Pinerolo Indialogo Gennaio 2013

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1 Supplemento di Indialogo.it , autorizz. N.2 del 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo IN DIALOGO Anno 4, Gennaio 2013 n. 1 Quando il lavoro e la voglia di riscatto nascono da piccole idee Docenti univer- sitari del Pinero- lese battete un colpo. Intervista a Gianni Losano Wrapbook

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N.1 Magazine d'informazione e di cultura locale per il dialogo tra generazioni

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Supplemento di Indialogo. i t , autor izz. N.2 del 16.6.2010 del Tr ibunale di PineroloINDIALOGO

Anno 4, Gennaio 2013n. 1

Quandoil lavoro

e la voglia di riscatto

nascono da piccole idee

Docenti univer-sitari del Pinero-lese battete un colpo. Intervista a Gianni Losano

Wrapbook

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22Buone News

A cura di Gabriella Bruzzone

Le buone notizie

La Top ten del 2012 Anno bisesto, anno funesto? Di certo questo 2012 non è stato l’anno della svolta e il malesse-re sociale ed economico ereditato dal 2011 si è consolidato, alleviato forse solo dalla superstizio-sa e infondata presunta fine del mondo. Ma il 21 dicembre è passato, così come un altro anno che, nonostante tutto, merita di essere ricordato per le sue buone notizie.Buona anno, lettori!

1. Aung San Suu Kyi vince le elezioni – Dopo vent’anni in arresto, il Premio Nobel per la Pace, alla guida della National League for Democracy, ha vinto le elezioni in Birmania.2. Tre nuove scoperte per la cura del cancro – Tra gli studi di Stanford e di vari ricercatori americani, svetta il nome di Jack Andraka, quindicenne del Maryland che ha sperimentato un metodo di dia-gnosi efficacie al 90% e ventotto volte più econo-mico rispetto a quelli esistenti.3. Boom del “social lending” – Dato lo stop dei finanziamenti bancari, i privati cittadini si sono attivati come potevano, ovvero con il “prestito sociale”, un metodo pratico ed economico di fi-nanziarsi tra loro attraverso una piattaforma web.4. Finanziamenti dal Fondo di Tokyo – Ora citta-dini e imprese possono ottenere prestiti dal Fondo di Kyoto, collegato al Protocollo di Tokyo, per rea-lizzare progetti legati al risparmio energetico.5. Curiosity su Marte – Il 5 agosto 2012, dopo dieci anni di lavoro e studi, la sonda NASA Cu-

riosity è atterrata con successo sul pianeta rosso.6. Nobel per la Pace all’UE – Il 12 ottobre 2012 l’UE ha ottenuto il Premio Nobel per la Pace per aver trasformato “gran parte d’Europa da un con-tinente di guerra a un continente di pace”. Il pre-mio in denaro ottenuto (circa 1 milione di euro) servirà a realizzare progetti a sostegno dei bambi-ni vittime di guerre e conflitti.7. Alzheimer – La scienza sta facendo passi da gigante per arginare gli effetti di questa malattia che ogni anno colpisce 25 milioni di persone. Le più importati riguardano un farmaco che agisce in 72 ore e l’impianto di un apparecchio per la stimolazione cerebrale.8. Novembre 2012 – Mese protagonista di due importanti avvenimenti con risvolti mondiali: Barack Obama viene rieletto alla Presidenza de-gli Stati Uniti e la Palestina viene riconosciuta dall’ONU come “Stato non membro osservatore alle Nazioni Unite”.9. Pannelli solari – Nel 2012 i prezzi sono drasti-camente scesi permettendo così sia a privati sia ad imprese di installarli sfruttando un’energia puli-ta. Il record è stato battuto dall’Australia che, oltre a esserne il maggior produttore, conta 2 gigawatt di pannelli solari installati sul territorio.10. No agli animali nei circhi – La Grecia è il primo Paese europeo a vietare gli animali nei circhi. È la seconda nazionale al mondo dopo la Bolivia. Provvedimenti simili si stanno valutando anche in Italia.

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Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

S o m m a r i o

|30 docenti universitari| È opinione unanime che la ripresa e lo svi-luppo economico ruotino intorno a due fattori fondamentali: le idee e gli investimenti. Afferma-to ciò, però, molti si fermano poi a considerare solo l’aspetto economico, con lamentele per la mancanza di crediti, per troppe tasse... quindi a promettere la riduzione delle stesse, lo sposta-mento di capitali dal settore dei servizi a quello degli investimenti, ecc. È quello che stiamo sen-tendo con un profluvio di promesse dai politici nella campagna elettorale in corso. Pochi invece parlano di idee, di ricerca, di innovazione. Anche per il nostro piccolo territorio si sen-te parlare di creare una banca e per niente di idee. Eppure è l’aspetto che sarebbe più facile da perseguire, perché le idee sono legate alla ricerca e questa avviene principalmente nel mondo universitario, che è fatto di docenti e di giovani studenti, che per natura sono aperti alla novità, alla curiosità e all’invenzione. E i docenti aperti fanno leva proprio su queste doti per fare ricerca e innovazione, anche con il contributo di finanziamenti. Con questo numero abbiamo iniziato l’intervi-sta a quei 30 docenti universitari che vivono in Pinerolo e dintorni. E se diventassero l’anello di collegamento tra mondo giovanile universitario e il territorio? Come? Investendo qualche miglia-io di euro in ricerca. Istituendo un bando per un concorso di idee per il rilancio del territorio. Fre-giarsi di avere un’università non è solo avere la sua presenza fisica, ma soprattutto poter usufru-ire del suo capitale umano, che in piccola parte risiede anche a Pinerolo. Antonio Denanni

2 buone news topten2012

4 Primo Piano l’ideadellowrapbook

lapoliticadellacittàel’università

8 Storie ireneraccontalasuamalattia

seratasulladonazionedelmidolloosseo

10 Lettere al giornale europasì,maeuropadeicittadini

11 incontri selalaureavalemenodiundiploma

12 Politica e territorio pinerolochiudel’annoconunbrindisi

14 Giovani@Scuola l’accademiaelementaredipalazzonuovo

dalgiornale“ondad’urto”

16 teatro unmacbethinsanguinato

17 Lettera a... letteraaipolitici

18 Arte & Architettura ildeclinodellacapitaledegliacaja

19 Cose dal mondo sololatvbatteilweb

20 Sport losportnell’annodellacrisi

22 Musica emergente altrebruttesorprese

23 Andare al cinema tuttotuttonienteniente

24 Amici di Pinerolo indialogo

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PINEROLO INDIALOGO

DIrETTOrE rESPONSABILEAntonio Denanni Hanno collaborato: Silvio Ferrero, Emanuele Sacchetto, Valenti-na Voglino, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Mario rivoiro, Andrea Bruno, Cristiano roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Demis PascalCon la partecipazione di Elvio Fassone

PhOTOGiacomo Denanni, Nino Di Pomponio

Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.itAutorizzazione del Tribunale di Pinerolo n. 2 del 16/06/2010

rEDAzIONETel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: [email protected]

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Ci siamo imbattuti per caso nelle copertine scalda libro della wrapbook.it : un oggetto semplice ma in sé originale per avviare un’attività lavorativa. Abbia-mo letto nel sito che l’idea proviene dalla Val Chi-sone, precisamente Perosa Argentina. Incontriamo Marta Colangelo, antropologa, referente del gruppo, per saperne un po’ di più.innanzitutto ci racconti di voi: chi siete? e com’è nata l’idea dello scalda libro? Il termine scalda libro è stato dato dalla casa editri-ce Effatà di Cantalupa, è stata lei a chiederci di colla-borare dando fiducia al nostro lavoro. Il problema di queste copertine non è tanto produrle quanto più dar-gli visibilità e venderle. Effatà aveva chiesto alcune copertine in stoffa per delle bibbie ed in questo modo la casa editrice le ha rese visibili a Roma presso una fiera del set-tore, facendole conosce-re come scaldalibro.Noi che le produciamo preferiamo chiamarle wrapbook per adeguarci all’estero dove questo tipo di oggetto è comu-ne quanto il segnalibro. L’idea delle copertine in stoffa è nata dall’esigenza di dover foderare ogni anno i libri dei nostri figli. Io ed una mia amica, Carla, abbiamo trovato utile l’idea di confezionare copertine per i libri da poter usare sempre, lavandole semplicemente per rimetterle a nuovo. Abbiamo notato che a scuola fra i compagni dei nostri figli l’idea è piaciuta in quanto anche altri le volevano. Oltre a ciò, avevamo amiche senza lavo-ro a causa della chiusura della fabbrica tessile New Cocot di Perosa. Loro sapevano cucire anche se in fabbrica non era la loro mansione, in più erano abi-tuate a lavorare con precisione. Quindi, le abbiamo ritenute adatte per il confezionamento di questi scal-dalibro, pensando in questo modo di poter offrire loro un sostegno al reddito. Abbiamo così deciso di

proporre loro l’attività, che è quindi nata nel piccolo. Attualmente ci sono tre cucitrici, più me e Carla che ci occupiamo dell’organizzazione dell’attività. Il fatto che queste signore fossero ex operaie è stato un vantaggio poiché possedevano già le competenze senza la consapevolezza di averle: erano perfetta-mente in grado di organizzare una produzione, pro-durre modelli e tracciarli.Quali sono le prospettive di espansione della vo-stra attività? Il prossimo step è allo stesso tempo il nostro pro-blema attuale: trovare il modo di vendere questo pro-dotto.Un’idea è quella di creare una collaborazione con le

scuole: se adottassero una copertina per ogni bambino ogni scuola po-trebbe metterci sopra il proprio tim-bro. Sarebbe un ottimo volano per la vendita. La nostra attività avrebbe un senso se riuscissimo a produrre 1000 copertine al mese. Le signore ora lavorano a cottimo ma il sogno è quello di affittare un posto che di-venti sede di un’attività sociale per chi ha perso il lavoro, donne in par-ticolare.

Avevamo fatto un tentativo di collaborazione con Stranamore ma non ha funzionato in quanto ci ave-vano solamente concesso un banchetto in occasione di un concerto e la visibilità è stata molto limitata, anzi nulla.Partecipare al Salone del Libro sarebbe straordinario ma l’affitto di uno spazio costa 5000 euro e l’alter-nativa sarebbe trovare una casa editrice che ci ospiti. Se la Coop avesse un atteggiamento sociale rispetto al territorio potrebbe diventare volano di vendita di prodotti locali.Un micro tentativo era stato fatto con le Due Valli che però non ha funzionato in quanto loro avevano un atteggiamento troppo commerciale che non com-baciava con le nostre necessità.Abbiamo avuto la fortuna di avere l’appoggio di mia cugina Francesca, che lavora nella moda e ci ha for-

di Giulia Pussetto

4PrIMO PIANO Idee e vita nel territorio

Come nasce un’idea lavoro

“Così è nato il wrapbook”Marta Colangelo, referente del gruppo: «l’idea delle copertine in stoffa è nata dall’esigenza di dover foderare ogni anno i libri dei nostri figli»

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nito lo schema di produzione dei modelli e tiene corsi di formazione alle cucitrici per la produzione di modelli più complicati, ad esempio per il tessuto elastico che è difficile da cucire.Uno dei nostri obiettivi prin-cipali ora è coinvolgere 5 o 6 cucitrici in modo da creare un gruppetto che si possa oc-cupare anche di altri lavori di sartoria.Qual è stato fino ad ora lo strumento migliore per ottenere visibilità? La partecipazione ai mercatini è stata fondamen-tale, ad esempio ci ha permesso di conoscere la casa editrice Effatà. Al Palared invece abbiamo conosciuto una signora di uno stand vicino che ci ha regalato mezza cantina di stoffa che non usava più.Queste occasioni sono state importanti anche per avere spunti e ascoltare le opinioni esterne per mi-gliorarci, ad esempio alcuni ci hanno fatto notare che poteva essere utile fare una copertina con il retro di-verso dal fronte per capire subito da quale parte pren-dere il libro. Le copertine precedenti invece erano identiche sia davanti che dietro.Vi siete procurate un capitale iniziale o avete fatto in proprio? Vi appoggiate a qualche associazione o venditore? Il capitale iniziale ci è stato dato da un’Associazio-ne che si chiama Istituto Wesel che si occupa di pro-mozione sociale. I costi iniziali li stanno sostenendo loro perché quello di cui necessitiamo è limitato poiché le signore usano le loro macchine private. Si tratta di un prodotto che richiede pochi investimenti. Andando al di là della vostra esperienza, quali sono le prospettive lavorative per la Val Chisone? Ritengo che tutto dipenda dalla buona o cattiva am-ministrazione del territorio. Qui ci sono 16 comuni che dovrebbero fare sistema ed essere uniti magari avendo una voce comune, mentre invece accade che tutti si fanno la guerra e ognuno cerca di tirare acqua verso il proprio mulino rinsecchito.Lo sbaglio è avere una mentalità individualista. Le valli dovrebbero avere un’unica voce ed incanalare le energie verso gli stessi obiettivi.Questo territorio necessita di turismo, ormai qui l’in-dustria ha perso la sua importanza. Un turismo più sostenuto, sfruttando la vicinanza di Torino, giove-rebbe.Ci sono centinaia di metri cubi vuoti non usati. Bi-

sogna a parer mio reinventare. Inoltre c’è anche un grande flusso di francesi, perché non si sfruttano questi posti rendendoli attrattivi?Ogni località dovrebbe specializzarsi, diversificando la zona e offrendo così di più.un consiglio per delle persone che hanno perso il lavoro, donne in particolare? Perdere il lavoro verso i 40 anni significa dovere cercare una seconda chance. Non si è ancora vici-ni alla pensione. Bisogna secondo me prendersi un attimo di tempo per pensare se si ha una passione. Chiedersi cosa si vuole fare, immaginare se si ha un sogno nel cassetto, un’abilità lasciata da anni in un angolo. Spesso il problema delle donne è che si sacrifica-no tutta la vita per la famiglia e poi in ultimo, una volta vedove o in pensione, pensano poi a dedicarsi a qualcosa che amano fare. Gli uomini vanno a pe-sca, a caccia, in bici, trovano più tempo per le loro passioni. Un problema è poi il fatto che molti disoccupati hanno bassa scolarità, quindi risulta necessario met-tere volontà per imparare a fare qualcosa di nuovo. Altro fatto è legato alla risorsa economica per po-tersi mettere in proprio: è difficile che la famiglia si indebiti per la donna, e spesso va a finire che il suo ultimo e unico lavoro sia il risparmio, che a sua vol-ta crea baratto: io ti stiro questo, tu mi ripari quello, ecc.. Però si tratta di una mera sopravvivenza, il ba-ratto crea legami ma limita la scelta, quindi c’è una riduzione di libertà. In conclusione noi speriamo che per la nostra at-tività possano aprirsi nuovi orizzonti, sia per l’idea carina del prodotto in sé ( economico: perché evita di ricomperare nuove copertine ogni anno, utile: per-mette di mantenere la privacy della lettura quando si è sul treno, sull’autobus, e sostenibile: è di stoffa e basta rilavarlo a mano), sia per il valore sociale di questo lavoro.

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Pinerolo ha un’antica tradizione di do-centi universitari illustri, citiamo solo Mi-chele Buniva (1761-1834) e Giovanni F.Porporato (1484-1544). Quest’ulti-mo perché quest’anno l’omonimo liceo ha festeggiato 150 anni di storia. An-cor oggi, anche se poco noti ai più vi-vono in città e nei paesi del circondario almeno una trentina di docenti univer-sitari. Una forza culturale, competente nei vari campi del sapere, presente nel territorio ma per lo più ignorata. Vogliamo iniziare, a partire da questo numero, a parlare con loro. Incominciamo con il prof. Gianni Losano, docente ormai emerito, sicuramente tra i più noti in città in quanto è stato per molti anni consigliere comu-nale.

Incominciamo parlando del suo lavoro e della sua competenza. Oggi sono in pensione, mi sono occupato, e oggi faccio ancora ri-cerca, nel campo della fisiologia cardiovascolare nell’attuale dipar-timento di Neuroscienze dell’Uni-versità di Torino, un tempo Isti-tuto di Fisiologia poi trasformato negli anni ‘90 nel dipartimento di Anatomia e Fisiologia.

Lei è stato per anni consigliere comunale. Qual è il rapporto del mondo politico pinerolese con il mon-do universitario? Il rapporto è praticamente inesistente.Perché l’università a Pinerolo non è decollata? Perché è mancata la volontà di fare qualcosa di

di Marianna Bertolino

C i t t à & Un ive rs i t à6

Intervista a Gianni Losano“Il rapporto del mondo politico pinerolese con il mondo universi-tario è praticamente inesistente”Nostra intervista ai docenti universitari del Pinerolese, una trentina, ai più sconosciuti, a partire dai nostri politici. Una forza culturale e una ca-pacità di ideazione e di ricerca ignorata e non valorizzata. Incominciamo con Gianni Losano, che per anni è stato in Consiglio comunale

PrIMO PIANO

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diverso. Quando è nata l’idea di un insediamento universitario non era quella di aggiungere un’altra sede distaccata, solo per ragioni campanilistiche, bensì di fare a Pinerolo un centro di ricerca avanza-ta nella Pubblica Amministrazione. Ai tempi ce ne erano poche ma purtroppo non si è portata avanti l’idea ed è stata soppiantata dalla pur più giovane scuola di Amministrazione Aziendale di Torino in via Ventimiglia. Oggi è molto difficile da riprende-re un progetto del genere perché sia il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca sia le università stesse tendono ad annullare le sedi esterne perché sono solo un carico ed un costo.Università significa studio, ricerca e cultura: che contributi potrebbero dare questi settori per la città e il territorio? L’università è un centro di produzione di cultura che viene trasmessa ma non si può solo trasmet-tere ciò che è stato elaborato in altre sedi. E’ come dire che a Pinerolo abbiamo la Fiat perché abbiamo un concessionario. Occorre creare nuovi centri di elaborazione del sapere e questi devono essere le-gati indissolubilmente al territorio.Ricerca e territorio: le risulta che ci sia stata o ci sia una collaborazione in tal senso? No, non c’è mai stata. Un esempio è l’insucces-so della proposta del Senatore Fassone di creare un’università della montagna legata al territorio e che affrontasse i veri problemi del territorio alpino, ma è caduta nel dimenticatoio, non ha interessa-to nessuno. Ora c’è qualcosa del genere ma sono corsi singoli in alcune facoltà. Oggi si ha un’idea della montagna sbagliata, solo riferita ad accapar-rarsi il giornaliero per sciare, ma serve invece un centro che affronti i problemi da un punto di vista storico, antropologico, geografico, economico e fisico. Per far questo doveva essere un’iniziativa esclusivamente di ricerca in cui creare un modello di insegnamento e di ricerca partendo prima dai dottorati, almeno per 5 anni, e poi creando corsi di laurea. In tal modo si sarebbero impiegati giova-ni laureati nella ricerca e nello studio su che cosa deve oggigiorno affrontare la montagna per usci-re dalla marginalità o dal modello del turismo di

massa. Ma purtroppo non è l’idea dell’università diffusa in Italia. Nel nostro paese vige una visione limitativa per cui l’università esiste se ci sono corsi ed esami e la ricerca è messa in secondo piano. Oggi c’è l’idea di inserire una laurea in infermie-ristica, se dovesse essere una laurea magistrale sarebbe molto utile per il territorio e la città, sulla scia della scuola professionale per infermieri, che a Pinerolo era un’eccellenza. Ma se anche dovesse decollare, non si potrebbe dire che c’è l’università a Pinerolo, perché sarebbe solo un corso di laurea in una sede distaccata.Nel suo campo quale apporto potrebbe esserci? L’apporto potrebbe essere nell’ECM (educazio-ne continua in medicina), per esempio facendo dei corsi di aggiornamento; ma la fisiologia non è una materia apprezzata dai medici clinici. Non so quan-to successo potrebbe riscuotere.Per rilanciare il territorio servono idee e soldi. Lei vedrebbe bene un bando per un concorso di idee? A me sembra che oggi ci sia una carenza di idee… e per il bando dipende da chi lo valuta! E poi occorre che chi progetta sia competente, in Italia vinciamo pochissimi bandi europei, mancano i collegamenti con l’estero, con i paesi transfronta-lieri, occorre intessere delle reti e avviare ricerche in partenariato. Questo sarebbe vincente anche per l’idea dell’università della montagna.Università significa giovani. Quale potrebbe essere il nuovo legame dei giovani pinerolesi laureati con il loro territorio? Innanzitutto voi giovani dovreste creare un grup-po di lavoro che studi a fondo la realtà pinerolese e che dia risposte all’empasse economico e sociale che la città sta vivendo. Io penso che potrebbe essere un buon punto d’inizio per impedire che ve ne andiate. I laureati italiani sono richiesti all’estero e i ricercatori italiani sono i secondi al mondo. Il problema è che in Italia c’è una crisi occupazionale e quindi si incolpa l’università, ma non è data dalla scarsa qualità didattica. Tuttavia, io sostengo che ormai, se avere un futuro significa partire, non si può più pensare di trasferirsi in Italia che non offre più niente, ma direttamente all’estero.

“ r i f L e S S i o n i ” P o L i t i C h e y o u n G 7

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Tutto è iniziato all’incirca una settimana prima: ave-vo delle macchie sul corpo e visto che non erano sparite andai dal medico che mi disse che erano delle petecchie e che probabilmente erano causate da uno sforzo, tuttavia per sicurezza mi disse di fare degli esami del sangue. Andammo il giorno dopo alle 8. A mezzogiorno, quando ero a casa, ricevetti una chiamata che diceva di correre al regina Margheri-ta. Gli esami avevano riscontrato dei valori altissimi di globuli bianchi e poche piastrine. I risultati somigliavano terribilmente a quelli di un malato di Leucemia Mieloide. Disperata piansi per un’ora, cercando di capire come sarebbe andata di lì a poco. Sarei morta? Ero davvero malata? Oppure avevano sbagliato gli esa-mi? C’era anche questa possibilità, questa enorme speranza. Sarei guarita? Cosa voleva dire essere malata? Questa e altre milioni di domande mi scor-revano in testa mentre mangiavo di fretta, salivo in auto, mentre ascoltavo la musica dell’autoradio e mentre le ruote della macchina macinavano chilo-metri di strada. Adesso al solo ricordo, le mani mi tremano mentre batto i tasti sulla tastiera. Nell’auto c’eravamo io, mia madre e mio padre, che era tornato immediatamente dal lavoro; mio fratello era andato a seguire le lezioni all’università, obbligato da me e dai miei... Volevo mantenere un briciolo di calma e poi desideravo non avere troppe persone attorno. Come facevo a essere malata? Stavo bene. Voi mi siete testimoni; ditemi: il giorno prima sembra-vo malata? Io sinceramente direi di no, anzi dico di no. Non riuscivo a trovare dei sintomi, forse solo le macchie, un livido comparso sotto una ascella che non sapevo spiegare e il fatto che faticavo un po’ più del normale salendo le scale da due settimane a quella parte. Voi con questi soli sintomi pensere-ste alla leucemia? Io non lo avevo fatto... davo la colpa al fatto che mi ero rotta il piede e non ero più abituata a camminare. Quando ho dovuto cambiarmi, andare al ospeda-le, sapendo di essere malata, il mondo mi è caduto addosso. Pensavo solo egoisticamente a me stes-sa. Solo quando ho attraversato le porte del pronto

soccorso all’ospedale pediatrico, mi resi conto che non era cambiata solo la mia vita, ma anche quella della mia famiglia, quella dei miei parenti, dei miei amici, quella delle mie compagne, e minimamente anche quella dei conoscenti... anche se forse esa-gero. Più di tutto pensavo ai miei genitori, a mio fra-tello e incredibilmente anche al mio cane. Mi hanno detto che Viola, il mio amato cagnolino, mi cerca ancora per casa. Prima di lasciarmi passare al pronto soccorso mi dissero di andare alle Molinette, perché ero troppo grande, ma poi mi chiesero l’età e mi misurarono il battito cardiaco e l’ossigeno nel sangue. Dopo una chiamata in reparto decisero di farmi passare al pronto soccorso del regina Margherita, nonostante non fossi più nell’età pediatrica, e tirai un respiro di sollievo; non perché le Molinette fosse un brutto ospedale, anzi è ottimo, ma perché il re-gina Margherita è tra gli ospedali pediatrici migliori in Europa, se non il primo.Nel mio reparto (oncoematologia) vengono persone da tutto il mondo. Ci fecero accomodare in un corridoio tutto colo-rato con le poltroncine gialle. - Ambricco - mi sentii chiamare e mi fecero la visita medica. Peso, altezza, battito cardiaco, temperatu-ra, mi fecero un mucchio di domande.- hai avuto la febbre?- E io: - No, che io sappia, potrei averla avuta, ma senza saperlo-- Da quando sono comparse le petecchie? - Una settimana circa - Lividi?- Solo questo-- Segni di stanchezza, affaticamento? - Qui dissi delle scale, ma che non avevo nient’altro. Mi squadrarono da capo a piedi, sembrava di partecipare ad un esperimento scientifico. Io ero lì in mutande e reggiseno coricata sul lettino, con due dottori e due specializzande che mi osservavano. “Irene Ambricco, la cavia umana”. Il medico mi disse che probabilmente ero mala-ta, ma che non sapeva esattamente di cosa. Mi portarono in un altro stanzino e feci altri esami del sangue. Seguirono una radiografia e una ecografia come quella che fanno alle madri incinte. Dovemmo aspettare ancora e io nutrivo molte

STOrIE Irene racconta la sua storia di ragazza che scopre improvvisamente di essere malata di leucemia8

Irene, 16 anni, racconta...“Tutto è iniziato con delle macchie sul corpo e poi... “è leucemia!” Piscina mobilitata a favore della donazione del midollo osseo

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9Irene racconta la sua storia di ragazza che scopre improvvisamente di essere malata di leucemia

speranze di essere sana e incrociavo le dita pregan-do che se fossi stata malata quanto meno lo fossi della cosa meno grave possibile. Ero più tranquilla e continuavo ad aggiornare su ogni minima novità le mie migliori amiche. Leucemia Mieloide. Fu il verdetto finale. Ebbi una certezza che mi pesò sul cuore: ero malata. Una signora, che non ricordo se fosse una Oss o un’infermiera, ci accompagnò fino nel mio reparto e passai la mia prima notte in ospedale. Giovedì 11 ottobre ero ricoverata e mi fecero ri-manere a digiuno; alle 11.00 avrei dovuto fare un intervento e l’esame del midollo osseo, ma finii per farlo alle sei di sera. Il medesimo giorno il medico che mi avrebbe se-guita mi disse esattamente cosa avessi: i globuli bianchi erano impazziti ed erano in soprannumero, e questo aveva fatto diminuire le piastrine e la loro mancanza aveva fatto apparire le petecchie e il li-vido. Avrebbe potuto fare diminuire anche i globuli rossi e se non fossi stata curata avrebbe causato moltissimi altri danni. Mi illustrò la terapia: sarebbe durata sei mesi e avrei fatto 4 cicli di chemioterapia di una durata di una settimana ciascuno, intervallati da tre settimane in cui sarei andata in aplasia: avrei avuto un numero minimo di globuli bianchi. In questo periodo sarei rimasta comunque ricoverata, in pratica rimarrò qui per 4 mesi di seguito. Nei restanti due mesi mi faranno dei trapianti di midollo osseo o di cellule staminali e in questo perio-do forse potrò andare un po’ a casa. Ci rimasi malissimo per due motivazioni: sarei sta-ta ricoverata qui per ben quattro o forse sei mesi di seguito senza poter ricevere visite e a causa della chemio avrei perso i capelli. La chemioterapia iniziò il giorno dopo. Mi misero un sacco di flebo. L’ho finita da praticamente due settimane e ne subisco ancora gli effetti: non riesco ad alzarmi perché appena mi alzo ho la nausea e mi è sparita completamente la fame. Stando coricata sto bene, se non in rare occasioni, e mi sono abituata alla routine; ho iniziato a seguire le lezioni che mi restituiscono parte della mia vita pri-ma dalla malattia. (Il regina Margherita offre la pos-sibilità di seguire le lezioni scolastiche in ospedale) ho iniziato a perdere i capelli da qualche giorno, ma mi ha fatto meno male di quanto pensassi e visto che erano diventati orribili, pieni di nodi, im-possibili da sciogliere (sembrava avessi dei rovi in testa), li ho tagliati come il taglio più corto di Emma Watson; non sto bene come lei, ma mi dicono che non sto per niente male e così danno pure meno

fastidio mentre cadono. A volte mi abbatto perché non riesco a fare niente da sola e perché non posso vedere voi e le altre mie amiche... mi mancano pure i prof! Poi mi ricordo che tutti voi mi siete vicini con il cuore, che tutte mi sostenete, che il mio paese mi è vicino, tutti, anche le persone che non pensavo fosse possibile mi han-no mostrato il loro sostegno. Il cartellone che mi avete regalato mi ha com-mossa; quando l’ho visto sono rimasta senza pa-role, avevo un sorrisetto ebete quasi avessi visto il ragazzo più bello del mondo. Vi ringrazio perché vederlo mi ricorda voi e la scuola e soprattutto che io sarò lì a farvi compa-gnia, se tutto va bene, entro la fine della scuola, forse con una parrucca, una bandana o un taglio alla maschietto, un po’ più magra e non so se in piena forma, ma sarò lì. Non posso prometterlo, ma lo spero e le possibilità sono molte.Sintesi da Onda d’urto, giornale degli studenti del Liceo Porpora-to, di cui Irene è redattrice.

Serate per Irene ed altri malati onco-ematologici

Serata di INFORMAZIONEVenerdì 18/01/2013 ore 20.45

Salone Parrocchiale, Via Buniva 15, Piscina

GIORNATA DI ISCRIZIONESabato 26/01/2013 orario 10,00/16,00Sede AVIS, Via Umberto I, 64 - Piscina

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Oggi l’Europa non gode di una bella immagine, anzi è sommersa dallo scontento, dall’insofferenza, addi-rittura da irritati rifiuti: stiamo perdendo la sovranità nazionale, basta con la dittatura dei burocrati di Bru-xelles, basta con un rigore calato dall’alto, con i diktat della Merkel, della“troika”, con tutti i piani di rientro che strangolano l’economia e le famiglie: usciamo dall’euro e anche dall’Unione, e non se ne parli più. Questo atteggiamento si sta facendo diffuso, è addirittura il cardine del programma di alcune for-ze politiche, ed è molto pericoloso. L’animosità è comprensibile ma sbagliata, e i sacrifici non devono condurci a decisioni che sarebbero disastrose. E’ ne-cessario fare opera di informazione e riflessione per produrre un’autentica “coscienza europea”, per non essere preda di soli risentimenti. Non voglio evocare un’immagine ideale dell’Europa, che pure ha una sua fondatezza. Pensa una cosa - si dice - e un Greco l’ha già pensata. In-voca un diritto, e un filosofo europeo l’ha già intuito e proclamato tempo fa. “L’Europa - diceva V. havel - è il luogo dove le terre finiscono e dove i popoli cercano riposo”; il luogo, possiamo aggiungere, di tutte le turbolenze e di tutte le bellezze, delle guerre più atroci ma anche delle democrazie e dei pensieri più alti. D’accordo, non è il momento di fare poesia. Ma è la prosa, la dura realtà del nuovo millennio, quella che offre gli argomenti più solidi. Ad esempio, chi, se non un organismo di dimen-sioni continentali e di grande autorevolezza, potreb-be porre un argine alla corsa all’indietro che si sta registrando nel mondo del lavoro, a causa della con-correnza da parte di Paesi nei quali i diritti dei lavo-ratori hanno poca o nulla tutela? Solo l’Europa può pervenire a stipulare accordi commerciali, e se del caso ad atti unilaterali di interdizione dai nostri mer-cati di tutti i prodotti che non incorporino una quota minima di protezione dei diritti dei lavoratori che li producono. Solo l’Europa può avere l’autorevolezza per imporre una tutela universale dell’ambiente, la quale ha dei costi che mettono fuori mercato le im-prese che osservano le prescrizioni, a fronte di quelle che le ignorano. rinchiudersi nelle dimensioni dei piccoli Stati, o peggio delle piccole patrie localistiche,

mentre occupano la scena i colossi continentali, è cecità totale. Anche la destinazione di immense risorse agli armamenti, per cui ogni Stato ritiene di dover ag-giornare e potenziare il proprio apparato bellico, avrebbe in una forza unica europea - funzionale ri-gorosamente a scopi di difesa e di peace-keeping - una fonte di immensi risparmi, da destinare a spese sociali o ad investimenti per creare lavoro in una prospettiva keynesiana. Una federazione continentale permetterebbe final-mente di unificare le politiche fiscali, ponendo fine a quella concorrenza al ribasso che mette le gambe ai capitali, pronti a spostarsi dove c’è più indulgenza, se un singolo Paese si propone politiche di giusta severità. Senza di essa, un reale contrasto all’eva-

sione e un’efficace imposizione sui grandi patrimoni restano illusione. Lo stesso è a dirsi per la cresci-ta, che innanzi tutto deve propor-si secondo un modello non più quantitativo ma qualitativo (cioè con l’abbandono dell’infausto PIL, sostituito dall’Indice di Sviluppo Umano, ISU), e poi deve dimensio-narsi su scala continentale. E solo l’Europa può agire contro le politi-

che avventurose di certe banche, che i singoli Stati si trovano in difficoltà a sanzionare una volta che il loro collasso si sia verificato, per non travolgere ri-sparmiatori ed imprese, ma che un’efficiente unione bancaria (oggi solo ai primi passi) potrebbe prevenire alla radice attraverso un controllo tecnico imparziale e prudente. Si potrebbe continuare. Quello che rallenta il for-marsi di una coscienza europea è la natura ancora artificiosa e poco democratica della sua architettura istituzionale, che oggi è quella di una confederazione intergovernativa, cioè una somma dei vari egoismi nazionali, nella quale ciascuno esercita il suo bravo diritto di veto, e nella quale la maggior parte delle decisioni prescinde da una effettiva legittimazione popolare. E’ su queste due direttrici che la presa di coscienza deve svilupparsi: la convinzione della sua indispen-sabilità, e la necessità di un più elevato tasso di de-mocrazia. Proviamoci.

riflessioni per un’autentica “coscienza europea” “Europa sì, ma Europa dei cittadini”

Lettere al giornale di Elvio FassonePINErOLO

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11Cons ide raz i on iA cura di Michele Barbero, Londra

INCONTrI

Che l’Italia non sia oggi un paese per giovani, né per studiosi, non è una gran-de novità. Ma l’annuario nazionale Istat, uscito lo scorso dicembre, ha portato un’ulteriore, impietosa conferma. Tra i re-centi laureati si è registrato nel 2011 un tasso di disoccupazione più alto che fra i diplomati: 16% contro 12,6% per la fa-scia d’età tra 25 e 29 anni. Lo svantaggio riguarda anche la fascia 30-34, seppur con un gap molto più ridotto. L’Istat cita, fra le ragioni di tale situa-zione, il “più recente ingresso nel mercato del lavoro di coloro che hanno prolungato gli studi”. In effetti, dai 35 anni in su il rapporto si ribalta, e la mancanza di la-voro mostra livelli più alti per i diploma-ti che per chi può vantare una qualifica

superiore. Ciononostante, il dato rimane un segnale inquietante: esso lascia tra-sparire una debole corrispondenza fra ti-toli ottenuti e posizione sociale raggiunta, con conseguente riduzione degli incentivi all’investimento su se stessi. Questi dati si coniugano con alcuni fe-nomeni più noti, anch’essi confermati dall’Istat in questo come in altri rapporti pubblicati nelle ultime settimane. In man-canza di concrete prospettive di miglio-ramento delle proprie condizioni socio-lavorative future, i ragazzi che decidono di investire nell’istruzione sono sempre meno. In un quadro già di per sé arretra-to, in cui appena l’11% della popolazione dispone di un titolo universitario, le im-matricolazioni sono in diminuzione: -2,2% nel 2011 rispetto all’anno precedente.

Ben più impressionanti sono però le ultime rilevazioni sulla fuga dei cervelli. Secondo un dossier di fine dicembre, dal 2002 al 2011 la percentuale di laureati tra gli ita-liani emigranti è più che raddoppiata, dal 12 al 27,6%. Ad andarsene sono dunque sempre più spesso quelli che, in teoria, dovrebbero disporre di maggiori risorse per costruirsi un futuro senza essere co-stretti ad abbandonare il proprio paese. Naturalmente, la crisi non fa sentire il suo peso solo sui laureati italiani. Nel re-gno Unito, la principale destinazione dei nostri cervelli in fuga, l’ufficio statistico nazionale (ONS) ha rilevato che chi ha ap-pena terminato l’università ha molte più probabilità che un decennio fa di andare a svolgere un mestiere poco qualificato.

In UK inoltre, come in Italia, la disoccupa-zione è cresciuta a partire dal 2008 anche fra i più istruiti. Ma in Gran Bretagna tali difficoltà non arrivano alle storture pa-radossali che caratterizzano il Belpaese. Sempre secondo l’ONS, alla fine del 2011 il tasso di occupazione fra i laureati recen-ti, che cioè avevano terminato gli studi negli ultimi sei anni, era sì leggermente più basso che per la media di tutti i laure-ati (85,5 contro 86%), ma rimaneva signi-ficativamente più alto di quello registrato fra chi non possedeva un simile titolo di studio (72%). Insomma, la crisi non risparmia nessuno, ma in Italia essa sembra accompagnarsi ad un pesante cortocircuito strutturale, che scava un pesante divario con l’Europa più avanzata.

A ProPoSito dei dAti iStAt

Se la laurea vale meno di un diploma

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Il 2012 è terminato sotto un buon au-spicio. La fine del mondo non c’è stata, ma in compenso siamo stati protagonisti di grandi eventi di democrazia. Solo negli ultimi mesi le primarie del centro-sinistra, la grande rielezione di Obama, le primarie di Sel per scegliere i candidati, il Papa su twitter… hanno infuso un po’ di buona speranza nell’anno nuovo. Certo non sono man-cati pessimi ritorni di di-nosauri che c r e d e v a m o per il bene del paese estinti, ma in fondo sono schele-tri da museo che cercano disperatamente di restare nella memoria di tutti (o magari semplicemente di evita-re la galera con qualche immunità...). Ma sono reperti archeologici. Non ci devono più spaventare. E non c’è miglior modo di evitare l’ombra di certi personaggi spiace-voli che semplicemente smettere di par-larne, smettere di dar loro attenzione. Vogliamo persone nuove? E allora par-liamo e diamo voce a queste! Le elezioni politiche ormai prossime stanno smuo-vendo gli animi addormentati anche dei pinerolesi. Magda zanoni (PD) e Giorgio Canal (SEL). Due nomi nuovi per la poli-tica del grande palazzo. Due quasi certi futuri candidati per la Seggiola. Dopo anni di Merlo-centrismo verrebbe forse da spe-rare che si cambino le facce. Certo c’è chi preferirebbe persone ancora più nuo-

ve, non avvezze neppure alla politica delle amministrazioni comunali. Ma non bisogna nemmeno dimenticare di mettere al primo posto le capacità e anche un pizzico di esperienza, indispensabili per poter gover-nare. E a chi dice ‘tanto son tutti uguali’ ricordiamo le parole di Benigni: attenzione a questi qualunquismi che non fanno altro che favorire i veri ladri, che nel mucchio

indistinto di-segnato con le nostre af-fermazioni si nascondono alle spalle delle (certo magari po-che) persone oneste! Dunque an-che il Sindaco

Buttiero ha brindato con le redazioni dei giornali del pinerolese augurando buona fortuna ai candidati onorevoli e ricordando il lavoro svolto nella prima parte del suo mandato. I buoni propositi del sindaco ci hanno fatto piacere, non senza qualche critica. Il 2013 che ci attende, ha ricorda-to il sindaco, sarà incentrato sul problema occupazionale e di rilancio. Un punto di personale preoccupazione sarà poi la bo-nifica e messa in sicurezza dell’ex stabili-mento Turck. Certo dell’edilizia il sindaco non ha voluto parlare e a chi lamenta la vacanza del posto da assessore all’urbani-stica risponde semplicemente che questo ruolo è ben rivestito dal Sindaco stesso... dunque W SuperButtiero e silenzio per piacere! Si sono poi ricordati punti di grande forza

di Emanuele Sacchetto POLITICA In C i t t à12

21 dicembre 2012Pinerolo chiude l’anno con un brindisiIl sindaco Buttiero incontra i giornalisti riepilogando le cose fatte e da fare. Anche lui con una sua Agenda. Intanto ci sono già i primi nomi per una Seggiola a Roma. Speriamo poi non dimentichino il Pinerolese

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nel campo delle politiche sociali, come le mense comunali e scolastiche, spesso sot-tovalutate, e il Consiglio Comunale dei ra-gazzi. Insomma un bel resoconto sul lavoro svolto e qualche obiettivo del programma da portare a termine nell’anno nuovo. Il Sindaco ci ha parlato di una sua Agenda da cui spunta volta per volta le cose fat-te e noi lo invitiamo a renderla pubblica e aggiornata per rendere partecipi i cittadini delle azioni svolte per loro e per evitare cri-tiche infondate e poco proficue. Dunque un augurio per un 2013 pieno di grandi novità, dalla politica del piccolo e del grande palazzo. E un pensiero costante, forte e emozionato per La Politica, quella vera, tralasciando almeno per un momento chi, bene o male, la fa!

“ r i f L e S S i o n i ” P o L i t i C h e y o u n G 13

informagiovani Piemonte Molto nota, ma purtroppo non abbastan-za sfruttata è la rete degli Informagiovani federata nella rete regionale. Una ricca Banca dati contiene informa-zioni sui temi di interesse giovanile quali: studio, lavoro, tempo libero, sport, cultura, volontariato... Vi si parla pure di oppor-tunità, corsi, associazioni e servizi per i giovani in Piemonte.

Un altro servizio importante sono le Schede orientative, che offrono, in modo sintetico, risposte e approfondimenti sui quesiti più richiesti dai giovani, quali la ricerca del lavoro, i profili professionali, la mobilità internazionale (per studio, lavoro e turismo), la salute, l’ambiente.www.informagiovanipiemonte.it/

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Il tempo va, scorre inesorabile e sembra sfuggirci via di mano. E noi siamo sempre così affaccendati, così distrattamente impegnati nella quotidianità che spesso lasciamo scivolare, senza accorgercene, la nostra giornata tra mille preoccupazioni ed affanni futili. Purtroppo la giornata è di sole 24 ore, e no-nostante si cerchi di trovare tempo per tutto e tutti, inevitabilmente si è costretti a rinunciare a qualcosa. E’ una questione di “priorità”: nell’ agenda della no-stra vita cerchiamo di inserire al primo posto ciò che più amiamo, ciò a cui più teniamo e, di conseguen-za, compiliamo la lista delle famose “cose da fare”. Ecco, quindi, cosa mettono al primo posto nella loro agenda alcuni studenti:- “E’ buffo dirlo, ma la mia priorità di vita è mangia-re: è la cosa che adoro di più fare e che mi fa sentire bene e in pace con me stessa”- “Potrei dirti, ad esempio, la mia famiglia. O i miei amici. Ma tutte queste cose sono sempre in rela-zione a me stessa. Di conseguenza faccio prima a dirti “Me stessa” , rischiando anche di sembrare un pochino egoista e narcisista”- “Io dedico la maggior parte della mia giornata alla

musica. E non potrei immaginar-mi una vita senza di essa: sarebbe estremamente avvilente e vuota”- “Seppure la mia agenda sia co-stellata dagli impegni scolastici (che sono quelli che riempiono la mia giornata), io vorrei dedicare la maggior parte del mio tempo alla danza, che è uno dei miei passatempi preferiti”- “Al primo posto vengono senz’altro i contatti uma-ni: la mia famiglia e, soprattutto, i miei amici che mi danno sempre la forza di andare avanti”- “ A riempire la mia agenda sono senza ombra di dubbio i miei mille impegni, che però sono anche le cose che amo di più fare e a cui, quindi, dedico più tempo”- “rischiando di essere banale, ti rispondo la mia famiglia. Nonostante a volte abbia voglia di stran-golarla, nonostante per i vari impegni di tutti stiamo poco insieme, il momento più bello della giornata è la cena, quando ci ritroviamo e raccontiamo cosa ci è successo durante la giornata”.

Selene, 2A Cl, Onda d’urto, dicembre2012

Come ogni anno da sempre si saluta il nostro compagno il “2012” per presentarci al meglio al “2013”. Prepariamoci allora in anticipo per acco-gliere l’anno nuovo che, chissà, potrà offrirci dei momenti veramente speciali.

Iniziamo con degli auguri di buon comple-anno: infatti il prossimo anno il grande poeta ita-liano Boccaccio avrebbe compiu-to 700 anni! 150 anni fa in-

vece nasceva un altro poeta, il noto Gabriele D’An-nunzio, nato il 12 marzo 1863 nella città di Pescara. Non bisogna però dimenticare che il 4 febbraio 1913 il tredicesimo Dalai Lama dichiara l’indipen-denza del Tibet e che, sempre cent’anni fa, il 6 no-vembre Mahatma Gandhi viene arrestato durante una delle sue proteste pacifiche.

Purtroppo però si devono ricordare fatti che, se si potesse tornare indietro, avremmo impedito in ogni modo. Il 9 ottobre 1963 ci fu la caduta della diga del Vajont (Trentino) con un numero di vitti-me che tocca le 2000 persone, mentre venerdì 22 novembre dello stesso anno, J.F.Kennedy morì durante un corteo a Dallas, assassinato con un colpo di pistola alla testa da Lee harvey Oswald. Per riprenderci un po’, trasferiamoci in Brasile, dove tra il 23 e il 28 luglio si festeggerà la 28 ̂Gior-nata Mondiale della Gioventù a rio de Janeiro. Ah già! Come dimenticare? Dopo la sconvolgen-te notizia della fine del mondo nel 2012, l’appun-tamento è rimandato al prossimo anno, quando una gigantesca eruzione solare scatenerà una tem-pesta magnetica sulla Terra e ci sarà un black-out totale con pesanti crolli sull’economia delle tele-comunicazioni. E se non moriamo tutti per que-sta eruzione, diamoci appuntamento al cinema per festeggiare i vent’anni di Jurassic Park che ritorna sul maxi schermo in 3D!

Greta Gontero 5^a g, Onda d’urto dic.2012

Dopo la scampata fine del 2012, occhio al 2013

SOCIETà Giovani@Scuola

Dal giornale degli studenti del Liceo Porporato

Le priorità nell’agenda degli studenti

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Il dialogo come strumento per conoscere me-glio quale realtà ci circonda è alla radice, per definizione, del nostro giornale Pinerolo Indialo-go. Questa è anche l’idea che ispira un gruppo di discussione che, dal nuovo anno accademi-co, ha iniziato la sua attività di incontri e dibat-titi presso la sede delle Facoltà umanistiche di Torino - qualcosa di nuovo a Palazzo Nuovo. È questa l’Accademia elementare che Elisa De-stefanis, studentessa di Let-tere, ha contribuito a ideare.Elisa, cos’è l’Accademia ele-mentare? È uno spazio di discussione aperto a tutti: basta essere interessati a esprimere le pro-prie idee e confrontarsi con spirito critico sugli argomenti che, di volta in volta, vengo-no proposti. L’idea è quella di fare cultura “dal basso”, e qui si spiega la scelta del nome. Accademia nel senso che cer-chiamo di rinnovare col no-stro contributo la ricerca e la diffusione della cultura, rifacendoci idealmente alla tradizione delle Accademie seicentesche. Elementare nel senso che partiamo tutti da un patrimonio culturale comune e al contempo, attraverso il dialogo, possiamo esprimere idee presenti in noi anche in maniera confusa, non ancora formate concettualmente. Ognuno in-fatti può portare in sé pensieri originali senza rendersene conto ma, se siamo stimolati dia-letticamente, questi possono estrinsecarsi e fornire, perché no, nuovi elementi di cultura.Cosa ha spinto a ideare questo gruppo? L’Accademia è sorta da un’esigenza: trovare un luogo in cui poter dialogare con gli altri in un’ottica di confronto critico. Inizialmente ho cominciato a progettare l’Accademia insieme a Francesco, un compagno dell’università. Spar-gendo la voce, si è poi formato un gruppo di “accademici”: avvertiamo tutti la stessa cosa,

cioè che nel mondo scolastico e universitario mancano spazi adeguati di confronto per gli studenti. Perciò abbiamo deciso di crearne uno noi. Se la scuola non cambia, penso che siamo noi studenti i primi a dover dimostrare di voler cambiare. E l’Accademia è un modo per protestare con la cultura affinché la cultura non rimanga ingab-biata nelle lezioni frontali, ma esca dalle sue

sedi istituzionali e continui a diffondersi, a rinnovarsi continuamente.Su quali temi avete dibat-tuto? I temi sui quali organiz-zare la discussione sono molti, e sono proposti libe-ramente da chi partecipa all’Accademia. Poi in base alle preferenze per ciascun argomento abbiamo avvia-to i dibattiti.Finora abbiamo discusso, in materia di diritto, sulla Sen-tenza Omega emessa dalla Corte di Giustizia europea

riguardo alla violenza nei videogiochi. Un altro argomento ha interessato il confronto tra due discipline, la filosofia e la religione; ancora, ab-biamo discusso intorno alla mitologia della cre-azione, partendo dalla cosmogonia della Gene-si per poi documentarci e dibattere su quelle di altre culture.Avete progetti per il futuro? Per fare cultura in modo diverso e informale abbiamo già sperimentato il “banchetto della sapienza”, cercando di riadattare il senso del convivio dell’antichità; cosa che riproporremo sicuramente. In programma ci sono anche vi-sioni di film, da intendere come mezzo evoca-tivo per stimolare la riflessione personale e il dibattito del gruppo. Per saperne di più: www.facebook.com/acca-demia.elementare

SOCIETà Giovani@Scuola A cura di Nadia Fenoglio

UngrUppodidscUssioneapertoatUtti

L’Accademia elementare di Palazzo Nuovo

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LA StAGione deL teAtro SoCiALe

Un Macbeth insanguinato

Tea t ro A cura di Federico Gennaro

ArTE&SPETTACOLO

Alcool, tanto alcool in scena. Luci strobo-scopiche a seguire il dipanarsi del dramma. E molto sangue finto, a sottolineare la tragedia. Macbeth è l’ opera più breve di William Shake-speare, e forse una delle più cruente, insieme al meno rappresentato Tito Andronico. Andrea De rose, regista e curatore del riadattamen-

to della tragedia in scena il 21 di-c e m b r e s c o r s o p r e s s o il Teatro Sociale di Pinerolo, ha deciso di spinge-re forte sulle tinte rosse del dramma, sceglien-do come interpreti della “real copp i a ” Giuseppe Battiston e Frédéri-

que Loliée, due attori sicuramente molto forti, forse un po’ troppo nel complesso. La scena si apre al pubblico mostrando una sala da ballo, separata dal proscenio da una bellissima parete trasparente, a tutta lunghez-za, di forte effetto. La giocosità, l’infantilità annegata nell’ alcool sono i tratti caratteriz-zanti Macbeth e la sua Lady, dove però per il primo questa manière d’être non è altro che una maschera posta di fronte ai suoi deside-ri più segreti, alle sue ambizioni più sfrenate. Lady Macbeth, figura mascolina, forte e de-cisa perlomeno nella prima parte della trage-dia, accende la brama di potere del marito a

seguito della comparsa delle tre streghe, an-nuncianti la famosa profezia (“tu sarai re”).Nel Macbeth di Andrea De rose, tuttavia, le Sorel-le Fatali assumono le sembianze di tre bambini non nati, creature frutto della psiche dei due personaggi. Questa scelta registica si fa for-te di una lettura (forse un po’ anacronistica) in chiave psicoanalitica della tragedia, dove i tre bimbi, partoriti in scena dalla stessa Lady Macbeth, disegnano le manifestazioni carnali dei desideri più reconditi dell’ animo umano. Ed una volta che l’inconscio con il suo carico di contraddizioni e autodistruttività emerge a livello del conscio, il destino della coppia appa-re quantomeno segnato. A tal proposito, scri-ve il regista:“Diceva un filosofo che, tra tutti i mali, il peggiore è quello che i nostri desideri si avverino. Ho capito il senso di questo pa-radosso solo di fronte a Macbeth. Quello che le streghe gli rivelano è il suo desiderio più in-confessabile. Penso che sia lì, nel dire i propri sogni e desideri, che il lato oscuro di Macbeth prende forma. È lì che il lato più misterioso dell’esistenza si affaccia, in forma di visione, di felicità, di terrore”. Il tallone di Achille di questo Macbeth in ogni caso rimane il fatto di voler essere ancora “troppo”, la tragedia non ha bisogno di troppi artifici per rivelarsi tale, e spesso alcuni registi si dimenticano di questo aspetto fondamentale. I brani di hubert Westkemper non si limitano ad accompagnare e spesso risultano troppo inva-denti, le voci dei tre bambolotti invece un po’ troppo sopra le righe all’ interno, comunque, di una scelta registica improntata ad un horror un po’ pop di tarantiniana memoria. “Look like the innocent flower, but be the serpent under’t!” recita un verso del Macbeth, prendi l’aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso. La tragedia è per sua natura stessa ambigua, spesso doppia,ma è in grado di rivelare violentemente allo spettatore le peggiori depravazioni e disgrazie dell’ essere umano, senza bisogno di forzature o caricatu-re. E’ tutto nel testo, basta saperlo ascoltare.

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Elezioni. La borbottante macchina burocrati-ca si mette in moto, le ruotine sgonfie del desi-derio democratico prendono le curve a grande velocità, ma la vettura rimane, con difficoltà, in carreggiata e prosegue verso il futuro pieno di nebbia. Slogans, ai quali manca poco per essere insulti privi di sostanza, compaiono in ogni an-golo delle città e ben presto diventano ruderi di carta e strappi metropolitani, promesse inattua-bili, specialmente con l’attuale regime economi-co-bancario che ci culla come una barchetta le onde della tempesta. In questa lettera ai politici non voglio, attività facile, invitante e il più delle volte giustificabile, unirmi al coro del “tutti ladri”, vorrei più che al-tro porre domande ai diretti interessati. Pensiamo alla ge-stione dello Stato come organismo bio-logico: tralasciando il fatto che ogni essere vivente è destinato alla morte, con quan-te considerazioni po-trebbero scaturire da quella che è a tutti gli effetti l’Unica Verità Empirica, a me sem-brano talmente tante le cellule che lo compongono dal non poter fare a meno di pensare che il “politico”, la minima porzione di questa vastità, non sia per niente, e attenzione questo non è un discorso che analiz-za o meno l’eticità di essere a capo di qualcosa o di qualcun altro, al corrente della sua posizione. Una posizione che è talmente delicata, talmen-te rischiosa che chi non riflette su questi “or-ganismi pluricellulari”, è sicuramente qualcuno che ha tempo e/o capacità e/o voglia o ancora sensibilità necessaria per dedicarsi ad assemblee scolastiche, o sempre più in grande puntare a diventare CEO di qualche azienda e ancora più in là Presidente del Consiglio; al contrario chi si sofferma sullo sforzo che la frammentazione bu-rocratica della società moderna offre, insieme a una incalcolabile dose di casualità, a partire dallo

stato d’animo del ministro della difesa dopo aver litigato con la moglie, fino alle gastriti degli ana-listi del ministero dell’economia, passando per la ruota forata dell’auto blu, ai computer impallati dei servizi pubblici e così via ad infinitum, se ne terrà il più possibile alla larga, quasi come qual-cuno che ha visto de visu il platano a qualche centimetro dal parabrezza sfondato, il quale ten-derà ad andare molto più lentamente in macchi-na, magari ponendo particolare attenzione alle zone d’ombra dove il manto stradale può essere ghiacciato, se riescono ad estrarlo dalla carcassa dell’auto accartocciata. Come si forma la mente a non pensare, mante-nendo tuttavia una prontezza di pensiero indi-

spensabile per agire in vista del bene comune? E soprattutto, è così ri-provevole avere la totale certezza che chi decide di entrare in politica lo faccia solo per un tor-naconto personale, allo stesso modo di chi deci-de di fare l’idraulico, col tutto rispetto per l’utile professione, non per uno spiccato amore del prin-cipio di Archimede. Non dovremmo forse smette-

re di stupirci degli scandali della politica, conside-randola niente più che un lavoro? A me sembra sia in atto un grande e tacito accordo, al quale tutti sottostiamo, quando ci fingiamo stupiti del, per esempio, uso indiscriminato dei rimborsi spe-sa, laddove io in primis col mio misero blocchetto di buoni pasto da 4,10 € mi sono fiondato al su-permercato a fare scorta di birra? Invece di finge-re di cadere dalle nuvole, non sarebbe meglio at-tivarci verso una politica-hobby, da fare a tempo perso, un po’ come i puzzle o il modellismo, senza alcuna rendita ma solo con spassionata scoperta, esperienza ed amore? Mi chiedo quanti “politici” possano dire di amare la politica, ammesso che sia qualcosa che è possibile amare. Provate ad indovinare a chi andrà il mio sacrosanto, unico e inalienabile diritto/dovere di voto?

Lettera ai politici

“A chi il mio diritto/dovere di voto?”

Lettera a...di Cristiano roasio

DAL TEMPO

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Alcuni articoli fa era stata affrontata l’epoca d’oro del principato dei Savoia Aca-ja, prima sotto il capostipite Filippo, e poi durante la dominazione di Giacomo, tesa a rinforzare le difese della Città. Quest’ul-timo, nonostante fosse andata a buon fine l’azione di fortificazione e messa in sicu-rezza del Borgo inferiore, aveva gettato le basi per la rovina della sua casata: tre ma-trimoni, l’ultimo con la sposa scelta dai cu-gini e signori Savoia per il suo primogenito, Filippo, che l’aveva però rifiutata fiutando l’imbroglio del Conte sabaudo. Alla morte di Giacomo, nel 1367, il testamento designò come eredi i figli avuti dal terzo matrimonio. Il primogenito Filippo si ribellò tentando, in-vano, di ottenere il controllo del principato: catturato, morì ad Avigliana. I legittimi eredi, troppo piccoli per salire al trono, furono presi in custodia dal Conte Verde a Chambery, mentre questi si oc-cupava di continuare le fortificazioni urba-ne: Amedeo VI fornì infatti di merlature e camminamenti le mura del Borgo. Alla maggio-re età, nel 1377, sale al trono la prima pedina sa-bauda, Amedeo d’Acaja, che muore nel 1402 senza significativi interventi sulla città. Senza eredi, passa il governo al fratello Ludo-vico, che regnerà fino al 1418. Per la prima volta il ruolo egemone della città è messo seriamente in di-scussione: Ludovico fa ini-ziare i lavori per la costru-zione del castello Acaja a Torino, dove si trasferisce. Unico intervento a Pine-rolo, Ludovico fa costru-ire il monastero di Santa Brigida. Muore anch’egli

senza eredi nel 1418, lasciando il Principa-to piemontese come titolo per il “delfino” sabaudo, sepolto come tutto il resto della sua casata nella Chiesa di San Francesco. Purtroppo, se qualcuno volesse cercare nel-la città le tombe dei principi d’Acaja non avrebbe la possibilità di soddisfare la sua curiosità: la chiesa di San Francesco fu de-molita nel 1806 in seguito alle disposizioni napoleoniche. Non si pensi che si trattasse di una chiesa di second’ordine: secondo gli studi di G. Gardano, la chiesa era lunga 55 metri per 35 di larghezza, vale a dire all’in-circa le dimensioni dell’attuale chiesa di San Maurizio. Cinque navate e un campanile alto 50 metri, era gestita dall’Ordine Fran-cescano che vi si era insediato poco dopo la predicazione del santo, nella prima metà del XIII secolo. Inizialmente scarna e umile secondo i dettami della regola francescana, divenne col passare del tempo sede del ce-rimoniale liturgico della famiglia Acaja, che la impreziosì di tombe e altri decori.

A r t e&Arch i t e t tu ra A cura di Michele F. Barale

ArTE

PineroLo AB OVO

Il declino della capitale degli Acaja

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1919cosedicasanostraDizionario inglese-piemonteseSpirit-wall: spiritualeSince-cent: cinquecentoServe-i: selvaggioSeven-me, twenty?: se vengo io, vienianche tu?Loom-an-cool-post: ce l’abbiamo in quelpostoReeve-at: chiodo ribattutoRanch-in: avaro

Volontariato e occhiali usati, non sempre conviene

Nei paesi in via di sviluppo ci sono più di 670 mi-lioni di persone che avrebbero bisogno di occhiali da vista. Allora perchè non donare i propri occhiali vecchi? In effetti diverse associazioni di volonta-riato si interessano in modo altruistico della rac-colta di occhiali usati non più utilizzati e li inviano verso questi paesi. In realtà uno studio pubblicato sulla rivista Op-tometry and Vision Science ha mostrato però che riciclare gli occhiali da vista non conviene, perchè si tratta di prodotti molto personalizzati e quindi dif-ficilmente riutilizzabili. Nello studio è stato valutato il costo di selezione, di pulitura, classificazione e consegna degli occhiali ai medici locali e si è visto che solo il 7% era adatto al riuso. Per ogni paio di occhiali il costo totale del processo di riciclo co-sta molto di più di quanto costa un paio di occhiali premontati nuovi. Per questo gli autori dello studio consigliano alle organizzazioni di volontariato di in-viare donazioni in denaro. Consiglio che sovente è valido anche per altre forme di solidarietà verso i paesi in via di sviluppo e che dimostra che la solida-rietà richiede anche sempre intelligenza.

WIFi non protetto: non c’è responsabilità

Negli Stati Uniti un giudice californiano ha de-ciso che l’utente non è responsabile in alcun modo del proprio indirizzo IP.In poche parole chi è intestatario di una con-nessione WiFi non protetta non deve risponde-re degli illeciti commessi da terzi che sfruttano la sua connessione, gli abusi di terzi quindi, non rientrano nelle responsabilità dell’abbonato.In precedenza anche Italia, Danimarca, Finlan-dia e Illinois si sono espresse in tal senso: l’in-dirizzo IP identifica una macchina, non l’artefi-ce dell’illecito, quindi se qualcuno abusa di una rete non protetta per scaricare musica, film, video, in modo illegale non è giusto che sia l’utente che paga l’abbonamento a subirne le conseguenze. La giustizia, il controllo e gli eventuali provvedi-menti competono a chi di dovere, al proprietario della connessione spetta solo il dovere di segui-re le regole quando è lui a navigare in rete.http://www.adslwireless.biz/public/1_WIFi_non_protetto_non_ce_responsabilita.php (24.9.2012)

Solo la Tv batte il Web Da un sondaggio Pew risulta in modo concreto che per ottenere notizie e informazioni il web è battuto ormai solo dalla televisione.Se si considerano i mezzi tradizionali di informazione, quali televisione, quotidiani e radio, allora si può affermare che, tutti insieme, sono ancora il mezzo principale di fruizione di notizie quotidiane. Ma se i diversi mezzi di informazione vengono presi singolarmente solo la Tv fa meglio della rete. Infatti, grazie anche al diffondersi di dispositivi mobili, il pas-saggio alla consultazione di notizie on line sta accelerando in maniera esponenziale. Emerge anche, ed è meritevole di rimarcatura, che sono i social network ad avere un ruolo importante nella diffusione di notizie.Pew ha affermato che dal 2010 ad oggi la percentuale di coloro che leggono news su table e smartphone è raddop-piata, dal 9% al 15%. Un’accelerazione che è legata allo sviluppo del WiFi.Dei giovani sotto i 30 anni solo il 13% si tiene informato usan-do i mezzi di informazione tradizionali o digitali, ma il 33% di loro resta aggiornato passando attraverso i social network.Il trittico Google-Facebook-Twitter, ha un pubblico che dal 2010 ad oggi è passato dal 29% al 47%.Sono tutti dati che ci portano alla stessa conclusione: l’au-dience sembra spostarsi sempre di più verso questi canali informativi a discapito dei vecchi e tradizionali media.

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ContinuAre nonoStAnte tutto

Lo sport nell’anno della crisi

Sport A cura di Andrea Obiso

SPOrT

Il 2012 si è chiuso. Bilanci e previsioni per il nuovo anno si sprecano e noi non vogliamo essere da meno. Di fatto l’anno appena passato sarà ri-cordato come quello in cui la crisi economica si è fatta sentire con più decisione, nonostante covi da diversi anni. Per ognuno di noi significa meno soldi, meno stabilità e, haimè, meno lavoro per tutti. In campo sportivo ad alto livello, questo signi-fica stipendi meno milio-nari per giovani gioca-tori di pallone, trasferimenti meno stellari del solito e generalmente innalzamento del tasso di fantasia dei giornalisti. A livello più basso, quello che noi osser-viamo più da vicino, le difficoltà economi-che ci sono sempre state, ci sono tutt’ora e sempre ci saranno. La crisi economica tutt’ora in atto non ha fatto altro che acutizzare i problemi già esistenti in quasi tutti gli sport, sia a livel-lo societario che strutturale all’interno dei campionati. In tempi meno duri trovare sponsoriz-zazioni per squadre che non hanno molto

seguito è difficile, ora è quasi impossibile; la scarsa fiducia che abbiamo riscontrato negli ultimi periodi è sconfortante. Sia chiaro parliamo di realtà per lo più

piccole, realtà che fan-no storicamente fatica a emergere agli occhi di sponsor o finanziatori in genere. Una sensazione curiosa che mi è capitato di prova-re negli ultimi incontri con rappresentati di società sportive, però, è quella che le cose non siano cambia-te di molto per la maggior parte di loro.

L’abitudine ad affrontare situazioni di difficoltà senz’altro aiuta, ciononostante è innegabile il fatto che diverse squadre sono state costrette a fondersi con com-pagini più grandi o addirittura scomparire. Quando si parla con chi lo sport lo vive da rappresentante delle istituzioni, però, il problema economico viene a galla facil-mente. La carenza di fondi pubblici destinati allo sport è una lamentela che viene fat-ta anche in periodi meno critici, per que-sto non fanno molta notizia la scarsità di impianti sportivi, la scarsa manutenzione

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degli stessi quando ci sono, pochi o nulli investimenti nel personale e altre deliziose negligenze tipicamente italiane. Nonostante questi inconvenienti tipici di una situazione economica difficile, il bilan-cio di fine anno che ci troviamo a fare è tutt’altro che negativo.Le difficoltà non hanno intaccato la voglia di fare bene. Questo riguarda, in maniera distinta, sia chi gestisce una società di calcio che a basso livello fatica a emergere e sopravvi-vere, sia chi si occupa di sport meno co-nosciuti. Nonostante l’approccio sia diverso per molti aspetti, è rassicurante vedere in tutti la stessa determinazione a continuare con il proprio impegno verso la comunità spor-tiva. Quello che vorremmo ricordare prima di tutto è che i grandi traguardi sportivi, soprattutto in campo olimpico, sono frutto del lavoro giornaliero di decine di persone costantemente nell’ombra.Persone che ogni quattro anni vengono intervistate dai maggiori media nazionali, solo nel caso in cui gli atleti da loro allenati vincano medaglie, e che cadono nell’oblio in pochissimo tempo.Non c’è da biasimare il sistema mediatico, si fa notizia con le storie e le storie durano poco, quelle che risultano incomprensibi-li però sono le critiche e le lamentele ri-guardo alla poca visibilità di certi ambienti

fatte dagli stessi che non concedono tale visibilità. In conclusione tirare le somme di un anno critico come questo non è tanto dif-ferente rispetto a qualunque altro anno, la voglia di fare bene è tanta, i problemi sono gli stessi, i margini di miglioramento non verranno rispettati come sempre e tra un anno ci ritroveremo allo stesso punto. Speriamo di sbagliarci ma in questo cam-po le sorprese spesso non sono gradite.E sperando in buone sorprese auguriamo un buon 2013.

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Come spesso accade la buona musica viaggia in pro-vincia, lontano dal circuito dei locali, grazie alla passione di chi la suona. E’ questo il caso degli “Altre brutte sor-prese”, promettente realtà elettronica pinerolese. ll progetto nasce nel 2009 con l’obiettivo di creare della musica di tipo elettronico non solo tramite sof-tware, ma soprattutto tramite strumenti comuni ad altri generi quali il rock. I ragazzi sono partiti con l’idea di creare una musica elettronica strumentale che avesse una linea melodica principale non sviluppata dalle voci ma dal suono del saxofono. Da allora hanno affrontato molti generi sem-pre di matrice elettronica come il dub e la drum’n’bass, cercando di mixare il tutto con il loro gusto personale e provando a sperimentare il più possibile. Attualmente la band è formata da: Andrea Caccavo-ne, Umberto Eynard, Francesco Mocchia di Coggiola, Giacomo robino, Mirko Vivacqua, Andrea Bruera; du-rante i loro concerti poi sono spesso affiancati dal visual designer Kejd Lulja che condisce il live con videoclip ispirati alla loro musica. Il loro percorso passa poi per la realizzazione di un disco autoprodotto nel 2011, fino a giungere ad impor-tanti collaborazioni nel 2012 con la musicista berlinese Ellen Allien e con il festival Alchemy di Mauro Picotto. Il succitato lavoro discografico prende il nome di “Il fiero pasto” ed include alcuni remix ad opera di djs emergen-ti, rimarcando una sorta di solidarietà musicale anche da parte di questa band che alla presentazione del disco non ha fatto mancare una apprezzata esposizione da parte di un giovane fumettista e di un brand emergente di moda. Ma sondiamo più attentamente la musica.... Che ge-nere suonano gli “Altre brutte sorprese”??? Il genere musicale che cercano di riprodurre è quel-lo dell’elettronica in particolare nella sua sottocatego-ria denominata idm (intelligent dance music ). Grazie

alle loro passate esperienze musicali (come il punk, il metal ed il jazz ) questo esperimento si arricchisce di sfumature appartenenti ad altri generi, che spesso stravolgono la sonorità di base, fino a farlo diventare qualcosa di non riconoscibile, di non identificabile. Il loro concerto è strutturato come un unico pezzo, in modo da consentire all’ascoltatore di immergersi in un percor-so emozionale continuo; hanno inoltre deciso di non utilizzare la voce per cercare di suscitare emozioni solo ed unicamente attraverso la musica e le melodie che gli strumenti possono tessere. “...Principalmente il nostro processo di composizione è basato sull’improvvisazione”...Mi dicono. “...sfrut-tiamo un riff di qualsiasi strumento, magari studiato in precedenza a casa, per poi costruire tutto l’apparato musicale in sala prove tutti insieme.” Parliamo poi della realtà che vivono le band emer-genti. La parola ancora a loro, “... Così come ogni altra giovane band anche noi viviamo costantemente nella difficoltà di reperire posti fisici disposti ad accogliere band emergenti per un concerto. Per fortuna l’avvento di internet ha consentito di poter sviluppare un proprio seguito di ascoltatori senza necessariamente dover suonare ogni settimana in un posto nuovo. Come band emergente, ci stiamo concentrando molto sulla diffu-sione on line della nostra musica attraverso il web...” Concludiamo la chiacchierata con uno sguardo al fu-turo. Stanno preparando un tour di concerti nel torinese con una data finale a Parigi in collaborazione con il “Dr. Sketchy Paris”. Inoltre preparano l’uscita di tre nuovi EP in collaborazione con O.D. etichetta discografica emergente di Pinerolo; il primo dei tre ep sarà reperibile sulla rete a partire da gennaio 2013, ad ogni uscita di un nuovo lavoro ci sarà una serata-evento di presenta-zione del prodotto.E allora antenne dritte sulla rete per seguire questi pro-mettenti ragazzi!!!

MuSiCA eMerGente

“Altre brutte sorprese” A cura di Demis Pascal

MUSICA Of f i c i ne de l suono

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MuSiCA eMerGente

“Altre brutte sorprese”

Anda re a l c i nema

di Andrea Obiso

Cetto LaQualunque, gretto e ignorante sindaco di Marina di Sopra, è costretto a rassegnare le proprie dimissioni a causa di un prevedibile arresto. Cause diverse ma stessa sorte tocca anche a rodolfo Favaretto e Frengo Stop-pato.Il primo è un razzista mercante di uomini dell’Est Italia i cui principali obiettivi nella vita sono due: la secessione del proprio paesino per annetterlo all’Austria e la cre-azione di una bretella autostradale.Il secondo è uno spacciatore di sostanze stupefacenti costretto a lasciare l’Italia per questioni legali, la vera disgrazia di Frengo però è la madre, la quale lo co-stringe a rimpatriare con l’inganno e mira a renderlo Beato in vita.Come già detto i tre si trovano in prigione ma per diversi motivi vengono chiamati a fare i parlametari dello Stato Italiano.Le conseguenze, come previsto, saranno nefaste sia a livello personale che poli-tico in quanto i tre risulteranno scheg-ge impazzite.

Il fenomenale comico lombar-do questa volta si sdoppia in tre.Cetto, Frengo e rodolfo sono sen-za’altro tre perso-naggi mal assortiti e per questo enor-memente funzionali ai fini della storia. Forse perchè meno sfruttato fin’ora,

rodolfo Favaretto è il personaggio che risulta più divertente nell’arco di tutto il film. Lo stile comico è quello solito di Alba-nese che porta in scena l’atteso sequel di “Qualunquemente”, rispetto alle attese e alla tendenza universale di replicare in tutto e per tutto il film originale però, An-tonio lascia quasi completamente a ripo-so Cetto, protagonista del primo film, usa con saggezza Frengo e rende mattatore il secessionista rodolfo. Il nonsense prende ancora di più il so-pravvento, ciononostante è inquietante come la situazione messa in ridicolo dalla pellicola di Manfredonia suoni incredibil-mente familiare. Presa coscienza del fatto che a livello comico e neorealistico il film non si discu-te, a livello tecnico le riprese sembrano fatte in maniera scolastica, senza voler sminuire tale approccio, forse una regia

più ardita sarebbe stata preferibile. Nonostante la fo-tografia non presen-ti pecche, in fase di montaggio qualche errore è stato fatto, ma gestire tre storie contemporaneamen-te non è mai facile.Nel complesso “Tut-to Tutto Niente Niente” è un film che ci sentiamo di consigliare se non altro perché molto divertente e intelli-gente nella sua co-micità.

SOCIETà

Il lato comIco della polItIca

Tutto tutto niente nienteregia: Gulio Manfredonia Attori: Antonio Albanese, Lorenza in-dovina, Nicola rignanese, Davide Giordano, Lunetta Savino

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Passeggiando lungo il Danubio nella dolce Budapest, la città della musica... Budapest è una città d’arte puntinata di ver-de, adagiata tra le due sponde del Danubio, dove lo spazio si fa più vasto, occupato con eleganza e storia, collegato da ponti, solcato da traghetti, chiatte e navi da crociera. Buda con la sua collina, la cittadella ed il palazzo reale, ad ovest, Pest ad est, con gli edifici pubblici, l’università, il Millennium plaza sor-montato da Gabriel l’arcangelo. Con il bus blu preso all’uscita dell’aeroporto e poi la metro siamo in centro: con un euro circa si viaggia, veloce e puntuale. Una card dà per 3 giorni l’accesso ai mezzi pubblici e sconti sui musei, ma preferiamo camminare, ci piace godere della città, lungo le viuzze, curiosare nei nego-zietti e tra la gente e le bancarelle, bere birra scura al festival della birra, ascoltare la musi-ca dal vivo, dal jazz al rokkabilly presso Kalvin Plaza, o nel downtown, l’isola pedonale, con i violinisti che suonano la Marcia Ungherese n. 5 di Brahms, mordicchiando Kürtöskalacs, i dolci conici tradizionali cosparsi di granella di zucchero e cannella, cotti sulla brace. Il primo benvenuto, all’uscita della metro, lo riceviamo ammutoliti, alzando gli occhi verso il cielo in cui spicca il tetto di ceramica sme-raldo ed oro del museo di Art Dèco. risedia-mo a Pest, al centro della movida, e siamo estasiati. Non solo dalla città, ma anche dai suoi abitanti, cordiali e festaioli; ma perché in questa città 3 ragazze su 4 sono delle fate?

che ingiustizia! Anche le signore di una certa età si difendono bene… la bigliettaia è una Barbie di 60 anni! Il mercato coperto, il cui tetto pare un mo-saico, è affollato di locali per la frutta e la verdura, e di turisti per i ricordini magyari. Dal ponte Liberty, poco oltre, intitolato alll’impe-ratore austriaco Francesco Giuseppe (1896), si ha una panoramica di Buda con l’edificio termale barocco in 1º piano, oltre il fiume, e di Pest al nostro fianco. Campanili barocchi (spicca S. Stefano, 96 m) e torrette svettano tra gli edifici antichi ben conservati. Passeg-giamo lungo il Danubio fino a sera, superando il ponte di Elisabetta intitolato alla popolare re-gina Sissi d’Asburgo, ricostruito dopo l’ultima guerra, e giungiamo quasi in vista del Parla-mento neogotico, simile a quello londinese, un fiorire di stucchi, statue e pinnacoli; sul bordo scarpe di bronzo fanno immaginare un tuffo collettivo. Siamo incantati dallo spegnersi del sole al tramonto e dall’accendersi dei lampioni e dei fari su questo angolo di storia un po’ fiabesco. La gente si raduna lungo le rive per cenare, magari con un ottimo gulash. E’ facile trovare una coperta vicino ai tavolini all’aper-to ora che rinfresca. E magari anche qualche bel gattone, che pur essendo ungherese, fa le fusa esattamente come il nostro.

Foto: L’intero quartiere del Palazzo reale di Budapest, che include il Castello, la Chiesa di Mattia e il Bastione dei Pescatori, è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

SOCIETà

LunGo iL dAnubio

Budapest, la più bella

Appunt i d i v i agg io A cura di Angelica Pons

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LunGo iL dAnubio

Budapest, la più bella

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