Pomezia Notizie 2014/7
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Anno 22 (Nuova Serie) – n. 7 - Luglio 2014 - € 5,00
SONIG TCHAKERIAN RACCONTA BACH
ED INVITA A PENETRARNE I SEGRETI di Ilia Pedrina
I tratta qui di una recensione d'ascolto, dal vivo. La scena si svolge al Teatro Olimpico
di Vicenza. Sul palco-
scenico lei, la violini-
sta Sonig Tchakerian, di ori-
gine armena ma naturalizzata
vicentina: racconta Bach per
il terzo anno consecutivo e fa
passare in transfert la passio-
ne che prova nell'affrontare la
partitura. Johann Sebastian
Bach compone i dodici 'a so-
lo' per violino e violoncello
ed il progetto ambizioso di
spiegarli ed interpretarli, in
tre anni appunto, all'interno
delle 'Settimane musicali al
Teatro Olimpico' ha visto, co-
involto fin dall'inizio anche il
violoncellista Mario Brunel-
lo, che darà il suo concerto il
24 di Giugno.
Elegante e semplice nella
sua silhouette che prende
dentro anche violino ed ar-
chetto in un tutto ormai indi-
visibile, Sonig offre al pubbli-
co la storia interpretativa delle
due composizioni bachiane,
S
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 2
All’interno:
Adriana Assini: La riva verde, di Nazario Pardini, pag. 4
Jean Barraqué e ‘La mort de Virgil’, di Ilia Padrina, pag. 6
Clotilde Punzo: Non ho più smesso di cantare, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 9
Basilicata tra storia e arte, di Leonardo Selvaggi, pag. 12
“La tagliola” di Antonio Angelone, di Luigi De Rosa, pag. 16
Passione per le lettere..., di Ilia Pedrina, pag. 19
La caccia, di Anna Vincitorio, pag. 23
La corruzione in Italia, di Raffaele Cecconi, pag. 25
I poeti e la Natura (Emily Dckinson) di Luigi De Rosa, pag. 27
Notizie, pag. 40
Libri ricevuti, pag. 42
Tra le riviste, pag. 43
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (Il varietà, di Antonio Todde, pag. 29); Pasquale Ba-
lestriere (Un sogno che sosta, di Gianni Rescigno, pag. 30); Piera Bruno (Requien, di Enri-
ca Gnemmi, pag. 31); Tito Cauchi (Il sogno, di Adriano Accorsi, pag. 32); Tito Cauchi (Ri-
cordi e riflessioni, di Brandisio Andolfi, pag. 33); Tito Cauchi (La magia di esistere, di Pa-
squale Montalto, pag. 34); Gianfranco Cotronei (All Poems, di Eleonora Cogliati, pag. 35);
Luigi De Rosa (Le parole del vento, di Danila Olivieri, pag. 36); Andrea Pugiotto (Totò e
Pinocchio, di Aldo Marzi, pag. 37); Andrea Pugiotto (Il mio Pinocchio, di Aldo Marzi, pag.
37); Andrea Pugiotto (Favolisti romani, di Ennio Maldini/Silvana Andrenacci Maldini, pag.
38); Andrea Pugiotto (Le mie due Patrie, di Giovanna Li Volti Guzzardi, pag. 39).
L’Italia di Silmàtteo, di Domenico Defelice, pag. 44
Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 46
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Anna Maria Bonomi, Georgia Chaidemenopoulou,
Colombo Conti, Domenico Defelice, Alda Fortini, Themistoklis Katsaounis, Giovanna Li
Volti Guzzardi, Noemi Lusi, Leonardo Selvaggi, Susana Soiffer
la 'Partita in si min. BWV 1003' e la 'Partita
in re min. BWV 1004', scritte circa nel 1720.
Lei spiega che la 'Partita' è una forma sonora
composta da diversi passi di danza: nella
prima che andrà ad eseguire, quella in si mi-
nore, con i suoi quattro movimenti caratteri-
stici, Allemanda, Sarabanda, Corrente ed il
particolare 'Tempo di Borea', Bach ha lavora-
to di creatività piena di intenzioni ad effetto,
inserendo per ogni movimento il suo 'Double'
a una voce sola. Infatti con le stesse note dei
movimenti di base, sovrapponibili ma tecni-
camente diverse anche per carattere e con
ritmi più omogenei, egli ha creato dei veri e
propri labirinti a specchio all'interno dei quali
è assai difficile riconoscere il movimento ori-
ginale appena ascoltato, vera e propria poesia
del segno: “...usare la tecnica compositiva ed
avere la libertà di ingegno, di anima, di intel-
letto che gli permette di creare cose...”, lei so-
stiene, dopo aver fornito esaurienti esempi
pratici. Si, dico tra me e me, dopo il recentis-
simo lavoro duro e costante sulle cose di Lui-
gi Nono: creare costruzioni sonore dal doppio
al loro identico ed ancora al pieno del diffe-
rente. Gli accordi di base sono tenuti in len-
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tezza, a giocare con l'effetto dell'ottava come
elemento che guida la percezione a seguire
gli andamenti del percorso dei suoni che van-
no a costruire la frase. La melodia viene e-
sclusa come progetto e si ottiene soltanto
'dopo', come risultato efficace ed affascinante
ad un tempo, perché è la nostra mente ad or-
ganizzarla, mettendoci di fronte ad attrazioni
quasi matematiche dei suoni tra loro: la sono-
rità timbrica specifica del violino poi utilizza
il fluire delle note tenute in un continuum do-
ve la varietà delle altezze e delle intensità
traccia in decoroso rigore un disegno di raro
equilibrio. Poi il 'Double' seguirà questa pia-
nificazione, ad una voce sola ed a piattaforma
non variabile, affinché il differente emerga
dall'identico e dal sovrapponibile, quasi ad of-
frire una prospettiva appena nata e che avvia
un percorso che riesce sempre a stupire, come
lo è la sorgiva originarietà del nuovo. Attra-
verso la violinista Sonig Tchakerian Bach
racconta se stesso, tutto ciò che è frutto delle
infinite possibilità della sua consapevolezza
di compositore: nel suo stile Bach pone in
primo piano la ricerca, fatta di sonorità e di
silenzi, là dove noi siamo chiamati ad esserci,
per respirare aria d'infinito. Allora lavora-
re su Luigi Nono così intensamente mi ha
insegnato ad entrare nelle partiture del
passato con quella passione e quella forza
esplorativa che è mossa a portare in vita
il discorso sonoro e renderlo presente
come un tutto, perché Nono ha lavorato
su Zarlino ed i due Gabrieli, Andrea e
Giovanni, nati prima assai di Bach!
La seconda esecuzione, 'Partita in re
minore BWV 1004' contiene l'ultimo mo-
vimento definito 'Ciaccona', che ha colto
privi di difese più di uno scrittore o com-
positore: Sonig riferisce di Svevo che ne
'La coscienza di Zeno' descrive il prota-
gonista 'asfaltato' dall'ascolto di questo
brano, nel quale Bach procede e lascia
senza respiro, con quella inesorabile de-
terminazione che solo il destino possiede;
o di Brahms che, se messo nelle condi-
zioni di penetrare più a fondo la struttura
di questa partitura, sarebbe entrato sicu-
ramente tra le braccia della follia. Sonig esige
sul palcoscenico una luce soffusa, per entrare
quasi in quel turbamento che Bach ha vissuto:
ci racconta che, tornato a casa, non ha trovato
più Maria Barbara, sua moglie, portata via
dalla morte. Questa danza, la 'Ciaccona'
sembra come un 'tombeau' dedicato a lei.
Allora c'è da portare avanti una importante
analisi del ruolo e della funzione della ritmi-
cità spezzata e virtuosistica all'interno della
elaborazione del rapporto tra i suoni che si at-
traggono tra loro in tensione, anche per co-
gliere il processo in divenire che la composi-
zione sempre rappresenta: gioco in crescendo
delle note in ottava, manifeste in una ripetiti-
vità ossessiva che tira fuori dal fondo come
un pensiero fisso sconnesso da ogni forma
immaginativa possibile che si presenti alla
mente. Tutto è rappreso intorno ad un nucleo
di forza gravitazionale senza precedenti. E' un
discorso di luce e di abbandoni quello che
avviene, in sgomento e ri-nascita.
Tutto l'evento, nella sua complessa intensi-
tà, viene offerto alla memoria di Florance
Marzotto, Amica della musica.
Ilia Pedrina
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ADRIANA ASSINI: LA RIVA VERDE Una rinfrescata di modernità
che fa dell’opera un racconto
a noi vicino di Nazario Pardini
UERRA dei cent’anni: desolazione,
campagne abbandonate, vedette per
mettersi al riparo entro le mura, pesti-
lenze (celebre quella del Boccaccio: “Nell’
anno del Signore 1348 la mortifera pestilenza
giunse a Firenze…”); un tremendo flagello in
Europa; interrogatori e sentenza del 24 mag-
gio 1431 per Giovanna D’Arco: “…per que-
sto motivo noi ti giudichiamo come eretica e
stimiamo che tu sia da espellere dalla Chiesa
e che tu debba essere consegnata alla potenza
secolare”; una guerra, appunto, questa dei
cent’anni, che finendo nel 1453, si trascina
fino alle soglie dell’età moderna. Ma per
quanto riguarda Bruges, località in cui si svi-
luppa la maggior parte degli avvenimenti del
nostro romanzo, il mercato della lana, dei ve-
stiti, e l’industria tessile vi prosperano fin dal
XII secolo, grazie alla stabilità garantita dal
patronato dei conti di Fiandra. Tra il XIII e
il XIV secolo il re di Francia Filippo il Bel-
lo invia nella regione una forza di occupazio-
ne per annettere le Fiandre. Ma la città si ri-
bella in massa e caccia i francesi durante i
famosi Mattutini di Bruges; successivamente
il predominio sul fiorente mercato tessile di
cui Bruges è il centro commerciale sarà una
delle principali cause di questa ferale guerra
tra Francia e Inghilterra.
È in questo periodo che si dipanano gli av-
venimenti del romanzo La riva verde di A-
driana Assini… Un romanzo di intrighi, di
vicende, che, anche se ben collocate storica-
mente, vanno al di sopra dei fatti per la singo-
larità dei personaggi e per la contemporaneità
dei nèssi che ne fanno una storia attualissima:
rivalità, amore conteso, contorni ambientali di
supporto alla psicologia degli attori. Già fin
dai primi accenni si può percepire il saggio
uso che la scrittrice fa del paesaggio. Si apre
con una scena tridimensionale, da cinema-
scope: “Un vento salato muggiva su Bruges.
Il cielo, gessoso, incombeva sui vicoli, lam-
biva i possenti bastioni e le torri, incornician-
do in una fredda aureola lo scuro castello del
conte”. Un quadro di manzoniana memoria
che riporta al simbiotico mèlange fra natura e
psiche, e che fa da prodromico avvio all’ av-
vicendamento degli interpreti principali: Gre-
ta du Glay, vecchia, vergine, folle; una specie
di fattucchiera; Rose, figlia di jakob, timida di
sorgente, vergine, promessa a certo Jan, al
soldo di suo padre, ma innamorata di Robin
Campen, di parte avversa (lavorava la robbia,
il rosso). In contesa erano i tintori del rosso e
quelli del blu. E i fatti si susseguono con un
incalzante fluire narrativo, ma più che altro
con una sequela dialogica secca e apodittica
di grande effetto attrattivo. Qui sta la novità
della prosa di Adriana: il gioco analitico delle
vicende. Ogni parte della narrazione volge a
delineare la varietà dei caratteri sulla scena, a
fare della passione storica dell’autrice un ser-
batoio di input umani che si traducono in sen-
timenti universali; sentimenti che si distacca-
no dal periodo per trasferirsi oltre il tempo,
oltre gli avvenimenti stessi. I conflitti di clas-
se, l’amore condizionato che ambisce alla
piena libertà, i raggiri, come tanti ce ne sono
ai nostri tempi. Là la paura dei lupi e dei lam-
pi; oggi la stessa paura per motivi non certo
meno pericolosi. Là un nugolo di donne che
sfida la sorte contro la tirannia maschile, qui
quell’attuale femminismo che tende a valo-
rizzare il ruolo della donna. Per non dire di
assassinî e fughe inaspettate, che tanto hanno
a che vedere con gialli che viviamo ogni
giorno. Insomma una rinfrescata di modernità
che fa dell’opera un racconto a noi vicino; un
racconto che pulsa di passioni e contamina-
zioni emotive di grande sostanza e potenziali-
tà creativa. Ed è un piacere abbandonare il
pensiero a quegli amori contrastati, a quelle
lotte per la libertà, a quegli intrighi che sanno
tanto di vita comune, di normali quanto occa-
sionali accidents di un percorso che si dipana
G
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con una tale fluidità da tenere avvinto il letto-
re fino alla fine. Sì!, un andare senza vuoti,
senza inceppi, dove gli uomini, le donne, le
abitudini, i contrasti si stagliano davanti all’
anima con una tale generosità esplicativa da
lasciare senza fiato. La campana del Beffroi a
preannunciare gragnole di guai. Margot che
irrompe nella bottega ad annunciare che i blu
hanno sorpreso i rossi nei canali (“… i residui
dei coloranti avrebbero impiegato non meno
di una settimana e, nel frattempo, loro ri-
schiavano di veder al macero centinaia di ro-
toli di stoffa…”). Scaramucce. Rose che
chiede di Robin: “Rose saltò su come se l’
avesse punta una vespa e s’affrettò a chiedere
di Robin, la cui sorte le premeva più dei suoi
stessi parenti”. L’assemblea delle donne. La
Compagnia della Conocchia: segretezza (A-
lix, Ysengrine dei Tigli, Greta, Rose, Mar-
got). “Poco importava se le loro vite scorre-
vano senza svaghi… quanto un capo di be-
stiame, non alzavano la testa, non chiedevano
giustizia”. E le vicende si susseguono incal-
zanti su una tessitura di solida tenuta, frutto di
una frequentazione letteraria esperita in anni
di contatti e di studi; un procedere vincolante
per vaghezze semantiche, ed energia creativa;
coinvolgente per espansioni emotive volte a
sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli
del tempo. Perché alfine è la vita che domina
nelle storie di Adriana, è la pulcritudine del
dire, ed il trionfo dell’amore. Anche se su
percorsi da Via Crucis. Su percorsi di polise-
mica significanza non solo storica, ma etica,
religiosa, di pluralità umana, rafforzata da
leggi che impediscono di affidare cadaveri al-
le mani impure di una donna. Rafforzata da
slanci verso un Dio che non guardi tanto alle
opere, quanto al cuore. E dove l’amore può
raggiungere apici di intensità dai toni epico li-
rici: “Posso sfidare le mareggiate senza la-
sciarmi impressionare dai tuoni, ma senza
Rose mi sento ancora un uomo perso, un uo-
mo a metà”. Insomma una storia pepata, pie-
na di contraccolpi, di sorprese, ora belle ora
meno. D’improvvisi scompigli. Di abbandoni
di alcune componenti dalla Compagnia. Di
sospetti. Di fughe improvvise. Ma sta proprio
nella simbiotica fusione degli opposti la veri-
tà della vicenda umana. E Adriana la sa rac-
contare ricorrendo proprio al polemos eracli-
teo, cosciente che la vita si dipana su un per-
corso breve, inaffidabile ma in cui sono in
agguato notti amiche a lenirne le inquietudini:
<<“Mi rattrista pensare che se Rose ritroverà
Robin non si unirà più a noi”.
“Perché mai? Non è forse la sua felicità che
vogliamo?” si stupì Greta, osservando come
la vita, in fondo, non fosse che un lungo suc-
cedersi di incontri e di separazioni>>.
Sì, questa è la vita, e qui anche buona parte
della filosofia di Adriana:
“…un’altra notte amica era in arrivo”.
A voi la lettura, dacché il compito del criti-
co è quello di introdurre non di rivelare
Nazario Pardini Adriana Assini: La Riva Verde - Scrittura &
Scritture. Napoli. 2014. Pg. 184. €. 12,50
Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più dif-ficile farlo vivere: composizione, bozze, carta, stam-
pa, buste, francobolli… se non volete che
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muoia, diffondetelo e aiutatelo con versamenti volon-tari (specialmente chi trova la propria firma, o scritti
che lo riguardano, dovrebbe sentirsi moralmente ob-
bligato. L’abbonamento serve solo per ricevere la ri-vista per un anno). C/c. p. n. 43585009 intestato al
Direttore
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Dalla letteratura d’impegno
alla composizione sacralizzata:
JEAN BARRAQUÉ PRENDE A CUORE
'LA MORT DE VIRGIL' E LUIGI NONO
NE PARLA IN UN
' J'ACCUSE' ' VIBRANTE di Ilia Pedrina
YEUX perçants, non imprégnés par les
grosses lentilles des lunettes, qui expri-
maient la violance raisonnée d'argu-
ments sainement polémique, la gaité improvi-
sée pour la reception d'une amitié immédiate,
et aussi souvent, en d'autres conditions, la
barrière d'une solitude causée par d'autres
personalismes musicaux, organisateurs et in-
humains dans leur arrogance. Une rigueur de
pensée, de théorie et de pratique musicale,
ayant énormément contribué au développe-
ment de la situation musicale française. Prati-
que musicale, partitions précises, qui trop
souvent n'ont pas été connues de son vivant,
et confinées par l'orgueil de personalismes se
'sauveurs uniques de la patrie'. Partitions écri-
tes qui doivent étre rendues vivantes, aussi
pour réparer le grave tort fait à Jean Barraqué
de son vivant, à lui et à la musique française.
Le concert que le collectif de Champigny lui
dédie est une autre et nouvelle démonstration
concrète de l'intelligence opérative de la
banlieue rouge contre le marché musical cen-
tralisé à Paris, centré e basé sur des opportu-
nismes directionnels de presomptueux 'mècè-
nes publics et privés'.” (Luigi Nono, Écrits,
textes traduits de l'italien et de l'allemand par
Laurent Feneyrou, CD inclus: conférence de
Luigi Nono, Contrechamps Editions, Genève,
2007, pag. 384).
In pochi tratti Luigi Nono dettaglia un'espe-
rienza che gli ha lasciato dentro un segno in-
delebile: parte da una descrizione attenta del
volto del compositore francese Jean Barraqué
ed in particolare dei suoi occhi, la cui sana,
ragionata forza polemica viene colta anche se
le spesse lenti degli occhiali potrebbero limi-
tare o addirittura impedire l'effetto dello
sguardo; egli passa poi a sottolineare di lui la
gioia che esplode improvvisa quando ha la
sensazione di trovarsi di fronte ad un amico,
in modo diretto, immediato; ora Nono, nella
stessa frase, prima che si arrivi al 'punto' si ri-
serva un attacco diretto a tutti coloro che così
spesso, in altre condizioni, hanno obbligato
Barraqué a trincerarsi dietro e dentro una soli-
tudine causata da protagonismi tra gente di
musica ed organizzatori, addirittura disumani
nella loro arroganza. La frase successiva fa
del soggetto, che manca, un pieno ritratto che
difficilmente potrà essere dimenticato, in
quella rivoluzionaria capacità di sintesi, solo
noniana, che mi ha condizionato letteralmente
ad uno studio assiduo dei suoi lavori, non so-
lo musicali: un rigore di pensiero, di teoria e
di pratica musicale che ha enormemente con-
tribuito allo sviluppo del panorama della mu-
sica francese. Niente ancora sappiamo dove ci
andrà a portare il pensiero scritto di Nono, così,
proseguendo nella lettura in traduzione trovia-
mo altri elementi di importanza incredibile:
una pratica e tecnica musicale, partiture precise
che troppo spesso non hanno potuto essere co-
nosciute mentre lui era in vita e sono state con-
finate ai margini dall'orgoglio di personalità
che si considerano gli unici sapienti salvatori
della patria. E Nono procede con energia e
senza mezzi termini: 'Partiture scritte che de-
vono essere rese viventi per poter riparare al
grave torto fatto a Jean Barraqué mentre era in
vita, a lui ed alla musica francese. Il concerto
che il Collettivo di Champigny gli dedica è
un'altra nuova dimostrazione concreta dell'in-
telligenza operativa della 'banlieue rouge' (del-
la 'periferia rossa') contro il mercato musicale
centralizzato a Parigi, centrato e fondato su
degli opportunismi direttivi di presuntuosi
'mecenati pubblici e privati' (Luigi Nono, te-
sto citato, trad. di Ilia Pedrina).
La data dell'evento, promosso dal Collettivo
musicale internazionale di Champigny è quel-
la del 9 marzo 1974, il testo di Luigi Nono è
allegato al programma del concerto e lo stu-
“
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dioso Laurent Feneyrou ci informa inoltre, in
nota, che il libro di Hermann Broch, 'La mor-
te di Virgilio', Milano, Feltrinelli, 1982, è pre-
sente nella Biblioteca di Luigi Nono presso l'
Archivio alla giudecca, in Venezia. Oltre a
questo testo, ho trovato in Archivio anche due
Partiture di Jean Barraqué, che mi sono state
gentilmente messe a disposizione dalla signo-
ra Nuria Schoenberg Nono:
'SONATE' pour piano, Aldo Bruzzichelli
Editore, Firenze (con all'interno, in stampa
'Jean Barraqué, Paris, 1928 - ; sono presenti
inoltre indicazioni dell'Autore circa le moda-
lità di esecuzione della composizione): com-
posta tra il 1950 e il 1952 ha la durata di 40
minuti, si può ascoltare su Youtube, e la pri-
ma esecuzione assoluta è stata registrata dalla
pianista Yvonne Loriod, che diverrà poi mo-
glie di Olivier Messiaen, dal 28 al 30 ottobre
1957, mentre la prima esecuzione pubblica in
concerto è avvenuta il 24 aprile 1967, con la
pianista elisabeth Klein, a Copenhagen;
'SEQUENCE' pour voix, batterie et divers
intruments, A. Bruzzichelli Ed. Firenze (con
all'interno l'indicazione 'Textes extraits de
'ECCE HOMO suivi des POESIES' de Frede-
ric Nietzsche, traduction de Henri Albert, edi-
tions 'Mercure de France'): composta tra il
1950 e il 1955, ha la durata di 18 minuti, si
può ascoltare su Youtube ed è stata eseguita
per la prima volta a Parigi il 10 marzo 1956,
con la soprano Ethel Semser, con l'orchestra
del 'Domaine Musical, sotto la direzione di
Rudolf Albert.
La circostanza è drammatica perché, come
Luigi Nono ci informa in modo severo, senza
velare le accuse dirette e chi ha orecchie per
intendere intenda pure, Jean Barraqué è mor-
to, il suo canto è sospeso, Jean Barraqué è ora
tra coloro per i quali egli ha scritto 'I Cori di
Didone', tra coloro cioè, e all'epoca erano pit-
tori o poeti, il cui canto è stato interrotto per
ragioni di stato, per la violenza del potere, per
l'arroganza di rivali senza scrupoli. Quasi fos-
se stato preparato spiritualmente, fin dagli
anni '50, ad affrontare questa testimonianza
pubblica severa e rigorosa, ora che è un com-
positore di valore a spegnersi nell'indifferenza
pregressa o nella forzata sollecitudine di ma-
niera!
Vengo al testo 'Jean Barraqué, Écrits, reu-
nis, presentès et annotés par Laurent Fene-
yrou', Pubblications de la Sorbonne, Série e-
sthetique n. 3, Paris. Cito in mia traduzione
diretta:
“1973
Il 9 aprile esecuzione a Parigi, presso la
Maison de la Radio, di 'Sequence' (con Ber-
nadette Val e sotto la direzione di Alain Lou-
vier) e del Temps restitué (Anne Bartelloni,
Chœur de chambre de l'ORTF, Ars Nova, sot-
to la direzione di Jean-Paul Kreder). Il 15 a-
prile, al festival di Royan, Roger Woodward
esegue la 'Sonate' ch'egli stesso aveva regi-
strato nell'autunno del 1972 in presenza di J.
B. a Londra per la Casa Discografica EMI. Il
29 giugno J. B. è nominato 'Chevalier dans l'
Ordre National du mérite'. Il 10 Agosto, col-
pito da emiplegia, è trasportato all'ospedale di
Beaujon. Il 13 viene trasferito all'ospedale
della Salpétrière, viene operato il 14 per un
ematoma cerebrale. Muore il 17 agosto ed è
sepolto al cimitero di Trelevern. Olivier Mes-
siaen scrive: 'Jean Barraqué è stato l'esempio
perfetto di musicista seriale severo, senza
concessioni, producendo soltanto opere auste-
re e meditate a lungo (…) Jean Barraqué me-
rita la più totale ammirazione per la serietà, la
finalità, la nobiltà della sua arte e del suo pen-
siero'.” ( J. Barraqué, Écrits, op. cit. pag. 30)
Si potrebbe trarre da questi dettagli che il
Barraqué sia morto di morte naturale..... Inve-
ce Luigi Nono ha presente tutta la vicenda di
vita e di lavoro del compositore francese e ta-
glia netto su qualsiasi intenzione commemo-
rativa blanda: la sofferenza provocata prende
il cuore, il cervello, la personalità tutta e di-
venta quel risultato subdolo che Camus ha
definito 'omicidio di stato' (cfr. Pom. Not. 'I
cori di Didone', Giugno 2014)!
La spiritualità di Jean Barraqué è intensis-
sima, lo affascina il sacro ed ogni esperienza
che lo porti, segretamente, a vivere l'eternità
del divenire, così nell'introduzione al testo
sopra considerato L. Feneyrou precisa: “...
Dove si chiude allora il cerchio 'enfermant le
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 8
Temps' secondo le parole del 'Temps restitué'?
Qui sorge l'eterno ritorno, che si manifesta,
nell'analisi barraqueiana di Debussy, nella fa-
scinazione dell'elemento circolare, nel so-
spendere il ricordo del suo inizio e, nell'opera
stessa di Jean Barraqué, nella passione per la
ciclicità. Così egli si esprime nella dodicesi-
ma sezione di … au-delà du hasard: 'E ricre-
andosi per formare il proprio cerchio ed i cer-
chi deformati e contraddittori ed invisibili
perché affrontati.' L'eterno ritorno è Okeanos,
il flusso del tempo come durata, flusso ciclico
del divenire. Ogni opera affronta la tensione
tra l'eterno ritorno, concezione curva del tem-
po ed il rinnovellarsi del gioco creatore, nell'
atto - tra l'eternità dello scorrere, eternità di
Okeanos, e l'eternità nell'atto autentico, nunc,
æternum, tra l'eternità della durata circolare e
l'eternità dell'atto sottratto alla dispersione del
continuum. E Jean Barraqué disseziona gli i-
stanti, in particolare nella sua analisi di 'La
Mer': la de-cisione dell'istante, rispetto all'a-
pertura, intervento tragico, distruzione del ci-
clo in fuga – questo istante di grazia del
Temps restitué (III), privilegiato tra tutti, sco-
nosciuto ai più, là dove la musica soffoca il
tempo avviandosi verso la morte...” (Jean
Barraqué, op. cit. Introduction, pag. 9, trad. di
Ilia Pedrina).
Non posso ora non fare riferimento al testo
di Paul Griffiths, 'La Mer en Feu: Jean Bar-
raqué', Edizioni Hermann Musique, pubbli-
cato a Parigi nel 2008, sul quale in altra occa-
sione parlerò assai diffusamente, tutto rivolto
al compositore francese in seconda persona
plurale. Cito: “La decisione di Virgilio è ora
la vostra, in un'opera che voi concepite in sei
parti:
1) Il primo avvio non deve avere, non ha di
certo da avere consistenza. Ci si immette nel-
la quiete, nell'allontanamento, nel lungo tra-
vaglio della Morte. Al contrario di ciò che io
ho scritto in precedenza, bisogna lasciarsi
scivolare nel doppio e nel triplo testo (le paro-
le di Broch, quelle di Kohn e le vostre) con le
loro assonanze, che offrono un'irregolarità ed
una rottura rispetto al sistema seriale. In ulti-
ma analisi un'improvvisazione...
2) L'allusione a Genet (i viventi si sbarazzano
sornionamente dei cadaveri) inverte il discor-
so che deve tener conto dei passaggi vocali
più rigorosi presenti nel Temps Restitué. Il ri-
chiamo alla 'urbanità' decisa, deriva dall'ori-
gine della proliferazione inintelligibile dei te-
sti sullo stile di ….au delà du hasard.
3) Il teatro - una visione sfuggente e rappresa
dell'Homme couché... 'Tu, il più crudele (cfr.
Séquence), oh! Plotia (Qui i frammenti di
Broch e e Kohn richiamano 'il grande senti-
mento che forza alla creazione...la profonda
angoscia del viaggiatore.... quest'orrenda an-
goscia del fuggitivo che vaga negli impene-
trabili risvolti della notte' e finalmente, a par-
tire dal momento in cui Virgilio guarda dalla
finestra, la notte che 'gravitava tutt'intorno
nella sua immensa spazialità'.)
4) L'inno all'opera... deve essere trattato nello
stile dei passaggi più audaci della 'Sonate'. Al
contrario di uno sfogo, voglio che si scopra
nella bellezza, l'inno al rigore. (Ciò sostitui-
sce, con parole totalmente vostre, i passaggi
inseriti nei quali Virgilio cerca 'un linguaggio
che possa oltrepassare la musica stessa'.)
5) Si ritrova lo stile 'dato' – improvvisato de-
gli inizi ma nutrito, arricchito di ciò che si è
già costituito in passato. Confusione organiz-
zata. (Il testo di Broch e Kohn è il seguente:
'...cammino...senza traccia...la sua vita... sfi-
nimento...falso percorso...coscienza del suo
smarrimento...') 6) Come la fine di tutte le
mie opere, anche questa mi appartiene.” (P.
Griffiths, 'La Mer en Feu: Jean Barraqué',
op. cit. pp.324-325, trad. di Ilia Pedrina). Nei
punti 1), 3), 4), 5) le parole tra parentesi sono
quelle di Paul Griffiths, che, come ho detto,
crea un'intensa prossimità con il compositore
francese rendendolo vivo e presente, di fronte
a noi, nel nostro immaginario conoscitivo, e-
segetico e produttivo.
Investigherò ancora e ancora questi interes-
santi ambiti di lavoro che verrò a trattare nella
loro più corretta prospettiva, quella della di-
mensione creativa dell'opera d'arte e quella del
ruolo etico-politico dell'artista e del composito-
re nella seconda metà del Novecento e oltre.
Ilia Pedrina
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 9
CLOTILDE PUNZO: NON HO PIÙ SMESSO DI CANTARE
di Liliana Porro Andriuoli
’ORRIBILE genocidio perpetrato
nei campi di sterminio nazisti a danno
degli ebrei, durante la seconda guerra
mondiale, costituisce l’argomento del recen-
te libro di Clotilde Punzo, Non ho più smesso
di cantare (Napoli, Luciano Editore, 2011, €
10,00); argomento che viene affrontato dall’
autrice con profondo senso di umanità e
con viva partecipazione alla tragedia vissuta
in prima persona dalle vittime. Inoltre, pur in-
serendovi poesie nelle quali mette in evidenza
la spietata crudeltà dei persecutori, la Punzo
sa giovarsi di un’esposizione sempre obiet-
tiva ed equilibrata, in virtù della quale la sua
denuncia acquista maggiore efficacia e mag-
giore forza evocativa.
Il suo libro, pertanto, è sicuramente una te-
stimonianza a favore delle vittime dell’ olo-
causto, ma soprattutto è un invito a riflettere
sulla triste realtà di soprusi, cattiverie e vio-
lenze che avvengono anche ai nostri giorni,
magari a nostra insaputa, quantunque si parli
tanto di uguaglianza, tolleranza e non violen-
za…. Scrive infatti la Punzo in una delle ul-
time poesie della silloge: “il lager è un polo
multimediale / … / ce n’è in tutte le latitudi-
ni” e soggiunge: “Alcuni sono visibili, / altri
occulti, infidi, subdoli, / con nomi insospetta-
bili” (p. 86).
E non a caso il prefatore Ottavio Di Grazia
insiste proprio sul dovere che noi tutti abbia-
mo di “ricordare” per “non dimenticare” i
fatti della nostra storia passata perché, come
d’altra parte ebbe a dire Primo Levi, «Se
morremo qui in silenzio come vogliono i no-
stri nemici, se non ritorneremo, il mondo non
saprà di che cosa l’uomo è stato capace […] e
sarà più esposto […] ad un ripetersi»1 di tale
tragedia. E l’idea di poter contribuire in qual-
1 Primo Levi, Prefazione a Anna Bravo - Daniele
Jalla, La vita offesa. Storia e memoria dei lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti,
Milano, Franco Angeli Editore, 1988.
che modo affinché il genocidio avvenuto non
si “ripeta” un’altra volta sembra essere l’idea
portante di tutta l’opera della nostra autrice.
Il libro si apre con un Prologo, nel quale la
poetessa fa sua la nota parabola evangelica
del grano e della gramigna (Matteo 13,24-30
e 13,37-42): “Avevo visto molti campi di
grano / ma il mio sguardo si era soffermato
solo sulle spighe” dice il protagonista del
Prologo; e soggiunge: solo allorché fui “de-
portato” in un “campo”, mi accorsi (e lo feci
“con inguaribile pena”) di “quanto forte fos-
se” il potere della gramigna “di infestare il
grano”. La diversa condizione esistenziale gli
ha fatto dunque figgere lo sguardo più a fon-
do nella realtà…
Inoltrandoci nelle pagine successive della
silloge incontriamo una lunga sequenza di
figure umane, ciascuna portatrice di una
propria tragica storia; tutte storie, tuttavia,
quasi mai così personali da non potersi colle-
gare, o addirittura quasi integrare, con quelle
di altre figure consimili. Il che, evidenziando
la forte unitarietà del testo nel suo insieme,
esalta il carattere poematico del volumetto,
nel quale ogni elemento, pur conservando la
sua identità, si amalgama perfettamente con
gli altri. Quella che Clotilde Punzo contem-
pla è infatti un’umanità degradata e calpe-
stata, che ormai ben poco conserva dell’ an-
tica parvenza, se non il ricordo del tempo in
cui ebbe anch’essa “gioventù e forza nelle
membra vigorose” (p. 65) e che quindi poteva
considerarsi felice. Ora purtroppo tutto è mu-
tato: ognuno di costoro ha perso finanche la
propria identità: “Chi conosce la mia storia? /
A chi interessa come e quando nacqui? / Sono
un numero tra queste mura. / Forse meno.”
(p. 46); “Ho camminato fino a sera / in un
giorno senza nome / privo anche del mio” (p.
64). Nessuno di loro gode più un attimo di
pace, nemmeno durante le ore di sonno:
“Tregua non v’era nell’ora notturna. / … /
L’ossessione era nel sangue, nella mente, nel
cuore, / … / Non erano notti velate di luna, /
ma abissi accesi dai fari” (p. 35).
L
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 10
Alcune figure di questa lunga serie, ac-
comunate da un terribile destino, ci vengono
incontro come mimetizzate in una massa in-
forme, indistinguibili l’una dall’altra nel folto
gruppo in cui si trovano: sempre infatti, stret-
tamente unite fra loro, procedono convinte
che solo nell’unione e nella reciproca solida-
rietà potranno trovare la forza per una qual-
che forma di sopravvivenza: “Da occhio ad
occhio passava la preghiera / di serbare anco-
ra la vita di un tempo / per ritrovarsi mai
spenti intorno ad un comune fuoco / non ce-
dendo ai detrattori delle identità…” (p. 31);
“Non ci fu mai silenzio / dentro e fuori del
campo / dentro e fuori del cuore / … / Ab-
biamo inventato un parlare comune / che i-
dentifica i deportati, / … / Si parla in gergo
per sopravvivere, / sono sussurri le parole che
passano veloci, / le parole clandestine che
formano fra noi catene” (p. 43).
Altre figure invece, sempre indistinguibili
e confuse nel mucchio, ci appaiono come
ormai rassegnate alla fatalità del caso, che i-
nesorabilmente le condurrà verso una preve-
dibile meta: “Era un lungo treno che andava a
Nord / … / È un treno che ha occhi sparuti e
carne lacerata / grida represse e urla che dan-
no fuoco alle notti” (p. 17); “Sono piedi che
vanno, / … / lentamente vanno, / dolorosa-
mente vanno, / nel tormento dell’ignoto” (p.
19); “sono tonni che si dibattono / tra sangue
e fiocine / sotto lo sguardo arrossato dell’ as-
sassino / poi boccheggiano esausti / sfiniti
dalla violenza e dall’incompreso accadimen-
to” (p. 18); “Ogni scarpa è un piede / che più
non lascia orma. / C’erano due gambe e un
tronco / su quelle scarpe…” (p. 25).
Alcune volte queste singole figure, recu-
perando almeno parte della loro individualità,
si distaccano dal gruppo, avvicinandosi per
comunicarci il loro personale dramma. Così è
di colei che, dopo morta, racconta la sua vi-
cenda: “Mi hanno detto che è cresciuta l’erba
/ dove caddi / e fango mi fu premuto su viso e
petto. / … / Musica odo come nenia d’oriente.
/ È un oboe o un violino / a rammentarmi la
neve? / Sono morta sulla neve” (p. 29); così è
di Kurt, il bambino che va incontro alla morte
credendo si tratti di un gioco: “«Vieni», / mi
disse, / prendendomi per mano, / «ci fanno la
doccia». / Dall’acqua passammo al sonno. /
Non fummo più in balia del vento” (p. 34);
così è pure della protagonista della poesia da
cui prende il titolo la raccolta, la quale im-
pazzisce e, pur sapendo “di essere stonata”,
continua a cantare dal giorno in cui le conse-
gnarono l’abito da sposa e glielo fecero in-
dossare, prima di uccidere i suoi familiari (p.
56); e così è ancora di quell’uomo, forse uno
“zingaro”, che si diceva venisse dalla Boe-
mia, dimenticato “nudo su un mucchio di
scarpe”, “lasciando che il tempo e i cani af-
famati facessero scempio” delle sue “carni
rinsecchite” (p.57); e così è di tanti altri che
non possiamo qui ricordare.
Altre volte poi alcune di queste figure,
non sopportando le atrocità che il momento
presente riserva loro, rivolgono la propria
mente al passato: qualcuna rievoca la propria
vita di un tempo (“Avevo lenzuola pulite /
profumate di lavanda / … / Membra fresche
come buccia vellutata di pesca”) per trovare
un qualche conforto alla tanto disperata con-
dizione attuale (“Ora il mio corpo è tutt’uno
con la baracca / Con il legno rosicchiato dalle
termiti”, p. 28); qualche altra, invece, si ram-
menta di un familiare a lei molto caro, nella
fattispecie la propria madre (“Sembrava mia
madre / con quegli anelli grigi sulla testa. / La
denudarono e spinsero il suo grosso corpo /
contro le carni emaciate di altre donne iner-
mi”, p. 30) e trae conforto dal pensiero che la
sua morte, avvenuta in epoca anteriore, le ab-
bia evitato di essere coinvolta in quell’ im-
mane tragedia (“Pensai a mia madre. / A
quanto era stata fortunata ad essere già mor-
ta”, p. 30).
Qualcuna di queste figure infine ci parla
anche dei suoi carnefici, della disumana
perversione che costoro sempre dimostrarono
nei confronti di uomini inermi e indifesi, di
quanta intima debolezza e quanta vigliacche-
ria si nascondesse sotto quella loro apparenza
di forza, quella loro malcelata sicurezza… Un
esempio in proposito lo si trova nelle prime
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 11
pagine del libro, nella poesia Chi decide della
mia sorte?, nella quale un deportato vuol
guardare negli occhi il suo torturatore per po-
ter scoprire chi egli realmente sia e su cosa
fondi tanta arroganza e tanta presunta supe-
riorità: “Ma quest’uomo che ho di fronte / …
/ che urla e mi stritola con la sua arroganza
/… / quest’uomo che mi guarda ostile / … /
che si accanisce mi ferisce mi umilia e mi
mortifica / … / Voglio sapere chi è, / … /
Perché al cospetto di quest’uomo / non mi
tolgo il cappello né trasudo perdono”.
È poi anche possibile che chi è scampato
dal lager possa a distanza di tempo incontra-
re, a un tratto, tra la folla, il suo ex torturato-
re, come accade nella poesia Lo riconobbe,
dove nell’affollato “centro di Manhattan” av-
viene appunto l’incontro tra un’ex vittima e il
suo ex aguzzino: “«Ehi, ti conosco», gridò l’
ex deportato «Tu sei quel maiale del lager, /
sei il bastardo della forca»”. E l’aguzzino,
sentendosi riconosciuto, ebbe paura e si con-
fuse tra la folla, scantonando (“Accelerò fre-
mente il passo”, p. 84). La vittima, in preda
ad una profonda agitazione, pur non rincor-
rendolo, non fu tuttavia capace di concedergli
il perdono (“Trasformare non seppe l’odio
che genera odio. / S’inginocchiò e pregò che
fosse stritolato sotto la prima ruota”).
Il libro si chiude con un Epilogo, ispirato,
ancor più che il Prologo, ad un sentimento
cristiano dell’esistenza. Se infatti il problema
della gramigna che “infesta il grano”, può ge-
nerare nel credente (come in effetti ha talora
generato) qualche perplessità, qualche dubbio
riguardante il perché esista il male nel mondo
e perché Dio lo permetta (problemi, questi,
più volte dibattuti e affrontati, anche in sede
teologica), al contrario i versi della chiusa del
poemetto sono inequivocabilmente sorretti
dalla fede in un intervento divino sul divenire
del mondo: “E noi che non siamo che ombre
sulla scena del mondo /… / noi che svento-
liamo bandiere e non brandiamo spade, / in-
vochiamo, ancora e sempre, il Dio che tace, /
ma non s’addormenta, / perché ci aiuti a vive-
re finalmente in pace / e a non dubitare nella
tormenta”.
Il Dio della Punzo infatti “tace”; non inter-
viene, è vero, ma “non s’addormenta”: aspet-
ta imperturbabilmente il giorno della “mieti-
tura”, allorché ordinerà che il grano sia sepa-
rato dalla gramigna. È pertanto un Dio, il suo,
che non resta indifferente di fronte alla soffe-
renza degli innocenti, ma, per una Sua imper-
scrutabile volontà, non vuole intervenire pri-
ma del giorno del “Giudizio”, prima cioè del
momento in cui “i giusti splenderanno come
il sole nel regno del Padre loro” (Matteo
13,37-42): non forza la mano agli uomini, ma
li lascia liberi delle proprie azioni.
Quanto allo stile, è da osservarsi che Clotil-
de Punzo si esprime in maniera asciutta e
concisa, con un verso libero molto efficace
(“I cani abbaiano / contro la notte che non ar-
retra” (p. 37); “Il filo spinato separava il con-
fine della mia terra da quella di Hans. / … /
L’avevo detto ad Hans che il filo spinato del
campo / non era uguale a quello che separava
le nostre proprietà. / … / Lo teneva stretto il
filo con tutte e due le mani / … / A turno l’
abbiamo vegliato” (p. 52-53) e con quella
limpidità di voce che è propria di chi è mos-
so dall’ansia di comunicare agli altri degli au-
tentici contenuti che avverte urgere nella pro-
pria anima.
Il libro “Non ho più smesso di cantare” di
Clotilde Punzo è stato brillantemente pre-
sentato, con notevole partecipazione di pub-
blico, il 21 Maggio 2014 (ore 17.30) dalla
Prof.ssa Ersilia Di Palo, nella “Sala Fran-
cesco De Martino” Via Morghen 84 Napoli.
La manifestazione è avvenuta nella Serie de
I MERCOLEDÌ CULTURALI, a cura dell’
Associazione Internazionale EIP ITALIA -
Sezione Campania, in collaborazione con la
5° Municipalità VOMERO_ARENELLA.
Le poesie, intensamente interpretate dalla
stessa autrice, sono state molto applaudite dal
pubblico presente.
Liliana Porro Andriuoli Clotilde Punzo : Non ho più smesso di cantare -
(Napoli, Luciano Editore, 2011, € 10,00)
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 12
BASILICATA TRA STORIA E ARTE
di Leonardo Selvaggi
ECONDO lo storico lucano Giacomo
Racioppi Lucania significa “Luce”,
dalla radicale “luc” presente nel lin-
guaggio osco, parlato dagli aborigeni della at-
tuale Basilicata. Gli Osci dell’Irpinia si spo-
starono, oltrepassando il fiume Sele, da po-
nente verso le terre orientali, in direzione del-
la stella Lucifero. Il nome Lucania ha origine
in questo momento, corrisponde ad una realtà
geografica nuova, ha riferimenti con la lumi-
nosa stella del mattino. Si è avuta un’altra in-
terpretazione, quella di terra di lupi o di bo-
schi. Questa non ha valore, pensando che tut-
ta l’Italia fino all’Umbria era tutta un manto
di verde, specie in quei lontani tempi. Gli an-
tichi Lucani vi trovarono nella regione occu-
pata gli Enotri ed i Conni coi quali guerreg-
giarono per lunghi anni, estendendo il loro
dominio dal Sele al Bradano ed a tutta la Ca-
labria. Il nome dei Lucani si trova citato dallo
storico Strabone solo verso il 400 a. C. e nel
325 in occasione della guerra contro Alessan-
do il Molosso, re dell’Epiro, chiamato dai Ta-
rantini per combattere contro i Lucani. Una
documentazione importante sulla presenza
dei Lucani l’abbiamo avuto con il rinveni-
mento di una lapide di pietra presso Anzi. Si
parla di un popolo civile, indipendente, diviso
in patrizi e plebei. Furono rinvenuti idoli, ter-
racotte, armi, cristalli, monete. Onoravano
Diana, la Dea della caccia. Prima che gli an-
tenati dei Lucani passassero il Sele, la loro
storia si confonde con quella dei Campani,
più precisamente con quella degli Irpini, mol-
to bellicosi, temuti dai Romani. Questi Irpini
col nome Lucani per tre secoli si fanno senti-
re per la loro forza, collegati coi Sanniti arri-
vano fino a Roma, al comando di Marco
Lamponio. Abbiamo la battaglia di Pandosia
presso Tursi e la guerra italica. L’esercito dei
Lucani e dei Sanniti sconfitto dai Romani.
Morirono quasi tutti sul campo compresi i lo-
ro duci. I Romani riconoscono ugualmente il
loro valore e concedono quei diritti civili che
erano stati prima negati, causa della stessa
guerra. Il grande storico Polibio ci parla dei
Lucani al tempo della III guerra punica,
quando portarono aiuti, con forti eserciti for-
mati da fanti e da cavalieri, ai Romani in qua-
lità di confederati. Certamente fu un glorioso
cammino quello dei Lucani, cominciato con i
loro aborigeni. Enotri, Conni, Italioti confe-
derati, Spartani, Magna Grecia, tutti conqui-
stati dal loro valore. Combatterono contro i
Romani quando questi si dimostrarono inva-
denti al tempo della guerra contro Turio, co-
lonia presso Sibari, non avendo rispettato i
trattati. Sempre agguerriti e dai costumi seve-
ri assimilarono ampiamente la cultura e le arti
degli Italioti della Magna Grecia. I resti ar-
cheologici parlano chiaro della pacifica con-
vivenza tra i Lucani che parlavano la lingua
osca e i popoli che parlavano “Greco”. Anche
se divisi come si è detto, in caste non ebbero
né re né tiranni. I Lucani erano montanari co-
raggiosi, generosi, grande il loro amore per la
libertà, rispettavano le leggi, in special modo
quelle dell’ospitalità. La loro indipendenza
finì quando dovettero cedere insieme con i
Campani, i Sanniti, gli Umbri, gli Etruschi, i
Latini a coloro che dovevano dominare il
mondo. La Lucania era costituita dal territorio
che comprendeva dei centri famosi, Eraclea,
Metaponto, Grumento, Velia, Paestum. In se-
guito abbiamo le invasioni barbariche che
portano distruzioni e domini. I Lucani per lo-
ro natura costanti, tenaci, dall’antico si sono
mantenuti uguali dal punto di vista etnico, per
quanto riguarda l’aspetto geografico si sono
avute, invece, variazioni. Ora veniamo alla
denominazione di Basilicata. Lo storico luca-
no Michele La Cava in polemica con Giaco-
mo Racioppi sostiene sempre la storicità e la
grandiosità del nome di Lucania, al posto di
quello servile di Basilicata. Nel secolo X con
i Bizantini che subentrano ai Longobardi la
Lucania viene governata da un funzionario
imperiale detto basilikos. Da questo momento
si comincia a parlare di Basilicata. Riferimen-
ti si hanno pure con il termine Basileia che
significa regio o Regno, e con l’occupazione
S
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 13
dell’imperatore greco Basilio II, dopo la vit-
toria riportata sopra Ottone II, imperatore di
Occidente nell’anno 989. Per la prima volta il
nuovo nome si trova nel 1230 in un docu-
mento risalente ai tempi di Federico II.
Gli storici e i geografici continuano a quell’
epoca ad essere quasi sempre fedeli al nome
di Lucania. Il termine Basilicata è considerato
estraneo, splendido per le sue origini lontane,
invece, è quello di Lucania. E’ rimasto pre-
sente nelle tradizioni, usato dai letterati. Dalla
provincia di Potenza fu indetto nel 1930-31
un referendum per l’attribuzione dell’una o
dell’altra denominazione da parte di tutti i
comuni della regione. Un vero plebiscito a
favore di “Lucania”, un solo paese si espresse
per “Basilicata”. Il nome di Basilicata rimane
dal secolo XII quasi costantemente in vigore,
ad eccezione di due brevi parentesi, nel 1799
e nel 1820 e del periodo tra il 1932 e il 1947
in cui ritorna il glorioso nome di Lucania. Nel
secolo XI abbiamo i Nrrmanni, nei secoli XII
e XIII gli Svevi. Si ha un periodo di grande
splendore. Nel 1230 Federico II, che amava
soggiornare con la sua corte nel castello nor-
manno di Melfi, ordinò ai suoi giuristi e ai
suoi ministri, tra i quali c’era il capuano Pier
delle Vigne, di compilare una riforma costi-
tuzionale, amministrativa e giudiziaria del
suo Regno. In solo due mesi si ebbe la famo-
sa “Lex augustalis”. Per il fatto che la legge
venne promulgata l’anno seguente in un’ as-
semblea tenuta a Melfi prese il nome dalla
città, “Costitutiones Melphitanae”. Nel 1266
la Basilicata passa sotto gli Angioini che la
dominano assieme a Napoli per tutto il secolo
XIV. Nel 1435 in seguito alla vittoria riporta-
ta sugli Angioini la regione, con il restante
Regno di Napoli, passa agli Aragonesi di
Spagna. Nei secoli XVI-XVIII la Basilicata
vive i periodi più travagliati e in completo i-
solamento. Francesi e Spagnoli si contendono
con lunghe guerre il dominio dell’Italia. Alla
fine prevalgono gli Spagnoli. Angherie e in-
giustizie di ogni genere, violenze, abusi, e
miseria accendono ribellioni isolate che apro-
no la via al brigantaggio. Nel 1663 gli Spa-
gnoli fanno di Matera la nuova capitale della
regione. Morto nel 1701 Carlo II di Spagna
senza eredi, abbiamo i Borboni. Le riforme
apportate da questi hanno una debole eco in
Basilicata che rimane la regione più povera,
abbandonata a sé. Nel gennaio 1799, quando
le armate rivoluzionarie francesi raggiungono
Napoli, i Borboni fuggono e viene proclamata
la Repubblica Partenopea. La conquistata li-
bertà dura poco. Nel giugno ritornano i Bor-
boni, vengono giustiziati i patrioti rivoluzio-
nari. I martiri della Basilicata sono otto, fra i
quali il grande giurista Mario Pagano. Nel
1806 Potenza diventa capoluogo della regio-
ne, sostituendo Matera. Dal 1808 al 1815 il
Regno di Napoli e con esso la Basilicata, vie-
ne retto da Gioacchino Murat, cognato dell’
imperatore Napoleone Bonaparte. Alla caduta
di Murat riappaiono i Borboni. La rivoluzione
napoletana ha acceso nei cuori la speranza
che invano tentano di spegnere, durante il Ri-
sorgimento, le prigioni e le forche borboni-
che. Dal 1821 al 1848 la Basilicata partecipa
a tutti i moti insurrezionali. Potenza nel 1860,
ai cui abitanti Garibaldi dirige un proclama
che loda la loro solerzia, l’umanità e la bravu-
ra, vive i momenti più fulgidi con la giornata
del 18 agosto. Un ardente amore di patria
spinge tanti ad offrirsi vittime alla causa dell’
indipendenza dal giogo borbonico, dell’ an-
nessione al nuovo Regno d’Italia.
La Basilicata ha vissuto secoli di vita inten-
sa, di lotte, di miserie, di soggezioni, periodi
di splendori, di predominio. Ha avuto abitanti
infaticabili, vivaci, intraprendenti, sempre ge-
nerosi e tenaci. La Basilicata ha lasciato nel
lungo cammino della sua civiltà tanta storia,
ricca cultura e arte. Alle testimonianze prei-
storiche, fiorite fin dal paleolitico inferiore
(Venosa, Matera) seguono quelle dell’età
greca, in cui oltre a manifestazioni dell’arte
ellenica vera e propria, come le cosiddette
Tavole Palatine o il tempio di Apollo Licio,
di stile dorico del VI secolo nella piana di
Metaponto, vi sono quelle più o meno elle-
nizzate provenienti dalle necropoli. Monu-
menti romani sono infine sparsi in tutta la re-
gione. Espressioni di arte cristiana si trovano
in grotte scavate nella roccia nella zona di
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 14
Matera con tracce di affreschi di derivazione
bizantina.
Di maggiore interesse i monumenti sorti
sotto il regno dei Normanni e degli Svevi. L’
antica Acheruntia, che ha quasi tre millenni di
vita, in magnifica posizione, sopra una rupe
di tufo dominante la florida valle del Brada-
no. Il maggior vanto di Acerenza è la stupen-
da cattedrale del sec. XIII, senza dubbio fra le
più belle esistenti. Ammiriamo la faciata he si
adorna di un portale in stile romanico- puglie-
se e, in particolare, il grandioso complesso
delle absidi. Trale migliori architetture civili
della Basilicata si annovera il quattrocentesco
castello di Miglionico, ampio e possente, con
le sue torri cilindriche, si trova isolato all’ in-
gresso del paese. Famoso per la sala detta del
Malconsiglio ove il primo ottobre 1841 i Ba-
roni, in attesa dell’aiuto del Papa, si raduna-
rono in congiura contro Re Ferdinando I
d’Aragona. Ora anndiamo a vedere in un
punto opposto della regione il castello di La-
gopésole che giganteggia imponente su un
colle. Questa superba mole venne fatta erige-
re nel sec. XIII dall’Imperatore Federico II
come luogo di soggiorno per le sue partite di
caccia. Ospitò altri Re, fra cui Carlo d’Angiò.
Il castello munito di quattro torrioni angolari
fu in seguito dato in dono da Carlo V ai prin-
cipi Doria, i quali lo amministrano tuttora con
le terre circostanti. Un viaggio per la Basilica-
ta senza itinerari obbligati, di qua e di là, co-
me volando, dall’alto di una veloce sintesi
prendiamo tutte le parti, fermandoci dove una
migliore attrattiva ci prende, quasi sentiamo
più voci raccolte, più richiami, echi e forze
magiche ci avvolgono. Di tutta la regione una
visione d’insieme, come fosse una figura a-
nimata, una persona che si muove e viene da-
vanti. La Basilicata è una regione particolare,
aspra, accidentata, con luoghi ridenti che
paiono essere veri miracoli della Natura che
escono da masse aride, desolate, come fosse-
ro voci dell’animo compresso che arrivano da
lontananze perdute nelle ere remote di una
storia travagliata. Miserie, fatiche, vita di
stenti di una regione che non si è mai fermata
nelle lotte sostenute con estenuazioni indo-
mabili. La sua configurazione che sempre va-
ria esprime, come di una persona una identità
che sa di continua attesa, di sopportazioni: la
presenza di terre arse, assolate, calanchi, fiu-
mare, rocce che escono da profondità, tutto in
distese che si aprono con aspetti caratterizzati
con intensità, in una immobilità che è tempo
lontano, silenzio denso di impenetrabili,
sfuggenti spirituali esistenze. Incontriamo il
magnifico Vulture, montagna il cui centro è
costituito da una vasta conca, un tempo crate-
re eruttivo. Oggi si presenta uno spettacolo
diverso, uno scenario incantevole di verde,
mille specie di piante che formano una foltis-
sima fascia boschiva. Ai piedi delle selve si
vedono splendere, in mezzo alla conca due
laghi, uno piccolo e uno grande, separati da
una sottile striscia di terra anch’essa verdeg-
giante di prati e di alberi. Sono i Laghi di
Monticchio. Per i riferimenti alla letteratura
classica importante Venosa, che si gloria di
aver dato i natali al sommo poeta Quinto O-
razio Flacco. Fondata, secondo la leggenda,
dall’eroe greco Diomede. Vi si rifugiò il con-
sole Terenzio Varrone dopo la disfatta di
Canne, raccogliendo un nuovo esercito di
quattro mila uomini. Intorno a Venosa sorge
l’Abbazia della Trinità, un delle opere più so-
lenni per bellezza di forme e di stile della Ba-
silicata, fondata 900 anni or sono dai monaci
benedettini, costituita da un palazzo abbaziale
e da due chiese, una di seguito all’altra per
una lunghezza di 125 metri. I paesi della Ba-
silicata in terre pietrose, alluvionali, fra pae-
saggi di una presenza particolare, fra monta-
gne che mostrano la loro ossatura scarnita
dalle frane e dalle erosioni. Sono rifugiati sul-
le alture, si affacciano dall’orlo di paurosi
burroni. Le case sgretolate dai venti sono tut-
te raccolte attorno a qualche castello in rovi-
na. Pare che i muri incrostati all’intemperie,
segnati da occhiaie nere, finestre, imboccatu-
re di grotte soffrano l’arsura. Sul Tirreno ci
appare Maratea, la Dea del mare, uno spetta-
colo meraviglioso che si apre verso il sole. La
Natura e la storia hanno riunito tutte le loro
espressioni. Ci sono le alte rocce incombenti
sul mare, le isole, i promontori, le ginestre,
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 15
alberi contorti che paiono braccia aperte al
cielo, tutta una magia intorno.
Grumento nova, paese sorto sopra un colle
con le rovine di un grande castello, costruito
nel medioevo dopo la distruzione di Grumen-
tum da parte dei Saraceni mille anni or sono,
celebre per due battaglie vinte dai Romani
contro i Cartaginesi. Nella seconda di queste
battaglie avvenuta nel 207 a. C. Annibale fu
sconfitto. Un’altra perla dell’aspra Natura,
dall’aspetto arcaico nell’eternità del Creato,
Pietrapertesa, poco distante dal fiume Basen-
to, è il comune più elevato della Basilicata,
mt 1080. Sorge in posizione assai pittoresca,
in un fantastico scenario di vette arenarie, det-
te “Dolomiti Lucane”. Le creste seghettate
nell’aria inalberate simili a presenze di ani-
mali preistorici pietrificati. Andiamo a visita-
re Matera. E’ una delle città più caratteristi-
che d’Italia, è costituita da una parte moder-
na, estesa sul ciglio di una rupe e da una parte
antica spettacolare, detta “I Sassi”, che de-
grada con un intrigato labirinto di case scava-
te per metà nella roccia. Dal 1663 al 1805 fu
capoluogo della Basilicata. Dalla scissione
della provincia di Potenza diviene nel 1927
unità amministrativa. Il Duomo, magnifico
tempio, costruito in stile romanico-pugliese
nel sec. XIII. Esso ci presenta una facciata
coronata da archetti, sovrastante un artistico
portale. Abbiamo il Liceo classico dalla lim-
pida e armonica facciata seicentesca, intitola-
to all’insigne materano Emanuele Duni, giu-
rista e filosofo, vi insegnò Giovanni Pascoli
nei primi anni della sua attività professionale
tra il 1882 ed il 1884. Il museo Ridola costi-
tuito nel 1910, uno dei più importanti dell’ I-
talia meridionale. Nelle sale numerosissimi
esemplari di arnesi di ossi, di silice, di asce
risalenti al paleolitico. Oggetti dell’età del
bronzo e resti di necropoli. Andiamo verso il
mare Jonio, Nuova Siri, ricorda la colonia
greca di Siris, fondata nel VII sec. a. C. alla
foce del Sinni da alcuni Troiani sfuggiti alla
distruzione della loro città. Santa Maria d’
Anglona, cattedrale della scomparsa città di
Anglona che sorgeva poco distante da Tursi,
distrutta nel 410 dai Goti. La chiesa è del XIII
sec. e conserva interessanti affreschi, alcuni
dei quali bizantini. All’epoca del Greci si
chiamava “Pandosia”. Questo nome significa
“donatrice di ogni bene”, si riferiva alla ferti-
lità del suolo. In Basilicata la natura ha am-
bienti che non hanno subito alterazioni. Os-
serviamo il massiccio del Pollino, offre una
veduta di incomparabile potenza. E’ una delle
zone ancora selvagge, ricca di valori botanici
e zoologici e di elevato valore estetico. Vec-
chia regione la Basilicata, la sua storia la por-
ta scritta nei rilievi del suolo, nel paesaggio,
nelle costruzioni dell’uomo, nei segni del suo
lavoro e del suo ingegno. In Basilicata ci sono
i mari e i monti. Ci sono le colline d’argilla, i
fiumi con i pigri meandri e le ampie valli,
grandi aree verdi, faggete sterminate e campi
di grano.
La Basilicata è una terra di grande fascino
che crea valide attrattive turistiche.
Leonardo Selvaggi
LA BAMBOLINA PERUVIANA
C’è una bambolina
in costume peruviano
sul comodino accanto al mio letto.
E’ un po’ in un angoletto,
quasi stretta
fra la lampada e l’immagine
della Madonna.
La bamboletta
è silenziosa e riservata
come la persona
che me l’ha donata,
e come lei a volte
ha l’espressione un po’ triste.
Forse pensa
di essere stata dimenticata.
Ma ogni mattina ed ogni sera
e sempre quando passo accanto al letto
io la guardo
e le invio
in silenzio il mio affetto.
Mariagina Bonciani Milano
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 16
“LA TAGLIOLA” UN ALTRO TESTO
PER IL TEATRO DI
ANTONIO ANGELONE di Luigi De Rosa
NTONIO Angelone, commediografo
dialettale di Isernia, direttore della ri-
vista Sentieri Molisani, non finisce di
stupirmi. Ancora una volta mi giunge per po-
sta, quassù a Rapallo sul mar Ligure, un suo
lavoro per le scene, intitolato La tagliola. Sis-
signore, proprio una tagliola, quello strumen-
to crudele usato da contadini per catturare a-
nimali “ladruncoli”. In questo caso, adoperato
da Michele Cannavaro, protagonista della
commedia, un contadino del Molise della me-
tà del Novecento. Uno di quei contadini co-
stretti a una vita faticosa e pesante per ricava-
re dalla terra, con enormi sacrifici, quanto ne-
cessario al sostentamento della famiglia. E
quindi, ancor più arrabbiati e tenaci difensori
della propria roba dalle insidie di mariuoli e
perdigiorno. Un campo di fave di Michele
(oltre a salame e vino) è il bersaglio preferito
di una “banda” di giovani del luogo che tenta,
con “banchetti serali” con le vettovaglie ru-
bacchiate, di scacciare la noia e la frustrazio-
ne della vita di campagna.
Michele nasconde una tagliola per volpi per
punire i “malandrini”. Ma mal gliene inco-
glie. Prima si ferisce con lo strumento egli
stesso, ad un piede. La notizia si diffonde in
paese, e incomincia a montare lo “scandalo”
ai danni di quel cuccelone (testardo, dalla
coccia dura). Insorge la moglie, Adelina, che
chiaramente non sopporta più da molto tempo
l'autoritarismo cieco e le stramberie dissenna-
te del marito. La donna è convinta che il ma-
rito abbia messo la tagliola non per acchiap-
pare volpi ma per punire e mettere alla berli-
na l'autore ( gli autori) dei furti a suo danno.
Questa è la goccia che fa traboccare il vaso,
dopo tanti maltrattamenti e ingiurie da parte
di Michele a suon di parolacce ed altri com-
portamenti offensivi. Il “ dramma” giunge al
diapason quando Pietro, il giovane “capoban-
da” ladruncolo, infila la mano destra in un ce-
sto di forme di formaggio, per andare a far bi-
sboccia con i compagni. La tagliola, nascosta
nel cesto, scatta malignamente e gli frattura
tre dita, indice, medio e anulare.
La faccenda si complica, perché il giovane
Pietro, da tempo, amoreggia di nascosto (a
nnascuso) con Filomena, una delle figlie di
Michele. E allora Adelina, che di nascosto
favoriva questo corteggiamento per far “si-
stemare” la figlia con un sacrosanto matrimo-
nio, perde le staffe e se ne va di casa, medi-
tando addirittura di andare a rifarsi una vita
alla Mèreca. Ma le insistenze di figlie e pa-
renti, oltre alle implorazioni di perdòno da
parte del marito, platealmente inginocchiato
ai suoi piedi, la fanno desistere, e ritornare al
tetto coniugale. Il finale della commedia è
decisamente lieto, anche perché, come ci
spiega l'Autore nel commento in italiano che
precede il Terzo ed ultimo Atto, “ la battaglia
si conclude, dopo continui battibecchi, con la
vittoria delle figlie e della moglie. Cannava-
ro, costretto a mantenere fede alle promesse
fatte, non solo accetta ogni rimprovero dai
familiari, ma accondiscende anche alle loro
decisioni. La prima e più fortunata è Filome-
na, che dopo tante lotte, riesce, finalmente, a
realizzare il suo ideale, accarezzato da diver-
si anni. Il matrimonio con Pietro viene accet-
tato anche da Cannavaro, grazie all'inaspet-
tata fortuna dello “Scimbanzé” (il padre di
Pietro) che, a causa della morte della sorella,
residente in America da oltre sessant'anni,
eredita una forte somma di denari ed un pa-
noramico ristorante-albergo nel centro del
New Jersey. Con il matrimonio tra Filomena
e Pietro, realizzato grazie all'inaspettata for-
tuna della famiglia dello Scimbanzé, si stabi-
liscono anche ottimi rapporti tra le due fami-
glie.”
Potenza del dio Denaro, specialmente in
una società contadina di quei tempi, quando
nelle tasche dei lavoratori della terra, di dena-
ro, ce n'era piuttosto poco.
Alcune considerazioni utili mi vengono
A
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 17
suggerite, sia da questa ultima commedia che
da altri testi di Angelone per il teatro.
Innanzitutto concordo con la prof.ssa Rosa
Troiano, docente all'Università di Salerno,
che nella sua approfondita Prefazione al vo-
lumetto contenente “La tagliola” rileva, tra i
vari pregi di questa commedia, il fatto che il
tema familiare “ ...questa volta venga assun-
to non per rievocare usi e atteggiamenti di
una civiltà ormai trascorsa, o per operare
nostalgici confronti tra presente e passato,
bensì per trattare della famiglia come feno-
meno che cambia, come un prodotto culturale
aperto ai mutamenti, osservato in una deter-
minata fase della storia sociale italiana. Sce-
gliendo gli anni Cinquanta come tempo della
vicenda, e muovendo da situazioni concrete e
verosimili, Angelone ha voluto dare in questa
commedia un'immagine, sia pure ridotta e da
lontano, del cambiamento della qualità inter-
na della famiglia contadina, degli interessi e
degli affetti che la rendono unita o conflittua-
le...”
Ripenso alle quattordici commedie dialettali
angeloniane di cui mi sono occupato nel 2008
nel libro La vita e l'opera dell'artista e scrit-
tore Antonio Angelone (Ediz. Accademia), e
cioè Il matrimonio, La sperimentazione dei
maestri, Il dramma d'amore di Nicola e Lore-
ta, La ruota della fortuna, Ciccotè, il maiale
di Tata Giovanni, Re vuasce sotta 'lle sctell,
La vecchia che ne vvuleva murì, Tra véglié
ssuonn, La banda Centrillo, La vellégna, Da
re semiénd alla tréscha, Felmena la lengac-
ciuta, Recchezza e ppuvertà. Anche se non
posso che confermare l'acuto giudizio di Rosa
Troiano, non posso sfuggire, comunque, alla
necessità di ricordare anche molti altri temi
trattati e rappresentati artisticamente nell'inte-
ra produzione drammaturgica di Angelone.
Ad esempio, quello dell'emigrazione per
sfuggire allo sfruttamento e alla miseria, o
comunque per rifarsi una vita degna di questo
nome; la sostanziale sanità morale e freschez-
za d'animo dei giovani della classe contadi-
na; la saggezza e il romanticismo concreto di
tante donne, giovani e meno giovani, sulle
cui spalle gravano i pesi della gestione fami-
liare delle risorse materiali e dei sentimenti d'
amore; il rispetto sostanziale per i vecchi, l'
attaccamento alla bellezza del proprio paese
e delle sue tradizioni, nonostante i gravi sa-
crifici imposti dalle difficili condizioni eco-
nomiche. Ma nella produzione letteraria e ar-
tistica di Angelone sono presenti molti altri
temi importanti, la cui trattazione richiede-
rebbe molto spazio. Il fatto è che dobbiamo
sempre tenere presente, nel parlare di Ange-
lone, che egli non è solo uno scrittore di
commedie, ma contemporaneamente è anche
un pittore, uno storico locale, un poeta entu-
siasta della bellezza della natura e della bontà
d'animo, un docente educatore di generazioni
di bambini, un filosofo a modo suo, un cre-
dente non bigotto, un realista che si rende
perfettamente conto che quella vita tradizio-
nale (per certi versi rimpianta e vagheggiata)
è stata definitivamente superata dall'evolu-
zione della tecnologia e del costume in ogni
campo (non sempre in meglio), dalla trasfor-
mazione del mondo del lavoro, sia dal punto
di vista tecnico che da quello giuridico, dalla
rivoluzione del Diritto di Famiglia e dei co-
stumi sessuali. Ci sono due filosofie contrap-
poste su tutti questi temi, con sostenitori dei
valori del passato o del presente, ma ciò non
toglie che non si possa affrontare il giorno
dopo giorno con la testa e il cuore rivolti all'
indietro. Non basta che conservare i valori
positivi della vecchia organizzazione di vita,
e poi andare decisamente avanti. Fin dove il
destino umano lo consente.
Anche la vita pubblica, la politica, cambia-
no. Secondo alcuni, in modo sempre peggio-
re. Ma anche qui: guardare avanti e fare di
tutto per migliorare la situazione, non restar-
sene egoisticamente nel proprio guscio a ve-
dere che cosa succede.
Il mondo cambia in continuazione, il Tem-
po fugge senza sosta. Anche il presente sta
per diventare passato. Non facciamo in tempo
a sottoporre il mondo umano al nostro “rie-
same”, sotto la nostra lente personale, che già
questo mondo ci è cambiato sotto gli occhi, in
modo sempre più accelerato e incalzante. E
questa trasformazione è non solo registrata,
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 18
ma anche favorita (o deteriorata) dai mezzi di
comunicazione di massa (radio, televisioni
pubbliche e private, giornali, altri mezzi sem-
pre più sofisticati...).
Eppure, i problemi fondamentali dell'Uomo
(Felicità-Infelicità, Vita-Morte e mistero dell'
Oltremorte) rimangono sempre gli stessi. Per
tutti.
Luigi De Rosa Antonio Angelone – La tagliola – Edizioni Acca-
demia “Lucia Mazzocco” - Isernia 2013
LE FIABE,
TRA DIVANO E POLTRONA
a Riccardo Carnevalini Milano
Tra divano e poltrona,
per ore a giocar con i peluches:
il cane giallo e blu,
Topolino che ride,
la scimmietta e Mister Coccodrillo,
Peppa Ping. E noi
ad inventare storie sempre nuove.
“Nonno, vuoi che ti aiuti?”
C’era una volta un bimbo
“che si chiamava Fiorellino”
e c’era un cane piccolo
“che si chiamava Birichino”...
Ci porta in piazza la storia,
al gioco con la palla;
al Giardino di Padre Pio
con lo scivolo, il dondolo,
il cavallino rosso;
ai verdi fazzoletti comunali
della scuola Don Bosco,
con la signora Lilly e la Ale,
i tubi verdi e gialli,
il camion degli attrezzi,
gli irrigatori a spruzzo: zip! zip! zip!
“Nonno, corriamo che ci bagna!”
Le varianti son tante,
c’è pure la raccolta dei pinoli.
Ghiotto di melograni è Topolino,
ma il gatto bianco l’insidia.
Tu canti Topolino Topoletto,
la mamma che lo prende con la scopa.
Ci trasferiamo in Africa,
tra le calde e profonde acque del Congo.
Corpi in groviglio e spruzzi.
Smemorati, fino al morir del giorno
giocano Mister e gli altri coccodrilli.
E’ buia ora la strada del ritorno.
“Ha paura il nostro amico, Nonno?”
Benedette lucciole,
che il cielo illuminate come giorno!
Tra colline e pianure
bananeti verdeggiano
e la scimmia s’ingozza
in un estenuante saliscendi
dall’una all’altra pianta.
“E quanti uccelli, Nonno, e che colori!”
Peppa salta nelle pozzanghere
con la sorella e il fratellino George.
Le galline e il gallo a spasso vanno
in cerca di lombrichi.
Ma, nella notte, giunge la faina...
Il tuo viso è di gelo.
Mi guardi inorridito
se la fiaba si scontra con il vero.
Domenico Defelice
IMMENSITÀ
Blu del mare,
blu del mare immenso…
Blu del mare che rifletti il cielo
e cielo blu che il mare già contieni
guardate il volto mio
e se sinceri siete, come credo,
fate che la mia mente sia stellata,
vibrante e illuminata come voi.
Il buio non si addice
a menti come quella
che ora, qui, si accinge a consultarvi.
E fuori il freddo intacca la mia vita,
minaccia ciò che vivo è ancora in me.
Noemi Lusi Roma
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 19
Il 27 dicembre 1970,
Domenico Defelice scrive
al Prof. Francesco Pedrina PASSIONE PER LE LETTERE
E UN BRANDELLO
DI VERA AMICIZIA di Ilia Pedrina
A carta è intestata con timbro blu in
alto a sinistra, un foglio scritto a ma-
no, fronte e retro, con grafia chiara e
creativa. Riporto per intero questo documen-
to, importantissimo, testimonianza di aperta
passione per le Italiche Lettere, di profondo
rispetto per lo studioso e letterato Francesco
Pedrina, di solerte sollecitudine per difendere
gli aspetti più sinceri di una Amicizia in dia-
logo, oltre che per segnalare, sottolineandolo
con prove alla mano, il malcostume interno
agli ambienti letterari della Capitale, ma non
solo.
DOMENICO DEFELICE
via Fratelli Bandiera 6
00040 POMEZIA (Roma)
Pomezia, 27/12/70
Ill.mo Prof. Pedrina,
approfitto di questi giorni di festa per rispon-
dere a molti amici che mi hanno scritto nei
mesi scorsi.
Mi auguro che Lei si sia fatto visitare da un
buon oculista e che la sua vista adesso sia ot-
tima. Comunque penso che Lei non debba af-
faticarsi eccessivamente, gli occhi sono orga-
ni delicatissimi e basta poco per compromet-
terli.
Non so perché Trevisini porti avanti la stam-
pa del Suo commento ai Promessi Sposi (sot-
tolineato) con tanta indolenza; perché magari
poi l'affronterà in un periodo non certo pro-
pizio per una immediata adozione nelle scuo-
le; perché non brucia le tappe per mettere sul
mercato un libro che, ne son certo, gli frutte-
rà parecchio: francamente un simile editore
non lo capisco! Cosa mai avrà di più impor-
tante per le mani? (fine della prima facciata)
La Sua Vela d'Argento (sottolineato) mi riem-
pie di curiosità e acutizza il mio interesse,
perché immagino, almeno da quel che Lei mi
accenna, sia il Suo capolavoro. E sono d'ac-
cordo con Lei che se l'avesse scritto Montale
o Bo, con le trombe e i tamburi che costoro
sono soliti far suonare per le loro cose, il li-
bro “farebbe un chiasso grande”.
A proposito di Bo, Le voglio raccontare un
fatto (ma forse Lei già lo conosce: nei locali
romani dell'Unione Italiana per il Progresso
della Cultura, in Piazza Morgana, si è svolto
un dibattito, il 15 o il 16 corrente (non ricor-
do con precisione), su “I potenti della lettera-
tura”, titolo di un libretto (che non ho letto)
edito da Rusconi e che si compone, a quanto
ho potuto capire, di quattro saggi firmati da
Rodolfo Quadrelli, Quirino Principe, Sergio
Quinzio e Armando Plebe. I relatori erano
per l'occasione Marcello Camillucci, Gino
De Sanctis e Quirino Principe. Il dibattito è
stato interessante, perché metteva sotto accu-
sa i critici letterari che lavorano a pagamen-
to per case editrici e giornali detentori del
potere dell'industria della cultura. Le accuse
contro costoro, contenute nel libro, secondo i
relatori, sono pesanti: Quirino Principe ha
insistito sulla scarsa attendibilità di Carlo Bo
il quale, se avesse dovuto leggere tutti i libri
L
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 20
di cui scrive, avrebbe dovuto vivere milioni
di anni luce! (sottolineato da 'scarsa' fino alla
fine del periodo, in prima facciata) Ed io ne
sono convintissimo. Un aff.so e cordiale salu-
to anche per i Suoi. Auguri per il prossimo
anno. Suo D. Defelice.”
Saluti cordiali ed auguri
Clelia. (con diversa grafia, sempre in prima
facciata)
Passione per le Italiche Lettere. Si, perché il
Defelice si era già rivelato d'animo in canto
con una testimonianza poetica di giovinezza
'DODICI MESI CON LA RAGAZZA', che il
Pedrina aveva molto apprezzato. C'era già
stato anche un legame di consuetudine attiva
con gli altri Amici di 'Realismo Lirico', a gui-
da di Aldo Capasso e de 'La Procellaria', con
l'indimenticabile Francesco Fiumara, che non
vuole disperdere la ricchissima eredità spiri-
tuale e compositiva, poetica e narrativa, oltre
che etico-politica, lasciata in essere dopo la
fine della pubblicazione della creatura di Ca-
passo. Pomezia Notizie è ora la creatura della
mente, dell'intelligenza e del cuore del Defe-
lice ed ha già compiuto 40 anni. Un ricordo
grato va alla memoria di Elena Bono, scom-
parsa di recente e che ha trovato ossigeno pu-
ro tra le pagine di questa Rivista e sulla quale
mi impegno a lavorare con investigazioni i-
nedite. Il Pedrina ne sarebbe stato fiero, sin-
ceramente, perché i collaboratori di questa te-
stata dignitosa e libera, con i loro lavori, han-
no negli anni garantito alta qualità della pro-
duzione poetica, letteraria, etica e storico-
politica, tutti con alle spalle severa disciplina
del fare nella vita civile come nell'arte, nell'i-
spirazione poetica e nella critica letteraria.
Nell'Aprile del 2007 Domenico Defelice
dedica a Francesco Pedrina il numero specia-
le de 'Il Croco', la 'voce' dei quaderni letterari
di 'POMEZIA-NOTIZIE', a 111 anni dalla
nascita del suo Maestro ed Amico e a 36 anni
dalla sua morte: in quell'occasione, nella pre-
sentazione, sottolineo: “DOMENICO DE-
FELICE ha conservato con cura le Epistole
di Francesco Pedrina come cosa cara, a li-
vello affettivo, per l'Amico e Maestro, ma an-
che come dato storico-estetico, perché al loro
interno egli ha rilevato una continuità inscin-
dibile tra lo scrittore, l'uomo, l'appassionato
della vita, oltre che un importante 'spaccato'
della Storia della Letteratura del '900, intrec-
ciata di libertà, di valori forti, di coerenza.”
(op. cit. pag. 2).
È certo che questa lettera, qui riportata inte-
gralmente, si nascondeva abilmente tra le pa-
gine manoscritte di uno dei quattro volumi ri-
legati all'antica, che raccolgono il Commento
ai Promessi Sposi, in attesa che passassero al-
tri 7 anni...
Nella prima pagina del I Volume trovo
'Commento ai “Promessi Sposi” di France-
sco Pedrina
17 aprile 1966 - 27 marzo 1969'. La lettera
del Defelice era dentro al II Volume, alla pa-
gina con numerazione in matita rossa '511'
(indicazione dall'inizio del lavoro) ed in biro
blu '35' (indicazione dall'inizio del Capitolo, l'
XI, con data '29 - XI – '67'. Trascrivo in det-
taglio:
“...che è quasi un contendere al M. il suo
'cantuccio', cosa che io non mi sento di fare.
373-374 ...quella gran macchina del Duomo
(sottolineato con un tratto, in riferimento al
testo manzoniano qui in commento, n.d.r.):
nel Seicento, e anche due secoli dopo, al tem-
po del M., Milano era raccolta in una cerchia
limitata tanto che al Giusti la stessa chiesa di
Sant'Ambrogio sembrava 'fuori di mano'. Non
aveva invaso ancora il territorio intorno, né
erano sorte le grandi costruzioni d'oggi: per-
ciò a chi avanzasse, come Renzo, dalla pia-
nura, la gran mole del Duomo appariva iso-
lata e solenne, 'come sorgesse in un deserto'.
Questa immagine e lo stupore di Renzo ('e si
fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi
guai') danno rilievo alla visione, cara anche
al cuore dello scrittore milanese; - quell'otta-
va meraviglia (sottolineato, n.d.r.): da ag-
giungere alle sette degli antichi. L'espressio-
ne, per quanto riguarda il Duomo di Milano
dalle cento guglie, appare già in uno storico
del Cinquecento (cfr. P. Mongia, Historia del-
le antichità di Milano, Milano, 1562, cap.
XVI). Sono le prime impressioni di Renzo
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 21
viaggiatore, di Renzo che s'inurba: alla vi-
sione del Duomo di Milano, ...” (fine pagina,
n.d.r.).
Quattro tomi in fogli manoscritti vergati in
forma chiara, lineare, senza correzioni: se-
condo la tradizione rabbinica, si supera l'esa-
me conclusivo del percorso di studi per il
rabbinato soltanto se la grafia è la rappresen-
tazione diretta del proprio pensiero in rifles-
sione esegetica sulla Torah, pensiero chiaro e
sciolto, illuminato, che non deve presentare
dubbi o tentennamenti e dunque cancellature.
I Rabbini, lo sappiamo, sono veramente esi-
genti e questa caratteristica di Papà avrebbe
riempito tanti di loro di sincera commozione.
Si, nel 'Libro dello Zohar', il testo del Grande
Splendore, che ho iniziato lentamente a
commentare, distillandone le emozioni, due
Rabbini si incontrano e parlano tra loro e si
mettono a piangere copiosamente nell'osser-
vare l'Armonia del Creato e la Bellezza come
doni dell'Altissimo, benedetto sia il Suo No-
me! Anche Papà non si vergognava di com-
muoversi in pubblico, quando l'armonia in
poesia toccava vette estetiche di grande coin-
volgimento. Certo Friedrich Nietzsche si è
molto innervosito con gli accademici quando
non ha superato l'esame di Teologia, obbliga-
torio per entrare ad insegnare filosofia nelle
Università tedesche, risultato che gli ha de-
cretato così un futuro percorso di scrittura e di
vita di grande tensione e quasi di vero risen-
timento!
Francesco Pedrina non ha potuto rispondere
alla lettera del Defelice, perché è venuto a
mancare il 16 Gennaio 1971, io gliel'ho letta
poi ho rimosso tutto perché quella perdita, per
me, ha tracciato una ferita che vado via via da
tempo a medicare grazie a Domenico Defeli-
ce, grazie a quella fraternità profonda che ci
lega ora, nei progetti, negli intenti, nella lotta
senza quartiere all'indecente sopruso dell'ar-
roganza.
Allora torno ancora a 'Il Croco' dell'Aprile
2007 e riporto importanti sezioni dell'ultima
lettera del Pedrina, quasi un'anticipazione del-
lo spirito, in trasparenza:
“Caro Defelice, ricevo la sua lettera del 7
novembre e la ringrazio del ricordo e del
cenno alla mia virtù di scrittore, alla mia
'semplicità, straordinaria, solare chiarezza'. A
questa s'aggiunga la mia penetrazione non
comune, sulla quale non può rimanere al-
cun dubbio dopo il commento de' Promessi
Sposi, ma, ahimé! - nessuno ha il modo an-
cora di constatarlo perché la stampa s'è a-
renata alla correzione delle prime bozze.
Sono sei mesi che non ricevo nulla dall'edi-
tore Trevisini, ad altre faccende o ad altro
libro affaccendato. Il bello è che mi vien
mancando la vista e Dio sa con quale fatica
affronterò la nuova lettura del commento.
Mi aiuta, sempre entusiasta, Nerina la Ma-
remmana, ma il suo aiuto non è sufficiente.
Ci vuole il controllo mio. Di questo passo il
libro non sarà pronto neanche per la pri-
mavera del '71. Questo proprio non era nei
miei programmi..... Ho lavorato in questi
mesi a Vela d'argento e ormai il libro è
pronto per la stampa. Il difficile è trovare
un editore senza contare che una mezza
dozzina di protagoniste o sono spose novel-
le o fidanzate prossime ad essere condotte
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 22
all'altare. Ho versato su di loro gigli a piene
mani, non potranno che esser lusingate, ma,
ma, ma....insomma, vedrò. In Realismo lirico
è uscito il racconto 'Butterfly': è piaciuto
molto, ma risale al 1926. Alle vecchie vicende
s' innestano le nuove, in omaggio all'epigrafe
dantesca di Vela d'argento: 'e quivi ragionar
sempre d'amore'. Ma Vela d'argento, oltre
che all'isola delle belle, approda all'isola de-
gli eroi e de' poeti. Un libro che farebbe un
chiasso grande se l'avesse scritto Montale,
Bo, Ossobuco ecc. ecc. Cordialità alla sposa.
F. P.”
Con grande, toccante, sincera franchezza
Domenico Defelice risponde a questa lettera
del Pedrina, consiglia, approva, bacchetta, a-
pre squarci importanti sul futuro percorso cri-
tico e letterario che prenderanno gli eventi in
Italia: POMEZIA NOTIZIE nascerà infatti tre
anni dopo.
È mio impegno ora arrivare ad aprire un di-
alogo con Quirino Principe che, citato dal De-
felice, ha mantenuto come scrittore e critico
musicale una elevata competenza d'ampio re-
spiro, un rispetto profondo degli eventi storici
e dei loro risvolti, la dignità piena dell'intel-
lettuale che non si vende.
Ilia Pedrina Foto di pag. 19: Francesco Pedrina al centro del-
la foto, tra Antonio Nievo - padre dello scrittore
Stenis Nievo - e il sindaco del comune di Collo-redo.
Pag. 21: Una lettera di Francesco Pedrina a Do-
menico Defelice
IDDIO NON CONOSCE GLI UOMINI
I
Gli uomini estasiati e abbattuti, piegati
e distesi, illuminati e chiusi,
lerci e chiari, muti e chiassosi.
Gli uomini come le palle al gioco delle bocce,
né capo né coda hanno, rotolano a caso.
Gli uomini pieni e vuoti, fermi e in alto,
purificati e infangati. Iddio è lontano da loro
e dai movimenti che li spingono. Iddio sa il limo
e la crosta della terra, la fermentazione dei germi,
ha messo le radici della vita,
i semi vivificatori di tutti gli esseri,
le piante, i vermi e le farfalle,
il mondo inorganico sterminato e gli oceani
per entro il moto delle armonie celesti.
II
Iddio creatore della luce,
dell’infinito e delle stelle,
non sa i tempi finiti dell’uomo né i ritorni
dei germogli che si aprono in primavera,
[ non sa
dove si trovano i nostri luoghi felici,
i paradisi che sfuggono alle frenetiche ansie.
Non vede i nostri ingranaggi
né come vanno i giorni,
se con senno o per strade sconnesse che ai passi
danno fatica. Gli scontri e gli attriti,
le discontinuità che sbarrano il cammino,
le tenebre e la fatale fine.
Iddio-mistero non sa gli sperdimenti dell’uomo,
non vede la vanità e le superbie,
i legami magici e le crocevie ai limiti dei baratri.
Iddio non conosce l’egocentrismo e la ferocia,
non vede l’uomo nelle ramificazioni
del grande mare degli esseri viventi
dalle forme e colori infiniti,
sopra i monti sconfinati
e nello spazio eterno del Creato.
Leonardo Selvaggi Torino
MELODIA
Una melodia misteriosa
copre la polvere del tempo.
La perseveranza nell’attesa
sparisce con determinazione.
Senza rimpianti ha ucciso
l’ultima parvenza dell’amore.
La sconvolta abitudine,
l’angoscia del presente
si disperdono,in fretta,
al suono della nuova melodia.
Anna Maria Bonomi Roma
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 23
Il Racconto
LA CACCIA di Anna Vincitorio
UEL documentario animalista nella
sua reale crudezza l’aveva letteralmen-
te sconvolta. Nel rientrare, la sera, la
sua ovattata solitudine si era animata di ricor-
di lontanissimi che adesso rimetteva a fuoco.
La Versilia anni ’50, le lunghe ombrose pine-
te e quell’odore di innocenza che promanava
dai corpi giovani di quei bambini non ancora
ragazzi che sfrecciavano sulle biciclette
“Bianchi” dal manubrio rigido. Risate, lunghe
corse per interi pomeriggi, lei sempre in coda,
meno abile come ciclista. Ricordava che per
fare una inversione era costretta a scendere e
a girare la bici. Non importava, era in compa-
gnia. I capelli scomposti dal salmastro, l’ ab-
bronzatura ancora lieve che accentuava le
piccole efelidi sparse sul suo volto di bambi-
na e tanta voglia di essere con gli altri. Al li-
mitare della pineta si sofferma; riiniziano le
case, piccole, bianche, circondate da giardini.
Il sole nel cielo è ancora alto, gli altri sono
lontani.
L’aria è improvvisamente popolata di strida
gutturali che si susseguono con frequenza
tragica sempre più pressanti. Lei avverte un
brivido, una sensazione raccapricciante. Le
strida si avvicinano; più lontane, voci e uo-
mini in corsa. Una palla rosa si delinea e fug-
ge atterrita. E’ consapevole, nella sua pelle di
animale, di non avere scampo. A chi racco-
mandarsi per un atto di pietà o di rinuncia? La
bambina è ferma in quel tiepido pomeriggio
d’estate. Adesso le ombre dei pini da lontano
non le sono più amiche. Lunghe braccia verdi
sembrano ghermirla. Le torna alla memoria il
racconto di suo padre. Il nonno medico che
non si faceva pagare dai pazienti poveri, rien-
trando una notte col calesse, udì dei grugniti;
c’era un maialino, dono dei grati ammalati.
Fu chiamato Mattiuccio e visse nel giardino
circondato dall’amore dei bambini. Ma lei è
al sicuro. E’ vero, ma ha percepito una caccia
volta ad uccidere. Non conosce la morte ma
ne percepisce l’odore. Sparisce il piccolo cor-
po rosa roteante; sempre più forte quel grido
gutturale. Uomini sempre più in corsa. Qual-
cuno ha in mano un forcone; l’ultimo urlo,
poi il silenzio. Il sacrificio si è compiuto.
L’indomani da una tavola imbandita nel ver-
de dell’ombra, all’odore del mare si unirà il
profumo di carne croccante e saporita consu-
mata in allegria.
“Dove eri finita, Annina? Ti abbiamo aspet-
tato ma tu non arrivavi.” Non risponde, è in-
terdetta e inforca nuovamente la bicicletta; un
sandalo le sguscia via dal piede e finisce nel
pantano. D’un tratto quella vacanza è come
diventata pesante. Va verso il mare col suo
costume di lana verde e si tuffa. Lì vicino i
pescatori di arselle le sorridono. “Perché quel
faccino triste, mimmina? se vuoi ti diamo un
po’ di arselle”. “No, grazie. Ho solo voglia di
mare.” Si butta sulla sabbia tiepida, ne afferra
un pugnello, cerca conchiglie da portare al
nonno che domani compirà novant’anni e lo
aspetta una grossa torta con tante luminescen-
ti candeline. Tanti ricordi di quel Forte dei
Marmi non ancora vip e quell’odore umido di
legno di cabine e le corse e i giochi ancora
innocenti... “Che ore sono?” si chiede. Ha un
po’ freddo e, come d’abitudine, si prepara
una cena frugale. Squilla il telefono. E’ il ri-
tuale della sera. Quella voce un po’ roca la
raggiunge e assume l’indefinita dimensione
del silenzio. Parole alternate a poesie, speran-
ze, delusioni, impotenza. E’ come un guerrie-
ro all’indomani di una guerra perduta. Con-
suntivo di una vita: sbagli, rivincite, cedimen-
ti. A tratti vorrebbe ricominciare ma... Di-
scorsi interminabili inframmezzati da pause.
Ha bisogno d’aiuto ma non lo ammette. Im-
pari lotta in una posizione di stallo. Vorrebbe
lasciare quella casa, che, zeppa di ricordi, ri-
cade su di lei come un pesante coperchio.
Non è lontana la Pasqua ma per lei non ci so-
no spiragli. Si sente pellegrina nella Via Cru-
cis; recita il rosario. A sprazzi, ricordi: brac-
cia vigorose che si allontanano in un profon-
do mare; lei ha paura: tracce inquietanti di
presenze. “Ieri sera ho trovato spalancato l’
Q
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 24
armadio che io stessa avevo chiuso. Sul
guanciale di... ora vuoto, l’impronta di una te-
sta; forse il gatto? Dove hai nascosto le mie
sigarette, dammele”. Ma la casa è vuota; real-
tà e follia si alternano attraverso il filo del te-
lefono. Annina ascolta, poi parla cercando di-
speratamente di aprire all’amica uno spiraglio
in quella coltre che s’addensa e la cinge.
Consigli, qualche spronata, ma... serve? Po-
trebbe fare di più? Il telefono fa bip, bip per
più di un’ora. Tutto si conclude regolarmente
con un affettuoso quanto inutile commiato. Si
ode squillare nuovamente/ “Mamma, il tuo
telefono era sempre occupato, tieni almeno
acceso il cellulare...” Per lei voci e ancora vi-
ta. Quasi si sente in colpa per i suoi guizzi
improvvisi di allegria. Accende la TV, davan-
ti ai suoi occhi distese di mari ignoti, luci, e-
sotici profumi in cui annegare e annientarsi.
Poter scordare tutto e rivivere istanti di gioia.
“Devo ancora cenare”, mormora. Apre il fri-
gorifero; ben allineate nei vassoi frutta e ver-
dura. “Per fortuna stasera non c’è carne”.
Anna Vincitorio
50 ANNI
14 maggio 1964
14 maggio 2014
50 anni son passati
da quando la bellissima
e modernissima nave Marconi,
al suo secondo viaggio in Australia,
al porto di Melbourne arrivò,
e noi a vedere quel mondo nuovo,
di corsa scendemmo tra la gente
che sventolava fazzoletti bianchi,
sorrisi e lacrime di gioia.
Melbourne, splendente di sole,
ci accolse a braccia aperte,
con le sue larghissime strade,
i giardini verdissimi infiniti,
maestosi alberi e fiori dappertutto,
i grattacieli svettavano verso il cielo azzurro,
i negozi abbaglianti di insegne luminose
catturavano lo sguardo,
e tante sfolgoranti di luci annunciavano: "Sale!"
Ma quanto sale si vende in Australia?
Invece significava 'svendita!'
Tante altre sorprese ci riempirono
il cuore di entusiasmo e tanta gioia.
Tutto era bellissimo, tutti erano contenti,
tutti avevano un lavoro sicuro.
Ma l'indomani già
s'incominciò a soffrire di nostalgia,
si stava bene, ma ci ammalammo
del male incurabile della malinconia.
Son passati 50 anni Italia mia
e ancora il cuore piange e non guarisce!
14 - 5 - 2014
Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori
(A.L.I.A.S.), Melbourne, Australia
LA PIOGGIA BAGNA LA CAMPAGNA
Più volte mi ricordo
e più volte vi ritorno
fra i sentieri e le vie
che da fanciulla giocavo e pensavo.
Dipingevo sogni e fantasie
che ora rincorro su altra strada.
Nella loro miseria
un prato verde
ed uno stagno a ranocchi.
Pensieri alti e vuoti
corrono nella mia fantasia
e certa di un risveglio
colgo giochi d’infanzia
dove il sole caldo
colora le facciate della casa.
La piazza è vuota
e dal campanile alto
si odono le ore lente.
E giungerò alla riva del fiume
potando zavorra e paglia
e scricchiolano le scarpe sulla ghiaia
di quel cortile fiorito
mentre la pioggia bagna la campagna
e volano stormi bassi.
Alda Fortini Villonngo, BG
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 25
LA CORRUZIONE E L’ITALIA
di Raffaele Cecconi
LIVIERO Toscani a Piazza pulita -
TV 7 - sentenzia con forza a proposi-
to della classe politica italiana: “Ma
quale classe politica? Io sono un anarchico. E
il nostro è un paese corrotto di corruttori e
corruttibili”.
Anche se ciò spesso è vero non mi sento in
alcun modo di dargli ragione. Perché dopo
aver tanto visto, vissuto e giudicato, conside-
ro il mio paese anzitutto bellissimo e non solo
pieno di corruttori ma di tante persone che da
sempre s’impegnano, faticano e lavorano o-
nestamente. Le catastrofi esistono come pure
i catastrofisti. Ma non si possono assegnare al
nostro paese qualità negative che riguardano
molte altre nazioni, per non dire che esistono
in gran parte del mondo.
Essere corruttore e ladro non significa esse-
re italiano. Mentre riguarda i disonesti in
quanto uomini di qualsiasi nazionalità. Oli-
viero Toscani può generalizzare fin che vuo-
le. Però non si può far passare un’ afferma-
zione negativa come se fosse un oracolo e in-
discutibile verità.
Basta riflettere un attimo sulla storia di ogni
epoca e di ogni tempo per capire che nel cor-
so dei secoli tutti i paesi, chi più e chi meno,
non sono stati certo esempio di virtù, di mora-
lità e correttezza. Gli angeli e gli uomini puri
esistono solo nei dipinti che illustrano i mira-
coli e le gesta dei santi. Ma i vari popoli, chi
per un verso e chi per un altro, si sono sempre
macchiati di crimini, spesso orrendi, e la cor-
ruzione non è una pizza e una specialità di
marca solo italiana.
Prendiamo pure in esame paesi europei o
extraeuropei, case reali o repubbliche, paesi
democratici o meno.
E chi è senza peccato scagli la prima pietra.
A proposito di uomini, e del loro compor-
tamento, mi capita spesso di citare Gauguin il
quale insieme ad altre cose dice a un certo
punto: “A forza di vivere si finisce di sognare
una rivincita e bisogna accontentarsi del so-
gno”.
E per conto mio mi permetto di aggiungere:
“Se un vecchio sogno è insufficiente affidia-
moci a un altro nella speranza che sia miglio-
re”.
E’ per questo che ogni uomo vive.
LAVORO
Quasi tutti i politici affermano spesso:
“Stiamo lavorando”.
E ogni tanto sarà anche vero. Ma per chi li
ascolta, molto più spesso, è viva la sensazione
che stiano solo parlando tra litigi e promesse
rivolte all’elettorato.
Non possiamo certo dire sempre che “il si-
lenzio è d’oro”. Ma nemmeno la chiacchiera
e il vano cicaleccio.
RIFLESSIONI AD ALTA VOCE
Non amo i grandi comizi, le proposte furbe,
con tutte quelle cose che si riducono a solenni
proclami. E mi limito a fare, ogni tanto, quelli
che non chiamo discorsi ma solo riflessioni
ad alta voce.
Anni fa un amico, sapendo che mi ero spo-
sato non giovanissimo, commentò così: “Hai
fatto bene, meglio tardi che mai”. Ma ora da
vecchio, se penso che devo morire, faccio le
corna e dico: “Meglio mai che tardi”.
Quando dichiaro queste cose mi chiamano
umorista. Se ne dico altre più serie mi chia-
mano moralista. Se poi non dico nulla, come
ho voglia di fare spesso, allora passo per in-
differente e come un tizio che non ha voglia
di esporsi.
Questo accade perché gli uomini hanno
sempre bisogno di criticare il prossimo, quel-
lo che fa e quello che dice. A volte uno è
convinto di capire solo ciò che riesce a capire.
E a volte invece crede di aver capito anche
ciò che non ha capito.
Definizione sibillina? Può darsi.
Ma il Paese degli Equivoci è grande per lo
meno quanto è grande, per Saint-Exupèry, il
Paese delle Lacrime. E non possiamo negare
che anche il sorriso, a volte, affiora e spunta
proprio tra le lacrime.
O
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 26
Ma allora, osserverà qualcuno, cosa si può
suggerire a dei mortali umoristi o moralisti
che siano?
Direi niente di speciale. Forse solo di conti-
nuare a piangere sorridendo oppure, se prefe-
rite, di ridere piangendo.
Visto che gli uomini di ogni condizione, di
ogni età e razza non sono perfetti, è altrettan-
to vano aspettarsi un mondo soltanto perfetto.
E possiamo solo immaginare, come arguta-
mente sosteneva Chesterton, “un prato dove
l’erba è soltanto verde”.
Raffaele Cecconi
LA LOTTA DELLE CONQUISTE
I nostri vestiti sono intrecciati
di carne umana.
Le nostre case sono costruite
di ossa di combattenti.
I nostri fiori sono innaffiati
con il sangue e il sudore
di alcuni uomini conosciuti
e sconosciuti,
in tutto lo spettro
della storia dell'umanità.
Il diritto di gridare fortemente
sulle strade
per quello che voglio o non voglio,
me l'hanno dato alcune persone
pagando con il loro dolore, con il loro sangue,
con le loro lacrime, con il loro sudore,
con la loro stessa vita.
Il diritto di innamorarmi, di odiare,
di dire la mia opinione liberamente,
senza aver paura,
di divertirmi, di camminare
a testa alta,
di ridere, quando voglio e come voglio,
di sapere che la legge mi protegge,
e che io la proteggo anche,
di sapere che posso vivere veramente,
di sognare il futuro,
di leggere e di scrivere i miei pensieri.
Per tutte queste cose,
un uomo è morto in un bosco che si bruciava.
In una casa che crollava.
Su una strada un uomo è morto
dalle armi dei soldati.
Tutto quello che io, tu e ognuno gode,
è la vetta della piramide degli sforzi
di tutti gli uomini.
Non c’è e non ci sarà mai
nella nostra società
qualcosa che è stato conquistato
senza lotta e senza sacrifici.
Per ogni verità, per ogni scoperta,
un sogno muore,
un istante, un giorno, un uomo.
Continua perennemente la lotta incessante
delle conquiste
entro le nostre vite,
nei momenti di ogni giorno e di ogni notte,
mentre respiriamo un fiato di ossigeno.
Themistoklis Katsaounis Traduzione dal Greco di: Giorgia Chaidemeno-
poulou
FARFALLE SELVAGGE
Sciamano
Un omaggio
Al sole che sorge
Che filtra
Tra secolari alberi
Un carnevale di colori
Che sfiora la pelle
Pulsare d’ali
Mettono i brividi
Portano vita
Tra milioni di fiori
Assetate di nettare
Fecondano
Son baci profondi
Dati in un attimo
Non è passione
Ma puro amore
Che natura dona
Per rendere eterno
Il giardino dell’Eden.
Colombo Conti Albano Laziale, RM
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 27
I POETI E LA NATURA - 33 -
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
NEL GIARDINO DI
EMILY DICKINSON
( 1830-1886)
lberi, fiori e frutti, campi. Interpretati
da una donna-poeta, femminilizzati e
visti addirittura “in concorrenza” con
lei stessa sul piano degli indumenti da indos-
sare.
Anche questa è una delle sorprese che ci
vengono regalate dalla grande poetessa ame-
ricana Emily Dickinson. E precisamente dal-
la sua poesia n° 12, tra quelle ottimamente
scelte e tradotte da Margherita Guidacci. (E'
noto che le composizioni della Dickinson non
hanno titolo, ma sono indicate con un numero
progressivo dall'1 al 1760) :
“ Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci,
e le bacche hanno un viso più rotondo,
la rosa non è più nella città.
L'acero indossa una sciarpa più gaia,
e la campagna una gonna scarlatta.
Ed anch'io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello.”
Ma l'approccio di Emily alla splendida na-
tura che la circonda si fa meno “leggiadro”,
si approfondisce, nella poesia n° 40:
“Quando conto i semi
sparsi sottoterra
che poi fioriranno -
quando penso a tanti
che giacciono là sottoterra
e che saranno accolti in alto -
e quando credo nel giardino
che i mortali non vedono,
quando colgo i suoi fiori con la fede
e ne scanso le api,
so allora rinunziare a questa estate
senza rimpianto.”
Emily Dickinson nacque il 10 dicembre
1830 ad Amherst, cittadina del Massachus-
sets di soli tremila abitanti, da un' importante
famiglia di tradizioni puritane, in una casa
molto elegante e con un bel giardino. Villa e
giardino nei quali trascorse praticamente in
ritiro tutta l'esistenza, insieme a Lavinia, la
sorella minore. Passava il tempo scrivendo
migliaia tra lettere e poesie. Il suo epistolario
è fondamentale per la conoscenza del suo
mondo poetico. Quanto alle poesie, nel 1862
toccò il record delle 365 poesie scritte in un
anno, praticamente una al giorno.
Ad accudirla nelle cure personali e a sbri-
gare le faccende domestiche pensò sempre
Lavinia.
Forse non tutti sanno che per quindici anni
di fila Emily non uscì di casa, e che faceva fa-
tica anche ad uscire dalla propria stanza, pre-
diligendo la ricca biblioteca dell'amato e te-
muto padre, l'avvocato e politico di successo
Edward Dickinson che, pur amandola, non la
comprendeva in quella sua passione per lo
scrivere lettere e, soprattutto, poesie.
Delle sue circa duemila poesie ne pubblicò
A
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 28
solo 11 in tutta la sua vita. Non fece mai nulla
per farle pubblicare, anche per il timore di re-
azioni negative da parte dei suoi familiari.
L'unica volta che ne mandò alcune al critico
letterario di un periodico, un certo Thomas
Higginson, per averne un giudizio, restò ama-
ramente delusa perché il buon uomo, pur re-
stando colpito dai suoi versi, li dichiarò sfor-
tunatamente impubblicabili. E perché? Sem-
plicemente... perché erano stati scritti da una
donna. Il signor Higginson, come gli uomini
del suo tempo (compreso, ovviamente, il pa-
dre di Emily), e non solo quelli del Massa-
chussets, era convinto che le donne non do-
vessero mettersi a scrivere, tanto meno poe-
sie, e che in ogni caso non dovessero pubbli-
carle...
Fu allora che Emily, ferita nel suo amor
proprio, nelle fibre più profonde dell'anima, si
autorecluse in casa e in giardino, dando di sé,
a più d'uno, l'immagine di una “pazza” e di
una “isterica”, ma in realtà soffrendo molto
nel suo cuore delicatissimo e incompreso. L'
unica consolazione la trovava nella Natura,
nel giardino in particolare, che rappresentava,
ai suoi occhi, un'immagine-campionario dell'
intero mondo esterno. Il Dolore ebbe una
grande parte nella sua vita intima, nelle sue li-
riche si “respira” molto Leopardi (1798 -
1837), oltre ad una certa aria foscoliana. Non
è dato sapere se abbia letto il grande Recana-
tese. Quando Emily nacque nella lontana
America, Leopardi aveva 32 anni, e sarebbe
morto, a Napoli, soltanto sette anni dopo.
A parte quella di un'ottima conoscenza del-
la Bibbia, è comunque evidente un influsso di
Shakespeare. Il linguaggio è comunque sem-
plice ed essenziale, la punteggiatura quasi as-
sente, a parte i punti, le virgole e qualche trat-
tino...
Emily si era immedesimata a tal punto col
suo giardino da confessare (nella poesia n°
19) :
“ Un sepalo ed un petalo e una spina
in un comune mattino d'estate,
un fiasco di rugiada, un'ape o due,
una brezza,
un frullo in mezzo agli alberi -
Ed io sono una rosa!”
L'unico modo, per una tale prigioniera, per
attingere l'infinito attraverso le piccole cose
finite.
Luigi De Rosa
PALOMA
En el cielo vuela, vuela
la paloma mensajera
con el mensaje que lleva
para aquélla que la espera.
Aquella dama tan joven
de aquel castillo rosado,
la del vestido de gasas
de un color semi perlado.
La quiso abatir un hombre
con su fusil apuntando
pero la bala - por suerte -
la bala no dió en el blanco.
Y llegó la palomita
a su destino de amor,
la recibió su señora
con palpitante rubor.
Susana Soiffer Tel-Aviv, Israel
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
12/6/2014
Truccata da Primavera del Botticelli, la mi-
nistra Marianna Madia annuncia l’ennesimo
tentativo della riforma della Pubblica Am-
ministrazione. Alla dichiarazione che la mo-
bilità dovrà effettuarsi entro i 100 km., apriti
cielo! Entro i 50? Sguardi severi, occhi spi-
ritati e puntati a mitraglia. Entro i 25? Alle-
luia! Alleluia! Se dovesse ancora perdurare,
da lavoratori e sindacati, un negativo giudi-
zio, vorrà dire che, come per il passato, ob-
bligatoriamente, essa verrà attuata intorno ai
muri perimetrali dell’uffizio!
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 29
(Disegno di Serena Cavallini)
Recensioni
ANTONIO TODDE
IL VARIETÀ
Edizioni Le Mani, Recco, 2013, € 18,00
Nelle Edizioni “Le Mani” di Recco, che si sono
negli anni rese benemerite per la particolare atten-
zione riservata al mondo del cinema e del teatro, è apparso nel 2013 un grosso volume di Antonio
Todde, intitolato Il Varietà, riccamente illustrato da
vignettisti di valore, che ci offre un’ampia e com-piuta visione di questo tipo di teatro, fiorito in Italia
dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri.
Il libro, che si giova di una vasta documentazione bibliografica ed offre numerose notizie sugli autori
trattati, rivelando con ciò la serietà della ricerca
compiuta, si presenta come l’opera più completa del Varietà e certamente come indispensabile per
chiunque voglia approfondire la storia del suo na-
scere e del suo svilupparsi. Ad apertura di libro se ne indagano le origini, che
si fanno risalire al Café chantant parigino, al tempo
della Belle époque. Emergono qui subito alcuni nomi, come quelli di Lina Cavalieri e di Anna Fon-
gez; dell’imitatore Nicola Maldacea e del trasfor-
mista Leopoldo Fregoli. Molto fertile di talenti in questo settore fu Napoli, dove nacquero numerosi
uomini di avanspettacolo, quali Raffaele Viviani e
Angelo Musco; Gennaro Pasquarillo e Armando Gill.
L’analisi di Todde prosegue serrata, con due capi-
toli su Edoardo Ferravilla e su Turlupineide, Rivista
di Renato Simoni, per poi soffermarsi specialmente
su Ettore Petrolini, romano di origine toscana
(1884), autore di versi comici e di farse. Celebri so-no rimaste le sue macchiette, caricature e parodie,
come quelle di Cyrano di Bergerac, della Traviata e
di Gastone. Ebbe molto successo e persino dei pub-blici riconoscimenti, come quello di Ufficiale dell’
Ordine della Corona d’Italia (1923).
Attore comico di successo fu anche il genovese Gilberto Govi (1885), famoso per alcuni personaggi
fortemente caratterizzati, come quelli del protago-
nista de I manezzi pe’ majâ ‘na figgia; di Annibale Bacigalupo, in Impresa Trasporti Ultima Dimora e
di Pietro Burlando ne Il porto di casa mia.
Al Varietà, all’Avanspettacolo e alla Rivista Tod-de dedica tre Capitoli, nei quali esamina le origini e
gli sviluppi di queste forme teatrali, per soffermarsi
poi specialmente su attori di grande talento, come Totò (al Secolo Antonio De Curtis; Napoli, 1898).
“La sua comicità sottende una tristezza esistenzia-
le” dice Todde, e con ciò va veramente alle radici dell’arte di questo grande attore.
Famosissimo di lui è il personaggio di Felice Sciosciammocca, in Miseria e nobiltà; ma innume-
revoli sono le sue macchiette dalle battute fulmi-
nanti. Moltissimi i suoi film, l’ultimo dei quali, Uc-cellacci e uccellini, ebbe come regista Pier Paolo
Pasolini.
Seguono i Capitoli dedicati a Erminio Macario (Torino, 1902), famoso per la sua comicità un po’
surreale e sfumata, e per le sue “donnine”; e a
Wanda Osiris (Roma, 1905), dalla prorompente personalità e dalle lunghissime scale. Vengono suc-
cessivamente presentati Aldo Fabrizi (Roma,
1905), “dalla personalità debordante e dalla strari-pante fisicità” e Nino Taranto (Napoli, 1907), ami-
co di Totò, col quale recitò più volte, interpretando
anche alcuni film. Seguono il sanremese Carlo Dapporto (1911), “re
della barzelletta”, e il torinese Renato Rascel
(1912), noto per le sue “canzoni comiche” e per i
suoi strampalati monologhi; Alberto Sordi (Roma,
1920), attore di talento in molti spettacoli e film del
Secondo Dopoguerra, lavorò anche per la RAI, con il programma Vi parla Alberto Sordi. Accanto a lui
vanno ricordati Nino Manfredi e Gigi Proietti;
Franca Valeri, con la sua “Signorina Snob” e Dario Fo, vincitore del Nobel Per la Letteratura nel 1997.
Più vicini a noi, dopo Ugo Tognazzi e Raimondo
Vianello, troviamo Walter Chiari (Verona, 1924), dal “temperamento esuberante, entusiastico, giova-
nilistico”: famosa è la sua macchietta del Sarchia-
pone. “Attore comico dotato di simpatia e sorriso con-
tagiosi” fu il milanese Gino Bramieri (1928), molto
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abile nel raccontare barzellette, cui fecero seguito il
napoletano Alighiero Noschese (1932); il catanese
Rosario Fiorello (1960); il foggiano Renzo Arbore (1937); il genovese Paolo Villaggio (1932) e nume-
rosissimi altri, specie attori di Cabaret, come Ar-
noldo Foà, Maurizio Costanzo e Giorgio Gaber. Il volume si chiude con quattro capitoli, rispetti-
vamente dedicati a Paolo Villaggio, Roby Carletta,
al gruppo cabarettistico Cavalli Marci e a Luigi Maio, oltre che con una Nota sull’autore, triestino
di nascita, genovese di adozione, di padre cagliari-
tano, di madre napoletana e studente a Cuneo; spo-sato con due figli e proprietario di diecimila libri e
cinquemila dischi.
Un libo di grande interesse, che getta luce su un vasto settore dell’attività teatrale svolta in oltre un
secolo nel nostro Paese.
Elio Andriuoli
GIANNI RESCIGNO
UN SOGNO CHE SOSTA
Genesi Editrice, Torino, 2014
Già sulla soglia del libro il poeta ferma per un at-
timo il lettore con un ammicco che è nel titolo sotto forma di allitterazione/paronomasia: Un sogno che
sosta. Appena il tempo di chiedersi ragione di que-
sto titolo e la risposta è lì, in quarta di copertina, dove è riportata la prima poesia del libro. Eponima.
Eccola, nella sua bella intensità epigrammatica: Da
dove venimmo /là torneremo: questa / vita un so-gno che sosta / tra acqua e vento / caduta di foglie /
e festa di fiori. (“Un sogno che sosta”). Dunque l’
espressione un sogno che sosta definisce la vita, la nostra breve -ce lo suggerisce il verbo – dimora in
questa dimensione, tra segni di bella ambiguità se-
mantica (acqua e vento possono avere valore posi-tivo o negativo) , mentre invece sono collocati su
poli opposti, ma invertiti (anche se contigui), gli
estremi - o, se si vuole, i dati salienti- della vita
(“caduta di foglie” e “festa di fiori”). La vita, un
sogno: per la brevità, per la vaghezza, per le spe-
ranze che la connotano. Leggo Rescigno e penso a Saba. Hanno in comu-
ne un aspetto di scrittura che è l’adozione di quelle
che G. Debenedetti chiama “parole senza storia”, lessico quotidiano per celebrare la quotidianità, che
è il mondo a cui si ispira l’arte del Nostro, sui ver-
santi della memoria, degli affetti e della natura. Ma attenzione! Le “parole senza storia” del linguaggio
giornaliero sono qui liberate dalle incrostazioni e
dall’ovvietà dell’uso comune e ricollocate nel ruolo primigenio di significanti essenziali, solidi, reali.
Restituite alla loro purezza. Perché Rescigno ha
scelto di recuperare il senso più vivo e vero della
vita attraverso parole vive e vere. E qui sta l’ ecce-
zionalità dell’impresa. Nessuno creda però che questa ricerca di verità e
di semplicità implichi nel poeta di Santa Maria di
Castellabate la totale rinuncia del linguaggio figura-to, del quale solo uno sprovveduto potrebbe osteg-
giare in toto e a priori l’impiego: cosa che, invece,
oggi purtroppo accade. Prendiamo ad esempio il caso della metafora, colpevolizzata e condannata
fuor di misura solo perché nel corso dei secoli ne è
stato fatto uso e abuso. Più logico mi pare che, in-vece della metafora,occorra mettere alla gogna i
poetastri che se ne sono serviti senza discernimento
e ritegno, giacché essa è solo uno degli strumenti a disposizione del poietès che canta in versi la vita. E
va usata, come qualsiasi segmento dell’universo
della retorica, non a titolo gratuito o come orpello più o meno allettante, ma per pura necessità creati-
va, quando cioè essa serve per incarnare appieno il
fantasma poetico. Proprio come accade in Resci-gno, poeta che sa bene il senso della misura e la
bellezza dell’armonia, se scrive versi come questi: ....vanno gli anziani a concedersi / lunghi respiri di
mare / prima del ritiro del sole (“Prima del ritiro
del sole”); oppure: ... il vento salirà le scale / e ti sembrerà che è il mio passo / ad avvicinarsi al tuo
cuore (“Se il vento salirà le scale”); o anche:
T’ascoltavo dondolando il cuore / al ramo d’un ci-liegio già ingiallito / sicuro di portarlo in volo / al
paese della stella più lontana (“L’ora della luna”);
o infine: E sui rami più sottili / delle sere, divina e perpetua / canta la speranza e chiama l’uomo (“
Ascoltate i poeti”). Si potrebbe attingere a piene
mani acqua di poesia da questa ricchissima fonte placando la sete di grazia e di verità: qui ogni lacer-
to poetico è perfuso di saggezza e venustà, di ricor-
do e di passione, sfociando talvolta in confessione di umana stanchezza (Sei soltanto un’anima stan-
ca,/ un mucchio di ore inutili / da consegnare a
qualcuno /che ti aspetta dietro il cristallo / e che ti
dirà ben tornato amico. / E tu gli poserai il capo
sulla spalla / senza piangere. “ Davanti allo spec-
chio”), talaltra in fulminante intuizione (Quale inaf-ferrabile fiore / vola la parola. “Il fiore la parola”),
con forte effetto di rima interna; oppure in acuta ma
rassegnata commozione , come nella lirica “Assun-ta”, persona di grande religiosità e di dolci parole
nei confronti di tutti, che, colpita da un ictus, aven-
do visto per tre mesi la morte là nella strada a un passo da casa -perché non aveva il coraggio per
entrare- e non potendo più parlare, la invita con un
cenno della mano. L’ultimo verso, un endecasillabo di rara bellezza (E le fu luce negli occhi la voce)
esprime, a livello fonosimbolico, una dolcezza li-
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brata sulle liquide, non interrotta ma impreziosita
dai suoni palatali di “luce” e “voce”.
Se c’è dolore nella poesia di Rescigno (e come potrebbe mancare nella vita di un uomo?) si legge,
al più, in note di tristezza, a tal punto esso è compo-
sto e rattenuto. E ciò perché la voce poetante è in totale saggio accordo con la vita, la cui concezione
mi pare sia ispirata a tre capisaldi della dottrina cri-
stiana: fede, speranza, carità; e stimo che il loro si-gnificato vada ben oltre l’ambito puramente spiri-
tuale, trovando linfa e nutrimento in un’ampia e
sofferta umanità. La poesia di Rescigno è “necessaria” per un du-
plice aspetto: perché è un’esigenza ineluttabile del-
lo spirito del suo autore; e perché nel manifestarsi si serve del tratto di penna davvero indispensabile a
significare il lampo creativo, nulla di più. Poesia ra-
stremata, dunque, votata all’essenzialità espressiva ma, prima ancora, impulso intenso che prorompe
dall’interiorità e reclama spazio vitale. Tutto que-
sto in versi soffusi di dolcezza e di amore, di realtà e di memorie e, infine, del fascino avvolgente della
poesia di un uomo innamorato della vita.
Pasquale Balestriere
ENRICA GNEMMI
REQUIEM
a cura di Paolo Zoboli Interlinea, Novara 2014 - Pagg. 106, € 12,00
Enrica Gnemmi (1922 - 2004) è nota per il ro-manzo Il muro di Berlino uscito nel 1962, e ripub-
blicato postumo nel 2011 insieme ad un avvio di
continuazione in due capitoli, e per il corposo testo narrativo Capriccio. Le avventure di Pfinpfin e Sa-
tulit venusiani del 1987. Una parte cospicua di que-
sto libro ha il titolo Variazioni, tre inserti prodotti in tempi diversi che qui, letti ad alta voce da Pfinpfin
richiamano nella funzione musicale della variazione
il tema già trattato dall’autrice nel Muro di Berlino,
quello del Potere e della Tirannide. Le tre partiture
sono collegate tra loro, ma la terza, vale a dire Re-
quiem, è più ampia delle altre ed ha inoltre, rispetto ad esse, una sua autonomia che ha consentito al no-
tevole curatore Paolo Zoboli di presentarla come
un’operetta a sé stante. Prima di iniziare la mia ana-lisi sottolineo il fatto che non deve stupire il lettore
il ricorso alla terminologia musicale da parte di una
letterata: Enrica infatti era anche diplomata in pia-noforte e svolgeva un ruolo di maestra di canto. E
forse con i lemmi, variazione capriccio, non avreb-
be potuto, sia pure inconsciamente, richiamare la nostra attenzione sull’armonia e il ritmo della sua
poesia, su una personale resa espressiva dove anche
la prosa richiama il verso? “Sciabolate di fuoco,
perché nessuno dimentichi” (pg. 57)...; “dall’ albero
si snoda flessuosa la tentazione” (pg. 63)...; “Esce il capro dal recinto; ghirlanda di rose” (pg. 83) ecc.
Ma andiamo per ordine, come annota il curatore il
primo elemento di Requiem da mettere in rilievo è la struttura religiosa per cui il significato dei rac-
conti, apologhi, poesie organati nell’inserto è anti-
cipato e chiarito dai titoli che sono stati estratti dal rituale della messa cattolica della Messa funebre:
Introibo, Kyrie, Dies irae, Benedictus, Osanna ecc.
La morte di conseguenza è una presenza dominante nel pensiero e nella poetica gnemmiana, anche se di
volta in volta la scrittrice la esorcizza con la poten-
za spirituale della parola: “la vita è un viaggio nel regno del segreto silenzio”, tuttavia “l’occhio si
tende a rapire sonorità interiori... i mai ascoltati
sussurri dell ‘ingenuità ignara di mete e di fini”. E nel complemento della musica Enrica cita lo Studio
opera 25 di Chopin per spiegare che la parola per-
corre la storia, ma è strumento per leggere l’ attuali-tà; di qui parte la sua ricerca della Verità, la sua bat-
taglia contro il Potere, l’ingiustizia ed i corollari che ne aumentano la forza.
La scrittrice ora ricorre a incisive, inoppugnabili
carrellate storiche sulle secolari dolorose vicende occorse alla Polonia: dal martirio di San Stanislao
agli assalti dei maestri dell’Ordine Teutonico, dal-
le spartizioni nel XVIII° secolo del suo territorio all’orrendo massacro di Katyn - 22000 le vittime!
-. Si tratta, come ognuno può vedere, di episodi e
di persone che nella loro dolente disumanità, sono la cifra di luoghi e figure altri: ecco allora, accan-
to a presbitero ancora polacco, Popieluszko, il ri-
cordo di un San Thomas Becket inglese, di un Oscar Arnulfo Romero, salvadoregno e quant’altri
nel novero dell’umanità calpestata si potrebbero
citare. Contro la quale il progresso tecnologico si pone al servizio del Potere: “Rubicondo vitami-
nizzato - Igea avanzi e l’uomo le si affida” - non
ci curiamo di violare le leggi della natura; afflitti
dal problema delle scorie atomiche non lo sap-
piamo risolvere, ne facciamo un mistero che lo
sterratore “il becchino non risolverà”. Nella note-vole sezione Sanctus, una martellata sequenza in-
sieme narrativa e allegorica accostata al racconto
epigrafico delle Tentazioni di Gesù denuncia l’ invito al consumismo “la tavola era imbandita”;
“Lo schermo giganteggiava sul muro” sono gli
incipit di due apologhi, attualissimi certo cari agli economisti odierni nei loro risvolti deteriori. Cer-
to Enrica non si nega ad una larvata eppure reale
speranza di riscatto. Per provarla l’ occasione le viene ancora dalla Polonia, forse per il tramite di
quell’uomo di Chiesa che da quest’anno veneria-
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mo come Santo. Così almeno io interpreto il ri-
cordo della costruzione, ad opera del Principe La-
dislao di Opole, di un tempio dedicato alla Ma-donna Nera e quello della sua invasione e della
profanazione della santa icona per mano di orde
nemiche. Ma proprio dalla Madonna Nera “tutrice della patria” venne la salvezza, “canto che esplo-
de dalle viscere della madre comune”.
Sprazzi di luce traversano ora la narrazione di Requiem e, insieme, il linguaggio alto si attenua,
si appiana l’ambientazione epica. Divenuta prota-
gonista Gnemmi propone quanto lei stessa per noi e con noi potrebbe fare per una redenzione. Mi ri-
ferisco allo splendido, commovente dittico Osan-
na e Il Labirinto. Il primo brano, rivisitazione del Giudizio Universale di Michelangelo il capolavo-
ro pittorico noto e caro ad Enrica - e forse dell’
Apocalisse di Giovanni Apostolo - lo rappresenta come l’aldilà rasserenato del risveglio dopo la
morte fisica: vinto il buio “la verità, ritmo creato-
re percorre tutto”. La scrittrice ci fa assistere con lei alla “venuta di Maria, tappeto di rose”, del Cri-
sto trionfante “con nelle mani il segno della vitto-ria”. E avanzano intanto il Giusto e il Poeta, “tra-
sfigurante mania... sapienza abissale”. Non credo
che qui la scrittrice parli di sé, ma è chiara la sua convinzione sul ruolo di positività morale, non so-
lo estetica, di arte e poesia. Di forte incidenza au-
tobiografica è invece Il Labirinto, così come pos-siamo dare anima e respiro gnemmiano alla figura
letteraria di Isotta. Si incidono nella nostra memo-
ria, e cementano per sempre affetto e stima, “le notti temute, nel troppo scorrere di notti eterne
(quando) nella ruota del tempo cominciarono ad
essere desiderate perché la morte non era più or-renda ed ella - Isotta, Enrica - contemplò il pro-
prio nulla e fatta pietosa di sé, accettò il suo desti-
no”. Queste parole che confermano una costante pre-
senza del pensiero della morte nel doppio percor-
so, creativo e esistenziale, della scrittrice sono un
preludio di pochi anni al suo suicidio, ne docu-
mentano il coraggio e la scelta per un’estrema te-
stimonianza di opposizione morale al Potere, di ricerca della Verità, di riscoperta della buona u-
miltà nei rapporti coi fratelli e davanti alla gran-
dezza di Dio per ritrovare la nostra vera grandez-za umana.
Sono stata collega di Enrica Gnemmi nei lontani anni ‘62/64 e in varie occasioni ho avuto modo di
apprezzare la sua disponibilità umana e la sua
grande cultura. Ella rimane per me un’amica in-dimenticabile.
Piera Bruno
ADRIANO ACCORSI
IL SOGNO Edizioni Simple, Macerata 2007, Pagg. 80, € 3,00
Adriano Accorsi è nato a Treia nel 1940, ma vive
nel capoluogo, Macerata; con Il sogno, opera in versi, raggiunge la sua quinta pubblicazione. Que-
sta è dedicata a Giorgio Bàrberi Squarotti, il quale
ne esalta il valore, scorgendovi “l’eco dei romanzi arabi e persiani e, al tempo stesso, dei poemi caro-
lingi.”; aggiungerei pure una visione alla maniera
dei gironi danteschi. Mi sembra indubitabile l’impegno profuso nell’
impianto studiato con geometrica simmetria. Il po-
ema si struttura, in sette capitoli, ciascuno dei quali segue uno sviluppo autonomo, nel senso che non
c’è intreccio fra di loro, se non lo svolgimento con
alcune varianti che distinguono gli uomini che si avvicendano per ciascun capitolo. I personaggi so-
no tutti denominati come il bambino, un pazzo sette
volte, e un saggio pure sette volte. Si susseguono incontri e racconti senza ulteriori agganci fra di lo-
ro, aventi per soggetti generalmente altri uomini, inoffensivi, e donne orrende, salvo un gruppo di
bambini e una madre. Sul piano letterario non sono
in grado di segnalare afflato poetico, ma prosa; i versi (di lunghezza variabile) hanno la brevità dei
periodi e risultano trasognanti. Il senso poematico
può ritrovarsi nella numerosità delle situazioni de-scritte, che si ripetono come in una sorta di formu-
lario, secondo un codice da decifrare, comprensivo
di numerologia, di colorimetria, di bestiario, come preciserò più avanti. Tento una sintesi del testo.
Dall’incipit: “Il bambino vestito d’azzurro/ stava
sotto la quercia altissima/ immersa nel silenzio.”, raccoglie foglie cadute che ammucchia intorno all’
albero stesso, dal quale, a raggiera, “nascevano set-
te viali lunghissimi/ e ognuno diverso dall’altro.” (caratterizzati nell’ordine da: cupezza, chiarore,
vento gelido, brezza leggera, alba perenne, sole ro-
vente, illuminazione perenne). Da ciascuno dei via-
li, volta per volta, viene incontro al bambino, un
pazzo, mite, che gli racconta come gli sia stato sot-
tratto il senno e quanto gli sia accaduto; il pazzo è contraddistinto da alcune caratteristiche, in partico-
lare è in compagnia di animali tenuti a guinzaglio o
che lo trasportano (nell’ordine: un agnellino, una scimmietta rosa, o insieme un gallo un tacchino e
un pavone; un cavallo celeste, o accovacciato entro
il marsupio di un canguro gigantesco; oppure in groppa ad una tigre, o a cavalcioni di una fenice);
poi si allontana con la certezza di rinsavire grazie
alle foglioline dategli dal bambino. Segue l’ appari-zione di un uomo, saggio, che fa altre narrazioni,
brevi, anche egli in compagnia di animali tenuti a
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guinzaglio o sulle spalle (nell’ordine: castoro, ca-
priolo, volpi rosse; o insieme gaviale blu e pettiros-
so, cucciolo di pantera, cagnolino viola, insieme tortora e civetta). Infine, nel breve brano di chiusu-
ra, l’esito finale mette insieme le figure positive: i
sette saggi “seduti sui rami/ e l’albero/ e il bambi-no/ si mutarono tutti all’improvviso in cenere.”.
Mi soffermo brevemente sulla valenza di alcuni
simboli. Così il senno viene meno per varie cause, nell’ordine: dalla cattiveria di una donna, dagli abu-
si sessuali, dal becco di un gabbiano, dalla propria
immagine, da una foglia, innalzandosi in volo all’ altezza d’aquila, dall’inebriamento. Il numerario si
ha fin dalla struttura dei sette capitoli, sette viali;
ventuno scalini per farsi ricevere da una donna dal “volto di bambina” ma dalla voce di una donna di
“mezza età”; oppure quando “apparvero sette uo-
mini e tre donne”, due serpenti, tre vipere; nove bambini; altri bambini dagli otto ai tredici anni; un
uomo di 40 anni che si ritrova fanciullo al cospetto
della madre, oppure di 60 anni dalle mani callose baciato dalla poesia; sette donne ammalianti e paz-
ze (rappresentano i sette vizi capitali Superbia, In-vidia, Ira, Avarizia, Accidia, Lussuria, Golosità).
Adriano Accorsi veicola messaggi. Così la grande
quercia, è come la vita che ci pone davanti ad alter-native; nella commedia in cui recitano sette attori, il
protagonista principale è contento perché interpreta
una parte di suo gradimento, ma poi quando sta per interpretare una parte che non gli piace, estrae una
pistola e si spara senza che nessuno dia alcun se-
gno, morendo nell’indifferenza degli altri (la gente applaude, ma non sa che è tutto vero). Così il lavo-
ro parassitario rappresentato da una bara; e al con-
trario, l’uomo stanco del lavoro che trova casa sbar-rata da cani ringhianti. Un giovane recita: “A cosa
serve guardare l’azzurro,/ il volo di una rondine e
l’olivo/ nel disteso tramonto, quando corde/ di ser-penti mi soffocano l’anima?” (pag.64). Ricorda che
“ogni uomo vive/ l’avventura di tutta l’umanità”
(43), dopo rimane solo cenere.
(novembre 2012)
Tito Cauchi
BRANDISIO ANDOLFI
RICORDI E RIFLESSIONI Bastogi, Foggia 2007, Pagg.84, € 6,00
L’esergo alla raccolta Ricordi e riflessioni, espri-me il pensiero di Brandisio Andolfi su ciò che rap-
presenta la poesia: “l’unico, mezzo che ti permette
di essere padrone delle tue idee, dei tuoi pensieri, dei tuoi sentimenti. Essa è la vera storia dell’anima
tua e di quella dei popoli.” L’eclettico professore,
campano di Casale di Carinola, è nato nel 1931.
Vincenzo Rossi assicura, nella prefazione, che gli
interessi del Nostro spaziano tra “la Storia, la Poe-sia, la Narrativa, la Critica, la Filosofia/pedagogia,
la Linguistica” che gli hanno valso riconoscimenti
da parte di qualificati esperti. Coglie nel Poeta la visione di un mondo di fiaba, in cui rimane abba-
gliato dalla bellezza muliebre, ove perfino la morte
si presenta, in un certo senso, con volto benevolo. Mentre Dante Cerilli rileva, con la sua nota critica,
il carattere personale intimo, lirico e reale nel con-
tempo, che tiene conto del momento storico in cui viviamo.
Il Poeta afferma che il presente ha senso se è con-
siderato in tutto il proprio vissuto, legato quindi ai ricordi; e le riflessioni ne sono una conseguenza.
Gli uni e gli altri sono raccordati dall’avvicendarsi
delle stagioni, delle albe e dei tramonti, gioie e tri-stezze; od anche, adesso, da rassegnazione: una se-
rena visione della vita. Un degno esempio ci viene
offerto dal più volte ricordato Papa Giovanni Paolo II degli ultimi giorni della sua vita terrena, che tra
‘agonia e fede’ saluta i devoti per tornare alla casa del Padre Celeste.
Dalla visione oggettiva degli eventi, torna a se
stesso: “Mendicante/ di quiete mi saziava l’ombra d’una quercia/ in cima alla salita: meta secreta
dell’anima./ La stanchezza m’era di sprono tanto/
quanto oggi il ricordo che m’illumina il pensiero./ Tra passato e presente solo ricordi e riflessioni.”
(pag. 21). Ricordi giovanili affiorano quale carezza
all’anima: una bella vergine in un prato di fiori “tut-ta protesa alla battaglia dell’amore.// Il suo petto
ansimava d’un respiro nuovo,/ si gonfiava di pen-
sieri, di secreti desideri. ” (pagg. 22-23); per torna-re sgomento ai tempi attuali dove a contare sono l’
apparire e il conto in banca. Riflette ancora una vol-
ta che, al pari di una singola goccia d’acqua che giunge al mare, così ogni essere umano è destinato
alla sua sorgente, dopodiché non è possibile tornare
indietro; ma sa che una vita condotta con fiducia
rafforza le certezze.
Brandisio Andolfi, in uno stile ben curato, ci fa
aspirare i profumi della terra, gli odori veraci della famiglia, in contrasto del frastuono e dello smog
della città. Così ricorda le piazze e le viuzze della
sua infanzia, ora divenuti luoghi dell’anima: “Il Ca-stello, il Mercato, il Corso Lucilio:/ le mete preferi-
te della mia città,/ le ho pensate lungo la via di
Monte Ofelio.” (31). La sua esperienza gli ha fatto conoscere gli orrori della guerra, da ragazzino; e da
grande ha visto e vede come gli uomini e gli Stati
continuano ad ammazzarsi, a nutrirsi di livori, di ri-vendicazioni, benché si sbandieri la pace. Forse an-
che per questa ragione, la morte, viene considerata
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 34
come una cattiva signora.
Il Poeta commenta sul paesaggio che ci fa sussul-
tare, siamo a bordo di scatole metalliche come a cavallo di alati Pegaso e ci sentiamo onnipotenti; al
mattino ci svegliano il rombo di motore e i cattivi
odori della immondizia; mentre inosservati cinguet-tano gli uccelli e gemmano le rose e le altre piante.
Ma pure uno sguardo alla vita politica del Paese, ci
lascia delusi. I nostri giovani del Sud emigrano ver-so il Nord, e intanto a migliaia dall’Africa o dal vi-
cino Est migrano verso di noi, martirizzati dalle
guerre e dalla fame. Il Poeta è cresciuto con la vi-sione della luna, del cielo stellato e della natura ri-
dente e dei sogni; dialogando con la volta celeste.
Le rimembranze lo conducono al padre, il suo pri-mo maestro di vita, saggio e innamorato, dedito alla
coltivazione dei campi; alla figlia che l’aspettava
alla stazione; pensa ai primi innamoramenti; ma fa capolino sempre l’idea della morte. Ad un corteo
studentesco avverso la ‘legge Moratti’, ammira la
spensierata giovinezza. Brandisio Andolfi dichiara di non volere “ingros-
sare la schiera/ dei ‘poeti’ morti senza luce/ otte-nebrati dall’oblio indegno; mi basta/ aver dato vo-
ce ai moti dell’anima” (62). La morte è celebrata
come un inno alla vita; come il giusto epilogo del viaggio terreno. Così, in chiusura, ricorda alcuni
amici che l’accolgono con un ‘ben accetto’ ed è
come un volersi congedare; ma noi l’attendiamo ancora.
Tito Cauchi
PASQUALE MONTALTO
LA MAGIA DI ESISTERE Ed. Progetto Cultura, Roma 2012, Pagg. 112, € 12
Pasquale Montalto è calabrese di Acri (classe 1954), di professione sociologo, psicologo- psicote-
rapeuta, attivo nell’impegno civile, coltiva l’ amore
per la poesia; dedica la recente raccolta, La magia
di esistere, ai “Maestri di Vita, passati e presenti”.
Copertina, Dalle acque la nascita, e disegni
all’interno, sono di Alice Pinto, hanno tratti delicati ed eleganti, e un’aria fiabesca, tra l’allegoria e la
metafora, per es. albero antropomorfo, immagini
stilizzate di donne. In esergo un componimento di David Andrew Pascal Montalto, che si dichiara:
“modellato con le mani dell’amore” mi fa percepire
l’impressione di un’unità familiare di sereno e forte amalgama.
Il libro comprende 45 titoli, i cui primi cinque
presentano ampi componimenti; ma il tutto forma un solo poema, all’insegna del valore esistenziale,
dell’Universo, dell’uomo e della stessa poesia.
Concordano tutti gli interventi critici nel segnalare
le finalità socioculturali del Nostro e l’uso della pa-
rola “giusta”, chiara e immediata, su cui mi riservo di fare qualche osservazione, in chiusura. Così
Francesca Innocenzi, in prefazione, garantisce che
il Poeta persegue una proposta controtendenza, ri-spetto alle “logiche cenacolari, snobistiche, oppor-
tunistiche”, utilizzando immagini genuine tra magia
e realtà. Carmine Chiodo, nella introduzione, asse-risce che Pasquale Montalto offre argomenti che
fanno meditare, raccontando di sé come se si trat-
tasse dell’altro, ponendosi all’ascolto di un interlo-cutore silenzioso che ora rappresenta l’Io, ora l’ Al-
tro, ora tutti Noi: “poesia dell’Amore, della Bellez-
za, dell’Infanzia, dei cari Luoghi, che regalano ver-si veramente stupendi”, in cui pone l’accento sul
battito della scrittura e della lettura connotata dalla
modestia “tale che la poesia si configura come una continua e sicura riflessione sulla vita”.
Anticipo quanto affermato in postfazione: Anna
Lauria, sulle orme dello strutturalismo di Roman Jacobson [studioso russo], evidenzia la frequenza
con cui Montalto presenta parole come Armonia, ben 14 volte, o Amore, 70 volte, cioè più di ‘dolo-
re’; e nell’intervista ci fa conoscere un po’ meglio l’
Autore stesso, al quale sono cari tre famosi versi di Quasimodo, “Ognuno sta solo sul cuor della terra/
trafitto da un raggio di sole;/ ed è subito sera” e i li-
bro di Edgar Lee Masters, “L’Antologia di Spoon River”, convinto che la poesia possa salvare il
mondo.
Pasquale Montalto esprime in forma autobiogra-fica la geografia dell’anima: comunque parli, di sé
o dell’Altro, si fa pelle sensibile del mondo; fa una
trasposizione dei sentimenti e della propria conce-zione della vita, fin dall’incipit: “Figlio di una sto-
ria ingrata/ e che non mi appartiene/ - nato fuori
tempo/ e dove non dovevo - / …// S’aggira tra Isra-ele e Palestina/ un forte profumo,/ che del cedro del
Libano/ porta le carezze dell’amore/…// più grande
m’ammalia/ il magico sentiero dell’India”, in cui il
Poeta si unisce con il Tutto in un luogo di medita-
zione (samadhi e ashram), facendo dell’India il nu-
cleo del suo amore intimo. Ma il viaggio lo traspor-ta ancora più a nord e a est, del pianeta, tra i prodot-
ti della terra e i bisogni delle popolazioni.
Dichiara la sua ferma volontà: “scrivo e vivo la parola/ e non concordo/ col testardo rimando/ di
quel che non si dice.” (pag. 23), l’uomo gareggia
per fagocitare l’altro uomo, per il potere. L’ agoni-smo [anche se finalizzato ad ogni costo al merito]
degenera nell’egoismo, aggrava contrasti, inganni,
odio, che inducono l’uomo o i popoli ad assalire il vicino. Società inquieta, ansiosa o godereccia; ci
mascheriamo per ingannare o per proteggerci, fi-
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nendo per vivere falsamente; il cuore rimane ina-
scoltato. Il ricordo può dare dolore ma rende più
sensibili; noi siamo solo piccola cosa; una sorta di membrana senziente delle vibrazioni universali.
Il Poeta attinge nel vissuto trovandovi “la favola e
la magia della vita”, dichiarando: “felice d’Essere per come sono”. L’Anima si nutre di Bellezza ed è
questa che può salvare l’Umanità; la Verità poetica
è trovare ed espandere la gioia, condividerla; crede-re nel mito e nel sogno, nelle stelle e nella luna; vi-
vere seguendo la natura; riscoprire la genuina verità
delle parole vicine al modo di sentire e di compren-dere. Pasquale, nella sua odissea, raggiunge come
un relitto la terra dei Feaci, è ammaliato del fascino
di Nausicàa; ma, come è nel mito, si ridesta per continuare il suo viaggio verso il Luogo dei suoi af-
fetti. Tuttavia abbiamo la consapevolezza di essere
soli, bistrattati, evitati; ma dalla solitudine sappia-mo trarre momento di meditazione, vivere la quieta
pace dell’anima, godere del sole e potere guardare
gli altri negli occhi. La vita è meravigliosa, sta a noi coglierne la bel-
lezza, i colori del tramonto, il firmamento; la ‘bella Sila’ e i suoi pini, i profumi e il lago Cecita. Il Poe-
ta ricorda la madre quando gli dava la sveglia, la
propria infanzia, la famiglia unita, la sobrietà; dice che nella coppia, anche silenziosa, si può godere
dell’armonia dello stare insieme; nella notte avvie-
ne la magia: “amarsi, amare,/ al di là di ogni sacri-ficio,/ e trascendere,/ trascendersi nel progetto
dell’amore.” (73, “L’Io e il Tu”). Egli si stacca dal
suo corpo, divenendo puro spirito e osserva se stes-so e il mondo circostante; contempla la sua sposa,
novella Nausicàa, bella come una donna jonica,
bella come una rosa, dai capelli con ‘riccioli’ ribel-li. La sua parola riesce a dare sostanza ai versi e a
trasformare il lettore in coautore.
Angelo, secondo nome del Poeta, tiene caro l’ al-bum dei ricordi; le emozioni non possono cancel-
larsi. Così il Natale festoso; il figlio bambino diver-
tito con un libro dal quale fuoriescono vecchi fo-
glietti “rigonfio di tanti cimeli”, che raccontano so-
gni addormentati. E rivolgendosi a Ennio Di Rollo
osserva come sia “… dolce dormiveglia che onora la vita.” (89). Nella pienezza del godimento spiritu-
ale, in chiusura del poema, esprime nella massima
convinzione, con naturalezza: “Lussuria creativa/ dove il seno accorda la vagina/ …// con la vagina
rilassata,/ che accorda un dialogo inaspettato.”
(90), uno stato coscienziale ardito. Commenta che sono le piccole cose che riempiono e fanno felice la
vita; così se guardiamo con gli occhi dei bambini,
forse, riusciremo a riscoprire l’innocenza. Pasquale Montalto fonda la sua poesia sugli affet-
ti a partire dalle radici; basa il suo credo nel guar-
darsi senza vanagloria, nell’avere rispetto delle ori-
gini, dell’insegnamento paterno ereditato che è da
trasmettere ai figli. Fa terapia attraverso il binomio “Io e Poesia”, più volte ripetuto, come pure attra-
verso “salvezza e pace”. Rivendica il suo spazio vi-
tale con l’Io poetante anche richiamando Thanatos, nella morte dei cari, ed Eros, nell’apogeo dell’ a-
more; elabora il dolore attraverso il culto della vita;
si trova in uno stato di contemplazione, di beatitu-dine. Si pone le domande dell’uomo primordiale ri-
guardante l’Universo, identificandosi con le grandi
e piccole cose. Fa della vita la sublimazione dell’esistenza dell’
uomo e dell’universo, rivendica il diritto di esistere,
il diritto di essere lui a dare senso alla vita, confer-mandolo nell’Amore; “felice d’Essere per come
sono”, ripete in più occasioni. Spirito elevato alle
altezze astrali, umane e religiose, usa una scrittura naturale e chiara, come s’è detto in apertura, ma
l’interpretazione si arresta agli aspetti figurativi o
immaginativi immediati; mentre il vero significato rimane impalpabile sia pure come una pellicola,
nell’anima del lettore divenuto coautore. Avendone conoscenza aggiungo che con La ma-
gia di esistere, Pasquale Montalto, completa la tri-
logia dedicata all'amore (I Colori dell' Amore, Io e la Vita). Non mi pare che Egli segua logiche sche-
matiche, preordinate, ma le sue parole scorrono fa-
cendo leva sul verso libero, scandito dalla natura-lezza dell’espressione verbale, che porta in espan-
sione l’Essere: l’essere se stessi; eleva un’elegia al-
la vita: la vita tutta. Le parole “giuste” non possono essere sostituite o ricoprirsi di ulteriori significati. Il
Poeta confessa con semplicità estrema “e nel segre-
to si ricrea la magia,/ umile ragione dell’atto crea-tivo.” (53). Perciò le parole lasciateci negli scritti o
dette dagli anziani, sono anche esse un tesoro di cui
tenere conto; le parole usate bene, quelle “giuste” del Nostro, accendono la gioia di vivere.
( giugno 2012)
Tito Cauchi
ELEONORA COGLIATI
ALL POEMS
PUBLIBOOK IRELAND 2014
ISBN 978-1-909774-11-7
Non sono poi molti i libri di poesia contempora-
nea italiana interamente tradotti e pubblicati da edi-tori di area inglese, anche se, leggendo plurime
quarte di copertina nostrane, traspare spesso un
malcelato desiderio di molti Autori al riguardo. Eleonora Cogliati (Olginate, Lecco, 1969), sulla
cui silloge Gocce di emozioni, Aletti Editore, ab-
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biamo letto con interesse la puntuale disamina di
Giuseppe Leone (Pomezia Notizie, marzo 2012,
pagg. 10,11) è risultata prima assoluta fra i 133 poeti partecipanti al Premio Polverini di Poesia Edi-
ta 2013 – con la raccolta Anima, Aletti Editore – e
quindi oggetto di uno studio monografico presenta-to con successo e con partecipazione anche di im-
portanti personalità istituzionali brianzole.
Questi fatti hanno portato poi a proporre ad un e-ditore inglese tutte le poesie edite ed inedite della
poetessa di Olginate chiaramente supportate da un
solido apparato critico che è stato determinante per un positivo orientamento alla pubblicazione degli
All poems in una bella edizione di 130 pagine.
Ma tutto questo non sarebbe avvenuto senza la presenza in campo nazionale di una rivista lettera-
ria, come questa di Domenico Defelice, che per
prima ha offerto spazio ed incoraggiamento ad E-leonora Cogliati, dandole fiducia ed impulso nella
sua produzione lirica.
Mi sono chiesto spesso come faccia una donna impegnata nella ditta paterna – leader a livello
mondiale nel campo degli impianti di alimentazio-ne zootecnica –, con famiglia e due figli da seguire
a trovare il tempo psichico necessario a scrivere
poesie. La risposta consiste laddove è evidente che le fra-
gilità e morbilità dell’Autrice diminuiscono man
mano che lei si approssima alla sua poesia e se ne impossessa. La poesia la seduce e quindi la guari-
sce. Quindi scrivere versi è anche terapeutico se
non taumaturgico, almeno per chi ne ha bisogno.
Gianfranco Cotronei
DANILA OLIVIERI
LE PAROLE DEL VENTO Ed. Montedit, Melegnano, Milano 2013- pagg.40 – euro 7,30
Danila Olivieri, poetessa di Riva Trigoso (Sestri
Levante, Genova), continua da anni, senza interru-
zioni, il proprio discorso lirico, affiancandolo a
quello di promozione culturale come presidente del Salotto letterario San Marco (sul Molo Pilade Quei-
rolo, a Sestri) e come organizzatrice del Premio let-
terario “Giovanni Descalzo-Sestri Levante”. Appena pubblicata la silloge Le parole del vento
(Edizioni Montedit) eccola riproporsi, tra un Pre-
mio letterario e l'altro cui partecipa come concor-rente ( e spesso come vincitrice) con una Antologia
dei suoi testi migliori degli ultimi anni.
Ma è la raccolta Le parole del vento che qui mi in-teressa, nella sua originalità di temi e di forme e-
spressive. Ottimamente prefato da Danila Boggiano
(anch'ella poetessa di Sestri Levante, nonché Vice-
presidente del Centro Culturale L'Agave di Chiava-
ri) il volumetto, di circa quaranta pagine, grafica-mente grazioso, che è compreso nella Collana “Le
schegge d'oro” (I libri dei Premi) della citata editri-
ce Montedit di Melegnano (Milano) si suddivide in tre Sezioni: Missive dal bosco (10 poesie), Messag-
gi di paesi (10 poesie), Il paese (9 poesie).
Con quest'opera la Olivieri porta a coronamento un discorso coerente di poesia e d'amore scaturente
dai luoghi della propria Liguria di mare, di campa-
gna e di bosco, quella Riviera di Levante che si e-stende dai golfi azzurri ai boschi dalle mille sfuma-
ture di verde, giallo e marrone, tutti percorsi da un
onnipresente vento, saturo di colori e di profumi, simbolo di vita e di morte.
La stessa prefatrice, a conclusione del suo parte-
cipato, quasi febbrile intervento, scrive: “ Farei tor-to alle ragioni di questa poesia se trascurassi l' az-
zurro e l'oro e il verde e i profumi di cui...è imbevu-
ta, fino a traboccarne, fino a rischiare un irreversi-bile schianto...Cosa che qui non accade, in virtù di
quelle tenaci, profonde radici, dal momento che né il borgo, né il paese, né la baia...possono offrire
una sosta all'andamento pendolare tra vita e morte,
tra luce e buio, e la vela della speranza, lungi dal trovare un approdo, continua a “sfidare il maestra-
le”, dolorosamente e felicemente indomita nel gran
mare aperto.” Aggiungo che il discorso poetico della Olivieri
viene approfondito e allargato anche ad altri luoghi
del mondo e ad altre tematiche. Sempre, però, con un amore particolare e trepido, soprattutto, per le
figure di parenti (innanzitutto marito e figli) e di
amici che hanno popolato il suo cuore e la sua men-te in questi anni. E un amore non meno forte per
fiori e piante, per piccoli animali, per particolari
della Natura, anche minuti, che la ispirano. Un discorso artistico iniziato con piglio sicuro già
con le sillogi precedenti, tre pubblicate dalla Mon-
tedit (Sole di scirocco, Voli nel profondo, I giorni
della merla) e due dalla Bastogi di Foggia (Stella
cometa a Tregosa e Dritto e reverso), sia in italiano
che in dialetto genovese. Il filo ideale che tiene unite le ventinove compo-
sizioni de “Le parole del vento” è, fondamental-
mente, l'amore. L'amore per la vita, per tutte le sue manifestazio-
ni. E, se sul piano più strettamente critico, possiamo
notare, nel tempo, la indubbia, accresciuta capacità descrittiva di paesaggi naturali, luoghi urbani, ani-
mali, piante, persone (con un lessico in continuo
divenire, che si affina sempre di più, con tentativi, anche, di preziosi neologismi) quello che ci lascia
piacevolmente stupiti è la sempre maggiore pro-
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fondità dei temi affrontati. A cominciare da quello,
fondamentale, dell' altra cosa. Ossia, della Morte.
Nella poesia L'altra cosa, infatti, la Olivieri ci svela quello che è il suo concetto di vita e di morte,
concetto che aleggia in tutta la sua produzione, e
che comunque, in questa composizione, raggiunge l'acme della sua chiarezza cristallina:
“ La morte non è l'invisibile
a opporsi nell'aria, non è l'altra cosa.
Vita e morte divise
in minuscoli fiati palpitanti fluttuano nel bosco fino a toccarsi.
Sussurra vita l'aria
se volo di farfalla la anima, porge amore la terra
mentre dischiude il fiore
e di vita trema la macchia quando brezza l'erba nuova disfiora.
Ma è colmo d'abisso il lamento
del biancone ormai stanco, dondolano la morte i pini
se il vento suona lo xilofono dei rami malati e urlo di sirena
penetra la sera e la inquieta.”
Luigi De Rosa
ALDO MARZI
TOTÒ E PINOCCHIO
Aletti Editore, 2011 - 44 pag.
Recensire il libro appena letto non sarà davvero
facile… perché non so davvero da che parte comin-
ciare! Ci provo… e spero che mi venga bene! Il lato negativo di questo testo è che si tratta (ahi-
mè!) di un saggio critico. Solo che, da quanto si
legge, parrebbe un saggio su Totò, in cui Pinocchio appare qua e là, pigliandosi un buon 25-30%
dell’intero testo. Oppure, al contrario, è un saggio
su Pinocchio, in cui però l’Imperatore di Capri fa la
parte del leone.
Quale delle due ottiche è la più corretta? Agli altri
lettori, l’ardua sentenza. Pur essendo però, in tutta evidenza, un saggio cri-
tico, Aldo Marzi, da vero saggio, provvede saggia-
mente a esporre il suo discorso in modo scanzonato e assai simpatico, sì da rendere questo pane adden-
tabile da ogni tipo di bocca.
Perché si parla di maschere e burattini? Anche. O perché Marzi sa bene che in un paese di maniaci
dello sport e di pettegolezzi un saggio critico, anche
scritto bene, equivale a mezzo chilo di spinaci da offrire in pasto a Gian Burrasca (i bambini normali
odiano gli spinaci: sono salutiferi e contengono il
ferro!)? Soprattutto. O, almeno, probabilmente.
Forse sarebbe stato meglio per Marzi intitolare
questo testo Attenti a quei due, a costo di essere ac-cusato di plagio o di mancanza di originalità per-
ché, in effetti, questo testo è ben più vicino a Plu-
tarco (Vite parallele) che a Paolo Valente (90° mi-nuto).
Tutto qui? Magari!
Il vero problema di questo testo è che leggerlo si-gnifica entrare in una variante su tema de Lo spec-
chio nello Specchio, opera meno nota di Michael
Ende (La Storia Infinita e Momo), a causa dei con-tinui incroci, scambi, passaggi e sottopassaggi qui
contenuti.
In effetti, la questione si riduce solo a questo: stiamo parlando di Antonio De Curtis e di Collodi o
di Totò e Pinocchio? E il Principe è semplicemente
Antonio o è solo Totò? E Collodi era sempre e solo Carlo, nella vita, o era soprattutto Pinocchio, fuori
dalle regole a qualsiasi costo?
QUESTA è la vera questione! E io stesso non sa-prei che cosa rispondere! Le vite di Antonio e di
Carlo sono molto simili fra di loro, pur tenendo conto del fatto che sono nati in epoche ed ambienti
diversissimi, e Pinocchio e Totò, acquisti recentis-
simi del Teatro dei Burattini, sembrano fratelli ge-melli, tanto sono simili nella fame che li divora e
nelle loro avventure strampalate e paradossali… in
cui però sai sbeffeggia ferocemente il Potere costi-tuito!
Così, finisce che Totò ha, dopotutto, il naso chi-
lometrico di Pinocchio, mentre Pinocchio ha surro-gato il suo cappellaccio di mollica di pane con la
bombetta del sindaco del Rione Sanità (ove era nata
e viveva la madre di Antonio de Curtis). Districarsi in questo libro labirintico in cui il profi-
lo destro è del tutto asimmetrico rispetto al profilo
sinistro e dove non è mai sicuro sapere con chi si ha a che fare non è la cosa più facile di questo mondo,
anzi! Ma, in compenso, è pieno di spunti interes-
santi e non è mai noioso!
Un saggio critico? Così conciato? (per parafrasare
una battuta di Totò sugli onorevoli).
Fatevene la vostra idea, leggendolo. Non rimarrete delusi e avrete moltissimo su cui riflettere.
Andrea Pugiotto
ALDO MARZI
IL MIO PINOCCHIO
Aletti editore, 2013 - 46 pagg., € 12,00
Generalmente parlando, un saggio non sarà mai gradito ad alcuno.
Se questo aggettivo si riferisce ad una persona, si
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immagina, in genere, un imbecille barbuto (alla
Darwin o alla Marx), capace solo di sbrodolare cul-
tura nel modo più pedante e balanzonesco possibile. Si tratterebbe, perciò, di una persona noiosa, da evi-
tare come la peste.
Se questo aggettivo si riferisce invece ad un libro, è certo che l’Autore dev’essere un rompiscatole
professionista che non sa far altro che mettere su
carta pensieri che capisce solo lui… col solo scopo di aduggiare la vita altrui!
In ambo i casi, i saggi vengono sempre evitati dal-
le persone normali che, di solito, preferiscono di gran lunga leggere Il corriere dello sport o suc-
chiarsi il cervello con spazzature pubbliche tra-
smesse in tv (Il Grande Fratello o L’Eredità. Sce-gliete voi).
Aldo Marzi, classe 1949, non è certo un imbecille
come il dr. Balanzone, né un seccatore come Fran-cesco De Sanctis, e il suo saggio Totò e Pinocchio,
che precede questo di poco, lo prova ampiamente.
Mentre Totò e Pinocchio, pur essendo un saggio a tutti gli effetti, è esposto col pretesto di un incontro
fra un ex insegnante (Marzi stesso) e un suo ex al-lievo delle medie, quest’altro tomo, non meno argu-
to ed interessante, è esposto sulla falsariga dei ri-
cordi personali dell’autore stesso che, con moto na-turale, invita il lettore nella sua stessa casa, per
condividere con esso la sua vita quotidiana, i suoi
odori di casa, eccetera. E’ un modus operandi informale e, diciamolo pu-
re, molto personale. Però non è affatto male come
scelta, considerando che Marzi non ci narra, in pri-ma persona, un romanzo avventuroso e/o surreale,
come fece, a suo tempo, Calvino con il suo Barone
rampante. Il soggetto è, ancora una volta, Pinocchio, che sta-
volta è il protagonista assoluto di questo saggio. Un
saggio che è tutta una sorpresa. Una vera matrioska, cioè una tipica bambola di legno russa che, all’ in-
terno, ne cela una più piccola, che ne ha dentro
un’altra più piccola, eccetera.
Già, perché Pinocchio, da quanto qui è esposto, è
ben altro che una semplice fiaba per bambini anche
se questa era l’intenzione originale di Collodi. E’ molto più vicino a I viaggi di Gulliver o alla Veri-
dica historia di Gargantua e Pantagruele: una fa-
vola (cioè allegoria) per adulti, con finalità assai precise e simboli (e significati nascosti) ancora più
precisi e, a modo loro, taglientissimi ed eversivi
verso la società in cui il Lorenzini era costretto a vivere.
Forse qualcuno sa che Collodi era un Fratello che
“murava liberamente” e che molti emblemi masso-nici sono celati in questa storia, che ha fatto il giro
del mondo. Ma è stato anche detto che Collodi era
un libertino fatto e finito (donnaiolo e giocatore d’
azzardo) e che era un libero pensatore (un ateo
convinto, cioè). Questo libro rivelerà quanto quelle storie fossero
vere o no.
Ci saranno molte sorprese, perfino per i “pinoc-chisti” appassionati pari miei! E non ci sarà agio di
annoiarsi, in parola d’onore!
Per saperne di più, non vi resta che leggere quest’opera stupenda. Ne varrà davvero la pena!
Andrea Pugiotto
ENNIO MALDINI SILVANA ANDRENACI MALDINI
FAVOLISTI ROMANI
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2012
Ecco una breve raccolta di carmi in romanesco pu-
ro, presentati da Il Croco (luglio 2012), supple-mento del mensile Pomezia-Notizie.
La cosa interessante di questa raccolta è che i co-niugi Maldini.,.. facevano lo stesso mestiere!
Lui, morto nel 2001, era poeta (in lingua e in dia-
letto romanesco) e pittore e, in ambo i casi, le sue opere mostravano l’umanità dell’Autore. Umanità
esplicata anche tramite i racconti e le recensioni
cui, nel tempo, ha messo mano. La signora Silvana, dal canto suo, ha messo mano
ad opere di saggistica, narrativa e ricerca storica e,
come il marito, ha verseggiato in lingua ed in dia-letto romanesco.
Pomezia Notizie omaggia questi due autori riu-
nendo alcune delle loro poesie in romanesco, scritte a bella posta e riunite poi nella silloge poetica Fa-
vole pè Trilussa (pubblicata nel 2000), quale omag-
gio all’indimenticabile erede di Belli (e fra Belli e Trilussa è una bella lotta, essendo stati ambo attenti
osservatori del mondo e della vita e feroci fustiga-
tori del malcostume ognor imperante, nella Città
Eterna come nel mondo).
Di favole ce n’è per tutti i gusti ed alcune sono di-
chiaratamente contemporanee (come La Tartaruga ribelle, della signora Silvana), ma, nel complesso,
stile e contenuti non sono indegni dell’illustre pre-
decessore cui sono dedicate. La nota negativa è che i tempi sono cambiati…
in peggio!... e non c’è più né posto né tempo né
voglia di leggere favole, pur se ben scritte, per ri-flettere un po’ sulla Vita reale e trarre debite con-
clusioni.
Ma questo non toglie nulla al valore poetico dell’opera del maestro Maldini e gentile signora.
Andrea Pugiotto
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 39
GIOVANNA LIVOLTI GUZZARDI
LE MIE DUE PATRIE
Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2012
La quarta di copertina de Il Croco (supplemento al
numero di Dicembre 2012 della rivista Pomezia-Notizie) informa i lettori che la signora Guzzardi è
un’Autrice pluripremiata per le sue opere. I premi
da lei ricevuti, uno più insigne dell’altro, mostrano che si tratta di un’autrice di valore, degna di stima e
di rispetto.
Le poesie raccolte in questo inserto speciale pro-vano ampiamente che i premi in questione non so-
no stati dati a caso ad una poetessa improvvisata. I
carmi qui contenuti mostrano l’abilità, la versatilità e l’umanità della Guzzardi. Il carme Australia bella
basterebbe, da solo, ad avvalorare il giudizio testé
espresso. Di origine siciliana, la signora Guzzardi vive in Australia, all’altro capo del mondo, e canta
le lodi della sua patria d’adozione, anche se, in altre
composizioni, esprime la nostalgia per la bellissima Sicilia, Regina indiscussa del Mediterraneo.
Tu è una dichiarazione d’amore che non necessita davvero di commenti, tanto è palese e forte il sen-
timento della gentile Autrice in questi versi.
Come non meno appassionati sono i versi de Un giorno di sole, in cui il, passato lontano riaffiora
nella memoria dell’Autrice, oramai lontanissima
dai giorni cari dell’infanzia, la più bella di tutte le stagioni offerte dalla vita.
E non sono che tre modesti esempi, scelti qua e là
per dare un’idea di questa silloge davvero rimar-chevole. Il resto, è tutto da leggere e da scoprire.
Non ci sarà davvero da annoiarsi!
Andrea Pugiotto
IL SENSO DELLA VITA
Sei contenta. Ti brillano gli occhi.
Hai scoperto – mi dici – il senso della vita.
So che ami pensare, andare a fondo e scoprire
il significato ultimo delle cose.
“ E allora – ti chiedo – in che consiste
il significato della vita ? “ “Ho scoperto
che il mondo è pieno di persone
che senza pensare seguono
chi le comanda.” E brava Yanet !
“ Pensare è importante, ci conduce
alla scoperta della verità e alla libertà.”
“E come ci sei arrivata ? “ “Leggendo,
e studiando ciò che leggevo.”
So che le sue letture sono impegnate
e buone e mi rallegro con lei.
Vorrei
che tutti al mondo si impegnassero
a leggere e riflettere e pensare.
Pensare con la propria testa.
E dopo aver pensato, ma anche vissuto,
scopriremo che il senso
ancora più profondo della vita
sta nel sentirsi utili, nell’aiutare gli altri
ad imparare ciò che abbiamo imparato,
nel donare ciò che abbiamo acquisito.
Nel donare. Ossia: nell’amare.
C’è chi in autobus mangia o legge.
Io mentre sono in autobus
non mi vergogno di estrarre una matita
e un foglio bianco e scrivere.
Mariagina Bonciani
SENTIMENTI DELLA NATURA
Mare mosso, mare tempestoso,
il tuo cuore burrascoso.
Onde enormi davanti a te si innalzano
sogni scritti su una carta si strapazzano.
Le stelle non brillano più sul cielo,
e tu, non puoi trovare un posto luminoso
per rannicchiarti.
Nuvole dense, nebbia, oscurità,
e tu nella foschia, nella serenità.
Nubifragio, temporale, pioggia,
così anche le lacrime inondano il cortile.
E' tirato il vento e l'albero ha gettato,
che tu, con amore, hai piantato.
Forte la corrente nel fiume del bosco,
e tu, nella solitudine, ti trascini,
ti abbandoni nell'acqua.
Fa freddo, è nascosto il sole, domina la
[ nuvolosità,
sentimenti freddi, ma il cuore nasconde bontà.
All'improvviso, tutto cambia. Di nuovo sorridi.
Ti siedi sulla riva e il Sole ammiri.
La Natura si rallegra e tu impaziente,
l'Arcobaleno aspetti di vedere.
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 40
Pitture della Natura, colori, varietà,
donano all'anima umana la felicità.
Sono differenti i volti della Natura,
i volti dell'ambiente...
così, anche i sentimenti umani,
si alternano frequentemente.
Giorgia Chaidemenopoulou Traduzione dal greco della stessa Autrice
ANGELO O DIAVOLO
Pozzanghera non traspare
come la tua vita
nascosta dietro false cortine.
La nebbia rapì i nostri giorni
tra tasselli di tempo,
ingialliti dal fumo di bistrot malfamati.
Il gioco ti ha già stregato,
così come il sesso
che vendi al primo offerente,
svilendo il tuo corpo perfetto.
Angelo o diavolo non so chi tu sia…
La tua voce mi esalta, il tuo corpo m’ inebria,
nelle fredde notti io ti cerco
per calmare l’anima,
che errabonda trascende
tra insoddisfatte voglie di adolescente natura.
Sia da monito il richiamo che creò i dannati.
E’ cosi che mi logoro tra il pensare e il cercare,
sperando l’oblio…
che porta la quiete.
Colombo Conti
PRATO VERDE SOTTO LA FONTE
A sera quando i desideri
sono spenti e arsi
ed il canto delle cicale
confonde il momento dell’ora
solitaria mi appresto
a narrare storie di un tempo
sconfinato e distratto.
La vecchia pergamena
dove le scritture confuse
pongono il dubbio del pensiero
sgranocchio piccole lucciole
di desideri imprecisi
dove il gesto rituale
divide valori di un’impronta.
Nella penombra più scura
sono le sere più lunghe
e cadono nel dialogo
di una falsa memoria.
Ma i sentieri di vie ignote
assorbono desideri incustoditi
e giacciono ignari nel cassetto.
Verde prato sotto la fonte
e l’orologio che batte le ore.
Alda Fortini
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE E’ morto GIANNI DI SPIRITO - Gianni Di Spi-
rito è stato il fondatore e l’organizzatore dell’ As-
sociazione THYRRENUM di Pomezia, una fra le più attive del nostro territorio da più di un venten-
nio a questa parte. Grande successo hanno sempre
riscosso, per esempio, le sfilate di figuranti dell’ Impero Romano, che si svolgono, da anni, nella no-
stra città e a Roma. Ma gli interventi hanno spazia-
to dal teatro alla musica, al folclore, all’ ecologia,
alla storia. Tra le tante iniziative, si ricordano il
Premio Fauno di poesia, giunto alla XVI edizione e
della cui Giuria qualche volta ha fatto parte anche il nostro Direttore Defelice; il premio pittura; confe-
renze varie sull’archeologia; il Gruppo Storico La-
vinium e la sua partecipazione ai Festival di Cultura in tutto il mondo; il gemellaggio con Troia e Itaca,
perché Pomezia-Torvajanica - è giusto ricordarlo -
è il luogo dello sbarco di Enea; la difesa del Sughe-reto e di altre realtà del nostro territorio. Gianni Di
Spirito era anche custode del Liceo Scientifico “B.
Pascal”, che ogni giorno accoglie centinaia e centi-naia di giovani. Con loro, Di Spirito era sempre di-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 41
sponibile e sorridente e, perciò, la sua morte, avve-
nuta il 16 maggio scorso - non aveva che 57 anni! -,
è stata per tutti - studenti, preside, docenti, dirigenti - un autentico e inaspettato dramma.
***
LA RIVA VERDE - Mercoledì 28 maggio 2014, presso la Libreria Arion Esposizioni, in via Milano,
Roma, è stato presentato il libro La riva verde, en-
nesimo romanzo di successo della scrittrice e pittri-ce Adriana Assini. Assieme all’Autrice, è interve-
nuta Cinzia Giorgio.
*** PREMIATA MARIAGINA BONCIANI - Ap-
prendiamo con piacere che la poesia "Il sogno inter-
rotto", di Mariagina Bonciani (pubblicata nel nu-mero di febbraio della nostra rivista) si è piazzata
al quinto posto nel concorso La Montagna incantata
di Firenze, dove, il primo giugno, l’Autrice, presen-ziando alla premiazione in Palazzo Vecchio, ha a-
vuto l'onore di sentirla leggere, molto bene, da A-
lessandro Quasimodo. ***
TRANQUILLI… PARLIAMO DI SILONE - Il 22 maggio 2014, alle ore 21, presso l’Auditorium
Cesare Golfari, moderatori Marco Rota e Giovanni
Invernizzi responsabili della Commissione Biblio-teca “Giuseppe Panzeri” di Galbiate (Lc), si è svol-
ta una conferenza dal titolo Tranquilli… parliamo
di Silone. Relatori della serata: Giuseppe Leone, critico letterario, autore, tra altro, di “Ignazio Silone
scrittore dell’intelligenza” (Firenze Atheneum,
1996) e “Silone e Machiavelli: una scuola che non crea prìncipi” (Centro Studi Siloniani, 2003); e Le-
onardo Grimoldi, docente di filosofia presso la
scuola secondaria superiore che ha recentemente pubblicato, maggio 2013, per i tipi di Mimesis,
“Storia e utopia. Saggio sul pensiero di Ignazio Si-
lone”. Due intellettuali che vantano, in particolare Leone, un’assidua frequentazione del Centro Studi
Siloniani in quel di Pescina. Un titolo suggestivo e
provocatorio a un tempo – spiega Leone - come vo-
ler dire, “state calmi… se parliamo di Silone, non
agitatevi”, per significare che la letteratura di Silone
ha, in ogni tempo, suscitato sentimenti di disturbo. Tali che spesso storici della letteratura italiana lo
hanno estromesso dalle loro antologie scolastiche, e
giornalisti che volutamente, ancora ai nostri giorni, sia nei loro articoli, sia in pubblici dibattiti, non lo
citano, neppure quando i temi affrontati sono squi-
sitamente siloniani. Come è accaduto, per esempio, in occasione delle dimissioni di Benedetto XVI nel
febbraio 2013. Non c’è stato un solo giornalista, ma
neanche storici o critici che, intervistati sulle reti nazionali della nostra tv di Stato e non, citassero,
per analogia a quanto stesse succedendo, Ignazio
Silone, per via di Celestino V, papa dimissionario
nel dicembre del 1294, unico clamoroso preceden-
te. Tutti, in coro - per carità, spontaneo, non vor-remmo insinuare che sia stato preparato a proposito
– citavano il verso di Dante, quel colui che fece per
viltade il gran rifiuto”, e nessuno L’avventura d’un povero cristiano, il dramma che lo scrittore abruz-
zese aveva dedicato nel 1968 proprio a Celestino V,
in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II, sotto Paolo VI.
La serata ha preso forma discutendo la tesi con-
tenuta nel libro di Grimoldi. Ovvero, la necessità “di chiarire i termini di un contrasto, quello fra isti-
tuzioni e valori, che domina il pensiero dello scrit-
tore marsicano fin dai suoi esordi letterari”. Alla fi-ne, il dibattito tra moderatori, relatori e pubblico ha
rivelato quanto interesse desti ancora l’opera silo-
niana, nonostante il muro di silenzio attuale e il pregiudizio della critica, che può essere riassunto
nel giudizio che Carlo Bo espresse nel lontano
1965, ne L’Europeo, sul numero di agosto, in un ar-ticolo dal titolo Hanno avuto paura, dopo che Silo-
ne era stato escluso dal Premio Viareggio: “Silone è stato escluso così come sinora lo abbiamo escluso
dalle nostre preoccupazioni e dalle nostre riflessioni
quotidiane, un po’ perché il suo caso disturba, dà noia e soprattutto perché affrontarlo richiederebbe
un altro impegno e finirebbe per investire tutta la
nostra struttura intellettuale e spirituale. Meglio dunque lasciarlo da parte, rendergli quel minimo di
omaggio, e continuare a considerarlo come un ospi-
te segreto”. (Giusle)
DO POETA A DIGNIDADE
Senhores, ao restaurante
não vou a não ser a cada morte de papa
à discoteca
desde que fiz trinta anos
Muito viajo com a fantasia,
pouco de trem e de autopista
e tenho medo de voar.
Não tenho Suv, nem iPhone, não tenho iPad
Nada de prebenda, não sou cavalheiro.
Visto modesto, não tenho conta no banco,
não tenho vila com piscina.
A beleza me encanta em minha idade
- e ainda a mulher! -
Tenho dignidade de poeta.
Domenico Defelice Trad. in portoghese di Teresinka Pereira
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 42
Domenico Defelice - Scaffale (1964)
LIBRI RICEVUTI ELENA MILESI - Il quaderno della sfida - Intro-duzione di Roberta Frigeni - Cahier des écrivains,
Corponove Editrice, 2014 - Pagg. 64, € 5,00. Elena
Milesi, nata a Villa d’Adda, vive a Bergamo. Socia del Cenacolo Orobico di poesia (Bergamo), Acca-
demia dell’Ateneo di Bergamo per la classe di Let-
tere ed Arti, cofondatrice dell’Associazione cultura-le Rosella Mancini (Roma), Presidente dell’ Asso-
ciazione Amici Pittore Giuseppe Milesi, in versi ha
pubblicato: “Silloge per Neri” (1983), “Quando na-sciamo un’altra volta” (1984), “Ragazze/i nel qua-
derno” (1985), “La notte, l’albicocca e altro” (1986),
“In fa” (1986), “Paggio Regale” (1989), “Svoli di semi” (1990), “Paggio in viaggio” (1991), “Ebdoma-
da” (1991), “Natale/Noël” (1992), “Tris” (1993),
“Dicembre/Décembre” (1993), “Il poemetto del fu-naio” (1994), “Viene il vento” (1995), “Acqua di ca-
scata” (1997), “Le semainier” (1998), “NeroRossoO-
ro” (1999), “Textum” (1999), “Ordinario 2000” (2001), “Che si chiamava Cloto” (2003), “Alla riva”
(2005), “Il carro di Amore” (2006), “Introìbo ad
2007” (2007), “E popoli miti” (2007), “Il tempo abis-sale” (2009), “Come dicono a Parigi “C’est la Vie!” “
(2010). Confortata da consensi critici, ampia bi-
bliografia e numerosi premi letterari, tra i quali ama ricordare: il Premio della Critica a Penne (Pescara),
il Premio Les Amis de la poesie a Bergerac, e i
premi-pubblicazione a Vercelli, Marina di Carrara,
Palermo; il Premio del quinquennale de “Il Lago Verde” Casazza (Bergamo). Per “Paggio Regale”,
“Paggio in viaggio”, “Tris”, tre volte segnalata e fi-
nalista al San Pellegrino Terme. **
CARMEN CREACO - Due ali - Prefazione di Sara
Leoni - Editrice Albatros, 2011 - Pagg. 48, € 11,50. Carmen Creaco è nata a Reggio Calabria nel 1972 e
si divide tra la sua città natale e Brescia, dove svol-
ge la professione di avvocato. Ha esordito come poetessa nel 1990 con “Il profumo dei sogni”
(Premio “Calogero” Miglior Poesia).
** RENATO GRECO - Finzioni e altri inganni -
Prefazione di Daniele Giancane - In copertina, a co-
lori, “Gli amanti”, di René Magritte - L’artedeiversi n. 9 edizioni 2014 - Pagg. 280, s. i. p. Renato
GRECO è nato nel 1938 a Cervinara (Av) e vissuto
fino alla maturità classica ad Ariano Irpino. Nel 1955/56 a Matera istitutore del Convitto “Duni”.
Dal ’57 al ’67 a Milano dove lavora alla Olivetti di Adriano e dove abita con la moglie dal ’66. Dal ’67
tre anni a Napoli un anno a Firenze e due anni in gi-
ro per l’Italia con tappe a Firenze e a Milano. Nell’ intanto si laurea in legge. Dal ’71 a Bari quadro nel-
la filiale di questa città. Nel ’77 è di nuovo a Mila-
no dopo altri periodi a Firenze. Fino al 1987 a Mi-lano quadro marketing centrale. Ritrasferito a Bari
va in pensione nel 1992. Ha vinto molti concorsi in
Italia e legge poeti del ‘900 presso due Università Popolari a Modugno e a Bari. Redattore della rivi-
sta “La Vallisa” dal 1997. Ha scritto più di 46 vo-
lumi di poesia, oltre che numerose Raccolte Anto-logiche, alcune pubblicate anche all’estero. Autore
anche di molti saggi su Salvatore Quasimodo, Vitto-
rio Bodini, Cristanziano Serricchio, Enzo Mandruz-zato, eccetera. Tante le antologie in cui figurano sue
poesie. Tra i critici che si sono interessati di lui, ci-
tiamo solo alcuni: Pasquale Martiniello, Michele Co-
co, Enzo Mandruzzato, Stefano Valentini, Vittoriano
Esposito, Daniele Giancane, Lia Bronzi, Donato Val-
li, Sandro Gros-Pietro, Renzo Ricci, Giorgio Bárberi Squarotti, Giuliano Ladolfi, Emerico Giachery, Ro-
berto Carifi, Gianni Antonio Palumbo, Daniele Ma-
ria Pegorari, Roberto Coluccia, Ettore Catalano. **
PANTALEO MASTRODONATO - Enciclopedia
Palatina - Antologia - Societas Humanitas “Symposiacus”, 2014 - Pagg. 328, s. i. p. Sono o-
spitati: Maria Aiello, Anna Maria Algieri, Gilda
Antonelli, Giuseppina Attolico, Antonio Barile, Marta Aria Bianchini, Giulia Bignami, Adalpina
Fabra Bignardelli, Walter Brook, Vittorio Busà,
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 43
Francesco Calzone, Lucia Tumino Cannata, Adua
Casotti, Filadelfo Coppone, Angela D’alessandro,
Onelio Dalla Ragione, Tommaso De Bernardis, Do-menico De Luca, Silvia Denti, Arnaldo Filice, Ga-
briella Frenna, Emilio Fucà, Licio Gelli, Teresa Gi-
rardi, Franca Moraglio Giugurta, Renato Guala, Tina Lepore, Adalgisa Licastro, Enrica Di Giorgi Lom-
bardo, Vittorio “Nino” Martin, Pantaleo Mastrodona-
to, Vittorio Meo, Enrico Monaci, Graziella Mondel-lo, Margherita Serena Monopoli, Pasquale Montalto,
Ernesto Papandrea, Gea Cristini Peroni, Bruno Pier-
camilli, Giuseppe Pietroni, Salvatore Porcu, Nicola Porticella, Orfeo Reda, Pietro Russo, Domenico San-
tangelo, Leonardo Selvaggi, Sergio Todero, Carlo
Vettorello, Emilio Vicario, Antonio Visconte. **
PANTALEO MASTRODONATO - Leucotea
(Mimolodia) - La casa delle Muse, Symposiacus 2014 - Pagg. 36, s. i. p. Pantaleo MASTRODONA-
TO ha studiato in molte città italiane ed estere. Com-
piuti i suoi studi in Linguistica e Filosofia classica presso l’Università di Montpellier, ha in atto dei lavo-
ri di studi e ricerche presso la stessa. La sua insaziabi-le sete di verità e di giustizia lo condusse nel 1972 ad
una profonda crisi religiosa, propugnando da allora
in poi i valori di un cristianesimo genuino scaturito da un sistematico approfondimento biblico per una
imparziale valutazione dell’epoca presente. Dirige
la rivista “Il Symposiacus”. **
ALDO CERVO - Antonia Izzi Rufo tra soggetti-
vismo lirico e neorealismo - Edizioni EVA, 2014 - Pagg. 32, € 9,00. Aldo Cervo è nato nel 1944 a
Caiazzo (Caserta), dove vive. Ha pubblicato più di
una quindicina di libri, prevalentemente di narrativa e di critica letteraria. Alcuni titoli: “Ipotesi narrati-
ve” (racconti), “Nient’altro che la verità” (racconti),
“L’autunno di Montalba” (romanzo), “Le testimo-nianze di Amerigo Iannacone”, “Cronica delle cose
occorrenti in Caiatia ne’ suoi anni ‘70”, “Gli aned-
doti del vescovo” (racconti), “Carichi pendenti”
(racconti), “Giovanni Papini nel ‘900 letterario ita-
liano”, “La Cinciallegra” (romanzo), “Frequenta-
zioni letterarie”, “Le radici della memoria”, “Profi-lo di un irregolare”, “Caiatini contemporanei”.
**
RAFFAELE CECCONI - La meraviglia - Poesie; Premessa dello stesso Autore; in calce, numerosis-
sime testimonianze - In copertina, “Maternità”
1972, di Karl Plattner - Genesi Editrice, 2008 - Pagg. 184, € 13,50.
**
RAFFAELE CECCONI - Il libro dei contrasti - In copertina, a colori, “Pittore con Modella” di Nor-
manno Soscia - Edizioni Giuseppe Laterza, 2013 -
Pagg. 174, € 18,00. Raffaele Cecconi, nato a Zara
nel 1930, poeta, scrittore e saggista, vive a Venezia.
Ha pubblicato diverse opere letterarie, tra le quali “L’uomo curvo” (1959), “Pettegolezzi d’attualità”
(1969), “L’Italia degli impegnati” (1969), “Ofelia”
(1970), “Una vita ladra” (1971), “Calore” (1971), “Confessione al figlio” (1976), “Un culo così”
(1979), “Il sorriso che morde” (1980), “Viaggio in
canoa” (1980), “Ora che invecchio” (1989), “Dio è un buffone?” (1991), “D... come dalmata” (1998),
“Ciò che ho visto girando il mondo” (1999), “I pen-
sieri che contano” (2000), “Trentatré misteriosi even-ti” (2002), “La Signora X” (2004), “La meraviglia”
(2008). Tra i vari riconoscimenti sono da segnalare:
1965, premio “Torino” per il volume “Da un mare all’altro” e premio “Giuseppe Villaroel”; 1966, pre-
mio “Prove Rapallo” per il romanzo “La Corsara”;
1972, premio “Jesolo” per il racconto inedito “La corriera della neve” e premio “Stradanova” per un
saggio sull’epigramma; 1978, premio “Camposam-
piero” per la poesia religiosa; 1979, premio “Plu-sart” per la poesia nelle Tre Venezie. Finalista al
premio “Viareggio”, al “Lerici-Pea”, al premio “Gatti”. Intorno alla sua opera hanno scritto centi-
naia di illustri poeti e scrittori. Collabora saltuaria-
mente a riviste tra cui “La Fiera Letteraria”, “Pro-spetti”, “Quinta Generazione”, “Controcampo”,
“L’Osservatore politico letterario”, “Arenaria”,
“Talento”, “Vernice”, “Punto di Vista”. Sue poesie sono state tradotte in inglese e in arabo.
**
SONIG TCHAKERIAN (Violino) - Johann Se-
bastian Bach. Sonatas and Partitas. 2 CD. CD1:
Sonata no. 1 BWV 1001; Partita no 1 BWV 1002;
Sonata no. 2 BWV 1003. CD2: Partita no. 2 BWV 1004; Sonata no. 3 BWV 1005; Partita no. 3 BWV
1006. Decca, 2013.
TRA LE RIVISTE KAMEN’ - Rivista di poesia e filosofia, dir. Ame-
deo Anelli - viale Vittorio Veneto 23 - 26854 Co-dogno (LO). Riceviamo il n. 45 (giugno 2014).
Tanti gli interventi su Dino Formaggio, Giuseppe
Pontigia e Edgardo Abbozzo. *
CENTONOVE - Settimanale di politica, cultura,
economia, diretto da Enzo Basso - via San Camillo 8 -98122 Messina. Riceviamo il n. 20 (23 maggio
2014). Tra i tantissimi articoli, evidenziamo solo
quello di Gianfranco Cusumano “Sulle tracce di Maria Messina”, perché ad inviarci il periodico è
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 44
stato il Dott. Nino Testagrossa. Si chiama “Gesti
di luce” la passeggiata letteraria organizzata il 14 e
15 giugno sulle tracce della scrittrice Maria Mes-
sina, che visse a Mistretta dal 1903 al 1909. Maria
Messina era nata nei pressi di Palermo, nel 1887.
Ha pubblicato coi migliori editori del tempo e le sue opere hanno avuto vasto consenso. L’ Associa-
zione Progetto Mistretta - Il Centro Storico (via Li-
bertà 185 - 98073 Mistretta, ME) - che organizza l’evento, indice anche l’undicesima edizione (2014)
del Premio letterario “Maria Messina” - Un raccon-
to per “Il Centro Storico”, riservato alla narrativa inedita ed edita.
*
ntl LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA - Rivi-sta fondata da Giacomo Luzzagni, diretta da Ste-
fano Valentini, editoriale Natale Luzzagni, vice-
direttore Pasquale Matrone - Casella Postale 15C - 35031 Abano Terme (PD). Del n. 114 (2° Trime-
stre 2014), segnaliamo: “A 450 anni dalla nascita:
Shakespeare poeta”, di Luigi De Rosa; “Miti e leg-gende celtiche: William Butter Yeats”, di Elio An-
driuoli; “El cantar del mio Cid”, di Liliana Porro
Andriuoli; L’intervista a Gaetano Cappelli a cura
di Pasquale Matrone, eccetera. Altre firme di no-
stri amici e collaboratori: Natale Luzzagni, Stefa-
no Valentini, Rosa Elisa Giangoia, Sandro Ange-
lucci, Liana De Luca eccetera.
* ALLA BOTTEGA - rivista quadrimestrale di cultu-
ra ed arte diretta Sergio Manca - via Angelini 16 -
27100 Pavia. Riceviamo il n. 3 (settembre-dicembre 2013), sul quale troviamo le firme di Na-
zario Pardini, Franco Campegiani eccetera.
* RIVISTA ITALIANA DI LETTERATURA DIA-
LETTALE - Periodico trimestrale fondato e diretto
da Salvatore Di Marco - via Veneto 16 - 90144 Palermo. Riceviamo il n. 1 (gennaio-marzo 2013).
*
IL TIZZONE - Periodico fondato e diretto da Alfio
Arcifa - via Amatrice 40 - 02100 Rieti. Riceviamo
il n. 1 (96-97) del maggio 2014.
* IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - Men-
sile letterario di cultura varia diretto da Amerigo
Iannacone, resp. Domenico Longo - via Annun-ziata Lunga 29 - 86079 Venafro (Is). Riceviamo il
n. 4 (aprile 2014), sul quale troviamo le firme delle
nostre amiche Adriana Mondo, Teresinka Perei-
ra, Loretta Bonucci.
*
SOLOFRA OGGI - Mensile diretto da Angelo Pi-
cariello - via Casapapa 1 - 83029 Solofra (AV). Ri-
ceviamo il n. 28 (aprile 2014).
*
NUOVO DOMANI SUD - Periodico di informa-
zione politica e culturale diretto da Fortunato Aloi, resp. Pierfranco Bruni - via Santa Caterina 62 -
89121 Reggio Calabria. Riceviamo il n. 3 (maggio-
giugno 2014).
L’ITALIA
DI SILMÀTTEO di Domenico Defelice
Quinta puntata*
Oh, giorno di splendore!
Vittoria netta, senza precedenti,
non del PD, però, ma di Silmàtteo,
che sbaragliato ha tutti i contendenti.
Ha messo facce nuove;
di sanare ha promesso ogni enfisema;
ha dato fiato alle opposizioni;
allontanato ha la Sinistra estrema
mollando uno schiaffetto al Sindacato
e grandemente, grandemente osato
rivolgendosi, senza titubanza,
ai moderati sotto ogni bandiera
ché, nel Paese, sono maggioranza.
Non ha gridato di tagliare teste,
né d’attivar speciali tribunali.
In faccia all’Europa or si presenti
e ne tracci la linea;
se la Merkel ha vinto,
mai più potrà, nel fare e nel disfare,
esser così fulminea.
Hollande è stato preso a schiaffi e sputi
da Le Pen e, con Marine,
avanza la protesta;
nessuno può ballare come prima.
Entrati son, nel nuovo Parlamento,
dall’euro pelati e bidonati
che canteranno, certo, un’altra rima.
Grillo più non minaccia alcuno sballo,
né la marcia su Roma.
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 45
Ha seminato il panico
a tanti suoi, togliendo la poltrona
solo per qualche critica
od un’apparizione alla TV.
E mentre lui ci andava!
Metro che al Movimento non va giù.
Un flop ha fatto pure la Meloni.
Alfano si accontenta di una cifra
e sotto la mannaia giudiziaria
sempre più si assottiglia FI.
Ha perduto la grinta Berlusconi.
E’ tempo che Silmàtteo ne approfitti
per fare finalmente le riforme
non della sola legge elettorale,
ma di tutte le marce istituzioni.
Una bassa marea veneziana
ha messo allo scoperto il putridore.
La calamita che rastrella l’oro
ha tra le mani Mose1, non il tortore.
Ben 35 arresti alla retata
tra cento e più quaranta gli indagati,
giacché la cricca è assai ramificata.
Ci sta dentro il PD2
caduto nel canale
mentre che da sonnambulo marciava
sotto l’anestesia
d’una presunta alterità morale3;
non manca FI4
il caterpillar della concussione,
sì che mai un suo esponente può mancare
tra ladri, malefatte e corruzione;
c’è pure la Finanza5:
stanca nel rastrellare gli evasori,
ritempra le sue forze nel riposo
e passa con le armi e coi bagagli
tra i suoi nemici e gli intrallazzatori!
Nelle civili regole e morali
l’oscilloscopio ha sinusoide piatta.
Nulla di grave sembra che succeda
a gente solo povera e distratta.
Invece, preme il magma, ad ondate.
Dentro il giardino, sotto il proprio suolo,
Marco Battisti, in quel di Rocca Massima,
al posto di carote e di patate,
coltiva, infatti, chili di tritolo!
Mentre la quiete pubblica si sfrangia
e capolino fa l’ostilità;
mentre il lavoro scema
e gente sempre più non beve e mangia;
mentre le aziende chiudono
o se ne vanno all’Estero;
Laura, l’ineffabile Boldrini6,
ritiene urgenti, anzi, prioritari,
e taglio di capelli e bigodini.
Mette, così, le ali al calendario.
I barbieri si adeguino all’istante.
Si aggiornino di corsa a spese nostre.
Diventino barbieri-parrucchieri!
E’ bene far la barba a dei maschiacci,
così come hanno fatto fino a ieri,
ma non discriminando le colleghe
che sono numerose e belle e toste.
Di boccoli abbisogna la congrega.
Imparino ad usare il calamistro
e sian maestri nella messa in piega.
Domenico Defelice (5 - continua)
* Riassunto delle precedenti Puntate - Una
notte d’estate, Berlusca erutta attraverso un
suo attributo per una condanna definitiva. In
Germania, Angela Merkel è in sofferenza per
una perdurante stitichezza (in senso economi-
co e specialmente nei nostri confronti). Le
giunge la notizia che, nella colonia italiana,
Silmàtteo Renzusconi è stato nominato Se-
gretario del PD., il quale, tra l’altro, vuol
combattere contro l’austerità dell’ Europa a
direzione teutonica. Ai primi di febbraio, un
altro terremoto scuote la politica italiana: A-
lan Friedman rivela, in un suo libro, che, sei
mesi prima delle dimissioni di Silvio Berlu-
sconi da Presidente del Consiglio, Giorgio
Napolitano e Mario Monti avevano tramato
per defenestrarlo. A febbraio, il Governo Let-
ta è sostituito da quello a guida Renzi, forma-
to da giovani di belle speranze, per la metà
donne. L’inizio sembra travolgente, ma è tut-
ta una manfrina in attesa delle elezioni euro-
POMEZIA-NOTIZIE Luglio 2014 Pag. 46
pee. Anche nei confronti dell’Europa a guida
Merkel, Renzi appare fin troppo ... concilian-
te: l’Italia ingoierà ogni medicina che le verrà
proposta! Berlusconi deve scontare la con-
danna ai servizi sociali. Roma, simbolo della
Nazione, è nel caos. Anche per una partita di
calcio ci son pistolettate. Esplode il caso
dell’ExPo milanese e viene enfatizzata la de-
cisione del Sindaco di Pomezia di diversifica-
re la merenda ai giovanissimi allievi delle
scuole pubbliche. Note:
1 - Non il leggendario Mosè che, con la verga, ha aperto un varco in mare per il passaggio degli E-
brei, ma il Sistema di dighe per regolare l’effetto
marea ed evitare l’allagamento di Venezia. 2 - Gli arresti sono 35, ma gli indagati sono quasi
150. Tra quelli d’area PD, troviamo Sergio Orsoni,
Sindaco di Venezia; Giampiero Marchese, consi-gliere regionale eccetera.
3 - E’ una favola metropolitana che la Sinistra sia
moralmente diversa : i partiti politici e, in genere, gli uomini politici, sono onesti e corrotti dappertutto.
4 - Tra gli altri, Marco Milanese, ex deputato e col-
laboratore di Giulio Tremonti; Giancarlo Galan, deputato eccetera.
5 - Spicca l’ex Generale della Guardia di Finanza
Emilio Spaziante. 6 - Presidente della Camera dei Deputati. Sotto la
sua regia, il Collegio dei Questori ha stabilito che i
barbieri, ivi in servizio, facciano un corso di ag-giornamento per curare, oltre la faccia (di gomma)
degli onorevoli maschi, anche le teste e le chiome delle deputatesse (faccia di gomma anche loro,
spesso siliconate!).
LETTERE
IN DIREZIONE
(Ilia Pedrina a Domenico Defelice)
Carissimo Amico,
oggi è il 16 Giugno e domani sarò in volo
verso il Nord dell'Europa, tu sai bene perché!
Poche righe dal mio studio di via Giovanni
Speranza n. 18, per dirti la mia gioia nel rice-
vere stamane il numero di Giugno 2014. Lo
porterò con me insieme agli altri, che dal me-
se di Marzo in poi, hanno visto pubblicati,
grazie al tuo consenso, i miei lavori su Luigi
Nono, su Schoenberg (ora la signora Nuria mi
precisa che si scrive così, perché la loro ori-
gine è spagnola e che lui, il suo Papà, non è
mai stato a Darmstadt, perché a quell'epoca
era con la famiglia e lei giovanissima a Los
Angeles!), sul compositore De Pirro, del qua-
le non ho messo la data di morte perché per
me è vivo e basta. Si, carissimo, perché que-
sto mio modo di vivere il tempo della comu-
nicazione e della relazione deve essere dilata-
to a macchia d'olio: senza lasciarsi fagocitare
dal mero crudo evento che blocca il respiro e
senza andare ogni volta, come faceva il Fo-
scolo, al tempio di Santa Croce in Firenze,
per trovare il coraggio di essere forte di fronte
alle tombe dei 'nostri' eroi, di quegli Italiani in
tutto ed autorevoli e degni di stima perché di-
gnitosi ed in rigore, come l'Alfieri e come
Dante, allora questa pratica dell' 'os mé', del
fare in modo che il nostro agire, come sostie-
ne l'apostolo Paolo, sia conformato alla pre-
senza di Gesù vivo e vero tra noi, credendo
fermamente che la Resurrezione sia veramen-
te avvenuta, allora tutto va oltre ogni sempli-
ce aspettativa e si incontra un 'destino' carico
di trasparente futuro. Nemmeno Nono per me
è morto, perché l'ho trovato in fotografia su
tutte le pareti della Trattoria Altanella: sono
andata la settimana scorsa e mi hanno accolto
con generosa simpatia, prima il papà Stradel-
la, lungo la Fondamenta di fronte al Canale
della Giudecca, classe 1939, che ha comincia-
to a lavorare a 16 anni in trattoria ed ora è
proprio stanco, dopo aver fatto un infarto, poi
i suoi due figlioli. Uno di loro mi ha spiegato
che quando è andato a Cuba ed ha incontrato
il responsabile della Cultura, che aveva cono-
sciuto direttamente Luigi Nono, generoso al
punto tale da portare i primi computer e do-
narli a loro, si è sentito dire 'Luigi Nono, un
uomo immenso!' Come faccio io, dimmi tu, a
non esser presa da 'intelletto d'amore', a non
innamorarmi perdutamente ed eticamente di
lui? Così il destino meravigliosamente incal-
za e mi fa toccare con mano cose che un al-
tro, ricercatore concentrato e non distratto, ci
metterebbe ' annorum' e vita a scoprire. E'
questo il caso delle parole di Nono per Jean
Barraqué e la sua 'Mort de Virgil'! Si, perché
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farò tutto un lavoro sulla teoria letteraria lega-
ta al romanzo, aperta da Thomas Mann ed in-
seguita da Hermann Broch e da altri, sulla fun-
zione dell'opera d'arte, funzione che Jean Bar-
raqué assume su di sé e ne scandaglia i risvolti
e gli intrecci: Virgilio si appressa alla morte e
vuole distruggere l'Eneide, dandola alle fiam-
me, questo il centro del lavoro di Broch, si,
vuole dare alle fiamme il suo capolavoro, per-
ché se è concluso, cosa resta altro da fare? La
morte chiude la vita dell' autore ed il libro,
completato e pubblicato, chiude il suo Autore
in una morsa che non lascia respiro. Andrò an-
cor più in profondità anche su questi due stu-
diosi e musicologi di vaglia, quali sono Paul
Griffiths e Laurent Feneyrou...
Io interrompo la fissità del continuum e mi
salta fuori la tua lettera del 27 Dicembre 1970
al Papà! Un dono incredibile dopo traslochi
ed inondazioni ed epurazioni di 'Mammina'!
Un'amica, graziosamente mi ha detto che 'Dio
xe diventà stralocio, el varda solo da la to par-
te!' Può darsi che Dio sia diventato strabico e
guardi solo dalla mia parte, ma Dio, quel Dio
che atterra e suscita, che affanna e che conso-
la lo cerco sempre e si fa trovare, perché '...in
principium erat Verbum, et Verbum erat apud
Deum et Verbum erat Deum'! Fai bene ad in-
coraggiarmi affinché raccolga tutte le testi-
monianza di Papà, perché dentro c'è vita e vi-
ta vera, quella che 'straborda' dai confini stret-
ti del reale, che oggi ancora soffoca, come ai
tempi di Bruno, di Campanella, del Tasso, del
Vico, di Aldo Moro e di Berlinguer....
Tra le tante, in una foto a colori, dietro il ban-
co della Trattoria Altanella, Nono è con Ab-
bado, Lachenmann, gli Stradella, Cacciari ed
altri e la foto è stata scattata dalla Signora
Nuria: Nono andava sempre da loro a man-
giare ed a bere, quando era alla Giudecca e
mi hanno offerto di tutto, facendomi pagare
quello che pagava Gigi! Un dettaglio: nel
Carteggio Lachenmann-Nono ci sono anche
lettere in italiano perché Elmo (Helmut La-
chenmann) usa scrivere in questa lingua
quando è stanco e non ha da pensare troppo,
così anche per altri testi e lettere di Nono a
lui: gli mostrerò Pomezia Notizie e la recen-
sione del Carteggio ed i miei lavori su Nono e
Arnold Schoenberg così vedremo se sarà feli-
ce e ti dirò tutto nei minimi particolari.
Ti abbraccio forte forte
Ilia tua
Ilia Carissima,
ognuno di noi possiede un modo di rappor-
tarsi con i Campioni del passato e, ancor di
più, con quelli del presente, al quale attingere
continuamente “per trovare il coraggio di es-
sere forti”.
Foscolo soleva andare - come tu ricordi - a
trovare il Grandi nel tempio di Santa Croce,
ben sapendo che la forza, che cercava da lo-
ro, poteva ugualmente attingerla anche stan-
do altrove: dalle loro opere, senza, cioè, la ne-
cessità che egli sostasse accanto alle loro tom-
be. Il recarsi a Firenze era per lui un rito, un
simbolo, un esempio, e Dio solo sa di quanti e
quali simboli, riti, esempi, oggi noi Italiani ab-
biamo bisogno per reagire e scrollarci di dos-
so i mali che ci affliggono e che sono morali
prima che materiali: la corruzione, l’avidità,
la disonestà, il lobbismo, la delinquenza orga-
nizzata e via elencando, che si manifestano so-
lo perché già annidati nel nostro cuore. Se
non c’è data l’ occasione e la possibilità di
recarci in Santa Croce, tutti dobbiamo ricor-
dare che i nostri sacri Templi sono coloro
che rappresentano un simbolo. Perciò, se è
giusto continuare a riferirci ai Grandi che ci
ha dato il passato, altrettanto doveroso è rin-
correre i grandi di oggi, in ogni campo, e che
possono variare per ciascuno di noi. Così, ac-
canto a Dante, Alfieri, Foscolo, Leopardi - a te
e a me in comune -, tu puoi e devi rincorrere
Nono, per esempio, ed io il tuo Papà, per e-
sempio, il grande Francesco Pedrina. Perché
anche oggi i “dignitosi e in rigore”, come tu
scrivi, li abbiamo in ogni campo - letterario,
artistico, musicale -: basta solo cercarli. Ami,
dunque, e additi al mondo ciascun di noi i
propri Campioni, perché anche il mondo si in-
namori di loro e cambi. Ma il campione per
eccellenza, il Sommo, l’Universale, colui che
rappresenta il Passato, il Presente e il Futuro,
è Cristo, al quale l’intera umanità - dei cre-
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denti e dei non credenti - dovrebbe guardare
e conformare l’esistenza, perché i Vangeli
sono, principalmente, norma di vita rivolta a
tutti gli uomini, senza distinzione di razza, co-
lore, censo. [La Fede. E ti confesso che, con
il passar degli anni, la mia, che in passato
pensavo profonda e inossidabile, si è di tanto
affievolita, proprio adesso che ne avrei più
bisogno]. Perciò, Cara Ilia, ti sprono ad an-
dare, finché puoi, all’incontro dei tuoi idoli e
a presentarceli come doni dello spirito. Po-
mezia-Notizie sarà sempre lieta e orgogliosa
di metterti a disposizione le sue pagine.
E vengo alla tua scoperta di una delle mie
tante lettere inviate, a suo tempo, al tuo Pa-
pà. L’emozione è stata grande. Non avendo
avuto mai l’ accortezza di conservare né boz-
ze, né veline, di ciò che negli anni ho scritto
ai tanti amici non ho traccia. Perciò essa mi
ha causato grande gioia. Ed è una conferma
di qual fosse, allora, il mio atteggiamento
verso i miei idoli: al tuo simile, di entusiasmo
e passione, perché il mio credo e la mia fidu-
cia in loro era granitica. Allora, continua a
sfogliare i suoi libri, a scavare tra le sue cose
rimaste dopo le “epurazioni” della tua
Mamma troppo gelosa; rivolgiti ai suoi pochi
amici superstiti, perché non potrai che trova-
re “vita e vita vera”.
Ti abbraccio.
Domenico
COLLABORATORI,
QUESTA TESTATA
È A RISCHIO CHIUSURA!
Questo numero è in forma assai ridotta per-
ché la cassa è completamente vuota. Gli
Autori, ogni volta che trovano la loro firma, o
pezzi a loro dedicati, dovrebbero sentirsi
moralmente obbligati ad effettuare un
qualche versamento volontario. L’ abbo-
namento - e non tutti l’hanno sottoscritto! -
serve appena per l’invio dei 12 numeri annua-
li, unico periodico a mantenere, finora, un ta-
le ritmo. Ci deprime, e fortemente ci indigna,
il fatto che “amici” collaboratori, sentendo un
tale discorso, addirittura si offendano. Amen!
AI COLLABORATORI
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dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione) composti con
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stema, il programma ed il nome del file. E’ ne-
cessaria anche una copia cartacea del testo.
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cartella si intende un foglio battuto a macchina
da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale
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cato è necessario un contributo volontario). Per
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