più bella della mia vita.

Non sia mai ch’io ti dimentichi,

ch’io dimentichi il tuo viso,

la tua voce,

il tuo sorriso,

le parole

che un giorno mi dicesti o quelle

che a volte mi scrivesti.

Non sia mai ch’io dimentichi quel senso

di comunione d’anime che ancora

mi invade ogni volta che ti penso

e ti fa vivo nel mio cuore

ancora adesso.

Mariagina Bonciani Milano

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.7

LEONARDO SCIASCIA

E LA SCOMPARSA

DI MAJORANA di Marina Caracciolo

quarant’anni dalla pubblicazione del

bel libro di Leonardo Sciascia e a

centodieci dalla nascita (5 agosto

1906) del grande fisico siciliano, può essere

interessante soffermarsi di nuovo su questo

singolare enigma, che fu a suo tempo, e tale

all’incirca è tuttora, uno dei più oscuri e intri-

cati casi di sparizione di tutto il secolo XX.

Il saggio – che uscì nell’autunno del 1975 –

si rivela ancor oggi attuale e affascinante: ne-

gli undici agili capitoli, la linearità e la chia-

rezza del documentario si alternano all’ ele-

ganza della prosa letteraria e alla profondità

di uno studio sia storico-politico che psicolo-

gico.

Costruendo un’indagine a mosaico, Sciascia

comincia il suo racconto dalla lettera che

nell’aprile del ’38 Giovanni Gentile scrisse al

capo della polizia Arturo Bocchini, solleci-

tando calorosamente attive ricerche di un

uomo che definiva «una delle maggiori ener-

gie della scienza italiana», e man mano si ad-

dentra nell’argomento tracciando un quadro

sempre più dettagliato dei fatti e un ritratto

sempre più ricco di sfaccettature della perso-

nalità del giovane scienziato.

Fin dalle prime pagine si capisce che lo

scrittore siciliano non concorda con la tesi –

che all’epoca, nonostante molte perplessità,

finì per prendere il sopravvento – della scom-

parsa con intento di suicidio: Ettore Majora-

na, mente eccezionale, fisico teorico di

straordinaria levatura, che, dicono, soleva

scribacchiare a matita, su foglietti volanti o su

pacchetti di sigarette, geniali teorie che – se

sviluppate e pubblicate – gli avrebbero assi-

curato il Nobel; titolare per «chiara fama», a

soli trentuno anni, della cattedra di Fisica

Teorica all’Università di Napoli, di famiglia

benestante, non aveva, a dire il vero, molti

motivi per togliersi la vita.

A Roma, entrato a far parte, sebbene sem-

pre in maniera alquanto anomala e saltuaria,

dei «ragazzi di via Panisperna», i giovani

scienziati – come Emilio Segrè, Edoardo

Amaldi, Franco Rasetti, Giovanni Gentile jr.

e altri – guidati da Enrico Fermi, Majorana,

quando aveva quasi compiuto gli studi di in-

gegneria si sentì più incline alla fisica teorica

e, dopo il passaggio di facoltà, si laureò «con

lode» con una tesi su La teoria quantistica

dei nuclei radioattivi.

Fermi aveva per lui una profonda stima e

un’ammirazione incondizionata. Majorana

era l’unico, come disse Segrè, che potesse di-

scutere con lui, sul piano scientifico, da pari a

pari. «Io non esito a dichiararvi, – scrisse in

una lettera a Mussolini – e non lo dico quale

espressione iperbolica, che fra tutti gli stu-

diosi italiani e stranieri che ho avuto occa-

sione di avvicinare, il Majorana è quello che

per profondità d’ingegno mi ha maggiormen-

te colpito.[…] Ettore Majorana ha al massi-

mo grado quel raro complesso di attitudini

che formano il tipico teorico di gran classe».

In un’altra occasione, lo scienziato romano lo

descrisse come un vero e proprio genio, e lo

paragonò (dimenticandosi però stranamente

di Einstein) a Newton e a Galileo.

Tuttavia più ancora che di Fermi, verso il

A

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.8

quale, oltre ad essere animato da un certo spi-

rito di antagonismo, sentiva pure un senso di

estraneità al limite della diffidenza, Majorana

divenne amico – durante un soggiorno di al-

cuni mesi a Lipsia, nel 1933 – del fisico tede-

sco Werner Heisenberg. Come scrive Scia-

scia, fu forse questo l’incontro più significati-

vo, più importante della sua vita; e sul piano

umano prima ancora che su quello scientifico.

Poco più che trentenne, Heisenberg è descrit-

to da Majorana, nelle lettere ai genitori, come

una persona straordinariamente cortese e

simpatica. Con lui lo studioso italiano riesce a

mettere da parte la sua ritrosia durante lunghe

chiacchierate, appassionanti discussioni

scientifiche e piacevoli partite a scacchi; e per

di più impara la lingua tedesca. A Lipsia in-

contra anche altre eminenti personalità, come

il fisico americano Feenberg e, in seguito, a

Copenaghen, Niels Bohr.

«Questo giovane smilzo, con un’andatura

timida, quasi incerta – come lo descrisse

Amaldi, vedendolo per la prima volta, nel

1928 – dai capelli nerissimi e dalla carnagio-

ne scura, le gote lievemente scavate e gli oc-

chi vivacissimi e scintillanti», questo genio

dall’intelligenza fenomenale ma dal carattere

scontroso e introverso, del tutto restio a con-

ferire in pubblico e anche a pubblicare i risul-

tati delle sue ardite ipotesi scientifiche,1 che

motivo poteva avere, pochi anni dopo, di

eclissarsi per sempre o addirittura di rinuncia-

re alla vita?…

Sciascia riporta in proposito un passo elo-

quente di una lettera della madre di Majorana,

Dorina Corso, inviata a Mussolini dopo la sua

scomparsa, in cui così parla del figlio: «Fu

sempre savio ed equilibrato e il dramma del-

la sua anima o dei suoi nervi sembra dunque

un mistero. Ma una cosa è certa, e l’attestano

con grande sicurezza tutti gli amici, la fami-

glia, ed io stessa che sono la madre: non si

notarono mai in lui precedenti clinici o mora-

li che possano far pensare al suicidio; al con-

trario, la serenità e la severità della sua vita

permettono, anzi impongono, di considerarlo

soltanto come una vittima della scienza».

In contrasto con le due missive del 25 mar-

zo 1938, una inviata a Carrelli, direttore

dell’Istituto di Fisica dell’Università di Napo-

li, e l’altra indirizzata alla famiglia, dove il

proposito di porre fine ai suoi giorni, seppure

espresso in maniera non esplicita, è tuttavia

assai evidente, ci sono molte cose che fanno

pensare a una volontà di sparire, di far perde-

re le proprie tracce per non farsi mai trovare,

ma non al suicidio: Majorana aveva sicura-

mente pianificato da mesi la sua scomparsa,

con cura meticolosa e senza tralasciare il mi-

nimo particolare. La sua mente matematica e

strategica commise tuttavia due strani «erro-

ri» (sempre che non fossero voluti, proprio

per lasciar capire a qualcuno, in maniera sot-

tintesa, che in realtà non intendeva affatto uc-

cidersi): è alquanto inverosimile che chi vo-

glia suicidarsi porti con sé il passaporto e tut-

to il denaro che può avere a disposizione…

Già a gennaio del ’38 Majorana aveva chiesto

di poter prelevare dal conto in banca tutta la

parte a lui spettante, e poco prima del 25

marzo aveva ritirato in una sola volta cinque

mensilità arretrate del suo stipendio, che fino

a quel momento non si era preoccupato di ri-

scuotere. Il tutto poteva equivalere a circa

10.000 dollari attuali. Se voleva portarsi die-

tro i documenti e questa somma cospicua,

non pensava a morire gettandosi in mare dal

piroscafo nel tragitto Palermo-Napoli, come

volle lasciar credere; forse progettava invece

un viaggio, magari in paesi lontani, dove nes-

suno l’avrebbe mai potuto individuare.

In un libro appena pubblicato, La seconda

vita di Majorana (Chiarelettere, giugno 2016)

gli autori, i tre giornalisti Giuseppe Borello,

Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini, ripercor-

rono le indagini da loro condotte attraverso la

Sicilia e il Lazio, fino a giungere in Venezue-

la. Là hanno parlato con gli ultimi testimoni

che ritengono di averlo riconosciuto, con i lo-

ro figli e nipoti, e hanno messo insieme i tas-

selli della possibile seconda esistenza del fisi-

co catanese. Ne risulta un interessante repor-

tage con molte risposte nuove ma pieno di

ombre e di altri misteri. Il «caso» Majorana

Page 9: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.9

sembra comunque non ancora vicino ad esse-

re del tutto chiarito.

Che si sia trattato di suicidio oppure no, il

vero enigma della sua scomparsa consiste tut-

tavia nelle motivazioni all’origine del gesto.

Ed è a questo proposito che Sciascia avanza

due ipotesi: una di natura eminentemente eti-

ca, l’altra di ordine psicologico; con l’ esclu-

sione, pertanto, di qualunque causa patologi-

ca (follia o grave depressione oppure insicu-

rezza e paura morbosa di affrontare le re-

sponsabilità e i problemi dell’esistenza).

Le ricerche nel campo della fisica – di Hei-

senberg, di Majorana come dell’Istituto di via

Panisperna diretto da Fermi – vertevano in

particolare sull’atomo e sulla fissione nuclea-

re. È molto improbabile, afferma Sciascia,

che il giovane studioso, con la sue straordina-

rie doti di intuizione e di lungimiranza scien-

tifica non avesse capito il potenziale terribil-

mente distruttivo che vi era connesso. Ecco

allora che la volontà di sparire potrebbe corri-

spondere all’urgenza di eludere qualsiasi suc-

cessiva forzatura politica e ogni possibile

sfruttamento a fini bellici delle sue ricerche.

Le sue speculazioni teoriche, insomma, non

dovevano trasformarsi in una rovina per l’

umanità. Questi assilli morali dovevano forse

essere già sorti al tempo del suo viaggio in

Germania, probabilmente nel corso delle

conversazioni con Heisenberg. Al suo ritorno

a Roma, Majorana cambiò visibilmente at-

teggiamento: già chiuso e riservato di natura,

divenne sempre più misantropo, uscendo ben

poco di casa e ancor più diradando le sue visi-

te all’Istituto. Sembrava pure aver cessato di

occuparsi di fisica, per lo meno non ne parla-

va più.

L’altra spiegazione ipotizzata da Sciascia è

quella psicologica (in ogni caso connessa alla

prima): il voler perdere del tutto la propria

identità per acquistarne una nuova, tutta di-

versa. L’autore – che nel saggio parla spesso

di letteratura e nomina scrittori come Eliot e

Montale, Shakespeare e Stendhal, Brancati e

Pirandello – qui cita Il fu Mattia Pascal e, in

particolare, come una sorta di «modello»

dell’atteggiamento di Majorana,2 il Vitangelo

Moscarda di Uno, nessuno e centomila. La

«morte» è da considerarsi allora simbolica,

non reale: il passaggio da uno ad un altro in-

dividuo, da una ad un’altra vita, entrando, nel

contempo, nell’impenetrabile sfera dell’ invi-

sibilità. Un mutamento che costituisce un in-

gresso nel mito. «Già lo scomparire – scrive

Sciascia – ha di per sé, e in ogni caso, un che

di mitico. […] Ma specialmente in un caso

come quello di Ettore Majorana, nel cui miti-

co scomparire venivano ad assumere mitici

significati la giovinezza, la mente prodigiosa,

la scienza».

Nel bel saggio Uno strappo nel cielo di car-

ta – che nell’edizione Adelphi3 commenta in

appendice il testo di Sciascia – l’autrice, Lea

Ritter Santini,4 parlando del tormento di co-

scienza di Majorana, propende per la prima

ipotesi formulata dallo scrittore siciliano, e ci-

ta a proposito un altro autore, il drammaturgo

svizzero Friedrich Dürrenmatt, che nel suo

dramma I fisici5 fa dire a un personaggio

(Mœbius): «Siamo giunti, nella nostra scien-

za, ai confini dello scibile… Abbiamo rag-

giunto il traguardo del nostro cammino. Ma l’

umanità non c’è ancora arrivata… La nostra

scienza è diventata tremenda, la nostra ricerca

pericolosa, la nostra conoscenza mortale. Non

resta per noi fisici che la capitolazione di

fronte alla realtà… Dobbiamo rinnegare la

scienza e io l’ho rinnegata. Non c’è nes-

sun’altra soluzione, nemmeno per voi».

Ecco, Ettore Majorana aveva forse intuito

che la fisica nucleare stava prendendo una

strada sbagliata, una via rischiosa e terribile

che portava non al progresso ma alla distru-

zione. La sua scomparsa – sia che fosse il ri-

fugio nel segreto di un chiostro o una nuova

vita in un altro continente o perfino la morte –

non era di certo una vile fuga dalla realtà, ma

la precisa decisione di sottrarsi al coinvolgi-

mento, alla colpevole complicità morale di un

futuro sfacelo. E di lì a qualche anno gli

eventi avrebbero tutt’altro che smentito le sue

pessimistiche previsioni.

Marina Caracciolo NOTE 1 Ricordiamo, ad esempio, che fu Majorana ad ela-

borare per primo, pur senza mai pubblicarla, la teo-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.10

ria del nucleo dell’atomo costituito da protoni e

neutroni; teoria che poco tempo dopo fu enunciata

da Werner Heisenberg e ne ebbe il suo nome. 2 Come Sciascia ci riporta in un esergo di questo

saggio, Edoardo Amaldi, nella sua Nota biografica

di Ettore Majorana, ricordando le passioni lettera-rie del giovane scienziato aveva osservato: «Predi-

ligeva Shakespeare e Pirandello». 3 Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana (Adelphi, Milano 19971). 4 Il saggio di Lea Ritter Santini accompagnava ori-

ginariamente la traduzione tedesca del testo di Leo-nardo Sciascia (Der Fall Majorana, Seewald,

Stuttgart 1978 e Ullstein, Frankfurt-Berlin-Wien

1980). 5 Friedrich Dürrenmatt, Die Physiker in Komödien

II und frühe Stücke, Verlag der Arche, Zürich 1963

(trad. it. I fisici, Einaudi, Torino 1972).

LE PEUPLIER

A l’ami Paul Courget

En haut et en bas, en haut et en bas,

le long de ton tronc haut et léger,

- pic inquiet -

inspectant au sommet

le nid des passereaux.

Deux œufs, puis trois..., cinq...

toute la couvée.

En haut et en bas, en haut et en bas,

matin et soir.

Voici les petits sans plume, gauches,

horribles à voir

dans leur nudité sans défense.

En haut et en bas, en haut et en bas,

et vint le jour de la fête

et de la mélancolie.

Va-t’en de là, va-t’en

pic inquiet !

semblaient crier papa et maman

en voletant en rond au-dessus de ma tête.

Sur le bord du nid se montrèrent les petits

- cinq jeunes fiers -,

tous décidés à conquérir le monde.

Tchip, tchip, tchitchip !

L’un derrière l’autre

les voilà allègres suivant leurs parents

au-delà de la route bruyante

où vogue noire une forêt.

J’étais heureux moi aussi,

pic inquiet

sur ce tien tronc

à me balancer au vent.

Pic, tu veux t’en aller ?

Oh, la nostalgie de voler,

sûr moi aussi de conquérir le monde !

Je me souviens que je demeurai embrassé à

toi,

ami peuplier,

quasiment tout le jour,

bercé par ta bruissant chevelure de feuilles,

les yeux mi-clos,

perdu moi aussi dans le vert

au-delà de la route bruyante,

là, où voguait une forêt

(pas la Forêt des Mille Poètes !)

Domenico Defelice in ALBERI ? - Traduction de Béatrice Gaudy, della

quale è anche il disegno “Nel cuore segreto del bo-

sco” (ma l’albero è una quercia, non un pioppo !), che ospitiamo a pag. 50.

SOLI AMICI

Sabbia pepite

nel sole del fiume

la pirite

sfavilla come l’oro

Grandine delle pene

i lutti le malattie la povertà

e il fiume è nero!

i volti amici

lo sciabordio delle parole

che si cancellano che ammutiscono

Gelo degli affetti

E non è neanche la collera

di tanta ipocrisia

Il disprezzo

Nel buio della corrente

risplendono

i soli sinceri

che rischiarano una vita

Bice (Béatrice) Gaudy Francia

Traduzione del Poeta Nino Briamonte

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.11

AURORA DE LUCA

tra esperienza

e trascrizione poetica di Ilia Pedrina

’ESPERIENZA di vita forma e tra-

sforma insieme non solo chi la vive

come propria ed imprescindibile dal

sé, ma anche e reciprocamente coloro che vi

si trovano intorno, accanto, in ascolto, in frat-

tura, in allacciamenti amorosi, in sintonia, tra

confusioni e silenzi, in attesa d'aspettative in-

dipendenti dalla loro realizzazione concreta e

forse solo sognate, in respiri e parole pronun-

ciate o taciute, in fascinazioni destinali, in

slanci ed accovacciamenti assorti. Su tutta

questa intrecciata trama di emozioni si vibra

una capacità di trascrivere per sé e per gli altri

un percorso sensibile che renda efficace e de-

gna di memoria quella esperienza stessa,

sganciandola da tante altre, portandola a livel-

li di comprensibilità armonica nuova ed inte-

ressante. Così Aurora De Luca affronta la

trascrizione poetica delle sue emozioni, vita-

lissime: mi riferisco a 'I Quaderni letterari

di POMEZIA-NOTIZIE, Il Croco, Marzo

2011', numero dedicato ad Aurora De Luca,

vincitrice del Quinto Premio Città di Pomezia

2010 con la raccolta di poesie 'IL TUO CO-

LORE MARE BLU', con presentazione di

Domenico Defelice.

Un percorso di 24 liriche o canti d'esperien-

za e di memoria, che, tengo a precisare, non è

ricordo, ma traccia, orma, solco, incisione fis-

sa nella raccolta strategia della permanenza

d'immagine: il versante intimo si evidenzia

fin dai primi approcci di scrittura, quando la

giovane Aurora intona in ritmo reiterato l'e-

vocazione dell'amato, desiato ed atteso: in

'Solo tu' questo inciso viene colto in eco a dif-

ferenti livelli e segna quel ritmo acceso che

spegne docilmente ogni arsura e spinge le sue

aspettative oltre, quasi sponda e approdo

all'interno dei segreti del colore del mare; in

'Ora' gli elementi di natura sono raccolti nel

cuore, nel corpo, nel respiro della giovane ar-

tista che nel vento ha la sua metamorfosi d'ali

per alimentare ancor più le componenti in

fuoco del legame a due.

Aurora De Luca percorre la vita attraverso l'

amore, l'attesa, il desiderio, così i suoi canti si

susseguono come respiri con ritmi nuovi che

incalzano anche attraverso la scansione ansi-

mante degli interrogativi, posti a chi è pura

immaginazione poetica pensare che possa da-

re un responso: ella si fa sacerdotessa dell'at-

tesa e dell'andare oltre, nell'Amare, dinamica

che sospende il tempo e lo fa rinascere nel

differente tempo della Poesia ('Essenza' e 'E

allora...').

Ma il vivere l'esperienza del 'fare poesia'

non è cosa semplice, né semplice esercitazio-

ne d'immagini da ritradurre in versi, perché l'

effetto sonoro e l'effetto immaginativo si in-

trecciano inscindibilmente e devono arrivare

a livelli d'originale nuova incandescente ar-

monia, affinché si snodino via via elementi di

stile.

Prendo come avvio d'esercitazione ritmica

'Rileggi':

“Rileggi te.

Di quella te

che hai consegnato al tempo

cosa c'è?

L

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.12

C'è che sono io.

Ma ho un altro viso,

uno sguardo un poco diverso,

quella luce,

e quel tono.

Lascio qui, caro diario,

il compito della riscoperta.

Sono qui, non ti abbandono”

(Aurora De Luca, op. cit. pag. 8)

Aurora si pone allo specchio di sé, tra le pa-

role scritte ed i loro segreti contorni, non detti

ma pur sempre àncora ed aura dell'esistere.

Questa tensione non emerge nei versi, anche

se è Aurora aura del suo sé, in poesia, in pie-

na consapevolezza: la semplicità del dettato è

a tutto limite della fascinazione dell'emozione

del sé allo specchio, sempre intensissima,

unica. Allora, con pochi tagli, ecco come dare

al canto vibrazioni d'intima forza, sganciata

dalla banalità:

'Rileggi te

quella te

consegnata al tempo.

Sono io

un altro viso

uno sguardo di poco diverso

luce

tono

riscoperta'.

La formulazione narrativa dei versi deve la-

sciare il passo ad un incedere libero e con po-

che radici nelle terre della norma del dire e

del comunicare consueto, perché ci sia evento

forte, acceso, teso nell'entrare e lasciare trac-

cia in chi legge.

Passo ad un altro esempio. Si tratta della

poesia 'Eppure':

“Si naufraga,

eppure non si muore.

Si brucia,

eppure non ci si ustiona.

Si è come gabbiani sulla scogliera,

il passo del libero,

verso l'orma ma lasciare.

Eppure siamo legati,

due unità che

sono l'orma sulla scogliera

riflessa nel mare,

sin laggiù,

sino a quella ancor da lasciare.”

(Aurora De Luca, op. cit. pag. 12)

Propongo un'evoluzione formale che diriga

l'accento su immagini forti che già costitui-

scono il tessuto fondante della lirica:

L'orma.

Come gabbiani sulla scogliera

libero il passo

verso l'orma da lasciare.

Si naufraga

senza morire

si brucia

senza ustionarsi.

Siamo legati

unità nel due

orma sulla scogliera

riflessa nel mare

sin laggiù

verso quella

ancor da lasciare.

Il cantore interviene sul testo e la sua inte-

riorità cresce perché entra l'effetto armonico

dei versi e delle parole che li costituiscono. In

'Blu' Aurora De Luca arriva ad espressioni di

vibrante intensità e nessun intervento risulta

suggerito:

“Blu è il colore

del tempo che abbiamo

piantato,

come stille di lacrime e

tempera di cielo

è il blu dei fiori che

s'apriranno nei nostri sguardi.

E del tuo blu

assaggia il mio cuore,

mano tremante nel mio petto,

e dei miei sogni blu-notte

assaporano i tuoi occhi,

specchi a vista serena

del tuo tesoro.”

(Aurora De Luca, op. cit. pag. 14)

Poesia come tempo di scelte e di abbando-

ni, onde arrivare a riprendere tra le mani il

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.13

tempo del sé nell'Altro da sé; Poesia come

trasformazione, nel passare attraverso se stes-

si e nel farsi canto franto d'immagini e d'emo-

zioni; Poesia come fusione tra suoni, imma-

gini, ritmi e loro risonanze nell'altro, in ascol-

to ed in lettura, per evocare e provocare emo-

zioni. Poesia è impegno del sé nell'esperienza

ed Aurora De Luca è in cammino, in questo

percorso di luce, perché già è riuscita a de-

scrivere l'amore come tessuto prezioso di una

gemma da animare.

Ilia Pedrina

POESIA, UNICA BUSSOLA SICURA

Ora che sono arrivato fino qui

( quanti anni svaniti!)

e che qui me ne dovrei rimanere

( fino a quando non so,

viviamo giorno per giorno)

proprio adesso, ancora di più,

che il cuore ogni tanto fa i capricci,

lasciatemi scrivere di quello che voglio

e che davvero mi interessa;

lasciatemi solo, ogni tanto, a meditare

in un “ozio” fiorito, a vagheggiare

cose dolcissime, inesprimibili

( cose di altri mondi ! )

lasciatemi sorridere di gioia

nel cuore del mio cuore

davanti ai fiori dell'uomo, i bambini,

e davanti alle persone sincere e buone,

ai segnali di amore, alla Natura;

lasciatemi sognare nel gioco intrigante

della Poesia, unica mia droga;

lasciatemi urlare a squarciagola

contro le centomila storture del mondo

che in sempre nuove forme

si riproducono,

sotto spoglie sempre diverse.

Lasciatemi ripartire

( senza trattenermi),

lasciatemi tornare, e restare

( senza imprigionarmi)

lasciatemi rimpiangere

tutta la Bellezza che non c'è più

e lasciatemi adorare

quella che c'è ancora,

lasciatemi viaggiare nello sconfinato Universo

per miliardi di miliardi di anni-luce

con la navicella della mia fantasia;

lasciatemi dormire

fiducioso come un bambino con la sua

mamma;

lasciatemi vigilare, con gli occhi sbarrati

per il timore e lo sconforto;

lasciatemi sperare, e disperare,

nel groviglio dei dubbi e dei tormenti,

e con l'unica mia bussola sicura :

la Poesia.

Luigi De Rosa (Rapallo, Genova)

FESTA LONTANA

Lo scampanio vibra

come uno scoppiettio,

fluttuando vanno le ocarine

per la campagna.

Negletto è il cuore

al crepitar della gioia sovrana.

Tuonando va la campana

che il gioco della festa rende silente.

Susanna Pelizza Roma

GIORNO DELLA TERRA

La terra

è un enorme casa,

forte e rinnovabile

dove i nostri sogni

e la nostra utopia sopravvive.

La Terra è come riciclata

come siamo, esseri

che vivono in superficie,

metropolitana,

o nel suo spazio cosmico.

Viva la Terra

per il tesoro infinito

che ci dà!

Dobbiamo avere un amore speciale

per la Terra di tutti

Teresinka Pereira USA - Traduzione del Cav. Giovanna Li Volti

Guzzardi, Melbourne, Australia

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.14

LA RIVOLTA

DEL CORRENTISTA1

E IO, GIULIA E SANTIAGO di Giuseppe Giorgioli

ORTOLETTO con questo libro ci ha

regalato una bella descrizione sui

comportamenti delle banche e su co-

me riuscire a difendersi e a non farsi fregare.

Questo libro racconta la storia dell’autore,

1A Ferragosto del 2014 ho avuto piacere di sentire una Conferenza di Mario Bortoletto nella Piazza di

Asiago gremita di persone. L’argomento verteva

sul comportamento scorretto di parecchi istituti

bancari, che applicando tassi di usura, costringono

diverse Ditte ad andare in rosso con il proprio conto

corrente. Da qui ai vari episodi di imprenditori che si suicidano il passo è breve.

Mario Bortoletto presentò il libro “La rivolta del

correntista”. Il ricavato della vendita del libro veni-va da lui dato in offerta alle vedove degli imprendi-

tori suicidi.

imprenditore e vicepresidente del movimen-

to “Il delitto di usura”, che tutela le vittime

di usura ed estorsione bancaria.

Una storia simile a quella di tanti italiani e

che dà importanti indicazioni per riuscire

a districarsi nel labirinto degli istituti di

credito senza farsi ”fregare“.

“Un giorno ti svegli e non hai più niente.

Tutto quello che avevi ottenuto con i sacrifici

di una vita diventa proprietà della banca. Di-

sperazione e notti insonni, non ti rimane altro,

nemmeno l’età per ricominciare.

Ti prendono tutto, anche quello che in realtà

non gli è dovuto. Molte persone credono di

essere debitrici nei confronti delle banche

mentre in realtà sono creditrici.

Mi auguro che questo libro possa aiutar-

le ad avere giustizia. Mario Bortoletto è un

imprenditore edile di Padova. Ha avviato una

serie di contenziosi con diversi istituti banca-

ri. Ha ricevuto risarcimenti per migliaia di

euro.

Dal 2013 è vicepresidente nazionale del

movimento “Il delitto di usura”, che tutela

le vittime di usura ed estorsione bancaria

prestando assistenza informativa tecnico-

legale.

A oggi ha avviato cause con 5 diversi istitu-

ti bancari.

E’ stato riconosciuto dal Tribunale di Vene-

zia consulente tecnico di parte in materia

bancaria. Ha ottenuto due vittorie, una con

sentenza del Tribunale di Padova e relativo

risarcimento per circa 70 mila euro, la se-

conda con una transazione. E’ stato ricono-

sciuto dal Tribunale di Venezia consulente

tecnico di parte in materia bancaria.

Nel settembre del 2013 la sua storia è stata

raccontata nel corso della trasmissione Presa

diretta di Riccardo Iacona. Nel novembre

2013 il programma Report di Milena Gaba-

nelli ha raccolto la sua testimonianza in un

servizio della giornalista Giovanna Boursier.

“La rivolta del correntista - Come difen-

dersi dalle banche e non farsi fregare” è

formato da questi capitoli:

Uno di voi

Missione impossibile

B

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.15

Il processo

La battaglia continua

I funzionari del recupero crediti

I dieci comandamenti del correntista

La voce dei correntisti

Epilogo, i signori del credito

Postscriptum. Il sequestro di Santa Maria

Novella

Postfazione di Alessio Orsini Un salvagente

per il correntista

Nel libro “La rivolta del correntista” Mario

Bortoletto racconta la sua storia e la sua espe-

rienza con le banche e le varie truffe che ven-

gono occultate dagli istituti bancari. Attraver-

so la sua diretta esperienza ci svela i trucchi

per non farsi “fregare”. Ormai le truffe sono

all’ordine del giorno e quindi dobbiamo tu-

telarci come meglio possiamo. Il libro è tal-

mente coinvolgente e interessante che si leg-

ge tutto d’un fiato! Nel primo capitolo “Uno

di voi” viene descritto come Mario Bortoletto

dal nulla fa nascere (nel 1972) e crescere la

sua azienda fino alla crisi del 2004 quando, a

causa dei debiti, è costretto a vendere un im-

mobile di prestigio nel centro di Padova.

Successivamente a causa di continue richie-

ste, con cadenza prima settimanale poi quoti-

diane, da parte di una banca per un rientro di

22.500 €, Mario Bortoletto studia i movimen-

ti bancari degli ultimi dieci anni e si accorge

di essere non debitore ma creditore di circa

70.000 €. Bortoletto in conferenza dichiara:

“Ho iniziato ad indagare e scoprire tanti im-

brogli che naturalmente tutti ignoriamo. Dopo

aver preso delle fregature colossali ho iniziato

a “combattere contro le banche”…

Mi torna spesso in mente una frase di Giu-

lio Andreotti: “A pensare male si fa pecca-

to, ma spesso ci si azzecca.” È proprio così.

L’ho capito dopo aver preso delle fregature

colossali. Anni fa mai avrei avuto il minimo

dubbio sul corretto comportamento delle ban-

che con cui avevo a che fare. Erano i miei

angeli custodi.

Oggi mi sono accorto che sono lupi tra-

vestiti da agnelli. Ho scritto questo libro

perché vorrei che la mia storia diventasse

la storia di tanti cittadini italiani, di quelli

che faticano ad arrivare alla fine del mese,

quelli che hanno perso il lavoro e forse anche

la casa, gli imprenditori o i commercianti che

sono stati costretti a chiudere le loro attività, i

giovani precari che non possono chiedere

nemmeno un mutuo per costruirsi una vera

vita indipendente, una famiglia con dei figli.

La mia generazione ce l’ha fatta perché è

cresciuta in un mondo in cui lavorare era

ancora un diritto e una possibilità concreta

mentre per i giovani di oggi questa possibi-

lità si è trasformata in una chimera.”

“I rapporti con le banche spesso condizio-

nano pesantemente la nostra esistenza: addi-

rittura ci sono stati casi anche di suicidio in

Italia. Ecco cosa deve fare un correntista

per non ritrovarsi in situazioni spiacevoli e

di crisi esistenziale.

In molti casi all’imprenditore in difficoltà

con una banca viene consigliato di fare una

perizia econometrica, cioè un’analisi di tut-

ta la storia del proprio conto corrente: il

tasso applicato da contratto, le commissioni

di massimo scoperto, gli interessi di mora e

tutte le altre spese aggiunte.

Serve un bravo commercialista, specia-

lizzato in materia bancaria, che ricostruisca

la storia dei movimenti, che passi ai raggi X

tutte le voci di spesa, gli interessi, i costi ad-

debitati dalla banca, i cosiddetti “giochi di va-

lute”.

Insomma, tutto quello su cui per anni io

avevo sorvolato. Tutto ciò che, per via del

tanto lavoro, mi ero lasciato scivolare addos-

so. Seguo anch’io la strada della perizia e

per me comincia una nuova fase: era la

prima volta che affrontavo una banca con una

perizia.

Sicuramente non ho mai smesso di fidar-

mi di me stesso, e non delle banche, cosa

che dico anche a voi lettori.

Per poter sapere se la banca si è comportata

in modo irregolare deve essere disponibile la

documentazione completa riguardo i movi-

menti bancari del conto corrente. La banca è

tenuta a dare gli estratti conto degli ultimi

dieci anni gratuitamente a meno delle spese

delle copie. Bortoletto, quando ha chiesto i

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.16

documenti degli ultimi dieci anni, ha ricevuto

dall’istituto bancario una richiesta di 2000 €.

A questo punto ha fatto fare un’ingiunzione

dal Giudice del Tribunale alla Banca ottenen-

do in tal modo i documenti richiesti con le

spese del giudizio a carico della banca in

1216,62 euro. Tale azione ha avuto eco a li-

vello locale con pubblicazione del fatto sul

“Mattino di Padova”.

Bortoletto ha preso a cuore le battaglie con-

tro l’usura bancaria perché colpito dalla si-

tuazione delle vedove degli usurati che si so-

no tolti la vita a causa delle banche.

Nel capitolo “I DIECI COMANDA-

MENTI DEL CORRENTISTA” vengono

elencate le dieci regole da osservare nei

confronti delle banche, con commenti ulte-

riori e molto utili : Regola numero 1: Conservate sempre tutta la

documentazione bancaria, i contratti, gli

estratti conto, gli scalari trimestrali o seme-

strali. Fate attenzione alle cosiddette “varia-

zioni unilaterali“.

Regola numero 2: Fatevi fare una perizia

econometrica. È il vostro tesoretto

Regola numero 3: Fate attenzione a tutti i co-

sti e a tutte le spese che contribuiscono a de-

terminare il tasso soglia

Regola numero 4: Se siete in difficoltà valuta-

te con molta attenzione le cosiddette agevola-

zioni che il vostro istituto vi propone

Regola numero 5: Occhio all’anatocismo

bancario, cioè la capitalizzazione degli inte-

ressi passivi

Regola numero 6: Tenete sempre sotto con-

trollo le commissioni di massimo scoperto

Regola numero 7: Attenti ai giochi sulle valu-

te

Regola numero 8: Non abbiate paura della

Centrale rischi

Regola numero 9: Occhio alle provvidenze

pubbliche: possono salvarvi la vita (imprendi-

toriale)

Regola numero 10: Diffidate dei consulenti

Quello che fatico ad accettare è che, nono-

stante le banche quasi sistematicamente ven-

gano condannate per illeciti addebiti e appli-

cazione di tassi ultralegali, continuino con

questi comportamenti. È evidente qual è il lo-

ro pensiero: per due correntisti che si sve-

gliano almeno centomila dormono o sono

ignari.

Ecco perché ho scritto questo libro, per

coloro che attualmente si sentono ”dispe-

rati“ e che vogliono farla finita. Non molla-

te e non ammazzatevi per questi ”usurai“.

Cercate di portarli allo scoperto. Non

perdete mai la speranza e soprattutto segui-

te i consigli e verificate con attenzione tutte le

vostre operazioni. Fate tutte le perizie e con-

trollate bene le varie operazioni.

Del capitolo “La voce dei correntisti” mi ha

particolarmente colpito e commosso la storia

di Giovanni Schiavon, imprenditore di 59 an-

ni, con moglie e figlia, che dinanzi al falli-

mento della propria Ditta si è sparato un col-

po di rivoltella. E pensare che il fallimento è

dovuto a crediti che vantava presso Enti Pub-

blici, che con la scusa della crisi, ritardavano

il pagamento. Inoltre vi è stato anche il con-

corso della banca con tassi usurai. La moglie

ha scritto anche a Monti, attuale Presidente

del Consiglio, per richiamare l’attenzione sul

suicidio del marito. Ma, senza ottenere alcuna

risposta!

La nostra realtà oggi è questa: l’economia

reale cade a pezzi, la disoccupazione aumenta

raggiungendo cifre senza precedenti soprat-

tutto fra i più giovani. Ma cosa fanno i gover-

ni? Aiutano le banche.

Negli ultimi anni la BCE (Banca Centrale

Europea) ha fatto arrivare ai principali istituti

di credito europei una pioggia di miliardi di

euro a un tasso ridicolo. Centinaia di miliardi

sono arrivati alle banche italiane.

Le banche avranno pure le loro garanzie e

le tutele necessarie ma devono stare attente a

non tirare troppo la corda perché prima o poi

si spezza. Quindi cari lettori, fate attenzione

e chiedete trasparenza.

Attenzione all’anatocismo. L’ ANATOCI-

SMO in pratica è il calcolo degli interessi su-

gli interessi attraverso l’applicazione dell’ in-

teresse composto invece dell’interesse sem-

plice.

Molte banche giocano su questo. In pratica

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.17

si tratta di interessi che le banche non aveva-

no nessun diritto di incassare.

Per questo motivo il recupero dell’ anatoci-

smo è un’opportunità molto interessante in

quanto potrebbe davvero cambiare radical-

mente la vostra situazione economica.”

Quest’esperienza vissuta sulla “pelle” dell’

autore è un messaggio positivo di speranza e

ottimismo anche per tutte le altre persone che

si trovano in difficoltà economiche simili a

causa delle banche.

Tutti possono chiedere trasparenza e quindi

non farsi fregare. Per i consigli e le consulen-

ze il signor Bortoletto non prende un cente-

simo, non guadagna nulla da questa attività:

semplicemente si dedica alle persone che at-

tualmente si trovano in grosse difficoltà.

“Chi mi chiama spesso è sul lastrico e io

ricordo bene cosa significa trovarsi con le

banche che ti stanno addosso e non ti lasciano

respirare. Chiedere altro denaro sarebbe un

atteggiamento miserabile” afferma Mario

Bortoletto.

Adesso a seguire le sue pratiche c’è Alessio

Orsini, un giovane avvocato molto capace

ed esperto di usura bancaria, autore della

postfazione di questo libro.

Tra l’autore e lui c’è gioco di squadra, han-

no gli stessi valori e lottano per i medesimi

obiettivi. Inoltre chi vuole chiarimenti potrà

rivolgersi all’associazione Il delitto di usu-

ra.

Mario Bortoletto è il classico imprenditore

veneto, tutto d’un pezzo. Classe 1949, ha ini-

ziato a lavorare giovanissimo mettendo in

piedi un’impresa edile partendo praticamente

da zero. Siamo a Padova, al centro di quel

Nordest che, negli anni Settanta, diventerà il

motore trainante dell’economia italiana. In

quei primi anni di attività Mario Bortoletto,

come tanti altri piccoli imprenditori della zo-

na, consoliderà e amplierà il suo business af-

fidandosi alle commesse della pubblica am-

ministrazione e partecipando alle gare d’ ap-

palto degli enti locali. Un’attività abbastanza

certa, insomma, perché la pubblica ammini-

strazione, anche se elargisce i fondi con un

certo ritardo, è un debitore sicuro, liquido ed

esigibile.

Una giornata al mare

Il giorno 28 agosto, faccio una giornata al

mare a Silvi Marina, vicino Pescara, anche

per andare a trovare mia figlia che stava in

vacanza da quelle parti. Stavo presso lo Stabi-

limento “La Conchiglia” dove andavo in va-

canza negli anni ’60. Il bagnino Carlo Di

Francesco, figlio dello storico bagnino Mario,

mi chiede cosa stavo leggendo d’interessante.

Gli faccio vedere un numero di Pomezia-

Notizie e gli dico che io e mia moglie faccia-

mo spesso su questa rivista alcune recensioni

di libri letti. Carlo mi dice che ha scritto un

libro e me ne regala una copia chiedendomi

di recensirla.

IO, GIULIA E SANTIAGO

Il romanzo ha una prefazione e 16 brevi ca-

pitoli.

La prefazione è scritta da Roberto Colan-

tuono, in quanto ha incoraggiato ed aiutato

Carlo per la stampa di questo libro.

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.18

Nella prefazione Colantuono cita un afori-

sma di Edgar Lawerence Doctorow:

Scrivere un romanzo

È come guidare una macchina di notte;

non puoi mai vedere oltre i fari,

ma puoi viaggiare liberamente sulla strada.

Colantuono è rimasto affascinato dalla dol-

cezza del contenuto ed emozionato per la pro-

fondità ed umiltà dei sentimenti dei perso-

naggi, ivi descritti.

Per chiudere la breve prefazione Colantuo-

no cita una frase che lo ha colpito e che è pre-

sente all’interno del libro, frase pronunciata

dalla saggezza di nonno Josè al nipote San-

tiago per il suo sedicesimo compleanno:

- Percorri la tua strada, circondati di perso-

ne migliori di te, commetti mille errori e mil-

le volte reagisci. Troverai te stesso e questa

sarà la tua vittoria che dà il senso alla tua

vita.

Questa frase deve essere un augurio per la

vita di Carlo, come per quella di tutti i lettori!

E’ un romanzo, che si legge tutto d'un fiato.

La condizione umana è racchiusa in questo

romanzo. Lo stile ed il contenuto sono quelli

tipici di un giovane della nostra epoca. Si ve-

de che è stato scritto con una certa spontanei-

tà di espressione. E’ la storia di tre amici, che

condividono varie esperienze di vita.

Il primo capitolo ”Compra un TV, vince

l’Italia, vinci un TV” contiene una parvenza

di critica all’attuale consumismo tecnologico.

Nicola era compagno delle scuole medie di

Giulia, che gli presentò il suo fidanzato San-

tiago nel 2006. Nicola ricevette una telefonata

da Santiago dopo circa un mese dalla sua co-

noscenza per essere accompagnato con l’auto

a comprare un televisore moderno (32 pollici

minimo, LCD o plasma, ecc…). Nicola con-

siderò quasi un’invadenza ciò in quanto non

doveva prendersi tale confidenza per essersi

appena conosciuti! Comunque accettò.

L’acquisto del TVC da Mediaworld consenti-

va di vincerne un altro se l’Italia vinceva i

mondiali di calcio. L’Italia vinse (era il luglio

2006) e con il buono regalo Santiago prese un

laptop gratuito! Santiago e Giulia sono coeta-

nei, del 1975. Santiago è messicano, natura-

lizzato italiano. Tutti e tre decidono di fare un

viaggio nello Yucatan per trovare il nonno

Josè e i genitori di Santiago.

Facciamo un passo indietro nel tempo: i

nonni di Santiago si trasferirono da Città del

Messico e con i loro risparmi acquistarono

due siti a ridosso del mare nello Yucatan, do-

ve sarebbe sorta Playa Paradiso.

L’imprenditore edile italiano Umberto Vai-

ra costruì le strutture e si innamorò della loro

figlia Maria, che a diciassette anni rimase in-

cinta di Santiago.

Umberto e Maria non si sono mai sposati.

Umberto era sempre in giro per il suo lavoro

e Santiago crebbe con sua madre . A 11 anni

si sentì male, svenne. Il padre lo portò in Ita-

lia, dove Santiago fu operato al cuore, si rimi-

se in salute e proseguì la sua vita presso i suoi

nonni paterni, genitori di Umberto Vaira,

Fernando e Assunta, che lo seguirono come

un figlio.

Il futuro di Santiago ormai era in Italia e

non riusciva più a rivedere suo nonno Josè e

sua madre. Al compimento dei suoi sedici

anni Josè gli scrisse: “Percorri la tua strada,

circondati di persone migliori di te…,”. San-

tiago al leggere queste parole pianse di

commozione.

Il romanzo prosegue con la descrizione del

viaggio in Yucatan e con ritmo piacevole, di-

vertente ed incalzante vengono descritti i vari

episodi, come la perdita di una valigia di Giu-

lia, durante il viaggio, scambiata con quella

della signora Stempton di Londra, come le

cene luculliane a base di pesce, le passeggiate

romantiche con la luna piena, la partita im-

provvisata fra italiani e messicani (vinta dagli

italiani per 2 a 1). Vengono descritti i festeg-

giamenti fino all’alba dopo la partita, le serate

passate in discoteca. Ad un certo punto San-

tiago riceve una telefonata da Londra per in-

formarlo che suo padre, cadendo da un’ im-

palcatura, si ferì gravemente e successiva-

mente è stato ricoverato in ospedale. Santiago

prende la decisione di andare a Londra da so-

lo, provocando discussioni con Nicola e Giu-

lia, che vorrebbero accompagnarlo…

Santiago parte da solo per Londra e Giulia

Page 19: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.19

prosegue la sua vacanza con Nicola. Santia-

go, prima di partire, lascia uno scritto a Giu-

lia, dove, fra l’altro, dice che il destino di cia-

scuno spesso condiziona la nostra vita! In

una email Nicola comunica a Santiago l’ indi-

rizzo di Londra della signora Stempton che in

sbaglio ha ricevuto la valigia di Giulia. La va-

ligia della signora di Londra verrà recapitata

dai servizi aeroportuali dello Yucatan, spe-

rando che la signora faccia altrettanto con

quella di Giulia. Santiago a sua volta invia

un’email dove scrive che il padre è in coma

per un ematoma alla testa, che dovrà essere

operato e che lui – Santiago - dorme in ospe-

dale accanto al padre.

Nicola e Giulia proseguono la vacanza:

vanno a vedere le grotte di stalattiti e stalag-

miti di Cenote Chaac, la piramide dei Maya a

Chichen Itza. Tramite altre email si viene a

sapere della morte del padre di Santiago e che

lascia anche una compagna Sasha ed un figlia

di tre anni Piera. Il libro si conclude con il

viaggio di ritorno a Roma di Nicola e Giulia

dallo Yucatan e di Santiago, Sasha e Piera da

Londra. Si incontreranno tutti all’aeroporto di

Fiumicino. Bella la poesia alla fine del libro,

che Santiago dedica a Giulia!

Il commento di copertina in sintesi:

L’ambizione dello scrittore è chiara e sem-

plice: raccontare con l’animo del protagonista

la storia di tre ragazzi che si vogliono bene,

viaggiano, ridono, piangono e dicono qualche

bugia bianca. In sintesi: vivono.

Le loro azioni sono lineari e le riflessioni

sincere. Non è un triangolo, ma la simbiosi di

amicizia e amore che rendono la convivenza

uno stato di felicità.

Il distacco invece porta dubbi. Solo la scrit-

tura e la lettura avvicinano gli animi persi. Ti

amo si può dire in tanti modi. Ti voglio bene

di un amico è unico.

Carlo Di Francesco, è nato ad Atri (Te) il

26 novembre del 1976. Laureato in Giuri-

sprudenza presso l’Università di Teramo.

E’ cresciuto a Silvi Marina, dove gestisce

con la sua famiglia uno Stabilimento Balnea-

re. Dal 2011 vive ad Atri con sua moglie Pie-

ra.

E’ allenatore di scuola calcio, ama la lette-

ratura, il cinema e scrive perché lo diverte.

Giuseppe Giorgioli MARIO BORTOLETTO - LA RIVOLTA DEL

CORRENTISTA (BESTSELLER) - Versione

brossura: Chiare lettere - Edizione 2015, pag

125, Euro 6,90 €, ISBN: 978-88-6190-716-4. CARLO DI FRANCESCO - IO, GIULIA E

SANTIAGO -Una storia di vita, amore e amici-

zia (dedicato alla moglie) - Editrice Cassandra (in-

[email protected]) , Edizione brossura

2015, pagg. 148, € 10, ISBN: 978-889406212-0.

INCONTRO

L’ombra di due colombe

che passano per i tetti

svanisce nell’ombra del crepuscolo;

essenza di morte nel buio notturno.

Percepisco dalle labbra inerti

il chiudersi del cielo iracondo

che porta un freddo invernale.

Sepolta da un senso d’ira

io vedo passare l’incontro lontano,

fugace come il desiderio effimero

di un infante.

Cosa resterà di te nel mio incontro?

Forse il tuono impetuoso

del mio battermi contro,

forse il grido lacerante di chi

è in preda ad una sorte straziante,

forse la nenia sofisticata di una

morte aitante,

che sorvola con passi leggeri

il circuito dei miei pensieri.

Immane è l’attesa nella mente che vacilla;

già l’ombra glauca della mano chirurgica

del destino sentenzia la fine di quel giorno

con scrupolosa perseveranza

e opererà

togliendomi l’infame

sensazione del ricordo che ondeggia

nella mia mente illeso.

E nel fronteggiare del dolore

la ragione inasprirà nuovamente il riso

amaro della mia inettitudine.

Susanna Pelizza Roma

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.20

LA CALABRIA

SI RACCONTA di Carmine Chiodo

a Calabria si racconta>>

è un libro di racconti

scritti da dieci scrittori

calabresi, che appartengono ad aree geografi-

che diverse della regione, hanno pure età va-

rie ma che comunque tutti dimostrano di ave-

re le carte in regola, e ci hanno dato ottimi

racconti di vario argomento, che attengono

pure alla regione. Alcuni di questi scrittori

sono noti altri si stanno affermando e impo-

nendo sulla scena letteraria. Ecco i nomi con i

relativi titoli dei lorio racconti. Carmine Aba-

te (<<Prima la vita>>), Giuseppe Aloe (<<La

voce dell’aguzzino>>), Gioacchino Griaco

(<<Laura, un ruolo perfetto>>), Domenico

Dara (<<Della vera storia di Ciccio Morta),

Mimmo Cangemi (<< Bruno nella stanza

>>), Annarosa Macri (<< Due barche inna-

morate >>), Serena Maffia (<<Tra alti e bas-

si blu>>), Caldo Perri (<< U’porceddu i ma-

tra’ Arcangelo >>), Olimpo Malarico

(<<L’anima del sangue>>), infine Peppe Vol-

tarelli (<<L’idea>>). Racconti diversi per sti-

le e contenuti e temi ma comunque tutti belli

dai quali emergono alcuni tratti e avvenimenti

della Calabria, e ad apertura ecco Carmine

Abate col suo racconto che ha come tema gli

emigranti che sono arrivati alla terra, al paese

dove è nato lo scrittore, Carfizzi (provincia di

Catanzaro) e qui, in queste pagine lo scrittore

dà voce a uno di questi disperati che come è

arcinoto intraprendendo viaggi pericolosi che

alcune volte sono viaggi verso la morte in

mare. È arrivato a Carfizzi un gruppo di que-

sti emigranti <<un giorno di maggio. E lo ri-

cordiamo bene, ché la mattina c’era stata la

festa del corpus domini>> (p.9). E agli abi-

tanti del paese, gli emigranti che <<saranno

stati una ventina, da vicino sembravano gio-

vani sotto i vent’anni >> (v. p. 11). Uno di

questi emigranti racconta il suo viaggio che lo

ha portato a Lampedusa, un viaggio che costa

caro e poi molti emigranti rimangono con po-

chissimi soldi o senza nulla: <<quasi tutti i

soldi spesi per viaggio>>. E poi i commenti

degli abitanti del paese, comunque alcuni di

questi disperati, che fuggono da guerre, fame,

miseria, trovano un lavoro e una situazione

abbastanza dignitosa. Ben orchestrato e arti-

colato il racconto di Dara in cui viene rievo-

cato un uomo particolare calabrese. Ciccio

Morta, il quale cosi veniva salutato dai suoi

paesani: <<Faciti passara |Faciti passara!>>.

Con questa <<gridata >> ogni mattina Ciccio

veniva mentre faceva ingresso nella bottega

(v. p. 50). Storie e fatti d’altri tempi che tal-

volta hanno dell’incredibile e sono raccontati

- come qui - con una lingua che è un impasto

di termini italiani e dialettali. Comunque que-

sto racconto ci dice che la Calabria, che in

Calabria è avvenuto tutto ciò, che sono, che

sono vissute tali persone, che ha operato tale

umanità, tali uomini come Francesco Morata-

loro, divenuto leggenda col nome di Ciccio

Morta, che mori alla venerabile età di novanta

e passa anni, e tutti erano convinti che ad uc-

<<L

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.21

ciderlo fosse stato quel famigerato ago <<che

gli bucò il cuore>> (p. 50). Interessante il

racconto di Perri in cui si parla di un porcello

e tale racconto ci riporta al tempo del dopo-

guerra, al <<venti dicembre del 1945 >> . La

scena si svolge in un rione ove c’è una grande

animazione perché si celebra il primo Natale

del dopoguerra. Lo scrittore affidandosi al vi-

vido e comunicante dialetto richiama tutta

una serie di scene quotidiane che si svolgeva-

no nel paese, ed ecco il <<vecchio postèro>>

che aveva deciso di uccidere il maiale e <<ar-

rigistrare u purceddi nello slargo della sua ca-

setta bianca, distante un centinaio di metri dal

mare>>. Poi ecco ancora i <<ragazzi con le

orecchie rosse e gli occhi umidi e spiritati >>

che aspettavano con eccitazione e terrore l’

inizio delle torture del povero animale. Intan-

to giocavano a salta cavallina: << Ciceri cotti

cotti cotti, fave arrapate arrapate arrapate,

scarrica, scarrica, scarrica sta cannata!>> (p.

93). Un racconto che richiama figure e parla-

te dialettali di un tempo, in questo caso scene

e persone che attengono alla uccisione del

porco, che veniva scannato da <<Turuzzu u

chiacheri>> (da Salvatore il macellaio), che

era un uomo mite, <<malinconico e impac-

ciato>> ma pure era una persona pratica, ope-

rativa, allegra quando doveva uccidere il

maiale. Una storia anche comica: a un certo

punto il maiale scappa e andò a finire in mare

e dopo tanta fatica, data pure le condizioni del

mare, la preda veniva ripescata, e cosi tra

canti e suoni si concluse quella fredda giorna-

ta invernale e il porco era stato ripescato, e la

guerra <<era appena finita>> (v. p, 101) e se-

guono ancora le scene che animano i vicoli:

le note <<della chitarra battente di zze Gnaz-

za>>, i canti <<acuti e sanguigni di zza Glo-

ria e zza Maria, accompagnati con lo zuco

zuco>>, e con il Natale ricomincia la vita.

I rimanenti racconti hanno un’altra andatura

e fisionomia, storie tragiche talune, altre inti-

me. In questi racconti è presente la Calabria,

o città di essa. Cosenza nel racconto di Aloe,

la città viene definita come <<una donna che

non ti ama. Pensi di possederla e ne sei pos-

seduto>> (p. 21). Qui è presente un casentino

che non abita più in questa città ma che vive a

Milano e ogni tanto ritorna nei luoghi natii, ai

quali pensa spesso e rimane incantato, solo a

pensarli. Mai il calabrese recide il cosiddetto

cordone ombelicale che lo tiene legato alla

sua terra. Aloe descrive molto bene e in modo

intimo il suo rapporto con la città natale e

questo racconto di Aloe è intimo, fluido,

mentre Criaco ci racconta la storia di Laura,

che si innamora del conte di Cassano e il pa-

dre della ragazza, Bruno viene a sapere delle

ignominie sulla figlia e sulla <<propria ma-

dre>>. Si sa in Calabria, e non solo in questa

regione, un tempo i conti, i baroni erano pre-

potenti e commettevano tanti soprusi e stupri.

Storia portata in teatro, il varietà della vita.

Il racconto di Gangemi parla o meglio ci

presenta una situazione particolare, quella di

un tal Lorenzo che era <<abituato al buio, da

ragazzino aveva fatto compagnia al nonno

mentre sviluppava le foto, e al padre, prima

che si montasse la testa e prendesse una stra-

da parallela, e pretenziosa - Pure a se stesso

qual era lui a sviluppare>> (v. p. 60). La sto-

ria di Lorenzo e della sua famiglia, quel nome

che era <<Lorenzo all’anagrafe don Renzo

fuori>>. Una storia di un fotografo. Da parte

sua la Macri ci racconta un viaggio particola-

re in Calabria: una storia d’amore, e successi-

vamente Serena Maffia ci presenta una storia

tragica, la morte di una donna, un amore, una

vita sempre caratterizzata da difficili rapporti

prima col marito poi con un altro uomo, e in-

fine lo scrittore caccurese (ma nato a Croto-

ne) Olimpio Malarico, che in un bel racconto

ci presenta la storia di Antonio Pasculli:

<<ogni agosto, l’otto agosto, da non so quanti

anni, vado a trovare Antonio Pasculli, unico

inquilino di un casello a due piani, distante un

paio di chilometri da Caccuri>> (v. 102). Ma-

larico con fantasia e tocchi realistici, espressi

con fine e suggestivo linguaggio, narra, fa

riemergere certe forme di vita e dì umanità di

un piccolo paese nel quale egli è vissuto e

quindi ne porta fortemente impressi certi per-

sonaggi, avvenimenti e ore e note di paesag-

gio. Malarico ama e privilegia il suo paesino,

Caccuri ora in provincia di Crotone, anche se

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.22

lo scrittore è nato a Crotone ma è vissuto da

ragazzo in paese, ora vive lontano ma spesso

ritorna ai cari luoghi e persone, ma egli è ma-

gna pars con altri dello splendido e significa-

tivo <<Premio Caccuri>>, che si svolge tutti

gli anni, nel mese d’agosto, appunto nel paese

di Caccuri, ove accorrono, data la rilevanza

dell’iniziativa culturale, parecchie persone dei

paesi limitrofi. Malarico ritorna alle sue

<<rughe>>, ai cari vicoli e <<vinelle>> del

paese, e ne ricorda forme di vita e personaggi,

come dicevo prima, creando un impasto sug-

gestivo e delle trame e pagine narrative pre-

gne di poesia e di belle risonanze sentimentali

che alimentano i suoi deliziosi racconti, come

questo dal titolo <<L’anima del sangue >>.

Qui viene evocata, tra le altre cose, << la pe-

riferia sperduta di Caccuri>>: << Alla perife-

ria sperduta di Caccuri e soltanto per un gior-

no, mi faccio un regalo: mi spoglio, e sono io

libero, affrancato dagli obblighi>> (v. p.

104). Caccuri ha fatto e fa continui <<rega-

li>> alla memoria dello scrittore. Ben conge-

gnata e narrata questa storia che ci racconta lo

scrittore che sa mescolare abilmente ambiente

realtà e fantasia, sa combinare i vari piani del

reale e della fantasia. Storia di due amici,

quasi fratelli siamesi, che fanno varie espe-

rienze, varie peregrinazioni in Italia e fuori.

Un racconto che allude a varie vicende e an-

che a fatti drammatici, un racconto armonico

nelle sue parti, nel quale si parla ovviamente

della Calabria, dei suoi prodotti tipici, del suo

clima, del suo sole, un sole calabrese, i cui

raggi sono come <<stiletti che non risparmia-

no nulla a nessuno>>. I prodotti della terra

calabra son presenti, come dicevo poco fa,

ecco i vini, quello di Cirò, poi i frutti rossi

con le spine, e poi si passa al silenzio assolu-

to, <<devastante, un silenzio che puzzava di

bruciato>>, e poi ancora il sole agostano che

accompagna i pensieri e i ricordi dell’io nar-

rante, ora in preda all’agitazione per un sogno

terrificante, ad esempio (a tal riguardo si leg-

ga pag. 108). Si trovano, tutto sommato, in

questo racconto i luoghi del paese, le sue ca-

se, il suo castello, già ricordati e visualizzati

in altre sue opere dallo scrittore, che ora si

abbandona al racconto di altre storie e mo-

menti particolari di vita umana e di stagioni.

Ecco il castello, visto da sinistra o destra. Un

castello, quello del paese, che è un <<tiranno

che esercita il potere sulle case circostanti>>

mentre, per contrasto, quella di Antonio è

modesta, semplice, possiede il necessario per

vivere e poi il <<tempo sembra essersi arre-

stato ai primi anni sessanta>>. L’ io narrante

va alla ricerca dell’amico del sogno all’anima

del sangue, il cui pilastro è rappresentato da

Antonio Pasculli, che poi muore e muore

guardando l’amico come <<un padre che ab-

bandona suo figlio. Come un padre vuole te-

nere intatta l’anima del sangue>> (v. p. 114).

Una storia ambientata <<fra i castagni e le

ciaule del paese>>. Aspetti reali del paese,

aspetti e presenze reali che hanno accompa-

gnato vari momenti di vita e di avvenimenti

svoltisi nel tempo. Comunque attraverso que-

sti racconti si coglie la vita, la dimensione

umana della Calabria, che ha una storia mil-

lenaria. Tante vicende di uomini, di donne,

tanti ambienti, tanti colori e stagioni ben rit-

mati in questi dieci racconti, <<frutto della

sapiente scrittura di alcuni fra i più apprezzati

scrittori calabresi>>, che ci presentano varie

storie, alcune sognate oppure una realtà vissu-

ta oppure immaginata e tutto svolgendosi in

una terra di nome Calabria.

Carmine Chiodo AA.VV.: La Calabria si racconta. Prefazione di Pi-no Aprile, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015, pp.

126, € 12,00.

ENERGIA DEL DOVE

Il tuono che illumina

la faccia contrita

Il tempo che scandisce

il polso tremante

In quel luogo del sentire

sei giunta

Quel che l’energia muove

è intensità irrequieta del dove

Filomena Iovinella Torino

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.23

EDOARDO SANGUINETI (1930-2010)

LA CULTURA

DELL’INDIPENDENZA di Salvatore D’Ambrosio

ARLARE un poco dei poeti contempo-

ranei, ma di quelli che ormai sono tra

chi non c’è più come Edoardo Sangui-

neti, conviene per la quasi totale assenza di

qualcosa di veramente valido e innovativo

nella produzione poetica odierna.

Vedo oggi, ma forse mi sbaglio abbondan-

temente, un ripiegamento, un accartoccia-

mento su posizioni poetiche, anche se talora

pseudo-innovative, tendenti a un certo con-

servatorismo.

C’è oggi una tendenza a riverniciare, più

che creare, per non dispiacere il buon giudi-

zio del critico del momento, che come tutte le

prime donne vuole rubare sempre e comun-

que la scena, anche quando la sua recitazione

è di pessima qualità.

Parlare di Sanguineti non è cosa facile, per-

ché non fu una personalità facile, essendo in

controtendenza e in polemica con tutti. Lungo

fu lo scontro dialettico con Pasolini.

La sua ribellione non è votata all’ isolamen-

to, anche se poi lo dovrà subire, ma di apertu-

ra a realtà nuove con una precisa cronaca dei

comportamenti dei nuovi ceti, in rapidissima

ascesa.

Edoardo Sanguineti sembra seguire nel suo

racconto poetico, l’antesignano Nanni Bale-

strini che fu il creatore del TAPE MARK:

poesia elettronica ottenuta mescolando mate-

riale linguistico con lo scopo di rompere la

struttura di tutte le proprietà linguistiche.

L’intento è quello di risvegliare il cervello

dell’uomo odierno, che quotidianamente è

immerso, anche consapevolmente, in luoghi

comuni e nella ripetitività di atti e parole.

Sanguineti rifiuta anche la ricerca apparente

del verso bello. Cerca piuttosto di proporre

immagini che eccitano la fantasia, con il suo-

no delle parole a volte anche in stridente con-

trasto tra loro.

(… è la soddisfazione, è vero, che produce

putrefazione)): - [Stracciafoglio-1980]

La poesia del Sanguineti è dettata dal biso-

gno di andare controcorrente; è una poesia

che penetra nella prosa fino a mimetizzarsi

con essa. Opera il Poeta una sliricizzazione

con un verso lungo, adoperando a tratti un

linguaggio elitario, quasi a-comunicativo.

Reinventa la catena sintgmatica. La struttura

codificata è malvista. Rifiuta la mummifica-

zione delle buone maniere letterarie, della

grafica standardizzata. Il verso deve essere

sovversivo, audace, desemantizzato e fuori

dalla logica per dare al lettore la libertà di

percepire in autonomia. La poesia ha il verso

spezzato e disarticolato proprio per interrom-

pere quella linea di continuità culturale, non

tanto o non solo per scandalizzare, ma meglio

per innovare, o per andare più in profondità,

per coniare espressioni verbali di estremo do-

lore e sofferenza di fronte alla cecità dell’

uomo che non vede l’estrema sofferenza dell’

universo, che conquista un benessere crescen-

te a fronte di un aumento della pena del vive-

re.

L’angoscia, il dolore che è dentro toglie

senso, confonde la mente, partorisce parole in

disordine rappresentando la realtà di quel

momento mentale così come è.

L’umanità perde tensione emotiva, si assue-

fà alla perdita di autonomia, diventa indiffe-

rente, crea nuove forme di schiavitù come il

P

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.24

silenzio-assenso o il concorso-in colpa, che

capovolgono tutti i principi sia di legge che

morali. Saltano così le basi delle regole mora-

li e legislative che sono al fondamento di una

civiltà. La poesia chiusa nel romitaggio della

tecnicità e delle sofisticazioni di una élite cul-

turale che si culla tra l’ordinario e il pianifica-

to non gli interessa, ovvero non serve alla sua

voglia di non stare in silenzio. La parola del

verso deve avere la capacità di oltrepassare il

limite della pagina bianca del libro, deve pe-

netrare le menti e restituire le ragioni dell’

esistenza.

Provocatoriamente il linguaggio nelle sue

opere risulta disarticolato fino all’ipotesi di

una destituzione della logia sintattica. La sua

scrittura confezionata ed intessuta di idiotismi

colti, di ironica corrosività, di dialoghi che

oggettualizzano la quotidianità di più bassa

lega, è anticipatrice di una cultura del limo

che va stratificandosi nel popolo italiano: fa-

vorita in questo da una televisione di scarsi

contenuti in quanto improntata alla pura eva-

sione o per meglio dire al culto di una estetica

preponderatamente edonistica.

La sua allotria, come capita spesso nella

cultura italiana, è vista con invidia più che

come una forma di superiorità letteraria dalle

forti connotazioni innovative.

Il suo sperimentalismo attira non poche cri-

tiche da parte di Pasolini, che sulla rivista “Il

Punto” non riconosce che solo a se stesso la

capacità di fare vero e proprio sperimentali-

smo.

La quale cosa dà un poco fastidio a Sangui-

neti, sentendosi relegato ancora di più nella

sua solitudine di poeta orgoglioso di una sua

libertà di stile.

Nel programma della neoavanguardia inve-

ce, Sanguineti è figura centrale per il suo ten-

dere verso l’estetica di Pound; per l’uso della

psicoanalisi nei suoi testi; del plurilinguismo

presente; di una punteggiatura piena di paren-

tesi e due punti.

Due a parere mio sono le raccolte più matu-

re e significative della sua poetica: POST-

KARTEN con la materia prodotta dal 1972 al

1977 e STRACCIAFOGLIO del periodo

1977-1979.

In queste raccolte è evidente la forte neces-

sità del narrare, del raccontare, del comunica-

re.

L’insieme è realizzato in modo stringato,

quasi didascalico o per meglio dire come se si

stesse scrivendo una cartolina postale. Non a

caso la titolazione Postkarten. Si raccontano

le cose della giornata viste, vissute, conside-

rate: così come un tempo si scriveva prima di

andare a letto, la giornaliera cartolina alla fi-

danzata o alla famiglia, per chi ne aveva una.

Vengono fuori dei resoconti di viaggio o di

pensieri, liberi viaggiatori della sua mente.

Il percorso poetico di Sanguineti è nuovo

ma complesso già a partire dalla pubblicazio-

ne del Reisebilder, avvenuta nel 1972. E con-

tinuerà anche dopo. Sarà per tutti gli anni “70

del secolo scorso, il poeta più interessante e

polemicizzato in quanto la sua arte poetica in-

teragì non solo con la realtà letteraria di que-

gli anni, ma anche con quella politica e socia-

le. Anni importanti i “70, anche per la sua

carriera di professore universitario prima a

Salerno e poi a Genova. In questa città si im-

pegna anche politicamente in prima persona

venendo eletto da indipendente, per le liste

del PCI, a consigliere al comune. Travaglia-

tissimo ma vitalissimo percorso letterario il

suo, come il nostro Paese che riesce ad essere

sempre a galla per l’opera instancabile di per-

sonalità artistiche, che il caso o la fortuna,

poche volte la bravura, fa diventare di primo

piano o relega, il più delle volte, in troppi

stretti dimenticatoi.

Salvatore D’Ambrosio

DANIEL

Vorrei cavalcare l’onda,

l’onda più lunga del mare,

come Daniel delfino sognante

che scoprì nel sogno

il suo mondo dorato,

per giungere oltre

l’orizzonte infinito nella libertà

del mare, per una vita perfetta.

Adriana Mondo Reano, TO

Page 25: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.25

ANNA VINCITORIO: BAMBINI

di Liliana Porro Andriuoli

IÀ altre volte Anna Vincitorio ha

scelto l’infanzia, in particolare l’ in-

fanzia sfruttata o abbandonata, come

tema dei suoi versi. È del 2012 infatti la sua

traduzione di The cry of the children (Il pian-

to dei bambini) di Elisabeth Barret Browning,

una delle poesie sociali maggiormente note di

questa poetessa, che è tra le più apprezzate

dell’Ottocento inglese. In essa la Browning

denuncia lo sfruttamento del lavoro minorile,

compiuto nelle fabbriche inglesi agli inizi

dell’era industriale, che vide concentrate in

enormi opifici vaste schiere di lavoratori, e

sovente ancora fanciulli. Questa poesia ebbe

un notevole effetto dal punto di vista del pro-

gresso della società inglese per ché, letta in

parlamento, destò una tale emozione che con-

tribuì a far cambiare la legislazione in mate-

ria. Ed in verità forte è l’impatto emotivo di

questo testo, che inizia con una dolorosa con-

statazione: “Fratelli miei, ascoltate il pianto

dei fanciulli. / Piangono nel paese della liber-

tà / nel tempo libero dei giochi degli altri” e

seguita con tristi parole di pena: “La nostra

giovinezza è colma di affanni / niente abbia-

mo, solo i vecchi hanno le tombe”; “… tutto

il giorno trasciniamo il nostro carico amaro /

… / ora guidiamo tutto il giorno ruote di ferro

/ che nelle fabbriche si muovono giro, giro”;

ecc.

Di recente il tema dell’infanzia violentata e

tradita è stato ripreso dalla Vincitorio in una

plaquette intitolata Bambini (Perugia, Blu di

Prussia, 2016), che reca una Nota critica di

Nazario Pardini e un’Appendice di Sandro

Angelucci. In essa la poetessa agita diversi

problemi, attinenti tutti all’ignobile sfrutta-

mento dell’infanzia.

Le prime due poesie della plaquette sono

dedicate al problema dei “bambini-soldato”,

cioè a quei ragazzi che, non ancora diciotten-

ni, vengono impiegati come combattenti,

messaggeri, spie, o anche solo come facchini,

cuochi, o altro, nei numerosi conflitti che qua

e là fioriscono sul nostro tormentato pianeta.

Qualunque sia la giustificazione che si voglia

dare a tale ignominioso sfruttamento, non va

dimenticato che si stanno in tal modo privan-

do dei giovanissimi del diritto di vivere la

propria infanzia; e non va nemmeno trascura-

to il fatto che si si tratta di un problema che,

già diffuso più di quanto generalmente si pos-

sa credere, si sta generalizzando sempre di

più. Secondo l’Unicef, infatti, fermo restanti

le difficoltà di fare una stima ufficiale del fe-

nomeno, a causa della mancanza di informa-

zioni affidabili ed aggiornate, si presume che

siano circa 250.000 i bambini coinvolti nei

vari conflitti mondiali.

I versi della Vincitorio suonano dunque

come un monito che dovrebbe destare le co-

scienze di tutti coloro che rimangono indiffe-

renti di fronte a questa situazione e nulla fan-

no per opporsi al male che intorno a loro di-

laga. “Lampi negli occhi chiari, / perle tra il

G

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.26

rosso delle labbra / Nelle tue mani / la morta-

le stretta / del Kalašnikov / Dove la tua inno-

cenza? / … / Tu, senza guardare, avanzi / Tu,

senza ancora saperlo, / ti prepari a morire, /

… / è un gioco di scacchi / la baby armata: /

l’orgoglio la esalta / il sogno la rimpingua / la

realtà l’uccide” (Bambino in guerra). Ma è

certo che, come ci suggerisce la nostra poe-

tessa, il problema dei bambini-soldato va in-

quadrato in un più vasto contesto che è quello

della povertà e talvolta persino della miseria

che causano molti conflitti nel mondo; così

come avviene in Africa (specie in Paesi quali

il Niger, il Mali o la Mauritania), dove la ca-

restia genera spietate guerre intestine, fomen-

tate anche da conflitti religiosi e odi razziali.

“Il mistero accompagna / la vita e la morte /

di colonne di bimbi / scomparse nel silenzio /

… / Piccoli volti, / occhi immensi / pieni di

domande / Nessuna risposta” (Bambini invi-

sibili). Di fronte a queste tragedie noi rispon-

diamo troppo spesso con l’indifferenza, con-

clude la Vincitorio: “Siamo sordi alle imma-

gini” che purtroppo “non emettono suoni” e

non trasmettono “invocazioni d’aiuto”. È in-

fatti sufficiente “interrompere il video e spe-

gnere la luce” perché “Tutto torni eguale”;

come se il problema non esistesse più o addi-

rittura non fosse mai esistito (Ivi).

Un altro problema, e non meno doloroso, è

poi quello dell’abbandono dei minori, che so-

vente vengono lasciati dalle madri presso i

Conventi, talora anche appena nati: o perché

frutto di una gravidanza indesiderata, o a cau-

sa delle condizioni di estrema indigenza in

cui versano i genitori. I Conventi li accolgo-

no, senza che se ne conosca l’origine: “Due

braccia cieche / non hanno saputo trattenerti /

Due occhi vuoti di tragico pianto / ti hanno

visto inghiottire / tenero, indifeso, solo”

(Bambini abbandonati). E quell’abbandono

rimarrà come un marchio che segnerà tutta la

vita di quel piccolo essere indifeso: “Cosa

porti negli occhi, bambino? / Cosa porti sul

Cuore? / Un sacchetto, un santino, una meda-

glia…” (Ivi).

Non ultimo è poi il problema della violenza

sui minori, che emerge con sempre maggiore

frequenza nel mondo attuale e che occupa

ogni giorno gran parte della cronaca dei nostri

giornali. Ed appunto usuali fatti di cronaca

vengono evocati dalla Vincitorio nelle poesie

successive di questa plaquette: Cronaca; I

ragazzi dello zoo di Roma e White Christmas

a Coccaglio. Uno dei tanti reati contro la per-

sona, che purtroppo si ripete con dolorosa

frequenza, è argomento della prima: “Voci e,

all’improvviso, / due braccia e una morsa /

atroce, innaturale. / … / La fiducia violata

dall’inganno / Vinta l’antica pietà / per l’ in-

nocente inerme”.

Le due poesie che qui compaiono fanno in-

vece riferimento a due precisi avvenimenti, a

cui i giornali hanno dato largo spazio e dei

quali la Vincitorio riporta, nello stesso titolo,

il nome del quotidiano (“Repubblica” nella

fattispecie) e la data: 19 gennaio 2016 per la

prima e 20 novembre 2009 per la seconda

poesia.

I ragazzi dello zoo di Roma (è il titolo della

prima delle due poesie) trae lo spunto da un

reportage realizzato da Floriana Bulfon e da

Cristina Mastrandrea per conto dell’Unicef,

nel quale si mette in luce un fenomeno che ha

assunto ormai vaste proporzioni: quello dei

minori non accompagnati che sbarcano in Ita-

lia e che, dopo esservi approdati, “scompaio-

no nel nulla”, perché finiti nella rete di pedo-

fili, sfruttatori e altre categorie di delinquenti.

Uno di questi luoghi di ritrovo è quello della

Stazione Termini romana, dove i ragazzi si

concentrano in cerca di un rifugio e dove li

cercano coloro che approfittano della loro mi-

sera condizione: “Visi / dove lo sguardo parla

/ Li atterra il sonno / nei cunicoli / e benda i

loro sogni / Soli tra gli altri / prigionieri senza

sbarre / Mani d’uomo marchiano / la loro

giovinezza”. Il titolo del reportage ci rimanda

ad un altro evento analogo avvenuto nella

Berlino degli anni ’70, di cui allora molto si

parlò (e dal quale trassero argomento anche

un libro ed un film, Noi, i ragazzi dello zoo di

Berlino), consistente nella consuetudine di al-

cuni ragazzi della classe operaia o della me-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.27

dia borghesia di prostituirsi per comprare l’

eroina e vincere così il loro male di vivere.

Ad accomunare i due titoli è la felice metafo-

ra di una prigione esistenziale, rappresentata

dalle gabbie, senza alcuna via d’uscita, di uno

zoo.

In White Christmas a Coccaglio la Vincito-

rio agita il problema della discriminazione

razziale, prendendo ancora una volta spunto

da un altro fatto di cronaca, avvenuto a Coc-

caglio, un paese del bresciano dove, l’autorità

competente dispose, in seguito all’aumento

del numero degli immigrati, un maggior rigo-

re nei controlli, al fine di individuare coloro

che erano sprovvisti del regolare Permesso di

soggiorno. “L’ascia vibra / e pesante colpisce

/ per abbattere tutto / Alberga ancora / in al-

cuno pietà? / La pelle, vestito del volto / è più

scura, / bianca la neve / Aveva occhi azzurri /

Gesù Nazzareno? / Neri e cupi i capelli / di

Maria Maddalena / che Gesù perdonò / Per-

ché non guardare / fino al bianco dell’ ani-

ma…”. L’avvenimento ha avuto vasta eco,

anche perché avvenuto durante il periodo na-

talizio.

La plaquette si chiude con Dormi fanciullo,

una poesia che suona come un compianto fu-

nebre e del compianto ha la delicatezza e la

misurata parola: “Tu sorridi, forse / nel tuo

sonno / di tempi lunghi / come i silenzi”.

“Una plaquette intensa, emotivamente

umana”, questa della Vincitorio, Bambini,

come la definisce Nazario Pardini nella sua

Nota Critica introduttiva ai testi. Una pla-

quette nella quale l’autrice indaga a fondo e

con acuta sensibilità alcuni problemi altamen-

te sentiti, ma che forse non sono stati ancora

affrontati adeguatamente dai governi.

Certo, quello della Vincitorio non è che un

contributo dato per la soluzione di enormi

problemi che si presentano nel mondo attuale,

ma è offerto con purezza di cuore e soprattut-

to con quella freschezza di voce che da sem-

pre caratterizza il suo canto.

Liliana Porro Andriuoli ANNA VINCITORIO: BAMBINI - Blu di Prussia, Perugia, 2016

GIADA

Giada, dolce nipotina,

a due anni d’età

contagi entusiasmo di vita

con lo stupore luminoso

dei tuoi occhi

quando ti si svelano

sconosciute realtà,

con l’infaticabile esplorare

il mondo

per le molte tue curiosità,

con il riso e i gridi di gioia

che spandi a te attorno,

abbandonata contenta

all’amore che ricevi

nel quale cresci rigogliosa

come pianta

al calore del sole,

in un terreno ricco di umori.

In te ritrovo

la mia sorgente di vita,

i preziosi incanti dell’infanzia;

sai donarmi interiore giovinezza.

Caterina Felici Pesaro

CIRINNÀ

Navighiamo per poco ancora sopra una bar-

ca che affonda

La barca che affonda riposa sopra una lastra

di corallo

La lastra di corallo ha cozze e granchi erma-

froditi

I granchi ermafroditi hanno pene piccolo e

ciglia colorate

Le ciglia colorate sono aguzzi polpi centi-

mani

I polpi centimani assaltano la vetta di Zeus

pantocratore

Zeus pantocratore se la ride tracannando la

coppa di Ganimede

Minerva chiude nella corazza virile il picco-

lo ventre sterile

Rossano Onano Reggio Emilia

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.28

GIOVANNI BATTISTA RIGON

DIRIGE

ALL'OLIMPICO DI VICENZA

LA 'PETITE MESSE

SOLENNELLE' DI

GIOACCHINO ROSSINI di Ilia Pedrina

INGRAZIO Elisabetta Rigon, segre-

taria della XXV Edizione delle 'Set-

timane Musicali al Teatro Olimpico,

per avermi consentito di assistere per ben due

volte, nei giorni 4 e 11 giugno, alla splendida

esecuzione della 'Petite Messe Solennelle' di

Gioachino Rossini, opera conclusa a Parigi

nel 1863, nella versione originale per 12 voci

soliste, due pianoforti ed harmonium, diretta

da Giovanni Battista Rigon, anche direttore

artistico di tutta questa manifestazione, in col-

laborazione con il Conservatorio 'B. Marcel-

lo' di Venezia. Lo studioso e musicologo Ce-

sare Galla ha introdotto l'evento presso l'Odeo

del Teatro Olimpico, mettendo in luce parti-

colari interessanti della vita del compositore

ed in particolare di questo suo ultimo 'peccato

di vecchiaia'.

Gioachino Rossini interrompe la sua presti-

giosa carriera di compositore di opere semise-

rie, buffe e forse anche drammatiche con il

Guglielmo Tell (1829): ha trentasette anni e

sceglie Parigi per continuare a comporre, per

se stesso e per pochi intenditori, elevando il

pianoforte a suo strumento d'elezione.

Ecco in elenco le sezioni che compongono

l'opera, tratte dalla partitura stessa, in tutto

14:

Kyrie eleison (Andante maestoso) - Christe

eleison (Andantino moderato tutto sottovoce

e legato a cappella) / Gloria (Allegro maesto-

so) / Gratias agimus tibi (Andante grazioso)/

Domine Deus rex coelestis (Allegro giusto) /

Qui tollis peccata mundi (Andantino mosso) /

Quoniam Tu solus Sanctus (Allegro modera-

to) / Cum Sancto Spiritu (Allegro maestoso) /

Credo (Allegro cristiano) / Crucifixus (An-

dantino sostenuto) / Et resurrexit (Allegro) /

Preludio religioso (durante l'Offertorio, per

piano solo, Andante maestoso) / Sanctus

(Andantino mosso) per soli e coro a cappella)

/ O salutaris Hostia (Andantino sostenuto) /

Agnus Dei (Andante sostenuto).

Nella parentesi che si viene a creare tra il

Kyrie e la sua ripresa, ecco l'innovazione di

una tematica ardita e dall'andamento votivo:

il 'Christe eleison' è per solo Coro a cappella,

in disegno armonico intensissimo e senza ac-

compagnamento di strumenti. È proprio alla

figura del Cristo che Rossini riserva il suo in-

teresse pieno, penetrante, silente e segreto

perché interno all'elaborazione musicale, che

qui è fatta anche di parole.

La lingua latina, antichissima, si presta do-

cilmente a frangersi secondo le necessità

creative del compositore, che finalmente ha

scelto una dimensione tutta sua del comporre,

privilegiando una sintesi chiarissima, piena-

mente consapevole delle prestazioni vocali

dei suoi cantori. Certo erano stati aboliti per

legge vaticana i castrati e non a tutti andava-

R

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.29

no a genio le sonorità acidule e spezzate delle

voci bianche. I solisti, nelle voci di soprano,

alto, tenore, basso intervengono in parti riser-

vate a loro ed adatte ad introiettare nel pub-

blico, nel corso dell'ascolto, particolari effetti

emotivi e di tensione immaginativa vibrante.

Poi, nelle parti per Coro, essi si fondono nel

gruppo di tre, a formare una compagine quasi

cameristica, di inconsueta intensità. Io mi so-

no commossa più volte: al mio fianco era se-

duta la Mamma del Direttore Titta Rigon ed

anche lei era colpita e partecipe di tanto sa-

piente raccoglimento, pensoso e devoto in-

sieme, durante l'esecuzione del 'Preludio reli-

gioso', vero intimo testamento spirituale sen-

za parole, ad indicare un cammino che non

deve risultare marcia funebre. Poi le parole

'Amen' e 'Christus – Christe' occupano tante

battute per pagine e pagine della partitura, a

sottolineare in variazioni armoniche come

Rossini abbia voluto tenere sapientemente

sotto controllo anche le dissonanze, moder-

nissime e ben mimetizzate nel contesto. Se

non avessi studiato a lungo, con severa assi-

duità, la partitura del 'Prometeo' di Luigi No-

no, non sarei stata in grado ora di rilevare le

minime diffrazioni ed i sottili contrasti nell'in-

treccio delle differenti vocalità del coro. Ri-

porto qui, a conferma di quanto sto sottoli-

neando, alcune osservazioni fatte da Giusep-

pe Ungaretti circa le parole e le loro scansioni

sillabiche in poesia:

“La poesia è una delle arti del movimento.

Possiamo, anche oggi, immaginarla fusa in

una voce bianca o di baritono o di coro in

una polifonia; accompagnata dallo zufolo o

dal liuto e dalla viola, o dall'organo, o dall'

orchestra... Il numero non è un'opinione. È

insensato negare i rapporti, le proporzioni,

gli accordi, le simultaneità, le simmetrie, tutto

ciò che mette in grado di muoversi il disegno

melodico e l'intreccio armonico dell'opera d'

arte... Tra una sillaba e l'altra, tra una parola

e l'altra, tra un inciso e l'altro, tra un ritmo e

l'altro, tra un verso e l'altro, tra immagine e

immagine, tra il senso di ciascuna parola e il

senso dell'intera poesia, tra queste cose nette

Leopardi suscita un intervallo, un vuoto dove

si muovono scie, echi, svaniscono vibrazio-

ni...” (cfr. Luigi Nono e Giuseppe Ungaretti,

'Per un sospeso fuoco - Lettere 1950-1969'

ed. Il Saggiatore, Milano 2016, a cura di Pao-

lo Dal Molin e Maria Carla Papini, pag. 212,

postfazione, nota 27, tratta da G. Ungaretti

'Difesa dell'endecasillabo' (1927) ora in SI,

rispettivamente alle pagine 158, 159, 161).

Scelgo così di soffermarmi un poco sul te-

sto che ritengo particolarmente rilevante per-

ché parte integrante dell'antica liturgia me-

dioevale ed insieme attualissimo contesto di

una fiducia o fede concepita come lotta arma-

ta, nei confronti di un nemico, visibile o invi-

sibile che sia. La partitura rossiniana lo indica

come tredicesima parte, per soprano solo:

O salutaris hostia

qui coeli pandis ostium

bella premunt hostilia:

da robur, fer auxilium.

Uni trinoque Domino

sit sempiterna gloria,

qui vita sine termino

nobis donet in patria.

Tommaso d'Aquino, che Dante tiene in così

grande considerazione, ponendolo nel Paradi-

so tra i saggi, elabora questo canto interno al-

le lodi del mattino coincidenti con la celebra-

zione del Corpus Domini. Di sicuro Rossini

ha letto Dante ed il suo Paradiso, Cantica nel-

la quale san Tommaso è presentato nel cielo

del Sole, tra altre anime di beati e musiche e

passi di danza celestiali. Sono convinta che

egli abbia colto in profondità questa dolcezza

piena della composizione creativa dantesca

nel suo riverbero musicale, nella convinzione

di oltrepassare la costante così spesso da mol-

ti condivisa che ad essere felici quasi quasi

sia peccato, perché Cristo si è immolato per

noi, e questo ci deve portare a condividere la

sua sofferenza.

Scrive lo stesso Autore a conclusione dell'

Agnus Dei:

“Buon Dio, eccola terminata questa umile

piccola Messa. È musica benedetta sacra

quella che ho appena fatto, o è solo della be-

nedetta musica? Ero nato per l'opera buffa,

lo sai bene! Poca scienza un poco di cuore,

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.30

tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il

Paradiso...” (fonte Internet, alla voce 'Petite

Messe Solennelle').

Allora questa partitura rossiniana ci deve

entrare dentro come generoso dono del com-

positore, nella piena consapevolezza della re-

surrezione, dopo la passione. Si. Perché la

gioia della resurrezione deve vincere piena-

mente sulla sofferenza del sacrificio. Infatti,

se si rileggono tutti i ritmi indicati per l'ese-

cuzione dei differenti brani, non si incontra

mai un 'Lento', un 'Lentissimo', un 'Largo' o

un 'Adagio' e l'accurata direzione del lavoro

ha dato pieno risalto alla specificità dei solisti

e del coro, oltre che delle sonorità strumentali

programmate: Adriana Cimolin, Valentina

Corò, Miao Tang soprani, Valeria Girardello,

Huijiao Li, Ludovica Marcuzzi alti, Andrea

Biscontin, Diego Rossetto, Nikolay Statsyuk

tenori, Paolo Ingrasciotta, Francesco Toso,

Chenglong Wang bassi; all'harmonium Carlo

Emilio Tortarolo, ai due pianoforti rispetti-

vamente Alberto Boischio e Manuel Ghidini.

Per il risultato artistico di questa esecuzione

olimpica annovero l'evento della Petite Messe

Solennelle di Gioachino Rossini diretta da

Giovanni Battista Rigon tra le più prestigiose

interpretazioni esegeticamente rigorose e ca-

riche al contempo di afflato umano ed artisti-

co. Perché egli ha trasmesso al coro ed ai mu-

sicisti il suo intendimento intenzionale: quello

di interpretare la partitura dalla parte del suo

Autore; perché la sua guida sobria e consape-

vole dei temi trattati fa scoprire a ciascuno dei

componenti coinvolti, e quindi, in riverbero,

del pubblico tutto, la responsabilità di entrare

nel meccanismo della sospensione del tempo

e dello spazio, nella prestigiosa scenografia

del Teatro Olimpico, per far scaturire tutti i

segreti di questa opera d'arte musicale; perché

egli, nell'Amen, interno al 'Sanctus Spiritus' e

non solo, fa in modo tale che la vetta della

gioia venga raggiunta con la semplicità della

pura perfezione, mentre armonicamente le

voci si incrociano tra loro e si susseguono,

dando così, nell'ascolto, le stesse vibrazioni

emotive condivise.

Ilia Pedrina

NEI CAMPI

Il vento piange

nella campagna solitaria

romito va un bove lungo la strada

il fiocco di bambagia

si spezza

al trito gracchiare di una rana

moribonda.

Tra le foglie stridule

il lento strisciare

di una viscida vipera si avverte.

In cerca di una meta

il mio cuore va errando

tra le selve spinose;

si riposa sull’edera fiorita

che abbandonata la gelata tramontana

dello scorso inverno,

riscalda come una fiammata del focolare

l’eterna illusione.

Susanna Pelizza Roma

Page 31: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.31

OLINTO DINI O DELL’ARMONIA POETICA

di Leonardo Selvaggi

I

La poesia ha mantenuto intatti i luoghi dei

propri sogni.

ISAVVENTURE, vita travolgente

non hanno interrotto la interiorizza-

zione dei pensieri, delle aspirazioni.

Le ferite sono state sopportate, anche se pro-

fonde, mai si sono viste fuori. Con orgoglio la

fine personalità scinde ciò che è stata l’ inci-

denza drammatica della realtà dalla caratte-

rizzazione che il lungo cammino dei giorni ha

prodotto sulla propria maturazione intellettiva

e sull’attività culturale nel progressivo anda-

mento delle inclinazioni natie. Una esteriore

serenità, un aspetto limpido, vitale. Il poeta

Olinto Dini, con la sua liricità ha saputo man-

tenere intatti i luoghi dei suoi sogni, l’amore

per la sua Garfagnana, rimasto intoccabile e

puro in tutto il suo peregrinare. Con nobile ri-

serbo ha tenuto nascosti il dolore della morte

prematura del padre e tutti i disagi sopravve-

nuti. La sua poesia non ha fatto trapelare la

minima traccia delle sue pene. A differenza di

Giovanni Pascoli che per tutta la vita ha por-

tato sul volto le amarezze della tragedia vis-

suta in famiglia, mai saputa celare. Per Olinto

Dini la realtà è stata soprattutto bellezza natu-

rale, che ha esercitato incanto; oggetto di rac-

coglimento e di meditazione. Olinto Dini nato

a Castelnuovo di Garfagnana il 25 gennaio

1873. Nei primi anni di istruzione lo vediamo

al Cicognini di Prato, poi al Liceo di Lucca,

infine all’Università di Pisa. Comincia la sua

attività di insegnamento in varie regioni, in

Toscana, in Emilia, in Lombardia, in Piemon-

te, in Liguria, in Abruzzo, in Basilicata. I suoi

diciotto volumi di poesia non parlano mai

della gente e delle contrade che ha conosciuto

ed osservato di qua e di là per l’Italia.

II

Aspra e bella la Natura della Garfagnana

con le Alpi Apuane.

Soltanto la Versilia sempre viva nella sua

anima, nei suoi meravigliosi versi. Le novità,

gli aspetti clamorosi visti fuori non l’hanno

per niente toccato. L’amore per il suo paese e

i dintorni, ricchi di colline e di borghi arram-

picati sui declivi, di torrenti cristallini dalla

freschezza primaverile, tra castagni e faggi.

Branchi di capre in mezzo alle piante sterpo-

se. Nel grande silenzio l’armonia dei canti

degli usignoli e delle capinere. Di notte grilli

in un altalenare continuo, ad ondate che van-

no e vengono da ogni direzione. Olinto Dini è

immerso in tutto questo ambiente, si amplifi-

ca e si diffonde la sua presenza, sembra un

fantasma che appare e scompare, tra gli alberi

dentro la musica del vento. Nella parte meri-

dionale la Garfagnana è costituita dalle Alpi

Apuane, che azzurre e irte impediscono la vi-

sta del mar ligure. Hanno la prepotenza e

schiettezza delle Dolomiti. È il regno dei fal-

chi e delle aquile. Azzurri spazi fra giogaie

senza contaminazioni. Hanno la densità delle

sostanze senza scorie, limpidi, quasi il vuoto

non esiste, il cielo e la terra si incontrano

scambiandosi le loro parti.

III

Il sentimento d’amore per tutto ciò che è

sublime e delicato.

La poesia di Olinto Dini si espande in tutta

la sua terra, vi trova alimenti, esprimendosi

con una originalità tutta personale. Nei versi

non si trova il minimo riferimento alla sua

D

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.32

cultura letteraria, nessuna traccia dei poeti

che nella Garfagnana hanno avuto una certa

presenza, quali Dante, Ariosto, Pascoli, Car-

ducci. Soltanto per somiglianza di gusti arti-

stici e anche per l’amore che ha verso la soli-

tudine della campagna, non certo per imita-

zione, si avvicina al Petrarca. Grande armonia

nei canti che quasi sempre sono brevi. Si in-

namora di creature vere, semplici, di bellezza

naturale, uguali ai fiori di mandorlo, nell’aria

luminosa d’aprile. La donna che vede passare

davanti alla sua casa, che chiama “Villino dei

sogni”, riempie la sua immaginazione.

“ È fresca come un’aurora,/ è forte come un

querciolo./ All’altura dove dimora / sale co-

me un capriolo./ Par che sfiori appena il suo-

lo.” Tutta un’interiorità che traspare attraver-

so un penetrante lontano sguardo, si ha l’ im-

pressione che l’anima esca fuori per ammira-

re e sognare. Versi asciutti, classici per misu-

rata musicalità e pienezza. Anche modernità

e snellezza notiamo tra forma e contenuto.

“Guardo la notte, e mi si fa notturno/ anch’

esso, il cuore, e i palpiti ne segna/ misterioso

il palpitìo degli astri”. Enrico Pea lo chiama

“l’usignolo di Val di Serchio”. Il sentimento

d’amore eterno, profondo, assillante, domi-

nante. Dalla “Casa dei sogni” in alto, a stra-

piombo sulle cave Olinto Dini come un’ aqui-

la, osserva, emanando dolcezza di suoni.

“Sono una sete d’amore; son come un beone

che sosti/ presso l’usata bettola ond’escon

fragranze di vini;/ e non ha un soldo”. Delica-

tezza dei pensieri sottili, passano liberi, pieni

di ritmo vagano attorno, rimbombano nell’

antro ampio del suo intimo. “Morbidezza di

muschio mi sento sotto la mano,/ mentre

amorosa sui tuoi capelli la passo e ripasso/

con lunghi indugi di fremito”. Nobiltà d’

animo, passionalità leggera. La poesia è la

sua vita, circoscrive il suo mondo, attorno tut-

to il profumo della bellezza amata.

IV

Poesia che non va dimenticata per purezza

di immagini e schiettezza ispirativa.

Le immagini con fierezza non toccate dalla

volgarità, soltanto incanto e sfolgorante luce.

La materialità degli attimi brevi di piacere si

tiene lontana. Olinto Dini, un poeta di grande

cultura, di riflessione. Eternamente posseduto

dal senso della giovinezza, che rifiorisce in

ogni momento. La sua poesia arriva alle Alpi

Apuane, dalla intuizione, da una mente scevra

da pesi di turbamento, tutta immersa nel si-

lenzio e nella pace dei campi. Poesia elevata,

sonora, amata con grande devozione in sinto-

nia con tutto ciò che di sublime, di gentile, di

bello, di caro esiste. Poesia immacolata, niti-

da, fresca, splendente, considerata ormai fuori

moda, dimenticata, non la trovi in nessuna

antologia, non è ricordata in nessuno degli at-

tuali dizionari letterari. La forza sentimentale

dal reale va in pienezza spirituale. “Squassa

ed insieme odora il nembo d’aprile l’annosa /

selva ov’io vado; così l’amore nel vecchio

mio cuore”. Armonia schietta fra le selvagge

boscaglie attorno alla “Casa dei sogni”, ab-

biamo perle e oro rispetto ai versi aridi con-

temporanei, sordi di musicalità nel fragore

delle città, davanti alle espressioni scontente,

piene di inquietudini, di alienazioni, di lercio

materialismo. In Olinto Dini una metrica che

corrisponde alla vitalità intima senza l’ombra

degli artifici. Poesia di intensa sensibilità che

va ad incontrarsi con quella di D’Annunzio,

di Pascoli e di Carducci. Non è derivazione,

ma un puro ritrovarsi insieme, quando si è

nelle altezze dell’assoluto.

V

Versi armoniosi e di classica concisione.

Tutti i volumi di poesia testimoniano indi-

pendenza piena da tutti gli autori che poteva-

no considerarsi suoi maestri. Del tutto perso-

nale e maturata negli anni. La poesia è fatta

soprattutto dalle parole, dai modi di costruire

il periodo, dalla musica delle strofe e dalla

indefinibile armonia che fa dei versi il respi-

ro, sempre inafferrabile e intraducibile. Tro-

viamo in Olinto Dini precisione di grande ar-

tiere, aduso al lavoro della lima, lapidarietà

come quegli artigiani della Versilia che lavo-

rano le pietre dure. Tutti belli , perfetti, ispira-

ti i Canti, sembra che escano da una sorgente

che non conosce impurità. Dulces ante omnia

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.33

Musae. “In questa cristallina aria invernale /

tutto risalta netto./ Non potrei senza pena /

pensare all’impreciso e il disuguale. /Ogni

mio sguardo è una gioia serena / che m’ ap-

paga di un senso di perfetto”. L’ordine, frutto

di riflessione e di misura. Un maestro di poe-

sia dalla mano leggera. Pare che nello stesso

tempo un pennello, un cesello, una bacchetta

magica scuotino simmetrie, dolcezze di toni e

di stile. La poesia di Olinto Dini sa di scaturi-

gine naturale, vista come acqua che zampilla

fra arbusti, nascosta fra il fogliame. Non vie-

ne dai suoi studi umanistici, ma dalle sensa-

zioni e dagli occhi che sono lance appuntite,

spinte lontano. Ha affinità con il Leopardi per

l’intimità delle ispirazioni e per l’amore delle

forme concise, essenziali, trasparenti, senza

sovrappeso, non ci sono lacune, ombre, tutta

completezza: non si può togliere una parola

né fare sostituzioni. La poesia viene dai luo-

ghi natii, filtra attraverso l’interiore, in un

rapporto spirituale, intuitivo-estetico con l’

ambiente esterno è imitazione della Natura,

del vero. Basta stare a Castelnuovo qualche

tempo per capire i canti di Olinto Dini. La

voce del fiume Serchio la si sente nei versi.

VI

Dal “Villino dei sogni” la presenza del Poe-

ta in spiritualità diffusa.

Nel “Villino dei sogni” immutabile la sua

presenza, che rimane estesa, intatta per tutta

la Versilia. Leggiamo l’epigrafe posta sulla

parete. “Olinto Dini comunicò agli uomini le

gioie dell’anima e tanto più semplice e umile

fu la sua vita tanto più in alto con l’ ispirazio-

ne delle muse fu sollevato agli splendidi pa-

radisi del sogno dalla robusta ala della poe-

sia”. La bellezza dei paesaggi tutta nelle ope-

re. Il dominio delle Alpi ha impressionato

sempre il poeta: veri muraglioni, prepotenti,

massicci, come una violenta espressione di

rupi, dalla terra al cielo. La Garfagnana, di-

versa dalle altre parti della Toscana, in gran

parte feconda, rende serenità e gaudio allo

spirito. La poesia di Olinto Dini erompe dall’

anima, si riempie di azzurro, si fa durezza

adamantina, resistenza nel tempo. Riporto di

continuo versi, sono di una fattura impareg-

giabile, di una immediatezza difficile a ri-

scontrarla in tanti altri autori. “Guardo mon-

tagna dov’aquila / ha covo, ed in essa m’

esalto;/ e dico e ridico al mio cuore:/ conserva

quest’apuo vigore;/ ed esso miri sempre in al-

to”: Il mondo esterno come quello interiore è

fatto di luci e di ombre. I sorrisi delle fanciul-

le inondano la vita di Olinto Dini, mettono

sopra un’aria carezzevole, colori e dolcezze

che sanno di nettare e di petali, di farfalla che

sfiora e fugge. “ Questa fanciulla è un riso / di

fresca levità / che par fatto di cielo e di rugia-

da”. L’eterna fanciulla del suo sogno che ve-

de passare e che sente nei palpiti del suo san-

gue, un bene irraggiungibile, luce fuggitiva,

che crea estesa malinconia.

VII

Penetrabilità intellettiva e fine sensibilità ai

palpiti più sottili.

La poesia si fa ancora perfezione, sensibi-

lità che coglie tutti i particolari, le visioni

più diafane. Pittura non soltanto, ma musica,

quando si osservano l’aurora, il tramonto, le

notti di luna. Penetrabilità intellettiva, una

attenta lettura delle meraviglie del Creato,

solo Olinto Dini entra nella dinamicità dei

momenti che si vivono nella Natura, che

portano passaggi, trasformazioni. Serenità e

un certo ottimismo l’hanno sempre domina-

to con il senso del mistero passa ognora dal-

lo spirituale al bello della vita terrena. At-

traverso gli anni ha mantenuto una leggerez-

za primaverile, sempre nella luce dei merig-

gi, aleggiando nell’aria dietro voci e profu-

mi. Conosciuto e apprezzato durante i suoi

progressi artistici, poi subito caduto nell’

oblio. Di certo la sua poesia è di elevato va-

lore, sarebbe bene riavvicinarsi nei tempi

che viviamo, violenti, disamorati, privi di

sensibilità e di umani sentimenti. Olinto Di-

ni, poeta di grande levatura della prima metà

del ‘900, impeccabile autore di versi stu-

pendi, che sanno prendere da ogni parte i

palpiti più sottili. A vederlo, appare dal vol-

to tutto altero, quasi immobile, un fine sorri-

so lo pervade, tutto proteso con la vivacità

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.34

dell’ intelletto e dei sensi. Elegante, di raffi-

nata correttezza, tutto presente con entusia-

smo davanti alle cose ammirevoli. Le sue

tristezze le ha tenute dentro, concependole

aspetti secondari della vita, importante è sta-

re vicino alle grandi realtà, nelle forme de-

gne e vigorose, quelle che hanno essenziali-

tà e fondamentalità esistenziali. Olinto Dini

trova la felicità nelle solitudini meditabonde,

nei luoghi della Garfagnana, amati giorno

per giorno.

VIII

L’Arte è Vita in processi continui intuitivo-

estetici.

Pubblica il primo volumetto di versi “Alcu-

ne poesie” nel 1900 a ventisette anni, ottiene

incitamenti da Angiolo Orvieto e da Giovanni

Marradi. Con l’editore Bemporad di Firenze

nel 1902 “Poesie”, con Lapi di Città di Ca-

stello, 1909 “Fremiti e sogni”, nel 1914 “Due

vite”, cui fanno seguito, citando solo alcuni

titoli, tutti editi da L’ Eroica di Milano, “Vita

e sogno” 1920, “Natura e anima” 1926,

“Ombre e fulgori” 1929, “Dal mio romitag-

gio” 1932, “Voci della mia sera” 1937, “Con-

trasti e armonie” 1948, “Dal villino dei miei

sogni” 1950. Le sue liriche hanno avuto nei

primi anni struttura classica e rime tradiziona-

li. Pochi sono i sonetti che ha scritto. Negli

ultimi volumi abbandona quasi del tutto l’ ar-

chitettura complessa della strofa. Non biso-

gna dire che si concede ai modi libertari della

moderna avanguardia. Acquisisce una mag-

giore disciplina, intensità e asciuttezza soprat-

tutto. Dalle note cupe alle più trasparenti,

sempre fedele all’ispirazione, schietto nei

pensieri e nelle immagini, senza mai cadere

nei formalismi. Perfezione da esteta, mai

freddezza. Le sue liriche in lampi di sintetici-

tà passate attraverso una attenta elaborazione.

Sono gemme: limpidezza e nel contempo

passionalità. Con Olinto Dini l’Arte è Vita,

dentro di essa ha costruito un altro se stesso,

prendendo il materiale dal vero dei fatti e dal-

la Natura. Muore a Castelnuovo il 16 marzo

1951.

Leonardo Selvaggi

QUESTO BASTANTE

Volteggia nell'aria

parola che nutre

parola che crea

carezze leggere

che porta agli abbracci

abbandonati.

Un bacio poi schiocca

da labbra vogliose

e sopra un sorriso

spande nel cielo

lo sguardo di luce

d' ammirazione

lo sguardo di luce

di compassione

e si condivide...

l' essere.

Oh l' amore l' amore

questo bastante

non è mai troppo o troppo poco.

Michele Di Candia Inghilterra

SCIROCCO

Morde il mare quest'oggi lo scirocco.

S'avventa sulla riva e brucia l'anima

delle palme imploranti. Poi si schianta

sulle arrese facciate delle case.

A chi l'ascolta narra antiche storie

di pirati e naufragi e bianchi approdi

per incanto dissolti. Gli occhi inseguono

nubi veloci correre nel cielo.

Le incendierà il tramonto col suo fuoco

e sarà nulla il battere dell'ora.

Elio Andriuoli Napoli

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.35

DOMENCO DEFELICE E LA SUA POESIA ANIMATA DA

URGENZA SOCIALE IN UN SAGGIO DI

CLAUDIA TRIMARCHI di Marina Caracciolo

OPO Anna Aita (Domenico Defelice.

Un poeta aperto al mondo e all’

amore, Il Convivio Ed., 2013),

un’altra studentessa della Facoltà di Lettere

dell’Università degli Studi di Roma Tor Ver-

gata, Claudia Trimarchi, si è laureata (dicem-

bre 2015) con una tesi sull’opera poetica di

Domenico Defelice. Impresa, come sempre,

non facile, data la vastità e i molteplici aspetti

della produzione letteraria di questo autore.

L’autrice illustra nelle prime pagine il signi-

ficato del titolo che ha dato al suo lavoro: «La

poesia assume una funzione catartica, in

quanto libera dalle mediocrità e dalle incon-

gruenze dell’umana esistenza, e rigeneratrice,

poiché – lasciando intravedere realtà altre, ol-

tre la pura fenomenica – edifica uno “spazio”

nuovo in cui è possibile riscattare la pena di

vivere in ben altre infinite possibilità di vita».

La poesia configura dunque nella parola una

nuova dimensione e insieme un superamento,

una sorta di rivincita, con una funzione fon-

damentale non soltanto costruttiva ma anche

salvifica. La scrittura poetica rappresenta –

prosegue infatti la Trimarchi – «una fune di

salvezza a cui aggrapparsi saldamente nel

perpetuo susseguirsi delle stagioni e delle vi-

cissitudini dell’esistenza».

Il saggio comincia risalendo all’infanzia e

all’adolescenza dello scrittore, trascorse in un

piccolo paese della Calabria, dove, a contatto

con la natura selvaggia dell’ambiente, prende

vita pian piano la fervida immaginazione che

più tardi si sarebbe trasformata in attività poe-

tica. Così vengono illustrate le sue prime rac-

colte di versi, dove, in uno stile molto curato

ma ancora soggetto all’influenza dei classici

– uso privilegiato dell’endecasillabo, frequen-

te comparsa della rima e gusto per la struttura

del sonetto – l’autrice ravvisa l’affiorare di

due temi fondamentali: l’amore, vagheggiato

e per lo più non corrisposto, per la donna e l’

acuta nostalgia del Sud, l’amore sconfinato

per la propria terra lontana (Defelice, a vent’

otto anni, si trasferì dalla Calabria a Roma,

stabilendosi poi a Pomezia dal 1970).

Soprattutto il secondo di questi temi conti-

nuerà a percorrere come un leit-motiv tutta l’

attività, non solo poetica, dello scrittore; per-

tanto Claudia Trimarchi ha modo di diffon-

dersi con intelligente competenza sui vari

aspetti – storici, politici e sociali – della co-

siddetta «questione meridionale», dal mo-

mento che Defelice ne ha rivissuto tutti i gra-

vi problemi nel profondo del suo animo con

una intensa e lacerata condivisione.

È appunto il prevalere dell’aspetto profon-

damente umano e sociale a costituire lo spar-

tiacque, il passaggio alla seconda, più matura

maniera dello scrittore, dove, abbandonato lo

stile «passato» che caratterizzava i versi ele-

giaci e amorosi della giovinezza, trionfa la

lindura espressiva dei moderni versi liberi,

spontanei, comunicativi, tanto lontani da echi

stilnovistici, petrarcheschi o leopardiani,

quanto da un astratto e criptico ermetismo.

Rimane immutata, invece, la certezza del po-

tere trasfigurante della poesia. La Trimarchi

cita in proposito le bellissime parole di Defe-

D

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.36

lice tratte da Le poetesse e l’amanuense

(1996): «… anche una ruvida pietra, se sfio-

rata dal soffio di un animo arcano, può acqui-

stare la bellezza del sogno».

Con il proseguire della sua indagine, l’ au-

trice cita diversi componimenti e si sofferma

in profondità sui differenti temi della poesia

defeliciana, fra cui quello religioso, che si di-

stingue per una bontà e per una pace inequi-

vocabilmente francescane, con utili compara-

zioni atte a rilevare prerogative, rimandi, ri-

poste sfumature. Soprattutto nella poesia

animata da un’urgenza sociale, di certo pre-

ponderante nella scrittura di Defelice, la stu-

diosa sa rilevare con acutezza «il senso di an-

goscia e di consapevole impotenza, di abban-

dono e di solitudine impenetrabile che nasce

dalla dolorosa constatazione dell’ immutabili-

tà delle vicende che segnano la storia della

gente del Sud». E proprio da questa sofferta

cognizione nasce spontaneamente «l’urgenza

di denunciare i conflitti sociali, la corruzione

e il malcostume, di farsi interprete dell’ansia

di riscatto di generazioni abiette e umiliate,

prigioniere della paura e del ricatto […]». Ed

ecco allora che, come per un necessario con-

trappeso, il vagheggiamento di un’altra, di-

versa esistenza in grado di curare gli affanni

del vivere quotidiano, ritorna a farsi strada fra

i versi del poeta. Nei «Canti d’amore dell’

uomo feroce» Defelice scrive, rivolgendosi

ad un amico: «Quando tu ed io, Amico

/ambasce più non avremo, / lungo ioniche ri-

ve, sul rosso / tuo battello veleggeremo / col-

loquiando d’erbe e d’uccelli…»; e qui, in una

trasparenza, per così dire, di diafani vetri

smerigliati, pare affiorare la memoria di un

celebre sonetto di Dante rivolto all’amico

Guido Cavalcanti: «Guido, i’ vorrei che tu e

Lapo ed io / fossimo presi per incantamento /

e messi in un vasel che ad ogni vento / per

mare andasse al voler vostro e mio /…».

Lasciando in ombra la produzione narrativa

e drammaturgica, di cui tuttavia fa cenno, l’

autrice passa, nell’ultima parte, a trattare, con

numerose esemplificazioni, l’attività di criti-

co, sia letterario che d’arte, di Domenico De-

felice. Mentre sottolinea il suo merito nel vo-

lere «dar voce a scrittori ed artisti contempo-

ranei ingiustamente relegati nel silenzio a

causa dell’odierna realtà critico-editoriale che

[…[ è votata al dio denaro», esalta in lui non

solo la capacità di scoprire attraverso la sua

indagine aspetti di un’opera, sia essa poetica

o narrativa o pittorica, che il lettore/ spettato-

re, e talora persino colui che l’ha creata, non

sarebbero in grado di riconoscere a prima vi-

sta, ma anche la sua fondamentale dirittura

nel mettere in luce la vera arte, dove essa

realmente esiste, sapendo però agire costan-

temente con equilibrio e obiettività, vale a di-

re senza illudere un autore con eccessivi in-

censamenti oppure, al contrario, annientarlo

con indebite stroncature.

Claudia Trimarchi conclude infine il suo

saggio – corredato, tra l’altro, da frequenti e

opportune citazioni tratte da diversi altri lavori

che sono stati pubblicati su Defelice – con un

meritato elogio riferito allo scrittore ma anche

all’uomo, scrivendo: «è persona onesta, schiet-

ta e semplice; e, fruendo la pienezza poetica

che pervade la sua vastissima e policroma ope-

ra, il lettore non di rado si commuove, piace-

volmente appagato dal cogliere la caratura mo-

rale, lo spessore umano prima ancora che arti-

stico, l’acutissima sensibilità di un uomo since-

ro e leale, integro e coerente con se stesso e

con gli altri. E quando il lettore si commuove è

segno che l’autore ha toccato le sue corde più

intime e che ha fatto vera arte».

Marina Caracciolo La funzione catartica e rigeneratrice della poe-

sia in Domenico Defelice. Saggio di Claudia

TRIMARCHI (Il Convivio Ed., Castiglione di Sici-lia, 2016; pp. 133, € 13,00). Pag. 35: C. Trimarchi

e Defelice all’Università di Roma Tor Vergata su-

bito dopo la discussione della tesi, il 15/12/2015.

DOLORE ALLARGATO

Il nostro dolore del presente

c’induce a rivivere nel ricordo

i personali dolori del passato;

si unisce ad essi,

diventa dolore allargato.

Caterina Felici Pesaro

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.37

ANTONIA IZZI RUFO LA CASA DI MIO NONNO

di Tito Cauchi

NTONIA Izzi Rufo è nativa di Sca-

poli (Isernia) e risiede a Castelnuovo

al Volturno frazione di Rocchetta. La

professione di insegnante e l’indirizzo di

formazione in Pedagogia, hanno caratterizza-

to buona parte della sessantina delle sue ope-

re, di vario genere (narrativo, poetico, saggi-

stico). La sua esperienza vissuta, è evidente

nella recente raccolta di diciotto racconti tra

cui l’eponimo La casa del nonno, che posso-

no considerarsi un solo unico romanzo peda-

gogico.

Angelo Manitta nella prefazione, definisce

la Nostra, “scrittrice a tutto tondo” che ha il

pregio di avere l’espressione limpida e poeti-

ca con i suoi richiami alla natura. Sono motivi

volti a invogliare i più giovani al recupero

della storia che inevitabilmente richiama la

seconda guerra mondiale (vissuta dai nostri

padri o nonni), i costumi sobri o poveri, le ri-

strettezze economiche del periodo post-

bellico, e temi pressanti di attuale realismo.

La voce narrante, generalmente appartiene

al genere femminile, spesso è in prima perso-

na, segno di autobiografismo o comunque di

una esperienza vissuta da vicino Le case del

luogo erano povere, prive dei servizi sanitari,

l’ acqua si andava ad attingere presso le fon-

tanelle del paese, si tenevano orinali (vasi da

notte) entro i comodini e mazzetti di lavanda

dappertutto per contrastare i cattivi odori. Per

strada si raccoglieva lo sterco degli animali

per farne concime.

Si badi nel proseguo ai numeri: le donne

(ragazze) erano destinate al matrimonio a

quattordici-quindi anni e nel corso della vita

coniugale partorivano dodici-quattordici figli;

come nel caso di Flavia, destinata dai genitori

a contrarre matrimonio con Marco, senza co-

noscersi e frequentarsi, ma solo vedersi in ca-

sa in presenza dei genitori o di una zia “zitel-

la” a far da guardia (pag. 92). Nei paesi non

esistevano cicli scolastici completi, così le

elementari spesso terminavano alla terza o al-

la quarta classe, mentre per la quinta ci si re-

cava nei paesi vicini più attrezzati e spesso

privatamente; e questo valeva soprattutto per

le femmine. Esistevano le ‘sputacchiere’. Ed

oggi?

Nel racconto d’apertura, La casa di mio

nonno, uno dei più ampi, in verità Antonina

Izzi, ci parla dei quattro progenitori e delle

vicende del loro tempo. Erano tempi in cui la

necessità costringeva le famiglie a non cedere

ai sentimenti affettivi e i figli crescevano in

autonomia.

I nonni paterni sono Antonia ed Emidio: la

nonna quando si è sposata aveva quattordici

anni, aveva avuto quattordici figli ma ne so-

pravvissero solo otto e allo stato attuale

(2016) ne rimane uno solo di novantasette

anni. Il nonno faceva il procaccia postale e

con un calessino si recava a Colli Volturno, a

ritirare la corrispondenza; aveva una bottega

alimentare gestita dai figli. Alla sua morte la

Nostra, ancora piccolina, spesso andava a

dormire dalla nonna, facendole compagnia e

compiacendo suo padre. Narra di un cugino

che perse un braccio e riportò gravi conse-

guenze ad un occhio, avendo giocato con or-

digni esplosivi disseminati per le campagne.

A

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.38

I nonni materni, vivevano in una casa molto

ampia e comoda. Nonno Antonio era serio e

taciturno, faceva il guardaboschi, camminava

con fucile e cane, nel paese di Scapoli, posse-

deva vari ettari di terreno, le donne di fami-

glia gestivano una trattoria. Nonna Celidonia

era morta nel periodo della prima guerra

mondiale a seguito della “spagnola”; essendo

la primogenita, zia Nice, già sposata, fu sua

madre di quindici anni a prendersi cura dei

fratellini e della casa. Il nonno alla morte del-

la moglie volle costruirsi una casa in cima a

un eremo, vicino al cimitero per stare in

compagnia della sua donna, cosa che ha fatto

fino ai suoi ultimi giorni; trascorrendovi not-

turni colloqui. La nipotina l’andava a trovare

felice di quell’incanto naturale.

I ricordi che ci riportano alla fanciullezza si

vivono felici perché esprimono spensieratez-

za (anche se non sempre). Così Antonia Izzi

Rufo dice che erano gran festa per i piccoli,

luoghi come San Rocco; le stagioni si susse-

guivano ritmate, e costituivano momenti di

gioco la vendemmia, la spannocchiatura; in

quelle circostanze le zie Elvira e Filomena,

allora nubili, offrivano vino e biscotti fatti in

casa, adulti e bambini partecipavano a titolo

gratuito. I tempi felici proseguivano durante

la raccolta delle olive, seguita a fine anno

dall’uccisione del maiale come da tradizione;

poi si rinnovavano la Befana, e così Pasqua e

Natale.

I racconti brevi sono come parentesi che a

volte continuano pressoché nello stesso hu-

mus ambientale e altre volte sono una sorta di

divagazione come quella futurista che ci porta

alla fine del terzo millennio, dove Laura e

Stefano (pag. 29) fra i pochi superstiti di uno

scombussolamento nucleare-biologico- chi-

mico, passano da una vita totalmente automa-

tizzata ad una primitiva. Oppure il ripiego

(pag. 32) di Cristina che si emancipa con lo

studio, diventa infermiera e sposa il collega

Mauro; essi raggiungono il benessere, i loro

figli giungono a laurearsi; ma lei andata in

pensione viene presa da smania o solitudine e

senza avvedersene finisce per tradire il mari-

to, fin quando prendendone coscienza si rifu-

gia nella preghiera; ma il matrimonio era nau-

fragato.

Antonia Izzi Rufo ci dà una bella storia,

quella del giovane Oscar, finché l’Io … non

decide (pagg. 36-63), sia pure con esito triste.

Un ragazzo benestante, svogliato negli studi,

fin quando, già adulto, non scopre la sua di-

mensione umana nella passione della chitarra

e raggiunge la fama internazionale incidendo

CD musicali. La fidanzata, o ‘ragazza’, Licia,

riesce a laurearsi in medicina, e a sposarsi,

ma rimane senza figli e assiste con abnega-

zione il marito ammalato fino alla morte. Per

un caso fortuito i due s’incontrano ed un gio-

vane prete, don Mario, fa da tramite per coro-

nare due sogni, uno è il raggiungimento del

diploma che purtroppo il padre novantenne

colpito da demenza non era in grado di ralle-

grarsi, e l’altro è l’unione dei due maturi in-

namorati, che dura poco per sopravvenuta

morte della donna, malata terminale. Brutta

fine, rimane il ricordo e il dialogo con l’ im-

magine di lei al cimitero, fin quando lui esce

dal torpore, esortato da don Mario e dagli

amici del gruppo musicale e così ritrova la

sua ragione di vita. Pregevole è il commento

psico-sociologico: “Il sentimento agisce nell’

ombra e determina le nostre fobie future, le

nostre angosce, i nostri sbagli, la nostra in-

dolenza.” (pag. 38).

In diversi racconti abbiamo considerazioni

sul dramma senile e su chi perde l’autonomia

fisica ed è costretto ad affidarsi agli altri, spe-

cialmente ad estranei, sia pure in strutture at-

trezzate per anziani, dove “Al primo ‘scontro

casuale’, scoppia la ‘sopportazione repres-

sa’…” (pag. 64). Oppure riscontriamo le

preoccupazioni da parte di una anziana signo-

ra che riguardano il futuro dei nipoti, laureati

o diplomati, è difficile trovare un lavoro. Od

anche una nonna che sprona Marco, giovane

sano e forte, colpito dal morbo di Crohn, che

infine riesce a dare un senso alla vita dedi-

candosi a dipingere, così che gli “sgorbi” lo

fanno uscire dall’apatia, lo “spleen” di cui

parlava Baudelaire. Il pellegrinaggio di Rosa,

a San Giovanni Rotondo per invocare da Pa-

dre Pio, la fine dei dolori del figlio Ivan gra-

Page 39: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.39

vemente ammalato; ma al suo rientro il figlio

si lancia da un ponte mettendo fine al suo

supplizio, mentre la donna si scaglia contro il

Santo. L’Autrice commenta: “Forse la don-

na, nell’inconscio, aveva realmente pregato il

Santo di far morire Ivan piuttosto che co-

stringerlo a sopportare un male irreversibile

che evolveva sempre più.” (pag. 81).

Antonia Izzi Rufo ne La casa di mio nonno,

riferisce che al tempo della seconda guerra,

nel 1943, aveva dieci anni; allora i tedeschi

facevano rastrellamenti per la manodopera e

per le derrate alimentari specialmente nelle

campagne. E queste due evenienze erano ac-

cadute a un giovane, Lucio, il quale dopo vari

mesi riesce a scappare, affamato, come pos-

siamo immaginare, e le sue condizioni peg-

giorano perché durante il rientro, per un caso

fortuito si immerse nelle acque gelide per sal-

vare un vecchio amico, Peppino, che non sa-

peva nuotare. Il suo precario stato di salute,

non migliora, nonostante le cure prodigate a

casa da una infermiera, Angelina, che se ne

era innamorata. Quando Lucio muore la gio-

vane ha voluto realizzare una scia di confetti

azzurri come il cielo per tutto l’ultimo tratto

terreno del giovane ventiduenne, spendendo il

suo patrimonio.

Alcune vicende mi fanno commentare che

non bastano millenni di progresso per rag-

giungere una convivenza veramente civile.

Penso che una nota prevalente riguardi la so-

litudine, conseguenza del bisogno d’affetto

che si riversa, per esempio, sugli animali co-

me sulla cagnolina Rosy, sulla gattina Cleo-

patra e sulla capretta Argentine nella quale

Valentino cerca compagnia; a volte si soppe-

risce con una fiaba come quella che fa sogna-

re Lilla. A volte si realizza un sogno d’amore

come quello di Maria per Eros, con famiglia e

figli, e una buona posizione sociale; ma tutto

ciò non basta e dopo espedienti per combatte-

re la solitudine trova compagnia nella nipote.

In questa raccolta, mi sembra che tutti i gran-

di amori, finiscono male: il mondo va alla ro-

vescia.

Tito Cauchi ANTONIA IZZI RUFO - La casa di mio nonno, Il Convivio Editore, 2016, Pagg. 144, € 13,50

LA SOLUZIONE

Dove chiunque

in qualche modo

può essere aiutato

e può aiutare...

eppoi ritorna la quiete

l' attività e l' amicizia.

Dove ognuno riabilita

la propria abilità

di essere fare ed avere

solvendo quel problema

o quella domanda posta.

Dove ogni persona

può conoscere Sé Stesso

ritrovando la propria

comprensione

sfera d' azione

e Liberazione

ed ogni Religione

l' amor delle persone.

Scientology È La Soluzione.

Michele Di Candia Inghilterra

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

19/6/2016

Da Roma a Torino

Raggi Appendino*:

due belle signore

spadaccine in fiore

colpito han di fino!

Domenico Defelice * Virginia Raggi e Chiara Appendino elette a

sindaco della capitale di oggi e di quella di ieri.

Alleluia! Alleluia!

Page 40: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.40

LA POESIA DI

DOMENICO DEFELICE

HA UNA FUNZIONE

DI CATARSI E

DI RIGENERAZIONE (Un bel libro di

Claudia Trimarchi sul poeta calabrese di Pomezia)

di Luigi De Rosa

pagina 25 del suo bel Saggio sull'o-

pera poetica di Defelice, uscito nel

marzo 2016 (per i tipi de Il Convivio

Editore, direzione di Giuseppe Manitta)

Claudia Trimarchi, che con lo stesso, ma in

forma di tesi, si è laureata in Lettere – nel di-

cembre 2015 – all'Università di Roma-Tor

Vergata (con l'esimio prof. Carmine Chiodo

come Relatore), si legge:

“ Accade che il Defelice giornalista, accorto

osservatore del mondo contemporaneo, in-

contri il Defelice poeta, il quale non si ferma

alla realtà visibile ma attraverso l'incantesi-

mo dell'Arte, la trasfigura, evocando ciò che

della realtà è interpretabile solo poeticamen-

te: “A noi, che amiamo la poesia e ne faccia-

mo pane di vita...ogni cosa ha un altro volto

sconosciuto alla realtà di ogni giorno... anche

una ruvida pietra, se sfiorata dal soffio di un

animo arcano, può acquistare la bellezza del

sogno...”

Guardando il

panorama

dell'opera de-

feliciana

dall'alto della

Torre del

Tempo Tra-

scorso, ci ac-

corgiamo che

c'è un Defelice

poeta di zuc-

chero, poeta d'

amore (dolce

come il famoso Stil Novo) per la Donna e per

la Natura, e c'è un Defelice poeta di assenzio

e di spada che satireggia aspramente su per-

sonaggi e situazioni che offendono l'onestà e

la giustizia; c'è un Defelice paladino dei buo-

ni e degli onesti e c'è un Defelice guerriero

implacabile, che lotta con la penna e con la

propria vita concreta contro la corruzione e le

mafie.

In una fin troppo rapida sintesi si può indi-

care, nella vasta opera letteraria del Defelice

(un calabrese di Anoia, nel reggino) trapianta-

to dal 1964 a Roma e dal 1970 a Pomezia)

una prima fase di ricerca, in cui i contenuti

vengono espressi con forme che ancora risen-

tono della grande poesia classica; seguita da

un'ulteriore fase, che, ripudiando l'Ermeti-

smo, si avvicina significativamente al Reali-

smo Lirico di Aldo Capasso; per poi giungere

infine, negli anni della maturità artistica, ad

una forma più smagata e pensosa sul versante

della poesia dei buoni sentimenti, e ad una

poesia civile infiammata, di satira mista a pa-

rodia, o addirittura colpi di scherno, per quan-

to pietosi perché consapevoli della pochezza

umana a fronte della maestà dell'eterno. Resta

il fatto che la poesia di Domenico Defelice,

vista e assaporata nella prospettiva di una vita

spesa per la letteratura e le arti figurative, ap-

pare per quella che è, cioè la espressione, sin-

cera e pura, di un poeta ed artista genuino ed

autentico che si è fatto da sé tra mille sacrifi-

ci, aperto al contributo letterario di chiunque

purché sia valido e in buona fede; lontano,

comunque, da qualsiasi confraternita lettera-

ria che sia delimitante e condizionante.

Trovo bellissimi quei due “esergo” firmati

da Defelice stesso sul carattere ardente della

propria poesia della maturità artistico- lettera-

ria:

“Chi crede che nell'orto del poeta crescano

erbe rare, fiori variopinti, alberi tropicali:

chi crede che vi scorrano acque fresche e vi

cantino uccelli, non conosce il poeta. Nell'or-

to del poeta crescono spine, fiori avvelenati e

gli alberi proiettano ombre inquiete: nell'orto

del poeta scorre il sangue della gente affama-

ta e l'unica voce è l'urlo della rivolta.”

A

Page 41: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.41

“Ora i miei versi e la mia prosa bruciano.

Nel mio orto non conto le nuvole e non ci so-

no tettoie. Il sole screpola i crani, nel mio or-

to, e i veleni d'intorno convergono impetuosi

nella mia penna.”

Defelice ha lavorato con perseveranza e te-

nacia per una vita intera, anche fondando e

dirigendo, fin dal 1973, tra mille difficoltà, la

rivista “Pomezia-Notizie”, efficace strumento

riconosciuto di elaborazione e diffusione del-

la cultura, forse “modesto” nella forma este-

riore ma oltremodo prezioso e insostituibile

nella sua funzione di valorizzazione della

Letteratura e dell'Arte.

E tutto ciò con l'umiltà e la consapevolezza

dei poeti veramente grandi, senza assumere

atteggiamenti tanto spocchiosi quanto fasulli.

Egli ha messo la propria vena poetica e arti-

stica al servizio di una missione civile e cultu-

rale sempre permeata di onestà e di aspira-

zione tenace alla giustizia (sostanziale, non

formale).

E c'è riuscito. Attraverso gli anni non gli

sono mancati i riconoscimenti – anche da par-

te di critici di grande valore, non legati a car-

rozzoni fasulli al servizio di mode ed interessi

formalmente letterari ma sostanzialmente

centri di potere.

Uno di questi riconoscimenti gli proviene

dal prof. Carmine Chiodo, Docente all'Uni-

versità di Roma-Tor Vergata, giustamente de-

finito da Giuseppe Manitta, nella sua centrata

Prefazione al volume della Trimarchi, “un

critico che ha preferito sempre fare “ricer-

ca” lungo territori più o meno noti della no-

stra letteratura, a partire dalle origini fino ai

giorni nostri.”

Nelle 132 pagine del suo agile ma nutrito

volume, contenente, come detto, la propria

tesi di laurea, Claudia Trimarchi ha sintetiz-

zato, con abilità e sensibilità, l'Ortus (senza

acca, nel senso latino di nascita, origini, vita)

di Domenico Defelice. Ha individuato e lu-

meggiato i “Motivi lirici ricorrenti nella poe-

sia defeliciana”, tra autobiografia ed univer-

salismo. Ha illustrato con efficacia ed acume

la “Questione meridionale” e la funzione del-

la parola poetica “al servizio di un'urgenza

sociale”. Infine, dentro l' Hortus, ha dedicato

la conclusione del suo lavoro ai parallelismi

tra l'opera poetica di Defelice e l'opera pitto-

rica di Gazzetti, Scutellà e Mallai. Per lungo

tempo, e con ardente passione, Defelice è

“andato per quadri”, frequentando e studian-

do pittori i cui dipinti hanno avuto un'influen-

za non secondaria sulle sue poesie.

L'opera si conclude con una utilissima Bi-

bliografia dello scrittore e artista Defelice

(Poesia, Prosa, Saggistica, Articoli) nonché

con una Bibliografia su di lui, altrettanto uti-

le, per conoscere quanto hanno scritto altri

Autori sulle sue opere.

Luigi De Rosa Claudia Trimarchi -La funzione catartica e ri-

generatrice della poesia di Domenico Defelice –

Il Convivio Editore – pagg. 133 – € 13

ANNIVERSARIO

Sedevamo in silenzio sotto il platano

grande del parco a primavera. Il cielo

ornavano le nubi del tramonto.

Era l'ora suasiva, quando lieve

si fa la luce e sfrecciano i rondoni,

in un crescendo di gioiose strida,

gli ultimi voli.

Io pensavo: ecco, un'altra

stagione si consuma e non so quante

te ne serba la vita che già imbianca

il tuo capo e da te fugge.

Il tuo occhio

inquieto si volgeva a contemplare

le obliose apparenze, quasi coglierle

tutte volesse in un estremo abbraccio

dell'anima protesa a possederle,

innanzi della tenebra che incontro

fitta e veloce ti correva. In cuore

sentivo un peso ed un'oscura pena.

Trascorso è un anno. Oggi mi pare lieta

quell'ora che sentii triste. Ormai brucia

senza di te la festa della sera.

Elio Andriuoli Napoli

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.42

LEGGENDO POESIE DI

NAZARIO PARDINI di Aurora De Luca

l suo continuo ardire e di-

scoprire,/il suo coraggio

eterno di sfidare/il mare

nero, lo scoglio e le sirene,/ quella pazzia di

un fuoco che ci fa/scintilla degli dèi, im-

pronta del divino,/bocci di libertà” (da Il vo-

lo di Icaro). È la poetica del tempo imper-

fetto, il canto lirico del passato in divenire,

brumoso, opaco, il verbo di una velata ma-

linconia, dell’azione che faceva ed ancora

fa. Il primo testo, “Il volo di Icaro”, ha la

maestosità ritmica della poesia epica, ed è

forse, per mio modo d’intendere, la vela

spiegata dell’intera raccolta: la giovinezza

dell’uomo è arditezza e follia, un “volo

troppo arduo” che ci sperde in “cieli fra le

stelle”. Segue ad essa “Elegia per Lidia”,

cos’altro se non il sentimento? Si apre così

già il tempo imperfetto “ed oltre i davanzali

le tue mani/coglievano gli steli delle stelle.”,

l’azione che si perpetua dietro le spalle.

Quasi a dire la rapidità del tempo, un volo

per l’appunto, una vista di bellezza dall’alto,

un balzo d’onnipotenza durante il quale la

corporeità è pari all’invincibilità dell’anima.

Subito dopo il tempo imperfetto. E iniziamo

a parlare chiudendo gli occhi, aprendo buchi

da cui tirare fuori emozioni più forti, imma-

gini più vivide che promettano al futuro

“avelli riempiti di colori” dove “danzeranno

beate le fiammelle,/ linguiformi falò, apri-

ranno i cieli”. Che ad un tempo imperfetto si

accosti un tempo futuro è immagine poetica,

di ciclo, di superamento del limite. I testi

che seguono si fanno pieni di belle immagi-

ni, di fragranze, di suoni, di echi che ribat-

tono, di schiamazzi e scalpiccii “E pensare,

ricordi?, che riuscivo/ a silurare il cielo colle

pietre/convinto di bucare anche le nubi”.

Belli gli enjambement che lasciano al verso

ancor più visioni: quel “riuscivo” gonfia la

chiusa dell’intera poesia e le dà il peso degli

anni. “L’albero gemma. Inflorescenze can-

dide/ si aggrapperanno ai rami come figli/ ai

seni delle madri. L’aria si apre […] Ritorna-

to/ sono per rivedere il primo verde [...] La

cimasa/ si fletteva ai garriti delle rondini”: il

poeta ritorna e ritorna a Primavera, quando

l’aria si apre. Presente, Imperfetto e Futuro

giocano e tessono con fili sottili, e non c’è

più freno, il tempo dissolto vaga. Le sonori-

tà si fanno rotonde, l’andamento si dilata, le

immagini rievocano. Possiamo ben sentire il

suono degli zufoli e leggere nella mente i

propositi segreti della classe: siamo anche

noi dissolti nel tempo, abbiamo alle spalle le

ali di Icaro, canne alle golene e “Davanti

[...] c’è un guado,/ un guado che riporta/

quest’uomo ormai attempato/ all’altra spon-

da”. Ma se tutto sembra navigare in cose che

non hanno più presenza, che non sono più,

ecco che “Il peso delle pietre” ci fa riaprire

gli occhi: “E ci portiamo dietro questo peso/

di pietre graffite da nomi/ di padri e di ma-

dri/ volati all’azzurro/[…] Lo porterò con

me oltre quel fiume/ quel sacco di pietre ag-

grappato alle spalle, / lo renderò leggero, lo

renderò una piuma […]” Il poeta torna ad

inneggiare ad Icaro, alle sue ali, cui però

pone il peso di un’intera vita, e all’audacia

giovanile accompagna sogni maturi, visioni

di completezza: “Mi è nemica/ la mancanza

di forza e di energia/ che l’anima possiede e

se ne invola/ lasciando attero a terra/ l’invo-

lucro che più ormai ne è vela”. Il ritmo poe-

tico si è fatto sincopato, non rapido, né ap-

puntito, quasi a seguire il battito più forte di

un cuore vivo. In particolare “Il peso delle

pietre” e “Volerei felice fra le reste” (da cui

ho tratto i versi precedenti) hanno l’ anda-

mento di una canzone commista di violini e

bassi, ma rap. Il tutto si chiude con “Fiume”

e una domanda : “Lo sai tu dove corri?”, l’

idea tanto umana che la conoscenza difetta,

e l’idea tanto divina che la conoscenza rende

immortali.

Aurora De Luca

Il volo di Icaro

Attratto dai richiami del meriggio

[…] i

Page 43: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.43

volò alto,

alto volò toccando cime immense,

azzardi che gli umani

cercano con l’anima e la mente;

ma ci si può bruciare

se il volo è troppo arduo,

si annullano in abissi senza fine

le nostre identità;

sperderci oltre la siepe,

o in cieli fra le stelle

è un naufragio per la nostra essenza.

E tu Icaro,

privo di remeggi, a braccia nude,

senza appigli,

brancolasti in vertigini d’azzurro

quando l’astro di vita e di morte

ti rammollì la cera.

Cadevi impaurito,

risucchiato:

“padre, tu che mi hai dato il volo,

aiuta questo figlio, dagli l’ali,

che il cielo non mi regge

ed io sprofondo incauto negli abissi.

Padre, io sono qui,

corrimi incontro, arresta il mio naufragio,

tu puoi, con il tuo amore

e il tuo superbo ingegno”.

“Icaro, Icaro dove sei?

dove giace mio figlio eterni dèi?

Ditemi alfine! Ch’io sappia almeno

ove cercare; carne della mia,

figlio imprudente, dove il volo tuo

lontano dai miei occhi. Cosa fare?

che cosa potrà fare questo padre?”

Ma d’Icaro la bocca

fu chiusa dalle onde di quei pelaghi.

E quando il genitore

scorse le vane piume

sparse sull’acque a sfiorare gli scogli,

non poté che ergere un sepolcro

in terra d’Icaria.

Maledì la sua arte ed il destino,

gli azzardi degli umani, le imprese folli,

la violenza del cielo, il regno del sole,

maledì quella natura umana,

il suo continuo ardire e discoprire,

il suo coraggio eterno di sfidare

il mare nero, lo scoglio e le sirene,

quella pazzia di un fuoco che ci fa

scintilla degli dèi, impronta del divino,

bocci di libertà.

Elegia per Lidia

Ritornerai tra gli alberi e sui campi

quando l’autunno

lacrime d’ambra

gocciola a terra,

fiore di stagione.

Brillava di passione

l’occhio cielo

ed oltre i davanzali le tue mani

coglievano gli steli delle stelle.

Quando il profumo volerà per terra

(che sepolta ti tenne

per mill’anni)

ritorneranno i fiori inebrianti

di giovani corolle ricamati.

Tingeranno caverne, forre e prati,

vinceranno l’odore della morte.

Lontano sarà il giorno dell’addio

ed il viola dei tappeti al muro

che tennero la bara del tuo rosa

trapunterà di vita la campagna.

L’assenzio spargeranno nelle stanze

che videro i tuoi crini

sciolti a caso

fiori rinati

che più sul nostro suolo noi vedemmo.

Si apriranno gli avelli

e fauni belli amanti dell’amore

suoneranno negli incavi nascosti

flauti imprestati

dagli angeli dei cieli.

Non ci saranno veli

a coprire l’innocenza.

Squilleranno le trombe i Serafini

ed ai confini dei mari

compagnia ci faranno le bellezze

che le brezze mortali di nascosto

rapirono le notti

negli abissi.

Fissi negli occhi i giorni leggeremo

di quando si correva

sopra i sogni

stanchi giammai di abbracci e di carezze.

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.44

Sui colli danzeremo,

sopra le acque

al tinnire frequente

che mai tacque

l’aria imbevuta

dei nostri desideri.

E attorno ai cimiteri anime bianche

sugli avelli riempiti di colori

al canto degli uccelli variopinti

danzeranno beate e le fiammelle,

linguiformi falò, apriranno i cieli.

Lo stradone di scuola

Sono i solchi carrabili sbilenchi

che incidono il tuo corso anche se pieni

delle spoglie giallastre del settembre.

Lo stradone di scuola. Eppure perdi

le verdi scaglie come un serpe obliquo

in cuore alla campagna e mi dilati

i cigli luccicanti di rugiada

per rivestirmi il seno del fruscio

della carta di un libro. Mormorava,

con la voce un po' rauca dei suoi righi,

parole che levavano lo sguardo

sul volto del maestro. Sempre primo

con la bici coperta di fanghiglia

e i gancetti alle balze, mi rapiva

da quello scantinato padronale

che gocciolava sogni sopra il banco.

Giungevo infreddolito, ma la porta

chiudeva fuori sguardi sulle zolle

verdeggianti di aprili anche a dicembre.

Che lanciavamo sassi ti ricordi?

Erano così veloci che anche i falchi

restavano di stucco nel sentirli

sibilare nell’aria. Si sperdevano

e ancora non li ho visti ricadere.

Senz’altro hanno percorso un bel tragitto

se dura più del tempo di una vita.

Bella gara. Presa proprio di petto.

Depredavamo i pioppi di forcelle

per fionde che affondavano radici

nel terriccio dell’anima. Mi provo,

quando nessuno vede, ad impugnare

un cimelio di fionda. Da un tuo ciglio

miro dritto alle cime e scaglio il sasso,

ma guardo attorno e quasi mi vergogno

per come vola basso e poi ricade.

E pensare, ricordi?, che riuscivo

a silurare il cielo colle pietre

convinto di bucare anche le nubi.

Sera di casa mia

L’albero gemma. Inflorescenze candide

si aggrapperanno ai rami come i figli

ai seni delle madri. L’aria si apre

chiara nel cielo. Sfioriranno i gigli.

I narcisi sui prati e sopra i fulgidi

balconi di paese. Ritornato

sono per rivedere il primo verde

che evade con il raggio del mio prato

il fumido maggese. Nelle ataviche

gesta dei paesani o nei cortili

dai cimoli macchiati che si affacciano

alle crepe dei muri, degli aprili

voglio vedere il volto e respirare

l’aria buona di casa. Ascolterò

i primi piedi scalzi di un bambino

nella strada sterrata tra i rondò

dei cipressi giganti. Là i verdoni

covavano già le uova per le estati.

E i passi di mio padre ammorbiditi

dai tappeti terragni ormai sbocciati

alla vita novella. Sarà là

che poi mi recherò coi miei amici

sui rami debordanti

dei ciliegi maturi. Alle pendici

correremo in peduli per sfidare

la corsa della vita ove una casa

attendeva alla sera il mio ritorno

con guance affaticate. La cimasa

si fletteva ai garriti delle rondini

puntuali agli aprili ed io gridavo

litigioso con te fratello mio

paziente per la luce che spegnevo.

Non sarà più la sera che calante

annuncia solo un giorno che va via

coi suoi colori vecchi. Declinante

il segno non sarà della mia vita

volta a rammemorare. Alla natura

riaprire le finestre di un ostello

Page 45: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.45

non varrà che annunciare alle mie mura

colori di serate ritrovate.

Non chiedermi perché

Non chiedermi perché sono venuto

a trovarti di nuovo. Sarà forse

perché qualcosa provo

ancora dentro me.

Sai!, non è molto che pensavo

all’ultimo saluto. Ti ricordi?

Era sul mare, il cielo cinerino

di un settembre un po’ stanco accompagnava

un melanconico addio. Eppure

io non credevo che un lungo patrimonio

potesse rivelarsi così fragile

come la bruma pallida d’autunno.

Il cielo si rompeva ad occidente

e il sole grosso e fervido, alla sera

di quel giorno impossibile, tingeva

il tuo volto diverso. Mi ero sperso.

Non ritrovavo più la strada amica,

la strada di una vita. Sono qui.

Non chiedermi perché. Sono venuto!

Ho ancora dentro l’anima

il sole di una sera,

il mare quasi calmo, un volto stanco,

e una bàttima lenta a misurare

un tempo troppo pigro per chi soffre.

Sarà forse l’amore. Chi lo sa.

Eppure c’è qualcosa che ha guidato

quest’animo rigonfio di ricordi

tra i fiordi del passato. Ma non chiedermi

di più. Accetta un mio saluto. E vado.

Davanti a me c’è un guado,

un guado che riporta

quest’uomo ormai attempato

all’altra sponda.

Il peso delle pietre

E ci portiamo dietro questo peso

di pietre graffite da nomi

di padri e di madri

volati all’azzurro.

Di pezzi di muro

tatuati da dita intrecciate di sogni

per dire: “Ti amo.”

Di gerle di sere

d’incontri d’amore

corrose da acide piogge di tempo.

Di sguardi di lava volati nel cielo

e tornati a pesare.

E di forza rocciosa

sgretolata da ore, da giorni

in pese parole

restate nell’animo

e poi andate a sostare.

Lo porterò con me oltre quel fiume

quel sacco di pietre aggrappato alle spalle.

Lo renderò leggero,

lo renderò una piuma,

per fargli guadare quel fiume,

per farlo volare.

L’abbraccerò con tutto il suo sapore

di terra coltrata, di verde di mare,

di luce di sole, di perse parole

per non farlo morire.

Il fiume

(…)

Ti perderai tra poco nel clangore

dell’irruente mare, ed il tuo salice

ti guarderà sparire. Non t’inganni

il profumo allettante; presto vane

saranno quelle immagini di sponde

in spazi senza fine. (…).

Avresti mai pensato, al rampollare

bisbigliante dei gorghi tra le fresche

chiazze sorgive di finire amara-

mente dentro voragini sì avare?

Nazario Pardini

Page 46: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.46

CHE COSA INTENDO

PER POESIA di Nicola Lo Bianco

A cosa nasce che la poesia antica,

greca e latina, ha un linguaggio sem-

plice, accessibile, immediatamente

comprensibile, pur nella profondità e nell’ al-

tissimo esito poetico?.

Mi domando: si può ritornare a questa sem-

plicità? E come? Sotto quali forme?

La letteratura in genere, pur con esiti di alto

valore poetico, rimane ancora lontana e chiu-

sa in se stessa, cioè prerogativa dei letterati e

dei cultori, e come tale viene percepita in ge-

nere dal popolo, voglio dire dalla comunità

civile nel suo insieme, cioè come qualcosa di

estraneo, che non gli appartiene, perché i suoi

strumenti e l’uso di questi strumenti, anche se

gli argomenti sono ad esso pertinenti, non so-

no i suoi e sono lontani dalla sua sensibilità

ed esperienza.

La ricerca, per ridare alla poesia funzione

civile ed attendibilità presso la società civile

è, secondo me, quella che accorcia la distanza

nell’uso del linguaggio, oltreché nella scelta

delle tematiche.

Il modo dei cantastorie credo sia quello che

può rinnovare questo “patto” tra poesia e so-

cietà civile: e perciò il modo della narrazione

con cadenza recitativa, ritmica, dove gli ele-

menti prosodici interni alla narrazione siano

ben strutturati ed evidenziati.

Lo stile e il linguaggio non possono essere

che il parlato, la strutturazione quella dell’

oralità còlta nel suo procedere, al di là o al di

qua degli schemi grammaticali, normativi

propri della scrittura in prosa.

Intendo la poesia come Rapsodia, come il

canto del rapsodo, del cantore popolare, come

voce di un racconto corale, analoga all’ im-

personalità verghiana, ma fuori degli schemi

descrittivi propri del romanzo.

Non, quindi, un romanzo in prosa, ma un

racconto poematico o frammenti di un poema

in prosa.

La rima non va cercata, è intrinseca al detta-

to poetico, spontanea, si colloca da sola dove

vuole, è più assonanza risonanza, eco, suono

che si specchia, che non sillabario preconfe-

zionato, il che non esclude che la rima ci pos-

sa anche essere, ma trovata da sé, involonta-

ria.

Non propriamente la rima, ma il ritmo, la

clausola, l’andamento musicale.

I protagonisti di questa poesia rapsodica

non possono che essere gli esclusi, gli emar-

ginati, gli scartati, i barboni, i ”mutoli”, i “pa-

ria”, lì dove c’è ancora un forte senso della

vita combattuta a mani nude, col corpo e con

la mente, dove si deve pensare alla sopravvi-

venza, con la tentazione del suicidio, con la

morte fisica o morale: la bellezza risiede

nell’autenticità, al di fuori del “mercato”. So-

no “belli” perciò i derelitti, i clandestini, i car-

toneros, gli intoccabili, i solitari, gli eremiti, i

monaci, le monache di clausura, il perdente

che ritrova se stesso.

Dice il mio amico poeta drammaturgo

Franco Scaldati, purtroppo scomparso, "La

bellezza è dei vinti. Il futuro non è dei vin-

citori, è di coloro che sono in grado di vive-

re” La poesia è nelle cose, esiste a prescindere,

non è una creazione singolare, individuale, è

semplicemente una scoperta, una rinascita, un

portare alla luce quell’elemento: il problema

è sentire e guardare per scoprire, tutti possono

percepire, tutti possono scoprirsi poeti nel

senso della scoperta.

E, perciò, non è necessario un linguaggio

particolare, “il linguaggio poetico”, ma il lin-

guaggio quotidiano, parlato, trovato ovunque

ci siano uomini che parlano, il linguaggio è

loro, sono loro i poeti, solo che non se ne ac-

corgono, non se ne rendono conto. Ascoltia-

mo, parliamo, ma non percepiamo, non ritor-

niamo a riflettere su quello che ascoltiamo o

diciamo: è come se lasciassimo perdere, se

abbandonassimo lungo la strada, quel mare di

poesia che è intrinseco al parlare.

Quello che si dice poeta, scopre questa poe-

sia, questo linguaggio poetico, lo pone in evi-

denza, lo organizza per addensarne il signifi-

cato e lo stato d’animo.

D

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.47

Tutto l’apparato retorico che in genere ac-

compagna la comunicazione poetica o non

c’è, o anch’esso è intrinseco a quel linguag-

gio spontaneo.

In questo senso non c’è ricerca della figura

retorica, ecc., ma piuttosto della prosodia,

cioè di tutto ciò che scaturisce dall’uso spon-

taneo del linguaggio che contiene movenze

gestualità atmosfera tonalità, colore, ecc. che

ricreano l’immagine così come è nata, il

frammento di realtà così come s’è presentato,

così come è stato percepito da chi osserva, la-

sciandolo nella sua spontaneità, nel racconto

dei presenti o del narratore o di quanto e co-

me se ne dice.

E’ dal modo di dire, di pronunciare, di

scandire la parola, la frase o il periodo che si

danno un di più di informazioni, così come

avviene nella recitazione teatrale o nell’

ascolto dal vivo del narratore o dell’ interlo-

cutore, il quale, come il cantastorie, aggiunge

molto alla parola con il gesto, l’ intonazione,

il silenzio, la mimica facciale.

La letteratura descrittiva non credo che ab-

bia futuro: il di più letterario non è più. La

letteratura non può essere data dalla sovrap-

posizione della parola o della lingua alla real-

tà, sarebbe una letteratura solo per la casta dei

letterati.

Il mio scopo è quello di rendere partecipi

tutti, tutti gli strati sociali, alla poesia, alla sua

comprensione ed accettazione nell’ambito del

circuito culturale.

E’ la direzione dell’oralità, ma quale orali-

tà?

L’andamento prosodico della scrittura deve

ricreare l’ambiente, la situazione, l’ora, il

paesaggio, ecc.

Tutto questo non deve essere descritto, ma

fatto immaginare indirettamente.

La descrizione è una sovrapposizione, un

punto di vista, una scelta di immagini e pie-

ghe narrative propri di un’altra cultura, un al-

tro modo di guardare e sentire la vita o l’ ac-

caduto, una curiosità umana e letteraria, inte-

ressante, ma distaccata, non emotivamente

coinvolta e coinvolgente.

In “Centanni di solitudine.”, la narrazione,

anche se in terza persona è poematica, si di-

pana come linguaggio e punto di vista ed

immagini, emersi dalla collettività, o da chi si

presume presente e protagonista.

Insomma, l’intenzione nella mia poesia è

quella di eliminare quanto più possibile lo

scarto tra parola e cosa: come se il lettore

stesse assistendo di presenza a quanto accade,

con tutto ciò che questo significa in termini di

ricreazione delle percezioni sensitive indiret-

te, una sinestesia dettata dal risvolto prosodi-

co della scrittura, non una organizzata “fin-

zione”, ma “funzione”.

La poesia con un frammento di realtà dice

molto, moltissimo di ciò che potrebbe essere

e che non è; è un’aspirazione, un sogno, un

desiderio, una ricerca di innocenza, di un al-

tro modo di essere contro la realtà presente,

chiama in causa indirettamente la coscienza,

ciò che nell’affanno del vivere quotidiano

scompare, non ha la forza di realizzarsi. Il

bello è un frammento della vita in posizione

statica, di quiete, che non ha possibilità di es-

sere altro da se stesso. Anche una formula

matematica o fisica che fissa una legge uni-

versale è bella.

Nicola Lo Bianco

UNDERSCORE

Vanno contraendosi

parole

per ke_

tempo non basta +

X cose da fare:

nella sostanza 0_

optima res

per vincere l’isolamento;

cmq vada_

se appari

sei +

dell’essere

e non vai

mai

in stand-by_

Salvatore D’Ambrosio Caserta

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.48

Il Racconto

A MIO PADRE di Anna Vincitorio

A casa era silenziosa. Piena di mobili,

di oggetti. Ancora permeata d’ invisi-

bili presenze. Passavo da sola lunghi

pomeriggi nell’ultimo tepore del tardo autun-

no. Ricercare, selezionare, cosa conservare.

In uno degli armadi Biedermeier dell’ ingres-

so che s’imponevano nella penombra col loro

antico splendore, ho trovato una scatola rossa

e un pacchetto legato con nastri azzurri. La

scatola era piena di antiche foto, alcune a me

sconosciute di personaggi lontani nel tempo,

altre che avidamente prendevo tra le mani per

ricostruirne il percorso. Ti ho ritrovato, padre,

bambino col berretto con su scritto Andrea

Doria, il viso serio, lo sguardo intenso. Chissà

cosa osservavi. Tanti racconti mi tornavano

alla mente legati alla tua infanzia di discolo.

Una volta rovesciasti una damigiana di rosso

di Puglia sul corredo di tua madre e fuggisti,

agile, inseguito da tuo padre infuriato che ti

scagliava dietro una forma di pane. Il tuo ri-

fugio, quando potevi, erano i nonni. Ma so-

prattutto lei, la nonna che ti serrava tra le

braccia e ti portava a spasso negli aranceti di

famiglia a Rodi Garganico. Amavi nascon-

derti dietro le alte persiane e le porte finestre

per riapparire dopo lunghi richiami, con

enormi baffi di marmellata. Nessuno mi di-

sturba e i miei occhi e le mani vagano tra tut-

te quelle foto; ora ti osservo, giovanotto ele-

gantemente vestito, con un completo spezza-

to, una paglia con gros grein, il viso compun-

to e l’aria a dandy. Tenera la dedica: “A mia

nonna venerandola”. Lasciasti la tua Puglia

per studiare a Napoli. Vivevi presso una ve-

dova e so che alle volte, preso dalla fame,

prendevi dal tegame che bolliva, mestolate di

fagioli che servivano parzialmente a saziarti.

Pazienza se il tegame continuava a bollire

semivuoto. Amavi andare alle aste e ti sof-

fermavi su antiche tazze, vasellame di pregio.

Eri dotato di senso estetico, ammiravi il bello;

arrotondavi le tue entrate facendo la compar-

sa al San Carlo con la tua splendida voce di

baritono. Ti sentivi vicino anche ai poeti ma

nei tuoi occhi verde azzurro brillava la luce

dell’avventura, della irrequietezza.

A quei tempi si amava la patria, gli ideali, l’

odio per il nemico e tu partisti, ragazzo del

’99 per la guerra. Battesimo del fuoco a di-

ciotto anni. Scontri alla baionetta, canti pa-

triottici e, nelle pause, sempre affamato, finivi

le scorte di cibo. Un obice ti colpì schiaccian-

doti il polmone che lese il tuo cuore. Ma tutto

questo non ti fermò. Proseguivi il tuo cammi-

no studiando e lavorando. Ogni lavoro ti

coinvolgeva all’inizio, poi l’ entusiasmo sce-

mava e tu ne provavi un altro arricchendoti di

nuove esperienze. Adesso guardo due foto

della mamma da te gelosamente conservate;

una di lei a sedici anni col viso puro e perfetto

nella sua giovinezza e l’ altro di lei donna col

sorriso malioso da te vista presso una contes-

sa napoletana, amica di famiglia. Ti rapì quel

sorriso a labbra dischiuse, quel ricciolo ca-

priccioso sulla fronte. Riuscisti, data l’ amici-

zia, ad avere l’ indirizzo. Taranto, Via Fede-

rico di Palma, 129 e giunse una tua lettera al

mio nonno. Per te quell’incontro fu un punto

fermo voluto dal destino. Adesso apro il pac-

chetto dai fiocchi azzurri. Ci sono tante lettere

con le buste ingiallite dal tempo, una sopra l’

altra. Se sono lì ed io le ho trovate forse è

giusto anche che le legga; potrò in esse scor-

rere la tua vita, quella di mia madre, molto

prima della mia venuta al mondo. Nelle lette-

re prendono corpo, emozioni, speranze, dolo-

re. “Napoli, 8 aprile 1934: Pina mia, creatura

adorabile, infinitamente cara; sorriso di pri-

mavera sfolgorante di luce, corolla che si

schiude al tepore dei primi raggi della vita;

olezzo, profumo soave, inebriante d’amore

intenso e sanato; tale sei per me. Così ti ho

desiderato, come ti voglio: vita della mia vita,

faro luminoso del mio pensiero, meta di tutte

le mie mete. Ti stringo fortemente al cor mio

nel palpito saturo d’amore infinito e di in-

commensurabile passione che brucia il san-

gue e le vene. Io ti amo quanto non può esse-

L

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.49

re concepito dalla mia stessa mente e tutto

questo è merito della tua infinita bontà, della

tua profonda dolcezza di sentire. Sono queste

tue spirituali doti di sentimento che eccelle

che mi confondono e ti elevano alla dignità

dell’Ideale. Sei il mio orgoglio... Raccolta, in

disparte tu ascolti pensosa e quasi trepidante

questa voce che al cuore t’infonde vieppiù il

sentimento che è tutta la tua passione e, nelle

armonie recondite dell’arcano, volgi le tue

amorose pupille alla fuga luminosa dei tuoi

sogni dorati... Ti sento vicina, respiro l’alito

del tuo amore che mi aleggia d’intorno...

Un’armonia che mi circonda come questa

primavera che: - Brilla nell’aria e per li campi

esulta/si ch’a mirarla intenerisce il core -

(Leopardi) in cui tutte le cose si baciano ri-

create dalla rugiada brillante al sole nascente

dell’aurora candida come l’abito vergineo ed

il velo che indosserai da sposa tutto confuso

col candore della tua anima...”. “Franz mio

tanto caro, ...Spero sempre nel tuo amore. Io

ti voglio tanto, tanto bene e pensarti riempie il

mio cuore di dolcezza. Fra pochi giorni sare-

mo uniti per sempre...” nei racconti di mia

madre la vostra vita a Napoli in Piazza San

Luigi: davanti Marechiaro, dietro la collina.

L’assalto la sera della civetta. Per mamma un

oscuro presagio; poi la perdita del bimbo che

attendeva. Ancora come sospese, padre, le

note della tua voce echeggiavano arie d’ ope-

ra. Nell’ etere ritengo rimangano impressi ac-

cadimenti importanti di ognuno. Il ricordo è

materia tangibile anche sotto il peso degli an-

ni. Tra le carte ritrovate, un po’ strappato e

ingiallito il tuo diario di navigazione. Il tuo

entusiasmo per le novità acuito dalle difficol-

tà del quotidiano ti portarono all’ avventura.

“0,30 - 9 novembre 1936 - in navigazione.

Nessuna preoccupazione per me... e se non

avessi avuto il conforto dell’ esperienza mo-

rale dei compiti di chi è a capo della famiglia,

nessuna altra forza avrebbe determinato la

mia decisione necessaria in questa svolta del-

la mia vita. La famiglia è parte integrante del-

la Patria...” Fu l’inizio di una avventura verso

quell’Africa vagheggiata prima di conoscerla.

In un pulviscolo d’ oro lentamente si dissol-

vevano Castel dell’Ovo, Posillipo, palazzo

Donn’Anna cupo come la leggenda dei suoi

misteri, una parte importante della tua vita,

padre; ma la necessità irrinunciabile di nuovi

spazi, la ricerca di un lavoro diverso tra popo-

li indigeni, quel rullare di tamburi incessante

che ti catturava, i violenti colori di quella

nuova terra ti allontanavano dalla tua sposa

che aveva accettato a cuore stretto il tuo tem-

poraneo addio. Ho letto e riletto il tuo diario.

Guardavi sempre le lancette dell’orologio.

Segnavano un tempo diverso. Nuovi doveri;

la tua vita era impostata all’organizzazione di

un lavoro complesso: Direzione trasporti e

Traffici - Mogadiscio. I tuoi racconti detta-

gliati sullo sbarco; la nave definita mastodon-

tico cetaceo che si ridesta stacco dopo un

lungo sonno e la partenza verso l’Italia nuo-

vamente ma senza di te che hai scelto delibe-

ratamente un diverso destino. Osservo vec-

chie foto in bianco e nero: tu col volto ab-

bronzato, calzoni alla zuava e stivali. Dietro

di te sorridente un’ombra scura. Il tuo giova-

ne attendente che si era affezionato a te. “Tu

stare a me come mio padre e mia madre e di-

fendere da Gim (l’invisibile demonio tenuto

lontano dal ritmico sbattere di due sassi tra le

mani)”. Parlavi sempre del caldo afoso del

giorno e delle notti fredde. Ti era compagna

soltanto una coperta ma mai, così dicevi, una

qualche bella indigena; nei tuoi occhi soltanto

la visione della sposa nella casa solitaria sulla

collina di Posillipo con gli occhi velati di

nebbia e lacrime volti verso il mare che nell’

attesa cresceva a dismisura. Ripensavi a quei

fazzoletti bianchi che, simili a gabbiani, salu-

tavano la nave. Gli occhi dei soldati volti al

porto e alla riviera in dissolvenza, vedevano

sparire a poco a poco un mondo conosciuto

per affrontare quell’ignoto che molti avrebbe

annientato. Ti senti fondamentalmente solo,

avvolto da una moltitudine che non ti appar-

tiene; hai scelto quell’ingaggio per un ipoteti-

co futuro migliore, per le stellette da ufficiale.

Vagheggi luoghi temperati e ti vedi accanto

la sposa protetta da un cappello di paglia che

resiste a quel caldo estraneo ed accetta una

vita completamente diversa alle sue abitudini.

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.50

Sono solo tuoi vagheggiamenti; lei ti è fedele

ma lontana; col ventre in cui sboccia una

nuova vita, ma le tue mani, il tuo viso non ci

sono e nemmeno la tua voce; solo albe e tra-

monti che si ripetono implacabili in quella

grande Napoli che quasi la schiaccia. È timi-

da, impaurita; vede il suo uomo oppresso da

mille pericoli. Teme quel lontano popolo a lei

ignoto, ostile, che l’Italia vuole colonizzare.

Avverte un pericolo indefinito e crescente e l’

insopportabile separazione, da lui. Tutto que-

sto ha cambiato la sua vita. Puntuali si susse-

guono le lettere. Il tempo ha cancellato il pro-

fumo di esotico che le avvolgeva... “Si mani-

festa la possibilità di essere trasferito nella

zona di Addis Abeba dopo la nomina a uffi-

ciale di complemento allo scopo di permet-

termi di espletare il servizio in una zona nuo-

va dove il soggiorno dell’europeo è delizioso

per il clima mite e costante. Molte in Etiopia

le possibilità speculative per iniziare una vita

soddisfacente. Spero che tu comprenderai l’

eventualità di una tua vita futura qui con me

in questa terra che sento di amare per i suoi

soli abbaglianti e per i suoi incandescenti

tramonti. Ti amo con tutta la dedizione della

mia anima; sei il mio Angelo, creatura adora-

bile. Sappi che il tuo cuore amante è fiamma

che non si spegne né per lontananza, né per

morte. Ti bacio e ti desidero incondizionata-

mente; per il bambino che porti in te, scegli

nome di tuo piacimento; sarà la nostra creatu-

ra! Ti bacio e ti desidero incondizionatamen-

te. Il tuo Franz”. “24 giugno 1937. Dopo la

tua ultima con la notizia ferale della morte

della nostra bambina e della precarietà del tuo

stato di salute non ho più pace. Avverto

l’infinità del mare che ci separa e non riesco

più a svolgere il mio lavoro con l’entusiasmo

iniziale; vedo solo il tuo viso, la tua tristezza

acuita dalla mia lontananza... Ti bacio e ti

chiedo perdono per non essere accanto a te.

Tuo Franz”.

Riordino tute le lettere e le fermo nuova-

mente coi nastri azzurri. L’avventura africana

di mio padre si concluse col suo rimpatrio,

causa una grave infezione contratta (ameba e

dengue) che lo colpì. Il mare infinito ora ri-

prendeva una sua dimensione e col volto pal-

lido e scavato vedeva i luoghi da lui amati e

familiari avvicinarsi. L’ancora con un rumore

sordo toccò il fondale. Lo sbarco e l’inizio di

una nuova vita. Dopo anch’io feci parte di

quella nuova realtà e l’affetto che ci unì a

lungo è perdurato, struggente, invisibile an-

che molti anni dopo la tua morte. Ti amerò

sempre e spero che un giorno, non so quando,

mi tenderai la mano.

A mio padre:

Il tempo ha spezzato quelle scale

dove il celeste bagliore si spense

con un grido

fluidi calarono i falchi sul sole

e fu ombra di parole pensate, mai dette

Tu ora non più sembianza ritorni

voce azzurra di dentro e schiudi le mani

al mistero

(da Trama verde sull’aria - Edizioni Hellas

1986)

Anna Vincitorio

Qui sotto: Béatrice Gaudy - Nel cuore se-

greto del bosco.

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.51

I POETI E LA NATURA - 57 -

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

La foglia, e la capra, di

Umberto Saba (1883-1957)

mberto Poli (in arte Umberto Saba)

nacque il 9 marzo 1883 a Trieste,

nella stessa terra di Italo Svevo,

Scipio Slataper, Giani Stuparich. Sarebbe

poi morto di infarto a Gorizia, nella Clinica

San Giusto, nel 1957.

La madre, Felicita Rachele Cohen, era

un'ebrea tutta dedita alle pratiche religiose e

ai piccoli commerci. Il padre, Ugo Edoardo

Poli, era un discendente da una nobile fami-

glia cattolica veneziana.

Quando ebbe il figlio Felicita Cohen, che

nel frattempo era stata abbandonata dal ma-

rito, mise il piccolo Umberto (ebreo perché

di madre ebrea) a balia presso una contadina

slovena, Peppa Sabaz. Il piccolo si affezionò

moltissimo alla balia anche perché questa, a

differenza di sua madre, aveva un tempera-

mento espansivo, allegro, caloroso (e aveva

perso il proprio unico figlio). Il cognome

Saba sarebbe derivato da Sabaz. Secondo al-

tri, invece, deriverebbe dalla parola ebraica

“saba”, che sta ad indicare il pane. Per tutta

l'infanzia il poeta fu tormentato da questo

duplice amore , quello per la madre (che lo

trascurava) e quello per la balia (che lo ado-

rava).

Ma tutta la vita di Saba è marchiata, co-

munque, dalla infelicità esistenziale e dal

dolore di vivere col timore continuo, più che

di morire, di perdere la ricchezza rassicuran-

te dell'affetto della moglie Lina e della fi-

glia.

Chi non ricorda la poesia La foglia, dove

queste idee e queste paure sono espresse

con una efficacissima metafora, tratta dalla

Natura: quella di una foglia caduca, para-

gonata alla precarietà angosciosa della vita

di un uomo? Le linee essenziali della sua

angoscia derivante dai traumi infantili lo

avrebbero poi portato, un giorno, all'incon-

tro illuminante con la Psicanalisi di Sig-

mund Freud.

Io sono come quella foglia – guarda -

sul nudo ramo, che un prodigio ancora

tiene attaccata.

Negami dunque. Non mi sia rattristata

la bella età che a un'ansia ti colora,

e per me a slanci infantili attarda.

Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce.

Morire è nulla: perderti è difficile.

Anche la Natura è permeata dal Dolore.

Anche la vita animale. Si ricordi, solo per un

esempio, la poesia La capra, dove Saba ar-

riva a paragonare la propria situazione esi-

stenziale con quella dell' animale, mansueto

come lui.

In Umberto Saba il sentimento della Natu-

ra ha un carattere spirituale e religioso. C'è

un profondo amore, simile a quello france-

scano, per tutte le creature della Natura, con

U

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.52

le quali il poeta sente un forte legame di af-

finità e di fratellanza. La rappresentazione

del paesaggio è legata alla rievocazione del

passato e di persone care, e altrettanto spes-

so gli elementi naturali assolvono un ruolo

simbolico rispetto alla vita umana.

“ Era sola sul prato, era legata.

Sazia d'erba, bagnata

dalla pioggia, belava.

Quell'uguale belato era fraterno

al mio dolore. E io risposi, prima

per celia, poi perché il dolore è eterno,

ha una voce e non varia.

Questa voce sentiva

gemere in una capra solitaria

in una capra dal viso semita

sentiva querelarsi ogni male,

ogni altra vita.”

La comparazione tra la vita dell'uomo e

quella di un animale è lampante. Prigioniera

l'una (anche se con la pancia piena), prigio-

niero l'altro. Solitaria l'una, solitario l'altro.

Addolorata l'una, addolorato l'altro. Per quel

dolore esistenziale assoluto, quasi indefini-

bile ma reale, di sapore leopardiano, che

permea tutto il mondo dei viventi.

Impressionante, poi, la parola “semita” at-

tribuita al viso (non al muso) dell'animale.

Come se anche la capra fosse trattata , al pa-

ri di esseri umani, come un organismo vi-

vente “diverso”, e comunque di rango infe-

riore. (Ricordiamo che Saba, in quanto

ebreo braccato dai tedeschi, aveva trovato

solidarietà e rifugio in altri due poeti, Unga-

retti e Montale, che lo avevano ospitato in

casa loro).

Umberto Saba, però, non si ferma alla

semplice constatazione della presenza del

Dolore Assoluto. Egli fa derivare da questa

situazione il dovere morale e sentimentale

dell'amore fraterno e della solidarietà fra i

viventi. Un amore necessario, fra tutte le

creature, perché tutte derivanti da un unico

Dio.

Luigi De Rosa

FUOCO E CENERI

Immagini un uomo libero

sulle vie del mondo.

È quel pane morsicato,

per giorni di guerra,

rivolto a quei fratelli

che resistono con la stessa ferita,

truccati di bellezza,

quando l’alba ha soltanto la coda,

per una giornata fatta di

pena e d’inerzia quotidiana,

ecco allora ti mostra il tuo Cristo

e tu non lo riconosci.

Tu vedi solo i boia odierni,

sempre più assetati di vendetta.

Tu osservi i potenti, gerarchi mandati assolti,

a Santiago come a Roma.

Osservi ombre feroci, carnefici dell’anima,

e con loro la morte che avanza.

E poi rimane solo l’oblio,

che cade e si dissolve nei meandri di speranza

perduta nel nulla.

Adriana Mondo Reano, TO

Domenico Defelice - Foglie (1982) ↓

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.53

Recensioni

CLAUDIA TRIMARCHI

LA FUNZIONE CATARTICA

E RIGENERATRICE DELLA POESIA IN

DOMENICO DEFELICE IL Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT)

2016, Pagg. 136, € 13,00

La funzione catartica e rigeneratrice della poesia

in Domenico Defelice, è titolo della tesi di laurea in

Lettere di Claudia Trimarchi, voluta dal prof. Car-mine Chiodo di “Tor Vergata” di Roma, che indi-

rizza la ricerca su autori del nostro tempo. Come

aggiunge Giuseppe Manitta nella prefazione, ri-chiamando a sua volta un intellettuale trevigiano

dell’Ottocento, Giuseppe Bianchetti, “la lodevolez-

za di uno scrittore non mediocre è la capacità di co-niugare il sentire comune con i tempi e i luoghi in

cui egli stesso vive”. Ed è quello che fa il nostro

poeta calabrese, che porta addosso i problemi della sua terra, dell’intero Meridione e “soprattutto l’ ur-

genza sociale”.

Domenico Defelice è un uomo che si è riscattato a nome di tutto il Sud: scrittore, poeta, saggista, cri-

tico letterario e artistico, pittore, giornalista, diretto-

re del periodico Pomezia-Notizie da lui fondato nel 1973, operatore e organizzatore di eventi culturali,

mecenate, umile, ma con schietto orgoglio. La sua

produzione, nella scrittura e nella pittura, ne rispec-

chia la biografia e il percorso formativo; nelle liri-

che giovanili il sentimento d’amore si rivela panico, comprendente tanto la donna di cui si innamora,

quanto il suo paese, tanto la Natura tutta, entro una

cornice esistenziale velata di inquietudine, ma spo-glia del “male di vivere”, in cui rinsalda la sua fede

in Dio.

La neodottoressa romana Claudia Trimarchi in-

troduce la sua fatica dichiarando di fare leva su un

volume in particolare, L’orto del poeta (1991) sotti-le pubblicazione che raccoglie scritti nell’arco di ol-

tre trent’anni (1958/1989) nel quale “gran parte del-

le opere affonda le radici ideologiche”, oltre che biografiche. L’hortus ci restituisce il poeta- conta-

dino che coltiva le sue piante preferite; ed è qui il

senso della funzione catartica e rigeneratrice della poesia. Altresì l’autrice precisa di avere scelto di at-

tuare uno studio comparativo delle singole opere

esaminate, poesia e critica d’arte, per giungere alla fonte della sua creatività. Fa da guida ai quattro ca-

pitoli il saggio di Sandro Allegrini, Percorsi di let-

tura per Domenico Defelice (2006); troviamo an-che guida in Orazio Tanelli per altro saggio mono-

grafico (del 1983), nonché il contributo di altri au-

tori. Domenico Defelice nasce alle falde dell’ Aspro-

monte, il 3 ottobre 1936, da genitori contadini; vive

l’esperienza della guerra, conosce orrori e privazio-ni; nondimeno non perde la vitalità propria dei

bambini e la fervida fantasia, alimentata dalla cam-

pagna e dagli animali cui egli stesso portava al pa-

scolo. A Reggio Calabria consegue il diploma di

ragioniere e perito commerciale, nel 1964 lascia la sua regione e si trasferisce a Roma, e nel 1970 si

stabilisce nel comune di Pomezia. Senza mai di-

menticare le sue radici che si attaccano al luogo ameno Baldis che incontriamo in più luoghi, come

nella silloge Con le mani in croce (1962) in cui in-

dica il suo paese di Anoia come “caduto acciden-talmente dalla tasca di Cristo”.

Claudia Trimarchi evidenzia alcuni temi, come

quello delle migrazioni, nel dramma in atto unico

La mania del coltello (1963). La voce si libra come

il cuore comanda, senza badare alla rima di cui

aveva dato prova nella silloge Un paese e una ra-gazza (1964). Nel saggio al pittore e poeta Rocco

Cambareri, Un silenzio che grida (1968), Defelice

trova occasione per prendere le distanze dall’ Er-metismo; mentre ne La morte e il Sud (1971) è pre-

sente il tema sulla questione meridionale. Quanto

cova in corpo, matura, rivendicando il diritto-dovere di denotare le cose con il loro nome: così “il

pane, pane; il vino, vino”. Era il tempo in cui dice-

va di “andare a quadri” come il titolo di un saggio

del 1973. L’indignazione di Domenico Defelice

esplode nella silloge di Canti d’amore dell’uomo

feroce (1977), con prefazione di Maria Grazia Le-nisa, la quale vi individua il “Realismo Lirico” in

opposizione all’Ermetismo; dove “feroce” sta ad

indicare la fierezza del Poeta, come osserva Sandro Allegrini.

A questo punto il richiamo a Quasimodo, a Unga-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.54

retti, a Marinetti e ad altri che hanno aperto nuove

frontiere alla Letteratura, è d’obbligo. Defelice tro-

va occasione per prendere le distanze anche dall’ Astrattismo nell’arte. Claudia Trimarchi si sofferma

più diffusamente su alcune opere, che ho voluto

schematizzare in senso cronologico, come segue. ***

Un paese e una ragazza (1964) è volumetto in

cinque sezioni. Claudia Trimarchi evidenzia il “verso gentile” iniziale che ci richiama il Petrarca;

il “paesaggio dell’anima” del Defelice si rispecchia

nella Musa ispiratrice Maria e nel paese di Anoia. La Nostra sottolinea segni lirici dello sradicamento,

della solitudine e della nostalgia, che riecheggiano

“A Zacinto” del Foscolo, “A Silvia” del Leopardi (come rilevava l’amico pittore e sacerdote Eleuterio

Gazzetti), connotando la poesia come devozionale.

Nondimeno emerge un realismo magico alla Bon-tempelli nella figura fondamentale della “Venere”

Marcella in cui esplodono deità e terrestrità, con

prevalenza della femminilità in carne e ossa, anzi-ché eterea come una Laura petrarchesca o una Bea-

trice dantesca. Nella quarta sezione rivela una poe-

sia civile i cui frutti maturi anticipano il castigatore

come nelle opere To erase, please? (1990), Alpomo

(2000), Resurrectio 2004, ed altre ancora. Nel poemetto di chiusura, nel personaggio di Scalda-

panche, si rivela narratore di fabula con il soggetto

Marcella che gli sfugge alla maniera di Angelica dell’ Ariosto o di Erminia del Tasso.

La morte e il Sud (1971) tratta della questione

meridionale; si pone come crinale nell’età della scrittura tra quella giovanile e l’adulta, con la pre-

valenza dei temi civili distinguendosi nettamente

dalla produzione precedente degli anni Sessanta. Il

paesaggio naturalistico non assolve più a funzioni

edeniche, ma si copre di tristezza benché non ne

tradisca la magia evidenziata dalla Trimarchi quan-do richiama la tecnica del contrasto in alcuni pas-

saggi, per esempio nella “necessità di sottolineare

che ‘però era estate’ e c’era ‘anche’ il caratteristi-co stridio dei grilli” (pag. 62). In quanto alla seco-

lare depressione economica e culturale del Mezzo-

giorno, legata al conservatorismo e servaggio delle popolazioni, la desolazione è resa da un linguaggio

ben aderente alla situazione sulla scia dei maggiori

scrittori meridionali come Verga e Sciascia. Le fi-

gure sono scolpite e l’ambiente si fa arido, cupo,

s’affaccia il topos del serpente, l’angoscia, il torpo-

re che si abbatte sulla gente del Sud, la diffidenza verso il forestiero; il desiderio di riscatto della di-

gnità calpestata. Gli assassini “perdono la propria

fisionomia ed ogni tratto di umanità” dice la Tri-marchi (pag. 66). Occasione per soffermarsi sul

fenomeno mafioso della ’Ndrangheta, etimo elleni-

stico andragathos “uomo coraggioso, valente”, at-

tingendo a fatti reali di cronaca come il rapimento

di John Paul Getty nel 1973 o alla strage di Dui-sburg in Germania, nel ferragosto 2007, il soffoca-

mento delle libertà e della giustizia. Tutto ciò turba

il Defelice che denuncia senza arretrare, trovando sbocco nell’opera successiva.

Canti d’amore dell’uomo feroce (1977) mantiene

la parola poetica al servizio di un’urgenza sociale in cui la voce si scioglie e si fa meno cruenta. Il Defe-

lice rispecchia il volto di Nonno Domenico di cui

va fiero. La Nostra commenta quanto la ferocia sia in noi stessi come lascito ancestrale della nostra na-

tura; residuo, aggiungo, dell’uomo della foresta.

Ma il Poeta non sfocia in uno sterile pessimismo, bensì reagisce invitando ad amare la natura come fa

nel saggio dedicato al conterraneo amico e poeta

Franco Saccà (1980) e come farà ancora più recen-temente nella raccolta dedicata al nipotino Riccardo

nel 2015.

Nenie ballate e canti (1991) affronta il tema della tragedia umana, come nel caso della vicenda del

piccolo Alfredino Rampi, di cui denuncia la spetta-

colarizzazione; riproducendo in copertina il suo di-

pinto che rappresenta la piccola vittima, inghiottita

da un pozzo artesiano nelle campagne di Vermicino (Frascati, Roma). Per ammissione dello stesso Poe-

ta sappiamo che dopo tale vicenda non ha più toc-

cato pennello. Alberi? (2010) è la raccolta dove il punto interro-

gativo ha valore ironico, per dire che non si tratta di

semplici alberi, ma di persone, di anime. È dedicato ad amici poeti e artisti, fra cui compaiono Maria

Grazia Lenisa ed Ada Capuana (pronipote di Luigi

Capuana). Trimarchi pone la sua attenzione alla

origine delle parole e alla loro connotazione, così

richiama la poetica dell’orto medievale locus

amoenus, l’hortus conclusus, accostandolo all’orto-giardino di cui parla in una sezione della raccolta

Giustamente Nazario Pardini giudica Alberi? come

rifugio, “fuga da un mondo fattosi selva oscura” (pag. 113).

***

Claudia Trimarchi afferma: “Defelice non negava certamente la necessità di innovazione nel campo

delle Belle Arti ma incoraggiava verso un ‘nuovo’

che non ripudiasse però il passato, ma che ad esso si ancorasse” (pag. 96). Perciò, come s’è detto, si

pronuncia in favore su Quasimodo, ma non dei se-

guaci di Ungaretti, e nemmeno dei seguaci di Mari-netti, volendo significare che l’artista come il poeta,

non deve perdere il contatto con la realtà, ma la de-

ve interpretare, offrendo un servizio, divenendo un’ opera rigeneratrice per la sua caratteristica etica.

Da questo scaturisce una dichiarazione di poetica:

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.55

“l’assoluta assenza di timore di non compiacere e

nel bisogno di intendere la poesia come forza edu-

cativa all’utile in armonia con l’alto senso dell’ uomo” (pag. 57), accostandosi al Parini e al Giusti;

ciò che più sopra abbiamo coniugato con l’ onestà.

Nel senso della onestà di espressione, si è pro-nunciato nei seguenti saggi. In favore della poesia

di Geppo Tedeschi nel 1969; in favore della Pittura

di Eleuterio Gazzetti (1980) dai colori forti che par-tecipano del dramma della vita. Così nel saggio Sa-

verio Scutellà (1988), nelle opere pittoriche gli al-

beri sono antropomorfi somiglianti a corpi femmi-nili; il Defelice sostiene che il pittore “tenta ripristi-

nare l’equilibrio spirituale”. Così avviene ne L’arte

raffinata di Giuseppe Mallai (2004), ove si coglie la valenza socio-psicologica, le opere esprimono l’

incomunicabilità fra le persone del nostro tempo e

anche se esse vivono in “superaffollati palcosceni-ci”, ognuna sta in solitudine. Solitudine che nella

Trimarchi evoca i celebri versi del Quasimodo:

“Ognuno sta solo sul cuore della terra/ trafitto da un raggio di sole”. Non per niente il nostro poeta ha

scelto un’opera del Mallai per la copertina dell’

opera satirica Alpomo.

Claudia Trimarchi con La funzione catartica e ri-

generatrice della poesia in Domenico Defelice, mostra padronanza di conoscenza delle opere dell’

Autore, a tutto tondo, che sono di vario genere, ben

collegando le parti riuscendo a interessare il lettore. Nondimeno si può fare fatica ad orientarsi nella

ventina di opere trattate del Poeta e in aggiunta di

altre della bibliografia che lo riguardano, se non si disponga già di una certa conoscenza; perciò ho

preferito conferire un’impostazione schematica. In

tutti i casi ha offerto comparazioni e accostamenti

come per partecipare a un dialogo a distanza crono-

spaziale, dimostrando anche maturità di scrittura e

aggiungendo un tassello alla buona letteratura (Complimenti!).

Tito Cauchi

PASQUALE MONTALTO

DOMENICO TUCCI

IL DIALETTO DELLA VITA

IL SOGNO LA VITA LA BELLEZZA

Apollo Ed.ni, Cosenza, 2015, pag. 158, € 10,00.

Il libro presenta composizioni poetiche di Dome-

nico Tucci, medico catanzarese, e di Pasquale Mon-talto, psicologo cosentino, prefate da Antonietta

Meringola e Bonifacio Vincenzi, e con grafiche in-

terne di Alice Pinto e Giulio Tucci.

La poesia di Tucci piace in quanto piana e cor-

diale, una poesia non assolutamente complicata, ma

accessibile e armoniosa, sia nella lingua che nei

contenuti esistenziali, come quelle intitolate a Bru-no, a Ombretta e Gianfranco (Salute a te, Bruno/

auguri per questi/ tuoi anni belli, / per l’amore e l’

amicizia/ che ci dai …; Auguri, Ombretta, / auguri/ alla tua bellezza, / ai tuoi occhi sognanti, / alla ve-

rità …; Amico, perduto nel dolore!/Troverai/ la

speranza,/ il sogno/ e il domani?). La poesia accompagna la vita di Tucci, che mira

all’essenziale e in ciò consiste, mi pare, la qualità del

suo Io poetico. Tucci canta in modo naturale e spon-taneo, e le sue parole vanno diritte al cuore e all’

anima: non per nulla cuore e anima ricorrono in Tuc-

ci in coppia, come nel caso del componimento Cuore e Ubriaco di vita, dove si legge: Sono a casa, / il sa-

pore dolce/ di te/ scende nel cuore. / Sono ubriaco/

di vita/ e di te. / Io custode della tua anima. Le poesie di Tucci riflettono anche le sue compe-

tenze medico-psicologiche e colpisce la fluidità del

linguaggio semplice e suggestivo: Il vento porta profumo di rose …/Questo fu ed è il Karma. / Oltre

il tempo e lo spazio. / Io ti amo come un sublime sogno. Per raggiungere questi esisti espressivi, po-

sitivi e convincenti, Tucci, certamente ha limato va-

rie volte e con passione i suoi versi, che ampiamen-te riflettono i suoi pensieri, le sue sensazioni e sen-

timenti. Grati dobbiamo essere a Domenico Tucci

per averci regalato una poesia calda di amore, di anima e di vita. Sicuramente leggendo le poesie di

Tucci e di Montalto, la nostra mente, come giusta-

mente dice Antonietta Meringola, gioisce, così che il lettore riceve in dono autentici fiotti di sentita

poesia.

Convincente e profonda la poesia dell’acrese

Pasquale Montalto, che, con Tucci, presenta una

poesia di alto valore poetico. Poesie che sono carat-terizzate da una continua ricerca linguistica e che

promuove tutta una serie di metafore e di immagini

ben costruite, che danno suggestioni e producono pensieri. Montalto consegna alla poesia Scrivere

(pgg.53-59, con traduzione romena di M. Cristian)

la sua poetica, la finalità del suo scrivere poesia ap-punto. Difatti ci imbattiamo in versi come: Scrive-

re, perché, nel vortice/ la parola vera interrompa,

la cultura dell’inganno. / Scrivere per vincere/ sul buio della mente/ e scavalcare oscure chiusure, /

che non si conoscono/ e non permettono di vivere. /

E scrivi, scrivi, al posto di convertirti, / non ubria-carti di un’ideologia inconcludente. / La scrittura

meditativa, / vera oasi d’allegria per il passeggero

stanco, / che con leggerezza già guarda/ al gioco del giorno successivo.

Orbene, se si leggono bene queste poesie, Mon-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.56

talto presenta tutto ciò che è la sua scrittura, e che

forma per me il carattere primario di Voci dialettali.

E come sensibilità d’impegno alla vita quotidiana, attitudine meditativa e nomenclatura sentimentale

del poeta, eccone subito una prova lampante in Sto-

ria (pag. 60-61, tradotta in inglese da D. Montalto), dov’egli dice: Storie di amori difficili e tardivi, /

storie tradite nel cuore del risveglio. / Storie trava-

gliate come tante. E ancora in Nel cuore il dolore, si legge: Giudizi affrettati, / da quattro soldi al

mercato, /mi sfiorano, mi raggiungono, mi attacca-

no, / mi sconvolgono l’animo. E pure in Strade, ri-suonano questi versi: Strade di storie tristi/ intrise

di veleni cocenti, / con argini insozzati/ da cupe

sporcizie umane. Si confronti anche il “tieni dritta la meta, / oltre quel cancello reclusivo, / tara men-

tale dell’acefalo tecnologico” nella poesia dedicata

ad Alda Merini, con la dedica Per ogni mamma che ancora spera.

La poesia di Montalto è corposa, di sostanza,

scorrevole, e narra la vita nei suoi diversi aspetti. Una poesia varia e cambiante nei ritmi e argomenti,

ma tutto è ben orchestrato dall’Io poetante che si

insinua ovunque, per far emergere vari contenuti e

atmosfere.

Anche nella seconda parte Il dialetto della vita si

ammirano versi vivi e fluidi. Al riguardo si vedano

le poesie Alfabetiere, Una nuova storia, Natura, Amore, Donna del mattino. Qui la parola di Mon-

talto, riprendendo i versi della poesia Il dialetto del-

la vita, è vera, bella, libera, giusta. Nella stessa poe-sia si legge: Morbide scorazzano le parole, / con l’

impegno ritrovato, che costituisce uno dei tanti

pregi di questa Poesia del risveglio, dove a pagina

novantasei si legge: Il fogliame geme, a primavera,

/ mosso dal vento rubilante. /che scuote le esili

gemme. Poi in Donna del mattino il poeta canta: Colorata

bellezza sul tuo viso compare/ quando aurora si le-

va/ e di umido lascia la terra desertica/ … e del suo cuore ti aspetta il tepore. Montalto diventa libero

attraverso la poesia. E questo sentirsi libero lo porta

a scrivere versi autentici e originali. Bonifacio Vincenzi è nel giusto quando nella

sua condivisibile prefazione scrive che nelle sue

poesie c’è “luce”, ma pure colore e profumi, “c’è

l’aura nei luoghi, nelle persone e nelle cose”, ma

c’è anche tanta libertà di inseguire la sua vita e

quella degli altri, i luoghi che danno vita alle sue poesie.

*Carmine Chiodo

Roma, maggio 2016 *Docente di Letteratura presso l’Università di Ro-

ma Tor Vergata.

LUIGI DE ROSA

LA GRANDE POESIA DI

GIANNI RESCIGNO

il poeta di Santa Maria di Castellabate

Genesi Editrice, 2016 - Pagg. 188, € 14,00

Un saggio commosso, all’apparenza quasi im-

provvisato, per l’attualità, la tempestività e la

unanimità del coro di dolore alzatosi alla scom-parsa del poeta di Santa Maria di Castellabate, il

13 maggio 2015, e per l’enorme quantità di giudi-

zi, in quanto, De Rosa, preferisce far parlare gli altri più che se stesso. Infatti, già nelle prime pa-

gine egli rende noti alcuni echi di amici scrittori,

poeti e critici che, increduli, hanno ricevuto la fe-rale notizia: Giorgio Bárberi Squarotti (il maggior

critico di Rescigno, che ha prefazionato gran parte

delle sue sillogi, a partire da I salici, i vitigni e che, per la triste occasione, ha composto pure la

commossa poesia “Gianni”, nella quale fa quasi

una sintesi dei temi cantati da questo poeta), San-dro Gros-Pietro (l’editore di quasi tutte le sue

opere maggiori), Rossano Onano, Giorgio Agni-

sola, Francesco D’Episcopo, Franco Campegiani,

Maria Rizzi, Umberto Vicaretti, Pasquale Bale-

striere, Giacomo Panicucci, Sandro Angelucci, Paolo Bassani, Ninnj Di Stefano Busà, Giorgio

Linguaglossa, Mariella Bettarini, Liliana Porro e

Elio Andriuoli e, in particolare, Marina Caraccio-lo, che è stata la prima a tentare di esplorare a

fondo il mondo poetico rescigniano con il saggio

Gianni Rescigno: dall’Essere all’Infinito (2001). La Caracciolo sarà pure tra i primi a commemo-

rarlo sulle pagine di Pomezia-Notizie. Scrive De

Rosa a tal proposito: “Si tratta di un pezzo parti-

colarmente centrato, la cui collocazione potrebbe

anche trovare spazio nella parte del libro dedica-

ta agli interventi della Critica sulla poesia di Re-scigno, ma che letto qui, subito, ci dona anche la

commozione del ricordo dell’uomo, oltre che del

Poeta, così a ridosso dei giorni successivi alla sua dolorosissima scomparsa”.

Il volume di Luigi De Rosa, bello anche dal punto

di vista editoriale, oltre ad esaminare tutte le opere di Gianni Rescigno, ne illustra anche le varie tema-

tiche. È suddiviso in due parti: “I libri di poesia” e

“La poesia di Resigno nella critica letteraria”, nella

quale ultima si dà particolare attenzione ai saggi e

agli interventi di Squarotti e Caracciolo, ma anche

di Franca Alaimo, Sandro Angelucci e Antonio Vi-tolo.

De Rosa evidenzia come Rescigno abbia, nelle

sue opere, cantato sempre lo stesso ambiente straordinario (la Campania fertilissima, il salernita-

no-cilentano) con figure, immagini, personaggi in-

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.57

dimenticabili per ricchezza umana e solidarietà cri-

stiana (la madre, in particolare, il padre); una terra e

“una Natura adorata, non ancora minacciata gra-vemente dall’inquinamento, prodiga di sapori e

profumi anche se esigente di sacrifici amari e di

“fatiche” a volte sovrumane”. E precisa: “La Natu-ra è nel suo mondo, è dentro la sua sensibilità e le

sue fantasie, anche nelle sillogi in cui il tema domi-

nante è il sofferto, ma alla fine fiducioso, rapporto con Dio, o l’amore, o la memoria, o gli affetti fami-

liari, o la pietas per gli umili e i diseredati e per la

fatica di vivere”. “Questo poeta del Sud raffigura la propria terra - scrive Teodoro Giùttari - scartando

ogni facile folclorismo, la esprime senza cantarla,

la proclama senza estetizzarla, con impegno civile ed umano, oltre che artistico e letterario”. Natura-

Terra che significa tutto, il paesaggio e chi sopra ci

vive: “Cintura di cemento alle spiagge/zitte/ respi-rano le ville senza fuoco./Attendono le domeni-

che/dei padroni/che non sentono colpa verso

Dio...”. Sono versi che troviamo in Torri di silenzio e che si riferiscono al paesaggio ferito dalle costru-

zioni dei ricchi per la villeggiatura, da gente sprez-

zante verso gli uomini e verso Dio, orgogliosa della

propria ricchezza, che cementifica le spiagge non

per necessità, ma per lo sfizio di passarci solo pochi giorni all’anno; case, cioè, praticamente abbando-

nate - “senza fuoco”, scrive il poeta, e perciò senza

vita. Una Natura-Terra che parla attraverso le cose e sprigiona l’eterno. Le foglie degli alberi sono pa-

role, per Rescigno, nel senso che parlano attraverso

il ticchettio che su di loro produce la pioggia o il fruscio del vento che le attraversa ed è così che ci

raccontano della caducità d’ogni cosa e delle stelle,

dell’umano pensiero e dei gabbiani, della vita e del-

la morte, della quotidianità e dell’eterno (“tra la

morte e il risveglio”).

Questo libro è un “viaggio all’interno della poesia di Rescigno”, le cui “tematiche portanti”

sono presenti già nel primo libro Credere, ma ap-

pena in germoglio e vengono sviluppate man ma-no, poi, negli altri. Rescigno “bolla e condanna l’

ingiustizia sociale. Sceglie quelli che lavorano,

con fatica; quelli che stentano; quelli che devono sbarcare il lunario tra mille difficoltà. Ma la sua

non è una protesta sociale violenta e classista”.

Tranne rari casi (si veda “Cominciò settem-

bre”), la poesia di Rescigno è ricca di aggettivi (lo

rileva anche Tombari), ma, come afferma Squa-

rotti, quasi sempre “senza eccessi”. Un libro stilisticamente veloce, questo di De

Rosa; gradevole nella lettura, che tocca i vari temi

cantati dal Rescigno, in particolare la fede, l’ af-fetto per genitori e figli, il prossimo; il tutto, però,

sublimato o, quantomeno, trasfigurato in un’ at-

mosfera visionaria. Ed è per questo che il canto

rescigniano è sempre nuovo e diverso anche

quando, in effetti, sta narrando il già detto.

Domenico Defelice

CLAUDIA TRIMARCHI

LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERA-

TRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DE-

FELICE

Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, € 13,00

La tesi di laurea di Claudia Trimarchi segue

passo passo il percorso esistenziale e poetico di

Domenico Defelice. Lo fa con appropriate cita-zioni, ricercate da tutte le sillogi che il nostro Di-

rettore ha pubblicato nel tempo: da quelle giova-

nili, spesso rispettose della metrica, alle ultime in verso libero e d’impronta più propriamente civile.

Cita spesso gli studi di Maria Grazia Lenisa e di

Sandro Allegrini che hanno sviscerato in profon-dità le opere del nostro autore.

La nativa Anoia, con i suoi paesaggi agresti, la

Calabria, con i suoi molteplici problemi, sono

spesso lo sfondo dei versi di Domenico Defelice e

l’ attenta critica lo evidenzia con mano esperta. Soltanto la poesia sa consolare la disperazione e

addolcire il pessimismo, davanti all’inaridimento

dei valori. Nella seconda stagione poetica di Defelice la

poesia è denuncia “al servizio di un’urgenza so-

ciale”. A volte la Trimarchi sente l’urgenza di ci-tare liriche particolarmente incisive nella loro in-

terezza (anche nelle note esplicative), per rendere

efficace e partecipe il suo discorso. Le citazioni

riguardano anche i saggi critici e i testi teatrali

scritti da questo autore che alterna all’idillio la

sua passione civile. Non mancano riferimenti alla predilezione di Defelice per la pittura, di cui è un

valido rappresentante.

Infine va sottolineata l’attività di mecenatismo, che viene realizzata (a partire dal 1973) attraverso

le pagine del mensile “Pomezia-Notizie”.

Vorrei riportare il giudizio conclusivo della Trimarchi su Defelice, da cui si può tratteggiare

esattamente la sua figura. “Lontano dai clamori

dei letterati e dall’autoreferenziale mondo intellet-

tuale, umile di carattere ma ferreo nelle proprie

convinzioni etiche, mai disposto ad alterare il

contenuto o la direzione del proprio pensiero per tenerlo sui binari della communis opinio, Dome-

nico Defelice non ha mai operato per il plauso del

pubblico, prediligendo l’urgenza di dire più che di pubblicare”.

Elisabetta Di Iaconi

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.58

CLAUDIA TRIMARCHI

LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERA-

TRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DE-

FELICE

Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, € 13,00

Una tesi di laurea in Letteratura italiana moderna

e contemporanea.

Siamo di fronte a un saggio seriamente condotto da Claudia Trimarchi. Approfondimento della vasta

opera di Domenico Defelice, autore poliedrico la

cui analisi ha investito più settori: drammaturgia, poesia, narrativa, pittura. Viene esaminata con de-

vota attenzione la produzione del poeta dagli anni

1958 e il 1989. Si parla di hortus conclusus, anche se il nostro autore non ha mai smesso di donarci sue

testimonianze sia in campo letterario che sociale.

È un poeta che non si stanca di percorrere con de-vota attenzione il difficile e controverso campo del-

la poesia. La laureanda Claudia Trimarchi affronta

in modo comparativo l’intera opera riportando di-rettamente le parole dell’autore. Felice intuizione

perché nei versi affiora la sensibilità e la forza del

poeta producendo un effetto emotivo diretto. Poeta,

Defelice che dalle sue origini contadine legate all’

Aspromonte, attinge forza solare tradotta in versi che assumono particolare vivezza pittorica:

“(...) La zagara m’investe,

ancora nei sogni parmi vagare (...) sotto le volte immense degli ulivi...

...

Scaverò con queste mani bianche le tue crete sonanti di conchiglie

e ascolterò i respiri ampi del mare,

da cui fremente nascesti,

seduto sotto le querce annose

in compagnia delle tue ninfe, amore”

Si analizza sia il meridionalismo tipico delle pri-me composizioni - “La morte e il Sud” che il per-

corso attraverso gli anni del boom; ci sono nei suoi

scritti riferimenti autobiografici ed eventi realmente accaduti (vedi saggio di Sandro Allegrini del 2006).

La nostra Claudia cerca di capire il segreto della

poesia di Defelice e ci riesce dandoci una visione ampia e pregnante del suo sentire come anima che a

sue spese ha realizzato scelte esistenziali.

Indicativo il frammento in “A Riccardo (e agli al-

tri che verranno)” Ed. Il Convivio - marzo 2015

pag. 40:

“Nonno dici alle nuvole di andarsene? Voglio il sole

Potessi comandare le nuvole! Andate!, dico a quelle nere

che coprono il cielo di gramaglie.

Ed esse vanno, (...)

Claudia Trimarchi affronta ogni sfaccettatura

dell’opera di Defelice istituendo collegamenti an-che tra pittori (Gazzetti, Scutellà, Mallai) e la poe-

sia del nostro.

L’arte è universale e deve comunicare; le parole devono essere semplici e naturali e la pittura tende-

re al concreto, al figurato, al poetico.

Tutto questo quando c’è una affinità anche latente tra poesia e pittura.

Si potrebbe concludere che Defelice ha vissuto

sin da giovanissimo per l’arte, la letteratura, senza però allontanare il suo occhio attento dal sociale.

Sono inoltre citati nella tesi critici di chiara fama

che hanno evidenziato “lo spessore umano prima ancora che artistico, l’acutissima sensibilità di un

uomo sincero e leale, integro e coerente con se stes-

so e con gli altri”. “E quando il lettore si commuove è segno che

l’autore ha toccato le sue corde più intime e che ha

fatto vera arte”. (Le poetesse e l’amanuense - 1966 pag. 33 di Domenico Defelice)

Anna Vincitorio

IL BOZZOLO DORATO

Il filo della vita,

ravvolto attorno a un bozzolo dorato,

chiude un oscuro baco.

È il grumo della pena che si cela,

pronto a involarsi, quando

potrà svanire il chiaro labirinto.

Andrà in frantumi il baco,

mentre si spargeranno in alti cieli

le rischiaranti luci.

Elisabetta Di Iaconi Roma

EUROPA

L’urlo dei corvi aleggiò lontano

quasi il pianto di una libertà sovrumana,

mentre moriva il canto di questa Europa

senza poemi,

muta di spirito degli uomini, poi

all’improvviso

s’udirono i passeri cantori di questa terra

saccheggiata;

i chiurli, i fringuelli il loro richiamo di fine

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.59

inverno,

cantori dei bucaneve e delle primule a consolare

questa Europa caduta nella galassia

dell’indifferenza,

per una morte quasi annunciata.

Dove sono le canzoni dei confini, delle foreste,

le voci delle onde e dei fondali, che tu Europa

non sai più ascoltare, dove sono?

Nella tua carne si dissanguano gli dei,

si inchiodano le stelle nel tuo cuore,

potrai essere terra che nella luce rinasce,

paradiso perduto al ritorno della vita,

potrai se lo vorrai con la tua anima, nella fede

dei tuoi uomini indomiti e guerrieri, per una

nuova generazione di speranza e futura felicità.

Adriana Mondo Reano, TO

MEZZOGIORNO

Fiumi fumiganti

di salsa verde

saporosi arrosti aromatici,

escono baldanzosi dall’osteria

mischiata di altre aromatiche fragranze.

Dal tavolo ilari parole

squarciano sguardi indifferenti

offrendo anche all’osservazione più distratta

motivi per riflettere

sull’inevitabile gaiezza

di un pranzo di mezzodì.

Mentre signore e signori

di abito leggero,

assurgono dal pasto

l’esser loro,

libero da frontiere

senza più confini,

nella spontaneità

e nella libertà di esprimersi,

acquisisce l’indissolubile

esemplarità di esistere.

Nel pranzo anche il cuore

si spoglia

di inutili affanni

per gridare alla campagna

il suon beato,

mentre da lontano a rintocchi lenti

un campanile squilla;

è triste solo l’aratro

che immune dal piacere mondano

inonda l’essere suo

dell’abbandonata utilità del mezzo.

Susanna Pelizza Roma

TEMPORALE A POPPI

Le piante squassate dal vento

ondeggiano sotto la pioggia

ed ora la nebbia nasconde

ogni cosa oltre l’orlo dei tetti

sui quali si affaccia guardinga

la ben riparata finestra.

Ed è così intensa la pioggia

che anche se è là, oltre ai vetri,

a me quasi viene la voglia

di aprire qui in casa l’ombrello.

Poppi, 12.6.2016, ore 20.30

Mariagina Bonciani Milano

IO E MAMMA

Non è un bambino,

è un uomo, già,

maturo, razionale,

normale ma con qualche

problema psicologico

che lo rende insoddisfatto di sé,

della vita che pure

è stata prodiga con lui:

l'ha dotato d'intelligenza,

prestanza fisica, attitudine

al sorriso e alla gentilezza,

in una famiglia l'ha deposto

agiata e affettuosa.

Schiva il trambusto, la folla,

la presenza frequente di estranei.

Sta bene con i suoi cari

e con essi ama restare,

uscire di casa, distrarsi,

viaggiare, andare al mare;

con i suoi familiari,

la mamma in particolare.

Ogni volta che questa gli consente

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.60

di passare un po' di tempo con lui

per una passeggiata

o un giro in macchina

o una breve vacanza,

è felice come non mai.

Lo vedi sereno, il viso disteso,

gli occhi che brillano

e i moti riflettono interiori;

e lo ascolti che narra estasiato

di loro due insieme

e intercala ogni parola, ogni frase

con <<Io e mamma>>

<<in paradiso>> in sua vece

il silenzio completa.

Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno, IS

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE POESIA: PREMIO DAMIAO DE GO'IS A

CORRADO CALABRÒ - Roma, 7 giu. (Ad-

nKronos) - L'università Lusófona di Lisbona ha conferito il riconoscimento Damião de Góis a Cor-

rado Calabrò per la sua opera poetica e per i valori

umanistici da lui affermati nelle sue molteplici atti-vità.

Damião de Góis fu un grande umanista portoghese

del '500. Condivise con i grandi spiriti cosmopoliti del suo tempo, e in particolare con Erasmo - del

quale fu grande amico -, gli ideali di rinascita della

cultura umanistica europea e promosse il Rinasci-mento in Portogallo, dove fu peraltro processato

dall'Inquisizione per le sue idee aperte e non con-

formiste.

La cerimonia della consegna a Corrado Calabrò della Medaglia-Riconoscimento Dãmiao de Góis ha

avuto luogo il 30 giugno a Lisbona, nell'Università

Lusófona, alla presenza dell'Ambasciatore d'Italia. (Nex/AdnKronos)

***

LA FUNZIONE CATARTICA E RIGENERA-

TRICE DELLA POESIA IN DOMENICO DE-

FELICE - Riceviamo da Roma una E-mail (del

29/05/2016) di apprezzamento della tesi della gio-vane neolaureata - Carissimo, avevi ragione. Il li-

bro di Claudia Trimarchi è un bel libro, e Manitta

ha fatto bene ad accoglierlo nella sua rispettabile collana e a rendergli onore con la sua autorevole

prefazione. La Dottoressa Trimarchi ha esplorato,

con acume e partecipe passione, in più direzio-ni concomitanti, il tuo universo poetico, e ne ha

fatto emergere il senso e il valore. Auguro al libro

una attenta ricezione, e spero che presto facciano seguito altri scritti di critica letteraria. All'autrice

auguro un felice e operoso cammino, sia sul piano della realizzazione sempre più piena e gratificante

del Sé (nel senso junghiano del termine), sia sul

piano del lavoro letterario, per il quale possiede ot-timi strumenti e una notevole capacità di comuni-

care. Vedo che abita a Frascati, città che mi è cara

anzitutto perché vi abitava, e vi possedeva un affa-scinante studio presso la stazione ferroviaria, l'in-

dimenticabile amico Italo Alighiero Chiusano,

germanista, romanziere e poeta. E che mi è cara anche perché ho fatto parte per diversi anni del-

la giuria del premio letterario Frascati, ora intito-

lato ad Antonio Seccareccia, che pure ho conosciu-

to e di cui serba affettuosamente la memoria la fi-

glia Rita. La Giuria, alcuni anni fa, ha anche volu-

to onorarmi con un premio alla carriera. Credo che ora abiti a Frascati la mia collega Rosalma Sa-

lina-Borello, valentissima e coltissima comparati-

sta. Auguri di buona settimana a te e ai tuoi cari, anche da parte di Noemi, che vorrebbe inviarti un

suo scritto per "Pomezia-Notizie" che ha ospitato

in prima pagina la sua fotografia

Emerico Giachery

Scrive, da Verona, il 27.5.2016, Enrico Ferrighi -

un poeta che da lungo tace, ma del quale non pos-

sono essere dimenticate sillogi come “Dialogo dei

dispersi” (1984), “Arcobaleno” (1986) e “La crisa-

lide” (1993) -: ...L’autrice della tesi ha svolto il suo lavoro con serietà e obiettività dimostrando una

conoscenza profonda di tutta la tua opera. Sono

frequenti i riporti dei tuoi scritti, i richiami, i ri-mandi, i giudizi critici di altri astri del firmamento

letterario. Ormai manca solo il riconoscimento (e

Page 61: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.61

lo spero veramente) del premio Nobel di Stoccol-

ma. In verità lo meriti perché hai speso una vita a

scrivere di Arte, Letteratura e quant’altro fa segui-to. Lodevoli il tuo carattere, la tua tenacia, i nobili

fini e gli ideali che ti sei proposto, onde portare

all’Umanità il sollievo catartico della Poesia, l’ Amore del Bello, e l’ansia di migliorare l’Uomo

nella sua integrità, assetato da sempre di Libertà,

di Giustizia.

Enrico Ferrighi

***

A.L.I.A.S. - SEMPRE PRONTA A RICORDA-

RE L’ITALIA- Domenica 22 maggio 2016, dalle

ore 12 alle ore 18, presso la Sede di questa beneme-

rita Associazione, a Melbourne, in Australia, si è tenuta una gran festa: TUTTI INSIEME per il

24mo anniversario A.L.I.A.S., con il benvenuto a

IL GIORNALINO LETTERARIO A.L.I.A.S., con scenette, poesie, mostra di pittura, presentazione di

libri e molte altre sorprese dagli Autori A.L.I.A.S.

per ricordare il 70mo anniversario della nascita del-la Repubblica Italiana. A presentare sono stati Gio-

vanna Li Volti Guzzardi - instancabile organizza-

trice di tutto - e i tanti amici che la affiancano.

***

CURRICULUM DI GIUSEPPE MANITTA - Giuseppe Manitta è il direttore editoriale de Il Con-

vivio Editore e caporedattore delle riviste Il Convi-

vio e Cultura e prospettive. Inizia a pubblicare gio-vanissimo, esordendo con la silloge poetica Meteo-

re di Luce (con saggi introduttivi di Domenico Ca-

ra, Pasquale Francischetti, Carmine Manzi, Nunzio Trazzera, Angelo Manitta, Il Convivio, Castiglione

di Sicilia, 2002), cui seguono i poemetti Sentieri d’

assoluto, poema-racconto, (con note introduttive di

G. Barberi Squarotti, D. Cara, L. Felici, C. Manzi,

A. Piromalli, Il Convivio, 2003) e Sul sentiero

dell’upupa (con introduzione di Arnaldo Bruni, Il Convivio, 2006). Contemporaneamente si dedica

all’attività divulgativa della narrativa italiana, dalle

origini al ‘900, pubblicando per la casa editrice Mursia del gruppo Mondadori due volumi in colla-

borazione con Angelo Manitta: A partire da Boc-

caccio. La novella italiana dal Duecento al Cin-quecento (Mursia, Milano, 2005) e Noi e il mondo.

La novella italiana da Pirandello a Calvino (Mur-

sia, Milano, 2006). Successivamente si concentra

quasi esclusivamente alla critica letteraria pubbli-

cando il saggio Stefano Pirandello e altri contem-

poranei (Il Convivio, 2007) in cui affronta princi-palmente la vicenda letteraria di Stefano, figlio di

Luigi Pirandello, proponendo alcune originali posi-

zioni critiche, e di autori come Giorgio Barberi Squarotti, Inisero Cremaschi, Giuseppe Conte, Ce-

sare Ruffato ecc… Segue l’antologia di poesia con-

temporanea Cento poeti per l’Europa del terzo mil-

lennio (in collaborazione con Carmelo Aliberti e

Angelo Manitta). L’anno dopo introduce e com-menta il poema di Carmelo Grassi, autore siciliano

del primi del ‘900, dal titolo Maria o La virago di

Motta Camastra di Carmelo Grassi (Infinity media, 2008). Sempre di interesse siciliano e la co-

direzione del Dizionario biobibliografico degli au-

tori siciliani. Ottocento e Novecento (Il Convivio, 2013).

Negli stessi anni lavora alla ricerca storico- biblio-

grafica che confluirà in Giacomo Leopardi. Percor-si critici e bibliografici (1998-2003), (Il Convivio,

2009, pp. CCXIII-322), opera che viene giudicata

di certa rilevanza dal mondo accademico e critico tanto da essere considerata in numerosi saggi critici

e curatele nazionali e internazionali (cfr. G. Leo-

pardi, Cantos a cura di Maria de las Nieves Muñiz Muñiz, Madrid, Catedra, 2009; Zibaldone di Pen-

sieri, a cura di Fabiana Cacciapuoti e un preludio di

Antonio Prete, Roma, Donzelli; Canti, a cura di Andrea Campana, Roma, Carocci, 2014 ecc.) non-

ché recensito in numerose riviste di italianistica

come Quaderni d’Italianistica (Official journal of

the Canadian Society for Italian Studies), Annali

d’Italianistica (University of North Carolina a Chapel Hill), Giornale Storico della Letteratura

Italiana (Università di Torino), La Rassegna della

Letteratura Italiana (Università di Firenze - Acca-demia della Crusca). Con il medesimo saggio vince

il premio Tulliola e giunge finalista al Premio Città

di Adelfia 2009 insieme a Riccardo Chiaberge per La variabile Dio (Longanesi), Silvio Biancardi, La

chimera di Carlo VIII (Interlinea); Aurelio Iori,

Stato senza gestione, (Guida); Augusto Gentili, La

bilancia dell’arcangelo (Bulzoni); Armando Mas-

sarenti, Staminalia. Le cellule etiche (Guanda). Nel

2015 ne esce la prosecuzione dal titolo Giacomo Leopardi percorsi critici e bibliografici (2004-

2008). Con appendice (2009-2012) (Il Convivio

2015, pp. CLIV-296). Medesimo interesse critico e rilevanza nel mondo

accademico suscitano le curatele sulla letteratura

italiana: Carducci Contemporaneo (Il Convivio, 2013, a cura di G. Manitta con scritti di Giorgio

Barberi Squarotti, Carmine Chiodo, Emerico Gia-

chery, Angelo Manitta, Alessandro Merci, Giaco-

mo Nerozzi, Pantaleo Palmieri, Elena Rampazzo) e

Boccaccio e la Sicilia (Il Convivio, 2015, a cura di

G. Manitta con scritti di Emilia Cavallaro, Anna Cerbo, Carmine Chiodo, Lilith Meier, Nicolò Mi-

neo, Ugo Piscopo, Federica Rando, Alessandra

Tramontana, Susanna Villari). Negli anni inizia a interessarsi anche all’opera del

poeta romeno Mihai Eminescu. Ciò comporta tutta

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.62

una serie di conferenze in varie università dell’Est

dell’Europa (Bucarest, Chişinău, Alba Iulia ecc.).

Alle stregua dei suoi studi è l’unico critico italiano ad intervenire assiduamente nelle varie edizioni del

congresso internazionale di studi su Mihai Emine-

scu che si svolge annualmente a Chişinău e i cui ri-sultati di ricerca sono stati pubblicati in riviste spe-

cialistiche italiane e straniere. Nel 2010 individua,

insieme ad Angelo Manitta, il codice di Rime del petrarchista cinquecentesco Antonio Filoteo Omo-

dei (Capponiano 139), chiarendo numerosi disguidi

filologico-testuali e biografici sull’autore (cfr. A. Manitta - G. Manitta, Il Codice autografo delle ri-

me di Antonio Filoteo Omodei (Cappon. 139), Il

Convivio, 2014). Passione costante rimane la poesia, di cui ha pub-

blicato L’ultimo canto dell’upupa (Il Convivio,

2011, con premessa di Giorgio Barberi Squarotti e introduzione di Carmine Chiodo), opera confluita

con variazioni nel più recente Il Giullare del tempo

(con prefazione di Francesco d’Episcopo, Il Convi-vio, 2013). Con questi testi è giunto tra i vincitori

del Premio Tulliola e del Premio Borgo di Albero-

na, nonché ha ottenuto una Publica Laus per la

poesia dalla Pontificia Università salesiana di Ro-

ma. Dal 2016 collabora con il Centro Leopardi dell’

Università La Sapienza di Roma e per la sezione

Primo Ottocento de La Rassegna della Letteratura Italiana (Università di Firenze-Accademia della

Crusca).

Stralci critici sulla sua poesia, tratti da recensio-

ni o prefazioni:

«Il poemetto dell’upupa e di tanti altri animali em-

blematici e avventurosi è molto bello per ricchezza

di immagini, visioni, ironia, fantasticherie, ansie e

speranze del cuore. È, a mio parere, un testo davve-

ro mirabile, originalissimo, fra mito e realtà attuale e drammatica, un risultato di straordinaria inventi-

vità. È una narrazione ansiosa e solenne, fra quoti-

dianità e visione, meditazione e passione, dolore e bellezza delle cose e dell’anima. Insomma il signi-

ficato del poema è l’originale reinvenzione della

struttura e dell’armonia, è un’opera che tende al su-blime, alla totalità, alla curiosità linguistica. Ad

esempio il ‘ziolare’ come verso onomatopeico del

grillo, io non ho mai sentito questa parola: il Pasco-

li usa ‘zirlo’, che è termine certamente toscano, op-

pure ‘cricri’ onomatopeico, questo diffusissimo. Sì,

la sua poesia è per fortuna molto lontana dai versi di moda, ma è pur vero che lettori attenti ancora

esistono, per mia esperienza. (Giorgio Barberi

Squarotti, Università di Torino, dalla Premessa a L’ultimo canto dell’upupa)

«Dotato di solida e varia cultura letteraria, Giusep-

pe Manitta la fa convergere in un poemetto, intito-

lato L’ultimo canto dell’upupa, in cui una consape-

vole perizia tecnica si pone al servizio di sensazioni e di emozioni che, tradotte in versi carezzevoli e

ammalianti, diventano un inno alla natura, seducen-

te perfino nei suoi ‘rovi riarsi’, nei ‘lampi di spini’, nella ‘bufera’ che ‘piove sul prunalbo’» (Andrea

Battistini, Università di Bologna, motivazione del

Premio Città di Alberona 2012). «Ma la Sua ambizione è altra o diversa. Se non in-

tendo male, vorrebbe allargare il perimetro del

montalismo verso una doppia polarità, riconducibi-le da una parte al mito, che così insistentemente ri-

torna; dall’altra a una quotidianità maculata di ne-

vrosi (l’insettofobia della zanzara), di cui si fa cari-co l’alter ego Archimede». (Arnaldo Bruni, Univer-

sità di Firenze, dalla Premessa a Sul sentiero

dell’upupa) «La sua poesia si colloca sulla frontiera più avanza-

ta della ricerca. Ricerca del l’accordo/antitesi, dell’

ossimoro che squarci il velo dell’abitudine che ci ottunde gli occhi, ma anche ricerca alchemica della

singola parola che risvegli un senso di pregnanza

obliterata (avaccio, orezza, berza, s’adima). Ricerca

attenta, preziosa, della parola non contaminata per-

ché le parole la seconda volta che vengono pronun-ciate perdono la loro magia, la loro forza evocatri-

ce. Lui sa che i contemporanei hanno ucciso Ome-

ro, Virgilio, Dante, Petrarca, Leopardi e cerca nuo-ve piste, che indica a tutti gli esploratori del verbo

che vogliano seguirla su un terreno che prende le

distanze dalla banalità. Fossero anche piste nel de-serto!». (Corrado Calabrò)

«Giuseppe Manitta è un buon studioso di letteratura

italiana e poeta, come attesta pienamente questo

suo felicissimo poemetto crepuscolare dal titolo L’

ultimo canto dell’upupa... A mio avviso questo

poemetto è avvincente e si lascia leggere ben volen-tieri per tematiche e stile, lingua che non è poi quel-

la che si legge in tanta poesia contemporanea. Di-

fatti è rarissimo leggere quei versi nella odierna poesia. Manitta scrive e usa una lingua letteraria,

ricca di richiami a grandi poeti del passato. Un no-

me per tutti: Dante. Sicuramente il poeta siciliano non vuole darci una poesia di moda e quindi ecco

che compone questo riuscito poemetto che è stato

lodato e giudicato positivamente da noti studiosi di

letteratura italiana... Oggi come oggi, molta poesia

è cervellotica, banale, si basa su imitazioni di poeti

noti e famosi. Direi che uno dei tanti pregi di questo poemetto consiste nel fatto che non è per nulla ba-

nale, ma è ben fuso, unitario. È un vero piacere leg-

gerlo, soffermarsi e ammirare le immagini che esso presenta». (Carmine Chiodo, Università di Roma

Tor Vergata, dalla Prefazione a L’ultimo canto

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.63

dell’upupa).

«Giuseppe Manitta scrive un “poemetto crepuscola-

re” e lo intitola L’ultimo canto dell’upupa. Va con passo sicuro e consapevole, con versi brevi util-

mente scanditi, con movimenti narrativi essenziali...

Predilige una dizione classica, e talvolta tende a impreziosire con qualche effetto di ricercatezza ec-

cessiva: “Lungo è il viaggio / della nave argheifon-

te / mentre tacciono gli alcioni / e l’aria blezza i cocci / delle campane”. Senz’altro un buon lavoro,

di spessore e pensiero» (Maurizio Cucchi, su La

Stampa) «Giuseppe Manitta... realizza un procedimento let-

terario quanto mai ardito e riuscito: combinare le

radici della sua terra, la Sicilia millenaria, con ra-gioni che appartengono al contemporaneo e al quo-

tidiano. Una prospettiva, realizzata a piene mani dal

conterraneo Salvatore Quasimodo in quello che si potrebbe in qualche modo definire suo “terzo tem-

po”, dopo la fondamentale e rivoluzionaria tradi-

zione dei lirici greci. Manitta, tuttavia, opera in proprio, costruendo progressivamente una persona-

le poetica, che, se risente ovviamente delle sue in-

tense letture e corpose esperienze critiche (si pensi

a Leopardi e Carducci), conquista una specifica di-

mensione espressiva, in cui il mito, il sacro, si mi-sura con la realtà, il quotidiano appunto, senza che

questo confronto generi un corto circuito nelle linee

di tensione del discorso poetico, anzi tutt’altro, con il risultato di una serie di effetti speciali, di natura

sinestetica e sintetica. Il poeta si avventura in un

continente empedocleo, dal quale ritaglia di volta in volta la propria isola “impareggiabile”, lasciandosi

affatturare dal canto di una sirena, che sa di mare,

di vento, di sogno, di desiderio, di abbandono e di

ritorno al flusso primigenio delle cose, che reggono

l’incerto, umano destino. Che è poi la poesia!».

(Francesco D’Episcopo, Università di Napoli Fede-rico II, dalla Prefazione a Il giullare del tempo)

«La sua raffinata ricerca linguistica, con la presenza

di lessemi antichi, è un segno di sensibilità moder-na e di fervida vocazione espressiva, e insieme un

giusto riconoscimento alla continuità della poesia

(ricordo in proposito un bel saggio del vecchio Croce premesso al celebre libro di de Lollis sul lin-

guaggio poetico italiano). Ma ciò che più colpisce è

il fluire poematico, la ‘melodia infinita’ del libro, e

insieme l’emozione mitica (il mito è archetipo pe-

renne, veduta umana) che da esso si sprigiona».

(Emerico Giachery, Università di Roma). «Il rincorrersi dei versi in queste pagine appare co-

me un luminoso accordo che tratteggia il poemetto,

tra elementi incalzanti che si aprono ad un canto decisamente sereno e coinvolgente. La conquista

delle immagini possiede il ritmo della canzone, tra

le improvvise piume di Icaro e lo stridore delle au-

to, tra le crepe del muro e le vertigini della nebbia,

tra l’armonia di una danza e il rossore degli aironi. La clessidra, lievemente sospesa tra le dita incerte,

affanna nel contare il tempo che inesorabilmente

scompone il respiro ed i riflessi. Ed il rito si ripete, in un pensiero più vicino alla visione che le cose

hanno di se stesse, in una alternativa sapienziale,

che le invocazioni sono capaci di elaborare. Il recu-pero di un realismo sottinteso prende forma, ed il

fenomeno delle metafore ha l’immediatezza della

grande sceneggiatura, coniata per una poesia da contemplare». (Antonio Spagnuolo)

«Il primo verso della raccolta credo sia significati-

vo: “All’alba Icaro ha perso le piume”, il sistema di riferimento della raccolta è quello simbolico ma le

scelte lessicali appartengono all’epoca del Dopo il

Moderno, si apre così una contraddizione tutta in-terna al dettato poetico tra due forze dissonanti e

divergenti con esiti senza dubbio positivi. Il collo-

quio con i grandi poeti del passato (Omero, Virgi-lio, Dante, Petrarca, Leopardi etc.) è un colloquio

mutilo, venato di malinconia che investe alche lo

stile della scrittura di questo agile libretto. Oggi la

fine del “mandato poetico” ha segnato anche l’

eclisse della presunta antinomia di continiana me-moria tra il genere innico e quello elegiaco; la di-

sparizione, di fatto, di una generazione di intellet-

tuali poeti in possesso di una cultura classica, con-seguenza di una situazione di pacifica equivalenza

agli interessi del mondo dell’editoria e delle reda-

zioni letterarie influenti. Ma il libro in esame, oltre alle qualità intrinseche, assume anche un valore di

critica a questo “giullare del tempo”, ad una età

ostinatamente avversa e ostile alla lirica» (Giorgio

Linguaglossa).

LIBRI RICEVUTI LUIGI DE ROSA - La grande poesia di Gianni

Rescigno il poeta di Santa Maria di Castellabate - In copertina, a colori: Santa Maria di Castellabate; all’interno, in bianco e nero, sei foto di Rescigno -

Genesi Editrice, Torino, 2016 - Pagg. 186, € 14,00.

Luigi DE ROSA, poeta e scrittore, saggista e recen-sore, di genitori partenopei ma cresciuto in Liguria,

vive a Rapallo (Genova), in pensione dal 2001. Tra

i suoi libri di poesia, “Risveglio veneziano ed altri versi” (1969); “Il volto di lei durante” (1990 e

2005), “Approdo in Liguria” (2006), “Lo specchio

e la vita” (2006), “Fuga del tempo” (2013), “Impe-ria Tognacci e i suoi poemi in poesia e in prosa”

Page 64: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.64

(2014). Sulla sua poesia sono usciti saggi e recen-

sioni su numerose riviste (tra le più recenti “Poe-

sia”, “Vernice”, “Nuovo Contrappunto”, “Ilfiloros-so”, “Paidèia”, “Nuova Tribuna Letteraria”, “Le

Muse”, “Pomezia-Notizie”, “Sentieri Molisani”,

“Veia gianca”. Nel corso della sua lunga militanza letteraria ha scritto numerose recensioni, prefazioni

e presentazioni, oltre a saggi e articoli su Eugenio

Montale, Camillo Sbarbaro, Giorgio Caproni, Gio-vanni Descalzo, Umberto Saba, Giovanni Giudici,

Giovanni Pascoli, Antonia Pozzi, etc. Mentre della

sua poesia si sono occupati, oltre ai prefatori (Diego Valeri, Giorgio Bárberi Squarotti, Sandro Gros-

Pietro, Graziella Corsinovi), molti altri critici e poe-

ti, tra i quali Neuro Bonifazi, Francesco Fiumara, Giovanni Cristini, Liana De Luca, Paolo Ruffilli,

Rodolfo Tommasi, Elio Andriuoli, Rosa Elisa

Giangoia, Piera Bruno, Domenico Defelice, Rober-to Carifi, Fabio Simonelli, Guido Zavanone, Liliana

Porro Andriuoli, Silvano Demarchi, Viviane Ciam-

pi, Francesco De Napoli, Pasquale Matrone, Clau-dia Manuela Turco, Francesco Graziano, Fulvio

Castellani, Lia Bronzi, Mauro Decastelli, Elvira

Landò Gazzolo, Danila Boggiano, Angelo Manuali,

Tito Cauchi. “Nell’uso di un linguaggio tanto cri-

stallino quanto rigoroso per il rispetto della forma e dei contenuti - scrive la Giuria del Premio “I Mu-

razzi” -, Luigi De Rosa mette a fuoco il dramma del

poeta moderno che ha acquisito la coscienza storica dell’inadeguatezza della parola letteraria a raccon-

tare il movimento e la densità del mondo reale, ma

che tuttavia non abdica al suo ruolo di anima sensi-bile e vigile della storia degli uomini e dei suoi

drammatici eventi personali e collettivi”.

**

AA. VV. - L’autodidatta. Rassegna Poesia Con-

temporanea XXII Edizione Artecultura 2005

Milano - Presentazione (“Non esiste diritto umano senza risparmio”) di Giuseppe Martucci; in coperti-

na, a colori: “Imput visivi” (tecnica mista - acrilici,

2005) di Fulpor - Fulvio Porcaro - Edizioni Arte-cultura 2005 - Pagg. 178, s. i. p.. Sono presenti:

Giovanni Abbruzzese, Isabella Michela Affinito,

Adriano Arlenghi, Dante Bambozzi, Augusta Ba-riona, Maresa Baur, Maurizio Barello, Vera Benel-

li, Marta Bercelli Brischetto, Bruno Alessandro

Bertini, Tiziano Bertrand, Elena Betta, Ermanno

Bighiani, Carlo Blagho, Ermanno Boffi, Fulvio

Bonacina, Rina Eugenia Bonanomi, Pier Luigi Bo-

nizzi, Maria Rosa Borgatti, Anna Maria Teresa Borrelli, Dario Borsotti, Ivana Bristot Martinenghi,

Marzia Braglia, Giuseppe Busia, Luisella Caielli,

Fabio Campadelli, Marisa Canetti, Maddalena Ca-palbi, Franca Carella, Luciana Carmello, Filippo

Carmeni, Dario Carrera, Domenico Cassano, Tito

Cauchi, Rosita Cecchettelli, Maria Chimenti Arena,

Angelo Ciucci, Gabriella Colletti, Mario Conforti,

Antonio Conserva, Luisa Cozzi, Valentina Danie-lis, Raffaele De Prisco, Patrizia De Ros, Calogero

Di Giuseppe, Giuseppe Di Giulio, Domenico De

Salvatore, Marco Ernst, Salvatore Errati, Diego Fantin, Mario Ferrario, Giampiero Folco, Sabrina

Forni, Emilio Franchini, Tiziano Maria Galli, Giu-

seppe Gambini, Elda Maria Garatti, Maria Gattulli, Daniela Ghinassi, Eva Ester Giovannini, Piera Giu-

dici, Luigi Giurdanella, Sergio Gradin, Grazia Gre-

co, Bruna Gruppi, Paolo Guerriero, Marisa Gutto-riello, Vincenzo C. Ingrascì, Giovanna La Donna,

Marinella Lamarca, Luciana Leone, Maria Assunta

Leone, Leonarda Letterato, Dora Liguori, Manueli-ta Lupo, Sebastiano Maccarrone, Maria Elena Mal-

fitano, Romilda Malinverno, Andreetta Manara,

Luigi Gaspare Marcone, Maria Giuseppina Mar-gherita, Liliana Marioni Boggio, Licia Massella,

Stefania Minotto, Dina Molteni, Alma Montesano,

Anna Laura Monzi, Margherita Motta, Massimo Muti, Veronica Murrau, Ottavio Negri, Pietro Ni-

gro, Katia Olivieri, Sergio Osimani, Antonietta Pa-

cella, Elvira Pacenza, Rosalia Pandolfo Bianchi,

Caterina Parisi Mehr, Umberto Petraroli, Gianfran-

co Pignaton, Anna Maria Piria, Anna Podda, Fulvio Porcaro, Domenico Porco, Simone Ravanini, Lu-

ciana Francesca Rebonato, Ermanna Rendi, Anna

Ricucci, Lidia Riera Panico, Salvatore Rizzi, Luca Rodilosso, Andrea Rossi, Anita Rota, Caterina Ro-

vatti, Giuseppe Sabino, Fausta Salati, Graziella Sal-

terini, Pietro Salvini, Giuseppe Sansone, Antonio Saracino, Paola Sarasso, Ines Savoca, Luca Sergio,

Ambrogina Sirtori, Zina Smerzy, Maria Luisa Ca-

stioni Sordi, Walter Storri, Laura Strani, Giuseppe

Talarico, Franca Trevisi, Dora Vardaci, Rudi Vero-

nese, Rosario Vesco, Giambattista Vignato, Danie-

la Zanutel, Giovanna Zappalà, Rosa Zappia, Mauri-zio Zorzetto, Antonio Zumpano. Autori dal Carcere

San Vittore di Milano: Gianluca Berti, Ugo Lattes,

Carmelo Lo Conte, Issa M’Bengme, Enzo Martino, Eros Monterosso, Andrade Silva Valdimar, Fausto

Dario Valentini, Giovanni Vitali. Dall’Ucraina:

Ivan Burmej, Oles, Lupij, Vasyl Riabyj, Ludmyla Rzehak, Mykola Zaruba, Ivan Trush. Le scuole:

Classe III scuola elementare statale Villa Sanguine-

ti di Rivarolo Genova, insegnate Cinzia Gugliotta

(Simone Bruzzese, Michele Chiappardi, Stefano

Gaezza, Emanuela Govi, Erica Ducoli, Francesca

Lesino, Riccardo Luciano, Gaia Morabito, Elena Medicina, Giulia Moscamora, Chiara Olmo, Giulio

Napoli, Roberto Verallo, Marta Totani, Rita Ubal-

dini) - Classe IV A scuola elementare statale Tom-maso Grossi di Milano, insegnante Daniela Zanutel

(Daniela Amendolea, Daniela Cani, Gianna Lucia

Page 65: Pomezia Notizie 2016 7

POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.65

Castillo Roca, Amira Di Rocco (detta “Bimba”)

Angelo Di Rocco Di Guglielmo Roberto, Angelo

Di Rocco, Roberto Di Guglielmo, Jeric Justin En-daya, Ilham Et Tovizi, Angelo Ferri Celli, Simone

Giarratana, Giuseppe Minino, Wafa Moez, Denise

Sabino, Jonathan Tilaye, Mirko Torre, Mithila Warnakulasurija).

**

PANTALEO MASTRODONATO - Cavalcata al

Symposium - Cenacolo Symposiaco, edizioni

Symposiacus, 2016 - Pagg. 200, L. 2.500. Pantaleo

MASTRODONATO ha studiato in molte città ita-liane ed estere. Compiuti i suoi studi in Linguistica

e Filosofia classica presso l’ Università di Montpel-

lier, ha in atto dei lavori di studi e ricerche presso la stessa. La sua insaziabile sete di verità e di giustizia

lo condusse nel 1972 ad una profonda crisi religio-

sa, propugnando da allora in poi i valori di un cri-stianesimo genuino scaturito da un sistematico ap-

profondimento biblico per una imparziale valuta-

zione dell’epoca presente. Dirige la rivista “Il Sym-posiacus”. Tra gli ultimi suoi lavori ricordiamo

“Leucotea (Mimologia)” (2014), “Enciclopedia

Palatina” (antologia, 2014), “La force du divin dans

le monde” (2014).

** AURORA DE LUCA - Aspra terra e creazione

fertile nell’opera di Domenico Defelice - In co-

pertina, a colori, “La casa sulla collina”, biro e pa-stello (1980) di Domenico Defelice - Edizioni

EVA, 2016 - Pagg. 152, € 10,00. Il presente volu-

me è frutto della tesi di laurea in Letteratura italia-na, anno accademico 2014/2015 - Aurora DE LU-

CA è nata nel 1990. Risiede a Rocca Di Papa. Do-

po la maturità classica è trascorso un periodo di ri-

cerca personale, avendo frequentato la facoltà di

Giurisprudenza, per poi approdare alla facoltà di

Lettere. Nella sua vita si è sempre dedicata allo sport, praticando nuoto agonistico fino a divenirne

a sua volta istruttrice. Inizia presto a scrivere. Nel

2004 partecipa ai suoi primi concorsi letterari, rice-vendo ottimi risultati ed interessanti motivazioni

nelle sezioni studenti e dei giovani, con poesie sin-

gole. Molti sono stati i premi e i riconoscimenti ri-cevuti, la maggior parte delle poesie vincitrici è sta-

ta edita nelle antologie dei vari premi, il primo

“Marengo d’oro” a Genova, “Publio Virgilio Ma-

rone” a Roma, “Agostino Venanzio Reali” a Cese-

na, “Marillianum” a Napoli, “Città di Forlì” come il

più giovane valido concorrente e “Città di Mesa-gne” Puglia, a Mattinata “Santa Maria della Luce”

e con il “Convivio” ai Giardini di Naxos in Sicilia,

“Luigi De Liegro” Roma, “Akery” ad Acerra come premio assoluto giovani, con il “Parco dei Castelli

Romani” e tanti altri premi grazie ai quali ha avuto

l’occasione di viaggiare su tutto il territorio nazio-

nale. In seguito, nel 2006, si avvicina alla sezione

narrativa giovani, guadagnando anche in questo ambito l’attenzione delle giurie con premi e attesta-

ti. Nel 2007 compone la prima silloge poetica “In-

dice di idee al caleidoscopio” partecipando al pre-mio “Città di Pomezia” e ottenendo un buon piaz-

zamento, pubblicherà a gennaio 2008 nei Quaderni

letterari “Il Croco” supplemento alla rivista, con un grande successo di critica. Si sono interessati infatti

molti scrittori, con recensioni edite sulla rivista

“Pomezia-Notizie” diretta da Domenico Defelice, con la quale collabora assiduamente. Nell’ aprile

2010 pubblica sempre su “Il Croco” anche la sua

seconda silloge “Questi occhi miei” e la terza “Il tuo colore mare blu” nel 2011. Nel 2012 esce “Sot-

to ogni cielo”, nel 2013 “Primizie” e, nel 2014,

“Materia grezza” e un altro Quaderno Il Croco: “Cellulosa”. E’ presente, con un’opera poetica,

nell’antologia “Le altre forme delle donne”, curata

dalla scrittrice Anna Bruno, edita nel febbraio 2009 da Albusedizioni. Scrive e collabora anche con la

rivista letteraria “Il Convivio” di Castiglione di Si-

cilia (CT), diretta dal professore Angelo Manitta e

dalla scrittrice Enza Conti e con “Vernice” di Tori-

no, portata avanti da Sandro Gros-Pietro. Affasci-nata da tutto ciò che è arte, nel tempo libero le piace

creare, disegnare, dipingere e non ultimo leggere.

“Sotto ogni cielo” è stato presentato, il 15 dicembre 2012, nell’Aula Consiliare del Comune di Rocca Di

Papa, alle ore 16,30 dal critico d’arte, poeta e scrit-

tore Franco Campegiani, col l’intervento della pro-fessoressa Carla Giorgetti, moderatore Valeria

Quintiliani, attrice Ilaria Tucci. Presenti, oltre a un

qualificato pubblico, il sindaco Pasquale Boccia ed

il presidente della Pro-Loco. Ma anche gli altri suoi

lavori hanno avuto, qua e là, varie presentazioni.

TRA LE RIVISTE IL GIORNALINO LETTERARIO - Organo dell’

Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori (A.L.I.A.S.), a cura di Giovanna Li Volti Guzzar-

di e Daniel D’Appio - 29 Ridley Avenue, Avonda-

le Heights 3034, Melbourne - Victoria - Australia - E-mail: [email protected] http://www.alias.org.au

Riceviamo il numero di maggio 2016 (in pratica, il

numero 2), ricco di poesie, di prose, di foto a colori, di notizie; si presenta così bello e simpatico, da non

fare rimpiangere l’Antologia che annualmente or-

mai pubblicava questa benemerita Associazione, che da sempre ha difeso e divulgato la nostra lingua

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.66

e la nostra cultura in Australia, il cui emblema è l’

immagine di questo estremo e bel continente con

sovrapposta l’immagine del nostro altrettanto bello e vecchio stivale. Tra le tante firme presenti, evi-

denziamo quella del vero motore di tutto: Giovan-

na Li Volti Guzzardi, e poi di Daniel D’Appio, Biagio Presti, Emilia Squillace Chiodo, Vito Bu-

falino, Vincenzo Salemi, Teodino Ottavi, Anna

Trombelli Acquaro, Carmela Sacco Perri, Mimma Strangis, Carmela Rio, Victoria Brigu-

glio, Rina Rossi, Maria Raffaella Agricola, An-

gelo Mario Cianfrone, Nenè Amato, Maria Co-

reno, Marcherita Princi, Sandra Zampini Zan-

ta, Nilla Cosma, Vittorio Di Sandomingo, Nico-

demo La Rosa, Giovanni Belanti, Mariano Co-

reno, Connie Rossitto, Paolo Mazzarella, Maria

Turano Aprile, Carmelina Blancato Pelligra,

Salvatore (Sam) Mugavero, Carmela Rio, Gio-

vanni Composto, Nilla Cosma, Angelo Manitta,

Antonio Angelone e Giuseppe Barra.

LETTERE

IN REDAZIONE (Ilia Pedrina)

Carissimi Amici, che intorno al nostro Diret-

tore vi accingete a fremere sempre di passioni

e d'immagini, di poesie e di riflessioni, di

giudizi e di rispecchiamenti, nella fervida at-

tesa di veder pubblicati i vostri lavori, sempre

circostanziati e di pregevole livello, lasciate-

mi fare l'elogio del 'Domenicale', con 'ilSo-

le24Ore' della domenica ed in particolare del

numero uscito il 22 giugno 2016.

Mentre Vicenza è in preda ad una originalis-

sima fascinazione, il 'MuVi, Musica Vicenza

tra corti e palazzi', ideata e portata a compi-

mento da Sonig Tchakerian e dai suoi fedelis-

simi, come Pietro Tònolo, Paolo Birro ed altri

ancora, per aprire la XXV edizione de 'Le

Settimane Musicali al Teatro Olimpico, io mi

siedo al Caffé dell'Opera, sotto un antico por-

tico e con splendidi scorci su Palazzo Chieri-

cati, Piazza Matteotti e le mura del giardino

interno del Teatro Olimpico. Questa iniziativa

vede aperti alla musica prestigiosi palazzi del

Centro Storico, per la durata di tutto il pome-

riggio fino a sera inoltrata: il Colonnato di

Palazzo Chiericati, la Loggia del Capitaniato,

il cortile di Palazzo Trissino, l'Odeo del Tea-

tro Olimpico ed il pubblico può partecipare

liberamente, sia di passaggio sia come in pia-

cevole sosta, quella che fonde tra loro suoni

d'arte e di vita quotidiana.

Mi metto a leggere il piccolo libro allegato

'Racconti di Odessa' di Isaak Babel e l'inte-

resse per questa scrittura dettagliata, ironica,

con tratti di spietata precisione circa i com-

portamenti del Re e degli altri protagonisti del

Ghetto della Moldavanka mi prende dentro

un vortice di immagini, profumi, sapori, vo-

ciare grasso e progetti esplosivi, fin dalle

prime pagine.

Isaak Emmanuilovic Babel è ebreo e nasce ad

Odessa il 30 giugno del 1894, nel quartiere

della Moldavanka è assai intelligente ma per

causa dei pogrom è costretto al percorso da

autodidatta, ama la letteratura, il teatro, il

giornalismo, morirà dopo torture durante gli

interrogatori per volere di Stalin, che ha fir-

mato la sua condanna, perché Beria l'aveva

accusato di essere spia e traditore, di non sta-

re dalla parte della classe lavoratrice, di elo-

giare il banditismo in modo naturalistico e

romantico. Nel retro di copertina una sua ri-

flessione: 'Di tutta la famiglia restavamo sol-

tanto lo zio Shimon, pazzo, che abitava ad

Odessa, mio padre e io. Ma mio padre era fi-

ducioso verso le persone, le feriva con l'entu-

siasmo del primo amore, le persone non glie-

lo perdonavano e lo imbrogliavano.' E poi

ancora, nel breve profilo biografico: 'Il 15

maggio 1939 in seguito all'accusa di attività

antisovietica cospiratoria terroristica e spio-

naggio, subisce l'arresto e la confisca di nu-

merosi manoscritti, andati perduti per sem-

pre...Babel viene condannato a morte e fuci-

lato il 27 gennaio 1940...' (retro di copertina

della serie 'Racconti d'Autore', Isaak Babel,

Racconti di Odessa, Il Sole 24 Ore, domenica

22 maggio 2016)

La lettura di questa sua incredibile testimo-

nianza mi ha accompagnato per oltre due ore,

mentre nell'aria musiche Jazz ed altri intrecci

di note si inserivano nel variato cinguettio

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.67

delle rondini, con nido e piccoli tra le basse

travi del portico. Chi vuole capire dall'interno

come farsi strada nel groviglio aspro di deci-

sioni violente e poco pulite, basta che segua

le tappe del successo di Benja Grid, il Re dei

re, il capo scelto per l'eccellente modo di far

violenza allo scopo di far rispettare gerarchia

e dignità del sangue. Cito: '... Un altro come

Benja il Re non esiste. Distruggendo la men-

zogna, cerca la giustizia, quella giustizia tra

virgolette e quella senza virgolette. Ma tutti

gli altri rimangono impassibili come gelatina,

non amano cercare, e non cercheranno, e

questo è ancora peggio...' (I. Babel, op. cit.

pag. 68). Nel volume I dell'Appendice dell'

Enciclopedia Treccani Babel è inserito a pa-

gina 232: qualche riga per dire che è scrittore

russo sovietico, che dal 1917 al 1924 è stato

soldato sul fronte romeno e che la sua prima

fama, rapida assai è dovuta a questa esperien-

za di vita militare, trasfusa in racconti pubbli-

cati in Italia nel 1932, con il titolo 'L'armata a

cavallo', a cura di R. Poggioli, a Torino. Dei

'Racconti di Odessa' l'ignoto compilatore del

profilo sostiene che si tratta di quadri realisti-

ci colti dalla vita quotidiana del quartiere

ebraico della Moldavanka, facendo in modo

tale però da associare al realismo della de-

scrizione anche quello della conversazione

dialettale, il tutto condito con elementi epici e

lirici. Non c'è scritto come e perché è morto,

ma era amico di Majakovsky e merita anche

lui un posto tra il 'Canto Sospeso' e i 'Cori di

Didone' di Luigi Nono. È chiaro allora: rin-

grazio in cuor mio ed ora pubblicamente, su

queste pagine di Pomezia Notizie il direttore

del 'Domenicale' Roberto Napoletano, perché

con l'aggiunta di 0,50 centesimi al prezzo del

quotidiano mi sto inoltrando in un mondo mai

prima esplorato, quello della malavita del

Ghetto di Odessa e delle sue ferree regole d'o-

ro per mantenere alto il livello della dignità,

della famiglia come del sangue.

Dalle ore 14 alle 17 interrompo la lettura per

recarmi all'Odeo del Teatro Olimpico. Assisto

così alla prova pubblica della 'Petite Messe

Solennelle (1863)' di G. Rossini, nella versio-

ne originale per 12 voci soliste, e guida tutti,

pianista ed 'harmoniumista' compresi, il diret-

tore Giovanni Battista Rigon. Nell'esecuzione

ufficiale ci sarà anche il secondo pianoforte.

Non conosco bene questo lavoro di Rossini

ma so per certo che il direttore è un rossinia-

no, ricercatore scrupoloso ed accuratissimo,

profondo nell'interpretare lo spirito di questa

particolare produzione parigina del Nostro.

Prendo appunti a matita sul librettino di Ba-

bel, in tutte le pagine vuote, senza sosta, affa-

scinata dall'incedere dei brani verso la glorifi-

cazione dell'Altissimo, dal Kyrie al finale

Agnus Dei, per contralto e coro: in questa

formazione i solisti fanno parte del coro e se

ne sciolgono per far emergere zone calde ed

emotivamente spiritualissime della partitura.

Mi accorgo subito che il sacro ed il profano

qui sono sapientemente calibrati, proprio per-

ché Rossini aveva ben capito che abbiamo so-

lo questo corpo e questa vita per entrare nello

spazio dell'anima e cantarne gli accenti in

fervore. Esco da questa esperienza come ca-

lamitata verso l'altrove, verso un bisogno se-

greto, interno e non cancellabile, di leggere la

partitura. L'indomani andrò di filato da Ro-

berto, della Diesse Copy, che conosce bene la

nostra Rivista perché me ne fa copie su copie,

quando mi servono, e lui mi stamperà questo

miracolo, disponibile gratuitamente per tutti

in rete. Rossini ha interrotto la sua splendida

carriera per dedicarsi alle composizioni per

pianoforte, da camera, per sale riservate ad

ascoltatori attenti, che sappiano capire: la 'Pe-

tite Messe Solennelle' è, come dice lui, il suo

ultimo peccato della vecchiaia.

Al pomeriggio di questa giornata, lunedì 23

giugno, sosto con Humbert, l'Adameva tede-

sco, presso il ristorante 'La Beccaccia', per un

caffè. Parlo di Isaak Babel e di Odessa e loro,

i giovani Misha e Gregorio Capnist, di antica

origine greco-caucasica, titolari dell'esercizio

aperto di recente, mi raccontano che questa

città sul Mar Nero è veramente bellissima, vi

sono stati qualche anno fa e mi diranno anco-

ra e ancora, perché volevano comprare uno

stupendo albergo d'epoca proprio nei 'Passa-

gen', di fronte alla Baia del Porto sul Mar Ne-

ro. Aggiungono al caffè il 'Mezzo e mezzo',

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POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2016 Pag.68

un aperitivo della Nardini e dei biscotti fatti a

mano da Fatima, dolce marocchina da anni in

Italia con la sua famiglia. Misha dice, dopo

che ho sottolineato la fragranza di questo pa-

sticcino, al sapore di sesamo ed arachidi, in-

trovabile altrove: '...Lo chiameremo 'Shehe-

razade', come la bellissima fanciulla delle

Mille e una notte...'

Carissimi, da queste poche tracce ognuno

prenda il percorso che desidera e si metta in

cammino, tra le tragedie dell'oggi ed i reso-

conti storico-letterari, appassionati e veritieri

di qualche tempo fa, perché la tensione del

sapere e del governare gli affanni grazie a

quel distacco che la scrittura sempre richiede,

possa portare fino ai confini e ben dentro ai

territori umanissimi, quali quelli della Bellez-

za e dell'Armonia, là dove la natura ci ha po-

sti.

Un abbraccio devoto a tutti voi ed a te, caris-

simo Direttore, la mia riconoscenza piena.

Ilia

Qui sotto: Domenico Defelice - Crotone,

Portico Lara (Acquerello, 1961).

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

NON sottoposti ad impaginazione), composti

con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,

attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-

nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-

tella si intende un foglio battuto a macchina da

30 righe per 60 battute per riga, per un totale di

1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-

to è necessario un contributo volontario. Per

quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-

zione. I libri, per recensione, vanno inviati in

duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito

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Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC 3034 - Melbourne - AUSTRALIA

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