Pomezia Notizie 2014/1
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Anno 22 (Nuova Serie) – n. 1 - Gennaio 2014 - € 5,00
PAOLO AMATI Impegno nel sociale di un credente:
ZACCARIA NEGRONI di Tito Cauchi
ENERDÌ 29 novembre
2013, presso la sala consi-
liare “Mario Centini” del
Comune di Nettuno (Roma), è stato
presentato il libro del prof. Paolo
Amati, Impegno nel sociale di un
credente: Zaccaria Negroni. La sala
si è presentata gremita di un centi-
naio di persone, vedendo avvicen-
darsi laici e religiosi, negli interventi
che in parte si accomunano, e che
pertanto evito di duplicare, semplici
nei contenuti e dalle parole sobrie,
anche se queste ultime mi giunge-
vano disturbate dal sottofondo dei
ventilatori di aria calda.
L’evento s’è svolto sotto il coor-
dinamento della signora Emanuela
Miocchi, la quale ha presentato il
prof. Paolo Amati dichiarando che
conosceva personalmente Zaccaria
Negroni, un uomo che profuse il
proprio impegno di cristiano laico
nel sociale, sia nella Diocesi di Al-
bano, sia in ambito nazionale. Ama-
ti è stato Vice Presidente Diocesano
dell’ Azione Cattolica dal 1970 al
1974, a fianco del Presidente
V
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All’interno:
Pascale Delormas - Le cas Rousseau, di Ilia Pedrina, pag. 8
Intervista a Pascale Delormas, di Ilia Pedrina, pag. 10
La mostra “Vice versa” di Bartolomeo Pietromarchi, di Andrea Bonanno, pag. 17
Germana Marini: Ultima chiamata ai passeggeri, di Giuseppe Leone, pag. 19
Bruno Rombi: La saison des misteres, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 21
Nazario Pardini. L’aria che vibra sfiorando i sepolcri, di Sandro Angelucci, pag. 26
Alber Camus nel centenario della nascita, di Salvatore D’Ambrosio, pag. 28
Fuga del tempo, di Luigi De Rosa, di Domenico Defelice, pag. 30
Il soldato Giovanni di Gianni Rescigno, di Nazario Pardini, pag. 32
La Romania tra storia e condizioni attuali, di Leonardo Selvaggi, pag. 35
Il Marocco dalla preistoria alla colonizzazione romana, di Leonardo Selvaggi, pag. 37
Di là dalla notte, di Walter Nesti, pag. 40
Anna Aita: Domenico Defelice Un poeta aperto al mondo e all’amore, di Tito Cauchi, pag. 43
I Poeti e la Natura (Giosuè Carducci), di Luigi De Rosa, pag. 48
Notizie, pag. 60
Libri ricevuti, pag. 65
Tra le riviste, pag. 67
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Una notte in Paradiso, di Rocco Salerno, pag. 50); Pa-
squale Balestriere (Affari di cuore e Natura morta, di Paolo Ruffilli, pag. 51); Tito Cauchi
(La lunga notte, di Aldo De Gioia - Anna Aita, pag. 52); Tito Cauchi (Sogni lontani, di Aldo
De Gioia, pag. 54); Carmine Chiodo (Qui la meta è partire, di Giuseppe De Marco, pag. 54);
Roberta Colazingari (Fuga del tempo, di Luigi De Rosa, pag. 56); Roberta Colazingari (I
simboli del mito, di Nazario Pardini, pag. 56); Luigi De Rosa (Ubaldo Riva. Alpino Poeta Av-
vocato, di Liana De Luca, pag. 57); Elisabetta Di Iaconi (I simboli del mito, di Nazario Pardi-
ni, pag. 58); Laura Pierdicchi (I simboli del mito, di Nazario Pardini, pag. 58); Gianni Resci-
gno (Fuga del tempo, di Luigi De Rosa, pag. 59); Innocenza Scerrotta Samà (I simboli del
mito, di Nazario Pardini, pag. 59).
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonuci, Rocco Cambareri, Colombo Conti,
Domenico Defelice, Paola Insola, Antonia Izzi Rufo, Teresinka Pereira, Leonardo Selvaggi,
Geppo Tedeschi
Negroni; dopo la morte del quale, avvenuta
nel 1980, ha sentito il desiderio di saperne di
più. È così che intraprende a Roma gli studi
di Magistero in Scienze Religiose, e proprio
su questo “credente” scrisse la sua tesi di lau-
rea, non priva di difficoltà, per mancanza di
documenti. Amati ha svolto ricerche storiche
e grazie a ciò, ha fatto una ricostruzione delle
scelte e delle campagne sociali riguardanti
questo personaggio, sottolineandone la ricor-
renza dell’anniversario della morte, avvenuta
il 1° dicembre. Così consegue nel 1986 il tito-
lo di Maestro di Educazione Religiosa, dopo
di che lascia la sua attività professionale,
presso una multinazionale, per dedicarsi all’
insegnamento della Religione cattolica negli
Istituti superiori di Anzio e Nettuno, per 30
anni, fino al pensionamento nel 2007. È stato
promotore della iniziativa presso il comune di
Nettuno, riuscendo, recentemente, a fare inti-
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tolare una strada a Zaccaria Negroni. La coordinatrice riferisce che mons. Dante
Bernini, Vescovo emerito della Diocesi di
Albano, che ha curato la prefazione del libro
di cui alla presentazione, racconta del suo in-
contro nel 1971 con l’allora on. Negroni, Pre-
sidente diocesano dell’Azione Cattolica, in
occasione di un incontro con i giovani, giudi-
candolo uomo di “umana ricchezza di varia
natura: solidale, culturale, professionale”, del
quale rimase abbagliato per la sua “illuminata
e illuminante maturità cristiana”. Il Monsi-
gnore ha dichiarato, inoltre, di avere goduto
dell’amicizia che l’Autore ha voluto ricam-
biare con questo libro scritto con “discrezione
e misura”, anche compiaciuto di avere ritro-
vato, nel libro, un suo intervento, “primo af-
fettuoso saluto ai Giovani Albanensi”.
La signora Emanuela Miocchi commenta
come le opere belle prendano consistenza e
diventano patrimonio della comunità; ed è ciò
che è avvenuto per il Negroni che non si è
chiuso nelle segrete stanze o nelle chiese, ma
che è sceso in mezzo alla gente. E di conse-
guenza avviene per le parole di Amati che,
del “credente”, rileva la semplicità e la pa-
zienza, che disegnano il tratto umano dell’
uomo a beneficio del tratto esistenziale. E
questa presenza, di tipo parrocchiale, sta a te-
stimoniare un impegno nel sociale; ed oggi
costituisce una sfida scrivere testi in concor-
renza con la rete informatica. Passa la parola
all’Autore.
Il prof. Paolo Amati ricorda il suo primo
incontro con Zaccaria Negroni, avvenuta ad
una Assemblea Diocesana nel 1959. Persona-
lità di grande spessore che aveva conosciuto
all’età di 10 anni quando l’allora neo-
deputato, ne aveva sessanta, rimanendone af-
fascinato per la spiritualità che irradiava. La
madre l’aveva prescelto come padrino di cre-
sima, convinta che le doti della degna persona
sarebbero germogliate nel figlioletto. Negroni
organizzava conferenze e incontri, facendo
opera di evangelizzazione. In uno degli in-
contri, raccontava che le squadre fasciste en-
travano nelle tipografie mettendo tutto sotto-
sopra alla ricerca di eventuali stampati contro
il Regime, al tempo in cui firmava i suoi arti-
coli con lo pseudonimo di Ambrogio Campa-
naro, e a chi gli chiedeva “e chi te lo fa fa-
re?”, lui rispondeva che lo faceva per amore
verso Dio e il prossimo, come spiega nel libro
“Marino sotto le bombe” (1971).
L’Autore racconta che il Monsignore Ber-
nini nel 1985 aveva costituito una commis-
sione con l’intento di dare corso alla beatifi-
cazione di Zaccaria Negroni, ma le fonti, cui
Amati avrebbe potuto attingere, si presenta-
vano asciutte; la documentazione era assolu-
tamente scarsa; al di là della monografia di
Aldo Onorati (1985) non esisteva altro. Intan-
to procedeva negli studi universitari e dispo-
neva solo del titolo della tesi: Impegno nel
sociale di un credente: Zaccaria Negroni.
Rimuginando pensa di cercare, a breve, nella
casa di famiglia, fra i mucchi di libri e di car-
te sue e di suo fratello, entro un armadio, ma
senza fortuna, tranne alcune lettere indirizza-
tegli dal Negroni; e a vasto raggio, prova sui
fronti nei quali il Negroni aveva svolto le sue
molteplici attività (Zeropiù, il giornalino de-
gli anni ’70 da lui fondato, Azione Cattolica,
associazione Discepoli di Gesù da lui fonda-
ta, Istituti religiosi di studi). Comunque sia,
rintraccia gli atti parlamentari del periodo se-
natoriale (1953-1958) e di quello alla Camera
(1958-1963), trovando tutte le leggi di cui era
stato relatore: una cinquantina tra interroga-
zioni e proposte per disegni di legge. Più for-
tuna ha avuto presso l’Istituto Paolo VI, ove
si è recato con la moglie: accolto dal Sig. Su-
lis rintraccia, non senza fatica, una scatola
contenente 15 sue lettere autografe. Così de-
cide di contattare storici e biografi viventi per
attingere dallo loro viva voce.
Amati ha tracciato un breve excursus bio-
grafico: Zaccaria Negroni nasce nel 1899 a
Marino, figlio di Giuseppina Paglia e di Tito
Negroni, una fra le famiglie più ricche dei
Castelli Romani. Il giovane Zaccaria, come
discepolo di Gesù, ha fatto suo l’esempio di
San Francesco d’Assisi; fin da ragazzo rien-
trava a casa privo di scarpe o di qualche in-
dumento, perché li donava a persone che ne
avevano maggiore bisogno; e portava perfino
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le lenzuola del letto in parrocchia, venendo
scambiato per matto. Dopo le Elementari,
frequentò a Roma l’Istituto Tecnico Inferiore,
e dopo, al Politecnico di Torino, si iscrisse al-
la facoltà di Ingegneria, sottosezione Elettro-
tecnica.
Partito per il fonte nel 1917 come allievo
ufficiale con la famosa “classe ’99 dei ragazzi
del Piave”, al rientro riprende gli studi a Torino
laureandosi nel 1923. Sul versante religioso,
fra le altre cose, emulando mons. Guglielmo
Grassi che alcuni anni prima aveva fondato
l’associazione “Le Piccole Discepole di Gesù”,
Egli in collaborazione con lo stesso abate-
parroco, e con Emilio Giaccone, fonda nel
1925 l’associazione ‘I Discepoli di Gesù’, isti-
tuzione laica di umili collaboratori al servizio
dei Parroci e dei Vescovi. Discepoli che il
Negroni definisce “portatori di pace”, di sere-
nità e di letizia nella comunione ecclesiale.
In quegli anni Venti il Fascismo voleva
scardinare la struttura dell’Azione Cattolica,
ben consolidata nella società italiana, le cui
origini risalgono al 1867 ad opera di due gio-
vani Mario Fani, di Viterbo, e Giovanni Ac-
quaderni, di Bologna, con finalità apostoli-
che, distinta sia da partiti politici, sia dai sin-
dacati. Cosicché il Regime, nel 1927, fece
pressione per chiudere i Circoli Scout, che
impedivano il rinfoltirsi delle file dei Balilla e
degli Avanguardisti con i quali il Duce inten-
deva monopolizzare la formazione dei giova-
ni. Nel 1929 fu condannato a cinque anni di
confino, ma avvertito da amici riuscì a ripara-
re presso il Monastero dei Benedettini di S.
Paolo fuori le mura di Roma; in seguito tra-
scorse due notti al Regina Coeli. Nondimeno
dovette subire le angherie da parte del Regi-
me Fascista nel 1931, con la chiusura dei Cir-
coli di Azione Cattolica, poiché essi allonta-
navano i giovani dalle adunate fasciste e dal
culto della guerra.
Zaccaria Negroni, si è adoperato in prima
persona per le sorti dei suoi concittadini e del-
la città, durante tutta la sua vita, assolvendo ai
doveri civici con vero spirito cristiano. Era
sempre pronto e disponibile, rivestendo nel
contempo compiti di responsabilità in asso-
ciazioni cattoliche a livello sia locale, sia na-
zionale. Era tenuto in grande considerazione
fra le personalità ecclesiastiche e politiche di
alta responsabilità. Numerose sono le colla-
borazioni ad Associazioni, Fondazioni e Rivi-
ste, alcune anche sorte grazie alla sua pertina-
cia, di natura laica e con finalità religiosa; in-
tensa l’attività letteraria e giornalistica anche
sotto pseudonimo. Preghiere e lavoro erano la
sua attività, tanto che pur indaffarato in pro-
getti, ne cercava altri. In breve traspare la vi-
cinanza profonda di questo uomo impegnato
per la comunicazione civica e dei credenti,
sempre con serenità e letizia, perciò veniva
soprannominato Ingegnere Sorriso. Giornali-
sta attento lo troviamo nelle pagine di Avveni-
re e sulla pagina diocesana Castelli Romani
7; scrittore curò biografie, storiografia locale
e libri di meditazione. Fondò la casa editrice
‘Anonima Veritas Editrice’, nota con l’ acro-
nimo AVE, in lode alla Madonna. Su desi-
gnazione del Papa Pio XI rifondò l’Aspirante,
il giornale della Gioventù Cattolica firmando
i suoi pezzi con lo pseudonimo Ambrogio
Campanaro. Nel contempo fonda la Casa Edi-
trice Fede-Arte dei Discepoli di Gesù, con l’
acronimo CEFA, come ricalco del nome a-
ramaico di Pietro, preso come simbolo di ub-
bidienza alla Chiesa.
Segue l’intervento di Padre Giuseppe Za-
ne, il quale si sofferma sul processo di cano-
nizzazione di Zaccaria Negroni, affermando
che su di lui sono stati scritti libri; fra i più re-
centi segnala gli autori Gianni Cardinali, Al-
do Onorati e lo stesso Paolo Amati. Riferisce
che Amati cerca di scandagliarne la persona-
lità, attraverso documenti ritrovati, che erano
stati destinati alla distruzione, secondo la sua
volontà. Sottolinea le virtù cristiane, la fede
in Dio, la devozione alla Madonna e la fidu-
cia nel prossimo, definendolo modello da
imitare. Spiega che l’immagine di copertina
del libro, lo raffigura in preghiera, volendone
significare il mondo spirituale che lo rapporta
con Dio. Il Religioso augura che il Signore ne
confermi la santità attraverso un miracolo. Un
viaggio spirituale che ha visto l’uomo sempre
sul fronte dei diritti dei più bisognosi, sempre
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a difesa dei giovani, alla educazione alla pre-
ghiera, con la sua specchiata condotta.
Durante il regime fascista Zaccaria Negroni
si era opposto manifestamente contro le leggi
razziali. Ha avuto l’audacia di affrontare tanti
ostacoli frapposti dal Regime. Nel giugno
1944, a Marino, si mette contro l’ordine pre-
fettizio di sfollamento della città; per questa
sua presa di posizione, cristiana e civile, il
Governo Militare Alleato, giunto, lo nominò
primo cittadino. Nell’immediato dopoguerra
si prende la rivincita istituendo Comitati Ci-
vici con lo scopo di incalzare i cattolici a
prendere posizione in campagna elettorale. La
Provvidenza l’ha aiutato diventando Sindaco
del suo paese, Marino.
Negli anni 1948-1974 fu Presidente Dioce-
sano dell’Azione Cattolica di Albano, conti-
nuando ad interessarsi di organizzazioni na-
zionali rivolte a lavoratori e a studenti univer-
sitari come la FUCI, e nel contempo accetta l’
agone politico, divenendo uno dei fondatori
del Partito Popolare. Il suo impegno nella co-
stituzione o attività in associazioni a tutela
degli artigiani, dei giovani e degli strati più
bisognosi della popolazione locale e naziona-
le, gli ha fatto guadagnare credibilità presso la
gente e presso le autorità ecclesiastiche. In-
tanto accade che don Guglielmo Grassi, dopo
sei anni a Roma, viene destinato dal Vescovo
di Albano, Cardinale Agliardi, a prendersi cu-
ra della Parrocchia di Marino ridotta in con-
dizioni tristissime per mancata manutenzione
e per apostasia; doveva trattarsi di una collo-
cazione “provvisoria”, ma perdurò ben qua-
rantasei anni, tutta la vita. Riferisce che Ne-
groni accetta per obbedienza la competizione
fra le file della Democrazia Cristiana venendo
eletto in un primo tempo senatore, nel colle-
gio di Velletri, dato per impossibile, e nella
successiva campagna, poiché il collegio era
diventato appetibile, s’era fatto da parte ve-
nendo eletto deputato. Dopo tale parentesi
accetta di ricoprire l’incarico di Preside-
Direttore della Scuola Magistrale “Guglielmo
Grassi”.
Padre Giuseppe Zane continua riferendo
che Negroni assolve con assoluta umiltà e
con dovere le cariche politiche attraverso di-
segni di legge; operando con senso di carità,
anche spicciola, come privarsi del cappotto,
prima di rientrare a casa. Fonda Istituti Seco-
lari consacrati finalizzati ai principi evangeli-
ci (povertà, castità, carità, obbedienza), da
diffondere nella realtà temporale umana. In
prima persona vive e diffonde i principi e-
vangelici. Il Concilio Vaticano II ne recepisce
le istanze, di cui al Lumen Gentium, con un
Nuovo Statuto nel 1969, dell’Azione Cattoli-
ca, che vanta la presidenza nel 1970 di Vitto-
rio Bachelet. Nel 1975 Zaccaria Negroni fon-
da e dirige l’Associazione “Amici dei Disce-
poli”. Nel 1977 lascia le attività in gran silen-
zio, fin quando esala l’ultimo respiro, il 1° di-
cembre 1980.
Infine spiega che la seconda parte del libro
occupa circa i due terzi del volume con la ri-
produzione di scritti spirituali del Negroni,
questo per toglierli dal dimenticatoio. Zacca-
ria è diventato per molti, punto di riferimento,
educando alla preghiera, con semplicità, co-
me capacità di esternarsi, vedendosi dentro.
Laico, cristiano cattolico, se non pregava sta-
va in fermento attivo frenetico; usciva dagli
schemi del conformismo. Stava dietro le file,
non si metteva in vista, erano gli altri che lo
esortavano a compiti di rilievo o di visibilità.
Diacono, emanava intorno alla sua persona
una santità insondabile, ma verificabile nelle
virtù che troviamo nell’Ingegnere Sorriso.
Don Angelo Guarcini, riconfermando al-
cuni passi precedenti, ricorda quanto Zaccaria
Negroni si infervorasse nelle aule parlamen-
tari, nominando il nome di Dio. Al contrario
di come si presenta raffigurato sulla copertina
del libro, la sua preghiera a Dio, era un mo-
vimento di tutto il corpo, un gesticolare ani-
mato come se stesse effettivamente a tu per tu
con il Signore. Racconta che negli anni dal
1939 al 1945, nel Seminario, alle conferenze
di politici, fra cui Nenni, a favore dei lavora-
tori, non mancavano le parole di Zaccaria
Negroni, che richiamava l’importanza da ri-
conoscere alla parte spirituale degli uomini.
Ricorda il suo insegnamento, che possiamo
paragonare al testamento spirituale, quello di
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vivere senza rimpianti, di non guardare indie-
tro, nell’accezione di potere vivere senza ave-
re nulla di cui vergognarsi. Fa sua la doman-
da dell’autore Paolo Amati su chi siano i te-
stimoni di Cristo, sì da ritenersi Santi, giun-
gendo a determinare che occorra dimostrare
le virtù al massimo grado, perfezione della
carità, rifiutando ogni forma di consumismo,
di spreco e di arrivismo, sotto l’aspetto della
esistenza concreta, cioè dimostrando assimi-
lazione della spiritualità come emanazione
della Santissima Trinità.
Il prof. Giuseppe Combi, vice sindaco, fa-
cendo gli onori di casa, ricorda come Zacca-
ria Negroni abbia fatto storia in questa zona
territoriale, avendo scelto la cultura per dare
un segno di sé che ci completa. Ringrazia e
invita il pubblico a dare testimonianza, così in
chiusura, si fa avanti Edmondo Balboni, po-
eta nettunese che ha letto il componimento
“Marino”, che ripropone l’augurio a suo tem-
po rivolto in onore di Zaccaria Negroni in oc-
casione di una cerimonia svoltasi nella città
che ne vanta i natali.
Mentre il prof. Paolo Amati firmava dedi-
che, ho avuto il tempo di mettere a punto al-
cuni nomi e riferimenti, approfittando della
presenza di un sacerdote che occupava il po-
sto avanti al mio. Meritano meditazione que-
ste parole di cui abusiamo nel parlato corren-
te. Mi pare di dovere tenere presente che
quando la predisposizione al bene sia eccelsa
possa definirsi virtù e la virtù quando rag-
giunga il massimo grado costituisca santità.
Certo che l’argomento non si esaurisca qui,
anzi meriti un approfondimento, rimando al
libro, Impegno nel sociale di un credente:
Zaccaria Negroni, che non mancherà di for-
nire chiarimenti.
Tito Cauchi PAOLO AMATI - Impegno nel sociale di un credente: ZACCARIA NEGRONI [17 febbraio 1899 – 1 dicembre 1980]
***
Siamo grati all’amico Tito Cauchi per la
relazione sulla presentazione del libro dedi-
cato a Zaccaria Negroni.
Abbiamo conosciuto questo illustre perso-
naggio, umile quanto famoso. Umile, perché
non amava mettersi in mostra; famoso, per-
ché, costretto dalla necessità e pungolato
dai superiori e dai collaboratori del gregge
della Chiesa, ha fatto cose importanti e du-
rature, come l’istituzione dei Discepoli di
Gesù. L’abbiamo conosciuto a Marino, pro-
prio nella sede di questa Comunità.
Eravamo amici della superiora Madre
Agnese delle Piccole Discepoli di Gesù, co-
nosciuta grazie a una suora molisana. Ma-
dre Agnese dirigeva, anche, dei Corsi di
Formazione Professionale, finanziati dalla
Regione Lazio e noi, lavorando in quel
campo e militando nella rappresentanza
sindacale UIL, ci siamo recati diverse volte
per colloquiale con lei su problemi inerenti i
corsi stessi.
Si istaurò, così, tra noi, una salda amici-
zia, anche con la nostra famiglia; ci senti-
vamo spesso per telefono; più di una volta,
su nostra richiesta, Madre Agnese diede o-
spitalità alla nostra grande amica Solange
De Bressieux, in occasione di ripetuti viaggi
in Italia e, in particolare, a Roma e a Pome-
zia. Presso i Discepoli di Gesù è stato ospite
una volta anche il compagno di Solange:
l’attore e commediante Hubert Gravereaux,
al quale, dopo la morte, la De Bressieux ha
dedicato la silloge di poesie Pioggia di rose
sul cuore spento, vincitrice, nel 1987,
dell’VIII Edizione del Città di Pomezia, vo-
lumetto edito, nello stesso anno, da Pome-
zia-Notizie.
Non ricordiamo più, se sia stato per loro
tramite - di Madre Agnese e di Zaccaria Ne-
groni - che abbiamo conosciuto, all’inizio, i
vescovi Dante Bernini e Gaetano Bonicelli,
incontrati, poi, più e più volte, da soli o con il
Presidente dell’Azione Cattolica - Vicaria di
Pomezia, parrocchia di S. Benedetto -,
Sig.Angelo Belletri, o, ancora col sindaco di
Pomezia, Pietro Bassanetti. E’ certo, comun-
que, che dobbiamo a questi vescovi la no-
stra quindicinale collaborazione al quoti-
diano Avvenire.
Quando ci recavamo a Marino da Madre
Agnese, ne approfittavamo per incontrare
anche Zaccaria Negroni, in uno stabile poco
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.7
distante. Non si negava mai, anche se, spes-
so, ci toccava sostare a lungo perché, ci di-
cevano, era in preghiera.
Lui aveva fondato l’Editrice AVE ed era
questa a pubblicare il bellissimo e mai di-
menticato settimanale per ragazzi Il Vitto-
rioso, che ospitava i fumetti di straordinari
disegnatori e gli autori di trame appassio-
nanti, di racconti, di romanzi (ricordiamo
quelli di Vittorio Emanuele Bravetta, per
esempio), e di indimenticabili dispensatori
di allegria. Tra i fumettisti, non possiamo
non citare Benito Jacovitti. A tale straordi-
nario settimanale (costava, allora, lire 30 la
copia), abbiamo collaborato anche noi, ne-
gli anni 1953 - 1954, con barzellette e vi-
gnette (nella rubrica curata da Vittò), qual-
che poesia, qualche disegno.
Negroni ci faceva dono dei suoi libri, da
noi letti con la massima attenzione, alcuni,
come Marino sotto le bombe e la biografia
Guglielmo Grassi - La vita - Le opere, an-
che recensiti, rispettivamente nel luglio e
nel settembre 1975.
Dopo la sua morte, siamo stati anche alla
cerimonia di commemorazione, svoltasi u-
gualmente a Marino, il 21 febbraio 1981,
con l’intervento di relatori illustri, tra i qua-
li Giulio Andreotti.
Nella speranza che possa avvenire assai
presto la sua beatificazione, il libro di Paolo
Amati contribuisce, tra l’altro, a tener viva
la sua figura, a non dimenticare un grande
uomo, di azione e di preghiera, quale è stato
Zaccaria Negroni.
Domenico Defelice
BIENVENIDO, RENÉ*
En la patria elegida
se puede cantar con el pueblo
en noches ardientes
hasta el brillo de la aurora.
Regresar a la patria
es poner diamantes de sol
en un corazón trascendente
con esperanzas sin tregua.
Los compañeros esperan
y vamos sembrando promesas
de exigir justicia con coraje y valor:
no descansaremos de la lucha
hasta que, otra vez juntos
los cinco héroes cubanos
nos den la mano
desde ese lado de la libertad.
Teresinka Pereira USA
*René Gonzalez Schwerert es uno de los cinco
cubanos que fueron condenados a prision en los Estados Unidos por haber denunciado las accio-
nes violentas de los grupos terroristas de origen
cubano basificados en la Florida. Él acaba de salir de la prision y ha regresado a Cuba en donde se
junta al pueblo en la lucha para libertar sus cuatro
compañeros que todavia estan en prision.
Teresinka Pereira
Il 28 dicembre scorso, a Oppido Mamertina (RC),
è stato tenuto un Convegno in onore di Geppo
TEDESCHI, a 20 anni dalla scomparsa. Daremo
notizia nel prossimo numero. Intanto, ecco due
sue belle poesie:
TRA CAREZZA DI PIOGGIA
Tra carezze, di pioggia,
ora s’addorme
questa bruciante
siccità d’agosto.
Tocca remoti d’anima
la ripresa parlata
del torrente
e in deterso rilievo
tu mi torni.
AL LIMITE DEL BOSCO
Stanco, di danza,
un satiro riposa
accanto a pietre, fresche,
di fontana.
E’ quasi nudo.
La fanciulla estate
volge altrove,
pudìca,
le pupille.
Geppo Tedeschi
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.8
PASCALE DELORMAS 'DE L'AUTOBIOGRAPHIE
À LA MISE EN SCÈNE DE SOI.
LE CAS ROUSSEAU'. Ouvrage publié avec le concours de l'
Université Paris-Est Créteil. Editions
Lambert-Lucas, Coll. Linguistique &
Littérature, Limoges, 2012.
di Ilia Pedrina
EAN Jacques Rousseau suscita, al solo
pronunziarne il nome, un balzo all' indie-
tro nel tempo, nel clima ricco di innova-
zioni e di contraddizioni quale è stato quello
dell'Illuminismo Francese, quasi un balzo del-
la tigre direi, che dalle atmosfere regolate sul-
le luci della Ragione, per quegli intellettuali
che si riuniscono nei salotti tra borghesia
rampante ed aristocrazia annoiata ma in cerca
di costante visibilità arrogante, arriva fino alle
insoddisfazioni più profonde e provocatorie
della massa, massa critica del popolo, guidata
da studiosi e teorici della politica e dell'eco-
nomia di allora, che se ne serviranno perché il
sangue lungo le strade scorra copioso ed a
galla emergano teste, regali o meno non ha
importanza. Vivo male sia l'irrazionalità delle
scelte e delle azioni, come l'ingiustizia lavata
e levata a colpi d' accetta o di lama da ghi-
gliottina, perché la violenza fa fare passi in-
dietro alla Storia ed il meglio conquistato fino
a quel momento se ne va, mentre trionfano
parole da imprimere nella mente e da diffon-
dere con ogni mezzo, basta che restino ' paro-
le', come è il caso oggi del termine ' Demo-
crazia'. Le parole di allora erano ' Ugua-
glianza', 'Fraternità', 'Libertà' e mi assumo tut-
ta la responsabilità delle riflessioni fin qui
sintetizzate, dato che questa monografia della
studiosa Pascale Delormas non ne tratta,
mentre invece, con tecnica quasi cartesiana,
va a svelare molti importanti aspetti dell'ana-
lisi critica dei testi di questo filosofo illumista
francese.
Due i grandi campi di indagine portata ad
investigare la vita e le opere di Jean-Jacques
Rousseau, che l'Autrice offre al lettore, orga-
nizzati nel loro insieme da una sua ' Introduc-
tion' - importantissima, perchè offre un quadro
generale dei diversi approcci nel dare 'scrittura
di Sé o 'del Sé', secondo le diverse Scuole di
analisi critica del testo letterario e non solo,
quali quelle di M. Raymond e di J. Starobinski
e chiarendo come questi debbano di fatto af-
frontare non poche difficoltà ed arricchendo il
quadro di altri importantissimi contributi in-
ternazionali su questi temi - :
I. POSITIONNEMENT ET PARATOPIE;
II. LA SCÉNOGRAPHIE DES ŒUVRES.
Andremo a breve a chiarificare in sintesi le
tre grandi ripartizioni che ciascuno di questi
due settori implica ed approfondisce, perché
quasi in maniera matematica, cartesiana direi,
la studiosa conduce per mano il lettore ad im-
possessarsi delle tecniche linguistiche e di
struttura letteraria che sottendono alle opere
prese in esame: 'Confessions', 'Dialogues' e
'Rêveries', toccando tematiche di ricerca criti-
ca del significato del testo, sia esso di tono ri-
servato, intimo, confidenziale, sia esso di re-
spiro storico, filosofico, pedagogico, etico-
politico o di calibratura a strati di differenti
scenografie, se si tratta di percorsi che viag-
giano verso l'eternità della propria immagine.
Diamo qui di seguito solo i titoli delle tri-
partizioni che queste due sezioni contengono,
proprio per fornire un'idea della qualità e del-
la raffinata precisione con le quali la Delor-
mas affronta il non semplice argomento che si
è proposta di scandagliare:
I-1.République des Lettres et positionnements
de Rousseau;
2 Les apories de la communication;
3 Autographie et vie de philosophe: vers un
discours constituant.
II 4. Questions de catégorisation;
5 Questions d'énonciation;
6 Des actes indirects.
Certo in questa fatica intellettuale ella non è
sola ma ha alle spalle un percorso professio-
nale invidiabile, che le ha consentito di trarre
vantaggio dagli orientamenti di ricerca del
prof. Dominique Maingueneau, del quale mi
aveva parlato fin dal nostro primo incontro
prezioso e non superficiale a La Grave, nel
J
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.9
corso del Festival Olivier Messiaen 2013.
L'autrice spiega che J. J. Rousseau, il Gi-
nevrino della classe 1712, dopo l'arrivo a Pa-
rigi, non scaltro né ricco, ma affabile e dai
moti gentili, qualità queste che le dame salot-
tiere apprezzano oltre ogni dire - diciamo pu-
re che ve n'è un bell'elenco ai suoi piedi, da
M.me d'Epinay, già amica di Diderot, a M.me
de Besenval ed a sua figlia, a M.me de Bro-
glie, fino a M.me Dupin -, è in grado di ap-
profittare dell'amicizia per lui programmata
con Diderot e con altri della corrente scienti-
fico-letteraria dell'Encyclopédie, consentendo
loro di aprirgli un poco la strada: gli elementi
del suo 'posizionamento' sono tratteggiati con
vera accuratezza in questa monografia, anche
se mancano dati sul suo 'periodo veneziano',
al seguito di M. de Montaigu, che svolgeva l'
impegno di Ambasciatore di Francia proprio
a Venezia. L'acuta sensibilità del Rousseau
assai male si adatta alle trame ed agli intrighi
di salotti e corridoi, aristocratici o allargati al-
la ricca borghesia ben in ascesa, così si profi-
la quanto è riassunto nel termine 'paratopie',
ben difficile da tradurre in lingua italiana. Ci-
to alcuni tratti significativi, che Rousseau
stesso presenta di sé, riportati in nota:
“Deux choses presque inalliables s'unissent
en moi sans que j'en puisse concevoir la ma-
nière: un temperament tres ardent, des pas-
sions vives, impétueuses, et des idèes lentes à
naître, embarrassées, et qui ne se présentent
jamais qu'après coup. On dirait que mon
cœur et mon esprit n'appartiennent pas au
même individu” (Pascale Delormas, De l'au-
tobiographie à la mise en scène de soi. Le
cas Rousseau, ed. Lambert-Lucas, Limoges
2012, pag. 52, n. 1: J. J. Rousseau,
'Confessions', Livre III, pag 113).
Le citazioni che l'Autrice porta a prova dei
suoi rilievi critici e strutturali della scrittura di
Rousseau sono tratti alla bisogna in particola-
re dai tre testi 'Confessions', 'Dialogues' e
'Rêveries', i cui contenuti chiave sono messi
in ottimo risalto nel corso della trattazione.
Allora il termine ' paratopie' sta ad indicare
lo sforzo del filosofo francese di dettagliare la
sua posizione marginale rispetto ai luoghi, ai
tempi ed alla società che trova intorno a sé, a
tal punto da sottolineare a più livelli disagio,
rifiuto, ambiguità, ambivalenza, isolamento,
ricerca di radici profonde nella sacralità dei
legami delle società primitive, che l'attuale
stato di cittadini sottoposti ad uno Stato di di-
ritto e di fatto che li governa ed al lavoro
spinge a violare totalmente, creando infelicità
e noia e tradendo così l'intera umanità.
Ma per capire in profondità il tipo di avvi-
cinamento e di scrupolosa analisi dei testi che
la Delormas porta avanti, è necessario adden-
trarsi nello scopo preciso della trattazione,
quello che mette in rilievo le strategie adotta-
te da J. J. Rousseau per essere contro corrente
e per attirare a sé il lettore, con tecniche di
scrittura ben adeguate a farne una figura di ri-
lievo. Cito:
“...Nous avons introduit le néologisme d'
'autographie' (Delormas 2010a) pour dési-
gner les écritures de soi qui ont vocation à
l'être; l'autographie se distingue de l'autobio-
graphie dans la mesure où il ne s'agit pas
d'exprimer une quelconque intimité, mais de
faire valoir un 'grand auteur'. Les critères
suivants nous ont paru à même de rendre
compte de la spécificité de certaines mises en
scène de soi:
-L'autographie est une catégorie tran-
sverse, elle ne renvoie pas à un genre déter-
miné, elle s'appuie sur une combinaison de
critères à la fois linguistiques (marques de
l'enonciation) et communicationnelles.
-Elle est agencèe et assumée par un locu-
teur qui revendique son autorialité.
-Elle poursuit l'objectif déclaré de dévoi-
lement de la personalité de l'auteur – ce qui
sous-entend qu'elle présente un intérêt pour
une collectivité.
-Elle se fonde sur une injonction de vérité,
sur un pacte qui suppose la verifiabilité des
faits et engage la sincérité de l'auteur...” (P.
Delormas, op. cit. pp.11-12).
Ed in effetti tutto il lavoro, dettagliato e co-
involgente, citazioni specifiche dai tre testi di
Rousseau che abbiamo evidenziato comprese,
ma non solo, può essere utilizzato per appro-
fondire meglio la costruzione intellettuale che
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.10
questo scrittore intende portare avanti attraver-
so le sue opere, attirando a sé i lettori del suo e
d'ogni tempo, perché colgano ciò che a loro
serve, in una dimensione di temporalità che ha
tutte le caratteristiche dell'umana eternità.
Ilia Pedrina
IN DIALOGO CON
PASCALE DELORMAS, RICERCATRICE FRANCESE
SULL'ANALISI DEL TESTO
LETTERARIO E FILOSOFICO di Ilia Pedrina
UTTI noi, lettori e collaboratori di
questa Rivista, con il suo Direttore in
testa, amiamo la lingua francese, i
suoi scrittori, i suoi poeti, i suoi filosofi, e tut-
ti quelli che da secoli vogliono fare un 'viag-
gio in Italia', come ad esempio Montaigne,
che verrà a sperimentare l'efficacia delle cure
termali e dei bagni ristoratori per le sue affe-
zioni urinarie. D'Annunzio se n'è andato dalla
sua tenuta alla 'Capponcina', trova protezione,
conforto e divertimento assicurato a Parigi e
vi incontra Debussy; Lionello Fiumi se n'è
andato da Verona, ha sostato a Parigi e vi tro-
va la prima vera compagna della sua vita, che
gli diverrà sposa ed apre la sezione parigina
della 'Dante Alighieri', abitando in Rue de
Lauriston, dove gli vengono recapitate anche
le lettere di Giuseppe Antonio Borgese, persi-
no dall'America (sulle quali sto lavorando
non poco e reperite dall'Archivio del Fondo
Fiumi a Verona); io me ne sono andata da Vi-
cenza, per pochi giorni però, alla fine del
1972, ed a Parigi ho incontrato Louis Althus-
ser e Claude Lefort e Guy Tosi e la carissima,
indimenticabile Solange De Bressieux: ne so-
no nati materiali inediti per la mia tesi di lau-
rea su Maurice Merleau-Ponty ed una passio-
ne profonda per la lingua francese, che ancora
permane inattaccabile. Questa la premessa
per parlare di un incontro sincero la sua parte
ed assai importante, quello con Pascale De-
lormas, esile, graziosa e delicata, provetta
camminatrice tra le alture del Ghiacciaio di
La Mejie, a La Grave, in occasione delle va-
rie edizioni del Festival 'OLIVIER MESSIA-
EN': quel panorama mozzafiato ha fatto da
cornice al nostro rendez-vous, a sorpresa,
perché io stavo lavorando 'in solitaria' al testo
'Pli selon Pli' al Cafè des Alpes e mi sono sen-
tita appoggiare una mano sulla spalla. Era lei.
La conversazione si fa intensa, Stéphane Mal-
larmé e poi Verlaine e poi Pierre Boulez, con
le sue composizioni investigative proprio sui
testi poetici di Mallarmé, come lo è la com-
posizione 'Pli selon Pli', e poi i concerti, il
commiato, la promessa di darle meritato spa-
zio su questa preziosa Rivista, perché in essa
molti sono i veri intenditori di analisi critica
del testo letterario, in primis proprio il nostro
Direttore.
I. P. Eccoci a noi, cara Pascale. A nome del
nostro Direttore, prof. Domenico Defelice e
di tutti i lettori di Pomezia Notizie, che sono
poeti, scrittori, studiosi delle Lettere, delle
dottrine del Diritto, delle Scienze, e delle Ar-
ti, e di molti altri campi del Sapere, ti chiedo
di fornirci alcune prospettive sul tuo profilo
intellettuale e professionale. In questa dire-
zione, quale è stato il ruolo svolto dal prof.
Dominique Maingueneau nel formulare i
tuoi personali punti di vista nell'approccio
alla ricerca su testi francesi di Letteratura e
di Filosofia?
P. D. Dominique Maingueneau, Professore di
Linguistica alla Sorbona, è molto noto in Eu-
ropa ed in Brasile all'interno della comunità dei
ricercatori nel campo delle Scienze del lin-
guaggio, per ogni tipologia di lavoro sull'anali-
si del discorso. E' coeditore di un 'Dictionnaire
d'analyse du discours' (con P. Charaudeau). Il
suo contributo è essenziale e decisivo in mate-
ria di analisi del discorso letterario. La sua ela-
borazione teorica raggiunge risultati ambizio-
si e la presentazione che ne fa è assai didatti-
ca: anche se tutti si trovano d'accordo nel ri-
tenere il suo approccio all'analisi del discorso
letterario molto convincente, la sua prospetti-
va si scontra con diversi ostacoli.
Il primo è quello della incomunicabilità o
'chiusura' disciplinare. I letterati ed i filosofi
T
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.11
mal sopportano che ci si accosti a quello che
loro considerano come proprio 'dominio' con
strumentazioni che sono a loro estranee. Il se-
condo ostacolo consiste nel rimettere in di-
scussione la loro identità ed il loro concetto di
opera letteraria e di 'autorialità'. In relazione e
nei confronti dell'analisi del discorso, il testo
letterario è desacralizzato. La distinzione tra
testo e contesto appare fragile e gli interroga-
tivi che vengono posti non sono più affatto gli
stessi: essi riguardano la dimensione socio-
storica, pragmatica ed enunciativa, che ora
divengono di interesse cruciale. La rivendica-
zione d'un tale taglio netto ('regard surplom-
bant') è molto difficile da accettare da parte
degli specialisti di letteratura o di filosofia,
tanto quanto l'approccio di Bourdieu (1), con-
siderato dai suoi colleghi 'condiscendente'.
Per quanto mi riguarda, mi è sembrato oppor-
tuno cogliere la possibilità che offre l'analisi
del discorso di sfuggire ad una tradizione
troppo spesso ammessa come irrefutabile. La
mia formazione iniziale di germanista e di
linguista, insieme con la lunga permanenza
nell'Africa dell'Ovest, che ha contrassegnato
la prima parte della mia vita, mi hanno con-
sentito di adottare la distanza critica che per-
mette di considerare gli scritti come manife-
stazioni marcate culturalmente, collegate ad
una particolare visione del mondo. Inoltre ho
trovato interessante rimettere in discussione
la definizione di un ipotetico “genere auto-
biografico” ed il carattere molto convenzio-
nale delle interpretazioni che si sono solita-
mente espresse su Rousseau nell'ambiente u-
niversitario.
Intellettualmente stimolante e ricca di pro-
messe, l'analisi del discorso apre una breccia
e svela nuovi orizzonti dai quali si può assu-
mere una posizione di estraneità favorevole al
giudizio. Questo fatto presuppone di ammet-
tere la trasversalità degli approcci e di rinun-
ciare a considerare gli scritti letterari o filoso-
fici come dei testi, per affrontarli invece come
dei discorsi: si deve allora tener conto dell'in-
terdiscorso, vale a dire di tutti i discorsi che li
mettono in essere, la configurazione del cam-
po - nel senso di Bourdieu, vale a dire i con-
flitti, le lotte che gli hanno conferito la sua i-
dentità -, gli effetti delle produzioni discorsi-
ve, l'ordine antropologico al quale esse rin-
viano, così come la vita degli individui in
carne ed ossa che li utilizzano. Deve essere
sottolineata la differenza con l'approccio dei
sociologi della letteratura: nel momento in cui
si interessano al contesto di produzione delle
opere, è proprio la dimensione linguistica ad
assumere una posizione centrale per l'analista
del discorso. Egli tenta parimenti di non di-
sgiungere il livello linguistico dal livello so-
cio-storico. Il punto di contatto tra questi due
livelli d'analisi è il genere. È così che in un
primo tempo mi sono concentrata sulla no-
zione controversa di “genere autobiografico”.
I. P. Nel catalogo della Casa Editrice Lam-
bert-Lucas sono presenti molti studiosi che
pongono in essere nuovi percorsi nell'esa-
minare criticamente autori e loro opere. Sei
al corrente di quali sono alcuni importanti
obiettivi raggiunti dal punto di vista editoria-
le?
P. D. D. Maingueneau ed io abbiamo pubbli-
cato due libri (il primo con Inger Ostenstad, il
secondo con Frédéric Cossutta) presso l'Edi-
tore Lambert-Lucas, la cui sede è a Limoges
ed il cui catalogo sta per divenire un punto di
riferimento per le Scienze del Linguaggio. Le
quarte di copertina mettono in luce in modo
conciso l'intendimento:
il libro 'Se dire écrivains' riguarda i gesti, i
comportamenti attraverso cui un individuo si
mette in gioco come scrittore. Negli approcci
tradizionali della letteratura, una tale proble-
matica non trova posto: da un lato ci sono i
testi, dall'altro un certo numero di fattori so-
ciali e psicologici che permettono di chiarire
la loro genesi. Invece, a causa dell'approccio
discorsivo di cui si vanta quest'opera, è ne-
cessario dare importanza all'attività di tipo i-
stituzionale attraverso cui gli scrittori legitti-
mano il modo singolare con cui assumono la
loro condizione. Così, 'dirsi scrittore' è come
mettere in campo un'opposizione spontanea
tra il testo ed un'istanza esteriore, 'lo scrittore',
che non riguarda direttamente la letteratura.
In realtà, questo 'scrittore' non è né all'interno
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.12
né all'esterno delle opere ed è necessario de-
finire costantemente la posizione ch'egli in-
tende occupare nel grande scenario della let-
teratura.
'La vie à l'œuvre. Le biographique dans le di-
scours philosophique' è il secondo lavoro col-
lettivo che ho coeditato. Esso esplora un a-
spetto particolare della produzione in campo
filosofico, la scrittura biografica. Proviene dal
Gradphi (Groupe de recherche sur l'analyse
du discours philosophique), che riunisce filo-
sofi e linguisti preoccupati di concepire la fi-
losofia come un'attività discorsiva che non
potrà essere ridotta ai soli monumenti scritti
depositati nel pantheon della tradizione. Inte-
ressarsi alla biografia dei filosofi è troppo so-
vente come opporre la vita e l'opera, essendo
la prima ridotta a chiarificare la seconda.
Questo libro collettivo propone una rivaluta-
zione di questo rapporto, restituendogli la sua
complessità. La vita, vale a dire la biografia
propriamente detta, fatta di eventi collegati ad
un nome e ad un individuo in situazione, un
modo di vita specifico, consistente nel vivere
secondo precetti teorici e pratici, ma contem-
poraneamente anche le forme narrative che
sintetizzano, perfino tentano di oggettivare
scientificamente la vita nella biografia. Que-
ste tre modalità s'intrecciano, si compenetra-
no, si richiamano o si oppongono. Mostran-
dosi sensibili alle dimensioni discorsive ed i-
stituzionali dell'attività filosofica, gli autori
s'impegnano a dimostrare che l'analisi non
deve dissociare riferimenti di vita e riferimen-
ti di metodo, l'emergere dei generi biografici
ed il costituirsi dell'identità di filosofo. In
questo modo la vita si vive nello scriversi,
tanto quanto la scrittura si fa vita, in un perpe-
tuo gioco d'intrecci.
I. P. Alcune chiarificazioni intorno al ter-
mine 'constituant' ed al suo senso, come
dimensione interessante di una particolare
prospettiva sui testi di J. J. Rousseau.
P. D. Il termine 'discours constituant' (discor-
so costituente) ha una storia recente. Questa
nozione, introdotta da D. Maingueneau e da
F. Cossutta in un articolo del 1995, rinvia ad
un insieme di discorsi che “servono da garan-
zia agli altri discorsi e che, non avendo per se
stessi dei discorsi a monte che li convalidino,
devono gestire nella propria enunciazione il
loro statuto, in un certo senso 'autofondato'”,
secondo il Dictionnaire d'analyse du discours
(op. cit.), “i discorsi costituenti si appropriano
di due dimensioni, una dimensione sociale ed
una dimensione testuale ed enunciativa. L'i-
potesi che sostiene una tale categoria è che
questi discorsi - che possono essere tanto dei
testi letterari quanto filosofici o religiosi –
hanno un modo particolare di gestire il loro
sistema d'inserimento nella società, la loro
scenografia e la loro modalità di organizza-
zione testuale. Tale nozione associata a quella
di 'costituzione' sfrutta due dimensioni inse-
parabili: la costituzione come organizzazione
testuale e la costituzione come atto giuridico.
Questa autolegittimazione permette loro di
servire da garanzia ad altri discorsi”.
Io cerco di dimostrare come gli scritti di sé
quali sono le 'Confessions', 'Rousseau juge de
Jean-Jacques', 'Rêveries' di Rousseau s'im-
pongono in quanto pretendono di essere costi-
tuenti, spingono alla costitutività. Questa ten-
sione verso la costitutività si manifesta d'al-
tronde esplicitamente quando Rousseau scri-
ve che essi saranno i soli testi a manifestare la
verità su un uomo e che questa impresa sarà
unica nel suo genere. Naturalmente tutti i tipi
di metodi di scrittura convergono verso la
stessa meta, con questa stessa intenzione.
I. P. Siamo arrivati ora al tuo lavoro impor-
tante, 'De l'autobiographie à la mise en scè-
ne de soi. Le cas Rousseau', pure edito da
Lambert-Lucas, che ho ben volentieri recen-
sito qui, su Pomezia Notizie. È quasi come
viaggiare con lui, con i suoi scritti ed all'in-
terno della sua vita nel medesimo tempo e tu
ci accompagni per mano, in modo calmo e
competente. Quando ti è venuta l'idea di
scrivere questa investigazione, che va a toc-
care tutti gli ambiti specifici della Cultura
Europea del XVIII secolo, l'Età del Lumi, e
non solo in Francia?
P. D. Quando ho avvicinato D. Maingueneau
per quanto concerne la prospettiva d'un pro-
getto intorno ai generi della messa in scena di
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.13
sé, avevo consapevolezza d'essere la prima a
voler sperimentare su un corpus importante la
validità e robustezza di tutto il suo apparato
concettuale concernente il campo letterario.
Ciò rappresentava una vera e propria rivolu-
zione intellettuale per quanto concerne il mo-
do di leggere Rousseau e le sue autobiografie.
Il circuito di proiezione che queste scatenano
è massiccio, anche se è molto difficile per il
lettore rinunciare a rappresentarsi un'altra
persona dietro le parole rispetto a quella che il
filosofo stesso ha così abilmente costruito.
Tuttavia, come immaginare seriamente che
Rousseau ci consegni una qualche sorta di in-
timità negli scritti su di sé? Perché questa
tendenza 'da lettore', cioè lettoriale così inno-
cente in essi, quando si tratta di Rousseau? Si
tratterebbe allora d'una vera sfida che biso-
gnava condurre contro il maggiore ostacolo
che rappresenta l'evidenza...
Era necessario ricontestualizzare i suoi scritti
per arrivare a decostruire l'immagine che egli
ha elaborato per i posteri. Dunque io ho o-
rientato un nuovo sguardo sul filosofo di lin-
gua francese che ha influenzato marcatamen-
te il preromanticismo e, più in generale, su
ciò che viene definito il “genere autobiografi-
co”. Ne è risultato uno studio che rimette in
gioco un certo numero di presupposti e di ca-
tegorie di tipo generico. L'originalità del pun-
to di vista dell'analisi del discorso risiede in
realtà nella definizione ch'ella ci offre dei ge-
neri e della loro funzione.
In egual misura nel mio libro ho inteso mo-
strare quanto pesi nella configurazione di-
scorsiva la relazione che unisce una comu-
nanza di espressione del discorso ed i suoi
membri. Nel caso della figura paradigmatica
di Rousseau, si tratta di comprendere che gli
scritti su se stesso sono un mezzo per prende-
re posizione all'interno della comunità ch'egli
frequenta; i suoi amici arriveranno a diventa-
re i suoi 'nemici' e lui stesso andrà ad adottare
un atteggiamento paradossale che gli consen-
tirà di farsi capire.
I. P. Pensiamo ora a J. J. Rousseau da Gi-
nevra a Parigi, giovane e di bell'aspetto,
forse amato dalle ricche cortigiane dei vec-
chi regnanti di Francia, nel più importante
contesto di intellettuali e filosofi del tempo.
I circoli ed i salotti privati dell'aristocrazia
sono le cornici più importanti del suo sog-
giorno parigino. Che dire del suo legame
amicale con Diderot? Perché è finita que-
sta relazione letteraria e filosofica al tempo
stesso?
P. D. Con Diderot c'è una relazione ambigua.
Questi lo invita a partecipare al grande pro-
getto collettivo dell' Encyclopedie, affidando-
gli degli incarichi. Rousseau stesso racconta
nelle Confessions come Diderot l'abbia spinto
a radicalizzare le sue posizioni politiche e so-
ciali, incoraggiandolo nel momento in cui e-
gli ha voluto concorrere all'Accademia di
Berlino con il suo primo discorso. Ma era ne-
cessario che Rousseau evidenziasse la sua
differenza e fornisse delle indicazioni circa la
sua autonomia. In effetti, le figure di Diderot
e di Voltaire sono strumentalizzate: poco im-
porta che i rimproveri di Rousseau contro di
loro si riferiscano o meno alla realtà della si-
tuazione; nel sottolineare i dissensi, nell'inve-
ire contro le abitudini dei salottieri, nel criti-
care le loro usanze di 'filosofi' che li frequen-
tano, Rousseau arriva a far comprendere tanto
più chiaramente le sue scelte, ritenute più
giuste, più conformi all'etica di un filosofo
degno di questo nome e da qui tutti i suoi
numerosi riferimenti all'antichità.
I.P. E che dire della relazione tra J. J.
Rousseau e Voltaire, anche avendo presen-
te la tragedia di Lisbona, il tremendo ter-
remoto avvenuto l'1 Novembre 1755, nel
quale il numero dei morti è stato impres-
sionante? In quello stesso momento Casa-
nova era nella Prigione dei Piombi a Vene-
zia ed ha visto muoversi tutto su e giù, in
quella sua piccola stanza!
P. D. Di nuovo voglio precisare che non mi
interessa se Rousseau pensa veramente ciò
che scrive e nemmeno affronto nella mia ana-
lisi la dimensione dottrinale, in quanto questo
non è il mio obiettivo. Vedo nella pubblica-
zione del poema di Voltaire su 'Le tremble-
ment de terre de Lisbonne' l'occasione propi-
zia per Rousseau di prendere le sue debite di-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.14
stanze. Oltre alla possibilità di un posiziona-
mento politico, si può leggere la sua 'Lettre
sur la Providence' con data 18 agosto 1756,
come una risposta a Voltaire. Questa prima
manifestazione pubblica di disaccordo è il
momento propizio, legato ad un evento che
aveva scosso le persone sensibili di tutta l'Eu-
ropa, che Rousseau sceglie per far conoscere
una prospettiva che non sarà più quella di
Voltaire. In seguito i due uomini non cesse-
ranno affatto di porsi l'uno contro l'altro attra-
verso scritti interposti, radicalizzando così dei
'partiti presi', che concorrono alla loro visibi-
lità. Tuttavia Rousseau afferma di provare
una grande ammirazione per l'illustre pensa-
tore e nelle 'Confessions' si rammarica di es-
sere stato ignorato.
I.P. Passiamo adesso ai concetti sviluppati
nella struttura stessa della tua investiga-
zione: il concetto di 'autografia', il concetto
di 'paratopia' e la dimensione del 'se stes-
so', ovvero 'la messa in scena di sé', all'in-
terno delle opere specifiche di Rousseau,
'Confessions', 'Dialogues', e 'Rêveries'.
P. D. Il concetto di 'autografia' ha il vantaggio
di distinguersi dall'autobiografia in quanto
non si va a trattare il 'bios'. Con questo nuovo
termine voglio spiegare che, dato che la vita è
stata presa dentro dalla scrittura che ce ne ha
fornito solo un'immagine, bisogna andare ad
esaminare un artificio di scrittura che permet-
ta l'incorporazione suggerita dall'autore, vale
a dire questa convergenza immaginaria tra
un'istanza di scrittore che si lascia leggere
come autore - con tutto ciò che questo termi-
ne implica come ricerca di riconoscimento –
e un lettore disposto a rispondere all'ingiun-
zione autoriale. Io propongo che il termine di
'autografia' indichi non un genere ma una ca-
tegoria discorsiva, utilizzata nelle forme ge-
neriche molto diverse di 'scritti di sé', e che
intenderà farsi leggere come un'opera. La
prima funzione di accompagnamento delle
opere di un autore per orientare la lettura vie-
ne allora ridotta a tutto beneficio di questa
ambizione superiore. Ne do nel mio testo una
definizione precisa ed il suo fondamento det-
tagliato poggia proprio sull'analisi degli scritti
'autografici' di Rousseau.
Il concetto di 'paratopia' è una proposizione
teorica di D. Maingueneau che dimostra la
tensione paradossale che caratterizza l'attività
creativa: si tratta d'essere riconosciuto come
membro della comunità - e questa lo pro-
muove direttamente o indirettamente – pur
sottolineandone la differenza. Tale distinzione
si realizza in forme diverse: protagonisti mar-
ginali, rifiuto d'appartenenza sociale, rifiuto
della norma sessuale, della norma familiare
come pure della norma linguistica, queste so-
no le manifestazioni di scrittura più frequenti.
Ora Rousseau fa della propria marginalità la
sua bandiera, ma i fatti sono lì a contraddirlo.
In realtà, in vita, egli ha una vera notorietà: il
suo nome è conosciuto in tutta Europa, i suoi
scritti sono ampiamente tradotti e non si conta
il numero dei suoi fedelissimi. Ciò che stupi-
sce è che la distorsione tra ciò che egli scrive
di sé e la realtà vera della sua situazione non
provoca nessuna meraviglia. È precisamente
questo aspetto che mi ha coinvolto e spinto ad
analizzare i suoi scritti.
Nel mio libro esploro le procedure della 'mes-
sa in scena di sé', nei tre scritti di Rousseau, le
'Confessions',i 'Dialogues' e le Rêveries'. Io
mostro quali sono i diversi sistemi di lin-
guaggio impiegati che danno luogo al tipo di
fascinazione da loro esercitata. Cerco di sco-
prire non un senso nascosto come si fa con un
testo criptato, ma una maniera di scrivere che
inserisce le opere nella posterità attraverso
una presentazione di sé ambigua. Così Rous-
seau si mostra, lo si voglia o no, perfettamen-
te a conoscenza delle strategie di scrittura del
suo tempo e se sostiene la sua estraneità, ciò
avviene nella prospettiva di guadagnarne in
riconoscimento.
I.P. Qual è il ruolo, da ieri a oggi, che il let-
tore può svolgere e gestire con questo par-
ticolare Autore e con i suoi testi complessi?
P. D. Se si adotta il punto di vista critico
dell'analisi del discorso, si guadagna in chia-
rezza. In ogni caso questa è l'esperienza che
ho fatto e numerose testimonianze vanno in
questa direzione. Ciò rappresenta un certo in-
vestimento cognitivo e questo comporta di
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.15
accettare l'eventuale sospensione delle vec-
chie rappresentazioni, sacrificate sull'altare
della chiarezza.
Tuttavia il lavoro di ricercatore può essere
completamente distinto da quello di lettore,
coinvolto nella relazione intersoggettiva che i
testi promuovono. Certamente l'analisi del di-
scorso oppone il proprio punto di vista teorico
all'ermeneutica, ma nessuno ignora il fatto
che la nostra riflessione è indifferente a que-
sto tipo di contraddizione e che il lettore
semplice può coesistere molto bene con il let-
tore addentro all'analisi del discorso. I livelli
di lettura evidenziati non mobilitano le stesse
competenze né la stessa sensibilità.
I.P. Che ruolo svolge Michél Foucault e la
sua prospettiva nella tua analisi di Rousse-
au e della società in cui ha vissuto?
P. D. Se l'analisi del discorso rimette sul tap-
peto la questione dell'autorialità e fornisce un
posto importante alla vita dell'autore, in op-
posizione al senso comune della lettura con-
creta dei testi, questo non accade certo per ri-
tornare alla vecchia tradizione che vedeva
una relazione essenziale nel rapporto vita/
opera. La prospettiva dell'analisi del discorso
è per questo aspetto vicina alla concezione
foucaultiana della morte dell'autore; la nozio-
ne di 'strati testuali' e la definizione dell'auto-
re che ne dà Foucault nel suo celebre articolo
'Qu'est-ce qu'un auteur?” rendono ragione
d'una concezione del 'letterario' che l'analisi
del discorso ha fatto suo. L'autore è interpre-
tato da Foucault come funzione; il suo nome
è associato ad una icona e circola come refe-
renza. Il nome dell'autore è la garanzia che dà
consistenza alla realtà delle finzioni. I lavori
che ho portato avanti sulle manifestazioni
linguistiche dell'autorialità nelle opere auto-
grafiche di Rousseau danno dimostrazione
fondata d'una tale concezione e ne sviluppano
le conseguenze.
I.P. Hai costruito la tua investigazione co-
me un'esposizione semantica di stadi e li-
velli interni alla vita ed alle opere di Rous-
seau: connessioni logiche e sezioni conse-
quenziali con cui noi possiamo andare a
costruire un bell'edificio intellettuale ed ar-
tistico. Vi è qui un certo qual elemento che
viene da Wittgenstein e dalla sua esperien-
za sul linguaggio e sul suo uso? Vi sono an-
che altri punti di riferimento che hanno il-
luminato la tua passione ed abilità nella
scrittura?
P. D. Riconosco una certa affinità dei miei la-
vori con la critica del modello rappresentativo
della conoscenza in Wittgenstein. Dato che
per Wittgenstein non esiste il concetto di veri-
tà indipendentemente dal nostro comporta-
mento linguistico, si possono effettivamente
ritrovare nel mio libro delle indicazioni che
mostrano una prossimità con questo filosofo,
ma essa è diluita. Si può tentare un accosta-
mento chiarificatore tra Wittgenstein e Fou-
cault, che è un pensatore inevitabile nell'ana-
lisi del discorso. Quando egli scrive nella 'Ar-
chéologie du savoir', alla pagina 153-154, che
la pratica discorsiva è “un insieme di regole
anonime, storiche, sempre determinate nel
tempo e nello spazio che hanno definito, in
un'epoca data e per un dato clima sociale, e-
conomico, geografico o linguistico, le condi-
zioni d'esercizio della funzione enunciativa”,
si può pensare ch'egli riprenda l'enunciato
(lapidario) di Wittgenstein, secondo il quale
“un gioco (linguistico) si realizza seguendo
una regola data” (Philosophische Untersu-
chungen, op. cit. § 54, p. 270).
I.P. La società e le sue tecniche di comuni-
cazione sono sempre terreni in movimento
nei quali chiunque scrive può trovare la
sua strada per arrivare al futuro? J. J.
Rousseau stava ricercando una particolare
forma di eternità...
P. D. Certo la ricerca d'eternità di Rousseau è
leggibile nei suoi scritti, ma io mi guardo be-
ne dall'usare l'immagine retrospettiva che ci
viene data abitualmente. Non dimentichiamo
che Rousseau è un uomo del XVIII secolo e
che obbedisce a dei sistemi di comportamento
che sono quelli dei suoi contemporanei. Ciò
che m'interessa è precisamente la fabbrica-
zione del discorso, non certo il montaggio
delle procedure retoriche - che è l'oggetto di
studio della stilistica e che coinvolge soltanto
la dimensione testuale - ma l'articolazione del
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.16
linguaggio e della sua inscrizione socio-
storica, cosa che implica di osservare le inte-
razioni degli individui e delle comunità di-
scorsive che gli danno corpo. L'analisi del di-
scorso contribuisce ad esplorare i segreti della
circolazione del linguaggio, chiamando in
causa tutti i parametri che gli conferiscono il
suo spessore.
Ilia Pedrina (1) Nella quarta di copertina del suo 'Méditations
pascaliennes', Pierre Bourdieu si presenta come
'...anthropologue, sociologue, professeur au Collogé de France' (Éditions de Seuil, Paris, 1997), evitando
accuratamente di far rilevare il territorio della Filoso-
fia, al quale in realtà apparteneva, per porre il più pieno accento sul legame stretto tra scrittura e vita
sociale negli Autori da lui presi in considerazione,
sullo sguardo da antropologo, da sociologo appunto.
FRA QUA E L’ALDILÀ
Immerso fra qua
e l’aldilà, mi sento
nocchiere in bilico tra ricordi
lacrimosi, delizie
frante e chimere perdute.
Sì, il trasloco è imminente:
poi, che sarà degli occhi
miei rinsecchiti, del mio
corpo piagato, dei miei
pochi canti sofferti
alcuni ancora intonsi?
E’ tanto dolore il silenzio.
Il prossimo valico è sterposo
e misterioso. E’ questa
frontiera ispida l’ultraterreno?
Intanto il travaglio
della morte scava e scava,
mentre io attendo la Luminosità
brulicante degli abbagli.
Ma Signore, se fioca
sarà la luce bramata,
io volentieri tornerei
al buio della terra,
ai trastulli dell’ignara
fanciullezza, candida,
povera, sognante.
I miei passi intanto
sdrucciolano su pietre
biancastre consunte
di vari lustri
e mi pare udire
rosari e preghiere
di dame popolane,
bagnate di stille di sale.
Sta per estinguersi
ormai anche il cuore,
raggio di sole che a spicchi
lento si eclissa
dentro il velluto
della bocca del vulcano.
Cos’è la morte? Forse
la pace tutta quiete
o un fardello di piombo
che appena si smuove
o forse un cumulo enorme
di piume leggere leggere,
o forse il serpente nero
che con l’aspide
mi striscia accanto
o forse ancora è la bilancia
di Dio che di ciascuno
disvela la doppia partita
del bene o del male.
E mi chiedo, qual è
il saldo della inquieta
mia aspra vita? Quale?
Rocco Cambareri
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA! 25/11/2013
Il giudice Grattieri paventa che Papa Fran-
cesco possa venire assassinato. Non diretta-
mente da ‘Ndrangheta e Camorra - dice -,
ma da chi, in Italia, detiene il vero potere
economico e politico. Dio non voglia, ma se
dovesse succedere, il colpevole è già noto a
tutti: Silvio Berlusconi!
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.17
LA MOSTRA "VICE VERSA" DI
BARTOLOMEO PIETROMARCHI ALLA 55ESIMA EDIZIONE DELLA
BIENNALE DI VENEZIA di Andrea Bonanno
OPO la variegata schiera propinata-
ci dal Gioni, con il titolo de "Il Pa-
lazzo enciclopedico", in salsa psica-
nalatico-junghiana, di esoterici, di spiritisti, di
cartomanti astrali, di visionari di ogni sorta,
di "outsider", nonché di quanti si dimenano
fra il trendy e l'ossessiva maniacalità, si è a-
vuta la mostra del direttore del MACRO di
Roma Bartolomeo Pietromarchi. Se il Gioni
declina l'arte come una patologia esclusivista
che privilegia visioni stralunate e schizoidi,
elucubrazioni e deliri di tanti veicolatori pas-
sivi delle emergenze dell'inconscio e dei de-
triti sottoculturali a carattere esoterico del
primo novecento, ciò che non convince di sif-
fatta retroguardia è il voluto misconoscere le
terribili problematicità del reale e la penosa
condizione in cui versa l'arte contemporanea,
ridotta ad una estetizzazione di un neodadai-
smo che affibbia simboli oscillanti1 a degli
oggetti estrapolati dalla realtà, considerati dei
"ready-made", con la scandalosa sparizione
della vera pittura, ridotta a peregrine appari-
zioni estetistiche e decorative,
Il Pietromarchi presenta una sua teorica par-
titura incentrata su concetti generici e forma-
listici, che non riguardano la ricerca di nuovi
significati culturali, politici e sociali. Tutto
sembra scivolare nelle trite risoluzioni del
già visto e saputo. Eppure, nell'intervista del
5/10/2012 2, il suddetto curatore aveva e-
spresso la volontà di far respirare l'arte apren-
dola ad esperienze nuove e di verificarne al-
cune sue linee. Così, attraverso dei concetti
indicativi ed oppositivi "polarmente coniuga-
ti", richiamandosi al filosofo Giorgio Agam-
ben di "Le categorie italiane. Studi di poetica"
(1996), vuole ricercare la definizione della
nostra vera identità e della medesima essenza
dell'arte.
Si direbbe un bel progetto filosofico e an-
tropologico, oltre che politico e sociale in teo-
ria, ma ci si accorge ben presto che tutto frana
in un manieristico neodadaismo gratuito e, a
volte, da cabaret, in una clonazione inerte di
qualche aspetto della realtà, mancando spesso
alle operazioni estetiche presentate un vero
spessore poetico che caratterizza una vera o-
pera d'arte. I concetti antinomici proposti
(corpo/storia, veduta/luogo, suono/silenzio,
prospettiva/superficie, familiare/estraneo, si-
stema/frammento e tragedia/commedia) si of-
frono come degli indicatori generici e delimi-
tatori del contenuto delle opere presentate da
ben sette coppie di operatori estetici, le cui
opere sovente si originano da spunti didasca-
lici, da abbrivi di un rarefatto con- cettuali-
smo libresco e didattico o da una banale e pa-
radossale trovatina di un pessimo luna park.
Non vi è allora alcun dubbio che la partitura
teorica dei binomi tematici proposti si rivela
opportunistica e uno stratagemma di comodo
per annoverare alcuni dei suoi operatori este-
tici, che ha già presentato al MACRO di Ro-
ma, di cui è direttore dall'agosto del 2011,
bypassando ancora una volta l'importante di-
stinzione tra rappresentazione e presentazio-
ne, fra la commistione di tanti codici lingui-
stici delle differenti discipline dell'arte e l'au-
tonomia di ognuna di esse, fra una gestione
democratica connessa al riconoscimento del
valore dell'opera e la sua becera e truffaldina
manipolazione clientelistica. Ad una diversa
tematica proposta si raffrontano di volta in
volta allora due operatori estetici. Per la se-
zione "corpo/ storia" viene riproposta una
performance del 1973 di Fabio Mauri (1926-
2009), dal titolo "Ideologia e natura", in cui
una "giovane italiana", in divisa fascista, si
veste e si spoglia di continuo, per volere esor-
cizzare l'incubo di un ritorno delle ideologie
totalitarie e la conservazione in torri lignee
della terra rimossa dalle fosse comuni di noti
eccidi storici da parte di Francesco Arena
(1978). Per il "suono/silenzio", si ha con
Massimo Bartolini (1962) il rifacimento di un
corridoio stretto senza uscite, cosparso di ter-
ra e pietre in bronzo, la cui terribilità del si-
lenzio viene scandita dalle parole/musiche di
D
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.18
Giuseppe Chiari, mentre per il suono, France-
sca Grilli (1978) emette vocalizzi che voglio-
no infrangere la monotonia raggelante di una
goccia d'acqua che, cadendo su una grande
lastra di ferro, forma delle striature di ruggi-
ne. Per "familiare/estraneo", Flavio Favelli
(1967) presenta una grande cupola tardorina-
scimentale, enigmatica e grottesca, tentando
di far coincidere la sua visionarietà con quel-
la degli "altri", mentre Marcello Maloberti
(1966) dà luogo ad una performance in cui
dei ragazzi alzano e abbassano dei teli azzur-
ri su un monolite. Per il binomio "sistema/
frammento" si ha un omaggio a Gianfranco
Baruchello (1924) con la presentazione del
suo laboratorio di ricerca e della sua stanza
per dormire. L'impossibilità del "furor" clas-
sificatorio sussiste anche nel rifacimento di
un pavimento costituito da diecimila mattoni,
recanti ognuno il nome di un satellite o di un
ordigno spaziale ancora in orbita da parte di
Elisabetta Benassi (1966). Per "Prospetti-
va/superficie", si hanno le forme essenzializ-
zate, come ombre scaturite dalla memoria, di
Marco Tirelli (1954), che insieme ad oggetti
ed assemblaggi vari formano delle particolari
stanze mentali, mentre le proiezioni prospet-
tiche di Giulio Paolini (1940) , ambigue ed
ingannevoli, sembrano incrinare il concetto
stesso di una vera percezione, che rimane u-
topica ed illusoria.
Per la sezione "tragedia/commedia" si ha la
strampalata performance del kosovaro Sislej
Xhafa (1970), consistente nella performance
di un vero barbiere che riceve i suoi malca-
pitati clienti su un albero, Piero Golia (1974)
invece presenta un cubo di cemento in cui è
stata mescolata della polvere d'oro, che chi-
unque può ricercare e portare via, se ci rie-
sce. Un richiamo alla realtà, se pur flebile, è
costituito da quell'odore che accompagna,
nella sezione "Veduta/ luogo" le foto del
"Viaggio in Italia" di Luigi Ghirri (1943-
1992), ma anche dall'opera di Luca Vitone
(1964), ossia di una "scultura olfattiva",
consistente in un odore molto aspro che si
può ovviamente solo annusare, con il quale
tenta una rievocazione immaginifica dell'o-
dore letale dell'Eternit. Siffatta presunta o-
pera d'arte di certo s'apparenta alla nota sca-
tolina di Sib Legeru, dal titolo Olfatto Nu-
mero Uno, descritta da Hilaire Belloc3 e ri-
portata dal Praz, emanante i più sconcertanti
e disgustosi maleodori. Allora appare evi-
dente di essere giunti ad una situazione
scandalosa, in quanto ciò che era una paro-
dia si è tramutata in un avanguardistico ca-
polavoro nei nostri giorni, trattandosi di o-
perazioni estetiche per lo più inani e sconta-
te; paradossali, astrattizzanti e didascaliche
del già risaputo, che di certo non approdano
alla vera arte, mancando a siffatti neodadai-
sti, in veste concettuale, la possibilità e la
capacità di permettersi una inedita rielabo-
razione sintetica ed artistica della realtà.4
Andrea Bonanno
Note - 1 Interessante è quanto scrive Francesco Correggia
nel suo articolo "A proposito della 55esima edizio-ne della Biennale d'Arte di Venezia, del 31/ 07
/2013, comparso ne "La Stampa", nel punto in cui
parla di "catalogazione delle cose", del carattere simbolico della rappresentazione del mondo, sorret-
ti da un "sincretismo generalizzante" e, soprattutto
delle metafore che "hanno valore soprattutto quan-do riescono a delineare un intero sistema semanti-
co, vale a dire un nuovo e inconfondibile cosmo in-
tellettuale, materiale e sociale del linguaggio". 2 Intervista, a cura di Marco Vallora, ne "La Stam-
pa" del 5/10/2012. 3 Hilaire Belloc, The Missing Masterpiece, pubbli-
cato nel 1929. Cfr. Mario Praz , Perseo e la Medu-
sa, Milano, 1979, pp. 373-374. 4 In tale senso, il concettualismo e il neodadaismo
da decenni hanno apportato un'immane confusione
sul vero significato dell'arte, il cui iniziatore malefi-co resta quel Duchamp con quella sua assurda e
verbosa ri-nomazione di un reale orinatorio in ope-
ra d'arte. L'oggetto allora non esisteva più, essendo diventato la simbolizzazione di un evento nominali-
stico. I nuovi esteti, facenti parte dell'attività curato-
riale, perseguono testardamente sulla fallace strada del modernismo, per i quali l'arte consiste nella pre-
sentazione di scarni oggetti che parlano da soli, ri-
schiarati da qualche bagliore a carattere simbolico. Del resto, il Bonami non è da meno, se scrive, nel
suo articolo (La Stampa, 27/05/2013, che l' "Arte
può essere un po' tutto dipende da come si guarda e da come e dove si mostra".
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.19
GERMANA MARINI ULTIMA CHIAMATA AI PASSEGGERI
di Giuseppe Leone
distanza di un quarantennio esatto
dal suo esordio, avvenuto con Disin-
canto (1973), Germana Marini pub-
blica, con la presentazione del Cardinale
Giovanni Lajolo e l’introduzione di Andrea
Tornielli, vaticanista de La Stampa, la sua
dodicesima raccolta di liriche: Ultima chia-
mata ai passeggeri (l’accorato appello a un
mondo che ha sostituito l’Io a Dio), edita nel
novembre 2013 dalla Cantagalli di Siena.
Un titolo che evoca Vi supplico, convertite-
vi! (un’altra silloge della poetessa), a cui
sembrerebbe accomunarlo un identico stato
d’animo, frutto di una intensa e appassionata
perorazione del culto mariano.
Si tratta di una settantina di liriche, che po-
tremmo suddividere in tre parti, per via di te-
matiche divenute, ormai da tempo, stabili e
ricorrenti nella lirica religiosa della Marini: il
già ricordato culto di Maria, l’attenzione all’
operato dei papi, lo sguardo, sempre vigile e
attento, sulla cronaca mondana. Il tutto in uno
stile epigrammatico, con un lessico scarno e
disadorno, a volte anche spoglio, fino a con-
ferire alle sue liriche la forma dell’aforisma,
tipica della poesia gnomica o sentenziosa.
Sono temi che vanno dall’eutanasia alla ma-
fia, dai giovani barboni pankabestia all’ esa-
sperante delirio dell’io, alla crisi delle voca-
zioni al sacerdozio, al moderno mercato degli
schiavi, al femminicidio: tutti argomenti che
non vengono mai elusi o nascosti, perché il
canto mistico di Germana non annulla mai l’
io, ma lascia spazio anche alla ragione, con-
sentendo che anch’essa partorisca la sua real-
tà. Non avviene mai di non ritrovare fra le
pieghe della preghiera un riflesso di ciò che
accade nel mondo o un riverbero dei fatti del-
la storia. Per cui la sua poesia religiosa appare
subito come una mirabile sintesi fra il mistici-
smo cristiano di San Bernardo di Chiaravalle,
integralista e chiuso a ogni esperienza sensi-
bile, e il razionalismo cattolico di Abelardo,
aperto alla filosofia e alla storia.
Ecco, allora, lo spazio che la sua poesia mi-
stica concede ai papi, in particolare la rifles-
sione sui più recenti: dall’encomiabile esem-
pio di Benedetto XVI, che ha privilegiato,
secondo la Marini il nascondimento / e il si-
lenzio, rispetto a un potere / temporale, cui
mai aveva ambìto, per riaccendere la speran-
za di un ritorno della Chiesa / alla Sua primi-
tiva credibilità / e grandezza (22), facendo di
lui un novello Celestino V, anch’egli dimes-
sosi dal pontificato nel dicembre del 1294,
“per rimanere un buon cristiano”; a papa
Francesco, anch’egli votato alla causa del
rinnovamento della coscienza religiosa, con i
suoi messaggi dirompenti come l’uomo non
è riducibile a ciò che produce / e consuma
oppure il vero pastore deve portare addosso /
l’odore delle pecore (23). Germana, intito-
lando la lirica a lui dedicata: Francesco. El
papa del pueblo, sembrerebbe voler adom-
brare la realtà della Chiesa nell’America La-
tina, dove la sacra istituzione, per una partico-
lare condizione storica, è stata sempre più vi-
cina alle tesi del marxismo rivoluzionario e
alle attese della gente comune che non alle
posizioni del potere politico ed economico
dominante. Un magistero, questo di papa
Francesco, che la poetessa descrive alimenta-
to da una miscela esplosiva di più culture:
quella medievale nostrana dei francescani che
sognano una chiesa povera per i poveri (22) e
quella del clero dell’America Latina che vuo-
le continuare a credere che l’uomo non sia ci-
fra esatta nel libro dei conti della società
consumistica.
Anche la figura di Maria ha nella poesia
della Marini un’ispirazione realistica. Il volto
della Madonna non è soltanto quello delle te-
le della tradizione cattolica o bizantina che
sia, come vorrebbe far credere il dipinto di
una Madonna del Rosario del Caravaggio po-
sta sulla prima di copertina del libretto, ma è
quello di Asia Bibi, la donna pakistana, con-
dannata a morte per blasfemia / e da quattro
anni detenuta / in attesa della definitiva sen-
tenza; è quello di Fatima, piccola cameriera
marocchina, torturata per ore con la brace
A
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.20
viva (42); e delle 2200 donne che dall’inizio
del nuovo secolo ad oggi sono state uccise in
Italia dalla violenza degli uomini (49).
Una poesia religiosa, allora, questa di Ger-
mana, che dà poco spazio ai temi liturgici del-
la Crocifissione o della Pasqua, così tanto cari
alla poesia religiosa di Fra’ Jacopone, per “af-
frontare appassionatamente” - così scrive
Giorgio Barberi Squarotti nella aletta della
prima di copertina - “i problemi dell’etica at-
tuale”. Per porvi rimedio, la poetessa non so-
gna una sottomissione dell’uomo “per vendi-
carsi d’essere state / a lui subordinate da
sempre / perché non farebbe che perpetuare /
la bieca logica del dominio (47); né di sosti-
tuire, al vertice del governo del mondo, Dio
con una dea. Chiede solo un mutamento di
rotta nella morale cristiana, tale da indurre a
perdonare il peccatore, / non, assolvere il
peccato! (58). E questo è il fine al quale mira
la poesia di Germana Marini. Ne dà impulso,
insistendo nella polemica contro quei cristiani
che ancora seguitano ostinatamente / a nega-
re – o minimizzare - / la valenza delle Dottore
della chiesa o di Santa Caterina da Siena “pa-
trona d’Europa” (49); che non vedono in Ma-
ria una corredentrice assieme a Cristo delle
imperfezioni dell’umana natura e contro i
quali, ora, lei esprime tutto il suo disappunto,
chiamando la loro posizione una misoginia /
deprecabile e assurda (18). Una polemica
che Germana non conduce ancora nel segno
di un femminismo cristiano. La sua poesia
forse vi giungerà, ma al momento riteniamo-
la solo una nostra scommessa per il futuro.
Certo, è ancora impensabile accostare questo
sfogo al radicalismo del femminismo cristia-
no di una Mary Daly o di una Betty Friedan e
neppure alla contestazione di una scrittrice
laica impegnata come Simone de Beauvoir.
Quello che sappiamo e scriviamo di lei, per
ora, basta e avanza, per giustificare tutto il va-
lore di una poetessa che continua a ricordarci
che gli appelli di Maria, come acutamente os-
serva Tornielli, nella già citata introduzione
alla raccolta, “sono davvero un’ultima chia-
mata ai passeggeri, un appello all’umanità in-
tera”, uno sprone a non essere passeggeri ad-
dormentati, “ma consapevoli viaggiatori in un
treno che marcia a gran velocità verso il bara-
tro dell’autodistruzione” (7-8).
Giuseppe Leone Germana Marini - Ultima chiamata ai passeggeri.
(l’accorato appello a un mondo che ha sostituito l’
Io con Dio). Edizioni Cantagalli, Siena, 2013. € 6. pp. 72.
NATALE IN CITTÀ
Odore di asfalto bagnato
illuminato dalle luci delle vetrine,
musiche di falsi zampognari
all’angolo della strada,
vagabondi abbrutiti dall’alcol
sotto i portici della stazione,
schiave d’amore si vendono
sulle strade di periferia,
escrementi di cani sui marciapiedi,
luminarie barocche,
rumore di traffico,
puzza di smog,
caos,
questo è il Natale in città.
Odore di muschio
appena strappato alla terra,
solo un dolce ricordo.
Colombo Conti
ORIENTE D’INCANTO
Che bello l’oriente stamane,
non so definirlo,
è più bello di sempre.
Sulla tela
vorrei imprigionarlo
se fossi un pittore,
ma sono un poeta
e parole non trovo
per dirne l’incanto
che intorno esso espande
e che già...
(Peccato!)
si va diradando.
Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno (Is)
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.21
BRUNO ROMBI: LA SAISON DES MYSTERES
di Liliana Porro Andriuoli
NA denuncia dei mali del nostro
mondo attuale può definirsi il nuovo
poemetto
di Bruno Rombi
La saison des
mysteres, apparso
in edizione fran-
cese nel 2013 nel-
la Colletion Encre
Blanches dell ’E-
ditrice Encre Vi-
ves, con la tradu-
zione di Monique
Baccelli e una no-
ta critica di André
Ughetto.
In verità non è
questa la prima
volta che Bruno
Rombi scrive poe-
sia a sfondo civi-
le. Infatti buona
parte della sua
produzione (e già
altrove ho avuto
occasione di met-
terlo in luce1) ha
questo intento,
come può rilevarsi
sin da uno dei
suoi primi libri,
Canti per un’isola
(1965), che af-
fronta il problema
della diaspora
sarda; e poi, suc-
cessivamente, da
Enigmi animi
(1980), un libro a
carattere sperimentale quanto alla forma, nel
1 Liliana Porro Andriuoli, Poesia intimistica e civile
in Bruno Rombi, Savona, Editrice Liguria, 1999.
quale, accanto a poesie di stampo intimistico
(specie quelle ispirate dall’affetto per la mo-
glie e i figli), si trovano poesie di polemica
sociale. Ed è anche ciò che può rilevarsi da
Otto tempi per un presagio (1998), un poe-
metto nel quale Bruno Rombi si scaglia con-
tro la perdita dei valori della nostra società
con accenti forti e vibranti e da Tsunami -
Oratorio per voce solista e coro (2005), che
prende lo spunto dalla catastrofe naturale del
maremoto avvenuto nel 2004, con epicentro
U
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.22
in Indonesia, per denunciare colpe e respon-
sabilità di molti uomini, nonché il loro egoi-
smo e la loro ingordigia di denaro e di potere,
che li conducono persino al delitto.
In questo suo più recente poemetto, La Sai-
son des Mysteres, l’intento civile del poeta,
che qui emerge con particolare evidenza, non
si disgiunge da un profondo e costante senti-
mento religioso, che tutto lo percorre e che è
presente fin dal suo incipit, come appare sia
dal titolo (in cui troviamo l’espressione
Mysterium2 tremendum che ci rimanda al
Mysterium tremendum et fascinans di Rudolf
Otto) sia dall’epigrafe, Ventum seminabunt et
turbinem metent, una citazione da Osea3, pro-
feta biblico.
Il poemetto inizia con un Introibo, in cui
compare l’Angelo di Rilke4, una creatura che
in seguito ad una metamorfosi si trasforma in
un giovane uomo che va “in cerca della vita”
(“en quête de la vie”), sicché, Inseguendo il
mistero/En traquant le mystère5, intraprende
2 Il vocabolo latino Mysterium, usato da Bruno
Rombi anche altre volte nel corso del testo, mi por-ta ad ipotizzare che la sua non sia una scelta casua-
le, ma deliberata, e pertanto volta ad accentuare il
senso religioso, quasi sacrale, del poemetto; ren-dendo così il percorso del protagonista un percorso
non solo di redenzione ma soprattutto di ascesa ver-
so Dio. Mysterium infatti, che nel Vecchio Testa-mento stava ad indicare i segreti divini, nel Nuovo
indica, invece, e prevalentemente, la Rivelazione di
Cristo, cioè il piano della Divina Salvezza prima nascosto presso Dio ed ora manifestato. 3 Osea, in ebraico Hoseah (VIII secolo a.C. – ...), fu
il primo dei cosiddetti profeti minori ed è l'autore
dell'omonimo Libro del Vecchio Testamento. Il suo
nome significa «il Signore salva» o «il Signore vie-
ne in aiuto», in perfetta sintonia con il testo del po-emetto. 4 Interessante il richiamo all’Angelo di Rilke, un
angelo di assoluta trascendenza e perfezione, che nel corso delle dieci Elegie Duinesi subisce però
(come già da altri è stato notato) una trasformazio-
ne, finendo con l’accettare il compito assegnatogli dal poeta, che è quello di ascoltare la parola
dell'uomo, il quale col suo canto esalta la bellezza
della vita, della natura e dell'universo. 5 Espressione posta in posizione di evidenza subito
dopo la fine dell’Introibo che richiama il titolo del
un viaggio sulla Terra, per giungere, dopo
aver attraversato i tortuosi percorsi del Male e
dell’errore che vi regnano, a trovare una via
di salvezza. Che sarà contemporaneamente la
via della sua redenzione perché anch’egli, suo
malgrado, è stato contaminato dal peso della
condizione umana: anch’egli, infatti, “Confu-
so dalla sua prosopopea / e convinto di potere
tutto osare / avanzò a sfidare il Padre Santo”
(“Leurré par sa prosopopée / et certain de
pouvoir tout oser / il alla jusqu’à defier le
Saint Père”).
Numerosi sono i nemici “contro Dio schie-
rati” (“ligués contre Dieu”) che il giovane in-
contra lungo il suo cammino: molti dei quali
sono annidati “spesso anche nel Tempio del
Signore” (“souvent jusque dans le Temple du
Seigneur”) e “con arroganza, astuzia ed il li-
vore / di chi vuole il potere amministrare”
(“avec l’ arrogance, la ruse et la rancore / de
qui veut exercer le pouvoir”) sfidano la Vo-
lontà Divina, dimenticando che solo “l’ ob-
bedienza è ciò che loro compete” (“l’ obéis-
sance est ce qui lui revient”).
Infatti, in seguito a “un contenzioso grave
sulla fede” (“un grave débat sur la foi”), aper-
tosi tempo addietro, la nostra epoca è caratte-
rizzata da una terribile tensione, che fa avver-
tire i suoi effetti sia “in cielo” (“au ciel”) che
“in terra” (“sur la terre”). Ben presto il giova-
ne se ne avvede ed ha timore di questa mi-
naccia che incombe sulla Cristianità: si è
giunti addirittura al punto di insidiare il “tro-
no / che un tempo era stato di San Pietro”
(“trône / qui jadis fut celui de Saint Pierre”),
che ormai è divenuto preda di uomini corrotti,
in cerca soltanto del potere e di una nuova
Babilonia (“nouvelle Babylone”)6.
Anch’egli però, suo malgrado, è incorso in
gravi errori; e ne ha piena coscienza e ben
avverte tutta la propria responsabilità (“
Quando del suo cammino ebbe coscienza / e
aprì gli occhi a ritrovarne il senso” / “Quand
poemetto stesso. 6 E’ evidente nel poemetto l’allusione al potere
dell’IOR (l'Istituto per le Opere di Religione, co-munemente conosciuto come Banca Vaticana) e al-
la pedofilia di parte del clero.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.23
de sa voie il prit conscience / et ouvrit les
yeux pour en retrouver le sens”) per essersi
lasciato trasportare dall’andazzo generale del-
le cose e per non aver reagito in tempo al
dominio del “gran potere degli affari” (“grand
pouvoir des affaires”); così come alla cattiva
politica e all’inganno, che hanno ridotto il no-
stro pianeta a un “regno del peccato” (“ro-
yaume du péché”).
In tal modo anch’egli, quasi novello Dante,
si trova immerso in una “Selva Oscura”, dove
gli si parano innanzi alcune Fiere, simbolo
dei peccati capitali, che torvamente lo minac-
ciano e gli sbarrano il cammino: “Corvi, cani,
giraffe e pur leoni / con serpenti, dragoni, idre
e centauri / gli si opposero in massa sulla via”
(“Corbeaux, chiens, girafes et lions / avec
serpents, dragons, hydres, centaures, / se
dressèrent en masse sur son chemin”)7.
Molte sono le difficoltà che egli deve af-
frontare, sicché di fronte allo spettacolo di
devastazione a cui assiste, il giovane si sente
smarrito ed è timoroso per il suo futuro e
quello di tutta la terra. Ma ecco che, proprio
nel momento in cui più non spera di avere al-
cuno scampo, gli appare la figura paterna
(“gli venne incontro il padre” / “Vint à sa
rencontre le père sur la voie”), la quale, come
già Virgilio aveva fatto con Dante, lo confor-
ta (“Avanti e non temer la sorte / né le voci
che senti e non comprendi” / “En avant, ne
crains ni le sort / ni le voix que tu entends
sans les saisir”) e lo ammonisce, invitandolo
a cercare e seguire la retta via, quella che sola
conduce a Dio (“Non accettar l’inganno del
più forte / che ti lusinga oppure ti minaccia” /
“N’accepte pas du plus fort tromperie / qu’il
te flatte ou qu’il te menace”).
Ma il padre lo informa anche, e fra le lacri-
me, come non diversa da quella che ha din-
7 Frequenti sono in questo poemetto, come già in
Otto tempi per un presagio, i riferimenti danteschi.
Basta leggere “La foresta si fece presto oscura / e le radici antiche delle piante / in ammassi sempre più
intricati / opposero una gabbia al suo errare” (“Très
vite la forêt se fit obscure / et les vieilles racines des arbres / en noeuds de plus en plus enchevêtrés / op-
posèrent à son errance une cage”).
nanzi sia purtroppo la situazione nella sua
isola, (“l’isola … bella, / quell’isola felice nel
passato” / “… l’île belle, / cette île heureuse
dans le passé”), la Sardegna, dove ora, nelle
esercitazioni militari l’impiego di ordigni ra-
dioattivi sta mettendo in serio pericolo la sa-
lute dei residenti8. E ciò molto lo addolora.
Preoccupato per il desolante panorama che
gli si è presentato, il giovane si tormenta an-
cor più al pensiero del futuro, dal momento
che proprio “sul rigo del passato è scritto / ciò
che può accadere nel futuro” (“sur la ligne du
passé s’inscrit / ce qui peut arriver dans le fu-
tur”); il che non è per nulla rassicurante, of-
frendo il passato unicamente uno spettacolo
di “bombe terremoti e carestie” (“bombes,
tremblements de terre, famines”); e ancora di
“morti con violenza e con orrore” (“morts
violentes ou plus horribles encore”).
Indeciso, quindi, sul da farsi (“Indeciso so-
stava sul confine / tra l’una o l’altra delle mil-
le porte” / “Indecìs, il restait à la limite / entre
l’une et l’autre des mille portes”), il giovane
avverte la presenza del Maligno che lo fissa,
mentre mille demoni, in veste di clown e di
saltimbanchi, gli si fanno intorno e lo minac-
ciano, invitandolo “ad infilar la porta del pec-
cato” (“à franchir la porte du pèchè”). Ma il
vecchio padre ancora interviene in suo soc-
corso, confortandolo, aiutandolo e spiegan-
dogli chi sono coloro che ci conducono alla
“città del male” (“cité du mal”). Il padre gli fa
inoltre intendere che i peggiori peccati del
nostro tempo sono “la villania, l’orgoglio e
l’arroganza / insieme ad ogni scandalo sessu-
ale, / al furto del lavoro e della speranza / in-
sieme agli attentati contro il Vero” (“la lâche-
té, l’orgueil et l’arrogance / en plus de maints
scandales sexuels, / de vol du travail et de l’
espoir / sans compter les atteintes à la Véri-
té”).
E così il giovane, comprendendo quale sia
la retta via, prende la decisione di seguirla,
8 Evidente è qui l’allusione al “Poligono sperimen-
tale di addestramento interforze” di Salto di Quirra,
nella provincia dell’Ogliastra. Evidente è qui anche l’identificazione di Bruno Rombi, sardo di origine,
con il giovane.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.24
dato che, ormai “sciolto il cappio di menzo-
gne / Che legato l’avevano al peccato” (“des-
serrée la corde de mensonges, / qui l’avait lié
au péché”), può finalmente entrare “Nello
spazio proibito ai peccatori / ormai da ogni
colpa reso puro” (“Dans l’espace interdit aux
pécheurs / désormais pur de tout péchér”).
Ma ciò avviene non prima di aver nuova-
mente gettato uno sguardo sulla sua amata i-
sola ed averne compianto i mali, dovuti all’
incuria o peggio ancora al “dominio di imbel-
li governanti” (“la domination de lâches gou-
vernants”), ed aver levato al suo angelo una
preghiera: “- Angelo – allora disse – fa che l’
erba, / l’erba più salutare trovi un vaso / per
far fiorire ancora la speranza / nell’ Isola…”
(“- Ange – dit – il alors – fais que l’herbe, / l’
herbe la plus salutaire trouve un vase / pour
faire fleurir encore l’espérance / dans l’Île…).
Man mano che si procede nella lettura del
poemetto il discorso di Rombi si fa più com-
plesso e maggiormente teso verso l’Alto e al
contempo più viva diviene in lui la speranza
di un Oltre in cui ogni dissidio si componga e
si raggiunga la pace sperata. Il giovane com-
prende infatti che “Ora è di nuovo tempo di
emigrare / e vagare cercando spazialmente / l’
ora e l’era propizia del Non-Dove” (“mainte-
nant il est de nouveau temps d’émigrer / et
d’errer en cherchant l’espace / l’heure et l’ère
propice du Non-Où”) e s’incammina sulla via
del Bene, nella premonizione del momento in
cui volerà anch’egli “verso l’altro mondo, /
dov’è la vera vita che ci attende / a compenso
di come abbiam vissuto / ipotecando il sito
del Non-Dove / e sperando nel tempo del
Non-Quando” (“vers l’autre monde / où est la
vraie vie qui nous attend / pour compenser la
façon dont nous avons vécu, / hypothéquant
le site du Non-Où / en èspérante dans le
temps du Non-Quand”). E’ a questo punto
che egli supplica la Madre affinché lo aiuti;
così come chiede l’intervento dell’“Angelo
della Vita e della Morte” (“Ange de la Vie et
de la Mort”), quello che ha “pietà della Ver-
gogna” (“pitié de la Honte”) e “misericordia
del Dolore” (“pitié de la Douleur”).
Certo, noi siamo soli di fronte al Mistero e
consapevoli della nostra fragilità, dal momen-
to che siamo mortali: “Noi non possiamo esi-
liar la Morte” (“Nous ne pouvons pas exiler
la Mort”) - dice Rombi – “perché è in noi così
com’è la Vita” (“parce qu’elle est en nous
comme l’est la Vie”); ma possiamo “Capir la
Morte come va compresa” (“Comprendre la
Mort comme elle doit être comprise”): il che
significa “avere anche possesso della Vita”
(“posséder la Vie”). Richiamando poi un det-
to di Epicuro, egli soggiunge: “La Morte è in
quanto io più non sono, / ma io e la Morte
mai ci incontreremo” (“La Mort n’est là que
lorsque moi je ne suis plus, / mais la Mort et
moi ne nous rencontrerons jamais”).
Dopo aver attraversato la sua Waste Land,
di Eliotiana memoria, Bruno Rombi perviene
dunque ad una visione meno tragica della vi-
ta, nella quale intravede una pur fievole pos-
sibilità di salvezza: “Piccola, piccola, e molto
lontana / c’è un’altra stella, piuttosto arcana. /
Forse si chiama soltanto Speranza” (“Petite,
toute petite, et très lointaine / il y a una autre
étoile, plutôt secrète. / Peut-être s’appelle-t-
elle seulement Espérance”).
A confortarlo gli giunge anche l’immagine
della moglie Rosa, ormai morta da parecchi
anni, che sembra inviargli cenni dal cielo,
quale stella purissima. Così come gli giunge
l’immagine di una testa mozza di cemento,
frammento di una statua di Cristo, da lui rac-
colta sul greto di un torrente, a lungo conser-
vata con grande pietà nella sua casa e succes-
sivamente posata sulla tomba dell’amata mo-
glie: “Mi parve un fratello ucciso da poco /
che avesse bisogno del nostro aiuto, / o forse
di un segno, anche se muto, / di semplice e
umana nostra pietà. / A casa a lungo l’ ab-
biamo ospitato…” (“Je le vis comme un frère
depuis peu tué / qui aurait eu besoin de notre
aide, / ou peut-être d’un signe, fût-il muet, /
de notre simple et humaine pitié. / Á la mai-
son nous l’avons longtemps hébergé…”). E’
a quel simulacro – ci dice il poeta – che si ri-
volgerà, invocandolo, nel giorno della morte;
e da esso trarrà conforto e speranza.
Qui il poemetto si chiude, con un chiaro moto
di fiducia in Dio, che implica il superamento
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.25
del dolore e degli affanni che il giovane pro-
tagonista, così come l’autore, avevano attra-
versati. Ed in ciò sta la loro definitiva conqui-
sta.
Va notato dal punto di vista dello stile come
verso la fine del poemetto il verso tenda a far-
si più liricamente effuso e disteso: “Ô terre, ô
terre, tes doux printemps / languissants et non
sans soleil, / ne seront pas la ricompense de
ma vie” (“O terra, o terra, le tue primavere, /
dolci, languenti e non prive di sole, / non sa-
ranno di premio alla mia vita”). Si vedano
anche versi quali: “Las, je repars vers mon
désert, / dans l’immense espace du silence /
où s’enclot mon vécu” (“Stanco mi riconduco
al mio deserto / e nell’immenso spazio del si-
lenzio, / nel quale sta racchiuso il mio vissu-
to”) e ancora: “Dans chaque étoile il y a tou-
jours une mère / à invoquer à l’heure du be-
soin: / la grande Mère de notre Douleur” (“In
ogni stella c’è sempre una madre / da invoca-
re nell’ora del bisogno: / la grande Madre del
nostro Dolore”).
Da notare è anche l’ottima resa della tradu-
zione che, pur in una stretta fedeltà al testo (l’
originale è in endecasillabi, sovente resi più
incisivi dalla rima), ne renda ottimamente an-
che i valori formali. Del che non c’è da stu-
pirsi, essendo la traduttrice Monique Baccelli,
di cui ricordiamo le felici trasposizioni in
francese di numerosi poeti sia odierni che del
nostro glorioso passato.
Liliana Porro Andriuoli BRUNO ROMBI: LA SAISON DES MYSTERES -
(Encre Vives, Colomiers 31770, France, 2013, €
6,00)
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
27/11/2013
Cielo plumbeo e gelo su Roma. All’ annun-
cio della espulsione di Silvio Berlusconi, un
silenzio imbarazzato “assorda” il Senato. Il
mostro è sazio dopo aver, finalmente, divo-
rato il pasto. Alleluia! Alleluia! Per le stra-
de, pianto degli amici del Cavaliere, brindisi
del popolo viola.
Domenico Defelice
CAPRIOLE NEL VUOTO
Capriole nel vuoto,
lanci di arance,
succo sprecato
che arde la gola,
piccoli versi di animali
incantano.
Sorrisi…
rosse sono le gote
di timidezza tinte,
sbucciate le ginocchia
da casuali cadute.
Inebrianti discese
lungo declivi
di erba bagnata,
che lascia l’odore
di ancestrale natura.
Cercavo l’amore
ad ogni risata,
trovai invece te
mia solitudine,
fedele compagnia
tra le spirali del tempo.
Colombo Conti Albano Laziale (RM)
THE DIGNITY OF THE POET
Lord, I go to the restaurant
only at the death of the Pope;
at the disco
since I was thirty.
I travel with the imagination,
little on trains and highways
and I fear the flight.
I do not have suvs or iPhone, the iPad I do
not have.
Nothing prebends, I am not a knight.
I dress modest, I do not have bank accounts,
I do not have a house with a swimming
pool.
The beauty enchants me at my age
- And still the woman! -.
I have the poet's dignity.
Domenico Defelice Traduzione di Giovanna Li Volti Guzzardi
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.26
I SIMBOLI DEL MITO:
“L’ARIA CHE VIBRA”
SFIORANDO I SEPOLCRI di Sandro Angelucci
’È una lirica, tra quelle contenute
nell’opera vincitrice del “Città di Po-
mezia, 2013”, che fornisce - a mio pa-
rere - la chiave di lettura migliore per entrare
nel vivo di una fatica letteraria tutt’altro che
agevole. Intendo riferirmi al testo di pagina
12, A Domnery sui Vosgi, nel quale Pardini
compie un’operazione difficilmente egua-
gliabile, unica se presa in considerazione sot-
to l’aspetto creativo. Proprio così: perché,
immergendosi completamente nell’evolversi
di questi versi, è possibile assistere “in diret-
ta” (mi si passi il termine televisivo) ad una
nuova nascita, al (ri)sorgere di Giovanna dal-
le sue stesse ceneri: novella araba fenice, non
riproposta però, bensì reinventata.
È la mitopoiesi: siamo di fronte alla paro-
la che crea, non a quella che ripete, ripete e
ripete fino all’esaurimento del sogno che in-
carna, molto spesso portandolo all’ annichi-
limento come si svuota del sangue un’arteria.
Ecco, insistendo sull’allegoria, qui si verifica
l’esatto contrario: un cuore prende a pulsare e
irrora le vene; qui, incredibilmente - ma è ve-
ro - si capovolge la storia: il rogo che bruciò
quelle giovani carni, ora, sta incendiando la
pelle aggrinzita, ormai disidratata, del corso
degli eventi.
Ed eccoli quei battiti: “Quanti anni / che
bruciò questa ragazza!” - canta, illuminato, il
poeta -; sono queste le palpitazioni autenti-
che, quelle soltanto attutite dal crepitio della
legna che arse realmente e che adesso sovra-
stano ogni altra risonanza, ogni tragico rumo-
re proveniente dal passato: “vanno oltre gli
eroi”, oltre l’idolatria, “vincono la vita” per-
ché sono più forti della morte.
Non è la mitologia che conta, è il mito: di
più, non è neppure il mito ma la sua simbolo-
gia. “La memoria vaga, / resta per sentito di-
re” ma la metafora è immortale, permane
come una forza che cova “dentro i tronchi”
degli alberi che innalzano magri “stecchi”
verso il cielo; è il simbolo la foglia nuova,
“prova di voglia” a sfidare i venti per un’altra
primavera. Sono note, Note di mito, quelle
che si ascoltano leggendo, e provengono da
strumenti che fanno parte dell’orchestra sin-
fonica della natura: è tramite il suo concerto
che si propaga l’armonia, anima del sogno e
del futuro.
Nella prova di cui si sta parlando gli ele-
menti naturali - sempre presenti e fonte prima
d’ispirazione per l’intera poetica del Nostro -
assurgono ad un ruolo determinante: s’ incari-
cano di trasmettere l’energia primordiale dei
miti divenendone essi stessi simboli; in questo
modo la leggenda è messa a nudo e si rivela al
mondo come se fosse la prima volta. Ne deriva
un racconto che non può che essere perenne-
mente attuale - I simboli del mito, allora, (so-
stiene a ragione Domenico Defelice) anche per
contenuto è opera impostata più sull’oggi che
sul tempo delle leggende e delle favole belle...”
-; l’antichità classica, cui si ricorre, è motivo di
spinta dinamica e non di statico ristagno. Per
questo, ‘i segreti’ sono affidati alle Rocce pos-
senti, i “divini templi” della Terra, in grado
non solo di custodirli ma, cosa ancora più im-
portante, di ridisegnarne i contorni o, meglio,
di tenerli in vita demolendoli e facendoli rina-
scere nello stesso momento.
Oltre quel muro - a mio avviso, vetta più
alta della plaquette - è esemplare al riguardo:
non sono defunti quelli che “escono dai mar-
mi freddi”, sono persone reali; ma come pos-
sono, come fanno a risorgere? È molto sem-
plice: perché sono morti per chi altro non sa
percepire che “parole di spiriti”; non lo sono -
di certo - per chi coglie la beatitudine della
vita e della morte nell’“aria che vibra”, “che
tocca le fronde” pendenti sulle “soglie dei se-
polcri”. Si resta senza fiato a guardare da las-
sù gli inimmaginabili e sconfinati confini che
si aprono alla vista dell’anima: “se guardi sot-
to l’ombre / dei cipressi, / i tramonti attendo-
no l’oscuro, / il puro regno / oltre quel muro /
dei nostri cimiteri.”.
Mi permetto d’invitare a soffermarsi su
questi versi di rara e sorprendente bellezza: la
C
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.27
capacità poetica di Pardini è fuori discussione
ma, qui, davvero, egli supera se stesso: in tutti
i sensi, sia sul piano contenutistico sia sul
versante formale. Del primo si è detto
poc’anzi ma vale ribadirlo: non ci sono muri
così alti da impedire la fuga dai “nostri cimi-
teri”; della creazione versificatoria vorrei por-
re, appunto, in evidenza l’estrema armoniosi-
tà: si notino i richiami delle assonanze e delle
consonanze interne ed esterne, l’ accentua-
zione felice ed impeccabile che induce chi
legge a sostare sulle parole-chiave, la spezza-
tura dell’endecasillabo (misura fortemente
amata), più che altrove, con grande resa foni-
co-costruttiva, viene qui, più che sperimenta-
ta, inventata, l’elisione - licenza poetica attua-
lizzata - della ‘e’ nell’articolo delle “ombre”:
inconfutabile ed appropriato recupero di sti-
lemi tradizionali.
Tutto questo (ma molti altri sono gli e-
sempi che si potrebbero addurre) nel breve
spazio della conclusione di una chiusa che, a
lungo, resta impressa negli occhi e nella me-
moria. Una chiusa che rimanda immediata-
mente ai versi finali della raccolta, nei quali i
simboli del mito si legano indissolubilmente
all’amore, alla sua visitazione terrena dell’
uomo: “La mano ancor più stretta / mi tenesti
.../porgendo sguardi teneri/al mio viso,/ed un
sorriso di pianto,/è l’ultimo dono che mi re-
sta”.
Sandro Angelucci Nazario Pardini. I simboli del mito. Il Croco -
Pomezia-Notizie. Ottobre 2013.(testo apparso su
Alla volta di Leucade: blog di Pardini)
SETE
(Ispirata ad un fatto di cronaca, avvenuto a
fine aprile 2013)
Attingeva al sopore della morte
l'arsura dell'operaia bengalese
intrappolata da ore tra le macerie
del Rana Plaza, alla periferia di Dacca
stabilimento tessile capace di vestirci
a prezzi ragionevoli sulle piazze del mondo.
Sohel Rana, proprietario aguzzino
garantito dal partito di governo
aveva eluso l'allarme degli esperti
per quell'enorme crepa nella struttura
elevata in terreno paludoso e instabile
dichiarando l'agibilità ad oltranza
senza scelta né scampo per gli operai.
È crollato, l'edificio, sulla sete
dei diritti per l'abuso di vite
sacrificate al sopruso legalizzato
da partigiani vincoli faziosi
per l'utile stravagante
tracannato alla sòrte degli umili.
Aveva sete l'operaia bengalese
era ardore che prosciuga e brucia le vene
era ansioso desiderio di bere
alla fonte che disseta le fauci
era legittima smania di riscatto
da una vita di stenti.
Era solo sete.
A pochi metri l'udiva la compagna
in sventura condivisa, imprigionata
tra macerie e arnesi di lavoro.
Strisciando, faticosamente la raggiunse.
Era solo sete.
Salvifica saliva per due bocche riarse
in petali di lingue unite
d'Amore vero. Era solo sete.
Paola Insola Torino
La poesia ha ottenuto il Primo Premio alla XXI
Edizione (Piossasco, 9 Novembre 2013) del Con-
corso Internazionale Antiche come le Montagne, organizzato dalla Associazione Piossaschese di
Cultura, Turismo nel Mondo e dagli Amici della
Poesia, Gruppo di Piossasco.
Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più dif-ficile farlo vivere: composizione, bozze, carta, stam-
pa, buste, francobolli… se non volete che
POMEZIA-NOTIZIE
muoia, diffondetelo e aiutatelo con versamenti volon-tari (specialmente chi trova la propria firma, o scritti
che lo riguardano, dovrebbe sentirsi moralmente ob-
bligato. L’abbonamento serve solo per ricevere la ri-vista per un anno). C/c. p. n. 43585009 intestato al
Direttore
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.28
Riflessioni su
ALBERT CAMUS nel centenario della nascita (1913-1960)
di Salvatore D’Ambrosio
ASCEVA cento anni fa Albert Ca-
mus, scrittore franco-algerino insi-
gnito del Nobel per la letteratura nel
1957. Nato nel 1913 e morto a soli 47 anni
nel 1960, fu per la generazione nata nel se-
condo dopoguerra un riferimento culturale
importante. Imparai ad amare le opere di
Camus, come tutti i giovani della mia genera-
zione, negli anni a ridosso del “68. In modo
particolare fu il film che Luchino Visconti nel
1967 trasse dal suo romanzo migliore: Lo
Straniero, che lo fece conoscere a noi giova-
ni. Questo film mi stregò letteralmente, tanto
che non ricordo più quante volte l’ho visto e
rivisto. Seguì anche la lettura del libro, così
come fecero tutti quelli del mio gruppo che si
precipitarono in libreria ad acquistarlo. Erano
gli anni in cui iniziava a germogliare il seme
dell’anticonformismo e della denuncia delle
ingiustizie e prevaricazioni che non si era più
disposti a subire. Erano anche gli anni in cui
s’inaspriva la guerra nel Vietnam. Quante di-
serzioni a scuola e cortei in favore del Viet-
nam angariato facevamo. Eravamo la nuova
generazione che andava sempre più accultu-
randosi. Combattevamo tutti gli autoritarismi
e le ideologie di supremazia di stati nei con-
fronti di altri, in modo particolare eravamo
contro l’imperialismo americano. Questo
humus ci porterà poi verso la contestazione
generale e mondiale del 1968. Eravamo gio-
vani fragili, inquieti, sentivamo l’ostilità di un
mondo che si professava innocente, ma che in
effetti era assurdo e orientato sempre nella di-
rezione dei più forti. Definiranno la mia gene-
razione “ribelle”, in fondo non era vero. Era-
vamo solo pieni di solitudine. Nati a ridosso
degli anni “40 eravamo diventati figli del bo-
om economico, che però non lo era stato per
tutti. Questa mancanza di opportunità globale
era letta come esclusione, ingiustizia, inegua-
glianza: tutte cose che rendevano la gioventù
indifferente, insoddisfatta, inadeguata. La
scoperta della scrittura di Camus, che in fon-
do era morto solo nel 1960, dava qualche ri-
sposta ai nostri interrogativi. Le problemati-
che sull’esistenza da lui trattate erano quelle
di noi giovani, e ci davano spunto per le no-
stre discussioni. La sua narrativa filosofica –
esistenziale ci interessava moltissimo, anche
in considerazione del fatto che, insieme a Sar-
tre, era considerato il padre dell’ esistenziali-
smo ateo novecentesco. E in quegli anni per
reazione naturale e anche ideologica, erava-
mo tutti un poco atei. Basta ricordare che si
cantava: “ ..Dio è morto..”. Il lavoro di Ca-
mus, dunque, è teso a studiare i turbamenti
dell’animo umano di fronte all’esistenza o per
meglio dire dell’assurdo che incombe sull’ e-
sistenza dell’uomo. Lo scrittore è convinto
che un profondo e autentico legame tra gli es-
seri umani è difficile, anzi impossibile non
ostante le buone intenzioni. Nell’uomo qual-
siasi iniziativa dura poco perché ogni sforzo
che egli compie lo porta sempre allo stesso
punto di partenza. Come dire che non riesce
ad essere fermo nei suoi propositi: prima o
poi ricade nei suoi errori. L’unica via da per-
correre per superare l’assurdità, che occupa
prepotentemente l’esistenza e il legame tra gli
uomini, è la solidarietà. Camus crede nella
lotta sociale contro le ingiustizie e che la fede
in questa idea è l’unica che dà scopo alla vi-
ta. Lo scrittore franco-algerino riflette filoso-
ficamente nelle sue opere sulla possibilità che
dovrebbe avere ogni uomo di potersi solleva-
re allorché condannato. Questa parola implica
ogni tipo di condanna, non quindi esclusiva-
mente quella a morte. Non si può essere con-
dannato alla miseria, alla malattia, alla soli-
tudine, all’agnosticità. L’uomo ha bisogno
dell’uomo tanto che la condanna a morte
dell’uomo per mano di un altro uomo, è per
lo scrittore di un’assurdità e di una disumani-
tà inconcepibili. Sarà influenzato in queste
sue concezioni filosofiche e spirituali dal Plo-
tino e da S. Agostino, che studia profonda-
mente tanto da farci la sua tesi di laurea in fi-
losofia nel 1936.
Il suo pensiero, per il quale vive e studia,
N
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.29
sulla importante necessità dell’unità della
gente, lo porta a staccarsi profondamente dal
partito comunista. È troppo importante per
lui la dignità dell’uomo che non deve piegarsi
a nessuna ideologia, per cui si allontana dal
partito comunista che considera di parte. Un
partito popolare che non si batte per la gente,
ma solo per mitizzare un’ideologia non è de-
gno di essere seguito perché in questo modo è
come gli altri. Lo stesso discorso vale per il
suo ateismo. Se Dio c’è deve essere, pensa il
Camus filosofo, dalla parte dei più deboli e
dei senza speranza sempre e in qualsiasi mo-
mento. Non solo quando, come nel caso del
condannato a morte Meursault del romanzo
Lo Straniero, si vuole stigmatizzare la diver-
sità tra la giustizia dell’uomo e quella divina,
prospettando in questo caso la diseguaglianza
tra le due giustizie. Una è infatti relativa
(quella dell’uomo) e l’altra è assoluta (quella
divina). L’uomo dei suoi romanzi è l’ em-
blema dell’assurdo, dell’irrazionale: come il
delitto che il protagonista Meurasult nel ro-
manzo Lo Straniero, compie senza giustifica-
zione reale, vera o apparente. L’atto delittuo-
so è la prova dell’irrazionalità dell’uomo e
delle sue azioni, che spesso sono attuate nella
più completa indifferenza e insignificanza. L’
uomo, ci sembra di capire, nella visione di
Camus è una miniera di assurdità in quanto è
incapace di affrontare il destino o per meglio
dire di dargli un senso. I fatti della vita acca-
dono accidentalmente e l’uomo vi è protago-
nista accidentale. Camus è il narratore croni-
sta di un male di vivere che spinge all’ indif-
ferenza, alla passività, alla mancanza di emo-
zioni. L’uomo di Camus può avere sensazioni
come il percepire il caldo, il freddo, il fastidio
di un rumore. Non avrà mai emozioni che
implicano l’uso del sentimento o della ragio-
ne. Attraverso le sue opere il Camus filosofo
cerca, senza trovarla, una giustificazione all’
esistenza. La mancanza di una soluzione, an-
che se minima, lo porta a considerare tutto
privo di senso. C’è però un piccolo spiraglio
che si manifesta allorquando l’uomo prende
coscienza della sua inconsistenza e assurdità.
La difficoltà consiste nell’entrare in questo
processo mentale. Una volta entrati tutto di-
verrebbe relativamente più facile e forse ac-
cettabile. Il narratore Camus affronta nelle
sue opere collateralmente anche i temi che si
affacciano, nel secondo dopo guerra, sulla
scena filosofica internazionale. Così che Nell’
uomo in rivolta il tema è la violenza; nel La
peste la solidarietà; l’egocentrismo della soli-
tudine nel La caduta; infine l’estranietà dai
fatti e dalle persone di un uomo che è estra-
neo a se stesso e agli altri, nel Lo straniero.
Una riprova dell’assurdità della vita o di quel-
la assurdità di cui Camus si fece voce filoso-
fica, fu il modo in cui morì.
Sebbene fosse malato gravemente di tisi,
egli non morì per questo motivo ma per lo
scoppio di un pneumatico dell’auto sul quale
viaggiava insieme al suo editore Gallimard.
L’auto fuori strada si schiantò contro un albe-
ro, che il caso volle mettere sulla sua strada.
Forse questa fine assurda fu la sublimazione
del suo pensiero? Mi piacerebbe in un’ intervi-
sta impossibile con Albert Camus conoscere il
suo parere. Certamente ne avrei una risposta
ironica perché, contrariamente a quanto si di-
ceva, non era un pessimista ma una persona
dotata di una possente carica d’ ironia.
Salvatore D’Ambrosio
I HAVE ALWAYS HAD A DREAM
I always had a dream, dear Stephen,
Today realized it in part
yes, you got married
with your Emanuela.
Gabriella has already done it
from which a beautiful flower also has blos-
somed.
Luke has to close it
although he too has its rooms.
I've always had a dream
and I worked on it for a long time.
The hope is that the good Lord in his gardens
doesn’t call me right away,
before I see at least are your homes
all flourished with children’s eyes.
Domenico Defelice Traduzione di Giovanna Li Volti Guzzardi
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.30
LUIGI DE ROSA E LA FUGA DEL TEMPO
di Domenico Defelice
soffermarsi sul titolo o sulla lettura
del solo primo brano - con quel quasi
ironico invito agli amici a non tormen-
tarsi, a non lasciarsi erodere dall’ansia della fi-
ne, per ciascuno di noi inevitabile -, parrebbe
che Luigi De Rosa non faccia altro che medita-
re sul tempo che scorre veloce, sulla sua cor-
rente incessante, a volte torbida, che tutto e tut-
ti conduce al “mare aperto/e profondo”. Par-
rebbe, quindi, una contraddizione.
Andando avanti nella lettura, però, si scopre
che abbiamo di fronte un poeta ancora batta-
gliero, indomito, saldamente attaccato alla vi-
ta e deciso a lottare per il miglioramento del
“caleidoscopio infinito/della Natura” e gli
stessi amici vengono spronati ad essere tolle-
ranti, a non agitarsi troppo e a dedicarsi “a
questo pianeta/ed a questa esistenza,/per
renderli più equi,/godere sanamente/della
bellezza, dell’arte e dei sogni”.
Ci accorgiamo, allora, come anche il primo
brano reca la spia di questo suo intenso amore
per l’esistenza: quando la definisce in tutta la
sua tensione, “trasparente/come filo gelato di
sorgente”. Vengono, poi, l’intima e dolente
sua partecipazione ai drammi che giornal-
mente straziano il mondo (lo scorrere del
“sangue degli innocenti”, il “fracasso delle
armi”, Auschwitz, Cernobyl, Fukushima, le
alluvioni sempre più frequenti con i “Riga-
gnoli che si trasformano/in mostruosi torrenti
impazziti”) e la sua viscerale avversione verso
gli ingordi, che oggi appaiono sempre più
sfrontati, ma che, in verità, lo sono sempre
stati, nel passato remoto e prossimo, se perfi-
no un dittatore come Mussolini, nel 1944, li
definiva sanguisughe: “Non ho mai potuto
capire quelle sanguisughe che, pur posseden-
do già molto più di quanto non possono con-
sumare, non si sentono sazie prima di avere
aumentato ancora di milioni o di miliardi il
loro patrimonio”. Oggi, in Italia, sono politi-
ci, imprenditori, magistrati eccetera, che per-
cepiscono stipendi miliardari all’anno e pen-
sioni di decine e decine - se non di centinaia -
di migliaia di euro al mese. De Rosa non li
specifica, ma il lettore intelligente non può fa-
re a meno di ripassarseli mentalmente uno per
uno questi “troppi personaggi ipocriti/esaltati
da giornali e tivù”. Gente - questa - che cer-
tamente non ascolta “poeti ed artisti”, che,
anzi, disprezza, considerandoli quasi dei buf-
foni “coi quali, al massimo, ci si <diverte>”.
Ingordi, che, mentre “esseri umani /lottano
contro la fame e il degrado”, “stravivono/
senza ritegno”.
Il poeta invita ad essere “in sintonia con la
Natura” e partecipi della “umana solidarie-
tà”. La Natura di De Rosa è simile alla fosco-
liana “bella d’erbe famiglia e di animali”: un
“verde picchiettato di papaveri,/capellini fi-
nissimi di pioggia/da nuvoloni orlati di ros-
so” - niente bombe d’acqua, insomma, ma
pioggerellina leggera -; un tripudio di “mo-
scerini impazziti”, che “danzano a mezz’ a-
ria”; “chiocciole misteriose/(...) su muri goc-
ciolanti” e fiori, tappeti di “fiori inconscia-
mente felici/di esistere”.
In questa specie di Eden, “lente le mucche
tornano dal pascolo,/guidate da un’allegra
brigata/di cani scodinzolanti,/di allegre ra-
gazze ridenti,/di nonne sorridenti a mezza
bocca/e di bambini vocianti”. Nessuna tri-
stezza allorché De Rosa gode la Natura, ma
solo gioia panica. In questi autentici momenti
di grazia, egli non si lascia condizionare nep-
pure dalla vecchiaia e persino ciò che, gene-
ralmente, si presenta tetro, si veste di fantasti-
ci colori: “la nuvolaglia inghiotte la fore-
sta/d’oro e smeraldo”.
Particolare attrattiva ha per lui il mare, che
definisce dal “fascino stregone” e che lo aiu-
ta, con l’eterno pulsare, a superare l’annuale
inverno.
Ma, pur adorando la Natura, De Rosa non è
contro la tecnologia - anche se, osserva, in
molti campi “ha preso il sopravvento” - e di-
ce “benedetto” “il telefono cellulare” che ci
“raggiunge in ogni luogo dell’anima”, ripor-
tandoci le “parole affettuose” di amici e pa-
renti.
A
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.31
In Fuga del tempo non manca il richiamo a
Dio e al mistero della fede e, riferendosi a
versi del suo amico scomparso Giorgio Ca-
proni, esprime la convinzione che, essendo
noi incapaci di spiegarci “l’essenza di una
piccola cosa” - quale può essere un fiore, una
rosa -, non possiamo “capire la Vita” e, tanto
meno, “il Dio che sembra assente”. Che sem-
bra, non che lo sia veramente.
I versi più toccanti e intimi, in Fuga del
tempo, sono quelli che richiamano la propria
infanzia e la figura del padre. La sua famiglia,
frantumatasi quando lui era ancora un bambi-
no, gli detta quel capolavoro che è “Occhiali
neri da sole”. Tema straziante dei nostri gior-
ni, se è vero che almeno sette famiglie su die-
ci vivono l’amara condizione.
De Rosa trascorrerà fanciullezza e giovi-
nezza all’ombra del solo papà e a lui, in que-
sta opera, dedica più di una poesia. Il poeta
confessa di aver apprezzato il padre solo negli
anni maturi, mentre in gioventù ha cercato di
rendersi quanto più possibile a lui “dissimile”,
perché si sentiva “incompreso”.
Legato al tema del sociale e delle difficoltà
esistenziali è pure la figura del pendolare, di
colui che, per lavoro, è costretto a trascorrere
l’intera vita sui treni, sempre “in attesa/di una
felice coincidenza”, naturalmente destinata ad
essere costantemente frustrata, visto come
funzionano i trasporti in Italia. In lui ci par di
sentire la stessa tristezza che dominano certi
convogli del calabrese Franco Saccà abban-
donati su un binario morto.
Luigi De Rosa è un poeta sempre più ac-
comunato agli “uomini reali,/tutti alle prese
(...) coi mali/dell’esistenza”. Ma ha speranza
nella rigenerazione e nel riscatto. Finché tor-
neranno le rondini - egli afferma - e “sfrecce-
ranno/zigzagando sicure”; finché eroi come
Sandro Usai daranno la vita per gli altri, è si-
curo che non prevarranno le sanguisughe, né
tutti coloro che ogni giorno ammorbano e av-
velenano il mondo. E’ certo, cioè, che l’ em-
pio verrà sconfitto dal giusto.
Domenico Defelice LUIGI DE ROSA - FUGA DEL TEMPO - Poe-
sie - Prefazione di Sandro Gros-Pietro - Genesi
Editrice, 2013 - Pagg. 62, € 11,00.
PREGHIERA PER IL POETA
Non accecarlo, Signore:
il poeta ha pupille
di cristallo che riflettono
le lacrime del mondo.
Non zittire il poeta:
per tutti ha un magnificat,
un miserere per tutti.
Con il poeta il despota
è fragile, forte
l’inerme. Tinge
di blu l’amore
e il fuoco dell’inferno
è paradiso, d’immagini
colma la solitudine.
E’ tuo fratello, il poeta:
crea dal nulla, rompe
il mistero, l’invisibile
rende visibile. Proteggilo.
E se muore trasformalo
in allodola sazia
di luce e d’azzurro”.
Rocco Cambareri
UN PASSERO
Un passero,
solo,
beccava briciole di pane
vicino alle case
e guardava
in qua e in là, insicuro.
Aveva,
nel becco,
un piccolo insetto
per i suoi piccoli passeri.
Poi è volato via
protetto
da Dio
che l’aveva creato.
Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, Mi
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.32
LA PROSA POETICA IN
“IL SOLDATO GIOVANNI”
DI GIANNI RESCIGNO di Nazario Pardini
I sono occupato con più recensioni
della scrittura di Gianni Rescigno.
Della sua poesia calda, generosa,
emotivamente coinvolgente, e metaforica-
mente allusiva da coprire con la sua plurivo-
cità tutti gli spazi delle questioni umane, degli
interrogativi esistenziali. E qui, dopo la lettu-
ra di queste pagine di narrativa, sinceramente
ho ritrovato il poeta: la sua capacità esplorati-
va, il suo tratto deciso e sicuro in un romanzo
in cui gli avvenimenti coprono uno spazio
storico di ampio respiro: guerra di Libia
(2011), la prima e la seconda guerra mondia-
le. Ci narrano di un uomo del popolo vissuto
fra due secoli: il soldato Giovanni. L’ inter-
prete principale di un film che ci pone di
fronte a scene storicamente efficaci, realisti-
che, anche se di quelle sotterranee di cui la
storia poco ci parla: amore, amicizia, sventu-
ra, odio, vendetta, dolore, vita, vita, vita… E
tutto verte a delineare la psiche di questo sol-
dato; una grande operazione di scavo, di ana-
lisi più che di descrizione psicologica; tanti
tasselli a costruire una piramide la cui struttu-
ra precipiterebbe se si togliesse uno, uno solo
di quei tasselli. Gli ambienti, i panorami, gli
sguardi ora pietosi, ora disincantati, ora og-
gettivi, sulle vicende si inanellano fra loro in
un susseguirsi compatto e realisticamente at-
traente. Una narrazione che fa della storia un
mezzo per nutrire la vita, i suoi intrighi, il
tanto patibolato nostro segmento terreno. E il
tutto ha una funzione precisa: ritrattare il ca-
rattere del soldato Giovanni. E’ lui che deve
venir fuori, il suo mondo, la sua moralità, la
sua indole sana e semplice di popolano che
vive, che ama, che odia, come tanti, capitato
in uno dei momenti storici più tragici. Tutto
ruota attorno a lui: passato, presente, e futuro:
Giuseppa, la sua sagacia popolare, la sua im-
ponenza fisica (mammella), la sua spontanei-
tà: “La terza moglie di mio nonno si chiama-
va Giuseppa. Una matrona, vedova del custo-
de del camposanto, con mammelle sovrab-
bondanti, dai muscoli virili... Dedita al vino
fin dalla giovane età passava le giornate divi-
dendosi tra casa, campagna e cimitero...”, la
realtà descritta con occhio attento al particola-
re; gli altri personaggi di supporto, pur sem-
pre altrettanto singolari; gli ambienti.
Ma dove è che ritroviamo il poeta. Dove è
che il poeta si trasferisce con tutta la sua crea-
tività in queste pagine di narrativa. La ricerca
non è certamente difficoltosa; ed eccolo il po-
eta: è qui nella sua terra, è nel respiro della
soglia di casa, in questo confluire dell’uomo e
del suo mondo nello stesso rigagnolo che por-
ta al grande mare dell’opera; è nella sofferen-
za del vivere, in quella visione che il poeta ha
della vita, della sua fragilità, commisurata al
tempo, al suo scorrere. Motivi centrali nella
poetica del Nostro, che riesce a vedere le cose
dall’alto con nel cuore la speranza di un
mondo migliore. E Giovanni è senz’altro un
personaggio positivo in tutta la sua ruvidez-
za, un personaggio come uno di noi di fronte
ad episodi ora straordinari ora di normale an-
datura familiare. E nonostante tutte le diffi-
coltà lo viviamo come un essere che ama vi-
vere. Che ama tutto ciò che di buono ci offre
il nostro esser-ci. Ed i caratteri, gli ambienti, i
motivi che ispirano la poesia di Rescigno so-
no semplici; e anche se traslati, non di rado,
dalla sua forza emotiva, pur sempre ambienti
che traspirano l’aria della sua terra; sta qui in
gran parte la grandezza del suo poema: nel
saper spicciolare la sua cultura, il suo patri-
monio memoriale: emblematico il personag-
gio di Giuseppa dedita al vino. E lo si vede
nel momento della sua morte. Niente di tragi-
co, di spacca cuori, tutto si svolge con natura-
lezza, perché trasuda dalle pagine di Resci-
gno poeta l’idea che l’inizio e la fine, la fine e
l’inizio, sono due misure facenti parte della
vita: inquietudini umane, troppo umane come
la morte e la nascita. E l’autore, pur invischia-
to nelle vicende, ne sa uscire con spirito con-
templativo, dacché è convinto che niente fini-
sca nel nulla e che la morte stessa sia l’ origi-
ne di una storia più pura e luminosa. Ed è
M
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.33
proprio per questo, forse, che la sua narrazio-
ne non assume mai un carattere estremamente
pessimistico, anche se gli avvenimenti spesso
ne darebbero motivo. D’altronde si dice al
mio paese che dall’oro non nasce niente ma
dallo sterco può nascere un fiore. Ed i fatti lo
dimostrano. Fatti su cui non si dilunga troppo.
Spesso sono pennellate sintetiche, essenziali.
Descritte con un’efficacia verbale da cesella-
tore di parole. Descrivere e rappresentare con
l’animo del poeta, quindi, che arriva a sforza-
re la grammatica per ampliare gi spazi verbali
con allusioni incisive ed espanse. E necessi-
tava proprio una figura come quella di Nicola
all’economia del romanzo, l’antieroe, l’amico
del cuore, il ferracavalli, il nemico di tutte le
ingiustizie, l’altro volto della medaglia che
contribuisce a mettere in risalto l’apparente
ruvidità di Giovanni, una ruvidità che na-
sconde, in effetti, un animo umano, soggetto
ad impulsi emotivi, a cambi umorali, ma pur
sempre capace di slanci di generosità. E’ dal-
le loro discussioni che fuoriescono due figure
distinte, ma complementari, soprattutto quan-
do alla sua morte Nicola si fa emblema di
quella sagacia popolare alimentata da un piz-
zico di visione melanconica e negativa sulla
natura degli uomini: “Tutti gli uomini tirano
l’acqua al proprio mulino”. E Nicola, dopo la
morte, diverrà l’anima gemella di Giovanni.
Il suo buon consigliere. Sarà il suo spirito a
dettargli i sani comportamenti estranei alle
passioni più irrazionali: come quello di non
uccidere, di non cadere nel degrado della
vendetta. Ci sono momenti di alta poesia, di
immensa vicissitudine umana, che un poeta
come Rescigno può cogliere e trasferire in
qualsiasi genere di scrittura. E, in particolare,
in quella che tratta di una storia con tutte le
sue vicende belle e meno belle. Con figure al-
tamente simboliche ed emozionanti: Sisina (l’
amore), la morte del figlio (la tragedia), la na-
scita di Gianni (il ritorno alla vita), Lella (la
puerpera, la donna che dà vitalità), in più la
perfidia della selezione naturale: c’è chi muo-
re per denutrizione, e c’è chi sopravvive per-
ché più forte. Insomma tutto il sale e il pepe
del vivere in un ambiente estremamente po-
polare, fertile di ruvidezza e generosità che
sfugge all’occhio dello storico. Ciò che è u-
mano, familiare, ciò che è vero. In un am-
biente dove l’uomo mostra più direttamente
le facce ambivalenti della sua permanenza
terrena. Il periodo della II Guerra mondiale
appare ancora più realistico, più succinto e
incisivo nella narrazione e nelle descrizioni.
Un vero realismo di memoria macchiaiola,
fatto di tocchi essenziali, ma emblematici che
allargano il semplice accident a significati più
ampi. E’ il quotidiano con tutti i suoi minimi
accadimenti che colpisce l’occhio di Resci-
gno. Una verità portata agli estremi della sua
naturalezza, come quella di pisciarsi addosso
dalla paura da parte di don Pacifico. Povertà e
miseria. Ma tanta umanità, quella schietta, in
tutte le sue forme, anche animalesche, ma an-
che infinitamente poetiche in slanci di amore
e di amicizia, di confronti e sfronti, epici, di-
rei, e che non falsificano il succo della vera
esistenza.
Ed è qui la virtù di questo grande scrittore:
saper far suo ogni episodio, e per tale intendo
anche ogni apporto del memoriale; ognuno di
noi vive o ri-vive frammenti che rievocano
una storia contornata da un certo sentimento;
ma Rescigno va oltre, ricorrendo ad un mé-
lange di commozioni e riflessioni intellettive,
che lo conducono ad una sua filosofia, ad un
suo pensiero preciso e perentorio sul fatto di
esistere in questo spazio ristretto di un sog-
giorno. Quindi ogni racconto popolare ed o-
gni tradizione familiare decantano nelle se-
grete del suo animo, segrete come quelle do-
ve anche il buon vino, invecchiando, assume
colore, tono e bouquet saporosi di una cultura
che invita alla poesia. E il tutto, arrotondato
dal pensiero e dagli spazi sottostanti del pen-
siero stesso, si rovescia sul foglio nei momen-
ti di un caldo equilibrato riposo. Insomma,
dal fluire del romanzo emerge “l’invadenza”
di questo autore, la sua massiccia presenza
disseminata nelle pagine di Giovanni (soprat-
tutto), di Giuseppa, Nicola, Bettina, Sisina,
Gioacchino, Lella, don Pacifico… Dissemi-
nata in tutte quelle rielaborazioni ambientali
che costituiscono il valore aggiunto dell’arte
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.34
di Rescigno: “Improvvisamente, quando in-
cominciò a respirare la sua aria, quando gli
apparvero le familiari cime dei monti, avvertì
il desiderio immenso dell’affetto dei paren-
ti…”; “Appena l’alba gli s’annunciò dagli
scudi socchiusi fu pronto…”; “Dove finiva la
strada Giovanni vide una specie di capanna.
Bassa. Coi muri di pietre a secco. Il tetto in
lamiera. La porta era chiusa. Trattenuta da un
chiodo vi penzolava un ferro arrugginito di
cavallo. Cigolava ai colpi del vento. E al ven-
to sembrava lasciare un lamento…”. Chi vi
dice che queste “poesie” non siano verniciate
dei colori della sua terra. “Poesie” affidate ad
una scrittura asciutta, segmentata, essenziale,
incalzante, dialogica, che poggia su periodi
brevi, di stile giornalistico, direi, dai risultati
estremamente attuali e redditizi. Dove se-
quenze narrative, descrittive, ed analitiche si
alternano, in maniera compatta, inanellate da
una vis morfosintattica di perspicace sapidità
disvelatrice. E dove la figura di questo solda-
to spicca, alla fine, con tale energia da la-
sciarci commossi; commossi da riprendere le
pagine per rileggere i momenti salienti della
sua storia. Sì, perché, il soldato Giovanni, alla
fin fine, non è altro che il padre di tutti noi i-
taliani: mio padre, vostro padre, un padre
come tanti che ha avuto la malaugurata sorte
di vivere il tremendo periodo delle guerre;
che ha sofferto, ma che è riuscito ad andare
avanti con dignità. Che ha insegnato a tutti
noi il valore dell’onestà, della disciplina, e del
rispetto della vita. Basterebbe che noi tutti
acquisissimo una minima parte dei suoi inse-
gnamenti. Ma perlomeno ricordiamoci di
questi padri, dei nostri padri che hanno lottato
nelle trincee, che hanno vissuto lontano dalle
famiglie, che hanno pianto su delle foto logo-
re e consumate dalla pioggia, e che sono stati
ripagati con la miseria e le macerie.
In una recensione ad una sua opera di poe-
sia dal titolo Sulla bocca del vento ebbi a
concludere: “… Sì!, questo è Rescigno, que-
sto è il suo mondo e questa è la sua poesia.
Una versificazione che abbraccia ogni ambito
dell’animo umano. E anche se il suo discorso
appare spesso terreno, troppo terreno e anche
se si aggrappa con slanci spirituali all’oltre,
pur tuttavia, è il profondo senso della sacralità
della vita a fare della sua arte un poema edifi-
cante. Tanto è vero che sente questo bisogno
continuo di ripescare il passato, di riattualiz-
zarlo, quasi per annullarsi, e riprendere fiato
dopo una corsa senza respiro; sì!, per annul-
larsi in stormi di primavere…”. Penso che
anche il soldato Giovanni, da là, sia contento
di leggere questa mia conclusione. Ed è così
che mi piace concludere.
Nazario Pardini Gianni Rescigno: IL SOLDATO GIOVANNI -
Genesi Editrice - Torino. 2011. Pp.112. € 14,50
UOMINI E ANIMALI
La faccia larga di sguardo degli uomini
e degli animali, uno spettacolo di sera
al ritorno dai campi. La faccia uno specchio,
vedi subito dentro, il corpo molle e sudato
per le fatiche tutte fatte a mano.
Pronti a offrirti i fichi nell’estate
attorno le foglie ruvide
vischiose di gocce dolci.
Gli asini massacrati dagli anni moderni,
la loro ubbidienza meccanica sembrava
intelligente a sopportare sotto le some
di tutti i giorni. Sono venuti i presuntuosi,
tutti uomini importanti
sacchi pieni di lardo,
gli occhi piccoli affossati dalla carne
dell’ingordigia di animali egoisti
che stanno bene e più vogliono.
Ho nostalgia delle mamme,
figure oggi da leggende: le mani
dure per i panni lavati al fiume, le caldaie
di lascivia poggiate sulle pietre a bollire.
Le persone del condominio non ti vedono
neppure moribondo, talpe fuggitive,
l’ipocrisia crudele. Turlupinatura
sfacciata della democrazia
feroce divoratrice del prossimo.
L’uomo che amava vederti negli occhi
affinato nella dolcezza calda, le lacrime
facili per le tue miserie.
Leonardo Selvaggi Torino
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.35
Due Paesi che, in passato, hanno senti-
to l’influenza di Roma: la Romania e il
Marocco
LA ROMANIA TRA STORIA
E CONDIZIONI ATTUALI di Leonardo Selvaggi
I
A Romania situata tra il Mar Nero, i
Balcani e l’Europa centrale, percorsa
nella parte meridionale da uno dei più
grandi fiumi d’Europa, il Danubio. E’ stata in
ogni epoca la via seguita dai popoli che
dall’oriente si sono riversati verso occidente,
oppure dal Nord si sono diretti verso il Sud.
Anche punto di incrocio della civiltà latina
con quella ellenica. Nel II millennio a. C. po-
polazioni indoeuropee occupano quasi tutta l’
Europa, tra queste i Geti, più noti come Daci,
stazionatisi nella Romania, più propriamente
nella bassa valle del Danubio, nei Carpazi e
nell’area della Transilvania. Vengono a con-
tatto con i Greci che avevano fondato colonie
sull’attuale costa romena del Mar Nero. Ri-
cordiamo la dorica Callatis, le ioniche Tomis
presso Costanza e Histria, fondate dai Greci
di Mileto. La loro influenza arrivò fin dove
oggi sorge Odessa. Tomis assunse particolare
importanza, conosciuta subito e raggiunta dai
Romani, che vi esiliarono il poeta Ovidio.
Negli anni 101 e 106 d. C. la Romania sotto
la guida dell’imperatore Traiano conquistata
e colonizzata. La testimonianza di tale pre-
senza è data dal nome della nazione, dalla
lingua e da numerosi resti monumentali, tra
questi il “Vallo di Traiano”, che ora si trova
oltre il confine, nel territorio che la Russia si
è ripreso dopo la seconda guerra mondiale.
La Romania è come un’isola latina in mezzo
al mare slavo. Rovine romane anche a Drobe-
ta, presso Turnu Severin ai confini con la Ju-
goslavia.
II
L’opera di colonizzazione e di popolamento
della Romania forse senza precedenti nella
storia dell’Impero romano. Con un alto svi-
luppo economico la Dacia venne dotata di cit-
tà, strade, di un’ottima amministrazione in-
terna, di una solida cultura e soprattutto di
una lingua, il latino, che, non più dimenticata
dalla popolazione, con successive evoluzioni
si sarebbe trasformata nel romeno moderno e
sarebbe assurta a elemento essenziale nell’ o-
rigine nel sentimento nazionale del Paese. Il
suo idioma è prettamente romanzo, anche se
non mancano presenze lessicali slave. La la-
tinità delle classi colte sempre coltivata, man-
tenendosi relazioni con la Francia e l’Italia.
Dopo due secoli arrivano i Visigoti. L’ impe-
ratore Aureliano (270 - 275) arretrò le legioni
sul Danubio e in piccole parti dei paesi balca-
nici. Le invasioni da Oriente e le pressioni
germaniche spingono le colonie romane a ri-
fugiarsi nei territori transilvano-carpatici. Qui
l’etnia romana diviene compatta e darà la
spinta al movimento di indipendenza di tutta
la Romania, che dopo secoli di dominazione
turca nasce come Stato nel 1878, in seguito al
congresso di Berlino. Durante la prima guerra
mondiale alleata dell’Intesa (Italia, Francia,
Gran Bretagna), allargò i confini ottenendo la
Dobrugia, appartenente alla Bulgaria, la
Transilvania, il Banato (già ungheresi), la
Bessarabia, tolta alla Russia. Con la seconda
guerra mondiale la Romania, alleata della
Germania e dell’Italia, occupata dai Tedeschi,
liberata nel 1944 dalle truppe sovietiche l’
URSS si riprende la Bessarabia e la Bucovina
settentrionale, che oggi formano il nuovo Sta-
to della Moldavia. Nel 1947, abolita la mo-
narchia, viene proclamata la Repubblica Po-
polare Romena. Nel 1996 il partito comunista
è messo fuorilegge, si ha l’affermazione delle
opposizioni moderate.
III
La Romania si distingue per una certa rego-
larità della sua figura, simile ad un pentago-
no, raggiunta negli ultimi tempi, dopo le varie
contese affrontate con gli Stati confinanti. La
regolarità di forma garantisce funzionalità e
facile difesa. La superficie racchiusa in un
L
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.36
piccolo perimetro riduce le distanze e offre
una minima linea di attacco ai nemici. La
Romania è divenuta l’area più orientale della
latinità. Il cattolicesimo scompare di fronte
alle chiese greco-ortodosse. L’ampia valle del
Danubio è stata un corridoio di passaggio di
Popoli che premevano da est verso l’Europa.
I Carpazi e l’altopiano della Transilvania so-
no stati, come accennato già, di riparo alle
popolazioni danubiane nelle epoche delle in-
vasioni. Una regione di frontiera e di inse-
diamenti di popolazioni. Le zone pianeggianti
a Nord del Danubio e il bacino transilvano
sono state aree di colonizzazione, di utilizza-
zione delle risorse agricole e minerarie e di
conservazione di culture.
IV
Dall’Europa occidentale diretti a Bucarest
si prova una strana impressione dopo alcuni
giorni di viaggio, si pensa di trovarsi in pieno
Oriente, invece, si vedono vie ampie, come i
boulevards parigini, palazzi dall’architettura
moderna, senza carattere e senza armonia,
parchi sontuosi. Non si vedono persone av-
volte in costumi pittoreschi, invece un gran
numero di caffè e di trattorie rigurgitanti di
folla. Uscendo da centro di Bucarest, si in-
contrano nelle stradine interne gruppi di con-
tadini coperti di pelli, con berretti a cono, si-
mili agli antichi Traci. Sulla collina si vedono
chiese dalle cupolette a tamburo, caratteristi-
che dell’architettura bizantina. Sui parapetti
in esposizione tappeti e rovine di monasteri.
Ci si dimentica dell’Occidente e ci sentiamo
trasportati in pieno Oriente. Bucarest svilup-
pata dopo il XVI sec., con la famosa via Cal-
lea Victorei, lunga parecchi chilometri, che
non ha nulla da invidiare alle più belle strade
delle capitali europee. Di notevole importan-
za il palazzo delle Scienze e il grandioso edi-
ficio del Teatro Nazionale. In gran parte rico-
struita dopo che nel 1847 venne per due terzi
devastata da un tremendo incendio. Bucarest,
centro importante di comunicazioni, vi si an-
nodano le principali linee ferroviarie prove-
nienti da Vienna-Trieste-Budapest, da Varsa-
via e tutte fanno capo al porto di Costanza.
V
La ricchezza della Romania in tutti i settori
è in grande abbondanza. Importanti le colture
cerealicole nella più grande pianura della Va-
lacchia, del frumento e granoturco, barbabie-
tola da zucchero, lungo il Danubio il tabacco.
Sul Mar Nero la coltivazione della vite. La
Romania è il dodicesimo produttore mondiale
di vino. Il legname un principale prodotto
venduto all’estero. Produzioni notevoli orti-
cole e di frutta, mele, pere, prugne, da queste
ultime si distilla il liquore nazionale, la zuica.
Diffuse come piante da fibra di lino, la cana-
pa. L’allevamento è un’attività fiorente, per
numero primeggiano le pecore che sfruttano i
pascoli molto pingui delle zone ai piedi dei
Carpazi. Fra i Paesi europei, la Romania è
uno dei più ricchi di risorse minerarie, in par-
ticolare il petrolio e metano che scarseggiano
in tutti gli altri Stati, ad eccezione della Nor-
vegia e della Gran Bretagna per il petrolio e
dei Paesi Bassi per il metano. I maggiori gia-
cimenti di idrocarburi romeni si trovano nelle
aree pianeggianti ai piedi dei Carpazi. Ab-
biamo anche miniere di piombo, zinco, argen-
to, oro, bauxite. L’energia elettrica, un’altra
ricchezza della Romania, in massima parte
termoelettrica, data l’abbondanza di combu-
stibile. Le grandi risorse della Romania poco
valorizzate, in passato si è avuta un’economia
semicoloniale, strettamente dipendente da po-
tenze estere. I tentativi di rinnovamento han-
no proceduto sempre con estrema lentezza,
per l’opposizione dei ceti dominanti, per
mancanza di capitali, per i diversi episodi bel-
lici in cui la Romania è stata coinvolta, per l’
instabilità delle frontiere. Attualmente ancora
persiste una crescita disordinata. Strutture e-
conomiche abnormi hanno deformato la natu-
ra reale del Paese, creando movimenti diffusi
di decadenza. La Romania favorita dalla Na-
tura non è mai riuscita ad avere periodi di flo-
ridezza. Un Paese votato a fornire merci agri-
cole e minerarie piuttosto ad aggiungere valo-
re alle proprie risorse e a produrre ricchezza
al proprio territorio. Ha mantenuto caratteri
prevalentemente di ruralità e assetti socio-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.37
economici di tipo feudale. La forza lavoro ha
una caratterizzazione preindustriale, superata
da tempo in tutti i Paesi sviluppati.
Leonardo Selvaggi
IL MAROCCO DALLA PREISTORIA
ALLA COLONIZZAZIONE ROMANA
di Leonardo Selvaggi
I
A preistoria del Marocco va conside-
rata insieme con quella del Nord Afri-
ca, chiamato dagli Arabi Maghreb,
che significa tramonto o Occidente, è legata
al ritrovamento dei reperti archeologici relati-
vi all’Homo erectus, primate antecedente
dell’Homo sapiens, cioè la forma di passag-
gio tra la scimmia-uomo e l’uomo moderno.
Siamo ad almeno 200.000 anni fa, quando nel
Sahara, ricoperta di foreste, era presente la vi-
ta animale. A partire dal 6000 a. C. le piogge
incominciarono a diradare finché la vegeta-
zione scomparve. Si pensa che due razze u-
mane fecero la loro comparsa tra il 15000 e il
10000 a. C., il gruppo oraniano, così detto
dalla città e importante sito archeologico al-
gerino di Orano e quello capsiano, il cui no-
me deriva dall’antica Capsa, ora in Tunisia.
In seguito fuse con le popolazioni indigene,
dando vita alla Nuova Età della Pietra. Le
principali notizie di questo periodo arrivano
dalle pitture rupestri dell’Hoggar in Algeria e
da ricerche effettuate nel Marocco. E’ da que-
sti popoli primitivi pare che discendano il
Berberi, dediti alla pastorizia e alla caccia,
conosciuti anche come guerrieri, mai assog-
gettati ad alcun sistema di organizzazione so-
ciale che non fosse quello della tribù.
II
Il Marocco è lo Stato maghrebino per eccel-
lenza, trovandosi nella parte più occidentale
del mondo arabo e islamico. Quando nell’
VIII sec. abbiamo i primi invasori dall’Est,
gli abitanti del luogo sono ormai stabilmente
insediati nel loro territorio, nella parte meri-
dionale i Getuli e in quella settentrionale i
Mauri. La colonizzazione dei Fenici si ha sul-
la costa mediterranea e su quella atlantica. In
cerca di porti in cui impiantare le basi per il
commercio di metalli grezzi che conducevano
con la Spagna. In Marocco i Fenici li abbia-
mo a Tamuda, vicino all’odierna Tetouan, a
Tingis (Tangeri), a Lixus, questi possedimen-
ti tenuti sino alla fine del III sec. a. C.. Zone
splendide, nei giorni limpidi, da Tangeri si
vede la costa della Spagna, Paese considerato
da sempre dagli Europei la porta per raggiun-
gere l’Africa e da Arabi e Africani per entrare
in Europa. Dopo i Fenici succede la domina-
zione di Cartagine, durante la quale i popoli
africani sottoposti sono oppressi da tasse mol-
to pesanti. Ci sono ribellioni da parte di indi-
geni, costituiti da Libici, Numidi e Mauri, che
sconfitti sono costretti a ritirarsi verso il de-
serto del Sahara e i monti dell’alto Atlante.
Dopo la caduta di Cartagine nel 146 a. C. e
durante i primi cento anni dell’occupazione
del Marocco Roma si limita a conservare le
guarnigioni che aveva fondato allo scopo di
proteggere i porti e rotte commerciali. Verso
la fine dell’era precristiana vengono inviati i
primi coloni. Marginalmente viene toccato il
Regno mauretano, comprendente l’odierno
Marocco e gran parte dell’Algeria settentrio-
nale. Costituita dal II sec. a. C. e destinata a
durare fino al 40 d. C. la Mauritania, terra
dei Mauri, antica regione dell’Africa setten-
trionale che si estendeva dall’Atlantico al
fiume Ampsaga. In gran parte montuosa, era
adatta alla pastorizia, alla coltura dei cereali
e dell’ ulivo sulla costa e nelle poche pianu-
re. Era il tramite naturale attraverso cui
giungevano al Mediterraneo le merci prove-
nienti dal Sahara.
III
Il Regno mauro, retto al tempo della guer-
ra contro Giugurta, dal suocero di questi
Bocco I, il quale ebbe una parte importante
nel conflitto, prima in appoggio del genero e
poi contro di lui, dalla parte dei Romani, che
lo compensarono riconoscendogli il posses-
L
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.38
so del territorio. Verso la metà del I secolo
a. C. vi erano due Regni, retti rispettivamen-
te da Bocco II e da Bogud. Nel 38 Bocco II
riunì la Mauritania in un unico Regno, alla
sua morte senza eredi Augusto lo assegnò a
Giuba II, dopo avervi fondato una dozzina
di colonie. Altre città romane importanti e-
rano Volubilis, Sala, Lixus, Saldae ed Ico-
sium. Legale a Roma Giuba II diede impul-
so allo sviluppo economico e culturale del
Paese, favorendovi la diffusione della civiltà
greco-romana e facendo della sua capitale
Cesarea, una splendida città. Con l’ uccisio-
ne del figlio e successore Tolomeo, ordinata
da Caligola nel 40, la Mauritania passa sotto
il diretto dominio romano. Nel 44 viene di-
visa in due province distinte: la Mauritania
cesariense con capitale Cesarea nell’attuale
Algeria e la Mauritania Tingitana con capi-
tale Tingis. I Romani non avendo alcun in-
teresse per la regione continuano a mantene-
re la loro presenza lungo le coste. Nel caso
del Marocco questo fatto acquista particola-
re rilevanza. E’ risaputo all’ epoca che i
Berberi, nome con il quale sono designate le
popolazioni autoctone, non si lasciano sot-
tomettere facilmente. Quando si sentono
minacciati da un’invasione si ritirano nell’
immenso Sahara che dà sicurezza. L’ intera
storia del Marocco è contraddistinta dalla
separazione rimasta sempre inalterata tra gli
originali abitanti berberi e i conquistatori.
Cartagine, Roma, gli Arabi hanno obbligato
i Libici, i Numidi e i Mauri (Mauretani o
Mori, popolazioni delle estreme regioni oc-
cidentali) all’emarginazione, cacciati all’ in-
terno verso il deserto e i monti dell’Alto A-
tlante, dove vivono da seminomadi. Da qui,
luoghi selvaggi e inaccessibili, continui at-
tacchi contro qualsiasi potenza straniera.
IV
Il Marocco costituisce uno dei più remoti
avamposti dell’impero romano. Viene prati-
cata una vasta deforestazione per consentire
la coltivazione di frumento su larga scala.
La seconda metà del III secolo si rivela
un’epoca di conflitti, rimangono in mano
romana parti della Tunisia, l’Algeria setten-
trionale, la Libia e l’Egitto, mentre la Mauri-
tania Tingitana è abbandonata alle popola-
zioni indigeni, ad eccezione di Tingis, desti-
nata alla difesa dello strategico stretto, di
collegamento tra il Nord Africa e la Spagna.
La colonia di Volubilis rappresenta un gran-
de centro del dominio di Roma. Antica città
della Mauretania occidentale. Importante
per l’agricoltura, fiorente, con Giuba II che
vi raccolse tesori d’arte. Eretta a municipio
da Claudio per la sua fedeltà, abbandonata al
tempo di Diocleziano. Gli scavi hanno ripor-
tato alla luce buona parte della città. Abbia-
mo il foro con due templi e la basilica dedi-
cata a Giove, a Giunone e a Minerva, il
campidoglio che risale al 218 d. C., l’arco di
trionfo costruito nel 217 d. C. in onore
dell’imperatore Caracalla, varie terme, fran-
toi, forni, mulini e molte case private, ric-
camente adorne di mosaici. Trovati numero-
si pregevoli pezzi di scultura in bronzo, tra i
quali il cosiddetto Efebo coronato e il pre-
sunto ritratto di Catone Uticense. Si trova a
circa 33 km a Nord di Meknès, Volubilis, il
sito romano più esteso e meglio conservato
del Marocco. Nominato patrimonio culturale
dell’Umanità dall’Unesco nel 1997. La po-
polazione di Volubilis composta da Berberi,
Greci, Ebrei e Siriani continuò a parlare la-
tino e praticare il Cristianesimo fino all’ ar-
rivo dell’Islam. Diversamente da Lixus, che
si trova in direzione Nord-Ovest e fu abban-
donata poco dopo la caduta dell’Impero ro-
mano, Volubilis continuò ad essere abitata
fino al XVIII secolo, quando i suoi marmi
vennero utilizzati per la costruzione di im-
ponenti palazzi a Meknès. Suggestivo visita-
re i resti romani al crepuscolo, quando gli
ultimi raggi del sole illuminano le antiche
colonne, questo luogo appare magico. I ca-
pitelli corinzi di Volubilis sono guardiani si-
lenziosi di 2000 anni di storia. Le cose più
belle sono gli stupefacenti mosaici, partico-
larmente apprezzati anche perché sono stati
lasciati sul posto, questo, tuttavia, ha causa-
to lo sbiadimento dei colori. La casa di Or-
feo era la sontuosa residenza di uno degli
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.39
abitanti più ricchi della città. Ha ancora due
mosaici, di cui uno rappresenta il mito di
Orfeo e l’altro il carro di Anfitrite. I mosaici
costituiscono una testimonianza dell’alto li-
vello raggiunto dai Romani in campo artisti-
co. Inoltre la casa di Efebo che contiene un
bel mosaico che raffigura Bacco su un carro
trainato da pantere. Mosaici splendidi Le fa-
tiche di Ercole e Le ninfe al bagno. Nella
casa di Venere altri mosaici: il Ratto di Ila
da parte delle Ninfe e Diana al bagno.
V
Il Marocco dal punto di vista morfologico
somiglia in qualche modo alla Spagna. I due
Paesi si trovano nella parte occidentale del
Mediterraneo, i loro promontori terminali a
Nord formano le due mitiche colonne d’ Er-
cole. Si affacciano entrambi sul Mediterra-
neo e nel tempo stesso sull’Atlantico. Come
la Spagna per lungo tempo è rimasta proiet-
tata verso il nuovo mondo colonizzandolo,
vivendo un certo isolamento dall’Europa, il
Marocco ugualmente ha avuto per la posi-
zione geografica delle sue caratteristiche
proprie, rispetto agli altri Paesi maghrebini,
ha subito minori influenze esterne, poco ha
sentito la colonizzazione fenicia e quella
romana, come poco è stata arabizzata, man-
tenendo profondamente il carattere origina-
rio, quello berbero. Il Marocco ha una sua
storia nazionale ricca, una sudditanza colo-
niale limitata, una lunga indipendenza e isti-
tuzioni politiche proprie. Monarchia costitu-
zionale, con una superficie di 458.730 kmq
e una popolazione di 29.776.000 abitanti. E’
fra i Paesi maghrebini più aperti ai mercati
europei. Mantiene altresì una sua identità di
Stato islamico. Ha una sua strada da percor-
rere, con risorse particolari, quali i giacimenti
di fosfati, riconosciuti in ambito internaziona-
le. Il territorio marocchino ha aspetti mediter-
ranei e insieme atlantici. Prevalentemente
montuoso con quattro grandi sistemi, Rif,
Medio Atlante, Alto Atlante, Anti Atlante che
con altipiani e pianure costituiscono un Paese
dagli aspetti multiformi.
Leonardo Selvaggi
LE DONNE NEI CAMPI
L’aria delle piante, l’odore delle stalle,
la libertà felice degli animali.
Le allodole che hanno il volo
a tratti dondolato,
spezzato dall’alto in basso e viceversa;
Il canto che pare fischio al profumo
delle stoppie e delle spighe ammonticchiate.
Le musiche delle cicale a ripetizione,
dal ritmo meccanico per i campi vuoti
assolati, allargano le distese aride.
Rare le querce al centro, i ripari dei muri
sgretolati fuggono sui rialzi
circondati dalle vigne.
Il mulo testardo e forte
all’ombra del casolare
sfodera la sua esuberanza vibrando
in tutto l’intestino
e il massiccio suo corpo.
Le donne accaldate, leggere camiciole,
la testa legata dal fazzoletto lavorano
tutto il giorno e cantano sbizzarrite
per gli aperti spazi di terra e di verde.
Avvenenti piegate si spostano,
muovendo la groppa quadrupedi al pascolo,
per riordinare i solchi delle viti.
Attorno la siepe di rovo e di sambuco
densa di foglie ruvide e spinose.
La calura che cuoce gli umori marciti,
lievi flussi di frescura,
fruscii dentro le ombre del fico.
L veste pende davanti,
la mano stringe le radici alla gramigna.
La testa quasi radente irrorata
dal caldo madido, i capelli si rovesciano
in basso davanti alla faccia.
Leonardo Selvaggi
IL CROCO
I Quaderni Letterari di
POMEZIA-NOTIZIE
Il numero 113, di questo mese, è dedicato
alla silloge di
ANTONIA IZZI RUFO
PAESE
3° Premio al Città di Pomezia 2013
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.40
Il Racconto
DI LÀ DALLA NOTTE di Walter Nesti
ERDONAMI. Con gesto a te incom-
prensibile ho respinto seccamente la
tua mano che con amore tentava esplo-
rare il mio corpo. I tuoi occhi più veri del
suono della voce che sgomenta chiedeva il
perché. Non saprai mai il perché. Il tuo cer-
vello innamorato non afferrerebbe il nesso fra
il tuo gesto e quello di un uomo compiuto in
un tempo che ormai si perde nella preistoria
della mia vita. Ero molto giovane allora.
Lui non era più tanto giovane. E poi c’eri
tu. Si, anche allora c’eri tu. Per qualche tem-
po ci foste entrambi. Tutti e due cari e impor-
tanti. Tu, l’amore che in quella tarda estate
cominciava a popolare di sogni l’avvenire, la
possibilità di una vita a due, il matrimonio
come fine ultimo di un’esistenza maturata nel
sentimento certo che leggevo nei tuoi occhi;
lui, l’esperienza forte e intensa di qualcosa
che ormai stava per finire e che non avevo
avuto il coraggio di chiamare amore. Perché,
vedi, forse il mio primo grande sbaglio è nato
da una incapacità a penetrare il senso delle
cose, ad afferrare la somma di esperienze che
fluivano da quel volto che ormai cominciava
a perdere i segni della giovinezza, di sottova-
lutare l’importanza dei tesori che cadevano
sopra la mia persona quasi fossi un idolo, te-
sori di cui ammiravo la bellezza e di cui, for-
se, disponevo con troppa leggerezza, a mio
piacimento. Con capriccio.
“Sono nato troppo presto, ripeteva spesso,
con ironia ma anche con monotonia e le pie-
ghe agli angoli della bocca denotavano
un’amarezza profonda, che solo ora intendo
e vedo, dove già v’era la consapevolezza del
proprio destino, non solo, ma anche di come
si sarebbe compiuto.
Perdonami. Mi dispiace aver respinto la tua
mano leggera che tentava di forzare il santua-
rio del mio corpo. Ma non posso farci nulla.
Non riuscirò mai a farci nulla. So che questo
è il preludio a una fine che prima o poi ci fra-
nerà addosso con tutta l’intensità delle cose
lasciate troppo a lungo a covare.
***
La sua mano leggera e pur grave sopra il
mio corpo. La mia voce aspra, crudele, trop-
po giovane (oh quanto troppo giovane) “la-
sciami stare”. E l’ombra che avanzava su
quel volto come quando una nuvola passa ve-
loce davanti al sole. Gli occhi erano gli ultimi
a spegnarsi. I suoi occhi grigi che tanto mi
avevano ammaliato due anni prima. (Il mio
corpo era sbocciato sotto lo sguardo amoro-
so di quegli occhi; le sue mani avevano tolto
ad uno ad uno i veli dell’inconoscienza, mo-
strato alla mia esuberante giovinezza gli stu-
pendi segreti della vita, avevano fatto prova-
re al mio corpo ignaro i primi singulti del
piacere. Il mio corpo tremante sotto l’esperte
carezze delle sue mani).
Ma già allora l’immagine irridente del tuo
volto si insinuava tra me e lui, la mia retta co-
scienza inalberava il paravento del torto all’
amore giovane e puro, doveva operare una
esclusione, a tutti i costi. Nessun triangolo
poteva essere ammesso nella linearità di una
coscienza intatta. Così allora credevo. Abitua-
ta da secoli, incapace di difendermi dagli as-
salti retorici della linearità degli affetti. Il
cuore non è divisibile.
E la mia voce si alzava, giovane, crudele, la
voce della coscienza operava la scelta secon-
do le convenienze e sbranava impietosamente
il feticcio del proprio corpo; respingeva lon-
tano la mano che diventava sempre più stanca
e sempre di meno aveva il coraggio di tender-
si per ritrovare un equilibrio ormai compro-
messo. Con giovane, cocciuta voce ripetevo
“lasciami stare”.
***
Perdonami. A te e a lui devo chiedere per-
dono. Sto ripercorrendo a ritroso la medesima
strada. Ora sono le pieghe amare della sua
bocca che mi vedo davanti quando la tua ma-
no avanza felina sulla mia pelle nuda. Il mio
corpo si contrae. Non sono più capace di pro-
vare piacere. Sento allargarsi nel petto un urlo
che vorrebbe esplodere “lasciami stare”, ma
ho troppa paura con te di gridare, il volto tri-
P
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.41
ste ormai composto in perfetta serenità am-
monisce alla mia incoscienza.
(Solo allora le pieghe erano sparite e vidi
quanto bella fosse la sua bocca. Tu mi tenevi
la mano. Tremavo. “Gli volevi bene?”, la tua
voce leggera, comprensiva, senza dubbi; e
quel corpo rigido improvvisamente si anima,
ne vedo i gesti consueti, lo spasimo mi dilace-
ra, sento la forza della sua passione premere
contro il mio corpo “capirai” rispondo e ti
trascino via per non gettarmi su quell’ am-
masso inerte, per non cercare con frenesia
sotto i vestiti funebri i segni della virilità che
mi aprì alla vita, che rivelò me a me, chi ero,
di dove venivo, dove andavo. L’orrore era
troppo grande per dare un senso alle mie pa-
role. Staccai per la prima volta quasi con
rabbia la tua mano dal mio braccio).
Ho fatto male a lui, a te, a me. Ho dilacerato
le nostre tre vite per obbedire a un ideale di
perfezione morale ricevuto in eredità da seco-
li di antenati imbecilli. Ho portato il seme
della corruzione nella purezza inattaccabile
del diamante. Ho cominciato a sognare le sue
mani quando ho saputo di averle perse per
sempre. Prima credevo bastasse dire “lascia-
mi stare” per difendermi da lui e da me, ma la
sua presenza era già una sicurezza, il gioco
poteva essere spinto oltre il necessario, tanto
lui era là, un fischio, correva con gli occhi ac-
cesi, tenero come forse a te non è accaduto di
essere mai. Amavo quella tenerezza. Ma non
gliel’ho mai detto.
Quanti errori si commettono anche aman-
do. Forse se una volta gli avessi detto “Sa-
pessi quanto amo la tua tenerezza. Abbrac-
ciami”, avrei visto fiorire le stelle nel grigio
dei suoi occhi buoni e quella mano stanca di
essere respinta non avrebbe trovato la forza
di premere il grilletto.
***
Perdonami. Non so più a chi chiedere per-
dono. Ma sento il bisogno di un’assoluzione.
La pietà di me fissa le tappe del mio tormen-
to. So che non potrò più possedere il tuo cor-
po perché non mi sarà più possibile possedere
il suo. E’ un anello che si è saldato con la sua
morte e che ci ha imprigionati tutti e due. Tu
vittima innocente. Io meno. Lui vittima delle
vittime.
L’abbiamo ucciso tutti e due. Tu ed io. Il
mio amore per te lo ha ucciso, ma non perché
ti amavo, bada bene, era superiore lui a que-
ste cose, sapeva perfettamente che il cuore
non è un abitacolo stretto, e il corpo può fre-
mere in modi diversi quando diverse mani
amate ne sollecitano le corde; non perché ti
amavo, ma perché non volevo ammettere di
amarlo quando tutte le fibre del mio essere lo
chiamavano, quando la più trascurata cellula
del mio corpo vibrava al suono della sua vo-
ce, perché insistevo nel respingere il carisma
delle sue mani mentre pretendevo avere la
sua presenza.
Si può amare e cessare di amare. Si può de-
siderare e cessare di desiderare. Ma non si
può pretendere che un uomo innamorato ti
stia vicino e impedire alle sue mani di esplo-
rare un corpo che rappresenta l’essenza stessa
della sua vita. Il mio corpo.
(Il fumo delle sigarette rendeva l’aria irre-
spirabile. Io parlavo di te. Ti accettava. Scu-
sava anche i tuoi difetti. Ti voleva bene attra-
verso di me. Ma sperava che il mio amore
per te non lo lasciasse in balìa della sua soli-
tudine. Vedeva le cose con la larghezza del
suo amore. E io con la mia crudele giovinez-
za pretendevo la lealtà a un ideale di purezza
astratta. Per te, capisci. Per te. Eppure il mio
sangue si accendeva al tocco delle sue mani,
la sua presenza quasi giornaliera era ossige-
no alla mia vita. Lui era il rifugio di tutte le
mie pene. Anche di quelle che tu mi procura-
vi, allora. Era capace e grande il suo cuore.
Sapeva accogliere tutto.
E poi, quel giorno, l’umiliazione atroce del
suo volto. “Non dobbiamo più vederci. Se
non vuoi che ti abbracci, se non desideri più
il contatto del mio corpo non dobbiamo ve-
derci. Cerchiano di dimenticare. E’ stata una
cosa bella finché è durata”. “Ma perché?”.
Non capiva. Non si capisce mai quando si
deve capire).
Spesso ora mi desto di soprassalto ed ho l’
impressione che non tu ma lui mi sia vicino
in questo letto. La sua presenza invisibile è la
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.42
mia sola compagnia.
***
Perdonami. Forse affretterò la frana che
prima o poi dovrà travolgerci. Tu non fai nul-
la per impedirlo. E non potresti fare nulla.
Perché non sai e non saprai mai. Solo guar-
dandoti dormire posso parlartene, alla luce
del giorno le parole cercherebbero nella men-
zogna l’aiuto all’evasione. Lui fu il primo a
possedere il mio corpo. Il suo sesso di uomo
fu il primo sesso di uomo che vidi. La sua
bocca fu la prima bocca che baciai. Tu venisti
dopo. Lui era già in me, radicato come un
male maligno, quando tu venisti. Era già in
me da due anni. E un altro grande errore fu
quello di credere, di voler credere ad ogni co-
sto, che il tuo amore avesse cacciato il suo
amore. Lui sapeva che non era vero. Vedeva
giusto. Capiva che c’era posto per tutti. Per-
ché l’amore che avevo per te non era uguale
all’amore che avevo per lui anche se era lo
stesso amore; non meno intenso, non meno
grande, ma non lo stesso. E non potevano
contrapporsi. Non dovevano. L’uno non po-
teva cacciare l’altro. Io credetti di sublimarlo
relegandolo nella sfera della pura amicizia,
masochisticamente privandomi di quei con-
tatti che pure desideravo, ma non si può leva-
re l’olio alla lampada e pretendere che conti-
nui a brillare.
(Il volo umiliato, le mani che stringevano
spasmodicamente la sigaretta fino a sbricio-
larla fra dita inconsapevoli, la voce dimessa,
ormai atona “non lo desideri?” - “no, non lo
desidero” - “ora, in questo momento, o per
sempre” - “per sempre” - “bene, allora ti
prego, per favore, non vediamoci più” - “sei
il solito stupido”. Accolse l’offesa come un
dono, come l’unico estremo dono che potesse
provenire dalla mia persona e borbottò qual-
cosa che allora non capii o non volli capire.
La mia leggerezza armava la mano che poco
prima si era tesa fremente, in carismatica of-
ferta, verso il mio corpo).
Fui anche l’ultima persona a baciare la sua
bocca. Estremo e inutile omaggio a chi non
poteva più apprezzare il mio gesto. Prima che
i duri martelli inchiodassero il legno della
cassa la disperazione aveva spinto nuovamen-
te il mio corpo verso quelle membra ormai ri-
gide. Volevo racchiudere nel mio sguardo l’
immagine di quel volto placato prima che la
notte lo coprisse per sempre. Guardai la sua
bocca così distesa, serena, e mi sembrò im-
mensamente bella. L’istinto fu forte e rac-
chiusi nella mia disperazione il rigido freddo
di quelle labbra tante volte respinte. Perdo-
nami. Devo confessarti che su quelle labbra
implorai “Ti amo”.
Walter Nesti
ALLELUIA DELL’ALLERTA
Dall'alluvione in Sardegna abbiamo appreso,
per via mediatica, quale sia il corretto iter bu-
rocratico-operativo in caso di allerta climati-
ca. L'Aeronautica avverte la Protezione Civi-
le. La Protezione Civile avverte il Prefetto. Il
Prefetto avverte i sindaci. I sindaci non sanno
cosa fare. Quando il Po esondava, Don Ca-
millo suonava le campane. Tanto vale che
l'Aeronautica avverta direttamente i parroci.
Il problema è che non ci sono più le campane.
Rossano Onano
Nel nostro Bel Paese,
caro il mio amico Onano,
i guai della Civile Protezione
han radici che vengon da lontano.
Sono, intanto, lo scarica barile.
E’ un porto per politici e volponi,
non certamente un luogo deputato
per sagge strategie e per le azioni.
Un porto permanente, ove galleggia
il servilismo puro e l’intrallazzo;
palestra estremamente raffinata
per passere di lusso e per il ...mazzo.
(Fra i tanti, ti ricordo un Bertolaso).
Quale ateneo di studiosi e saggi!
Un sodalizio bene organizzato
di escortine allegre e di massaggi!
Non bastan l’Aeronautica e il Prefetto,
e i Sindaci alla Civile Protezione;
né mancano soltanto le campane,
ma pure i don Camillo ed i Peppone!
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.43
ANNA AITA DOMENICO DEFELICE Un poeta aperto al mondo e all’amore
di Tito Cauchi
NNA Aita è una scrittrice campana
con all’attivo diversi libri, nonché è
operativa, da molti anni, quale volon-
taria ospedaliera e responsabile dell’ Associa-
zione “Megaris”. Appare evidente la sua
ammirazione verso un uomo di cultura, arti-
sta, di grande impegno, che si è fatto da sé, al
quale intitola la monografia Domenico Defe-
lice - Un poeta aperto al mondo e all’amore.
Fa sempre piacere partecipare all’incontro di
persone di cultura, intelligenti e generose: è
come fare parte di un simposio; ed entrare, at-
traverso gli scatti fotografici, nella vita ora
spensierata del giovanissimo sognatore, ora in
compagnia di letterati (Francesco Pedrina con
la figlia Ilia; Rudy De Cadaval; Solange De
Bressieux; Orazio Tanelli; Ada Capuana; Sa-
verio Scutellà; Sandro Gros-Pietro), ora nella
veste di giornalista in varie occasioni (on.
Giulio Andreotti), ora mentre consegna un
suo libro a Papa Giovanni Paolo Secondo; ma
anche nell’intimità della famiglia, con un
primo piano del nipotino Riccardo.
L’opera è introdotta da Angelo Manitta, che
la giudica, fin dal titolo, esplicativa della na-
tura dell’uomo e poeta Defelice strettamente
legato al contesto che lo circonda e al suo vis-
suto. Il critico siciliano giudica la struttura del
libro, organica, tale che offre un ampio ven-
taglio di giudizi esegetici sulle opere dello
scrittore seguito nella evoluzione artistica, dal
singolo componimento alle raccolte che si in-
nestano nel tessuto sociale e civile della de-
nuncia di ogni abuso, affermando che nello
scrittore calabrese “La poesia diventa impe-
gno di coscienza, ricerca di un senso”.
Anna Aita, con molta onestà, dichiara di at-
tingere per l’esposizione delle opere di Do-
menico Defelice, oltre che alle proprie letture,
sia allo studio di Sandro Allegrini, come di
una bussola, Percorsi di lettura per Domeni-
co Defelice, in particolare al “Florilegio Mi-
nimo” ivi inserito, sia alla “Antologia Mini-
ma” inclusa in To erase, please? dello stesso
scrittore di Anoia. Inoltre avverte dell’uso fat-
to dal defeliciano Diario di anni torbidi, in-
centrato nell’anno 1966.
La presente monografia si struttura in sei
capitoli, che caratterizzano altrettanti risultati
A
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.44
del multiforme scrittore, ad iniziare dalla Vi-
ta: bambino-adolescente, giovane adulto alla
ricerca di una sistemazione professionale e
matrimoniale, fino a diventare padre (e ades-
so anche nonno). Anna Aita ne esalta la figu-
ra, come di un eroe-contadino-pastore, del
giovane uomo sempre alle prese per come
sbarcare il lunario compresso fra due passio-
ni, quella letteraria e quella per le donne. Pen-
so che tutte le vite possono raccontarsi, ma se
non conoscessi l’amico calabrese, direi che la
biografia rappresentata assomiglia ad un ro-
manzo. A dire il vero l’itinerario biografico
mi sembra molto coinvolgente perché resti-
tuisce una figura piacevole e accattivante, che
per i risultati raggiunti diventa un esempio nel
porsi degli obiettivi e una esortazione per
combattere contro le ristrettezze economiche;
perciò mi soffermo ampiamente, seppure non
in modo esaustivo. Le opere esaminate riflet-
tono l’Autore, si sa, e ne costituiscono una
trasposizione letteraria e poetica; ma sappia-
mo che la lista delle stesse potrebbe prolun-
garsi; tale sosta sulle opere non va intesa co-
me mero catalogo, ma serve a comprendere l’
evoluzione dell’Artista capace di usare la
penna ora come una piuma, ora come uno
spadino. Proviamo a sostare sulle sei facce
del poliedrico cultore.
Domenico Defelice nasce ad Anoia nel
1936, in provincia di Reggio Calabria, da una
famiglia di origine contadina. Ancora bambi-
no, Mico, come amorevolmente la madre lo
chiamava, doveva partecipare alla conduzio-
ne dei lavori di famiglia per il sostentamento
della stessa. Così dopo una moderata colazio-
ne, doveva badare ad un maialino, portare al
pascolo pecore e capre, affrontare fatiche su-
periori alla sua età. Nondimeno l’indole si
modellava ai cicli naturali agro-pastorali, alla
visione bucolica che lo faceva sognare; tutto
ciò sotto i rigori meteorologici che dovevano
temperare il carattere del futuro uomo feroce
del sud.
Si tenga presente il periodo storico bellico,
che non ha risparmiato esperienze traumati-
che nell’animo del bambino. Naturalmente lo
studio passava in secondo o terzo piano, gli
impegni lo vedono sottoposto alla cura anche
della terra; tuttavia a dodici anni conclude il
ciclo delle Elementari (1948). E sempre lavo-
rando, giocando e sognando, riesce a conse-
guire la Licenza Media. In qualche occasione
visita la grande città di Roma che accelera la
costruzione fantastica di un mondo a propria
misura. Gli studi di media superiore, lo vedo-
no in trasferta a Reggio Calabria, ove prende
una camera in affitto, prima presso una fami-
glia di pescatori e successivamente nel rione
urbano di Santa Caterina. Ricorderà tale iter
come un periodo ricco di sogni e di innamo-
ramenti, di ansie e di angosce per Teresa, a-
mata e rapita dalla morte; ma anche, in parti-
colare, la più volte decantata Marcella che fa-
rà rivivere nelle sue opere. Gli immaginabili
sacrifici della famiglia, e quelli dello stesso
Domenico, si coronano con il conseguimento
del Diploma di Ragioniere.
Agli inizi degli anni Sessanta, il giovane
adulto è pronto per dare un assetto alla pro-
pria esistenza: lavoro e famiglia. Ma la siste-
mazione economica tarda a consolidarsi e co-
sì esperimenta varie attività, tra cui una pres-
so lo stabilimento di Rosarno quale responsa-
bile di magazzino, tra macchinari rumorosi e
fumi sgradevoli. Ma la sua verve artistica
multiforme non si scoraggia, anzi va all’ at-
tacco: dipinge, collabora a riviste e ad alcuni
giornali, scrive poesie e pubblica raccolte; gli
viene musicata la canzone “Voglio stringerti
così” da Tito Schipa e E. Brizio.
A metà degli anni Sessanta, nel trentenne
poeta, si fa pressante il desiderio di conquista-
re la Capitale, attratto dal fascino che la Città
Eterna esercitava. Gli inizi, che poi durano
anni, sono assai faticosi. Abbiamo cenni in
alcune sue opere ove si descrive il giovane
sempre in bolletta che si nutre di poesia, si
riempie gli occhi delle pitture, fa critica lette-
raria e artistica, respira aria di cultura, mentre
gli intestini si nutrono di se stessi, sicché un
giorno sviene cadendo per strada. E una volta
per eludere la tristezza si affida ad una botti-
glia di vino da cui, invece, viene ingannato.
Orgoglioso fino all’inverosimile, quando la
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.45
padrona di casa gli chiede un piccolo prestito,
Defelice non si tira indietro, procurandosi la
somma a sua volta. Alla fame dello stomaco
si somma quella di avere una donna accanto;
così, come in un carosello, incontriamo ora
Lisetta, con la quale non ci prova più di tanto
perché il caro amico Rocco le faceva la corte;
ora appare Gisella, con la quale trascorre ore
di tenerezza, ma la ragazza è fidanzata in
Sardegna, così si sente lui meno impegnato;
ma sempre più il giovane arde dell’antica
fiamma di Marcella che non riusciva a spe-
gnere, fin quando, al rifiuto della ragazza, si
mette il cuore in pace. Tra un tormento e
l’altro appare Rosita che non è proprio il suo
tipo di donna, così inventa la bugia di essere
già sposato.
Alle notizie poco confortevoli che giungono
dalla famiglia, fra cui la rottura del fidanza-
mento della sorella Carmelina (allora la si va-
lutava come una avversità seria), fanno da u-
nici momenti di svago quelli trascorsi con gli
amici, fra cui il citato Rocco (Cambareri),
Nino (Pensabene), Michele e Germano. In-
tanto i genitori, ritenendo di agire a fin di be-
ne, tentano di combinare il matrimonio con
una brava ragazza (mi pare una maestrina),
ma di ritorno al paese il giovane Defelice ri-
mane deluso della sorpresa. Così rientra a
Roma con altra grinza; intanto si iscrive all’
Università, in Economia e Commercio e per
tentare una sorte migliore, bussa a più porte:
la sorte sembra migliorare, pur ugualmente
sotto pressione, venditore di elettrodomestici,
contabile, insegnante di materie di indirizzo
per ragionieri, presso un istituto parificato, su
chiamata del preside Becattini, che gli asse-
gna anche lezioni di Italiano, Francese e Sto-
ria; inevitabile, per il neo-insegnate, qualche
iniziale inciampo. E per timidezza, Domenico
incespica pure durante la lettura delle sue po-
esie quando trovava spazio letterario in pub-
blico. Irrequieto fonda una editrice “Le petit
moineau” (1967) che gli permette uno scam-
bio culturale con letterati francesi (Solange
De Bressieux, Paul Corget ed altri) e trova fi-
nalmente il grande amore in Clelia, che spo-
serà nel 1970. Il volo è spiccato, da lì a qual-
che anno fonda e dirige la rivista Pomezia-
Notizie (1973) che, fra difficoltà economiche,
continua nonostante la fatica, ancora oggi, a
dirigere; uno dietro l’altro ha tre figli Gabriel-
la, Luca e Stefano (1982); e gli impegni lette-
rari volano alto, come autore e critico, editore
e direttore, operatore culturale di incontri e
relatore di libri. Intrattiene corrispondenza
con tanti autori e pittori in Italia e all’estero.
Innumerevoli sono le recensioni che lo ri-
guardano e le citazioni che lo riportano.
Delle opere di Domenico Defelice (cap.
II), Anna Aita rileva, sulle orme di Allegrini,
quanto le creazioni giovanili, comprensibil-
mente, risentano dell’influsso scolastico. Così
avviene, all’età di 21 anni, al tempo di Piange
la luna (1957); ebbene l’Autrice sottolinea
come “qualche difettuccio di espressione ec-
cessiva o sdolcinata” o qualche lacuna siano
perdonabili, in un esordiente, come suggeri-
sce l’Allegrini. In Con le mani in croce
(1962), il Poeta lamenta le violenze sugli a-
nimali, ma anche la deturpazione della natura,
gli esperimenti nucleari, le problematiche che
investono la famiglia dei nostri tempi; l’ au-
spicio alla pace e l’amore onesto. Un paese e
la ragazza (1964), esprime la passione amo-
rosa per Marcella dello studente al tempo di
Reggio Calabria e la raccolta 12 mesi con la
ragazza (1964), esprime nelle metafore dei
colori le forme della passione amorosa, men-
tre nella finestra chiusa il diniego dell’amore.
Con la maggiore maturità del Defelice, la
presa stilistica si fa più personale, egli si in-
canala nella introspezione psicologica, nella
valutazione sociologica e antropologica delle
azioni umane; è maggiormente legato alla re-
altà in una sorta di ossimoro. È quanto riscon-
triamo ne La morte e il Sud (1971), con un
linguaggio che dosa dolcemente nel cantare le
bellezze naturali del suo paese e nel contem-
po un linguaggio aspro, quanto basti, per il
doloroso fenomeno della criminalità, l’altra
faccia del paese. E in Canti d’amore dell’
uomo feroce (1977) è sì, atroce, ma anche fie-
ro, nella duplice valenza del vocabolo, ancora
una volta per la sua terra amata per un verso e
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.46
odiata per un altro verso, prendendo netta po-
sizione contro mafiosi, delinquenti e tutti co-
loro che abusano del potere sia per proprio
profitto, sia per mera angheria sul più debole.
Domenico Defelice, non è monocorde, così
in Nenie ballate e canti (1993), gioisce per la
bellezza, prorompe per la passione sessuale;
ma si fa particolarmente partecipe delle soffe-
renze che investono la comunità, facendole
proprie, trasformando la voce in una nenia
per la morte del piccolo Alfredino Rampi (in-
ghiottito da un pozzo artesiano in località di
Vermicino, nelle campagne romane, nel
1980). Un evento che ha tenuto con il fiato
sospeso tutta la Nazione; ma, in opposizione
alla grande tragedia, si commerciavano bibite
e panini. Il dolore si impadronisce del Poeta a
tal punto che raffigura il sonno del piccolo in
una pittura che gli fa da copertina alla stessa
raccolta, dopodiché non prenderà più un pen-
nello; il pensiero della morte lo ammutolisce.
Alcune pubblicazioni (cap. III) su cui ci
soffermiamo brevemente, sono diversissime
fra loro per il taglio. Degna di nota, a parte,
merita lo studio che Domenico Defelice ha
dedicato a un personaggio notevole, Temi
umani e sociali in Carmine Manzi (1972),
uomo non comune di Mercato San Severino
(Salerno), operatore culturale, poeta e scritto-
re, dalla semplicità disarmante e profonda nel
contempo. Lo scrittore, che aveva trasformato
la sua dimora di Paestum in un tempio della
cultura (l’Eremo Italico), è fatto oggetto di
innumerevoli consensi. Oltre a soffermarsi
sul pensiero e le opere, dello scrittore, il poeta
calabrese si sente particolarmente vicino a lui,
in occasione della vicenda personale che ri-
guarda l’anziano maestro campano, durante
un intervento chirurgico subito a Roma, even-
to che porta entrambi a riflettere sulla preca-
rietà della vita.
E con ricchezza di metafore che riportano al
suo originario impegno sociale, letterario e
artistico, risultano le opere della maturità che
man mano si consolida, caratterizzate da una
prosa scorrevole e accattivante ma anche di
seria gravità; miste di ossimori e di dicoto-
mie. Defelice con Arturo dei colori (1987), si
rivela narratore di racconti fiabeschi, non di-
sgiunti da risvolti pedagogici; si scopre ‘poeta
della vita’ e uomo di fede; in un racconto fan-
tascientifico riconosciamo in tre astronauti i
figli (Luca, Gabriella e Stefano). Dal fantasti-
co passa a un senso di nausea per quanto av-
viene nel mondo, così in To erase, please?
(1990), con terminologia da computer; il no-
stro Poeta feroce, contro tutti e tutto, è molto
deluso, perfino delle notizie quotidiane che
sono un ammasso confuso e inadeguato, per-
ciò dichiara, che sarebbe tutto da cancellare e
rifare. Potremmo dire che il nostro poeta-
contadino trova l’agognata armonia ne L’orto
del poeta (1991), fra alberi, arbusti e ortaggi,
nel verde, che lo portano alla primigenia na-
tura; ivi conversa con le piante, di tutto, ed è
felice. Altro sconcerto si rivela in Alpomo
(2000), poemetto burlesco, allusione all’Italia
dilaniata dai politici arraffa - tutto, litigiosi e
inconcludenti. Defelice riesce a trarre spunto
dalla vicenda personale del ricovero ospeda-
liero per denunciare il disservizio sanitario
che trasforma la fatalità in una sorta di viag-
gio nel dolore, Resurrectio (2004), lo fa in
modo dilettevole ma anche austero tanto che
al suo interno le sezioni sono denominate sta-
zioni e sono in numero di tredici, come a ri-
marcare l’analogia con la Passione di Cristo;
per fa apprezzare di più la vita.
Un taglio del tutto letterario ha il libro Pa-
gine per autori calabresi del Novecento
(2005), in cui offre la panoramica di un nu-
mero considerevole di autori della sua regio-
ne, alcuni appena tratteggiati, altri diffusa-
mente studiati, dimostrando la capacità critica
di investigazione; in tutti i casi i loro profili
letterari risultano tutti ben delineati; per tale
ragione il libro può essere inteso come un e-
sempio di critica, corretta e onesta. Ha un ta-
glio autobiografico il semplice Diario di anni
torbidi (2009), semplice perché scritto di im-
peto, appunto è un diario, non elaborato, ma
trasuda di realtà e di sogni che costellano il
percorso di vita del giovane Domenico, fonte
a sua volta di varie riflessioni e citazioni di
autori. Infine ritorniamo al poeta-contadino
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.47
con Alberi? (2010), il cui punto interrogativo
vuole mettere sull’avviso il lettore che le
piante del suo orto-giardino sono come per-
sone, hanno un nome e un’anima, l’ascoltano
e gli rispondono; sono la madre, la moglie, gli
amici più cari; un’opera all’apparenza legge-
ra, ma ricca di contenuti di vario genere.
La vena teatrale di Domenico Defelice (cap. IV), non è disgiunta da una profonda
conoscenza di psicosociologia come nel caso
di Pregiudizi e leziosaggini (2008), comme-
dia che disegna una società in cui i malintesi
sensi di onore e di eccessivo manierismo
nocciono ai rapporti personali. Oppure solle-
va la problematica sulla eutanasia come nel
dramma di Silvìna Òlnaro (2009), che risente
del noto evento di Eluana Englaro, che, in an-
titesi all’azione-dramma, presenta una stasi
comatosa, appunto, consona alla circostanza;
anche qui, sotto i nomi dei protagonisti, appa-
rentemente buffi, si celano personaggi reali
coinvolti e della politica, ed amici. Il nostro
drammaturgo non prende posizione, ma la-
scia spazio agli attori.
Pomezia-Notizie (cap. V) è la sua creatura
primaria, la rivista mensile fondata e diretta
dal 1973, che raggiunge i confini del mondo e
ospita firme collaudate, costituendo una fuci-
na per esordienti come Aurora De Luca, che
già si è affermata, e ne ha celebrato il quaran-
tennio. In essa Domenico Defelice continua
ad esprimersi liberamente, non limitandosi ad
una cerchia ristretta e consentendo anche ai
collaboratori di uscire dagli schemi imposti,
sempre nel rispetto della civiltà.
Le Monografie per Domenico Defelice dell’ultima sezione (cap. VI), comprendono il
già citato Percorsi di lettura per Domenico
Defelice (2006), di Sandro Allegrini, il quale
pone l’accento sull’interesse di una critica
onesta e sull’utilità reciproca che la lettura
comporta tra autore e recensore; Domenico
Defelice e le sue opere etico-sociali (2009),
di Leonardo Selvaggi, in cui l’autore lucano
richiama l’urlo sincero del Defelice avverso
ogni ingiustizia, reclamando la pace; il sem-
plice titolo Domenico Defelice (1983), del
molisano docente USA, Orazio Tanelli, che
ne evidenzia l’amore per la natura; quindi
Domenico Defelice introspettivo coinvolgi-
mento poetico-letterario dell’animo umano
(2009), di Eva Barzaghi, la quale ne ha fatto
tesi di laurea all’Università di Tor Vergata di
Roma, rivela la religiosità del nostro poeta. E,
adesso, aggiungiamo l’ottimo lavoro di Anna
Aita: Domenico Defelice - Un poeta aperto al
mondo e all’amore.
Giunto fin qui, non posso esimermi dal co-
statare la chiarezza espressiva di Anna Aita,
unita alla partecipazione umana che valorizza
le opere e l’uomo, non certo per le belle paro-
le di critica, che pure non guastano, ma per
avere evidenziato i risvolti psicologici sondati
e le aspirazioni del poeta-scrittore-giornalista
e del bozzettista-pittore in fieri che evolve fi-
no all’affermazione. Nell’esposizione delle
opere, in generale, abbiamo citazione di brani
delle rispettive prefazioni; altresì le note a piè
pagina, unite ai riferimenti entro il testo, con-
sentono ulteriori approfondimenti, e ci fanno
incontrare personaggi noti e meno noti come
in un simposio senza tempo, ove alcuni di es-
si, pur scomparsi, continuano a stare in mez-
zo a noi: Francesco Fiumara, Maria Grazia
Lenisa, Vittoriano Esposito, Carmelo Rosario
Viola, Indro Montanelli, Michele Frenna, A-
driana Mondo, Laura Pierdicchi, Elisabetta
Di Iaconi, Silvana Andrenacci Maldini, Lo-
retta Bonucci, Maria Antonietta Mòsele,
Carmine Chiodo, Marina Caracciolo, Liliana
Porro Andriuoli, Pasquale Matrone, Silvano
Demarchi, Guido Zavanone, Aldo Cervo, A-
steria Casadio, Franco Saccà, Ottavio Carbo-
ni e altri ancora che, per ragioni di spazio,
non cito (nemmeno il sottoscritto, modesta-
mente).
Tito Cauchi ANNA AITA, DOMENICO DEFELICE Un
poeta aperto al mondo e all’amore, Il Convivio, Castiglione di Sicilia (CT) 2013, Pagg. 96, €
12,00
Foto di pag. 43: Tito Cauchi, la moglie Signora
Concetta e Domenico Defelice ad Anzio-Nettuno, nel 2012, in occasione del Premio Polve-
rini, del quale Cauchi è Presidente.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.48
I POETI E LA NATURA - 27
di Luigi De Rosa
Disegno (1960) di Domenico Defelice
I “CIPRESSETTI”
DI GIOSUE' CARDUCCI
ra il 1874, e la “vaporiera” correva
attraverso la Maremma toscana, ri-
portando il professor Carducci a Bo-
logna.
Carducci aveva allora circa quarant'anni.
Era nato nel 1835 a Valdicastello, in Versi-
lia, nella provincia di Lucca ( Quella “Versi-
lia che nel cuor mi sta”).
Letterato già noto, docente, ogni tanto fa-
ceva questo viaggio dalla Toscana a Bolo-
gna, città nella quale insegnava ed era già
un'autorità in campo letterario.
Fu una visita a Castagneto, località nella
quale aveva trascorso l'infanzia, a donargli
la felice ispirazione dell'ode “Davanti San
Guido”.
Mentre il treno correva, agli occhi e al
cuore del Poeta si ripresentarono l'oratorio
di san Guido e il Cimitero di Bòlgheri, nel
quale era sepolta l'amatissima nonna paterna
Lucia.
“I cipressi che a Bòlgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardar...”
Stupefacente, in pieno Ottocento, questa
“umanizzazione” di alberi, paragonati a dei
giganti giovani e pieni di vita ( allora! Prima
dei parassiti moderni che li avrebbero attac-
cati!). Essi si rivolgono all'uomo barbuto e
serio che era stato a suo tempo un bambino
scapestrato in mezzo a loro. Lo riconoscono,
e addirittura gli parlano:
“Ben torni omai” bisbigliano verso di lui
abbassando il capo,
“Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh siediti a le nostre ombre odorate
ove soffia dal mare il maestrale:
ira non ti serbiam de le sassate
tue d'una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
deh perché fuggi rapido così ?
Le passere la sera intreccian voli
a noi d'intorno ancora. Oh resta qui!”
Non mi sembra il caso di fare, qui, una
lunga e dettagliata paràfrasi dell'intera ode,
che è lunga ben 116 versi. ( Fu ripresa, e
portata a termine, solo nel 1886, per essere
poi pubblicata, un anno dopo, nella raccolta
“Rime nuove” ) .
Mi basta notare, insieme agli amici lettori,
che già in questi primi versi è messo a fuoco
il concetto di un'equazione fantastica e no-
stalgica tra infanzia dell'uomo e purezza del-
la Natura. Ai ricordi della vita del bambino
sono collegate le tenere immagini della sera
fresca, del soffio del maestrale ( quel mae-
strale di un'altra poesia carducciana, sotto il
quale “urla e biancheggia il mar”), dei voli
dei passerotti felici, di un'atmosfera che l'au-
stero professore non respira più nell'austera
città. I cipressi vengono accolti dal cuore del
poeta addirittura come degli amici coi quali
abbandonarsi a confidenze e confessioni:
E
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.49
“ Bei cipressetti, cipressetti miei,
fedeli amici d'un tempo migliore,
oh di che cuor con voi mi resterei...
Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
or non è più quel tempo e quell'età...”
Oggi la mia età è diversa, dice il poeta.
Ma anche il tempo, l'atmosfera generale
della vita è cambiata. E poi non tiro più
sassate, specialmente alle piante ( alle per-
sone, agli avversari, sì... E' risaputo quanto
fosse focoso e generoso nelle sue polemi-
che, il Carducci...). E poi, aggiunge il poe-
ta,
“...Se voi sapeste!...via, non fo per dire,
ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
e scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù:
non son più, cipressetti, un birichino...”.
Ma qui il grande Poeta casca male, e viene
subito rimbeccato, e si accorge con rincre-
scimento che i cipressi e il sole hanno di lui
una gentil pietade...
“...E presto il mormorìo si fé parole:
_Ben lo sappiamo, un pover'uom tu sé,
ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
che rapisce de gli uomini i sospir,
come dentro al tuo petto eterne risse
ardon che tu né sai né puoi lenir...”
La pace e la bellezza, la serenità e l'armo-
nia non stanno, quindi, nella società degli
uomini, palestra di continui combattimenti.
Ma stanno nella Natura. Delle caratteristiche
proprie dell'Uomo viene salvata la Poesia,
con la sua capacità di far capire all'uomo la
realtà delle situazioni, e con la sua forza
consolatoria e beatificante. Si pensi alla rie-
vocazione della novella di lei che cerca il
suo perduto amor...:
“...Deh come bella, o nonna, e come vera
è la novella ancor ! Proprio così.
E quello che cercai mattina e sera
tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
sotto questi cipressi, ove non spero,
ove non penso di posarmi più...
….....
Ansimando fuggìa la vaporiera
mentr'io così piangeva entro il mio cuore...”
Luigi De Rosa
L’UOMO NARRANTE
Luce e tenebre stagliano linee
lungo la costa,
isole emergono con contorno di lancia
mentre le vele si calano al vento.
Luce lunare risplende negli occhi
dei pescatori lontani alla spiaggia,
verdi colline ora sono nascoste
da bianche lenzuola di nebbia autunnale.
Sento il freddo che mi entra nelle ossa
e penso al caldo del piccolo ovile,
ti vedo correre sulle stoppie di grano
gioiosa fanciulla dagli occhi celesti.
Ne è passato del tempo da quel turbamento
quando il mio cuore cantava l’amore.
Ora che gli anni mi han segnato la faccia,
solo i ricordi mi invitano a vivere
in questi luoghi dove ebbi coraggio
di rimanere tra morsi di fame.
Ho pochi amici ma mio è il paesaggio,
un orchestrare di poggi e dorsali,
a cui fa sfondo il colore del mare.
E questo mio mondo mi dona la forza,
la speranza di scrivere ancora
questi versi che danno la gioia,
l’ultimo dono di un uomo narrante
uno dei tanti , un orchestrale…
che vive nel sogno e fa forse sognare.
Colombo Conti Albano Laziale, RM
CANTO LA LUCE
Canto la luce, la bellezza, l’amore
perché il loro ricordo mi consoli
nelle giornate scure del dolore;
canto la luce, la bellezza e il sole,
canto d’autunno le malinconie,
le dolci musiche senza parole,
canto ogni cosa bella perché penso
che solo la bellezza può salvare
l’anima e il mondo da un dolore immenso.
Mariagina Bonciani Milano
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.50
(Disegno di Serena Cavallini)
Recensioni
ROCCO SALERNO
UNA NOTTE IN PARADISO
Edizioni Lo Spazio III Millennio, Fondi, 2013
E’ da poco apparso, un libro di versi di Rocco Sa-
lerno, in edizione bilingue italo-spagnola dal titolo
Una notte in Paradiso. E’ questo un libro dall’andamento poematico, che
si sviluppa con un movimento veloce e incalzante,
dando luogo a momenti di felice resa, quali: “Cerco la tua assenza / in questa tarda sera / che più non è”;
“Angelo della notte, / dormi, riposa, / sii il sonno /
che si distenda sui miei occhi”; “Per una notte anch’io sono stato in Paradiso / e della luna ricordo
il sorriso timido / su di me giglio e il vento del no-
stro Giardino”; ecc. Salerno compie in questi versi un’assidua e labo-
riosa ricerca di un Bene che gli sfugge e che lui in-
segue in un paesaggio irreale, che può assumere l’aspetto di quello cittadino (“E’ morta a quest’ora
la città / e non spira nessun’aura”; “Strade impolve-
rate / scale consumate / e battute dal rimorso / nel silenzio del cuore”), ma che sintomaticamente è un
paesaggio nel quale domina la solitudine: “Ombra
che ti aggiri sola / per angoli remoti / e case stipate dal pianto…”.
Una figura risalta però da questi versi e si fa lu-
minosa presenza: quella della madre del poeta, il quale così la ricorda: “Per una notte sono stato
anch’io in Paradiso / a vegliare il sorriso di mia
madre”. Quello nel quale Rocco Salerno si aggira è co-
munque per lo più un ambiente notturno: “Di notte
il Tempo non ha velo, / tutto incerto tutto etereo, /
solo tu sei che ancora balzi / e protendi lo sguardo / verso l’Eterno”. La notte diviene così il regno delle
ombre e il luogo dal quale si può muovere alla ri-
cerca dell’Assoluto, quasi in un’ascesa mistica: “Per una sola notte, angelo, ho carpito la tua favilla
/ e ho fatto mia la tua voce”.
C’è quindi l’incontro con l’angelo; ma c’è anche l’incontro con una divinità pagana, Apollo, che non
per nulla è il dio del canto e della poesia: “… sorgi,
Apollo, / che visitando vai i nostri affanni / e stem-peri le nostre lacrime”.
L’angelo ed Apollo divengono pertanto gli inter-
locutori del poeta, il quale ad essi si rivolge nella sua ricerca di Verità: “Ora sono solo a casa / ange-
lo, / … / e tu ancora consumi sotto arcate / o strade
impolverate / il tuo ieratico sguardo”; “Conosco, Apollo, altri giorni, / altre tempeste / che mai mi
porteranno alla Certezza, / alla Salvezza che mi a-
pre il Mistero”. Ma ecco, dietro ad essi, comparire il Dio cristiano, al quale Salerno si rivolge con fer-
vidi accenti: “A te anelo, mio Dio / … / Non ho re-spirato, Signore, / fino in fondo la mia morte; / la
Tua morte”.
In un assiduo e tormentoso esame della sua con-dizione esistenziale il poeta si contempla e si scava:
“Non sono mai stato certo / di essere su questa terra
/ uomo fra gli uomini / cosa fra le cose”; “Sono solo il bambino sempre più solo”; “Sono dentro la rete
del tuo silenzio, / del tuo abbandono…” / Cammino
e mi ascolto / cammino e ti ascolto”. Nitida, in questo susseguirsi di presenze, affiora
quella della madre del poeta, alla quale egli si ri-
volge con fidente abbandono: “Non telefono e so che mi attendi / … / So che sei certamente sconten-
ta / del figlio che ha soltanto sogni / da involare all’
Eterno”. Nella seconda parte del libro la voce di Salerno
pare farsi più incisiva e più serrato il suo discorso
poetico, volgendo alla conclusione il suo dire: “E
oggi Sirio veleggia la sua bellezza / silenziosamente
ammiccando nel cielo / furtivamente sulla terra”;
“Dispiega le ali come uccello sul grano, / concediti alla primavera dei tuoi ruscelli. / La tua armonia,
Sirio, non è più un grido / da trattenere sulle nostre
ciglia”; “Oggi dopo duemila anni di storia / anche noi decidiamo le sorti dell’uomo, / anche noi, Sirio,
illuminiamo l’ombra”.
Con queste invocazioni a Sirio, fatte con un lin-guaggio alto e fiorito di immagini, il poema di Roc-
co Salerno si chiude, lasciando in noi l’impressione
di aver incontrato un poeta dalla forte personalità, teso nella volontà di cogliere qualcosa del segreto
del mondo, che il velo delle apparenze ci preclude.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.51
Efficaci le traduzioni, le quali rendono compiu-
tamente il testo originale.
Elio Andriuoli
PAOLO RUFFILLI
AFFARI DI CUORE
Einaudi Editore, 2011
PAOLO RUFFILLI
NATURA MORTA
Aragno 2012
Già al primo approccio con la poesia di Paolo
Ruffilli il lettore può notare come essa riponga
gran parte delle sue potenzialità nel tentativo so-stanzialmente gnoseologico e definitorio dei fon-
damenti e delle espressioni della vita. Si tratta in-
nanzitutto di uno sforzo di penetrazione, compren-sione e circoscrizione della “cosa” poeticamente
indagata con le armi di un’acutezza mentale, di una
raffinata sensibilità e di una disponibilità emotiva sempre nuova e feconda. Dunque poesia come
processo creativo ma, prima ancora, come atto co-gnitivo. E perciò indagine, enquête, ricerca, inve-
stigazione; poi rivelazione o svelamento, illumina-
zione non clamorosa, grimaldello per ulteriori ap-prodi. Il resto viene dopo, da sé, perché Ruffilli,
come tutti i veri poeti, dà voce all’ineffabile, anche
nel significato di cosa che gli altri non osano tratta-re.
Già in “Affari di cuore”(Giulio Einaudi Editore,
Torino, 2011, pp.139, € 12,00) si mostra “scandalo-so”: ma non per la capacità di dire l’amore diret-
tamente e senza veli, anche se il linguaggio spesso
attutisce, quanto per essere spudoratamente nuovo e inedito nel dire dei sensi e dei sentimenti, di impul-
si e di battaglie, del cuore gonfio di sangue vitale,
di vene e arterie che pulsano impazzite. Crudo e de-licato, dichiarato e allusivo, il dettato poetico di Pa-
olo Ruffili significa la natura ossimorica dell’ amo-
re, dopo averne scardinate le difese e acquisite
contezza e ragione in modo quasi autoptico, se non
fosse che l’aggettivo richiama qualcosa di freddo e
inanimato, mentre qui urge un fervore inaudito: i corpi s’incontrano e si scontrano, si respingono e si
fondono ferocemente, si prendono con assoluta vo-
racità, con spasmi di piacere e di dolore. Siamo di fronte a una esplosiva e insieme raffinata fisiologia,
anzi a un’anatomia, dell’amore pervicacemente in-
dagato, scoperto, gustato, patito attraverso un’ e-splorazione che si configura come una vera e pro-
pria descensio ad inferos fin nel magma tumultuoso
della passione da cui , avvolto e sconvolto, l’io poe-tante viene infine eruttato in una situazione di so-
stanziale sazietà o, se si vuole, di matura consape-
volezza di “ chi ha / già avuto tutto / e non si aspet-
ta niente”.
A dire l’intensità emotiva di questi “affari di cuo-re” è deputato il verso breve, talvolta scolpito in
tre/quattro sillabe, che dice l’ansimo della passione,
lo scoppio dei sensi. Eppure questo verso è, sì, bre-ve, ma solo all’occhio; perché è lungo alla mente e
al cuore per la dilatazione provocata dall’ enjam-
bement, per la portata semantica e per la tensione gnomica. Certo la lingua è sottoposta a severa pres-
sione da uno scavo verbale che non fa sconti, con il
supporto di un gioco di rime disegualmente dispo-ste e con un corredo suppletivo di richiami asso-
consonantici a tessere ricami di corrispondenze al-
lusive e suggestive. È significativo poi che l’ultimo verso di ogni componimento rimi quasi sempre con
un verso precedente (spesso con il quartultimo): ciò
può avere valore, sia pure momentaneamente, con-clusivo, cioè può rappresentare la fine del fram-
mento di esperienza espresso nel componimento, il
punto fermo di un attimo intensamente vissuto: op-pure può legare fonicamente due o più parole in
profili segnici che rimandano a significati e aspetti fonosimbolici e metatestuali.
“Affari di cuore” offre una percezione inedita e
ardita dell’amore vissuto con straripante sensualità dall’io poetante che si pone anche come puntuale
notatore di ogni pur minima vibrazione del cuore e
dell’intelletto.
In “Natura morta”(Nino Aragno Editore, Tori-
no, 2012, pp.123, € 10,00) il primo impatto non a-nodino viene dalla materia poetica disposta in versi
scarni, irti, verticali. Il colpo d’occhio grafico al-
larma, invita a preparare gli ordigni giusti per entra-re in simbiosi con i testi, o almeno a porsi sulla
stessa lunghezza d’onda.
A mano a mano che avanza tra le pagine, il letto-re non tarda a maturare la consapevolezza che Ruf-
filli sia tanto smisurato nel sentire quanto asciutto
nell’esprimere, convinto com’è che la poesia non
possa essere altro che sottrazione estrema, anche fe-
roce. Condizione dalla quale scaturisce un dettato
conciso e distillato, come è evidente, prima ancora che nell’opera di cui si parla, in quelle precedenti,
in prosa e in versi; un dettato antilirico, con radi-
camenti filosofici nel pensiero antico e moderno rivissuto in modo personale e maturo. Siamo di
fronte a una poesia che si fa cosa, che cerca di an-
nullare la distanza tra ciò che è e la sua incarnazio-ne verbale, tra significato e significante; e sotto la
veste logica e rassicurante, essenziale nel suo vago
sapore lucreziano , il percorso creativo è dissemina-to di intuizioni e scatti, di dissacranti svelamenti e
di assunti quasi imperiosi che scarnificano la realtà
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.52
fenomenica e puntano al nucleo del reale, oggetto
della conoscenza, e alla professione del principio.
È questa la ragione per cui il tono ha connotazioni meditative, sentenziose, definitive. E i diffusi ri-
chiami fonici (rime, assonanze, consonanze, allitte-
razioni, ecc.) tessono fitte tele di corrispondenze non solo intratestuali e forniscono insostituibili
chiavi interpretative soprattutto per quanto attiene
al ritmo e alla musicalità della versificazione. Di questa raccolta, sostanzialmente poematica,
deve essere sottolineato un aspetto non secondario
che riguarda la sezione finale dal titolo ”Piccolo in-ventario delle cose notevoli”. Qui Paolo Ruffilli,
magistralmente, offre al lettore un tipo di poesia
che ri-crea e fa rivivere, o quanto meno riecheggia, in personalissima interpretazione, il Regimen sani-
tatis Salerni, ossia quella raccolta di precetti medi-
ci riconducibili all’antichissima Scuola medica sa-lernitana; e quindi mette in campo un tipo di poesia
vivace e brillante, prescrittivo e ironico. Segno di
arte sicura e matura.
Pasquale Balestriere
ALDO DE GIOIA - ANNA AITA
LA LUNGA NOTTE
le quattro giornate di Napoli Rogiosi editore, 2012, Pagg. 80, € 12,50
La lunga notte – le quattro giornate di Napoli, è
opera di due scrittori campani, appassionati di ri-
cerche storiche, accomunati dall’amore verso la propria terra. Aldo De Gioia, docente e poeta fa le-
va sulla sua competenza storica e sulla sua parteci-
pazione emotiva che, sapientemente, Anna Aita fa discendere dalla sua penna. Ricca si presenta l’ a-
pertura di Aldo De Gioia, che dichiara che avrebbe
preferito non scoprire la ferita segnata su una pagi-na che, nell’immediato, si voleva dimenticare e che
nella rivisitazione dell’evento storico dell’ultima
Guerra Mondiale, ritrova la sua infanzia: luoghi ove
era possibile rinvenire munizioni inesplose e graffi-
ti, gli sembra di udire gli echi delle grida strazianti
e i rumori delle bombe. Un rumore al quale si op-pone la poesia di Igor Man, ‘Ragazza anonima’,
sulla pace. Mentre Anna Aita paragona la città di
Napoli ad una araba fenice risorta dalle ceneri, commentando con la filosofia caratteristica dei na-
poletani: “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha da-
to!...”. La prefazione è di Vincenzo Rossi che fa un breve richiamo storico e giudica commovente l’ e-
xcursus narrativo. Infine anche la postfazione di
Giustino Gatti chiude approvando la scelta stilistica degli Autori, che hanno incardinato la storia delle
Quattro giornate entro la struttura romanzata di una
vicenda d’amore tenera e appassionata.
L’opera si articola in sette capitoli con parti scritte
in corsivo, che riportano le parole di un diario rice-vuto da un uomo, in un incontro fortuito, e parti in
carattere comune che riguardano le riflessioni della
voce narrante femminile. Possiamo pensare agli al-ter ego dei rispettivi autori.
La narrazione scorre in prima persona, a voce di
una giovane donna di Napoli, Lidia Varelli, che in un giorno piovoso di fine estate, a settembre, di
questi anni, si reca al museo di San Martino, al
Vomero, per seguire una conferenza sulle “Quat-tro Giornate”; ma trova la sala vuota, con la sola
presenza di un anziano che si rivela essere un te-
stimone, Mario Barzini, poiché la conferenza era stata annullata. In considerazione della pioggia
battente la giovane si intrattiene con l’anziano si-
gnore al bar vicino, succo di frutta per lei, caffè per lui. Nel felice incontro l’anziano accenna ai
bombardamenti indiscriminati da parte dei nemici
anglo-americani; la popolazione nel periodo belli-co (1941-1944) trovava scampo negli antichi sot-
terranei. La situazione si acuisce con l’armistizio dell’ 8 settembre 1943, poiché i tedeschi, con a
capo il colonnello Scholl, sentitisi traditi dagli ita-
liani, sferrano duri colpi di stampo terroristico. Quando la pioggia diminuisce Lidia s’affretta a
salutare l’ uomo, quando questi le affida il proprio
diario di quei lontani giorni. Lidia rientrata a casa viene accolta dalla gattina
Giada che a sua volta s’aspetta le coccole. Viveva
da sola dopo l’esperienza di una convivenza con Claudio, ormai si era abituata alla sua autonomia, in
una sua casa piena di colori a riflettere il suo carat-
tere, ma andava a casa dei genitori una volta a set-timana. Ansiosa di leggere il diario dell’anziano
Mario che all’epoca del 43 aveva 26 anni. Inizia
dalla data di nascita 20 marzo 1917, gli studi di in-gegneria, le manifestazioni pre-militari del sabato
nello stadio del Vomero che per l’occasione era sta-
to denominato Campo Littorio, a seguito di un suo
articolo scritto contro Hitler fu espulso dall’Albo
finendo in galera ed inseguito con l’obbligo di non
circolare per le strade durante le cerimonie fasciste. Ciò gli rese difficile la vita, tuttavia riusciva a so-
pravvivere grazie a lavori precari e all’aiuto dei
suoi genitori benestanti. Il racconto mette in evi-denza la strategia adottata dagli americani, pur di
avere la meglio sui tedeschi “non esitavano a esa-
cerbarci sottoponendoci a bombardamenti a tappe-to”. Terribile è stato lo scoppio di una imbarcazione
contenente “nella stiva mille tonnellate di benzina,
mille di esplosivo e portava a bordo diversi carri armati provvisti di armi.” Che ha provocato 900
morti e innumerevoli feriti. Una sera un ex collega
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.53
universitario lo porta in un locale per svagarsi. “Dal
grammofono si diffondevano le note di ‘Ma l’ amo-
re no’…” intanto aveva notato una bella ragazza che cantava in tedesco, lui le si avvicina, ben presto
ne viene attratto e ricambiato.
Marilù, questo è il nome della ragazza, dice di es-sere “prossima alla laurea in scienze naturali e che
suo padre, vedovo, viveva a Roma per impegni di
lavoro”. Fra i due nasce un tenero amore ed una passione avvolgente, entrambi mostrano di non po-
tere fare a meno l’uno dell’altra. A teatro si esibi-
vano artisti illustri come Emma Grammatica, Maria Melato e Wanda Osiris che però aveva dovuto o-
mettere la esse finale per volere del Regime. Alleg-
geriva la tensione della guerra. Aldo De Gioia e Anna Aita, continuano attraver-
so Lidia. La proclamazione dell’armistizio induce i
tedeschi a commettere angherie sulla popolazione già sofferente; la miccia scatenante ha avuto come
detonatore l’assalto a due camion di farina da parte
dei germani; confiscano rifornimenti alimentari, ma nel caso specifico della farina, ciò aveva lo scopo
evidente della provocazione. Al che, qualche giorno dopo i napoletani si prendono la rivalsa uccidendo
quattro soldati. Emblematico è l’episodio di un gio-
vane marinaio che, spaventato, attira l’ira dei tede-schi, i quali lo uccidono costringendo gli astanti ad
applaudire; un interprete fascista, per evitare il peg-
gio, invita ad assecondare l’applauso: “Parla per il loro bene, per evitare una stage.”, è l’annotazione
riportata sul diario. Avvengono saccheggi di ogni
sorta e distruzione di intere biblioteche della Uni-versità date alle fiamme e impedendo ai vigili del
fuoco di intervenire; distruzione di casse di antiche
pergamene. L’uccisione anche di 14 carabinieri di-sarmati. La voce narrante interrompe la lettura tur-
bata per la gratuità di quegli atti gratuiti. Del Comi-
tato di Liberazione, da poco costituito, di cui Mario faceva parte, un componente di spicco era l’ avvo-
cato antifascista Vincenzo Ingangi.
La popolazione insorge, donne e bambini si mo-
bilitano con pari eroismo degli uomini, fronteg-
giando i tedeschi che avevano rastrellato molti uo-
mini e ragazzi fatti salire su un camion, il tumulto costringe la truppa tedesca a desistere . le quattro
giornate sono le ultime del mese di settembre 1943
(dal 27 al 30). Napoli è un immenso campo di bat-taglia, morti ovunque, obitori improvvisati, ricoveri
di fortuna. Tra un’azione e l’altra l’autore del diario
trova conforto fra le braccia della sua Marilù. Un giovane ufficiale dell’esercito italiano mutilato di
un braccio, Enzo Stimolo, prende il comando in
un’azione nel Vomero. Molti sono gli atti di eroi-smo e le persone annotate, per esempio il prof Mo-
scati che all’insaputa nottetempo si curava dei feriti.
Fra quelli che hanno dato la vita ci sono il tenente
Musella, il diciassettenne Gennaro Iannuzzi. Si
segnalano la ventenne Maddalena Cerasuolo; al Vomero il prof Antonio Tarsi guida i suoi alunni.
A Poggioreale, a Capodichino, ovunque. Atti e-
roici del ragazzino di otto anni Gennarino Ca-puozzo. “Il giorno 30, alla Doganella, scendono
altri carri armati che si spingono verso Sangiu-
vanniello… Dalle finestre, le donne versano sui carri armati litri di benzina.”. Ma nelle periferie
gli scontri sono più cruenti avendo, i tedeschi,
mano libera: nondimeno il colonnello germanico Scholl, vistosi assediato, “in cambio di 47 ostaggi
si prepara a fuggire con i suoi soldati.” Uno scu-
gnizzo prima di spirare raccomanda di riferire ai suoi genitori di avere combattuto per “Napule e l’
Italia!”
Marilù è scomparsa lasciando un messaggio-confessione a Mario: era una spia tedesca che do-
veva tenerlo d’occhio, ma che lo amava; adesso
era divisa da lui dall’odio verso i partigiani che a Roma le hanno ucciso il padre, agente del servizio
segreto. Zilda Keller, suo vero nome, lo aveva sottratto all’arresto in diverse occasioni, soprattut-
to quando c’è stato lo scoppio nel porto di Napoli
della Caterina Costa. È facile per gli americani adesso entrare; per le strade si sente parlare ame-
ricano, ma continuano le morti e i feriti a causa di
ordigni lasciati dai tedeschi apparentemente inno-cui. La fame e la disperazione portano sulle strade
molte donne, ma questo è il prezzo da pagare in
ogni guerra. I ragazzi diventano dei ‘sciuscià’, lu-strascarpe, nomi americanizzati e viceversa parole
inglesi rese in dialetto; sigarette e costumi di im-
portazione. Il Generale americano Clark, coman-dante d’armata, riceve la laurea ad honorem dal
Magnifico Rettore come simbolo di pace e di giu-
stizia. Mario annota che senza la sua Marilù non può amare altra donna.
Aldo De Gioia e Anna Aita concludono con la
narratrice che riceve una lettera dall’anziano Ma-
rio, con la quale egli la invita con una certa ur-
genza a recarsi da lui perché vuole togliersi un pe-
so confessandole la verità su quello scoppio; ma era stata assente per alcuni giorni e quando si av-
via per l’ incontro, per strada trova il carro fune-
bre all’indirizzo del quale dirige un segno di croce inconsapevole che sta salutando l’anziano amico,
che non le ha potuto rivelare il suo segreto. Si
conclude così lasciando un vuoto; ma quello che importa sono i protagonisti che ebbero la meglio
ne La lunga notte scrivendo per i posteri le Quat-
tro giornate, di cui possono andare orgogliosi i napoletani. Una storia che è giusto ricordare.
Tito Cauchi
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.54
ALDO DE GIOIA
SOGNI LONTANI RCE Multimedia, Napoli 2013, Pagg. 124, € 12,00
La quarta di copertina del libro Sogni lontani,
contiene una foto tessera in bianco e nero del suo autore, Aldo De Gioia, d’altri tempi, e scarne noti-
zie che ci restituiscono il poeta e giornalista, che fra
i tanti meriti “è stato nominato cittadino onorario di Atella (NA), Benemerito dell’Università degli Studi
di Salerno, Grande ufficiale della Repubblica Ita-
liana.” Non abbiamo notizie biografiche, ma egli si connota attraverso alcuni componimenti che si rife-
riscono a Napoli.
La raccolta si presenta in tre sezioni: la prima molto corposa, seguita da Intermezzo Napolitano e
conclusa con Sensazioni a Sorrento. La voce di Al-
do De Gioia è elegiaca e piana, fa capolino nei ri-cordi e si rivolge ad una interlocutrice silenziosa,
anzi assente, che assume diverse identità; in secon-
da persona: ora al singolare, ora al plurale alla ma-niera francese. In apertura evoca la Musa: “ti cer-
cai./ Come una dea/ ti accolsi nell’animo,/[ …]/ Al tuo passare/ ritrovo tutti i fiori/ che non colsi./[ …]/
Nel mistico splendore/ del tuo volto,/ l’anima mia
s’incanta”. Canta la bellezza della donna, dagli oc-chi luminosi come le stelle; si amarono a vent’anni,
ma fu breve l’incontro e senza storia. La tenerezza
si estende verso le piccole creature- Rimane l’ ane-lito e nulla di più.
Il Poeta torna indietro, ai sogni lontani, quando la
natura intorno sussurrava in coro un canto d’amore e le sue muse erano belle donne; così “Floriana il
vostro nome,/ mi rubaste il cuore./ Bella signora/ di
quel tempo andato,/ dov’è finito/ il nostro grande amore?” (pag. 21), al tempo della ‘Belle Epoque’
con lo sfondo incantevole di Sorrento. Un tempo
andato che torna struggente, in un continuo alter-narsi di gioia e dolore, dai contorni sfumati o logo-
ri. Il pensiero del sorriso di lei lo fa stare bene. Ne
invoca il nome: “Armida, fanciulla del mistero,/ mi
è giunta/ la tua lettera d’amore/ che avevi scritto/
prima di morire…” (34, puntini nel testo). La soffe-
renza non viene sbandierata. Ma la vita si presenta come un palcoscenico ove
le persone si comportano come attori, con tante par-
ti, in mezzo alla gente; il sipario si abbassa e nessu-no conosce la vera storia. Rubiamo i sogni a noi
stessi e ci rifugiamo in un dualismo che ci fa ora at-
tori, ora spettatori. Nella realtà quotidiana emergono prepotenti la cronaca dei naufraghi, il balletto delle
responsabilità e la cattiva politica; nauseato e deluso
trova serenità nel volto della “signorinella bruna” che si identifica con la poesia. Il fantasma della morte gli
ricorda la destinazione di Dachau: “Fabiana, bella
biondina, candida e innocente,/ perdesti i tuoi
vent’anni senza sole,/in quella primavera senza fio-
ri.” (62). Un pensiero va ai “Cavalleggeri d’ Ales-sandria, Eroici Combattenti della Cavalleria Italiana”,
ai caduti della Prima Guerra Mondiale, ricordati nel
sacrario di Redipuglia, nel Friuli. Sono sempre più sogni lontani, che vagano nel liberty della Belle
Epoque nelle visioni di contatti appassionati; l’ a-
nima di Lavinia lo tormenta ancora. Ritroviamo un ventenne emigrato, sognante e affascinato dalla bel-
lezza francese: il Café chantant, il Varietà, il Mulen
Rouge e le Follie Berger. Il Nostro vede nel cielo di Napoli pagine di poe-
sia, e nelle sue pietre squarci di storia come per le
famose ‘Quattro jurnate’ in cui gli scugnizzi, sotto i cannoni e le mitragliatrici, esalavano con l’ultimo
respiro la volontà: “Primma ’e murì te chiamma-
no:/ ‘Napule!’. E l’urdemo risciato/ s’astregne ‘ncopp’ ’o core!” Ricorda la bella bruna Marimba
che l’aveva tradito. E istantanee di vita quotidiana,
in cui il Nostro, immaginando di rivolgersi alla si-gnora dirimpettaia di balcone, dice: “So’ pensiona-
to, so’ stato professore,/ ho lavorato a scuola qua-rant’anni,/ ho scritto sempre nella vita mia:/ com-
ponimenti e fatti della storia/ articoli di fondo e po-
esie.” (103). In chiusura ex allievi, oggi tutti o in parte anche loro pensionati, gli dedicano componi-
menti: uno lungo di Gianni Maiello, che lo chiama
“Te voglio dì:/ ca ’a vera voce ’e Napule, si’ Tu!”, uno breve dei fratelli Franco e Alberto Merenda e
un caro ricordo di Maria Sapio.
Aldo De Gioia si presenta con alcune espressioni oniriche, con traslazioni e metafore del tempo lon-
tano, appunto, o senza tempo, con episodi giovanili
che emergono spontanei o richiamati, un po’ per il desiderio di riappropriarsi del tempo perduto, un
po’per rivedersi; nostalgia che tradisce l’età rag-
giunta. Perciò conclude con “Rantoli d’amore/ di-sperdevano il silenzio./ Notti lontane/ vissute insie-
me/ sulle morbide coltri/ all’ombra dei tuoi baci.”
Tito Cauchi
GIUSEPPE DE MARCO
QUI LA META È PARTIRE
Scritture di viaggio e sguardi di lontano nel No-
vecento italiano
Marisilio,Venezia 2010, pp155
Il compianto Giuseppe De Marco ci ha lasciato vari libri che attengono a vari temi e autori della let-
teratura italiana generale e moderna e contempora-
nea, tra di essi ricordo solamente: Caproni poeta dell'antagonismo e altre occasioni novecentesche
(Il Melangolo 2004); Le icone della lontananza.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.55
Carte di esilio e viaggi di carta ( Salerno Editrice
2009); Il sorriso di Palinuro. Il visibile parlare
nell' invisibile viaggiare di Ungaretti (Studium 2010).
Questo libro che qui esamino è chiaro e mostra
come l'interprete sa leggere nei testi, saputi ben in-dagare nei loro contenuti, stile. Ci troviamo davanti
a un libro compatto, unitario. Ciò che ancora si
ammira è la fluidità del linguaggio critico e il modo preciso e convincente che lo studioso usa nel mette-
re a fuoco temi, stile, significati delle opere dei poe-
ti e scrittori trattati nel volume. De Marco si sceglie quei testi di Ungaretti (prose di viaggio), di Piovene
poco osservati dalla critica, oppure focalizza la sua
attenzione su altri testi importanti di Gadda e di E-lio Vittorini (Le città del mondo, opera incompiuta
dello scrittore siciliano). L'analisi è stringente e per-
tinente, e chiarisce la poetica, i punti chiave, i moti-vi ricorrenti, lo stile del poeta Ungaretti e degli altri
autori, sopra richiamati.
Il titolo del libro è emblematico come pure il sot-totitolo: il primo è un verso, quello della poesia
Lucca di Ungaretti che appartiene alla silloge poeti-ca Allegria di naufragi. Nel libro si insiste giusta-
mente sulle scritture di viaggio degli autori prima
richiamati e non si parla di letteratura di viaggio come genere, e lo studioso fa bene in quanto lo stile
del viaggio è vario, instabile, correlato all'io poetico
(nel caso di Ungaretti), a quello del narratore, dello scrittore, ai fantasmi della sua mente (sempre Un-
garetti) ,alla sua cultura e sensibilità . A voler guar-
dare bene i protagonisti del libro sono lo sguardo, gli sguardi di lontano, e l'interprete sa descrivere e
analizzare lo sguardo di questi scrittori .Le loro o-
pere non sono per nulla guide turistiche e non han-no nulla di folcloristico. Il libro è aperto da una ci-
tazione di Mario Soldati: "Un luogo lontano (...)
non è illusione inutile; ma distanza colmabile, fa-scino immediato. Possiamo infatti metterci in viag-
gio. Ma mentre la meta si avvicina e diventa reale,
il luogo di partenza si allontana e sostituisce la meta
nell'irrealtà dei ricordi; guadagniamo una, e per-
diamo l'altro. La lontananza è in noi, vera condizio-
ne umana": queste parole di Soldati mi richiamano alla mente Le città del mondo di Vittorini. Alla fine
del volume troviamo un'altra significativa citazione
di Carlo Levi che riguarda lo sguardo,gli occhi. Ec-cola: "Gli occhi, guardano. Lo sguardo pesa sulle
cose, le tocca, le modifica, le assimila, le forma, le
trasforma in parole, in immagini parlanti ed espres-sive, le distingue da sé e le fa vere: si rispecchia in
esse e vi si ritrova, stabilisce la doppia eterna realtà
della vita". Giuseppe De Marco analizza minuta-mente il viaggio e le sue varie dinamiche e come
poi è diventato scrittore. Si sa che nel novecento il
viaggio ha un ruolo importante e assume varie
connotazioni. Comunque il critico in modo perfetto
individua le coordinate utili per orientarsi su alcune specifiche rotte della "geografia letteraria" che è
cosi scandita: La rosa di Pesto, Il viaggetto in Etru-
ria di Ungaretti; Le meraviglie di Carlo Emilio Gadda, Il viaggio in Italia di Piovene, Le città del
mondo di Vittorini, e in questi testi il viaggio ora
si configura come esperienza conoscitiva o come nomadismo senza meta o ancora come fuga (l'o-
pera di Vittorini). Inoltre sono esaminate molto
bene alcune figure nelle quali la lontananza si tra-sfonde e si modella, tramutandosi in ritmo e tra-
sporto, in calore e in colori, in lingua e in ponde-
razione. Questi viaggiatori scrittori e poeti dise-gnano paesaggi, profili e figure capaci di creare
intorno al luogo percorso misure dotate di vasto e
profondo respiro immaginario e poetico: quindi lo sguardo, l'immaginazione hanno una funzione
fondamentale nell'ambito della lontananza. La pa-
rola ha un potere evocativo indispensabile soprat-tutto quando chi ha percepito con gli occhi si ri-
volge a coloro che non hanno visto: è questo, per ricorrere a un latinismo appropriato, il mirabile e
nel mirabile c'è la visione, il vedere ma pure l'al-
tra connotazione di senso, legata allo stupore, alla meraviglia (in italiano meraviglioso è il plurale la-
tino di "mirabilia".
Il volume presenta saggi che attengono a Unga-retti, al suo viaggio nel Cilento, e poi il suo vi-
aggio in Etruria. Seguono poi le pagine attinenti a
Gadda alle sue "Meraviglie d'Italia". Qui il viag-gio si configura come gnosologia. Allo scrittore
milanese segue quello vicentino: Guido Piovene e
in queste pagine De Marco analizza molto bene l'arte di viaggiare di questo scrittore attraverso l'I-
talia. Come pure viene indagata la genesi dell'ope-
ra "Viaggio in Italia", la concezione del "viaggia-re", l'occhio metaforico del viaggiatore-scrittore-
visitatore; e infine sono esaminate le "bipolarità
pioveniane" e poi seguono le pagine che attengo-
no alle campionature e alla struttura dell'ope-
ra. Ma ancora De Marco di questo scrittore esa-
mina La Campania appunto nella sue pagine e qui si parla di "Religio dello sguardo"; poi di Elio
Vittorini viene presentata e esaminata la più volte
citata opera Le città del mondo e in queste pagine Giuseppe De Marco esamina il viaggio e la scrit-
tura dello sguardo come pure ancora viene esa-
minata la versione scenica di quest'opera di Vitto-rini.
Giuseppe De Marco ci ha lasciato dei libri fon-
damentali e chiari, utili agli studenti e anche agli studiosi.
Carmine Chiodo
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.56
LUIGI DE ROSA
FUGA DEL TEMPO
Genesi Editrice, 2013
La vita che passa, che ci scappa dalle mani; il
mondo che, mentre siamo intenti a vivere noi stessi nel nostro piccolo, continua a girare vorticosamen-
te. Luigi De Rosa, con questa sua pubblicazione in-
titolata “Fuga del tempo” prova, con i suoi versi, a fermarlo il tempo. E come, vi chiederete? Metten-
dolo in poesia, cercando di fissare prima i suoi ri-
cordi, le sue sensazioni, la sua “piccola” vita di sof-ferenze e poche gioie, poi, nella seconda parte, al-
largando il suo orizzonte su ciò che ci accade intor-
no, alle brutture del mondo a cui non possiamo ri-manere indifferenti.
La sua prima poesia è quasi un ammonimento
verso se stesso e l’umanità. “Verso la foce” equiva-le a scrivere verso la morte, ovvero nel momento in
cui dopo il lungo (o corto) percorso della vita (at-
traverso il fiume della vita con i suoi alti e bassi) tutti siamo destinati a sfociare a mare “…senza più
limite…di un orizzonte”. L’apertura, quindi, la dice lunga su quello che se-
guirà: “Lo scrigno dei ricordi”, ovvero il piccolo te-
soro di esperienze che ognuno di noi ha e che non deve trascurare se vuole lasciare qualcosa di buono
alle giovani generazioni. La capacità che ha l’uomo
di vivere in sintonia con la Natura (anche se a volte cerca di prevaricarla con il cemento, ma poi la Na-
tura si vendica con alluvioni e devastazioni) è l’ al-
tro messaggio che ognuno di noi dovrebbe tenere a mente per evitare “che questa si trasformi subito in
cenere”.
Quella di De Rosa è una poesia ricca di armonia, sole, natura e nostalgia. Canta l’amore per i viaggi,
per la libertà, per la giustizia e nello stesso tempo,
come poeta si sente inadeguato. Anzi, quasi in col-pa perché secondo lui non riesce a descrivere pie-
namente con l’uso dei versi ciò che la vita gli pone
davanti. Una colpa che lui ad un certo punto pensa
di punire, bruciando i suoi libri. Però, si rende quasi
subito conto, che la cultura non si può bruciare,
perché è l’unico mezzo che abbiamo per tramanda-re qualcosa di noi, per far si che il nostro “passag-
gio” lasci tracce di ciò che di buono abbiamo fatto.
La Poesia è utile a migliorare la condizione collet-tiva della società.
Una società che ha delle tematiche urgenti, e mai
più prorogabili, da risolvere: le grandi questioni in-ternazionali, gli immigrati clandestini che sbarcano
in condizioni disumane sulle coste, il nucleare, la
fame nel mondo e le guerre sparse. Forse De Rosa si è quasi rassegnato, ma nell’ ul-
tima poesia che dà il titolo alla raccolta, secondo
chi scrive, c’è ancora un barlume di speranza e di
voglia di continuare a poetare. Forse un giorno arri-
veranno i rimpianti, perché ci si renderà conto che la “cultura non rende felici” creando nell’animo
delle persone troppa sensibilità (mentre il mondo
mostra la sua faccia più crudele) che fa solo soffri-re. Questi rimpianti ci porteranno verso la tentazio-
ne di redigere (sempre per le future generazioni)
una mappa che mostri loro il giusto percorso vitale, ovvero senza errori, trappole e compromessi. Ma
De Rosa capisce che la mappa sarebbe inutile, per-
ché è nella naturale predisposizione dell’uomo vi-vere la vita, amarla con tutto ciò che di bello e di
stonato essa ci offre.
Roberta Colazingari
NAZARIO PARDINI
I SIMBOLI DEL MITO
Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013
Va oltre i simboli del mito, la piccola raccolta di
impianto classico pubblicata su Il Croco di ottobre 2013. Nazario Pardini, non è nuovo a questo amore
per il mitologico, ma in questi versi che hanno vinto
il 1° Premio Città di Pomezia 2013, c’è molto di più. Egli non solo ricorda figure mitologiche come ad
esempio Bacco, Elettra, Giove e tanti altri, Pardini
inserisce nei suoi versi anche tanta natura quasi a creare un legame con l’attualità che ci circonda.
Tra le foglie, il cielo rosso, le cicale, i rospi, le li-
bellule, lo scorrere dei fiumi etc… si legge l’ in-treccio del mito con la nostra vita attuale.
Non si accontenta, però, di riportarci da Saffo, da
Dionisio e altri intrecciandoli con il mondo d’oggi; egli si sofferma anche sulla storia: quella di Gio-
vanna D’Arco, quella di Ulisse, Penelope e Tele-
maco. Addirittura omaggia Foscolo e i suoi “Sepolcri”
in “Oltre quel muro” descrivendo tigli, cipressi,
marmi freddi e odore di cera che fanno parte di quel
“…puro regno…dei nostri cimiteri”.
Alla fine chiude con tre liriche significative. La
prima “Meridione” un omaggio al sud, ai poeti del-la Scuola Siciliana, a Lentini, al sommo Dante e al
Salento. La seconda “Al lauro”, ovvero l’alloro che
cingeva le teste dei grandi poeti; la terza “L’ultimo dono” vede protagonisti Orfeo ed Euridice nella
famosa scena dell’Ade con il mistero della morte,
dove “un sorriso di pianto è l’ultimo dono che mi resta…”.
Guardando al passato e omaggiando il mito non
fa altro che parlare di noi, dei nostri giorni, scanda-gliando momenti bui, solari, arcani, tranquilli.
Roberta Colazingari
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.57
LIANA DE LUCA
UBALDO RIVA,
alpino poeta avvocato”
Genesi Editrice, 2013 - Pagg. 160, € 16,00
Ubaldo Riva volle dettare la propria lapide fune-raria : Alpino – poeta - avvocato. Perché egli stes-
so, di nascita bresciano (Artogne, Valcamonica, 3
gennaio 1888) ma cresciuto e vissuto a Bergamo, si sentiva innanzitutto un alpino, uno “scarpone”, in-
namorato della montagna e del Corpo che affonda
le proprie origini nei Cacciatori delle Alpi di Gari-baldi. Poi, in secondo luogo, si sentiva un poeta ( e
che poeta!), uno scrittore con i suoi libri originali,
profondi senza volerlo dare a vedere... Infine, visto che, di regola, carmina non dant panem, ecco l'av-
vocato con le sue comparse, memorie, arringhe. E
che avvocato! Di fine cervello ma anche di cuore generoso verso i suoi assistiti in precarie condizioni
economiche.
Morì il 5 gennaio 1963, quindi nel gennaio 2013 si è compiuto un cinquantennio dalla sua scompar-
sa, ricordata anche con questo libro. Liana De Luca, poetessa e saggista di riconosciu-
to valore, è una scrittrice di razza dalla tecnica con-
solidata. Ha studiato e capito il suo personaggio, lo ha amato, come ha capito e amato Bergamo, la città
nella quale ha insegnato e scritto per anni. Non è
bergamasca. La sua origine, come ama dire lei stes-sa, è “illirico-partenopea”, ma con la sua intelli-
genza e generosità di cuore e di mente si è affezio-
nata ai tradizionali valori, sani e schietti, di Berga-mo, l'ha studiata e rappresentata come se fosse la
sua terra. Ha fondato e presieduto il Cenacolo Oro-
bico di Poesia ( ne è ancora Presidente Onorario, pur abitando e lavorando a Torino).
E l'ambiente culturale bergamasco che conta si è
ricordata e si ricorda sempre di lei. Nessuno avreb-be potuto rappresentare meglio di lei, nella sua es-
senza di uomo e di scrittore, quell'Ubaldo Riva che
proviene da una famiglia ricca di artisti, musicisti,
uomini e donne di cultura e profonda umanità ( In
una poesia, Ubaldo ricorda con affetto suo nonno
che suona il violino : Il leggero esile strumento
così elegante, che rammenta
il galante Settecento, appoggia sotto il mento
che non è più saldo come fu.
Ma l'occhio è umido ed estatico l'occhio azzurrino dietro gli occhiali
mentre rosignoleggi sul violino
tra il pianto e il riso “Tu che a Dio spiegasti l'ali”
del tuo divino Donizetti...”)
Il libro si è avvalso del patrocinio di dodici fra
Enti, Associazioni e organismi pubblici e privati :
Comune di Bergamo (Assessorato alla Cultura e Spettacolo) – Provincia di Bergamo – Ordine
degli Avvocati di Bergamo – Ateneo di Scienze
Lettere ed Arti di Bergamo – Associazione Cul-turale onlus Elogio della Poesia, Torino – Circolo
Artistico Bergamasco – Cenacolo Orobico di Poe-
sia – G.I.S.M. Gruppo Italiano Scrittori di Monta-gna - ANA, Associazione Nazionale Alpini, Se-
zione di Bergamo – Ducato di Piazza Pontida –
Banca Popolare di Bergamo – Credito Bergama-sco.
Lo stesso è strutturato in tre parti : L'alpino, Il
poeta ( e lo scrittore), L'avvocato. Seguono un e-lenco delle opere edite ed un Indice iconografico.
Benché riformato, Riva volle partecipare come
volontario alla Guerra 1915-18. Prima del servizio militare andava in montagna –
ci ricorda la De Luca, riprendendolo da Gli alpini
son fatti così – in vestito e scarpe da città ( come avrebbe fatto in seguito Dino Buzzati...). Ma egli
andò a guerreggiare in montagna proprio come al-pino. E diventò uno “Scarpone”...
Per far comprendere meglio l'atmosfera del rac-
conto, bisogna lasciare la parola all'Autrice, se-condo la quale fu consistente il di lui apporto let-
terario alla guerra stessa : “...Scarponate fu un li-
bro fortunato che entrò nella triade del Proto-premio Bagutta assieme a Scarpe al sole di Paolo
Monelli. La prosa caratteristica...di Riva...così
scattante e arguta, trova in questo volume una delle migliori espressioni. Riva non traccia il di-
panarsi degli eventi bellici, ma si limita a raccon-
tare episodi da lui vissuti, a rievocare compagni noti e meno noti, a descrivere i luoghi nei quali
combatté. Tutta una prospettiva particolare, un
modo personale di rivivere i giorni della guerra ne traspare. Le pagine alternano le lunghe penose
attese fra le nevi a due tremila metri con gli scon-
tri gloriosi o no...”
Scriveva tra l'altro Riva : “ Un telo da tenda o
un cappotto erano il primo ricovero dal gelo dei
30 sotto zero : e resistere lassù, invetriati dall'al-gore, nel deserto senza limiti, squassati come fu-
scelli dalle tormente rabbiose, esposti alle valan-
ghe, voleva dire – anche durante la tregua della fucileria e della cannonata – avere cuore di bron-
zo come i battagli delle campane...”
E per dare un assaggio della capacità di scrittore dell'alpino Ubaldo Riva, basta riportare questa sua
descrizione paesaggistica : “ Io amo di più il ro-
mantico pittoresco, l'orgia coloristica delle Do-lomiti. Ivi alla adamantinità delle nevi e dei
ghiacciai ( dai quali il sole trae fontane di luce ed
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.58
arcobaleni) si associa la lussuria esasperata di
guglie dai toni di perla di opale di rubino di topa-
zio di alabastro. Le colorazioni trionfali dell'au-rora i cromatismi vendemmiali i neroniani incen-
di del tramonto, sono spettacoli e miracoli da
strappare urli di ammirazione : perfino in trincea, perfino in azione”.
L'originalità del libro “ Scarponate”, come giu-
stamente rileva la De Luca, consiste nel fatto che non si tratta solo di un diario di guerra di un al-
pino della Prima Guerra Mondiale, ma un diario
alla Riva, dove le grandi vicende del conflitto fanno da sfondo al curriculum personale. La
stringatezza del racconto mette anche meglio in
risalto la ricchezza del sentire : “ Il cammino era duro : con quel macigno sulle spalle ( zàino) 55
minuti di marcia : fatica, affanno, polvere, sudore,
aspettare l'alt di cinque minuti per non scoppiare, come la goccia l'assetato. Ma il contatto diretto
con la natura, il sempre nuovo ammaliava. Lo
sforzo fisico l'essere un minuscolo ingranaggio in una grande macchina verso una grande meta, l'es-
sere in pace con se stesso, il non avere pensieri preoccupazioni responsabilità, essere spiritual-
mente liberi puri buoni, non avere torture intellet-
tualistiche, che beatitudine.” Il resto del libro ( che non possiamo riassumere
in una semplice recensione, anche perché il fasci-
no insolito che promana dallo stesso esige che venga letto, non raccontato) è dedicato a Ubaldo
Riva poeta, avvocato, saggista, uomo pubblico,
uomo di ideali. Uno dei meriti di Liana De Luca è quello di
consentire al lettore di entrare non solo nell'ani-
ma di un grande Italiano, il protagonista, ma an-che di una parte importante dell'Italia in una de-
terminata epoca, per molti versi migliore di quel-
la attuale. E non solo con le proprie raffinate doti di scrittrice, ma anche con la sagacia nello sce-
gliere i testi letterari più significativi dello stesso
Ubaldo Riva poeta, scrittore, uomo di cultura.
Sono molte le poesie belle e riuscite, fra tutte
quelle contenute nelle raccolte Passatismi, Bam-
binate, Quasi quasi una fantasia. Si noti : “Passa-tismi”. E cioè l'opposto di Futurismi. A Marinetti
che con grazia e calore gli chiedeva di entrare nel
Movimento Futurista, Ubaldo Riva rispondeva che preferiva restare libero, restare se stesso :
“...Cosa vuoi ? Se io mi sento – in un certo attimo
fuggente – filomacchinista ( ! ) ebbene sarò tale ! Ma se in altro...tempuscolo mi sento crepuscolare
elegiaco sentimentale io non posso e non voglio
sbattezzarmi di me stesso. Prima e soprattutto li-bero io sono”.
Luigi De Rosa
NAZARIO PARDINI
I SIMBOLI DEL MITO
(1° premio città di Pomezia, 2013) Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013
L’autore della silloge che ha ottenuto il primo premio al concorso “Città di Pomezia 2013”, è
Nazario Pardini, un intellettuale noto nell’agone let-
terario. E’ inserito in antologie e dizionari di autori contemporanei: critico, prefatore, animatore del
blog “ Alla volta di Leucade”. Ha vinto importanti
premi letterari. La prefazione di Ninnj Di Stefano Busà e la post-
fazione di Domenico Defelice guidano il lettore alla
fruizione di questi originali testi che prendono spunto dal mito, ma .al tempo stesso, se ne disco-
stano per le riflessioni riguardanti l’attualità.
Molte le figure ispiratrici: Ifigenia, sacrificata “per propiziare l’armata degli Achei”,diviene il
simbolo di una religione illogica e fanatica; Semele
(la madre di Bacco) è incenerita per l’ingannevole amore di Giove (“eterno èl’amore/quando non
scherno”); Saffo ed Edipo che hanno sofferto dolo-ri”gradi, smisurati/che la storia ripete”; Ulisse a cui
l’autore chiede se scoprì “le soglie del vero”. Oltre
agli dei, statue “bianche di gesso/logore di tempo”, Pardini rievoca anche una figura più moderna come
Giovanna D’Arco. L’autore è attratto da atmosfere
vibranti come quella che si respira in un cimitero di notte (nella poesia “Oltre quel muro” dagli echi fo-
scoliani), o quella assolata della classicità, ove “un
flauto arieggia note/o arie da una lira/o forse la mano di un pastore/che intaglia tocchi /sopra il suo
bastone”.
Chi legge questi versi si sente avvolto da una sor-ta di magia che l’armonia del dettato sapientemente
crea.
Elisabetta Di Iaconi
NAZARIO PARDINI
I SIMBOLI DEL MITO
Il Croco – I Quaderni di Pomezia-Notizie - 2013
La silloge che ha vinto quest’anno il Premio Città
di Pomezia si distingue per originalità di scrittura e
di contenuto. Nazario Pardini con I simboli del mito ci fa entrare in un’atmosfera “altra”, nella quale ri-
vivono figure mitologiche e storiche in un intreccio
continuo con la realtà odierna quale simbolo appun-to della continuità del tempo.
Si coglie subito lo spessore poetico/linguistico,
nonché dotto, di questo importante poeta. Le liriche hanno un sapore classico e i versi si dipanano flui-
damente creando una perfetta musicalità. La voce
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.59
però è moderna e i temi trattati rispecchiano pro-
blematiche attuali che si concatenano con i perso-
naggi “simbolo” del passato; quella mitologia che tanto ci ha coinvolto aprendoci a un mondo diverso.
In questo modo viene a crearsi una particolare
suggestione e il dettato, pur affrontando problema-tiche universali in modo intenso, non assume mai
un tono sapienziale o pesante; al contrario, cattura
l’attenzione. La natura accompagna le vicende e Pardini ci do-
na delle immagini superbe: “Sui greti del mio fiume
/ segreti si nascondono i messaggi; / si levano / ai raggi della sera, / poi volano alle golene, / alle
schiene degli argini / e vanno dove le acque / gor-
gogliano alle secche.”, e ancora “Dall’alto del bal-cone / dei templi sui salmastri, / su mura di castelli
/ sguarnite di ricami / vola un falcone / sui rami
imbiondati di ginestre / tra spine di fichi / ed il sa-por di zagare e limoni”.
Molto particolare anche il suo approccio con i de-
funti. Pardini li fa rivivere alla notte in modo da in-crociare la vita con la morte, e il regno dei morti di-
viene un luogo beato, dove si può trovare la gioia: “… ecco mio padre con mia madre / ed ecco mio
fratello / che sorridente / per l’agognato arrivo /
vola di gioia.”. Ci sarebbero svariati punti da approfondire, ma ci
vorrebbe più spazio. Ninnj Di Stefano Busà ha ben
colto l’animo del poeta e l’intento di questa raccolta nella sua dettagliata prefazione, lo stesso ha fatto
Defelice nella postfazione, e chi avrà modo di leg-
gere I simboli del mito sarà d’accordo senza dubbio che Pardini abbia meritato questo Premio.
Laura Pierdicchi
LUIGI DE ROSA
FUGA DEL TEMPO Genesi Editrice, Torino, novembre 2013 ( prefazio-
ne di Sandro Gros Pietro).
Carissimo Luigi,
nella tua poesia, contenuta nella raccolta “ Fuga del
tempo” … ho incontrato la sottile sofferenza del tuo nobile animo e ho visto sull'albero della vita i fiori
secchi e anche quelli vivi nella magia dei colori. Ho
visto l'uomo ferito dalle ingiustizie vacillare, ma subito raddrizzarsi sotto le invisibili spinte della
speranza.
Ho visto sbocciare la rosa rossa nel fuoco di luglio, che pensa di rivivere domani nello sboccio di altre
rose.
La tua poesia mi dice che ai morti bisogna parlare, e che il tempo siamo noi che, senza saperlo, cam-
miniamo nell'eternità.
Auguri. Un abbraccio fraterno da
Gianni Rescigno
Santa Maria di Castellabate, Salerno, 5 dic. 2013
FUGA DEL TEMPO
E può arrivare il giorno del rimpianto
per frammenti di vita autentica perduti a miliardi
in illusioni inconsistenti. Chi ci restituisce i nostri anni migliori,
e i diamanti, e le perle che abbiamo gettato
nel vortice banale del giorno dopo giorno ? La cultura non rende felici,
la sensibilità fa soffrire.
Forse il bulbo della nostra vita è rimasto lo stesso, ma i delicati fiori, seccati
sui gambi, sono innumerevoli.
Potremmo disegnare un'intera mappa degli errori da evitare
per non svenarsi in cento melodie,
per non regalarsi in cambio di un avaro, freddo sorriso.
Ma questa mappa sarebbe sempre inutile perché continueremmo ad amare la vita
per continuare a viverla.
Luigi De Rosa
( Rapallo, Genova )
( dal volume omonimo, Gènesi 2013, Premio per
l'inedito “I Murazzi – Città di Torino 2013” )
NAZARIO PARDINI
I SIMBOLI DEL MITO
Il Croco – I Quaderni di Pomezia-Notizie - 2013
Sono molto legata all’universo greco, la cui so-
pravivenza ai nostri tempi sembra più che mai ne-
cessaria. Ecco uno dei motivi che mi ha fatto ap-prezzare il lavoro di Nazario Pardini: lavoro molto
impegnativo dove poesia, mito, storia e filosofia
s’incontrano e ritrovano la loro affascinante imme-
diatezza, ubbidendo ad un preciso filo conduttore di
forte significato simbolico.
Dalle figure mitiche, descritte con occhio moder-no e una visione che annulla i secoli, emergono ge-
sti ricondotti alla misura umana (essendo immersi
nella quotidianità) e i simboli delle nostre passioni, dei nostri desideri, di quelle forze misteriose e im-
prevedibili che guidano la nostra vita. Ora gli dei
dell’Olimpo sono rinchiusi in carceri di marmo, di bronzo e di gesso, ma le loro statue sembrano ani-
mate da una vita segreta, da una scintilla del tempo
perduto. Escono dal freddo della loro prigione come i no-
stri morti “dal marmo freddo”; come i nostri morti
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.60
“parlano di affetti e di ricordi”. E se il pensiero o la
memoria non ci abbandona, è facile incontrarli ma-
scherati da gente comune, in preda al delirio di Dioniso, all’ebbrezza di Bacco, al canto di Apollo,
alla sete insaziabile d’Ulisse, vagante nel mare a-
perto e impetuoso con “la mente rivolta a Calipso”, noi con “lo sguardo proteso ai fondali/a memoria di
quei marinai” e d’altri naufraghi a cui non fu con-
cesso approdare all’Itaca sognata o ad altri lidi.
Innocenza Scerrottà Samà
MANDELA MURIÓ... ¡VIVA MANDELA!
Africa del Sur 18 de julio, 1918 - 5 de di-
ciembre, 2013
La vida de Mandela
abarca todo amor
en que respira
el Continente Africano
y todo el mundo
que aprendió a convivir
en un arco-iris de colores
solemnemente en honor
de la humanidad sin prejuicios raciales.
Frente a Nelson Mandela
la paz ha sido y será centellante,
labrada en esencial justicia.
El hecho ha transformado
el planeta permitiendo
la luz de la razón
perfeccionar el sentimiento
y engrandecer el alma humana.
Mandela no murió: ¡sigue
sembrando esperanzas!
Teresinka Pereira USA
TRAMONTA
Tramonta
il sole e
la natura
è grigia e scura.
E’ tempo autunnale.
Gli alberi sono
incamminati
mentre le foglie
danzano
nel vento autunnale.
Loretta Bonucci
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE CORDOGLIO PER LA MORTE DI SILVANA
ANDRENACCI MALDINI - E-mail di Tito Cau-
chi del 19.11.2013: Caro Domenico, ho provato a telefonarti, senza trovarti; perciò per ogni eventuali-
tà ti comunico una triste notizia. Ieri mattina, 18
novembre, è venuta a mancare la cara amica Silva-na Andrenacci Maldini. Da qualche anno ci senti-
vamo con una certa frequenza; dopo qualche giorno
dall’ultima telefonata, avvenuta circa dieci giorni fa, già indebolita negli arti, è caduta in casa senza
riuscire ad alzarsi e a chiedere aiuto. A seguito del
suo silenzio, su segnalazione della sorella, sono in-tervenuti i vigili del fuoco; da lì a poco, è stata ri-
coverata, senza avere la forza di tenere il telefono in
mano. Qualche giorno fa l’ho chiamata al cellulare, senza fortuna, lasciandole un messaggio alla segre-
teria: chissà se qualcuno glielo abbia fatto ascoltare.
Silvana teneva molto alle recensioni; l’ultima che le ho fatto riguarda Il flauto dell’anima, che ti ho già
inviato. Spero che il flauto l’accompagni nel suo ul-
timo viaggio. Quanto è brutto vivere di rammarico: quante cose non dette e non fatte in tempo! Silvana
si aggiunge ai molti amici che ci hanno lasciati.
Questo è un monito, per sollecitarci a non rinviare le cose sine die. Ciao, a voi tutti.
Tito
Addio Silvana
Il giorno 18 novembre u.s. la nostra amica Silvana
Andrenacci Maldini ci ha lasciato. Era nata a Ro-ma il 28 novembre 1924, nel quartiere di S. Loren-
zo, per sempre rimasto suo cuore. Da moltissimi
anni era presente con i suoi saggi, le sue recensioni
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e le sue poesie (in lingua e in dialetto romanesco)
nelle pagine di “Pomezia notizie”. Frutto delle sue
ricerche letterarie fu il volume intitolato “Itinerari”; ma la sua vera passione era il dialetto di Roma,
amorevolmente approfondito presso il Centro Ro-
manesco “Trilussa” da lei frequentato per decenni insieme all’adorato marito, il genovese Ennio Mal-
dini (scomparso nel 2002) apprezzato pittore, non-
ché valido poeta nel dialetto romanesco, in cui vo-lentieri si esercitava. Silvana ha prodotto pregevoli
rielaborazioni di opere classiche in chiave dialetta-
le. Citiamo “Enea e Didone”, “La raggion de stato” (sulla leggenda del duello tra Orazi e Curiazi), “Fi-
lemone e Bauci” (un bel “Croco” del 2004) e non si
contano i premi che ha vinto dagli anni Ottanta del-lo scorso secolo. Preziose le recensioni a lei dedica-
te dal fondatore del Centro Trilussa, il grande poeta
Giorgio Roberti. Soffrì molto per la morte del suo Ennio; ma sapeva reagire facendo ricorso alla Fede,
all’impegno poetico, e collaborando a varie testate
(“Il Corriere di Roma”, “Voce Romana”, ecc.). La sottoscritta ha frequentato l’Andrenacci dagli anni
novanta in poi. Da quando le sue precarie condizio-ni di salute l’avevano costretta in casa, teneva con
me contatti telefonici pressoché quotidiani. Quella
telefonata mi manca terribilmente. Voglio salutare Silvana con una quartina scritta nel nostro amato
dialetto
Sirvà, mo come faccio quann’è sera, senza quer “bonanotte” doppo cena
che m’aguravi co amicizzia vera?
Te ne sei annata e m’ hai lassato in pena.
Elisabetta Di Iaconi
***
ANCORA SUI 40 ANNI DI POMEZIA-NOTIZIE - E-mail del 20.11.2013:
POMEZIA-NOTIZIE: UNA RIVISTA CUL-
TURALE AL SERVIZIO DELL’UOMO - Sin-ceri auguri e sentiti ringraziamenti vadano all’ otti-
mo Poeta e Direttore Domenico Defelice per aver
fatto raggiungere alla sua rivista “Pomezia- Noti-
zie”, nata nel lontano luglio del 1973, come un
mensile locale, e divenuta una vera rivista letteraria
nel 1993, l’ambito traguardo del 40° anno di vita. La rivista, che si è arricchita di anno in anno, dando
voce a tanti poeti e letterati, si è posta fin dal suo i-
nizio al di là di una chiusa casta improntata al clien-telismo e all’incentivazione di teorie intellettualoidi
dense di una obsoleta ascendenza ideologica.
La stessa rivista, tutt’oggi, respira di una ragguar-devole obiettività e di una larga libertà espressiva
riconosciuta a tutti quei poeti, letterati e saggisti che
le hanno danno la collaborazione e continuano a farlo, ampliando gli spazi di un dialogo e di un ar-
ricchimento culturale notevole.
La rivista in fondo si è sempre proposta come un
invito rivolto al lettore di amare la vitalità della po-
esia considerata come un sismografo della nostra più intima sensibilità vissuta al cospetto delle amare
contraddizioni e delle orrende brutalità del nostro
tempo. In fondo, è stata questa la fede professata dal gran-
de critico Francesco Flora per il quale la poesia “ha
sempre la fonte nel cuore dell’universo e non in un programma”. E ciò vale soprattutto anche oggi, nei
riguardi dei vari ed innumerevoli consorzi intellet-
tualoidi che la deviano e la dirottano verso delle a-berranti analisi scompositive e giochi metaforici as-
surdi ed insulsi.
Di fronte ad una società, mostrante i suoi limiti ne-gativi e le sue incongruenze profonde, la rivista,
che si avvale di molti poeti e letterati noti a livello
nazionale, offre i suoi spazi alla ricerca e all’ attiva-zione di un umanesimo inedito, coincidente con il
considerare la mente umana come un inviolabile
spazio della libertà, come culto della dignità umana e di una volontà rivolta al potere intendere meglio l’
intima interiorità e profondità spirituale del cuore dell’uomo.
Se Petrarca affermava che lo scrivere fa diventare
migliore l’uomo, nessuno può negare che l’ espres-sione poetica, comunicata ad un altro essere umano,
non dia luogo ad una elaborata e verificata intuitiva
riflessione e non diventi fonte di un arricchimento spirituale ragguardevole.
Per tali ragioni, la rivista è netta e vivida, propo-
nendosi come vitale e vitalizzante, e fra le più im-portanti e brillanti a livello nazionale per il suo
promuovere quella vera poesia che mira alla conti-
nuazione ed affermazione di quei valori spirituali che più contano per la salvaguardia delle medesima
essenza spirituale dell’anima umana.
Andrea Bonanno
***
DOMENICO ANTONIO TRIPODI INCON-
TRA DANTE - Dal 28 novembre all’11 dicembre
2013, presso Tornatora Art Gallery di Via del Sera-
fico 108 - Roma, Domenico Antonio Tripodi ha
presentato 50 opere in una eccezionale Mostra pa-trocinata da: Società Dante Alighieri - Comitato di
Roma; Società Dantesca Italiana - Firenze; Comita-
to Ravennate della Soc. Dante Alighieri - Ravenna; Società Dante Alighieri - Comitato di Conegliano;
Movimento Internazionale Neoumanista - III Mil-
lennio - Roma. Relatori sono stati: il Prof. Giuseppe A. Martino; il Prof. Luigi Tallarico; il M°. Dome-
nico A. Tripodi; l’attore Salvatore Puntillo, il quale
ha letto i versi del XXXIII Canto del Paradiso. Domenico Antonio TRIPODI nasce in terra di Ca-
labria: Sant’Eufemia d’Aspromonte, in una fami-
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glia dove la musica, la pittura e la scultura sono pa-
ne quotidiano per cui il suo giovane animo assimila
le più alte forme di espressione, retaggio di quella Magna-Grecia la cui civiltà pulsa ancora nelle vene
della sua gente. Lasciata la “bottega” del padre
Carmelo, pittore, scultore e musicista, nella quale apprende i primi rudimenti dell’arte, Tripodi, gio-
vanissimo, parte per la Toscana (Certaldo, Firernze
e Siena) e, poi, per Torino. Approda a Milano nel ’55, trova lavoro e studia pittura alla Scuola Supe-
riore d’Arte del Castello Sforzesco e in altri Istituti
d’Arte lombardi; con i maestri Archimede Alber-tazzi e Franco Milani sviluppa la decorazione anti-
ca e l’arte del restauro pittorico; Collabora ampia-
mente con Giulio Fiume e i fratelli Angelo e Mario Zapettini, quest’ultimo: cognato dello scultore Gia-
como Manzù. Tripodi opera in Piemonte e in Lom-
bardia principalmente a Corbetta e a Milano ove ri-siede per ventisette anni. Così, l’artista acquisisce
un eccezionale bagaglio di cognizioni teorico- pra-
tiche nei campi della composizione pittorica e del restauro che gli consentono di padroneggiare la
forma e le più disparate “materie” al punto da inse-rirsi presto nel campo dell’insegnamento artistico
superiore. Edotto sull’esito dei “grandi” dell’arte,
Tripodi decide di non seguire Scuole o Correnti an-che perché sente, dentro di sé, copiosi flussi entelici
che gli permettono di respirare il moderno insito nel
“creato”, di entrare in sintonia con l’universale e di enucleare lo spazio-tempo dell’eterno. Affascina
l’estrema capacità di sintesi con la quale riesce a
rappresentare anche eventi di grande coralità e
dramma come, per esempio: “La visione di Gioac-chino da Fiore”, “La morte di Ettore”. Queste pecu-
liarità e la grande comunicativa fanno di questo ar-
tista, a buon diritto, una delle voci più alte dell’arte contemporanea (Giorgio Tellan).
“Tripodi, da tempo, si cimenta con Dante. Con la
sua pittura, egli è entrato nello spirito del Poeta re-galandoci la spiritualità e la materialità della Divina
Commedia. Con Tripodi, Dante non è più un ricor-
do, ma una viva e sanguigna presenza anche nel nostro tempo. Lode quindi all’artista che è entrato
in sintonia col “cenere di Dante”, mettendo in debi-
to di gratitudine il mondo dell’arte e della cultura”. (A. Trivellini).
“Di Tripodi restano memorabili le mostre di Tokio,
di Parigi, di Atene e quella di Mosca con la Dante Alighieri, alla Biblioteca Centrale per celebrare il
740° Anniversario della nascita del sommo poeta”
(A. Trivellini). ***
MATRIMONIO - Domenica 1 dicembre, primo giorno d’estate a Melbourne con una temperatura di
33 gradi, si è unita in matrimonio Vanessa Falcone,
nipote di Giovanna Li Volti Guzzardi, con Steve Demos, ore 14 nella chiesa di St. John’s in Carlton.
Il ricevimento dalle ore 18.30 a mezzanotte, nella
villa antica Quatt Quatta Reception, Ripponlea. 150 invitati hanno applaudito gli sposi Vanessa e Steve
Demos al loro arrivo in sala,
due paggetti i primi, poi la coppia di due damigelle e cava-
lieri e infine gli sposi sorridenti
e felici. È stata servita una squisita cena
di 5 portate, oltre alle bevande
analcoliche, vino bianco e ros-so, shampaghe e Whisky. Bel-
lissimi i discorsi delle damigel-
le e cavalieri e degli sposi, pri-
ma del taglio della torta. Ballo
con tanto divertimento e tanta
gioia. A mezzanotte gli sposi hanno salutato tutti con tanto
affetto e sono andati via con
tanti auguri e allegria. Viaggio di nozze a Los Angeles, Messi-
co, Las Vegas.
Auguri agli sposi dai nonni, genitori, parenti e amici e da
tutta la Direzione e Redazione
di POMEZIA-NOTIZIE. (g.l.v.g.)
***
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RINGRAZIAMENTI - E-mail del 18/12/2013: Ca-
ro direttore,
è trascorso un anno dalla pubblicazione di “Sotto ogni cielo” Genesi editrice. Ha avuto due buoni
“padrini”; Lei come curatore e prefatore, Sandro
Gros Pietro, editore e critico letterario ,e autore del-la post –fazione.
Subito “Sotto ogni cielo” lo abbiamo visto presente
sui cataloghi della fiera nazionale del libro di Roma “Più libri più liberi” e alla fiera internazionale Lin-
gotto di Torino.
Il 15 dicembre 2012 debuttò “ufficialmente” per la prima volta all’Aula Consiliare del mio paese, alla
presenza del sindaco e di volti familiari, amici e o-
spiti, nonché dal nostro amico comune Franco Campegiani, che stilò una relazione di livello alto
come è il suo sapere di critico.
Da quel giorno si sono susseguite molte recensioni che hanno reso la mia pubblicazione degna di esse-
re Menzionata ai premi; Voci di Abano Terme VIII
ed., 54° ed. del San Domenichino,. 21° premio in-ternaz. Letterario dell’A.L.I.A.S., e Gradiva- New-
york trovandosi tra i sedici finalisti su 142 libri pre-sentati!
Con tali premi “Sotto ogni cielo” ha viaggiato sul
territorio nazionale, oltrepassando l’oceano. E’ stato presentato a Roma, alla libreria “Rinascita”
il 15 settembre 2013, con il Circolo culturale I-
PLAC (insieme per la cultura) da Maria Rizzi scrit-trice e moderatrice della serata insieme ai relatori
Antonella Pagano scrittrice e artista eclettica e A-
lessandro Da Soller musicista. Sarà presentato a Roma, al Vip Club da Fiorella
Cappelli, scrittrice e organizzatrice di numerosi
eventi. Il 14 dicembre sarà presentato a Cattolica, alla ras-
segna internazionale dell’editoria seconda edizione;
Claudio Fiorentini, scrittore e recensionista presen-terà gli autori dell’IPLAC , presidente Roberto Me-
strone, con l’associazione “Pegasus Cattolica”, pre-
sidente Roberto Sarra.
Il 1 febbraio si vedrà presentato a Napoli, dall’ as-
sociazione Habeas Corpus gemellata con l’IPLAC.
Presidente dell’associazione e moderatore della se-rata lo scrittore Umberto Schioppo e i relatori sa-
ranno Mariella De Luca e Salvatore Castiello .
“Sotto ogni cielo” è presente oniline sulla rivista letteraria “Il Convivio” con la relazione di Enza
Conti e Angelo Manitta, e sui siti “Letteratura e
dintornI”di Dianora Tinti, sull’’atlante letterario li-terary e sul sito Harbeas Corpus.
Troviamo recensioni anche sulla rivista “Vernice”
Genesi editrice, diretta da Sandro Gros-Pietro, criti-co eccellente.
Anche il professor Giorgio Barberi Squarotti mi ha
onorato di una sua nota augurale.
Mi sembra un grande onore per una pubblicazione
al suo primo esordio. E’ doveroso- un dovere che sento morale e gradi-
to!- ringraziare le firme di scrittori come Aldo
Cervo, Silvana Andreacci Maldini, Roberta Cola-zingari, Tito Cauchi, Laura Pierdicchi, Fulvio Ca-
stellani, Sandro Angelucci, Giovanni Cianchetti,
Innocenza Scerotta Samà, Elisabetta Di Iaconi, Sal-vatore D’Ambrosio, Luigi De Rosa, Giovanna Li
Volti Guzzardi, Maria Elena Di Stefano, che hanno
pubblicato sulla rivista di Pomezia –Notizie la loro recensione.
Ogni loro parola è arrivata a me come un tesoro.
Spero di cuore di non aver dimenticato nessuno di loro!
Aurora De Luca
Siamo felici del successo della nostra cara amica
Aurora. (la quale, socia dell'IPLAC, desidera far
recapitare questa nostra rivista a Maria Rizzi, di Roma, e a Umberto Schioppo, di Napoli).
Lei, pur così giovane, è molto brava anche come investigatrice di sillogi poetiche. Ecco, per esem-
pio, quanto le scrive Corrado Calabrò:
“Cara Aurora De Luca, che profondità psicologica, che sensibilità poetica
nella sua recensione!
E’ incredibile il modo di comunicare della poesia: il poeta affida il suo messaggio alle onde in una botti-
glia e non ne sa più nulla.
A distanza un intenditore lo raccoglie, lo reimmer-ge nella sua capacità percettiva e nel suo vissuto, e
lo fa suo e di tutti.
Grazie, grazie! Direi, se potessi permettermelo, non solo a nome mio, a nome della poesia.”
Corrado Calabrò
*** IL NATALE È TRASCORSO, ma questa bella pa-
gina, suggeritaci dall’amico e collaboratore Dott.
Giuseppe Leone, è sempre viva e non vogliamo far-
la mancare ai nostri lettori:
Così Rainer Maria Rilke scriveva il 23 dicembre
del 1903 al ventenne amico poeta Franz Xavier Kappus, allora Cadetto alla scuola militare e co-
stretto a trascorrere le feste natalizie lontano da ca-
sa, per motivi di servizio. Caro signor Kappus,
Il mio saluto non deve mancarvi nel periodo di Na-
tale, quando, in mezzo alle feste porterete, più du-ramente che in altro tempo, la vostra solitudine. Se
sentite che allora essa e` grande, rallegratevene. Di-
te a voi stesso: Che cosa sarebbe la solitudine, che non fosse una grande solitudine? La solitudine è
una: per la sua essenza essa è grande, e grave è il
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suo peso. Quasi tutti conoscono ore che barattereb-
bero volentieri con un’amicizia qualunque, per
quanto banale e mediocre essa fosse, contro l’ ap-parenza del minimo accordo col primo venuto, per-
fino col più indegno... Ma forse, queste ore, sono
precisamente quelle in cui la solitudine ingrandisce e la sua crescita è dolorosa come quella dei bambi-
ni, triste come il primo sentore della primavera.
Non ne siate turbato. Una cosa sola è necessaria: la solitudine. La grande solitudine interiore. Andare
con se stessi, e per delle ore, non incontrare nessu-
no; è a questo che bisogna giungere. Esser soli co-me il bambino quando le persone grandi vanno e
vengono, mescolate a cose che ad esso sembrano
grandi e importanti solo perché i grandi se ne inte-ressano e il bambino non capisce niente di ciò che
fanno...
Applicate, caro signore, i vostri pensieri al mondo che portate dentro di voi, chiamate questi pensieri
come vorrete. Ma si tratti del ricordo della vostra
infanzia o dell’appassionato bisogno del vostro per-fezionamento, concentratevi su tutto quello che
sorge in voi, fatelo passare avanti a tutto quello che osservate fuori di voi. Che cosa dunque vi impedi-
sce di proiettare la sua venuta nel divenire e di vive-
re le vostra vita come uno dei giorni dolorosi e bel-li di una sublime gravidanza? Non vedete dunque
che tutto quello che succede a voi è sempre un
principio? Non potrebbe essere il suo stesso princi-pio? C’è tanta bellezza in tutto ciò che comincia...
Festeggiate il Natale, caro signor Kappus, in questo
pio sentimento...
Rainer Maria RILKE
***
È MORTO ROCCO CAMBARERI- L’amico della nostra giovinezza, il poeta e scrittore Rocco
Cambareri non c’è più. Nato a Gerocarme (cz) il 28
febbraio 1938, è morto a Vibo Valentia il 6 novem-bre 2013, ma l’abbiamo appreso
soltanto adesso, da una lettera della
moglie Mimma. Da anni non lo
leggevamo più sulle riviste che
continuamente ci giungono. A
quanto pare, circa tre anni fa ha su-bito un incidente “quasi mortale”,
dal quale non si è più ripreso. Tra
“sofferenze incredibili”, specie ne-gli “ultimi sette mesi” - ci scrive la
moglie - e “il cuore che si andava
dilatando sempre più”, Rocco ci ha lasciato. Il nostro cuore è stracolmo
di dolore. Gli volevamo un bene
più che fraterno. Il primo nostro saggio monografico - “Un silenzio
che grida” - l’abbiamo proprio de-
dicato a lui, nel lontano 1968, segno della nostra stima. E’ nostra intenzione ricordarlo ancora sulle
pagine della nostra creatura di carta. Intanto, nel porgere le condoglianze alla moglie e a tutta la fa-
miglia, pubblichiamo, in altra parte di questo nostro
mensile, due sue belle poesie, una delle quali: “Fra qua e l’ Aldilà”, “scritta pochi giorni prima di entra-
re in rianimazione dove è stato per un mese intuba-
to”. Addio, Rocco. Non sei più tra noi, è vero, ma continui a scrivere versi tra i cori celesti, trasforma-
to “in allodola sazia/di luce e d’azzurro”. (D. Defe-
lice) Nelle immagini:
Ostia Lido, Roma, febbraio 1966: Domenico De-
felice e il poeta Rocco Cambareri sul terrazzo (La Rotonda) prospiciente il mare.
Il pittore Antonino De Pace nel suo studio, con il
poeta Rocco Cambareri, a Roma, nel dicembre 1965.
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Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI
CARMINE CHIODO - Fortunato Seminara e al-
tri scrittori e poeti calabresi del Novecento - U-niversItalia, Roma 2013 - Pagg. 480, € 18,00. Car-
mine CHIODO insegna da molto tempo come pro-
fessore aggregato Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma
“Tor Vergata”. Tra i suoi libri si ricordano: “La po-
esia bernesca del ‘700” (1987), “La satira nel Ri-sorgimento italiano. Noberto Rosa e Domenico
Carbone” (1987), “Il gioco verbale. Studi sulla ri-
meria satirico-giocosa del ‘600” (1990), “Poeti ca-labresi tra Ottocento e Novecento” (1992), “Otto-
cento minore (Pananti, Borsini, Fusinato, Baraval-
le)” (1995), “La poesia di Francesco Curto” (1998), “Da Francesco Dall’Ongaro a Fortunato Seminara.
Studi di letteratura italiana fra Otto e Novecento”
(2001), “Su alcuni poeti del Novecento. Saba, Al-varo, Montale, Quasimodo, De Michelis, Calogero”
(2012), “Letture di poeti. Vittorelli, Sestini, Gnoli e
Guerrini” (2012). Inoltre, si è occupato di vari scrit-tori e poeti a partire da Dante fino ai tempi nostri,
studiati in moltissimi saggi che hanno visto la luce
in varie riviste letterarie italiane e internazionali, in diversi atti di convegni. In collaborazione con An-
tonio Piromalli è autore della “Antologia della lette-
ratura calabrese” (2000); ha curato la ristampa de “Il vento nell’oliveto” di Fortunato Seminara, In-
troduzione e nota filologica al testo”. Collabora con
articoli e recensioni a varie riviste e giornali, tra i
quali si segnalano “Giornale Italiano di filologia” e “Critica letteraria”.
**
LUIGI DE ROSA - Fuga del tempo - Opera vinci-trice del Premio “I Murazzi” di Torino - Prefazione
di Sandro Gros-Pietro - Genesi Editrice, 2013 -
Pagg. 62, € 11,00. Luigi DE ROSA, poeta e scritto-re, saggista e recensore, di genitori partenopei ma
cresciuto in Liguria, vive a Rapallo (Genova), in
pensione dal 2001. Tra i suoi libri di poesia, “Ri-sveglio veneziano ed altri versi” (1969); “Il volto di
lei durante” (1990 e 2005), “Approdo in Liguria”
(2006), “Lo specchio e la vita” (2006). Sulla sua poesia sono usciti saggi e recensioni su numerose
riviste (tra le più recenti “Poesia”, “Vernice”,
“Nuovo Contrappunto”, “Ilfilorosso”, “Paidèia”, “Nuova Tribuna Letteraria”, “Le Muse”, “Pomezia-
Notizie”, “Sentieri Molisani”, “Veia gianca”. Nel
corso della sua lunga militanza letteraria ha scritto numerose recensioni, prefazioni e presentazioni, ol-
tre a saggi e articoli su Eugenio Montale, Camillo Sbarbaro, Giorgio Caproni, Giovanni Descalzo,
Umberto Saba, Giovanni Giudici, Giovanni Pasco-
li, Antonia Pozzi, etc. Mentre della sua poesia si sono occupati, oltre ai prefatori (Diego Valeri,
Giorgio Bárberi Squarotti, Sandro Gros-Pietro,
Graziella Corsinovi), molti altri critici e poeti, tra i quali Neuro Bonifazi, Francesco Fiumara, Giovanni
Cristini, Liana De Luca, Paolo Ruffilli, Rodolfo
Tommasi, Elio Andriuoli, Rosa Elisa Giangoia, Piera Bruno, Domenico Defelice, Roberto Carifi,
Fabio Simonelli, Guido Zavanone, Liliana Porro
Andriuoli, Silvano Demarchi, Viviane Ciampi, Francesco De Napoli, Pasquale Matrone, Claudia
Manuela Turco, Francesco Graziano, Fulvio Castel-
lani, Lia Bronzi, Mauro Decastelli, Elvira Landò Gazzolo, Danila Boggiano, Angelo Manuali, Tito
Cauchi. “Nell’uso di un linguaggio tanto cristallino
quanto rigoroso per il rispetto della forma e dei
contenuti - scrive la Giuria del Premio “I Murazzi”
-, Luigi De Rosa mette a fuoco il dramma del poeta
moderno che ha acquisito la coscienza storica dell’inadeguatezza della parola letteraria a raccon-
tare il movimento e la densità del mondo reale, ma
che tuttavia non abdica al suo ruolo di anima sensi-bile e vigile della storia degli uomini e dei suoi
drammatici eventi personali e collettivi”.
** RENATO GRECO - La parola continua - Poesie
inedite 1998 - 2001 - Prefazione di Marcello Ariano
- Sentieri Meridiani Edizioni, 2013 - Pagg. 316, € 18,00. Renato GRECO è nato nel 1938 a Cervinara
(Av) e vissuto fino alla maturità classica ad Ariano
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Irpino. Nel 1955/56 a Matera istitutore del Convitto
“Duni”. Dal ’57 al ’67 a Milano dove lavora alla
Olivetti di Adriano e dove abita con la moglie dal ’66. Dal ’67 tre anni a Napoli un anno a Firenze e
due anni in giro per l’Italia con tappe a Firenze e a
Milano. Nell’intanto si laurea in legge. Dal ’71 a Bari quadro nella filiale di questa città. Nel ’77 è di
nuovo a Milano dopo altri periodi a Firenze. Fino al
1987 a Milano quadro marketing centrale. Ritrasfe-rito a Bari va in pensione nel 1992. Ha vinto molti
concorsi in Italia e legge poeti del ‘900 presso due
Università Popolari a Modugno e a Bari. Redattore della rivista “La Vallisa” dal 1997. Ha scritto più di
45 volumi di poesia, oltre che numerose Raccolte
Antologiche, alcune pubblicate anche all’estero. Autore anche di molti saggi su Salvatore Quasimo-
do, Vittorio Bodini, Cristanziano Serricchio, Enzo
Mandruzzato, eccetera. Tante le antologie in cui fi-gurano sue poesie. Tra i critici che si sono interes-
sati di lui, citiamo solo alcuni: Pasquale Martiniel-
lo, Michele Coco, Enzo Mandruzzato, Stefano Va-lentini, Vittoriano Esposito, Daniele Giancane, Lia
Bronzi, Donato Valli, Sandro Gros-Pietro, Renzo Ricci, Giorgio Bárberi Squarotti, Giuliano Ladolfi,
Emerico Giachery, Roberto Carifi, Gianni Antonio
Palumbo, Daniele Maria Pegorari, Roberto Coluc-cia, Ettore Catalano.
**
CATERINA FELICI - Fogli di vita - Poesie - Lon-go Editore Ravenna, 2013 - Pagg. 96, € 10,00. Ca-
terina FELICI ha pubblicato i libri di poesia: “Re-
ciproco possesso” (1975), “Vastità nei frammenti” (1978), “Oltre le parole” (1982), “Poesie scelte”
(1992), “Labili confini” (1994), “Confluenza”
(1997), “Tessere di vita” (2004), “Tratti d’insiemi” (2007). Sue poesie sono presenti in antologie. La
Felici ha pubblicato anche il libro di narrativa “Il
vecchio e altri racconti” (1987). Ha ricevuto vari primi premi in noti concorsi letterari nazionali. Tra
coloro che si sono interessati di lei, si ricordano:
Cesare Segre, Giacinto Spagnoletti, Giuliano Gra-
migna, Giorgio Bárberi Squarotti, Walter Mauro,
Bruno Maier, Giorgio Cusatelli, Claudio Toscani,
Maria Lenti, Paolo Ruffilli, Antonio Piromalli. **
MONICA FIORENTINO - Lettera Ventuno -
Raccolta di poesie haiku - Ed. Carta e Penna, 2013 - Pagg. 48, € 7,00. Monica FIORENTINO è
nata il 3 ottobre 1976 a Sorrento in provincia di
Napoli. Sue opere di poesia haiku sono state pre-miate in concorsi letterari in Italia e all’Estero.
Molte sue raccolte di poesia haiku sono on line su
vari siti. Altre sue pubblicazioni (sempre “raccolte di poesie haiku”): “I diari del principe Desiderio”,
“Cenere di rose”, “Luna stonata”, “Lunascarlatta”,
“Sua maestà e l’esercito di cavallette”. E’ stata tra-
dotta in spagnolo e in francese.
** SANDRO ANGELUCCI - di Rescigno il racconto
infinito - Saggio, Prefazione di Giorgio Bárberi
Squarotti e, in calce, nota dell’editore Eugenio Re-becchi - In copertina, a colori, “La lettura del poe-
ta”, di Raffaele Ferriello - Edizioni Blu di Prussia,
2014 - Pagg. 96, € 12,00. Sandro ANGELUCCI è poeta, critico letterario e saggista. Vive a Rieti, do-
ve insegna ed è nato. Ha pubblicato: “Non siamo
nati ancora” (2000), “Il cerchio che circonda l’infinito” (2005), “Verticalità” (2009), “Controlu-
ce” (2009), silloge, questa ultima, con la quale ha
vinto il Primo Premio al Città di Pomezia dello stesso anno. Intensa la sua collaborazione con rivi-
ste culturali nazionali, di alcune delle quali è anche
membro del comitato di redazione e collaboratore fisso. Ha ottenuto, per la poesia, numerosi ricono-
scimenti, tra cui molti primi premi per l’edito, risul-
tando spesso nella terna dei vincitori. Un suo profi-lo critico è inserito nel IV volume della “Storia del-
la letteratura italiana. Il secondo Novecento” per Guido Miano Editore in Milano; con lo stesso ha
poi dato alle stampe una breve plaquette contenuta
in “Alcyone 2000”, quaderni di poesia e di studi letterari. Il suo nome figura inoltre in altre antologie
e storie della letteratura. Del suo lavoro si sono oc-
cupati autorevoli critici, poeti e scrittori. **
TEODORO LORENZO - De vita beata - Raccon-
to, Prefazione di Vincenzo Jacomuzzi - In coperti-na, a colori, “Barca solitaria” di angelo De Monti -
Edizioni Progetto Cultura, 2013 - Pagg. 88, €
12,00. Teodoro LORENZO è nato a Torino il 4 marzo 1962. Di professione avvocato, ha pubblica-
to la raccolta di racconti di argomento sportivo “Sa-
luti da Buenos Aires” (2009) e il romanzo “Campus Marie Curie” (2012).
**
AA. VV. - L’economia italiana 2014-2018. Usci-
re dalla crisi. Riprendere la crescita. Come?
Quando? Previsione, analisi, proposte di Mario
Baldassarri, Roberto Mazzotta, Dino Pesole, Pier-luigi Ciocca, Alberto Quadrio Curzio, Alberto Bi-
sin, Sergio Rizzo, Luca Rizzuto, Piero Giarda, Ste-
fano Manzocchi, Alessandro Barbera, Maurizio Meloni, Eugenio Gaiotti, Stefano Folli, Giuseppe
De Rita, Carmen Lasorella, Richard Heuze’, Ales-
sandra Migliaccio, Tobias Piller, Bruno Costi, Lui-gi Casero, Matteo Colaninno, Mario Monti - Il Sole
24 Ore, 2013 - Pagg. 160, s. i. p.
** PAOLO AMATI - Impegno nel sociale di un cre-
dente: Zaccaria Negroni - Prefazione di Mons.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.67
Dante Bernini - volume ricco di documenti - Tipo-
grafia Legatoria “S. Lucia”, Marino, 2013 - Pagg.
216, s. i. p.. Paolo AMATI nasce a Nettuno nel 1949. Sposato con Antonella, ha due figli: Eloisa e
Simone. Dal 1970 al 1974 è Vice Presidente Dioce-
sano dell’Azione Cattolica, settore giovani, durante la Presidenza dell’Ing. Zaccaria Negroni. Consegue
il Magistero in Scienze Religiose presso la Pontifi-
cia Università San Tommaso d’Aquino con una tesi di laurea su Zaccaria Negroni nel 1986. Lo stesso
anno interrompe la sua attività lavorativa presso
una multinazionale per dedicarsi all’insegnamento della religione cattolica negli Istituti superiori.
Termina l’attività di docente nel 2007, dopo 30 an-
ni d’insegnamento nelle scuole di Anzio e Nettuno. Da sempre promotore di iniziative di raccolta fondi
a sostegno delle missioni in Africa guidate da Padre
Carlo Andolfi, collabora per lungo tempo con i Ve-scovi della Diocesi di Albano Laziale per l’apertura
di una nuova Parrocchia a Nettuno, nel quartiere S.
Barbara. Grazie alla sua iniziativa, il Comune di Nettuno intitola una strada a Zaccaria Negroni, alla
presenza del Sindaco Vittorio Marzoli e benedetta da S. E. Mons. Dante Bernini. Attualmente è Vice
Presidente dell’A. C. di S. Giovanni di Nettuno e
referente per la Diocesi di Albano nella Fondazione Azione Cattolica Scuola di Santità “Pio XI”.
TRA LE RIVISTE VERNICE - Rivista di formazione e cultura, edita
dalla Genesi Editrice - via Nuoro 3, Torino e diretta
da Claudio Giacchino, redattori Liana De Luca, Sandro Gros-Pietro, Rossano Onano ed altri.
Anno XIX, n. 49, di ben 336 pagine (€ 20). Sap-
piamo di farci dei nemici (coi tempi che corrono!), ma non possiamo citare tutti gli argomenti e rispet-
tivi autori, lo spazio a nostra disposizione essendo
limitato. Ricordiamo soltanto, allora, le firme di: Sandro Gros-Pietro (intervista a Guido Davico
Bonino), Silvano Demarchi, Adriana Mondo,
Laura Pierdicchi, Rossano Onano (La barzelletta più comica del mondo: Vieni avanti, cretino e Per-
ché non credere (ma anche credere) all’astrologia),
Nicola Lo Bianco, Elio Andriuoli, Tito Cauchi, Giovanni Dino, Guido Zavanone, Liana De Luca
(Dante e l’Islam), Piera Bruno. Ma rivolgiamo
l’invito ai nostri lettori di abbonarsi. Ne vale la pe-na.
*
ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivi-
sta fondata da Giacomo Luzzagni, direttore re-
sponsabile Stefano Valenini, editoriale Natale
Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone - Ca-sella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD). Ri-
ceviamo il n. 112 (4° Trimestre 2013). Tra le firme,
segnaliamo: Luigi De Rosa (Norman Mailer, il contestatore del sogno americano), Elio Andriuoli
(I mille volti di Fernando Pessoa), Liliana Porro
Andriuoli (Abelardo ed Eloisa, una storia sempre attuale), Pasquale Matrone (tra l’altro, recensisce
il saggio di Anna Aita: Domenico Defelice, un poe-
ta aperto al mondo e all’amore), Rosa Elisa Gian-
goia, Sandro Angelucci.
*
IL CONVIVIO - Trimestrale fondato da Angelo
Manitta e diretto da Enza Conti - via Pietramari-
na-Verzella 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT).
Riceviamo il n. 54 (luglio-settembre 2013), ricchis-simo di argomenti e moltissime firme, tra le quali:
Giuseppe Manitta, Giuseppe Manitta, Orazio
Tanelli, Enza Conti, Andrea Pugiotto, Leonardo
Selvaggi, Loretta Bonucci, Vittorio Martin, An-
tonia Izzi Rufo, Aurora De Luca, Maristella Di-
lettoso (che recensisce Eleuterio Gazzetti, cantore
della Valpadana, di Domenico Defelice). Allegato,
il n. 20 di CULTURA E PROSPETTIVE, un vo-lume di 176 pagine, con interventi di: Otilia Doro-
tea Borcia, Carmine Chiodo, Emilia Cavallaro,
Silvio Minieri, Giuseppe Cappello, Giuseppe
Manitta, Orazio Tanelli, Franco Pignotti, Leo-
nardo Selvaggi, Paolo Scarano, Luigi De Rosa,
Lucio Zinna, Salvatore Agati, Elisabetta Bogă-
ţan, Pippo Pappalardo, Aldo Marzi, Gaetano
Zummo, Silvana Del Carretto, Franco Orlandi-
ni, Giovanni Tavčar, Antonio Crecchia, Giar-
mando Dimarti, Gabriella Rossitto, Francesca
Luzzio, Alba Pagano, Armando Dittongo. La ri-
vista organizza i premi “Filoteo Omodei” e “Pen-sieri in versi”, con scadenza 31 gennaio 2014, per
poesie edite e inedite, libri editi, pittura e scultura,
racconti. Chiedere regolamenti completi
all’indirizzo di cui sopra. Tel. 0942-986036, cell.
333-1794694, e-mai: enzaconti@ilconvivio,org
*
L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia
Collegio de’ Nobili, diretto da Marcello Falletti di
Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci
(FI). Riceviamo il n. 186/188 (luglio/settembre
2013). Segnaliamo il saggio del direttore responsa-bile: “Sant’Alessio Falconieri. Canonizzazione e
Culto” e, dello stesso Marcello Falletti di Villafal-
letto, la rubrica “Apophoreta”. *
RIVISTA ITALIANA DI LETTERATURA DIA-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2014 Pag.68
LETTALE - trimestrale fondato e diretto da Salva-
tore Di Marco - via Veneto 16 - 90144 Palermo.
Riceviamo il n. 2-3 (aprile/settembre 2013). Tra le firme, oltre quella del direttore, segnaliamo Car-
mine Chiodo (Una nuova raccolta di versi in dia-
letto di Pietro Civitareale). *
SOLOFRA OGGI - La voce di chi non ha voce -
Periodico diretto da Angelo Picariello - via Casa-papa 1 - 83029 Solofra (AV). Riceviamo il n. 10,
ottobre 2013.
* IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - men-
sile letterario e di cultura varia, diretto da Amerigo
Iannacone, responsabile Domenico Longo - via Annunziata Lunga 29 - 86079 Venafro (Is). Rice-
viamo il n. 12 (dicembre 2013), sul quale, tra
l’altro, troviamo le firme anche di nostri collabora-tori come Pasquale Balestriere e Loretta Bonuc-
ci. Seguiti sono sempre gli “Appunti e spunti”, an-
notazioni linguistiche di Amerigo Iannacone.
Domenico Defelice - “Foglie sparse”
(1982), disegno a china e pennarello.
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione) composti con
sistemi DOS o Windows su CD, indicando il si-
stema, il programma ed il nome del file. E’ ne-
cessaria anche una copia cartacea del testo.
Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per
cartella si intende un foglio battuto a macchina
da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale
di 1.800 battute. Per ogni materiale così pubbli-
cato è necessario un contributo volontario). Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I testi inviati come sopra AVRANNO LA
PRECEDENZA. I libri, possibilmente, vanno
inviati in duplice copia.
Per chi usa E-Mail: [email protected]
Il mensile è disponibile anche sul sito
www.issuu.com al link http://issuu.com/ dome-
nicoww/docs/ __________________________
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Annuo... € 40.00
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ne): c. c. p. N° 43585009 intestato al Direttore.
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