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Politiche del lavoro 1

LE POLITICHE DEL LAVORO

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• L’elevata e persistente disoccupazione ha costituito (e continua a costituire) il principale problema nel mercato del lavoro delle economie europee

• In particolare, la durata della disoccupazione appare problematica, specialmente se confrontata con quella prevalente negli USA

• L’intervento pubblico nel mercato del lavoro a tutela dei disoccupati viene spesso indicato come fattore strutturale che favorisce la disoccupoazione di lunga durata

• Nel contempo è stato sottolineato come adeguate politiche del lavoro possano aiutare a ridurre la durata della disoccupazione.

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Classificazione (Eurostat) delle politiche del lavoro

1. Supporto alla ricerca di lavoro (servizi pubblici per l’impiego)

2. Formazione e addestramento3. Schemi di suddivisione del lavoro (job sharing)4. Incentivi all’occupazione5. Politiche di inserimento dei disabili6. Creazione diretta (settore pubblico)7. Incentivi a nuove imprese8. Politiche passive di sussidio dei disoccupati9. Pensionamenti anticipati

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Classificazione (Eurostat) delle politiche del lavoro

• 8 e 9 sono politiche passive: mirano ad alleviare la perdita di benessere connessa allo stato di disoccupazione, ma non intervengono sulle cause di tale stato

• Da 1 a 7 sono politiche attive: mirano a rimuovere le cause della disoccupazione e ad aumentare le probabilità di occupazione. Mediante– Fornitura di servizi (1,2)

– Inserimento lavorativo (3-6)

– Politiche di sostegno allo sviluppo economico (7)

• In realtà, 3 e 6 contengono anche elementi passivi

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Effetti delle diverse politiche sull’equilibrio del mercato del lavoro

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Politiche passive• Misure a sostegno dei disoccupati per alleviare la

perdita di benessere connessa alla disoccupazione (sussidi)

• Funzione assicurativa: compensare gli individui in caso di evento avverso (la disoccupazione)

• Funzione distributiva: impedire che la distribuzione del benessere nella società divenga “troppo” disuguale

• Inefficienza connessa agli effetti sull’offerta di lavoro

• Problema del policy maker: garantire gli obiettivi assicurativi e distributivi minimizzando le inefficienze

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Politiche passive

• La curva AB descrive il trade-off tra efficienza ed equità che fronteggia il policy maker

• NB, è plausibile che la relazione sia concava (verso l’origine): per elevati livelli occupazionali, ulteriori guadagni di efficienza richiedono sacrifici (in termini di equità) via via crescenti

• Il problema del policy maker è quindi:1. Garantire il raggiungimento della frontiera. Per dato

livello di tutela, minimizzare i costi occupazionali2. Scegliere un punto sulla frontiera: dipende dalle

preferenze sociali

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Politiche passive

• NB: stiamo assumendo che esista un unico sistema di welfare

• Nella realtà sono stati identificati 4 modelli distinti

1. Residuale (UK): protezione concentrata sui soggetti svantaggiati (poveri, disoccupati)

2. Bismarckiano (Europa continentale): protezione diffusa nelle fasi avanzate del ciclo di vita (redistribuzione intertemporale)

3. Scandinavo: pervasivo, con forte redistribuzione intratemporale

4. Mediterraneo: simile al bismarckiano, ma con minori volumi di risorse impegnati e molta enfasi sulla famiglia.

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Politiche passive

• Inoltre, l’ipotesi che le politiche passive creino inefficienza potrebbe non essere valida se:

1. Le politiche migliorano la qualità dell’occupazione e la produttività del lavoro

– maggior tempo dedicato alla ricerca di lavoro può produrre un match migliore

– sentendosi più tutelati gli individui dedicano più risorse all’investimento in capitale umano

2. Se l’ erogazione dei sussidi dipende dall’aver lavorato in passato, le politiche possono indurre riduzioni del salario di riserva

3. Le politiche possono arginare gli effetti sul consumo delle recessioni e evitare carenze di domanda di stampo keynesiano

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Politiche passive

• Analizziamo gli effetti delle politiche passive sui comportamenti di offerta

• Ipotesi1. Il disoccupato cerca lavoro e i posti

disponibili sono caratterizzati da una distribuzione data di offerte salariali nota

2. In ciascun istante il disoccupato riceve una sola offerta e decide se accettarla o meno

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Politiche passive

• L’offerta viene accettata se è superiore al salario di riserva.

• Il salario di riserva è quello che eguaglia costi e benefici di un periodo addizionale di ricerca:

WR=E(W|W> WR)Pr(W> WR)+b dove b è il sussidio.• Il salario di riserva è funzione crescente del

sussidio. • Poiché all’aumentare di WR aumenta la

permanenza nella disoccupazione, concludiamo che aumenti di b fanno aumentare la durata della disoccupazione.

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Politiche passive

• WR cresce al crescere della media dei salari (perché migliora la qualità delle offerte potenziali)

• Cresce anche al crescere della loro varianza. Infatti, poiché conta solo la coda alta della distribuzione, un aumento della varianza comporta un aumento della probabilità di ricevere buone offerte

• Una misura dell’impatto dei sussidi è il replacement rate (sussidio/salario medio)

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Politiche passive

• Sussidi generosi aumentano la durata della disoccupazione anche per via indiretta. – Per dati salari medi, diminuisce il numero di

disoccupati impegnati attivamente nella ricerca, generando una spinta verso l’alto dei salari d’equilibrio, e quindi di WR.

– Rendendo meno penosa la disoccupazione, aumenta il potere contrattuale dei sindacati (e degli insider), aumentano i salari contrattati, e quindi WR.

– (Aumentano i salari efficienti, ovvero quelli necessari ad indurre i lavoratori a impegnarsi, e quindi WR.)

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Politiche passive

• Mutando le ipotesi alla base di questo schema semplificato cambiano da anche alcuni dei risultati– Ad esempio, ammettiamo che possano cercare

lavoro anche gli occupati. Allora per un disoccupato sarà ottimale accettare qualsiasi offerta al di sopra del sussidio e continuare la ricerca occupato. b=WR.

– Oppure, se è possibile accettare offerte rifiutate in precedenza, sarà conveniente essere più selettivi: WR.

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Politiche passive

• Nella realtà la percezione dei sussidi è soggetta a verifiche amministrative:– Impossibilità di rifiutare un’offerta– Importi decrescenti nel tempo– Necessità di avere lavorato in precedenza ai fini della percezione

del sussidio: .• Empiricamente si osserva che i tassi di uscita dalla

disoccupazione– Sono decrescenti durante il periodo coperto dal sussidio – Crescono al termine del sussidio.

• I controlli amministrativi o la pressione sociale connessa alla percezione del sussidio possono limitare questi effetti perversi.

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Politiche passive

• L’effetto di tali trasferimenti ai disoccupati può analizzarsi nell’ambito del modello base di offerta di lavoro.

• Elemento importante a questo fine è la prova dei mezzi: si ha diritto al sussidio finché il reddito (individuale o della famiglia) non supera un dato livello.

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Politiche passive

In questo caso limite, si può scegliere tra il sussidio, oppure l’usuale trade off tra consumo e ore di lavoro. NB: 1) la probabilità di lavorare dipende inversamente dal sussidio; 2) se si lavora è probabile che si opterà per orari lunghi.

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Politiche passive

• In alcuni schemi di sussidio, il fatto di lavorare non implica, per sé, una riduzione del sussidio

• Il sussidio viene ridotto parzialmente per redditi complessivi al di sopra di una prima soglia, e totalmente quando viene superata una seconda soglia.

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Politiche passive

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Politiche passive

Questo schema dà luogo a • trappole di disoccupazione tipo quelle viste –

implicitamente– in precedenza (individui che scelgono di non lavorare e preferiscono percepire il sussidio

• trappole di povertà: pur lavorando, la presenza del sussidio riduce l’offerta rispetto all’ottimo senza sussidio generando redditi nel complesso bassi.

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Politiche passive

• Al fine di eliminare queste distorsioni (legate, in definitiva, alla selettività dei sussidi) sono state avanzate proposte di sussidi universali tipo redditi minimi vitali .

• Impraticabile: le risorse necessarie sarebbero di portata tale da rendere poi necessario un innalzamento della pressione fiscale, con probabili effetti distortivi.

• Altra proposta, condizionare i sussidi ai redditi famigliari (non individuali). In tal caso, se il lavoratore principale guadagna a sufficienza la famiglia perde il diritto al sussidio.

• In pratica, questi schemi potrebbero disincentivare l’offerta

femminile nelle famiglie a reddito medio-basso.

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Politiche passive in Italia

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Politiche passive in Italia

• L’Italia spende relativamente poco in politiche passive

1. Ridotta copertura dei disoccupati (coloro in cerca di prima occupazione non beneficiano di sussidi)

2. Replacement rate basso (40% per 6 mesi) [Trattamenti più generosi – CIG– solo in alcuni casi, in primis aziende manifatturiere con più di 15 addetti. NB: la CIG presuppone il mantenimento del posto di lavoro]

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Politiche passive in Italia

• Emergono tre modelli1. Sussidi a livello basso e con pochi beneficiari

2. Supporto ai redditi agricoli e edilizi: integrazioni ex post per periodi di scarsa attività nei 12 mesi precedenti.

3. CIG (ordinaria e straordinaria) e prepensionamenti per aziende manifatturiere oltre la soglia dei 15 addetti.

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Le politiche attive• Obiettivo: annullare il trade-off tra equità e

efficienza• Particolarmente sviluppate nei paesi in cui le

politiche passive sono tradizionalmente più diffuse • In molti casi fungono da strategia di supporto a

politiche passive già in essere • Talvolta nascono come evoluzione dei controlli

amministrativi caratterizzanti le politiche passive• In generale fungono da tutoraggio per i

disoccupati, ne tutelano/migliorano il capitale umano e ne facilitano il collocamento.

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Le politiche attive

• Nascono negli anni ’60 come strumento di accompagnamento delle politiche dei redditi nella lotta all’inflazione

• Si sviluppano in tempi recenti con la finalità di:1. Combattere la disoccupazione di lunga durata

2. Arginare la diffusione dei working poor.

In entrambi i casi si limita il danno che l’evoluzione delle economie contemporanee induce sfavore di determinate categorie (tipicamente individui con bassa qualifica).

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Fonte: Cappellari e Jenkins, 2003

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Le politiche attive

• La valutazione della bontà di una politica attiva non si basa su criteri generali (come per le politiche passive) ma fa riferimento ai specifici interventi

• E’ rilevante valutare l’efficacia e l’efficienza del singolo intervento: effetto sugli outcomes dei beneficiari in relazione alle risorse impiegate.

• Valutazione d’impatto: di quanto si riduce la probabilità di disoccupazione per coloro che beneficiano degli interventi? (Effetto del trattamento sui trattati)

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Le politiche attive

• Nota: non interessa sapere quali sono le probabilità di disoccupazione dei beneficiari (esiti lordi), bensì di quanto queste sono state modificate dagli interventi di politica attiva (esiti netti)

• Perdita secca di risorse connessa alla politica attiva (deadweight loss)=esiti lordi-esiti netti.

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Le politiche attive

• La valutazione d’impatto in pratica– Campione di N disoccupati, dei quali I

partecipano al programma (ricevono il trattamento) e K non partecipano (K+I=N).

– PI1 =proporzione di occupati tra i trattati dopo il trattamento.

– PI0= proporzione di occupati tra i trattati se non avessero ricevuto il trattamento.

– PI1-PI0=effetto del trattamento sui trattati, ovvero l’esito netto che ci interessa al fine di valutare la politica attiva

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Le politiche attive

– Problema: PI0 non è osservabile (controfattuale)– Rimedio: Calcolare PI1-PK0. – Vale se:

1.Gli individui in I e K sono “simili” tra loro (analisi di regressione).

2.La partecipazione al trattamento è casuale e non esistono caratteri inosservabili che influenzano sistematicamente sia partecipazione, sia occupabilità (partecipazione esogena). Nel caso di partecipazione endogena è necessario ricorrere ad opportune correzioni di carattere statistico/econometrico.

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Effetti della partecipazione al Youth Training Scheme (YTS) a seconda della specificazione econometrica. Fonte: O’Higgins, Oxford Economic Papers, 1994.

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Probabilità di occupazione per un individuo medio 0.66

Effetto del trattamento senza controllare per l’endogenità della partecipazione

+0.10

Effetto del trattamento controllando per l’endogenità della partecipazione

+0.0006

Effetti dei corsi di formazione post-secondaria regionali sulle probabilità di occupazione*.

*Gli occupati di carattere stagionale o saltuario vengono considerati come disoccupati. Inclusi anche gli studenti universitari che partecipano al mercato del lavoro.

Fonte: nostre stime sui dati dell’indagine sui diplomati del 1998 [ISTAT, 2001]

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Le politiche attive

• Oltre alla deadweight loss vanno tenuti in conto anche1. Effetto sostituzione: i trattati vengono preferiti dalle imprese a

svantaggio dei non trattati

2. Effetto spiazzamento: le imprese che utilizzano i trattati possono crescere più velocemente delle altre, peggiorando ulteriormente le chances occupazionali dei non trattati

• Nella prassi sono molto difficili da valutare. I tentativi di valutazione paiono supportare la validità dei servizi pubblici per l’impiego, meno quella della creazione diretta o del training.

• Inoltre gli impatti variano per classi socio-economiche, e i programmi presentano forti diseconomie di scala.

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Le politiche attive in Italia

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Le politiche attive in Italia

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