Polifemo per Terre di Mezzo, foto di Leonardo Brogioni

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0 15 LUGLIO/AGOSTO 2010 3,00 Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio. dov’è finito il buio? RICERCATO NUMERO UNO SCOPRITELO CON LA BUIOMETRIA: TROVERETE ANCHE LE STELLE. senza trucco LONTANO DAI CLICHÉ UNA GIORNALISTA TRANSESSUALE RACCONTA IL SUO PERCORSO PER DIVENTARE DONNA.

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Fotografie: Leonardo Brogioni Client: Terre di Mezzo street magazine

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LuGLIO/AGOsTO 2010€ 3,00

Poste Italiane spa spedizione in abbonamento postaleD. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1 comma 1, LO/MI Roserio.

dov’è finito il buio?ricercato numero uno sCOPRITELO CON LA buIOMETRIA: TROVERETE ANChE LE sTELLE.

senza truccolontano dai cliché uNA GIORNALIsTA TRANsEssuALE RACCONTA IL suO PERCORsO PER DIVENTARE DONNA.

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alcuni frammenti della vita di Sandra: il trucco nel bagno di casa, le chiacchiere in attesa di incontrare l’endocrinologa, le prime scatole di ormoni.

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P er la mia carta di credito sono ancora Alessandro Tognarini, ma quando la cassiera del supermercato mi guarda in faccia vede una donna. Potrò cambia-

re il mio nome solo dopo l’operazione chirurgica. Sarà un giudice a stabilirlo. Da allora, anche per lo Stato, sarò finalmente Sandra.

Per evitare di trovarmi in situazioni imbarazzanti, ora preferisco utilizzare la carta di credito solo per gli acqui-sti online. L’ho deciso tre anni fa, quando ho iniziato il percorso di “transizione”: era la sera del 16 aprile 2007. Sulla confezione di Androcur, le pastiglie che inibiscono la produzione di testosterone (l’ormone maschile), ho scritto: “Buona fortuna!”. Tre mesi dopo ho cominciato a prendere anche gli estrogeni, che sviluppano le caratteri-stiche femminili. I risultati sono arrivati e oggi posso dire di essere soddisfatta di quel che sono.

In questo percorso mi ha accompagnata l’endocrino-loga che lavora nel consultorio del Movimento identità

uNa gioRNalista RaCCoNta i DRaMMi E lE sPERaNzE DEl suo PERCoRso PER DiVENtaRE DoNNa. loNtaNo Dai CliCHé.

senza truccotransessuale, il Mit. Dal 1994 questo centro nel cuore di Bologna, finanziato dalla Regione Emilia Romagna e con-venzionato con l’Asl, è diventato un punto di riferimento per le persone transessuali di tutta Italia, tanto che c’è chi si trasferisce sotto le due torri solo per cambiare sesso, perché altrove non esiste un servizio simile. Qui a pagare è il Servizio sanitario nazionale.

Al momento il Mit assiste 670 persone: due su tre sono uomini che desiderano diventare donne, o lo sono già di-ventate. A seguirle, un team qualificato, formato da tre psicoterapeute e un’endocrinologa. Anche l’operazione chirurgica di cambiamento del sesso può essere a cari-co della mutua: l’unico problema, come sempre, è che bisogna avere pazienza, perché la lista d’attesa è lunga. All’ospedale Sant’Orsola di Bologna, infatti, programma-no solo una decina di interventi l’anno. Per chi ha fretta, l’alternativa sono le cliniche private o le trasferte all’este-ro, dove solo il chirurgo può costare fino a 20mila euro.

In Italia esistono altri ospedali pubblici che eseguo-no questo tipo di operazione: il San Camillo di Roma, il Cattinara di Trieste e i policlinici di Napoli e Bari, ma la meta preferita rimane Bologna, l’unica città ad avere un consultorio dedicato ai trans.

Un percorso sicuro“È dal 1979 che il Mit difende i diritti delle persone tran-sessuali -spiega la vicepresidente, Porpora Marcasciano-. La nostra prima vittoria è stata l’approvazione della leg-ge”. Fino al 1982 in Italia chi voleva cambiare sesso dove-va far da sé, con gravi rischi per la salute. Con la legge 164 le cose sono cambiate: non solo è lecito “transitare”, ma si può farlo rivolgendosi a strutture pubbliche o conven-zionate. Come fosse una qualsiasi prestazione sanitaria. “Cambiare sesso” non è un capriccio o una perversione, ma una necessità per superare quel “disturbo dell’identi-tà di genere” diagnosticato dagli psicoterapeuti, premessa per ottenere il via libera dal giudice.

Per l’operazione è infatti necessaria l’autorizzazione del Tribunale. In alcuni casi il magistrato può stabilire che persino l’impianto della protesi di silicone al seno sia a carico dello Stato.

Il protocollo del Mit prevede circa sei mesi di colloqui con le psicologhe. Sono loro che stabiliscono se e quando iniziare le cure ormonali, che possono durare otto o nove

| tEsto | SANDrA TOgNArINI | Foto | POlIFemO FOTOgrAFIA

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mesi. Le loro prescrizioni vanno seguite diligentemente e con altrettanta costanza occorre sottoporsi ai controlli. I più delicati riguardano i livelli di estrogeno e progestero-ne. E proprio per questo, il primo giorno della settimana al Mit non è mai come gli altri.

Il lunedì gli utenti incontrano l’endocrinologa. Men-tre si aspetta il proprio turno si chiacchiera, ci si scam-bia consigli e nascono amicizie. Le prime volte si respira un po’ di nervosismo: prima del colloquio con il medico, fuori del portone si accumulano le sigarette, mentre ci si fa timidamente avanti con chi, a occhio, pare avere più “anzianità”. Nelle rubriche dei cellulari si aggiungono nomi e numeri, salvagente emotivo di qualche triste se-rata che arriverà inevitabile, ma anche punto di partenza per allegre giornate di shopping insieme.

Tra stereotipo e realtàSe entrate nel salottino d’attesa del Mit non aspettatevi di vedere strani esseri, tutti seni e forme. Il trans a cui tivù e giornali ci hanno abituato corrisponde poco alla realtà: niente macchine del sesso pronte a vendersi in strada.

Le persone che si prostituiscono, nella maggior parte dei casi, non stanno facendo una vera transizione: costru-iscono la loro femminilità con il silicone, evitando le cure ormonali che tendono a ridurre la capacità di erezione.

Chi si rivolge al Mit, in genere, è giovane (età media tra 25 e 35 anni) e di buona cultura: la metà sono diplo-mati, uno su quattro è laureato, solo il 30 per cento si prostituisce o lo ha fatto in passato. Il motivo? La perdita del lavoro. “Vendevo abbigliamento nei mercati -racconta Giovanna, in attesa del proprio turno con l’endocrino-loga-. I clienti abituali non hanno accettato i miei cam-biamenti. All’inizio si limitavano a sorrisetti e battutine, dette sottovoce, poi non si sono più fermati alla mia ban-carella. Ho dovuto chiudere. Per fortuna ora mi sostiene la mia compagna”. E così Giovanna ha evitato la strada.

Nel mio caso è stato diverso, sono riuscita a mante-nere le collaborazioni giornalistiche e anche a trovarne di nuove. Solo in due colloqui ho avuto l’impressione che mi stessero penalizzando perché sono una transes-suale. Pregiudizi che non si cancelleranno nemmeno con la nuova carta d’identità. Il casellario giudiziale, infatti, è un fedele testimone di ogni storia personale. E molte aziende, prima di assumere, ne fanno richiesta: in questo modo diventa facile scoprire, anche a distanza di anni, le tue origini.

Alla ricerca di serenità e bellezzaLa transizione non è una scelta, ma una scommessa ob-bligata. La speranza è quella di trovare, per il tempo che

Tra le tappe della “transizione”, ci sono il cambio di guardaroba e le sedute dall’estetista. accanto, Sandra al lavoro sul computer di casa.

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resta, la serenità a lungo cercata. “Non riesco a immagi-nare come sarebbe adesso la mia esistenza se avessi preso altre strade -racconta Virginia Longo, originaria di Lecce-. Sono solo convinta che sarei stata una persona triste e depressa: avrei vissuto una vita a metà”. Il suo calvario è iniziato alle elementari. “All’uscita da scuola dovevo difendermi dai dispetti e dagli insulti dei compagni, che mi urlavano in coro: ‘Femminuccia, ricchione, fai schi-fo’ -ricorda-. Speravo sempre che ad attendermi fuori dal portone non ci fosse mia madre, o peggio mio padre, per non dover subire rimproveri anche da loro. Avevo appena sei anni e già non vedevo l’ora di scappare”.

Uno dei dilemmi che accompagna le persone transes-suali ai primi passi del loro percorso è quando e come dare la notizia a genitori, parenti e amici. A me avevano consigliato di non dire la verità fino a quando i cambia-menti nel mio aspetto (dovuti innanzitutto alla cura or-monale) fossero diventati evidenti. Ma ognuno sa quando è il momento giusto: io ho iniziato a parlare delle mie in-tenzioni, anche nell’ambiente lavorativo, quando ancora mancava più di un anno all’avvio della terapia ormonale. È normale che qualcuno si allontani e si è fortunati se il setaccio della transizione trattiene la maggior parte dei parenti e degli amici.

Dal marzo scorso il consultorio del Mit ha avviato un percorso di sostegno per i familiari delle persone tran-sessuali: otto incontri di gruppo, per provare almeno ad accettare la situazione. “Per ora partecipano i parenti di tre utenti -spiega Anna Paola Sanfelici, una delle psicote-rapeute-, c’è anche una nonna. È fondamentale per loro confrontarsi e uscire dall’isolamento”.

Ma famiglia e lavoro non sono i soli banchi di prova. Esiste poi la quotidianità, e il desiderio di essere “belle”. Almeno per gli uomini, il primo problema estetico da af-frontare è la rimozione della barba. L’estetista è l’angelo custode di questa lunga “rinascita”. Tra i metodi consi-gliati, il laser, la luce pulsata e l’elettrocoagulazione. Le sedute sono spesso dolorose e ne occorrono molte per rimuovere definitivamente la peluria maschile. Per avere una pelle “liscia e vellutata”, come dicono gli spot, si ar-rivano a spendere fino a 7mila euro.

Nel frattempo, si rinnova il guardaroba. Qualcuno comincia con molto anticipo e fa sparire tutti gli abiti della vita precedente. Il mio cambio di stagione è comin-ciato dopo circa sei mesi dall’inizio della cura ormonale. Quando, per intenderci, anche se vestivo al maschile, gli sconosciuti si rivolgevano a me al femminile. Con il sen-no di poi, rimpiango di non aver conservato più capi ma-schili di quei pochi rimasti nell’armadio. In questi anni ho imparato l’importanza delle gocce di memoria. Che non sono mai tutte lacrime.

Il dilemma dell’operazioneSullo sfondo del cambiamento c’è sempre una domanda, grande, che emerge piano piano: mi opero o non mi ope-ro? La risposta non è scontata.

Circa il 30 per cento degli utenti del Mit decide di non sottoporsi all’intervento con le motivazioni più varie. Tra queste, la paura di un’operazione che, pur di routi-ne, rimane rischiosa e complicata o l’accettazione di una

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situazione “di mezzo” che molti trovano già soddisfacen-te. Ho conosciuto una transessuale che ha rinunciato ad andare fino in fondo perché ciò avrebbe comportato lo scioglimento del suo matrimonio: la moglie ha accettato la situazione e loro si amano ancora.

Celeste, 51 anni, rifiuta persino le cure ormonali. Vie-ne al Mit in cerca di un sostegno psicologico. “Ho una paura terribile della reazione che potrebbe avere chi mi conosce -spiega-. Fino all’età di 30 anni non è passato un giorno senza che qualcuno mi deridesse, mia madre com-presa. Non ho mai avuto un amico. Oggi ha raggiunto un equilibrio e la sola idea di perderlo mi angoscia”.

Il traguardo: l’inizio di un’altra vitaCome è facile immaginare, non tutti gli italiani che desi-derano cambiare sesso passano dal Mit. Gli altri si muo-vono in modo autonomo tra psicologi, endocrinologi e cliniche. “Alcune amiche mi hanno suggerito di andare a Londra, dicevano che lì i risultati erano migliori -raccon-ta Francesca-. Così ho aspettato di avere i soldi necessari per il viaggio, la degenza e l’intervento e sono partita”.

Una volta conclusa l’operazione e ottenuta la rettifica del nome, la nuova identità fa scattare in automatico il rinnovo di tutti i documenti: contratto di affitto, banco-mat, carta di credito, contributi pensionistici, certificati di diploma e laurea. “Dopo l’operazione è iniziata la mia seconda vita: ora sono felice, mi sono sposata e faccio l’infermiera” spiega con un sorriso incoraggiante.

Francesca ha raggiunto il proprio traguardo. Tra qual-che mese, toccherà a me: l’ospedale Sant’Orsola mi ha appena chiamata per le visite preliminari e in autunno, se tutto va bene, verrò operata. Attendo quel momento da una vita. E non vi nascondo la mia trepidazione.

Sandra a bologna: sotto i portici, a colloquio con la psicologa del mit e in preghiera nella chiesa di San pietro.

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Il cuore del suo monolocale è protetto da un mobiletto alto una cinquantina di cen-timetri, con due piccole ante. “Le apro se

preghi con me”, dice Nicole. Dentro c’è il Dai Gohonzon: una pergamena color avorio con ideogrammi cinesi e parole in sanscrito. Sono i nomi dei personaggi dell’universo buddista, simbolo delle potenzialità della vita.

Mi mette in mano un libriccino: “Ripe-ti con me Nam myoho renge kyo. È la Legge della vita. Non ti preoccupare, non è diffici-le”. La seguo nella cantilena, mi rendo conto che bisogna sintonizzare la lettura del mantra con la respirazione. “Ogni giorno prego due volte, al mattino e alla sera, in tutto almeno un’ora”, spiega.

Nicole De Leo, 51 anni, attrice, vive a Bo-logna ed è una delle fondatrici dei gruppi “Ar-cobalena”, a cui aderiscono circa 200 trans buddisti. Sono nati all’interno della Sokka Gakkai, una corrente del buddismo giappone-se rielaborata nel 1200 dal monaco Nichiren Daishonin. È una delle più diffuse in Italia, ne fa parte anche l’ex-calciatore Roberto Bag-gio. “Nei gruppi Arcobalena ci confrontiamo sui problemi che viviamo, ci incoraggiamo, ci aiutiamo a vivere la fede. Alle riunioni parte-cipano anche gay e lesbiche”. Diverse le città coinvolte, tra cui Bologna, Firenze, Grosseto e Roma. “Potrà sembrare strano, ma anche noi persone transessuali preghiamo e siamo alla ricerca del senso della vita”, dice sorridendo.

Nicole si è operata nel 1999. Ha incontrato il buddismo dieci anni prima, quasi per caso: “Un’amica mi ha invitata a un incontro -ri-corda-. La mia vita da allora è cambiata. La preghiera con la ripetizione del mantra serve a risvegliare la buddità che ciascuno ha den-tro di sé, in altri termini le proprie capacità e ricchezze interiori”.

Nicole, come tutte le persone transessuali, nella vita ha subìto critiche e derisioni. “Ho passato anni a dimostrare a tutti la mia in-nocenza, a spiegare che la mia diversità non è una perversione”. La scoperta della “buddità” l’ha aiutata a ribaltare la prospettiva: “Ho ca-pito che per cambiare chi mi circonda dovevo cambiare me stessa, trovare questa energia”.

Il desiderio di vivere la fede per lei non è una novità: le prime esperienze risalgono all’ado-

lescenza, quando frequentava il movimento dei focolarini, fondato da Chiara Lubich: “Lì ho scoperto che Gesù predicava l’amore per le persone in quanto tali, senza pregiudizi. Il buddismo mi permette di vivere anche questo, l’essenza del cristianesimo”.

Prega quasi tutti i giorni anche Sheina Pec-chini: lodi e vespri. Ha iniziato la “transizio-ne” da poco più di un anno e, quasi contem-poraneamente, ha cominciato a frequentare la Chiesa vetero-cattolica di Milano. “I riti sono simili a quelli cattolici, la novità è il clima di accoglienza, il fatto di poter pregare e cantare con gioia insieme agli altri senza sentirmi giu-dicata”, racconta.

La Chiesa vetero-cattolica è stata fondata nel 1873 in Germania da quei fedeli che non hanno accettato i dogmi sanciti allora dal Concilio vaticano I: l’infallibilità del Papa e il suo primato giurisdizionale universale. Ma a Sheina questi aspetti interessano poco. “Gesù è venuto per chi lo cerca -spiega-. È stato lui il primo a portare avanti la propria diversità. E ha dimostrato che ciò che conta è l’amo-re, al di là del ruolo che si ricopre, del modo di vestirsi o delle tendenze sessuali”. Uno dei passi del Vangelo che Sheina preferisce è quel-lo delle Beatitudini. “Beati i poveri, gli afflit-ti, i perseguitati: sono parole che rompono i canoni con cui di solito si guarda la vita”. E per sostenere quanti come lei sono in un mo-mento di passaggio, Sheina ha scelto di gestire un forum online “Trans ma non solo” e di en-trare nel direttivo dell’associazione Crisalide pangender. “Sono sposato e ho due figli ado-lescenti, ma la mia famiglia ha capito la situa-zione -racconta-. Alla soglia dei quarant’anni mi sono resa conto che non potevo più negare la mia vera natura. Ora sono più serena e vivo meglio anche la fede”.

All’interno della Chiesa cattolica non ab-biamo trovato gruppi di preghiera che coinvol-gano persone transessuali. “Dal punto di vista canonico godono degli stessi diritti degli altri fedeli, anche quello di ricevere i sacramenti della penitenza e dell’eucarestia -spiega Mau-rizio Faggioni, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale-. Ognuno può convertirsi a Dio e vivere secondo i valori evangelici”. Almeno in teoria.

anime in ricercaDal BuDDisMo alla CHiEsa VEtERo-CattoliCa, stoRiE Di tRaNs CHE VoglioNo ViVERE la FEDE.

| tEsto | DArIO PAlADINI