Pomezia Notizie 2015_1
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Anno 23 (Nuova Serie) – n. 1 - Gennaio 2015 - € 5,00
ANNA ACHMATOVA: IL SILENZIO DELL’AMORE
di Elio Andriuoli
LLE molte traduzioni in italiano delle poesie della poetessa russa Anna Achmatova,
se ne è recentemente (ottobre 2014) aggiunta una ad opera di Manuela Giabardo e
Paolo Ruffilli, apparsa nella Biblioteca dei Leoni di Treviso, che appare di molto in-
teresse per l’accuratezza delle scelte e per
la resa stilistica. La disinvolta leggerezza
del verso e la novità delle immagini pro-
prie di questa autrice qui emergono infatti
a prima vista; così come emergono la vi-
vacità del dettato poetico e l’autenticità
del sentire.
Com’è noto, l’Achmatova riesce a co-
gliere i più sottili moti dell’animo e le pur
minime sollecitazioni dei sensi con disin-
volta bravura: ed è ciò che meglio la con-
traddistingue. Brevi ma intense sono le
sue poesie, che riescono a dire molto di
lei in pochi versi. “Il petto senza forza
raggelava, / eppure leggeri erano i passi. /
Ho infilato il guanto di sinistra / nel posto
della destra. / … / Questo è il canto del
nostro ultimo incontro. / Ho guardato la
casa buia all’ultimo istante. / Solo nella
camera ardevano candele, / di una luce
gialla, indifferente” (Poesia dell’ultimo
incontro).
Quelle che Anna Achmatova evoca so-
no scene di vita reale profondamente sof-
ferta e descritte con un linguaggio piano
ma intenso, che mette a nudo profondi →
A
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.2
All’interno:
Ragione e fede di Paola Ruminelli, di Giuseppe Leone, pag. 5
Francesco Pedrina, Cefas, Fiumi, di Ilia Pedrina, pag. 7
Realtà e trasfigurazione, di Nazario Pardini, pag. 10
Giovanni Frasconi e “Quell’antico suono di chitarra”, di Luigi De Rosa, pag. 15
Una satira rinnovata sulle storture italiche, di Andrea Bonanno, pag. 17
La “Mimosa” di Paola Insola, di Luigi De Rosa, pag. 19
Roberto Ardigò, di Leonardo Selvaggi, pag. 21
Rosa Elisa Giangoia e La vita restante, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 24
La lingua ufficiale, di Aida Pedrina, pag. 26
Guardare all’infinito, di Rosa Elisa Giangoia, pag. 29
La fantasticheria di un poeta, di Themistoklis Katsaounis, pag. 31
I Poeti e la Natura (Guido Gozzano), di Luigi De Rosa, pag. 32
Notizie, pag. 45
Libri ricevuti, pag. 49
Tra le riviste, pag. 51
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Necessaria è l’ironia, di Marilla Battilana, pag. 34);
Giorgina Busca Gernetti (Florilegio Web Blog L’ombra delle parole, di Pasquale Balestriere,
pag. 35); Gianfranco Cotronei (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi,
pag. 35); Salvatore D’Ambrosio (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Rossano Onano
e Domenico Defelice, pag. 36); Salvatore D’Alessandro (Voglio silenzio, di Rodolfo Vettorel-
lo, pag. 36); Salvatore D’Ambrosio (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 37); Luigi De Rosa
(Palcoscenico, di Tito Cauchi, pag. 38); Elisabetta Di Iaconi (Cellulosa, di Aurora De Luca,
pag. 40); Filomena Iovinella (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 40); Elena Milesi (Palco-
scenico, di Tito Cauchi, pag. 40); Elena Milesi (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici,
di Tito Cauchi, pag. 41); Laura Pierdicchi (Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta, di Ros-
sano Onano e Domenico Defelice, pag. 41); Andrea Pugiotto (Palcoscenico, di Tito Cauchi,
pag. 41); Andrea Pugiotto (Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag.
42); Innocenza Scerrotta Samà (Cellulosa, di Aurora De Luca, pag. 42); Innocenza Scerrot-
ta Samà (Elogio alla mimosa, di Paola Insola, pag. 43).
L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 51
Lettere al Direttore (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 53
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Lorella Borgiani, Giorgia Chaide-
menopoulou, Corrado Calabrò, Colombo Conti, Domenico Defelice, Michele Di Candia,
Andrea Masotti, Adriana Mondo, Teresinka Pereira, Leonardo Selvaggi
conflitti interiori. Le sue sono essenzialmente
poesie d’amore e dell’amore hanno gli esal-
tanti rapimenti e i dolorosi risvegli. La poe-
tessa racconta come in un diario lirico le pro-
prie esperienze di vita; e le sue poesie con-
tengono sovente delle domande che restano
per lo più senza risposta. L’amato al quale el-
la si rivolge è infatti collocato nell’ombra, da-
to che la sua figura ha un risalto minore ri-
spetto a quella della sua interlocutrice, che l’
incalza, con l’urgenza della propria passione.
Quella della Achmatova è inoltre una poe-
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sia ricca di immagini, oltre che di forti con-
trasti; di abbattimenti e di slanci, di delusioni
e di rivalse; ma specialmente è una poesia di
ardenti passioni, che investono anche la Patria
Russa e la stessa poesia, oltre che gli uomini
ai quali la poetessa fu di volta in volta legata:
Nikolàj Gumilëv, Vladimir Šilejko, Nikolàj
Punin furono i suoi tre mariti. Ella fu pure
amica di alcuni tra i maggiori poeti russi del
Novecento, tra i quali Osip Mandel’štram,
Boris Pasternak e Marina Cvetaeva.
Ciò che fa della Achmatova una grande po-
etessa è la naturalezza con la quale confessa
le pene che agitano il suo animo, da lei total-
mente messo a nudo. Spontaneità e disinibi-
zione caratterizzano il suo dire, che colpisce
per l’autenticità con la quale si esprime: “Ho
pianto, piena di rimorso, / se solo giù dal cie-
lo precipitasse un tuono! / Sta confuso il cuo-
re ed è estenuato / nella tua casa vuota. / Co-
nosco l’insostenibile dolore, / la vergogna del
ritorno… / E’ terribile andare da chi non si
ama più, / terribile essere accolti dal silenzio”
(Ho pianto, piena di rimorso).
Certo, per l’Achmatova la poesia è stata un
efficace antidoto coltro il dolore dei giorni, se
ella ha potuto dire: “… una speranza è persa /
e una canzone nuova è nata” (Ho smesso di
sorridere). La poesia le ha dato inoltre la gio-
ia di poter esprimere i suoi più intimi senti-
menti, come l’amore per la città in cui aveva
a lungo vissuto e alla quale ella si sentiva in-
scindibilmente legata; il che si evince ad e-
sempio in una lirica di Stormo bianco: “Eri la
culla del mio stare più beato / … / città amata
di un amore amaro. // Eri l’altare delle mie
preghiere / così tranquilla e severa nelle tue
nebbie” (Eri la culla del mio stare beato).
Le parole che l’Achmatova adopera sono
quelle di ogni giorno, ma in lei assumono
nuove risonanze e nuovo valore. I sentimenti
che la muovono sono quelli di tutti, ma ella sa
renderli eterni. Si legga, ad esempio, Separa-
zione: “Davanti a me, un sentiero / che sale
nell’ombra. / Soltanto ieri, innamorato, / mi
implorava: «Non mi dimenticare». / Solo i
venti restano ora / e le grida dei pastori, / i
cedri scossi / accanto al fresco delle fonti”.
Dominante è in questa poetessa il tema
dell’addio, che segna il temine di un amore e
per questo la sua lirica è in genere triste e
senza gioia; espressione di un animo ferito e
in preda a malinconici pensieri: “Non riu-
sciamo a dirci addio / vagando fianco a fianco
senza meta. / E intanto si fa buio, / tu pensie-
roso, io zitta” (Non riusciamo a dirci addio).
Come si vede queste poesie costituiscono la
testimonianza di una vita sentimentale tumul-
tuosa e intensamente sofferta.
La tematica di Anna Achmatova non com-
prende però soltanto la problematica amoro-
sa, perché oltre al tema della città, di cui ab-
biamo già fatto cenno, c’è in lei quello della
guerra civile, i cui tristi effetti emergono dai
suoi versi e quello delle feroci persecuzioni
staliniane a danno degli intellettuali dissiden-
ti, che colpirono duramente la nostra poetessa
sia nella persona del figlio Lev, che fu impri-
gionato e rischiò la fucilazione, tramutata all’
ultimo momento in deportazione nei Gulag
siberiani, dove trascorse molti anni, sia nella
persona del suo primo marito, Gumilëv, che
la fucilazione non poté evitarla.
Per quanto riguarda il tema delle distruzioni
provocate dalla guerra civile, si legga ad e-
sempio MCMXXI: “Ogni cosa fu rubata,
venduta, tradita, / e balenò la nera ala della
morte, / fu divorato tutto da un’insaziabile
angoscia / … / E alle sporche case che giac-
ciono in rovina / si avvicina la nostra meravi-
glia… / non che di noi nessuno ignori, / ma
per un secolo sognammo…”.
Per quanto riguarda la tematica delle brutali
persecuzioni staliniane contro veri o presunti
oppositori del regime, si legga Requiem, il
poemetto che ebbe origine nell’arresto del fi-
glio Lev, avuto dal primo marito, che la co-
strinse a trascorrere lunghe ore in fila davanti
alle carceri di Leningrado per avere notizie di
lui. Durante una di queste attese, come ella
stessa racconta, una donna le si accostò e le
disse sottovoce: «Ma questo lei può descri-
verlo?» e la poetessa rispose: «Posso». Da ciò
nacque il poemetto di cui qui riportiamo l’ In-
troduzione: “Fu quando soltanto i morti / sor-
ridevano, lieti ormai d’essere in pace. / E co-
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me inutile appendice dondolava / Leningrado,
accanto alle prigioni. / Quando pazzi di dolo-
re, / andavano schiere di dannati, / e il fischio
del treno / era un breve canto d’addio, / su di
noi c’erano stelle di morte / e la Rus’ si con-
torceva innocente / sotto stivali insanguinati /
e sotto le ruote dei marusi neri”. (I marusi e-
rano i furgoni con i quali gli oppositori del
regime erano condotti nei luoghi di detenzio-
ne: Nota del traduttore).
Tra scoppi di brevi, improvvise allegrie e
rigurgiti di abissali tristezze Anna Achmatova
ha così trascorso i suoi giorni, lasciandoci un
segno indelebile non soltanto della sua storia
privata, ma anche di quella di milioni di vite
travolte dalla guerra e da una delle più crudeli
dittature della Storia. Per virtù d’arte il suo
messaggio ha travalicato così il contingente,
toccando l’universale: il che ha reso duratura
e capace di parlare al cuore di tutti la sua pa-
rola.
Le traduzioni di Manuela Giabardo e di Pa-
olo Ruffilli rendono con efficacia i tumulti e
le passioni dell’autrice, dando un’idea abba-
stanza precisa del valore e delle virtù d’arte
dell’originale.
Elio Andriuoli ANNA ACHMATOVA: Il silenzio dell’amore -
(Biblioteca dei Leoni, Treviso, 2014, € 14,00)
DÉSHABILLÉE
Ti svestirò di luna
sulla grande terrazza.
Ottenebrata sotto noi la notte
rapprende collosa gli umori
di corpi grevi che russano
con le finestre aperte.
Ti svestirò di luna
sulla grande terrazza
fino alla tua più intima bellezza
e ti denuderà così svestita,
mentre la luna impallidisce, l’alba.
Corrado Calabrò
MEGHI
a Riccardo
Ogni tanto mi parli di Meghi
a mesi dalla morte.
T’è rimasta nel cuore.
Gli occhi ti si appannano.
Dirotto, allora, il discorso
su Briciola e Schizzo
- incontrati in casa di parenti -
e ti rimetto allegria
con il racconto del cane ironico
che defeca sul tetto di una casa
accanto alla nostra campagna.
Quando andiamo a passeggio,
è un continuo fermarti:
Ciao cagnolino, ciao cane!
Li vorresti tutti accarezzare.
Non ami altrettanto Gertrude,
la tua gatta; dici ch’è dispettosa,
che se la ronfa sopra le tue cose.
Sempre al centro dei nostri giochi
gli animali:
la scimmia, il coccodrillo, Topolino,
il grillo verde, la nera formica...
Ma, sopra tutti, un cane peluche
da te posto a guardia di un club segreto
(non permetti lo si chiami Meghi,
come a dissacrarne la memoria).
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.5
RAGIONE E FEDE Il nuovo saggio di
Paola Ruminelli di Giuseppe Leone
ECENSENDO un anno fa La natura,
l’uomo e il sacro di Paola Ruminelli,
avemmo ragione di dire che, per gli
esiti formali raggiunti e per le riflessioni teo-
riche che lo accompagnavano, si trattava di
un pamphlet col quale l’autrice esortava il let-
tore a riflettere per il nostro tempo, mostran-
dogli, provocatoriamente, nella metafisica e
nella fede, in difficoltà in momenti come que-
sti di globalizzazione, gli strumenti efficaci
per far rinascere nell’uomo d’oggi la capacità
e la voglia di tornare a guardare lontano, fuori
dai prodotti della tecnica. E sembrava che
proponesse tutto questo in senso apologetico.
Ovviamente facevamo, come si usa ripe-
tere, i conti senza l’oste. E infatti, appena po-
chi mesi dopo, la Ruminelli dà prova - attra-
verso questo saggio dal titolo Ragione e fede.
Note di filosofia e di religione dal Novecento
al Duemila, edito dalla Ecig di Genova nel
novembre 2014 - di avere ancora ben altro da
esibire sul versante della sua ricerca: vi ritor-
na sempre su temi relativi alla metafisica e al-
la fede, ma, questa volta, ridiscutendoli e rivi-
sitandoli alla luce del nichilismo e della seco-
larizzazione, due espressioni culturali tipiche
del nostro tempo, che sembrano preoccupare,
e non poco, il suo prefatore Luciano Malusa.
Tanto che, scrivendo di non capire bene, dalle
pagine di Paola, “se la sua sia una contrappo-
sizione al nichilismo, oppure una sostanziale
accettazione di esso ai fini di aprire un oriz-
zonte religioso non escludente”(7), chiede e si
chiede quante prospettive di successo possa
avere una filosofia così contaminata che dia-
loghi con la fede religiosa cristiana e quanto
alla fine sarà rispettata la prospettiva classica
che prevedeva di fare della filosofia la man-
sueta ancella della teologia (8). Non sembre-
rebbe darsi alcun pensiero, invece, la Rumi-
nelli, nonostante abbia coscienza dei rischi
che corre la metafisica al cospetto di un mon-
do che, dal dopoguerra a oggi, sta assistendo
– sono parole sue - “al declino dei valori tra-
dizionali, alla perdita della memoria storica,
all’aggravarsi dei disastri ambientali…, al
progetto di globalizzazione con l’incontro di-
retto di culture e tradizioni diverse, allo svi-
luppo della scienza che è in grado di modifi-
care i momenti più intimi della vita dalla na-
scita alla morte” (10). Ne è cosciente, ecco-
me, mentre si destreggia con agilità fra pagi-
ne ricche di riferimenti alla filosofia e alla re-
ligione, nonché alla teologia contemporanea,
attraverso richiami a personalità e ad eventi
significativi al fine di cercare di intendere la
genesi dell’attuale momento storico. Eccola,
allora, passare dagli esistenzialisti Husserl,
Heidegger, Jaspers, Marcel, Caracciolo, e al-
tri come Buber, Rosenzweig, Levinas, critici
dell’idea di totalità della filosofia occidentale
e sostenitori di un principio dialogico, agli
strutturalisti De Saussure, Levi-Strauss, Bar-
thes; a Derrida; alla Scuola di Francoforte; al
’68; al pensiero debole di Vattimo. E poi, a
interpreti del pensiero religioso: da Barth, so-
stenitore dell’assoluta trascendenza di Dio;
Tillich, per il quale “la fede è un dono di Dio,
ma richiede anche la partecipazione dell’ uo-
mo”; Bultmann, che si rende conto, “sulla ba-
se della visione scientifica del mondo, che l’
uomo di oggi necessita di una demitizzazio-
R
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.6
ne delle scritture antiche (39), a Giovanni Pa-
olo II e alla sua Fides et ratio, fino a Meister
Eckhart, san Giovanni della Croce, Böhme,
nichilisti ante litteram “che collegarono il
concetto del Nulla con Dio, aprendo grandi
profondità di pensiero"; ad artisti come Dürer
e poeti come Leopardi, del quale la Ruminelli
scrive che non si possono dimenticare le me-
ditazioni del Cantico del Gallo Silvestre sull’
“arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza
universale”(34).
Che la studiosa faccia questa apertura di
credito filosofico all’opera leopardiana, è co-
sa già di per sé sorprendente, ma che si auguri
che la metafisica vada anche nella sua dire-
zione, fa assumere alla sua ricerca un impe-
gno a metà strada fra scommessa e profezia,
soprattutto quando scrive: “Forse” la critica
del ’68, il declino dell’arte del Novecento
che denuncia una crisi di creatività, la revi-
sione dell’etica in nome di una spontaneità
degli istinti, la riduzione dell’uomo a prodotto
storico, che hanno segnato e segnano l’epoca
attuale possono anche insegnarci la necessità
di liberarci da ogni dogmatismo e da ogni
pregiudizio… per una visione anti- intellet-
tualistica, orientata fenomenologicamente ad
aderire alle ragioni esistenziali più autenti-
che.” (37). Proprio come era nei voti e nei de-
sideri di Giacomo Leopardi, il filosofo-
pastore, azzeratore dei fasti della civiltà del
pensiero, nonché autore, fra le altre cose, di
aforismi come questi: “la nemicizia della na-
tura e della ragione (è) ridotta in concordia
dalla religione”, oppure: “la filosofia indi-
pendente dalla religione, in sostanza non è al-
tro che la dottrina della scelleragine ragiona-
ta; e dico questo non parlando cristianamente,
e come l’hanno detto tutti gli apologisti della
religione, ma moralmente”; oppure, ancora,
pensieri come questo: “Tutto è o può essere
contento di se stesso, eccetto l’uomo, il che
mostra che la sua esistenza non si limita a
questo mondo, come quella dell’altre cose”.
Per cui, ha ragione Malusa quando scrive
che il libro della Ruminelli “va(da) letto come
un atto di fiducia, una fiducia in quella ten-
sione metafisica che è ormai speranza o cer-
tezza per pochi, ma della cui perdita molti si
dicono dispiaciuti, pur nulla più facendo per-
ché divenga operativa” (8). E poca importan-
za ha se la metafisica non sia un esclusivo e-
sercizio della ragione, ma questa leopardiana,
frutto dell’incontro fra poesia, arte, religione,
scienza, fede e filosofia del nichilismo.
Risultato di contaminazione, si direbbe,
come del resto tale è oggi la cultura della glo-
balizzazione, con la quale bisogna pure fare i
conti. E la Ruminelli pare che ci voglia dire
proprio questo: che il recupero della ragione e
della fede è possibile qualora rivedute alla lu-
ce della “scienza” di oggi, non più alimentata
da un’unica fonte, ma espressione di un sape-
re più dinamico e diversificato, alla cui for-
mazione hanno contribuito anche i poeti - e di
qualsivoglia estrazione, materialistica o spiri-
tualistica - come Giacomo Leopardi, appunto,
che la studiosa ammette, dopo la scelta di
Emanuele Severino, nella repubblica dei filo-
sofi.
Giuseppe Leone Paola Ruminelli - Ragione e fede. Note di filosofia
e di religione dal Novecento al Duemila. - Casa E-ditrice Ecig, Genova, 2014. € 8,00. Pp. 96.
VERRÀ L’AMORE
E AVRÀ LE TUE LABBRA
Sì, sì, ci credo, ma come Tommaso.
Credo alla luna solo se la vedo.
Proprio così:
la luna esiste solo se la guardi.
Non ci credi?
Togliti le lenti d’ogni giorno
sciogli i capelli
e metti gli occhiali da luna.
Vedrai venire – lo vedrai tu sola –
venire a te lungo un binario ignoto
l’amore entrato in fase con la luna
e senza che lui dica una parola
tu gli offrirai tremante le tue labbra.
Corrado Calabrò
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.7
FRANCESCO PEDRINA
confida all’amico
CEFAS
dettagli e gustose
improvvisazioni critiche su
LIONELLO FIUMI di Ilia Pedrina
N salto indietro nel tempo, per arri-
vare all'Italia letteraria degli Anni
'50: il Pedrina vive a Povolaro, in
provincia di Vicenza, con tutta la famiglia e la
villa ha il parco, la fontana al centro con i
quattro mostri che sputano acqua ferruginosa
e al centro i cigni che sostengono la conchi-
glia, adatta a raccogliere gli zampilli, che
gocciolano giù nuovamente. Poi, in alto e dal-
le linee agili, un puttino: evidentemente al
giovane Francesco Pedrina, studente all'Uni-
versità di Lettere a Firenze negli Anni '20 del
secolo scorso, il Giardino di Boboli e tutte le
altre infinite sollecitazioni estetiche della città
sono state di certo l'elemento artistico ispira-
tore per queste architetture d'esterni, che nella
Villa di Povolaro, acquistata sventrata nel
1939, saranno da lui richieste e realizzate e
daranno profili, percorsi e contenuti alla sua
vena artistica, quale materiale infinito per la
sua contemplazione.
Dopo lunghe e complesse vicessitudini, di
cui darò dettagli in un futuro lavoro, Giusep-
pe Gerini si è portato con la famiglia a Firen-
ze, mentre Lionello Fiumi, dopo il soggiorno
parigino durato non pochi anni, vive con la
moglie Marta Leroux tra Roverchiara e Vero-
na.
Allora vado a raccogliere con grande emo-
zione i contenuti di quest'analisi che getta una
intensa luce sull'Amicizia e la vera stima che
Francesco Pedrina nutre per Giuseppe Gerini,
sensibile poeta e cantore dello spirito, quando
si accende di luce divina e trascolora, ma an-
che scrittore, critico letterario finissimo e
saggio. Con Lionello avrà dimestichezza
piena, sincera, talora furbescamente goliardi-
ca ed allora i toni delle confidenze si caricano
di piacevole attrattiva. Trascrivo, ricordando
che i nomi delle opere e delle poesie sono tut-
ti sottolineati.
“Povolaro 31 . X . '50
Caro Gerini,
mi rileggo anch'io di tanto in
tanto i realisti lirici nel 'IV Voci d'Italia' e,
come se si trattasse di altrui fatica, me li gu-
sto nel testo e nel commento. Forse mai un
nuovo indirizzo poetico è stato lanciato in un
testo scolastico con tanto amore e tanta cura.
Fiumi ne è entusiasta: si dichiara conquiso
dal mio equilibrio, dal mio gusto, dalla lar-
ghezza del mio giudizio, per cui tutti appaio-
no in giusta luce, ermetici e realisti lirici,
senza odiosi esclusivismi. Chiama addirittura
imponente il libro e vuole ch'io lo mandi ai
quattro venti, agli Italianisti d'America e di
Francia, agli spocchiosi d'Italia..... Io gli ho
risposto che non è questo il momento di dar
battaglia, ché al fuoco c'è dell'altro che me-
glio si presta alla bisogna..... Insomma siamo
lanciati e il realismo lirico s'imporrà... tuo F.
Pedrina”.
A questo 'letterone' denso e dettagliato, fac-
cio seguire una testimonianza precisa di
quanto abita nel cuore e nella mente e nella
penna del Pedrina.
“Povolaro 10 . XI . '50
Caro Gerini,
tu sei Pietro e sul tuo fiordali-
so io fonderò la mia Antologia, dove tu ap-
parirai tutto tratto con la tua voce assorta a
richiamare il lettore a intimità dolorose. Se
ti capita di rifoggiar qualche verso, comuni-
camelo senz'altro. E rimandami 'Usignuolo',
U
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.8
che s'è imboscato tra i miei libri e non lo ri-
trovo più. Capasso mostra di credere che la
presentazione e il commento dell' 'Ultimo
canto di Saffo' sia di Zambon: ma non è
chiaro che le parti di Zambon sono tutte
firmate? (…) Fiumi è il più convinto di tutti
che io abbia fatto tutto bene. Non sa conso-
larsi perché io non voglia inviare per ora il
libro (…) e dire che mi hanno bocciato, boc-
ciato per la libera docenza. Come se questo
non fosse un argomento ch'io non mi chiamo
Pietro e come non si sapesse di che nepoti-
smo siano ammalati i titolari di cattedre u-
niversitarie. Fiumi mi dà del 'Maestro' e io
gli ho dato sulla voce, dicendo che sono più
giovane di lui... Scrive tutto serio, rispetto-
so: non par affatto lo scapigliato di questi
quattro decenni. Gli ho proposto di prestar-
mi il suo nome per un connubio: 'Lionello
Fiumi – Francesco Pedrina – Fiordaliso –
Antologia Italiana per la Scuola Media'. Ma
egli s'è schernito, non vuole vestire le penne
del pavone; e ha fatto il tuo nome e quello di
Jenco. E non ha pensato che tu ti chiami
Giuseppe e Jenco Elpidio. Ahimè! Per le
professoresse d'oggi ci vuol dell'altro (e nel-
le Scuole Medie son tutte professoresse).
Che Giuseppe, che Elpidio! Non provano
alcun brivido: ma innanzi a Lionello si sen-
tono attanagliare da una forza che le scuote
dal profondo (…) A tutti gli altri fascini del
libro aggiungi anche questo e vedi se posso
rinunciare alla collaborazione di Lionello
Fiumi. Scrivigli, convincilo (…..) tuo Fran-
cesco P”.
Per il nome 'Giuseppe' avrà proprio un rifiu-
to a pelle e lo spiega all'Amico: gli ricorda un
certo Josip Stalin....Poi, quasi in un esultare di
gioia, da Povolaro, il 19 novembre del 1950 il
Pedrina per la prima volta scrive:
“Mio Cefas,
ho concluso ora, il viso inon-
dato di lagrime e con qualche singhiozzo, il
commento a 'Usignuolo'. Non ti dico altro.
Tu apri il becco e agiti le alucce, ma questo
è 'pane transustanziale d'anima' che non de-
ve essere affidato all'inchiostro ma alla viva
voce. È ciò che ti attende alla prossima di-
scesa a Povolaro; è il dono che l'ospite ti ri-
serva. Ancora pochi ritocchi al commento
del 'Fiordaliso' e anch'io, salito in groppa al
tuo Pégaso, trasvolerò con te verso le sere
plaghe dell'eterna poesia. A Capasso ho
scritto e riscritto, mettendogli in cuore un
po' di fuoco (….) E poi l'ho informato del
corso del mio lavoro (…)In questo modo il
Realismo lirico apparirà come la corrente
che incanala la maggior parte della poesia
moderna tra precursori, corifei seguaci. In
questo allineamento è implicita la mia cer-
tezza che il Realismo lirico sarà la scuola
poetica dominante della seconda metà del
secolo (ti prego di conservare le mie lettere
nel caso che avessi da riprendervi concetti e
frasi quando pubblicamente esporrò il mio
pensiero. Non sempre la frase ci soccorre
pronta e immediata). (…) Arrivederci, caro
Cefas. Per questo bel pseudonimo, che io ti
ho provocato, un giorno o l'altro, quando
saremo in brigata, pagherai da bere. Tuo
Francesco P.”. A pochi giorni di distanza,
per Capo d'Anno 1951, gli scriverà:
“Cefas, eccoti il mio augurio e il mio regalo
per l'anno 1951.
'Un vento ignoto'
Siamo nella sfera delle meditazioni foscolia-
ne: dell'oblio, forza torpida e pur possente
che tutto involge nella sua notte; del tempo
che traveste l'uomo e le sue tombe e l'estreme
sembianze della terra e del cielo. Ma nel poe-
ta moderno non c'è l'attonimento dei ' Sepol-
cri', non c'è quel colore impassibile. L'oblio e
il tempo diventano un fiato che spira uguale
ed eterno sospingendo uomini, animali, la na-
tura vegetante e gli stessi astri ad una sorte.
E quale sia questa sorte per i figli dell'uomo
che non si quietano al possesso della terra,
sospinti da una forza ignota a valicarne i
confini per vie senza ritorni, ce lo dice al fine,
affidandosi alla credenza cristiana d'un co-
mune approdo nell'al di là, dove Iddio atten-
de la sua messe per destinarla forse a nuove
fioriture.
Religiosa catarsi che toglie al mistero della
morte la caligine pessimistica e persuade ad
accettarla senza superbe quanto inutili ribel-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.9
lioni.
Un vento ignoto e altamente quïeto
ci sospinge tutti a una sorte.
Cede, andrà il filo d'erba
con la farfalla bianca che volteggia:
cede, andrà la rupe con la sua quercia
e quel fringuello che di su gorgheggia:
cedono, andranno gli astri che scintillano.
E i figli dell'uomo non quïeta
il possesso disteso della terra!
Ma gl'impenna l'ignoto sulle strade
senza ritorno.
E quali, lo sai Tu che ne raccogli
e ci riposi. Siamo la tua messe,
Signore. E di noi
forse seminerai tutt'altri campi
al di là degli spazii, oltre il tempo
per fioriture nuove e senza morte.”
Segue il commento, in più pagine, delicato
e profondo, cadenzato nella misura interpreta-
tiva ed appassionato nel convergere delle e-
mozioni evocate. Cefas, Giuseppe Gerini sarà
per il Pedrina e per tutti gli altri 'modulato
poeta'.
Anche nelle lettere successive i nomi della
corrente letteraria del Realismo Lirico ci sa-
ranno tutti ed il Pedrina raccomanderà all'
Amico Cefas di preservare le sue missive
con cura perché ha in mente di raccogliere
in una pubblicazione tipo 'Epistolario' queste
e quelle inviate ad Elena Bono, a Lionello
Fiumi, a Giulio Caprin, a Federico De Ma-
ria, ad Aldo Capasso e ad altri ancora. Ce ne
sono a centinaia, in giro nelle diverse case,
dice, e non si cura della censura, dato che
scrive sempre di getto. Vorrei trascrivere
senza esitazione e con reverente tremore
tanti dettagliati aspetti di questo interessante
progetto, ma questo sarà percorso intenso
del mio prossimo tempo, mentre forse si po-
tranno rinvenire proprio le tante, tantissime
lettere del Pedrina al Fiumi.
Ilia Pedrina Pag. 6: Francesco Pedrina e i nipotini Italo-hawaiani.
LUNA PIENA
Impareggiabile bellezza, immagine splendida.
La sua mente è illuminata dalla luce stellare.
La sua anima desidera pensare, ricordare...
Segue con brama lo splendore della Luna.
Il suo sguardo ammaliato dalla stellare com-
binazione.
il suo pensiero viaggia in profonda meditazione.
La Diana e le Pleiadi le fanno compagnia,
Sente la Luna che le sorride.
Pianeti, stelle, cielo chiaro, sfolgorante
la Luce dell'Universo abbagliante.
Davanti a sé si svela un mistero,
e lei, serena, si abbandona...
I suoi occhi chiusi strettamente,
mentre un venticello accarezza i capelli leg-
germente.
La Terra dal velo luminoso della Luna è ab-
bracciata,
e la Luce ovunque si è sparpagliata.
Alla Finestra del Cielo immenso,
la Luna è apparsa timidamente,
e come la Luna il suo percorso celeste
ha finito completamente,
così, anche lei, il suo cammino ha tracciato,
e nella vita il suo dovere ha terminato.
Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal Greco della stessa Autrice
ALI DI FARFALLA
Non lasciarmi con in mano
le ali della farfalla:
voglio anche il corpo della farfalla,
voglio che torni ancora a me vicino,
voglio che ancora
continui ad aleggiare a me dintorno
per portarmi
il tuo saluto e l’eterno tuo ricordo.
Mariagina Bonciani Milano
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.10
REALTÀ E
TRASFIGURAZIONE La filosofia dell’essere e l’arte
dello scrivere di Nazario Pardini
NA tematica che si può francamente
riassumere in quella annosa quanto
mai disputata questione fra arte e re-
altà oggettiva; fra arte e natura. Argomenta-
zioni che hanno determinato il flusso filosofi-
co-culturale-aristico da sempre: Dolce Stil
Novo, Umanesimo, Barocco, Manierismo, Il-
luminismo, Neoclassicismo, Romanticismo,
Verismo… E Saffo? e la grecità? e la romani-
tà? Chi più ne ha più ne metta. Ogni corrente
si è distinta dall’altra per una diversa interpre-
tazione del rapporto fra l’io e il mondo circo-
stante. Fino all’originalità Baudelairiana che
vede nel poeta colui che può auscultare la re-
altà col sesto senso. Sì, uno in più. Perché rie-
sce a percepire quella musicalità insita fra le
pieghe del reale, che l’uomo comune non rie-
sce a udire. Ed è proprio quella “sinfonia”,
secondo lui, a creare una simbiotica fusione
fra le cose che all’occhio comune appaiono
divise. Ma, per farla breve, secondo me, l’arte
non è ragione, né realtà scussa, l’arte è fanta-
sia, immaginazione, passione. La ragione,
semmai, tende a frenare quegli slanci onirici
tesi a superare il gretto verismo. L’arte ha bi-
sogno di un serbatoio a cui attingere. E quel
serbatoio è alimentato dalla memoria. E’ lei
che plasma la realtà mutandola in immagine.
Ogni piccolo fatto, ogni sguardo, percepiti e
degni di storicizzarsi, una volta decantati nel
nostro animo, si fanno alimenti indispensabili
per la resa estetica. Conosco tanti poeti che
hanno creduto di fare della poesia un annun-
cio politico, una rivoluzione sociale. La poe-
sia è altro.
Si potrebbe partire addirittura dai presocra-
tici, per non dire di Socrate, Platone, di Ari-
stotele per tracciare una linea sommaria che
tenga di conto dell’evolversi di tale rapporto,
considerando che sono certe condizioni a
permettere che tale tema della filosofia si svi-
luppi proprio in Grecia nei secoli VII-V a.C.
A determinarne l’esordio contribuiscono la
visione dell'arte, della religione e le condizio-
ni socio-politiche di quel periodo. E sopratut-
to Omero, Esiodo e la poesia lirica. Omero,
pur rifacendosi a ragioni mitico-storiche, ten-
ta di rappresentare la realtà nella sua totali-
tà. Ed Esiodo cerca di venire a capo del
«principio primo» da cui tutto ha inizio, ma
rifacendosi sempre al mito. E Socrate, quanto
al rapporto dell’io con la realtà, giunge al
concetto di limite, di giusta misura: quel «co-
nosci te stesso» del tempio di Apollo. Ma mi
piace aprire una parentesi su Saffo la grande.
Il suo rapporto con Pan è vario, e piuttosto
conflittuale. Nei suoi frammenti ci sono chiari
di luna, e scoperte di paesaggi serali vera-
mente moderni. Ma la sua ricerca è sempre
volta ad una Natura tormentata e violenta che
faccia da specchio al suo essere abnorme, al
suo involucro imperfetto, e “brutto”. Riesce a
soddisfare il suo spirito solo davanti a mari
che sbattono le loro onde fragorose su scogli
dissestati, o in mezzo a temporali forieri di
lampi paurosi. E bramerebbe che la morte la
raggiungesse nel momento del maggior go-
dimento erotico, perché tale beatitudine, tale
sperdimento dell’essere non venisse profana-
to dalla vita: “… Proprio qui,/ ove tu siedi,
stette il piede tenero/ dell’infelice Saffo che
Faone/ abbandonò. Nel cielo di quest’isola,/
lucido ed armonioso, riscontrava/ solo dolore;
andava su altre sponde/ ove il mare violento
tormentava/ gli scogli dissestati per rivivere/
il suo triste destino. Dalla cima/ di pietra ac-
carezzata dalle mani/ della dimenticanza, si
gettò/ in quest’onde fatali…” (Da Nazario
Pardini: Alla volta di Léucade: Fuga da set-
tembre, Viareggio, 1999); “Volevo/ che tutto
il mio sentire si spegnesse/ nella notte soffusa
e che l’immagine/ non guastasse la luce. Era
la morte/ ch’io bramavo nell’attimo superbo/
di eternare la gioia dell’amore./ La poesia e il
canto il grande dono/ furono degli dèi per il
deforme/ involucro dell’anima. Nessuno/
pronuncerà di certo il verbo furono/ per i miei
versi. Aleggiano con piume/ verso l’Olimpo
U
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.11
in questo nostro incontro./ Moriranno gli eroi,
le bellezze/ di cortigiane effimere e procaci,/
ma un cantico se eccelso volerà/ oltre gli spa-
zi frali degli umani./ E se restò il ricordo di
un’achea/ bellezza o ancor di più di gesta e-
roiche/ di un teucro si deve al grande aedo./ Il
luccichio del mare accompagnato/ dai trilli
lamentosi dei colombi,/ il frangersi dell’onda
sulle rocce/ logorate dagli anni, le tempeste/
che spruzzano la bava della schiuma/ sui volti
scoloriti e poi i riposi/ delle bonacce sulle ve-
le ai porti/ saranno giuste note che stasera,/
incise in poesia, legheranno/ il convivio all’
eterno” (Da Nazario Pardini: Alla volta di
Léucade: Agape di vino e poesia, Viareggio
1999).
Quanto al rapporto fra l’ego e il reale negli
artisti greci tende alla trasfigurazione: non si
riproducono mai le forme del corpo; e i volti
delle statue greche non tradiscono mai un
sentimento ben definito. Questi artisti utiliz-
zano i movimenti per esprimere quelli che
Socrate aveva chiamato “i travagli dell’ a-
nima”. Lo scopo principale, in relazione al
conosci te stesso di Socrate, era quello di co-
glierne il moto.
Platone critica la poesia; e Socrate afferma
che non è un vero sapere, ma una forma di
conoscenza infusa dalla divinità: il poeta in-
fatti quando compone è divinamente ispirato,
la divinità si serve di lui per comunicare (O-
mero canta sotto dettatura della Musa). Non
significa comunque che la poesia non valga
nulla per Platone: lui stesso può essere consi-
derato poeta. Basta citare lo "Ione", un dialo-
go platonico considerato "minore", dove ben
emerge che fondamento della poesia non è la
scienza, bensì l'ispirazione. Protagonisti sono
Socrate e Ione, un rapsodo. Ione si dichiara
espertissimo di Omero e di tutte le sue opere,
e ne dà prova recitando a memoria i pezzi più
svariati. Ma Socrate gli dimostra che il suo
sapere non si basa su conoscenza e scienza: è
un'ispirazione divina. Ci sono alcune diffe-
renze sostanziali tra arte greca e romana: i
Greci rappresentavano un logós immanente, i
Romani la res. I Greci trasfiguravano in mito-
logia anche la storia contemporanea (le vitto-
rie sui Persiani o sui Galati diventavano quin-
di Centauromachie o lotte fra Dei e Giganti o
ancora Amazzonomachie), mentre i Romani
rappresentano l'attualità e gli avvenimenti sto-
rici nella loro realtà.
Passando ai primordi della nostra letteratu-
ra, con lo Stilnovo avviene una vera sublima-
zione dell’amore e una vera idealizzazione
della donna. Un rapporto completamente di-
verso fra l’amante e l’amata, fra l’io cogitante
e la realtà. Si afferma un nuovo concetto di
amore impossibile, che aveva i suoi prece-
denti nella tradizione culturale e letteraria
trobadorica e siciliana, nonché un nuovo con-
cetto di donna, concepita adesso come donna
angelo, donna angelica. Parlare di lei è pura
ascesa e nobilitazione dello spirito, puro elo-
gio e contemplazione descrittivo-visiva che
consente al poeta di mantenere sempre intac-
cata e puramente potente la propria ispirazio-
ne in quanto diretta ad un oggetto volonta-
riamente cristallizzato e, ovviamente, giam-
mai raggiungibile. Ma è l’età dell’ Umanesi-
mo a segnare la linea di demarcazione fra il
vecchio e il nuovo nelle visione del rapporto
fra l’uomo e la natura. Nasce un’idea del tutto
innovatrice e cambia completamente questo
raffronto. Di conseguenza cambia la conce-
zione dell’arte, della vita, della morte, della
religione, della scienza e della politica. Men-
tre nel Medioevo tutto dipendeva dall’ordine
divino e la teologia era a capo di ogni attività
umana (basta citare Dante e la Divina Com-
media per notare che l’Aldilà era a capo di
ogni pensiero filosofico. La punta più alta
della conoscenza era considerata l’incontro
con la luce eccelsa e abbagliante del Supre-
mo), ora è una massima ripescata dagli anti-
chi romani - Appio Claudio Cieco - a con-
densare in sé la filosofia dell’essere e dell’ e-
sistere: “Faber est suae quisque fortunae”,
“ognuno è artefice del proprio destino”. Per
cui l’uomo si ritiene, sì, figlio di Dio, ma in
quanto tale deve dimostrare di esserlo dando-
ne prova colla sua azione e la sua creatività. E
non pensare passivamente di far parte di un
universo immutabile. L’essere umano divie-
ne, così, l’artefice primo del suo progresso in
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.12
terra; nasce l’uomo nuovo, fattivo, operativo,
scopritore che cerca di penetrare nei meandri
del creato e della Natura. Una filosofia di vita
che si trasmetterà all’Illuminismo tramite le
discours sur le methode di Cartesio col suo
Cogito ergo sum, che spingerà l’umanità alla
scoperta, al miglioramento del suo vivere, al-
la Rivoluzione industriale, al Positivismo, e a
tutte le fasi del progressismo scientifico, fino
ai nostri giorni, con un grande input per il set-
tore della medicina e della statistica. Al con-
trario, nella seconda metà del ‘500, nel perio-
do della Controriforma, comincia ad andare
in crisi la sicurezza spirituale e filosofico-
letteraria dell’Homo faber. Il primo a darne
un esempio è lo stesso Tasso. Con tutte le sue
irrequietezze e insicurezze, che lo avrebbero
portato in manicomio. Cambia il rapporto fra
l’essere e la realtà. Ci si chiede il perché della
vita, dell’esistere, del quando, del dove; ci si
interroga su tutti quei dubbi escatologici che
portano l’io a meditare e a riflettere sulla fra-
gilità della sua permanenza: malum vitae
post-rinascimentale. Spleen esistenziale che
sarà prodromico innesto per un Preromantici-
smo foscoliano o per un Romanticismo leo-
pardiano. Per un Decadentismo pascoliano o
pirandelliano e per quel filone di tutta la cul-
tura occidentale contemporanea che avrebbe
rispecchiato un animo inquieto alla ricerca di
una verità improbabile, e forse mai raggiun-
gibile. Si cercherà di reagire a questa psicosi
di impatto sottrattivo, ma in che modo? Con
sperimentalismi che il più delle volte portano
a spegnere l’io in un oggettivismo massacra-
tore della personalità dell’artista, e di dubbia
resa poetica.
Sì, perché non vedo l’arte come semplice
rappresentazione dell’oggetto che ci sta di
fronte. E credo che il vero artista non si debba
far intrappolare da propagande politico- so-
ciali. L’arte è qualcosa di più. E’ trasfigura-
zione, è slancio, è azzardo, è ricerca, è meta-
fora, è allusione, è manipolazione, tutto ciò
che va oltre la parola, oltre il nesso, oltre la
cruda realtà che ci condiziona. Montale è
grande perché soffre nel sapersi vincolato a
un quando e a un dove strettamente limitati
per il suo sentire. Non è certo la ragione a
spingerlo a considerare gli ossi di seppia me-
tafora della vita. Ma il suo palpito esistenzia-
le. Quell’abbrivo che va contro ragione e che
ci porta a vedere nelle cose tutto ciò che in
esse è nascosto. Ed è giusto considerarlo co-
me il più fedele continuatore della poetica le-
opardiana. E Calvino è un vero artista in
Marcovaldo, perché è lì che esplode con ele-
ganza e semplicità comunicativa la sua inda-
gine. C’è già presente, se si vuole, il rifiuto di
una civiltà invasiva, di un progresso che a-
vrebbe sovvertito l’ordine naturale delle cose;
e che avrebbe fagocitato l’individualità dell’
umanesimo; e lo fa con ironia, con garbo, con
il sorriso sulle labbra, anche, spedendo Mar-
covaldo a fare la villeggiatura nella piazza di
città e facendogli scambiare il semaforo con
la luna. Facendo una apologia della campa-
gna, della naturalezza, dell’uomo che è inte-
grato con la terra. Sovvertendo i dati concreti.
Una satira di contrasto, quasi pariniana, ti-
po L’incipriatura, o La vergine Cuccia. Se-
condo me si preannuncia già, con sottigliezza
e verve calviniana, quel realismo terminale di
cui si sarebbe abbuffato Oldani o chi per lui.
Vera indagine, la sua, dello sdoppiamento
dell’animo umano; servirsi delle cose per a-
dattarle alle sue emozioni. Tutto frutto di un
amore per la madre primigenia, in tutte le sue
manifestazioni; di un’anima che trova la sua
identità in certe avventure iperboliche tipiche
dell’autore. Definirle irrazionali non è azzar-
dato. Ed è giusto il riferimento al Parini. Lo
definirei proprio l’iniziatore del filone lom-
bardo che, secondo me, poi, si stravisa mu-
tandosi in avventure sperimentali che niente
hanno a che vedere con la poetica pariniana.
Voglio dire, a parte i tempi, che le tematiche
si fanno forzatamente realistiche, motivate
più da una necessità di rappresentare oggetti e
questioni, di propagandare idee, che da una
vera ispirazione. Intendendo per tale la vera
passione che dentro urge, irrazionalmente, e
porta ad esprimere sentimenti che precedono
lo stesso pensiero. La poetica del Parini, sì, è
volta ad un discorso sociale, è inconfutabile.
Soprattutto in certe odi, come La caduta, e
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.13
più ancora in Il giorno; ed è vero che si sca-
glia contro una società di cicisbei e fannullo-
ni, di corrotti, e “gozzovigliatori”, ma lo fa
con motivazioni che gli sgorgano impetuose
dall’animo, con quella passione che sente l’
urgenza della poesia. E lo fa con uno stile
nuovo, portatore di una vera narrazione rivo-
luzionaria: la satira di contrasto; è sufficiente
leggere Il risveglio del giovin signore per
rendersi conto del capolavoro davanti a cui ci
troviamo. L’ultima voce satirica della nostra
letteratura era stata quella dell’Ariosto. Una
satira cosiddetta bonaria, oraziana più che
giovenaliana. Con il Parini la satira è conse-
guenziale, frutto di un confronto di due poli
contrastanti. Mai diretta: la bellezza dell’alba
descritta con una partecipazione bucolica, u-
nica ed affascinante; il giovin signore che, al
mattino, rientra dalle solite sue feste precedu-
to da due ordini di teofori; dall’altra il plebeo
che lascia le calde coltri, e si alza per andare
al duro lavoro della terra; alla fatica dei cam-
pi; proprio alla stessa ora. Quindi, tirando le
somme, questo filone ha perso la sua origina-
lità. Ha preso tutt’altra strada fino a convertir-
si in un realismo squallido ed omologante,
vòlto solo a raziocinare, senza alcuna inven-
zione personale. Lo direi quasi un oggettivi-
smo spersonalizzato il cui solo merito è quel-
lo di distruggere la vera anima della poesia:
fantasia, immaginazione, sentimento, musica-
lità, creazione, voli di grande portata metafo-
rico allusiva, dacché ogni argomento è valido
per trarne ispirazione - politico, sociale, eroti-
co, satirico… - basta che non sia frutto di un
processo razionale; deve essere il sentimento
lì in agguato a captare il suggeritore esisten-
ziale, deve essere lui poi a consegnarlo all'a-
nima; sarà lei a tradurlo in poesia.
E la parola? quell'involucro indispensabile a
contenere il tutto? Non sarà mai sufficiente a
definire compiutamente la massa delle emo-
zioni che un artista ha dentro. E tanto meno il
pittore giungerà definitivamente all’atto su-
premo della perfetta creazione visiva. Perché
siamo mortali e in quanto tali deboli, fragili.
E se da un lato la nostra fragilità è motivo di
ispirazione, dall’altro è anche il circuito entro
cui noi siamo condizionati. Quel breve spazio
che ci limita e ci rende imperfetti. Quindi e-
sprimere la trasfigurazione è la maniera mi-
gliore per avvicinarsi il più possibile all’ inar-
rivabile.
Insomma, alla fin fine, vorrei che ogni arti-
sta sentisse l’urgenza di travalicare il fatto
crudo, e di non restarne invischiato, in quanto
egli stesso è un uomo e come tale ambisce a
superare il contingente e scavalcare quella
siepe che è strettamente vincolante e vincola-
ta al fatto di essere umani. Ed è proprio que-
sto il nocciolo per cui non è sicuramente vero
che tutto è buono per far poesia. Nella stessa
Divina Commedia bisogna saper distinguere i
momenti di alta espressione artistica da altri
di pura retorica. Soprattutto quando Dante si
cimenta in argomenti di carattere astronomi-
co, legislativo, o scientifico in genere. Si po-
trà parlare di concetti tradotti in metrica, ma
non sicuramente di grandi slanci artistici.
Come giustamente afferma Luigi Malagoli in
“Stile e linguaggio nella Divina Commedia”:
ci sono argomenti che la ragione assimila e ne
fa teoria, ma che l'anima non riesce a rendere
suoi per tradurli in arte. Né tanto meno si può
parlare di Poesia quando la si vuole ancella di
propaganda politica, o la si vuole declinare in
manifesto tipo futurismo del Marinetti o
gruppo '63 del Sanguineti. Lo stesso che si
sarebbe poi pentito di avere prodotto scritti di
uno sperimentalismo fazioso e partigiano. E'
possibile che la poesia possa ridursi solo a
forma? E' quello che voleva. La Poesia ha bi-
sogno di libertà, di armonia, di passione, di
inventiva non di farsi strumento. Deve essere
lei a scegliersi la materia. E una formula di
matematica non sarà mai soggetto per un'a-
nima disposta al canto. La ragione fa scienza,
filosofia; l'anima e il sentimento fanno arte.
Insomma posso creare un poema con tutto ciò
che la mia anima riceve, digerisce, trasforma
e traduce. E questo può accadere anche con
un ingorgo su una autostrada; basta che quell'
ingorgo sia vissuto come esperienza esisten-
ziale di un momento, di un tempo particolari,
adatti a scatenare emozioni. Ma se mi ripro-
pongo di limitare lo sguardo solo a quell' og-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.14
getto, no!, non ci siamo! Per essere più preci-
si, quindi, diciamo che ogni argomento può
essere valido, basta che abbia il consenso dell'
anima. Ma una cosa è sicura, lasciamo da par-
te la ragione, e facciamoci trasportare dalla
musica. E per dire del realismo terminale di
Oldani o degli epigoni della “linea Lombar-
da” credo che in questi casi si cada in un og-
gettivismo assillante e trito, carente di quelle
spinte emotive indispensabili ad una vera resa
artistica. E a proposito mi trovo d'accordo con
Pasquale Balestriere e vorrei concludere col
suo pensiero: "Per il resto, con tutto il rispetto
dovuto alla “linea lombarda” e ai suoi mag-
giori rappresentanti, non mi appaiono convin-
centi i suoi epigoni, ridottisi ad un oggettivi-
smo pseudofilosofico, denotativo e minimale,
proprio di chi, pur non avendo fiato e voce,
intende cantare. Perché, come scrive Pardini
“l’arte non è ragione, l’arte è fantasia, imma-
ginazione, passione”. Né mi appassiona il
“realismo terminale” di Oldani, con gli ogget-
ti veri protagonisti di ogni realtà, ” tanto che è
l’oggetto ad essere l’artefice primo del nostro
vivere; ed è esso a pilotarci, e a impossessarsi
di noi: è esso che ci invade, impedendoci l’
attuazione di una ricerca: la conoscenza stes-
sa dei nostri desideri”.
Nazario Pardini
LA MORTE
Netto è il passaggio delle ombre
quando decade la forma
in cenere di consumazione.
Superato il limite,
si scioglie l’annodata energia
dell’essere che ieri univa
gli arti e il volere.
La vita è momento magico
che si spezza
se l’olio non alimenta la fiamma,
se da mattina a sera
il ritorno non riaccende il presente.
Le membra fragili
non hanno un tempo,
soltanto gli istanti
se il flusso rinnovato di sangue
si trasmette
e la pelle calda ancora vince
la stasi delle cellule morte.
Spazio profondo scava
il ricordo che rende la pallida effige
più leggera del sogno.
Inafferrabile il cielo,
con dilatata trasparenza
ha una fissità nuova
ed incontra la terra
in immensità parallele;
la terra che è viva sotto i cipressi,
mescolata con gli ossi minuti
quasi un sudario per i corpi supini.
Dentro la sua superficie
c’è l’odore di fosforo
che si lega ai fiori marciti.
La terra lievitata fermenta
con le spoglie cadute
ed attorno alle radici
feconda gli altri semi.
Nell’azzurro ascende lo spirito
che dal bozzolo consunto si stacca
come farfalla per l’eterna luce.
Leonardo Selvaggi Torino
PARADOSSO
Statua di Tony Cragg esposta nel
Duomo di Milano
4.11.14-31.3.15
E’ tutto un attorcigliarsi rotondo
di morbide curve
questo luminoso blocco
di lucido marmo bianco
scintillante
sotto la luce dei faretti.
E’ tutto un intrecciarsi
di strani motivi
tendenti con forza a raffigurare
immagini umane vogliose
di uscire all’aperto.
E’ tutto uno sforzo a salire,
a superarsi,
a librarsi più in alto.
A liberarsi.
Mariagina Bonciani Milano
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.15
IL NARRATORE
GIOVANNI FRASCONI
E “QUELL'ANTICO
SUONO DI CHITARRA” di Luigi De Rosa
IOVANNI Frasconi è uno scrittore
ligure di novantacinque anni (è del
1920) che ancora svolge, e bene, la
propria opera culturale a Chiavari (Genova)
anche come socio fondatore del Centro cultu-
rale “L'Agave”. Originario di Dèiva Marina
(La Spezia), giornalista pubblicista, ha scritto
per giornali e riviste e ha vinto numerosi
Premi letterari.
Tra i suoi libri ricordo I dialoghi del signor
Palocchi, Quell'antico suono di chitarra, e un
libro di Enigmistica classica, Giochi di paro-
le, pubblicato dalla casa editrice De Vecchi di
Milano, che pubblica la notissima rivista La
settimana enigmistica (tra i suoi collaboratori,
da tanti anni, anche Frasconi).
Le caratteristiche più satiriche e ironiche,
didascaliche e gnomiche di questo autore le
troviamo nel protagonista dei “Dialoghi del
signor Palocchi”, mentre quelle più intima-
mente poetiche le troviamo in Quell'antico
suono di chitarra, una raccolta di 24 racconti,
uno dei quali in particolare, quello epònimo,
racchiude la “filosofia” di Frasconi uomo di
penna. Che comunque nella sua vita non ha
vissuto soltanto di penna quanto di lavoro e di
fatica esercitando i più disparati mestieri,
compreso
quello di
commesso
in un ne-
gozio di
abbiglia-
mento (Si
legga il
racconto
Chi porta i
calzoni e
chi li fa
portare).
Ed ha sempre considerato il lavoro come una
cosa molto seria, che afferisce non solo alla
sfera economica dell'uomo, ma anche, e so-
prattutto, a quella etica.
In questi 24 racconti (molti brani dei quali
sono autentiche prose liriche) risultano parti-
colarmente affascinanti le descrizioni della
Liguria di Levante e dello Spezzino. Anche
se attraverso la lente “deformante” della me-
moria, ci restituiscono il gusto e il profumo
dell'infanzia e della giovinezza sana e serena,
trascorsa in un ambiente sano e sereno, non
ancora così deturpato e inquinato (sia all' e-
sterno che nelle coscienze) come da troppi
anni a questa parte. (Bello il racconto C'era
una volta un Torrente).
E qui, si badi bene, non si parla di una gio-
vinezza vissuta nella bambagia, in mezzo alle
comodità. Lo scrittore ci ricorda, infatti, che
“...la giovinezza, anche quando la si percorre
in salita e coi denti, stentando a trovare il
proprio gradino, ha in corpo una magia che
lascia il segno. Chi l'ha trascorsa poi in pic-
coli paesi, nel silenzio colorato di nubi e di
azzurro ritmati sulle albe e sui tramonti, se la
ritroverà un giorno come sostegno alla vec-
chiaia...” (Falò e cenere).
“Quell'antico suono di chitarra”, il racconto
sopra citato, ci presenta il personaggio di
Meneghèn: “ Meneghèn viveva d'un bicchiere
di vino e di un saluto. Era un uomo mite e
quando aveva un bicchiere di vino cantava
qualcosa sottovoce, appena sopra il respiro.
Salmodiava parole oscure portate dall'estero
dove aveva vissuto a lungo, finché si appiso-
lava. Ripeteva sempre lo stesso motivo, una
nenia desolata che impregnava l'aria d'una
assurda malinconia...”. Dove Meneghèn può
essere l'alias dell'Autore, e l'”estero” può rap-
presentare la massa degli anni trascorsi, che
velano gli antichi sogni giovanili; e la chitarra
può simboleggiare lo strumento poetico- let-
terario, amato e gelosamente custodito.
Nessuno dei presenti, quella sera sulla piaz-
za Colombo di Dèiva Marina, immaginava
che Meneghèn sapesse suonare con tanta ma-
estrìa, eppure...tra la diffidenza generale egli
...” aggiustò la posizione, sistemò meglio la
G
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.16
chitarra sul petto (una chitarra non sua) e le
dita presero a muoversi in ordine a una tec-
nica precisa. E la chitarra cantò. Cantò come
forse mai. Pareva che ne uscissero due, tre
voci legate a un unico tema squisitamente ac-
cordato. Mentre le dita minori seguivano un
filo melodico di infinita dolcezza, il pollice
stimolava i bassi in sottofondo pacato, dove l'
armonia acquistava solenne cadenza. Piazza
Colombo, investita di magia, perse i connota-
ti: la sua struttura, l'odore della notte e delle
colture recato dal corridoio delle strade, la
ragazza, tutto soggiacque alla magistrale e-
secuzione...L'uomo era partito via, oltre i
confini del presente, tornato con la mente in
una realtà tutta sua e priva di intrusi, beata o
amara secondo i tratti del ricordo...”
Il racconto si conclude con una descrizione
fatata della notte e dei presenti, in questo pae-
se natìo “ dove le distanze parevano enormi
ma si percorrevano in un baleno...”.
Frasconi racconta a cuore aperto, con stile
semplice e schivo di “trucchi del mestiere”,
così riesce a catturare la sensibilità del lettore
il cui gusto non sia stato ancora “rovinato” da
certa narrativa commerciale e insincera.
Sono molte le descrizioni felicemente riu-
scite di torrenti, campagne, piante, piccoli a-
nimali, bambini, personaggi “minori” intrisi
di freschezza e di poesia. Non mancano anche
stupende descrizioni di burrasche di mare.
Così come non mancano le rievocazioni di
usanze di paese, e di abitudini di vita in cui si
respira pace, onestà e rispetto per le persone,
gli animali e l'ambiente. Oltre a Meneghèn,
non posso non ricordare, anche se brevemen-
te, la bambina Angelina che con una canna si
arrampica di notte su un monte per toccare il
cielo (Angelina e la canna); la suora infer-
miera de I colpi di martello; il siciliano im-
migrato Pileggi di Lepre o coniglio ? che gio-
ca una saporosa burla a una brigata di buon-
temponi facendo balenare alla mente, anche
se alla lontana, una scena di stile boccacce-
sco; il maestro elementare (l'Incorruttibile)
del figlio di Palocchi, che riempie il genitore
di attenzioni e di rispetto credendolo una per-
sona importante; lo stesso signor Palocchi del
racconto Ora che non fai niente, che dopo
appena un mese dal pensionamento dopo cin-
quant'anni di lavoro, torna disperato dal prin-
cipale perché lo riassuma. Non ne può più di
essere vessato dalla moglie, che lo carica di
lavori domestici in quanto non ha più nulla
da fare. Preferisce tornare a lavorare in uffi-
cio. (Persino a fare il facchino)
Luigi De Rosa Giovanni Frasconi – Quell'antico suono di chitarra
– Rupe Mutevole Editrice – Bedonia (Parma) –
pagg. 136 – euro 12 - ( Illustrazione di copertina di Elvio Chiappe).
CHISSÀ QUANDO
È quasi un momento d'avventura
per gli altri
starsene a guardare
qualcuno ch'esce
fuori dai binari
(brevissimo supercontenuto
momento d'avventura).
Poi tornano all'apatia
su binari morti
quasi morti.
Contato hanno già
tutte le tegole
dei palazzi di fronte
dopo aver legato tutti
i fili d'erba
nella strada d'ogni giorno.
Chissà quando perderanno
d'essere altrove
la speranza.
Chissà quando vinceranno
un ventriloquo di plastica
con cui comunicare.
Chissà quando creeranno
una spada immateriale
per trafiggersi lo Spirito
riconoscendo
d'esseNe Uno
d'Essere Anima.
Michele Di Candia Inghilterra
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.17
Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta di
ROSSANO ONANO
DOMENICO DEFELICE: UNA SATIRA RINNOVATA
SULLE STORTURE ITALICHE di Andrea Bonanno
DITO, nel settembre del 2014, da
“Il Convivio”, con prefazione di
Giuseppe Leone e nota di Angelo
Manitta con il titolo di Alleluia in sa-
la d’armi. Parata e risposta, il volumetto di
Rossano Onano e Domenico Defelice presen-
ta le pubblicazioni della rubrica satirica,
comparse nella rivista Pomezia-Notizie dall’
aprile 2012 fino allo stesso mese del 2014.
Nel libro ogni “Alleluia” presenta una ripresa
innovativa della satira basata su un raffronto
o contrasto menippeo a connotazione commi-
surativo-dialogica tra gli input prosastici,
pungenti e provocatori dell’Onano e le rispo-
ste ironiche in versi del Defelice.
In effetti, il raffronto, non si offre come un
duello oratorio e neanche come un talk show
uggioso di un sollecitatore importunante ed
un poeta non sempre consenziente, in quanto
se il primo rivela subito dei fatti un diffuso u-
tilizzo delle contraddizioni e delle diverse in-
terpretazioni ideologiche, poniamo fra vesco-
vi anglicani e cattolici, fra l’insegnante e il
Vescovo di “Alleluia del parlare chiaro”, p.
39, ecc., l’altro, temperante e bonario, nei
suoi versi, densi di sale italico, rifuggendo
dalle smaniose manifestazioni dell’ira e da
qualsivoglia ambiguità, dà luogo ad un’ironia
oscillante tra il serio ed il faceto per poter
placare lo sdegno e il suo corruccio per gli
innumerevoli casi di corruzione e per poter
scoronare le implacabili ottusità, le perduranti
ipocrisie, i vizi e le mistificazioni dei potenti,
che hanno portato al collasso la società e la
vita del nostro tempo.
Il libro si presenta come un amaro caleido-
scopio di casi problematici, pedestri e con-
traddittori della realtà italica, divenuta caotica
ed illeggibile per via delle interpretazioni fal-
laci e le azzardate e assurde risoluzioni pro-
poste ad ogni serio problema, secondo l’ O-
nano, mentre i versi del Defelice, assumendo
il tono del linguaggio parlato della quotidiani-
tà, sono indirizzati a sferzare personaggi ed
istituzioni, utilizzando l’ironia ed il sarcasmo
tesi al massimo, riuscendo talora un po’ mor-
dace, ma spesso smuovendo il riso, consape-
voli che il suo spirito di poeta è sorretto da
un’alta moralità (“incorrupta Fides, undaque
Veritas”), che di certo è la prioritaria condi-
zione di nascita di qualsiasi forma di compo-
sizione satirica.
Il libro offre una nutrita raccolta di varie
composizioni vertenti su molti temi come le
tasse, la discriminazione, la pari opportunità,
il rapporto matrimoniale, il risparmio energe-
tico, la protezione civile, ecc.
Tra i personaggi vengono alla ribalta un fi-
schiato Celentano che “dall’alto della spoc-
chia/ dà lezioni al mondo intero./ Lui si crede
già il Messia” (p. 13), il Monti che ha peggio-
rato la crisi colmandoci di tasse e arricchendo
le banche, uno dei tanti esemplari politici, che
al pari di “voraci iene”, continuano a suc-
chiarci il sangue, il comandante Schettino,
additato come l’unico responsabile del disa-
stro della “Costa Concordia” con più di trenta
morti, ma benemerito alle Agenzie turistiche
per avere invogliato quel fitto stuolo di im-
provvisati turisti soliti sempre a trasformare
qualsiasi tragedia in un narcisistico spettacolo
fotografico.
Tra gli argomenti trattati vi è l’Imu maggio-
rata, che dovrebbe essere pagata dai vecchiet-
ti ma non dalle banche perché sono esse delle
istituzioni benefiche, ma così benefiche da
non credere, tanto che, dovendo contribuire
ad aiutare le diverse aziende sull’orlo del fal-
limento, i soldi prestati dall’Unione Europea
invece sono serviti alle stesse per poter specu-
lare acquistando dei Titoli di Stato.
Si parla anche della nuova stazione AV di
Reggio Emilia, progettata dall’architetto San-
tiago Calatrava a Mancasale di Reggio Emilia
con grave spreco di denaro pubblico, in quan-
to, afferma il Defelice, “La TAV è fatta per le
lunghe distanze/ per le brevi non vale”; si ar-
E
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.18
gomenta pure del “bandire il corpo della don-
na da qualsiasi pubblicità”, anche perché certi
cartelloni pubblicitari hanno creato imbarazzo
e causato degli incidenti automobilistici, ma
sembra al poeta un’idea balorda e da taleba-
ni, facendoci ritrovare la Venere del Botticelli
e le altre figure femminili dell’arte con le mu-
tande. In “Alleluia della creatività” si parla di
uno scimpanzé artista, di nome Brent, che ha
vinto in un concorso di pittura, usando la lin-
gua al posto della zampa. Ma non c’è da me-
ravigliarsi, risponde il Defelice, se il critico
Palma Bucarelli “col mio e col tuo denaro, /
comprava per esporre un po’ di stronzi:/ l’
ormai celebre assai Merda d’Artista!”, p.33.
Per un’allerta climatica poi La Protezione Ci-
vile è solita giocare allo scaricabarile, tanto
che essa “E’ un posto per politici e volponi, /
non certamente un luogo deputato / per sagge
strategie e per le azioni…”, continuando con
brio a ricordare le escortine di lusso… i mas-
saggi ed un certo massaggiato.
Il libro accattivante spinge sovente al riso
per certe situazioni inverosimili e facete, an-
che se offre delle amare considerazioni sull’
Italia di fronte al mondo, che è un’ “immensa
tartufaia,/di tuberosi e funghi-ipocrisia:/ buo-
ni, i primi, a condir molte vivande;/mèntori
gli altri di bacchettoneria”, p. 24. Il poeta è
come “Benedetto,/schifato di banche e di pe-
dofilia,/una rondine stanco ad aspettare” e in
“Alleluia della speranza”, alla fine, riesce a
dire che “ mai siam fuori tempo per sperare”
(p. 27).
Di contro alla dissolutezza e perversione dei
costumi dell’italico suolo, il Defelice usa un’
ironia garbata fatta di asserzioni facete, ri-
prendendo in modo innovativo alcune caratte-
ristiche salienti della menippea come la sin-
crisi (ossia il raffronto delle idee), anche se
non basata sulle questioni ultime del mondo,
ma sulla problematicità delle situazioni ideo-
logiche della quotidianità per un più autosuf-
ficiente assetto della verità, contro gli inter-
venti inopportuni e le interpretazioni fallaci di
parte, in forza di una scoronazione e ribalta-
mento ambivalente, che mirano alla prospet-
tazione di un diverso ed opposto punto di vi-
sta, di fronte a quanto ci viene proposto dai
giullari di una pseudo democrazia come valo-
re assoluto, che in realtà si rivela ormai molto
discutibile.
Non per nulla il Bachtin ha scritto che la
fantasia di un poeta nella satira menippea
“serve per la ricerca, provocazione e, soprat-
tutto per la sperimentazione della verità”1.
Nella luce di questa rinnovata satira menip-
pea risaltano del Defelice la sua fantasia in-
ventiva, il brio e la vivacità delle immagini
che concorrono nel rilevare, avvalendosi di
incisivi ed efficaci versi, il tremendo torpore
di un presente arido e vuoto, non rischiarato
da alcuna pur flebile luce di un necessario
rinnovamento politico, sociale ed etico, ma
che invece mostra già molti sintomi di un in-
combente futuro, turbinoso e cupo.
Andrea Bonanno 1 Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilisti-
ca, Torino, Einaudi, 1968, 3a Edizione, p. 149.
PAROLE DI FANGO
Ai tuoi piedi un cuore
disprezzato,
a bruciare il gelo dell'inverno
fradicio il mio volto di pianto.
Triste strumento è il mio destino,
non sostengo la mia stella,
oggi sento l'ansia
che lacera l'anima
e cerco di annullarmi in occhi straziati
di dolore, la pena
sovrasta questo giorno,
irrompono diluviando
parole di fango
su questo amore fatale.
Questo amore così distante,
cosi vicino a noi.
Mentre camminiamo lentamente
lungo la strada illuminata di giallo,
di questo tracciato vi sarà solo un ricordo?
Si cancellerà come il tempo,
svanirà al di là di ogni speranza,
solo con l'ultimo bagliore della notte
noi vivremo per sempre.
Adriana Mondo Reano, TO
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.19
LA “MIMOSA” DI
PAOLA INSOLA di Luigi De Rosa
noto che la mimosa, quell'acacia dai
profumatissimi fiorellini gialli, simbo-
leggia la donna moderna, o meglio, la
lotta della donna per l'emancipazione e l'e-
guaglianza, per la dignità personale oltre che
per il benessere comune. E questo dagli Anni
Cinquanta, quando i suoi rametti vengono of-
ferti alle donne l'8 marzo (Festa internaziona-
le della donna).
Questo mannello di poesie (14) di Paola In-
sola (di origini vercellesi ma abitante a Tori-
no, non nuova a successi in Concorsi lettera-
ri) si è classificato, col titolo di Elogio alla
mimosa, al secondo posto nel Premio Città di
Pomezia 2014, e potrebbe rappresentare un
richiamo importante al femminismo, ma a
mio parere si pone soprattutto, e realistica-
mente, come un omaggio augurale alla Donna
nell'ambito delle società attuali. Cominciando
dalle nipotine dell'Autrice, Gaia e Adele,
“virgulti di vita” che nel suo cuore sono già
“solenni fronde”. Per continuare con tutte le
donne che, in condizioni materiali e psicolo-
giche difficili (quando non disperate) lottano
per il “riscatto da una vita di stenti” e comun-
que per il benessere della propria famiglia e
di se stesse. Risultando benefiche, preziose,
per la stessa comunità sociale, anche se que-
sta non sempre lo riconosce o lo apprezza a-
deguatamente.
Pensiamo all'operaia bengalese intrappolata
da ore tra le macerie/ del Rana Plaza, alla
periferia di Dacca, crollato per colpevole
speculazione e brama di profitto alle spalle
della salute e dell'incolumità degli operai. E
pensiamo alla sua compagna di sventura,
anch'essa imprigionata tra le macerie, che
strisciando, faticosamente la raggiunse. E
pensiamo ai tram di notte, che sferragliano
nostalgie/ lungo strade diffuse di luci...I cieli
sono vegliati dalla stessa luna, ma gli appar-
tenenti a razze diverse, anche se seduti accan-
to, sono mondi ostili che scoprono/ snodi di
parole esauste d'una storia/ ostinata a forgia-
re distanze: anziché affrontare un dialogo ri-
tenuto difficile (o addirittura inutile) si prefe-
risce attendere la propria fermata per rifugiar-
si tra solide mura/ setacciando timori pere-
grini...
Queste sgorgate dalla sensibilità e dalla ve-
na poetica di Paola Insola non sono comode
liriche intimistiche quanto sofferte espressio-
ni di “poesia sociale” o impegnata. Sgorgano
non solo, e non tanto, da sentimenti “privati”,
ma anche da generose e dolenti esortazioni
alla solidarietà sociale e umana. Trovando,
forse, maggiori ostacoli sul proprio cammino,
proprio dal punto di vista della resa letteraria
e artistica. E come si sa, tra i pericoli che il
“poeta sociale” deve affrontare, può esservi
quello della prosasticità e del didascalismo, se
non della retorica di cervello o di cuore. Ma
la Insola, scrittrice esperta anche di saggistica
e critica letteraria, dimostra a chiare lettere di
essere anche una sensibile, equilibrata e raf-
finata poetessa. Si legga, ad esempio “Simbi-
osi” (in cui, stavolta, l'”omaggio” è rivolto a
se stessa):
“ Sono mare in empatia di luna
complici di un moto che respira la terra.
Sono goccia nel grembo dell'onda
che tracima versi su scogli indifferenti.
…...................
Sono naufrago quando indago
i recessi dell'anima
sconvolti dal rombo grondante
tra due istanti consecutivi.”
Si pensi ad un altro significativo testo “im-
pegnato”, tratto anch'esso dalle cronache dei
media, intitolato Ri-nascita (riferito al tifone
Haiyan, che ha colpito le Filippine nel no-
vembre 1913). Si racconta (sì, perché quella
della Insola è anche una poesia “narrativa”) di
una bambina, Bea Joy, la “gioia di un miraco-
lo” che nasce in mezzo al caos e alla distru-
zione su una tavola di legno lercio/ nell'aero-
porto semidistrutto/ adibito a sala parto d'e-
mergenza.
Ha sfiorato la tragedia sua madre
già in balìa delle acque tra le macerie
È
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.20
afferrata appena in tempo dal marito...
Uno squarcio di luce, il vagito di Bèa...
….........
Urla ancora, piccola Gioia
per dire alla nostra distrazione
quanto costa, in numero di vite
inquinare il pianeta.
Resisti ancora, popolo minuto
sull'ipocrisia dei governi che ignorano
vincoli stabiliti per risanare la terra...
Sono poi da segnalare I violini di Cracovia
città dove la storia
ha scolpito tutto il bene
e tutto il male del mondo.
Ma diciamo che tutte le quattordici poesie
meriterebbero di essere citate, perché trattano,
con passione e partecipazione culturale e let-
teraria, di alcuni dei problemi più spinosi e
importanti nella vita del mondo attuale.
Luigi De Rosa Paola Insola – Elogio alla mimosa – Il Croco - I
Quaderni letterari di Pomezia-Notizie - n° 116 (di-cembre 2014). Prefazione di Domenico Defelice (
Un fiore per tanti drammi).
UNA TAZZINA DI CAFFÈ
Salite incredibili cercano il vuoto fatale at-
trazione di giovani uccelli,
rimirando il paesaggio entro in me e scopro
l’ io nell’inconscio nascosto.
È come penetrare una tempesta,
nuvole nere con le bianche si fondono,
il vento ti porta nel vortice,
emozioni riflettono l’ anima.
Perché son rimasto solo?
Me lo chiedo da tempo…
Io che ero molto amato dell’amore adesso
son spoglio.
Mondo come mela matura di cui non ricordo
il profumo.
Giallo ginestra davanti al mio sguardo nelle
sere di giugno.
Corpus Domini tra le vie del paese.
Lo accompagna una nenia,
fanfara a passo cadenzato che trasporta tristezza.
Mio Dio dammi la gioia!
Prendendo a calci una zolla.
La cavalletta impaurita salta….Si sono paz-
zo… Pazzo di vivere nell’incertezza.
Solo l’ortica lenitiva rimane allo stropicciar
delle mani.
Dona la grazia non punge, non irrita…
Non è come l’ enfasi inebriata dagli effluvi
di primavera,
da dolci e remote nostalgie di un tempo ca-
duto a terra come foglie d’autunno,
che hanno perso la speranza di vibrare nel vento.
Questo stato mi esalta e mi affligge.
Trovo temporaneo ristoro in una tazzina di
caffè…
L’aroma evoca momenti felici intorno a
quel tavolo…
Dove mi fecero compagnia,
scaldandomi il cuore,
gli affetti più veri di un vissuto rimpianto.
Colombo Conti Albano Laziale, RM
EUROPA
L'urlo dei corvi aleggiò lontano
quasi il pianto di una libertà sovrumana,
mentre moriva il canto di questa Europa
senza poemi,
muta di spirito degli uomini, poi all'improvviso
s'udirono i passeri cantori di questa terra
saccheggiata;
I chiurli, i fringuelli il loro richiamo di fine
inverno,
cantori dei bucaneve e delle primule a
consolare
questa Europa caduta nella galassia dell'
indifferenza,
per una morte quasi annunciata.
Dove sono le canzoni dei confini, delle foreste,
le voci delle onde e dei fondali, che tu Europa
non sai più ascoltare, dove sono?
Nella tua carne si dissanguano gli dei,,
si inchiodano le stelle nel tuo cuore,
Potrai essere terra che nella luce rinasce,
paradiso perduto al ritorno della vita,
potrai se lo vorrai con la tua anima, nella fede
dei tuoi uomini indomiti e guerrieri, per una
nuova generazione di speranza e futura felicità.
Adriana Mondo
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.21
ROBERTO ARDIGÒ Vita e opere
di Leonardo Selvaggi
I
OBERTO Ardigò nasce nel 1828 a
Casteldidone in provincia di Cremo-
na. Filosofo positivista, sacerdote. In-
segna nel seminario e nel liceo di Mantova.
Canonico nella cattedrale della stessa città. La
messa all’indice del Discorso su Pietro Pom-
ponazzi (1869) e la sospensione a Divinis de-
terminano una crisi religiosa che lo costringe
a deporre l’abito ecclesiastico nel 1871. Il po-
sitivismo si impone in Italia dopo l’ unifica-
zione. Fondatori sono due discepoli del Ro-
magnosi: Giuseppe Ferrari (1812 - 76) e Car-
lo Cattaneo (1801 - 1869) che integra la psi-
cologia individuale con la psicologia sociale.
Importanti i risultati criminologici con Cesare
Lombroso (1836 - 1909), nella pedagogia con
Aristide Gabelli (1830 - 1891), nella storio-
grafia con Pasquale Villari (1820 - 1918) e
nella medicina con A. Murri (1841 - 1932).
La formulazione sistematica, che ha una ricca
influenza su tutta la cultura italiana negli ul-
timi decenni del secolo, la troviamo nella dot-
trina di Roberto Ardigò. Avversi allo spiritua-
lismo di Rosmini e Gioberti e all’Idealismo
che va diffondendosi nell’Italia meridionale, i
positivisti italiani si collegano come filosofi
allo sviluppo delle teorie scientifiche, critica-
no la metafisica e approfondiscono gli studi
antropologici, giuridici e sociologici. Il posi-
tivismo italiano, vicino alla cultura europea,
coinvolge anche intellettuali che hanno pro-
mosso il movimento operaio, come Enrico
Ferri (1856 - 1929).
II
Roberto Ardigò si afferma sempre più.
Pubblica “La psicologia come scienza positi-
va” (1870), “La formazione naturale nel fatto
del sistema solare” (1877), “La morale dei
positivisti” (1879). Nel 1881 il ministro Gui-
do Baccelli lo nomina professore di storia
della filosofia per meriti straordinari all’ Uni-
versità di Padova, dove insegna fino al 1908.
In questo periodo attivo del pensiero italiano
abbiamo “La rivista di filosofia scientifica”
(1881 - 1891), diretta da Enrico Morselli che
sostiene il metodo sperimentale e la congiun-
zione della filosofia e della scienza. Inoltre l’
”Archivio di psichiatria, scienze penali e an-
tropologia criminale”, fondata nel 1880 da
Lombroso. Il positivismo di Ardigò o meglio
il naturalismo prende molto dal ‘500. Riaf-
ferma l’autonomia della ragione, richiaman-
dosi a Pomponazzi e la divinità dell’ Univer-
so, facendo riferimento a Giordano Bruno.
Altre opere: La trilogia “Il vero!” (1891), “La
scienza dell’educazione” (1893), “La ragio-
ne” (1895), “L’unità della coscienza” (1898),
nel 1899 “La dottrina spenceriana dell’ inco-
noscibile”. L’Ardigò è tenace e coerente, de-
bella, come tutto il positivismo, le astrazioni
della vecchia metafisica, divenuta con non
pochi autori arbitraria, fantastica e molte vol-
te stravagante. Avverte sempre il bisogno di
un’indagine rigorosamente scientifica. Il posi-
tivismo cerca il valore della realtà nella realtà
stessa, senza trascenderla. Si richiama all’
immanenza. L’importanza consiste nel vedere
il valore del mondo nel mondo stesso, nel fat-
to, nel concreto. Roberto Ardigò è esempio di
R
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.22
una vita mantenutasi austera anche dopo le
nuove convinzioni positivistiche che gli han-
no fatto abbandonare la fede religiosa e l’ abi-
to talare. È un liberale, critico del marxismo
nella sua concezione materialistica che dà
importanza al fattore economico, trascurando
tutti gli altri elementi. Il fatto economico non
è l’unico che condiziona il formarsi di un cer-
to modo della società, abbiamo altri fatti con-
correnti. Vede con interesse il socialismo.
Lavoratore infaticabile, dà vita ad una solida
scuola. Seguono la sua opera Giuseppe Ta-
rozzi, Rodolfo Mondolfo, Alessandro Levi,
Giovanni Marchesini, Ludovico Limentani,
Giovanni Dandolo. Roberto Ardigò muore
suicida, a Padova il 15 settembre 1920. In
questi anni il pensiero filosofico italiano è o-
rientato decisamente verso quell’Idealismo
che l’Ardigò aveva avversato. Alla fine del
secolo in tutta Europa si affermano vari mo-
vimenti che reagiscono al positivismo. Questi
movimenti sono l’espressione di esigenze ir-
razionalistiche, idealistiche e spiritualistiche,
tenute soffocate precedentemente dalla fidu-
cia nel progresso scientifico e sociale di cui il
positivismo si è fatto promotore. La rapida af-
fermazione di questi movimenti fu favorita
dal venir meno della fiducia nel progresso. I
principi del positivismo nel campo del pen-
siero filosofico e scientifico vengono ripropo-
sti negli anni venti e negli anni trenta dalla
nuova corrente del Neopositivismo.
III
Il positivismo di Roberto Ardigò da Herbert
Spencer prende il principio dell’evoluzione,
considerando però il processo evolutivo in
termini psicologici, come passaggio ad un
ritmo costante dell’indistinto al distinto. La
realtà viene interpretata alla luce della legge
di evoluzione, estesa a tutti i fenomeni dell’
Universo. Tutto è formazione naturale, dal si-
stema solare secondo l’ipotesi di Laplace alle
idealità umane. Abbiamo un indistinto origi-
nario che è una realtà psico-fisica che si rivela
nel fatto primo che è la sensazione. Base della
conoscenza è la sensazione, la quale è unità
indistinta di soggetto e di oggetto, di spirito e
di materia, da questa unità originaria vengono
a distinguersi gli stati psichici stabili che per
autosintesi formano l’idea del soggetto e gli
stati psichici accidentali che per eterosintesi
formano l’idea dell’oggetto. Materia e spirito
non sono che astrazioni, la realtà è sentire. L’
Ardigò concepisce l’evoluzione con un pro-
cesso di distinzione, dall’indistinto emergono
i distinti. Questa teoria ha applicazione siste-
matica in ogni campo. Le sensazioni sono
qualcosa di indistinto in cui si rilevano sensa-
zioni relative all’anima e sensazioni relative
al corpo. Le sensazioni sono elementi di un
ritmo comune in cui tutti confluiscono. Ogni
ritmo particolare si unisce con altri ritmi par-
ticolari, creandosi un ritmo più ampio. Da ciò
l’ordine dell’Universo in cui domina il prin-
cipio della causalità. Accanto alla quale è da
riconoscere qualcosa di accidentale o casuale,
qualcosa di contingente da cui deriva la varie-
tà infinita dei fatti. Causalità e varietà infinita
si osservano in tutti i distinti. Risalendo dai
distinti all’indistinto che ne è il presupposto
permanente, si giunge a qualcosa di ignoto.
IV
Nel “Discorso su Pietro Pomponazzi”, letto
il 17 marzo 1869 nel liceo di Mantova, vede
un precedente del positivismo nel naturalismo
rinascimentale del Pomponazzi. Nel 1870 all’
Accademia virgiliana di Mantova legge la
pubblicazione “La psicologia come scienza
positiva”. Siamo all’affermazione organica,
alla presenza del pensiero dell’Ardigò. Con-
tro la psicologia spiritualistica si sostiene la
necessità di fare uso nello studio della psico-
logia di strumenti scientifici e di indagini sta-
tistiche. Come elemento essenziale della ri-
cerca filosofica è considerato il fatto, che ha
una sua propria realtà inalterabile che va pre-
sa come è data senza nulla togliere o aggiun-
gere. Il fatto è divino, l’astratto lo formiamo
noi, come l’ideale è umano. Le idee, le teorie,
i principi sono provvisori, il fatto è certo, co-
stituisce un punto di partenza, il principio è
un punto di arrivo, che può essere rivisto, tra-
lasciato. Ardigò parte dalla sacralità di Dio
per giungere alla divinità del fatto. L’unica
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.23
conoscenza è quella scientifica. Tutta la realtà
è natura. Ci si avvicina alla natura con le di-
verse scienze particolari, la filosofia, scienza
generale, non è la scienza dei primi principi,
come per Spencer, ma scienza che superando
i limiti delle scienze particolari attinge me-
diante l’intuizione la natura, che tutto abbrac-
cia, matrice indeterminata e reale di tutte le
determinazioni.
V
Roberto Ardigò vicino ai naturalisti del Ri-
nascimento, che vedono unitarietà. La realtà è
tutta natura conoscibile, anche se costituisce
il limite mai raggiungibile dell’azione cono-
scitiva. Non si parla di inconoscibile, come
affermato dallo Spencer, ma di ignoto, di ciò
che non è ancora diventato oggetto di cono-
scenza distinta, ma che lo può diventare. Nul-
la che trascende l’esperienza, siamo con l’
immanentismo. Mentre Herbert Spencer parla
di evoluzione biologica, passaggio dell’ omo-
geneo all’eterogeneo, Ardigò guarda all’ evo-
luzione psicologica, sostenendo che l’ evolu-
zione universale della natura è passaggio dall’
indistinto al distinto. Nel dato originario della
sensazione non c’è contrapposizione tra sog-
getto e oggetto, esterno e interno, io e non-io.
La sensazione è l’indistinto originario, di
questo sono dei risultati le distinzioni tra spi-
rito e materia, soggetto e oggetto. La realtà
tutta evolve, come la sensazione dell’ indi-
stinto al distinto. Dall’unità originaria che
non è né soggettiva né oggettiva, cioè dall’
indistinto derivano gli indistinti l’io e il non-
io e altri infiniti fenomeni del mondo psichico
e del mondo fisico. L’indistinto rispetto al di-
stinto è solo relativamente, poiché un distinto
che dà vita a un distinto successivo è anche
un indistinto. In questo processo c’è un ele-
mento casuale che origina eventi imprevedi-
bili. Lo stesso pensiero umano è un prodotto
causale dell’evoluzione cosmica. L’uomo è
natura, il pensiero è originato dall’evoluzione
della natura, la volontà umana ha la stessa li-
bertà di un evento naturale. Altro aspetto im-
portante, dopo i principi di conoscenza, la
morale. Anche in questo campo Ardigò è
contro le affermazioni religiose, spiritualisti-
che e metafisiche. Si avvicina al pensiero di
Filippo Turati. Le idealità e le norme morali
sono reazioni degli uomini legati alle azioni
dannose e si imprimono nella coscienza come
doveri obbligatori che comportano responsa-
bilità e se infranti subiscono sanzioni. La mo-
rale ha come base l’evoluzione della società.
La giustizia è la legge naturale della società.
Alla giustizia del diritto positivo si contrap-
pone la giustizia espressa dal diritto naturale.
Il diritto naturale è l’ideale che vive nella co-
scienza sotto la spinta del diritto positivo da
cui non è realizzato.
Leonardo Selvaggi
LIBERA DI AMARE
Ho visto il corpo crescere
andare più in là del tempo
soffrire e gioire
esser giovane e appassire
in un sentimento stanco
rifiorire e maturare
attraversare strade
bagnate di dolore
inseguire e raggiungere
perdere e ritrovare il calore
di un sogno.
Lasciarsi cullare
da braccia confortevoli
e sguardi impavidi
celarsi tra la paura
di ogni goccia di pioggia
che
impassibile riempie
vecchie prigioni
di velate malinconie
venerando l’orizzonte.
Lorella Borgiani
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.24
ROSA ELISA GIANGOIA:
LA VITA RESTANTE di Liliana Porro Andriuoli
ELLA Collana “Chiaro/Scuro” dell’
Editore De Ferrari di Genova, diretta
da Guido Zavanone, è recentemente
apparso un libro di Rosa Elisa Giangoia inti-
tolato La vita restante, che reca una prefazio-
ne acuta e puntuale dello stesso Direttore del-
la Collana e che costituisce una raccolta di
versi stilisticamente compatta e di molto inte-
resse.
Il libro si apre con un poemetto, Emigrante,
ove si narra, con ricchezza di immagini e con
scioltezza di versificazione, nonché con pro-
fonda simpatia umana, la storia di Salî (Sal-
vatore), un giovane il quale, all’inizio del se-
colo scorso, parte da Genova per l’ America,
in cerca di fortuna, stabilendosi a New York e
raggiunto, dopo anni di dura fatica, un soddi-
sfacente benessere, fa ritorno in patria, per
“ritrovare” se stesso e le sue radici.
Qui subito s’avverte che l’ispirazione è ge-
nuina, e che autentica è l’immedesimazione
dell’autrice in colui che soffre in solitudine il
distacco dagli affetti più cari, sicché le sue
parole trovano il tono giusto e le espressioni
più efficaci per rappresentare lo stato d’animo
del protagonista: “… la notte gelava tra le
braccia”; “Sotto i suoi piedi le pietre / risuo-
navano di solitudine”; “… bisognava guada-
gnarsi l’aria e la luce, / lungo le banchine
dell’East River”; “Nei mattini ingialliti l’ au-
tunno / nascondeva le angosce del vivere”;
ecc.
Con molte fatiche e molte sofferenze, Salî
riesce tuttavia a conquistare il suo posto nel
mondo e, dopo anni di duro lavoro, giunge
per lui il tempo di “ritrovare” il senso vero
della vita nella sua Terra di origine, dalla qua-
le era dovuto partire, spinto dalla necessità:
“Capì che era partito solo per tornare, / che
aveva dovuto perdersi nell’ignoto / per poter-
si un giorno ritrovare…”. Ed è questo che ora
Salî vede con chiarezza, dopo tanti anni vis-
suti in un paese straniero.
Nelle sezioni successive del libro la Gian-
goia affronta diverse tematiche, che emergo-
no dagli stessi titoli: A Mino; Domus picta; In
viaggio; Vita; Scrittura; Memorie; Femmini-
le e che vengono da lei sviluppate in maniera
coerente ed efficace.
Nella prima sezione tre poesie fanno ide-
almente seguito alla bella plaquette Sequen-
za di dolore (Fara 2010), scritta in occasione
della scomparsa del marito, si aggiungono
qui ora, sull’onda del suo ricordo, altre tre
poesie che ne evocano, con accenti affettuo-
si e toccanti, la figura: “Certo, sarebbe bello
saperti / dietro l’angolo della strada / seduto
su una panchina, / ad aspettarmi. / Invece
capiti nell’ abbaglio / di un lampo di sole…”
(1); “Per questo sei stato: / perché io ti po-
tessi ricordare / ora che appartieni alle pro-
fondità / delle memorie mute” (2); “Tu ed io
/ ci ritroveremo nel nostro giardino / tra il
melo e il ciliegio / quando saranno fioriti”
(3). Sincero è il sentimento e felice l’ evoca-
zione di colui che non è più.
Domus picta, la sezione successiva, ha per
argomento la casa, come luogo in cui si è
gioito e sofferto ed in cui ogni cosa ci parla
con la voce sommessa dei ricordi; dove o-
vunque ritroviamo le vestigia di coloro che
abbiamo amato e che non sono più, ma di cui
ancora avvertiamo la tangibile presenza:
“Scegliere una casa / è ipotecare il futuro: /
… / La vita mi riporta le persone / che ho
amato, tutte qui, / già sognate nell’illusione /
dell’assenza” (Casa nuova con giardino). Ed
a distanza di anni, le immagini di quel passa-
to, riaffacciandosi alla mente della poetessa,
si tingono dei suasivi colori del ricordo e, pur
N
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.25
tenendola sempre legata al tempo che fu (“U-
na luce rosata / sta nascosta dentro casa / nel-
la malinconia della polvere, / ospite affettuosa
in attesa. / Ora bisogna decidersi / ad uscire
dal passato”, Casa in vendita), non le impedi-
scono di guardare al futuro con rinnovata fi-
ducia: “Voglio bene al melo del mio orto: /
guardare l’azzurro del cielo / attraverso la
tramatura / dei suoi rami in fiore / conferma
la fiducia / nella vita che ritorna / dopo il gelo
dell’inverno…” (Il melo).
La terza sezione, In viaggio, raccoglie poe-
sie che parlano di viaggi compiuti dalla
Giangoia in diversi paesi del mondo, come la
Grecia, di cui sono evocati gli “ulivi di Delfi,
/ dove la luce diffusa e tagliente / rivela il
passato / e ridisegna la storia” e le Meteore,
un luogo “fuori dal mondo” in cui vive “chi
ha cercato / la purezza dello spirito” (In Gre-
cia). Così come vengono evocate le immagini
di un viaggio in Russia, paese dalle immense
pianure, attraversate da grandi fiumi, come il
Volga, a navigare sul quale ci si sente trasci-
nati “Tra passato e futuro” (Navigando sul
Volga). Si vedano anche L’albero di Douze,
località tunisina alle soglie del Sahara, sulla
cui piazza campeggia un albero enorme, sic-
ché chi vi giunge a sera, subito ne avverte la
presenza e Santiago di Compostela, luogo di
grande serenità, in cui già solo la vista della
“pietra scolpita del grande portale / rassere-
na” il pellegrino che vi giunge e lo fa entrare
come in una nuova dimensione.
Vita è la più nutrita di queste sezioni. Vi
compaiono poesie aventi per oggetto l’ esi-
stenza umana e le problematiche che essa su-
scita, sospesa com’è tra passato e futuro, es-
sere e non essere; tra l’effimero e l’eterno, il
finito e l’infinito. “Poco fa era mattina / e già
di nuovo è sera. / … / Solo la sapienza del
cuore / riconosce il senso / degli attimi oscuri
/ quando nell’azzurro luminoso / risuonano
passi sicuri / verso il futuro” (Momenti). E
ancora, in un crescendo di pensieri che inve-
stono il destino stesso dell’uomo, si leggano i
seguenti versi: “Non sappiamo quel che ci
porteremo / al di là dell’oblio / nell’eternità
della memoria” (Quel che resterà); “Fuori del
tempo c’è soltanto il sogno. / Chi lì si è in-
contrato / non può riperdersi” (La vita e il
tempo); “In una di queste notti d’inverno /… /
verrà il Dio che nasce / e che dovrà morire /
… / Pregalo per la pace / tua e di tutti” (Notti
d’attesa).
Le sezioni Scrittura e Memorie sviluppano
delle tematiche abbastanza frequenti in poesi-
a: quella dell’arte dello scrivere (“Per scrivere
rincorro / col desiderio le parole in fuga / ed
inciampo nei sogni. / Scrivo pagine d’ombra /
che vestano il silenzio della vita / e sovrastino
il rumore”, Scrivere) e quella delle memorie
che evocano stagioni perdute e care consue-
tudini di vita: “Mio padre e mia madre / sedu-
ti sul masso nel bosco / sono solo più una fo-
tografia / in fondo ad un cassetto. / … / Ci si
può ancora parlare, / in un linguaggio tutto
nostro: / serve per resistere / nella speranza, /
senza troppo soffrire” (Parentum memoria);
“Le parole che non vi ho detto / non si sono
perse / nel tempo che mi è mancato. / … / Le
parole che non vi ho detto / stanno qui ad a-
spettarvi, / sul bordo dell’anima…” (Ai miei
genitori).
L’ultima sezione, Femminile, contiene due
poesie: L’ape regina e Vorrei scrivere un
poema. Nella prima è descritto con grande
efficacia il volo nuziale dell’ape regina; un
volo che, pur nell’esaltazione della vita, ha
il suo risvolto tragico, dal momento che il
fuco muore. Né vale a compensare quella
morte il fatto che le altre api vengano incon-
tro all’ape regina, in “un volo di scintille d’
oro”.
Nella seconda poesia, Vorrei scrivere un
poema, c’è l’aspirazione di ogni poeta di
compiere l’opera perfetta, che duri a lungo
nel tempo: “Vorrei scrivere un poema / che
somigliasse ad un albero altissimo / vivo e
sempreverde / … / un poema che si potesse
percorrere / con gli occhi e con il cuore”. Si
tratta in fondo di un’aspirazione legittima; e
noi crediamo che alla nostra autrice non
manchino le attitudini per realizzarla.
Liliana Porro Andriuoli ROSA ELISA GIANGOIA: LA VITA RESTAN-
TE - (De Ferrari Editore, Genova, 2014, € 12,00)
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.26
La Lingua Ufficiale1
di Aida Pedrina
RA i cittadini di un paese molto grande
e molto lontano, famoso per le sue ric-
chezze e prepotenze, vivevano persone
venute da varie parti del mondo. Anche se
tutti questi stranieri dovettero imparare la lin-
gua ufficiale, era per loro gran sollievo e gio-
ia parlare il loro idioma natio il più possibile,
particolarmente con familiari e amici.
Un bel giorno, il presidente di questo paese,
cattivo, arrogante, e con la mente ottenebrata
dal Potere, l’ingordigia, e il tedio, non avendo
nessun dovere e annoiato a morte dagli affari
di Stato, decise di viaggiare in incognito fra i
suoi soggetti; così tanto per far qualcosa, e
non certo per mettersi al corrente dei proble-
mi e delle necessità del pubblico. Camminan-
do fra la gente, si rese subito conto che mol-
tissimi non parlavano la lingua ufficiale. In-
cominciò a sentire un gran fastidio, rabbia, e
anche sospetto dato che aveva la coscienza
assai sporca e non capiva quello che diceva-
no. “Bisogna metter fine a questo orribile
problema dell’idioma straniero al più presto”,
disse fra sé, mentre ritornava al suo palazzo
arrabbiato e pensoso.
Il fatto di dover pensare gli causava sforzi
incalcolabili e dolorosi chiodi alle tempie;
come tanti altri poderosi non lo faceva quasi
mai: dopo tutto, perché perder tempo a pensa-
re quando c’era un gran numero di soggetti
pronti a farlo in qualsiasi momento? Ma que-
sto della lingua straniera era cosa molto seria:
e chi potrebbe PENSARE alla soluzione mi-
gliore se non il celebre presidente di una sì
grande Nazione? Pensò intensamente per die-
ci minuti, stropicciandosi gli occhi, massag-
giandosi le tempie e sbadigliando dalla noia,
e poi si disse: “ Meglio dormirci sopra!” Alla
mattina seguente, stanchissimo ma orgoglioso
della sua decisione, (la soluzione gli era ve-
nuta in sogno), fece dichiarare una nuova
legge: “ D’ora in avanti, tutti gli stranieri in
questa nazione, adulti e bambini, in casa e
fuori, dovranno parlare solamente la lingua
ufficiale e mai più il loro idioma natio sotto
pena di decapitazione.”
In seguito, mandò migliaia di guardie per
tutto il paese perché arrestassero gli stranieri
che non ubbidivano alla nuova legge. Però il
presidente, con la densità propria di coloro in
potere, e occupatissimo com’era a ingrandire
la sua ricchezza e a perfezionare menzogne
per il pubblico, non si era mai accorto che le
sue guardie, anche se parlavano sempre la
lingua ufficiale, erano tutte straniere. Invece
di arrestare i ribelli, diventarono loro amici e
si divertirono moltissimo; inoltre, fecero tutto
il possibile perché le lingue straniere fiorisse-
ro ancor più all’insaputa del presidente. Dopo
alcuni anni, vedendo che le guardie non gli
portavano nessun straniero da disprezzare e
decapitare, il presidente, pieno di rabbia e di
sospetti, incominciò a pensare di nuovo. Ah,
ma quanto male gli faceva il pensare! E che
noia e che disgusto doverlo fare così spesso
per colpa di questi maledettissimi stranieri!
Dopo mezz’ora non ne poté più: smise con
gran sollievo di pensare e decise di andare lui
stesso a vedere se gli stranieri ubbidivano alla
sua legge. Si vestì da mendicante e si mise in
cammino. Era appena passato fra la gente di
due piccole città e già si sentiva morire di
rabbia. Dio mio! Il costante suono di lingue
straniere gli arricciava i nervi; e dov’erano le
sue guardie? Gli era parso di riconoscerne al-
cune mentre passava fra la gente: “Ma no!
Come potrebbe essere? Ci mancherebbe al-
tro! E come osavano questi stranieri recalci-
tranti e sovversivi a parlare il loro idioma
come se niente fosse? Cosicché la nuova leg-
ge e la lingua ufficiale non avevano alcun si-
gnificato per questa gente incolta e refratta-
ria? Che fegato! Che sfacciataggine!”, si di-
ceva il presidente completamente inferocito:
“Ah, lo vedremo dopo se saranno tanto co-
raggiosi e menefreghisti davanti alla ghigliot-
tina quando si renderanno conto che avrebbe-
ro perduto le loro testacce di zucca! “ Sempre
colmo di rabbia feroce, il presidente continuò
andando per tutta la nazione senza che nessu-
no lo riconoscesse.
Sfortunatamente, il fatto di essere in inco-
F
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.27
gnito,vestito da mendicante, senza poter capi-
re di che parlavano centinaia di stranieri, in-
cluso le poche parole che gli dicevano dan-
dogli l’elemosina, cominciava a dargli sinto-
mi di apoplessia, cosicché il suo viso era
sempre di un rosso congestionato con chiazze
violacee; infatti, le poche parole che gli dice-
vano - e che lui non capiva - erano quasi
sempre le stesse: “ Ubriacone! Smetta di bere
e si trovi un lavoro!” Dopo un’ennesima ele-
mosina data con le solite parole, il presidente
consumato dall’odio represso, tornò al suo
palazzo. Chiamò immediatamente le guardie
che sembrarono sorprese oltre ogni dire per le
accuse e rimostranze del presidente; poi, par-
lando perfettamente la lingua ufficiale, gli
dissero che gli stranieri erano incredibilmente
furbi e che, naturalmente, quando vedevano
guardie intorno, si GUARDAVANO bene di
parlare il loro idioma!
Il presidente non sapeva che fare; per giorni
neppure dormì pensando con sforzi tremendi
al modo migliore per vendicarsi e far soffrire
questi selvaggi che non volevano ripudiare e
dimenticare il loro idioma natio. L’agonia del
pensare e l’odio feroce per gli stranieri gli a-
veva gonfiato talmente il fegato, che i suoi
dottori gli consigliarono di andare a riposarsi
in questo lontanissimo paese senza stranieri,
dove si parlava solamente la lingua ufficiale,
e con un presidente esattamente come lui con
cui fare amicizia. Sempre sognando (il pensa-
re gli fu proibito) vendette e decapitazioni per
TUTTI gli stranieri, il presidente si mise in
viaggio. Quello che non sapeva, era che i suoi
dottori, come le sue guardie, erano tutti stra-
nieri, e che il paese da loro consigliato era
anch’esso famoso per l’ignoranza e crudeltà
del suo presidente. Dopo settimane di viaggio
arrivò al Paese sconosciuto. Quando inco-
minciò a dar ordini per il suo bagaglio e per
essere portato al palazzo del presidente, fu un
disastro. Tutti parlavano solo la lingua uffi-
ciale e non capivano quello che diceva. Il pre-
sidente, con tutta la sua poderosa arroganza,
continuava a parlare guardando tutti con rab-
bia e disprezzo. Alla gente intorno, il suo to-
no di voce, la sua faccia contorta e violacea, e
i suoi occhi scorbutici, non facevano certo
una buona impressione; inoltre, non parlava
la lingua ufficiale e si dovette chiamare le
guardie che lo presero e lo trascinarono a for-
za verso il palazzo. Il presidente, interamente
sommerso in un furore vulcanico, lanciava
insulti roventi intorno fra l’assoluta indiffe-
renza della gente, finché non si trovò davanti
a quest’altro presidente. Con grande sforzo
ricuperò la sua pochissima dignità, dichiarò il
suo nome e la sua altissima posizione, chie-
dendo che coloro che lo avevano maltrattato e
trascinato per le strade fossero subito con-
dannati a morte. Il presidente straniero lo la-
sciò parlare per lungo tempo guardandolo
dall’alto in basso con disprezzo senza dir nul-
la. Poi alzò la mano e incominciò a parlare
con tono minaccioso e assai tagliente. Non si
capirono. Le guardie lo presero di nuovo e il
presidente incominciò a sentire una grande
paura: e quest’immensa paura lo fece pensare
senza il minimo sforzo: “ ….Ma cosa staran-
no dicendo? Dio mio, con tanto tempo libero
che avevo e tante lingue straniere a portata di
mano, come non ho potuto impararne almeno
qualcuna? E perché non ho mai aiutato e ri-
spettato gli stranieri nel mio Paese? Quando
torno, cancellerò subito la legge della Lingua
Ufficiale.” Purtroppo, questa rarissima scin-
tilla di rimorso e consapevolezza si spense
immediatamente senza lasciar traccia. “….E
dove mi staranno portando? Ma non hanno
un’interprete in questo maledetto paese?....
Calma, calma!” si diceva, “se no ti si scoppia
il fegato! Oh, ma non importa: appena torno a
casa darò ordini di sterminare tutta questa
gentaglia con bombe nucleari! Quando sa-
pranno che sono il famoso presidente della
più potente nazione del mondo, allora sì ver-
ranno tutti ai miei piedi a implorare inutil-
mente perdono! E quante belle risate mi farò
vedendoli saltar tutti in aria!” Dopo un po’ si
sentì molto meglio, sostenuto e rincuorato
com’era da questi vivissimi sogni di distru-
zione. Assaporando con odio profondo la sua
futura grande vendetta, il presidente non si
rese conto di quello che stava succedendo
finché le guardie non gli fecero tendere il col-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.28
lo sotto a una ghigliottina.
Aida Pedrina Nota: 1- Questa mia fiaba-allegoria è basata su fatti reali:
negli anni 1970-1990 qui a Tucson nell’ Arizona,
Stato controllato dal Republican Party ( Partito re-pubblicano), che negli USA molto spesso significa
razzismo, malvagità e ignoranza, il Potere voleva
passare una legge che proibiva ai messicani – più della metà dei residenti qui a Tucson – di parlare il
loro idioma natio, lo spagnolo, in casa e fuori, al la-
voro e a scuola, e parlare solamente la lingua uffi-ciale dell’USA, cioè l’inglese; naturalmente, la mi-
naccia sottintesa era: “O parlate l’inglese, o niente
lavoro e ancor più emarginazione”. Manifesti per incoraggiare il pubblico a votare per questa legge
così sfacciatamente razzista furono messi per tutta
la città, causando grande costernazione e furore non solo fra i messicani, ma anche fra molti liberali.
(Fino al 1990, qui nell’Arizona e anche in molti al-
tri Stati repubblicani dell’USA, essere liberale era considerato come essere immorale o essere un
“Bleeding Heart“, cioè un “Cuore Sanguinante“,
epiteto altamente sprezzante per molti nell’USA - e assegnato anche a me - che significa aver troppa
compassione e troppo desiderio di aiutare i poveri,
gli immigrati, i sofferenti, etc.). Dopo innumerevoli proteste e vergognosi “Expose’”, questa legge fu
annullata prima di essere imposta al pubblico.
Scrissi appunto “La Lingua Ufficiale” come espres-sione simbolica di gravi problemi sociali: il razzi-
smo, l’ingiustizia e l’oppressione che malgrado tut-
te le lotte, assassinations, e le dimostrazioni di ap-poggiare, aiutare e rispettare i diritti umani, conti-
nuano silenziosamente e ben coperti da una tolle-
ranza micidiale, a infettare lo Stato di Arizona. Tucson è a circa quaranta chilometri dal confine
con il Messico.
STASERA
Le campane suonano
per aria
in quest’autunno
caldo
mentre un uccellino
canta al vento
che l’aiuta
a spiccare il volo
verso il nido.
Loretta Bonucci
SOLTANTO TU
Cerco il tuo volto
negli altri volti,
il tuo sorriso
negli altri sorrisi
e la tua voce
nelle altre voci.
Ma non li trovo
e allora non mi resta
che la memoria.
Dentro di me ritrovo
il tuo sorriso, il tuo volto,
la tua voce.
Ma gli altri no. Non sono niente.
Non sanno di nulla, non esistono.
Soltanto tu. E tu,
soltanto, ormai, nel mio ricordo.
Mariagina Bonciani Milano
STAGIONE DI VACANZA
2014-2015
Non dobbiamo dimenticare nel 2015
le lezioni apprese
negli anni precedenti:
che in una guerra, né vivi
né soldati morti hanno vinto;
che i nostri pensieri positivi
sono potenti armi
contro la presa di un brutto progetto;
che ridere è più
soddisfacente che piangere di tristezza;
che follia, paranoia, paura,
proprio come cicloni, passeranno
se siamo abbastanza pazienti
di espellerli dai nostri pensieri.
Ogni anno è come un cerchio
all'interno del quale possiamo costruire
nuove amicizie e rafforzare
fratellanza e bontà
con le persone che sempre abbiamo amato.
Il 2015 sarà un anno straordinario
per noi, i nostri amici, la nostra famiglia.
Teresinka Pereira USA - Traduzione di Giovanna Li Volti Guzzardi
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.29
GUARDARE
ALL’ANTICO di Rosa Elisa Giangoia
DEA indubbiamente originale quella di
Giacomo Ribaudo e Giovanni Dino di
proporre ad altrettanti autori contempora-
nei la riscrittura dei 150 Salmi biblici, con
l’aggiunta di altri quattro testi, tra cui una ri-
visitazione del Magnificat, opera mirabile di
Karol Wojtyla.
La proposta letteraria fatta dai curatori ai
poeti di oggi vuol essere un tentativo di stabi-
lire un rapporto diretto con la liricità presente
nella Bibbia, tradizionalmente offuscata dalla
poesia classica e anche in ambito cristiano
sopraffatta fin dai tempi antichi dall’ innolo-
gia, inaugurata dai Padri della Chiesa (Pru-
denzio e Agostino).
Come nota giustamente Giorgio Bárberi
Squarotti nella Prefazione, nella nostra tradi-
zione letteraria i Salmi sono entrati prevalen-
temente dal punto di vista contenutistico, so-
prattutto per l’ostacolo che ha rappresentato
«la radicale diversità delle lingue ebraica e
romanza e, di conseguenza, delle regole me-
triche e compositive» per la loro integrale
fruizione poetica.
Alte testimonianze di quest’uso dei Salmi ci
vengono fornite soprattutto alle origini della
nostra letteratura nazionale, da san Francesco
d’Assisi, Jacopone da Todi e Dante.
Ad appianare le difficoltà metrico- linguisti-
che contribuisce oggi l’uso ormai dominante
del verso libero, che permette a ciascun poeta
di adattare il ritmo alla sua personale sintonia
con il testo biblico. E’ nata così una sequenza
di testi modulati su individuali letture dei
Salmi, ma tutti rivissuti ed espressi secondo la
personale ispirazione poetica di ciascun auto-
re, che ha anche individuato forme e modi per
attualizzare il messaggio spirituale antico alla
luce dell’esperienza contemporanea e render-
lo più facilmente funzionale alla fruizione del
lettore moderno.
Ad accomunare tutti i testi è la tensione spi-
rituale che, anche se non sempre si esplica in
forme di vera religiosità personale o tradizio-
nale, dimostra pur sempre un desiderio di ol-
trepassare il limite dell’umano, un’ aspirazio-
ne all’oltre che si fa desiderio e speranza. In
questa sostanziale unità di base di tutti i testi
si manifesta una ricca sfaccettatura di posi-
zioni, che vanno da una semplice riscrittura
del testo biblico, con parole ed immagini che
lo attualizzano, a forme più libere ed elabora-
te di rivisitazione del nucleo essenziale del
tema antico alla luce di un sentire più forte-
mente condizionato dall’esperienza attuale.
L’atteggiamento più comune resta comunque
quello dell’orante, in quanto il poeta si fa o-
rante per rendere lode a Dio, per invocarlo,
per chiedere aiuto contro quello che è in ogni
tempo il limite ontologico dell’uomo, rappre-
sentato dal dolore, dalla sofferenza e dalla
morte.
La netta linea di demarcazione tra i Salmi
biblici e questi Nuovi Salmi è data dalla vi-
cenda dell’Incarnazione, Morte e Resurrezio-
ne di Gesù Cristo, che porta gli autori moder-
ni ad avvalersi di questo arricchimento di Ri-
velazione, che si fa anche consolidamento di
Fede, per un atteggiamento diverso nei con-
fronti del divino, in cui la grazia fa intravve-
dere la possibilità di superare il male ed il do-
lore, fino a trasformarlo in una prospettiva di
gioia, secondo una dimensione teleologica.
Il valore poetico dei testi presentati nel vo-
lume è mediamente piuttosto buono, anche se
si avvertono capacità espressive differenziate:
emergono poeti di consolidata attività creati-
va (Giovanni Dino, Guido Zavanone, Anna
Ventura, Franco Loi, Sandro Gros-Pietro,
Marco Scalabrino, Luigi De Rosa, Massimo
Sannelli, Antonio De Marchi-Gherini, Ga-
briella Maleti, Mariella Bettarini, Ottavio
Rossani, Elio Andriuoli, Antonio Spagnuolo,
Silvano Demarchi, Lucianna Argentino, A-
lessandro Ramberti, Gianni Rescigno) che
dimostrano buona tenuta per tutto il corso del
testo, mentre in altri la validità creativa ed e-
spressiva è più episodica, come capita spesso
quando ci si cimenta occasionalmente con un
percorso poetico prestabilito. Il merito di tutti
I
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.30
è comunque quello di aver espresso alti valori
pienamente umani, che diventano cristiani
anche per chi non dichiara espressamente
questa fede religiosa.
Rosa Elisa Giangoia
NASCE UN SORRISO
Tra le lacrime del cielo
nasce un sorriso
di donna
quello che non dispera
quello sempre pronto
a battersi per la vita
a cercare un rispetto che non ha
a reagire ad incontrollabili oppressioni
quello
sempre disponibile ad aprire
le sue braccia al mondo
ad offrire dolcezza
a chi spesso non la merita.
Donna
si dilegua
e si riveste di mistero
quando non vuole essere ferita
ma poi sorge di nuovo
come il sole caldo dell'estate
ad asciugare quelle gocce
di un bagnato amaro
a manifestare quell'esistere
quell'esserci incondizionato
con
quella sua voglia infinita di amare.
Lorella Borgiani
ARMONIA CELESTIALE
Quasi guida celeste, come fosse
per me di Dante la sua Beatrice,
la Sinfonia di Franck in re minore
mi conduce verso spazi celestiali.
Il canto suo intensissimo degli archi
mi prende con l’incanto di un discorso
sereno eppure un poco travagliato
come di chi cercasse un chiarimento,
una luce, un’assicurazione di conforto,
e in un crescendo di purissima tensione
senza umane passioni mi accompagna
con un lungo e difficile cammino
sempre più su, più su, più in alto e infine
con una grande e gioiosa esplosione
mi mostra il fine ultimo, la meta
d’ogni mio desiderio, la bellezza
gloriosa dell’estrema conoscenza:
la Verità Suprema,
il Vero Amore.
Mariagina Bonciani
IN UN BATTITO DI VITA
Viaggerò con te
nel sorriso degli abbracci
tra gli aquiloni come uccello
tra stornelli d'emozione
in un battito di vita
in un miraggio di tepore
lontana da inutili temporali
saccheggerò l'anima
con quel profumo
che dona saggezza
ad ogni inchiostro del cuore
stordita tramerò un folle gesto
tenero di parole
prossimo di sentimento
confuso tra le nuvole di un tramonto
che brucerà ad ogni lacrima
spesa senza ragione.
Lorella Borgiani Ardea, RM
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.31
LA FANTASTICHERIA
DI UN POETA di Themistoklis Katsaounis
ON voglio e non posso dormire! L'u-
nica cosa che mi importa è andare vi-
a, viaggiare dappertutto, come la lu-
ce, in tutti i luoghi della terra, del passato, del
presente e del futuro, lontano, molto lontano,
al di là delle pareti della camera! C'è qualche
modo? Semplicemente, bighellonare la carta
universale e il mio spirito, un po' stordito a
causa della malinconia della notte e un po'
stordito dal veleno della salvezza, di nuovo
viaggia.
Ai miei occhi è rimasta questa visione mi-
rabile, la splendida giornata invernale piena
di sole, con la nebbia mattutina e la sua ru-
giada sull'aiuola, come una signora bella e
melanconica. Adesso la ricordo meglio,
camminava spensieratamente lungo la spiag-
gia al sorgere del sole e anche molto tardi la
sera, ha affondato e ha perso, senza renderse-
ne conto la sua gioventù, nel labirinto della
sua superbia.
Le sue rughe hanno lasciato sulla Terra un
Angelo invecchiato! Che sta fantasticando!
Che sta andando sempre lontano! Che sta
viaggiando da un raggio del sole direttamente
sulle foglie secche dell'autunno! Essendo il
cortigiano del Re, l'amante segreta del cava-
liere ricco, l'assistente dello scienziato cele-
bre, un buon atleta ma non il campione, un
ufficiale valoroso che non si riferisce nei pun-
ti importanti della storia e non viene onorato
come il comandante supremo, un uomo
splendido che viaggia e fa amicizie, raccoglie
francobolli, si innamora, conosce nuove civil-
tà, si chiede per gli enigmi del passato, adora
le lingue straniere, la grammatica, l'alta marea
e la bassa marea, gli piace essere fotografato
accanto ai monumenti importantissimi, vuole
sentire la forza dei terremoti e dei vulcani,
scoprire di nuovo l'architettura antica, i segre-
ti del bosco africano, i fondi degli affluenti
del fiume delle Amazzoni, la rappresentazio-
ne del futuro al presente.
Questo è l'uomo: IO!!!
Forse è uno che sogna, uno che si trova
dappertutto. Può essere chiunque, entro il
cronotopo. Però sempre solo al secondo po-
sto, è una comparsa della storia e mai il pro-
tagonista!
Allora, resto totalmente da solo entro tutto
questo mondo che ho costruito io. Corro per
aprire la porta della chiesa e comincio con in-
tensità la mia preghiera sacrilega, senza poter
finire e senza sapere quando è necessario fini-
re. A un Dio che mi immobilizza nella nullità
di conoscere ogni giorno, tramite tutte le mie
vite, un po' della Sua Maestà.
La mia preghiera risuona con forza enorme
nel tempio!!!
Gli Angeli si gettano dal precipizio, con
fracasso, dalla cupola della chiesa, nel mo-
mento in cui elogiano beati, con la loro voce
paradisiaca, con pudore, il Cristo.
Attraverso le mie vene scorrono fiumi di
sangue, di tutte le persone che io avevo im-
maginato di essere oppure di tutte le persone
che io ero ed entrano nel mio cuore. Andando
via, lasciano piano piano, poco a poco, il mio
corpo sciupato, in un gioco che sembra che
non abbia fine, senza poter distinguere la ve-
rità dall'illusione. Solo nei miei occhi non in-
vecchiati si specchia come una fiamma che
soltanto divampa: la COLLERA!!!
Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di Giorgia Chaidemenopoulou
ANAGRAMMA
Volgi il tuo volto adolescente
Aliena
di tutti gli altri volti
e del mio sono stanco
Due palmi sopra l’orizzonte
è Venere
La fisso a lungo da un altro pianeta
Anagrammo, supino, i tuoi silenzi
poi guardo l’orologio e prendo un Tavor.
Corrado Calabrò Roma
N
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.32
I POETI E LA NATURA - 39
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
IL CREPUSCOLARISMO E L'OCA DI
GUIDO GOZZANO
om'è noto, il poeta Guido Gozzano,
nato ad Aglié Canavese nel 1883 e
morto a Torino nel 1916, fu sempre
un ammiratore della Natura del Canavesano e
un amico appassionato della città di Torino,
una Torino antica, di altri tempi.
Gozzano fu il principale rappresentante di
quel movimento poetico detto dei Crepusco-
lari. Non è il caso che qui approfondiamo il
concetto di caposcuola, ammesso che lo fosse
o fosse ritenuto tale. Cominciò con l'emulare
e imitare proprio l'oggetto delle sue critiche,
D'Annunzio e il dannunzianesimo, ma poi
contestò il poeta pescarese radicalmente, av-
vicinandosi a Giovanni Pascoli, finendo con
l'approdare ad un intimismo piccolo-borghese
amante, fra l'altro, delle buone cose di pessi-
mo gusto. Confessava che alla sua Musa non
erano care le cose magnanime di un Carducci
e di un D'Annunzio ma il ciarpame reietto.
Il Crepuscolarismo contestava sia il Supe-
ruomo che la civiltà industriale. A questi op-
poneva una vita quotidiana piatta e grigia,
senza “eroi”, privilegiando l'ambiente della
campagna. Ma, si badi bene, di una campa-
gna tipica del passato, del buon tempo antico,
con giardini non troppo curati, col “tranquil-
lo” respiro del mondo pre-industriale.
In genere, i poeti crepuscolari non riusciva-
no ad accettare la vita del tempo presente. Ed
erano anche nostalgici di una società senza
mescolanze di razze, di classi, di culture...
Per tornare a Gozzano, diciamo pure che
non era stato uno studente-modello. Ma svo-
gliato e incostante, era stato bocciato al Liceo
classico torinese Cavour, e mandato in un
Collegio di Chivasso. Dopo altri cambi di
scuole, a vent'anni era riuscito a conseguire la
maturità classica al Collegio di Savigliano.
Benché si fosse iscritto alla Facoltà di Legge
(che avrebbe abbandonato nel 1908), aveva
preferito seguire i Corsi di Letteratura extrau-
niversitari di Arturo Graf. In definitiva, seguì
la strada della Poesia. E anche se subì gli in-
flussi sia del Pascoli e del Graf che di poeti
belgi e francesi (come Sully Prudhomme
(Nobel 1901), Maurice Maeterlinck (Nobel
1911), Francis Jammes ed altri) trovò una sua
via personale e originale.
Si professava ateo, non credendo nella
troppo umana favola d'un Dio, ma non rifug-
giva da sentimenti di amore per il prossimo. Il
successo de “ I colloqui”, il suo libro più im-
portante, gli valse un anno intero (il 1911) di
collaborazioni con poesie e prose a giornali e
riviste importanti come “La Stampa” di Tori-
no, “La Lettura”, “La Donna”.
La tragica scoperta di essere consumato dal-
la tubercolosi lo portò a viaggiare continua-
mente, in cerca di mare e comunque di aria
pura. Nel 1912 viaggiò anche in India. Le sue
“Lettere dall'India” uscirono su La Stampa
dell'annata 1914, prima di essere pubblicate
in un libro dai Fratelli Treves nel 1917.
Morì a soli trentadue anni.
C
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.33
Per quanto riguarda il rapporto di Guido
Gozzano con la Natura, non possiamo non
andare col pensiero – anche se con la velocità
di un lampo – al suo ambiente natale, quello
del Canavese. Gozzano si sente disperata-
mente vicino al mondo della Natura, più che
a quello degli uomini. E' teneramente affasci-
nato dalle cose che vivono, dalla Natura che
è “la sola verità buona a sapersi”, popolata
“dell'archenio del cardo, la selce, l'orbettino,
il macaone, e tutte le altre farfalle...”, cui de-
dicò un poema incompiuto, “Le farfalle”, ap-
punto.
Quanto agli organismi del mondo animale,
l'uomo si distinguerebbe da essi solo perché
possiede la facoltà del pensiero.
A tal proposito, mi fa piacere richiamare,
per gli amici lettori, una poesia di Gozzano
intitolata “La differenza”:
“ Penso e ripenso: - Che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.
Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.
O pàpera, mia candida sorella,
tu insegni che la morte non esiste:
solo si muore da che s'è pensato.
Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'esser cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.”
Anche qui ci può essere chi la pensa diver-
samente. Nel senso che è tutto da dimostrare
che gli animali non pensino ( A parte Esopo,
Fedro, Jean de La Fontaine, che li fanno addi-
rittura parlare e filosofeggiare...).
Luigi De Rosa
DOLCE INETTITUDINE
Una dolce inettitudine
non ci separa da lei.
La donna sempre uguale accanto,
contiamo i giorni della lontananza,
la sua assenza ci tormenta dentro.
Il tempo ristagna,
l’ansia scava in noi anfratti.
Sotto la lampada della cucina
tutti presi in cerchio attorno al tavolo.
Il connubio riempie la vita,
è una fortuna,
una ricca base ai giorni regolari.
Le forze antiche delle virtù
e dei costumi dell’amore fermentano.
Frutti rigogliosi
di sostanza e di colori.
La felicità non si vede:
dove si muove tutto uguale ricoperto,
mimetizzata, raccolta. La donna
è nutrimento di ogni momento,
dominante amalgama
rende emolliente ciò che è rappreso.
Immoti accodati l’una dietro l’altro,
la donna è
mediatrice quando scissioni aperte
tolgono simmetrie e rispondenze.
Il corpo annichilito, divelto
se le dolci attrattive
accensioni non danno.
Leonardo Selvaggi
CREVALCORE - CARPI 26 SETTEMBRE
Amo questa campagna
disarticolata
tra vecchi pioppi
e segnali stradali
zolle rivoltate e cartelli
di pubblicità.
E’ come noi
cresce tra i rottami,
fornisce spiegazioni
che un altro ha suggerito.
Le foglie gialle dei platani
hanno ombre arrotolate
ognuna ha il suo segreto
che lascia cadere.
Andrea Masotti Bologna
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.34
Recensioni
MARILLA BATTILANA
NECESSARIA È L’IRONIA
Hammerle Editori in Trieste, 2014, € 14,00
Necessaria è l’ironia è il titolo del nuovo libro di Marilla Battilana, che ha per sottotitolo Racconti
del Nord Est. Quella di cui la Battilana si serve è
un’ironia sottile e talvolta un po’ surreale, che tro-viamo sin dal primo di questi racconti, La sveglia
frustrata, nel quale questo oggetto meccanico, nato
per destarci dai nostri sogni mattutini, magari in maniera un po’ brusca, si anima e soffre perché la
sua proprietaria le impedisce, arrestandone la suo-
neria al primo trillo, di esprimere appieno le sue po-tenzialità canore.
Condotto come un’indagine poliziesca è Il delitto
di Calcutta, che rivela alla fine una soluzione piut-tosto ovvia, ma carica di umorismo. Il racconto è
condotto con disinvoltura e ben disegnati sono i
personaggi, ciascuno con la sua personalità. Frutto di una sottile analisi psicologica è Ponso,
che prende il nome da un piccolo centro della cam-
pagna situata tra Padova e Verona, dove viveva una ragazza infatuata del principe Umberto, erede al
trono di Casa Savoia, del quale raccoglieva i cimeli
fotografici e al quale arrivò persino a scrivere una lettera che, intercettata da un ufficiale postale, pro-
vocò una contraffatta risposta.
La ragazza, la quale vide da lontano durante una cerimonia ufficiale il suo principe, pensò che egli le
facesse un cenno, comprensibile soltanto per lei. Fu
soltanto un sogno, ma a quel sogno Rosita rimase legata per tutta la vita.
Un’attenta descrizione naturalistica e acute osser-
vazioni sul comportamento dei personaggi sono al-
la base di Terra, una novella che della terra appunto
contiene tutti gli umori e la segreta ricchezza.
Georgica è la storia di un amore finito male per un destino avverso che si è accanito contro Albino,
un pastore rimasto senza lavoro e che perciò la sua
donna abbandona. Anche qui accurata è la descri-zione della natura, ricca di colore e di terrestri sen-
tori.
Le virtù di narratrice della Battilana si manifesta-no però specialmente nel lungo racconto Il litope-
dio, che occupa la parte centrale del volume, nel
quale viene narrata la vicenda di una giovane don-na, Francesca, che muore per una gravidanza inter-
rotta in maniera maldestra.
Qui ciò che maggiormente conta è la descrizione d’ambiente, fatta attraverso le parole di Luisa, la
governante della famiglia gentilizia alla quale Fran-
cesca apparteneva. Emergono dal suo racconto le figure del padre di
lei, don Calò, della madre, donna Clara, del medico
Baracco e di altre figure, come quella di Giorgino Ficarra, il giovane medico che si fidanza con Fran-
cesca, avendola in cura.
L’autrice riesce ad entrare efficacemente nell’ a-
nimo di tutti questi personaggi, indagandone le se-
grete passioni e a renderli con compiutezza e verità. La casa nuova è formato da una serie di lettere
nelle quali Marcella, che le spedisce, racconta
all’amica Alessandra le sue esperienze di vita, es-sendo ella un’insegnante che lotta con gli impegni
scolastici e con quelli familiari, dato che ha anche
un marito da accudire, Enrico, a sua volta preso dai problemi del’insegnamento.
Marcella vorrebbe “amicizie, amore, conforto di
arte o poesia, cultura soprattutto cultura e studio e-
levato e gente intelligente intorno”; ma tutto ciò
non le è dato ottenere e ella ne soffre. Anche la sua
salute vacilla. L’ultima lettera all’amica, a distanza di molto tempo dalla precedente, è un triste mes-
saggio che ha il sapore dell’addio.
L’abbandonata è un racconto breve che tratta di una partenza senza ritorno e quello di un relativo
abbandono dolorosamente sofferto, che verso la fi-
ne s’intuisce essere quello di un cane. Piccolo diario raccoglie i pensieri di un bambino
il quale, con la spontaneità e la freschezza proprie
della sua età, racconta del suo menage familiare, ri-
velando quelli che sono i difficili rapporti tra i suoi
genitori; e le sue annotazioni sono esemplari per
verità e intuito psicologico. Regalo per Hermann è un racconto incentrato sul
desiderio di una bambina, Vicki, di avere un prese-
pe tutto per sé; desiderio che viene esaudito, per i-ronia della sorte, a causa della morte del cugino
Hermann, cui un presepe, che ora va a lei, era stato
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.35
destinato.
Frase per una crisi è il racconto di una battuta
mancata al momento giusto per risolvere una situa-zione imbarazzante.
Conclude il libro I trafficanti di speranza, un rac-
conto in cui un Paese dall’economia disastrata si salva in virtù dei suggerimenti di un gruppo di sag-
gi venuti da lontano, i quali propongono di far rina-
scere nel popolo la speranza in un avvenire miglio-re.
Qui il confronto fra quel lontano regno, situato
nell’antico Egitto, e la nostra situazione economica attuale appare evidente. Ed è evidente l’ironia e il
lucido distacco con i quali la Battilana si esprime.
L’impressione che si ricava da tutti questi raccon-ti è quella di una disinvolta capacità di scrittura, u-
nita a un’attenta osservazione del comportamento
umano, considerato con disincanto, ma anche con simpatia e con fraterna solidarietà per le quotidiane
sofferenze che ci vengono inflitte e per l’ indecifra-
bilità del nostro destino.
Elio Andriuoli
PASQUALE BALESTRIERE
FLORILEGIO NEL WEB BLOG
L’OMBRA DELLE PAROLE
La poesia intimistica è sempre stata coltivata da poeti di grande valore, maestri nell’esprimere le
proprie emozioni scaturite da eventi personali o di
esseri amati senza cadere da un lato nel mero pale-samento di fatti privati, dall’altro nel sentimentali-
smo più affettato se i fatti sono dolorosi.
Sarebbe troppo lungo enumerare gli esempi, dalla
Classicità al tempo presente, per entrambi i temi,
soprattutto il secondo, su cui si snodano i versi di
Pasquale Balestriere pubblicati nel blog “L’ombra delle Parole”; versi coltissimi e ricchi di allusioni
dotte (non citazioni) ma classicamente semplici. Il
ritmo è perfetto sia negli endecasillabi sia negli altri versi variamente accostati con grande abilità.
Giova, piuttosto, volgere l’attenzione alle poesie,
di cui tredici composte come stazioni di una “Via Crucis” nella malattia, unite sotto l’evocativo titolo
Il sogno della luce, l’ultima come un “epicedio”
per il genitore dal titolo pregnante Ultimo canto per
il padre.
In quest’ultima, sotto forma di confessione, di
colloquio con chi non può più rispondere, il padre, oltre al profondo amore filiale espresso con classica
misura, sono presenti immagini, metafore e sineste-
sie create da una mente feconda d’invenzioni poeti-co-pittoriche come “da questa nave che batte a fati-
ca / le tenebre”, “grida un sottile silenzio”, “il mare
vede del grano”, “sotto cieli d’infanzia -azzurri,
dunque”, “tumido lacerto detto / cuore” e altre che
evocano l’isola, il mare, i campi coltivati e la vigna, ambiente ben noto al poeta che vi è nato e vissuto,
facendone un elemento imprescindibile del proprio
immaginario poetico. Difficile è parlare poeticamente di una propria
grave e lunga malattia senza scadere nel privato di
cui si diceva sopra. Pasquale Balestriere ha supera-to con abilità questo rischio strutturando la propria
composizione Il sogno della luce come un dialogo
con se stesso, una confessione al proprio io, in mo-do che la sofferenza fisica agli occhi e quella spiri-
tuale per il timore dell’eventuale cecità non si tra-
sformino in una descrizione clinica della degenza in un letto d’ospedale.
Anche qui immagini, traslati, sinestesie pregevoli:
“Muto d’occhi”, “alti schiamazzi d’uccelli e di so-le”, "l’addio ai campi / di verdi aromi e loquaci si-
lenzi”, “cieco cigno” e così via. Il contrasto fra la
sua isola felice e la grande città, Napoli, è a danno di quest’ultima: “Tu vedi come il grigio / prevalga
sull’azzurro”. In quel letto di sofferenza e di timori
lo possono sostenere le immagini dei cari defunti,
presenti nell’animo e nella memoria di tanti poeti,
seppure evanescenti perché ombre. Ma lo anima soprattutto “il sogno della luce” che
sembra baluginare nel fondo di un cunicolo buio,
poi gradatamente più chiaro fino all’approdo nel porto della luce.
Giorgina Busca Gernetti Florilegio pubblicato nel web blog L’Ombra delle
Parole - Poesie tratte dai libri: Il sogno della luce,
Edizioni del Calatino, Castel di Judica (CT) 2011 e
Del padre, del vino, ETS, Pisa 2009
TITO CAUCHI
MICHELE FRENNA NELLA SICILIANITÀ
DEI MOSAICI a cura di Gabriella Frenna – Roma, 2014.
Dentro questa biografia riverbera un patrimonio
genetico di sicilianità difficile da cancellare e tal-mente avvolgente da costringere ad una lettura fra
le righe laddove la memoria che scarta il presente e
guarda al futuro come una minaccia fa finta che
quello che c’è stato è caduto nell’oblio. Un modo
per ricominciare ignorando da dove veniamo, quel-
lo che siamo stati. E, forse, Tito Cauchi in questo suo saggio tiene
conto del vissuto che gli appartiene e che in manie-
ra ingombrante si fa spazio nella memoria perché pretende di essere raccontato, di venire fuori ad o-
gni costo.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.36
Infatti, solo quando i ricordi perdono la loro ossi-
ficata consistenza e diventano cangiante materia per
inaspettate prese di coscienza, il ricordo diventa qualcosa di vivo, capace ancora di emozionare,
specie laddove quello che è solo nostro è il senso di
inadeguatezza verso il vissuto che ci appartiene e il rimpianto di non aver mai compreso bene quanto ci
stava accadendo.
Tito Cauchi, sottoponendo a un procedimento di montaggio e rimontaggio una serie di appunti,
frammenti testuali, micro narrazioni – a volte pre-
levati da bibliografie preesistenti – ci offre con Mi-chele Frenna nella sicilianità dei mosaici un origi-
nale saggio di “storia scomposta”, ove le schegge
della biografia, sezionate e ricomposte con cura amorevole, si riaggregano in forma metamorfica.
Ed allora l’Autore accosta, assembla, cerca asso-
nanze e sintonie di segno, colore e parola, cercando un’armonia tra detto e non detto, sottinteso e garba-
ta sollecitazione a trovare altri significati. Un lavoro
concreto e realista nella proposta di qualcosa di scritto che è stato preso e messo sulla carta attraver-
so un aspetto intimistico, scarno e disadorno, in fa-
vore di un’autenticità delle cose.
Il momento più alto del libro è il primo incontro a
casa del mosaicista quando una magica misteriosa telepatia sembra presiedere ad un trovarsi che di-
venta un ritrovarsi quasi epifanico in un’atmosfera
calda e senza tempo, possibile – come dicevamo prima – solo nella terra dei ciclopi.
Chiudiamo qui, prima che la scure implacabile
del direttore di Pomezia Notizie, che supplica sem-pre a tutti noi massima stringatezza, tagli qualche
capoverso.
Gianfranco Cotronei
ROSSANO ONANO DOMENICO DEFELICE
ALLELUIA IN SALA D’ARMI
PARATA E RISPOSTA
EDIZIONE IL CONVIVIO-CATANIA
Felice idea quella di Giuseppe Manitta, patron della rivista IL CONVIVIO di Castiglione di Sici-
lia, di raggruppare in un volumetto le ventisei Para-
te e Risposta che per due anni il direttore della rivi-
sta Pomezia Notizie Domenico Defelice e il suo
amico e collaboratore Rossano Onano, si sono
scambiate in una ipotetica sala d’armi, che ha avu-to come pavimento le pagine della rivista.
In questo felice lasso di tempo seguitissima, an-
che dal sottoscritto, la singolare tenzone tra i due duellanti. E proprio come nella letteratura medieva-
le la disputa, che è intorno ad argomenti di vivissi-
ma attualità come la questione morale, i costumi, la
politica, è andata avanti a colpi di versi. Colpisce
subito, al primo apparire nel mese di aprile del 2012, la freschezza e l’acutezza dei due autori nel
cogliere i lati deboli del carattere italiano.
E questo soprattutto per il fatto che i due scrittori mostrano, non ostante la non più giovane età, una
non estraneità ai fatti della vita giornaliera, come in
genere avviene a chi, rotto ormai dalle vicissitudini di una lunga ed operosa vita, con la senescenza ten-
de a vedere le cose come avvolte da una nebbia di
indifferenza. Fortunatamente questo non è avvenuto per i nostri
due amici letterati, dato il loro spessore culturale e
l’ impegno che ancora oggi essi mettono al primo posto nel loro quotidiano trascorrere del tempo. È
vero che ad un certo punto il loro botta e risposta è
venuto meno, ma questo è accaduto non per l’ esau-rirsi di una vena poetico-satirica, o di un venir me-
no di argomenti, bensì è accaduto proprio per la ra-
gione opposta. Troppi gli argomenti di una realtà critica più forti della critica stessa e a volte di una
forza satirica più della stessa satira.
E poi come accade sovente nel mestiere di scritto-
re, la penna si rifiuta di scrivere. Sembra che la fon-
te si sia disseccata. Allora è inutile andare a tentoni, ne uscirebbero cose imperfette, claudicanti, prive di
quella forza di cui sono cariche le cose che vengo-
no dettate direttamente dalle nostre più nascoste e misteriose sensazioni. È a questo punto che Defeli-
ce ed Onano, quasi tacitamente hanno interrotto la
tenzone. Senza rendersene conto, o forse renden-dosene bene conto, ci hanno lasciato però delle
pagine di costume incise in modo indelebile e pron-
te per essere consegnate alla posterità. Quella po-
sterità, penso causticamente, che non si meraviglie-
rà poi tanto quando le leggerà e se le leggerà, per-
ché fino a quando ci sarà umanità non vi sarà mai legge o civiltà evoluta non che modernità, che
cambierà l’uomo al punto da renderlo consapevole
che non esistono titoli, ricchezze o altre umane dia-volerie a renderlo diverso e a farlo privilegiare da
Colui che ci attende con pazienza e senza indiffe-
renza. Il libretto per pensare e da tenere per questo, sempre a portata di mano.
Salvatore D’Ambrosio
RODOLFO VETTORELLO
VOGLIO SILENZIO
1° Premio Città di Pomezia 2014
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014
Ecco, con questa raccolta premiata al concorso
Città di Pomezia 2014, il vero segreto che ogni uo-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.37
mo si porta dentro. La pace, il silenzio, la voglia di
stare raccolto e pensare, riflettere sulla vita sul suo
senso e sul suo non sense. I critici più spocchiosi definiscono, con un certo disgusto, questo modo di
scrive, di raccontare, di riflettere sul passato e per-
ché no sul futuro, come stile intimistico. E dalla loro alterigia, che ne proviene non tanto
dalle loro eccelse qualità di critici, quanto da fortu-
nate coincidenze o per meglio dire “amicizie”, di-struggono o quanto meno tentano di farlo, quanto di
più prezioso e non barattabile esiste nella vita di un
essere umano: la memoria delle cose vissute. Cosa resta di un momento vissuto caoticamente, nel fra-
stuono, nella fretta senza significato? Niente, non
resta niente. Nemmeno il ricordo per poter fare la differenza con il dopo, l’attuale: il secondo che si
sta vivendo. La vita ed il mondo sono sempre ugua-
li da millenni, questo è vero, e lo saranno ancora per altri millenni, ma la ragione che ci fa procedere
attraverso i secoli sta nel fatto che “ lascia ch’io re-
sti a guardare / le cose di fuori/ da un angolo nuo-vo/ così che le possa riamare”. Ecco bisogna rein-
ventare la realtà con i nostri occhi, con il nostro
modo di vedere, sentire, di amare, di odiare: dice il
poeta. Bisogna essere unici così come ha voluto chi
ci ha creati. Nessuno è uguale a un altro. Ognuno è uno scrigno di preziosità. Non è malinconia quella
che pervade la poesia di Vettorello, quanto un e-
sempio di cosa è la serenità, la calma che è in o-gnuno di noi per fatto naturale, per semplicità, per
povertà di fango dalla quale siamo stati innalzati. Si
riflette allora sulle aspettative della vita quando si era giovani, per meglio dire quando si procedeva
nella quotidiana rappresentazione senza conoscere
le battute del copione.
E a mano a mano che si procede è forte a volte il
desiderio di strappare quelle pagine che non ci sono
piaciute e che mai avremmo volute nel nostro co-pione. Purtroppo non è così. Ma fortunatamente
per il Poeta i sogni che crollano danno/soltanto un
rumore da poco. Non è rassegnazione; è serena presa di coscienza.
L’accettazione di una realtà diversa dal sogno è fat-
to positivo, è quella visione da angolo diverso che non demolisce, ma che anzi porta nuove prospetti-
ve, architetture per soluzioni non previste o preve-
dibili. Apre quegli orizzonti che porta ad amare la
vita, anche se per strada si è perso o si sta perdendo
qualcosa.
È vero c’è in lui, come cita Defelice nella prefa-zione, il Pavese e il Gozzano con i loro struggi-
menti.
Ma il Vettorello non se ne compiace, ben sì riesce a farne base per una poesia nuova, anche se nella
narrazione il Vettorello non è inventore di nessuna
forma nuova. Egli non va alla ricerca di novità lin-
guistiche, di invenzioni, di forme che deviano da
canoni della poesia. Egli è di per sé già poeta nell’ esprimersi. I suoi versi trascinano, fanno musica
dolce all’orecchio e al cuore. Ci si sente presi in no-
stalgie, rimpianti, emozioni vissute e anche perse. Che non sono sdolcinature, ma presa d’atto che è il
mondo a fornirci tutto il bene ed il male di vivere.
Poesia lirica, fluida nella lettura, musicale, dal rit-mo che non cede e ti porta alla fine dei versi con la
voglia di rileggerli per risentire la musicalità che è
dolce fonte di ispirazione. Nella ricognizione ogget-tiva del suo mondo agricolo e metropolitano, e del
suo mondo soggettivo fatto dalla sua biografia inte-
riore, particolare interesse racchiudono i versi che per definizione psicologica contengono ricordi in-
fantili e familiari.
Contemporaneamente altri versi che appartengo-no alla fase della maturità e del limo che essa lascia
stratificandosi sull’ anima, gli forniscono quella
ricchezza di visione delle asprezze (Tornano sem-pre) e della dolcezze della vita (Fammi l’amore),
che in una sorta di languore sono accettate in quan-
to rinnovellatrici dell’ amato silenzio, frutto di in-
segnamenti familiari che hanno seminato la consi-
derazione che la vita è stupenda, anche se è vissuta lontana da qualsiasi clamore.
Salvatore D’Ambrosio
AURORA DE LUCA
CELLULOSA
2°Premio Città di Pomezia 2014
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014
Sostanza organica bianca, solida, fibrosa, che è il
costituente principale delle membrane cellulari ve-
getali. Ma tale sostanza è anche la principale com-ponente della carta. Non esiste foglio di carta che
non abbia utilizzato la fibra di cellulosa per essere
realizzato. Aurora ci dice , quindi, che questo ele-mento chimico naturale è per la sua attività poetica
elemento da cui non può prescindere. E il legame
tra lei e la cellulosa sulla quale scrive le sue poesie, una volta trasformata in bianchi fogli di carta, è così
forte che vive e muore per esso.
Muoio. Su questa terra di cellulosa…
Vivo.
Da questa terra di cellulosa… Si comprende allora che in questa nuova raccolta
la poetessa ci racconta perché ha scelto la via dei
versi per raccontarsi e raccontarci il mondo che sta scoprendo con l’avanzare degli anni.
Bisogna pur dire che di anni davanti ne ha ancora
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.38
tanti, data la sua giovane età, per cui diciamo
scherzosamente che ha ancora tanta cellulosa da
mangiare. Non tutti sanno però che la cellulosa entra anche
nell’industria dei tessili, delle vernici e degli esplo-
sivi. Cosa c’entra questa considerazione con la raccol-
ta di Aurora è presto detto, anzi lo dice lei stessa:
il filo dei poeti cuce con tessuti che lasciano spogliato il sarto…
Quindi l’arte poetica tra ordito e trama tende a co-
struire tessuti da leggere o da lasciare a chi magari se ne vuole fare vestito. Ecco quindi questa certosi-
na pazienza nel costruire filo dopo filo un pezzetto
di mondo denso di sensazioni, di ricordi, di espe-rienze, di prospettive nuove o di sogni vecchi. Ecco
la cellulosa, l’umile elemento che raccoglie e serba,
come in un immortale scrigno, tutto quello che un inchiostro venoso è stato capace di regalargli.
Il tessuto dal quale scaturirà poi il vestito, va
prendendo forma. Tra alti e bassi, tra entusiasmi e scoramenti si procede e la stoffa cresce, dilaga, di-
venta tanta, sempre più perfetta, compatta. È liscia
e aspra nello stesso tempo. Ma il tempo darà ragio-
ne a chi ogni volta riprende l’ago e cuce. È buona
filatrice la De Luca, ma anche tenace nel perseguire i suoi obiettivi che sono, per ogni tempo, la primi-
zia e la fioritura.
Dicevamo che la cellulosa è anche tra i compo-nenti delle vernici, e le vernici sono fondamental-
mente colorate.
Il colore: è questo l’altro elemento che caratteriz-za la poesia della De Luca. Si potrebbe obiettare
che non potrebbe essere altrimenti, data la giovi-
nezza della poetessa. Ma non è affatto così, ci sono
tantissimi giovani più grigi e spenti della cenere.
Ma non è di questo tipo di colore che si vuole in-
tendere. È bensì del colore musicale che è presente nei versi di Aurora De Luca.
Distinguere il rosso dal giallo, il verde dal celeste
o il nero dal grigio non richiede essenzialmente la conoscenza del nome del colore. Allo stesso modo
distinguere tra do e re, o tra mi bemolle e un fa die-
sis non richiede conoscenza delle note. Occorre in-vece avere un orecchio tale da sapere distinguere
tra il “colore sonoro” per esempio del do dal “colo-
re sonoro” del do. A questa cosa puoi dargli il no-
me che vuoi, rimane sempre “quel colore”. Bisogna
cioè avere la percezione del suono, la percezione
delle sfumature o dei colori del suono, riconoscere la differenza tra nota e nota. Per saper fare questo
bisogna, come dice Burge, sentire la differenza di
colore tra un mi bemolle e un fa diesis. Abituare l’ orecchio a sentire le emozioni, il mood, il feeling di
ogni singola nota. Tutto questo bel discorso rappor-
tiamolo ai versi di Aurora De Luca. Una volta abi-
tuato attraverso la lettura, magari ripetuta più volte,
l’orecchio al suono dei suoi versi potremo percepire le sfumature e con esse il colore di ogni singolo
verso o dell’intero componimento. Ecco questo ac-
cade nel leggere la silloge CELLULOSA. Ecco questo è l’elemento colore.
Infine, dopo l’uso della cellulosa nell’industria
della carta, di quella dei tessuti e del colore, esami-niamo quella del mondo degli esplosivi e facciamo
il nostro parallelo. In questo settore industriale il
prodotto che ne viene fuori è la nitrocellulosa, composto altamente deflagrante. Nel leggere questi
e altri versi della De Luca sentiamo delle vere e
proprie deflagrazioni nella mente. La spontaneità, più che la ricerca artificiosa del fenomeno, è di un
effetto così dirompente da assomigliare ad una vera
e propria esplosione. Tutto in questa silloge esplo-de: la natura, la carne, il tempo, le promesse , la po-
esia, qualcosa che si fa pietra buona/nelle nostre
mani. Tutta la raccolta è scoppiettante di versi oserei di-
re fulminanti :
…. Cappelli volanti di semi di idee..
…. inchiostro venoso..
…. Pilastri di dita frementi.. …. Va sfilando maglie dagli occhi..
…. Passiamo sopra la schiena del cielo..
… Defluisce la pietra pomice d’anima.. Invitiamo il lettore della silloge CELLULOSA a
proseguire nella ricerca e a provare gli stessi
schioppi interiori che ci hanno preso senza scampo, arrendendoci felicemente all’evidenza.
Altro elemento che comincia a comparire nei ver-
si di Aurora è il non banale, il non scontato; il
mondo che, anche se è sempre lo stesso, con i suoi
occhi diventa nuovo con dei risvolti che solo lei rie-
sce a farci percepire.
Salvatore D’Ambrosio
TITO CAUCHI
PALCOSCENICO Editrice Totem –Anzio, RM, giugno 2014 – 62 pagg. € 10
Lo scrittore siciliano di Gela (Caltanissetta) Tito
Cauchi , già docente ( quindi sempre docente), vive
ed opera a Lavinio di Anzio (Roma), diventata la
sua seconda patria. Poeta e recensore letterario, promotore culturale ed editoriale, amico dell'arte e
degli artisti, a un certo punto Cauchi si è “reso con-
to” che la vita dell' uomo è come un “arruffato” co-pione teatrale che viene recitato su un “palcosceni-
co”, quando non è essa stessa un palcoscenico. Che
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quindi uomini e donne recitano, più o meno consa-
pevoli, una propria parte che non sempre è chiara.
Anzi, spesso recitano a soggetto, senza un canovac-cio o testo scritto, al massimo con una scaletta but-
tata giù alla svelta.
Tutti concetti, questi, suggestivi e affascinanti, che affondano le proprie radici fin nell'antichità e
nelle maschere del teatro greco. Non è il caso di
scomodare, poi, il genio di Shakespeare, sia come autore di testi che come attore, né la fantasia alluci-
nata di un altro siciliano, Luigi Pirandello. Che la
realtà non sia sempre la stessa, sic et simpliciter, ma soprattutto che non sia solo ciò che si vede e si per-
cepisce coi sensi (alla Condillac) è pacifico da se-
coli, senza riandare al divenire di Eraclito di Efeso. Ma che vi sia una forza occulta e irresistibile che
guida e muove gli accadimenti umani lasciando che
gli uomini si illudano di esserne gli autori, è una scoperta che può lasciare senza fiato. Per gli antichi
era il Fato a dominare la scena del mondo, per Ma-
chiavelli è la Fortuna, che influisce per il cinquanta per cento sulle vicende umane, mentre l'altro cin-
quanta può dipendere dall'uomo (dal Principe).
Sull'onda di questa “constatazione” Tito Cauchi
ha scelto con cura le proprie poesie più belle e si-
gnificative apparse finora, negli anni Duemila, in numerose e interessanti Riviste letterarie o Antolo-
gie, poesie tutte legate, o legabili, da quella metafo-
ra onnicomprensiva e perfetta del “palcoscenico”. Ve ne ha aggiunte di inedite e di tradotte in inglese,
in greco, in russo... Quelle inedite sono Fratelli del
mondo, Filari di viti, Lacrime e risa, Vita da pen-dolare, Natale sempre uguale. Quelle tradotte sono
Esaurimento, Prima di morire, Vivere. Ha riunito il
tutto in un bel libro di 63 pagine, con un bel titolo
(e un accattivante sipario rosso in copertina); ne ha
scritto l'Introduzione (disquisendo efficacemente di
lettore e di autore, di attore e spettatore). Ancora prima del frontespizio, quasi in luogo delle pagine
di rispetto, ha inserito un “esergo” chiarificatore
(“Alla nascita si apre un sipario sul palcoscenico: spesso assumiamo un ruolo, recitiamo un copione,
e rimaniamo soggiogati e imprigionati dalla ma-
schera; ma avviene pure che ci sia chi non ha di che coprirsi”.
Il libro è dedicato ufficialmente dal poeta alle
donne della sua vita: la moglie Concetta, Carolina e
Alessandra.
A tutto ciò fa seguito una calzante Prefazione di
Gianfranco Cotronei, che pone l'accento sui punti essenziali : “ Tito Cauchi è uno dei poeti che me-
glio sa dar vita e coerenza all'impulso ispirativo, e
la sua versificazione, solo apparentemente piana e di penetrazione immediata, coniuga, in una sorta di
enunciazione insieme palese e allusiva, una forma
“classica” a complessi percorsi analizzati sul ver-
sante esistenziale dell'esperienza...” . Mi associo a
tale giudizio, così come mi associo a quello succes-sivo, secondo cui “ per tutto il percorso lirico della
silloge, si afferma la volontà di sollevare il sipario,
di scendere attraverso il segno della parola al rit-mo segreto del linguaggio poetico pervaso da una
connotazione malinconica e dolente che scaturisce
dal sentire la vita tragicamente frantumata. Resta per l'Autore, però, come solido canapo di salvezza,
il ripiegamento verso il mondo degli affetti, dei ri-
cordi, dei sensi.” Specialmente per quanto riguarda i contenuti, la
poesia di Cauchi è ricca e fertile, perché trae spunto
sia dalla vita degli affetti che da quella della crona-ca, di cui il mondo attuale ci fornisce esempi più
angoscianti che edificanti. Il mondo degli affetti, in
lui, è semplice e complesso al contempo, così come è generoso e delicato. Dal viluppo dei sentimenti e
delle riflessioni scaturiscono poi le gocce del miele
amaro di una malinconia di fondo (come a dire, sì, ho capito il gioco di questo teatro, ma non è che mi
piaccia tanto...).
Tito Cauchi è un poeta dal cuore generoso, aman-
te della pace e della fratellanza. Lo spettacolo della
società e del mondo d'oggi lo delude, come uomo, nelle fibre più intime, ma egli, come artista, non ri-
nuncia a credere nell'uomo e nella Poesia, nono-
stante la permanenza e la moltiplicazione di Caino. Se non bastano l'amore e l'affetto, mette in campo l'
ironia, a volte bonaria, a volte graffiante.
Un discorso a parte potrebbe essere fatto sul lin-guaggio, sulla forma espressiva con cui si appalesa,
attraverso la poesia, una tale visione del mondo e
della vita. Insomma, sul linguaggio poetico. Argo-
mento, quello del necessario vaglio o crivello, che
secondo me vale per tutti i poeti, nessuno escluso.
Ma anche in questo, dopo aver letto e riletto tutte le composizioni, alla fine non posso che concordare
con Cotronei quando afferma, tra l'altro, che “le
immagini di Tito Cauchi assurgono a simboli attra-verso l'uso di un linguaggio volutamente scarno ma
singolarmente costruttivo, che rielabora il caratte-
re transitorio e sbiadito della realtà...”. Aggiungo che Tito Cauchi, mentre coi “contenu-
ti” e le storture del mondo prova dolore e sofferen-
za, con la forma espressiva si “diverte”. Col verso
libero, con le parole, le immagini, i costrutti, etc.
Tito Cauchi non dico che ci giochi, però si diverte.
Se lo ritiene necessario, ricorre anche alla “vec-chia” rima (baciata, alternata) ed anche all'assonan-
za, in modo massiccio . Si veda Il tuo viso inespres-
sivo (a pag. 14). Così come, per il trionfo giocoso della rima, si distingue Allegra ti vedo (pag. 35).
Tra le poesie artisticamente più riuscite segnalerei
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.40
Natale incerto e invisibile, una di quelle poesie
nelle quali, con un linguaggio piano e quasi discor-
sivo, Cauchi ci ritrae a tutto tondo per quello che siamo, una civiltà in crisi perché ha smarrito la so-
stanza pura del messaggio evangelico o comunque
di quello veramente umano, socialmente solidale. Una umanità che recita (bene o male, a seconda dei
casi) e che entra ed esce senza sosta attraverso un
sipario, salendo e scendendo in continuazione da un palcoscenico.
Ed anche questo è un grande merito della poesia
“semplice”, ma sincera e autentica, di Tito Cauchi.
Luigi De Rosa
AURORA DE LUCA
CELLULOSA
(2° Premio “Città di Pomezia 2014”) - Ed. Il Croco, I quaderni letterari di POMEZIA-NOTIZIE, 2014
Il titolo della silloge (2° Premio “Città di Pomezia 2014”) ci suggerisce subito l’idea della carta, sulla
quale la giovane poetessa verga le sue liriche. Il fo-
glio bianco, che proviene dalla natura, non può co-
munque sostituire lo splendore della natura stessa.
In tutto il volumetto la natura è presente come similitudine e metafora, con i suoi campi, i sui albe-
ri, i suoi frutti, i suoi raggi di sole, anche quando il
tema ispiratore è drammatico (leggasi “La casa dei viandanti”). In tutti i versi è presente una ricerca sul
quid esistenziale (ad esempio “La schiena del cie-
lo”). Anche in “Disatteso”, l’immagine del fiore “sbocciato e presto marcito” ci pone una domanda
“spersa come una voce fioca”.
Man mano che si procede nella lettura, apprez-
zando la tecnica compositiva, con l’uso di ossimori,
anafore, similitudini, si aprono spiragli dell’anima
di Aurora De Luca, “Conchiglia satura e vuota” che però vive nell’incontro con la parola (“il mazzo con
tutte le chiavi del mondo”).
E intanto, mentre il fato e il caso governano “il conto dei giorni”, l’autrice si sorprende a scoprire
se stessa e la sua posizione nel mondo. Così ella di-
ce: “in questo spazio e questo tempo / che sta tra me e il mio mai più / io sono qui e ne faccio colo-
re”. Perciò, a buon diritto, può confermare: “qual-
cosa si fa pietra buona / nelle nostre mani”.
Elisabetta Di Iaconi
AURORA DE LUCA
CELLULOSA
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014
Io donna scrivo ad un’altra Donna. Mi piace ini-
ziare così, riportando ciò che di me ho intravisto in
lei.
L’autrice, la poetessa Aurora De Luca compone i suoi versi per espandersi. Essere donna è avere la
luce accesa sull’anima, manovrare i brandelli di
sentimenti e sventolarli al fresco profumo dell’aria. Donna, poetessa, che di te della tua natura emotiva
fai versi di “ cellulosa”, tocchi la carta, la materia
vivente, la natura, esprimi il senso intoccabile che di ogni donna deve essere legge.
Un passaggio illuminante “ persino nel nero fu
luce”. Poi la dimensione della casa e il calore delle mura, tutto continua a ricondurre ad un grandissimo
senso femminile che attraversa e pervade, lasciando
il significato delle radici di un’esistenza “ come piante di pero alle sue radici ti chiedo mantienimi”.
Dalle radici allo sguardo. Anch’io spesso mi ri-
volgo allo sguardo, per ricordare che lo sguardo di una donna deve lasciare impronta ed eccola, l’ au-
trice, la poetessa “ dove ci conduce il verde nostro
sguardo?”. Si! Mi piace, mi è piaciuta la lettura di questa o-
pera, che per volontà emotiva, ha fatto entrare an-
che me in questa analisi recensiva, per innalzare il
significato femminile che ho intravisto tra le pieghe
di questa delicata e profondissima raccolta di liri-che; che ha incantato il mio pensiero e ha esteso
una dedica, da fare a tutte le donne, alla luce dell’
anima, a partire da quella visione meravigliosa, che mi giunge ora, accanto al calore del focolare delle
nonne.
Da donna a Donna. Tutti i miei più vivi compli-menti, un bellissimo sguardo sul mondo e una netta
percezione dell’animo femminile.
“Ogni opera d’amore fatta con il cuore avvicina
a Dio” Madre Teresa di Calcutta.
Filomena Iovinella
TITO CAUCHI
PALCOSCENICO Editrice Totem, Lavinio (RM) 2014, Pagg. 64, € 10
Palcoscenico, storia di cantieri e di povertà, di pace e di vita dove scarseggia l’amore (purtroppo!).
Sono versi scorrevoli e intensi di sentimento, di a-
nelito alla serenità e alla concordia. Sul palcosce-
nico della vita, tutti indossiamo una maschera che
non sempre riesce a celare l’infelicità umana. Vor-
remmo recitare, forse, da primi attori e non siamo che figuranti, modeste comparse, poveri guitti nella
molteplicità delle interpretazioni in commedie e
drammi dell’esistenza. Orrori di guerre, ingiustizie e indifferenza, silenzi, solitudini e pianto, scorre la
vita con tutto il male del mondo e la realtà del dolo-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.41
re.
In Palcoscenico, l’attore Cauchi va ad interpreta-
re, con la propria, le storie degli spettatori (letto-ri/spettatori): la perdita di un amico, l’intimità della
famiglia (La mia chiesa). Nelle riflessioni, anche
amare sull’amore (Amiamoci) la creatura solitaria si trasforma in lupo selvaggio (Lupo solitario).
Mentre le Moire filano e tagliano il filo della vita,
benevoli appaiono figure femminili. Si risveglia la tenerezza di Tito: per Giovanna d’Arco, per Con-
cettina; la carezza per ogni donna con la mimosa,
alla quale l’otto marzo, Cauchi volge sguardo affet-tuoso. Grazie!
Elena Milesi
TITO CAUCHI
MICHELE FRENNA NELLA SICILIANITÀ
DEI MOSAICI EdiAccademia Isernia, 2014, Pagg. 192, Ediz. f. c.
Voglio dire BRAVO a Tito Cauchi per il suo vo-
lume, per avere dato senso all’amicizia ed esaltato
il valore di un artista. Da “una visita memorabile”
in data 19 agosto 2008, ecco sbocciare un’amicizia
con la maiuscola e poi un intero volume di recen-sioni ed articoli sull’artista di un particolare mosai-
co a tessere vitree, Michele Frenna nella Sicilianità
dei mosaici. Una storia molto bella che dice di sen-sibilità e generosità squisite e rare che qualificano
lo scrittore e poeta Tito Cauchi (e che ben si colgo-
no nei contatti telefonici!).
Elena Milesi
ROSSANO ONANO -DOMENICO DEFELICE
ALLELUIA IN SALA D’ARMI
Parata e risposta
Il Convivio 2014 – € 6,00
Per un lettore assiduo di Pomezia Notizie, bene hanno fatto Domenico Felice e Rossano Onano a
raccogliere in volume i loro “botta e risposta” ap-
parsi per lungo tempo in Rivista. La loro rubrica era un momento piacevole di sati-
ra, un dialogo in prosa e poesia che s’intrecciava a
meraviglia tra ironia, puntigliosità, acume, sino a
cogliere i punti più critici e a volte paradossali della
nostra società. Alla prosa di Rossano Onano, Defe-
lice rispondeva sempre con dei versi che ne avvalo-ravano il contenuto; il risultato era sempre garantito
e a volte rasentava la comicità.
Ora, con il volume Alleluia in sala d’armi, il momento si è dilatato e possiamo goderci una lettu-
ra sequenziale che nell’assieme ben definisce le
problematiche della vita odierna. Onano, con la sua
qualifica di medico specialista in psichiatria, ha tut-
te le carte in regola per addentrarsi negli ingorghi della mente umana ed evidenziarne le aberrazioni.
Nondimeno, Defelice, da sempre attento alla vita
sociale e provvisto di un acume singolare, ha retto superbamente alle provocazioni dell’amico, e solo
la satira poteva dar loro modo di aprirsi senza re-
more. Nel volume, infatti, troviamo un potpourri di accadimenti: dalla cronaca alla politica, dai disastri
ambientali ad azioni poco etiche da parte di ogni
ceto sociale (gente comune, politici, preti, ecc.). Un ampio ed esaustivo quadro di una parte della socie-
tà che ha perso i valori più importanti: socialità, so-
lidarietà, altruismo, ecc. Tutto ciò che dovrebbe di-stinguere la razza umana.
Tra i tanti, ad esempio, l’Alleluia Costa Concor-
dia, dove Onano dice che “E’ in aumento il flusso di turisti all’Isola del Giglio. Tutti in fila per la fo-
tografia con la carcassa della nave sullo sfondo. La
Giunta pensa di conferire la cittadinanza onoraria a Francesco Schettino.”. E Defelice replica “…La
nostra società massificata / sente la libidine del
dramma; / la strage l’emoziona / e, se partecipar
non può in diretta, / va bene anche una foto!... ”.
Una raccolta preziosa, dunque, da riprendere spesso per non farsi ammaliare dai tanti blabla dei
mass media che ci assillano.
Laura Pierdicchi
TINO CAUCHI
PALCOSCENICO
Editrice Totem, 2014, pagg. 53, € 10,00
Oggi per farsi notare ed apprezzare è necessario
collaborare a più riviste culturali. Non c’è altra
scelta! O così o è l’oblio assoluto! Ma a volte, ma-gari per la gioia dei propri lettori, non è male riuni-
re la propria opera, sparsa qua e là su questa o quel-
la testata, per poter offrire a tutti un ritratto, il più completo possibile, di sé stessi.
Tino Cauchi (classe 1944, nato a Gela [Sicilia]),
che vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma), ha svolto varie attività professionali,
l’ultima delle quali è stata quella di docente presso
l’ITIS di Nettuno.
Questo è quanto riportato in quarta di copertina.,
Da parte mia, aggiungo che Cauchi appare fra i tan-
ti Autori dell’ottima antologia di A. Arcifa Chiare e vive testimonianze del nostro tempo, ancora una
volta come Poeta.
Il presente volume, Palcoscenico, è un compendio delle numerose, bellissime poesie del Nostro, quale
pubblicata su Il Convivio, quale su Pomezia-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.42
Notizie, quale nell’antologia Reality e Poesia… alle
quali vanno aggiunti alcuni carmi, inediti!, che
chiudono stupendamente questa silloge meraviglio-sa!
Non è Poeta da sottovalutare Cauchi. La varietà
dei temi da lui trattati e la levità di stile che ne ca-ratterizza l’esposizione non necessitano certo di
commenti.
Un esempio? In fondo al libro, ultime ma non disprezzabili, vi
sono alcune mini poesie, dalla raccolta Amante di
sabbia (edizioni Pomezia Notizie) tradotte poi an-che in francese, inglese e greco, quale prova indi-
scutibile dell’universalità dei temi trattati. E consi-
derando che, da una lingua all’altra, i significati delle singole parole e le frasi idiomatiche possono
cambiare radicalmente, non è cosa da poco. Da
leggere per credere! Ed è solo un esempio banale, questo!
Ci sono poi carmi inediti, come Natale sempre
uguale oppure come Lacrime e risa, tutte da scopri-re e che ogni lettore, vecchio e nuovo, di Cauchi
dovrà commentare da sé. Perché ognuno di noi, per
fortuna!, è diverso da tutti gli altri e ciò che incanta
me potrebbe annoiare un altro (e viceversa).
Un tesato che darà un’idea molto precisa del valo-re dell’ars poetica di Cauchi e che lo farà riscoprire
nelle sfumature più varie poiché qui c’è davvero la
sua opera omnia poetica o, se non tutta, una gran parte e non disprezzabile.
Buona lettura a chi verrà dopo di me.
Andrea Pugiotto
TITO CAUCHI
MICHELE FRENNA
NELLA SICILIANITÀ DEI MOSAICI
EdiAccademia Isernia, 2014 -179 pagg.
Michele Frenna ci ha lasciati il 5 ottobre 2012 e il
tomo che qui presento è un omaggio postumo ad un Maestro che ha avuto il merito non piccolo di resu-
scitare e di valorizzare al massimo grado, mercé
tecniche e temi nuovi, un’arte oramai scomparsa da secoli, e che pure fu importantissima in Oriente e in
Roma antica: il mosaico.
Il Maestro si serviva di vetri variamente colorati,
applicati a cartoni, e i temi da lui messi in evidenza
sono tutti nuovi ed attualissimi, dei veri J’accuse
della realtà odierna: Scuola cantiere; i ginnasti; Il bibliotecario… solo per citare tre titoli. In essi, la
realtà odierna si scontra con verità che si vorrebbe-
ro negare, annullare in un modo qualsiasi, ma che pure esistono (Ne I ginnasti, un ragazzino sulla se-
dia a rotelle è in una palestra, assieme ad altri ra-
gazzi intenti agli esercizi).
Frenna, figlio della Trinacria ed autodidatta (spe-
cie quanto al mosaico), ha avuto molto da dire e da dare, ad onta degli ignoranti, dei critici imbecilli,
dei galleristi meschini… imponendo infine uno stile
ed una tecnica non disprezzabili in questo nuovo Medioevo, dominato dai nuovi barbari (comunisti
in testa), bravi solo a distruggere ciò che disprezza-
no perché non lo capiscono. Molti, in passato, hanno avuto a che fare col Mae-
stro Frenna, direttamente o indirettamente, com-
mentando la sua opera, come uomo e come artista, e scrivendo commenti o monografie sui suoi mo-
saici. Vincenzo Rossi, Orazio Tanelli, Leonardo
Selvaggi (solo per citare tre nomi rinomati) ebbero la fortuna di scrivere pezzi interessantissimi sull’
opera di questo figlio del Sud che, attualmente, sta
pigliandosi una sonora rivincita sul Nord e sul Cen-tro (e, a ben considerare, è anche giusto!).
Tito Cauchi, autore eclettico dei nostri giorni, si
presenta stavolta come semplice curatore, mettendo insieme un’antologia preziosa di giudizi dalle pen-
ne più diverse intorno al Maestro Frenna ed alla sua
arte, pigliando per sé poco spazio e lasciando parla-
re soprattutto gli altri.
Un omaggio postumo, peraltro dovuto, a chi non ha mai chiesto nulla agli altri né ha preteso di essere
un Raffaello essendo nato Michele Frenna. Ed è in
questo la vera forza del Maestro: l’umiltà, la sem-plicità con cui ha offerto il proprio cuore al mondo
attraverso le sue opere meravigliose.
Cauchi, dal canto suo, è stato davvero ammirabi-le. Non è facile mettersi da parte e lasciar la parola
agli altri, essendo un Autore non disprezzabile. Ma
stavolta è stato solo un curatore, offrendo un testo
ammirabile e degno di nota. Un ennesimo saggio
monografico su un Artista che, vivo o morto, non
finirà mai di stupirci per la bellezza delle sue opere, sia nel senso più superficiale che nei significati più
profondi delle immagini da lui creati.
Il mondo è bello perché è vario, recita un prover-bio vecchio e saggio.
È vero e questo testo lo prova ampiamente.
Da leggere con attenzione, per gustarselo fino alle virgole meno evidenti.
Andrea Pugiotto
AURORA DE LUCA
CELLULOSA
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2014
Della poesia di Aurora De Luca mi ero già occu-pata una volta e oggi, pur non avendo motivo di
modificare le mie impressioni, debbo evidenziare
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.43
che in “Cellulosa” le rappresentazioni del sogno e
del reale, della gioia e del dolore, dell’ansia e della
fede sono diventate più sorvegliate, più mature. Il titolo “Cellulosa” offre una pista indicativa: la
vita colta nel suo ambiente naturale coinvolto nel
mistero del tempo e del suo mutamento con un pun-to di partenza molto significativo: “La fioritura”
(pag.3) legata ad un’esistenza di valori interiori pro-
fondi, religiosamente avvertiti come essenza fecon-da dell’essere umano nel mondo. Il canto si avvia
spesso all’introspezione, alla denuncia, alla prote-
sta, al vuoto esistenziale ma anche alle meraviglie della natura, che consentono alla sensibilità della
poetessa di assaporare cose, affetti, vicende lontani,
colti nello spazio di un presente che si fa emozione. La silloge si chiude con “Il nostro verde sguar-
do” (pag.31) aperto alla rinascita e alla resurrezione
senza fine. “Saremo bosco sulle macerie/ campo fiorito in
inverno” (pag.25) e forse, nel momento in cui la vi-
ta e la morte si intrecceranno l’una nell’altra, po-tremo ascoltare il suono di quell’istante in cui l’ e-
lemento terrestre si aprirà all’infinito e all’ignoto.
Innocenza Scerrotta Samà
PAOLA INSOLA
ELOGIO ALLA MIMOSA
Ed. Il Croco/Pomezia notizie, 2014
Poesia cercata e trovata nella semplice mimosa,
carica di un giallo, che rivela la realtà dell’amore e della bellezza in tutti i germogli della primavera, in
ogni filo d’erba, in ogni creatura nascente.
Tale giallo scivola dentro, crea bagliori e divampa
col preludio di un’apertura di luce sull’indifferenza,
l’ipocrisia, lo sfruttamento, il caos dentro il quale l’
uomo vive e non lascia vivere. Purtroppo in questo “spazio giallo”, attraversato
dal bisogno della poetessa di proiettarsi nella bel-
lezza e nella pace, s’aprirà un varco “dove si anni-dano vespe/ con l’insidia del pungiglione/ che pe-
netra ed infetta” (pag.17).
Questo oscillare fra opacità e luce (bisogna rico-noscerlo e accettarlo) fa parte della vita che non
cesserà mai di esplodere nelle sue opposte, svariate
forme creando l’armonia dell’universo. Vivere e-
ternamente nell’Eden, sarebbe stato oltremodo no-
ioso.
Il Creatore con l’esilio ha concesso all’uomo la libertà di attraversare vie luminose, oscure, doloro-
se e, nonostante tutto, aperte alla speranza, ultimo
bene.
Innocenza Scerrotta Samà
ENTANGLEMENT
Fredda la tua guancia e struccata
sul traghetto, di prima mattina.
Un gabbiano ci segue come un drone
senza un battito d’ali.
Si poserà su Reggio o su Messina?
Quanto sono vicine le due sponde!
Si può scorgere forse la casa
con tante stanze in cui mia madre è morta.
Quello ad angolo sembra un suo balcone.
To leave or not to live?
Così vicina e non ci son tornato.
Corrado Calabrò
...È TUTTA ROBA PROPRIA...
E non metto più
i miei pensieri
il mio sentire
nella tua testa.
È tutta roba propria.
Quella nuvola lassù
quelle case proprio lì
questo mondo che c'è qui
ieri o mercoledì
è tutta roba propria.
E non metto più
supposti pensieri
del tuo pensare
nella mia testa.
È tutta roba propria.
Questo spazio fin laggiù
quella gente proprio lì
l'atmosfera che c'è qui
domani o venerdì
è tutta roba propria.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.44
Sol comunicare
apre gli universi
sol comunicare
ci avvicina a saperci.
Il resto è tutta roba propria.
Michele Di Candia
RINTOCCANO LE CAMPANE
Rintoccano le campane:
sono le sei di sera
una sera d’autunno
e piange
il cielo.
Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI
GIORNATA IMBRONCIATA
Giornata imbronciata,
giornata silenziosa.
Tutto sonnecchia
in attesa
del sole
che tutto
risveglia all’amore.
Loretta Bonucci
FERITE DELL’ANIMO
Sei passata attraverso le asperità
del terreno, sulle angustie che non fanno
essere libero, le lunghe malinconie
serrano la gola. Per entro i fossati
presi dalle tenebre,
sopra le onde gelide spumose
sei venuta come un gabbiano.
Sopra i fumi delle riarse lande
fino ai limiti di questo giorno
che mi trova resistente alle attese
di sempre. Sento la tua voce
nei profondi tagli ricuciti, distilla
dolce liquido; fragranza di parole
balsamo per tutta la mia persona.
La voce calda al telefono suasiva.
Quasi il latte che nutre della mamma,
come unguento risanatore sulle bende
che fasciano le patite voglie d’amore,
tenerezza e profumi di prima stagione
nell’aria diversa che avverto vicino.
Amore per il particolare
espandendosi la superficie delle cose;
una leggerezza che è animo libero,
l’introspezione si scioglie. La tua figura
fluisce, rinnovo dei giorni; simbiosi
l’appartenenza che è sovrapposizione.
Io come svuotato, io ampio involucro
per pensieri sublimati
che trapassano dentro di te.
Lucensea, il tuo nome; luce carezzevole
seta fine sotto le dita.
Strofino le foglie dell’alloro,
metto il muso nel fondo delle labbra
delle corolle per sentirti.
Leonardo Selvaggi Torino
IL CORAGGIO DI VIVERE
Mi acceca il sale appena spalato,
bianchi cristalli screziati di rosa,
non sono musica tra le mie mani
piagate dal duro lavoro.
La luce mi abbaglia,
non vedo più nulla,
né sento il dolore,
le grida sommesse di chi sofferenza nasconde.
Si…lo rubai quel tozzo di pane.
Servì per sfamare i miei figli…
Non lo avrei mai fatto
se fosse stato per me…
Sarei andato a scorticar le ginocchia,
a raccogliere terra e chicchi di grano
tra spighe ormai muffe,
scomposte dalla pioggia e dal vento.
La necessità mi forzò…
E per questo non provo alcun pentimento.
Lo rifarei mille volte….
Mille bocche nutrirei,
come fanno gli uccelli dall’alba al tramonto,
seguendo l’istinto ancestrale che il futuro
contempla.
In questo mondo difficile,
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.45
la tenue speranza ti porta a sopraffare le regole
di una società che non coglie e distingue
il bene dal male…
La dignità…
di chi stremato ricerca
il coraggio di vivere.
Colombo Conti
1°Premio di Letteratura “Ponte Vecchio”
VOGLIO TORNARE A CASA
L’aratro aprì il solco,
Tagete apparve con le sue virtù che traman-
dò alle genti contadine.
Polvere negli occhi, profumo di humus sulle mani.
Incerto è il cammino col sole in faccia il
cappello di paglia non mi riparerà.
Nemmeno il vento sarà clemente.
Rughe profonde solcano il viso non è cosa
facile guadagnarsi il pane.
Ma io l’ amo questa terra che mi fa soffrire.
La bacio, la sgretolo tra le mani fino a lan-
ciarla lontano a coprire i semi.
E’ natura madre, ancestrale saggezza,
che si prende cura di me, dei miei figli.
Lo sguardo assorto tra le nuvole attende un
segno di pioggia.
Il naso in su avverte già l’odore di ozono
che annuncia il temporale.
E’ vita e distruzione ctonia paura che gela il cuore.
Ancora una volta risuonan dall’Averno i
pensieri.
Mi accarezza la morte mentre tutto è vita.
L’acqua mi purifica, mi lava le ferite,
trasporta l’armonia della risacca ancor lontana.
Non tradirò mai il mio amore per le mie radici.
Non me ne andrò neanche un attimo da que-
sti luoghi,
dove ancora cammino sopra le stoppie a
piedi nudi.
Simulacri divini avanti ai miei occhi,
tumuli coperti di ghiande ed asfodeli.
E’ il passato che è presente.
Il tempo è stato clemente non l’ha cancellato.
Sono ancora tuo figlio Etruria mia,
anche se esule tra orizzonti lontani.
Rivivendo il sogno mi sento già meglio.
Ma la voce sussurra il mio pianto…
Voglio tornare a casa.
Colombo Conti
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE ACCADEMIA COLLEGIO DE’ NOBILI - Isti-
tuzione storico – culturale fondata nel 1689 - Prima
di iniziare i lavori che si sono protratti dalle 15 alle 21 abbiamo fatto alcuni minuti di silenzio per ri-
cordare gli Amici Marchese Avv. Luigi Ottavio
Borzone de Signorio Sabelli di Luni, che ha fatto parte della Giuria fin dalle prime edizioni, e ci ha
lasciato il 19 luglio e il Presidente Onorario del
Premio Dott. Ottavio Matteini, giornalista de La
Nazione, Presidente per diversi anni dell’Ordine dei
giornalisti della Toscana e Consigliere Nazionale,
deceduto il 5 novembre e che, insieme al fondatore del Premio, è stato grande amico ed estimatore del
Poeta Danilo Masini. Dopo quasi due mesi di lettu-
ra e disamina delle poesie inedite, inedite sotto i 18 anni e libri editi di poesia, la Giuria della 10a Edi-
zione del Premio Internazionale di Poesia “Danilo
Masini” dal tema Poesia e Vita e Tema libero, riu-nita in data 20 novembre 2014 presso il Circolo Ri-
creativo “Stanze Ulivieri” di Montevarchi, ha de-
cretato che il 1° Premio per la Poesia Inedita andas-
se a Rita Muscardin di Savona per la poesia “La
storia di noi due… (A mio figlio)” e il 1° Premio
per il Libro Edito di Poesia a Clara Bianchi di Fi-renze per il libro “Cristalli di luce… Gocce di poe-
sia”, Montedit, Melegnano (MI). Per la sezione Po-
esia Inedita giovani under 18, il 1° Premio è andato alla sedicenne Lucia Rostagno di Fossano (CN)
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.46
per la poesia “Sui primi cespugli del cuore”. Gli al-
tri premi assegnati per la sezione Poesia inedita
sono i seguenti: 2° Premio a Maria Cristina Renai di Sinalunga (SI) per “Aria nell’aria”; 3° Premio a
Ines Scarparolo di Vicenza per “Il bianco della te-
nerezza”; 4° Premio ex aequo a Luciano Fani di Marciano della Chiana (AR) per “Ti sento”; 4°
Premio ex aequo a Giuseppe Barba di Gallipoli
(LE) per “L’anima e il Sud (Libecciata al mio paese di mare)”; 5° Premio ex aequo a Anna Maria Oli-
to di Firenze per “Ti cercherò”; 5° Premio ex aequo
a Maria Laura Ghinassi di Arezzo per “Portati via dalle stelle”. Per il Libro edito di poesia sono i se-
guenti: 2° Premio a Stefano Martin di Udine per il
libro “IL BUCANEVE Quando l’amore per la pro-pria terra diventa poesia” Silloge poetica, Desi-
gngraf, Udine; 3° Premio a Duccio Corsini di Fi-
renze per il libro “Il vento dell’anima”, Ibiskos Uli-vieri, Empoli (FI); 4° Premio a Gennaro De Falco
di Milano per il libro “Panchine d’inchiostro”, Ma-
gia Libri, Novara; 5° Premio a Stefano Tonelli di Milano per il libro “Una luce dal cielo”, Montedit,
Melegnano (MI); Per la sezione Poesia inedita
giovani under 18 i seguenti: 2° Premio a Chiara
Sabena di Savigliano (CN) per la poesia “Pome-
riggio d’estate”; 3° Premio a Mariapia Crisafulli di Messina per “Fenice”; 4° Premio a Eleonora
Lorenzato di Vicenza per “Sfumature”; 5° Premio
a Valentina Barbieri di Piacenza per “A Saffo”. Sono stati, inoltre, segnalati i seguenti poeti per la
sezione Poesia Inedita: 6° classificato ex aequo
Diego Sordi per “Dachau”; 6° classificato ex aequo Vittorio Morrone per “Vorrei”; 6° classificato ex
aequo Lolita Rinforzi per “Un abito su misura”; 7°
classificato Cecilia Cesari di Lucignano (AR) per
“Cadi come neve calda”; 8° classificato Paola
Carmignani di Altopascio (LU) per “L’ arcobale-
no”; 9° classificato Leda Biggi Graziani di Arezzo per “Alba primaverile”; 10° classificato Crocifissa
Del Frate di Priverno (LT) per “Come foglie al
vento”. I seguenti per la Sezione Libro edito di
poesia: 6° classificato Rita Muscardin di Savona
per il libro “La memoria del mare”, Bacchetta Edi-
tore, Albenga; 7° classificato Liana Bachini di Pontedera (PI) per il libro “Nulla in cambio”, Edi-
zioni Nuovastampa; 8° classificato ex aequo Salva-
tore Paolino di Modica per il libro “L’ultima falce
di luna”, Caffè Letterario “Salvatore Quasimodo”
Modica; 8° classificato ex aequo Mirco Del Rio di
Reggio Emilia per il libro “Oasi della speranza”, Tipolito L’Olmo; 9° classificato ex aequo Roberto
Maggi di Brescia per il libro “Frammenti di un cal-
do respiro”; 9° classificato ex aequo Armando
Giorgi di Genova per il libro “Tra il serio e il face-
to”, Vitale Edizioni, Sanremo; 10° classificato ex
aequo Fulvia Marconi di Ancona per il libro “A-
more che d’amor si nutre e sazia”, Di Felice Edi-
zioni, Teramo; 10° classificato ex aequo Franca
Olivo Fusco di Trieste per il libro “I tre nomi della
vita”, Biblioteca dei Leoni. I seguenti per la Sezio-
ne Poesia inedita giovani under 18: 6° classificato Marta Sola di Biella per la poesia “Mestizia”; 7°
classificato Giulia Vannucchi di Viareggio per
“Neve”; 8° classificato Martina Landini Tozzi di Arezzo per “Disordinate visioni”; 9° classificato
Beatrice Rizzoni di Serra de’ Conti (AN) per “L’
Anima vola lontanissimo”; 10° classificato Alessio
Arena di Palermo per “Ritratto”. Il Premio Specia-
le della Giuria con targa del Moto Club Brilli Peri è
stato assegnato a Renzo Piccoli di Bologna per il libro “Il canto del mare”, Armando Arrmando,
Roma. La Cerimonia di Premiazione ha avuto luo-
go domenica 7 dicembre 2014 alle ore 17.00 pres-so il Circolo Ricreativo “Stanze Ulivieri” in Piazza
Garibaldi, 1 a Montevarchi (Arezzo). Alla fine del-
la Cerimonia di Premiazione alle ore 18.00 è segui-to il Concerto del Gruppo da Camera dell’ Or-
chestra a Plettro Senese “Alberto Bocci”. Sono
stati presenti alla Premiazione, oltre al Presidente
del Premio Marcello Falletti di Villafalletto e al
Presidente del Circolo “Stanze Ulivieri” Elisabetta Benini, i Giurati, il Sindaco di Montevarchi e
l’Assessore alla Cultura. Ringraziamo l’amico Co-
ordinatore Ettore Burzi che instancabilmente e con grande dedizione ci regala delle Premiazioni con
degli Eventi unici e irripetibili.
Il Segretario del Premio
Claudio Falletti di Villafalletto
***
PREMIO BRONTOLO - XIX Concorso Nazio-
nale “Brontolo” di Satira, Umorismo, Poesie, Pittu-
ra, Scultura, Foto, (nell’occasione del Ventesimo
Anniversario della Rivista) che dà diritto all’ Inse-rimento nella Speciale Antologia Annuale. Sez.A)
Disegni umoristici, Caricature, Foto artistiche.
Sez.B) Racconti satirici o umoristici o Sillogi di Barzellette o Romanzi umoristici. Sez.C) Poesia sa-
tirica o umoristica in lingua. Sez.D) Poesia satir. o
umor. vernacola (con traduz. se non napoletana). Sez.E) Teatro umoristico Sez.F) Liriche in lingua
(edite o inedite). Sez.G) Liriche vernacole (edite o
inedite, con traduz. se non napoletane). - Inviare,
meglio se per Computer o con CD, disegni, foto e
testi inediti o pubblicati, in unica copia firmata, con
breve curricolo, recensioni e foto personale, entro il 30/Giugno/2015, alla Redazione: Via Margotta, 18
- 84127 Salerno. Tel.089/797917 - E-mail: bronto-
[email protected] - L’abbonamento alla Rivista (Ordi-nari 20 euro; Sostenitori 30; Benemeriti 50) dà di-
ritto alla partecipazione gratuita al Concorso. - Il
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.47
versamento può essere fatto a mano, con lettera o
con vaglia, sul ccp N. 20456844, al Mensile “Bron-
tolo”- Satirico Umoristico.Culturale - 84100 - SA. - I Premi:Inserimento nell’Antologia (che verrà spe-
dita gratuitamente) - Pubblicazioni sulla Rivista -
Libri umoristici. ***
È TEMPO DI LEGGERE - PIÙ LIB(E)RI - Fie-
ra Nazionale della Piccola e Media Editoria - 13a edizione/4-8 dicembre 2014, Eur, Palazzo dei Con-
gressi - Roma - Si è svolta l’annuale Fiera del Libro
di Roma, con la partecipazione di migliaia di editori medi e piccoli e con una grandissima affluenza di
pubblico e tantissime presentazioni di libri nelle va-
rie sale al piano superiore. Non potevamo non visi-tarla, come ogni anno; ci siamo stati sabato 6 di-
cembre, incontrando tanti amici e assistendo a vari
interventi, tra cui, nella Sala Corallo, alla presenta-zione del libro “Come dentro un sogno. La narrati-
va di Dante Maffìa tra realtà e surrealismo mediter-
raneo” di Marco Onofrio (Città del Sole Edizioni). Sono intervenuti, in ordine, il prof. Rino Caputo -
Università di Tor Vergata Roma, il prof. Carmine
Chiodo, della stessa Università con il prof. Andrea
Gareffi e, infine, lo stesso Autore. Interventi cali-
brati, senza fronzoli e senza retorica, penetranti e fervorosi, che hanno saputo galvanizzare l’uditorio
con l’esaltare i tanti pregi del libro e, non ultima, la
messa in evidenza della capacità dell’autore di far risaltare, tra gli aspetti della narrativa di Dante
Maffìa, anche la semplicità del dettato e l’ironia. In
sala, tra i tanti altri, la poetessa Livia Naccarato. Nella Sala Ametista, invece, abbiamo ascoltato Lu-
igi Manzella nella presentazione del corposo libro
(1100 pagine, 60,00 Euro), edito dalla Genesi di
Torino, “Leopardi e il mal di Napoli”, di Carlo Di
Lieto, professore dell’Università di Napoli. A pre-
sentare gli ospiti è stato l’editore e caro amico, poe-ta, scrittore e saggista, dr. Sandro Gros-Pietro; so-
no intervenuti, poi, Antonio Rosso e il corrispon-
dente del quotidiano La Repubblica Antonio Filip-
petti. Ancora un intervento di Luigi Manzella e,
infine, quello dello stesso autore prof. Carlo Di
Lieto. Tra gli altri amici incontrati, citiamo la gio-vane Aurora De Luca (presente con la madre),
della quale è appena uscita, con la Genesi, la bella
silloge “Materia grezza”, che reca, in copertina, un
suggestivo acquerello, “Risvegli”, di Giampiero
Pierini e, all’interno, interventi - in ordine - di
Sandro Gros-Pietro, Domenico Defelice, Franco
Campegiani e Sandro Angelucci. (ddf)
***
PER IL PANNUNZIO DI LEONARDO SEL-
VAGGI - E-mail di Giuseppe Leone, del
18.12.2014: Caro Domenico,
eccoti questa mia recensione,(...). Si tratta di uno
scritto su un bel testo di saggistica di Paola Rumi-
nelli, della quale avevo già scritto qualcosa lo scor-so anno. Nel dirti che P. N. di dicembre m'è già ar-
rivata, colgo l'occasione di augurare a te e alla tua
famiglia, da parte mia e di Emanuela, un sereno Natale e un buon Anno Nuovo. Buon Anno anche
alla nostra Pomezia-Notizie, che si congeda dall'
anno che sta per finire con un elogio al giornalismo di Mario Pannunzio, per il quale - scrive Leonardo
Selvaggi - "la parola giornalismo ha un significato
altissimo, vuole dire impegno civile, cultura, corag-gio di intervento con impeti polemici quando si ri-
tiene necessario, battagliando contro gli scandali
con un tono d'inquietudine e di sofferenza." Com-plimenti a Selvaggi per aver ricordato una firma co-
sì illustre e alla nostra rivista per la libertà e il co-
raggio di poterla pubblicare. Un abbraccio e a presto, Giuseppe.
Caro Giuseppe,
grazie per la tua squisita collaborazione. Sono le firme come la tua che fanno ancora apprezzare il
nostro mensile in tutto il mondo. Troverai il tuo pezzo sulla Ruminelli a pag. 5. E ricambio con af-
fetto gli auguri per te, per la tua Emanuela e per
tutti i tuoi cari. Sono grato pure alla sensibilità di Leonardo Sel-
vaggi per l’averci permesso di ricordare Pannun-
zio. Non era soltanto un giornalista di vaglio e uno scrittore; era principalmente un uomo, onesto, in-
tegerrimo, aperto agli altri fino a far fare agli altri,
per dare loro la gloria, ciò che egli avrebbe fatto benissimo e meglio di loro. Quanti giornalisti si
sono formati sotto la sua protezione! Figure come
la sua oggi sono più che rare, forse non è una be-
stemmia dire che manchino del tutto. Pomezia-
Notizie non potrà mai eguagliare testate da lui
create e fatte vivere, ma ha cercato almeno di se-guirlo e di seguirle nel coraggio.
Grazie ancora, caro Giuseppe, e anche a te un ab-
braccio.
Domenico
***
DVD: Archipel – LUIGI NONO Un film de Oli-
ver Mille (Artline Films) - Questo prodotto mul-
timediale è frutto di una co-produzione 'La Sept-
Artline Films-Centre National de la Cinématogra-phie, con la regia di Oliver Mille, che lo ha portato
a realizzazione nel 1988 ed è stato presentato a Pa-
rigi, durante il Festival d'Automne 2014-2015, Por-trait Luigi Nono, 3 ottobre-18 novembre 2014, pro-
prio il giorno 18 novembre: Laurent Feneyrou e
Lionel Esperza hanno presentato una relazione sull'impegno militante di Luigi Nono negli anni
Sessanta e Settanta e la visione del film ha concluso
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.48
il loro intervento. Il DVD evidenzia una raccolta
scrupolosa di conversazioni con differenti fondali
veneziani, dalla Giudecca alla Piazza del Mercato alle vie d'acqua e di terra, riprese volte a dare visi-
bilità e spazio, senso e significato alle parole. Luigi
Nono viene colto nella spontanea pienezza di gesti tutti tesi a sottolineare i suoi più complessi e più
profondi convincimenti. Le prime immagini lo ri-
prendono, di spalle, mentre cammina in un vicolo veneziano stretto tra due alte murature in mattoni:
pronuncia quelle parole antiche che ha fatte proprie
da quando le ha viste incise sulla pietra di una chie-sa a Toledo, perché esse hanno all'interno la vera
essenza del destino, immettono in un divenire senza
sosta che deve sempre lasciarci sbigottiti 'Caminan-tes - no hay camino - hay que caminar'.
Con le riprese fatte a Freiburg, il regista evidenzia
Nono al lavoro, ben consapevole che la strumenta-zione elettronica consente di dilatare al massimo le
possibilità della voce umana e ciò corrisponde pro-
prio ai percorsi di ricerca e di investigazione com-positiva che egli sta esplorando.
Importante è senza alcun dubbio cogliere nelle pa-
role stesse del musicista veneziano la dimensione
del vivere i suoi spazi, riferimenti iniziatici alla
complessa matrice della vita. Di ogni vita. L'acqua, nel sole e nel suono, negli spazi e nei movimenti,
nell'aria come sulla terra. E il fuoco emerge da den-
tro e si fa opera d'arte, perché sia resa visibile l'im-pronta del divino. Ritornare a Prometeo per far na-
scere un modo nuovo di essere al mondo e di ascol-
tarne gli effetti. In divenire. Questo ho capito, que-sto mi porto dentro, in maniera indelebile.
Nel cogliere in presa diretta le prove del 'Prometeo.
Tragedia dell'ascolto', nella versione del 1985, sot-
to la direzione di David Shallon e di Friedrich Gol-
dmann, un ruolo importantissimo ha anche André
Richard ed il regista si sofferma spesso su di lui mentre dirige i Cori o dialoga con Nono o mentre si
sorridono e si abbracciano soddisfatti: 'Super' è il
verdetto sul risultato della prova! Poi è la volta di Emilio Vedova con i suoi grandi 'Tondi' in vetro,
spostati da lui, alto e barbuto, con disinvoltura,
mentre al suo fianco è ripreso il filosofo Massimo Cacciari, colui che ha scelto l'insieme dei testi dai
Greci antichi, da Hölderlin, da Walter Benjamin: la
voce fuori campo di René Farabet, in un francese
quasi recitativo, elegante e calda, sottolinea che co-
sa significa per Luigi Nono l'Amicizia. Vedova so-
stiene: 'Lui si mette qui, da questa parte... Il mio la-voro lui lo vede come onda, onda di energia....'; poi
è la volta di Massimo Cacciari: 'Nono è sempre af-
fascinato da Venezia.... ha studiato come pochissimi altri lo spazio veneziano e quello lui ha capito come
si ascolta. Lui dice che va alla Salute, a San Marco
e non le vede, le ascolta. Gigi Nono è veramente
veneziano non perché sente l'armonia tra questi e-
lementi, ma perché ne sente la dissonanza. La sua opera cerca -e qui sta la quadratura del circolo e in
questo è anche il problema del 'Prometeo..' -, cerca
di dare forma alla dissonanza...'. Riflessioni intensissime, quelle che Nono confida a
noi tutti attraverso questa documentazione con la
regia di Oliver Mille: esse spingono nell'incertezza dell'infinito e del possibile, prima che l'opera si
manifesti, alla radice stessa del fare musica, in quel-
la ignara innocenza che si forgia nel canto delle co-se e delle memorie. Una testimonianza che porta
luce piena sull'eredità etica, politica, spirituale ed
artistica di questo protagonista indiscusso della mu-sica contemporanea, orgoglioso e fiero di essere
veneziano, dignitoso, originale, in ricerca. 'Cami-
nantes - no hay camino - hay que caminar'. Ancora ripreso di spalle, la mano destra di Luigi Nono, a
conclusione del film, accarezza più volte i mattoni
rossi del muro, mentre cammina. Per la collaborazione artistica questo importante
DVD si avvale dell'esperienza di Philippe Albera,
mentre nelle riprese a Freiburg è protagonista la
Soprano Alto Béatrice Mathez-Wuthrich, in eserci-
tazioni della vocalità proprio sotto la guida del compositore veneziano.
Ilia Pedrina
IL CROCO
I Quaderni letterari di
POMEZIA-NOTIZIE
il mezzo più semplice ed economico
per divulgare in tutto il mondo le vostre
opere
Il numero di questo mese
è dedicato al saggio
MARIA GRAZIA LENISA di
DOMENICO DEFELICE
indimenticabile nostra amica e collaboratri-
ce, a 80 anni dalla nascita e a 9 dalla morte
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.49
Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI
ANNA MANNA CLEMENTI - L’Illimite - In-
contro con Corrado Calabrò - In copertina, a colo-ri, “Futur-Venezia”, acrilico su tela (cm 120x 100),
1999, di Antonio Fiore - Aracne editrice, 2014 -
Pagg. 232, € 13,00. Anna MANNA CLEMENTI è scrittrice, saggista, poetessa e cultural promoter. Bi-
bliotecaria per molti anni presso La Sapienza Uni-
versità di Roma ha presentato progetti culturali presso la Biblioteca della Camera dei Deputati,
presso la Regione Lazio, presso la Biblioteca Ange-
lo Monteverdi, la Facoltà di Lettere e Filosofia, la Facoltà di Ingegneria nell’ottica di un accostamento
multidisciplinare alla conoscenza. Ha pubblicato
molti libri di poesia, un romanzo, due saggi, due li-bri di racconti di cui “Una città, un racconto”, dedi-
cato alle città italiane. Pluripremiata a livello istitu-
zionale, i suoi libri sono stati presentati dai più noti critici in sedi prestigiose. Ha pubblicato il libro-
inchiesta “Il gatto di Schrodinger sonnecchia in Eu-
ropa” (2014). È Presidente e fondatrice del Premio “Europa e Cultura”. Il libro “Umili parole e grandi
sogni. Cinque poesie per tre pontefici” (2013) ha ri-
cevuto la Benedizione di Papa Francesco. **
AURORA DE LUCA - Materia grezza - Poesie,
Nota di Sandro Gros-Pietro, Prefazione di Domeni-co Defelice, Introduzione di Franco Campegiani,
Postfazione di Sandro Angelucci - Genesi Editrice,
Torino 2014, collana Le Scommesse - Pagg. 66, €
12,00. - Aurora DE LUCA è nata nel 1990. Risiede a Rocca Di Papa. Dopo la maturità classica è tra-
scorso un periodo di ricerca personale, avendo fre-
quentato la facoltà di Giurisprudenza, per poi ap-prodare alla facoltà di Lettere. Nella sua vita si è
sempre dedicata allo sport, praticando nuoto agoni-
stico fino a divenirne a sua volta istruttrice. Inizia presto a scrivere. Nel 2004 partecipa ai suoi primi
concorsi letterari, ricevendo ottimi risultati ed inte-
ressanti motivazioni nelle sezioni studenti e dei giovani, con poesie singole. Molti sono stati i premi
e i riconoscimenti ricevuti, la maggior parte delle
poesie vincitrici è stata edita nelle antologie dei vari premi, il primo “Marengo d’oro” a Genova, “Publio
Virgilio Marone” a Roma, “Agostino Venanzio
Reali” a Cesena, “Marillianum” a Napoli, “Città di Forlì” come il più giovane valido concorrente e
“Città di Mesagne” Puglia, a Mattinata “Santa Ma-
ria della Luce” e con il “Convivio” ai Giardini di Naxos in Sicilia, “Luigi De Liegro” Roma, “Akery”
ad Acerra come premio assoluto giovani, con il
“Parco dei Castelli Romani” e tanti altri premi gra-
zie ai quali ha avuto l’occasione di viaggiare su tut-
to il territorio nazionale. In seguito, nel 2006, si av-vicina alla sezione narrativa giovani, guadagnando
anche in questo ambito l’attenzione delle giurie con
premi e attestati. Nel 2007 compone la prima sillo-ge poetica “Indice di idee al caleidoscopio” parteci-
pando al premio “Città di Pomezia” e ottenendo un
buon piazzamento, pubblicherà a gennaio 2008 nei Quaderni letterari “Il Croco” supplemento alla rivi-
sta, con un grande successo di critica. Si sono inte-
ressati infatti molti scrittori, con recensioni edite
sulla rivista “Pomezia-Notizie” diretta da Domeni-
co Defelice, con la quale collabora assiduamente.
Nell’ aprile 2010 pubblica sempre su “Il Croco” anche la sua seconda silloge “Questi occhi miei” e
la terza “Il tuo colore mare blu” nel 2011. Nel 2012
esce “Sotto ogni cielo”, nel 2013 “Primizie” e nel 2014 un altro Quaderno Il Croco: “Cellulosa”. E’
presente, con un’opera poetica, nell’antologia “Le
altre forme delle donne”, curata dalla scrittrice An-na Bruno, edita nel febbraio 2009 da Albusedizioni.
Scrive e collabora anche con la rivista letteraria “Il
Convivio” di Castiglione di Sicilia (CT), diretta dal
professore Angelo Manitta e dalla scrittrice Enza
Conti e con “Vernice” di Torino, portata avanti da
Sandro Gros-Pietro. Affascinata da tutto ciò che è arte, nel tempo libero le piace creare, disegnare, di-
pingere e non ultimo leggere. “Sotto ogni cielo” è
stato presentato, il 15 dicembre 2012, nell’Aula Consiliare del Comune di Rocca Di Papa, alle ore
16,30 dal critico d’arte, poeta e scrittore Franco
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.50
Campegiani, col l’intervento della professoressa
Carla Giorgetti, moderatore Valeria Quintiliani, at-
trice Ilaria Tucci. Presenti, oltre a un qualificato pubblico, il sindaco Pasquale Boccia ed il presiden-
te della Pro-Loco. Ma anche gli altri suoi lavori
hanno avuto, qua e là, varie presentazioni. **
FORTUNATO ALOI - Vox clamantis... Come
può morire una democrazia - Nuovo Domani Sud, Seconda edizione, 2014 - Pagg. 40, s. i. p..
Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è
stato per anni docente nei vari licei della Città di Reggio Calabria. Sin da giovanissimo ha operato
nel mondo della politica, da quella universitaria alla
realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itine-rario: da consigliere comunale nella sua Città ed in
altri centri della provincia (Locri) a consigliere pro-
vinciale, da consigliere regionale a deputato. Come parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato
temi di diverso genere ed in particolare si è occupa-
to, con grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottose-
gretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale
della Destra calabrese, ed anche Segretario per la
Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Pre-
sidente dell’Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Lucania, è componente la Direzione nazionale
del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista
pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attual-mente direttore del periodico “Nuovo Domani
Sud”. Autore di numerose pubblicazioni di storia,
pedagogia, saggistica, politica e narrativa. Ha otte-nuto riconoscimenti di valore scientifico come il
“Premio Calabria per la narrativa” (1990) per il vo-
lume “S. Caterina, il mio rione” (Ed. Falzea); il
Premio letterario “Nazzareno” (Roma) 1983 per l’
opera “I Guerrieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il
Premio “Vanvitelli” per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed.
Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Berga-
motto” (2004). Altri suoi lavori: “Cultura senza e-gemonia (Per un umanesimo umano)” (1997), Gio-
vanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004),
“Tra gli scogli dell’Io” (2004), “<Neutralismo> cat-tolico e socialista di fronte all’intervento dell’Italia
nella 1a guerra mondiale” (2007), “Riflessioni poli-
tico-morali e attualità dei valori cristiani” (2008)
“Piccolo Taccuino di Viaggio” (2009).
**
ALDO CERVO - Pasquinate al peperoncino - Disegno di copertina, a colori, di Raffaele Silvestri
- Edizioni EVA, 2014 - Pagg. 48, € 8,00. Aldo
CERVO è nato nel 1944 a Caiazzo (Caserta), dove vive. Ha pubblicato più di una quindicina di libri,
prevalentemente di narrativa e di critica letteraria.
Alcuni titoli: “Ipotesi narrative” (racconti), “Nient’
altro che la verità” (racconti), “L’autunno di Mon-
talba” (romanzo), “Le testimonianze di Amerigo Iannacone”, “Cronica delle cose occorrenti in Caia-
tia ne’ suoi anni ‘70”, “Gli aneddoti del vescovo”
(racconti), “Carichi pendenti” (racconti), “Giovanni Papini nel ‘900 letterario italiano”, “La Cincialle-
gra” (romanzo), “Frequentazioni letterarie”, “Le
radici della memoria”, “Profilo di un irregolare”, “Caiatini contemporanei”, “Antonia Izzi Rufo tra
soggettivismo lirico e neorealismo” (2014).
** GIAN PIERO STEFANONI - Da questo mare - In
copertina, a colori, fotografia di Gabriella Maleti;
Postfazione di Franca Alaimo - Edizioni Gazebo Libri, 2014 - Pagg. 94, s. i. p.. Gian Piero STEFA-
NONI è nato a Roma nel 1967. Laureato in Lettere
moderne, ha pubblicato nel 1999 la raccolta “In suo corpo vivo”, vincendo, nello stesso anno, il Premio
internazionale Thionville (Francia) e, nel 2011, per
l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Co-mune di Spoleto. Nel 2008 ha pubblicato “Geogra-
fia del mattino e altre poesie”, cui son seguiti “Ro-
ma delle distanze” (2011), “La stortura della ragio-
ne” (2011), “Quaderno di Grecia” (2011). Del 2013
è il poemetto “Da questo mare”. Incluso in volumi antologici, suoi testi sono apparsi su periodici spe-
cializzati e tradotti e pubblicati in Argentina, Malta
e Spagna. Già collaboratore di “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada”, nonché redattore della
rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e della
rivista teatrale “Tempi moderni”, dal 2013 è recen-sore di poesia per LaRecherche.it. Tra i riconosci-
menti ama ricordare i premi “Via di Ripetta” e “Da-
rio Bellezza”, entrambi nel 1997 per l’inedito.
**
LORIS MARIA MARCHETTI - Il laccio, il nodo,
lo strale - Poesie; in copertina, a colori, acquerello dalla serie “Well together” (1996) di Mirjam Bi-
jvank - Edizioni Achille e La Tartaruga, 2012 -
Pagg. 56, € 8,00. Lori Maria MARCHETTI, torine-se di residenza e di studi, dal 1976 ha pubblicato
numerose opere poetiche, volumi di racconti e di
elzeviri, saggi su argomenti letterari e musicali per lo più otto-novecenteschi (e con particolare riguar-
do alle relazioni degli scrittori con la musica), rice-
vendo importanti riconoscimenti (tra cui il Premio
“Bergamo - Cenacolo Orobico” per la poesia, 1981,
e il Premio “Goffredo Parise” per la narrativa,
2008). Attivo nel giornalismo culturale e nell’ edi-toria fin dagli anni dell’Università, dal 1989 dirige
la collana di letteratura “La linea d’ombra” per le
Edizioni dell’Orso di Alessandria e dal 2007 è con-direttore degli Annali del Centro di Studi e Ricer-
che “Mario Pannunzio” di Torino.
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.51
**
PANTALEO MASTRODONATO - La force du
divin dans le monde - Symposiacus, 2014 - Pagg. 80, s. i. p.. Pantaleo MASTRODONATO ha studia-
to in molte città italiane ed estere. Compiuti i suoi
studi in Linguistica e Filosofia classica presso l’ Università di Montpellier, ha in atto dei lavori di
studi e ricerche presso la stessa. La sua insaziabile
sete di verità e di giustizia lo condusse nel 1972 ad una profonda crisi religiosa, propugnando da allora
in poi i valori di un cristianesimo genuino scaturito
da un sistematico approfondimento biblico per una imparziale valutazione dell’epoca presente. Dirige
la rivista “Il Symposiacus”. Tra gli ultimi suoi lavo-
ri ricordiamo “Leucotea (Mimologia)” (2014) e “Enciclopedia Palatina” (antologia, 2014).
**
PANTALEO MASTRODONATO - Nimrod - Dramma - Symposiacus, 2014 - Pagg. 112, s. i. p.
TRA LE RIVISTE KAMEN’ - Rivista di poesia filosofia diretta da
Amedeo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26845
Codogno (LO). Riceviamo il n. 46, gennaio 2015. *
MAIL ART SERVICE - dr. Andrea Bonanno -
via Friuli 10 - 33077 Sacile, PN - Riceviamo il n. 87 (settembre 2014).
*
NUOVO DOMANI SUD - periodico di informa-zione politica e culturale, diretto da Fortunato Aloi
- via S. Caterina 62 - 89121 Reggio Calabria. Rice-
viamo il n. 6 (novembre-dicembre 2014). *
FIORISCE UN CENACOLO - forse il più vecchio
mensile oggi esistente, fondato da Carmine Manzi nel 1940, diretto da Anna Manzi - 84085 Mercato
S. Severino (SA). Riceviamo il numero con la nuo-
va veste tipografica, ma non ci sembra sia indicata alcuna data, nel quale rileviamo, tra le altre, le fir-
me dei nostri amici e collaboratori Orazio Tanelli
e Leonardo Selvaggi. *
L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia
Collegio de’ Nobili, dr. responsabile Marcello Fal-
letti di Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018
Scandicci (FI). Riceviamo il n. 198-199-200 (lu-
glio/settembre 2014), che si apre con l’omaggio a “Tre donne: un solo desiderio, obbedire servendo
Dio!”: Juliette (Giulia) Colbert de Maulévrier,
Teresa Verzeri, Maria Domenica Brun. Nella
rubrica “Apophoreta”, Marcello Falletti di Villa-
falletto si occupa di ben sei pubblicazioni: 5 libri e
una rivista, con linguaggio chiaro ed esame appro-fondito.
*
IL SAGGIO - mensile di cultura diretto da Gere-
mia Paraggio, editoriale Giuseppe Barra - via
don Paolo Vocca 13 - 84025 Eboli (SA). Ricevia-
mo il n. 224 del novembre 2014, con l’allegato Il Saggio libri, poesia, arte n. 107/224. A pag. 29, la
Redazione intervista l’amico Lucio Zaniboni.
* ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - rivi-
sta della Venilia Editrice, fondata da Giacomo
Luzzagni, diretta da Stefano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vicedirettore Pasquale Matrone
- Casella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD).
Riceviamo il n. 116 (4° Trimestre 2014), al solito straordinario per contenuto e veste tipografica. Tra
le tante firme, tutte di rilievo, segnaliamo i nostri
amici e collaboratori Rossano Onano, Laura
Pierdicchi, Elio Andriuoli, Luigi De Rosa, Lilia-
na Porro Andriuoli, Maria Luisa Daniele Toffa-
nin, Rosa Elisa Giangoia, eccetera.
L’ITALIA
DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice
Undicesima puntata*
Tutti componenti di quel lievito
che fermenta da sempre la Nazione,
che, se, a volte, pure inconsapevole,
l’ebola nutre di consorterie,
metastasi in perenne evoluzione.
37 arresti solo a Roma
appena l’altro giorno
e più di 100, inoltre, gli indagati,
che nel mondo ci bollano di scorno,
legati da una solida catena
al boss nero il guercio Carminati,
a Salvatore Buzzi gran cassiere,
tra affidamenti e bandi pilotati,
a Ernesto Diotallevi,
tra droghe, riciclaggi e cose varie
che rendon sempre viva la cancrena.
C’è tutto dentro e dentro ci son tutti,
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.52
compresa la sporcizia,
che ben s’attaglia a questi esseri immondi
con macchine di lusso,
ville e piscine e grossi conti in banca,
e l’animo stracolmo d’immondizia.
Entro il sociale e nelle istituzioni
regna sovrana immensa Ipocrisia.
Si grida fuori i negri e i baraccati;
non più sul nostro suolo i clandestini;
si buttino nel mare i rifugiati!
Ma sia color che invocano accoglienza
e chi li vuole morti
poi mescolan farina con il loglio,
spalancano all’estremo le ganasce
per mangiare e per bere a più non posso,
gonfiandosi ogni giorno il portafoglio.
Nessuno che controlli veramente.
Si spendono milioni in Antimafia,
si pagan le prebende anche alla Bindi
e poi ciascuno dorme e, nel mortorio
totale, avanzano le consorterie,
palmo a palmo invadendo il territorio,
mettendo a libro paga
manager, poliziotti ed impiegati,
politici e banchieri, ecologisti,
chi specula con i gatti e con i cani
e qualche volta pure magistrati.
Poi, per rendere torbide le acque,
sì che la gente non si raccapezzi,
le coloran di crema puzzolente:
“Son nere! No, son rosse!”
Ognuno accusa l’altro e se ne frega
di metterci riparo;
invadono ogni sera i talk show
solo per depistare
appartenendo tutti alla congrega.
La guerriglia civile non si placa
nel cuore del PD;
un’assemblea infuocata:
“Dicci se andare vuoi subito al voto -
urla a Renzi Fasssina;
non scaricarci addosso i tuoi disastri,
non farci notte e giorno la manfrina.
Non stiamo in Parlamento per gufare,
né per mettere a lustro la latrina,
mentre che l’Europa gira a vuoto”.
Ma Silmàtteo non molla
e getta sopra il fuoco la benzina:
“In vero, strana è la democrazia
che propugnate!
Piegarmi a ciò che vuol la minoranza!
S’è discusso per anni e s’è votato,
perciò di libertà c’è in abbondanza.
Siete degli sfascisti screanzati.
In mano non avrete più il partito
perché ritorni ad essere sfasciato.
Non si affossa un Governo che sostieni,
o Stefano Fassina,
facendo il gioco dell’opposizione;
sei tu che fai la solita manfrina.
Non si gioca in Parlamento agli Indiani
coi segnali di fumo,
tra cena e pranzo e pure a colazione,
ma per cambiar l’Italia
e al mondo far sentire il suo profumo.
Civati ghigna e pensa alla scissione?
Sul fiume sosta Massimo D’Alema
che passi tra le acque il mio cadavere
e Bersani neppure si presenta
dicendo di soffrire il mal di schiena?
S’è ubriacato forse di polenta?”
Schermaglie di bottega
e l’asta dell’Italia segna zero:
zero flessibilità,
zero miglioramento della vita,
zero occupazione, zero crescita,
zero su zero l’industria tradita;
langue pure l’EXPO
ed ogni innovazione è ormai fallita;
l’emigrazione preme alle frontiere.
Solo la corruzione è in gran vantaggio
e delle strida ormai non se ne cale.
Comuni dissennati e disastrati;
province mai abolite;
regioni, ministeri, enti amorali,
son tarli velenosi e una gruviera
è divenuto tutto lo Stivale.
Domenico Defelice
(11 - continua)
* Breve Riassunto delle precedenti Puntate - Una notte d’estate, Berlusca erutta, attraver-
so un suo attributo, per una condanna defini-
tiva. In Germania, Angela Merkel è in soffe-
renza per una perdurante stitichezza (in senso
economico e specialmente nei nostri confron-
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.53
ti). Silmàtteo Renzusconi promette, tra l’altro,
di combattere contro l’ austerità dell’ Europa
a direzione teutonica. L’Italia è nel caos. An-
che per una partita di calcio si arriva alle pi-
stolettate. Esplode il caso dell’ExPo milanese.
Il Parlamento, a dispetto della crisi, spende
denari pubblici in corsi per parrucchieri mes-
sa in piega al servizio di deputatesse e sena-
trici. Le riforme sono una farsa, le leggi non
hanno valore e, nelle processioni, Madonna e
Santi si ... inchinano davanti alle case dei ma-
fiosi. Il Mediterraneo è sempre più una tomba
di immigrati. Le Camere fanno finta di fare
sacrifici: disdicono l’affitto di tre palazzi, ma,
in compenso, i parlamentari pretendono... l’
indennità d’ufficio! La gente continua a per-
dere fiducia nella politica. I talk show sono in
calo di ascolti, il Sindaco di Roma, Ignazio
Marino, prova invidia per chi si droga. Unico
faro è Papa Francesco, che ha fatto mettere in
galera pure un porporato accusato di pedofili-
a. L’Europa, che ci bacchetta, spreca denaro
peggio di noi. Intanto si è aperto il toto Presi-
dente della Repubblica, giacché Napolitano
ha quasi annunciato le dimissioni.
LETTERA
AL DIRETTORE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice)
Carissimo,
chiedo indulgenza e venia a te ed a tutti i let-
tori, telematici e non, di Pomezia Notizie per
il risultato sfocato della foto apparsa in coper-
tina lo scorso mese di Dicembre 2014: scatta-
ta con il cellulare, ritrae il prof. Aron Shai,
Rettore dell'Università di Tel Aviv al fianco
della prof. Tiziana Lippiello, direttrice del
Dipartimento di Studi di Cina e del Nord A-
frica all'Università Ca' Foscari di Venezia. Il
loro sorriso è carico di serena e franca Amici-
zia ed un raggio azzurro arriva alla bocca di
Tiziana, senza che vi sia alcuna macchia nel
cellulare. Purtroppo, prima di arrivare a te, i
passaggi sono stati tre a tutto detrimento della
qualità. In questi casi va colto nel suo insieme
il tuo impegno a dare piena evidenza all'in-
tervista, la mia determinazione a proseguire
sulla strada dell'investigazione seria e severa
intorno ai temi di etica politica nazionali ed
internazionali che ci riguardano tutti così da
vicino, il profondo e chiaro punto di vista del-
lo storico Aron Shai, che ha analizzato senza
mezze misure l'attuale situazione storica. Tu
spieghi con precisione ciò che si realizza
quando le relazioni tra soggetti che svolgono
ruoli e funzioni apicali si guastano. Mi scrivi:
“... Il vero coraggio è ribellarsi, contro gli
strozzini, contro le tante mafie in guanti, cra-
vatta e colletto bianco e contro lo Stato, per-
ché l'Italia è uno dei paesi più corrotti del
mondo. Ma la corruzione vuole che siano al-
meno due i soggetti: i corrotti e i corruttori.
Se mancasse uno di essi, respireremmo me-
glio, credimi. Allora, il vero coraggio è dire
no a ogni forma di disonestà, compresa quella
delle tasse esagerate che strozzano ogni ini-
ziativa, non quello di togliersi la vita. Non è
che quando qualcuno, perché vessato, decide
di andarsene all'altro mondo, gli strozzini, i
mafiosi, lo Stato parassita e disonesto cessano
di esistere!...”. Parole vere, parole sacre e san-
te, perché tu hai capito la santità della vita e
la sacralità delle azioni tutte volte a preservar-
la: Papa Francesco, che vuole vivere fuori dal
Vaticano, quando è andato a Campobasso e
ha visto povertà e disoccupazione tra la popo-
lazione, ha detto che non c'è dignità per il la-
voratore nel tornare a casa senza avere di che
sfamare la propria famiglia. Questo è un Papa
che viene da oltre Oceano, là dove la povertà
è tanta e nei suoi occhi tutto è rimasto intatto,
perfettamente presente, a far da pietra di pa-
ragone con quanto ora, qui, in questa parte
del mondo i suoi occhi vedono. Allora vuole
che si realizzi, anche attraverso il suo impe-
gno, la rivoluzione del cuore e della mente,
fatta ad occhi aperti, intrisa ed intersecata a
gesti non nobili perché calati dall'alto di quel-
le mani che dentro hanno il molto, ma resi
nobili perché permettono di riconoscere
nell'altro e nella sua sofferenza quella umani-
tà alla quale tu stesso appartieni e che ti fa
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.54
degno di rispetto. Se nel cuore e nella fede
dei Musulmani c'è l'obbligo di agire per chi
non ha mezzi, delegando lo Stato a pensare a
loro attraverso la tassazione equa sui propri
averi, nel cuore e nella fede dei Cristiani c'è l'
invito alla 'pietas', alla dolce presa in carico
morale, nelle azioni, e spirituale, negli inten-
dimenti, di coloro che soffrono la povertà, la
malattia, la sopraffazione. È un invito, non un
obbligo, è un imperativo categorico alla Kant,
non un dovere assoluto di fronte a tutti gli al-
tri ed allo Stato che li rappresenta. Sulla que-
stione del 'perdono' abbiamo dialogato io e
Virgilio, mio fratello, per ore e ore e ore al
bar della Dorina a Caldogno, nella Piazza
proprio sotto il Campanile, noi due, puntua-
lissimi alla tedesca via: chi concede il perdo-
no lo mette in atto dall'alto di una giusta ed
integerrima posizione, quella della perfezione
e della incorruttibilità, doti queste che sap-
piamo bene essere caratteristiche di Dio stes-
so. Poi arriva Gesù e cambia tutte le carte in
tavola: ti fa diventare, se lo vuoi, Suo fratello
e Suo amico, mette la tua vita nella carne e
nel corpo che sono Lui stesso. Chi lo incontra
veramente, non può più tornare indietro e fare
a meno di Lui; chi lo incontra veramente è
come se vivesse dentro di un doppio che rap-
presenta la sostanza della vera Umanità; chi si
prende addosso la luce della Sua Resurrezio-
ne sa e dimostra con i gesti che questa luce
passa attraverso il buio della condanna, della
passione nelle carni del corpo, della morte.
Sabato mattina, 13 Dicembre 2014, nella Sala
della Villa 'Elena da Persico' ad Affi, in pro-
vincia di Verona, nell'incontro a scadenza
mensile che è come una lezione battesimale,
il monaco don Franco Mosconi ha sottolinea-
to che il momento della sua vocazione è stato
un gesto che ha colto il suo cammino con Dio
all'ingrosso, ma ora Dio stesso si vuole far
cogliere, differentemente, nei gesti e nelle pa-
role, al dettaglio. Ci ha fatto capire che Gesù
vuole entrare nella Storia attraverso i nostri
gesti, quelli che vanno a distribuire, qui ed
ora, gli 'avanzi', le tante ceste di pani e pesci
che sono rimaste dopo che ognuno dei pre-
senti ne aveva avuto al bisogno, secondo le
sue necessità. Il mio Amico ha deciso di por-
tarmi con lui ed era seduto vicino a me, pen-
soso. Gesù è il nostro vero problema, è un in-
terrogativo che non si risolve mai se non te ne
appropri 'storicamente', nel tempo che ti è da-
to da vivere. Quando al capezzale di Virgilio,
in ospedale, la signorina gli ha chiesto -stava
compilando un questionario interno- di che
religione è, lui ha risposto 'Sono cristiano cat-
tolico', allora ho riflettuto e mi sono detta che
il Battesimo in lui ha dato buoni frutti, nella
lucidità e nella capacità critica consapevoli
della forza e della piena rivoluzione che que-
sta scelta, ribadita al confine ultimo della vita
con la morte, comporta se portata avanti coe-
rentemente. Lui l'ha fatto. E nel ricordare, con
tutta la commozione che mi è possibile, il tuo
lavoro, ancora inedito, il tuo canto di cuore
bambino innalzato per i bambini, ti riporto
una sua filastrocchetta in versi della raccolta
'Per i più piccini', ancora inedita:
GIULIA L'ETERNA INDAFFARATA
“Come un morbido pulcino
che ha il velluto sul capino,
non appena vien destata
Giulia è bell'e pettinata:
basta qualche carezzina,
sulla gaia testolina.
Un po' d'acqua sugli occhioni
per salvar le tradizioni
e comincia la giornata
che s'annuncia indaffarata.
Trasbordar dalla credenza
tanti oggetti, con pazienza,
fare quindi l'inventario
a favor del proprietario
trattenendo qualcosina
per la nuova mansardina
nata nello scatolone
che dà gran soddisfazione.
Se si rompe qualche oggetto
non si tien la colpa in petto
ma s'accusa la vicina
o l'ignara sua bambina:
tutti; pur di seguitare
a spostare, trafficare.
Tutto questo movimento
brucia tosto il nutrimento:
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.55
e la mamma ad implorare,
tagliuzzare, cucinare!
La compensa l'allegria
e la grande maestria
con cui lascia lì il boccone
per provar la sensazione
che nel circo ha il trapezista
od almen l'equilibrista.
“Non pensate ai miei capelli
cresceranno lunghi e belli
come questi miei dentini
quasi troppi, per due annini:
per adesso ogni energia
è votata all'allegria!
Vi ha convinto il mio sermone?
Ecco allora un sorrisone!”.” Virgilio Pedrina,
Torreselle, (2003)
La gioiosità di questo semplice canto in dan-
za, a passettini, mi richiama senza sforzo
IL TUO RUOLO
NEL TEATRO DEL MONDO
a Valerio Defelice
“Sei atteso a primavera,
nel sorriso di aprile.
Quale sarà il tuo ruolo
nel teatro del mondo
non è dato sapere;
esso, però, sta scritto già dal Fiat
nei disegni divini.
Sono tanti i santi col tuo nome
sparsi nel calendario;
ma ricordo pure
un Valerio partigiano,
assai discusso,
che la vita spense a Mussolini!
Privilegia, ti prego,
Amore e Libertà sopra ogni cosa
il rispetto dell'altro,
del forte la clemenza;
sprezza la servitù delle passioni.
Ricorda che il Poeta ci ammonisce:
'Fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza'”
Domenico Defelice, 6 novembre 2014
Tu stai in attesa della sua alba, perché il suo
giorno continui assai a lungo, perché il tra-
monto si presenti lontano, perché le prove
della vita gli tengano celata ogni notte, ogni
vigilia dell'anima; lui, Virgilio, sapeva im-
mergersi nella gioia piena della vita dei bam-
bini e tutti lo accolgono, ancora adesso nella
memoria se non più nella concreta realtà, co-
me l'ospite più caro con il quale condividere
al desco famigliare le gioie della vita e della
terra. E tra loro c'è anche tutta la famiglia dei
Chiumento e dei Fortuna e del prete don A-
modio, che nel Cimitero di Torreselle ha già
pronta la sua lapide, manca solo l'ultima data.
Si, Torreselle di Isola Vicentina, le sue fami-
glie tutte, la sua terra. Con te, per i bambini,
per quel Bambino che la tradizione ci invita a
tenere sempre dentro di noi come appena na-
to, per tutti quei bambini ai quali è stata sof-
focata la gioia: per tutti coloro che hanno vio-
lato i bambini in ogni tempo quel Bambino
diventato Gesù non trova parole di perdono.
Abbraccio in te il tuo Amore per i bambini.
Ilia
Carissima Ilia,
non tutti possiamo far tutto. Le foto, un’altra
volta, fattele fare da altri, giacché, finora, mi
hai inviato solo foto scadenti - non dal punto
di vista dei soggetti, s’intende! -, poco adatte
alla stampa.
Gli affetti sono come la fede. Sono la stessa
cosa. Sono, come noi li viviamo, differenti e
profondi secondo come ci stanno radicati
dentro, secondo la nostra cultura ed il fer-
mento che provoca al loro contatto. Giacché
è la cultura il lievito del nostro manifestarci,
dei nostri comportamenti; tutte le nostre a-
zioni si sviluppano e si concretizzano solo in
rapporto ad essa.
Bella la filastrocca di Virgilio. L’augurio è
che la sua raccolta “Per i più piccini” trovi
al più presto un editore.
Anche se cerco di nasconderlo, sono intima-
mente inquieto, vivo con ansia l’attesa di Va-
lerio. Ho sempre amato la famiglia e soprat-
tutto i bambini. Sono convinto che sono loro
il nostro vero futuro, perché sarà solo per lo-
ro tramite che non moriremo del tutto:
POMEZIA-NOTIZIE Gennaio 2015 Pag.56
SARETE IL MIO FUTURO
Non morirò del tutto.
Vedrò la luce con i vostri occhi,
i colori, le forme,
le tante meraviglie strepitose;
suoni ascolterò, rumori ed armonie
col vostro udito;
organi sparsi sulla vostra pelle
lo stato mi daranno delle cose,
le qualità esteriori,
i polpastrelli delle vostre dita
per me il pentagramma suoneranno
di quel che vi titilla e brama e cuore;
sarà la vostra lingua
le sensazioni a darmi ed i sapori.
Sarete il mio futuro.
Alberi voi sarete
a porgere frescura alle mie ossa,
a coprirmi di odori.
I tanti drammi di bambini sono stati sempre
per me lacerazioni intime, incancellabili; fe-
rite che giammai rimargineranno, da Alfre-
dino Rampi - per non andare troppo lontano
- al più recente Lorys, all’ecatombe in una
scuola del Pakistan ad opera di fanatici. Uno
strazio continuo e infinito, un dolore così ta-
gliente da farmi rasentare la pazzia.
Può darsi che anche in passato di drammi del
genere ce ne fossero a iosa, ma per i mezzi di
comunicazione di allora, hanno avuto, di cer-
to, meno risonanza pubblica; adesso ci cado-
no addosso ad ogni ora del giorno e della
notte e ci schiacciano come montagne.
Non riesco a capacitarmi come una madre,
un padre, possano uccidere figli piccoli, co-
me possano sentire la necessità di sfogare su
di loro le loro tante crisi, le loro debolezze, le
tare, le incapacità di vivere e reagire alle
tante traversie della vita; come si possa ucci-
dere una creatura in nome dell’ “amore”;
come combattenti, ribelli, delinquenti privati
e di Stato possano rivolgere le armi contro
queste creature indifese. L’uomo è stato, è e
sarà sempre sulla terra la belva peggiore.
Domenico
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione), composti
con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,
attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-
nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-
tella si intende un foglio battuto a macchina da
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1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-
to è necessario un contributo volontario. Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I libri, per recensione, vanno inviati in
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