Pentecoste, compimento glorioso

80
cinquanta giorni che separano la Pasqua dalla Pentecoste forma- no un tutt’uno con gli altri gior- ni che cominciano il Mercoledì delle Ce- neri e terminano a Pasqua. Sono quasi cento giorni, precisamente novantasei, con al centro la Solennità della Risurre- zione. Un cammino spirituale che la Chiesa annualmente è chiamata a per- correre per comprendere, per rivivere, per celebrare il Mistero della Salvezza. La Quaresima è un tempo di purifica- zione e di preparazione, è una salita fati- cosa ma esaltante verso la cima del mon- te santo, verso l’incontro con il Mistero Pasquale vissuto nella Settimana Santa culminante nella Pasqua, in quei sette giorni che rappresentano il centro di tut- to l’anno, di tutta la storia. Il perno intor- no a cui ruota l’universo, da cui la reden- zione si irradia in ogni luogo e in ogni tempo. I cinquanta giorni successivi irra- diano da questo centro scorrendo lumi- nosi verso la Pentecoste, compimento glorioso e nel contempo nuovo inizio del- la vita della Chiesa nella storia. Questi giorni sono come una grande eco della Pasqua, come un riverbero lu- minoso che si allunga penetrando con i suoi raggi ogni cosa e donando al mon- do una luce nuova, rileggendo nel suo splendore le parole e le azioni di Cristo con la sapienza della Pasqua. La bellezza dello Spirito illumina questi giorni, ci istruisce nel profondo donandoci la cer- tezza dell’amore di Cristo e, conquistan- doci ad esso, ci riscalda con la forza infi- nita del suo soffio di vita e ci fa crescere nel profondo facendo germogliare in noi la potenza del Risorto. Nella prassi della Chiesa è il tempo della mistagogia, dello svelamento graduale del volto di Cristo Risorto, della lettura dei misteri celebrati, del significato della grazia ricevuta, dello stupore del cuore che intravede il signifi- cato del Mistero e comincia a tradurlo nella propria vita in azione, in lode, in amore. La vita pasquale che questi cinquanta giorni ci propongono è vita di fede e, nello stesso tempo, di santificazione profonda. Lo Spirito vuole plasmare in noi il figlio di Dio e in questo tempo sem- bra tesserlo nella nostra anima giorno dopo giorno. Le sue fattezze divengono sempre più precise rivelando il significato del battesimo ricevuto e nello stesso tem- po insegnandoci a viverlo integralmente, con entusiasmo, con quella gioia che so- lo il Risorto può comunicarci attraverso il suo Santo Spirito. È lui il protagonista di questo cammino dei “cento giorni”, è Lui che opera in noi questa nuova crea- zione infondendo le virtù e le potenze necessarie per compiere in noi il mistero realizzato da Cristo. Il compimento della sua opera sarà proprio la Pentecoste, l’ef- fusione con potenza del suo soffio vitale 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 2-2006 Pentecoste, compimento glorioso mons. Marco Frisina I

Transcript of Pentecoste, compimento glorioso

Page 1: Pentecoste, compimento glorioso

cinquanta giorni che separano laPasqua dalla Pentecoste forma-no un tutt’uno con gli altri gior-

ni che cominciano il Mercoledì delle Ce-neri e terminano a Pasqua. Sono quasicento giorni, precisamente novantasei,con al centro la Solennità della Risurre-zione. Un cammino spirituale che laChiesa annualmente è chiamata a per-correre per comprendere, per rivivere, percelebrare il Mistero della Salvezza.

La Quaresima è un tempo di purifica-zione e di preparazione, è una salita fati-cosa ma esaltante verso la cima del mon-te santo, verso l’incontro con il MisteroPasquale vissuto nella Settimana Santaculminante nella Pasqua, in quei settegiorni che rappresentano il centro di tut-to l’anno, di tutta la storia. Il perno intor-no a cui ruota l’universo, da cui la reden-zione si irradia in ogni luogo e in ognitempo. I cinquanta giorni successivi irra-diano da questo centro scorrendo lumi-nosi verso la Pentecoste, compimentoglorioso e nel contempo nuovo inizio del-la vita della Chiesa nella storia.

Questi giorni sono come una grandeeco della Pasqua, come un riverbero lu-minoso che si allunga penetrando con isuoi raggi ogni cosa e donando al mon-do una luce nuova, rileggendo nel suosplendore le parole e le azioni di Cristocon la sapienza della Pasqua. La bellezzadello Spirito illumina questi giorni, ci

istruisce nel profondo donandoci la cer-tezza dell’amore di Cristo e, conquistan-doci ad esso, ci riscalda con la forza infi-nita del suo soffio di vita e ci fa crescerenel profondo facendo germogliare in noila potenza del Risorto. Nella prassi dellaChiesa è il tempo della mistagogia, dellosvelamento graduale del volto di CristoRisorto, della lettura dei misteri celebrati,del significato della grazia ricevuta, dellostupore del cuore che intravede il signifi-cato del Mistero e comincia a tradurlonella propria vita in azione, in lode, inamore.

La vita pasquale che questi cinquantagiorni ci propongono è vita di fede e,nello stesso tempo, di santificazioneprofonda. Lo Spirito vuole plasmare innoi il figlio di Dio e in questo tempo sem-bra tesserlo nella nostra anima giornodopo giorno. Le sue fattezze divengonosempre più precise rivelando il significatodel battesimo ricevuto e nello stesso tem-po insegnandoci a viverlo integralmente,con entusiasmo, con quella gioia che so-lo il Risorto può comunicarci attraverso ilsuo Santo Spirito. È lui il protagonista diquesto cammino dei “cento giorni”, èLui che opera in noi questa nuova crea-zione infondendo le virtù e le potenzenecessarie per compiere in noi il misterorealizzato da Cristo. Il compimento dellasua opera sarà proprio la Pentecoste, l’ef-fusione con potenza del suo soffio vitale

1

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Pentecoste, compimento gloriosomons. Marco Frisina

I

Page 2: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

2

che trasforma la Chiesa nello stesso cor-po vivente del Risorto. È questo il compi-mento finale della stessa Incarnazione diCristo, è questo il culmine del Misterodella Croce. Il bacio dello Spirito sui re-denti è il suo sigillo posto sul cuore e sul-la mente della comunità redenta, il pe-gno sicuro delle nozze eterne stipulatenell’Amore infinito dall’Agnello immolatoe risorto. L’effusione dello Spirito dà vitaalla nuova crea-zione e ne assi-cura il camminoverso il suo pie-no compimentonell’eternità diDio.

V i v e n d oogni anno que-sto momentoglorioso, laChiesa riaffer-ma la sua fedenella potenzadella Risurrezio-ne, nell’effica-cia della reden-zione, nell’uni-versalità di essae nell’urgenzache essa sia of-ferta al mondointero. Le porteaperte del Ce-nacolo il mattino di Pentecoste ci ricor-dano le porte aperte della Nuova Geru-salemme, porte che non saranno maichiuse “per lasciar entrare la ricchezzadei popoli” (Is 60), porte aperte per l’ac-

coglienza e la gioia, punti di irradiazionedella luce del Vangelo da cui la veritàpossa illuminare il mondo riscaldando ilsuo cuore raggelato dal peccato e dall’o-dio. La Chiesa è chiamata ogni anno a ri-scoprire se stessa, a comprendere il valo-re immenso della ricchezza che portadentro di sé, quella grazia sovrabbon-dante che vuole riversarsi sul mondo eche sgorga dal mistero pasquale. La

Chiesa è stimo-lata ad uscire ead andare congioia, senzapaura, a semi-nare nel mondol’amore che re-dime, è spinta atestimoniare inogni luogo, di-nanzi ad ognidifficoltà e osta-colo, la potenzadella Croce, so-stenuta dalloSpirito ricevuto,sapendo cheEgli porterà ac o m p i m e n t ol’opera della re-denzione inizia-ta in noi. Se-guiamo con fe-de le sue indica-

zioni, lasciamoci portare dal suo ventoimpetuoso e scopriremo con stupore, no-nostante i nostri limiti e la nostra picco-lezza, di essere autenticamente figli diDio.

La Pentecoste, sec. VI

Page 3: Pentecoste, compimento glorioso

e la liturgia fosse semplicementeuna ri-presentazione cronologicadella storia del Cristo, come ci è

raccontata dalle Sacre Scritture, la letturadelle storie degli Atti degli Apostoli nel-l’anno liturgico dovrebbe seguire la Pen-tecoste e non precederla.

Ben diversamente procede, invece, lasapienza della Tradizione della Chiesa,che, seguendo la lex orandi formatasi neisecoli, ci consegna nell’eucaristia un bra-no degli Atti per ogni giorno festivo eper ogni giorno feriale del Tempo di Pa-squa. Da Pasqua a Pentecoste non pas-serà così un giorno senza che gli Atti sia-no proclamati.

Questo perché gli eventi della nascitae della vita della Chiesa descritti negli At-ti, pur essendo cronologicamente succes-sivi se li guardiamo dal punto di vista del-la storia terrena, sono, invece, un unicoevento teologico, sempre originante dalgiorno di Pasqua, se visti con lo sguardodell’eterno Dio.

Così si è espresso H. U. von Balthasarnel suo volume Teologia della storia1:

“La vita di Cristo è la vita di Dio che siè fatto carne, che si è fatto uomo. Ma chipermette che questa unica vita, diventi lavita di tutti gli uomini, di tutti i tempi?...L’atto dell’universalizzazione è, in modoparticolare, un atto dello Spirito Santo...

Lo Spirito non porge una nuova rivelazio-ne, ma piuttosto dischiude in tutta la suaprofondità la rivelazione già fatta, dando-le con ciò per il mondo una dimensionedel tutto nuova: la perfetta attualità inogni momento della storia... E’ chiara cosìnel modo più inequivocabile la “contem-poraneità” fra Cristo risorto e gli apostolisuoi testimoni... (Anche dopo l’Ascensio-ne Egli svela il senso di ogni momento)non in un atteggiamento di distaccata su-periorità rispetto alla storia in cui vive, maagendo nell’attimo storico, nel quale Egliè presente... Il Cristo che nei quarantagiorni spiega il senso della sua vita terre-na passata e inserisce visibilmente nellaChiesa la sua vita futura, è quello stessoche ha vissuto sulla terra prima della Pas-sione... Appunto perchè Egli è stato pri-ma un essere eterno fattosi temporale,ora può esistere come un essere tempora-le fatto eterno... Nel Sacramento il Signo-re diviene “contemporaneo” del creden-te... (Nell’eucaristia) non un particolaremomento della vita di Cristo, come neglialtri sacramenti, ma la sua intera corpo-reità, quale è giunta alla sua pienezza nelgrado supremo, quando fu corporeità sa-crificata sulla Croce... viene riferita e ap-plicata ai singoli credenti”.

Tutta la vita di Gesù è stata l’annunziodell’ “oggi” di Dio, come ci testimonia

3

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Il Tempo di Pasqua e la letturaliturgica degli Atti degli Apostoli

don Andrea Lonardo

S

Page 4: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

4

san Luca: “Oggi nella città di Davide vi ènato un Salvatore”, “Oggi si è adempiu-ta questa parola nelle vostre orecchie”,“Oggi abbiamo visto cose prodigiose”,“Oggi devo fermarmi in casa tua”, “Oggila salvezza è entrata in questa casa”,“Oggi sarai con me in Paradiso”, ecc.ecc. L’Incarnazione di Cristo ha reso tem-porale l’eterno. Ogni incontro con il Gesùeterno è stato, per i suoi “contempora-nei”, incontro nel tempo con la gloriaeterna di Dio.

Gli Atti raccontano che quell’ “oggi”non si è arrestato con la Resurrezione,con l’Ascensione, ma continua nell’ “og-gi” della Chiesa: At 2, 16 “Accade, inve-ce, quello che predisse il profeta Gioe-le...”, At 3, 24 “Tutti i profeti hanno an-nunziato questi giorni”, At 4, 9 “Vistoche oggi veniamo interrogati sul benefi-cio recato ad un uomo infermo”, At 7,52 “Cristo, del quale voi ora siete diven-tati traditori ed uccisori...”, At 28, 28“Sia dunque noto a voi che questa sal-vezza di Dio viene ora rivolta ai pagani edessi l’ascolteranno”.

La Chiesa è frutto della Pasqua ed, at-traverso di essa, noi incontriamo il Cristorisorto. Tutto l’annuncio degli Atti è unannuncio cristologico, ma, insieme,pneumatologico, ecclesiologico e sacra-mentale.

Luca, scrivendo il suo secondo volumea Teofilo, ci mostra a suo modo, come lastoria della Chiesa non sia una storia di-versa da quella del Cristo. Il vangelo nonè comprensibile senza la storia dellaChiesa che è la perenne attualità in terradel Cristo risorto. Colui che ha parlato di

Cristo non può arrestarsi senza narrare lastoria della Sua Chiesa, che non solo lostesso Signore ha istituito e voluto stori-camente, ma, soprattutto, nella qualeEgli è presente e vivo, come Cristo risor-to. Ma questo è possibile solo nella pre-senza dello Spirito che rende continua-mente attuale nella storia la presenza delSignore. Lo Spirito non da origine ad unanuova tappa, come se oltre Cristo ci fos-se un tempo dello Spirito che potesse su-perare il tempo di Cristo (come le corren-ti che si rifanno a Gioacchino da Fiore etutti i millenarismi e gli spiritualismi han-no proposto nel corso dei secoli). Lo Spi-rito sospinge tutti, invece, all’unico tem-po di Cristo – perché nel cristianesimociò che è “spirituale” è identico con ciòche è “semplicemente cristiano” –“prendendo del suo ed annunciandolo eguidando alla verità tutta intera del Cri-sto”.

Ma l’opera dello Spirito è un’operaecclesiale, senza per questo perdere isuoi connotati di personalità. L’opera del-la salvezza è, infatti, opera “personale”,perché nasce dalla tripersonalità della Tri-nità e si incontra con la “persona” diogni uomo.

Vediamo, negli Atti, in particolare lastoria di Pietro e i Paolo, ma insieme adessi la storia dei sette diaconi, la storia diStefano, la storia di Barnaba, la storia dei“noi” che camminano con Paolo versoRoma – ricordiamo le cosiddette “sezio-ni-noi” degli Atti, a partire da At16,8,nelle quali è evidente che l’autore degliAtti cammina, da un certo punto in poidegli Atti, insieme con Paolo.

Page 5: Pentecoste, compimento glorioso

Come dice ancora von Balthasar2: “Aiproblemi scottanti di un dato periodostorico lo Spirito risponde con una defini-zione e una soluzione. Ciò non avvienenella forma di una monografia astratta(che lo Spirito lascia scrivere agli uomini),ma, quasi sempre nella forma di una mis-sione nuova, concreta, soprannaturale,col suscitare un Santo che rappresentiper la sua epoca il messaggio del Cielo,la spiegazione del Vangelo adeguata aitempi, la via d’accesso elargita a questotempo per giungere alla verità onnitem-porale di Cristo. Come potrebbe la vitaessere interpretata altrimenti che me-diante la vita? I Santi sono la tradizionepiù viva, proprio quella Tradizione cui al-lude sempre la Scrittura, quando parladel dispiegarsi delle ricchezze di Cristo, edell’applicazione alla storia della normadi Cristo”.

Ecco la conversione del centurioneCornelio, attraverso Pietro che, ancorauna volta primo fra gli apostoli, prima diPaolo, comprende la volontà di Cristoche i pagani non siano considerati impurie siano evangelizzati e battezzati; ecco lachiamata di Paolo, ecco l’invio di Ananiaa lui, nel “Signore che aggiungeva ognigiorno quelli che erano salvati”, costi-tuendoli a loro volta come nuovi missio-nari ed evangelizzatori.

Questo suscitare in forma assoluta-mente personale, con il dispiegarsi di no-mi e di storie che incontrano Gesù risortoed il suo Spirito che lo rende presente, è,insieme, una realtà oggettiva, ecclesiale.Ancora von Balthasar: “Lo Spirito di Dioè Spirito ecclesiastico”3. Gli Atti ci descri-

vono, non solo nei famosi tre sommaridella prima comunità – che la II domeni-ca di Pasqua ci fa leggere nei tre anni A,B e C – ma in tutto il dispiegarsi dellanarrazione, dalla scelta del dodicesimoapostolo destinato a sostituire Giuda, al“Concilio” di Gerusalemme, alla sceltadei diaconi, ecc. ecc. l’ecclesiasticità delloSpirito. Egli che chiama ognuno è insie-me Colui che chiama a Cristo, chiaman-do attraverso la Chiesa e nella Chiesa.

Ed è nell’unica storia santa che i nuovicredenti, che i nuovi santi, vengono inseri-ti. E nemmeno l’antica storia di salvezza èdimenticata, nemmeno l’Antico Testa-mento scompare. Se, ad uno sguardo su-perficiale, si potrebbe lamentare l’assenzasistematica della lettura dell’Antico Testa-mento, perché sempre la lettura di Atti losostituisce in ogni liturgia feriale e festivadel Tempo di Pasqua, ad eccezione delSalmo responsoriale, ecco, invece, in unalettura più profonda e vera, che tutto l’an-nuncio di Atti si presenta come compi-mento, come realizzazione attuale di ciòche l’Antico aveva annunciato e promes-so: At 2, 16 “Accade quello che predisseil profeta Gioele”, At 2, 25 “Dice Davidea suo riguardo”, At 2, 31 “Previde la re-surrezione di Cristo e ne parlò”, ecc. ecc.

A. Nocent, nel volume di Anamnesisdedicato all’anno liturgico ha mostratocome la Chiesa abbia voluto chiaramenteindicare che la “cinquantina” di Pasqua èormai un unico tempo. Non è un tempoper arrivare alla Pentecoste, non è untempo di transizione per arrivare ad unanuova festa, ma è un tempo tutto festi-vo, perché ciò che la Pasqua dona è or-

5

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 6: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

6

mai attuale. “Viene precisato con la rifor-ma liturgica del Concilio Vaticano II chela Domenica di Pasqua non è domenicadella Resurrezione, ma Domenica nellaResurrezione del Signore. Analogamente,le domeniche successive non portanopiù, come nel messale precedente, la di-zione Dominica secunda post Pascha,ecc., ma sottolineano l’unità della Cin-quantina presentandosi via via come Do-minica II Paschae, ecc.”4. La lettura cro-nologicamente anticipata degli Atti, giàprima di Pentecoste, ci riporta a questomistero: la vita liturgica della Chiesa,espressamente nella sua dimensione sa-cramentale, è vita e presenza del Cristorisorto e dello Spirito. La dimensione ec-clesiologica si rivela così realtà sacramen-tale. Il Cristo risorto, Colui che spezza ilpane già con i discepoli di Emmaus è lostesso Cristo che raduna la prima comu-nità nella fractio panis – “alla quale era-no assidui”, come ci ricorda At – ed è co-lui che “oggi” raduna la Chiesa dispersanel mondo intorno all’unica eucaristia.

Veramente, come afferma ancora No-cent, possiamo vedere nelle otto domeni-che di Pentecoste – 49 giorni + uno – “lavolontà di esprimere l’ultimo giorno”5, l’ot-tavo giorno, oramai iniziato in terra, dall’u-nica Pasqua che si protende nel tempo.

La liturgia della Parola non si dispiegapiù, allora, nel tempo di Pasqua, in unasuccessione cronologica di eventi, manella riproposizione dei differenti aspettidella meraviglia e dell’opera della Resur-rezione. Così A. Nocent, caratterizza allo-ra i temi delle singole domeniche delTempo di Pasqua:

“Domenica di Pasqua: Cristo risorto

Domenica II: la comunità di tutti coloroche credono in Cristo morto e risorto(domenica di Tommaso)

Domenica III: Cristo risorto appare ai suoi

Domenica IV: la salvezza passa attraversoCristo, porta dell’ovile e Buon Pastore

Domenica V: la comunità si costituisce, iministeri e la vita del mutuo amore

Domenica VI: l’espansione della comu-nità e la promessa dello Spirito

Domenica VII: Ascensione, i testimonidella gloria di Gesù, la preghiera di Gesùal Padre

Domenica VIII: la Pentecoste, l’effusionedello Spirito su tutta la Chiesa”6.

Gli Atti accompagnano, a loro modo,questa scansione, annunciando ogni do-menica di Pasqua la realizzazione nellaChiesa di questi aspetti dell’unico misterosalvifico.

——————

1 H.U.von Balthasar, Teologia della storia.Abbozzo, Morcelliana, Brescia, 1969, pp.61-82.

2 Ibidem.

3 Ibidem, pag.82.

4 A.Nocent, La cinquantina pasquale, inAnamnesis, vol.6, L’anno liturgico, Marietti,Genova, 1988, p. 128.

5 Ibidem.

6 Ibidem, pag. 129.

Page 7: Pentecoste, compimento glorioso

l tempo di Quaresima, nono-stante la riduzione del digiuno,conserva ancora per il popolo

cristiano la caratteristica di tempo fortedell’anno liturgico. Non così è percepitala cinquantina pasquale, assimilata – nel-l’opinione comune – al tempo ordinario.Tanto più che la gran parte di esso coinci-de con il mese di maggio, che nella devo-zione del popolo cristiano è dedicato allaMadonna, ed essa prende quasi tuttal’attenzione anche nella predicazione.

Eppure la Quaresima tende alla Pa-squa, e da questa ha origine il cristianesi-mo. I cinquanta giorni della Pasqua, cele-brati come un unico grande giorno di fe-sta, vogliono far comprendere e vivere ilmistero della Chiesa.

Nata dal costato di Cristo, che “dor-me sulla croce”, come la sposa del nuovoAdamo, essa viene manifestata a Pente-coste. Nei giorni intermedi, e specialmen-te nelle domeniche di Pasqua (non sichiamano più “domeniche dopo Pa-squa”), viene presentato quello che è ilprogetto di Dio, realizzato in Cristo, eche il prefazio comune n. 7 del Messaleitaliano descrive così: “Nella pienezza deitempi hai mandato il tuo Figlio…per redi-merci dal peccato e dalla morte; e haidonato il tuo Spirito, per fare di tutte lenazioni un solo popolo nuovo che ha co-

me fine il tuo regno, come condizione lalibertà dei tuoi figli, come statuto il pre-cetto dell’amore”.

Come prima lettura leggiamo, per tut-to il tempo pasquale, il libro degli Attidegli Apostoli, che descrive gli inizi e laprima diffusione della fede, che viene an-nunziata agli ebrei e ai gentili, esce daiconfini del mondo ebraico, passa dall’A-sia in Europa, e giunge fino ai confinidella terra, cioè fino a Roma, punto piùalto del mondo di allora.

In questo libro, purtroppo poco cono-sciuto, Luca ci espone non solo i fatti, maanche il suo ideale di Chiesa, che affondale sue radici in ciò che il Gesù storico feceed insegnò, ma che – con la guida co-stante e la forza dello Spirito, continua-mente effuso, si presenta come un insie-me di discepoli, che tendono ad essere“un cuor solo ed un’anima sola”, chemettono tutto in comune, che si ritrova-no uniti “nella dottrina degli Apostoli,nella comunione fraterna, nella frazionedel pane e nelle preghiere” (una comu-nità di culto, che succede all’antico Qa’alJahvé); una comunità missionaria, chemanda Saulo e Barnaba, non come mis-sionari isolati, ma come mandati dalloSpirito e dalla Comunità (13, 2-3).

Il tema ecclesiologico, che unifica tuttoil tempo pasquale, lo si ritrova nei Vangeli

7

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

I

Tempo Pasquale:Formazione della Chiesa

p. Ildebrando Scicolone, osb

Page 8: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

8

delle domeniche di Pasqua. La Chiesa leg-ge soltanto il testo di Giovanni (tranneche Luca 24 nella terza domenica A e B).

Nella seconda e terza domenica si leg-gono le apparizioni del Risorto. Gesù chesi manifesta ai discepoli la “sera di quellostesso giorno, il primo dopo il sabato” e“otto giorni dopo”, raduna attorno a sécoloro che credono in lui. E’ questa la ma-nifestazione della Chiesa: una comunitàche si riunisce attorno al Cristo glorioso,“che appare e parla del regno di Dio”(Atti 1,3). Anzi in molte apparizioni Gesùmangia con i suoi discepoli. E’ importantequesta osservazione: il Cristo gloriosoaveva ancora bisogno di mangiare? Cer-tamente no. Ma lo fa, non solo per mo-strare che il suo era un vero corpo, e nonun fantasma, ma soprattutto perché – neitempi futuri – la comunità lo avrebbe ria-vuto presente, quando si sarebbe riunita,ogni primo giorno della settimana, in quelgiorno che chiamerà “del Signore”(Apoc. 1.10), per mangiare la “cena delSignore”. La prima caratteristica dellaChiesa è quindi l’assemblea eucaristicadomenicale. L’eucaristia non sarà soltantoil memoriale del Signore, il sacramentodella sua Pasqua di morte e risurrezione,ma anche il sacramento della Chiesa, nelsenso che la significa e la realizza. Primache “la Chiesa fa l’eucaristia, è l’eucaristiache fa la Chiesa”. Di qui l’importanza ec-clesiale irrinunciabile della “Domenica”,come giorno dell’eucaristia, “senza laquale non possiamo vivere”.

Questa comunità, in quanto visibile, èguidata da Pietro, al quale Cristo affida lesue pecorelle, come risposta alla profes-

sione di fede e di amore a Lui, da partedell’Apostolo. Il Vangelo della terza do-menica C, dopo l’apparizione sul lago diTiberiade, si conclude con la missione diPietro, che per amore del suo Signore, ri-petuto tre volte, come tre volte lo avevarinnegato, pascerà le pecore del Signore,fino a morire per la gloria di Dio (Gv 21,15-19).

Il servizio “pastorale” è sviluppato nel-la domenica quarta. In essa, nei tre anni,si legge il cap. 10 del quarto vangelo (an-no A: 1-10; anno B: 11-18; anno C: 27-30). Il messaggio è chiaro: il pastore unicoè Cristo stesso; il gregge, le pecore sonole sue. Esse lo riconoscono, ne ascoltanola voce, lo seguono. Per esse egli dà lasua vita, le nutre con il suo stesso corpo esangue. Egli non ci porta al pascolo, dan-doci l’erba, cioè altra da sé, ma ci “pa-sce” di se stesso. Coloro che nella Chiesachiamiamo pastori, sono “vicari” del Pa-store, che ne ripresentano l’immagine, e –come lui – sono pronti a dare la vita per lepecore. Il tema del pastore, in Gv 10, si ri-collega al cap. 34 di Ezechiele (ma neltempo pasquale non leggiamo l’AnticoTestamento), dove Dio stesso dice diprendersi cura del suo gregge. Gesù qui siidentifica con Dio, che compie, per mezzosuo la profezia di Ezechiele.

Il Cristo risorto è ancora il centro deidiscorsi che leggiamo, sempre dal vange-lo di Giovanni, nella quinta domenica. Sitratta dei discorsi di Gesù, che l’evangeli-sta colloca, dopo la cena. Essi però, lettidopo la Pasqua, acquistano una pre-gnanza, una concretezza, e una prospet-tiva veramente escatologica. Gesù risorto

Page 9: Pentecoste, compimento glorioso

si presenta veramente come “la via, laverità e la vita”. Sono parole grandi: lachiesa, anzi tutti gli uomini, non possonotrovare in nessun altro né la via, né la ve-rità (nel senso pieno di Giovanni), né lavita. Il Risorto è colui che dà senso all’e-sperienza e alla storia dell’uomo. LaChiesa vive di questa certezza, e questaannunzia al mondo. Per avere la vita,ogni uomo deve essere vitalmente unitoa Lui, come il tralcio alla vite.

Gesù ancora è la via che conduce alPadre. E’ stato osservato che – mentrenell’AT l’unico Dio è il fine dell’uomo e lafede nel Dio creatore e salvatore del po-polo è quella che spiega la storia – nel NTGesù sembra il centro di tutto. Ma in Gv14, 1-12 (Domenica V, anno A), Gesùparla del Padre, come termine di tutta lastoria, e si ricollega alla fede di Israele,precisando la sua missione, nei confrontidel Padre e dell’uomo. “Abbiate fede inDio e abbiate fede anche in me”. “Nellacasa del Padre mio vi sono moltiposti…Io vado a prepararvi un posto…”.La dimensione escatologica è essenzialeal cristianesimo: la storia senza una meta,un traguardo non ha senso. E la meta èla casa del Padre. Ma, mentre siamo pel-legrini, il Padre è visibile in Cristo.

“Lo statuto dell’amore”, che è quellodella Chiesa, è annunziato nell’anno Cdella quinta domenica, ma viene svilup-pato nella sesta domenica. In essa leggia-mo Gv 14, 15-21 (anno A), Gv 15, 9-17(anno B), Gv 14, 23-29 (anno C). L’amoreper Dio e l’amore del prossimo è stata lavita di Cristo. Lo stesso deve essere per icristiani: non due amori, ma uno solo,

come ci ha insegnato recentemente, nel-la sua prima Enciclica, Benedetto XVI. L’a-more che si manifesta nell’osservanza deicomandamenti, cioè nel fare la volontà diDio, che è il nostro bene. Questo amoreè frutto dello Spirito Santo, e produce inchi lo vive la pace e la gioia. Una Chiesache vive lo statuto dell’amore è la Comu-nità dove si trova lo Spirito Santo, la pacevera e la gioia piena che nascono dall’in-terno dell’uomo.

Nella settima domenica, in Italia, cele-briamo la festa dell’Ascensione. Ma dovequesta viene celebrata nel giovedì prece-dente, il Vangelo della domenica ci fa vi-vere la preghiera di Gesù, presente nelcap. 17 di Giovanni. Nella preghiera Ge-sù riassume quella che è la natura dellaChiesa, scopo della sua missione. Per es-sa egli ha sacrificato se stesso, perchétutti “siano una cosa sola. Come tu, Pa-dre, sei in me e io in te, siano anch’essi innoi una cosa sola, perché il mondo credache tu mi hai mandato”.

Così tutto quello che Gesù aveva inse-gnato, attraverso parabole, e aveva anti-cipato con i segni (miracoli), ora, dopo lasua Pasqua, diviene realtà, da vivere nelcorso della storia. Egli non si farà presen-te visibilmente ai suoi, ma non li lasciaorfani, manda loro dal Padre il suo Spiri-to, che come secondo Avvocato (Paracli-to) li assista, li illumini, faccia loro semprepiù comprendere quanto Egli ci ha detto,li consoli e li fortifichi, nelle tribolazioni,perché rendano a lui testimonianza. Que-sta è la Chiesa, così fondata da Cristo, emandata nel mondo, “perché il mondocreda” e si salvi nel suo Nome.

9

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 10: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

10

1. Sbalorditi dall’evento pasquale

Una settimanaper scoprire e vivere la Pasqua

resoconti che noi abbiamo delgiorno di pasqua – così come cisono riportati dai vangeli - testi-

moniano lo sbalordimento degli apostolie dei discepoli, quasi la loro incapacità direndersi conto di quanto è avvenuto e diriferirci in maniera ordinata e logica (se-condo la nostra logica) ciò che è avvenu-to in quel giorno. Sorpresa, incredulità,stupore, gioia esplosiva, paura, sono al-cuni dei sentimenti che vengono espressidavanti a qualcosa di inaudito e imprevi-sto. Immaginiamo quanti incontri, quan-to passare di casa in casa, quanto ripe-tersi di racconti e di domande. Anchesenza fantasticare troppo si può pensareche tutta Gerusalemme sia stata coinvol-ta in questo parlare dai sommi sacerdotia tutto il popolo (Mt 28,11-15). L’espe-rienza e i racconti delle donne tra cui pri-meggia Maria di Magdala (Mt 28,1-10;Mc 16,1-15; Lc 24,1-12; Gv 20,1-19)delle guardie poste a custodia del sepol-cro (Mt 28,11-15), degli Undici (Mt28,16-20; Mc 16,14-19; Lc 24,36-53; Gv2019-30; 21,1-25), dei due discepoli diEmmaus (Mc 16,12; Lc 24,13-35) ag-giungono ciascuno qualche particolare,finchè si arriva ad otto giorni dopo l’e-

vento, quando il Signore apparendo ri-conferma e cerca di far comprendere lanuova Pasqua alla luce delle anticheScritture. Sono stati quegli otto giornivissuti intensamente che hanno lasciatotracce profonde anche perché tutto do-veva essere rivisto alla luce dell’eventodella risurrezione. Quella è stata una set-timana della grande “mistagogia” in cuiil primo “iniziato”, mystês (Gesù) “con-duce”, ágô, gli altri “iniziati” mystài,(gli apostoli e i primi discepoli) semprepiù dentro il Mistero della pasqua.

E’ stata una settimana per scoprire ilmistero della nuova pasqua, per lasciar-si coinvolgere, per sentirsi parte di quel-l’evento, per iniziare a celebrarlo.

Una settimanaper scoprire e vivere oggii grandi segnidella notte della risurrezione

Qualcosa del genere avviene ancheoggi nella notte di Pasqua per coloroche ricevono il battesimo e per coloroche insieme con loro celebrano la Pa-squa del Signore. L’evento è così gran-de che quasi è difficile rendersene subi-to conto: c’è un cumulo di riti che sisuccedono uno più ricco ed espressivodell’altro, ci sono letture che sintetizza-no e spaziano sull’intera storia della sal-

I

La settimana degli otto giornidon Gianfranco Venturi

Page 11: Pentecoste, compimento glorioso

vezza, c’è un assieparsi di persone chea volte non sanno perché sono lì mache si sentono in dovere di esserci an-che se è notte. Occorreranno giorni egiorni per riuscire a raccapezzarci, rian-dare ai singoli riti e alle parole che lihanno accompagnati, domandarsene ilsignificato, ri-accontare e ri-annodare levarie esperienze anche nei piccoli detta-gli, dettagli che, se apparentementesembrano insignificanti, finiscono poiper rivelare significati reconditi. Anchequi c’è un mystês, un “iniziato”, di persé il Vescovo, e per mandato del Vesco-vo anche il Presbitero e il Diacono, checonduce, ágô, gli altri mystai, gli inizia-ti, i neofiti, sempre più dentro il Miste-ro ricevuto, in modo continuo, instan-cabile, assiduo, in continua crescita spi-rituale, con la predicazione sui “miste-ri” (dell’iniziazione) e la celebrazionedel “mistero” (dell’eucaristia).

2. La mistagogia della settimanadi pasqua (ottava)

A partire dal giorno di pasqua la co-munità cristiana accompagna i neofiti equanti hanno preso parte alla liturgiadella notte di pasqua a penetrare nell’e-vento celebrato accogliendo dapprimala testimonianza di coloro che per primil’hanno vissuta:

- Le donne e i soldati (Mt 28, 8-15:Lunedì)

- Maria (Gv 20, 11-18: Martedì)- I due discepoli di Emmaus (Lc 24,

13-35: Mercoledì)

- I discepoli, assente Tommaso (Lc24, 35-48: Giovedì)

- I sei discepoli sul lago di Tiberiade(Gv 21 1-14 Venerdì)

- Maria di Magdala e i discepoli (Mc16, 9-15: Sabato)

Partendo da questa testimonianzariascolta la predicazione del grande mi-stagogo di questa settimana: Pietro,che, mentre riafferma la sua fede nellarisurrezione del Signore, ne manifesta ilsignificato e le esigenze; riascoltiamo lagrande omelia di pentecoste (At 2,14.22-32: Lunedì; At 2, 36-41: Mar-tedì), la guarigione dello storpio comesegno della potenza della fede nel Ri-sorto: Pietro e Giovanni davanti al Tem-pio nella guarigione dello storpio (At 3,1-10: Mercoledì; At 3, 11-26: Giovedì)nella successiva dichiarazione davanti alsinedrio (At 4, 1-12: Venerdì; At 4, 13-21: Sabato).

3. La mistagogia dell’ottavo giorno

Nell’ottavo giorno di pasqua la Chie-sa proclama ogni anno il “vangelo del-l’ottavo giorno”. La nota pastorale sulGiorno del Signore ci dice

“Gesù stessso aveva come suggeritoe consacrato il ritmo settimanale delgiorno da dedicare al suo ricordo, ap-parendo di nuovo, otto giorni dopo,agli Undici riuniti nello stesso luogo (cf.Gv 20,26). Da allora il cristiano non po-trebbe più vivere senza celebrare quelgiorno e quel mistero. Prima di essere

11

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 12: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

12

una questione di precetto, è una que-stione di identità. Il cristiano ha bisognodella domenica. Dal precetto si può an-che evadere, dal bisogno (n.4).

Ripercorrendo il Vangelo di questogiorno arriviamo a scoprire il senso diquesto ottavo giorno:

è il giorno memoriale della risurre-zione, per cui viene detto giorno del Si-gnore (Gv 20,9-29)

il giorno in cui il Signore Gesù si fapresente in mezzo ai suoi, fa loro visitaper cui possono dire: “Benedetto il Si-gnore, il Dio di Israele perché ha visitatoe redento il suo popolo, ha suscitatoper noi una salvezza potente (Lc 1,68);

entra in dialogo con i suoi discepoli,fa comprendere le Scritture e rivela ilcompiersi in lui di tutte le Scritture: èpertanto il giorno della parola;

rivela e fa fare l’esperienza della suagloriosa passione e risurrezione: mostrai segni della passione nel suo corpo (Gv20,20.27), suscitando una pienezza digioia (Gv 20,20). Quel primo giorno del-la settimana è così il giorno in cui Gesùfa fare l’esperienza della sua gloriosapassione. Noi oggi possiamo dire “An-nunciamo la tua morte, proclamiamo latua risurrezione nell’attesa della tua ve-nuta”;

dà lo Spirito che ricrea liberando dalpeccato, fa comprendere le Scritture,portando alla piena Verità, accompagnal’annuncio del discepolo;

dona la pace e la gioia non come ladà il mondo;

invia i discepoli ad annunciare la ri-surrezione;

apre gli occhi sulla domenica senzafine

Conclusione: Una settimana di ot-to giorni

Finchè si rimane nel ciclo dei settegiorni, non è possibile parlare di ottavogiorno se non uscendo dal settenariotemporale. L’evento della pasqua portaal superamento dei sette giorni e im-mette in un giorno nuovo, il Giorno delSignore, giorno che non conosce tra-monto. Il catecumeno che entra nelBattistero a forma ottagonale entra inun tempo nuovo, o meglio entra a farparte di coloro che sono sottratti allaschiavitù del tempo per possedere la vi-ta eterna.

In questo giorno ai neofiti viene fat-to il dono della partecipazione a questoottavo giorno.

Secondo un rito che si sta introdu-cendo, in questa domenica il neofita siavvicina all’altare su cui è posto il van-gelo, vi mette la mano sopra mentre gliviene detto: “Rendi gloria a Dio nelgiorno che il Signore ha fatto per te, epartecipa fedelmente alla festa dei sal-vati in attesa della Domenica senza tra-monto”.

In questa celebrazione essi depongo-no la veste candida dei risorti, dei “do-menicali”, per far ritorno ai giorni dellavita ordinaria dove testimonierannoquanto il Signore ha fatto per loro.

Page 13: Pentecoste, compimento glorioso

Mistero della vita di Cristo e dellanostra fede

evento misterico dell’Ascensio-ne, che chiude con l’ascesa alcielo il ciclo della vita in terra del

nostro Salvatore, iniziata con la sua disce-sa nell’incarnazione, è testimoniato in di-versi modi dai Sinottici e dagli Atti degliApostoli (Mt 28,16-20; Mc 16,19; Lc24,50-52; At 1,6-11). La narrazione luca-na degli Atti è la più diffusa, la più preci-sa e quella che ha lasciato l’immagine piùespressiva dell’evento, con la scena diGesù che si eleva dalla terra al cielo, dellanube che lo sottrae allo sguardo dei di-scepoli, con la presenza degli Angeli cheannunziano ai seguaci di Gesù il suo ri-torno glorioso alla fine dei tempi. NegliAtti, inoltre, il mistero dell’Ascensione ècompletato subito con l’adempimentodella promessa del dono dello SpiritoSanto nella Pentecoste.

Come evento della vita del Salvatore,l’Ascensione appartiene alle più anticheformule della fede cristiana, alla confes-sione del Credo apostolico e del SimboloNiceno-Constantinopolitano, insieme almistero della sua intronizzazione in cielo,

dove siede alla destra del Padre, e allasperanza, secondo le parole degli Angelinell’episodio dell’Ascensione, del suo ri-torno glorioso.

Nella prospettiva di Giovanni, la glori-ficazione di Gesù è avvenuta già nel gior-no stesso della sua risurrezione ed è ma-nifestata con il dono dello Spirito Santosugli apostoli nel cenacolo (Gv 20,19-23).Gesù è ormai alla destra del Padre, an-che se le apparizioni del Risorto ai suoidiscepoli, durante quaranta giorni, espri-mono la novità della sua presenza con ilPadre e con i discepoli, e la scena dell’A-scensione, secondo gli altri testi neote-stamentari, chiude visibilmente questoperiodo intermittente della convivenzamisteriosa di Cristo con i suoi. E’ quindiun mistero nel mistero, un frammentodel mistero pasquale del Signore Gesù.

L’Ascensione è la glorificazione del ca-po, attraverso lo staccarsi visibilmentedalla terra e il suo salire al cielo per esse-re ormai definitivamente il Signore glorio-so, assiso alla destra del Padre, e il Dona-tore dello Spirito della Pentecoste. Un mi-stero di ascesa e di dono che ha un pre-cedente evocativo nella narrazione vete-rotestamentaria dell’ascesa di Elia in pa-

13

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

L’ascensione del Signore al cieloGlorificazione di Cristo capo e,

con lui, del corpo ecclesialep. Jesús Castellano Cervera ocd

L’

Page 14: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

14

radiso e la consegna ad Eliseo del suospirito profetico (2 Re, 2. 11 e ss.). Forseper questo alcune antiche rappresenta-zioni dell’Ascensione del Signore in cielo,come quella dell’Evangeliario di Rabbuladi Edessa (sec. VI), presentano Cristo por-tato in una specie di carro di fuoco, la“merkabah”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolicadescrive con brevi tratti il senso del mi-stero per Cristo e per la Chiesa (nn. 659-669), anche se non indugia, come per al-tri misteri, nel rilevare la sua portata dicarattere liturgico.

La celebrazione liturgica e la suateologia

La fede professata nel Credo diventafede celebrata nella liturgia della Chiesa.La celebrazione liturgica del quarantesi-mo giorno del tempo pasquale comeAscensione del Signore è conosciuta giàfin dal secolo IV. Nel Diario della pellegri-na Egeria, che documenta le celebrazionidi Gerusalemme verso gli anni 384-385,stranamente il quarantesimo giorno diPasqua viene celebrato a Betlemme,mentre il cinquantesimo giorno si va al

Monte degli ulivi, all’”Imbo-mon” – luogo da dove il Signo-re è salito al cielo - e là si com-memora, con la lettura dei passidel Vangelo e degli Atti chenarrano l’Ascensione del Signo-re al cielo, l’evento della glorifi-cazione del Signore.

Una festa liturgica dell’A-scensione del Signore è attesta-ta dalla grande tradizione patri-stica di Oriente e di Occidente,fin dalla prima metà del secoloIV. Agostino la ritiene una dellecelebrazioni del Signore comunia tutta la Chiesa (Epist. 54,1 :PL 33, 200) e vede in essa lagloria di Cristo nel meriggiodella sua vita, come anche nellapreghiera della Chiesa a mezzo-giorno, che celebra quotidiana-mente questo evento “solare”del mistero di Cristo (Enarr. inPsal. 54,18: PL 36,640). Grego-rio di Nissa canta in una omelia

Ascensione. Girolamo Muziano, Roma, S. Maria in Vallicella, sec. XVI

Page 15: Pentecoste, compimento glorioso

sull’Ascensione il mistero della consuma-zione della salvezza (PG 46,689-694).Giovanni Crisostomo la celebra, in unaomelia della festa, come la nostra glorifi-cazione nella gloria stessa del Signore(PG 50 441-452).

Ma è specialmente Leone Magno,teologo del mistero pasquale, colui chemette in luce la glorificazione del Signo-re, dopo aver compiuto tutti gli eventistabiliti nella provvidenza di Dio, insiemealla misteriosa continuità dell’umanità vi-sibile di Cristo nei misteri della Chiesa:“Quello che era visibile nel nostro Reden-tore è passato nei sacramenti…” (“Quoditaque Redemptoris nostri conspicuumfuit, in sacramenta transivit”: Sermo74,2: PL 54, 398).

I testi attuali della liturgia delle ore, sianella Messa, sia nell’ufficio, privilegianouna lettura cristologia di vari brani del-l’Antico e del Nuovo Testamento. Nel Le-zionario della Messa, privo di testi del-l’Antico Testamento per essere in tempodi Pasqua, il salmo responsoriale 46 (An-no ABC) con le espressive parole “Ascen-de il Signore con canti di gioia”, diventarilettura profetica dell’evento. Il testo diAtti 1,1-11 narra l’episodio dell’Ascensio-ne, mentre altri testi paolini (Ef 1,17-23Anno A, Ef 4,1-13, Anno B) e uno dellaLettera agli Ebrei (Eb 9,24-29; 10,19-23,Anno C) completano la teologia cristolo-gica ed ecclesiologica del mistero. Gesùinfatti entra nel cielo come Capo dellaChiesa e del cosmo; colui che disceso interra è pure salito in cielo. Egli è il som-mo sacerdote che è penetrato nel san-tuario del cielo come nostro perenne me-

diatore della salvezza. I tre Vangeli sinot-tici di Matteo, Marco e Luca ripropongo-no nei rispettivi anni A B C, i testi chenarrano con diverse sfumature teologi-che i momenti finali della presenza visibi-le di Cristo in mezzo ai suoi e il suo spari-re verso le altezze della gloria.

La liturgia delle ore, con i begli inni la-tini medievali, rilegge alcuni salmi nellaluce del mistero, come accade con il lun-go salmo 67- il corteo del Re - nell’ufficiodelle letture, e il salmo tipico dell’ascen-sione del Re, il salmo 46, nei secondi ve-spri.

L’antica e bella antifona dei secondivespri “O Rex gloriae…”, alquanto mor-tificata del suo “pathos” nella versioneitaliana, esprime la nostalgia e la speran-za per la Chiesa che vede il suo Signoresalire al cielo e attende per non rimanerenella condizione di orfana e nella solitu-dine (“Ne derelinquas nos orphanos”!), ilpromesso dono del Paraclito. Si tratta diuna antichissima antifona, forse ispirataad un testo bizantino, come si vedrà piùavanti, nota ormai ai tempi di San Beda ilVenerabile, che è ispirato dalle parole diquesta bellissima preghiera rivolta al Si-gnore della gloria.

La teologia della festa è ben espressanelle preghiere della Messa e soprattuttonel Prefazio I. La colletta del Messale Ro-mano ricorda che in Cristo, capo dellaChiesa, asceso al cielo, “la nostra uma-nità è già innalzata” accanto al Padre,mentre noi “membra del suo corpo, vi-viamo nella speranza di raggiungere Cri-sto nostro Capo, nella gloria…”. La pre-ghiera sulle offerte allude, come nel

15

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 16: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

16

giorno di Natale, a “questo santo scam-bio dei doni”; ma questa volta con unaallusione fatta al rovescio: è il Cristo,asceso ormai nella gloria, che ora divienenostro nutrimento nei doni sacramentalidella Chiesa. L’orazione dopo la comu-nione mantiene il “la” dominante dellasperanza di una Chiesa che è come atti-rata dalla “calamita” della presenza delsuo Capo in cielo, glorificato ormai nellagloria; mentre cammina, con il cuore egli occhi a lui rivolti, essa è ancora pelle-grina sulla terra, pur potendo gustare idivini misteri, che confermano il suo de-stino glorioso, accanto a Cristo, nel qua-le anche la nostra umanità è innalzataormai nella gloria.

Il classico e antico prefazio I dell’A-scensione del Signore racchiude, in unapreziosa teologia del mistero, la motiva-zione “eucaristica” della festa, il granderingraziamento di cui le parole del prefa-zio sono come il “protocollo orante” del-la Chiesa per ringraziare il Padre per ildono di questo mistero che si rende pre-sente nell’Eucaristia. Molte preghiere eu-caristiche di Oriente e di Occidente, anti-che e recenti, come il canone romano, ri-cordano nell’anamnesi come parte inte-grante del mistero pasquale la gloriosaAscensione al cielo, dove siede alla destradel Padre.

Tre sono le idee fondamentali di que-sto prefazio. Anzitutto, la realtà stessache viene celebrata nell’oggi in cui si ren-de presente l’evento della festa, in modospeciale attraverso il mistero eucaristicocelebrato, con una preziosa sintesi con-templativa di carattere cristologico che

indulge con gioia nei titoli di Cristo glo-rioso: ”Oggi il Signore Gesù, re della glo-ria, vincitore del peccato e della morte, èsalito al cielo, tra il coro festoso degli an-geli, Mediatore tra Dio e gli uomini, giu-dice del mondo e Signore dell’universo”.Il secondo aspetto è la memoria che laChiesa fa davanti al Padre del misterodell’umanità di Cristo che porta con sénella gloria la nostra propria umanità:“Non si è separato dalla nostra condizio-ne umana, ma ci ha preceduti nella di-mora eterna”. Il terzo aspetto che il pre-fazio canta esprime la speranza, piena dicertezza e di gioia, della nostra chiamataa condividere con Cristo Capo, noi mem-bra del suo corpo, la stessa sorte glorio-sa: “Per darci la serena fiducia che doveè lui, capo e primogenito, saremo anchenoi, sue membra, uniti nella stessa glo-ria”. L’unione indissolubile del Cristo Ca-po e della Chiesa suo Corpo, emerge conforza nella realtà della gloria di Cristo,nella gioia della sua presenza nei sacra-menti della Chiesa, nella speranza dellafutura partecipazione alla sua gloria.

La visione del Cristo Mediatore nostroalla destra del Padre nella gloria, appareanche nel prefazio dopo l’Ascensione, direcente composizione, con espressioni digrande valore teologico nei titoli di Cri-sto: “Entrato una volta per sempre nelsantuario dei cieli, egli intercede per noi,mediatore e garante della perenne effu-sione dello Spirito. Pastore e Vescovo del-le nostre anime…” La parola “Vescovo”(qui è applicata a Cristo) forse ha biso-gno di essere ritradotto nel senso di coluiche dall’alto veglia (dal verbo “episco-

Page 17: Pentecoste, compimento glorioso

pein”) sulla Chiesa e segue come buonPastore il gregge che deve essere portatoai pascoli della vita eterna.

Questo “cantus firmus” della comu-nione nel Cristo glorioso del Capo e dellemembra risuona anche nel testo propriodel Communicantes del canone romanocon questo “memoriale di comunione”,con parole rivolte al Padre: “Mentre cele-briamo il giorno santissimo nel quale iltuo unigenito Figlio nostro Signore, haportato alle altezze della tua gloria la fra-gile nostra natura che egli aveva unita asé…” È la certezza gioiosa che nell’uma-nità di Cristo ormai dimora la nostraumanità in attesa di congiungersi defini-tivamente tutto il Corpo di gloria con ilCapo nella dimora del cielo”. Gli altriembolismi propri della festa nella II e IIIpreghiera alludono soltanto alla costitu-zione di Cristo come Signore del cielo edella terra.

La voce dell’Oriente bizantino

La celebrazione del mistero dell’A-scensione nel rito bizantino si protrae findal mercoledì prima della festa, fino algiorno stesso di Pentecoste, con una ric-ca innologia, ispirata alle pericopi bibli-che narrative degli Atti degli Apostoli, in-trecciate da altri riferimenti biblici, se-condo lo stile proprio dell’ufficiatura bi-zantina. Si tratta di una innologia liturgi-ca che congiunge fin dall’inizio il temadell’Ascensione con il dono promessodello Spirito Santo. Alcuni concetti fon-damentali, espressi con la tipica innogra-

fia bizantina, ci aiutano a cogliere nelladoverosa complementarità fra Oriente eOccidente, la ricchezza del mistero cele-brato.

Uno dei primi tropari che aprono lafesta suona così: “Contemplando la tuaesaltazione sui monti santi, o Cristo, irra-diazione della gloria del Padre, noi can-tiamo la luminosa figura del tuo volto,adoriamo i tuoi patimenti, onoriamo latua risurrezione, glorificando la tua glo-riosa ascensione…” Non è alieno allamentalità liturgica bizantina, anzi proba-bilmente ha ispirato la liturgia romanadella festa, il tema della nostra umanitàassunta dal Verbo ed elevata nella gloria,come si esprime ancora uno dei troparidella festa che fanno come da “ouvertu-re” della grande sinfonia di preghiere diglorificazione e di intercessione: “Tu, chesenza separarti dal seno paterno, o dol-cissimo Gesù, hai vissuto sulla terra comeuomo, oggi dal Monte degli Ulivi, seiasceso nella gloria: e risollevando, com-passionevole, la nostra natura caduta,l’hai fatta sedere con te accanto al Pa-dre…” E in un altro testo, ispirato al Sal-mo 46 si canta: “È asceso Dio tra le ac-clamazioni, il Signore al suono dellatromba, per risollevare l’immagine cadutadi Adamo, e inviare lo Spirito Paraclito asantificazione delle nostre anime”.

Forse in uno dei tropari della festapossiamo trovare la fonte della nostra ce-lebre antifona dei secondi Vespri, sopraricordata, resa più sentita dalla bellissimamelodia gregoriana che ricalca lo schemamusicale delle Antifone “O” dell’ultimasettimana di Avvento. Leggiamo infatti

17

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 18: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

18

queste parole in uno dei tropari: “Ora chesei asceso ai cieli, dai quali eri disceso, nonlasciarci orfani, Signore: venga il tuo Spiritoa portare pace al mondo; mostra ai figli de-gli uomini le opere della tua potenza, o Si-gnore, amico degli uomini”.

Finalmente, un tocco mariano della festaviene offerto dalla liturgia bizantina con ilcostante riferimento alla Madre del Signore,presente all’Ascensione del Signore sul Mon-te degli Ulivi, secondo la più antica tradizio-ne iconografica. In maniera narrativa loesprime bene questo tropario: “Signore,compiuto nella tua bontà il mistero nascostoda secoli e da generazioni, sei andato con ituoi discepoli al Monte degli Ulivi, insieme acolei che ha partorito te, Creatore e Arteficedell’universo: bisognava infatti che godessedi immensa gioia, per la glorificazione dellatua carne, colei che come Madre più di tuttiaveva sofferto nella tua passione…” Il“theotokion” della festa canta alla Madredel Signore con queste ispirate parole chefanno riferimento alla discesa di Cristo nelseno di Maria e la sua risalita al cielo, con lanostra umanità, al seno del Padre: “Ecco, oMadre di Dio: il Figlio tuo che con la sua cro-ce ha spogliato la morte, è risorto il terzogiorno e dopo essersi manifestato ai suoi di-scepoli è asceso ai cieli; venerandoti insiemecon lui, ti celebriamo e ti diamo gloria…”

Un suggestivo paragone di Lutero

Il mistero dell’Ascensione del Signore, co-me glorificazione iniziale del Capo e speran-za certa della glorificazione della Chiesa suoCorpo, ha ispirato un paragone di grande

efficacia e che nella spiegazione di un teolo-go riformato, grande ecumenista, ormaiscomparso J. J. Von Allmen, si esprime an-che ogni giorno nella celebrazione dell’Euca-ristia dove l’offerta della Chiesa è un salirecon Cristo verso il Padre nella stessa dimen-sione ascensionale dell’offerta eucaristica.Scrive infatti questo autore, ricuperando ilsenso sacrificale della celebrazione dell’Eu-caristia: “L’Eucaristia (questo termine da soloè già d’assonanza sacrificale) è il momentoin cui la Chiesa fa l’offerta di se stessa, incui, se posso dirlo, essa si precipita verso Dioper la breccia che ha aperto, in un cielo al-trimenti ostruito, la morte di Gesù, in cuiavanza processionalmente per dare se stessain e attraverso ciò che essa porta con sé”.Ed aggiunge in nota: “E’ Lutero, credo, conle sue saporose spessezze delle sue immagi-ni, che paragona l’Ascensione del Cristo, ilsuo ingresso sacerdotale nel santuario (cf.Eb 9, 11 e ss.) ad un parto. Il momento piùduro, in un parto, è il passaggio della testa.Quando è passata la testa, il corpo se-gue…ma bisogna che questa testa abbia uncorpo, ci vuole un legame ontologico fraCristo e la Chiesa, senza cui questa non po-trebbe beneficiare dell’Ascensione di Cristoal cielo” (cf. Saggio sulla Cena del Signore,Roma, Ave,1968, p. 171).

È l’Eucaristia che noi celebriamo la cele-ste Ascensione di Cristo come nostro sacer-dote e vittima alla destra del Padre; è la suacostante discesa verso di noi con il suo cor-po eucaristico per riportarci al Padre; è lanostra costante ascesa con Cristo verso il Pa-dre come Corpo di Cristo, in attesa dell’ulti-ma definitiva presenza nostra nella Chiesaceleste.

Page 19: Pentecoste, compimento glorioso

1. “Mentre il giorno di Pentecostestava per finire”

l racconto della venuta delloSpirito Santo, negli Atti degliApostoli, comincia con queste

parole: “Mentre il giorno di Pentecostestava per finire, si trovavano tutti insie-me nello stesso luogo” (At 2, 1). Da ciòdeduciamo che la Pentecoste preesiste-va... alla Pentecoste. C’era già, in altreparole, una festa di Pentecoste nel giu-daismo e fu durante tale festa che scese

lo Spirito Santo. Anzi, per alcuni anni, anche dopo la

venuta dello Spirito, gli apostoli conti-nuarono, alla data stabilita, a celebrarequesta Pentecoste giudaica, insiemecon gli altri ebrei (cf At 20, 16). Anchela Pasqua sappiamo che esisteva già ese Gesù muore proprio in occasione diuna festa pasquale, ciò non avviene acaso, ma perché appaia che egli è lavera Pasqua, la realizzazione definitivadi ciò che prima avveniva soltanto in fi-gura.

19

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Pentecoste e Legge nuovap. Raniero Cantalamessa, ofm capp

I

Lavanda dei piedi, mosaico, sec. XI

Page 20: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

20

Ma mentre tutti sanno che esistevauna Pasqua ebraica e che cosa comme-morava, pochi, al contrario, sanno cheesisteva una festa di Pentecoste e checosa commemorava. Eppure, come nonsi capisce la Pasqua cristiana senza te-ner conto della Pasqua ebraica, cosìnon si capisce la Pentecoste cristiana,senza tener conto della Pentecosteebraica.

La venuta dello Spirito Santo realizzaanch’essa una figura e si tratta ora diconoscere qual è questa figura che rea-lizza.

Nell’Antico Testamento sono esistitedue interpretazioni fondamentali dellafesta di Pentecoste. All’inizio, la Pente-coste era la festa delle sette settimane(cf Tb 2, 1), la festa del raccolto (cf Nm28, 26 ss), quando si offriva a Dio la pri-mizia del grano (cf Es 23, 16; Dt 16, 9).Ma successivamente, al tempo di Gesù,la festa si era arricchita di un nuovo si-gnificato: era la festa del conferimentodella legge sul monte Sinai e dell’allean-za; la festa, insomma, che commemora-va gli avvenimenti descritti in Es 19-20.Secondo calcoli interni alla Bibbia, lalegge, infatti, fu data sul Sinai cinquan-ta giorni dopo la Pasqua.

Da festa legata al ciclo della natura (ilraccolto), la Pentecoste si era trasforma-ta in una festa legata alla storia dellasalvezza: “Questo giorno della festa del-le settimane – dice un testo dell’attualeliturgia ebraica – è il tempo del donodella nostra Torah”.

Uscito dall’Egitto, il popolo camminòper cinquanta giorni nel deserto e, al

termine di essi, Dio diede a Mosè la leg-ge, stabilendo, sulla base di essa, un’al-leanza con il popolo e facendo di esso“un regno di sacerdoti e una gente san-ta” (cf Es 19, 4-6).

Sembra che san Luca abbia voluta-mente descritto la discesa dello SpiritoSanto con i tratti che contrassegnaronola teofania del Sinai; usa infatti immagi-ni che richiamano quelle del terremotoe del fuoco. La liturgia della Chiesa con-ferma questa interpretazione, dal mo-mento che inserisce Es 19 tra le letturedella veglia di Pentecoste.

Cosa viene a dirci, della nostra Pen-tecoste, questo accostamento? Che si-gnifica, in altre parole, il fatto che loSpirito Santo scende sulla Chiesa pro-prio nel giorno in cui Israele ricordava ildono della legge e dell’alleanza? Giàsant’Agostino si poneva questa doman-da: “Perché i giudei celebrano anch’essila Pentecoste? C’è un grande e meravi-glioso mistero, fratelli: se fate caso, nelgiorno di Pentecoste essi ricevettero lalegge scritta con il dito di Dio e nellostesso giorno di Pentecoste venne loSpirito Santo”1.

A questo punto, è chiara la rispostaalla nostra domanda, cioè perché lo Spi-rito scende sugli apostoli proprio nelgiorno di Pentecoste: è per indicare cheegli è la legge nuova, la legge spiritualeche suggella la nuova ed eterna alleanzae che consacra il popolo regale e sacer-dotale che è la Chiesa. Che rivelazionegrandiosa sul senso della Pentecoste esullo stesso Spirito Santo! “Chi non ri-marrebbe colpito - esclama sant’Agosti-

Page 21: Pentecoste, compimento glorioso

no - da questa coincidenza e insieme daquesta differenza? Cinquanta giorni sicontano dalla celebrazione della Pasquafino al giorno in cui Mosè ricevette lalegge in tavole scritte dal dito di Dio; si-milmente, compiuti i cinquanta giornidall’uccisione e dalla risurrezione di co-lui che come agnello fu condotto all’im-molazione, il Dito di Dio, cioè lo SpiritoSanto, riempì di sé i fedeli tutti radunatiinsieme”2.

Di colpo, si illuminano le profezie diGeremia e di Ezechiele sulla nuova al-leanza: “Questa sarà l’alleanza che ioconcluderò con la casa d’Israele dopoquei giorni dice il Signore: Porrò la mialegge nel loro animo, la scriverò sul lorocuore” (Ger 31, 33).

Non più su tavole di pietra, ma suicuori; non più una legge esteriore, mauna legge interiore. In che cosa consi-ste questa legge interiore, lo spiegameglio Ezechiele che riprende e com-pleta la profezia di Geremia: “Vi daròun cuore nuovo, metterò dentro di voiuno spirito nuovo, toglierò da voi ilcuore di pietra e vi darò un cuore dicarne. Porrò il mio Spirito dentro di voie vi farò vivere secondo i miei statuti evi farò osservare e mettere in pratica lemie leggi” (Ez 36, 26-27).

Quello che san Paolo dice del donodello Spirito, al capitolo ottavo della Let-tera ai Romani, non si comprende senon sullo sfondo di queste premesse sulsignificato della Pentecoste e della nuo-va alleanza. Egli infatti inizia dicendo:“La legge dello Spirito che dà vita inCristo Gesù ti ha liberato dalla legge del

peccato e della morte” (Rm 8, 2). La“legge dello Spirito” significa “la leggeche è lo Spirito”.

2. La legge nuova è lo Spirito

La legge nuova, o dello Spirito, non è,perciò, in senso stretto, quella promulga-ta da Gesù sul monte delle beatitudini,ma quella da lui incisa nei cuori a Pente-coste. I precetti evangelici sono certo piùelevati e perfetti di quelli mosaici; tutta-via, da soli, anch’essi sarebbero rimastiinefficaci. Se fosse bastato proclamare lanuova volontà di Dio attraverso il Vange-lo, non si spiegherebbe che bisogno c’erache Gesù morisse e che venisse lo SpiritoSanto. Ma gli apostoli stessi dimostranoche non bastava; essi che pure avevanoascoltato tutto – per esempio, che biso-gna porgere, a chi ti percuote, l’altraguancia – al momento della passionenon trovano la forza di eseguire nessunodei comandi di Gesù.

Se Gesù si fosse limitato a promulgareil comandamento nuovo, dicendo: “Vi doun comandamento nuovo: che vi amiategli uni gli altri” (Gv 13, 34), esso sarebberimasto, come era prima, legge vecchia,“lettera”. È quando egli, a Pentecoste,infonde, mediante lo Spirito, quell’amorenei cuori dei discepoli, che esso diventa,a pieno titolo, legge nuova, legge delloSpirito che dà la vita. È per lo Spirito chetale comandamento è “nuovo”, non perla lettera. Per la lettera esso era anticopoiché si trova già nell’Antico Testamen-to (cf Lv 19,18).

21

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 22: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

22

Senza la grazia interiore dello Spiri-to, anche il Vangelo, dunque, anche ilcomandamento nuovo, sarebbe rimastolegge vecchia, lettera. Riprendendo unpensiero ardito di sant’Agostino, sanTommaso d’Aquino scrive: “Per letterasi intende ogni legge scritta che resta aldi fuori dell’uomo, anche i precetti mo-rali contenuti nel Vangelo; per cui an-che la lettera del Vangelo ucciderebbe,se non si aggiungesse, dentro, la graziadella fede che sana”3. Ancora più espli-cito è ciò che ha scritto un po’ prima:“La legge nuova è principalmente lastessa grazia dello Spirito Santo che èdata ai credenti”4.

Ci troviamo davanti a una certezza difede veramente ecumenica, cioè che èpatrimonio comune di tutte le granditradizioni cristiane. Non solo, infatti, lateologia cattolica e quella protestante,eredi del pensiero agostiniano, ma an-che la teologia dell’Ortodossia condividequesta visione. Scrive un autorevole rap-presentante di questa tradizione:

“Gli apostoli e padri della nostra fe-de ebbero il vantaggio di essere istruitiin ogni dottrina e per di più dal Salvato-re in persona. [...] Tuttavia, pur avendoconosciuto tutto questo, finché non fu-rono battezzati [a Pentecoste, con loSpirito], non mostrarono nulla di nuovo,di nobile, di spirituale, di migliore del-l’antico. Ma quando venne per essi ilbattesimo e il Paraclito irruppe nelle loroanime, allora divennero nuovi e abbrac-ciarono una vita nuova, furono guidaagli altri e fecero ardere la fiamma del-l’amore per Cristo in sé e negli altri. [...]

Allo stesso modo Dio conduce alla per-fezione tutti i santi venuti dopo di loro:essi lo conoscono e lo amano, non at-tratti da nude parole, ma trasformatidalla potenza del battesimo, mentre l’a-mato li plasma e li trasforma, creando inessi un cuore di carne e allontanandol’insensibilità. Egli scrive, ma, come dicePaolo, “non su tavole di pietra, bensìsulle tavole di carne del cuore” (2 Cor 3,3); e non vi incide semplicemente la leg-ge, ma lo stesso legislatore. È lui che in-cide se stesso”5.

3. La legge è l’amore

Questa legge nuova agisce attraversol’amore! La legge nuova altro non è senon quello che Gesù chiama il “coman-damento nuovo”. Lo Spirito Santo hascritto la legge nuova nei nostri cuori,infondendo in essi l’amore: “L’amore diDio è stato riversato nei nostri cuori permezzo dello Spirito Santo che ci è statodonato” (Rm 5, 5).

Questo amore è l’amore con cui Dioama noi e con cui, contemporaneamen-te, fa sì che noi amiamo lui e il prossi-mo. È una capacità nuova di amare. L’a-more è il segno e il rivelatore della vitanuova recata dallo Spirito. Scrive Gio-vanni: “Noi sappiamo che siamo passatidalla morte alla vita perché amiamo ifratelli” (1 Gv 3, 14).

Chi si accosta al Vangelo con la men-talità umana, trova assurdo che si facciadell’amore un “comandamento”. Cheamore è – si obietta – se non è libero,

Page 23: Pentecoste, compimento glorioso

ma comandato? La risposta è che vi so-no due modi secondo cui l’uomo puòessere indotto a fare, o a non fare, unacerta cosa: o per costrizione o per attra-zione; la legge ve lo induce nel primomodo, per costrizione, con la minacciadel castigo; l’amore ve lo induce nel se-condo modo, per attrazione.

Ciascuno infatti è attratto da ciò cheama, senza che subisca alcuna costrizio-ne dall’esterno. Mostra, diceva ancorasant’Agostino, a un bambino delle nocie lo vedrai slanciarsi per afferrarle. Chilo spinge? Nessuno, è attratto dall’og-getto del suo desiderio. Mostra il Bene aun’anima assetata di verità ed essa sislancerà verso di esso. Chi ve la spinge?Nessuno, è attratta dal suo desiderio.L’amore è come un “peso” dell’animache attira verso l’oggetto del propriopiacere, in cui sa di trovare il proprio ri-poso6.

È in questo senso che lo Spirito San-to – concretamente, l’amore – è una“legge”, un “comandamento”: essocrea nel cristiano un dinamismo che loporta a fare tutto ciò che Dio vuole,spontaneamente, senza neppure dovercipensare, perché ha fatto propria la vo-lontà di Dio e ama tutto ciò che Dioama. L’amore attinge la volontà di Dioalla sua stessa sorgente. Attinge, nelloSpirito, la vivente volontà di Dio.

Avviene come nell’“innamoramento”quando, presi dall’amore, ogni cosa si facon gioia, spontaneamente, non perabitudine, o con calcolo. La stessa diffe-renza che crea, nel ritmo della vita uma-na e nel rapporto tra due creature, l’in-

namoramento, la crea, nel rapporto tral’uomo e Dio, la venuta dello SpiritoSanto.

4. Obbedienza e libertà

Che posto ha, in questa economianuova, dello Spirito, l’osservanza dei co-mandamenti? La risposta cristiana aquesto problema ci viene dal Vangelo.Gesù dice di non essere venuto ad“abolire la legge”, ma a “darle compi-mento” (cf Mt 5, 17). E qual è il “com-pimento” della legge? “Pieno compi-mento della legge – risponde l’Apostolo– è l’amore!” (Rm 13, 10). L’amore, al-lora, non sostituisce la legge, ma la os-serva, la “compie”. Esso è, anzi, l’unicaforza che può farla osservare. Nella pro-fezia di Ezechiele si attribuiva al donofuturo dello Spirito e del cuore nuovo, lapossibilità di osservare la legge di Dio:“Porrò il mio Spirito dentro di voi e vifarò vivere secondo i miei statuti e vifarò mettere in pratica le mie leggi” (Ez36, 27). “È stata data la legge perché sicercasse la grazia ed è stata data la gra-zia perché si osservasse la legge”7.

La legge dello Spirito non annulla,dunque, i comandamenti, ma li custodi-sce e li compie che, al contrario, tende a“stabilire” e “fondare” la legge (cf Rm3, 31). Tra legge e amore si stabilisce,come si vede, un mirabile scambio, unasorta di circolarità e di pericoresi. Se èvero infatti che l’amore osserva la legge,è vero anche che la legge preserva l’a-more. In diversi modi la legge è a servi-

23

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 24: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

24

zio dell’amore e lo difende. Anzitutto sisa che “la legge è data per i peccatori”(cf 1 Tm 1, 9) e noi siamo ancora pecca-tori; abbiamo, sì, ricevuto lo Spirito, masolo a modo di primizia; in noi l’uomovecchio convive ancora con l’uomo nuo-vo e finché ci sono in noi le concupi-scenze, è provvidenziale che vi siano deicomandamenti che ci aiutano a ricono-scerle e a combatterle, fosse pure con laminaccia del castigo. La legge è un so-stegno dato alla nostra libertà ancoraincerta e vacillante nel bene. Essa è per,non contro, la libertà.

Ma c’è un senso ancora più profondoin cui si può dire che la legge custodiscel’amore. È stato scritto: “Soltanto quan-do c’è il dovere di amare, allora soltantol’amore è garantito per sempre controogni alterazione; eternamente liberato inbeata indipendenza; assicurato in eternabeatitudine contro ogni disperazione”8.L’uomo che ama, più ama intensamente,più percepisce con angoscia il pericoloche corre questo suo amore, pericolo chenon viene da altri che da lui stesso; eglisa bene infatti di essere volubile e chedomani potrebbe già stancarsi e non

——————

1 Agostino, Sermo Mai, 158, 4: PLS 2, 525.

2 Agostino, De Spiritu et littera, 16, 28: CSEL60, 182.

3 Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-IIae, q. 106, a. 2.

4 Ibid., q. 106, a. 1; cf già Agostino, De Spiri-tu et littera, 21, 36.

5 N. Cabasilas, Vita in Cristo, II, 8: PG 150,552 s.

6 Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni,26, 4-5: CCL 36, 261; Confessioni, XIII, 9.

7 Agostino, De Spiritu et littera, 19, 34.

8 S. Kierkegaard, Gli atti dell’amore, I, 2, 40, ed.a cura di C. Fabro, Milano 1983, p. 177 ss.

amare più. E poiché adesso che è nell’a-more vede con chiarezza quale perdita ir-reparabile questo comporterebbe, eccoche si premunisce “legandosi” all’amorecon la legge e ancorando, in tal modo, ilsuo atto d’amore, che avviene nel tem-po, all’eternità.

L’uomo d’oggi si domanda sempre piùspesso che rapporto ci può essere mai tral’amore di due giovani e la legge del ma-trimonio e che bisogno ha l’amore di“vincolarsi”. Così sono sempre più nu-merosi coloro che sono portati a rifiutare,in teoria e in pratica, l’istituzione del ma-trimonio e a scegliere il cosiddetto amorelibero o la semplice convivenza. Solo se siscopre, attraverso la parola di Dio, ilprofondo e vitale rapporto che c’è tralegge e amore, tra decisione e istituzio-ne, si può rispondere correttamente aquelle domande e dare ai giovani un mo-tivo convincente per “legarsi” ad amareper sempre e a non aver paura di faredell’amore un “dovere”. Il dovere diamare protegge l’amore dalla “dispera-zione” e lo rende “beato e indipenden-te” nel senso che protegge dalla dispera-zione di non poter amare per sempre.

Page 25: Pentecoste, compimento glorioso

resso tutti i popoli della terra laluce era vista come emanazionedella divinità, come presenza del

divino, come il più grande dono dell’entesupremo all’uomo e, quindi, da sempredietro l’immagine della luce e del sole (lapiù evidente fonte di irradiazione della lu-ce) c’è il tentativo di trovare un senso eduna speranza per la vita umana nella vitto-ria quotidiana della luce sulle tenebre.1

Sia nel concetto pagano, per il quale sipotrebbero citare innumerevoli testimo-nianze sulla effusione della luce come ma-nifestazione del sole-divinità, che nel con-cetto ebraico per il quale la luce è non so-lo emanazione della trascendenza delCreatore, ma realepresenza teofanica diDio, citata a profusio-ne nei libri dell’AnticoTestamento, si innestala venuta del Messiache i secoli hanno de-siderato: il Cristo Si-gnore!

“Tutto ciò chel’Antico Testamentosuggeriva sul tema bi-blico della luce, vie-ne ora realizzato inGesù in maniera uni-ca e definitiva: sullasua persona convergetutto lo spessore bibli-

co, simbolico ed esistenziale che il termineluce racchiude ed evoca. La sua venuta è«la visita del sole che sorge e rischiaraquelli che stanno nelle tenebre e nell’om-bra di morte» (Lc 1, 78-79); il suo destinoè di essere «luce per illuminare le genti»“(Lc 2, 32) 2

L’evangelista Giovanni si assume l’inca-rico, la prestigiosa incombenza, il dinamicoimpegno di rivelare pienamente la naturapersonale di Cristo-luce, Parola sussistenteed eterna.

Giovanni, infatti, nel Prologo sottolineache: “In principio era il Verbo, il Verbo erapresso Dio e il Verbo era Dio. In lui era lavita e la vita era la luce degli uomini; la lu-

25

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Il Cereo Pasquale: Lumen Christimons. Cosma Capomaccio

P

Ambone e colonnina per il cero pasquale,Roma, Basilica di San Lorenzo fuori le Mura

Page 26: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

26

ce splende nelle tenebre ma le tenebrenon l’hanno accolta. Veniva nel mondo laluce vera quella che illumina ogni uomo”(Gv 1, 1. 4-5. 9) e per sottolineare che l’e-vento si è realizzato: “… e il Verbo di fececarne e venne ad abitare in mezzo a noi”(Gv 1,14).

Sempre Giovanni ci riporta le parolestesse di Gesù nel colloquio con Nicode-mo: “La luce è venuta nel mondo, ma gliuomini hanno preferito le tenebre alla lu-ce, perché le loro opere erano malvagie”.(Gv 3, 19)

Gesù stesso, dunque, si identifica conla luce: “Di nuovo Gesù parlò loro: «Iosono la luce del mondo; chi segue me,non camminerà nelle tenebre, ma avrà laluce della vita»”. (Gv 8,12)

La veglia pasquale, che sant’Agostinodefinisce con felice espressione la noxsancta: mater omnium vigiliarum, la ma-dre di tutte le veglie, è anche il nucleocentrale di tutta la dimensione biblica eteologica, quindi liturgica della celebra-zione cristiana perché è la conclusione ditutto l’itinerario della salvezza voluta dalPadre e realizzata dal Figlio nello Spiritocon l’incarnazione, l’annuncio della buo-na novella, la passione, la morte e la ri-surrezione.

La veglia pasquale, pertanto, è il vissu-to storico che si attualizza nella celebra-zione, nell’attesa che diviene partecipa-zione alla storia della nostra salvezza, chesi dilata nel tempo e che si rende segnonel cero pasquale: lumen Christi.

Il cero pasquale, pertanto, è l’altaespressione liturgica di un mirabile simboli-smo scritturale ed evangelico, tutto impo-

stato sulla luce fisica vista come immaginedi Cristo, splendore della Divinità, luce ve-ra che illumina ogni uomo sulla terra. LaChiesa nella grande notte di Pasqua poneil cero al centro del presbiterio, lo offre so-lennemente a Dio come oblazione di lodee di ringraziamento e lo presenta ai fedeliperché senza tema di errore camminino al-la luce dei suoi insegnamenti 3.

Quando la liturgia della veglia pasqualeha avvertito la necessità di esprimere permezzo della fiamma di un cero la straordi-naria evidenza del Cristo risorto in unaesplosione di luce, Lui che è la luce in-creata, immarcescibile, per il quale tutto èstato creato, appare nella splendida, magi-ca e sfavillante liturgia della notte pasqua-le lo splendore di tale simbolo.

L’origine del cero pasquale è incerta.Alcuni studiosi la intesero in rapporto

con i lumi di gioia che si accendevano nellagrande notte di Pasqua, in chiesa e fuori,simbolo della illuminatio spiritualis ricevutadai neofiti mediante il battesimo.

Eusebio racconta che l’imperatore Co-stantino “sacram autem vigiliam, in diur-num splendorem converterat, accensistota urbe cereorum quibusdam columnisper eos quibus ad operis erat iniunctum.Lampades quoque accensae cuncta pas-sim loca illustrabant; adeo ut haec mysti-ca vigilia quovis vel splendidissimo diesplendidior redderetur”4.

A tale proposito lo stesso Eusebio rife-risce che Narciso, vescovo di Gerusalem-me, intorno all’anno 200 accortosi trop-po tardi che nella notte di Pasqua i mini-stri non avevano preparato olio suffi-ciente per alimentare le numerose lam-

Page 27: Pentecoste, compimento glorioso

pade della chiesa, con conseguente sbi-gottimento dei fedeli, ordinò che esse siriempissero d’acqua, che prodigiosamen-te si tramutò in olio.5

Altri ricercatori, invece, econ maggior fondamentofanno derivare l’origine delcero pasquale dal Lucerna-rio, l’Ufficio vespertino concui, fin dalla più remota an-tichità, si iniziava in quasitutte le chiese la vigilia delladomenica e, quindi, quellasolennissima della Pasqua,nella quale si offriva e con-sacrava a Cristo, splendoredel Padre e luce indefettibi-le, il lume, la lucerna, desti-nato a diradare le tenebredella notte. La pellegrinaEgeria, descrivendo l’ufficioserale nell’Anastasi di Geru-salemme, ricorda il lumeche si traeva dall’internodella cappella del S.Sepol-cro da una lampada che viardeva notte e giorno e concui “incenduntur omnescandelae et cerei et fit lu-men infinitum”6.

E’ ovvio presumere chequello che si faceva ogni se-ra, venisse ancor più ripetu-to all’inizio della solenneveglia pasquale. Un Ordo diGerusalemme del secolo Vriferisce che: “Vespere sab-bathi cereus in sancta Ana-stasi accenditur. Episcopus

primo ps. 112 recitat; deinde tres cereosaccendit; post eum diaconi et universusdenique coetus fidelium. Post haec eccle-

siam repetitur ad vigiliampaschalem incipiendam”7.

Si comprende, allora,come mai il diacono a cuiera affidato il compito diaccendere le lampade del-la chiesa per illuminarla,assume l’alto compito dibenedire il cero pasqualealla presenza del vescovo edel presbiterio. A lui, per-tanto, spettava anche l’ in-combenza di preparare ilformulario relativo alla be-nedizione, secondo unoschema tradizionale benconosciuto, o, qualora sene sentisse incapace, pro-curarsi da persone compe-tenti un testo degno diben figurare in una circo-stanza così solenne.

“Il lucernare è l’ufficioche si celebra circa due oreprima del tramonto del so-le; l’ora indicata dal testo(di Egeria) è quella delle 4pomeridiane, ma essa varia-va seguendo le stagioni. Lu-cernare (licinicon da lych-nikon) richiama al momen-to in cui sono accese le lu-cerne. La funzione, analogama più solenne di quella delmattino, comincia con unrito di luce, prosegue con la

27

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Cero pasquale,Cappella dell’adorazione, Roma,

“Madonnella di San Marco”

Page 28: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

28

recita di salmi e antifone e, alla venuta delvescovo, con inni e altre antifone”8.

Tra gli inni è probabile che si cantassequello che le Costitutiones Apostolicae,un’opera scritta in Siria nel secolo IV, defi-niscono inno vespertino: il phôs hilaròn,preghiera che bisogna immaginare cantatanello splendore e nella suggestione di ungran numero di ceri e di torce accese nellarotonda dell’Anastasi.

Questa stupenda composizione inno-dica, uno dei più antichi inni cristiani esi-stenti, epilychnios eucaristia, è una lodemolto semplice, ma notevolmente pro-fonda a Cristo vera luce che risplendenelle tenebre del mondo e illumina e sal-va tutti gli uomini:

O luce gioiosa della santa gloria del Pa-dre immortale,

celeste, santo, benedetto Gesù Cristo!Giunti al tramonto del solee vista la luce della sera,noi lodiamo te Padre, Figlio e Spirito

Santo, Dio!È giusto e santo che ti lodiamo in ogni

tempocon voci auguranti, o Figlio di Dio, do-

natore di vita.Ecco perché il mondo intero ti

glorifica!9

Risulta evidente, da questi concisi ac-cenni, l’intensa simbologia che promanadal cero pasquale acceso dal vescovo sulsagrato della chiesa all’inizio della vegliapasquale e portato solennemente, nellaprocessione di ingresso, dal diacono cheper tre volte canta Lumen Christi al qualerisponde l’assemblea radunata Deo gra-

tias mentre si accendono, nella volutaoscurità della chiesa, prima la candela delvescovo, poi quelle del clero e infinequelle dei fedeli.

Soltanto nel secolo XII si trova la citazio-ne della cerimonia nella quale si portava iltricereo che era l’asta con la quale si ac-cendeva il cero, solitamente molto alto,asta provvista di due o tre candele per im-pedire che spegnendosene una si dovesseripetere la sgradevole fatica di trarre unaseconda volta il fuoco dalla pietra.

Il diacono saliva sull’ambone per canta-re la benedizione del cero. Questa benedi-zione, di provenienza orientale, è veramen-te molto antica tanto da poterla stabilirecon certezza prima della metà del secoloIV dal momento che si possiede una letteradi san Girolamo, risalente all’anno 384,scritta al diacono Presidio di Piacenza chegli aveva chiesto un carmen cerei nellaquale il santo opponendogli con velata iro-nia un rifiuto, lascia comprendere che que-sta usanza era già radicata quasi ovunquee non solo nella Chiesa di Piacenza10.

Lo stesso sant’Agostino ricorda di avercomposto alcuni versi : “Quod in laudequadam Cerei breviter versibus dixi” 11.

Anche sant’Ambrogio sembra essereautore di un Praeconium paschale in versicontenuto nell’Antifonario di Bangor e diquello ancora in uso nel rito ambrosiano12.

Dal Concilio IV di Toledo, dell’anno633, si apprende che in quel tempo eranopoche le chiese dell’Occidente che nonavevano ancora adottato il rito della bene-dizione: “lucerna et cereus in praevigiliispaschae apud quasdam ecclesias non be-nedicuntur”13.

Page 29: Pentecoste, compimento glorioso

Sappiamo da san Gregorio Magno che,in una lettera scritta nell’anno 601 all’arci-vescovo di Ravenna Mariniano, in queltempo infermo e che, pertanto, si sarebbestancato per la lungaggine della benedizio-ne del cero pasquale che in quella città co-me in Spagna era di sua competenza, indi-ca il rito della benedizione del cero pa-squale come un rito proprio di quella città,segno evidente che esso era sconosciuto aRoma: a vigiliis quoque temperandum etpreces quae super cereum in Ravennate ci-vitate dici solent, vel expositiones Evangelii,quae circa paschalem solemnitatem a sa-cerdotibus fiunt, per alium dicantur” 14.

Anche se il Liber Pontificalis attribuiscea papa Zosimo (417-418) la concessione aidiaconi delle chiese suburbicarie di Roma,parreciae, la licenza di benedire il cero pa-squale (anche se la segnalazione non è deltutto certa) in realtà sembra che il rito nonfu introdotto nella liturgia di Roma primadel secolo VIII.

Il sacramentario Gelasiano ci fornisce laprima testimonianza di questa benedizioneinserita in un rito molto semplice: verso l’o-ra ottava del sabato santo, l’Arcidiacono,alla presenza di tutti i sacri ministri e delclero, si presenta all’altare con il cero e do-po aver tracciato su di esso una croce loaccende con la fiamma di una candelatratta da tre lampade accese il giovedì san-to e tenute nascoste perché nel Venerdìsanto ogni cosa doveva manifestare le te-nebre e la desolazione; di seguito lo bene-dice con il solenne preconio pasquale e ilrito termina così15.

“Purtroppo dopo la riforma liturgicacarolingia, che introdusse elementi galli-

cani e germanici con conseguenti elabo-razioni rituali dei secoli X e XI, il rito ini-ziale di questo giorno risultò confuso ecosì rimase anche nelle rubriche del Mes-sale di S.Pio V. Infatti l’annuncio squillan-te del Lumen Christi cantato dal diaconoa quale l’assemblea rispondeva con unfestoso Deo gratias non era rivolto al ce-ro, che rimaneva spento al suo posto ac-canto all’ambone, ma ad una canna contre candele accese che era mostrata agliastanti. Eppure il diacono richiamava so-lennemente l’attenzione dei presenti allasua luce, ad tam miram hujus sancti lu-minis claritatem, e pregava il Signore diaccogliere benevolmente l’offerta vesper-tina in quella luce, incensi hujus sacrifi-cium vespertinum“16.

Per la verità un migliore assetto ritualeera presentato da un Ordo dell’Italia set-tentrionale della fine del secolo X nel qualesi prescrive che il diacono accenda il ceropasquale con una fiamma ricavata dalnuovo fuoco, poi lo segni con la croce e lomostri all’assemblea acclamando per trevolte Lumen Christi e dopo con il cantodell’Exultet lo offra a Dio17.

Il formulario chiamato di volta in voltaCarmen cerei, Laus cerei, Praeconim pa-schale, Exultet, si trova per la prima voltanel Missale gallicanum del secolo VII conil titolo: Benedictio Caerae S. AugustiniEpiscopi, (quam) cum adhuc diaconus es-set, cecinit.

Molti codici attribuiscono a S. Agosti-no tale paternità anche perché, come giàdetto, egli stesso ammette di aver com-posto una Laus cerei in versi, della qualeci ha lasciato una dimostrazione.

29

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 30: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

30

Il tema del Praeconium è la vittoria diCristo riportata in questa notte sulla mortee sulle tenebre, simbolo del peccato.

Inizia con l’invito rivolto agli angeli e al-l’assemblea celeste ad esultare per iltrionfo del Cristo risorto, si offre a Dio lafiamma del cero come sacrificio vespertino,che tanta gioia e splendore irradia sullaChiesa Madre nostra, si esalta Cristo trion-fatore sulla morte e redentore del genereumano, si celebra la notte pasquale,adombrata nell’Antico Testamento e pienadi tanti misteriosi avvenimenti, con la nuo-va luce di salvezza operata da Cristo, si fal’elogio delle api laboriose artefici del cero,la cui purezza richiama la fecondità so-prannaturale di Cristo e la sua nascita ver-ginale e si conclude con una preghiera pertutti gli ordini della Chiesa.

Anche se è veramente irriverente com-pendiare in queste poche battute tutta lasplendida e sfolgorante innodia con laquale si esaltano le opere del Signore, mi-rabilia Dei, e la risurrezione di Cristo nellosfavillio del cero pasquale, la lettura dell’in-tero testo del Praeconium paschale potreb-be fornirci tutto lo spessore biblico, teolo-gico e, quindi, liturgico del cero - Cristo ri-sorto – luce immarcescibile che illumi-na il mondo!

Nel canto dell’Exultet, della Laus cerei,del Praeconium paschale, senza alcun dub-bio mirabile innesto di antichi testi patristi-ci, è contenuta la più importante testimo-nianza della realtà teologica della vegliapasquale.

Il cero, questo semplice ammassamentodi cera, acceso e benedetto all’inizio dellaveglia pasquale, deposto sul candelabro

collocato a lato dell’ambone, diventa la piùsquisita e pregnante simbologia della risur-rezione.

Se il cero pasquale, come è stato detto,è l’immagine simbolica del Cristo che conla sua risurrezione illumina il mondo e di-sperde con la sua luce divina le tenebredell’errore e del peccato, la sua stessa col-locazione e posizione accanto all’amboneè evidente significazione di irradiazione so-prannaturale sul diacono che dall’amboneproclama la Parola di Dio, il Verbum Domi-ni, che unisce alla sonorità stessa della pro-clamazione la realtà concreta e visibile del-la illuminazione della Parola che l’assem-blea, radunata dallo Spirito Santo per cele-brare il mistero di Cristo, riceve: Cristo èrisorto!

Ogni volta che si entra nell’edificiochiesa, infatti, guardando l’ambone, sim-bolo della tomba vuota dal momento checolui che l’occupava non c’è più perché èrisorto ed attualizza nell’oggi della cele-brazione la presenza del Cristo-luce, ed ilcandelabro sul quale svetta il cero pasqua-le, simbolo della luce divina di Cristo chesi irradia in tutti il mondo e sugli uomini diogni razza, lingua e cultura, il nostro cuo-re si riempie di gioia e di gratitudine versoil Signore che, nella sua bontà e nel suoamore infinito, ci ha redento dal peccato econ la sua passione dolorosa , la sua mor-te atroce e la sua dirompente risurrezioneci ha donato la possibilità di diventare edessere per sempre figli di Dio!

Ci sembra, pertanto, una impropriaoperazione separare il candelabro con ilcero pasquale dalla sua collocazione ori-ginaria accanto all’ambone, con il perico-

Page 31: Pentecoste, compimento glorioso

——————

1 C. CAPOMACCIO, Monumentum resurrec-tionis, Ambone e candelabro per il cero pa-squale, Monumenta Studia Instrumenta Li-turgica 22, Città del Vaticano 2002, 171.

2 P. GIRONI, Luce/Tenebre, in NDTB, Milano1988,860.

3 M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica,vol.I, Milano 1964, 71.

4 EUSEBIUS, De vita beatissimi imperatorisConstantini, lib.4, cap.22, PL 8, 75.

5 EUSEBIUS, Historia ecclesiastica, VI, 9, 2,ed.Bardy, II, 98.

6 ETHERIE, Journal de voyage, II 24: SCh 21,ed.H.Pètrè, 190.

7 Rituale Armenorum, ed. da F. M. CONYBEA-RE in appendice, Oxford 1905, 520.

8 P. SINISCALCO-L. SCARAMPI, Egeria. Pelle-grinaggio in terra santa, Roma 1958, 134,n.164.

9 C. CAPOMACCIO, op. cit., 219.

10 E.HIERONIMUS, Epistola XVIII ad Praesidium.De Cereo Paschali, PL 30, 188.

11 A.AUGUSTINUS, De civitate Dei, CCL 15,cap. 22, ed. B. Dombart-A.Kalb, 88

12 B.CAPELLE, L’Exultet pascal oeuvre de SaintAmbroise, in Miscellanea Giovanni Mercati,ST 121, (1946), 246.

13 F.LABBEI-G.CASSARTII, Sacrosancta Concilia.Concilium Toletanum IV, IX, t. V, Lutetiae Pa-risiorum 1671, 1708.

14 GREGORIUS, Epistola I, XI, n.33.

15 Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae or-dinis anni circuli, L. C. Mohlberg, fontes IV,I, XLII, 425, Roma 1981, 68.

16 M. RIGHETTI, o,c,, 260.

17 Ordo, in Miscellanea Cerini, ed. H. M. BAN-NISTER, Milano 1910, 135.

18 C. CAPOMACCIO, op. cit., 307.

lo di perdere o di non comprendere piùtutte le suggestioni e le sollecitazioni teo-logiche appena esposte. È pur vero, d’al-tronde, che spesso nelle chiese la vistosae inconcepibile assenza dell’ambone po-ne seri problemi alla corretta e liturgicacollocazione del cero pasquale che perdela sua vera e profonda simbologia di im-magine del Risorto, luce che illuminaogni uomo.

Non è raro trovare, oggi, il cero pasqua-le, benedetto solennemente (?) nella vegliadella notte di Pasqua, sistemato in un luo-go qualunque del presbiterio o, a volte,abbandonato in un angolo dello stesso,sorretto da una fragile o banalissima base-supporto, e spesso costituito da una finta

candela di plastica con l’anima di una can-deletta di cera!

“Il mistero pasquale di Cristo, centroirradiatore della sua azione salvifica, cipropone attraverso la celebrazione litur-gica non solo una chiave di lettura dell’a-more misericordioso di un Dio che sem-pre ha l’iniziativa salvifica e che manda ilsuo Verbo a salvarci ed invia il suo Spiritoa farci “Chiesa”, ma che ci invita a cam-minare nella storia per raggiungere il Re-gno e partecipare alla liturgia celeste.Tutto ciò ci ricordano ogni giorno ed inogni celebrazione liturgica l’ambone ed ilcandelabro con il cero pasquale di ognichiesa sparsa nel mondo: un inno gioiosoalla risurrezione di Cristo”18.

31

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Page 32: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

32

truttura, elementi e parti dellaMessa: a questi tre argomentifondamentali è dedicato il se-

condo capitolo dell’Ordinamento Gene-rale del Messale Romano. Nei due arti-coli dedicati alla struttura generale dellaMessa (27 e 28) si ribadisce che “nellaMessa o Cena del Signore, il popolo diDio è chiamato a riunirsi insieme sottola presidenza del sacerdote, che agiscenella persona di Cristo, per celebrare ilmemoriale del Signore, cioè il sacrificioeucaristico” e che “Cristo è realmentepresente nell’assemblea riunita in suonome, nella persona del ministro, nellasua parola e in modo sostanziale e per-manente sotto le specie eucaristiche”.La struttura della Messa è costituita dadue parti, la Liturgia della Parola e la Li-turgia eucaristica, “così strettamentecongiunte tra loro da formare un unicoatto di culto. Nella Messa, infatti, vieneimbandita tanto la mensa della parola diDio quanto la mensa del Corpo di Cri-sto, e i fedeli ne ricevono istruzione e ri-storo. Ci sono inoltre alcuni riti che ini-ziano e altri che concludono la celebra-zione”.

Passando ad evidenziare i diversi ele-menti della Messa, il testo mette in evi-denza in primo luogo la proclamazione

della parola di Dio: “Quando nella Chie-sa si legge la sacra Scrittura, Dio stessoparla al suo popolo e Cristo, presentenella sua parola, annunzia il Vangelo.Per questo tutti devono ascoltare convenerazione le letture della parola diDio, che costituiscono un elemento im-portantissimo della Liturgia”. Una mag-giore comprensione della Sacra Scritturaproclamata durante la Messa, nelle si-tuazioni e nei tempi di oggi, viene assi-curata dall’omelia.

Tra le parti proprie del sacerdote, alprimo posto è la Preghiera eucaristica,“culmine di tutta la celebrazione”, se-guono poi l’orazione di inizio (o collet-ta), l’orazione sulle offerte e l’orazionedopo la Comunione. “Queste preghiere,dette dal sacerdote nella sua qualità dipresidente dell’assemblea nella personadi Cristo, sono rivolte a Dio a nome del-l’intero popolo santo e di tutti i presenti.Perciò giustamente si chiamano «orazio-ni presidenziali».” Ancora al sacerdotequale presidente dell’assemblea raduna-ta, spetta formulare alcune monizionipreviste nel rito, guidare la proclamazio-ne della parola di Dio e impartire la be-nedizione finale. Egli può inoltre interve-nire con brevissime parole, per introdur-re i fedeli alla Messa del giorno, prima

Testi e Documenti

Ordinamento generaledel Messale Romano – 3

Stefano Lodigiani

S

Page 33: Pentecoste, compimento glorioso

dell’atto penitenziale; prima delle lettu-re; prima di iniziare il prefazio; prima delcongedo. Queste parti «presidenziali»devono essere proferite a voce alta echiara, perché siano ascoltate da tutticon attenzione, quindi “non si devonosovrapporre altre orazioni o canti, e l’or-gano e altri strumenti musicali devonotacere”.

Tra le altre formule che ricorrono nel-la celebrazione, grande rilievo assumo-no i dialoghi tra il sacerdote e i fedeli ele acclamazioni, “infatti questi elementinon sono soltanto segni esteriori dellacelebrazione comunitaria, ma favorisco-no e realizzano la comunione tra il sa-cerdote e il popolo… costituiscono quelgrado di partecipazione attiva che i fe-deli riuniti devono porre in atto in ogniforma di Messa, per esprimere e ravviva-re l’azione di tutta la comunità”. Permanifestare e favorire la partecipazioneattiva dei fedeli, spettano all’intera as-semblea convocata l’atto penitenziale,la professione di fede, la preghiera uni-versale (detta anche preghiera dei fede-li) e la preghiera del Signore (cioè il Pa-dre nostro). Nella celebrazione dellaMessa esistono tuttavia anche altre for-mule che sottolineano la partecipazionedell’assemblea: alcune costituiscono unrito o un atto a sé stante (come l’innoGloria, il salmo responsoriale, l’Alleluia eil versetto prima del Vangelo, il Santo,l’acclamazione dell’anamnesi e il cantodopo la Comunione), mentre altre ac-compagnano qualche rito (i canti di in-gresso e di offertorio, l’Agnello di Dio

durante la frazione del pane e il canto diComunione).

Particolare importanza viene ancheattribuita al modo di proclamare i varitesti: il sacerdote, il diacono, il lettore oqualsiasi altro ministro, deve pronunzia-re il testo a voce alta e chiara, inoltre lavoce deve corrispondere al genere deltesto, “secondo che si tratti di una let-tura, di un’orazione, di una monizione,di un’acclamazione, di un canto”.

Nella celebrazione della Messa deveessere data grande importanza al can-to. “Anche se non è sempre necessario,per esempio nelle Messe feriali, cantaretutti i testi che per loro natura sono de-stinati al canto, si deve comunque farein modo che non manchi il canto deiministri e del popolo nelle celebrazionidomenicali e nelle feste di precetto”. Lapreferenza deve essere accordata alcanto gregoriano, “in quanto propriodella Liturgia romana”, anche se gli altrigeneri di musica sacra non sono daescludere, “purché rispondano allo spi-rito dell’azione liturgica e favoriscano lapartecipazione di tutti i fedeli”. E’ inol-tre opportuno che i fedeli “sappianocantare insieme, in lingua latina, e nellemelodie più facili, almeno le parti del-l’ordinario della Messa, specialmente ilsimbolo della fede e la preghiera del Si-gnore”.

L’atteggiamento comune del corpo,da osservarsi da tutti i partecipanti du-rante la celebrazione della Messa, “è se-

33

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006 Testi e Documenti

Page 34: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

34

gno dell’unità dei membri della comu-nità cristiana riuniti per la sacra Litur-gia”. I fedeli stiano in piedi dall’iniziodel canto di ingresso, o mentre il sacer-dote si reca all’altare, fino alla conclu-sione dell’orazione di inizio (colletta),durante il canto dell’Alleluia prima delVangelo; durante la proclamazione delVangelo; durante la professione di fedee la preghiera universale (o preghieradei fedeli); e ancora dall’invito “Pregatefratelli” prima dell’orazione sulle offertefino al termine della Messa. Stiano inve-ce seduti durante la proclamazione delleletture prima del Vangelo e durante ilsalmo responsoriale; all’omelia e duran-te la preparazione dei doni all’offertorio;se lo si ritiene opportuno, durante il sa-cro silenzio dopo la Comunione. Stianoinvece inginocchiati alla consacrazione,a meno che lo impediscano lo stato disalute, la ristrettezza del luogo, o il grannumero dei presenti, o altri ragionevolimotivi. Quelli che non si inginocchianoalla consacrazione, facciano un profon-do inchino mentre il sacerdote genuflet-te dopo la consacrazione.

Spetta alle Conferenze Episcopaliadattare i gesti e gli atteggiamenti delcorpo, descritti nel Rito della Messa, allacultura e alle ragionevoli tradizioni deivari popoli. Dove vi è la consuetudineche i fedeli rimangano in ginocchio dal-l’acclamazione del Santo fino alla con-clusione della Preghiera eucaristica e al-l’Agnello di Dio, tale uso può essere lo-devolmente conservato. Per ottenerel’uniformità nei gesti e negli atteggia-

menti del corpo in una stessa celebra-zione, i fedeli seguano le indicazioni cheil diacono o un altro ministro laico o lostesso sacerdote danno secondo le nor-me stabilite nel Messale.

Nella celebrazione eucaristica si svol-gono anche azioni e processioni: la pro-cessione del sacerdote che, insieme aldiacono e ai ministri, si reca all’altare al-l’inizio della Messa; quella del diaconoche porta all’ambone l’Evangeliario pri-ma della proclamazione del Vangelo;quella con la quale i fedeli presentano idoni o si recano a ricevere la Comunio-ne. “Conviene che tali azioni e proces-sioni siano fatte in modo decoroso,mentre si eseguono canti appropriati”.

Questa parte del secondo capitolodell’Ordinamento Generale del MessaleRomano dedicata ai diversi elementi del-la Messa, si conclude con alcune anno-tazioni riguardanti il silenzio, da osserva-re, a suo tempo, “come parte della cele-brazione”. Durante l’atto penitenziale edopo l’invito alla preghiera, il silenzioaiuta il raccoglimento; dopo la lettura ol’omelia, è un richiamo a meditare bre-vemente ciò che si è ascoltato; dopo laComunione, favorisce la preghiera inte-riore di lode e di supplica. “Anche primadella stessa celebrazione è bene osser-vare il silenzio in chiesa, in sagrestia, nelluogo dove si assumono i paramenti enei locali annessi, perché tutti possanoprepararsi devotamente e nei giusti mo-di alla sacra celebrazione”.

(continua)

Testi e Documenti

Page 35: Pentecoste, compimento glorioso

l deserto del nord-Africa, nel III eIV secolo divenne un laboratoriodi vita, un luogo in cui fare espe-

rienza profonda della verità del Vangelo.Gli eremiti che vissero in quei luoghiesplorarono l’ampiezza del significato diessere persona umana, con tutte le tenta-zioni, le tensioni, tutta la lotta interiore,l’incontro con il bene ed il combattimentocon il male. Questi abba, anziani, padridel deserto, si fecero domande essenzialisulla loro esperienza, che insieme alle lororisposte costituiscono una collezione didetti, di “apophthegmata”.

Questi costituiscono ancora per noi unafonte preziosa, un tesoro a cui attingereper ritrovare noi stessi alla luce dell’espe-rienza di Dio. Questi detti ci aiutano a daresenso alle situazioni di “deserto” che vivia-mo nella nostra esistenza, come ogni for-ma di solitudine, di fallimento, di debolez-za. Tutti noi viviamo momenti di siccità, diaridità, in cui emerge la speranza ed il desi-derio di vita.

Sappiamo infatti che lo scontro con lanostra povertà, con le nostre sofferenze,costituisce un’occasione di grande effica-cia per arrivare all’autenticità, alla veritàdi noi stessi. Nella lettura e meditazionedi alcuni di questi detti lasciamoci illumi-nare da queste scintille del mistero dellanostra vita messa di fronte all’amore diDio. In questo modo ancora oggi i dettidei padri del deserto ci rimandano aduna vita nuova, rinnovata, portata a pie-

nezza, nell’orizzonte del vero significatodi essere umani.

Un fratello mi disse: “Il mio padre, ab-ba Soy del monte Diyoliqon, mi ha detto:Se nel cuore di un fratello vengono i pen-sieri, egli non può scacciarli completa-mente dal suo cuore, a meno di introdur-vi una Parola della Scrittura o una delleparole degli anziani. Quando, infatti, ilpadrone di casa è in essa, gli estranei chesono nella casa fuggono via”.

Alcuni fratelli si recarono da abba Feli-ce, insieme ad alcuni laici, e lo pregaronodi dire loro qualcosa. Ma l’anziano taceva.Tuttavia, poiché lo pregarono a lungo, eglidisse loro: “Volete udire una parola?”. Glidissero: “Si, abba”. L’anziano allora disse:“Ora non è più possibile una parola.Quando i fratelli interrogavano gli anzianie facevano ciò che essi dicevano, Dio met-teva sulla loro bocca ciò che dovevano di-re. Ora, invece, poiché chiedono ma nonfanno ciò che si sentono dire, Dio ha toltola grazia della parola agli anziani ed essinon sanno che cosa dire, poiché non c’èchi metta in pratica”. E i fratelli, all’udirequeste parole, levarono un gemito e disse-ro: “Prega per noi, padre!”.

Timoteo disse: “Colui che sopporta l’ol-traggio del proprio nemico, questi è forte esapiente. Colui, invece, che non sopportal’oltraggio e l’ignominia, neppure riceveonore; l’uomo sapiente, infatti, trae profit-to da ambedue queste situazioni”.

35

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006 In dialogo

I

Deserto luogo della vitadon Giovanni Biallo

Page 36: Pentecoste, compimento glorioso

Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

36

Buona cosa è l’esperienza, infatti èquel che mette alla prova una persona.

Un fratello disse ad abba Poemen: “Seoffro a mio fratello un po’ di pane o qual-cos’altro, che accade se i demoni guasta-no questi doni dicendomi che ciò è statofatto al solo scopo di piacere alla gente?”.L’anziano gli disse: ”Anche se fosse perpiacere alla gente, siamo sempre tenuti adoffrire quanto possiamo”. Gli narrò la se-guente parabola. “Due contadini vivevanonella stessa città. Uno di loro seminava emieteva soltanto un piccolo e povero rac-colto, mentre l’altro non si dava nemme-no cura di seminare e non mieteva assolu-tamente nulla. Se sopraggiunge una care-stia, quale dei due troverà qualcosa di cuivivere?”. Il fratello rispose: “Quello che hamietuto il piccolo e povero raccolto”. L’an-ziano gli disse: “Così è per noi: seminiamoun misero grano per non morire di fame”.

Abba Pacomio disse: “Se un uomo fabene ogni cosa, ma nella sua anima c’è ildisprezzo per il suo fratello, è estraneo alSignore. Giovanni L’evangelista infatti di-ce: “Chi odia il proprio fratello uccide l’a-nima (1Gv 3,15)”.

Un fratello interrogò abba Giovannidelle Celle e gli disse: “Com’è possibile cheun uomo dia l’elemosina con le sue mani,di sua volontà, e poi sia incapace di darequalcosa di quello che già gli appartieneal suo fratello?”. Gli rispose l’anziano:“Questo accade perché un tale uomo nonsi è ancora fatto estraneo, e il Signore Ge-sù non lo ha ancora toccato con le suemani perché sia sanato (Mt 8,3.15; 9,29)”.

Alcuni dei padri interrogarono abbaPoemen dicendo: “Se vediamo un fratel-

lo nell’atto di commettere un peccato,pensi che dovremmo rimproverarlo?”.L’anziano disse loro: “Per parte mia, semi succede di uscire e di vedere qualcunoche commette un peccato, proseguo perla mia strada senza rimproverarlo”.

Un anziano disse: “Come mai non sia-mo capaci di togliere dalle nostre spalleun carico pesante e di prendere un caricoleggero (Mt 11,30) e riposarci?”. Quindidel carico pesante disse: “Se porti accusecontro tuo fratello e innalzi te stesso,questo è un carico pesante. Il carico è in-vece leggero quando prendi su di te leaccuse e innalzi tuo fratello”.

Un fratello della Libia venne da abba Sil-vano sul monte Panefo e gli disse: “Abba,ho un nemico che mi fa del male; quand’e-ro nel mondo mi ha rubato il mio campo,mi ha spesso teso insidie, ed ecco che haassoldato della gente per avvelenarmi. Vo-glio consegnarlo al giudice”. L’anziano glidisse: “Fa ciò che ti dà pace, figlio”. E il fra-tello gli disse: “Abba, se riceve il castigo, lasua anima ne trarrà profitto?”. L’anzianodisse: “Fa come ti pare, figlio”. Il fratellodisse all’anziano: “Alzati, padre, preghia-mo, e poi io vado dal giudice”. L’anziano sialzò e dissero il “Padre nostro”. Comegiunsero alle parole: “Rimetti a noi i nostridebiti come noi li rimettiamo ai nostri debi-tori (Mt 6,12)”, l’anziano disse: “Non ri-mettere a noi i nostri debiti, come noi nonli rimettiamo ai nostri debitori”. Il fratellodisse: “Non è così, padre”. “E’ così, figlio,disse l’anziano, se veramente vuoi andaredal giudice per vendicarti, Silvano non faaltra preghiera per te”. E il fratello fece unametania e perdonò il suo nemico.

In dialogo

Page 37: Pentecoste, compimento glorioso

PRIMA LETTURADal libro del profeta Geremia (31,31-34)

Geremia, rivolgendosi agli esuli di Ba-bilonia vuol infondere speranza nella pos-sibilità del ritorno a Gerusalemme; i Capi-toli 30-31 del suo libro sono perciò definiti“libretto delle consolazioni”. Come il ritor-no dall’Egitto e l’inizio della vita sulla ter-ra promessa erano stati caratterizzati dallaprima alleanza, infranta poi dal peccatodel popolo punito con l’esilio così per il ri-torno da Babilonia Dio porrà le basi di unanuova alleanza. Questa però, per operadella grazia divina, avrà delle profonde ra-dici nel cuore dell’uomo, che il peccatonon potrà distruggere. Nel NT in particola-re la lettera agli Ebrei (8,8-12) riconosceràil compimento in Cristo di questa promes-sa. Egli infatti sarà il sacerdote di questanuova alleanza.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (5,7-9)

L’autore porta avanti una riflessioneteologica sulla modalità nuova, rispetto al-l’AT, con cui Cristo attua il suo sacerdozioper la salvezza degli uomini. Lo fa com-mentando i salmi 2,7 e 109,4 che presen-tano un sacerdozio “alla maniera di Melki-sedec”. In questo sacerdozio Gesù è assie-me sacerdote e vittima, la sua stessa vitaofferta liberamente in una piena obbedien-za di amore al Padre è la vittima pura esanta, sacrificio gradito a Dio che ottienela sua vittoria sulla morte e la comunica-

zione di questa vita divina, la salvezza, atutti coloro che lo seguono nella via del-l’obbedienza.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (12,20-33)

Il vangelo di questa domenica viene in-trodotto da Giovanni con un’affermazionedei nemici di Gesù: “Ecco che tutto ilmondo gli è andato dietro” (Gv 12,19); e lavenuta dei greci che vogliono vedere Gesù,è una riprova di questo. Ormai l’annunciodella venuta del Regno di Dio, attraversoGesù, si è diffusa ovunque, ed è tempo chela salvezza si attui, che lo scontro fra Gesùed il male raggiunga il suo culmine. Saràuna lotta che Gesù vincerà solo passandoattraverso la prova della passione e dellamorte, solo la sua morte vincerà definitiva-mente la morte, perché non sarà una mortedefinitiva, ma come quella del chicco digrano. Riflette infatti S. Leone Magno: “ilnostro Signore, unico fra i figli degli uomi-ni, è stato il solo in cui tutti sono stati cro-cifissi, tutti sono morti, tutti sono stati se-polti, tutti del pari sono stati risuscitati; edè di loro che egli stesso diceva: - quandosarò elevato da terra attirerò tutto a me - ”.

L’importanza della morte e resurrezionedi Gesù, ha consistito infatti in questa pos-sibilità di coinvolgimento, nel fatto chetutti gli uomini siano stati raggiunti dall’ef-fusione di grazia che ha irradiato la resur-rezione.

Gli effetti di questa rinnovata comunio-ne tra Dio e l’umanità che la croce di Gesù

37

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B2 aprile 2006Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.

La parola di Dio celebratadon Nazzareno Marconi

Page 38: Pentecoste, compimento glorioso

ha ottenuto, quella che chiamiamo salvez-za, sono destinati a spandersi su “tutto”,come commenta sant’ Agostino : “Egli hadetto, tutto attirerò a me, per riferirsi al-l’integrità della creatura: spirito, anima ecorpo; cioè, quello che ci fa comprendere,quello che ci fa vivere, quello che ci fa vi-sibili e sensibili”. La vita che Gesù ci pro-pone di guadagnare, impegnando, perden-do la nostra vita, per farla rinnovare dallasua salvezza, è una vita piena, totale. Gesùnon è venuto sulla terra per salvare soltan-to le anime in una vita futura; ma la sal-vezza che ci offre agisce già fin da ora e sicompirà nella resurrezione finale ancheper i nostri corpi. Ricevere fin da ora lasalvezza, vuol dire ricevere un nuovo mododi vivere la propria capacità di compren-dere e la propria realtà corporea. C’è unmodo di capire, giudicare progettare ilmondo che è proprio di coloro che deside-rano ricevere da Gesù, fin da ora, la sal-vezza.

Essere salvati nella mente, vuol direconoscere, giudicare e progettare da cri-stiani, da amici che seguono il Signore. Maquesta salvezza tocca anche il nostro mododi vivere nel nostro corpo; vivere in un

corpo salvato vuol dire riconoscere che ilcreatore ci ha donato non solo il corpo, maanche l’insegnamento e la forza spiritualenecessaria per farne l’uso migliore. Esseresalvati nel corpo vuol dire usarne senza la-sciarci usare da esso, vuol dire seguire l’e-sempio di Cristo che ha fatto l’uso miglioreche un uomo possa fare del suo corpo, loha consumato fino in fondo, per amare glialtri attraverso di esso. La pienezza dellagrazia che il Cristo promette ai salvati sitrova attraverso questa via, che non è fuorimoda, né impraticabile per l’uomo di oggi,come non lo è stata per gli uomini di ognitempo; è soltanto realmente impegnativa.

È una via di salvezza alla quale tuttisiamo chiamati, perché, come continuasant’Agostino: “Con quel Tutto, Egli ha vo-luto intendere anche tutte le specie di uo-mini, di tutte le lingue, di tutte le età, sen-za distinzione di grado e di onori, di inge-gno o di talento, di professione o di arte, aldi là di qualsiasi altra distinzione che, aldi fuori del peccato, possa essere fatta tragli uomini, dai più illustri ai più umili, dalre sino al mendico: - Tutto - Egli dice - at-tirerò a me -, in quanto io sono il loro capoed essi le mie membra”.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

38

DOMENICA DELLE PALMEE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE B9 aprile 2006La passione del Signore.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (50,4-7)

Durante l’esilio a Babilonia il profetachiamato deuteroisaia aveva già propostoun reale capovolgimento dell’idea del sal-vatore atteso. All’immagine del re potente,che si afferma con la forza, aveva sostituitoquella del “servo sofferente”, investito dal-la parola divina, che accetta di prenderesu di sé il male del mondo. È il contenutobasilare di questo terzo canto del servo del

Signore. Ma questo messaggio non era sta-to ancora compreso. Il servo fedele perònon si scaglia contro il popolo che lo rifiu-ta, anzi assume su di sé anche le loro col-pe e li riscatta.

SECONDA LETTURADalla lettera ai Filippesi (2,6-11)

Con molta probabilità qui Paolo usa uninno composto dalla primitiva comunitàcristiana per glorificare il Cristo. È certo

Page 39: Pentecoste, compimento glorioso

che abbiamo qui una delle prime testimo-nianze della fede ecclesiale nella Signoriadi Gesù. Egli è fra noi presenza vera e vivadi Dio. Tutta la sua vita è stata un donod’amore. La sua risurrezione dimostra iltrionfo di questo stesso amore. Ormai e persempre il suo nome è al di sopra di ognialtro nome.

VANGELODal vangelo secondo Marco(14,1-15,47)

Con la domenica di Passione, detta an-che Domenica delle Palme, ha inizio lasettimana Santa. Non si tratta di un tempodi “ripasso” dei fatti storici che stanno al-la base della nostra salvezza, ma di unosforzo di approfondimento che la Chiesa cipropone sul significato che questi fattihanno per la nostra vita.

La liturgia ritiene perciò importanteproporci per due volte il racconto comple-to della passione di Gesù: in questa dome-nica alternando i tre vangeli sinottici, enella celebrazione del Venerdì Santo leg-gendo la Passione secondo san Giovanni.Dopo questo annuncio evangelico la chie-sa dedica l’intero giorno del Sabato Santoalla riflessione ed al silenzio.

Un grande padre della Chiesa, sanGregorio di Nazianzo ci dà utili suggeri-menti per il fruttuoso ascolto della narra-zione della Passione: “Imitiamo attraversole nostre passioni la Passione, col nostrosangue onoriamo il Sangue, saliamo condecisione la croce. La lettura della Passio-ne non deve essere una lettura fredda ecuriosa, ma una lettura appassionata, unameditazione attenta di come Gesù ha vis-suto la sua passione perché impariamo avivere la nostra”.

“Se sei Simone Cireneo, prendi la crocee segui il Maestro”; la passione è così vici-na che ognuno di noi può sentirsi protago-nista, gli stessi evangelisti con il loro stileci spingono ad identificarci nei personaggiche si accostano a Gesù. “Se, come il la-

dro, sei appeso alla croce, da uomo onestoriconosci Dio; se Lui per te e per i tuoipeccati è stato posto fra gli empi, tu, perLui, fatti giusto. Adora Colui che è statoper tua colpa sospeso ad un legno; e se tustai appeso, ricava un vantaggio dalla tuamalvagità; compra la tua salvezza con lamorte, entra in Paradiso con Gesù, per ca-pire da quale altezza eri caduto”.

Anche i personaggi negativi, quelliche sbagliano o che hanno sbagliato nelloro passato, sono dei preziosi modelliche ci invitano alla conversione, ci fannoprendere coscienza del nostro male, cispingono a fidarci di Gesù e della sua mi-sericordia senza limiti. In tutti noi c’è unpo’ di traditore verso Dio e verso i fratelli,allora “lasciamo che il traditore muoiafuori con la sua bestemmia”. “Se sei Giu-seppe d’Arimatea chiedi il corpo a chi locrocifisse; fai tuo quel corpo che haespiato i peccati del mondo. Se sei unadelle tre Marie, fa in modo di poter vede-re la tomba scoperchiata, o forse gli ange-li, o perfino lo stesso Gesù... se comeTommaso, sei lontano dai discepoli che,videro Gesù, dopo che 1’avrai visto anchetu, non rifiutare la tua fede”.

Entrare nella passione vuol dire soprat-tutto entrare in un cammino di fede che de-ve portarci a riconoscere in Gesù risorto ilvero salvatore dell’uomo. È un camminodifficile, da fare tenendo soprattutto fissigli occhi su Pietro, che più di tutti ci somi-glia, con la sua generosità sincera, ma an-che tutte le sue paure, con i suoi piccoli ograndi tradimenti, ma anche la sua grandeforza d’animo nel fidarsi del perdono di Ge-sù, nell’attenderlo anche quando la sua fe-de era molto debole, e non aveva coraggiodi stare sotto quella croce. E la nostra fededeve giungere proprio lì, sotto la croce,perché crederemo veramente che Gesù è ilFiglio che ci salva, solo quando sapremocrederlo con il suo buon ladrone, nel mo-mento in cui soffriremo ingiustamente eGesù non ci darà altro aiuto che quello disoffrirci accanto. Allora sarà difficile vince-

39

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

Page 40: Pentecoste, compimento glorioso

vendica dei cattivi, ma li perdona, e li amaperché si pentano, allora saremo veramentecristiani.

proclamato nella prima lettura in cui siparla della elezione e della missione delprofeta. Nei tratti indicati da Isaia egli ri-conosce le caratteristiche della Missioneconfidatagli dal Padre, quella stessa cheEgli affiderà agli apostoli: è un impegnototalizzante di annuncio del vangelo, diguida per un popolo a volte cieco, di con-solatore per quanti sono feriti dal male edal peccato, di liberazione per quanti sonolegati da ogni genere di schiavitù.

Nella messa del Crisma queste lettureacquistano un particolare significato sacer-dotale, che riguarda sia il sacerdozio regalee comune dei fedeli, conferito dal sacramen-to del battesimo e perfezionato da quellodella cresima, sia il sacerdozio ministerialeconferito dal sacramento dell’ordine. Signifi-cativamente la celebrazione di questi tre sa-cramenti comporta l’uso del crisma, anchese nel battesimo è primaria l’acqua battesi-male e nell’ordine l’imposizione delle mani.

In questa lettura unitaria dei tre sacra-menti in ottica sacerdotale e delle tre let-ture emerge come nella prima lettura il ri-ferimento sia soprattutto al sacerdozio diCristo che rivela e fonda la dignità sacer-dotale dell’intero nuovo popolo di Dio: laChiesa. Nella seconda lettura emerge inmaniera più diretta il sacerdozio comunedei fedeli che si compie nell’offrirsi al Pa-dre in unione con i sacrificio del Cristo. Ilvangelo completa la contemplazione delsacerdozio del Cristo come nuovo sacerdo-zio che unisce in sé le prerogative di an-nuncio della Parola proprie dei profeti,quelle di guida e difesa del popolo nel be-

GIOVEDI’ SANTO13 aprile 2006Messa Crismale

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

40

re la tentazione del cattivo ladrone. Se sa-premo riconoscere il nostro Dio, come ilcenturione, in questo Dio umile che non si

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (61,1-3.6.8-9)

Questo brano del Trito-Isaia presenta lamissione del profeta: ha ricevuto da Dio unmessaggio di consolazione, Israele diven-terà un popolo di sacerdoti, colmato di glo-ria. Il profeta descrive la sua chiamata emissione, per attuarla riceve il dono delloSpirito Santo, rappresentato come una un-zione che indica la speciale elezione daparte di Dio, ma anche la consegna di uncompito determinato che richiederà l’im-pegno pieno della vita del profeta.

È in questa totalità di appartenenza aDio e di impegno verso tutti i popoli che sicaratterizza la missione sacerdotale del po-polo di Israele.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (1,5-8)

Questo brano, che si trova all’inizio dellibro dell’Apocalisse, come introduzione al-le lettere alle sette chiese, che costituisco-no la prima parte dell’opera, è una ripresadei temi sacerdotali enunciati in Es 19,6 edi Is 61,6 presente nella lettura preceden-te. Questi testi antichi sono interpretatidall’autore alla luce dell’evento Cristo, ilquale con la sua azione redentrice rendetutti i credenti popolo sacerdotale.

VANGELODal vangelo secondo Luca (4,16-21)

Gesù si riconosce nel brano di Isaia

Page 41: Pentecoste, compimento glorioso

ne proprie dei re e quelle di consacrazionedella vita e del mondo proprie dei sacerdo-ti. La complessità e multiformità di questosacerdozio di Cristo spiega bene come, nelpiano provvidente di Dio, abbia avuto ori-

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (12,1-8.11-14)

Questo testo costituisce un sintetico ri-tuale della celebrazione della pasqua ebrai-ca. Una festa che era nata in ambiente no-madico, forse per festeggiare con la nascitadegli agnelli la ripresa del ciclo della vitadel gregge, e quindi carica di contenuti disperanza, di fiducia in Dio, di inizio di unanuova vita. La sua coincidenza temporalecon gli eventi dell’Esodo dall’Egitto portòIsraele a reinterpretarne il significato, ca-ratterizzandola ancora di più come festadella fede in Dio, festa del passaggio dallamorte alla vita, tanto da diffondere un’eti-mologia popolare che leggeva il termine pa-squa come “passaggio”. Questa storia apriràa Gesù la possibilità, nell’ultima cena pa-squale con i suoi, di una nuova reinterpre-tazione della festa come il suo “passaggio”dalla vita terrena alla vita della gloria.

SECONDA LETTURADalla prima lettera ai Corinzi (11,23-26)

Paolo, dando norme per il corretto svol-gimento delle assemblee comunitarie parlaanche del “Pasto del Signore”. In questobreve brano emergono tre tratti caratteristi-ci dell’eucaristia, il tema della tradizione, ilfatto dell’ultima cena, il suo aspetto escato-logico. L’eucaristia giunge a noi non da unadecisione umana ma da una trasmissionefedele di generazione in generazione del

gine il servizio sacerdotale di alcuni in fa-vore della comunità e del mondo intero,quali collaboratori e “partecipi del mini-stero di salvezza del Cristo”, come dice ilprefazio di questa liturgia.

comando di Gesù. Un comando che ricolle-ga ad un evento, un fatto concreto e realeche proprio per la sua verità e concretezzasalva: la passione di Gesù. Questo eventoattua la sua potenza di salvezza dal calvarioalla fine dei tempi quando il corpo gloriosodi Cristo ci verrà di nuovo incontro, nonpiù velato dalle specie eucaristiche.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (13,1-15)

La descrizione dell’ultima cena di Gesùfatta da Giovanni, non fa riferimento all’i-stituzione dell’eucaristia narrandola, mapiuttosto mostrandone simbolicamente ilsignificato attraverso il racconto della la-vanda dei piedi. Nelle parole dell’Istituzio-ne riportate dai sinottici Gesù annunciache il suo corpo e sangue sono donati per idiscepoli e per il mondo. Questa attitudinedi dono totale di sé, che nella passione emorte si rivelerà nella sua pienezza, Gesùla esplicita con il gesto della lavanda deipiedi. Compiendo l’atto di lavare i piedi aisuoi, Gesù ha dato in sé il segno del suoamore supremo che deve fungere da mo-dello per i discepoli. La celebrazione del-l’eucaristia e l’esercizio che in essa sicompie del sacerdozio ministeriale sarebbesoltanto ritualismo se non fosse nutritadalla carità fraterna. Qui è il vero centrodell’amore cristiano: essere simili, confor-mi a Gesù nella carità. Il sacerdozio mini-steriale è garantito quanto alla validità del-

41

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

MESSA IN COENA DOMINILi amò sino alla fine.

Page 42: Pentecoste, compimento glorioso

di Dio che si serve del ministro umano malo scopo, la realtà ultima del sacramentoconsiste nella carità che tende all’unità.

dono vuol invece radunare tutti gli uomininell’unica famiglia dei salvati.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni(18,1-19,42)

La passione di Gesù nel quarto vangeloè la rivelazione drammatica e l’esaltazionedella regalità di Cristo. Tutto il racconto siarticola in 5 grandi scene che pongono na-turalmente in evidenza quella centrale.Abbiamo perciò: la cattura, il processogiudaico, il processo davanti a Pilato, lacrocifissione e morte, la sepoltura di Gesù.Il processo davanti a Pilato si articola tuttosulla tematica della vera regalità: Gesù è ilvero re, mentre non lo sono i re di questomondo. La regalità di Cristo viene solenne-mente dichiarata come realtà non politicae mondana, ma trascendente e divina, con-siste nella verità (Gv 18,37) e soprattuttoconsiste nella croce (Gv 19,19).

L’insistenza giovannea sul fatto che sul-la croce si pone una “scrittura” che pro-clama Gesù re, e che questa scrittura nonpuò essere modificata proprio perché “or-mai è stata scritta”, è il suo modo simboli-co di mostrare che la croce è il vero com-pimento delle antiche Scritture, essa è laScrittura definitiva. La Scrittura della cro-ce, che viene adorata in questo giorno pro-clama, secondo le parole della liturgia:Cristo sposo dell’umanità per il quale lacroce è talamo, Cristo re di cui la croce è iltrono, Cristo sacerdote che ha nella croceil suo altare.

VENERDÌ SANTO14 aprile 2006Solenne Azione LiturgicaPassione del Signore.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

42

le sue azioni sacramentali; l’eucaristia ce-lebrata dal sacerdote validamente ordinatoè valida; questa validità consiste nell’agire

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (52,13-53,12)

Il quarto canto del Servo di Yahwè, èforse il più ricco di dottrina ed il più diffi-cile da interpretare. Può essere diviso in treparti: la prima e l’ultima sono un oracolo diDio che proclama la buona sorte del servo;la parte centrale è una descrizione dram-matica della sorte del servo che viene per-seguitato; la conclusione è un oracolo nelquale si assicura che al di là delle sofferen-ze il servo sarà premiato, avrà come ricom-pensa i popoli, una grande fecondità, atti-rerà a se le moltitudini umane e dispenseràla giustizia divina. Tutto il canto ha la suagrande spiegazione e attuazione nella pas-sione e nella morte e resurrezione di Gesù,lo sfondo in cui lo colloca l’odierna liturgia.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (4,14-16; 5,7-9)

L’affermazione del sacerdozio di Cristoè intrecciata con l’esortazione ad accostar-si con fiducia a Dio. La novità del concettodi sacerdozio applicato a Cristo dalla lette-ra agli Ebrei rispetto a quello dell’Anticotestamento è la capacità di compatire do-vuta alla solidarietà di Cristo con le provee le esperienze umane del dolore e dellamorte. Il sacerdozio dell’AT era dedito adun culto rituale e non ammetteva il senti-mento della compassione e della compren-sione degli erranti: voleva dividere gli uo-mini in puri ed impuri. Il sacerdozio delCristo attraverso la compassione ed il per-

Page 43: Pentecoste, compimento glorioso

La Veglia Pasquale nella notte santa haquattro parti: il solenne inizio della vegliao “lucernario”, l’abbondante liturgia dellaParola, la liturgia battesimale ed infine laliturgia eucaristica.

La liturgia della Parola presenta unaintensa meditazione sulle tappe più signi-ficative della storia della salvezza che han-no condotto alla resurrezione di Cristo. Laliturgia offre un commento sintetico e den-so ad ogni lettura, attraverso l’orazione diapertura e le orazioni che seguono le lettu-re. Si mettono in rilievo molte tematichetra loro complementari.

TEMI DELLE 7 LETTURE DELL’AT

Tutta la storia della salvezza rivela laguida divina della storia umana.

-La potenza di Dio si manifesta fin dal-la creazione (Gn 1,1-2,2).

-Il compimento della promessa adAbramo si ha nel dono della figliolanza di-vina attraverso il battesimo (Gn 22,1-18)

-La salvezza del popolo dalla schiavitùegiziana è immagine che anticipa la sal-vezza dei popoli dalla schiavitù del pecca-to (Es 14,15-15,1).

-La paternità divina, secondo la rivela-zione profetica, si estende a tutti i popoli(Is 54,5-14).

-La salvezza per tutti, che i profeti ave-vano annunciato, può compiersi solo graziealla conversione operata nei cuori dallapotenza dello Spirito (Is 55,1-11).

-Se Israele ha abbandonato la fontedella sapienza, Dio però non ha abbando-nato il suo popolo e l’intera umanità a cuicontinua ad offrire la salvezza (Bar 3,9-15.32-4,4).

-La promessa di una nuova alleanza siè compiuta attraverso la morte di Cristo e

l’effusione del suo sangue (Ez 36,16-28).

EPISTOLA Dalla lettera ai Romani (6,3-11)

Questo cammino apre all’ascolto dellalettera ai Romani che proclama il misterodella resurrezione di Cristo letto alla lucedel battesimo cristiano. Paolo sottolineal’aspetto essenziale della vita cristiana: lascoperta dell’amore gratuito di Dio. Chil’accoglie ne viene profondamente trasfor-mato. Riceve il dono dello Spirito. Avvieneuna trasformazione radicale, una vera mor-te dell’uomo vecchio ed una resurrezionead una esistenza nuova. Questo cambia-mento diventa ogni giorno più radicale epieno quanto più cresce la nostra identifi-cazione con Gesù Cristo. Con lui moriamoal vecchio mondo del peccato ed entriamonel nuovo mondo della grazia divina.

VANGELODal Vangelo secondo Marco (16,1-8).

La prima redazione del vangelo di Mar-co si concludeva in un modo che potevasembrare strano, ma che in realtà era mol-to eloquente. Essa non riferiva nessuna ap-parizione del Risorto. Conteneva solo l’or-dine dato alla donne di cercare Gesù inGalilea. Le donne, tremanti, non osanoneppure trasmettere la notizia agli aposto-li. Così Marco insiste fino alla fine sullosgomento provocato dalla persona di Gesù:anche dopo la resurrezione, i discepoli nonvedono ancora chiaramente il Figlio di Dioche, tuttavia, era stato riconosciuto dal sol-dato romano ai piedi della croce. Partendoper il mondo, di cui la Galilea è il simbolo,potranno finalmente comprendere che cosasia il regno di gloria creato dal Signore.

43

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

VEGLIA PASQUALE16 aprile 2006Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto.

Page 44: Pentecoste, compimento glorioso

Questa chiusa delle lunghe letture dellaveglia serve anche a noi, lettori attuali, chetroppo spesso diamo per scontata la nostra

PRIMA LETTURADal libro degli Atti (10,34.37-43)

Pietro è presentato dal libro degli Atticome il primo e più autore-vole interprete della predi-cazione apostolica. Questaha al suo centro la procla-mazione della morte e dellaresurrezione di Gesù. Gliapostoli, che hanno mangia-to e bevuto con Gesù dopo lasua resurrezione, sono suoitestimoni. Essi hanno rice-vuto dal Risorto il comandodi annunciare al popolo,cioè ad Israele, che Egli è ilgiudice dei vivi e dei morti,costituito da Dio.

SECONDA LETTURADalla lettera ai Colossesi (3,1-4)

Paolo ha ricordato che tutta la creazioneè volta alla pienezza di vita in Gesù, “pri-mogenito” tra i risorti. I cristiani battezzatidevono ormai vivere in questa nuova realtà.Se il regno dell’amore non è ancora piena-mente manifestato nel mondo, è comunquetempo che l’amore comincia ad improntarel’esistenza di tutti coloro che, battezzati nelnome di Gesù, si sono rivestiti di Cristo.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (20,1-9)

La festa di Pasqua, cioè la festa del

conoscenza del mistero del risorto. La li-turgia ci invita a riaccostaci alla mensadell’eucaristia pieni di meraviglia.

“passaggio”, è questo infatti il significatopopolare del termine ebraico, è tutta cen-trata sul passaggio che Cristo ha fatto dallavita alla morte, e su quel passaggio che ci

ha aperto per entrare nuova-mente in comunione di vitacon Dio. Se il secondo pas-saggio costituisce il misterodella infinita misericordia diDio, non è un mistero mino-re il primo, cioè la resurre-zione di Gesù. I Vangeli, bencoscienti di questo non han-no cercato di immaginarecosa sia successo in quellatomba, dandone una descri-zione fantastica, nell’attimodella resurrezione.

Hanno rispettato il mi-stero, tramandandoci ciò che i testimoniavevano potuto sperimentare di questo mi-stero: la tomba ormai vuota e l’incontro conGesù nuovamente vivo, ma di una vita to-talmente rinnovata. È Dio stesso, che spin-ge i primi rappresentanti dell’umanità sal-vata a constatare la verità dell’annunciopasquale mandando il suo angelo, comedice con profondo acume san Tommasod’Aquino: “questo non rotola la pietra co-me aprendo una porta perché il Signorepossa uscire, ma affinché, essendo questigià risorto, l’umanità possa constatare ciò”.

Anche dopo la resurrezione era difficileper gli apostoli aver fede, come sottolineaGiovanni in questo brano. Anche Pietro, ildiscepolo che aveva riconosciuto in Gesùil messia figlio di Dio, non coglie il senso

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

44

DOMENICA DI PASQUA16 aprile 2006Egli doveva risuscitare dai morti.

Professione di fededi S. Tommaso, sec. XIII

Page 45: Pentecoste, compimento glorioso

dei segni che scopre. Solo Giovanni, il cuicuore è dilatato dall’amore per il suo Mae-stro, ha l’intuizione di quanto sta avvenen-do, prima ancora di vedere Gesù risorto.

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (4,32-35)

Nella comunità primitiva, tratteggiata dallibro degli Atti, che questo tempo pasqualeci presenta al vivo, la fede non è una teoria ouna contemplazione astratta, ma uno stile divita rinnovato, capace di riconoscere il Cri-sto presente nei fratelli e su questo fondarel’amore fraterno per ogni uomo. Questa im-magine è certo idilliaca, la comunità reale fusicuramente più fragile, con questa descri-zione però Luca vuol indicare la meta versocui dobbiamo tendere. Tocca ai cristiani in-ventare nel mondo le forme di condivisionee di comunità che tradurranno agli occhi ditutti il rinnovamento portato dalla fede.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni

apostolo (5,1-6)

La nostra concezione del mondo è rinno-vata radicalmente dalla fede. Questa ci favedere tutto nella luce dell’amore che si èaffermato in Gesù, offerto per noi, trafittosulla croce. Se riconosciamo in lui il veroFiglio nel quale si esprime l’amore di DioPadre, abbiamo accesso ad un nuovo univer-so: è una rinascita. Vivremo anche noi del-l’amore e così domineremo le forze del male.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (20,19-31)

Al centro di questa domenica è il tema

Da quel momento l’evangelista sottolineeràche la fede appartiene ad un altro ordinerispetto alla semplice visione fisica di Ge-sù vivente.

della fede. Potrebbe sembrare prematuroaccostare così tanto alla luce della resur-rezione la fatica del credere, ma attorno alRisorto non troviamo prove che costringa-no a credere, ma solo segni che ci invitanoliberamente a farlo. L’annuncio pasquale èinfatti rivolto ad uomini liberi che restanotali: senza la libertà della fede il cristiane-simo non è comprensibile. Tommaso ponedelle condizioni per la sua fede, vuole del-le verifiche che fanno fremere: “Se nonmetto il dito nel foro dei chiodi e nonspingo la mano nella ferita del costato,non crederò!”. Quando Gesù appare e pro-pone a Tommaso di svolgere la sua indagi-ne, una vera e propria analisi medica del-lo stato del crocefisso risorto, il discepologrida: ”Mio Signore e mio Dio!”. E il risor-to conclude: “Beati coloro che pur nonavendo visto crederanno”. Il testo insistesui segni violenti della morte di Gesù. IlRisorto è proprio colui che gli uomini ave-vano crocefisso. Il Cristo glorioso è lostesso Cristo che aveva subito gli oltraggie gli sputi. È del tutto esclusa la tentazio-ne di fermarsi estasiati a contemplare unGesù glorioso e celeste dimenticando qua-le vita di privazioni e di sofferenza avevavissuto sulla terra: il suo amore per gli ul-timi e gli esclusi, la sua denuncia delle vi-gliaccherie e dei conformismi, la sua con-testazione di quanti si ritengono giusti da-vanti a Dio, il suo amore appassionato, isuoi scontri, le sue lotte, il suo rifiuto diun tempio e di una religione che intrappo-lava Dio nelle pastoie degli interessi uma-

45

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

II DOMENICA DI PASQUA BO DELLA DIVINA MISERICORDIA23 aprile 2006Otto giorni dopo, venne Gesù.

Page 46: Pentecoste, compimento glorioso

ni. Al tempo stesso non bisogna dimenti-care che Gesù si è identificato anche contutti i sofferenti ed i perseguitati del futu-ro: “quando avrete fatto queste cose aduno di questi piccoli, l’avete fatto a me,perché proprio io ho avuto fame, proprioio ho avuto sete”.

Il risorto non si è dunque ritirato nel

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (3,13-15.17-19)

La folla dei Giudei gremiva il tempio diGerusalemme, Pietro si rivolge loro e li in-vita ad aprire gli occhi: il popolo non ha ri-conosciuto in Gesù il profeta che venivaper dare senso e compimento a tutta la sto-ria della salvezza. Ma ora è possibile rico-noscere che Egli è colui che ha preso su disé il peccato di tutti, è il Cristo annunciatodai profeti. Coloro che credono in lui sa-ranno perdonati.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni

apostolo (2,1-5)

L’uomo può pure essere segnato profon-damente dal peccato, ma se si rivolgeumilmente verso Dio scopre la forza dell’a-more che salva. Entra allora nella dinami-ca del perdono. Se afferma però di diriger-si verso Cristo e non rinnova la propria vi-ta, è un bugiardo che si chiude alla veritàed alla salvezza.

VANGELODal Vangelo secondo Luca (24,35-48)

Questa domenica è segnata dalla lucetenue del tramonto di Emmaus, un tempo

profondo dei cieli della gloria divina: hamille volti sparsi nell’umanità sofferentedel nostro oggi. Beati coloro che lo sapran-no riconoscere, beati quanti pur non aven-do visto altro volto di Cristo che quello sof-ferente ed umiliato dei poveri di ogni epo-ca e nazione, tuttavia crederanno, lo rico-nosceranno e lo serviranno.

mescolato di luce e tenebre che ben si ad-dice ai fatti sconvolgenti di questo raccon-to. Il senso dell’apparizione di Gesù ai di-scepoli, di nuovo riuniti dopo il ritorno deifuggitivi di Emmaus, prende senso solo setorniamo al loro racconto, alla straordina-ria esperienza che avevano vissuto. Primaancora che le ombre della sera scendesse-ro sul mondo, erano già scese ombre benpiù pesanti e scure sul cuore dei due di-scepoli! Come non essere sconvolti dallamorte oltraggiosa e vergognosa di Gesù sulcalvario? Nel mondo e nei pensieri deidue discepoli solo l’idea di un messia cro-cifisso, di un salvatore umiliato ed uccisoappariva certo una contraddizione in ter-mini. Era un non senso, uno scandalo im-possibile da comprendere, che toglievaogni speranza di futuro a tutta la storia.Eppure un futuro c’era, e stava giustocamminando al loro fianco. “Gesù stessoli raggiunge e si mette a fare un pezzo distrada con loro”. Come non leggervi unrimprovero, neppure tanto velato, a tuttele generazioni di credenti che protestanola loro solitudine, l’abbandono di Dio, ladifficoltà a fare da soli la strada della sto-ria. Dio era ed è al loro fianco, anche inquesto tempo di tramonto in cui le tenebresembrano prendere il sopravvento. E Gesùnon si limita a camminare con loro, la suapresenza è attiva: “prese a parlare loro de-

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

46

III DOMENICA DI PASQUA B30 aprile 2006Il Cristo doveva patire e risuscitare dai morti il terzo giorno.

Page 47: Pentecoste, compimento glorioso

gli scritti dei profeti, di Mosè e di tuttoquanto si riferiva a Lui”. Le sue parolerendono più luminoso il tramonto, la Paro-la antica, che testimoniava la speranza diIsraele, era già gravida di un annuncio fu-turo, si riferiva a Lui molto più di quantole loro menti ottenebrate potessero intuire.E’ dentro la loro tradizione, gelosamentecustodita nei cuori e non solo nei rotoli dipergamena delle sinagoghe, che bisognavariscoprire i segni discreti e premonitori diquanto avevano vissuto. Veramente “stoltie tardi di cuore”, ma soprattutto poveri difiducia nel ricercare un senso ed una ri-sposta nella parola dei profeti. In quei duecontinua a specchiarsi una Chiesa porta-trice di una Parola preziosa, alla qualeperò presta spesso poca fiducia. La serasta scendendo, ma mentre il sole tramontauna nuova alba sta sorgendo nelle loroanime. È un contrasto artistico degno diun grande pittore. Mentre attorno a loro ilmondo infittisce le tenebre, il piccolo fuo-co che comincia ad ardere nei loro pettispande la sua luce. Per questo nascespontanea la domanda, che è un’accoratarichiesta: “resta con noi, perché si fa se-

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (4,8-12)

Nell’incontro tra Pietro e lo storpio dellaporta “Bella” del tempio si incontrano duepovertà: Pietro non aveva nulla da dargli!Lo invitò però a camminare nel nome di Ge-sù. Per quell’uomo fu così possibile, per laprima volta con le sue gambe, unirsi al corodi coloro che lodavano Dio. È un segno evi-dente della venuta del mondo nuovo di cuigli apostoli sono annunciatori. Ma resta in-compreso da coloro che rimangono chiusi

ra”. Non per lui, viandante costretto acontinuare nella notte, si leva la richiesta,ma per loro, che non hanno più coraggiodi affrontare le tenebre se il fuoco si spe-gne e la Luce li abbandona. E quando ilgesto dell’ultima cena si ripete il fuoco èdiventato un incendio, la luce lo illuminain pienezza ed i loro occhi sono finalmen-te in grado di riconoscerlo. Per questo or-mai può scomparire: la luce si è di nuovoaccesa ed i due possono tornare a Gerusa-lemme, percorrendo la strada di corsa, co-me in pieno giorno: potenza della speran-za che illumina i loro passi! Ormai puòscomparire perché la strada è segnata concertezza, d’ora in poi sapranno ritrovarenella Parola e nel Pane i segni della Suapresenza discreta e forte al tempo stesso.Quando appare di nuovo al gruppo riunitoc’è ancora spazio di crescita per la loropoca fede: “credevano di vedere un fanta-sma”. Ed ecco che Gesù ripete, con infini-ta pazienza la lezione del cammino di Em-maus, il ritorno alle Scritture, al loroascolto pregato ed illuminato dallo Spirito.Solo così le tenebre della notte si illumi-neranno di nuovo.

nel loro pregiudizio legalistico, da quantinon hanno saputo riconoscere il Cristo.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni

apostolo (3,1-12)

Giovanni afferma continuamente chel’amore ha origine da Dio perché Dio stes-so è amore. Noi invece siamo soltanto deimortali. Tuttavia, da quando veniamo presinell’autentico movimento dell’amore, sfug-giamo ai nostri limiti. Viviamo della stessa

47

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

IV DOMENICA DI PASQUA B7 maggio 2006Il buon pastore offre la sua vita per le sue pecore.

Page 48: Pentecoste, compimento glorioso

ché loro abbiano la vita e l’abbiano in ab-bondanza. Pietro, condotto davanti al Sine-drio, testimonia la potenza vivificante diGesù con la guarigione del paralitico allaporta Bella del Tempio. “È grazie al nomedi Gesù, che voi avete crocefisso, ma cheDio ha resuscitato dai morti, che quest’uo-mo sta davanti a noi, guarito”. La potenzaindubitabile dei fatti si impone, cosa op-porre al fatto di uno storpio che cammina?L’errore di valutazione nei confronti di Ge-sù appare lampante: essi hanno scambiatola pietra basilare, la pietra centrale delfondamento, per una pietra inutile, che po-teva impunemente essere tolta di mezzo,ed ecco che tutta la loro costruzione di cer-tezze religiose ed umane è crollata.

Andando fino in fondo, fino al compi-mento pieno della sua missione, senza arre-trare neppure davanti alla morte, Gesù hascritto il suo messaggio di salvezza a letteredi sangue. Proponeva la riconciliazione conDio, una vita profondamente segnata dalperdono, il compimento pieno della leggepraticando l’amore senza limitazioni edegoismi, l’accoglienza lucida ed attiva delRegno di Dio al di sopra di tutti i regni ed ipoteri di questo mondo. Gesù ha pagatoquesta coerenza con la vita, ma il donostesso della sua vita ha costituito la sintesipiù luminosa del suo vangelo, ha riassuntoe riaffermato con forza il cuore del suomessaggio. Con la sua morte ha aperto laporta, il passaggio per tutti gli uomini versol’esistenza da risuscitati, da riconciliati conDio e con i fratelli, da redenti.

V DOMENICA DI PASQUA B14 maggio 2006Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

48

vita di Dio. Siamo perciò giustamente detti“figli di Dio”. Un giorno finalmente questarealtà misteriosa apparirà chiaramente agliocchi di tutti.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (10,11-18)

In questa domenica torna martellante iltema del calvario: “Gesù ha donato la suavita”. Dopo essersi chiaramente definitocome “il buon pastore”, per ben cinquevolte in poche righe Gesù ripete che eglidona la sua vita per noi. È un discorsochiaramente polemico, indirizzato a sma-scherare i falsi pastori, quelli che abban-donano il gregge dopo averlo sfruttato. Nelpaese di Gesù, dove la pastorizia avevauna importanza sociale di prim’ordine, iprofeti avevano più volte descritto il re co-me il pastore del suo popolo. Buoni o catti-vi i pastori regali avevano segnato tutta lastoria del popolo eletto. Gesù punta il ditocontro le guide politiche e spirituali delsuo tempo, incapaci di comprendere il loroincarico come una missione, per nulla de-siderosi di offrire la loro vita, ma piuttostobramosi di servirsi del popolo per i loro fi-ni. Tra Gesù e le sue pecore invece la co-municazione e la comunione è tantoprofonda quanto quella che lo lega al Pa-dre celeste. C’è un solo flusso d’amore chesgorga dal cuore del Padre e conduce il Fi-glio ad amare e guidare il gregge di Dio. Adifenderlo da ogni pericolo, a rischio dellavita, pronto a perdere la propria vita, per-

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (9,26-31)

La scoperta che Saulo ha fatto con la

sua vocazione è stata sconvolgente: Cristoè veramente risorto e presente nella suaChiesa. Tuttavia ha ancora di fronte la dif-fidenza dei cristiani che stanno sulla di-

Page 49: Pentecoste, compimento glorioso

fensiva. Ma la forza della nuova fede fapresto cadere questo ostacolo. Il nuovocredente, che ora si chiama Paolo, trova fi-nalmente posto in una comunità in pienosviluppo. Si afferma assai presto come unodei suoi propagatori più coraggiosi.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni

apostolo (3,18-24)

Tutti siamo peccatori e potremmo facil-mente sprofondare nell’angoscia della cat-tiva coscienza. Ma se fissiamo realmentegli occhi su Dio, abbiamo la certezza di es-sere ugualmente amati, forti di questagioiosa sicurezza, possiamo anche noiamare gli altri, non a parole, ma nei fatti enella verità.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (15,1-8)

Al centro di questa domenica c’è l’im-magine della vite. Gesù contempla le vigneabbarbicate sulle colline pietrose della Pa-lestina. Attraverso il rigoglio dei pampinied il turgore dei grappoli pronti per la ven-demmia, intravede il segreto della sua vitae della sua opera: lui è la vera vite e i suoidiscepoli sono i tralci. Già da molto tempoi profeti avevano riconosciuto in Israele lavigna di Dio. La scelta non era casuale: lavigna richiede una cura e un’attenzione deltutto particolari. Il rapporto tra vite e vi-gnaiolo è dunque indice di un amore eduna attenzione generosa, particolareggiata,costante da parte di Dio.

Quando però i profeti descrivono Israe-le come una vigna il tema dominante èquasi sempre il rimprovero. Troviamo in-fatti molti esempi di aspri rimbrotti indi-rizzati dal vignaiolo divino ad una vite cheproduceva soltanto uva selvatica e pessimovino. Gesù proclama invece una novità po-sitiva, la vera vite che offrirà all’umanità ilvino nuovo e buono della salvezza è ormaipiantata sulla terra: è lui.

L’attesta di Israele e di Dio si compiedunque in Gesù. In lui il popolo può speri-mentare una vicinanza e visibilità divinaquale mai aveva sognata. Ma nel Figlio fat-to uomo anche il Padre può trovare quellaobbedienza e quel portare frutto che inva-no aveva atteso dal suo popolo eletto.

Ma la parabola non si preoccupa solo diparlare di Gesù vera vite, ma parla anchedi noi: quanti si lasceranno innestare inlui.

Non solo Gesù infatti darà al Padre larisposta di fedeltà ed amore che da secoliinutilmente stava cercando, ma quanti silasceranno unire a lui come i tralci sonouniti alla vite, riceveranno la forza di unanuova linfa che li renderà capaci di ri-spondere positivamente alle attese del Pa-dre celeste. Fuor di metafora l’unione conCristo della Chiesa e di ogni cristiano èpresentata da Giovanni come la rispostache l’antico popolo dell’alleanza non avevasaputo dare.

A scanso di equivoci e giudizi superbiperò, la migliore risposta del popolo dellanuova alleanza rispetto a quello dell’anti-ca, non dipende dai suoi meriti, ma dall’a-more gratuito del Padre, che ha inviato ilFiglio così che potessero venir innestati inlui.

L’allegoria applicata ad Israele dai pro-feti è dunque ripresa qui per designare ciòche nasce e nascerà dall’iniziativa di Ge-sù. L’immagine dell’innesto rende bene l’i-dea di una unione intima con Lui che rag-giunge la più grande intensità: “Chi dimo-ra in me ed io in lui fa molto frutto, mentresenza di me non potete far nulla”.

Ma come in tutte le vigne ben curate enecessario intervenire con coraggio e chia-rezza, potando con generosità tutti i ramiinutili ed sfrondando i pampini eccessivi,perché tutta la vite possa concentrarsi sul-l’unica cosa importante: portare frutto.L’immagine della vite propone un cristia-nesimo concreto, capace di scarnificaretutto quanto è immagine e ridondanza, invista del frutto, di ciò che è prezioso, di

49

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

Page 50: Pentecoste, compimento glorioso

ci lasci quieti, che non ci faccia percepirela distanza tra le nostre preoccupazioni edesideri e le preoccupazioni ed i desideridi Dio, è molto probabilmente un ascoltoillusorio, un distaccarci da Lui, magarilentamente e senza gesti eclatanti, ma co-munque con lo stesso risultato. Ogni tral-cio che non porta frutto verrà tagliato viaed una volta seccato sarà bruciato. Il tral-cio che invece porta frutto sarà quotidiana-mente mondato dalla Parola, perché portiun frutto sempre più abbondante.

Una fede impegnativa, quella che il Si-gnore annunciava con parabole apparente-mente semplici e rasserenanti, ma in realtàpiene della esaltante ed esigente propostaevangelica.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni

apostolo (4,7-10)

Si tratta di uno dei testi più densi del-l’intera opera giovannea. In alcune brevifrasi sono riassunti gli elementi che costi-tuiscono una vera rivoluzione nell’idea chegli uomini si erano fatta di Dio. Ma questarivoluzione, apparsa in Gesù, segna ancheil capovolgimento dei rapporti umani. L’a-more è tutto, è Dio stesso.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (15,9-17)

Questa domenica ci apre alla genero-sità nel considerare i piani di salvezza diDio, che non si lasciano ridurre ad un po-polo, ad un gruppo, ad una comunità, masi volgono a tutti gli uomini di ogni razza,popolo e lingua.

Mentre il popolo dell’Antico Testamen-

VI DOMENICA DI PASQUA B21 maggio 2006Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

50

quanto è utile e necessario. Cosa operaquesta potatura nella vita dei cristiani edella chiesa? “Voi venite mondati dallaParola che vi ho annunciato” dice Gesùagli apostoli. L’ascolto della Parola non èdunque una azione consolatoria e facile,un passatempo poco impegnativo. Il veroascolto comporta una potatura, perché ri-vela con chiarezza quanto nella nostra vitaè superfluo, quanto è inutile o addiritturadannoso. L’ascolto della Parola di Cristo farisuonare nei nostri cuori il rimproverovolto a Marta: “tu ti preoccupi e ti agiti permolte cose, perdendo di vista la cosa cheora è più importante”. Su questo può ba-sarsi la verifica delle verità ed onestà delnostro ascolto del vangelo. Un ascolto che

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli(10,25-27.34-35.44-48)

Per i Giudei un soldato romano era unnemico nazionale. Certamente il Centu-rione Cornelio fa parte di quelli che “te-mono Dio”, ossia degli stranieri che con-dividevano le loro idee religiose. Tuttavianon era possibile inserire nella comunitàdei figli di Israele simili persone, che re-stavano “oggettivamente avversari”. I pri-mi cristiani condividevano questo mododi vedere senza percepirne la distanzadagli esempi del Maestro. Ma lo SpiritoSanto li riporta sulla giusta via, facendosaltare le barriere artificiosamente co-struite dagli uomini. La Chiesa di Gerusa-lemme non può che prenderne atto. Inquesto modo prende coscienza del carat-tere universale del messaggio del Cristo,cosa che fino ad allora era stata solo mi-nimamente realizzata.

Page 51: Pentecoste, compimento glorioso

to si sentiva chiamato da Dio ad “amare ilprossimo ed odiare il nemico”; mentre glispiriti più illuminati già al tempo di Gesùparlavano della regola aurea: “ama gli al-tri, come tu vuoi essere amato”; il vangelodi Giovanni propone per due volte (Gv13,34) un comandamento nuovo: “amatevi,come Io vi ho amati”.

Al centro del breve brano di vangelo ri-fulge dunque quello che chiamiamo: “Ilcomandamento dell’amore”.

E’ un comandamento “nuovo” non tantonel senso che giunge inatteso o che sop-pianta quanto precedentemente comanda-to, ma perché appare come inesauribile,come superamento di ogni limitazione del-la generosità e del dono di sé. Come è in-fatti possibile “amare come Gesù” pensan-do di poter limitare l’amore nello spazio enel tempo alle esigenze ed ai limiti del no-stro cuore?

In questo comando di Gesù c’è tutta lacarica del cristianesimo, che chiede il su-peramento del limite umano, la nascita diun uomo nuovo capace di radicale novitànel comportamento. Ciò non si attua perògrazie ai nostri sforzi, gratificando la no-stra illimitata superbia, ma arrendendosi aDio, lasciandosi conquistare dalla potenzadella Sua grazia. Il cuore di tutto sta nelriaffermare ancora una volta e con più for-za che mai il protagonismo divino, che nonumilia, ma anzi fonda e rafforza la gran-dezza dell’uomo.

Infatti “il comandamento nuovo” è pos-sibile, secondo il pensiero giovanneo, solopartendo dall’alto: dal Padre. E’ proprio ilPadre che ha preso l’iniziativa in questomovimento d’amore inviando, per amore, ilsuo Figlio. Il Figlio ha liberamente accet-tato e portato questa corrente d’amore agliuomini. Solo grazie a questa corrente di-scendente il movimento può cominciare ilpercorso inverso: dall’uomo a Cristo e daCristo al Padre. Questo circolo dell’amoree della risposta nell’ubbidienza che lo ga-rantisce, costituisce il nucleo essenzialedella fede cristiana e del vero discepolato.

Il nostro amore è sempre radicalmenteresponsivo e generato dalla gratitudine, dalrendimento di grazie per il dono del Padree del Figlio nello Spirito Santo.

Ma Giovanni fa un passo ulteriore enon meno significativo: i credenti devonoamarsi fra loro. Giovanni insiste particolar-mente sull’amore vicendevole tra i cristia-ni, non perché non pensi o escluda l’amoreai nemici, un comando innegabile rivoltocicon chiarezza dal Signore, ma perché l’a-more vicendevole dei cristiani è il primoindispensabile passo per vivere il veroamore. Come l’amore di Cristo per noi sca-turisce dall’amore che anima quella parti-colare comunità che è la Trinità divina, co-sì il nostro amore per l’umanità può trovareforza e concretezza solo a partire dall’amo-re interno alla comunità dei credenti.

E questo amore si esprime nella capa-cità di dedizione e sacrificio, nella capacitàdi dare la vita. Prima che fosse chiesto que-sto amore «sacrificale» ai discepoli, Cristoha dato l’esempio offrendo la vita per essi.

Dare la vita per gli amici è la prova su-prema dell’amore. La cosa sorprendente èche Gesù chiami noi credenti, i discepoli,“suoi amici”. L’amicizia è definita general-mente in termini di uguaglianza, di mutuovantaggio e interesse. In che senso i disce-poli, noi credenti, siamo amici di Gesù? Larisposta si potrebbe dare solo partendo dauna nuova definizione dell’amicizia. Gesùnon ha interessi comuni con i suoi disce-poli e non guadagna nulla con la nostraamicizia. Egli è il Signore, e sarebbe natu-rale considerare i cristiani come discepolio come servi. Ma egli ora ci chiama amici,per l’unica ragione che ci ha liberamentescelti per essere suoi amici e ci ha genero-samente e gratuitamente amati fino alla fi-ne. Amore e amicizia sono dunque le paro-le che parlano eloquentemente delle rela-zioni fra Gesù e noi suoi discepoli.

Come spiegare il mistero di un amorecosì grande? Non ci sono spiegazioni oltrela rivendicazione di un diritto d’amore e li-bertà: “io ho scelto voi!” dice il Signore.

51

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

Page 52: Pentecoste, compimento glorioso

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (1,1-11)

La celebrazione dell’ascensione annun-cia apparentemente un fatto negativo: Gesùscompare definitivamente agli occhi deisuoi. È partito, ed ancora una volta la venu-ta del Regno sembra allontanarsi. In realtàil Regno è già presente nel mondo, come ungerme che attende di spuntare. Ben prestola forza del Cristo, affermandosi attraversogli apostoli, ne manifesterà tutta la presenzaattiva. Finché un giorno si imporrà a tuttinella venuta del Signore glorioso.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo agli

Efesini (4,1-13)

Paolo presenta una grande esortazioneall’unità della comunità per mezzo dell’a-more. L’umiltà, la mitezza, la capacità di ac-coglienza devono essere tre attitudini checaratterizzano la vita comune e portano allapienezza dell’amore fraterno, che sa perdo-nare ed essere solidale con tutti. L’unitàdella comunità è frutto dello Spirito e trovail suo modello e la sua motivazione profon-da nell’unità della Trinità. E tuttavia taleunità non esige l’uniformità. Ma si costrui-sce mediante la varietà dei doni, la cui fon-te è il Cristo glorioso intronizzato al di sopradi tutti i cieli. I diversi doni si concretizzanonei vari ministeri che hanno lo scopo di fa-vorire la costruzione del “corpo di Cristo” ilSignore asceso presso Dio è l’immagine del-l’uomo perfetto a cui ogni uomo è chiamato.

VANGELODal vangelo secondo Marco (16,15-20)

Il tratto caratteristico del racconto del-

l’Ascensione secondo Marco è che essa sicompie mentre gli apostoli sono seduti amensa, quasi come a conclusione di unacelebrazione eucaristica. Non solo, si trattadi un racconto di una sobrietà e di una sin-tesi unica, perché racchiude tutto in pocherighe. Abbiamo la prima apparizione ai di-scepoli riuniti, il rimprovero per la loromancanza di fede, la missione di annun-ciare il Vangelo a tutto il mondo, accompa-gnata dal comando di battezzare, la pro-messa che la potenza di Dio accompagneràla predicazione, ed infine l’Ascensione diGesù e l’inizio dell’attività apostolica.

Quello che gli altri vangeli analizzanodettagliatamente e distribuiscono in variefasi e vari momenti, il Vangelo di Marco loracchiude in una sola densa narrazione.L’evangelista vuol sottolineare la conti-nuità tra questi primi passi della Chiesa edil mistero della morte, resurrezione edascensione di Gesù.

La missione che il Signore confida ai di-scepoli si articola in due elementi essenzia-li: “andare” e “predicare”, cioè movimentoe messaggio, azione e parola, testimonianzaed annuncio esplicito. La fede e il battesi-mo, o l’incredulità e il rifiuto sono originatedalla missione stessa, segno dell’efficacia diun compito che è affidato agli apostoli, mamai esclusivamente ad essi. Gesù infattipromette che la loro fatica sarà sempre so-stenuta ed accompagnata dalla potenza diDio. Pur salito in cielo, il Signore Gesù con-tinua ad operare con loro. La sua distanzainfatti è solo apparente, i discepoli perdonola sua presenza fisica, ma non la presenzareale ed attiva di Gesù Risorto.

Salire al cielo è infatti “andare presso ilPadre”, come più volte aveva annunciatoGesù, ma il Padre è “in cielo, in terra edin ogni luogo”. Gesù perciò non abbando-

ASCENSIONE DEL SIGNORE B28 maggio 2006Gesù è assunto in cielo e siede alla destra di Dio.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

52

Page 53: Pentecoste, compimento glorioso

na il campo, ma ritrae la sua presenza fisi-ca per sostenere meglio la forza dell’azionedella Chiesa. Siede alla destra del Padrenon per godersi la meritata “vacanza” delParadiso, ma per sostenere in prima perso-na la causa della Redenzione. È presso ilPadre non per lui, ma per noi!

La solennità dell’Ascensione presentadue messaggi: da una parte quello dellaglorificazione di Gesù. La Risurrezione sicompleta nell’Ascensione: la Pasqua di

Gesù è ora totale e definitiva. Dall’altraparte però l’Ascensione non è ancora unpunto stabile, ma solo l’inizio della storiadella Chiesa, storia che significativamenteinizia non con una “attivistica” fuga inavanti, ma con un’attesa densa di preghie-ra. L’Ascensione si realizza infatti nellaPentecoste. Gesù è stato innalzato alla de-stra del Padre affinché la Chiesa ricevesselo Spirito. E verso questa attesa tutta la li-turgia di oggi, già ci proietta.

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (2,1-11)

Luca, diversamente da Giovanni, distin-gue tra l’apparizione di Cristo ai suoi disce-poli ed il dono dello Spirito Santo. Le im-magini con le quali evoca l’evento di pente-coste, acquistano il loro senso all’AnticoTestamento. Richiamano infatti la teofaniadel Sinai, punto di partenza del popolo diDio e la riscoperta della comunicazione tragli uomini dopo la dispersione rappresenta-ta dalla Torre di Babele. L’umanità ricom-posta può ora cantare la lode di Dio. Lapentecoste tuttavia è solo un punto di par-tenza. Il seguito degli Atti degli Apostoli halo scopo dimostrare l’esplosione dello Spi-rito Santo nel mondo. Ci viene così annun-ciata l’opera di riunificazione dell’umanità,che procede lungo la storia grazie ai cre-denti penetrati dell’amore di Dio.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai

Gàlati (5,16-25)

Paolo educa i cristiani al carattere im-pegnativo della loro libertà, mostrando lachiara antitesi tra Spirito e carne. Questa

lotta tra due forze che spingono l’uomodall’interno è presente anche nella vita deicredenti. Non si tratta di una scelta fattauna volta per tutte, ma di un costante ri-proporsi, nell’orientamento quotidiano,

53

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

PENTECOSTE B4 giugno 2006Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera.

La discesa dello Spirito Santo, sec. XV

Page 54: Pentecoste, compimento glorioso

della necessità di scegliere sempre di nuo-vo. Ogni giorno si deve riprendere il cam-mino “secondo lo Spirito”, lottando controla tendenza a soddisfare i desideri ad essocontrari. Ogni giorno “quelli che sono diCristo Gesù” debbono riprendere la croce,intesa in questo senso come un chiaro ri-fiuto dell’egoismo e delle sue opere ed unascelta dell’amore oblativo e generoso. Talecammino quotidiano è sorretto dalla pro-spettiva ultima che qui è sintetizzata dallaformula “ereditare” il regno di Dio.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni(15,26-27;16,12-15)

Pentecoste: la grande festa della discesadello Spirito Santo sulla chiesa. Ma comecomprendere la realtà e l’azione dello Spiri-to? Chi è lo Spirito Santo che Gesù promet-te agli apostoli? Giovanni ci offre una chia-ve di comprensione con un nome nuovo colquale chiama lo Spirito: Paraclito. Un ter-mine greco solitamente tradotto “consolato-re”, ma che invece ha ben altra sfumaturadi significato. Il termine infatti fa riferimen-to ai processi, ai tribunali del mondo grecodel primo secolo. L’imputato di fatto compa-riva da solo davanti al giudice e da solo do-veva rispondere e difendersi. Ciò non impe-diva però che al suo fianco ci fosse unaspecie di avvocato difensore, un competen-te incaricato di suggerire cosa e come dire,capace di incoraggiare e stimolare nel mo-mento più difficile della prova, e se neces-sario, di prendere lui la parola per far vale-re meglio il diritto e la giustizia.

La vita di Gesù, secondo il vangelo diGiovanni, era stata un grande processo: dauna parte il mondo con le sue logiche, lesue alleanze, i suoi interessi; dall’altra Ge-sù, l’imputato. Gesù veniva accusato di ca-povolgere le usanze, privilegiando i debolied i poveri; di mettere in pericolo la normamorale, offrendo generosamente il perdonoai peccatori; di stravolgere il culto, predi-cando una adorazione a Dio “in Spirito e

verità”. I capi di imputazione potrebberocontinuare: ogni atto ed ogni parola di Ge-sù andavano in direzione contraria ai gustidel mondo e per questo venne processato.Per questo venne anche condannato. Ma lasua condanna non risolse lo scontro tra “ilmondo” e Dio. Gesù era venuto “per ren-dere testimonianza alla verità”, come diràa Pilato, e questa verità, rimasta tale dopola sua morte, mantiene aperto il dibatti-mento. La verità delle sue parole, la veritàdei suoi gesti, la verità della sua resurre-zione, impediscono ai cristiani di accettarela condanna che il mondo ha pronunciatosu Gesù e li spingono a portare avanti laSua testimonianza.

Per questo secondo il vangelo di Gio-vanni Gesù è sotto processo fino alla finedel mondo, e tutta la vita della Chiesanon è altro che il processo a Gesù checontinua. Come durante la vita di Gesùcosì ora per la chiesa l’Avvocato difenso-re: lo Spirito Santo è sempre presente.Egli rafforza la fede dei discepoli facen-done dei testimoni: Quando vi consegne-ranno nelle loro mani, non preoccupatevidi come o di che cosa dovrete dire, per-ché vi sarà suggerito in quel momento ciòche dovrete dire: non siete infatti voi aparlare, ma è lo Spirito del Padre vostroche parla in voi. (Mt 10,19-20).

Egli è “l’altro” difensore, perché la suamissione si comprende solo come conti-nuazione della missione di Gesù: primaguida, consolatore, suggeritore e maestrodegli apostoli nella loro lotta contro ilmondo. Infatti lo Spirito, che rimane persempre con e nei discepoli, insegna ad es-si e fa ricordare tutto quello che Gesù hadetto e fatto e li guida così alla pienezzadella verità. Per questo è definito “Spiritodi verità”. Egli da forza per la testimonian-za iniziando per primo a rendere testimo-nianza a Gesù nel cuore dei discepoli. Indefinitiva il nostro impegno è di porsi inarmonia, di fare coro, alla testimonianzache lo Spirito offre a Cristo nel corso dellastoria dell’umanità.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2006

54

Page 55: Pentecoste, compimento glorioso

55

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

La p

arol

a de

l Pap

a

La Cattedra dell’apostolo PietroPapa Benedetto XVI1

Cari fratelli e sorelle!La Liturgia latina celebra oggi la festa

della Cattedra di San Pietro. Si tratta diuna tradizione molto antica, attestata aRoma fin dal secolo IV, con la quale sirende grazie a Dio per la missione affi-data all’apostolo Pietro e ai suoi succes-sori. La “cattedra”, letteralmente, è ilseggio fisso del Vescovo, posto nellachiesa madre di unaDiocesi, che per que-sto viene detta “cat-tedrale”, ed è il sim-bolo dell’autorità delVescovo e, in partico-lare, del suo “magi-stero”, cioè dell’inse-gnamento evangeli-co che egli, in quan-to successore degliApostoli, è chiamatoa custodire e tra-smettere alla Comu-nità cristiana. Quan-do il Vescovo prendepossesso della Chie-sa particolare che gliè stata affidata, egli,portando la mitra e ilbastone pastorale, si siede sulla catte-dra. Da quella sede guiderà, quale mae-stro e pastore, il cammino dei fedeli,nella fede, nella speranza e nella carità.

Quale fu, dunque, la “cattedra” disan Pietro? Egli, scelto da Cristo come“roccia” su cui edificare la Chiesa (cfr

Mt 16,18), iniziò il suo ministero a Geru-salemme, dopo l’Ascensione del Signoree la Pentecoste. La prima “sede” dellaChiesa fu il Cenacolo, ed è probabileche in quella sala, dove anche Maria, laMadre di Gesù, pregò insieme ai disce-poli, un posto speciale fosse riservato aSimon Pietro. Successivamente, la sededi Pietro divenne Antiochia, città situata

sul fiume Oronte, inSiria, a quei tempiterza metropoli del-l’impero romano do-po Roma e Alessan-dria d’Egitto. Di quel-la città, evangelizzatada Barnaba e Paolo,dove “per la primavolta i discepoli furo-no chiamati cristiani”(At 11,26), Pietro fu ilprimo vescovo, tantoche il MartirologioRomano, prima dellariforma del calenda-rio, prevedeva ancheuna specifica celebra-zione della Cattedradi Pietro ad Antio-

chia. Da lì, la Provvidenza condusse Pie-tro a Roma, dove concluse con il marti-rio la sua corsa al servizio del Vangelo.Per questo la sede di Roma, che avevaricevuto il maggior onore, raccolse an-che l’onere affidato da Cristo a Pietro diessere al servizio di tutte le Chiese parti-

La Cattedra, Roma, Basilica di S. Pietro

Page 56: Pentecoste, compimento glorioso

colari per l’edificazione e l’unitàdell’intero Popolo di Dio.

La sede di Roma venne così ricono-sciuta come quella del successore diPietro, e la “cattedra” del suo vescovorappresentò quella dell’Apostolo incari-cato da Cristo di pascere tutto il suogregge. Lo attestano i più antichi Padridella Chiesa, come ad esempio sant’Ire-neo, vescovo di Lione, il quale nel suotrattato Contro le eresie descrive laChiesa di Roma come “più grande epiù antica, conosciuta da tutti; … fon-data e costituita a Roma dai due glorio-sissimi apostoli Pietro e Paolo”; e ag-giunge: “Con questa Chiesa, per la suaesimia superiorità, deve accordarsi laChiesa universale, cioè i fedeli che sonoovunque” (III, 3, 2-3). Tertulliano, daparte sua, afferma: “Questa Chiesa diRoma, quanto è beata! Furono gli Apo-stoli stessi a versare a lei, col loro san-gue, la dottrina tutta quanta” (La pre-scrizione degli eretici, 36). La cattedradel Vescovo di Roma rappresenta, per-tanto, non solo il suo servizio alla co-munità romana, ma la sua missione diguida dell’intero Popolo di Dio.

Celebrare la “Cattedra” di Pietro si-gnifica, perciò, attribuire ad essa un for-te significato spirituale e riconoscervi unsegno privilegiato dell’amore di Dio, Pa-store buono ed eterno, che vuole radu-nare l’intera sua Chiesa e guidarla sullavia della salvezza. Tra le tante testimo-nianze dei Padri, mi piace riportare quel-la di san Girolamo, tratta da una sua let-

tera scritta al Vescovo di Roma, partico-larmente interessante perché fa esplicitoriferimento proprio alla “cattedra” diPietro, presentandola come sicuro ap-prodo di verità e di pace. Così scrive Gi-rolamo: “Ho deciso di consultare la cat-tedra di Pietro, dove si trova quella fedeche la bocca di un Apostolo ha esaltato;vengo ora a chiedere un nutrimento perla mia anima lì, dove un tempo ricevettiil vestito di Cristo. Io non seguo altroprimato se non quello di Cristo; perquesto mi metto in comunione con latua beatitudine, cioè con la cattedra diPietro. So che su questa pietra è edifica-ta la Chiesa” (Le lettere I, 15,1-2).

Cari fratelli e sorelle, nell’abside dellaBasilica di san Pietro, come sapete, sitrova il monumento alla Cattedra dell’A-postolo, opera matura del Bernini, rea-lizzata in forma di grande trono bron-zeo, sorretto dalle statue di quattro Dot-tori della Chiesa, due d’occidente,sant’Agostino e sant’Ambrogio, e dued’oriente, san Giovanni Crisostomo esant’Atanasio. Vi invito a sostare di fron-te a tale opera suggestiva, che oggi èpossibile ammirare decorata da tantecandele, e pregare in modo particolareper il ministero che Iddio mi ha affidato.Alzando lo sguardo alla vetrata di alaba-stro che si apre proprio sopra la Catte-dra, invocate lo Spirito Santo, affinchésostenga sempre con la sua luce e la suaforza il mio quotidiano servizio a tutta laChiesa. Di questo, come della vostra de-vota attenzione, vi ringrazio di cuore.

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

56

La p

arol

a de

l Pap

a

——————

1 Udienza generale di mercoledì 22 febbraio 2006. © Libreria Editrice Vaticana.

Page 57: Pentecoste, compimento glorioso

CANTO

Conducimi tu, Luce gentile,conducimi nel buio che mi stringe,la notte è scura, la casa è lontana,conducimi avanti, Luce gentile.

Tu guida i miei passi, Luce gentile,non chiedo di vedere assai lontano,mi basta un passo, solo il primo passo,conducimi tu, Luce gentile.

Non sempre fu così, te ne pregaiperché Tu mi guidassi e conducessi,da me la mia strada io volli vedereadesso Tu mi guida, Luce gentile.

Io volli certezze, dimentica quei giornipurché l’amore tuo non mi abbandoni,finché la notte passi, Tu mi guideraisicuramente a te, Luce gentile.

SALUTO DEL PRESIDENTE

P. L’amore di Dio, che è stato effuso nei nostri cuoriper mezzo dello Spirito, sia con tutti voi.

A. E con il tuo spirito.

P. O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in quanti ascoltano la tua paro-la e la mettono in pratica, manda il tuo Spirito, perché richiami al nostro cuoretutto quello che il Cristo ha fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlocon le parole e con le opere.

57

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Preg

hiam

o

VEGLIA DI PREGHIERAnel tempo pasquale

Rita Di Pasquale

Page 58: Pentecoste, compimento glorioso

I chiamati annunciano il Risorto

1ª LETTURA : Isaia 6, 1- 8

CANTO RESPONSORIALE

RIT.CHI MANDERÒCHI SARA’ MIO MESSAGGERO?ECCOMI, O SIGNORE, MANDA ME ! ECCOMI, O SIGNORE, MANDA ME !

- Guarite gli ammalati, liberate i prigionieri,il regno è vicino, è venuto in mezzo a noi! (RIT.)

- Illuminate i ciechi, risanate i lebbrosi,il regno è vicino, è venuto in mezzo a noi! (RIT.)

- Soccorrete l’indigente, accogliete chi è solo,il regno è vicino, è venuto in mezzo a noi! (RIT.)

- Annunciate il Vangelo, proclamate il Signore,il regno è vicino, è venuto in mezzo a noi! (RIT.)

2ª LETTURA : Atti 5, 27 - 32

P. Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati a una spe-ranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimo-nianza degli Apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a Lui pur senza averlovisto riceviamo il frutto della vita nuova.

Il Risorto è annunciato per la Sapienza che viene dall’alto

3ª LETTURA : Sapienza 9, 1 – 5

CANTO RESPONSORIALE

RIT.DONACI LA TUA SAPIENZA, O SIGNOREMANDACI DALL’ALTO IL TUO SPIRITO SANTOSAPREMO IL TUO CONSIGLIO, ALLELUIAGUSTEREMO LA TUA SALVEZZA, ALLELUIA, ALLELUIA.

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

58

Preg

hiam

o

Page 59: Pentecoste, compimento glorioso

- Tutti aspettano da Teche tu dia loro nutrimentose tu apri la tua manotutti si saziano di beni (RIT.)

- Anima mia benedici il Signoresia gloria al Signore nei secoli,al Signore canterò tutta la vita,inneggerò al mio Dio finché vivrò (RIT.)

- Gli sia gradito il mio canto,io mi allieterò nel Signore,anima mia benedici il Signore,Alleluia, Alleluia, Alleluia (RIT.)

4ª LETTURA : Giacomo 3, 13 - 18

P. O Dio, che ci hai redenti nel Cristo tuo Figlio messo a morte per i nostri peccati erisuscitato alla vita immortale, confermaci con il tuo Spirito di verità, perché nellagioia che viene da te, siamo pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragionedella speranza che è in noi.

Cristo risorto dona il suo Spirito per la missione

5ª LETTURA : 1 Pietro 1, 10 – 12

CANTO RESPONSORIALE

RIT.LO SPIRITO DEL SIGNORE E’ SOPRA DI MEMI HA CONSACRATO CON L’UNZIONE,MI HA MANDATO PER PORTARE AI POVERIIL LIETO ANNUNCIOPER RISANARE I CUORI AFFRANTIE RIMETTERE IN LIBERTA’ GLI OPPRESSI.

Canterò senza fine le grazie del Signoreannunzierò la tua fedeltà nei secoli.Tu hai detto: “la mia grazia è per sempre”;la tua fedeltà è fondata nei cieli. (RIT.)

59

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Preg

hiam

o

Page 60: Pentecoste, compimento glorioso

Su di lui non trionferà il nemiconé l’opprimerà l’iniquo.La mia fedeltà sarà con luie nel mio nome s’innalzerà la sua potenza (RIT.)

Egli mi invocherà: Tu sei mio padre,mio Dio roccia della mia salvezza.Gli conserverò sempre la mia grazia,la mia alleanza gli sarà fedele (RIT.).

CANTO AL VANGELO

ALLELUIA…

Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi e alitò su di loro.

ALLELUIA…

6ª LETTURA : Giovanni 20, 19 – 23

OMELIA

PREGHIERA COMUNE

Signore Gesù, tu che hai promesso ai tuoi discepoli di inviare loro lo Spirito con-solatore, perché li illuminasse e li fortificasse nel tuo amore, dona anche a noi ildono del tuo Spirito ed esaudisci le nostre preghiere:

- Perché sia il nostro Consolatore;- Perché ci introduca in tutta la verità;- Perché ci ricordi continuamente il tuo Vangelo;- Perché trasformi i nostri cuori;- Perché completi in noi la tua opera;- Perché ci renda degni figli di Dio;- Perché ci riempia dei suoi santi doni;- Perché ci insegni a pregare;- Perché siamo perfetti nell’unità;- Perché diveniamo fedeli annunciatori della tua Parola.

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

60

Preg

hiam

o

Page 61: Pentecoste, compimento glorioso

P. O Dio, che hai salvato il mondo con la morte e resurrezione del tuo Figlio,diffondi in noi e nella tua Chiesa i doni dello Spirito Santo, e continuaoggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predica-zione del Vangelo. Per Cristo nostro Signore.

A. Amen

P. E ora, animati dallo Spirito del Signore, osiamo dire:

A. Padre nostro…

P. Guarda con bontà, Signore, il popolo che confida in te, e fa che porti a tutti gliuomini la testimonianza del tuo amore. Per Cristo nostro Signore.

A. Amen

P. E la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio + e Spirito Santo, discenda sudi voi, e con voi rimanga sempre.

A. Amen

P. Testimoniate Cristo con la forza dello Spirito, andate in pace.

A. Rendiamo grazie a Dio.

61

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Preg

hiam

o

Page 62: Pentecoste, compimento glorioso

innodia della settimana santaè senza dubbio tra le più sug-gestive ed antiche. I tre inni

principali – tutti e tre giustamente ce-lebri – sono il Vexilla regis (per i ve-spri), il Pange lingua (per l’ufficio delleletture) e l’En acetum, fel, arundo (perle lodi). Sono tra i poemi più conosciu-ti di Venanzio Fortunato, scrittore lati-no della seconda metà del secolo VI,originario di Treviso, poi vescovo diPoitiers, definito «l’ultimo dei poeticlassici ed il primo dei poeti medieva-

Vexilla regis prodeunt,fulget crucis mysterium,quo carne carnis conditorsuspensus est patibulo;

quo, vulneratus insupermucrone diro lanceae,ut nos lavaret crimine,manavit unda et sanguine.

Arbor decora et fulgida,ornata regis purpura,electa digno stipitetam sancta membra tangere!

Beata cuius brachiissaecli pependit pretium;statera facta est corporispraedam tulitque tartari.

Salve, ara, salve, victima,de passionis gloria,qua vita mortem pertulitet morte vitam reddidit!

O crux, ave, spes unica!hoc passionis tempore [die 14 septembris: in hac triumphi gloria]piis adauge gratiamreisque dele crimina.

Le insegne del re avanzano;risplende il mistero della croce,nel quale il creatore della carnenella sua carne è appeso ad un patibolo;

da esso, ferito in sovrappiùdalla spietata punta della lancia,per lavarci dalla colpa,grondò di acqua e sangue.

O albero maestoso e splendente,ornato del rosso del Re,eletta con il tuo nobile travea toccare membra sì sante!

Beata [croce] alle cui bracciafu appeso il prezzo del mondo;è trasformata in bilancia del corpoe ha strappato la preda degli inferi.

Salve, altare, salve, o vittima,della gloria della passione,in cui la Vita sopportò la mortee con la sua morte restituì la vita.

Salve o croce, unica speranza!In questo tempo di passione[il 14 settembre: in questo trionfo di gloria]accresci la grazia ai devotie cancella i peccati ai colpevoli.

li». Ci soffermiamo sul primo di questitre testi, non perché sia più bello o si-gnificativo degli altri, ma solo per mo-tivi di spazio.

Tutta la spiritualità della Domenicadelle Palme e della settimana santa èracchiusa in questo canto che la Chie-sa rivolge al suo Redentore crocifisso.Una melodia nel primo modo, solennee umile allo stesso tempo, accompa-gna il testo poetico e invita a contem-plare la salvezza portata dalla croce delSignore all’umanità intera.

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

62

Inno

dia

litur

gica

L’

L’INNODIA PER LASETTIMANA SANTA

don Filippo Morlacchi

Page 63: Pentecoste, compimento glorioso

I traduttori ufficiali hanno senzadubbio dedicato un’attenzione parti-colare ai tre inni di Venanzio Fortuna-to, consegnando al breviario italianoun’innodia pienamente convincente,davvero all’altezza dell’originale per lascioltezza del verso, la plasticità dellemetafore, la resa delle immagini per-fettamente riuscita. La traduzione ita-liana che qui viene offerta costituisceinvece soltanto un aiuto alla compren-sione letterale del testo latino,1 invitan-do come sempre i lettori a servirsi diquest’ultimo per la preghiera persona-le e, laddove possibile, anche per ilcanto liturgico comunitario.

L’immagine con cui l’inno si apre èquella – già conosciuta e commentatain questa sede attraverso altri inni2 –della processione trionfale del genera-le o dell’imperatore vincitore. Venan-zio Fortunato fu educato a Ravenna, ein quel fastoso milieu bizantino co-nobbe assai bene lo sfarzo delle corti.La Gallia, in cui trascorse poi la mag-gior parte della vita, gli rese familiarel’ambiente militare. Ecco quindi che lacroce di Cristo, che di per sé è e rima-ne l’ignobile patibolo con cui veniva-no giustiziati i peggiori malfattori, vie-ne trasformata in croce astile simboli-ca e diventa «lo stendardo del re», ilvessillo solennemente innalzato perinaugurare la processione trionfale.Per comprendere questa trasformazio-

Te, fons salutis, Trinitas,collaudet omnis spiritus;quos per crucis mysteriumsalvas, fove per saecula. Amen.

Te o Trinità, fonte di salvezza,lodi insieme ogni spirito;sostieni in eterno coloro che salvi con il mistero della croce. Amen.

ne non dobbiamo dimenticare i quasisei secoli che separano la passione diCristo e la composizione dell’inno. Se-coli in cui il cristianesimo, da insignifi-cante gruppo ebraico minoritario,passa ad essere, nel corso del IV seco-lo (da Costantino a Teodosio), la reli-gione dominante nell’impero romano,e poi la religione ufficiale del SacroRomano Impero. Se per noi oggi è as-solutamente naturale che una proces-sione liturgica si apra con “crocifero”,“candelieri” e “turiferario”, non dob-biamo dimenticare che anche questoè il frutto di laboriosa evoluzione. Pertroppi secoli la croce era stata simbolodi una morte ignominiosa; la sua tra-sformazione in «vessillo regale», inbandiera di trionfo e simbolo di vitto-ria ha significato una metamorfosi disensibilità che ha richiesto tempi mol-to lunghi. Anche se già san Paolo, inuna delle sue più antiche ed appassio-nate lettere, proclamava: «non ci siaaltro vanto che nella croce del Signorenostro Gesù Cristo» (Gal 6,14), ilcammino storico fu senz’altro lento egraduale. Potremmo dire che si è af-fermata sempre più, con il trascorreredei secol i , la teologia giovanneadell’“escatologia realizzata”, che in-tende già la croce come trono regaledi Cristo (cfr Gv 18,33-34), anticipan-do l’ora della glorificazione a quelladella passione. In tal senso la croce ha

63

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Inno

dia

litur

gica

Page 64: Pentecoste, compimento glorioso

acquisito valore di «vessillo re-gale»: il VI secolo non è la sta-

gione della Via crucis, sviluppatasi so-prattutto con la devotio moderna enell’autunno del Medioevo, in cui icredenti seguono il Cristo dolente ver-so il patibolo e la morte. È invece iltempo delle processioni trionfali, incui la croce viene innalzata con orgo-glio, come segno di vittoria sulla mor-te e sul peccato3,e «incede solen-ne» – come ap-punto canta l’in-no.

La croce rima-ne mysterium, ma«risplende» (ful-get) per il suo pa-radosso. Il Verboper mezzo delquale «tutto è sta-to fatto» (Gv 1,3),l’Immagine del Pa-dre sul cui model-lo è stata plasma-ta la carne del-l’uomo (cfr Gen1,27; Ef 2,10; Col1,15) ora è appeso con la sua stessacarne ad un ignobile patibolo. La di-mensione antinomica della fede – umi-liazione e gloria – coesistono semprenel mistero pasquale. Non c’è theolo-gia crucis senza theologia gloriae, e vi-ceversa. L’esaltazione della croce glo-riosa e la dolente Via crucis sono duefacce della stessa medaglia. Proprioqui risiede tutta l’efficacia ed il mistero

della fede pasquale: nessuno dei dueaspetti ha senso isolatamente, né ri-specchia da solo la verità della reden-zione. Sempre l’una e l’altra dimensio-ne si trovano intrecciate, e solo in que-sta dialettica corrispondono davveroall’ambiguità ed alla provvisorietà dellacondizione umana.

La seconda strofa concretizza la de-scrizione dell’ora della croce, ancora

con un tratto gio-vanneo: la trafis-sione del costatodi Cristo (Gv19,34). L’intreccio“sano” di theolo-gia crucis e gloriaeche caratterizza lastagione patristi-ca, priva sia ditrionfalismi baroc-chi sia di esagera-te insistenze dolo-ristiche, si coglienella cruda rap-presentazione del-la «spietata puntadella lancia» (dirusmucro lanceae),

che ferisce il corpo già sofferente per-ché appeso al patibolo, a cui d’altrocanto si affianca il fiume di grazia (un-da et sanguis) che lava il peccato delmondo.

Nella terza strofa il vessillo dellacroce diventa un albero: è l’alberodella vita piantato in mezzo al giardi-no dell’Eden (Gen 2,9) e che ritrovia-mo nella Gerusalemme celeste (Ap

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

64

Inno

dia

litur

gica

La Crocifissione, Scuola di Mosca, sec. XIV

Page 65: Pentecoste, compimento glorioso

22,2). È un albero glorioso e splen-dente, ornato in modo mirabile «dalrosso del re» (ornata regis purpur?):un’espressione volutamente polisemi-ca e di diff ic i le traduzione.Purpura può indicare infatti il «mantodi color porpora» che contraddistin-gue spesso i sovrani, e che fu messoper burla anche sulle spalle di Cristo(Gv 19,2); ma la porpora richiama an-che il rosso del sangue che sgorgò dalcorpo piagato e dal fianco del Signorecrocifisso. La traduzione ufficiale scio-glie giustamente l’ambiguità («O al-bero fecondo e glorioso / ornato d’unmanto regale»), ma ci sembra giustocogliere la sfumatura che solo il testooriginale può restituire: il “manto re-gale” dell’albero della croce è il san-gue purpureo del Redentore che scor-re su di esso, linfa vitale che cola finoal suolo e così rinnova la terra. Questaè la «gloria della croce», eletta a“toccare le membra sante del corpodi Cristo”. Privilegio straordinarioquesto, certamente; ma che non ènegato al cristiano: ogni fedele puòtoccare le membra del Signore, sianell’accogliere con devozione tra lemani la santa comunione, il «verumCorpus natum de Maria Virgine» (in-no Ave verum), sia nel trattare conamore i poveri, che sono le membradolenti del suo Corpo Mistico. Se soloavessimo coscienza, come i grandisanti della carità, che gli ultimi e i pic-coli sono «sante membra di Cristo»,da toccare con la stessa riverenza cheriserviamo all’eucaristia…

Il trave (stipes) menzionatonella terza strofa suggerisce lametafora dominante in quella succes-siva, ossia la bilancia (statera). La crocesembra distendere le braccia per soste-nere il corpo del Signore. Sembra divedere descritta l’immagine della Tri-nità, come ad esempio è raffigurata daMasaccio a Santa Maria Novella in Fi-renze: il Padre sostiene sollevata la cro-ce a cui è confisso il Figlio, tenendoladelicatamente dalle estremità del traveorizzontale, mentre la colomba delloSpirito volteggia tra i due; ma qui è lacroce stessa a farsi sostegno del Figlio,bilancia che ne sostiene il peso. La me-tafora della bilancia indica il pagamen-to del riscatto redentore: «siete staticomprati a caro prezzo» ripete sanPaolo (1Cor 6,20 e 7,23). Il “peso” delFiglio è il prezzo del riscatto: altro che itrenta denari versati a Giuda! Il valoredel sacrificio di Cristo è infinito: unasola goccia del suo sangue divino sa-rebbe bastata alla redenzione delmondo, come canta l’Adoro Tedevote. Il corpo stesso del Signore èdunque il prezzo del riscatto che haconsentito di riconquistare la «predadegli inferi», ossia l’uomo destinato al-la condanna.

La quinta strofa (assente nel vec-chio testo dell’edizione vaticana) si in-dirizza alla croce e al Signore, invocan-doli rispettivamente come «altare» ecome «vittima» del sacrificio redento-re. Il paradosso del mistero pasqualeviene di nuovo accennato, ricordandoil «duello tra la morte e la Vita» (se-

65

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Inno

dia

litur

gica

Page 66: Pentecoste, compimento glorioso

quenza Victimae paschalis):Cristo è la Vita che ha accetta-

to di gustare la morte e attraverso diessa ha restituito la vita al mondo. Lacroce, altare del sacrificio della nuovaalleanza, si rivela davvero come il nuo-vo albero della vita, il cui frutto salvifi-co è Gesù, vittima divina.

«Ave crux, ave, spes unica!» cantala sesta strofa. Nessun timore, nienteastio o desiderio di rivalsa, neppure unvelo di odio nei confronti dello stru-mento crudele della passione: tutto ètrasfigurato, tutto – anche la croce –parla ormai di speranza e di luce. Que-sto è il vero miracolo della salvezza:tutto, ma proprio tutto, viene trasfor-mato; il male patito (o, nel caso del-l’uomo, anche inferto ad altri) non èpiù fonte di sofferenza, ma diventamemoriale di grazia. Anche la memoriaè sanata, e quindi la croce è totalmentetrasfigurata: da segno di maledizione(cfr Dt 21,23; Gal 3,13) diventa stru-mento di benedizione e di speranza.Non è un caso che il segno della bene-dizione cristiana sia proprio quello dellacroce: significa che la redenzione ècompleta, perfetta, assoluta, perché haraggiunto perfino lo strumento dellamorte ignominiosa di Cristo. Anche lacroce – la cosa più “irredimibile” e lon-tana dalla salvezza! – viene avvolta dauna luce nuova, la luce della Pasqua, etestimonia che nessuna realtà creata èesclusa dall’azione redentrice del Si-gnore. È per questo che proprio la cro-ce viene cantata e celebrata, nel tempodi passione (o nella festa dell’esaltazio-

ne della croce, il 14 settembre), comesegno di salvezza. A lei, senza interme-diari, si rivolge l’orante impetrandol’accrescimento delle virtù per i buoni(piis adauge gratiam) e il perdono dellecolpe per i peccatori (reis dele crimina).Lo stile sobrio, tipico della sensibilità la-tina (nonostante la formazione raven-nate di Venanzio Fortunato) differiscesolo nel tono – meno encomiastico epiù misurato – ma non nel contenutodalla celebrazione sfarzosa della liturgiabizantina:

«Veneriamo il legno della tua cro-ce, o Amico degli uomini, perché in es-so tu sei stato inchiodato, vita di tutti.Gioisci, croce vivificante, invitto trofeodella pietà, porta del paradiso, soste-gno dei fedeli, muro fortificato dellaChiesa: per te è annientata la corruzio-ne, distrutta e inghiottita la potenzadella morte, e noi siamo stati innalzatidalla terra al cielo. Arma invincibile,nemica dei demoni, gloria dei martiri,vero ornamento dei santi, porto di sal-vezza, tu doni al mondo la grande mi-sericordia. Croce, splendore dellaChiesa; Croce fortezza dei re; Croce,saldezza dei fedeli; o croce, gloria de-gli angeli, e dei dèmoni disfatta. Crocedi Cristo, speranza dei cristiani, guidadegli sviati, medico dei malati, risurre-zione dei morti: abbi pietà di noi, cro-ce, custode di tutta la terra!» (dall’Uf-ficio bizantino per l’esaltazione dellaSanta Croce).

La strofa dossologica conclusivasi rivolge alla Trinità invocandola co-me unica «fonte di salvezza» per

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

66

Inno

dia

litur

gica

Page 67: Pentecoste, compimento glorioso

67

Animazione Liturgica

Inno

dia

litur

gica

l’umanità: il mistero della croce, concui la salvezza è offerta al mondointero, coinvolge le tre persone divi-ne in un unico progetto salvifico. Ec-co perché anche l’umanità intera èchiamata a stringersi in comunionenel canto di lode (Te… collaudetomnis spiritus): per corrispondere,

——————

1 Il Liber Hymnarius riporta anche una ver-sione più tradizionale dell’inno, «secun-dum veterem editionem vaticanam», chesopprime la quinta strofa, ne riporta unain più (la terza) e presenta poche variantiritmiche di scarso rilievo. Ecco, per i no-stalgici, il testo del vecchio Liber usualis,che non traduco (salvo la strofa differen-te). Vexilla regis prodeuntfulget crucis mysterium,qua vita mortem pertulit,et morte vitam protulit;

quae, vulnerata lanceae mucrone diro, criminumut nos lavaret sordibus,manavit unda et sanguine.

Impleta sunt quae concinitDavid fideli carmine,dicendo nationibus:«Regnavit a ligno Deus».

[Sono compiute le affidabiliprofezie cantate da Davide, che annunciava alle genti:«Dio ha regnato dal legno»].

Arbor decora et fulgida,ornata regis purpura,electa digno stipitetam sancta membra tangere.

Beata cuius brachiis

con la comunione terrena,alla comunione celeste.

E il devoto canto comunitario delVexilla regis può sicuramente contri-buire a fondere, nel comune sentimen-to di grazie alla Trinità, le nostre comu-nità cristiane, in vista di una Pasqua in-tensa e fruttuosa.

pretium pependit saeculi;statera facta corporis,tulitque praedam tartaris.

Salve, ara, salve, victima,de passionis gloria,qua vita mortem pertulitet morte vitam reddidit!

O crux, ave, spes unica!hoc passionis temporepiis adauge gratiamreisque dele crimina.

Te, fons salutis, Trinitas,collaudet omnis spiritus;quos per crucis mysteriumsalvas, fove per saecula. Amen.

Sembra ragionevole supporre che la stro-fa soppressa sia stata cancellata ancheperché non è facile rintracciare negli scrit-ti sacri – né nei salmi, attribuiti a Davide –l’espressione secondo la quale «Dio haregnato dal legno». Anche una ricercanel testo latino della Vulgata non ha con-dotto a nessun risultato.

2 Ad esempio Ad coenam Agni providi, in«Culmine e Fonte» 2005/2, p. 50.

3 Ma anche come segno di vittoria toutcourt: non si dimentichi l'arcinota visionedi Costantino prima della battaglia diSaxa Rubra: «in hoc signo vinces».

Culmine e Fonte 2-2006

Page 68: Pentecoste, compimento glorioso

o, come un sordo, non ascol-to/ e come un muto nonapro la bocca;/ sono come un

uomo che non sente e non risponde”(Salmo 38, 14); “gli orecchi mi haiaperto [...] mi hai messo sulla boccaun canto nuovo” (Salmo 40, 7a; 4).Angoscia e grazia, miseria e dono: so-no i sentimenti che questi versi stu-pendi di Davide riversano davanti aDio: angoscia e miseria nella recisionedei sensi spirituali; grazia e dono nel ri-torno all’udire e al cantare. Particolar-mente significativa è la lettera del te-sto al v. 7a: “gli orecchi mi hai scava-to”. È l’ascolto profondo di cui abbia-mo parlato la volta scorsa: nostro eser-cizio, certo; ma anche dono preziosoda impetrare costantemente. Comedono è quel “canto nuovo” cheJahwhé mette sulla bocca del salmi-sta. E nel quale può rientrare anche “ilcanto libero e potente” nel quale Pao-lo VI sintetizzava l’esito di ogni “ispira-zione, grazia, carisma dell’arte”. En-trambi i punti – l’ascolto, l’opera d’ar-te – saranno ancora temi di riflessionein questo secondo capitolo della no-stra presenza in “Pregar cantando”:ma con prospettive d’analisi necessa-riamente “in progress”. Avevamo di-chiarato percorribile per chiunque ilcammino della “kritiké”; e che l’esserecritico dovrebbe forzosamente emargi-nare valutazioni superficiali o sprovve-dute. Ci si potrebbe controbattere che

non a tutti è dato il possesso del baga-glio scientifico e culturale di AlbertoTurco o di Philip Gossett. Non sempreè necessario: anzi, talora una sensibi-lità personale viva, palpitante, puògiungere dove scienza e cultura nongiungono. Per un “cammino d’ascol-to” crediamo tuttavia necessario alme-no un riferimento, un “navigatore sa-tellitare” che mostri da dove viene lamusica che percepiamo e dove ci staportando: e questi non può essere altriche la storia. Gli uomini dell’ultimomezzo secolo stanno lentamente, mainesorabilmente, ponendo la storia amargine della loro vita. Che significadesertificare il proprio essere nel tem-po. Assistiamo non da oggi ad unaprogressiva divaricazione tra il fare e lamemoria, tra la tecnica e la cultura, trala scienza e la sapienza. Con il rischiodi diventare e soli e ciechi e sordi. Sesfratteremo dalla mente i “maggiornostri” di Dante, i “prisci philosophi”di Marsilio Ficino, i “cavalieri antichi”di Don Quijote, i poeti di Cyrano deBergerac, i volti, i pensieri, le parole, igesti di coloro che sono stati prima dinoi, diverremo dei Melchisedec al ne-gativo, “senza padre, senza madre,senza genealogia” (Eb 7, 3). E se ucci-deremo i giganti che ci portano sullespalle sì da “vedere più cose di loro epiù lontane, non certo per l’altezza delnostro corpo, ma perché siamo solle-vati e portati in alto dalla statura dei

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

68

Preg

ar c

anta

ndo

STORIE D’ANIMEdon Maurizio Modugno

I

Page 69: Pentecoste, compimento glorioso

giganti” 1, cadremo faccia a terra, sen-za poter più scrutare né l’occidente delnostro passato, né l’oriente del nostrofuturo, senza quel volo inimitabile del-la mente umana che ci fa andare dal-l’altro all’altrove: la fantasia. E se infi-ne il nostro ascolto dev’essere agapico,deve dire il percorso dal cuore ai cuori,un ascoltare senza desiderare l’esitoprimo d’ogni amore profondo, la co-noscenza di tutto ciò che riguarda l’a-mato, è non ascoltare, è sordità. “L’a-more fa vedere” – asseriva Max Sche-ler - “amore e conoscenza vanno dipari passo, così come rivelazione e co-noscenza si intrecciano costantementee appaiono strettamente connessi nelvissuto religioso e nella dinamica cheorigina e struttura a livello profondo ilsapere umano” 2. E Clemente Rebora,“il cercatore di infinito nella profonditàdelle cose e dell’uomo” (R. Cicala), di-ceva (pascalianamente) che il cuore enon la ragione fa conoscere all’uomo ilmistero della vita, il suo conoscere èun sentire, che è insieme un sapere eun amare 3. Più si ama, più si conosce:lo stesso “pensare è amare fino a sa-pere l’amato” 4. Dunque per un ascol-to quale lo andiamo proponendo “lamemoria è un dovere” (Primo Levi). Unascolto memore è un ascolto nel se-gno della storia. In ogni evento d’arteconfluiscono e si confrontano storie di-verse. Non siamo noi a scoprire chel’attività artistica è fondamentalmenteuna comunicazione del sé, un motodinamico io-voi, un mondo interioreche per mezzo di parole, suoni, corpi

in movimento, immagini, ma-nufatti, viene donato dall’au-tore ad una reale o potenziale platea.Sia l’abbraccio universalistico della IXSinfonia di Beethoven eseguita davantia migliaia di persone, sia il Bach incisoda Glenn Gould, patologicamentechiuso con il suo pianoforte in unostudio di perfetta asetticità, possiedo-no un’istanza compartecipativa. E per-sino una vanità creativa o un narcisi-smo estremizzati contengono una fa-se, un momento logico necessario diconsegna esterna non identificabile nécon l’autocontemplazione, né con l’e-sibizione. Accogliamo il dono che civiene offerto. Entriamo in questa com-partecipazione d’arte. Apriamo lamente ed il cuore alle storie appassio-nanti e molteplici che si schiudono alnostro ascolto. La musica è per questodisciplina singolare rispetto alle altre:un quadro, una scultura, una poesia,un romanzo, sono fruibili attraverso unvedere o un leggere personali. Il rap-porto tra autore e utente è diretto.Una sinfonia, un quartetto, una sona-ta, un Lied, possono certo essere ap-presi dalla pagina pentagrammata cheil compositore ha cosparso di note ementalmente intonate: ma la loro veravita è nell’espandersi del suono grazieall’esecuzione strumentale o vocale daparte di uno o più musicisti.

C’è dunque un’interfaccia, una me-diazione imprescindibile tra chi scrive echi ascolta: l’interprete. E talora nonunica. L’ opera lirica esige ulteriori ap-porti: i cantanti in quanto attori, il re-

69

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Preg

ar c

anta

ndo

Page 70: Pentecoste, compimento glorioso

gista, lo scenografo, il costu-mista, sì che non infondata-

mente s’è definita “opera d’arte tota-le”. La danza, infine, senz’altro disci-plina musicale, reca ad estreme conse-guenze tale mediazione: essa è tuttanel momento esecutivo, non altrimentipotendosi rendere visibili quelle se-quenze di passi nate e archiviate solonella mente del coreografo o in unatradizione gestuale che comunque dalui prende origine 5. Musica strumenta-le, opera, danza hanno inoltre carat-teristiche singolarmente effimere: leloro coordinate di riferimento non so-no stabilmente spaziali, ma temporalied ogni evento che in esse si svolge èper sua natura destinato a consumarsiin un “durare” ripetibile (posso esegui-re più e più volte un Preludio di Cho-pin) e al tempo stesso irripetibile (ogniesecuzione sarà sempre “un’altra”). Laregistrazione audiovisiva consente dacirca un secolo una documentazionepreziosa di “performances” che altri-menti sarebbero conservate solo nellamemoria di chi ad esse era presente.Dunque un corretto approccio ad ognibranca dell’ “ars musica” non potrànon tener conto del “concerto di vis-suti” che ad essa concorre. Dell’auto-re, beninteso: certo ogni nota, ognipausa ci racconta di lui; ma ben altrapotenzialità di comprensione derivadal sapere che le Passioni o le Cantatedi J.S.Bach non devono essere lette al-la luce di Cartesio, ma del movimentopietista luterano; o che il Nabucco èopera giovanile di Verdi, mentre i

Quattro Pezzi Sacri sono opera di altamaturità; o che la Seconda, la Terza ela Quarta sinfonia di Mahler si inqua-drano nella sua conversione al cattoli-cesimo. Dell’interprete poi, di colui chedai segni grafici trae sequenze di suo-ni, certo secondo il testo e secondouna tecnica che non può non essereoggettivamente determinata, ma an-che secondo la sua formazione, il suostile, il suo temperamento, la sua cor-poreità, la sua libertà: sì che il soffioche egli ogni volta ridona alla paginascritta ne è la continua, personale at-tualizzazione, il rinascere sempre nuo-vo e sempre diverso d’una fenice dalleceneri del silenzio. L’interpretazione èuna variabile i cui limiti entrano taloranell’imponderabile: i tempi, la dinami-ca, l’agogica, i colori, il senso dato allamusica possono essere, con questo oquell’interprete, diametralmente oppo-sti. Ascoltate “Pietà Signore” dalloStradella di Niedermayer per bocca diEnrico Caruso e di Beniamino Gigli: so-no entrambi sublimi e inconciliabili.L’Eroica di Beethoven diretta da Tosca-nini dura alcuni minuti in meno diquella diretta da Klemperer. Il Bach ro-manticizzato di Furtwängler è un pia-neta diverso da quello filologico diHarnoncourt. E infine di chi ascolta:condizioni fisiche, psichiche, luogo emomento di fruizione, biografia, gustoe cultura personali, possono rendereun brano o un’interpretazione com-prensibili o incomprensibili, graditi osgraditi, suscitando emozioni, affinità,associazioni ideali contrastanti ovvia-

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

70

Preg

ar c

anta

ndo

Page 71: Pentecoste, compimento glorioso

mente in ascoltatori diversi, ma taloraanche nel medesimo ascoltatore. Unsolo esempio: la “querelle” violentache attorno alla metà degli anni Cin-quanta ebbe al centro Maria Callas –soprattutto in occasione della sua Me-dea di Cherubini al Teatro dell’Operadi Roma – e l’approvazione o disap-provazione estremistiche tanto dellasua voce, quanto del suo taglio inter-pretativo, coinvolgendo su oppostifronti nomi di studiosi quali GuidoPannain, Ettore Paratore, Mario Praz,Beniamino Dal Fabbro.

Come potrà essere possibile riceve-re nozione di tutto ciò? Come si potràaccedere alle storie che confluiscono inciò che un CD o un’esecuzione dal vi-vo ci offrono? Come si potrà entrare

nel “potere arcano dei suoni”cercandovi bellezza e “pietas”,mistero e speranza, genio umano epresenza di Dio? Come potremo, insintesi definitiva, dar luogo ad unascolto di “virtute e conoscenza”? Ilnostro cammino in “Pregar cantando”cercherà d’ora in poi d’offrirvi, consemplicità le conseguenze pratichedelle premesse teoriche fin qui poste:ossia un piccolo, leggero e forse magi-co mazzo di chiavi utile per aprire unadopo l’altra alcune serrature, alcunibauli da cui usciranno frontespizi de-corati, pagine, note, suoni e silenzi,violini e organi, bacchette agitate, ma-ni abilissime, ugole sonanti, chiese eteatri, passioni e preghiere. “Il concet-to vi dissi... Or ascoltate com’egli èsvolto. Andiam. Incominciate!” 6

71

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Preg

ar c

anta

ndo

——————

1 E’ un celebre aforisma che Giovanni diSalisbury attribuisce a Bernardo di Char-tres. Per la sua storia si legga di R.K. Mer-ton Sulle spalle dei giganti, Il Mulino, Bo-logna 1991, con un’introduzione di Um-berto Eco.

2 Cfr. Giuseppina De Simone, L’amore favedere. Rivelazione e conoscenza nella fi-losofia della religione di Max Scheler, Edi-

zioni S. Paolo, Cinisello Balsamo, 2005.

3 Cfr. Ilaria Setti, Clemente Rebora e la suateologia dell’amore, archivio.il-margine.it

4 Clemente Rebora, Rosmini, a cura di A.Valle, prefazione di M. Guglielminetti,Longo, Rovereto, 1987.

5 Un sistema di notazione di danza è statorealizzato solo in epoca moderna.

6 R. Leoncavallo, I pagliacci, Prologo.

Page 72: Pentecoste, compimento glorioso

a luce del Cristo che risorgeglorioso disperda le tenebredel cuore e dello spirito”

(dalla liturgia della veglia pasquale). Lasimbologia della luce ha incontrato lasua prima forte espressione biblica nel“Sia la luce!” della storia della creazio-ne: con la luce il caos diventa ordine,“Dio è luce e in lui non ci sono tene-bre” (1Gv1,5). Nelsuo prologo lo stessoevangelista scriveche il logos, la paroladi Dio, incarnandosiin Gesù diviene “lucevera che i l luminaogni uomo” (Gv1,9), faro nelle oscu-rità delle tenebre delpeccato e della mor-te. Nella luce delmattino di Pasquapiù che mai siamoinvitati a contempla-re Cristo e procla-marlo come la lucedella vita, offerta pernoi sulla croce pervincere la morte e ri-scattarci dalla schia-vitù del peccato. NelRisorto trionfa così laluce della salvezza.

Il cero pasqualeche ho dipinto a cera

per la mia parrocchia racchiude nellesue raffigurazioni contenuti simbolicisul mistero della risurrezione.

Alla base ho rappresentato un vasoda cui fuoriescono tralci di vite. L’anfo-ra, che contiene l’acqua della vita, èsimbolo figurativo dell’uomo parago-nato a vaso di grazia, tempio dello Spi-rito Santo redento da Cristo nel sacra-

“ECCO, IO FACCIO NUOVETUTTE LE COSE”

Roberta Boesso

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

72

Epi

fani

a de

lla b

elle

zza

“L

Page 73: Pentecoste, compimento glorioso

mento del battesi-mo, sepolto e risor-to con Lui a vita nuova.Grazie a questo sacramen-to infatti siamo stati inne-stati in Cristo come tralci diuna stessa vite: i frutti chene derivano (simboleggiatidai grappoli d’uva) sono se-gno di una vita fedele aicomandamenti, special-mente a quello dell’amore.

Le sette colombe bian-che raffigurate sui tralcisimboleggiano i sette donidello Spirito Santo, doniche ogni cristiano deve ac-cogliere e far tesoro per vi-vere in pienezza la propriavocazione.

La vite, come ogni albe-ro, è ricco di riferimentisimbolici inerenti alla vita ealla morte: attraverso il suociclo annuo, il suo visibilemorire e rinascere, attra-verso la ricchezza di fogliee frutti e, infine, il suo ritor-no ad un’apparente steri-lità. Per questo, al di sopradei tralci, si riveste del suopieno significato redentivola croce di Gesù che, con-fitta nel profondo del malee della morte, diventa l’al-bero della Vita, di risurre-zione.

L’Alfa e l’Omega alleestremità del braccio verti-

73

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

Epi

fani

a de

lla b

elle

zza

Page 74: Pentecoste, compimento glorioso

cale della croce alludono alleparole di Cristo: “ Io sono l’Al-

fa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, ilprincipio e la fine” (Ap. 22,13).

Al di sopra della croce e all’inter-no di una mandorla è rappresentatol’Agnello dell’Apocalisse:“ Poi guar-dai ed ecco l’Agnello ritto sul monteSion” (Ap 14,1).

La mandorla secondo i canoni ico-nografici è simbolo di gloria; l’oro delfondo è il colore per eccellenza delladivinità, mentre il rosso del bordo sim-boleggia l’amore che Dio infonde sul-l’umanità. L’agnello, simbolo di inno-cenza e umiltà, è la vittima sacrificalepiù frequente nel culto veterotesta-mentario, come prefigurazione del sa-crificio di Cristo sulla croce. Per questomotivo è uno dei simboli più impor-tanti nell’arte figurativa cristiana perrappresentare l’Agnello di Dio, Gesù,che toglie i peccati del mondo, l’A-gnello immacolato, immolato e vin-cente dell’Apocalisse. Il vessillo indicala duplice realtà del sacrificio (nel se-

gno della croce) e di vittoria nella risur-rezione. I quattro ruscelli che scorronodal monte Sion (il trono di Dio) alludo-no non solo ai quattro fiumi del para-diso (restituito in Cristo) che bagnanole quattro parti del mondo, ma ancheai quattro vangeli che diffondono intutto il mondo la Verità della Parola.

Il cartiglio, sotto la mandorla, conla scritta “Chi ha sete venga” richiamale parole dell’Apocalisse:

“A colui che ha sete darò gratuita-mente acqua della fonte della vita”(Ap. 21,6). L’acqua viva, simbolo delloSpirito Santo che rende nuove tutte lecose, insieme al sangue della nuova al-leanza sgorgato dal cuore trafitto diCristo, sono segno estremo dell’amoreinfinito di Dio per l’uomo, suo sigilloper l’eternità.

Nel nostro cammino verso la Pente-coste, sull’esempio di Gesù, siamochiamati a essere veri figli della lucecon la nostra testimonianza per porta-re a tutti la gioia del Signore risorto.Alleluia!

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

74

Epi

fani

a de

lla b

elle

zza

Page 75: Pentecoste, compimento glorioso

GIANNA BERETTA MOLLAsuor Clara Caforio, ef

appuntamento con “i nostriamici” in questo numero ècon una donna la cui straor-

dinarietà consiste nel aver vissuto conassoluta ordinarietà la sua giovane vi-ta. Leggo e ascolto la biografia diGianna Beretta Molla con un certo pu-dore, mi avvicino a lei stando comesulla soglia di un mistero. Non è facileraccontare della santità vissuta nel pic-colo spazio delle pareti domestiche onei brevi confini del lavoro, forse per-ché siamo abituati ai santi delle grandiimprese, santi religiosi o comunqueuomini e donne che hanno vissuto lavita con particolari forme di consacra-zione a Dio. Il nostro tempo necessitapiù che mai di testimoni, gente credi-bile e solidale con il vissuto di tutti.Una santità insomma a portata di ma-no e di occhi; occhi nei quali ricono-scerci, occhi che hanno scrutato il buioe individuato la luce. Occhi come quel-li di Gianna carichi di eternità!

Il suo volto è l’attualizzazione dell’i-cona di Maria, Madre della tenerezza;nel contemplarlo ci si sente avvolti dal-la pace, una sorta di armonia che è ri-chiamo alla comunione trinitaria.Quanti spunti di riflessione può offrirciun volto! Si dice che è lo specchio del-l’anima ed è vero! Il volto della nostrabeata ha i lineamenti dell’amore rice-vuto e donato, della gioia e della spe-

ranza costruita. Accosto in punta dipiedi Gianna e vi racconto che: Nascea Magenta (Milano) il 4 ottobre 1922da Alberto e Maria, decima di tredicifigli, riceve un’educazione umana ecristiana, impregnata di quei valorisemplici ed essenziali che fanno consi-derare la vita come un dono meravi-glioso tutto da vivere, un regalo che

75

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

I no

stri

am

ici

L’

Page 76: Pentecoste, compimento glorioso

nasce dalle mani generose diDio Padre. All’età di cinque an-

ni riceve la prima comunione e com’ènaturale per le anime belle, l’eucaristiadiventerà la sua forza , il suo riferi-mento assiduo, la sua luce nella fan-ciullezza, adolescenza e giovinezza.C’è un filo comune tra i santi di ogniepoca, un legame che trova il suo polod’attrazione proprio nell’eucaristia,quasi come se “il piccolo pezzo di pa-ne” fosse la sintesi di tutti i frammentidi santità sparsi ovunque; un impastodi semi di bontà messi insieme e divi-nizzati dal Signore Gesù. I santi di ognietà lo hanno ben compreso e la beataha vissuto l’eucaristia come rendimen-to di grazie, sacrificio, lode da condivi-dere con tutti.

Gli anni dell’adolescenza trascorro-no tra difficoltà e sofferenze: salutefragile, trasferimento a Genova dellafamiglia. Negli anni della residenza ge-novese, Gianna durante un corso diesercizi spirituali, a soli quindici anni emezzo, fa una forte esperienza che in-ciderà profondamente nella sua vitafutura. Di questi esercizi è rimasto unquaderno di “ricordi e preghiere” tra icui propositi si legge: “Voglio temere ilpeccato mortale come se fosse un ser-pente, e ripeto di nuovo: mille voltemorire piuttosto che offendere il Si-gnore”. E tra le sue preghiere: “O Ge-sù ti prometto di sottomettermi a tuttociò che permetterai mi accada, fammisolo conoscere la tua volontà”.

In seguito il noto liturgista M. Ri-ghetti contribuisce in modo determi-

nante ad arricchire il cammino spiritua-le di Gianna, egli diviene il suo diretto-re spirituale inculcandole anche l’amo-re per la liturgia che diventa una sor-gente per il suo arricchimento interio-re. Finita la quinta ginnasiale, i genitorile fanno sospendere la scuola per unanno per avere modo di rinforzare lesue fragili condizioni fisiche. Nell’otto-bre del 1939 riprende gli studi fre-quentando il liceo classico dell’istitutodelle suore Dorotee di Lido d’Albaro. Ibombardamenti provano molto lamamma Maria e così la famiglia nel-l’ottobre del 1941 fa ritorno a Berga-mo nella casa dei nonni materni. Si av-vicinano nuove prove per Gianna che adistanza di breve tempo perde entram-bi i genitori: un colpo durissimo che,tuttavia, non incrinano il suo equili-brio. Gli anni giovanili del liceo e del-l’università sono un cantiere d’impegnivari e di apostolato nell’Azione Cattoli-ca e nella partecipazione attiva alle at-tività caritative della S. Vincenzo.

Nel 1949 si laurea in medicina echirurgia all’università di Pavia, apren-do in seguito un ambulatorio medico aMesero (comune del Magentino), sispecializza in pediatria nell’universitàdi Milano, dedicandosi con particolareimpegno ad assistere bambini poveri,mamme e persone bisognose. A metàdi questo racconto, forse potrebbesorgere una certa perplessità dinanzi atanta normale semplicità di vita, masenza dubbio la grandezza di un’esi-stenza sta anche in questa essenzialità:cercare la volontà di Dio nelle piccole

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

76

I no

stri

am

ici

Page 77: Pentecoste, compimento glorioso

trame della ferialità. Gianna ha amatoil Signore con tutto il cuore, tutta l’ani-ma, tutte le forze, dentro i ritmi piùquotidiani della sua vita. Ritmi scanditidal lavoro serio e competente, dallapartecipazione quotidiana all’eucari-stia, della preghiera dinanzi al Santissi-mo Sacramento,dalla recita del rosarioe ritmi cadenzati da un’innata voglia divivere che la nostra beata concretizza-va in amore per la musica, la pittura,l’alpinismo. Una donna moderna, checerca Dio cantandolo con la passioneper tutto quello che fa!

Com’è naturale per le menti in ri-cerca, Gianna s’interroga, prega, fapregare perché si chiarisca il disegnoche Dio ha su di lei. All’inizio pensa didiventare missionaria laica in Brasileper aiutare il fratello Alberto, medicomissionario a Grajau. Ma le vie del Si-gnore sono diverse dalle nostre, difattiscopre un’altra vocazione: il matrimo-nio. Conosce Pietro Molla, ingegnere,con il quale si fidanza e a cui trasmettela sua gioia e ricchezza di fede. Le let-tere che gli scrive sottolineano tutta latrasparenza del suo cuore innamorato:“Pietro potessi essere per te la donnaforte del Vangelo; vorrei proprio fartifelice ed essere quella che tu desideri:buona, comprensiva e pronta ai sacrifi-ci che la vita ci chiederà”.

Il 24 settembre 1955 viene celebra-to il suo matrimonio nella Basilica di S.Martino in Magenta; nel novembre del1956 nasce il suo primogenito Pier Lui-gi, poi nel 1957 nasce Mariolina, nel1959 viene alla luce Laura. Ogni nasci-

ta per lei è un inno alla vita;una tessitura di amore che go-de e che si dona senza risparmio in fa-miglia, nel lavoro e negli apostolati cheriesce a compiere. Ci sono uomini edonne che sono il ritratto dell’armoniaricostituita, esempio di pace che non èquietismo ma capacità di trasformareogni forza negativa in energia positiva.La beata Gianna respirava il Sole e locomunicava e infatti il suo motto pre-ferito era: “Sorridere a Dio, sorridere aColui dal quale viene ogni dono! E an-cora “sorridere alla Santa Vergine,esempio al quale dobbiamo conforma-re la nostra vita, sicché chi guarda anoi possa essere portato a pensierisanti”. E tutto un programma questoapostolato del sorriso! Proviamo apensare al valore di un sorriso offertoa chi ci è vicino, ci è scomodo, ai nostricolleghi di lavoro, alla gente che spin-ge tra la folla, al mendicante che ci di-sturba. Recuperare la dimensione del-l’annuncio anche attraverso il nostrovolto, questo dovremmo riprendercicome cristiani, fratelli e sorelle dell’U-nico Padre! La gioia è il primo doveredi ogni cristiano, il primo strumento diapostolato e Gianna lo ha ben com-preso. La gioia e la Madonna sono perlei un binomio inscindibile: la Madre diGesù è il modello a cui guardare, laMadre di tutti. Della maternità non so-lo fisica ella era ben consapevole:“Ogni vocazione,sosteneva,è una vo-cazione alla maternità: fisica, spiritua-le, morale, perché Dio ha posto in noil’istinto della vita… Prepararsi alla pro-

77

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

I no

stri

am

ici

Page 78: Pentecoste, compimento glorioso

pria vocazione e prepararsi adare la vita”; ed è appunto

nella maternità che la beata senteprofondamente realizzata la sua voca-zione.

Nell’agosto del 1961 la giovanedonna aspetta il quarto figlio ma sco-pre di avere un tumore, un grosso fi-broma uterino: potrebbe salvarsi a pat-to di rinunciare al bambino che portain grembo. Si racconta che la dotto-ressa Beretta, prima di recarsi in ospe-dale, va dal sacerdote dal quale abi-tualmente si confessava e questi la in-coraggia a sperare, e lei con altrettan-ta fiducia risponde prontamente: “Sìdon Luigi, ho tanto pregato in questigiorni. Con fede e speranza mi sonoaffidata al Signore, anche contro laterribile parola della scienza medicache mi diceva: o la vita della madre ola vita della sua creatura! Confido inDio, sì, ma ora spetta a me compiere ilmio dovere di mamma. Rinnovo al Si-gnore l’offerta della mia vita. Sonopronta a tutto, pur di salvare la miacreatura”. Il primo intervento riesce eGianna riprende il suo lavoro quasinormalmente portando avanti la gravi-danza, senza pesare su nessuno. “Ame, -testimonierà il marito- tornava inmente con insistenza la sua richiestache fosse salvata la gravidanza, manon osavo andare oltre col pensiero.Qualche tempo dopo, mi disse: Pietro,ho bisogno che tu, che sei sempre sta-to tanto amorevole con me, lo sia an-cora di più in questo periodo, perchésono mesi un po’ tremendi per me.

Continuavo a vederla tranquilla. Si oc-cupava con il solito affetto dei nostribambini e dei suoi malati. Poi un gior-no mi sono accorto che metteva a po-sto la casa con un’attenzione partico-lare, che riordinava i cassetti, gli arma-di… come se avesse dovuto partire perun lungo viaggio”. Soltanto al fratellosacerdote Gianna ha la forza di mani-festare il suo stato d’animo: Il più haancora da venire. Tu non te ne intendidi queste cose. Quando sarà il mo-mento, o io o lui”. A distanza di unmese e mezzo della nascita del bambi-no dirà le stesse frasi al marito: “Dove-vo uscire per andare in fabbrica, Gian-na mi è venuta vicino come succedequando si debbono dire cose difficili,che pesano, ma alle quali si è tantomeditato e su cui si vuole tornare. Pie-tro, ti prego… se si dovrà decidere trame e il bambino, decidete per il bam-bino”. Glielo ripeterà ancora prima delparto. La sua passione comincia pro-prio il venerdì santo del 1962, alle un-dici del sabato santo nacque con partocesareo, una bella e sana bambina, nelmomento in cui secondo la liturgia inuso prima del Concilio, si scioglievanole campane e si cominciava a festeg-giare la risurrezione. Svegliatasi dall’a-nestesia le portarono la piccola. Il ma-rito racconta che: “l’ha guardata conuno sguardo lunghissimo in silenzio.Se l’è tenuta accanto con una tenerez-za indicibile. L’ha accarezzata legger-mente senza dire una parola”. Poi lasua passione continuò per un’altra set-timana fino alla morte per una perito-

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

78

I no

stri

am

ici

Page 79: Pentecoste, compimento glorioso

nite settica, senza che si riuscisse a farnulla per salvarla.

Che cosa la spinse a questa scelta?Certamente la convinzione chiara chela vita è un valore da difendere. L’ave-va detto lei stessa, da medico, ad unaragazza che le chiedeva di farla aborti-re: “Non si scherza con i bambini”.Sarà ancora il marito a spiegare ciòche spinse la moglie al sacrificio:“Quello che ha fatto non lo ha fattoper andare in Paradiso, l’ha fatto per-ché si sentiva mamma…” Per com-prendere tale decisione non si può di-menticare la sua profonda persuasio-ne, come madre e come medico, chela creatura che portava in sé era unacreatura completa, con gli stessi dirittidegli altri figli, anche se era stata con-cepita da appena due mesi. Un donodi Dio, al quale era dovuto un sacro ri-spetto. Un testimonianza così nella no-stra società che attenta continuamen-te alla vita somiglia ad un grido, è l’ur-lo degli innocenti che non nascerannomai, bambini rifiutati o decisi in labo-ratorio. Sono i martiri di questo tem-po, girotondi di piccoli che sono angeliin qualche punto d’eternità. Mi piacepensare alla beata Gianna BerettaMolla come la protettrice di tutte lemadri in attesa, di quelle che dicono sìalla vita e sono sensibili a qualunque

sacrificio… patrona delle don-ne che desiderano vivere lamaternità non solo fisica ma anchespirituale come espressione di un amo-re ricevuto e donato.

Il 24 aprile 1994 Giovanni Paolo IIin piazza S. Pietro, proclama GiannaBeretta Molla beata come madre di fa-miglia. Il 16 maggio 2004, sempre inpiazza S. Pietro, Giovanni Paolo II la di-chiara Santa. La liturgia celebra la suafesta votiva il 28 aprile.

Il Rito del Matrimonio in versioneitaliana pubblicato il 4 ottobre 2004 in-serisce S. Giovanna Beretta Molla tra isanti dei quali si invoca l’intercessione.

Oggi nel nome di Gianna sono natein tutto il mondo decine di opere: rivi-ste, associazioni in difesa della vita,movimenti di spiritualità, a lei sono in-titolate scuole e case di accoglienzaper madri in difficoltà, dal Canada alleFilippine, dalla Cina al Madagascar,dalla Germania agli Stati Uniti. “Forseil motivo di questo interesse sta nelfatto che era madre di famiglia, dicePietro Molla, ma forse a conquistaretanti cuori in tutto il mondo è anche ilsuo sorriso, che appare in tutte le foto-grafie che sono rimaste di lei. Sorride-va sempre, il sorriso ce l’aveva nell’ani-ma. Gianna era una donna serena,una santa contenta”.

79

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

I no

stri

am

ici

Bibliografiawww.vatican.va/news-service/liturgy/saintswww.santiebeati.itwww.azionecattolica.it/aci/testimoni/santi/beretta_molla

Page 80: Pentecoste, compimento glorioso

Conferenza: «La Torah comincia e finisce con un atto di amore». L’amore del prossimo nel Targum e nel Midrash.

Relatori: prof. M. Pina Scanu – prof. P. Giovanni Odasso

Casa di spiritualità delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, Via XX Settembre, 65/b

Sabato 25 febbraio 2006 ore 16,00. Ingresso libero.

Nella stessa sede, dalle ore 15,00 di venerdì 24 febbraio alle ore 12,00 di domenica 26

si svolgono lo studio e il commento dei relativi testi targumici nell’originale aramaico.

______________

Settimane intensive di ebraico biblico

3 – 8 luglio 2006: Ebraico I

10 – 15 luglio 2006: Ebraico II

31 luglio – 5 agosto: Ebraico III

Casa di spiritualità delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, Via XX Settembre, 65/b.

Per informazioni rivolgersi alla Segretaria del CIBES,

sig.ra Angela Pak (tel. 068170961).

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2006

80

Not

izie