Pentecoste: il fuoco e la cenere - WebDiocesial Signore per il dono di Papa France - sco, arrivato...

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05 numero VICENZA IN MISSIONE Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2 DCB Vicenza MESE DI MAGGIO CON MARIA, ROVETO ARDENTE FIDEI DONUM DON DAMIANO MEDA RACCONTA LA SUA MISSIONE TESTIMONI DELLA MISSIONE DR. FRANCESCO CANOVA, FONDATORE DEL CUAMM MAGGIO 2013

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Anno XXXXVIII

n. 05/2013Redazione: Piazza Duomo 2 • 36100 VicenzaTel. 0444 226546/7 - Fax 0444 226545Portale Internet: www.missioni.vicenza.chiesacattolica.itE-mail: [email protected]. 001006251514 intestato a “Diocesi di Vicenza - gestione missioni”

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MESE DI MAGGIO CON MARIA, ROVETO ARDENTE

FIDEI DONUMDON DAMIANO MEDA RACCONTA LA SUA MISSIONE

TESTIMONI DELLA MISSIONEDR. FRANCESCO CANOVA, FONDATORE DEL CUAMM

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In copertina: Pentecoste, il calore del fuoco.

Rivista di informazione e animazione mis-sionaria e diocesana, destinata soprattutto alle famiglie, che possono dare una offerta per le Opere Missionarie ed il Seminario (si propongono circa 10,00 euro).

Direttore responsabile: Lucio MozzoIn Redazione:Direttore: Arrigo GrendeleSeminario: Andrea DaniPagina dei ragazzi: Massimiliano BernardiMigrantes: Mauro Lazzarato

Aut. Trib. di Vicenza n. 181 del 4/12/1964Iscr. reg. naz. della stampa n. 12146 del 9/10/1987

Progetto grafico/Impaginazione: Dilda Design - VicenzaStampa: Gestioni Grafiche Stocchiero - Vicenza

Maggio

Pentecoste: il fuoco e la cenere

“Un mucchio di cenere: così ebbe l’impressione di trovare la Chie-sa un uomo ormai anziano che

i cardinali, inaspettatamente, il 28 ottobre del 1958 avevano eletto papa. … Egli si pose davanti alla si-tuazione della Chiesa e del mondo, pronto a rovistare sotto la cenere per trovare la brace – il dono della fede – e pronto a trasmetterla agli uomini del nostro tempo; pronto ad ascolta-re quel che Dio vuole dire oggi, per ravvivare la fiamma di quel fuoco. Vedeva infatti che per molti il calo-re di quella brace non riusciva più a oltrepassare lo strato di cenere; al-tri addirittura consideravano quella brace definitivamente raffreddata e calcificata. … Così, in un momen-to particolare della storia, quando nessuno osava neppure sognarlo, Giovanni XXIII, il papa buono, volle il Concilio … e riuscì a rimettere in moto la Chiesa. Nessuno gli avrebbe

dato credito, il mondo intero rima-se stupito. … Lo stesso movimento raggiunse i padri conciliari, che cin-quant’anni fa, nei primi giorni del Concilio Vaticano II, mandarono un messaggio al mondo, che tuttora cu-stodisce quella brace che essi erano stati chiamati a cercare”.

Prendo in prestito queste parole da un libriccino minuscolo che fa bella mostra di sé nelle vetrine delle libre-rie cattoliche dai giorni dell’elezione di Papa Francesco: attira il titolo, e attira la copertina, color della brace. Chi lo introduce parte da questa do-manda: “A quale scopo celebrare un Concilio? È la domanda che mi han-no posto alcuni seri cristiani, quan-do sono tornato dalla celebrazione in memoria dell’apertura del Conci-lio, il giorno 11 ottobre 2012. Non sarebbe stato meglio fare qualcosa di nuovo – mi dicevano – e lasciar perdere i grandi discorsi?”. Cinquant’anni dopo, infatti, la situa-zione della Chiesa in Europa è diffi-cile, non soltanto a causa del netto calo numerico dei preti e dei reli-giosi, oppure per il numero in con-tinua diminuzione dei praticanti. Il problema vero non riguarda i nume-ri. Il vero problema è la mancanza del fuoco. Oggi molti cristiani con-statano che la cenere nella Chiesa è tantissima. Anche papa Benedetto XVI ne è stato consapevole. Proprio per questo l’11 ottobre 2012 egli ha inaugurato l’Anno della Fede, «per riscoprire la gioia del credere e ritro-vare l’entusiasmo nel comunicare la fede» nel solco del Vaticano II. Pro-prio per questo si parla della necessi-tà di una “nuova evangelizzazione”.

L’immagine della brace e della cene-re era cara anche al card. Martini, che in una delle ultime interviste disse, citando uno dei massimi teologi del Concilio: «Il padre Karl Rahner usa-va volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tan-ta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza». In questo momento della vita della Chiesa, noi siamo tutti riconoscenti al Signore per il dono di Papa France-sco, arrivato “dalla fine del mondo”. Molti hanno colto nelle sue parole e nei suoi gesti la volontà non soltan-to di soffiare lui sulla cenere perché torni a vedersi la brace, ma soprat-tutto di incoraggiare tutti a cerca-re insieme la brace perché il fuoco possa divampare di nuovo. Non era questo, del resto, il sogno di Gesù, che diceva: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, vorrei davvero che fosse già acceso» ?Questo, infatti, non è solo il compito del Papa, dei Vescovi o dei preti. Alla fine della citata intervista, il card. Martini poneva una domanda all’in-tervistatore: «Che cosa puoi fare tu per la Chiesa?». Questa domanda è rivolta a tutti noi. Tuttia noi siamo Chiesa! Torniamo ad aprirci e met-tiamoci alla ricerca della brace che sta sotto la cenere, perché lo Spirito – che è fuoco – non ha cessato di ar-dere, e il Signore Vivente abita anco-ra tra noi. E molti cuori sono già del tutto aperti all’incontro. Così l’Anno della Fede potrà diven-tare davvero un anno di fede. E il fuoco potrà ardere di nuovo.

don Arrigo

Questo mese

L'intenzione del mese

Perché i Seminari, specialmente delle Chiese di missione, formino pastori secondo il Cuore di Cristo, interamente dedicati all’annuncio del Vangelo.

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“Mosè portò il gregge oltre il deser-to, e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. Gli apparve l’angelo del Signore in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Mosè guardò: ecco che il roveto bruciava nel fuoco, ma il ro-veto non si consumava” (Esodo 3).

L’esperienza di Dio che Mosè vive ai piedi del monte Oreb, davanti a un roveto che ardeva nel fuo-

co senza consumarsi, e dal quale udì provenire la voce del Signore che gli parlava, ci rimanda al simbolismo classico delle manifestazioni di Dio, il fuoco, rappresenta-zione della vicinanza e della trascendenza divina. Fiamma che non può essere afferrata e trattenuta, eppure che ci attra-versa col suo calore e col suo splendore. Fiamma “inestin-guibile”, perché Dio è perenne sorgente di vita ed è l’Avversa-rio della morte. Dio si manifesta nella cornice di un luogo santo, in cui Mosè è entrato, “al di là del deserto”, senza rendersene conto. Ce lo rivela il gesto che è invitato a fare: togliere i calzari, come segno di radicale purificazione.Il collegamento tra la scena dell’O-reb e Maria di Nazaret è ovviamente allegorico, libero e creativo. Il roveto arde in mille pagine mariane – del-la tradizione e dei Padri della Chiesa – come segno della verginità e della maternità divina di Maria: Dio si ri-vela pienamente in Maria, come nel roveto si svelava a Mosè.

Gregorio di Nissa, grande padre della Cappadocia (Turchia), vissuto

nel IV secolo, scriveva al riguardo in un’omelia natalizia: “Ciò che era pre-figurato nella fiamma e nel roveto, fu apertamente manifestato nel miste-ro della Vergine. Come sul monte il roveto ardeva ma non si consumava, così la Vergine partorì la luce ma non si corruppe. Né ti sembri sconvenien-te la similitudine del roveto, che pre-figura il corpo della vergine, la quale ha concepito Dio”.Proclo, futuro patriarca di Costanti-nopoli nel V secolo, parlava in un’o-melia, della Madre di Dio come di

un “roveto ardente che non fu bru-ciato dal fuoco della maternità di-vina”. Anche Efrem Siro, morto nel 373, parla del grembo di Maria come del roveto nel quale discende il fuoco divino e Dio si rende presente e spe-rimentabile come a Mosè.Severo, patriarca di Antiochia, morto nel 538, svolge in un’omelia lo stesso pensiero: «Quando volgo lo sguardo alla Vergine Madre di Dio e tento di abbozzare un semplice pensiero su di lei, fin dall’inizio mi sembra di udire una voce che viene da Dio e mi

grida all’orecchio: “Non accostarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai è terra santa” … Avvicinarsi a lei è come avvicinarsi a una terra santa e raggiungere il cie-lo». Certo – diceva sant’Ambrogio – “Maria non è il Dio del tempio, ma il tempio di Dio”. Perciò noi dobbia-mo, come Mosè, avvicinarci a lei a piedi scalzi perché in lei è Dio che si rivela, e lo fa nel modo più vicino e concreto, rivestendo la carne dell’uo-mo.

Con don Tonino Bello, che ricordiamo a vent’anni dalla morte, possiamo dire a Maria, in questo mese di maggio a lei dedicato: “Santa Maria, donaci l’ebbrezza della luce e il calore del fuoco. Riportaci alla fede che un’altra madre, povera e buona come te, ci ha trasmes-so quando eravamo bambini e che forse un giorno abbiamo in parte svenduto per una mi-serabile porzione di lenticchie.Tu, mendicante dello Spirito, riempi le nostre lampade di

olio che bruci dinanzi a Dio: ne ab-biamo già fatto ardere troppo davan-ti agli idoli del deserto, ed ora stiamo sperimentando lo spegnersi delle no-stre lanterne.Maria, donna di Pentecoste, liberaci dagli appagamenti facili e dalle fal-se sicurezze del recinto; accendi nel nostro cuore il coraggio di passi che conducano anche noi – come Mosè – “oltre il deserto”, e facci compren-dere che la chiusura alle novità dello Spirito ci offre solo la malinconia di una vecchiaia precoce”.

Spiritualità missionaria

Un mese con Maria, roveto ardente

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Vita della Chiesa

Paolo VI e le scommesse del ConcilioIl 21 giugno 1963 – cinquant’anni fa – Giovanni Battista Montini ven-ne chiamato dalla Cattedra di Mi-lano a quella di Roma nel momento più delicato del Concilio, quando l’intuizione di Giovanni XXIII ri-schiava di non prendere forma. Col nome di Paolo VI divenne uno dei più grandi e forse più fraintesi papi della storia della Chiesa.

Nella storia recente della Chie-sa, Paolo Vi rimane come il Papa del Concilio: se Gio-

vanni XXIII ne ebbe la felice intui-zione, Paolo VI lo condusse in porto con saggezza e con fermezza, con-vinto che il Concilio fosse la gran-de occasione di dialogo con l’uomo contemporaneo e con il mondo mo-derno, con i suoi progressi e le sue miserie, con le sue scoperte e le sue inquietudini. Ma era anche soli-to dire: “Non si pensi di giovare al mondo assumendone i pensieri e i costumi, ma studiandolo, amando-lo, servendolo”. Davvero, guardan-do al cammino percorso, appare sempre più grande il merito di Paolo VI nel voler dare continuità all’assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movi-mentata fase del dopo Concilio, con grande intelligenza e con un amore appassionato a Cristo, alla Chiesa e all’uomo.

L’amore a Cristo e alla Chiesa. Sulla centralità di Cristo nella vita del cre-dente Montini basterebbe ricordare le mirabili parole pronunciate nel discorso di apertura della seconda sessione del Concilio (29 settembre 1963): “Cristo nostro principio. Cri-sto nostra via e nostra guida, Cristo nostra speranza e nostro termine. Nessuna altra luce brilli su questa nostra adunanza che non sia Cristo, luce del mondo; nessuna altra veri-tà interessi gli animi nostri che non siano le parole del Signore, nostro unico maestro; nessuna altra aspira-zione ci guidi che non sia il nostro desiderio di essere a lui assoluta-mente fedeli”.

Il suo grande amore per la Chiesa fu reale e non astratto, fatto di fati-ca e di sofferenza per quella Chiesa

che nella sua prima enciclica “Eccle-siam suam” (6 agosto 1964) definisce “madre benigna e ministra di salvez-za dell’intera umanità” e alla quale si rivolge nel “Pensiero alla morte”: “Potrei dire che da sempre l’ho ama-ta e che per essa, non per altro, mi pare di aver vissuto”.

L’amore all’uomo e al mondo. An-che se sono indimenticabili le parole pronunciate nel discorso di chiusura del Concilio, l’espressione più alta e più completa del suo amore per il mondo tutto intero fu l’enciclica “Po-pulorum Progressio”, dedicata al tema dello sviluppo dei popoli, indirizza-ta “a tutti gli uomini di buona vo-lontà” il 26 marzo 1967. Il primo pa-ragrafo dell’enciclica immette subito nel cuore del tema, con una prospet-tiva storica sconosciuta nella Chiesa fino a quel momento: “Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, del-

le malattie endemiche, dell’ignoran-za; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di profon-da attenzione da parte della Chiesa”. La sua affermazione: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, entrerà nella storia.

La Populorum Progressio, salutata come un grande segno di speranza soprattutto in Africa e in America Latina, portava in sé la forza di un sogno: quello di credere in un mon-do nuovo, in cui finalmente ai poveri della terra fosse restituita la dignità negata, assieme alla possibilità di ac-cedere a quei beni essenziali che in tanti secoli erano stati loro sottratti dall’ingordigia dei popoli ricchi.

Pochi mesi dopo, nel 1968, Paolo VI aprì a Medellin, in Colombia, l’As-semblea dell’Episcopato latinoame-ricano. Il 28 agosto volle celebrare la prima Messa che un Papa abbia mai celebrato sul suolo di quel continen-te davanti a 200 mila piccoli conta-dini, braccianti e lavoratori agricoli, uomini e donne poveri venuti da tante regioni e disse loro nell’ome-lia: “Voi siete un segno, voi un’im-magine sacra del Signore tra noi, voi un riflesso della sua faccia umana e divina … Tutta la tradizione della Chiesa riconosce nei poveri il sacra-mento di Cristo”.

L’amore per il Vangelo. Il progetto di Benedetto XVI di rilanciare in grande stile la nuova evangelizza-zione, particolarmente nei Paesi di antica tradizione cristiana, si riag-gancia alle preoccupazioni di Pao-lo VI che nel programma di attua-zione del Concilio convocò il terzo Sinodo dei Vescovi (1974) sul tema “L’evangelizzazione del mondo contemporaneo”, dal quale scaturì l’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, un documento bellissi-mo e di grande attualità, che spinse Papa Benedetto a parlare di Paolo VI come del “padre della nuova evange-lizzazione.

don Arrigo

Pellegrinaggio a Concesio, paese natale di Paolo VI, e visita a Brescia

sabato 25 maggio

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Il 25 maggio a Palermola beatificazione di don Pino Puglisi il prete “scomodo”, ucciso dalla mafia e per questo riconosciuto martire20 anni fa, il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56° compleanno don Pino veniva ucciso nel quartie-re di Brancaccio (Palermo) dov’era nato e dove il Vescovo lo aveva in-viato come parroco nel settembre del 1990.Tra le iniziative in programma anche una veglia di preghiera dei giovani sul terreno confiscato alla mafia e destinato alla costruzione della nuova chiesa del quartiere, proprio secondo il progetto di don Puglisi.

Chiamato dal Vescovo di Paler-mo ad occuparsi della parroc-chia di Brancaccio, don Pino

Puglisi lega il suo destino a quel quartiere, alle porte della città, uno dei più disagiati e ad alta densità mafiosa, dove “la gente è divisa in due: quelli che camminano a testa bassa e gli uomini di onore che cam-minano a testa alta”.Lui non si perde d’animo: se questo è quel che si pensa a Brancaccio, come gli ha insegnato suo padre, “allora diciamo che io sono venuto qua per aiutare la gente perbene a cammina-re a testa alta”.Questo il senso del suo servizio, in quella terra di nessuno, contrasse-gnata dal lavoro nero, dal contrab-bando, dallo spaccio di droga, dai furti, da un elevatissimo tasso di ab-bandono scolastico e di delinquenza minorile.In meno di due anni don Pino riesce a costruire un Centro di accoglien-za, il Padre Nostro. Qui, aiutato da un gruppetto di giovani volontari, lotta giorno dopo giorno per salvare dalla perdizione decine di piccoli inno-centi.Presto capisce che per incidere in quel tessuto disgregato bisognava fare e dare di più. Fare e dare di più significava scontrarsi contro l’iner-zia del potere locale: per avere una rete fognaria, una scuola, un distret-to sanitario, tutte cose che a Bran-caccio mancavano da sempre. Inevi-tabilmente il suo percorso lo porta a entrare in conflitto con gli interessi del potere mafioso. In occasione di una manifestazione tenutasi il 25 luglio 1993 in memoria del giudice Paolo Borsellino, durante la Messa

pronuncia un’omelia durissima: “Gli assassini, coloro che vivono e si nu-trono di violenza, hanno perso la di-gnità umana. Sono meno che uomi-ni, si degradano da soli, per le loro scelte, al rango di animali. Mi rivol-go anche ai protagonisti delle inti-midazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi tenta di educare i vostri figli alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile”.Don Pino ha le ore contate. Il 15 set-tembre 1993, “alla luce del sole” vie-ne freddato con un colpo di pistola nella piazza del quartiere, a Brancac-cio. “Ti aspettavo”, dirà al suo assas-sinio, pochi istanti prima di morire.Nessuna sorpresa: se lo sentiva don Pino che prima o poi il tempo si sa-rebbe fermato e che non ci sarebbe più stato più bisogno di misurarlo, come gli ricordava quel grande oro-logio senza lancette, raffigurato in un poster che teneva nel suo appar-tamento, sotto cui ben in grande era scritto: «Per Cristo a tempo pieno».I vescovi italiani, nel documento “Chiesa italiana e mezzogiorno” (2010) hanno scritto: “Nello svol-gimento della nostra missione edu-cativa, un ruolo di prima grandezza è svolto dall’insegnamento e dalla

testimonianza dei santi, che sono «come una parola di Dio» incarnata, rivolta a noi qui e ora. … Fra que-sti, ricordiamo don Pino Puglisi, che seppe magistralmente coniugare, so-prattutto nell’impegno educativo tra i giovani, le due istanze fondamen-tali dell’evangelizzazione e della promozione umana, che configura-no l’orizzonte di quell’umanesimo integrale, che trova nell’Eucaristia origine e compimento”.

Chiesa in Italia

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“Se essere fidei donum vuol dire mettersi a servizio delle fede e della speranza dei poveri…”Don Damiano Meda ha concluso la sua missione a Tchéré-Tchakidjebè, in Camerun

Missioni diocesane • 1

Ricordo ancora il giorno preciso della proposta: un amico prete, rientrato dall’Africa, è venuto in Seminario e

mi ha chiesto: “Che cosa risponderesti se ti proponessero di partire per l’Afri-ca”? Era il 29 settembre 2003, giorno dei santi arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele. Ho pensato al primo di loro, mandato a Maria per chiederle la dispo-nibilità a diventare la madre del Salvato-re. Mi sono detto: “Se Maria ha risposto “Eccomi”, chi sono io per negare tale disponibilità?”. Non avevo mai manife-stato il desiderio di partire, ma una volta arrivata dal Vescovo la proposta, ho desi-derato partire per seguire Cristo più da vicino.

Lasciavo un incarico che mi piaceva; dovevo uscire da un ambiente che dava sicurezza, per avventurarmi in un luogo che avevo visitato nel 2000, in occasione di un viag-gio missionario in compagnia di amici preti. Sono arrivato a Tchéré l’8 novembre 2004 e lì, insieme con don Giampaolo Marta, mio cugino, abbiamo speso quelli che considero – come dice la canzone – “i migliori anni della nostra vita”.

La vita oltre la morteRicordo anche il vangelo della mia prima domenica in terra d’Africa: raccontava la disputa di Gesù coi Sadducei a proposito della donna andata in sposa a 7 fratel-li. Subito mi son detto che avrei potuto imbattermi, per l’inizio della mia predi-cazione, con un vangelo più missiona-rio. In realtà, poiché nulla capita a caso, è stato il punto di partenza di una delle consapevolezze più preziose che mi sono

state donate dall’esperienza fidei donum: quella della vita oltre la morte. La poten-za della risurrezione ha davvero segnato tutti questi anni, attraverso i volti di per-sone care conosciute che ora vivono in comunione piena e definitiva col Padre.In Africa il confine tra la vita e la morte è molto sottile: qui si passa improvvisa-mente da una parte all’altra, e l’orizzonte dell’eternità sembra “a portata di mano”. Ricordo la prima chiamata notturna per la morte di un papà. Il figlio adolescente era venuto a cercare aiuto in missione e con lui sono partito in auto verso il villaggio, fino al punto da cui si poteva proseguire solo in moto. Ho atteso che venissero a prendermi presso la cappella del settore

sotto un cielo pieno di stelle come mai avevo visto prima. E intanto giungevano dalle capanne grida e lamenti: come non ripensare al vangelo del giorno che parla-va di un Padre che fa giustizia ai suoi figli che “gridano a lui giorno e notte”?

Ho ancora negli occhi la fine tragica di una bambina, Maria Immacolata, schiac-ciata da un camion mentre attraversava la strada, una domenica pomeriggio, con in mano qualche bon-bon. Mi tornano alla mente altre morti: quella improvvisa di don Luciano Ruaro, che ha voluto essere sepolto in terra africana; quella di un no-stro responsabile di settore e quella di un giovane prete colombiano… Anche i rien-tri a casa sono stati segnati dal passaggio di “sorella morte”: suor Maria Amata, car-melitana del monastero di Monte Berico: nel suo messale c’era un’immagine con i nomi della nostra classe di preti, gli ulti-

mi ordinati da mons. Onisto il 31 maggio 1987. E poi quella di amici preti, con i qua-li ci siamo salutati con la netta percezione che quella sarebbe stata l’ultima volta.

Il legame con la famigliaDai miei genitori ho imparato che i doni fatti a Dio non vanno ritirati. Poi, ci pensa lui. Così ho sperimentato che quando si parte per il Signore i legami non si perdono ma si approfondisco-no. In particolare ho potuto gustare la profondità e la bellezza dei legami fa-miliari: in questi anni la mia missio-ne è diventata anche la loro missione. La salute della mamma era già una preoccupazione al momento della par-tenza. Col passare degli anni è andata peggiorando, e i rientri sono stati un’oc-casione per circondare di tenerezza il suo invecchiare. I primi anni mi diceva ad ogni partenza: “Arrivederci all’anno prossimo”! Più avanti aggiungeva, senza abbassare il tono di voce: “... E se no arri-vederci in cielo”! Sono potuto arrivare in tempo per il suo funerale grazie all’ulti-mo posto disponibile nel volo. Avevo fat-to per questo un patto con la Madonna, e p. Renzo, che me l’aveva prenotato, mi disse in quell’occasione: “C’è una grazia particolare per i missionari in questi mo-menti”. Nella telefonata dell’ultimo saba-to avevo potuto sentire in sottofondo le ultime parole della mamma: “Chiedigli se hanno bisogno di caffè”. È stata così per tutta la sua vita, fino in fondo: pensa-va prima agli altri e poi a se stessa. Sono partito anche per questo: per donare un po’ di quella fede semplice e robusta im-parata dai miei genitori.

Il sacramento della Riconciliazione nella terra della SperanzaLe confessioni sono state in questi anni un’autentica scuola di vita e un “labora-torio della fede”. Sono diventate sempre più l’occasione per celebrare la miseri-cordia del Padre che ha un cuore grande per tutti i suoi figli. La nostra gente mi impressiona quando viene a confessar-si. Si avvicinano lentamente, il più del-le volte trascinando i piedi, in modo tipicamente africano. Si tolgono quello che resta delle ciabatte, e si avvicinano al ministro del perdono fino a toccare con la fronte per terra. Le mamme han-no sempre un bambino sulla schiena, e a volte mi sono “distratto”, perdendomi nello sguardo dei bambini che fanno capolino quando la mamma si prostra.

(segue a pag. 7)

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L’Africa domanda tanto, ma dona anche sempre tanto

Oggi salutiamo i 5 muratori di Molina di Malo, che sono venuti a darci una mano a partire con

la costruzione della chiesa parrocchia-le. Sono stati qua con noi per un mese e mezzo. Un mese e mezzo di lavoro intenso, di sudate sotto un sole impla-cabile, di “arrangiarsi” con quel poco di mezzi tecnici disponibili sul posto, di serate fatte solo di silenzio e di voglia di andare a dormire presto… Ma anche di chiacchierate in dialetto veneto, di birre fresche, di bambini sempre intorno…Tornano stanchi, è certo. Ma speriamo anche contenti. L’Africa domanda tan-to, ma anche dona sempre tanto. Grazie amici, davvero grazie! E grazie a tutti co-loro che in altri modi stanno rendendo possibile la costruzione di questa chiesa.

“Gli ultimi saranno i primi”: è un’af-fermazione del Vangelo, ed è anche il titolo dell’ultimo libro di Dominique Lapierre che un’amica ci ha mandato. L’autore vi racconta come la bidonville di Calcutta, per la quale si è prodigato per anni e anni, abbia ormai cambia-to aspetto e come si stia trasformando in una ‘città della gioia’. Per noi è stato naturale chiederci se a Loulou stia acca-dendo qualcosa di simile. Francamente, non lo sappiamo. Quello che è certo è che dei cambiamenti sono in corso: una realtà da sempre immobile sta ora ini-

ziando ad accogliere il nuovo che bussa.Il nuovo non sono le costruzioni, i pro-getti più o meno vistosi: il nuovo è in-nanzitutto la Parola di Gesù. Una Pa-rola che libera, che mette in piedi, che rilancia sempre in avanti, che spinge al perdono, che dona dignità a ogni crea-tura… Una Parola che più l’ascolti e più ti senti chiamato a camminare, a guar-dare l’altro con rispetto, con fiducia, con compassione. Qui Gesù è ascoltato, la sua strada è presa sul serio, il suo stile interroga… : è forse per questo che “il re-gno dei Cieli è annunciato ai poveri” ?!?Il nuovo sono le testimonianze di vita vissuta, che la gente ti mostra senza neppure rendersene conto e che perce-

pisci quando stai nei villaggi, con loro.Ci capita spesso di entrare nel cortile di una casa e trovare un uomo intento a leggere il Vangelo. Di sentire di comu-nità cristiane che, senza che noi preti ne sappiamo nulla, stanno ricostruendo la casa di un’anziana, o stanno cercando di riportare pace in una famiglia prossima allo sfascio. Anche i giovani tante volte ci sorprendono. Spesso li vedi organizzar-si per raccogliere il cotone nel campo di qualcuno e, con i soldi ricavati, compra-re una Bibbia per il loro gruppo. Oppure andare a raccogliere la legna per dei ma-lati cronici.Questo prima non capitava. Come non esserne sorpresi e contenti? “I poveri, nostri maestri”: frasi di profeti del nostri tempo, che a Loulou escono dai libri e brillano per la loro profonda verità. Sì, amici, questo mondo ci sorprende quan-do non siamo “visitatori distratti”.

In questi ultimi giorni abbiamo iniziato la visita annuale alle comunità. È il perio-do più intenso (e più faticoso) dell’anno. Sia per il gran caldo di questa stagione, sia perché coincide con il concentrarsi di molte attività pastorali. Ma è anche il pe-riodo più bello. Tutti i giorni passiamo ore e ore in mezzo alla nostra gente ad ascoltarla, a incontrarla, a incoraggiarla, a pregare con essa e per essa. Nella visita pastorale si incontrano un po’ tutti, an-che coloro che magari alla missione ven-gono poco o mai. E così scopri che anche per loro c’è tanta attesa, tanto bisogno di Dio: un’esperienza che commuove! E ti vengono in mente quelle parole del Van-gelo che hai letto tante volte e sulle quali

hai sempre sorvolato: «Gesù andava attor-no per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il van-gelo del regno e curando ogni malattia e infermità». Beh, a noi i miracoli non rie-scono. Ma non potete immaginare quan-te cose si possano fare con qualche pa-stiglia di paracetamolo, di ibuprofene, di augmentin, di mebendazolo…. E soprat-tutto, con un po’ di passione nel cuore!Ecco amici, in questo tempo di Pasqua volevamo portarvi dentro il nostro mon-do, che in parte sta già risorgendo e in parte ha ancora tanto bisogno di essere richiamato alla vita.Vi stringiamo in un unico abbraccio: i no-stri amici di qua e i nostri amici di là, con la speranza che gli amici nostri diventino sempre più anche amici vostri.

da Loulou, don Maurizio e don Leopoldo

Missioni diocesane • 2

Spesso non capisco niente di quello che la mamma confessa in lingua locale, ma negli occhi del suo bambino comprendo la tenerezza di Dio per i suoi figli, e mi rendo conto di essere solo l’umile testi-mone di un dialogo profondo tra Dio i suoi poveri. Se essere fidei donum vuol dire mettersi a servizio della speranza e della fede di questa gente, merita dav-vero dedicarvi alcuni anni della nostra vita.

Concludo con un pensiero di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991. Quando ha potuto ritirarlo a Oslo, 21 anni dopo, avrebbe detto tra le altre cose: “La gentilezza può cambiare la vita delle persone. Essere gentile vuol dire ri-spondere con sensibilità e calore umano alle speranze degli altri”. Bella testimo-nianza di “pazienza missionaria”, incor-niciata dalla gentilezza!

Don Damiano Meda

(segue da pag. 6)

La nuova chiesa in costruzione. (16.03.2013)

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Ad Haiti in punta di piediL’esperienza di suor Dionella Faoro in una comunità Intercongregazionale Missionaria

Dalle missioni

Non sapevo neppure che esi-stesse questa “isola sotto il mare”, come la definisce Isa-

bel Allende. Un’isola di trenta Km quadrati con una popolazione di 10.000.000 di abitanti.Il terribile terremoto del 2 gennaio del 2010 suscitò in me oltre ad una profonda emozione, il desiderio di condividere un po’ della mia vita con quel popolo. Pregai, avanzai la mia domanda e ... vi lascio immagi-nare la mia gioia quando arrivò la richiesta esplicita della Presidente della Conferenza Ecuatoriana dei Religiosi: “Sei disponible ad andare ad Haiti?“.Con il permesso e l’appoggio della mia Superiora generale cominciò così la mia avventura in Haiti, a Por-to Principe, in una Comunità Inter-congregazionale Missionaria, con sorelle che non conoscevo, ma tutte accomunate dal desiderio di servire il Regno di Dio.In collegamento con il “Servizio Ge-suita” ci siamo occupate di progetti

di salute, di alfabetizzazione, di eco-nomia solidale, gestione del micro credito per donne, ragazze e giova-ni. Ogni giorno abbiamo condiviso fatiche, speranze, incontri, preghiere di questa gente povera che lavora per

un lavoro onesto, per una casa digni-tosa, per una ciotola di riso e fagioli, per un futuro dei figli. Il catastrofico terremoto che all’inizio ha commos-so il mondo intero, ora non fa più notizia, le organizzazioni umanita-rie si sono in gran parte ritirate e la povertà è sempre più grande.

La realtà degli accampamenti - dove vivono ancora migliaia di famiglie - è molto dura e spesso drammatica; non c’è acqua potabile (si compra a secchio), non c’è luce elettrica. Con il passare del tempo le tende si sono deteriorate e sono inabitabili. Ogni tenda potrebbe raccontare storie drammatiche di povertà, di violen-za, ma anche di speranza e di solida-rietà. La gente, nella sua povertà, sa essere cordiale e solidale, sa condivi-dere con gioia il poco che ha.

Nell’accampamento di Automeka, ricordo che una bambina di circa 7 anni mi saltellava intorno ripetendo con insistenza: “achet nwen, achet

nwen” cioè “comprami, comprami”; un altro bambino diceva: “gran gou, gran gou” “ho fame, ho fame”. Sono incontri che mi hanno lasciata dolo-rosamente stupita, confusa e senza parole e che non posso dimenticare.

Sono tanti i bambini senza famiglia o malnutriti che vivono in orfana-trofi più o meno accoglienti. Tanti altri vivono tra spazzature e rifiuti, senza spazi per giocare, sempre in preda a malattie per mancanza di acqua potabile, di alimentazione e di vaccinazioni. La scuola è un pri-vilegio per pochi perchè le scuole sono in gran parte private e costano care, ci vuole l’uniforme, e poi non ci sono libri, quaderni, penne.

Alcuni accampamenti sono stati sgombrati, anche con la forza, e ora le famiglie sono senza casa e cercano di sistemarsi alla meglio, in un sot-toscala o nel cortile di una famiglia amica. Per fortuna un gruppo di re-ligiose e religiosi di diverse congre-gazioni sta svolgendo un lavoro pre-zioso in favore di sfollati e migranti, e sta progettando un piano di piccole case per le famiglie più povere e con figli. Ma il camino della rinascita è ancora molto lungo e faticoso.Un giorno un ragazzo domanda ad

una suora: “Da dove vieni? Perché tu che stavi bene nel tuo paese sei venuta qui in mezzo a noi che siamo tanto miseri?”. È stata un vera lezio-ne per me! Devo continuamente im-parare a vivere l’essenziale con sem-plicità, povertà e letizia francescana.Il vangelo di Matteo, alla fine del cap. 28, ricorda che Gesù ci ha la-sciato questo impegno: “Andate in tutto il mondo e predicate a tutte le genti la buona notizia”. E la buona notizia è che tutti hanno dignità di figli di Dio, e così dovrebbero poter vivere.

Suor M. Dionella Faoro, terziaria francescana Elisabettina

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Il vicentino Francesco Canova, radice di un grande alberoÈ appena uscito, edito dalla San Paolo, un libro di Luigi Accattoli dal titolo “Le radici di un grande albero, Francesco Canova, medico, missionario, cosmopolita”. Il prof. Francesco Canova è il fondatore dell’Organizzazione Non Governa-tiva Medici con l’Africa Cuamm di Padova.

Il prof.Canova (1908-1998) è nato a Schio. Suo padre, morto giovane, era un operaio specializzato della

Lanerossi. La famiglia è poverissima. La madre fa la governante della fami-glia Marzotto. Francesco è aiutato ne-gli studi e si laurea in Medicina all’U-niversità di Padova nel 1933. Anima-to da vocazione missionaria decide di andare a fare il medico in terra di missione. La fidanzata, Reginetta Dal Zio, condivide la scelta. Due anni dopo la laurea parte e dal 1935 al 1947 svolge la sua opera di medico missionario in Giordania e Palestina. Rientrato in Italia, nel 1950, con l’as-senso e il pieno sostegno del Vescovo

di Padova Mons. Girolamo Bortignon fa nascere il Cuamm, Collegio Univer-sitario Aspiranti e Medici Missionari, per formare ed inviare medici italia-ni e afro-asiatici nei paesi poveri del terzo mondo, soprattutto in Africa. Da qui la denominazione presa nel 2002 di Medici con l’Africa Cuamm.Dall’inizio ad oggi Medici con l’Africa Cuamm ha inviato oltre 1400 tra me-dici, infermieri e tecnici vari, per un

periodo di servizio medio di 3 anni e mezzo, che hanno prestato la loro attività in 214 ospedali di 40 paesi, dedicandosi alla formazione del per-sonale locale e alla messa in funzione di strutture sanitarie della Chiesa e dei Governi in grado di garantire la continuità, la qualità e l’accessibilità dei servizi a tutti, anche ai più pove-ri e alle fasce più deboli e bisognose della popolazione, come le mamme e i bambini, la cui mortalità in Africa è ancora altissima.Vicenza – Diocesi e Provincia – è quella che ha dato al Cuamm il nu-mero più alto di medici: un centinaio.Il Professor Canova non solo è stato un grande professionista medico, ma anche il protagonista del movimento medico missionario in Italia ed un precursore del Concilio Vaticano II, nel valorizzare il ruolo del laico nella Chiesa nella sua missione evangeliz-zatrice attraverso l’esercizio della cari-tà, seguendo il mandato di Gesù: Eun-tes curate infirmos. Sosteneva Canova: «Non è compito del medico missio-

nario quello di predicare il Vangelo, bensì di viverlo, di viverlo con tale interezza che chi riceve le sue cure abbia a domandar-si perché egli venga curato con tanta cari-tà e tanta peri-zia».Il professor Ca-nova ha scritto anche molti libri, più di 35 pubblicazioni, con l’intento di promuovere

il benessere fisico, psichico e spiri-tuale dell’uomo, in cui vedeva l’im-magine di Cristo, per il quale nutriva una straordinaria simpatia, animato com’era da una profonda interiorità. Scrive Accattoli: “Giunto alla maturità, Canova potè dire che tutti i sogni della sua gioventù erano “andati a segno”, e non erano sogni da poco. Quando un uomo può fare una tale affermazio-ne, è bene che i suoi simili si fermi-

no a considerarne i giorni e le opere”.Il libro di Accattoli, un giornalista che si fa leggere piacevolmente, tratteggia la figura del prof. Canova, ancora poco conosciuta, nei suoi molteplici aspetti e rende attuale il suo messag-gio per il mondo di oggi , in partico-lare per i giovani che sono alla ricer-ca di ideali e di testimonianze forti e convincenti.

don Luigi Mazzucato, Padova, 29 marzo 2013

Testimoni

“Ho sempre sentito di dover fare il medico. La mia non è stata una scelta, ma una spinta viscerale (…) Fare il medico significa aiu-tare il prossimo, e allora, come adesso, le popolazioni che sof-frivano di più erano quelle prive di ogni organizzazione medica. Il mio posto sarebbe stato lì, in quelle terre lontane, tra quella gente (…) Sono andato in Gior-dania, un Paese musulmano, ma con gruppi di cristiani, cattolici latini, greco-ortodossi, armeni: un Paese di difficile conviven-za, dove la gente si odiava per le diverse fedi religiose. Lavoravo da solo in un ospedale missio-nario di nuova costruzione, ero medico e chirurgo a un tempo, e quello che mi incoraggiava e mi rinvigoriva lo spirito era il vedere come proprio quell’ospedale ac-cogliesse persone di stirpe,razza e idee diverse. Rappresentava un momento, oserei dire un vero strumento, di unione”

(Francesco Canova)

I Canova incontrano Papa Montini.

Il libro sarà presentato a Vicenza nel corso del prossimo Festival Biblico dal 31 maggioal 9 giugno

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Buona Pratica è: Oratori fuori e oratorio di strada cercasiAbbiamo rilevato che in qualche oratorio (es. quello salesiano di Schio) l’affluenza di “nuovi italiani”, cioè di ragazzi figli di im-migrati, è molto alta. In altri oratori, è spo-radica e ciò si deve ad una serie di fattori, tra cui l’organicità e la varietà dei servizi disponibili, la qualità dell’impostazione pedagogica, le risorse umane e materiali che scarseggiano sempre, ma soprattutto laddove perdura la frammentarietà e la mancanza di coordinazione attorno ad un progetto educativo unitario di zona. Occorre coordinarsi in rete territoriale e con il supporto di educatori: è quanto

stanno portando avanti nel bassanese gli oratori di sette parrocchie: Ss. Trinità, S. Maria in Colle - Centro Giovanile, S. Croce, Ss. Pietro e Paolo apostoli (Nove), Ss. Pietro e Paolo apostoli (Mussolente), Michele Ar-cangelo, S. Maria Assunta (Marchesane), Ss. Redentore (Fellette di Romano d’Ezzelino. La loro rete di coordinamento, che si avvale del supporto di un educatore della coopera-tiva Adelante, si chiama “Oratori fuori” e così si presenta: “Oratori fuori. Perché è il momento di andare fuori dagli oratori per ridonare loro significato e potenzialità. Per-ché proviamo a mantenerci fuori dalle proposte standard offerte dal mercato del tempo libero che tratta i giovani da clien-ti. Noi li trattiamo come persone. Perché

vogliamo essere fuori dalle logiche indi-vidualistiche tipiche del nostro tempo in cui ognuno pensa al proprio cortile: noi ci mettiamo in rete. Perché abbiamo deciso di stare fuori dal centro e abitare i margini dei territori insieme alle persone che stanno lì: coloro che spesso non hanno voce. Perché siamo anche un po’ fuori di testa: cerchiamo percorsi originali e li costruiamo insieme ai ragazzi. La rete degli oratori di Bassano e dintorni vuole essere rete di occasioni, pen-sieri e giovani all’avanguardia: una sorta di cabina di regia di adulti responsabili che non toglie protagonismo né senso di ap-partenenza alle singole realtà, ma anzi ne rinnova la voglia di ricerca, di senso, di dare possibilità alle avanguardie e spazio sano e accogliente a chi ha bisogno di un posto che non sia un non luogo”.

Per un approccio interculturale

Di fronte alla composizione mul-ticulturale e plurireligiosa della gioventù contemporanea, un educatore al servizio di una rete territoriale di oratori s’impegna ad avvicinare e a riconoscere le specificità culturali e religiose dei giovani “nuovi italiani” (Quanti sono, dove e come vivono? Le loro famiglie, da quale nazione ven-gono? Quali problematiche han-no alle spalle? Ci sono mediatori culturali linguistici che possono essere “ponte” tra le loro famiglie e le famiglie italiane? Sono nati qui e frequentano la scuola rego-larmente, oppure sono arrivati da poco tempo e hanno difficoltà sco-lastiche? Nei vari casi, come viene

vissuta la spiritualità? Nel praticare lo sport, come viene inteso il senso del pudore nei distinti contesti culturali? Come viene fatto trasparire il disagio a causa di un ridotto dominio della lingua o di difficoltà eco-nomiche? Come rassicurare in presenza del timore di un rifiuto o di una derisione, per il rischio dell’emarginazione razzista? Quali norme religiose per l’ alimentazione? Che linguaggio o gergo è percepito come sconve-niente o offensivo? Quali ulteriori difficoltà per le ragazze? Quali equilibri di potere tra marito e moglie sono vigenti nelle varie famiglie? Come viene elaborato il dolore o espressa la gioia nelle culture d’origine delle famiglie migranti? Come questi figli dei migranti hanno piacere di esprimere

con orgoglio la loro doppia appartenenza culturale, quella italiana e quella relativa al paese di provenienza dei genitori?). In al-tre parole, un educatore cerca di acquisire e trasmettere sensibilità e competenze per un approccio interculturale.

E gli adolescenti che girellonzano sulle strade? L’oratorio delle marginalità

E c’è qualcuno che comincia ad interes-sarsi dei giovani (italiani e “nuovi italiani”) che si tengono ben alla larga dagli oratori, e che si riuniscono in gruppi informali in qualche… terra di nessuno, ignorata dai genitori e dai professori? Le nostre piccole realtà urbane non hanno certo i problemi delle grandi capitali ma, forse, un po’ di educazione di strada bisogna cominciare a farla anche qui, almeno a scopo pre-ventivo. Anche da noi, circolano frange sciolte di adolescenti senza lavoro e senza prospettive, che non trovano molte alter-native alla strada se qualcuno non va loro incontro, se qualcuno non esce dal proprio antiquato schema educativo. E questo qual-cuno deve essere un educatore all’altezza di questo nostro mondo globalizzato che sa come avvicinare e come farsi rispettare, perché dimostra che gli interessa veramente la storia e la cultura “di chi è in giro”. Deve avere certamente delle competenze di inter-culturalità e di mediazione ma non può es-sere lasciato solo, bensì operare nel quadro di un programma strutturato, in collega-mento con tutta la rete istituzionale del territorio. Coinvolgendo le Conferenze dei Sindaci, le forze delle Circoscrizioni, il mondo produttivo artigianale e impren-ditoriale, gli istituti di credito cooperativo locale, le assistenti sociali dei competenti Assessorati municipali e delle ULS, le medi-atrici culturali linguistiche, gli operatori nel mercato del lavoro e dei servizi, oltre che gli educatori delle scuole, parrocchie, centri giovanili, oratori e cooperative sociali.

Occorre infatti cominciare a pensare a un progetto organico ad ambito territoriale (da presentare nei bandi di concorso euro-pei, FEI e regionali) con gli obiettivi di pre-venzione e di aggregazione giovanile medi-ante metodologie interculturali pertinenti e laboratori professionali di avviamento al lavoro. Destinatari: gli adolescenti (vicen-tini e “nuovi vicentini”) che sono “in giro”.

Luciano Carpo

I popoli tra noi

Buone Pratiche di interazionecon gli immigrati (26 )

L’Oratorio di S. Trinità, che fa parte della rete dei sette “Oratori Fuori” di Bassano del Grappa, ospita ogni anno il Mundialito, un torneo di calcio al quale partecipano squadre composte da ragazzi di tutte le nazionalità presenti nella zona.

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Agenda & Appunti

Maggio

MISSIONARI VICENTINIBASSANO del GRAPPA: MANGO PAOLA 500,00 – CHIAMPO: LO-VATO PAOLO 100,00 – COSTABISSARA: TONIOLO GIUSEPPINA 150,00 – S. QURICO: RR 100,00 – S. TOMIO di MALO: GRUPPO CUCITO PRO-LOCO 200,00 – SAREGO: MARCHEZZOLO GRAZIEL-LA 300,00 – VICENZA: NN 1.500,00; NN 50,00; NOVELLO GIULIA-NO in mem. di MARIA EVELINA 10,00; NOVELLO GIULIANO in mem. di TIBALDO GIOACCHINO 10,00.

LEBBROSIALVESE: DALLA VALLE LUIGINA 20,00 – PIEVEBELVICINO 50,00 – S. URBANO di MONTECCHIO MAGGIORE 350,00 – SS. TRINITA’ di MONTECCHIO MAGGIORE 150,00 – VICENZA: NN 50,00.

BORSE DI STUDIO AL CLERO INDIGENOPIEVEBELVICINO: CE 50,00; DDM 20,00; GE 20,00; GM 20,00; ME 10,00; MS 10,00; PMR 25,00; SA 30,00; SN 25,00 – SANDRIGO: NN 200,00 – SAREGO: GRUPPO MISSIONARIO 520,00 – SCHIO: NN 250,00 – VICENZA: NN 50,00 – ZERMEGHEDO: NN 2.600,00.

OFFERTE A TUTTO MARZO 2013

Ricordiamo con riconoscenzadon Massimo LeoratoNel cuore della Settimana Santa e nell’imminenza della Pasqua si è conclusa improvvisamente la vicenda di don Massimo, sa-cerdote dal 1956, che ha dedi-cato grande parte del suo servi-zio pastorale come fidei donum in Brasile. Da otto anni, dopo il suo rientro definitivo, prestava

servizio nell’Unità Pastorale di Recoaro. La sua è stata una lunga storia di generosità, di passione missiona-ria, di servizio intelligente della parola di Dio, di fidu-cia nel ruolo dei laici nella Chiesa.L’abbiamo salutato il Venerdì Santo, con la luce e il calore della Pasqua nel cuore. Grazie, don Massimo!

Ricordando don Tonino Bello, a vent’anni dalla morte

Ricorre quest’anno il 20° anniversario della morte (20 aprile 1993) di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, presidente di Pax Chri-sti (1985-1993), infati-cabile testimone della pace come “conviviali-tà delle differenze”.Con la sua vita don To-nino ha testimoniato

che la pace non è mai disincarnata, ma è sempre coniu-gata con la giustizia, con la verità, con la salvaguardia del creato e la nonviolenza: “Coraggio!”, ci esorta don Toni-no, “nonostante questa esperienza frammentata di pace, scommettere su di essa significa scommettere sull’uomo. Anzi, sull’Uomo nuovo. Su Cristo Gesù: egli è la nostra Pace. E lui non delude”.Riscoprire l’attualità della testimonianza di don Tonino, in attesa di beatificazione, serve per tenere acceso il fuoco della profezia. Tonino Bello, infatti, non è un santino da custodire, ma un dizionario vivente, una mappa di ricer-ca. Non è solo nostro contemporaneo, è davanti a noi. Ci viene incontro dal futuro per progettare e osare assieme. Si fa nostro compagno di strada se ci mettiamo in cammi-no. Per lui, infatti, è beato non chi pensa di essere arrivato ma chi parte.Nel ventesimo anniversario dalla sua scomparsa, il mes-saggio profetico di questo Vescovo viene riattualizzato in un film intitolato “L’anima attesa” (diretto dal regista Edoardo Winspeare): un viaggio nella terra natale di don Tonino, alla scoperta della grandiosa eredità di affetti e di popolarità che il suo messaggio di pace e speranza ha saputo generare.

9 maggio Incontro con p. Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani in Sud Sudan, sul tema: Oro blu, oro nero, diamanti, minerali. Africa il conflitto che viene dal “profondo”.

Centro culturale San Paolo - Viale Ferrarin, 30 Vicenza: ore 20,30

18 maggio Adorazione Eucaristica per le Missioni e i missionari

Villa San Carlo, Costabissara: ore 15.00-18.00

25 maggio Visita a Concesio (paese natale di Paolo VI, il Papa che ha concluso il Concilio) e a Brescia

26 maggio Incontro di preparazione per i giovani che parteciperanno alla GMG di Rio de Janeiro

31 maggio - 9 giugno: Festival biblico, 9a edizione “Se conoscessi il dono di Dio” – Fede e libertà religiosa secondo le Scritture

Da ricordare per il mese di Giugno

8 giugno Incontro conclusivo della Commissione diocesana del Centro Missionario

Villa San Carlo, Costabissara: ore 15.00-18.00

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La primissima eco di questo amore la devo alla famiglia, alla presenza pre-ziosa e generosa di mia mamma e a mio papà, che da lassù, nell’abbraccio di Dio, mi accompagna con il suo af-fetto.

Poi gli ambienti della mia parrocchia, in particolare nella freschezza dei gruppi dell’Azione Cattolica e nella testimonianza gioiosa di alcuni amici preti, autori della mia prima scintilla vocazionale. Infine la guida decisiva del gruppo Sichem, del Mandorlo e del Seminario, nell’aiutarmi a offrire quei cinque pani d’orzo e i due pesci che tengo tra le mani, certo che Dio ne farà un tesoro per aiutare i miei fratelli.

Sono Matteo Casarotto, vengo dalla parrocchia di Torrebelvicino.

Ho 24 anni, eppure sono in Seminario da ben 9 anni: come Riccardo anch’io sono entrato in seconda superiore.

Accompagnamoli in questo loro gran-de e definitivo “eccomi” con affetto fraterno e come chiesa diocesana sen-tiamoci chiamati a condividere que-sti loro primi passi di una vita donata per Cristo e la sua chiesa.

Conosciamo meglio i cinque giovani del nostro seminario diocesano.

Don Lorenzo Broggian

Sono Andrea Bruttomesso, ho 30 anni e sono originario di Chiampo.

Guardando al cammino che ho per-corso in questi anni molti sentimenti e gratitudini riempiono il mio cuore, abbracciati dall’eco di una Parola a me molto cara: «li amò fino alla fine» (Gv 13,1). «Li amò», perché davvero ciascuno di noi è amato da Dio di un amore gratuito e traboccante, «fino alla fine», ci ama nonostante la nostra vita sia segnata da delle fragilità o da alcune ferite.

Domenica 12 maggio, nella so-lennità dell’Ascensione del Signore, alle ore 16.00 in Cat-

tedrale il Vescovo mons. Beniamino Pizziol ordinerà otto diaconi. Tre di loro hanno seguito il cammino di formazione per il diaconato perma-nente, sono: Eugenio Mariano Ar-naldi dalla parrocchia di Caldogno, Alessandro Savio dalla parrocchia di Molina di Malo, entrambi coniugati e Gaetano Nuzzo, celibe, dalla par-rocchia di San Giuseppe in Vicenza. Con loro riceveranno l’ordinazione altri cinque giovani studenti di teo-logia del nostro seminario diocesano in cammino verso il presbiterato: An-drea Bruttomesso, Matteo Casarotto, Luca Cecchelero, Luca Lorenzi, Ric-cardo Pincerato.

Davvero un bel dono per la diocesi o per dirla con mons. Giancarlo Bre-gantini una splendida lettera di spe-ranza per la nostra chiesa, per le nostre comunità parrocchiali. Una lettera di buone notizie e di passione per questa chiesa.

Elevati… a servireI futuri diaconi novelli del nostro Seminario si presentano

Da sinistra Matteo, Ricardo Luca, Luca, Andrea.

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Ma quindi avevo chiaro già da allora di essere chiamato a mettere la mia vita, tutta, a servizio delle nostre co-munità cristiane? Naturalmente chia-ro no, però riconosco che in quegli anni, grazie ai primi servizi in parroc-chia, per la prima volta ho guardato al diventare prete come ad un futuro possibile. E poi le esperienze che ho vissuto, dalla vita in Seminario al le-game con la parrocchia, di origine ma adesso anche di tirocinio (Arsiero), passando per le varie relazioni di cui la mia vita è intessuta, mi hanno fatto capire che è il dono di noi stessi nel nome di Cristo che rende gustosa la vita. Non è un caso – lo sto scopren-do – che per diventare preti occorre passare per la “porta di servizio” del diaconato: perché non ci possiamo scordare che Gesù è venuto e sempre viene nella forma del servo, chino sulle ferite del nostro essere uomini.

«Signore, da chi andremo? Tu hai pa-role di vita eterna». Da qualche tem-po, queste parole risuonano molto spesso nella mia testa; sembrano esse-re quasi una risposta che, pian piano in questi ormai sei anni di seminario, si è svelata davanti a me. Si, solo nel Signore ho potuto trovare le parole più vere, o meglio, l’unica Parola che è diventata pane per la mia vita.

Cari amici lettori, sono Luca Cecche-lero, ho 25 anni e sono originario dalla parrocchia di Monte di Malo, in esperienza pastorale nell’unità pa-storale di Altavilla-Valmarana; è con grande gioia che scrivo queste poche righe per annunciare a voi che è ar-rivato il tempo dell’ordinazione dia-conale. Con l’ordinazione diaconale diciamo il nostro “per sempre” a Cri-sto e alla Chiesa, ed è bello che questo passo verso il presbiterato sia segnato dalla particolarità del servizio. Spero di cuore che nella mia vita possa fare mie le parole di Papa Francesco: “Solo chi serve con amore sa custodire!”. Un grazie speciale va a voi lettori di Chiesa Viva che, seguendo il nostro cammino con fedeltà, ci accompa-gnate nella preghiera, soprattutto in questi momenti così importanti per la nostra vita e per la Chiesa.

Ciao, sono Luca Lorenzi, ho 35 anni e vengo dalla parrocchia di S. Cle-mente in Valdagno.

Sono entrato in seminario all’età di 30 anni, dopo aver lavorato per al-cuni anni come disegnatore tecnico in una società del mio paese. Voi mi chiederete: “Perché questa scelta?”

La decisione di intraprendere questo cammino è maturata un po’ alla volta. Con stupore, ho scoperto che la trama

e l’ordito che costituiscono il tessuto della mia vita sono intrecciate dall’a-more e dalla tenerezza di Dio. “Come ho fatto a scoprire tutto questo”?

Non ho sentito nessuna voce e nep-pure avuto alcuna visione folgorante. L’ho sperimentato facendo spazio, dentro di me, ad un po’ di silenzio e poi attraverso il puzzle della mia storia fatta di incontri, di relazioni, di volti concreti, dall’entusiasman-te esperienza come animatore, dagli anni di lavoro; insomma, dalla quoti-dianità. Un desiderio mi abitava pro-fondamente: quello di una vita gusto-sa, di una vita piena. Questo lo avevo vissuto negli anni di servizio in par-rocchia e pian piano ho intuito che il diventare prete poteva essere una pro-posta, una strada. Così, cinque anni fa mi sono incamminato per questa affascinante avventura.

“Sono io, non abbiate paura”. Cari ami-ci di Chiesa Viva, durante la Pasqua abbiamo potuto ascoltare più volte l’invito del Signore a non aver paura perché Lui ha vinto sulla morte, sulla paura, sull’angoscia, sull’insicurezza nel futuro... Possiamo ancora sognare e i nostri sogni sono fondati su una speranza certa: Cristo cammina con noi e non ci lascia soli.

Sono Riccardo Pincerato, 23 anni, da Vigonza, in esperienza pastorale a Torri di Quartesolo e in seminario dalla seconda superiore. L’esperienza più bella di questi nove anni è stata poter camminare insieme con molte persone e con Cristo verso un obiet-tivo comune: cercar di essere un po’ più uomini, capaci di abitare nella storia che ci impasta quotidiana-mente e dar gusto e gioia alla vita che chiede di essere giocata e amata fino in fondo. Un cammino stupendo, non facile, ma che ha trovato sapore e bellezza nella condivisione con molte persone care (dalla famiglia, ai compagni di classe, agli amici, agli educatori, alle parrocchie ecc.) a Voi e a Cristo Buon Pastore il più calo-roso GRAZIE! Perché “Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti” (ubuntu).

S. Koder, La lavanda dei piedi.

Seminario veScovile(minore e Teologico)

comuniTà del mandorloBorgo Santa Lucia, 43 - VicenzaTel. 0444 501177Indirizzo web: http://seminariovicenza.org

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Tempo di esercizi spirituali per la 1ª e 2ª mediaFilippo Neri e Madre Teresa i compagni di viaggio spirituali dei nostri ragazzi in queste esperienze forti

Eh, sì, cari lettori e amici di Chiesa Viva, i Santi hanno sempre qualcosa di bello da raccontarci della loro vita

e della loro grande esperienza di fede, af-finché noi, un poco alla volta, possiamo sempre più imitarli.Proprio da qui sono nati i due momenti di riflessione, attività, racconto e preghie-ra nel mese di marzo con gli esercizi spiri-

tuali per la 2ª media e la 1ª media sull’e-sempio di questi due grandi testimoni.I primi a partire sono stati gli 8 ragazzi di 2ª media alla volta di Centrale di Zuglia-no (Thiene) dal 27 febbraio al 1° marzo e qui la figura del “Pippo Buono” (san Filippo Neri) ha riscaldato ed entusia-smato i cuori di ciascuno nell’ascoltare la testimonianza di un santo che fatto della semplicità e della gioia il riferimento più importante della sua vita.Don Lorenzo, che ha proposto i diver-si momenti di meditazione ai ragazzi, ha presentato a loro il volto di questo santo “spiritoso” attraverso canti, gio-chi, scenette e molto altro che i ragazzi hanno di volta in volta preparato e con-diviso. E in tutto questo non è mancato il preziosissimo tempo personale vis-suto nella propria cameretta in dialo-go e in preghiera con il Signore Gesù.Il Santo della gioia, dell’umiltà e della semplicità, Filippo Neri, ha veramente arricchito il cammino di ricerca vocazio-nale, in quei giorni, dei nostri ragazzi e ha mostrato un volto tutto speciale di chi ha saputo amare con originalità Gesù e, poi, lo ha vissuto tutti i giorni con i fratelli.Dopo la 2ª media, il testimone degli eser-

cizi spirituali è passato al gruppo più gio-vane del Seminario; dal 13 al 15 marzo con destinazione Villa san Carlo (a Co-stabissara) gli 8 ragazzi di prima hanno vissuto l’esperienza, per loro nuova e sen-za precedenti, degli esercizi spirituali.Ad accompagnare questi giorni è stata la figura potente e “grande” di Madre Teresa di Calcutta dove l’amore per i poveri e gli

ultimi ha contagiato anche i nostri ragazzi nel camminare insieme, in gruppo, nel vo-lersi bene, nell’aiutarsi, nel non prendersi in giro, aiutati e sostenuti proprio dall’a-more che Madre Teresa aveva per tutti.Don Matteo che ha tenuto gli esercizi ha proprio presentato ai ragazzi questo trat-to di amore gratuito, traboccante per ogni persona che madre Teresa aveva, ma che poi si traduce anche, nella preghiera, nell’a-more per Gesù. E nel volto di ogni per-sona che amiamo, amiamo anche Gesù.È solamente qualche semplice riga di come i ragazzi in Seminario hanno que-sta grande opportunità di sostare qualche giorno (anche dalla scuola) per riflettere, pregare, condividere, giocare… insieme. E questo tempo degli esercizi è un tem-po speciale per regalarsi uno spazio tutto particolare con il Signore affinché possa sempre più illuminare il cammino voca-zionale di ogni ragazzo.Con la nostra vicinanza e la nostra pre-ghiera li accompagniamo nel cammino…

Gli Educatori e i Prefetti del Seminario Minore

Don Lorenzo, don Alberto, Enrico e i ragazzi di II media.

Don Matteo, don Alberto, Christian e i ragazzi di I media.

VUOI CONOSCERE IL SEMINARIO? VIENI A TROVARCI…

Ai ragazzi di 5ª elementare che quest’anno hanno vissuto l’esperienza dei “Chiamati per Nome” è proposto un campeggino residenziale in Seminario dal 18 al 22 giugno prossimo che porta a termine il cam-mino e apre la possibilità, assieme alle loro famiglie, di scegliere di entrare in Seminario. Allarghiamo questa esperienza anche ad altri ragazzi di 5ª elementare che avessero desiderio di conoscere questa grande casa che è il Semi-nario e tanti altri amici con cui condividere questi giorni nella preghie-ra, nel gioco, nelle attività…Per info: telefonare in Seminario chiedendo di don Alberto o don Stefano (0444/501177)

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in grado di applicarci per vivere bene, serenamente ma responsabilmente. Un grazie va allora a chi ci ha accom-pagnato, a chi ci ha accolto, a chi ci è stato consigliere… un grazie, in pri-mis, a Gesù.

Per la Comunità GiovanileDavide A.

puto presentare esempi di persone che sembrano aver trovato una risposta a queste domande. Nick Vujicic, i “The Sun”,… esempi che ci suggeriscono uno stile, una strada.Sembrerà un anacoluto, ma il percor-so da seguire per imparare a mettersi in gioco è proprio l’impegno, lo sfor-zo, la fatica, nella misura in cui siamo

È giunto anche per il primo e il secondo anno della nuova Co-munità Giovanile delle superiori

del Seminario, il fulcro dell’anno di formazione spirituale: il tempo degli esercizi spirituali. Tempo, innanzitutto. Gli esercizi spi-rituali sono prima di qualsiasi altra cosa un “kairòs” (dal greco, “tempo favorevole, occasione”), durante il quale vengono sospese tutte le nostre consuete attività, dalla scuola alla vita comunitaria, agli impegni personali, per vivere un più intimo momento di preghiera, riflessione personale e dia-logo tra noi e noi e tra noi e Dio. Come Gesù all’inizio della Quaresima, anche noi ci siamo ritirati in una sorta di deserto, sia geografico – nel nostro caso, Centrale di Zugliano, dove siamo stati accolti ad arte dalle suore – che spirituale. Chi va agli esercizi spiritua-li cerca silenzio e raccoglimento. Non abbiamo di certo trovato un tempo arido (è infatti nevicato abbondante-mente), ma abbiamo riconosciuto l’a-ridità del nostro cuore che preferisce seguire l’andamento della massa, del-la folla, che tante volte è troppo secco per ricevere il seme di Dio.Ma, nonostante questo, Gesù ci vuo-le accanto a sé, vuole guarire la nostra infermità, il secco del nostro cuore, ci regala in abbondanza l’acqua, la Sua acqua: quella viva, quella che zampilla in eterno. È Gesù che fa il primo pas-so, che ci tende la mano dopo le no-stre cadute. È il primo che sa mettersi in gioco con amore. “Mettersi in gioco” è stato proprio il tema di questi nostri esercizi: come facciamo a metterci in gioco per testi-moniare l’amore di Dio? Come faccia-mo a metterci in gioco per arricchire la nostra comunità, i nostri amici, la no-stra classe? Come facciamo a metterci in gioco per essere amici di Gesù aven-do la capacità di riconoscere e accetta-re i nostri difetti? Domande frequenti, quotidiane, che negli esercizi spirituali non hanno trovato una vera e propria risposta, ma forse più una via per rag-giungerla.Siamo stati accompagnati, in questo tempo, da don Matteo Zorzanello, il nostro Padre Predicatore, che tramite il saggio uso di testimonianze ci ha sa-

“Mettersi in GiOcO…….”Esercizi spirituali 1° e 2° anno della Comunità GiovanileCentrale di Zugliano, 20-23 febbraio 2013

Don Matteo e i ragazzi durante gli Esercizi.

Don Matteo, don Marco e il biennio della Comunità Giovanile.

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