Pomezia notizie 2016_5
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Anno 24 (Nuova Serie) – n. 5 - Maggio 2016 - € 5,00
ELOGIO DELLE DONNE (CON PRELUDIO ONIRICO-MUSICALE)
di Emerico Giachery
IVERSI anni fa, per ben due volte, l’inconscio, attraverso il sogno, richiamò il Tan-
nhäuser. Pur amando Wagner, non ho un interesse specifico per quest’opera, che
conquistò Baudelaire, quando fu rappresentata a Parigi nel 1860. Ricorderò solo che
la geniale Ouverture, splendidamente eseguita a Roma con l’orchestra di Berlino guidata
dalla mistica bacchetta di Willhelm Furtwängler nei primi anni del dopoguerra, rappresentò
per me un’autentica rivelazione, un “evento”. Nel tempo in cui si espressero i due sogni,
ascoltati e registrati con partecipe interesse, dell’opera mi attrasse il cammino di purificazio-
ne e di iniziazione, che rispecchia il nostro itinerario verso il Sé. L’opera wagneriana è ricca
di spunti simbolici, di emozionanti archetipi. Anzitutto il monte di Venere, Venusberg, con la
sua seduzione; e, contrapposta, Elisabetta, portatrice di redenzione (classica antitesi del Fem-
minile, che culmina nel rapporto Eva-Maria). Inoltre: il pellegrinaggio verso Roma, forte →
D
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All’interno:
Erri De Luca: La faccia delle nuvole, di Ilia Pedrina, pag. 6
Filippide non ha corso la maratona, di Rossano Onano, pag. 10
Leonardo Selvaggi affronta Giovanni Gentile, di Ilia Pedrina, pag. 13
Luigi Maria Lombardi Satriani: L’evasione dai giorni, di Carmine Chiodo, pag. 16
Rossano Onano e il sandalo di Nefertari, di Domenico Defelice, pag. 19
L’opera di Italo Tacelli, di Leonardo Selvaggi, pag. 21
Caterina Felici: Matteo e il tappo, di Tito Cauchi, pag. 26
L’acrobata, di Filomena Iovinella, pag. 29
Premio Città di Pomezia 2016 (Regolamento), pag. 31
I Poeti e la Natura (Salvatore Quasimodo), di Luigi De Rosa, pag. 32
Notizie, pag. 44
Libri ricevuti, pag. 47
Tra le riviste, pag. 48
RECENSIONI di/per: Elio Andriuoli (La notte bianca - Le poesie di Živago, di Paolo Ruf-
filli, pag. 34); Marina Caracciolo (La grande poesia di Gianni Rescigno, di Luigi De Rosa,
pag. 35); Tito Cauchi (Intime annotazioni N°1, di Brandisio Andolfi, pag. 36); Tito Cauchi
(Frammenti di luce indivisa, di Felice Serino, pag. 37); Tito Cauchi (Ancora poesie, di Ma-
riagina Bonciani, pag. 38); Roberta Colazingari (Odi impetuose, di Filomena Iovinella,
pag. 39); Luciano Domenighini (Dicotomie, di Nazario Pardini, pag. 39); Giovanna Li
Volti Guzzardi (Poesie; Poesie e Musica; Sogni; Ancora poesie, di Mariagina Bonciani,
pag. 40); Liliana Porro Andriuoli (Ultimo tocco, di Antonio Spagnuolo, pag. 41).
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Corrado Calabrò, Michele Di Can-
dia, Paolangela Draghetti, Béatrice Gaudy, Eloisa Massola, Adriana Mondo, Walter Nesti,
Susanna Pelizza,Teresinka Pereira
emblema di centralità, e sede storica convali-
data del Sacro (evidente ormai l’importanza
del Sacro nella mia esperienza sia esistenziale
sia saggistica). Infine, la possibilità di rinno-
vamento, di rigenerazione espressa dal basto-
ne pastorale che dovrebbe verdeggiare come
una pianta viva.
Con un’immagine di templare-trovatore-
pellegrino – archetipo per uso personale mol-
to affine a Tannhäuser – mi sono a lungo
identificato in anni giovani; e forse non ho
mai cessato di essere l’antico Minnesänger
pellegrino sulla via del Sacro. Fermiamoci
per un attimo sulle immagini emerse nelle
poche righe che precedono: Venere, Elisabet-
ta, e l’importanza centrale del femminile, e il
duplice volto del femminile, e la strada da
percorrere per realizzare se stessi, e la domi-
nante presenza del sacro, e la musica in cui
tutta la leggenda, la fabula, è immersa, e in-
sieme trascesa, dal genio wagneriano.
A questo punto, ecco tornare alla mente un
sogno lontano, che mi era sembrato a suo
tempo molto significativo. Sul mio cammino
appariva una targa stradale con la scritta Via
musica, ed era una strada che convergeva con
una Via Eva, allusione sin troppo evidente
all’archetipo di un Eterno Femminino non
sublimato, ma comunque primigenio, direi
assoluto. Musica aveva quasi connotato di
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aggettivo, come nei musici concenti di Leo-
pardi. Mi pareva che nel sogno Via musica
fosse seguita da un ad, con l’indicazione di
una destinazione. Quale la meta indicata dalla
preposizione ad? L’avevo purtroppo dimenti-
cata al risveglio, ma la sapevo così essenziale
per la mia vita, che osai integrare con Deum:
addirittura Via ad Deum. Perché no, se si ri-
comincia a parlare, anche da teologi, di Via
pulchritudinis? Certo, nel mio cammino e de-
stino la via “musica”, o anche “musaica”, via
delle Muse, della epifanica bellezza e della
orfica armonia, mi ha addotto ad approdi ca-
paci di offrirmi «quel cibo che solum è mio et
ch’io nacqui per lui». La Via Eva, allora?
Beh, in una delle sue pagine più fervide e da
me predilette, il Proemio alla Quarta Giornata
del Decameron, Boccaccio, che se ne inten-
deva, ci ha insegnato che «le Muse son don-
ne». Come d’altronde lo sono le Cariti, o
Grazie. Quanto alla confluenza musicale, co-
sa si può immaginare di più femminile del ce-
lebre quadro di Gustav Klimt, dipinto in due
versioni (di cui una perduta) e intitolato Alle-
goria della musica?
Piccolo preludio onirico-musicale, si di-
rebbe, quello che precede, in cui la musica,
per impulso incoercibile dell’inconscio, con-
verge con la Donna. È piacevole soffermarsi
un po’ in questo ameno soggiorno tra Muse e
Donne. Boccaccio aiuta con la sua splendida
pagina. Pagina che è un elogio delle donne,
da me condiviso in pieno. A dire il vero un
elogio delle donne piacerebbe molto anche a
me scriverlo, non fosse che per controbattere
lo scandaloso maschilismo imperversante in
tanta parte del mondo, spesso ancorato a cap-
ziosi supporti giuridici e religiosi: alle “quote
rosa” per fortuna copiose nei nostri parlamen-
ti sarebbe difficile attenersi all’assurda in-
giunzione «tacciano le donne nelle assem-
blee», I, Corinzi, 14,34 , o accettare senza
eventuali precisazioni l’inizio del versetto 38
della Sura IV: «La donna è inferiore all’ uo-
mo». Tanto più che gli abituali partecipanti a
dimostrazioni, marce e cortei sembrano (o
sbaglio?) scarsamente interessati alla condi-
zione della donna, al suo asservimento vio-
lento, alla sua disparità giuridica in troppi
paesi. Eppure si tratta di uno dei più dolenti
problemi della comunità umana. Jung, per
quel che ricordo, ha affermato che ci sarà
equilibrio nel mondo soltanto quando la don-
na acquisterà la pienezza dei suoi diritti e del-
la sua piena presenza. Ma a indurmi a scrive-
re un elogio delle donne e della Donna sareb-
be un movente molto più profondo e persona-
le, che apparirà nelle pagine seguenti. Fatto
sta, tuttavia, che per un uomo scrivere, senza
«né risentimenti, né illusioni, né astrazioni
teoriche», sulla donna, così diversa da lui e in
molti aspetti opposta, è impossibile, secondo
Jung (qualche eccezione per gli autori di An-
tigone e di Phèdre, per Flaubert, per Tolstoi,
e via dicendo, possiamo anche farla!). Questo
l’ho imparato scartabellando tra i non pochi
volumi junghiani della mia biblioteca, in cer-
ca dell’importante affermazione citata poche
righe sopra, che peraltro corrisponde alla
concezione del grande maestro della psicolo-
gia analitica. Ma è stato come cercare un ago
in un pagliaio. Ecco, però, che dal saggio La
donna in Europa è emersa un’asserzione, che
spero profetica. La traduco per offrirla ai let-
tori e specialmente alle lettrici, destinatarie
privilegiate di queste pagine: «La donna d’
oggi ha dinnanzi a sé un enorme compito cul-
turale che prepara forse l’alba di un’era nuo-
va».
Rivolgendosi alle donne in prima persona,
Boccaccio scrive così: «io, il corpo del quale
il Ciel produsse tutto atto ad amarvi, et io dal-
la mia puerizia l’anima vi disposi, sentendo la
virtù della luce degli occhi vostri...», e così
via. Incline per indole a sogni cavallereschi
(ecco già riaffacciarsi l’archetipo del cavalie-
re evocato poco fa), e perciò molto più affine
a Federigo degli Alberighi (Giornata Quinta,
Novella Nona) che non al malizioso Boccac-
cio del testo qui ricordato, nella “mia pueri-
zia”, collezionavo comunque “fidanzate”. Fu
precoce, in un cantuccio recondito di casa, il
primo bacio, censurato da un intervento ma-
terno. Erano tempi di ottusi moralismi, di de-
leteria repressione di così spontanei e gentili
atti di fresca vita. (Non ci si crederà: il 18
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marzo 1666 papa Alessandro VII aveva stabi-
lito che persino i baci «dati per il solo diletto
sensibile» possono spedire dritti dritti all’ in-
ferno!). Quanti anni, troppi, troppi, per arriva-
re al secondo bacio e inaugurare la nuova se-
rie!
«La virtù della luce degli occhi vostri»,
scrive dunque Boccaccio. Poi enumera molte
altre qualità femminili più concrete, che ap-
prezzo – c’è bisogno di dirlo? – ma qui non
rievoco. Studioso appassionato, negli ultimi
anni, della luce, del grande motivo della luce,
sia in poesia sia nella simbolica dello spirito,
mi approprio, per ora, di quella “luce” mulie-
bre, che ai miei occhi nasceva da fondo d’
anime, attingeva all’essenza perenne del
Femminile: quasi sostanza cosmica. Anche
senza arrivare a divinizzarla, come fanno i
versetti del Tantra: «La donna è il creatore
dell’universo. / È il vero corpo dell’universo.
/ Non c’è felicità come quella che dà la don-
na».
Mi riconosco in pieno in un verso di Petrar-
ca così caro ad Ungaretti e per lui così esem-
plare, da definirlo una volta il più bel verso
che mai sia stato scritto: «E m’è rimasa nel
pensier la luce». Da alcune incarnazioni dell’
Eterno Femmino, ma solamente da «coloro
che sono gentili e che non sono pure femmi-
ne» (Vita Nuova, XIX), m’è pervenuta tanta
luce, tanta poetica luce. Un destino di timido
Tantalo ha fatto sì che di solito gli oggetti d’
amore sfuggissero, inseguiti anche in paesi
lontani. Dissoltasi, col fluire del tempo e della
vita, l’ombra sofferta della privazione e della
rinuncia e delle attese struggenti e vane, è ri-
masta la luce.
Petrarca, Simone Martini e i germi d’alta
nobiltà e civiltà dello spirito d’una Toscana
che è al contempo Europa generano il volo
(«Vola alta, parola, cresci in profondità... sii /
luce, non disabitata trasparenza...») di un to-
scano europeo che ha riletto Dante accanto a
Mallarmé: Mario Luzi. «Ed ecco che salvifica
interviene la luce, legata però alla figura di
una donna, affiorante di notte in notte». Un
teologo aperto, come tutti dovrebbero essere,
alla bellezza, saluta così i versi del poema Il
pensiero fluttuante della felicità dal volume
Su fondamenti invisibili:
Finché una luce senza margini d’ombra
illumina l’oscurità del tempo,
risale ad uno ad uno i suoi tornanti
e m’accorgo di te entrata nella mia vita...
(Scorre scorre il cammino della vita; ma ec-
co, non previsto, un appuntamento del desti-
no...)
“A Noemi, che è dono e luce”: è questa,
non poteva essere che questa, la dedica del
primo libro pubblicato dopo l’unione sacra
con la donna del mio destino e della mia vita.
Dopo più di un trentennio vissuto insieme, la
riscriverei con le stesse parole. La luce, quan-
do si manifesta non solo come bagliore, ma
anche come continuità e durata, acquista par-
ticolari modalità e qualità. Il dono di luce si
diffonde nel quotidiano per conferirgli signi-
ficato e sapore. Avvalora la condivisione, che
arricchisce le occorrenze del vivere («il par-
tage è ciò per cui siamo nati», scriveva, e pra-
ticava, il grande amico d’anni giovani Eugène
Kuttel, deputato a Berna). Bellezza di un luo-
go bello visto insieme, di un’opera bella am-
mirata insieme: quella bellezza era lì proprio
per aspettare noi due; e per che altro, sennò?
Altra cosa importante da tener presente:
commentata a due voci, con scambio di sen-
sazioni e di impressioni, l’esperienza della
bellezza si potenzia in pienezza e in senso.
Non più giovani (stavo per aggiungere
‘ahimè’, ma no, no, sarebbe ingratitudine ver-
so il destino), seduti quietamente, vis à vis, in
un locale accogliente e gentile, come lo vedo
sempre bello il viso di lei! Nel fluire della vi-
ta, il dono di luce compenetra le mille atten-
zioni e premure, e la tenerezza discreta di cer-
ti gesti e sguardi, che vorrei – e purtroppo
non sono – esser sempre capace di cogliere e
apprezzare nei minimi particolari, e pronta-
mente ricambiare. Chissà di quante provvide
attenzioni e premure oblative non ho neppure
contezza: sbocciano nel silenzio, anche in
mia assenza o in momenti di mia inadeguata
ricezione. Nulla però va perduto. Tutto si
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fonde in aura, in essenza di vita, e si respira
con l’anima. Chi respira, si sa, non si accorge
neppure di respirare; ma l’anima ne resta mi-
steriosamente ossigenata.
Ogni distrazione dietro un pensiero che
abusivo ci occupa, quando invece uno sguar-
do di tenerezza cerca e chiama il nostro, è
mancanza non veniale. Prendersi il proprio
tempo: nemica è la fretta, il rimo alienante
delle nostre vite, anche contro saggi propositi.
Ogni occasione di luce, anche piccola (ma no,
non ne esistono di piccole) da costruire e vi-
vere in due va colta e tenuta ben stretta e con-
servata poi gelosamente come “ricordo di lu-
ce insieme” da rigodere, in aroma e senso,
nell’avvenire. È irripetibile e sacra. Sacra ver-
so la Vita.
La mia “fotologia dell’anima” insegna
che la luce del “due insieme” (uniti e distinti)
della coppia integrata ha maggiori possibilità
di operare beneficamente su altri, di generare
atti e climi positivi intorno a sé.
Il “motivo coniugale” diffonde una melodia
delicata. Lo so bene. Quel motivo, ora, lo
sento crescere di intensità, tra le cadenze della
scrittura, e potrei lasciarlo cantare ancora un
poco. Ma gli si addicono toni discreti e som-
messi, timbri vellutati. Metto la sordina alla
piena del cuore.
Prendo di nuovo a braccetto l’amico Boc-
caccio, lui così malizioso, io così candido e
ben lieto di esserlo. Per concludere, mi rial-
laccio a uno spunto iniziale. Anche dalle
donne che mi hanno donato non molto più
che immagini da sognare, da ricordare dol-
cemente, da desiderare ardentemente, da as-
sociare a progetti di vita non realizzati – a
volte anche la distanza e l’assenza hanno
una propria musica, raffinano il sentire, ce-
sellano l’anima – m’ è pervenuta luce. A
volte soltanto un bel sorriso, un bel sorriso
convinto di donna (come del resto quello di
un bambino felice) può accrescere la durata
della vita. Ne è scaturito, verso l’Eterno
Femminino, un flutto di gratitudine da te-
saurizzare con gioia.
Emerico Giachery Foto prima pagina: Noemi Paolini Giachery
COME ABBIAMO FATTO !?
Immote le case stanno
fra tutti questi suoni
di questi umani giochi
a forma di commedie
che si abbandonano
e si trasformano
in drammi
e poi sfuggono
o condotti
in tragedie
mutanti
nell'oblio
annientando
i nostri giochi
ed il gioco.
Perché ? Perché ! ?
Come abbiamo fatto
a dimenticar Noi Stessi
L' Amore Che Siamo
e lo spirito di gioco ! ?
Come abbiamo fatto
a dimenticar di vivere
la nostra Essenza
il nostro Essere
Spirituali ! ?
Michele Di Candia Inghilterra
LUNEDÌ DI PASQUA DEL 2014
Contro le finestre
dei vicini del pianterreno
mettono
le loro bici i loro scatoloni le loro macerie
i vari materiali che non vogliono più
Dalla finestra buttano
sul loro mucchio di materiali diversi
le loro patatine i loro strofinacci le loro bot-
tigliette
le loro bottiglie di vetro i loro mozziconi accesi
meteore rosse
che hanno appena incendiato
il nostro appartamento
Béatrice Gaudy Francia
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ERRI DE LUCA SCRIVE ED IMMAGINA
IL VOLTO
DEL FIGLIO DEL VENTO di Ilia Pedrina
I compone ora in forma quasi di rap-
presentazione popolare la passione di
Erri De Luca: dare traccia in parole
delle immagini che esse stesse provocano ri-
spetto alla narrazione. Ecco dunque 'La Fac-
cia delle Nuvole', il suo più recente volumet-
to, pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli nel
marzo 2016, per aprire la lettera che compone
la vita concreta di quel Vento che è entrato
nel ventre di Myriam/Maria e si è fatto Ie-
shu/Gesù. In copertina una nuova lettera
ebraica, antichissima, elaborata dall'Ufficio
grafico Feltrinelli: la sua forma mi riporta alla
seconda lettera dell'alfabeto ebraico, la 'beth',
la casa a partire dalla vita e dalla scelta, in
forma chiusa su tre lati ma aperta a sinistra,
perché ci sia un passaggio onde far entrare l'
imprevedibile, fosse anche il male stesso.
L'Autore si trova a suo agio perché dopo
aver tradotto in italiano tutte le parti ebraiche
che compongono la Torah, ha acquisito dime-
stichezza con questa scrittura così sacra da
essere legata al respiro, alla vita stessa di chi
sta investigando. Egli ne dà riscontro allora in
questa narrazione semplice e profonda, poeti-
ca e concretissima al tempo stesso, agile ed
immaginaria, a segnalare, a provocare un
cambiamento nelle nostre rappresentazioni
della piccola famiglia composta da Jo-
sèf/Giuseppe, Myriàm/Maria ed ora Ièshu/
Gesù: “Credere in amore non è cedere, ma
accrescere, aggiungere manciate di fiducia
ardente”, sostiene Erri De Luca nella breve
'Premessa' al canto in prosa che si accinge a
donarci.
Un canto scandito in tre ambienti di vita
quotidiana, nella quale un personaggio discre-
to, saggio ed assertivo al tempo stesso, il
'Narratore' affianca la giovane coppia che ha
sfidato la storia delle leggi e delle consuetu-
dini consolidate, figura palpitante che lascia
in intreccio poi altre voci e più articolati pro-
fili: I Stanza della capanna - II Stanza in Ge-
rusalemme - III Sulla cima del Golgota (pp.
15-65).
In Appendice tre momenti illuminati della
relazione tra Ièshu/Gesù, i suoi amici, il loro
mondo: Ultime istruzioni - Il discorso -
Dayènu, ci basta. Sul colle Getsemani (pp.
S
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 7
67-88).
I pastori che chiedono di vedere il piccolino
parlano la lingua antica delle terre napoletane
e portano doni semplici e necessari come ri-
cotta fresca, legna d'ulivo ben stagionato, lat-
te fresco offerto con devozione: già in ciascu-
no di loro si innesca il bisogno di far assomi-
gliare il volto di questo nuovo nato non a quel
se stesso che sarà, ma al re Salomone, o forse
ad Elia o forse ancora a Davide re anch'esso:
'Josèf: Troppa grazia, è solo una piccola vita
appena spuntata al mondo. Se vorrà il cielo
farà il mestiere mio, sarà un buon falegname.
Di profeti ne abbiamo avuti assai...' (Erri De
Luca, op. cit. pag 25). Qui le rassomiglianze
vanno lontano nel tempo e lo portano avanti
come se fossero l'intimo volto della promes-
sa, che ha in risposta, al suo interno, il fuoco
della speranza, principio d'azione che assume
con forza la direzione tra passato e futuro in
questo presente non ipotetico e senza confini.
È poi la volta dei Magi che si esprimono in
lingua ufficiale e portano anch'essi doni tra
l'incenso e l'oro ma è dalla bocca del terzo,
quello che reca la preziosa mirra, che sgorga
in parole il profondo senso del tempo: 'Terzo
(tra i Magi): … Lo so che non capite la mia
lingua, ugualmente vi dico da questo capoli-
nea del mio viaggio: qui vedo il tempo che si
spezza in due, tra un prima e un dopo. Sono
presente all'ora in cui succede la frattura, ora
nitida in cielo e ricoperta di segreto in terra.
Sul cerchio della meridiana l'ora zero del
tempo è senza ombra...' (op. cit. pag. 28). Gli
eventi si susseguono in lacerante tensione
perché nella 'Stanza di Gerusalemme' l'Auto-
re mette in bocca a Myriàm parole che lascia-
no sgomenti e quasi interdetti: 'M: Hanno
ammazzato i bimbi per cercare il nostro, han-
no versato il più innocente sangue. Che possa
ricadere su di loro il fuoco delle nuvole. Que-
sto nostro bambino inizia la sua vita da
scampato alla strage. Si porta dietro uno
strascico di sangue e il grido di dolore delle
madri. Quanto dovrà fare per ripagare il loro
strazio? Quanta misura di risarcimento dovrà
versare in cambio?...Verrà a sapere da che
storia viene, sarà disperato e niente, nessun
sacrificio gli sembrerà abbastanza..' (op. cit.
pag. 35). Queste parole, ispirate ad una ance-
strale legge che vendica il sangue innocente
versato attraverso il passaggio obbligato di un
sacrificio trasparente, quanto più volontario
possibile, trovano il loro vero spessore nei
ricchissimi profili d'immaginario che l'Autore
porta in sé dopo aver fatto esperienza con le
lettere sacre della Torah, vive e benefiche in
ogni tempo ed aggiungono una versione pro-
fonda, originale, trasversale del sacrificio di
Gesù.
La lettura di questo testo ti coinvolge e non
lascia spazio che per respirare: la 'Stanza di
Gerusalemme' si chiude con pagine d'umanis-
sima semplicità, illuminata dalla dimensione
della fraternità, quella che Ieshu porta in sé
per guarire dalla solitudine e da ogni male.
Comprendi allora, in profondità, che questa è
la stessa mano che ha tracciato la preghiera
laica 'Mare nostro che non sei nei cieli'.
'Narr.: La faccia delle nuvole è il destino di
chi viene scambiato per qualcun altro. Essere
frainteso: faceva guarire e allora accorreva-
no ai suoi passi, ma non era quella la sua
specialità... Semplicemente lui non apparte-
neva al mondo... Esistono energie che tra-
sformano dall'interno una persona, si, una
per volta. Una candela può accenderne so-
lamente un'altra, una per volta...' (op. cit.
pag. 55). L'antica saggezza rabbinica del
Talmud ti viene offerta così, tra le righe e te
ne appropri proprio grazie a quella fraterna
semplicità che incide e modifica i tuoi passi.
'Sulla cima del Golgota': c'è spazio ora solo
per loro due, Josef e Myriam, soli. La narra-
zione nelle pagine a seguire ci avvia ad eventi
che portano luce carica di verità e d'ispirazio-
ne: la Resurrezione come dimensione attiva e
coinvolgente dell'infinito, condivisa con
viandanti in viaggio verso Emmaus; il discor-
so alla folla che si piazza da ogni parte per
ascoltarlo e spiazza gli invasori, quei romani
che non tollerano l'autonomia dei popoli
nell'abitare liberi le loro terre e che ammaz-
zano, si, di tasse e con armi inique. Su di loro,
contro di loro perché ci sia cambiamento, le
parole antiche di un profeta che tutti avevano
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in petto: 'L'uomo in piedi sull'altura si era
schierato, stava con l'abbattuto di vento, con
lo 'shefàl rùah'. La traduzione nostra 'poveri
di spirito', perde per strada il carico prezioso
di Isaia, profeta caro all'uomo sull'altura...
Quando i primi diventano gli abbattuti di
vento non esiste più il potere e il suo diritto.
Era un annuncio che riscaldava il cuore, sen-
za armarlo d'ira e di rivolta. Non valeva più
la pena, non aveva più senso contrastare la
potenza fasulla, priva di fondamento in cielo
e perciò parassita in terra. Date a Cesare tut-
ti i suoi simboli di grandezza, sono solo gin-
gilli per bambini...' (op. cit. pp. 82-83).
Il terzo momento, che conclude questa nar-
razione, porta nelle parole scritte il palpito
dell'ansimare nella solitudine della sofferen-
za, quando si chiede all'altro prossimità e
condivisione e si ha in risposta il sonno a pal-
pebre pesantemente chiuse: 'Ora stava tra gli
ulivi e trasudava stretto tra il desiderio di vi-
vere ancora e l'altra volontà. Ancòra: fino
all'ultima sillaba di vita e caloria, sentiva i
colpi del suo cuore che batteva ancòra, an-
còra, ancòra. In ebraico sono simili ai battiti:
od, od, od...' (op. cit. pag. 87).
Da queste pagine emerge un nuovo profilo
di Gesù: quello delle parole che pronuncia,
lettere messe come selciato di un percorso
che si fa storia e storia tutta interiore, docile
al cambiamento destinale.
Ho affiancato, certo senza premeditazione,
questa lettura a due momenti intensi della ri-
cerca di senso, delle immagini come dei testi
e dei progetti in divenire. Il primo riguarda
Giotto e la sua raffigurazione della morte di
Gesù nella Cappella degli Scrovegni in Pado-
va: il volumetto allegato a 'Il Sole24ORE' è
elaborato da Alessandro Tomei per la Silvana
Editoriale, risale al 2003 e mostra con testi ed
immagini esplicative 'Il Compianto sul Cristo
morto', con il corpo livido di Gesù, quasi del
color della roccia, sostenuto dalle braccia di
Maria: il volto di lei, madre dolentissima, si
avvicina moltissimo a quello del figliolo,
quasi a fornirgli ancora respiro, in drammati-
ca tensione. Sostiene il Tomei:' 'La composi-
zione è dominata dalla figura distesa del Cri-
sto, attorniata dai dolenti, ognuno dei quali
instaura un rapporto emozionale diverso con
il proprio dolore per il sacrificio del Salvator
Mundi e con la rappresentazione della morte
stessa, incarnata dal corpo livido e rigido,
non appoggiato sul terreno ma sorretto dai
dolenti, secondo l'antica tradizione iconogra-
fica bizantina. Tutti gli elementi costitutivi
della scena convergono verso il fulcro espres-
sivo dell'evento: l'intenso, muto dialogo tra la
Vergine e il figlio, ovvero tra la vita e il miste-
ro della morte dell'uomo-Dio. Il dolore della
madre, pur nell'umanissima e protettiva tene-
rezza del gesto, è contenuto, anzi sommessa-
mente manifestato dalla vicinanza dei volti e
dall'intensità fermissima e intima dello
sguardo. È come se Maria volesse dimostrare
la propria consapevolezza della necessità del
sacrificio e al tempo stesso avesse qualche
presagio della imminente resurrezione...' (A.
Tomei, op. cit. pag 7).
Il secondo è relativo all'evento 'Il talmud ri-
nasce dai roghi', articolo firmato da Giulio
Busi per il Domenicale de 'Il Sole 24ORE' del
27 marzo 2016: è stato dato avvio alla prima
traduzione in lingua italiana di tutto il Talmud
Babilonese, grazie ad un importante accordo
tra presidenza del Consiglio dei ministri,
Miur, Cnr, Ucei-Cri, mentre tantissimi sono
gli studiosi coinvolti, circa cinquanta, sotto la
guida esperta del Rabbino Riccardo Shemuel
Di Segni e con Clelia Piperno in qualità di di-
rettrice del progetto. Vi ha parte importante
anche l'Istituto di Linguistica computazionale
del Cnr di Pisa ed il Primo Volume dell'opera,
per i tipi della Giuntina di Firenze e relativo
ai commenti ed al trattato Rosh haShanah, il
Capodanno ebraico, è stato presentato al pub-
blico ed al Presidente della Repubblica Sergio
Mattarella, il 5 aprile scorso, presso l'Acca-
demia de' Lincei in Roma. Sostiene lo studio-
so G. Busi: “Confische, censure, roghi, a in-
tervalli regolari il libro ha rischiato l'estin-
zione. E ogni volta, gli sforzi degli inquisitori
sono stati vani. È vero che i manoscritti anti-
chi sono rarissimi, a causa delle persecuzio-
ni, ma è altrettanto certo che il Talmud è co-
me un fiume contro cui si sono costruiti argi-
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 9
ni e si sono ammassate dighe, senza metterlo
mai in secca. Un autore solo lo si poteva cac-
ciare in prigione, e bruciare. Ma cento, mil-
le? Nel 1553, per volere di Giulio III si fece
un gran falò di copie del Talmud a Campo de'
Fiori, a Roma. Ad andare in cenere furono
carte e pergamene, l'opera continuò a circo-
lare. La diaspora era vasta, molto più capien-
te di una piazza o di una città...” (G. Busi,
art. cit.).
Le lettere ebraiche allora hanno coinvolto,
con il loro fascino, oltre al nostro Autore, al-
tre menti che, dando forza alle mani ed ai
piedi, si sono messi in cammino, per capire
qualcosa ancora del mistero che circola nel
nostro respiro e lo illumina di esperienza.
Ilia Pedrina
SOCRATES 1908
Molti anni fa, nella locanda di Cosma,
si sparava ai barili.
Un colpo e il vino zampillava
come una fontana
inturgidita per il grande caldo
e per quel desiderio di farsi sabbia
e svanire nel fiotto tiepido
di una ferita aperta.
L’ora della siesta era il tempo
delle danze a suon di singhiozzi,
nel retrobottega odoroso di aneto –
e per un secolo si è conservata
la malìa senza nome, intrecciata
ai capelli bui delle donne.
Ogni resurrezione era un fremito
di cosce, un calcio al cane nero,
una bestemmia sussurrata
per oltraggiare il mendicante cieco.
Anche questa notte una canzone turca
fa tremare i fianchi
e ondeggiare i polsi e i rami d’ulivo;
riesce a sovrastare perfino
le chiacchiere inutili degli avventori
e il frinire fino a sera
di donne e cicale.
Sappi che qui
tu e io come altri folli impazienti prima di noi
dovremo crepitare,
stretti nell’abbraccio feroce dei naufraghi,
non più tardi della prossima alba.
(Grecia, luglio 2009)
Eloisa Massola Casale Monferrato, VC
DURANTE LA MESSA
(Parrocchia di S. Cipriano, Milano, 13 mar-
zo 2016)
Scendevano di corsa dall’altare
i bambini di terza e quarta classe
elementare
dopo aver partecipato,
con la loro presenza al fianco
dell’officiante, al mistero
della consacrazione.
Scendevano di corsa disperdendosi
fra i banchi per tornare ai propri posti,
scendevano e si distribuivano
rapidi nei banchi
come pioggia di petali leggeri.
Un pittore
avrebbe certo saputo
fermare sulla tela quella loro
felice corsa,
ma non avrebbe potuto completarla
col loro lieve calpestio evocatore
del battito d’ali di farfalle.
Mariagina Bonciani Milano
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
2/4/2016
L’Ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di
Stato maggiore della Marina, è indagato per
aver patrocinato l’acquisto di quattro navi mi-
litari. Alleluia! Alleluia! Non sarà solo per
questo, altrimenti, per certi nostri magistrati
d’assalto, anche l’auspicare il potenziamento
dei propri mezzi costituirebbe un delitto.
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 10
Erodoto di Alicarnasso
corrispondente di guerra
FILIPPIDE NON HA
CORSO LA MARATONA
Ha invece corso
la gran fondo Atene-Sparta
Senza cavallo: perché? di Rossano Onano
E mamme di Atene. Sente il cuore
scoppiare, la vista si annebbia ma
continua la corsa barcollando, fino a
raggiungere la piazza di Atene gridando
“Nike”, vittoria, poi crolla a terra, ucciso
dalla fatica. La vicenda del guerriero Filip-
pide che corre a piedi da Maratona per an-
nunciare ai cittadi-
ni la vittoria greca
sui persiani di Da-
rio appartiene, dal
tempo delle scuole
elementari, al no-
stro immaginario
collettivo. “Un at-
leta poco allenato”,
commentava Gianni Brera, giornalista spor-
tivo grande e cinico. Il testo di lettura delle
elementari riferiva l'episodio giocando,
ignobilmente, sulla nostra ansia infantile di
separazione materna. Filippide, stravolto
dalla fatica, continuava la corsa senza con-
cedersi una sosta di riposo: “Le nostre
mamme, ad Atene – il maratoneta diceva a
se stesso – sono in ansia, devo annunciare la
vittoria il più presto possibile”. Le spose no,
il testo lo escludeva, chissà i bambini cosa
avrebbero pensato.
Ricordo di avere rivolto alla gentile mae-
stra questa domanda: “Ma Filippide, non po-
teva usare un cavallo?”. Ne ricevevo una ri-
sposta poco convincente: i cavalli erano tutti
morti in battaglia. La stessa domanda: per-
ché Filippide non è montato a cavallo?, l'ho
rivolta per l'ultima volta durante una visita
in Grecia, proprio guardando la piana di Ma-
ratona. La guida turistica, un greco edotto di
storia, mi rispondeva mimando il gesto di
Balotelli dopo un gol, quando si toglie la
maglia e mostra i muscoli: “Perché Filippide
voleva dimostrare di essere forte!”. Ma co-
me, le mamme di Atene non avevano più
fretta?, non erano più ansiose?
Gli asini di Dario. Per sapere come siano
andate le cose, mi sono affidato alla lettura
di Erodoto, formidabile cronista delle guerre
persiane da poco trascorse. Il Gran Re di
Persia, Dario, prepara l'invasione della Gre-
cia prendendo la faccenda un po' da lontano:
decide di aggirare la Grecia assoggettando
dapprima gli Sciti, popolazione nomade af-
facciata al Mar Nero. Alle spalle degli Sciti
la sterminata pianura russa, d'inverno rico-
perta da fiocchi di cotone, che sarebbero poi
la neve. Essendo nomadi, gli Sciti erano ab-
bondantemente provvisti di cavalli.
Vale la pena ricordare quale sia stata la lo-
ro strategia difensiva: cercano dapprima l'al-
leanza dei popoli vicini. Alleanza che, tra-
mite ambasciatori, viene rifiutata:
“Questo messaggio fu riportato agli Sciti,
i quali, come l'ebbero conosciuto, delibera-
rono di non venire in nessun caso aperta-
mente a battaglia campale col nemico, dato
che gli altri popoli non volevano confede-
rarsi con loro; ma di ritirarsi a poco a poco,
con le cose loro, colmando e otturando nel
L
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 11
passaggio i pozzi e le fonti, ed estirpando
l'erba dal suolo, divisi in due corpi d'arma-
ta”.
I due corpi d'armata portano a spasso l'eser-
cito di Dario, mantenendosi alla distanza di
un giorno di cammino. I Persiani incalzano,
senza mai raggiungerli. Finché, sfiniti e ridot-
ti alla fame dalla mancanza d'approvvigiona-
mento, decidono di tornare alla costa, per im-
barcarsi e tornare in patria. Nel corso dei se-
coli successivi, i condottieri avventuratisi per
le pianure russe sono caduti nello stesso tra-
bocchetto. Napoleone e Hitler non avevano
letto Erodoto. Mussolini, che era maestro di
scuola, avrebbe dovuto conoscerlo.
Veniamo al dunque. I Persiani manovrano
per imbarcarsi, i due corpi d'armata degli
Sciti, con tutti i loro cavalli, fanno marcia
indietro e convergono per sterminarli. L'e-
sercito di Dario, però, è abbondantemente
provvisto di asini e muli:
“La Scizia, come ho già ricordato, non
produce né asini né muli; così, in causa del
freddo, non si può trovare in tutta la Scizia
un solo asino o un solo mulo. Accadeva,
perciò, che il raglio degli asini imbizzarriti
portava lo scompiglio nella cavalleria sciti-
ca; e spesso, nel bel mezzo d'un assalto,
all'udire il raglio degli asini, i cavalli retro-
cedevano spaventati, drizzando per stupore
gli orecchi, come quelli che non avevano
mai, prima d'allora, udito quella voce, né
veduto simile animale”.
Bisogna ammettere che i cavalli degli Sciti
fossero parecchio sensibili. E comunque, le
cose andarono così: furono gli asini e i muli
a salvare l'esercito di Dario.
La prudenza di Milziade. Riguardo alle
qualità militari del Grande Re di Persia, pa-
ragonato ai suoi predecessori, Erodoto se la
sbriga con una frase:
Ciro era un padre, Cambise un despota,
Dario un mercante.
Seppure mercante, nelle cose di guerra
Dario era parecchio puntiglioso. Imbarca
sulla flotta tutti gli asini e i muli e decide di
assalire direttamente la Grecia, sbarcando a
Maratona.
A capo dell'esercito greco è Milziade, ate-
niese, il quale raggiunge a sua volta la piana
di Maratona e pensa di fermare i nemici, di-
ciamo così sul bagnasciuga, appena sbarcati.
Il genio militare di Milziade è straordinario:
dispone il proprio esercito in modo che il
centro sia debole, mentre rafforza le due ali.
I Persiani sfondano il centro e avanzano, in-
cuneandosi fra le due ali, che convergono su
di loro. I Persiani si trovano circondati, soc-
combono. Nel corso dei 2500 anni successi-
vi, tutti i più grandi condottieri della storia
hanno copiato Milziade, schierando al cen-
tro la compagine più debole, e rafforzando
le ali. Il nemico, che evidentemente non ha
letto Erodoto, quando vede un centro debo-
le non resiste, avanza e s'imbottiglia.
Erodoto non dà cenno che l'esercito greco
a Maratona fosse provvisto di cavalli. Per
quale motivo?, continuo a chiedermi, e mi
do una spiegazione affascinante. I Greci
dell'epoca erano svegli come le nostre Re-
pubbliche Marinare del Medioevo: solcava-
no i mari istituendo stazioni commerciali
sulle coste. Avevano stazioni anche nel Mar
Nero, dove erano venuti a contatto con gli
Sciti. Curiosi come erano, i Greci si faceva-
no raccontare le storie locali, e gli Sciti ave-
vano riferito la faccenda degli asini e muli
persiani diabolici, perché in grado di spa-
ventare i cavalli. Motivo per cui Milziade,
prudente, decide di combattere a Maratona
senza cavalli, non si sa mai. Ovvero: Filip-
pide non può andare a cavallo da Maratona
ad Atene, perché l'esercito greco era sprov-
visto di cavalli.
A questo punto, uno si aspetta che il pi-
gnolo Erodoto ci renda comunque edotti cir-
ca l' impresa di Filippide, che corre a piedi
verso la sua città per annunciare la vittoria.
Invece, niente. L'esercito greco, dopo la vit-
toria, torna tranquillamente ad Atene, senza
farsi precedere da una staffetta. Ovvero: la
corsa di Filippide senza cavallo da Maratona
ad Atene non c'è mai stata, è una bufala.
La Gran Fondo Atene-Sparta. Senon-
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 12
ché, il corriere Filippide compare in altra
sede, prima di Maratona. Gli ateniesi cerca-
no l'alleanza di Sparta: E per prima cosa gli
strateghi, mentre erano ancora in Atene,
mandarono araldo a Sparta Filippide ate-
niese, di professione emeròdromo. Mi av-
valgo di antichi studi liceali per capire cos'è
un emeròdromo: un uomo “capace di correre
per un giorno intero”. Filippide giunse a
Sparta il giorno dopo la sua partenza da
Atene,e chiede aiuto. Ovvero: percorre in 48
ore più di 200 Km, a piedi. Altro che mara-
tona olimpica, si tratta di 100 Km al giorno.
Non è uno scherzo, ma un emeròdromo ce la
può fare. Gli Spartani, pensando in cuor loro
“abbiamo già dato alle Termopili”, rispon-
dono all'invito chiedendo tre giorni di tempo
per preparare l' esercito e mettersi in marcia.
Arriveranno ad Atene quando la battaglia di
Maratona è già agli archivi. Filippide ha
corso più di 200 Km in 48 ore per niente.
Detta così, l'impresa è ugualmente straor-
dinaria, ma non ha nulla del carattere epico
di cui si ammantano le leggende. I Greci,
meravigliosi artisti del pensiero, ne hanno
bisogno. E allora, ultima spiegazione: Filip-
pide è stato l'inutile corriere inviato a Spar-
ta; trasferito, nella leggenda orale, a Mara-
tona per stramazzare gloriosamente di fatica
gridando alla mamme ateniesi: “Nike”, vit-
toria.
La Matrioska. La storia è una Matrioska,
la bambola russa che contiene una bambola
che contiene un'altra bambola, e così via. Ti
sembra di risolvere un problema, e se ne
apre un altro: perché Filippide, dovendo
percorrere gli oltre 200 Km da Atene a Spar-
ta, non ha inforcato un cavallo?
Rossano Onano Carissimo Rossano,
chi segue da vicino Pomezia-Notizie sa che la no-stra - sempre più limitata per spazio - Redazione è,
in effetti, un autentico porto di mare. Dal 2007
ospita costantemente gruppi ristretti di giovani lau-reandi (tre, quattro per volta); da sempre, invece, è
frequentata, da affiatati collaboratori dei paraggi
(un esempio è il carissimo amico prof. Tito Cauchi, che viene a trovarci quasi ogni mese) e da collabo-
ratori italiani e stranieri che, arrivando a Roma
per vari motivi, decidevano e decidono di far visita
alla mia creatura di carta, con ciò riempiendomi di
orgoglio. Ricordo, per esempio, i tanti incontri con Solange De Bressieux (della Sorbona di Parigi);
con l’attore Hubert Gravereaux (pure francese);
con Anita Nardon (poetessa belga innamorata dell’Italia); con Orazio Tanelli (arrivato dal Molise
- dove aveva trascorso alcuni giorni - con un grup-
po di parenti, prima di rimbarcarsi su un volo per gli USA dallo scalo di Fiumicino); con Maria Gra-
zia Lenisa (da Terni, assieme al marito e alle due
figlie, Marzia e Francesca, ancora piccole); col pit-tore e scrittore Saverio Scutellà eccetera. Un lungo
elenco se volessi riportarli tutti, del passato e del
presente. Ora, siccome il cinque aprile scorso, inviandomi
il pezzo - da te stesso definito “semiserio” -, mi
chiedevi “se hai una tua versione, diversa dalle mie, potresti aggiungerla in calce”, ho pensato di farlo
leggere in anteprima a un gruppetto di studenti
universitari (due ragazze e un ragazzo) nell ’incon-tro dell’otto aprile mattina.
Sono rimasti affascinati. Il maschietto s’è per-messo pure di cazzeggiare sulle spose dei poverac-
ci che combattevano a Maratona, mentre le donne
hanno tifato per le madri dei militi e per i figli, in ansia, speranzosi di poter abbracciare i propri ca-
ri.
Riguardo la vicenda del maratoneta, si è escluso che egli fosse “un atleta poco allenato”; che i ca-
valli fossero tutti morti; che “Milziade, prudente”,
avesse deciso “di combattere a Maratona senza ca-valli”. Una delle ragazze ha propeso che fosse un
“emeròdromo”. L’altra, che fosse un soldato pede-
stre, che, cioè, combattesse solamente a piedi e non
fosse in grado di andare a cavallo. Il maschietto,
però, prendendola alla larga, ha voluto prima rac-
contarci dei raduni romani dei Gay Pride, con i giovani e le giovani travestiti da papa e suore, o,
per lo più, quasi svestiti per mettersi in evidenza,
per attirare l’attenzione, concludendo che Filippi-de, fosse stato un “emeròdromo”, un fante, un
combattente pedestre che non sapesse andare a ca-
vallo, ma anche un bel gay vanitoso ed esibizioni-sta (si correva nudi e nudi anche spesso si combat-
teva).Milziade - come Pericle, come Ciro e tanti al-
tri - era un incantatore di popolo, ma anche uno stratega e per annunciare la vittoria avrebbe potu-
to organizzarsi diversamente, ma Filippide, col suo
corpo statuario alla Balotelli, ha insistito, lo ha pregato, ha quasi pietito, convincendolo: “Ci vado
io! Ci vado io!”, per farsi ammirare e desiderare.
La sua, insomma (e concordo), è da considerarsi solo una nuda, narcisistica esibizione finita male!
D. Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 13
LEONARDO SELVAGGI AFFRONTA GIOVANNI GENTILE
E NE NASCE UN DETTAGLIATO
E STIMOLANTE PROFILO di Ilia Pedrina
OMEZIA-Notizie, lo sappiamo da
tempo, è un punto di riferimento assai
ampio per investigare attraverso l'opera
di tutti i collaboratori, la Cultura, la Storia, la
Poesia, le Arti e le Vicessitudini d'ogni gior-
no, quasi un crogiolo di conoscenze e di moti
dell'intelletto, in concentrazione pensosa o in
arguto e dinamico incedere. Tutto questo per
formare, non solo per informare. Alla sua
guida, da oltre quarant'anni Domenico Defe-
lice, che sferza il potere a schiette sciabolate
metaforiche e che nel contempo sa far vibrare
parole in canto che, oltre alla lingua francese,
chiedono ora altri approdi, altre sonorità per
più ampie risonanze in riscontro. Questa
premessa è necessaria per avviare il mio
viaggio intorno ad un articolo di Leonardo
Selvaggi, 'L'ATTUALISMO DI GIOVANNI
GENTILE (Castelvetrano 1875 – Firenze
1944), apparso su questa Rivista nel Novem-
bre 2015. Si suddivide in quattro sezioni es-
senziali ed efficaci al tempo stesso perché,
credetemi, una sintesi così articolata e perti-
nente non mi era stata ancora offerta alla let-
tura. Su Giovanni Gentile lavoro da tempo ed
ho sentito emergere a gran voce, nello scritto
del Selvaggi, la richiesta urgente di approfon-
dire gli aspetti complessivi di questo filosofo
tutto italiano!
Nella Sezione I egli offre le coordinate bio-
grafiche della formazione teorica ed esegeti-
ca, critico-esperienziale del Gentile, proprio
in quella Scuola Normale di Pisa, quale allie-
vo di Donato Jaia, del quale poi verrà a conti-
nuare l'insegnamento, in modo originale e
compiutamente vitalissimo: importante e
denso di future investigazioni è il breve elen-
co di lavori del Gentile che si agganceranno a
questa matrice e ne daranno ottimi frutti: “…
'Rosmini e Gioberti', l'edizione dei Dialoghi
Italiani del Bruno, il commento all'Etica di
Spinosa, il volume su Telesio, la traduzione di
parte della Critica della ragion pura di Kant...
le 'Ricerche storiche' dal Genovesi al Gallup-
pi e l'ampio saggio premesso all'edizione in
volume degli 'Scritti filosofici' dello Spaven-
ta...” (Pom. Not. Non 2015, pag. 29). In que-
sta stessa sezione dati biografici di rilievo es-
senziale, come l'amicizia e la collaborazione
del Gentile con Benedetto Croce fino ad arri-
vare al suo ruolo istituzionale come Ministro
della pubblica Istruzione, dal 1922.
Nella sezione II Leonardo Selvaggi appro-
fondisce le caratteristiche di quella Riforma
della Scuola Italiana, in vigore dal 1923 e ben
solida a tal punto da chiamarsi 'Riforma Gen-
tile' e da durare così molto oltre la fine del
Fascismo e della II Guerra Mondiale, con
gran parte dei docenti intenti ad ignorare sia il
suo Autore che il suo Pensiero! “…. Sempre
più legato al regime, approva il Concordato
con la Chiesa cattolica... Nel 1943 non si
stacca dal fascismo, aderisce alla Repubblica
di Salò. Questo senza dubbio costituisce un
atto di fedeltà al regime di cui è stato il leader
culturale, e, oltretutto un atto di coerenza mo-
rale. Nel 1944 viene ucciso da mano partigia-
na, davanti alla sua casa di Firenze” (Pom.
Not. op. cit. pp. 29-30): così il Selvaggi, con
stile scarno ed al tempo stesso illuminante, ha
preparato il terreno per affrontare, nella se-
zione III, le linee portanti del pensiero del fi-
losofo, tutte convergenti nel dare concretezza
al pensiero che si fa azione, passando attra-
verso la citazione dei suoi scritti filosofici e
storici dal 1911 al 1943, sostando appunto
sugli approfondimenti legati sì alla filosofia
tedesca, ma illuminati profondamente dalla
propria originalità in divenire, che ha solide
radici nella storia del pensiero filosofico ita-
liano. Sostiene L. Selvaggi per chiarire questo
complesso tema: “... Gentile oppone alla lo-
gica statica del pensato la logica del concreto.
All'origine di tutto è dunque l'atto del pensie-
ro pensante, che è il costituirsi della verità
nell'atto stesso del pensiero che pensa... Arte
e religione non possono sussistere se non in
quanto l'una e l'altra si risolvono nella filoso-
fia, è la sintesi che rende possibile la tesi e l'
P
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 14
antitesi. Pertanto arte e religione debbono ve-
nire assorbite dalla filosofia...” (ibidem).
Nella sezione IV il Selvaggi analizza in
modo acuto e pertinente aspetti interni del
pensiero di Giovanni Gentile a confronto con
la filosofia di Benedetto Croce ma non solo:
si deve prendere in mano questa traccia illu-
minante perché chiarifica complessi versanti
dell'autonomia del pensiero filosofico italiano
rispetto alle investigazioni di Kant e di Hegel,
a partire proprio dalla produzione filosofica e
pedagogica del Gentile.
Mi riservo allora una necessaria sosta sulla
Sezione I, sosta che va a sottolineare l'impor-
tanza tecnica di dettagli messi in luce palese-
mente: il vincolo teoretico che aggancia Gio-
vanni Gentile a Bertrando Spaventa, da un la-
to, e la profonda consapevole ed organica co-
noscenza della lingua tedesca onde avviarsi
nell'avventura della traduzione del testo di E.
Kant dall'altro, con al centro, tra i due grandi
mondi filosofici, i lavori del Gentile su Gior-
dano Bruno e Baruch Spinoza. Allora mi
prendo il volume del Gentile 'STUDI SUL
RINASCIMENTO', seconda edizione riveduta
ed accresciuta, nel quale si susseguono pagi-
ne interessantissime che raccolgono i suoi
approfondimenti interpretativi su Francesco
Petrarca e sui Dialoghi di Platone posseduti
dal Petrarca stesso e poi ancora su Paolo Ve-
neto, Leone Ebreo e Spinosa, su Machiavelli
e la sua etica, passando sotto analisi i suoi
concetti di religione e virtù, su Giordano
Bruno, su Tommaso Campanella, su Galileo e
i filosofi napoletani, con uno studio, il XVIII,
che ha per titolo 'Contributo alla storia del
metodo storico', che conclude il volume edito
a Firenze da G. C. Sansoni, nel 1936 – XIV,
di circa 300 pagine.
Prendo in esame la Sezione X di questo te-
sto, 'Studi Bruniani', che analizza in tre distin-
te parti, gli studi più aggiornati sul Nolano:
I. Un libro inglese;
II. Due libri italiani;
III. Un libro francese.
Mi soffermo sulla prima parte, nella quale
Giovanni Gentile sostiene: “Dopo la mono-
grafia ancora utile di I. Frith (Isabella Oppe-
nheim), riveduta dal Carrière (1887), ma di-
rettamente concernente solo la vita di Bruno,
la letteratura inglese s'è arricchita testè di un
eccellente lavoro del prof. Intyre dell'Univer-
sità di Aberdeen; il quale ha scritto sul Bruno
uno di quei libri ordinati, semplici, eleganti di
cui gl'inglesi posseggono il segreto; in cui la
critica e l'anima dello scrittore si mostrano il
meno possibile (as little as possible) e sono
abilmente dissimulate dall'arte di narrare e di
esporre, che lo scrittore adopera, di un'appa-
renza quanto mai ingenua, senza professione
di metodi da seguire, senza discussioni o po-
lemiche con gli studiosi precedenti. E la stes-
sa preparazione erudita dell'autore si conten-
ta di apparire discretamente in una semplice
lista bibliografica a capo o in fondo al volu-
me, la quale rende possibile che nel corso del
libro l'apparato delle citazioni, spesso così
pesante nei libri di storia tedeschi e italiani,
si restringa a brevissimi rimandi, che non di-
straggono l'attenzione di chi legge..” (G.
Gentile, Studi sul Rinascimento, op. cit. pag.
143).
Il Gentile si riferisce qui all'opera di J.
Lewis Mc Intyre 'G. Bruno', London, Mac-
millan, 1930, suddivisa in due parti, una de-
dicata alla vita del Nolano, l'altra alla sua fi-
losofia, con tutti quei nodi che si intrecciano
quando si tratta di essere denunciati -nel caso
di Bruno a Venezia dal Mocenigo- a partire
dalle proprie convinzioni intellettuali e non
forse dalle distorsioni di esse provocate nella
mente dello zelante accusatore ('le imputazio-
ni del denunziante', come scrive il Gentile!).
Nodi dei quali Giovanni Gentile dà appro-
priati profili ed intersecazioni, onde andare a
chiarire, anche con il sostegno di altri studiosi
in questo campo, come si siano svolti i fatti e
quali i reali, concreti intenti teorici ed investi-
gativi, in materia di religione e di filosofia,
portati avanti dal Bruno nei suoi testi. Innanzi
a tutti quel che di prezioso il Gentile trae dal
Mc Intyre: “... Luce nuova, come annunziata
nella prefazione, l'Intyre ha procurato di get-
tare sugli anni del Bruno passati (1583-85)
nella Gran Bretagna, sui suoi rapporti con
Castelnau, e sulla parte avuta in alcuni mo-
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 15
vimenti letterari del tempo. Ma neanche a lui
è riuscito di scoprire documenti diretti, relati-
vi a questo periodo della biografia bruniana;
periodo, del rimanente, a noi più noto e più
chiaro d'ogni altro nella oscura vita del No-
lano, grazie alla copiosa e vivace rappresen-
tazione che egli stesso ne fece ne' dialoghi
italiani...” (G. Gentile, op. cit. pag 145). E ci
son tracce di Bacone, che Bruno può incon-
trare in Inghilterra o di probabili e non ancora
ben chiariti rapporti tra Bruno e Shakespeare:
su questo tema ben illuminante l'analisi di
Gilberto Sacerdoti su Bruno e Shakespeare
che andrò a recensire a tempo debito (G. Sa-
cerdoti, Sacrificio e sovranità – Teologia e
politica nell'Europa di Shakespeare e Bruno,
Ed. Einaudi, Torino, 2001), mi porterà ancora
a collegarmi con Giovanni Gentile, ringra-
ziando così nuovamente il dotto Leonardo
Selvaggi per questo importante e circostan-
ziato, stimolante profilo.
Ilia Pedrina
UN BRINDISI A TEMPO DI VALZER
(sulle note della ‘Vedova allegra’ di F. Lear)
Dall’azzurra nuvoletta
di lassù
nonno Pietro a nonno Eugenio
mostra giù
di Lambrusco vigne rosse
tal rubin
che buon vino danno nero
e frizantin.
“Caro amico” dice Eugenio
“Il mio vin
di Toscana è invece Chianti
sopraffin”.
“Dài, allor cos’aspettiamo!
Su, facciam ‘cin-cin’.
Tu col Chianti, io col Lambrusco,
fino al mattin!”
Sulla terra i due nipoti
danzano,
coi bicchieri nelle mani,
brindano.
“Alla nostra unione.
Ai nonni di lassù.
Un goccio di Lambrusco
ed un buon Chianti, su!”
Paolangela Draghetti Livorno
IN QUESTO VENTO
Frusciano le foglie in questo vento che viene fra questi alberi si carezzano l'un l'altra e si concedono terra. Spargono colori i raggi della luce del sole dell'attorno tra le foglie vibranti e si chiazzano sull'erba. E' una pace vissuta e qualcosa si può fare si può sempre fare anche s' è bello stare in questo percepire senza pensare in questo spazio di vita così.
E chissà quando ci riconosceremo spirituali immortali.
Michele Di Candia Inghilterra
STORMCLOUD
Sei apparsa sul mio sentiero
come una nuvolanembo
che in un istante è grande quanto il cielo.
Corrado Calabrò Roma
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 16
LUIGI MARIA
LOMBARDI SATRIANI L’EVASIONE DAI GIORNI
di Carmine Chiodo
IA Elio Pecora sia Dante Mafia colgo-
no molto bene la fisionomia di queste
originalissime poesie del noto e ap-
prezzato antropologo Luigi, M. Lombardi-
Satriani ,che fin da giovanissimo si è cimen-
tato nello scrivere versi e dopo varie espe-
rienze di vita e di studio ecco che viene fuori
questa silloge poetica che è convincente e
nello stesso tempo, lo dicevo prima, originale
nei contenuti e nella lingua. Una poesia, que-
sta di Lombardi-Satriani che appartiene tutta
all’uomo, allo studioso, al poeta Lombardi-
Satriani che si confessa e lo fa senza reticen-
ze: la sua poesia è poesia d’amore, quell’
amore visto e assaporato, concretizzato in va-
rie maniere e forme.
Da vario tempo leggo poesia contempora-
nea e non mi sono mai imbattuto in versi cosi
nuovi e originali come questi che apparten-
gono a questa silloge, attraverso i quali si co-
glie il modo di poetare dell’amore con temi
diversi ma penetranti; versi che dicono come
sente l’amore il poeta, lo vive e lo soffre pure,
lo attende; amore che ha caratterizzato e ca-
ratterizza la sua esistenza. Ma ascoltiamo la
voce del
poeta: <<
Abbracciare
una don-
na/di notte
/e non esse-
re soli,/ è
tentare uno
schermo tra
la tua vita e
quel
buio/che
hai a volte
intravisto /e
sai che ti at-
tende /ma
non dove né
quando./Abbracciare una donna /di notte è
trovare calore /e allontanare quel freddo/che
ti richiama alla mente altro freddo /altre cose
/ che non puoi avere compagni /per tutta la vi-
ta>> (Abbracciare una donna, p.55); << Le
cosce, la bocca, il seno di un’altra / o di un’
altra /con cui ho diviso serate/ e qualche
momento di gioia,/ che ho goduto con egoi-
smo da uomo / con difese e in maturo equili-
brio /è pensiero cui a volte ricorro /ché si at-
tenui la sete di te>> (Mi ritrovo ragazzo,
pp.57). Comunque la poesia di Lombardi-
Satriani procede con diversi ritmi e presenta
varie situazioni, tutti espressi con linguaggio
chiaro, intenso, che non presenta punte oscu-
re, enfatiche, cervellotiche; c’ è un continuo
rifarsi all’amore, alla donna che ora corri-
sponde e ora no, l’amore altre volte che è as-
sente o si allontana, oppure l’amore che non
appare a << lenire il dolore>> per cui << Son
dure a passare/queste ore di notte / pensando
a te, amore /che non appari a lenire il dolo-
re>> (Questo stare in ascolto, p. 65). Più va-
do avanti nella lettura e più mi convinco che
in Evasioni dai giorni nessun verso o imma-
gine o situazione riecheggia altri poeti che la
tradizione ha decretato essere grandi, quelli
del Novecento, più vicini a Lombardi- Satria-
ni, La sua è una poesia che nasce da vere si-
tuazioni ed emozioni espresse poi con un lin-
guaggio all’apparenza comune ma che dice
la bellezza, la forza, la fisionomia dell’amore
di un uomo che è andato alla ricerca di esso.
Non viene mai meno l’anelito ad amare,
all’amore; c’è sempre – come confessa il poe-
ta in Sapore di vita (p. 76) - << (…) la voglia
improvvisa /di stringere ancora / un altro cor-
po di donna ,/ché non vuoi esser saggio/e ar-
renderti al feroce fluire del tempo>>. Vita e
amore: c’è tutta la vita e l’anima del poeta e
uomo Lombardi- Satriani in queste poesie ri-
flessioni sulla vita e sull’amore; poesia sor-
gente dalla memoria e dai ricordi giovanili e
che appartengono ad altre età dell’esistenza
fino ad arrivare all’età adulta, anziana ma si è
sempre attaccati all’amore, si tende sempre
ad esso: la voglia d’amare e d’ amore non
viene mai meno e al poeta per questo il poeta
S
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 17
ama e gli <<piace spiare >> sul corpo del fi-
glio Alfonso quelli che sono i << segnali /di
quella nuova esperienza /che è l’amore per
qualcuno che non sia /il padre o la madre>>,
e ancora in questa poesia, tenerissima poesia
al figlio Alfonso si legge: << Mi piace pensa-
re che anche tu sarai bruciato /dal fuoco / che
arde la vita, ed è vita:/ mi piace pensare /che
per uno sguardo / ti sentirai capace di tut-
to;/mi piace immaginarti /pazzo di amore,/ fe-
lice, commosso, angosciato,/arrabbiato, esal-
tato ; (…)>> (p. 70). Sono convinto che le
poesie che formano la silloge che sto esami-
nando sono scritte di getto come sentimenti
ed emozioni dettano, e ciò viene fatto con
sincerità e verità. Ci troviamo di fronte a versi
che hanno il sapore talvolta di una definizione
secca e categorica oppure hanno un tono col-
loquiale, narrativo, riflessivo: << Libertà
è/scegliere che il proprio destino si compia>>
(Gabbiano, p, 69); altre volte i versi si espan-
dono più largamente e sortiscono da altre ri-
flessioni e situazioni. << La sessualità che nel
giovane /è diritto e splendore /nel vecchio è
impossibile e oscena /e viene negata nono-
stante il corpo che pulsa,/ senza voler ascolta-
re ragioni /o possibili appelli>> (Gentilezza e
stupori, p. 8). Il Lombardi-Satriani si serve
della poesia per scrivere della sua vita, della
concezione dell’amore, e di come lui ha ama-
to e ama e lo dice in modi armonici e diretti e
senza alcuna retorica o enfasi. Una poesia
unitaria e armonica, e tutto si affida a un rit-
mo nella maggior parte dei casi narrativo ma
nel contempo molto lirico e questo ritmo ac-
compagna le situazioni che si notano in versi
precisi e chiari come questi che ora cito: <<
La vita non consente ritardi / o processi di
appello;/ è essa stessa un processo; (...)>> (Il
castello, p. 68). Comunque nonostante il
tempo passa, l’età” si fa più matura e anzia-
na, nonostante si è << vecchi>> il << sangue
>> urla e << l’impeto del cuore /è un bisogno
di vita /che vuole ancora essere /e negare la
fine /anche se ormai è prossima>>. “Certo il
tempo dinanzi /si restringe sempre di più,/
con oggettiva ferocia./Eppure continuo a
cercare parole/prole, parole/fino a che il
buio verrà/e sarà davvero tutto finito>> (Ho
citato da Congedo, p. 97). Ho voluto citare
questi versi in quanto sono quelli che mostra-
no meglio l’intenzione poetica di Lombardi-
Satriani che è quella di dire chi è stato, e che
cosa è stata ed cos’è ancora la sua vita ricca
di ricerca, di emozioni, di studi, di amore e
che continua sempre. La poesia di Luigi M.
Lombardi-Satriani è poesia di sostanza e di
pensiero, non orecchiata o piena, peggio an-
cora di luoghi comuni o di versi scipiti e cer-
vellotici ma al contrario ci imbattiamo in ver-
si chiari, sinceri, ben fatti e costruiti: << La
gentilezza sollecita /di persone che mi danno
soccorso / o che mi cedono il posto negli au-
tobus /mostrandosi volenterosi e cortesi /sono
per me umiliazioni /perché mi confinano nel
ruolo di vecchio /cui sono negati /desideri e
pulsioni.>> ( Gentilezza e stupori, p. 81);
<<Ma tu non sei più un ragazzo /e i castelli li
fai con fatica./ E quando le case ridiventano
rena bagnata /il dolore che provi / non puoi,
di corsa, portarlo /piangendo alla madre /-
sdraiata che guarda lontano-/ché lo serbi per
casa /quando a tavola si è tutti riuniti./Vai
avanti ghignando,/ché, in fondo, sei un uo-
mo>> Estate, parte VII, p. 28). Leggendo at-
tentamente questa silloge si notano varie si-
tuazioni e varie emozioni, riflessioni, sensa-
zioni, richiami a ciò che è stato ,alle varie
emozioni e sensazioni amorose. Ma c’è so-
prattutto l’ anelito, la continua tensione, il
continuo protendersi all’amore, quindi alla vi-
ta, ai desideri e alle pulsioni del cuore. Non ci
si arrende mai, e basta l’amore a far risorgere
e a vivere; basta una donna per essere rigene-
rati fisicamente e interiormente. Il poeta ora
maturo e in là con gli anni ama ancora e
quindi vive d’ amore e in ragione dell’amore;
evviva la poesia che deve dire sempre la veri-
tà e quindi ecco che leggiamo << L’amore è
la vita >> ma ciò << che dà calore /ai miei
giorni /è parlare di te /del tuo corpo di latte
/da bere abbracciandoti /e succhiandoti pia-
no; […[]>> ( p. 78, Percorsi del corpo.). Im-
portante sottolineare ora il fatto che il com-
ponimento dal titolo Era inverno è dedicato a
Patrizia e tal testo mi spinge a dire che per il
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 18
poeta con l’ amore ritrovato si inizia una
nuova vita. L’ uomo e il poeta ora amano e da
ciò gli stupendi e felici, umani versi. << Era
inverno,/stanchezza di cuore,/ sei apparsa
leggera, con la tua voglia di vivere,/ il tuo
amore./E di nuovo il gelo si è sciolto./ Ho ri-
trovato il Calore,/ possibilità di futuro./Sei
impetuosa ,/ pronta a slanci di amore /e non
solo di amore,/cosi diversa da me,/ della mia
cifra di vita,/ nel bene e nel male,/ nel mio ri-
spetto formale dell’altro /e nel vorace egoi-
smo./Sei più vera di me./ Non voglio rinun-
ciare a questo tuo modo di essere/ rimpian-
gerlo se per qualche ragione dovesse fini-
re./Sei la forma che ha assunto di nuovo
l’amore / apparendo inaspettato e leggero>>
(p. 96). L’amore ha operato il suo miracolo e
questi versi ben azzeccati lo dicono aperta-
mente. Per concludere queste mie impressioni
sui testi poetici di Satriani debbo dire che so-
no ben riusciti, felici, originali, caratterizzati
da vari ritmi e situazioni, fatti di attese, di
speranze, di note malinconiche. Insomma è
poesia vissuta e non letteraria, espressa con
un linguaggio vivo, originale, e come pure
originali sono i temi o i vari motivi amorosi e
esistenziali. Colloqui interiori, ben misurati e
intensi, e non posso non citare, per finire la
mia analisi sulla poesia intensa e sofferta, vis-
suta di Lombardi- Satriani, questi significativi
versi che ci danno sempre di più la magnifi-
cenza poetica, il modo di poetare del poeta e
antropologo Lombardi-Satriani: <<Parole,
parole, parole./Son parole scavate a fatica
negli anni,/di cui ho estremo pudore,/ché è
come se per esse /fossi nudo nell’ ani-
ma./Molte volte mi sono nascosto nei libri /
occultando cosi che trovare parole/era un
modo per proiettarmi nel tempo>> (Congedo,
p. 97). Ma come ci stanno a testimoniare i
versi dedicati a Patrizia ora l’amore accarezza
e allevia di tanti dolori fisici e spirituali. Au-
guro all’amico e poeta Luigi Maria Lombardi
–Satriani tantissimi momenti, e lunghi e ope-
rosi, momenti di gioia esistenziale, di grazia
poetica, di vita e di studio. L’evasione dai
giorni è il miglior libro di poesia che nel cor-
so di quest’anno io abbia avuto la fortuna di
leggere.
Carmine Chiodo Luigi Maria Lombardi Satriani, L’evasione dai giorni: Poesie, Prefazione di Elio Pecora, Postfa-
zione di Dante Mafia, La Vita Felice, Milano,
20015, € 13,00.
L’ANEMONE
(sonetto)
Nato ai piedi del Monte1 di Maria
che, nero di fronde, fronteggia il mare,
piccolo fiore di lilla vestito
ad un’attinia tu vuoi somigliare,
la cui appendice, in superbo intreccio,
all’onda affida del corallo i rami.
Fiero tu pure esponi al Libeccio
la tua corolla di fini ricami,
sfidando il vento in una tenzone
al fin di uscirne da vero campione.
Umile, invece, coi simili appari
della Vergine Madre ai suoi altari,
quale dono di fede o atto d’amore,
per ringraziarla d’un suo favore.
Paolangela Draghetti Livorno
1 - Il monte cui si fa riferimento nella poesia è Montenero di Livorno, in cima al quale si trova
un Santuario dedicato alla Vergine Maria.
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
2/4/2016
Federica Guidi è così sprovveduta da comu-
nicare per telefono al proprio compagno l’
approvazione di un provvedimento per l’
impianto petrolifero Tempra Rossa che l’
avrebbe favorito. Alleluia! Alleluia! Ma non
poteva dirglielo a voce, durante uno dei loro
incontri? O son compagni platonici, amanti
che non si toccano e neppure si vedono?
Non ci hanno fatto un figlio?
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 19
ROSSANO ONANO IL SANDALO
DI NEFERTARI di Domenico Defelice
N genere, Rossano Onano ci fa penare
prima di farci entrare nel suo mondo e
nelle sue storie, spesso allucinate; ne Il
sandalo di Nefertari, l’incipit è stranamente
chiaro, cantante, quasi ballabile:
Mi dai notizia della migrazione, della fuga
nella terra odorosa di licheni, dove stentano
gli alberi.
Si aggirano solo lenti animali da tana.
A quelle bianche aurore ti distendi
consapevole che il sonno sarà lungo, senza
abbagli.
Di primo acchito, ci verrebbe da esclamare:
Che bello! Finalmente leggeremo, di Onano,
una storia lineare e fascinosa.
Conoscendolo, però, non osiamo fidarci,
non ci rilassiamo; rimaniamo in difesa, vigli,
in attesa di qualche tranello che ci riporta nel
bel mezzo delle sue immersioni, dei suoi, a
volte, quasi deliri, dove l’atmosfera cambia
ad ogni verso, tra luci e ombre improvvise,
mutamenti altrettanto improvvisi anche di
sesso, immagini e personaggi che si accaval-
lano, il tutto velato d’ironia leggera e folle;
rimaniamo in difesa anche perché il paesag-
gio dell’ inci-
pit non ci
sembra pro-
prio quello
dell’ Egitto,
dove potrem-
mo trovare al-
beri che sten-
tano per una
terra cotta dal
sole, non già
perché “odo-
rosa di liche-
ni”; i “lenti
animali da ta-
na” posso pure starci (almeno per le notti de-
sertiche), ma i licheni!
Proseguiamo, allora, nella lettura con caute-
la. Nefertari dorme il sonno eterno che sarà
“lungo, senza abbagli”. L’afflitto Ramesse le
cuce i sandali per l’Oltre tomba “a filo d’oro” e
poi glieli calza. La storia sembra annunciarsi
meravigliosa, anche se nostalgica, dolorosa.
Ma ecco il trabocchetto. La vicenda Nefer-
tari è finita e subito veniamo avvolti dal tur-
bine di immagini di grande impatto sociale -
come altre volte abbiamo scritto -, spesso sar-
castiche, di un quotidiano crudo: niente favo-
le, ma quadri a volte dolenti e surreali da ra-
sentare quelli di Brutti sporchi e cattivi di Et-
tore Scola, interpretati da Nino Manfredi.
Una socialità profondamente sentita dall’ au-
tore, ma mascherata dall’ironia e, perciò, fatta
nostra solo dopo più di una lettura; immagini
e scene quotidiane - a leggere le cronache -,
vere e a volte crudeli e folli, taglienti come
rasoi, sibilline.
Il contadino (è la nostra interpretazione e
non assicuriamo sia quella giusta) rapinato
(possiamo dirlo?) dal notaio che incassa una
lauta prebenda senza il rilascio di “una qual-
che minuta/detrazione fiscale”. La terra non
produce e così il povero coltivatore “a rischio
di precipizio d’usura” è costretto a pagare in
natura con “l’ultimo/vitello grasso, la speran-
za, le concubine”.
Il sesso con la minorenne - stuprata o con-
senziente che sia (“Lieve, solleva la gonna sul
cuore/la bambina che ha colto le margheri-
te”) - dell’uomo solitario che la ricompenserà
con “una bambola, la caramella d’anice, il
cellulare”.
La partita di calcio in simmetria con la par-
tita della vita, con tanto di “arbitro cornuto” e
giocatori che, invece di attenersi agli schemi
studiati dall’allenatore, ne corrompono “la
geometria”.
Il sesso telefonico - praticato sia dagli uo-
mini che dalle donne: i primi, “scegliendo
nomi femminili in qualche modo rassicuran-
ti/come Marta Maria Concetta” e, le seconde,
“nomi maschili di pratica testamentaria/come
Marco Matteo Luca” - e il gioco sui doppi e
I
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 20
tripli sensi. Son tutti, infatti, nomi che ripor-
tano alla religione e ai Vangeli, compresi Ga-
briella (l’arcangelo Gabriele) e Giovanni, e
“pratica testamentaria” allude ai tanti casi di
cronaca di soggetti deboli che si fanno facil-
mente accalappiare e che, prima di morire,
vengono indotti a fare testamento a favore di
questi lestofanti dell’amore online. I doppi
sensi che rimandano alla religione sono tanti
(“arca dell’alleanza”, “quaglie/e manna”,
“un santo cattolico e per giunta apostolico”,
“trenta denari” eccetera) e in “una muchacha
morena”, per esempio, l’incipit “Avendo di-
giunato quaranta giorni” ci riporta al Gesù
dei Vangeli, ma tutto il resto non è certo edi-
ficante, compresa la fornaia dalla “la-
sca/occhiata” e dal “cupo sorriso”.
L’ipermercato, frequentato dai vecchietti
“con applicazione accanita”, anche in cerca
di incontri e ...dell’ “ultima disperazione”.
Potremmo continuare a lungo con le imma-
gini, perché Onano è un cronista che canzona
e sberleffa tutti, del presente (certi maniaci
del PIL, per esempio, i vegani, il “famoso cri-
tico” d’arte di passaggio per Reggio Emilia) e
del passato (Giulio II, Laura e Petrarca, la
sposa del soldato “partito in guerra” che gia-
ce “nel lettone col dottore/che guarisce il suo
dolore”; il figlioletto del povero soldato dor-
me lì accanto, prima cullato dalla madre -
“Fai la ninna fai la nanna” -, mentre il poeta
ci ricorda il titolo di una canzone di Lucio
Dalla, “Attenti al lupo”: “a vegliarti fiero e
cupo/nella notte viene il lupo”...).
E Nefertari? Sparita fin dall’inizio, come
abbiamo scritto. Siccome, però, nella poesia
di Onano non manca il sogno, e siccome an-
che a noi piacciono ironia e paradosso, con-
fondiamo l’ultima storia ed i soggetti, e, men-
tre chiudiamo il libro, ce la immaginiamo vi-
va e in partenza col suo Ramesse: “Dalla
strada un rumore terrestre come di coc-
chio/tratto da cavalli, cortesi, e intorno tanto
silenzio”.
Domenico Defelice ROSSANO ONANO - IL SANDALO DI NE-
FERTARI - In copertina, a colori, “Nefertari tra le
palme mentre lei sotto riposa”, di Roberta Durante - Edizioni Prufrock spa, 2016 - Pagg. 92, € 12.
ELETTRA
(Dove si ricerca la colpa e si finisce per
raccontare storie)
Come mio padre fatico
a provare rimorso –
di mia madre
conservo la forza caparbia
che la spinse a vibrare il colpo
ogni volta che fu necessario.
Nessun dramma di cui scrivere
oltre allo stupore malinconico
di essere ciò che da sempre esiste.
Uno ad uno vi prenderei per mano,
scrollandovi fino alla morte.
Sentitemi.
Queste sono le parole,
questa la colpa
che ricercate.
Non c’è uomo
(specie nell’ora in cui il sole
rende pericolose le colline)
che non desideri scagliare sassi e bestemmie –
bianche le pezze di stoffa consunta.
Detesto i monili,
detesto avere intimiditi piccoli seni
e i muscoli del grembo tanto irrigiditi
da non poter offrire quiete a nessun capo,
seme o lacrima.
Eppure è dalla mia voce
che sentirete raccontare storie –
frammenti che non mi sono mai appartenuti
e che pure ricerco
per vivere –
in questa sarabanda testarda.
Eloisa Massola Casale Monferrato, VC
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 21
NELL’OPERA DI STORIA PATRIA DI
ITALO TACELLI RIEMERGE LA CIVILTÀ
CONTADINA IN PIENA INTEGRITÀ
ESPRESSIVA DI VIRTÙ E DI
INFATICABILE DEDIZIONE di Leonardo Selvaggi
I
’OPERA di Italo Tacelli “Nomi e so-
prannomi, usanze e mestieri in Monte
San Giacomo dal 1930 al 1960”, edita
dall’Editrice Nuova Impronta nell’anno 2007,
costituisce indubbiamente un lavoro meritorio
di plauso, realizzato con ostinato, infaticabile
impegno. Un libro importante dal punto di vi-
sta linguistico e storico, ricca testimonianza
delle nostre antiche tradizioni. Si parla del
piccolo centro Monte San Giacomo in pro-
vincia di Salerno, nelle vicinanze di Sassano,
Sala Consilina, Padula, pittoreschi comuni, in
bella posizione geografica attorno al meravi-
glioso e ridente Vallo di Diano.Opera di sto-
ria patria, espressione di amore per la propria
terra. Suddivisa in varie sezioni, a cominciare
dalle regole sulla pronuncia del locale dialetto
fino ai soprannomi, ai costumi e ai vecchi
mestieri. Tutto in piena integrazione con ele-
menti completi sulla identità culturale della
civiltà contadina di Monte San Giacomo in
un periodo abbastanza ricco e rappresentativo
che va dal 1930 al 1960. Siamo davanti ad
una documentazione che per i contenuti di
vasto spazio può essere rapportata all’intero
nostro Mezzogiorno. Ripercorriamo con inte-
resse radici di tempi ormai lontani e attraver-
so il dialetto ricostruito si rinvengono storia e
caratteristiche di gente che si è distinta per
semplicità d’usi, laboriosità, capacità natie
che hanno fatto essere industriosi in epoca di
miseria e di stenti. Il volume corredato di illu-
strazioni ha ampiezze di notizie che eviden-
ziano attività svolte nell’artigianato, in agri-
coltura e nella pastorizia. Rappresentati modi
di essere, tutti improntati da un forte senso di
sacrificio, da coerenza, da spirito di adatta-
mento e da collaborazione.
II
Monte San Giacomo, come tanti paesi della
Basilicata, della Calabria, ci riporta nella
mente tutte quelle problematicità sociali che
sono state oggetto di trattazione da parte di
grandi meridionalisti. I giorni vissuti in ugua-
le ritmo hanno conservato sempre l’aspetto
dell’umiltà e dell’infaticabilità con una certa
punta di orgoglio, spontaneità dei sentimenti:
virtù natie che sono state fondamenta di prin-
cipi di umanità e abnegazione. Un’ ambienta-
zione in tanta parte morigerata, guidata dal
senso dell’ordine e della parsimonia, soprat-
tutto un accanito attaccamento alla propria
terra che ha creato negli anni vicendevoli
rapporti di vitalità e di sinergia nell’abitato.
Italo Tacelli attraverso ricerche e notizie ac-
quisite in forma diretta e da fonti archivisti-
che ci ha portato a riconsiderare un mondo
particolare di una popolazione tutta espressi-
va con una sua primigenia forza e connaturate
sostanze.
Doti di una civiltà rurale che anche se ac-
comunate hanno nel contempo diversifica-
zione e specificità da rendere in genere cia-
scuno identificabile in modo più proprio at-
traverso l’attribuzione di soprannomi. Perso-
ne sagge in un tutt’uno con i mestieri, veri
personaggi con rudezza e limpidezza, vivaci,
concreti, diversi l’un dall’altro, dai tratti fi-
sionomici indelebili. Gli abitanti dei paesi nei
tempi andati li riconoscevi a distanza, non
come le presenze individuali di oggi, specie
quelle delle città, che appaiono tutte uguali,
uscite da uno stesso stampo. La naturalezza di
Monte San Giacomo, come di altri centri
agricoli del periodo che l’autore ha trattato,
trova tanto respiro e spazio in pienezza di le-
gami, di omogeneità di comportamenti.
III
Attraverso il dialetto, che si fa specchio di
pensieri, di contesti esistenziali, di stati d’
animo, vediamo tutto il territorio, la genuinità
di una vita, fatta di spontaneità, realistica: una
cultura e soprattutto radici profonde di tempi
atavici. In un vero amalgama di analogie tanti
L
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 22
paesi del Mezzogiorno con corrispondenti,
comuni condizioni sofferte, di isolamento po-
litico, di ristrettezze economiche. Doti di qua-
lità di grande volitività dal punto di vista mo-
rale, costumi severi che costituiscono molla
di efficienza davanti alle difficoltà da supera-
re. Si era allora con la civiltà contadina in
un’atmosfera di serenità con spirito di sop-
portazione e di resistenza, con ferme abitudini
che non facevano deflettere. Sempre attivi nei
mestieri, nei lavori della terra. Il progresso di
oggi fa mettere in risalto quanto si è andati
lontano da quei tempi in cui si viveva pacifi-
ci, contenti del poco, pieni di fede, mai privi
di sottile intelligenza, propria della gente
semplice. La tecnica moderna degli anni che
si sono succeduti ha messo sottosopra i vec-
chi costumi: la meccanizzazione ha come tra-
volto la civiltà rurale, un diffuso inquinamen-
to a tutti i livelli ha originato un sempre più
deturpante movimento di trasformazione, una
specie di devastazione ha quasi raso al suolo
tutto il passato. Il dialetto perde sempre più la
sua presenza e le persone divengono artificio-
se e automatizzate. Il linguaggio non rispec-
chia la vita nella sua vera essenza, c’è un li-
vellamento che annulla distinzioni e diversità
di modi di pensare, quella che permette il dia-
logo e le vedute pluralistiche necessarie per
affrontare le problematiche quotidiane. An-
diamo accodati, ormai i rapporti di vicinanza
si sono affievoliti: accentuati i vizi e le per-
versità, il disamore, l’arroganza, l’ipocrisia.
IV
Italo Tacelli con il volume “Nomi e sopran-
nomi, usanze e mestieri in Monte San Gia-
como dal 1930 al 1960” ci fa ripercorrere
tempi grami, ma felici, si era infiammati allo-
ra da una vera passione di vivere. Tutti matu-
ri, uguali si era, insieme piccoli e grandi in
un’armonia di rapporti familiari amabili, con
perspicacia, pronti a sentire gli altri e a discu-
tere, sempre annodati dalle tradizioni, guida
sicura per integrità di idee e sapienza di con-
tenuti. Il tempo passato si rimuove ardente
nella mente; la dolcezza dei visi e i sorrisi un
po’ scanzonati che si imprimevano sulla fac-
cia, una intercomunicabilità che si rendeva
immediata intesa dentro un dialetto rude e
sonoro che si vuole ritornato vivo, tutto ric-
chezza ed essenzialità di sentimenti, arcaicità,
umori e vicinanza alle cose: le nostre sem-
bianze, le ansie e le speranze, i momenti esal-
tanti e le amarezze. Italo Tacelli ci fa amare i
suoi compaesani attraverso le pagine che par-
lano di giochi, di processioni, della festa di
Natale, di artigianato, di applicazioni assidue
con mezzi rudimentali. Oggi si è adulterati
con una espressività confusa, senza anima,
frammentata, mescolata con termini stranieri,
fredda, irritata. Il dialetto di Monte San Gia-
como, come tutti quelli del sud, pieno di pala-
to, a volte chiuso nella bocca, sfavillante ne-
gli occhi, nelle poche tracce rimaste, tutto fat-
ti e passionalità dell’animo. Lo si vuole far
riemergere, come tanta parte delle antiche co-
stumanze per rinvigorire i tempi nostri deca-
duti, rendendoli reali e più naturali. Nel dia-
letto troviamo i luoghi amati dei paesi natii, la
loro interezza, i vicinati e le voci sparse che si
richiamano squillanti in un’aria tutta libera e
tersa. Lo avvertiamo nel flusso delle vene con
i significati intrinseci, ossificato con la terra
che ci appartiene, nei particolari, nel minuto:
quasi ci sentiamo massificati nella complessi-
tà delle origini, nelle matrici che ci tengono
stretti. Mimetizzati, ma diffusi, allungati, spa-
ziati. Dalla bocca dei contadini escono voci
profonde, sotterranee, che sanno di sostanza,
di pane nero, di terre dissodate: corteccia dura
all’intemperie, ciò che è di tutti, la fine istin-
tività che prende la persona intera.
V
Il passato tra affetti e amicizia teneva con
esaltazione vitale l’uomo vero, laborioso,
sensato, in panni di fustagno, sulle aie con l’
asino bendato che girava intorno, pestando
spighe di grano. I vecchi borghi oggi non li
riconosci, come coperti da una certa patina,
presi da solitudine, semiabbandonati dalla fu-
ga verso le città. I contadini, i pastori e gli ar-
tigiani in una sola famiglia con gli animali e
le piante nella spaziosità delle campagne,
senza reticenze, spassionati si illuminavano
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 23
attratti dalle bellezze della Natura, zampillan-
ti, uguali ad acqua di sorgente. Stanno gli
animali con il mangime artefatto nelle stalle,
con i vestiti puliti e gli strumenti meccanici.
Le persone separate dagli animali sono diver-
se, come rinsecchite e solitarie, non c’è pas-
saggio di forze e di unione, sono nel deserto,
senza calore e naturalezza. Italo Tacelli nelle
pagine patinate del suo volume di storia patria
fa trascorrere immagini del suo paese: strade
sterrate, selciati e bambini all’aperto, scalzi,
in camiciola. Risuonano gridi di giovani esu-
beranti, la voce dello stagnaro con la caldaia a
tracolla e i suoi attrezzi di lavoro per mettere
pezze alle pentole di rame. Con lo stagno
inargentava l’interno dei recipienti, quasi con
un tocco magico che faceva pensare all’ al-
chimista. Le case dei contadini in una frescu-
ra confortante, vedevi tutto in ordine, tenuto
con cura gelosa, le scarpe appese al muro, il
letto alto con materassi, come sacchi, riempiti
di foglie di granturco. Il volume di Italo Ta-
celli è un’opera molto significativa, ci fa an-
dare a ritroso, scrostandoci il malessere che
sentiamo addosso per una vita carica di in-
soddisfazioni, di incertezze, povera di spirito.
Pagine dense, ci sentiamo giovani nei ricordi,
corriamo dietro il cerchio lungo la rotabile
con il vestito lavato nella liscivia, odoroso,
nuovo rivoltato. La mamma premurosa la
sentiamo sempre vicina, ci guarda dalla fine-
stra, ci guida fino all’estremo della via.
VI
I soprannomi sintetizzano, hanno una rap-
presentatività vivace e colorita, modi di esse-
re in movimento ritmico con l’andamento
delle stagioni. Vita estenuata da mane a sera,
solerte, fatiche a non finire, indipendenza au-
tosufficiente con il necessario che basti: il ri-
cavato del lavoro della terra rende il poco,
che è ricchezza, consumata con misura e vigi-
le diligenza. Tutto si svolge con impegno e
attaccamento, non si ha l’idea dell’inerzia, fi-
duciosi sempre nei giorni che verranno. Dalla
scuola alla vita domestica, alle occupazioni
agricole c’è un legame di sintonia che corre
con il senso del dovere, perseguito con osses-
siva volontà. L’istruzione elementare basata
su una severa disciplina e una collaborazione
fattiva con le famiglie. L’abitudine inflessibi-
le ad essere responsabili con riflessione e
onorabilità. Non si pensava al denaro, ma al
lavoro fatto bene, ci si applicava con passio-
ne, tanta pazienza nelle rifiniture. Ci si indu-
striava in tutto con assennatezza, tra i modi di
pensare e l’operare non si avvertivano speri-
menti, rilassatezza. Le ristrettezze, le priva-
zioni di ogni tipo facevano la mente aguzza,
quasi spiritualizzata con i pensieri che corre-
vano in ogni dove. I caratteri aperti richiama-
vano collaborazione e aiuti scambievoli in
ogni momento. La chiarezza dell’aspetto an-
dava insieme alla serietà dei costumi e all’ in-
transigenza. L’esterno rifletteva un’ interiori-
tà combattuta e perseverante: le donne sono i
principali protagonisti in tempi di magra, soc-
corrono con la prodigalità e la dedizione con-
tinua. Le case dei contadini brillano con le lo-
ro necessarietà, allineate, quasi strati, in fon-
do troviamo l’asino e il mulo accanto al letto
del padrone. Non si avvertono l’indolenza e i
modi trasandati dell’epoca del progresso,
sbrindellata e tutta affastellata. Tanta libertà
ha la gioventù, nutrita per tutte le bocche. Le
adolescenti dai glutei esaltati, sicure e proter-
ve. Turgida e morbida ogni parte di carne
piena. Le vesti nuove non piacciono, si ama-
no quelle sbiadite, la moda strana lacera i
bordi. Sciatte, polverose, paiono artigiani di
officina. Munte e pressate da tante mani non
sanno il circoscritto inviolato campo curato
né il vaso esuberante che trabocca e riempie il
casto amplesso. Nel tempo mio erano fasciate
come bendate, dalla figura stretta nulla usciva
fuori. Linde dallo sguardo trepido, il viso si
portavano arrossato. Frementi di pensieri se-
greti, la sera sulle scale insieme dei vicinati di
Monte San Giacomo, fra ombre e luci ai ri-
flessi tenui della Luna erano tinta d’argento,
sedute si facevano, ripiegate, un gomitolo. Il
tempo della civiltà rurale e quello che noi vi-
viamo si caratterizzano con la diversità di co-
stume che prende significato soprattutto dal
modo di essere della donna. Il materialismo
consumistico porta insoddisfazioni in fami-
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 24
glie che, in gran parte, hanno perso tutto ciò
che sapeva di correttezza e di riservato aspet-
to. In città in modo accentuato e con spregiu-
dicatezza, mentre nel paese di Italo Tacelli in
presenze larvate assistiamo ad un processo
disgregativo che porta a rilassatezza morale.
Sono le nuove generazioni che hanno segnato
profonde scissioni tra il vecchio ed il nuovo,
sperse e a gruppi, avulse da tutto ciò che è
tradizionale, vanno come dilacerate, senza
dialogo e senza riconoscere l’importanza del-
le concomitanze e simmetrie: l’organicità e la
saggezza sostituite dal particolare e dal limi-
tato ambito specialistico. Giovani lerci, irri-
spettosi, arroganti, facili agli scontri, pare che
si siano sotterrate le qualità contrassegnate da
giusto equilibrio e da rapporti coordinati.
VII
Italo Tacelli con la sua opera “Nomi e so-
prannomi, usanze e mestieri in Monte San
Giacomo dal 1930 al 1960”, condotta con
completezza di elementi significanti, ci con-
duce in atmosfere salubri. Il luogo natio, de-
dito in larga parte alla pastorizia, con molte
coltivazioni di grano e di granturco, che sono
le maggiori risorse tratte dalla lavorazione dei
campi. Descrive momenti sereni di un mon-
do, che di per sé era una ricchezza di cultura
umana, in cui preminenti erano le doti di
schiettezza, tutte basate sulla fondamentalità
di virtù che davano alla vita un alto tono af-
fettivo e spirituale. L’autore ha prodotto un
lavoro di contenuto, di contenuto storico e
morale che, risalta in tutta la sua importanza,
messo di fronte ai cambiamenti succeduti
nell’ultimo cinquantennio. Chi ha vissuto
quei tempi nei paesi del Sud non può non ap-
prezzare figure di forte caratterizzazione,
quali l’arrotino, il cappellaio, il raccoglitore
di stracci, il ritrattista, oggi col diffuso ano-
nimato si rivelano espressioni di grande
straordinarietà, proprie di un mondo di fiabe.
Si può giungere a riviverle spinti da slanci
immaginativi, superando i tempi odierni fatti-
si meccanici, monotoni, come trincerati in re-
cinti chiusi, irretiti in poco spazio. Trasfor-
mazioni si sono infiltrate dappertutto, anche i
paesi simili a Monte San Giacomo si presen-
tano diversi, immersi in un’altra aria. L’ am-
bientazione una volta omogenea, armonizza-
ta, non confusionaria, come attualmente con i
processi di immigrazione su vasta scala, veri
esodi che infestano costumi e cultura. Esaspe-
rati egoismi che non riconoscono il valore
morale della persona e dei principi di vita
tramandati e mantenuti con inflessibilità di
carattere. Tutto quello che veniva promesso
era sacro giuramento che non veniva meno.
Frequenti ora sono le manipolazioni e il mo-
do di fare da mitomani cha falsificano integri-
tà e chiarezza di idee. Pagine di particolari,
minuti fatti che ci attraggono, presi da furiosi
impeti, corriamo verso i luoghi natii per ritro-
vare la nostra esistenza, lasciando alle spalle
l’amorfa residenza che ci tiene esuli. Italo
Tacelli sente fermentare dentro momenti che
hanno avuto una profonda incrostazione sul
proprio animo. Ha fermato nella memoria un
lungo arco di tempo, dal ’30 al ’60. Si parla
della seconda guerra mondiale, la vita tran-
quilla avuta rimane per diversi anni in preda a
paure e confusione. Monte San Giacomo ha
tempi di maggiori ristrettezze. Per superarle
alla meglio ci si adatta al mercato nero,
scambiando i prodotti della terra.
VIII
Si ha l’armistizio, poi l’arrivo degli Ameri-
cani che portano i primi segni di tutti quei
mutamenti che daranno una svolta lenta, pro-
gressiva. Poco per volta il paese di Italo Ta-
celli cambia volto, le sue passate strutture si
fanno sempre più evanescenti. Quei quadri
che avevano la bellezza degli idilli non si
staccano mai dalla mente, monti e vallate
verdi e fioriti oggi hanno perso la freschezza
di una volta. Meravigliose le passeggiate nel-
le notti estive, lungo i sentieri di campagna,
punteggiati dalle lucciole, simili a stelle dan-
zanti che nel loro lento vagare creavano un
mondo di poesia. Le sere invase dall’odore di
fieno: di ritorno dalle campagne le donne
come madonne compunte, sedute sul basto in
vesti di tessuto pesante. In visioni diafane
compaiono, dopo i riti religiosi, le giovani sul
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 25
selciato del sagrato, sfuggenti e lievi, inqua-
drate in un’aureola di purezza, ferme, inaffer-
rabili entro ricordi di nostalgia che vanno e
vengono con flusso continuo, in concomitan-
za con il respiro e i moti dell’animo. Un’ ope-
ra di storia patria come quella di Italo Tacelli
è sempre una pubblicazione di grande interes-
se. Si avverte il rapporto di amore, uguale a
quello materno, verso la propria terra, vista
ricettacolo di dolcezze. Senza questa vicinan-
za sempre ravvivata, saremmo vaneggianti,
senza consistenza. Il passato, attraverso il dia-
letto presenta frammentazioni, tracce sbrin-
dellate. Un mondo di cose accumulate, radi-
cate in interiorità e sostanzialità esistenziali. Il
linguaggio del popolo, dei piccoli paesi e del-
le campagne è dentro la precarietà dell’uomo,
nelle sue miserie, tormenti e superstizioni. Si
è certi che negli abitati circoscritti non tutto il
passato, con la sua naturalezza e genuinità di
forme, può scomparire. Tutto quel mondo di
semplicità si risente tempestoso con voce la-
mentevole, serpeggiante per entro le moderni-
tà subentrate dagli anni ’60 in poi, lo si sente
pestato, pieno di lacrime, con la freccia
schiacciata per terra.
IX
Nel volume “Nomi e soprannomi, usanze e
mestieri in Monte San Giacomo dal 1930 al
1960” non solo il paese natio di Italo Tacelli,
ma possiamo dire tutto il Mezzogiorno è pre-
sente negli anni della civiltà rurale. Oggi vi-
viamo una vita artefatta, la meccanizzazione
ha tutto capovolto. Il contadino non lo ve-
diamo più dietro l’asino lungo i vecchi trattu-
ri, con le macchine in poche ore di lavoro è
tutto fatto. Si auspica di ripristinare le parti
migliori perdute: l’attaccamento alla terra con
ostinato amore, soprattutto la schiettezza del
carattere delle persone, la naturalezza dei
comportamenti. Nonostante tutto, rimane il
piccolo paese come un angolo di pace, in
contrapposizione con le città, cataste di pri-
gioni inquinate. Si è consapevoli della neces-
sità di ricostruire le vecchie tradizioni, di ri-
tornare ai rapporti interindividuali meno ap-
piattiti, cercando di smussare le troppe aber-
razioni che portano agli eccessivi automati-
smi, distruttivi e disumanizzanti. Italo Tacelli
ci ha lasciato in forma semplice, disinvolta e
con passione nostalgica una testimonianza
storica di grande apprezzamento per ricchez-
za di dati e vivacità espositiva. Ci invita a non
perdere gli aspetti edificanti di una saggezza,
fatta di spontaneità di sentimenti, di virtù na-
tie, espressione ineliminabile dalla nostra cul-
tura mediterranea. L’epoca evolutiva e inno-
vativa della tecnologia avanzata saprà mante-
nere gli elementi concreti del passato. Vanno
alimentate le buone inclinazioni che paiono
sommerse, ma si risentono rimuovere, come
l’ardore, l’entusiasmo, l’intraprendenza, tutto
ciò che è naturale e bello. Una civiltà passata
non è mai finita, costituisce ponte di passag-
gio per ulteriori progressi, per un avvenire
che non può non tenere vive quelle interiori,
sane energie vere, che sono nel fondo dell’
animo umano, come insopprimibili identità
che non mutano mai al di sopra di ogni tempo
e ogni spazio.
Leonardo Selvaggi
TRISTEZZA
Il velo del giorno cala
sul livido scenario della notte.
La storia non vissuta respira
negli alti spazi stellari.
Scende quell'unico Spirito lucente
su di ogni zolla mentre fragilissima
musica vibra di molti mormorii.
Scuotono i fiori d'acqua il garrulo
ruscello e il vento s'adagia fra i pini.
Gocciole di pioggia, più tenere di rugiada
bagnano la rosa ninfa illanguidita.
Da questo innocente sogno, mia anima
risorge, la vita s'illumina dopo il buio.
Si spegne tra l'aranceto ogni rumore
al vergine canto della tristezza.
La speranza carezza la fredda notte
sotto il peso dell'ora incombente
come un'onda che si frange.
Adriana Mondo Riano, To
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 26
CATERINA FELICI MATTEO E IL TAPPO
di Tito Cauchi
L libro Matteo e il tappo, fresco di stam-
pa, non riporta notizie biobibliografiche
dell’autrice, Caterina Felici, se non la
professione di insegnante, che ha ricevuto ri-
conoscimenti da critici di un certo “calibro”
per le precedenti pubblicazioni. La narrazione
riguarda ambienti e persone dei nostri tempi,
con un personaggio in più, rappresentato da
un tappo di sughero. Basterebbe questo per
interrompere la lettura appena iniziata, da
parte di chi non prediliga questo genere; ma
teniamo presente che l’autrice ha avvertito
nel sottotitolo che trattarsi di Favola per
adulti e in effetti si rivela tale, poiché contie-
ne utili metafore etico-sociali.
Introduciamo subito il personaggio princi-
pale, Matteo: egli è un giovane ragioniere,
contabile, che presta la sua collaborazione sia
come impiegato di una amministrazione, sia a
titolo autonomo; ha un unico desiderio, quel-
lo di guadagnare molto per acquistare una vil-
letta fuori città, e prendere il volo dalla casa
dei genitori. Egli ha lavorato molto, con
straor-
dinari
e sa-
crifi-
cando
il tem-
po li-
bero,
la
buona
lettura,
i di-
verti-
menti
e, per-
fino, i
legami
senti-
menta-
li.
Raggiunge il suo scopo trovando un luogo
meraviglioso, che non per niente si chiama
Pacealcuore, su una collina, dall’alto della
quale può guardare la città dove lavora.
Aveva programmato di organizzarsi nella
maniera seguente: nei giorni lavorativi, pran-
zare dai suoi, e a fine lavoro, la sera, rientrare
nella sua oasi. Entrato nella sua reggia, vuole
così dare inizio alla sua sovranità stappando
una bottiglia di spumante, esultando “Viva la
libertà!” Sbalordito sente una vocina ripeter-
gli la stessa esclamazione, proveniente dal
tappo di sughero che piroettava in aria e che
aggiungeva di essere libero dalla morsa della
bottiglia. Il giovane svuotò d’un fiato il bic-
chiere; temette di avere delle allucinazioni e
tardò a prendere sonno, ma non si dette pena,
certo che il giorno dopo, essendo festivo, se
la sarebbe presa comoda.
Seguiamo il nostro ragioniere nelle fasi
successive per comprenderne l’humus psico-
logico e ambientale a cominciare dal giorno
successivo. Si reca in chiesa e ascolta la pre-
dica del parroco, il quale raccomanda di avere
“rispetto per se stessi e per gli altri”, di non
seguire la moda consumistica e di non spreca-
re. Al rientro trova davanti al cancello amici
ad attenderlo, sono Dario e Gianni, il primo
dei quali gli dice di avere incontrato in prece-
denza Giovanna, la ex fidanzata di Matteo.
I giorni sembrano trascorre normalmente:
lavoro, saluti scambiati con amici e colleghi,
pranzo dai genitori e rientro in villetta. Ma
solo in apparenza, perché il suo comporta-
mento doveva sembrare alquanto strano agli
occhi degli altri, poiché ovunque andasse il
nostro ragioniere, egli veniva seguito dal suo
ospite indesiderato e dispettoso soprattutto
con i picchiettii alle tapparelle e alle finestre.
E fra loro due possiamo immaginare discorsi,
pur sensati, che di strano avevano solo gli in-
terlocutori. Matteo, presso un negozio di pro-
fumeria conosce una commessa di nome An-
nalisa, la quale dopo breve confidenza re-
spinge le sue attenzioni.
Un dubbio percorre il nostro ragioniere che
l’attribuisce alla sua mancanza di tono fisico:
così decide di praticare della ginnastica tro-
I
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 27
vando compagni di footing in alcuni, presso-
ché coetanei, l’avvocato Bianchini, il profes-
sore Maffei, il meccanico Rossini. Durante le
corse incontravano una studentessa universi-
taria Donatella abbastanza in forma. Tempo
dopo la donna respingerà la sua corte. Ai
compagni di corsa, che l’avevano sentito
profferire parole rivolte al tappo, dovette giu-
stificarsi dicendo che si riferiva al sopranno-
me del nonno.
Matteo comincia ad avvertire di essere pri-
gioniero del suo lavoro, perciò ne prova ad al-
lentare gli impegni, inizia a leggere libri e ad
ascoltare la musica, e a dedicarsi a qualche
svago; e per le faccende di casa assumerà una
collaboratrice domestica, Emma. Questa
donna, durante le faccende, si sente osservata
e pensa che la casa sia abitata da spiriti; alle
sue proteste Matteo la rassicura che non verrà
più disturbata e così avvenne, con il risultato
di essere ritenuto, suo malgrado, un indovino
dai poteri paranormali. La donna nonostante
avesse promesso di tenere per sé, questa vi-
cenda, ne diffuse la notizia. Così capitava che
alcune persone gli si rivolgevano chiedendo-
gli qualche consiglio, lui le tranquillizzava e
sorte vuole che queste persone venivano
esaudite nelle loro aspettative, il che ha accre-
sciuto la convinzione che egli possedesse
realmente delle facoltà straordinarie.
Alcune disavventure stravolgono il nostro
personaggio. Nel paesello conosce una donna
di nome Loredana, i due finiscono per fre-
quentarsi; dopo breve tempo, all’ appunta-
mento presso un parco, la donna chiarisce di
essere disposta a fare all’amore, ma solo a
pagamento, poiché era una prostituta. Duran-
te il tentativo di furto nella villetta Matteo
viene svegliato dal tappo che, in tal modo, ha
potuto sventare la rapina. Una sera tardi, per-
correndo con l’auto una strada di campagna,
ha un alterco con un motociclista e venendo
offeso in malo modo, il tappo ne prende le di-
fese andando a colpire l’altro alla testa che
per tutta risposta abbatte a terra Matteo con
un pugno.
Comunque sia, il ragioniere porterà i segni
per qualche giorno tanto che è dovuto ricorre
alla visita di un medico e a impacchi sul viso,
facendo preoccupare chi ne veniva a cono-
scenza. All’invito degli amici per inaugurare
la villetta, ha un comportamento strano per
via delle bottiglie di spumante portate dagli
amici, inventandosi di essere allergico perfino
alla loro vista.
Un giorno incontra casualmente la ex fi-
danzata, Giovanna. La donna gli racconta che
si frequenta con un vedovo. Lei apprezza il
cambiamento di Matteo e lui, per tutta rispo-
sta, le dice: “A volte la solitudine aiuta ad
imparare: ci costringe al rapporto con noi
stessi e favorisce la riflessione, l’autocritica.”
( pag. 98). Ed è così che intensifica la sua cor-
te colmando di attenzioni l’amica per farle
comprendere la serietà dei suoi sentimenti. Il
tappo percependo che Matteo ne soffriva per-
ché sentiva riaccendersi la fiamma, tormenta
il malcapitato vedovo, con i suoi picchiettii
durante la notte, così da fargli credere che sia
la moglie dall’aldilà, perciò ritira i propositi
di matrimonio. Intanto Giovanna, dopo molti
dinieghi, e avendo costatato che Matteo era
migliorato in quanto all’atteggiamento verso
la vita, finisce per acconsentire al loro fidan-
zamento.
Il tappo si congeda dal ragioniere divenuto
amico, lasciandosi trasportare dal vento, sen-
za prima dimenticare di salutarlo, avvertendo-
lo che andrà ad aiutare altre persone. Com-
prendiamo che il tappo sia una specie di an-
gelo custode, o se vogliamo, rappresenta la
ragione. Il linguaggio surreale e lo stile sem-
plice fanno del racconto una lettura piacevole
e spassosa. Il tappo ci ha tenuto allegra com-
pagnia offrendoci temi psicologici e sociolo-
gici, nonché richiamo e denuncia dei miti
moderni che distraggono le persone dai veri
valori dell’esistenza.
Caterina Felici con Matteo e il tappo, ci ha
offerto materiale che merita approfondimen-
to. Se vogliamo possiamo commentare sem-
plicisticamente avvertendo che il primo sog-
getto si comporta come un matto (prendendo
spunto da pag. 89, in cui è detto che al nome
proprio si toglie la ‘e’); mentre il secondo
soggetto è la coscienza. Riflettiamo circa l’
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 28
esito negativo che ha ricevuto il nostro ragio-
niere con le donne (il senso di solitudine), le
scuse paradossali che ha escogitato quale il
soprannome del nonno (tappo), l’essere lui
diventato allergico allo spumante, l’essere
stato scambiato per una persona dai poteri pa-
ranormali, ecc. Tanti sono gli ingredienti da
potere imbastire una piéce teatrale con tanto
di verità, o una semplice burla; ma anche con
tanta poesia.
Tito Cauchi CATERINA FELICI, Matteo e il tappo, Favola
per adulti, Italic, Ancona 2016, Pagg. 120, € 15,00.
L’ALBA
Il sole è fuggitivo
sulla tettoia della casa,
e il chiarore dell'alba fa risplendere
la tua camera, resteranno solo le parole
non dette proiettarsi verso le onde del mare,
come i nostri gesti gettati al vento,
con i passi leggeri della memoria.
Rapisco ancora i tuoi occhi
come rami spogli che si levano al cielo,
le nostre anime sole nell'autunno
dell'amore.
Ecco spuntare l'imprevedibile mormorio
del nostro passare oltre.
Adriana Mondo Riano, To
XXIX
È l’ora dei giullari
che su corde roche
starnazzano invocando libertà
imprevedibile dama mascherata
cangiante come seta sintetica
Giullari organizzati
lasciano che muoia il vecchio re
e a piccie e in frotta
traslocano al castello più vicino
dove un sovrano giovane fa corte
e sa così bene trascinarli
Se al di là di altre frontiere
gli occhi di basilisco son diventati
innumerevoli Biafra dello spirito
non bisogna pensarci tanto
un Cile una Spagna un Vietnam
sono sempre a portata di mano
Giullari puttaneschi
non è l’idea che condanno
in me presente come l’albero del pane
ma la traccia mocciosa della pusillanimità
in voi più che peccato è già natura.
Walter Nesti Carmignano PO
IL GIARDINO
DELL’ETERNA GIOVINEZZA
Nel giardino
Nonnino fa delle bolle
soffiando fortissimo
La sua nipotina nell’erba
corre e salta per acchiapparle
il loro splendore iridato che esplode
sulla punta delle sue dita del suo naso
E Nonnino tutto ridente
si sente quasi
quasi giovane quanto lei
Béatrice Gaydy Francia
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
5/4/2016
Bruno Vespa è diventato scrittore del copia-
incolla. I suoi libri di gran mole (ormai an-
nuali) si somigliano tutti e di veramente suo
hanno solo brevi frasi di collegamento tra
una dichiarazione e l’altra. Alleluia! Alle-
luia! Il più recente - Donne d’Italia -, con-
tiene pure la stranezza di volerci far consi-
derare “nostre” (sebbene “fuori serie”), oltre
l’ormai cotta e stracotta in tutte le salse
Cleopatra, la regina Elisabetta d’Inghilterra,
Angela Merkel, Hillary Clinton e Madre Te-
resa di Calcutta!
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 29
Il Racconto
L’ACROBATA Abigail una storia moderna
di Filomena Iovinella
RANO giorni lunghi e freddi, Abigail
era da sola in quella stanza, tra quattro
mura solitarie, tutto dentro si era rotto,
frantumato, era polvere di residuale stellare.
L’illimitato spazio che la illuminava e la gui-
dava facendola stare nel limbo, creando il fil-
tro per la sua vitalità, lasciandola nel mare di
persone a donare suoni e canzoni, non c’era
più, era svanito nel nulla e la sensazione era
esclusiva senza cenno d’introspezione. La
Mami la rimproverava voleva vederla ritor-
nare alla vita, implorava con lacrime asciutte
il dolce ritorno alla gioia in quella figlia persa
nel dolore, empaticamente e simultaneamente
in stretto collegamento con la sofferenza di
tutto il mondo, frastornata da una delusione
che non lasciava più spazio al miraggio fanta-
stico, sentiva che il cuore batteva mentre lei
dormiva senza sogno.
Pensava la Mami - Non può farcela e se lo
ripeteva - ma sperava in un giorno diverso, in
una sensazione nuova che cambiasse le sorti.
Ci confidava da così tanto tempo che le sta-
gioni si susseguivano inesorabili, aveva quasi
smesso di crederci, quella notte sentiva che le
lacrime sarebbero continuate a scendere su
quelle gote, invece tutto stava cambiando.
A piedi nudi accarezza la figlia e la saluta
con la buonanotte:
“Abigail, sei dolcissima figlia mia”
“Mami! Ti voglio bene”
La chitarra acustica è poggiata sul letto fuo-
ri dalla custodia e la stessa aperta a metà, la
cerniera è sfasata ha i lembi che si aprono
confusamente ed un angolo pende verso l’ in-
terno, vuoto, che respira l’aria dello spazio la-
sciato, da solo, dalla chitarra. La musica arri-
va nella testa come un acrobata, si impadroni-
sce del corpo. Il colpo da pugile dritto allo
stomaco con un gancio fortissimo. La chitar-
ra mette le ali, le mani battono sul legno e
danno ritmo, suona il legname la musicista,
prima ancora, di cercare la sua melodia mera-
vigliosa. Come atterrare a piedi uniti sul suo-
lo lunare a guardarsi intorno come Niel Arm-
strong. Scopre le mani, articola le dita che
nuovamente muovono l’aria e battono forte
sul legname e sulla cassa acustica che si ri-
scalda, si cerca la luna d’argento in quel mo-
mento, nella notte fonda si avvista anche il
raggio di sole immenso che si è perso, il gior-
no albeggia nella notte allunata, solo con lo
scopo ultimo, il volere andare oltre quei li-
miti che l’hanno bloccata da tempo. Sole e
luna insieme nuovamente a brillare di sortile-
gio. Dal corpo si libera l’acrobata nel suono
fatto di rifrazione tutto in una volta sola, le di-
ta toccano con leggerezza le corde di bronzo
che aspettavano quella carezza, la mano che
sfiora una schiena coperta di granelli di sab-
bia e suonano quelle spalle, la carezza delle
dita concretizzano l’imitazione perfetta di
quelle onde del mare, scappano sacre le note,
scappano ansiosi i suoni e creano. I granelli di
sabbia volano nell’aria scintillano e volteg-
giano nella loro leggerezza, cristallinano il
parossismo devastante di quella stanza troppo
piccola, troppo anonima, troppo persa. Suona
la mano a bollire il legno su quel tono di ac-
cordo, sbatte quel palmo su quel punto di cal-
do, strimpellano le corde tra accordi e caden-
za del suo riverbero blu cobalto.
Nota, strofa, inciso, ritornello, strofa ancora
nota e poi la voce, falsetto, vibrato, tono alto,
mezzo tono e nota, strofa, inciso, mezzo tono,
mezzo fiato, esistenza e gancio, penultimo re-
spiro e stop.
La sala dell’auditorium è ricolma di gente,
le persone si ammassano sulle porte, quelli
seduti in poltrona osservando intorno, si sol-
levano pensando al loro privilegio. Quelli in
piedi si disperano, si mangiano le mani, si ro-
tolano in quello spazio che li divide dal circo.
Alla platea viva che attende, parla il presen-
tatore : “Signore e signori, ecco a voi Abi-
gail”.
Entra con una camminata lenta, il suono dei
tacchi delle scarpe danno il tono alla sua sicu-
rezza, la gonna aderente l’accompagna din-
E
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 30
nanzi all’asta con il microfono, al centro del
palco, la chitarra poggiata sulle spalle, la ma-
no la ruota in avanti e trova il primo suono
battendo sul vuoto della cassa armonica, la
mano cerca il calore del sole mentre batte sul
legname vivo, tante volte lei guarda la platea,
guarda la stanza satura di respiri in silenzio e
in attesa, le dita toccano le corde ed esplode
la musica. I suoi occhi sfiorano il cielo e l’
acrobata si sprigiona in lei. La folla impazzi-
ta l’applaude esagitata .
La notte sembra non finire mai, la gente è
stanca ma non vuole smettere di ascoltare, la
gente non vuole perdere quel luogo magico,
quel senso di immortale che regna in quel po-
sto, la luna brilla argentea nel cielo.
Abigail ha le mani stanche, atrofizzate dal
movimento e il riverbero blu cobalto si tra-
sforma ancora e crea altro tono, altro inciso e
lascia il riflesso specchio di Merisi nello sta-
gno d’acqua che la pone a guardarsi mentre la
folla applaude impazzita, stanca e stordita.
Vestita con abiti lunghi e capellino a ridos-
so dell’alba arriva al canile municipale sente
abbaiare i suoi più teneri amici e magnetica-
mente si avvicina a loro. Si avvia verso quelle
gabbie, la sua Mami parla con il responsabile,
nel frattempo lei esplora a modo suo, con il
fiuto di stare al mondo. Dinnanzi ad una gab-
bia le mani si incatenano forti, mentre osser-
vano il cucciolo nero di meticcio che le saltel-
la davanti a lei, gioca con la scodella, rove-
scia tutto e crea una grande confusione di ef-
fusione e gioia. E’ puro caos solo per farsi
notare, ma lei è lì per lui, per
il suo acrobata nero corvino,
come inchiostro. La Mami la
raggiunge e vederla incate-
nata con le mani alla gabbia
la incanta gioiosamente, la
stupisce di nuovo come
l’astronauta che viaggia in-
torno alla luna affascinata
dalla terra inesplorata e lon-
tana, la conquista del suolo
dall’ astronauta in assenza di
gravità. Le chiavi tintinnano
e il nero meticcio le salta ad-
dosso leccandola tutta. Lo sguardo del custo-
de si posa per la prima volta su di lei.
“Abigail! Tu sei la rockstar!”
Una folla impazzita di flash e giornalisti in-
vadono il canile.
“Presto, presto venite con me, da questa
parte, passate attraverso le gabbie “
Si lasciano passare tra le gabbie tra cuccioli
saltanti e coccoloni mentre abbaiano allegri,
si ritrovano in una uscita secondaria, anche lì
flash e fotografi, loro salgono in auto e si al-
lontanano.
Il cucciolo nero corvino, l’acrobata inchio-
stro, è di nuovo con Abigail.
“ Il caos confonde la mia mente in un so-
strato di polvere cosmica, buonanotteeeee a
tutti”
L’auditorium viene giù in un oceanico cal-
do applauso.
Filomena Iovinella
LA VOCE DI DIO
Va il mio pensiero
sulle alte montagne
a udire
nel canto degli uccelli
la voce di Dio
Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, Mi
Domenico Defelice: “Pupazzetto con para-
cadute” (pastello, 1960) ↓
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 31
Comunicato STAMPA
XXVI Edizione
CITTÀ DI POMEZIA
L’Editrice POMEZIA-NOTIZIE - via Fra-
telli Bandiera 6 - 00040 Pomezia (RM) - Tel.
06 9112113 – E-Mail: defelice. [email protected] - internet: http://issuu.com/domenicoww/docs/
- organizza, per l’anno 2016, la XXVI Edi-
zione del Premio Letterario Internazionale
CITTÀ DI POMEZIA, suddiviso nelle se-
guenti sezioni :
A - Raccolta di poesie (max 500 vv.), da in-
viare fascicolata e con titolo, pena esclusione.
Se è possibile, inviare, assieme alla copia car-
tacea, anche il CD;
B - Poesia singola (max 35 vv.) ;
C – Poesia in vernacolo (max 35 vv.), con al-
legata versione in lingua;
D - Racconto, o novella (max 6 cartelle. Per
cartella si intende un foglio battuto a macchi-
na – o computer - da 30 righe per 60 battute
per riga, per un totale di 1800 battute. Se è
possibile, inviare, accanto alla copia cartacea,
anche il CD);
E – Fiaba (max 6 cartelle, c. s., lettera D);
F – Saggio critico (max 6 cartelle, c. s.).
Non possono partecipare alla stessa sezione
i vincitori (i Primi classificati) delle trascorse
Edizioni.
Le opere (non manoscritte, pena l’ esclu-
sione), inedite e mai premiate, con firma, in-
dirizzo chiaro dell’autore e dichiarazione di
autenticità, devono pervenire a Domenico
Defelice – via Fratelli Bandiera 6 - 00040
POMEZIA (RM) - e in unica copia - entro e
non oltre il 31 maggio 2016.
Le opere straniere devono essere accompa-
gnate da una traduzione in lingua italiana.
Ad ogni autore, che può partecipare a una
sola sezione e allegare un breve curriculum di
non oltre dieci righe, è richiesto un contributo
di 20 Euro per la sezione A e 10 Euro per le
altre sezioni, in contanti assieme agli elabora-
ti (ma non si risponde di eventuali disguidi) o
da versare sul c. c. p. N° 43585009 intestato
a :Domenico Defelice - via Fratelli Bandie-
ra 6 - 00040 Pomezia (RM). Le quote sono in
euro anche per gli autori stranieri. Sono
esclusi dal contributo i minori di anni 18 (au-
tocertificazione secondo Legge Bassanini).
Non è prevista cerimonia di premiazione e
l’operato della Commissione di Lettura della
Rivista è insindacabile. I Premi consistono
nella sola pubblicazione dei lavori.
All’unico vincitore della Sezione A verran-
no consegnate 20 copie del Quaderno Lettera-
rio Il Croco (supplemento di Pomezia- Noti-
zie), sul quale sarà pubblicata gratuitamente
la sua opera. Tutte le altre copie verranno di-
stribuite gratuitamente, a lettori e collaborato-
ri, allegando il fascicolo al numero della Ri-
vista (presumibilmente quello di ottobre
2016). Sui successivi numeri (che l’autore ri-
ceverà solo se abbonato) saranno ospitate le
eventuali note critiche e le recensioni.
Ai vincitori delle sezioni B, C, D, E, F e ai
secondi classificati per ciascuna sezione, verrà
inviata copia della Rivista - o del Quaderno
Letterario Il Croco - che conterrà il loro lavoro.
Per ogni sezione, qualora i lavori risultassero
scadenti, la Commissione di Lettura può deci-
dere anche la non assegnazione del premio.
La mancata osservazione, anche parziale,
del presente regolamento comporta l’ auto-
matica esclusione. Foro competente è quello
di Roma.
Domenico Defelice Organizzatore del Premio e direttore di P. -N.
Vincitori della SEZIONE A delle precedenti edi-
zioni: Pasquale Maffeo: La melagrana aperta; Et-
tore Alvaro:Hiuricedhi; Viviana Petruzzi Marabel-li:Frammento d’estate; Vittorio Smera: Menabò;
Giuseppe Nalli: A Giada; Orazio Tanelli (USA):
Canti del ritorno; Solange De Bressieux (Francia): Pioggia di rose sul cuore spento; Walter Nesti: Iti-
nerario a Calu; Maria Grazia Lenisa: La ragazza di
Arthur; Sabina Iarussi: Limen; Leonardo Selvaggi: I tempi felici; Anna Maria Salanitri: Dove si perde la
memoria; Giuseppe Vetromile: Mesinversi; Gio-
vanna Bono Marchetti: Camelot; Elena Mancusi
Anziano: Anima pura; Sandra Cirani: Io che ho
scelto te; Veniero Scarselli: Molti millenni d’ amo-re; Sandro Angelucci: Controluce; Giorgina Busca
Gernetti: L’anima e il lago; Rossano Onano: Ma-
scara; Fulvio Castellani: Quaderno sgualcito; Na-zario Pardini: I simboli del mito; Rodolfo Vettorel-
lo: Voglio silenzio; Isabella Michela Affinito: Pro-
babilmente sarà poesia.
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 32
I POETI E LA NATURA – 55
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
QUASIMODO (1901-1968): LA
SOLITUDINE DELL' UOMO
NELLA NATURA
Ognuno sta solo
sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole.
Ed è subito sera.”
Chi non ricorda questi versi del grande poe-
ta siciliano Salvatore Quasimodo, Premio
Nobel per la Letteratura nel 1959?
Quasimodo nasce a Modica (Ragusa) nel
1901 e trascorre la sua infanzia in vari paesi
della Sicilia dove via via si trasferisce il padre
che fa il capostazione. Dal 1919 al 1926 vive
a Roma per frequentare il Politecnico e lau-
rearsi in ingegneria, ma le ristrettezze econo-
miche e gli interessi per le lingue latina e gre-
ca lo dissuadono presto da quel tipo di studi.
Nel 1926 si impiega presso il Genio Civile di
Reggio Calabria e nel 1929, trasferito a Fi-
renze, viene introdotto da suo cognato Elio
Vittorini, nell'ambiente letterario della rivista
"Solaria" dove conosce Montale, La Pira, Lo-
ria... e comincia le sue pubblicazioni poeti-
che.
Nel 1930 pubblica la sua prima raccolta di
versi Acque e Terre e nel'32, trasferito a Ge-
nova, pubblica Oboe Sommerso. Nel'34 il
poeta è a Milano, accolto nell'ambiente cultu-
rale milanese, e lasciato l'impiego al Genio
Civile si dedica completamente alla poesia.
Nel 1940 pubblica la sua mirabile traduzione
dei Lirici Greci ottenendo tali consensi che
nel 1941 "per chiara fama" è chiamato ad in-
segnare letteratura italiana al Conservatorio.
Intanto, scoppiata la seconda guerra mondia-
le, il poeta ne viene profondamente sconvolto
e matura l'idea che la poesia deve uscire dalla
sfera aristocratica del privato per interessarsi
alle problematiche sociali e civili, intenta a
"rifare l'uomo" abbruttito dagli orrori della
guerra.
Questo impegno si riscontra in tutte le suc-
cessive raccolte poetiche di Quasimodo:
Giorno dopo giorno (1947), La vita non è so-
gno (1949), La terra impareggiabile (1958).
Nel 1959 gli viene attribuito il premio Nobel
per la letteratura. Muore a Napoli nel 1968.
In questa sua famosa lirica (Ed è subito se-
ra”) c'è tutta la visione della vita umana entro
l'ambito della Terra, della Natura e del Co-
smo. E c'è la dolorosa constatazione che la
vita dell'uomo è troppo breve e che il raggio
di sole “simbolo della natura” dura troppo
poco per alleviare il suo dolore e sollevarlo
dalla pena di vivere. Per giunta l'uomo vive
questa sua vita, così avara di gioie, in perfetta
solitudine (“Ognuno sta solo”) .
Una solitudine inconsolabile, ma che co-
munque non entra mai in conflitto aperto con
la Natura, come avveniva in Leopardi, per il
quale la Natura è, senza alcun dubbio, “ma-
trigna” nei confronti dell'uomo in quanto non
mantiene le promesse fattegli nella giovinez-
“
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 33
za.
Al contrario, Quasimodo cerca l' “accordo”
con la Natura. Vi cerca consolazione, che si
tratti sia della sua vagheggiata Sicilia che del-
le pianure e dei laghi lombardi (simbolo della
sua migrazione e del suo sradicamento).
Il problema sta nella solitudine dell'uomo
fra gli altri uomini. Ciascuno si trascina il pe-
so del proprio dramma e del proprio destino
di singolo individuo, pur vivendo nei formi-
cai umani presenti “sul cuore della terra”.
Fino a giungere alla “sera” di ciascuno. Nel
parallelismo, nella metafora, di tanti poeti di
ogni tempo, tra la fine della vita umana e la
fine del ciclo del giorno naturale.
Luigi De Rosa
L’ULTIMA ORA
(Sonetto acrostico)
Parole di pietra ramificate
E vuoti pensieri precari
Neri grappoli di vite amari
Alla terra anime purificate
Morte bocca di Dei avari
Ora che scuote, lenta procede
Ronza dentro ciò che possiede
Torna percuotendo i temerari
Averno è il luogo dove risiede
Lontano è ora il vecchio oblìo
Entra, squilla, procede, precede
Sovrasta il suono del mormorìo
E la parola non ha più memoria
Isocronismo che spezza il balbettìo.
Susanna Pelizza Roma
PIOVASCHI HIGH TECH
Alternanza di raggiante sole
e di acquazzoni di pioggia di grandine di
grandi fiocchi bianchi
leggeri quali uccelli
Crederesti contemplare lo spettacolo stagionale
che già conoscevano
gli antenati degli antenati dei tuoi antenati
se venuto da un paese vicino
non fosse anche caduto un grosso drone
per fortuna in un campo deserto
È l’alta technologia
di cui i poteri pubblici affermano
che sia indispensabile alla nostra vita
Di certo essa può anche uccidere
Béatrice Gaudy
Francia N. B. Il 29 febbraio 2016, un drone belga che vo-
lava a più dei 160 kilometri all’ora a quota mille è scappato al controllo dei suoi proprietari. Dopo
avere varcato la frontiera, improvvisamente ha
smesso di funzionare per schiacciarsi in un campo del comune di Dizy-Le-Gros, a 45 chilometri da
Reims, in Francia. Il 19 febbraio 2016, vicino
all’aeroporto francese di Roissy, il copilota di un Airbus A320 ha per poco evitato la collisione con
un drone passato a cinque metri dall’aereo, a più
di 1600 metri di altitudine.
DOPPIATO
Si sdoppia, a una svolta, la vita:
dalla sopravvivenza è sorpassata.
Corrado Calabrò
Roma _____________
Sono 22 i libri di poesie pubblicati in Italia da Corrado Calabrò e 32 quelli pubblicati all’estero,
in 20 lingue. Tra i principali: Una vita per il suo
verso, Oscar Mondadori, 2002, e La Stella pro-messa, Lo Specchio Mondadori, 2009. L’ultimo
suo libro (il quinto pubblicato in Spagna), è
Acuérdate de Olvidarla (Ricordati di dimenticar-la), vincitore del Premio Internacional de Litera-
tura Gustavo Adolfo Bécquer 2015.
Delle sue poesie sono stati fatti anche vari com-pact disks con le voci di Achille Millo, Riccardo
Cucciolla, Giancarlo Giannini, Walter Maestosi,
Paola Pitagora, Alberto Rossatti, Daniela Barra. I suoi testi sono stati presentati in teatro, in recital-
spettacoli, in 34 città italiane e anche all’estero.
Per la sua opera letteraria è stata conferita a Cala-brò la laurea honoris causa dall’Università Me-
chnikov di Odessa nel 1997, dall’Università Vest
Din di Timişoara nel 2000 e dall’Università stata-
le di Mariupol nel 2015.
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 34
Recensioni
PAOLI RUFFILLI
LA NOTTE BIANCA –
LE POESIE DI ŽIVAGO
(Biblioteca dei Leoni, Treviso, 2016, €12,00)
Già da tempo Paolo Ruffilli è andato pubblican-do, nella collana di poesia della Biblioteca dei Leo-
ni da lui diretta, i suoi saggi e le sue traduzioni ri-
guardanti alcuni dei più importanti poeti russi del Novecento, come Osip Mandel’stam e Anna Ach-
matova. Ad essi ora si aggiunge Boris Pasternak,
con un libro intitolato La notte bianca – Le poesie di Živago, che appare subito di molto interesse,
perché vale a richiamare l’attenzione su dei testi
poetici che sono tra i più validi di questo grande scrittore, nato a Mosca 10 febbraio 1890 e morto a
Peredelkino il 30 maggio 1960, il quale da noi è no-
to specialmente per il suo romanzo. È questo un libro che ha non soltanto dei grandis-
simi pregi narrativi, ma anche degli alti valori poe-
tici per i molti squarci lirici che contiene. Del resto il protagonista, il dottor Živago, è anche un poeta, e
l’autore ci informa che “i suoi versi, secondo lui, si
giustificavano in virtù d’una certa forza e originali-tà; le due doti che egli considerava essenziali alla
realtà dell’arte”. (La citazione è tratta dal libro Il
dottor Živago, edito da Feltrinelli, Milano, 1957). Le poesie qui tradotte sono state tratte dall’ultima
sezione del romanzo, la diciassettesima, nella quale
l’autore ha inserito le Poesie di Jurij Živago. E che esse siano molto significative lo si rileva sin da una
prima lettura di testi quali Amleto, da cui emerge la
problematicità e l’azzardo del vivere: “Spente le voci, eccomi entrato in scena./Poggiato a uno stipite
di porta,/vado intuendo nell’eco sempre più smorta
/ quello a cui la vita mi incatena” o quali La notte
bianca, la poesia scelta da Ruffilli come eponima,
nella quale viene espresso l’estatico incanto di una
notte trascorsa con l’amata di fronte al Creato: “Siamo presi nella stessa velata/trepida tela di ra-
gno del mistero,/come la città con il suo panorama
intero/che piega laggiù oltre la Neva sconfinata”. Altrove in queste poesie s’affaccia la lacerazione
del dolore e della sconfitta, che lega l’animo in una
rete di cupa tristezza: “E gli anni passeranno e tu ti sposerai, / dimenticando questi disordini felici. /
Ma, farsi donna, sì che è una conquista, / fare im-
pazzire è solo impresa da eroina” (Dichiarazione). Sovente poi è la descrizione della natura che affa-
scina il poeta, il quale trova in essa lo specchio del
suo animo ed in essa si ricontempla: “E là dove il tramonto si incendiava / contro il nero di alberi lon-
tani, / come una campana che suonasse a stormo / si
alzò nell’aria la frenesia di un usignolo” (Strade di fango); “Scherzando il bosco gioca a lanciare / un
suo rumore sull’erta del pendio / dove i noccioli ar-
si dal sole estivo / stanno bruciacchiati come dal fuoco. / … / Ed è una pena che l’universo sia più
semplice / di quanto pensi qualcuno più istruito, / e
che il bosco sia andato così giù / e che per ogni co-
sa arrivi la sua fine” (Estate di San Martino).
Qui è la situazione psicologica del protagonista, e del romanziere allo stesso tempo, che nelle appa-
renze del mondo esterno si riflette: infatti, come os-
serva Ruffilli, “Jurij Živago è la trasposizione ro-manzata, l’alter ego di Pasternak”, il quale in lui si
identifica, dal momento che “Jurij nel romanzo vive
lo stesso dissidio del suo autore tra l’artista e la so-cietà, tra la poesia e la politica, tra l’arte e la storia,
tra l’amore e il matrimonio”. Ed è proprio ciò che
conferisce alla sua figura un così grande interesse.
Queste poesie, come ancora osserva Ruffilli, “ri-
percorrono l’intera vicenda di Jurij nel romanzo”; e
lo fanno con quella “originalità sobria, smussata, ir-riconoscibile all’esterno, nascosta sotto il velo di
una forma ovvia e consueta”, di cui si fa ordinaria-
mente uso nel libro. Fatte di emozioni e di illuminazioni, queste poe-
sie contengono un forte elemento simbolico; e, co-
me dice Angelo Maria Ripellino, che qui viene ri-cordato, insieme a Renato Poggioli, sono portatrici
di “improvvisi stupori” e di “incantamenti”, che
danno ai loro versi una “straordinaria freschezza” e
un “sapore di meraviglia”.
È quanto si nota, ad esempio, in testi quali Le
nozze, dove si legge: “Anche la vita ha la durata di un istante,/solo un rapido dissolversi/di noi stessi in
tutti gli altri,/ come ci fossimo offerti loro in dono”.
Ma si vedano anche Notte d’inverno: “Tormenta in ogni angolo della terra./Sul tavolo bruciava una
candela,/lì sopra restava tremolando accesa” e La
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 35
terra: “Nelle case di Mosca, è a un tratto/che ir-
rompe d’impeto la primavera./… /Lungo i mezza-
nini di legno / si espongono di nuovo vasi di fiori”. Ci sono tra queste poesie anche quelle d’ ispira-
zione religiosa, come Stella cometa, che rievoca la
nascita di Cristo; Miracolo, che colpisce per l’ ine-sorabilità dell’evento che evoca; Giorni crudeli, in
cui la sofferenza e il male che ovunque dilaga si af-
facciano con particolare veemenza, in analogia con molte pagine del romanzo: “Poi giorni sempre più
cupi e crudeli, / con i cuori ormai sordi all’amore / e
il disprezzo che aggrotta i sopraccigli, / precipitan-do verso la sua fine. // Con la pesantezza livida del
piombo / il cielo schiacciava tutta la città…”.
Si vedano anche le due poesie dedicate alla Mad-dalena, con il loro profondo scavo psicologico e
Getsemani, una delle poesie più ispirate e profonde
tra quelle che qui figurano, con la quale la raccolta si chiude. Ed è significativo il fatto che essa sia po-
sta a conclusione di un libro di così alto valore, che
narra, in maniera vivace e accattivante, la vita di un medico e di un poeta, Jurij Andrèevič Živago (tanto
simile per molti versi a quella del suo autore), tra-
scinato nel turbine della rivoluzione sovietica e di-
viso tra l’amore di due donne, Tonia e Lara.
Il romanzo, apparso in anteprima mondiale in Ita-lia, nel novembre 1957 presso l’Editrice Feltrinelli,
poté essere pubblicato in Russia soltanto nel 1988,
perché inviso al regime sovietico. Valse a Pasternak nel 1958 il Premio Nobel per la letteratura, ma l’
autore non poté ritirarlo per timore, ben giustificato
a quel tempo, che gli fosse negato il rientro in pa-tria.
Un lavoro molto utile quello di Ruffilli, che vale a
far meglio conoscere dei testi poetici di alto pregio,
ma poco noti, per il prevalente interesse rivolto nel
mondo attuale all’arte del narratore rispetto a quella
del poeta.
Elio Andriuoli
UIGI DE ROSA
LA GRANDE POESIA DI
GIANNI RESCIGNO
Il poeta di Santa Maria di Castellabate
Saggio critico (Genesi Editrice, Torino, aprile
2016; pp.186, € 14,00).
Con questo ampio saggio intitolato La grande
poesia di Gianni Rescigno, uscito da poco a Torino per i tipi della Genesi Editrice, lo scrittore e saggi-
sta Luigi De Rosa realizza un’impresa invero en-
comiabile e meritoria: un libro che costituisce un equilibrato quanto devoto omaggio postumo alla
ricca produzione in versi del poeta di Castellabate
scomparso un anno fa; un’opera scorrevole, di ele-
gante scrittura, e che ha, tra gli altri, il grande pre-
gio della profondità e della completezza. L’autore non sceglie di entrare subito in medias
res per addentrarsi nell’analisi critica delle molte
raccolte di poesia: dopo la sua premessa introdutti-va, egli preferisce infatti aprire le prime pagine ri-
portando alcuni fra i molti messaggi, lettere ed e-
mail che, nei giorni successivi al 13 maggio 2015, giunsero subito alla famiglia Rescigno per testimo-
niare in un coro unanime lo stupore, il rammarico,
il vivo dolore per l’improvvisa e inaspettata diparti-ta dell’amatissimo poeta. Un lutto non soltanto
soggettivo, personale, ma una perdita incolmabile
anche per il mondo della cultura italiana. De Rosa ha occasione di sottolineare quanto sia stata con-
corde la reazione di «sbigottimento, incredulità, do-
lore, espressioni di stima e di ammirazione per Gianni Rescigno, uomo e poeta inimitabile».
Un uomo dall’animo semplice, Gianni Rescigno;
una persona fidata e leale, dalla bontà straordinaria, con un’indole sincera e generosa che si rispecchia-
va interamente nella limpidezza malinconica e so-
gnante della sua poesia. Era stato un bravo maestro
di scuola, fedele alla sua missione di educatore e af-
fezionato ai suoi scolari, che, come si vede bene in una delle bellissime fotografie in coda a questo vo-
lume, pareva uscire dalle pagine del Cuore di De
Amicis. E non ci si può dimenticare che anche altri maestri di scuola rifulsero nel firmamento lettera-
rio: penso, tra gli altri, alla lombarda Ada Negri e
soprattutto alla svedese Selma Lagerlöf, la prima donna a ricevere il premio Nobel per la letteratura
(1909).
De Rosa conclude la sua premessa affermando
con ferma fiducia che Gianni Rescigno non morirà
mai. E anche l’Editore, lo scrittore Sandro Gros-
Pietro, non manca di esprimere nella sua nota finale la medesima certezza che «ci sia una nuova vita
comune di Gianni Rescigno, còlta in eredità come
esempio e come monito di valori culturali e territo-riali da lui difesi e diffusi, e si possa dire con Dante
«per correr migliori acque alza le vele / omai la
navicella del mio ingegno». Proprio perché la memoria di Gianni Rescigno e
della sua opera resti intramontabile e luminosa nell’
animo dei suoi amici e dei suoi lettori, Luigi De
Rosa scrive questo libro nutrito, perspicace, accura-
to ma mai pedante, e gli offre in tal modo un meri-
tato dono commemorativo. Diversamente da colei che qui scrive, la quale,
poco più di quindici anni fa, mettendo a punto il
primo lavoro sistematico sull’opera poetica resci-gniana, si trovò davanti circa mezzo migliaio di
poesie, prefazioni di illustri personalità, alcuni arti-
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 36
coli di giornale, ma nemmeno un lavoro importante
che vi fosse specificamente dedicato – forse con le
sole eccezioni del capitolo Lux et veritas: Gianni Rescigno, all’interno di un libro di Giuseppe De
Marco, e dell’esteso Profilo e bilancio critico di
Vittoriano Esposito, nella raccolta Le strade di set-tembre – De Rosa ha avuto oggi di fronte una mole
di versi pressoché raddoppiata (i 13 libri di poesia
di allora sono diventati 24), una decina di saggi dati alle stampe, innumerevoli recensioni e una tesi di
laurea; tutti testi che, nella sua puntuale disamina,
ha dovuto necessariamente tenere in conto. A mag-gior ragione, dunque, dobbiamo grandemente am-
mirare il suo lavoro, poiché è dovuto procedere ar-
ricchendosi di capitolo in capitolo non soltanto dell’ esplorazione sempre approfondita dei versi del poe-
ta, ma anche di tutto quanto su di lui è già stato
scritto e pubblicato. Si potrebbe affermare, ricor-rendo a una metafora, che il testo di De Rosa scorre
dalla prima all’ultima pagina come un fiume che,
lungo il suo percorso verso la foce, diviene sempre più ampio e copioso mentre raccoglie da ogni parte
le acque di tutti i suoi affluenti.
Cominciando dalla prima raccolta di versi, Cre-
dere (1969), l’Autore procede passo a passo ad illu-
strare una per una tutte le sillogi fino all’ultima (Un sogno che sosta, 2014), attraversando così quasi
cinquant’anni di produzione poetica, attento non
solamente a rilevare gli aspetti fondamentali che costituiscono le imprescindibili coordinate dell’
universo lirico rescigniano, ma anche a mettere in
luce gli elementi significativi di maturazione e di evoluzione che è possibile individuare nel corso dei
decenni. Molte sono, per di più, le poesie citate –
alcune anche integralmente – per cui il libro, oltre
che un esaustivo testo critico, diventa di conse-
guenza un bellissimo florilegio di tutta la poesia di
Rescigno. Nella seconda e ultima parte del volume (La poe-
sia di Rescigno nella critica letteraria) De Rosa,
senza dimenticare nessuno fra gli illustri Autori, letterati e saggisti che hanno dedicato pagine di
analisi e di commento a queste raccolte di versi,
considera puntualmente i testi più rilevanti che sono stati pubblicati da quindici anni a questa parte sul
poeta di Santa Maria di Castellabate, chiamando a
raccolta una corona di voci della critica contempo-
ranea (in primis Giorgio Bárberi Squarotti, e quindi
in ordine sparso Luigi Pumpo, Franca Alaimo, Giu-
liano Manacorda, Menotti Lerro, Maria Rosaria La Marca, Sandro Angelucci, Antonio Vitolo, la sotto-
scritta ed altri ancora) che in tal modo hanno potuto
congiungersi, nella sua indagine, in una poliedrica visione, individuale come collettiva, per contribuire
a tracciare nell’insieme un eloquente ritratto a tutto
tondo dell’intera poetica rescigniana.
Con questo libro Luigi De Rosa ha veramente
messo a punto un testo di alto profilo critico, in grado di illustrare con diligente, quasi umile cura, e
con un linguaggio terso e fluente, il lungo, incom-
parabile itinerario di un’opera di poesia da cui egli non nasconde di essere affascinato, e che tuttavia,
se pure lo conquista intimamente, non gli toglie mai
il distacco necessario ad uno studio profondo, intel-ligente, obiettivo.
Se avesse potuto essere ancor oggi fra i viventi,
Gianni Rescigno – che sapeva dall’autore del co-stante progredire di questo lavoro – avrebbe senza
dubbio sfogliato queste pagine con grande gioia e
autentica commozione, e l’avrebbe saputo apprez-zare in ogni sua parte traendone una rara quanto
meritata felicità…
Marina Caracciolo
BRANDISIO ANDOLFI
INTIME ANNOTAZIONI N° 1
(Quasi poesie), Accademia Internazionale Il Con-
vivio, Castiglione di Sicilia (CT) 2015, Pagg. 64, €
10,00
Brandisio Andolfi è nato a Casale di Cerignola
nel 1931, laureato in Lettere Moderne, nella Uni-
versità di Caserta vi ha svolto la docenza negli Isti-tuti di Media Superiore e formandovi famiglia; ha
pubblicato centinaia di recensioni su autori con-
temporanei, e una ventina di libri, soprattutto di poesia tra cui il più recente Intime annotazioni N. 1,
intrattenendo relazioni con importanti critici. Le sue
annotazioni sono intrise di tristezza.
Salvatore D’Ambrosio, nella prefazione alla rac-
colta, richiama l’attenzione sulla possibilità che la
memoria costituisca la guida per capire il senso del-la vita, e indica nei poeti le persone più adatte a ca-
pire “La disperazione, il dolore, la gioia, la musica-
lità di un filo d’erba o di un soffio di vento improv-viso”, a comprenderne il respiro e a compartecipar-
ne i propri simili. Dice che “L’Andolfi è Titiro e
Melibeo (Virgilio, prima Bucolica) nello stesso tempo” per via del suo attaccamento alla terra che
gli diede i natali (Sessa Aurunca, Caserta), seppure
gli provochi nostalgia della propria fanciullezza;
diviso fra questa terra e l’attuale terra che l’ acco-
glie.
La raccolta si presenta come un fiume in piena per via della lunghezza dei componimenti e della
versificazione prosastica, d’altronde il mondo in cui
si muove è disincantato: automobili e moto che sfrecciano rombanti, incidenti stradali che ci hanno
abituati all’indifferenza, un ecosistema alla deriva.
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 37
A queste aridità oppone parole come: assera, albale,
abbuiare, annottare. Abbiamo perduto la capacità
alla meraviglia. C’è nel Poeta questa riflessione fi-losofica che accomuna tutti gli esseri che hanno
cuore e sentimenti, perciò commenta: “Solo i ricor-
di e la nostalgia viva/ ci rincuorano un po’ gli ulti-mi giorni/ specie se sono pieni di sole e non di/ cat-
tivi pensieri che distruggono più/ di tutti i mali sen-
za rimedi/ per alleviare i tormenti di ieri.” (pag. 13) Brandisio Andolfi ripercorre all’indietro il tempo
e corre immediato il confronto con la realtà che vi-
ve. Le sue origini, il contatto con la campagna; “un campo arato di fresco,/ per un buon raccolto a fine
anno.” (pag. 31).Sui balconi non mancavano le
pianticelle di basilico e di altre essenze per la cuci-na e si godeva della visione del cielo, del mare, del-
la campagna, al contrario di oggi in cui diventa raro
ammirare il cielo terso, ci sovrastano frastuoni di ogni genere, montagne di spazzatura, siamo diven-
tati incapaci di parlare con il proprio intimo. Ai ca-
valli quadrupedi abbiamo sostituito quelli del moto-re. Man mano gli amici sono sempre di meno.
In città è diventato difficoltoso spostarsi, per via
del traffico; gli artigiani vanno sparendo. In quanto
alla modernità, dice di essere rimasto all’età della
pietra, poiché non conosce i nuovi mezzi elettronici di comunicazione; ma ne riconosce l’utilità, tant’è
che ammette:“Papà, dice mia figlia: quando esci di
casa/ portati sempre il cellulare, perché/ tu possa essermi vicino.” (pag. 24). Il Poeta osserva nelle
sue annotazioni, che siamo diventati tortuosi nel
linguaggio, che la pesantezza degli anni ci appros-sima alla temuta Signora nera; e che nonostante le
prediche, i buoni propositi, almeno formalmente,
regnano le liti e l’assenza di fratellanza.
Brandisio Andolfi si rattrista pensando alla sua
Campania divenuta “terra dei fuochi”, simile all’
Inferno dantesco; aggiungo che una volta l’intera regione veniva denominata Terra Laburis: un vero
contrasto, specie se la rapportiamo alla Milano in-
dustrializzata e ricca di storia. Le tragedie che at-traversano i nostri tempi, non risparmiano nessuno.
Al disordine materiale si affianca quello morale,
per volere sempre di più, così: furbi, furbetti e ma-landrini frodiamo fingendoci invalidi.
Oggi siamo assoggettati al dio denaro, al profitto;
l’uomo viene valutato per quello che ha, non per
quello che è; a tal proposito mi ricorda quanto scri-
veva Erich Fromm. Alla festa del lavoro non sven-
tolano più le bandiere dei lavoratori, il lavoro man-ca. Un omaggio il ricordo a Corrado Calabrò per
avergli “fatto leggere il suo libro/ di belle poesie
‘Mi manca il mare’./ Come a me adesso” (pag. 42). Anche il Nostro pensa al mare di Gaeta, facendo ri-
vivere Ulisse e l’ammaliatrice Circe. Evoca la pri-
ma nomina, il suo amore per gli allievi e rimane de-
luso per la situazione odierna.
Tito Cauchi
FELICE SERINO
FRAMMENTI DI LUCE INDIVISA Centro Studi Tindari-Patti (ME) 2015, Pagg. 120, € 10
Felice Serino è campano di Pozzuoli, nato nel
1941; autodidatta, vive a Torino. La recente raccol-
ta Frammenti di luce indivisa, si divide in cinque sezioni (Di luce indivisa, Dai cieli del sogno, Ladro
di parole, In divenire, Trasformazioni e dediche).
La prefazione è a cura di Lorenzo Spurio, il quale afferma che la poesia del Nostro è pervasa dal so-
gno e dal surrealismo; spiega che il riferimento agli
astri da parte del Poeta, sta a indicarne il desiderio di conoscenza dell’aldilà.
La prima impressione che si ricava dalla lettura è
il linguaggio sciolto e scorrevole, colorito e a volte divertito. Assenti sono i segni di interpunzione e le
maiuscole ad inizio poesie; e presenti sono echi let-
terari espressamente indicati. Ricorrente è la parola
‘morte’, ecco perché perfino la bellezza di una rosa
è respingente con le sue spine; perciò mettiamo in dubbio la presenza di Dio, nondimeno sul sangue di
Cristo abbiamo costruito una comunità solidale.
Nella visione di Felice Serino troviamo esempi edificanti quali Madre Teresa di Calcutta, Gino
Strada, Erri De Luca di Emergency; ci invita a ri-
guardarci dai falsi amici, novelli Giuda. Basti per-correre la crocifissione per renderci conto della mu-
tevolezza e molteplicità della tipologia umana. Si
mostra compassionevole verso i poveri, i malati di
mente, i disadattati. Un continuo confronto tra an-
geli e demoni in cui è avvenuto il miracolo della
conversione del dissoluto Agostino, forse perché Dio ha bisogno di noi; perciò conclude di affidarci
alle Sue mani.
L’Autore commenta che siamo fatti di cielo, ep-pure ne abbiamo tagliato il cordone ombelicale.
Nell’alternarsi della vita e della morte, il Poeta si
affida al sogno. Ricorda a Nelo Risi cosa significhi amare. Con linguaggio colorito, sulla vita considera
“se ci pensi/ vi si entra con uno schiaffo e/ se ne
esce con una/ manata di terra” (pag. 69). Sa di
esprimere parole, ma muove un rimprovero ai criti-
ci che “ti mettono a nudo sulla pagina-lenzuolo/
ravvivano il grido di luce/ della parola sofferta/ concepita nelle viscere” (pag. 76).
Felice Serino, nei suoi Frammenti di luce indivi-
sa, parla della vita, ma anche della morte: basta raccoglierne i frammenti, ordinarli secondo “l’
aleph del poeta cieco” Jorge Luis Borges (in un in-
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 38
finito numerabile, si direbbe in matematica). Il Poe-
ta vuole dare la voce a chi non l’ha, come nel caso
degli ammalati di Alzheimer; al grido d’aiuto del senzatetto dato alle fiamme, delle tante vittime dell’
11 settembre (2001 a New York) che gli richiama-
no gli anni di piombo in Italia. Pensa all’esempio di San Francesco e a volere scacciare da sé il “mal du
vivre”. Dichiara di trarre ispirazione da Dario Bel-
lezza, da Nicodemo e da altri. Tiene presenti Unga-retti, Alda Merini “segregata incompresa crocifis-
sa”, Emanuel Swedenborg, Rimbaud, Walt Whit-
man, James Dean, Hemingway; e pensa all’ amico poeta Flavio che l’ha preceduto nella “via
dell’Inconoscibile”. Nomi ed eventi che cita il No-
stro, possono sembrare sbavature poetiche, nondi-meno essi sono il tentativo di un mondo ricostituito.
Tito Cauchi
MARIAGINA BONCIANI
ANCORA POESIE Edizioni Helicon, Arezzo 2015, Pagg. 76, € 11,00
Mariagina Bonciani, nata e residente a Milano;
ragioniera per professione, si è occupata di import-
export, viaggiando e imparando lingue straniere; ha rinunciato a farsi una famiglia e si è preso cura del-
la madre inferma. Trova svago e impegno nel pia-
noforte, ma la sua passione più intima rimane la poesia, che l’ha fatta conoscere a molti grazie alla
sua partecipazione a concorsi letterari e alle opere
pubblicate. Fra queste ultime abbiamo Ancora poe-sie, la cui copertina, raffigurante uno spartito musi-
cale, una rosa rossa e una farfalla, sta già a segnare
una intima sentimentalità.
Neuro Bonifazi nella prefazione alla raccolta ri-
marca l’immagine sognante e autobiografica, della
Poetessa con i versi impregnati di metafora e di magia, che sposano insieme musica e incanto poe-
tico, sostando anche in passi discorsivi. A volte il
soggetto transita dalla prima persona alla seconda, creando un dialogo interiore soprattutto con la ma-
dre defunta. In quest’ultima immagine realizza il ri-
torno alla propria tenera infanzia ed anche l’ ester-nazione di una “rivelazione risolutrice delle sue an-
gosce inconsce e dei suoi rimpianti” per il suo uni-
co amore ancora fuso con la poesia.
Difatti Mariagina percorre il suo excursus esi-
stenziale “Camminavo per un sentiero/ che non sa-
pevo dove mi portasse,/ (…)/ posto perché conti-nuassi quella via/ che ora vedo chiara:/ la poesia.”,
notare la metafora e la musicalità. Inizia un dialogo
ora con lo sguardo alla luna, alla maniera dei ro-mantici; ora con lo sguardo alla visione circostante
di un balcone fiorito, evocando una presenza che le
faceva palpitare il cuore (nel 1952), ora volatilizza-
ta. Ora si rivolge alla madre guardandone l’ imma-
gine riflessa nelle vetrine e specchiandosi in lei medesima; nel contempo scorge nel volto della ge-
nitrice, i tratti distintivi della nonna, con esiti lirici
toccanti, poiché commenta: “Ma invano/ mi do-mando/ chi in me qualcuno ti ritroverà.” (pag. 15).
In una sorta di religiosa visione passa in rassegna
volti e circostanze. Il cuore è rimasto a Firenze, al suo colore e all’arte; ma è rimasta anche legata a
Londra che le evoca i bei giardini, “La bellissima,
straziante melodia/ del Lago dei Cigni di Čajkov-skij” che tuttavia le è di conforto. Vari luoghi visita-
ti come Plaza Monumental di Barcellona. Con l’
incanto dei concerti e dei grandi maestri, dell’ Ada-gio di Barber che le dà tanta tristezza; del Sogno di
una notte di mezza estate di Mendelssohn. In tutto
questo teatro il numero civico 90 di West Cromwell Road, è un topos rimasto scolpito nella mente e
nell’anima; quando vi ha fatto ritorno le viene det-
to: “Oh, dear, he died three years ago.”; rimanendo con l’eco di una voce registrata: “Hello, Maria.
This is Tony speaking.”
Penso che le dediche o i richiami a persone e a
personaggi, possano sembrare una sbavatura poeti-
ca, tuttavia credo che non li possa evitare perché essi sono legati a episodi cari della sua vita e met-
tono a nudo i sentimenti e il suo interesse sociale.
Così ricorda Claudia Vanzini; Amalia la sua prima insegnate di pianoforte; Maria Luisa; scrive in me-
moria di Liliana Rattagi Zucchetti; rammenta ad
Alfonso Piscopo i momenti felici. Nel panorama delle persone, mostra ammirazione per Margherita
Hack, la quale come sappiamo, si dichiarava atea,
perciò la Poetessa si chiede “Quale sul volto avrà
ora espressione/ trovandosi davanti al Creatore?”.
Ma il volto più caro rimane quello della madre che
lentamente e progressivamente si avvicina alla Casa del Signore, fino a sostarvi il 9 maggio 2010.
Ed ora le sue visite e i suoi ascolti avvengono in
modo virtuale. Legata d’affettuosa amicizia a Vsevolod Dvorkin in una atmosfera da concerto.
“La grande potenza descrittiva/ di questa Shehera-
zade di Rimsky Korsakow” le fa fantasticare un’ avventura con la nave di Simbad, ma subito si so-
vrappone “quella di un’altra nave carica/ di poveri
emigranti.”(pag. 45). Mariagina Bonciani rammen-
ta che il poeta costruisce con le parole, perciò lei si
congeda ricordandoci che mette a nudo la propria
anima e “Forse/ qualcuno la raccoglierà se piace./ Allo stesso modo si raccoglie/ una foglia da terra
quando è bella.” Tutto questo è il mondo incantato
in cui lo struggimento sublima un sogno in una sto-ria d’amore da darle corpo.
Tito Cauchi
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 39
ILOMENA IOVINELLA
ODI IMPETUOSE
Ed. l Croco/Pomezia-Notizie, 2016
Nelle sue “Odi Impetuose” la Iovinella prova ad
esplorare il caos. Un caos che per prima cosa è den-tro di sé e poi è attorno a sé, nel mondo.
Prova ad esplorare, perché è come se i suoi versi
aggiungessero caos ad altro caos, vista la vita che ognuno di noi conduce ogni giorno.
Siamo tutti vorticosamente coinvolti, nessuno che
si ferma un attimo a riflettere, a guardare l’altro con occhi più accoglienti. Tutti impauriti, insicuri, ve-
diamo e comunichiamo violenza e paure.
E allora i versi che dovrebbero ripulirci l’animo, possono servire? O portano solo ad un divenire ter-
rorizzante? “Emolliente balsamo di disonestà…una
corrotta densità che…nella morte muore e muore”, bastano queste poche righe a far comprendere che
lo scenario è apocalittico.
La Iovinella ci prova a guardare un paesaggio fio-rito e profumato con gli occhi della calma, ma an-
che qui ci sono stati di ansia e di disagio: un vaso
non è solo colmo, ma ricolmo; l’aria non è solo
calda ma arsa; la distanza è violenta e non placa il
tormento dei fiori profumati che sono il simbolo di una meta irraggiungibile. Un duello continuo nella
ricerca della felicità propria e altrui. Riuscirà la
poetessa a trovare uno stato di calma almeno appa-rente? Forse non lo sapremo mai, perché sembra
quasi che la Iovinella in questo caos interiore ed
esteriore ci si trovi bene; il caos è per lei l’ambiente ideale, uno sprone a comporre rime e parole che
scuotano sempre di più il genere umano.
Roberta Colazingari
NAZARIO PARDINI
DICOTOMIE
Writer Poesia, 2013 - Pagg. 320, € 16,00
Una prosa lirica meditata e fluente pare a prima
vista essere lo strumento e il veicolo letterario di
questa raccolta poetica dal tono riservato e collo-quiale, ora mansueto, ora sognante, ora gravido di
nostalgia ma sempre incline al piacere, calmo e ca-
denzato, del raccontare.
Questa veste prosastica, narrante, di largo respiro,
sempre confidente, questo periodare per ampi tratti
che occupano in genere tre o quattro versi spesso conclusi in emistichio, cela in realtà uno straordina-
rio, egregio impianto metrico.
Non ingannino le frequenti inarcature generate nei versi dove sul primo emistichio si compie un
periodo e sul secondo si avvia il periodo seguente: è
l’endecasillabo sciolto, di ascendenza leopardiana
(ben ravvisabile d’altra parte la citazione dalle “Ri-
cordanze” all’8° verso de “Il profumo della giovi-nezza”: “Ed io che ti perdevo. Inutilmente/”), il ri-
ferimento metrico dominante che sostiene e gover-
na tutto il dettato poetico di questa silloge e il suo abile trattamento già di per sé è un segnale di peri-
zia letteraria non comune.
Molte liriche sono formate integralmente da en-decasillabi. In altre la cadenza del nobile verso è
dominante ma è rintracciabile un’ampia gamma di
altre misure metriche, dal ternario ai bipartiti ales-sandrini, con preferenza per il settenario.
Sul ritmo basilare, largo e pulsante, degli endeca-
sillabi Pardini inserisce alternative alloritmiche, come detto raramente ad andamento estensivo tra-
mite versi lunghi o doppi, ma più frequentemente
contrattivo, attraverso versi brevi, realizzando di-gressioni ritmiche sincopate, d’altra parte mai fre-
netiche e indipendenti ma sempre ricondotte e con-
nesse allo stacco maestro dell’endecasillabo che, puntualmente, ogni volta, ricompare ristabilendo la
cadenza originaria.
Il linguaggio è accessibile, scorrevole, sobrio e
sorvegliato, senza ostentazioni, dal tono pacato,
conversante, dai colori soffusi, alieno da clamori fonetici (solo qualche sporadico accoppiamento di
rime o di assonanze) come anche da sensazionali-
smi concettuali (rilevabile forse una sola contorsio-ne metaforica: “per fionde che affondavano radici/
nel terriccio dell’anima” in “Lo stradone di scuo-
la”); linguaggio congeniale insomma tanto a una soffice pittura descrittiva quanto a una vereconda
rievocazione affettiva, talora impreziosito da qual-
che lemma ricercato (deliziosa la citazione pasco-
liana “reste”, da “L’ora di Barga”, in “Volerei feli-
ce fra le reste”) o desueto (“buiore” in “Zufoli e fili
d’erba”) oppure arricchito dall’occasionale ermeti-smo di qualche breve digressione concettosa e filo-
sofeggiante.
La funzione dei tempi verbali è quella classica: i passati riservati alle memorie, il presente per le
aperture descrittive, mentre certe subentranti, esal-
tanti sequenze di futuri configurano una dimensione auspicante, che in “Elegia per Lidia”, festosa e
amorosa apocalisse, diviene surreale, oracolare e
visionaria; una dimensione vaga e struggente eppu-
re propositiva, rasserenante, tutta tinta di speranza.
Notevole è anche la gamma sensoriale dei ricordi
dove tutti i sensi, visivo, uditivo, gustativo, olfatti-vo e tattile, sono rievocati e tradotti con agilità e
limpidezza.
Certo l’aura di mitezza che fa da sfondo a questo eloquio poetico, accanto a un suo colore “sombre”,
autunnale e all’austerità che si addice, pur nell’ al-
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 40
ternarsi dei registri, a un’immanente, costante “con-
templazione della morte”, sembra vietargli la scol-
pitezza di fraseggio e l’impeto d’accento così che in certi momenti la moderazione potrebbe essere
scambiata per inerzia e la sobrietà per gracilità
espressiva. A ben guardare però un simile rilievo appare in-
giusto.
Non è infatti raro trovare momenti di ragguarde-vole impatto espressivo, ora di incisiva eloquenza
(cfr. “ad immolare il giorno alle memorie” in “Il
raggio di un pensiero” oppure il bellissimo verso “Il pianto suo solenne ai vostri marmi” in “Oh terra di
novembre”), ora di intenso abbandono lirico (cfr.
“Andiamo, andiamo/ tu e io soli, giovinezza, an-diamo” in “Il profumo della giovinezza“) ora di
immaginosa eleganza (cfr. “alle frullane lucide di
sole” in “ Contro le lune”, oppure il notevolissimo “...; e tu madre/ sempre lesta alle brine mattutine”
in “Oh terra di novembre”).
Più d’uno sono i registri linguistici di quest’opera che forgia un “epos” familiare e contadino. “I canti
dell’assenza” declinano una colloquialità composi-
ta, che alterna una semplicità piana e gergale a trat-
ti di erudizione quando non di riferimento a fonti il-
lustri. D’altra parte l’affinità con i “Canti” leopardiani
non sta solo nell’impiego dell’endecasillabo sciolto
o nella citazione sopra rilevata, ma si ravvisa anche nella luminosa pienezza di certe aperture descrittive
(cfr. sei versi in “Sera di casa mia”: “L’aria si apre/
chiara nel cielo. Sfioriranno i gigli./ I narcisi sui prati e sopra i fulgidi/ balconi di paese. Ritornato/
sono per rivedere il primo verde/ che evade con il
raggio del mio prato/ il fumido maggese”). Ne “I
canti dell’assenza” Pardini ricostruisce alcune pie-
tre miliari del proprio vissuto con l’acutezza
dell’artista ispirato e la perizia del letterato di vaglia in una “Rechèrche” di un tempo mai perduto, rie-
cheggiato e ritrovato nella terra, nelle stagioni, nelle
persone, nei simulacri di un passato salvato e con-servato dentro agli affetti indelebili riposti nei re-
cessi più intimi della coscienza affettiva, negli an-
goli più difesi del cuore. Un passaggio da “Non chiedermi perché”, a cui
una doppia rima conferisce un tono gozzaniano,
riassume il senso di quest’opera poetica : “Sarà for-
se l’amore. Chi lo sa./ Eppure c’è qualcosa che ha
guidato/ quest’animo rigonfio di ricordi/ tra i fiordi
del passato.”. In una prospettiva insieme austera e benigna, que-
ste liriche sono culto della memoria, rintracciamen-
to di segreti del proprio passato nella ciclica, rituale immutabilità della natura e infine liturgia della spe-
ranza verso un ideale “nostos” di compimento e di
appagamento affettivo.
Nonostante l’impianto composito, sono la misura
e l’equilibrio nel dosare, accostare e legare le im-magini dei ricordi e le componenti del “melange”
emotivo e sensoriale suo proprio, in una parola l’
ammirevole equilibrio della linea narrativa, ad ap-parire come uno dei pregi salienti, forse il risultato
più distintivo e qualificante di questa raccolta.
Luciano Domenighini
MARIAGINA BONCIANI
"POESIE"
Marzo 2012, Edizioni Helicon
"POESIE E MUSICA"
Giugno 2014, Casa Editrice Menna, Avellino
"SOGNI"
Agosto 2015, Il Convivio
"ANCORA POESIE"
Dicembre 2015, Edizioni Helicon
Il mese di marzo 2016, ha portato dall'Italia un
bellissimo profumato bouquet di libri, di una dol-
cissima e meravigliosa Poetessa, che tanto ho am-
mirato per tutte le sue stupende poesie che ho letto
da tante riviste che assiduamente mi arrivano, in primis la maestosa POMEZIA-NOTIZIE, per farmi
sentire nella mia Terra e apprezzare tanti Autori,
che mi riempiono il cuore di allegria e di forti batti-cuori.
Mariagina Bonciani, è arrivata con quattro dei
suoi libri carichi di poesie, che odorano della bel-lezza della natura, del bene infinito per la sua
mamma, dell'amore che ha conservato gelosamente
nel cuore, dei sogni che le danno tanta ansia e la
passione per i viaggi, che le hanno dato gioia e
spensieratezza.
Mariagina, ha fatto gioiosamente ingresso nella grande famiglia dell'A.L.I.A.S. coi suoi libri, lucci-
canti di luminose liriche, che tutti gusteranno con l'
afflato magico di cui sono colme, per arricchire di nuove ondate di calore la passione che ci accomu-
na, dandoci la soddisfazione di amalgamare i nostri
pensieri e farli volare nell'etere accorciando le di-stanze e godere il nostro mondo fatto di poesia e d'
amore, per ogni cosa che Dio ha creato e che ci ha
regalato per godere i Suoi doni e donare amore!
“A MIA MAMMA, nel giorno della sua scom-
parsa” dal libro ANCORA POESIE: Di te/ mi era-
no rimasti ormai soltanto gli occhi,/gli occhi tuoi grandi e belli e luminosi./ Spenta la voce,/ e spento/
anche quel tuo sorriso/ radioso./ Mi guardavi/ e i
grandi tuoi occhi belli/ chiedevano qualcosa/ che non riuscivo o non volevo/ capire.
Un ricordo indelebile le è rimasto della mamma,
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 41
versi che toccano le radici dei puri sentimenti, un
affetto che rimane per sempre nel profondo del cuo-
re e la tristezza nel pensarla non andrà mai via. Un altro libro è nelle mie mani che tremano d'e-
mozioni, Mariagina con il suo "SOGNI" apre la
porta alla speranza e all'ansia dell'attesa di sognare: "IL SOGNO DELLA MIA VITA" dal libro "SO-
GNI'.
Non ti pensavo. /Mille problemi e ancora/ nuove preoccupazioni/ affollavano ieri la mia mente./ Ma
tu, pur non chiamato, dopo tanto,/ sei tornato a visi-
tarmi nel sogno./ La mia mano hai cercato, e dol-cemente,/ quasi carezza l'hai sfiorata.
Il cuore della Nostra, si rallegra nel sogno, incon-
trando il suo amore, che solo in sogno gli può dare la pace dei sensi, perché lui vive tra le stelle, lonta-
no da lei per sempre!
Mariagina, ha viaggiato tanto, ogni estate, ha pas-sato le vacanze in luoghi che tanto ha amato, in par-
ticolare Londra, che le ha regalato l'amore con la
musica e i concerti che tanto ha amato, ma il violi-no del suo Tony la incantava, e il suo cuore volava
con le note dolcissime che la stupivano per la sua
dolcezza e delicatezza, sfiorandole il cuore e acca-
rezzandole la mente, inondandola di un flusso di
armonia e di tranquillità. "L'INCONTRO" dal libro "POESIA E MUSICA"
In quella Londra che io tanto amo/ e che giorno
per giorno io scoprivo/ a me vicina per il suo rispet-to/ di usanze e tradizioni e per l'immensa/ varietà di
interessi che mi offriva; /in quella vecchia Londra
dove allora/ mi sono conosciuta ed ho provato/ la gioia di vagare alla scoperta/ di nuove genti e usan-
ze e nuova lingua;/ In quella vecchia Londra ove
ogni giorno/ in una sala da concerto oppure/ in una
chiesa o un parco o per la via/ sempre ascoltavo
musica... /Là ti ho trovato un giorno,/ forse in mia
attesa dietro una finestra,/ at number 90 di West Cromwell Road.
Ed ecco che il suo cuore incontra la gioia, che per
tutta la vita le dà musica e amore, in quel dolce ri-cordo vive i suoi giorni, in felice attesa di quell'a-
more che ha sempre tenuto nascosto tra le briglie
del suo cuore. "QUASI UNA VITA" dal libro "POESIE"
Quasi una vita/ amandoti senza parlare/ quasi una
vita/ amandoti senza sperare./ Ora che avevo capi-
to/ che dovevo parlare/ ora che avevo capito/ che
potevo sperare/ ti ho cercato/ pronta ad amare/ ed a
donare./ "Oh dear, he died three years ago." / Mi è stato detto. /Quasi una vita/ mi resta ormai per ri-
cordare/ e immaginare.
Mariagina Bonciani ama la vita nel ricordo dei giorni lieti e del suo amore, ama la poesia che è l'
arcobaleno, la tempesta, la catena che imprigiona e
ricama i giorni e unisce l'anima tra cielo mare e ter-
ra, nel sublime incanto del firmamento, che accen-
de di luci e colori il respiro, con quella sete di emo-zioni e sensazioni uniche, che dà il creare una poe-
sia!!!
Giovanna Li Volti Guzzardi
Melbourne, Australia
ANTONIO SPAGNUOLO
ULTIMO TOCCO
(Puntoacapo Editrice, 2015, Pasturana, AL, € 12,00)
Attivo in campo letterario da più di 60 anni, An-tonio Spagnuolo si è recentemente ripresentato ai
suoi lettori con una nuova silloge, dedicata alla
memoria della moglie, da non molto mancata al suo affetto. Caratteristica primaria di questa raccolta,
come ben nota Mauro Ferrari nella puntuale postfa-
zione, è l’“eccezionale coesione tematica ed espres-siva”, rilevabile finanche nella totale assenza di ti-
tolo delle 58 poesie che la compongono: le 11 liri-
che della prima sezione (quella eponima) sono in-
fatti contraddistinte quasi anonimamente con i sim-
boli delle lettere (a carattere maiuscolo) del nostro alfabeto, mentre le 47 della seconda (intitolata si-
gnificativamente Memorie) sono numerate con i
simboli dei numeri romani. L’insieme tende ad as-sumere così un significato paradigmatico quasi il
poeta voglia eternare la propria avventura, al di là
della breve parabola terrena che lega tutte le cose umane, elevandola ad una condizione di universali-
tà. Ne risulta un vero e proprio poemetto, che po-
trebbe continuare all’infinito, confermando quel le-
game affettivo che lo unisce alla donna amata e che
perdura anche oltre la sua morte: “Parlami ancora
di te, dei tuoi singhiozzi, / delle incertezze incredule che non hanno senso” (C); “Ancora urgeva l’ of-
ferta delle mani / in quell’ansia improvvisa di
sfrondare / gli anni trascorsi nelle trasparenze” (F); “Ora dietro alle porte torna il vuoto, / quel che ri-
mane della solitudine” (XLVI).
Un genere di poesia, questo, inteso a perpetuare il ricordo di una donna defunta (o anche di un uomo,
com’è il caso di parecchie Rime dedicate da Vitto-
ria Colonna al marito, Francesco Ferrante D’ Ava-
los, caduto nella battaglia di Pavia), che ha avuto
origini illustri: basti pensare a Dante, che dedica
molti suoi versi a Beatrice morta, dopo averla esal-tata in vita, oppure alle rime scritte dal Petrarca in
morte di Madonna Laura. E per venire ad un poeta
a noi più vicino nel tempo, si pensi alle poesie di Xenia, contenute in Satura, scritte da Montale per
Mosca (al secolo Drusilla Tanzi), la moglie premor-
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tagli.
A questa consuetudine si ricollega appunto Anto-
nio Spagnuolo, ma lo fa in maniera autonoma, ser-vendosi di una metrica che spesso alterna a versi
tradizionali altri dall’andamento più libero e mo-
derno, in maniera da sortire effetti molto convin-centi. Si vedano ad esempio: “nel decoro improvvi-
so dei tuoi seni, / ecco compare il ricordo del tuo
ciglio / il ritaglio di mani col tuo bacio / senza più fiato grigio del destino” (A); “Se la storia ritorna ol-
tre sembianze / i nuovi lembi nascondono la notte /
… / Ecco il mio prossimo incendio / a rintracciare il richiamo delle tue labbra / per assurdi desideri” (L);
“Le tue braccia non hanno più giorni / fra i trifogli e
il brusio delle scommesse” (M); “Mi prende, mi solca, mi avvolge / come capelvenere, / ed è l’unica
angoscia che stordisce domande” (I).
In questo libro il poeta, chiuso nella sua sofferen-za, considera con rimpianto i giorni della propria
vita trascorsi accanto alla sua donna; ed ora che ella
non è più, a tu per tu con sé stesso si tormenta e si scava. “Possiedi i miei occhi se piango / mentre l’
autunno ritorna nell’estremo / tentativo di scacciare
le angosce” (I); “Rivedo le tue mani tra le parole
del vecchio ricamo / nell’aspra solitudine che ag-
gancia / e annulla le illusioni per un nuovo sorriso” (III).
Talvolta le sue parole si fanno più lievi e la sua
voce assume delle modulazioni che paiono più aperte al canto; ma si tratta di un canto sommesso e
sfumato, che ci giunge come un’eco della memoria
e che nell’animo a lungo perdura: “È carezza e lu-singa il lieve vento / che tenta la tua ombra nel ri-
cordo / e asseconda le braccia, dissolvendo / le pa-
role che sussurrammo bocca a bocca” (VIII). E si
tratta di un canto che racchiude la lunga storia di
tutta la loro vicenda: “La pietra dove incido i miei
versi / non è il canto sussurrato appena, / tra foglie che annunziano angosce, / ma storia che parla di
noi due / nel segno della fiaba” (VII).
Ciò che maggiormente affligge Spagnuolo è ora la sofferta solitudine conseguente all’irreparabile
perdita di colei che gli viveva accanto. Nasce in tal
modo in lui il sentimento dell’assenza e dell’ ab-bandono: “Frantumato nel tempo / ogni spazio ri-
conduce l’assenza, / ed il sorriso puro della tua te-
nerezza / ha distanze repentine, sempre ricomposte
/ nelle finzioni che mi raffiguro. / Sei stata una pas-
sione, / ora sei gesto di estrema solitudine”
(XXXVII). E dalla “solitudine” scaturisce la paura. Ecco allora che il poeta si trova di fronte a
quest’altro mostro che turba i suoi giorni e le sue
notti, non dandogli tregua: “Ho paura del rosso che alle ciglia / racconta confusioni del passato. / Ho
paura del silenzio notturno / che avvolge le coperte
e mi annoda. / Ho paura di girare lo sguardo / e ri-
vedere la tua ombra inseguirmi. / … / Ho paura
perché la mano ha dimenticato / l’onda dei tuoi ca-pelli. / Ho paura perché rimango solo / verso la
morte” (XV).
Speranze, anche brevi, e facili attese ora non han-no più senso, dato che tutto s’annulla e cede di
fronte alla morte; e ben lo sa Spagnuolo che invano
insegue i fantasmi del suo passato: “Il silenzio mi aggancia e nel ricordo / ogni luce ha l’impatto vio-
lento, / a ritroso, inciso in quelle trasparenze / che
non hanno confini. / … / Ritorna la tua immagine nel sangue / tuffata a vuotar tenebre…” (XVII).
Assorta si fa poi a volte la sua voce che pare voler
cogliere più sottili rispondenze, come accade nella XVI poesia di Memorie: “Altri suoni rincorrono pa-
role / ora che il tempo è fermo e misteriosa / è l’
ombra del tuo dubbio”; mentre altre volte assume dei toni schiettamente espressionistici, quali: “L’
urlo che da giorni sanguina, / cieco tra i denti, nudo
nella luce…” (XIX). Forte diviene inoltre talora in questo poeta la perentorietà del dire, evidente in
certi passi, come: “Si sgretola il silenzio. La memo-
ria / ha parole soltanto per le assenze” (XIII).
Ora che è rimasto solo tutto diviene intorno a lui
vuoto silenzio e le apparenze svaniscono dietro un muro d’ombra che le inghiotte: “Sono fuggiti i
giorni della carne, / i giochi raffinati delle ore, / le
carezze leggere dei pensieri” (XXII). Un inganno è anche la nuova stagione che ancora una volta si af-
faccia con la sua luce e il suo profumo: “Trappola
la primavera / con i boccioli che non potrai toccare. / … / Come un ladro l’orologio è muto” (XXV); e
persino le più salde apparenze ora si rivelano fragili
e inconsistenti: “Più vaghe ed indecise scorrono
dissolvenze / nel canto che riuscisti a sussurrare, / e
sogno ancora il campanile / ove correvi tra i profu-
mi del bosco” (XXVII). Il passaggio sul mondo di colei che il poeta tanto
amò è stato per lui come un sogno, del quale a tratti
ancora s’accende la memoria (“È stato solo scherzo del passato / rincorrere pochi attimi di luce, / spez-
zare con le dita anche l’incanto” - XL), mentre in-
torno a lui ora resta solo il vuoto: “Ogni giorno il tuo profilo sparisce / anzi dissolve: / non posso cre-
dere che il nulla / sia la tua forma” (XLIII). Di que-
sto sogno oggi soltanto rimane l’amarezza del di-
stacco e dell’abbandono: “Mi hai abbandonato!” è
infatti il grido che il poeta rivolge alla sua compa-
gna dei giorni nell’incipit dell’ultima poesia della silloge; e bene esprime quella che è la condizione
spirituale in cui attualmente si trova; una condizio-
ne tuttavia dalla quale sono scaturite queste liriche che sono certamente tra le più alte e compiute che
egli abbia scritte e che hanno dato luogo ad un libro
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 43
ricco ed intenso, dal contenuto profondamente
umano e per questo è capace di dire a coloro che gli
si accostano schiette parole di vita che vanno ben al di là del dolore e della morte: capaci comunque di
resistere all’usura del tempo.
Liliana Porro Andriuoli
PASQUA, PRIMAVERA
In Primavera fiorisce la nostra
speranza per la vita eterna.
E` il tesoro
di rinascita
sempre inseguito
dalle nostre menti.
Non è un miracolo,
è la conoscenza che lentamente
ci porta verso l'orizzonte
in cui gli scienziati e i
poeti del faro dell'amore
aumentano i nostri desideri di risparmio
con la nostra vita, l'esistenza
del Pianeta per i nostri
discendenti che vi abitano,
con quelli che arriveranno
dopo di loro in questo minimo
Universo, pieno di brillanti
albe che tornano giorno dopo giorno.
Teresinka Pereira Traduzione dall'inglese di Giovanna Li Volti
Guzzardi
COME SI PLACA
Come si placa
dentro di me
il pensiero
quando la notte chiude
il suo sipario
sul mondo.
Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI
OGGI
Oggi la speranza
è rifiorita
dentro di me,
ma sarà breve
come un sogno
Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, MI
HAI SVOLTATO L’ANGOLO
A SORPRESA
Dove ho perduto l’ombrello? E il bottone?
Getto dietro le spalle i miei pensieri
come passeri morti.
Sento odore di pesce e di mare.
O forse è solo il ricordo del porto.
Riconoscevo a occhi chiusi le reti
le voci le stagioni e la presenza
delle donne del nord che mi stordiva…
Da dove spira il vento? E verso dove?
Sfuggirò come un gatto la luna
che imbianca di presagi il marciapiede.
E non mi volterò a guardare indietro.
Anche se non saprei guardare altrove
da quando le tue mani non moltiplicano
il pan di via per la nostra comunione.
Riesco a farmi la barba la mattina
senza scrutarmi il volto.
Quando ho venduto la barca?
E da quanto mi seguita il cane?
Sono passeri implumi
come facce sbarbate, i ricordi.
Della faccia hanno lo stupore
di chi è caduto dal nido nel sonno.
Come ho smarrito la sincronizzazione
su e giù con l’ascensore del tuo umore?
A un amico nell’ultimo black out
gli s’è smemorizzato nel computer
il romanzo di centottanta pagine.
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Cosa resta di te
dentro gli specchi appostati per casa
e nelle vetrine compiaciute
in cui lanciavi, passando, uno sguardo?
Forse ho sbagliato strada; son tornato
sulle mie stesse tracce un’altra volta:
ecco perché non trovo bricioline.
Come s’orientano i pesci sott’acqua?
E gli astronauti dentro l’ascensore?
Persino a mille chilometri da terra
non depistiamo quello che crediamo
d’aver lasciato come che sia alle spalle.
Svolterò a ogni angolo a sorpresa
fino a lasciare surplace la mia ombra.
La faccia della luna è coperta.
Ma i miei passi m’inseguono e s’intrecciano
come pipistrelli nella notte.
Dove scompaiono quando si fa giorno?
Dove sei, cosa pensi? E perché mai
il tuo quadro in cantina non invecchia?
Meglio non saperlo.
L’assenza di motivi può spiegare
di per se stessa una separazione.
Giunge nell’aria un sentore di mare.
Il cane annusa l’odore del pesce.
Da dove spira il vento?
E verso dove?
Perché continua a seguitarmi il cane?
Quando ho perso l’ombrello?
E il bottone?
Corrado Calabrò Roma
PASSWORD
Abbassa le difese immunitarie
contro l’amore
l’averti consegnato la mia password.
Corrado Calabrò Roma
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE
LECTURA DANTIS METELLIANA - L’ Asso-ciazione Lectura Dantis Metelliana di Cava de’ Tir-
reni comunica il calendario delle letture della XLIII
Edizione 2016, che si terranno alle ore 18,00 dei martedì sotto elencati nell’Aula Consigliare del
Comune (nell’occasione, saranno esposte opere di
artisti contemporanei): 5 aprile 2016: Canto II dell’ Inferno, Prof. Fabio Dainotti - Presidente Onorario
della Lectura Dantis Metelliana; 12 aprile 2016: Canto III dell’Inferno, Prof. Corrado Calenda -
Università di Napoli “Federico II”; 19 aprile 2016:
Canto IV dell’Inferno, Prof. Francesco Santi - Università di Cassino; 26 aprile 2016: Canto V
dell’Inferno, Prof. Federico Sanguineti - Universi-
tà di Salerno; 3 maggio 2016: Una storia del pen-siero di Dante, Prof. Leonardo Sebastio - Univer-
sità di Bari; 10 maggio 2016: Una rilettura di Dante
oggi. Dante poeta di contestazione, Prof.ssa Gio-
vanna Scarsi - critico letterario.
***
ASSEGNATO IL PREMIO “G. CALOGERO” - Si è celebrato, il 29 gennaio 2016, nell’Aula Ma-
gna “G. Reale” dell’Università per stranieri “D.
Alighieri” di Reggio Calabria, la XXVIII Edizione del “Premio Giuseppe Calogero 2015”. Anche in
questa circostanza, l’assegnazione del prestigioso
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 45
Premio è andata a personalità calabresi, operanti, in
Calabria ed altrove, in vari settori culturali, impren-
ditoriali, artistici, scientifici e professionali, contri-buendo a dare impulso e sviluppo alla crescita della
Calabria e alla difesa dell’immagine di una Regione
spesso presentata in termini non esaltanti. L’ incon-tro è stato preceduto da un Convegno sul tema “Il
Mediterraneo tra cultura, economia e storia”. Ha in-
trodotto i lavori l’On. Natino Aloi, già sottosegreta-rio alla P. I.. Relatori: lo scrittore Piefranco Bruni,
lo storico Domenico Ficarra, l’economista Anto-
nino Gatto e la pedagogista Anna Stajano. A con-clusione, l’On. Natino Aloi ha proceduto alla con-
segna del Premio, che ha visto tra i destinatari an-
che il dott. Pasquale Veneziano, Presidente dell’ Ordine dei Medici della Provincia di Reggio, il co-
lonnello del Carabinieri Cosimo Giuseppe Fazio
(alla memoria) e la dottoressa Mirella Marra, Di-rettrice dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria.
Ecco l’elenco dei premiati: Professoressa Concet-
tina Audino, Architetta Maria Letterina, Profes-soressa Maria Maddalena Cavallo, Prof. Raffaele
Gaetano, Prof. Giuseppe Currao e prof. Giovan-
ni Praticò (docenti); Dott. Francesco Cornelio,
Dott. Giuseppe Femiano, Professoressa Anna
Maria Cardona, Dottoressa Maria Frisina (Poe-ti); Dott. Luciano Greco (Provveditore agli Studi);
Dottoressa Anna Maria Fedele, Dott. Francesco
Procopio, (Dirigenti scolastico-amministrativi); Dott. Titto Squillaci (studioso cultura magno-
greca); Dott. Fabrizio Canale e Dottoressa Anna
Arcuri (Tesi di laurea); Giuseppe Ginestra (poe-sia in vernacolo); Colonnello dei Carabinieri Giu-
seppe Fazio (alla memoria); Dott. Pasquale Vene-
ziano (Pres. Ordine dei Medici di Reggio Calabria)
e Dottoressa Mirella Marra (Dir. Arch. Stato Reg-
gio Calabria).
***
TANTI PREMI ALLA POETESSA MARIA-
GINA BONCIANI - Apprendiamo che la silloge
"Campane Fiorentine", di Mariagina Bonciani, che aveva ottenuto il 4° premio al concorso lettera-
rio internazionale Città di Pomezia 2010 (apparsa
nel numero 95 - dicembre 2010 - dei Quaderni Let-terari Il Croco), ha vinto il 2° Premio alla 38a edi-
zione del Concorso "Città di Avellino-Verso il Fu-
turo" 2015, la cui cerimonia di premiazione ha avu-
to luogo nel trascorso mese di aprile. Intanto, Do-
menica 17 la Poetessa milanese è stata a La Spezia
per una targa "Menzione con merito" per la sua poesia "Il sogno interrotto", e, contemporaneamen-
te, a Pontedera le è stata assegnata una coppa! Ci
complimentiamo con la nostra collaboratrice, le cui poesie appaiono costantemente sulle pagine del no-
stro mensile e che poi sono, spesso, quelle che mie-
tono i tanti premi!
*** POETI ITALIANI DEL NOSTRO TEMPO -
Sabato 23 aprile 2016, alle ore 17, il Circolo Stanze
Ulivieri di Montevarchi (Presidente Elisabetta Be-
nini) e l’Accademia Collegio de’ Nobili di Firenze
(Preside Marcello Falletti di Villafalletto), con il
Patrocinio del Comune di Montevarchi ed ACSI Comitato Provinciale di Arezzo, hanno presentato,
presso le Stanze Ulivieri - Piazza Garibaldi 1 -
Montevarchi -, l’Antologia (della quale Pomezia-Notizie si è interessata nei numeri scorsi di marzo e
aprile 2016 - pagine 65-66 e pagine 43-44) “Poeti
Italiani del nostro tempo”, 10a Edizione del Premio Internazionale di Poesia “Danilo Masini”, tema
“Poesia e vita”. Le poesie sono state declamate da
Claudio Falletti di Villafalletto e dal direttore arti-stico per prosa e teatro Silvano Alpini. È seguito
un concerto del Duo violino e pianoforte Kevin
Mucaj e Anastasiya Byshlyaha. ***
CORRADO CALABRÒ A FRANCOFORTE
SUL MENO - Dal 19 al 21 maggio 2016 a Fran-
coforte sul Meno la IX edizione del Festival della
Poesia Europea. Si aprirà con il saluto del Console generale d’Italia, Dr Maurizio Canfora, nel salone
dell’Hotel Monopol, il 19 maggio 2016 alle ore
17.00 a Francoforte sul Meno la IX edizione del Festival della Poesia Europea. Marcella Continan-
za, fondatrice e direttrice artistica del Festival, illu-
strerà il programma del Festival. Tre giorni (19 – 21 maggio 2016) dedicati ai poeti europei, a rea-
ding, a presentazioni di libri e letture critiche. Pur-
troppo il clima di tensione internazionale dovuto ai
meschini e devastanti atti terroristici verificatisi ne-
gli ultimi mesi ha determinato sia la rinuncia a par-
tecipare di alcuni poeti sia l’impossibilità a essere ospitati in luoghi e musei storici come nelle passate
edizioni a causa degli inevitabili controlli per il
pubblico partecipante. Il programma ha quindi su-bito qualche cambiamento, tre giorni invece dei
quattro- cinque previsti.
I poeti ospiti saranno: Corrado Calabrò (Italia), Fer-ruccio Brugnaro (Italia), Lisa Mazzi (Germania),
Laura Cecilia Garavaglia (Italia), Titos Patrikios
(Grecia), André Ughetto (Francia), Diego Valverde
Villena (Spagna), Klara Hurkova (Repubblica Ce-
ca), Malgorzata Ploszewska (Polonia), Ursula Tei-
cher - Maier (Germania), Vincenzo Guarracino (Italia), Eric Giebel (Germania), Barbara Höhfeld
(Germania), Barbara Zeizinger (Germania), Pino de
March (Italia). Seguirà al “Club Voltaire” una lettura critica con
Ferruccio Brugnaro e alle ore 20.00 l’interessante
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 46
dibattito “Intellettuali e Potere” che prenderà in
esame la relazione tra cultura e potere. All’evento
parteciperanno i poeti del Festival, modererà Hart-mut Barth-Engelbart.
Poi venerdì 20 maggio alle ore 12 è prevista “la
passeggiata goethiana” nel Giardino Botanico tra piante e alberi che è divenuta una poesia a più voci
con i poeti del Festival fino all’albero del Ginko,
caro a Goethe, mentre all’ Hotel Monopol alle ore 18.00 al “Goethe Caffè“ incontro con i poeti Barba-
ra Zeizinger e Pino de March e alle ore 19.00 lettu-
re con Laura Cecilia Garavaglia, Malgorzata Plo-szewska , Ursula Teicher- Maier, cui seguirà alle
ore 20.00 nella sala Beethoven l’omaggio a Giaco-
mo Leopardi: “Il tempo del Nord” conferenza con il prof. Vincenzo Guarracino, critico letterario e
poeta che illustrerà il pensiero europeo del grande
italiano e testimonianze dei poeti del Festival; altre conferenze verteranno su “Poesia e Natura” e sull’
“Integrazione in Europa” per stimolare l’attenzione
verso di essa e non solo a livello politico o cultura-le.
Sabato 21 Maggio alle ore 15.00 alla Libreria “In-
ternazionale Süd Seite” ci sarà una lettura criti-
ca con Klara Hurkova, Diego Valverde Villena,
Lisa Mazzi infine alle ore 19.00 al Goethe-Universität letture critiche con Corrado Calabrò,
Andrè Ughetto ed Eric Giebel. Moderatrice: Prof.
Laurette Artois
Il Festival con il patrocinio del console d’Italia di
Francoforte sul Meno, il Dott. Maurizio Canfora, è
promosso dall’Associazione “Donne e Poesia Isa-bella Morra” di Francoforte sul Meno e dal Giorna-
le “Clic Donne 2000”.
Valeria Marzoli
de.it.press 6
***
A SILVIA CALAMATI IL PREMIO LETTE-
RARIO 'CITTA' DI CATTOLICA' - Silvia Ca-
lamati è scrittrice vicentina ed ottima collaboratrice
free-lance di Rainews24 e Radiorai. Qualche giorno fa mi insegue con la sua bicicletta in via Fusinieri e
mi offre questa vera primizia: “... Mi hanno asse-
gnato il I° PREMIO CITTA' DI CATTOLICA...”. “Per il tuo libro sulle 'Figlie di Erin. Voci di donne
dell'Irlanda del Nord'? Quello che è piaciuto tanto
a Virgilio? Quello duro, durissimo, che io non sono ancora riuscita a leggere?” “Si, proprio quello!” Ed
io, orgogliosa della sua amicizia e memore della
mia fragilità rispetto alle umane crudeltà, perpetrate attraverso la violenza razionale: “È da quel tuo te-
sto storico, vero, diretto, lacerante, che mio fratello
Virgilio si è legato a te in una profondità indelebile,
stimandoti perché sincera, con uno stile di stesura
scarno ed efficacissimo, che trasmette in filigrana la testimonianza di un'interiorità ben solida, perché
non si ferma alla superficie degli eventi...!”.
Questa del 2016 è l'VIII edizione del Premio ed il titolo del suo lavoro è “Le compagne di Bobby
Sands. Le donne e la guerra in Irlanda del
Nord”, pubblicato da Castelvecchi, in Roma: i par-tecipanti sono stati 722 ed in rete è presente la co-
pertina del volume, con la fotografia dell'Autrice,
ma se si va a vedere qualche immagine legata a
Bobby Sands ed alla sua straziante prigionia, ora,
nella sua cella, su quella nuda branda spicca una ro-
sa rossa: è Silvia, si, proprio lei ad averla offerta in memoria della dignità e della coerenza, dell'amore
per la vita, del coraggio e della determinazione
nell'attivismo tragico di Sand e dei suoi Blanket Men, quegli uomini nudi, in sciopero della fame,
coperti dal panno fornito loro dai carcerieri al servi-
zio della Corona. Senza le loro e le altre donne di questo indomito popolo, presenti al oro fianco, nul-
la sarebbe stato possibile!
Bobby Sands è morto il 5 maggio del 1981 nel car-
cere-lager di massima sicurezza di Long Kesh, do-
po 69 giorni di sofferenze per tener fede allo scio-
pero della fame, come unica arma nonviolenta pos-sibile per dimostrare la verità e la validità dei propri
convincimenti politici: Silvia Calamati, nel volume
'Il diario di Bobby Sands. Storia di un ragazzo
irlandese', pubblicato sempre da Castelvecchi nel
2011 e tradotto anche in gaelico, fornisce per la
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prima volta in lingua italiana le vicessitudini, i testi
ed i riscontri storici della lotta aperta tra la gente di
Belfast, nell'Irlanda del Nord, e le forze militari del-la Corona. A collaborare con lei il sociologo Denis
O'Hearn e Lawrence McKeown, ex compagno di
prigionia di Sands, i quali avevano già al loro attivo un prezioso lavoro su questo tema per un pubblico
di giovani lettori. A Riccardo Michelucci, che l'ha
intervistata per l'Avvenire il 30 aprile 2010, Silvia Calamati spiega: “Sands trasformò la prigione in un
campo di battaglia, usò i suoi scritti e i suoi gesti
come armi per abbattere l'oppressione coloniale e la discriminazione nei confronti del suo popolo, riu-
scendo infine a diffondere valori come la libertà, l'
amicizia, la solidarietà e l'amore per la vita” (fonte: Internet, alla voce 'Silvia Calamati').
Il 6 Dicembre 2007 ho cominciato ad affrontare il
suo complesso lavoro storico “Irlanda del Nord. Una colonia in Europa”, pubblicato dalle Edizioni
Associate in Roma a partire dal 1994 ed arrivato al-
la terza ristampa nel 2005, che fornisce tutte le tap-pe di questo sanguinoso percorso ai danni di un po-
polo, quello irlandese, non certo lealista, ma pro-
prio per questo bisognoso di mantenere altissimo il
livello della propria identità, di lingua, di tradizioni,
di territorio. Nel 2002 le è stato assegnato a Belfast il prestigioso
premio Tom Cox Award per la letteratura storico-
giornalistica, mentre per questa nostra Rivista, nel numero del Maggio 2015, ho dato rilievo al suo più
recente lavoro storico, 'Neve e fango per disse-
tarmi. Diario di Sotiris Kannellòpoulos, parti-
giano della Guerra civile greca (1 marzo-17
maggio 1949). La incontrerò nuovamente, dopo la
premiazione, e questa occasione sarà per me fonte
di rinnovato vigore civile e civico.
Ilia Pedrina
***
MATTEO E IL TAPPO PIACE ANCHE A
LUCIO FELICI - Pesaro, 14 - 3 - 2016 Gentile
Defelice,/grazie per la recensione scritta da lei sulla mia favola “Matteo e il tappo”. Sa che io la stimo
come scrittore e come critico e sono contenta della
stima che lei rivela pe me. Sicura di farle piacere, desidero dirle che il mio libro ha continuato ad ave-
re successo di lettori e di critica. Ultimamente Lu-
cio Felici (che non è mio parente) e che, come sa, è
un bravo e famoso studioso di Leopardi, ha così
scritto sul mio libro: “Ho letto con divertimento la
favola “Matteo e il tappo”, apprezzando la fantasio-sa invenzione e la veloce, elegante scrittura”./ Sono
convinta che la favola ha anche in quest’epoca il
suo grande fascino perché sa divertire, indurre a ri-flettere, focalizzare importanti verità che la fantasia,
in senso assoluto, può con levità mettere in rilievo,
offrendo insegnamenti per il nostro vivere. Come si
sa, la fantasia non è antitetica alla razionalità, ma è
una sua componente essenziale; anche uno scien-ziato ricercatore necessita della fantasia per imma-
ginare traguardi da raggiungere./La saluto con tanta
stima.
Caterina Felici
LIBRI RICEVUTI ROSSANO ONANO - Il sandalo di nefertari - In
copertina, a colori, “Nefertari tra le palme mentre lei sotto riposa”, di Roberta Durante - Edizioni Pru-
frock spa, 2016 - Pagg. 92, € 12. Rossano ONANO
nasce a Cavriago nel 1944. Si laurea in medicina a Milano e vive a Reggio Emilia ove esercita la pro-
fessione di medico specialista psichiatra. L’esordio
in poesia risale a “Gli umani accampamenti” (1985). A seguire: “L’ incombenza individuale”
(1987), “Dolci velenosissime spezie” (1989), “In-
ventario del motociclista in partenza per la Parigi-
Dakar” (1990), “Rosmunda, Elmichi, altri perso-
naggi di Evo Medio” (1991), “Viaggio a Terranova con neri cani d’acqua” (1992), “Le ancora chiuse
figlie marinaie” (1994), “La trasmigrazione atlanti-
ca degli schiavi” (1995), “Il senso romanico della misura” (1996), “Preghiera a Manitou di Cane Paz-
zo” (2001), “Appunti ragionati di prossemica”
(2002), “Ammuina” (2009), “Mascara” 2011), “Scaramazzo” (2012). Nel 1998 ha pubblicato la
raccolta di saggi critici “Il pesce di Ishikawa”, se-
guito, nel 2006, da “L’ultimo respiro di Cesare”.
Nel 2010, in coppia con Veniero Scarselli: “Diafo-
nie poetiche a contrasto” e, con Domenico Defeli-
ce, “Alleluia in sala d’armi. Parata e risposta” (2014). E’ inserito nell’almanacco paredro XX se-
colo/anno 2006 intitolato “Un secolo in un anno”.
Ha ottenuto numerosi riscontri premiali per la sua attività e ha partecipato a convegni di poesia. Man-
tiene un’ampia collaborazione e un’ attiva presenza
con le riviste di poesia. **
ANTONIA IZZI RUFO - La casa di mio nonno -
Prefazione di Angelo Manitta - Il Convivio Editore,
2016 - Pagg. 144, € 13,50. Antonia IZZI RUFO, in-
segnante in pensione, laureata in Pedagogia, è nata
a Scapoli (IS) e risiede a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta (IS). Tra le sue tantissime
opere (saggi, poesia, narrativa), ricordiamo: “Picco-
lo caotico zibaldone”, “La nonna racconta”, “Ca-stelnuovo e il brigante Centrino”, Di tutto un po’,
streghe, malocchio e fatture”, “Un posto chiamato
POMEZIA-NOTIZIE Maggio 2016 Pag. 48
Scapoli”, “Gira la ruota del tempo”, “Volando...
Sognando...”, “Ho conosciuto Charles Moulin”,
“Ricordi d’infanzia, ricordi di guerra”, “Quando la Musa è con noi”, “Tristia - Ovidio”, “Perdonami,
Galdino”, “I colori dell’anima”, “Le novelle della
Pescara”, “Saffo, la decima Musa”, “Senderos de azul, Sentieri d’azzurro”, “Voli nei sogni”, “Pensie-
ri per te”, “La Ginestra di Leopardi”, “Riscopriamo
Mimnermo e Solone”, “Continuano a chiamarmi la Maestra”, “Les couleurs de l’âme - I colori dell’
anima”, “Emozioni”, “Profumi”, “Una rivisitazione
di Virgilio”, “Omnia vincit amor L’amore vince ogni cosa”, “Intus”, “Meraviglioso mare”, “Passi
leggeri”, “La Vita Nuova di Dante”, “Enrico Marco
Cipollini e le sue opere”, “La mia vita con te”, “Pa-squale Vecchione e la Capitale della zampogna”,
“Lamento dell’animo”, “Ritorno alla terra”, “Ri-
condurre ad unità”, ”Donna”, “Catullo”, “Io, natura e amore”, “Azzurro”, “De Profundis”, “Ti cerco”,
“29 racconti”, “Miraggio”, “Aldo Cervo e gli odori
della terra”, “Il poeta e l’emozione”, “Stralci di vi-ta”, “Dolce sostare”, “Dilemma”, “Flusso di co-
scienza”, “Desideri” (2011), “Mi manchi”, “Perché
tu non ci sei più”, “Felicità era...” (2012), “Scapoli
e il suo dialetto”, “Paese” (2014), “Castelnuovo,
paese di canti e di suoni, di miti”, “Voci del passa-to”, “Raccontarsi” (2015). Lavori e saggi critici
sull’Autrice: “Antonia Izzi nella Critica” (Volume
I), “Antonia Izzi Rufo nella Critica” (Volume II), Enrico Marco Cipollini, “Invito alla lettura dell’
opera di Antonia Izzi Rufo”, Leonardo Selvaggi,
“Nelle opere di Antonia Izzi Rufo Poesia e Tradi-zioni”, Aldo Cervo, “Antonia Izzi Rufo tra sogget-
tivismo lirico e neorealismo”.
TRA LE RIVISTE IL TIZZONE - Periodico fondato e diretto da Alfio
Arcifa - via Amatrice 40 - 02100 Rieti. Riceviamo il n. 4 (106 - 107) dell’aprile 2016.
*
MAIL ART SERVICE - Bollettino dell’Archivio “L. Pirandello” diretto da Andrea Bonanno - via
Friuli 10 - 33077 Sacile (PN). Riceviamo il n. 93,
marzo 2016, dal quale segnaliamo “Retrospettiva dedicata all’ottantesimo compleanno di Ben Vau-
tier”, di Giovanni Bonanno e “<L’autoritratto al
cavalletto> di Vincent Van Gogh”, di Andrea Bo-
nanno.
*
SOLOFRA OGGI - La voce di chi non ha voce - Direttore Raffaele Vignola - via A. Giannattasio II
trav. 10 - 83029 Solofra (AV) - E-mail: solofraog-
[email protected] Riceviamo il n. 3, marzo 2016.
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione), composti
con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,
attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-
nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-
tella si intende un foglio battuto a macchina da
30 righe per 60 battute per riga, per un totale di
1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-
to è necessario un contributo volontario. Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I libri, per recensione, vanno inviati in
duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito
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