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Per Gentile concessione del prof. Stefano Carboni, Università di Cagliari Ricostruire le tappe che hanno gradualmente condotto alla «società del rischio». Da Hiroshima, A Fukushima 30/03/2011 Ambiente e rischi nella società tardo moderna

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Per Gentile concessione del prof. Stefano Carboni, Università di Cagliari

Ricostruire le tappe che hanno gradualmente condotto alla «società del rischio». Da Hiroshima, A Fukushima

30/03/2011

Ambiente e rischi nella società tardo moderna

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I campi problematici

Il rischio tecnologico

Impatti generati dalla produzione e dall’uso di tecnologie. Tali impatti sono studiati nei loro effetti negativi sulle persone (lavoratori occupati nell'attività produttiva o consumatori di prodotti), sulle attività economiche, sull’ambiente. Si tratta di un filone di studi a forte impronta ingegneristica, sviluppatosi soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, che pone enfasi sulle ricerche finalizzate a stabilire l'affidabilità degli impianti e a garantire condizioni di sicurezza a chi li usa.

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I campi problematici

Il rischio sociosanitario

Studi su cause, dinamica epidemiologica, conseguenze individuali e sociali di fenomeni patologici che mettono in pericolo possibilità di sopravvivenza, salute, integrità fisica e/o psichica di intere popolazioni o di particolari categorie di soggetti (in relazione a caratteristiche di questi, quali l’età, il sesso, le condizioni ambientali di vita, le attività svolte ecc.). Questa tradizione ha conosciuto un imponente sviluppo nel XX secolo, concentrandosi sull’analisi dei rischi connessi alle grandi manifestazioni patologiche, tra cui, in modo particolare, i tumori.

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I campi problematici

Il rischio sociale

Studi sui rischi che minacciano coesione sociale, qualità della vita di individui, popolazioni o gruppi, possibilità di sopravvivenza, come conseguenza di particolari aspetti dell’organizzazione sociale (relativi, ad esempio, al funzionamento del sistema economico o politico, delle strutture familiari e relazionali, del sistema socioculturale), che favoriscono l’insorgenza di varie forme di "patologia sociale": dalla disoccupazione alla povertà, dalla criminalità all'emarginazione.

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I campi problematici

Il rischio ambientale

Studi in cui l'attenzione è posta sui possibili effetti dannosi che colpiscono popolazioni umane e sistemi ambientali in cui esse si collocano.Le cause del danno possono essere catastrofi naturali o effetti di specifici processi di trasformazione dell'ambiente ad opera dell'uomo (realizzazione di opere o progetti, svolgimento di particolari attività). Area di studio interdisciplinare: assume una funzione essenziale la collaborazione tra ambiti scientifici (ingegneria, scienze naturali, scienze giuridiche, scienze sociali).

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Alcuni quesiti da cui partire

Ci troviamo davvero in un mondo più rischioso rispetto a un passato non lontano?  Ci sono veramente più rischi o semplicemente se ne parla di più, ne siamo più consapevoli?  Come incidono i rischi sulla nostra vita e, più in generale, sull’assetto della società contemporanea?  Cosa possiamo fare al riguardo?

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Le origini della “Società del rischio”

Hiroshima

L’evento primario che ha segnato una svolta epocale nella percezione collettiva della scienza e della tecnologia è stato Hiroshima: - potenza sviluppata dalla scienza- capacità della tecnologia di operare a un livello paragonabile, se non superiore, a quello delle forze della natura- capacità dell’uomo di alterare significativamente l’ambiente.

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Si constata :

- ambivalenza di questo potere- piegarsi della tecnologia a differenti intenzioni e interpretazioni(natura “politica” della tecnica).

In quel momento, possiamo dire, scienza e tecnologia perdono definitivamente la loro innocenza verso l'umanità e la natura.

Le origini della “Società del rischio”

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La relazione tra rischio ambientale e società

La prima fase - Gli anni ‘50 e ‘60

Il nucleare desta le maggiori preoccupazioni.  1949: L’Unione Sovietica fa esplodere la prima bomba atomica.1951: Gli Stati Uniti lanciano il loro programma di test nucleari, seguiti da Urss, Gran Bretagna e Francia.1954: I test divengono oggetto di preoccupazione pubblica; una bomba all'idrogeno fatta esplodere nell'atollo di Bikini, nel Pacifico occidentale, provoca una nube radioattiva molto più grande del previsto, che investe le isole Marshall. I membri di un peschereccio giapponese, la Lucky Dragon, restano seriamente contaminati.

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Non solo nucleare, anche grandi petroliere.

1967: la Torrey Canyon urta una scogliera al largo dell’Inghilterra e versa 118.000 tonnellate di petrolio. 1969: lo scoppio di una piattaforma al largo della California provoca analoghe conseguenze.

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Nucleare

Incidenti petroliere

Inquinamento atmosferico

Inquinamento delle acque

I disagi e le patologie che ne derivano divengono sempre più spesso oggetto di dibattito, non di rado di conflitto a fronte dei dinieghi dei responsabili.

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A sollevare l’attenzione pubblica verso i rischi ambientali offrono un contributo non trascurabile i libri.

Alcuni di essi esercitano un’influenza notevole, creano prospettive comuni, terreni di incontro tra l'opinione pubblica e gli esperti.

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Nel 1962 Rachel Carson, con la pubblicazione di Primavera Silenziosa

(Silent Spring), denuncia i danni per l'ambiente

e la salute derivanti dall'uso di pesticidi

come il Ddt.

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Uscito negli Usa e tradotto rapidamente in 15 lingue, il libro suscita un ampio dibattito, contribuendo per esempio a far sì che negli anni successivi diversi paesi

introducano restrizioni nell'uso di alcuni pesticidi.

Il libro solleva la questione dei rischi

a lungo termine, più insidiosi degli

incidenti in quanto nascosti agli occhi dei più.

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Negli anni ‘60 l’ambientalismo si trasforma radicalmente. Il conservazionismo elitario delle prime associazioni, formate da esigue elite interessate a preservare paesaggi, piante, animali di particolare valore estetico o rarità viene scavalcato da un ambientalismo di massa che si orienta con decisione verso i temi del rischio ambientale. La base dei movimenti è costituita in buona parte dalle giovani classi medie emergenti (istruite, occupate nei servizi e nelle professioni), interessate all’affermazione di valori (libertà, pace, eguaglianza, identità individuale), modelli culturali e stili di vita «post-materialisti» in cui l’ambiente occupa un posto sempre più di rilievo.

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Gli anni ‘60 vedono anche l’avvio delle iniziative internazionali: da un lato vi sono le iniziative scientifiche, dall’altro quelle politiche.  I due generi di iniziativa sono legati. Gli accordi sono sovente preparati e favoriti dal formarsi di «comunità epistemiche» che, rispetto a un determinato problema, definiscono la prospettiva scientifica dominante per un certo periodo.  Le grandi conferenze per l’ambiente rappresentano quindi momenti di incontro e fusione tra queste due componenti dell’azione internazionale.

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La risposta istituzionale a queste prime crisi ecologiche si inscrive nel solco della visione tradizionale della modernizzazione, riaffermandone anzi i cardini scientifici ed economici: - i problemi derivano da momentanee défaillances, disfunzioni locali dell’apparato tecnologico e produttivo - è lo stesso apparato a possedere i mezzi per intervenire rapidamente e con efficacia, rimettendo le cose a posto.

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Da questo approccio tecnocratico - pienamente aderente all’idea tradizionale di modernizzazione - deriva: - la sottovalutazione di alcune questioni - l’impreparazione a far fronte agli imprevisti - la tendenza a negare l’esistenza di problemi e responsabilità  - la propensione a tacciare di allarmismo chi solleva le questioni e a ritenere ingiustificata la preoccupazione pubblica.

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Si osserva in definitiva: - uno scarso peso politico, economico e sociale dei soggetti e delle comunità coinvolte - una risonanza mondiale degli eventi, prodotto da effetti imprevisti di azioni deliberate - una certa reticenza delle autorità (o delle industrie) - un difficile accertamento dei fatti e delle responsabilità.

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La gestione del rischio è dunque dominata da una prospettiva ingegneristica.

Si specificano, per esempio, i possibili malfunzionamenti di una macchina e si cerca di determinare le condizioni che garantiscono una soglia sufficientemente bassa di probabilità del verificarsi di un evento dannoso.

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La seconda fase - Gli anni ’70: i limiti dello sviluppo • Cambiamento nel “clima” sociale: ascesa nuovi movimenti di protesta.• Crisi organizzazione industriale fordista: accresciuta competizione

internazionale, mutamento nella domanda di consumi, disponibilità di tecnologie che promettono maggiore flessibilità e meno manodopera.

• Crisi energetica del 1973 conseguente all’embargo petrolifero dei produttori arabi.

• Crisi dei sistemi di sicurezza sociale che hanno garantito a quote sempre maggiori di cittadini condizioni di vita sempre più favorevoli (istruzione, pensione, assistenza sanitaria).

• Sovrappopolamento

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Sulla base di questi elementi generali si delinea la critica al modello della crescita illimitata. L’inquinamento e il rapido esaurimento delle risorse energetiche rendono imminente quel disastro che un eccessivo ottimismo tecnologico rifiuta di prendere in considerazione.

I limiti allo sviluppo non sono solo fisici, ma anche sociali.

L’espansione indiscriminata dei consumi e dei servizi non può essere sostenuta indefinitamente:

- le risorse a disposizione non sono sufficienti - molti beni naturali (come una spiaggia) e sociali (come un titolo di studio), offrono benefici decrescenti al crescere del numero di persone che ne fruiscono.

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Il tema “ambientale” evolve. Nel 1972 a Stoccolma si svolge, sotto l’egida delle Nazioni Unite, la prima Conferenza mondiale sull’ambiente.  Nel 1973 la Comunità Europea avvia ufficialmente una propria politica ambientale.  La crisi energetica orienta l'opinione pubblica e il movimento ambientalista verso il tema delle fonti alternative.

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Questa evoluzione è accompagnata da una serie di incidenti: Nel 1976 a Seveso, nei pressi di Milano, da un impianto chimico si verifica una pericolosa fuga di diossina.

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1978 – Si verifica un incidente in una centrale nucleare in Pennsylvania (USA).

1979 – Gli abitanti di Love Canal, non lontano dalle cascate del Niagara, vengono trasferiti dopo aver scoperto di vivere sopra una discarica di pesticidi.

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Inizia in questo periodo a farsi strada la consapevolezza che, per ridurre la diffusa conflittualità e sfiducia che circonda la gestione dei rischi: - Non basta una «comunicazione del rischio» unidirezionale- Non basta esporre «come stanno le cose» dal punto di vista tecnico- Occorre dedicare attenzione specifica alle variabili che incidono sulla costruzione soggettiva del rischio, alle interpretazioni, preferenze, abitudini comportamentali degli attori coinvolti. Si rivela quindi quantomeno opportuno basarsi su “tecniche persuasive”, mutuate dalla pubblicità e dalle pubbliche relazioni.

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La terza fase - Gli anni ‘80 Questa fase si distingue dalla precedente sotto vari profili:  - Le società industriali riacquistano fiducia nella crescita - Le politiche ambientali vengono ripensate - I movimenti si avvicinano alle istituzioni - I partiti verdi scendono alle ribalte parlamentari.

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Quindi, prima di tutto l’industria. La recessione degli anni ‘70, l’incremento della competizione internazionale, le politiche restrittive seguite alla crisi energetica spingono l’industria a una profonda ristrutturazione.  La parola d’ordine diventa flessibilità:   nella tecnologia, con il crescente impiego della programmazione al computer nelle relazioni tra aziende e fornitori, con l’ascesa del modello giapponese del just in time e la conseguente riduzione degli stock di magazzino nell’organizzazione del lavoro, con la formazione continua del personale e la riduzione dei dipendenti a favore del lavoro autonomo e dei sub-contraenti. Questa trasformazione post-fordista pone quindi l’accento sull’innovazione, sui contenuti tecnologici dei processi e dei prodotti.

La relazione tra rischio ambientale e società

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Questo periodo si può definire, dal punto di vista ambientale,

di «modernizzazione ecologica»

in sintonia con il mutato contesto socio-economico

di riacquistata fiducia nella crescita.

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Crescita economica e tutela ambientale, è questo il duplice obiettivo che può essere perseguito sviluppando un’innovazione mirata all'efficienza:  - I materiali più inquinanti possono essere rimpiazzati da altri più «ecologici»- I processi produttivi possono essere resi più efficienti (riciclaggio rifiuti, ecc.)

La risposta ai problemi ambientali non sta in un rallentamento della crescita, ma in un processo di ulteriore modernizzazione industriale che faccia leva sul mercato e sull’internalizzazione della responsabilità ecologica da parte delle organizzazioni produttive.

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L'idea di sviluppo sostenibile (equilibrio tra tutela dell’ambiente e crescita economica) trova la sua consacrazione nel «Rapporto Brundtland», prodotto da una commissione istituita dalle Nazioni Unite per studiare la relazione tra ambiente e sviluppo.  L’idea centrale è che la protezione dell’ambiente rappresenta una pre-condizione per lo sviluppo economico, sviluppo che deve essere perseguito in modo tale da non pregiudicare la disponibilità delle risorse ambientali per le generazioni future.

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Al crescere del benessere economico e con l’espansione del terziario e delle professioni intellettuali, cresce anche la domanda di natura e l'interesse per la qualità della vita.  

Dal 1983 al 1987 il Wwf italiano passa da 30.000 a 110.000 iscritti, la Lega per l’Ambiente, nata nel 1980, passa nello stesso periodo da 15.000 a 30.000 aderenti.  

Si costituiscono le prime Liste verdi, che salgono alla ribalta in vari paesi europei. Alla fine del decennio i Verdi sono presenti come partito in 15 paesi europei.

In Italia, nel 1986, viene istituito il Ministero dell’Ambiente e introdotta la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), richiesta da una direttiva europea di poco anteriore.  

Alle organizzazioni ecologiste viene riconosciuto un ruolo istituzionale: consultate di frequente, possono agire in giudizio in difesa degli interessi dei cittadini.

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La quarta fase - Gli anni ’90: la società del rischio 

La quadratura del cerchio si mostra più difficile del previsto, il comportamento degli attori economici e politici si discosta sensibilmente dalle previsioni teoriche. Le politiche orientate all’innovazione tecnologica e all’efficienza produttiva hanno sì ridotto in vari settori l’impatto ambientale di ciascuna unità prodotta, ma questi risultati sono stati vanificati dalla crescita della produzione e dei consumi.  Gli investimenti nelle tecnologie «pulite» rimangono prevalentemente limitati alle grandi aziende operanti in settori ad alta visibilità.

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Tale declino si lega anche ai nuovi problemi che iniziano ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica attorno al 1990 Il cambiamento del clima

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Il buco nella fascia dell’ozono

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La perdita della biodiversità

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L’ingegneria genetica

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L’inquinamento elettromagnetico

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La gestione delle scorie radioattive

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Polli (AVIARIA)

Mucche (BSE)

Pecore (DOLLY)

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Quali elementi accomunano i nuovi rischi?

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Tali questioni sono accomunate da: 1. l’elevata incertezza che le circonda (cause e dinamiche evolutive dei processi)

2. l’incertezza sulle conseguenze delle soluzioni individuate

3. il carattere transnazionale e globale dei problemi.

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Società del rischio

Ulrich Beck ridefinisce il modo di guardare le questioni tecnologiche e ambientali. Riconduce l’emergere della società del rischio al cuore del funzionamento della società e della scienza moderna.

Nella società del rischio il conflitto sulla distribuzione di beni e risorse si trasforma nel conflitto sulla distribuzione di «mali»: le vecchie disuguaglianze perdono di significato, si creano nuove linee di frattura sociale.

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Ogni azione volta a ridurre i rischi crea nuovi problemi, ogni atto in ogni campo è oggetto di

riflessione, critica, valutazione, da parte di chi lo compie e di un numero crescente di interlocutori.

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Chernobyl e altro … A dimostrare tutto questo è il brusco risveglio del mondo nel cuore della società del rischio:

si verifica un incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, a 80 chilometri da Kiev, in Ucraina.

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Muoiono circa 30 persone; 200 subiscono gravi contaminazioni radioattive, diverse di esse nell'impresa eroica di coprire il reattore con un sarcofago di cemento. Circa 135.000 persone devono essere evacuate dalla zona.

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La notizia dell'incidente e del viaggio della nube radioattiva attraverso l’Europa (in Italia sono le regioni del nord-est a essere le più esposte) desta grandi preoccupazioni.

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Scienziati ed esperti si mostrano

impreparati a controllare una

catastrofe nucleare

Le incertezze sulla valutazione dell’entità della contaminazione e sui suoi effetti offrono all’opinione pubblica l’evidenza lampante di

quanto altre vicende avevano già indicato

Sono poi incapaci di offrire interpretazioni convergenti dei fatti,

dati non contraddittori, letture non legate a posizioni di parte e petizioni di

principio

L’immagine pubblica della scienza, quella di un sapere certo e affidabile, subisce un duro colpo.

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I “nuovi rischi” (a partire da Chernobyl):

- scontano una profonda incertezza scientifica- hanno a che fare con ciò che almeno una parte dell'opinione pubblica percepisce come alterazione di un ordine naturale (la diffusione della Bse deriva dalla somministrazione a ovini e bovini di alimenti di origine animale)- mettono in crisi il regime giuridico e il sistema degli scambi comunitari- sollevano pressanti questioni di vigilanza sulla ricerca scientifica e le sue applicazioni.

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L’apparire di questi limiti, di zone oscure alla conoscenza scientifica,

porta alla ribalta il «principio precauzionale»:

L’assenza di certezza scientifica non può ritardare l'adozione delle misure che sarebbero giudicate necessarie

se la certezza fosse raggiunta.

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Conclusioni

Il rapporto tra società e rischio ambientale si è modificato, nell’arco di alcuni decenni, in misura rilevante.

I temi ambientali acquisiscono un posto stabile nelle agende dei governi e degli enti sovranazionali, pur tra gli alti e bassi determinati dalle congiunture economiche e da quella che è stata spesso definita «cultura dell’emergenza». Salgono alla ribalta rischi di nuovo genere, in parte per l’evoluzione tecnologica, in parte perché è cambiato il modo in cui guardiamo alla scienza, alla tecnologia, alla natura, a noi stessi; il modo in cui definiamo i nostri obiettivi, valori, desideri.

Il sapere scientifico si fa più incerto e frammentario, il confronto tra le diverse visioni dei problemi più acceso.

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