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1 Scaricato da S U N H O P E APPUNTI DEL CORSO DI PEDIATRIA E CHIRURGIA PEDIATRICA A.A. 2018/19

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APPUNTI DEL CORSO DI

PEDIATRIA

E

CHIRURGIA PEDIATRICA

A.A. 2018/19

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PREMESSA

Caro collega che ti accingi ad utilizzare questo materiale, prima di leggere queste pagine, per onestà intellettuale, devo dirti e chiarirti alcune cose: quanto seguirà sono gli appunti del corso di pediatria e chirurgia pediatrica dell’anno 2018/19, non sono sbobinature, ci potrebbe essere qualche misinterpretazione o qualche concetto scritto forse in velocità che potrebbe non essere espresso nel migliore dei modi possibili, ti chiedo un po’ di pazienza. In secondo luogo sappi che, all’interno degli appunti, ho aggiunto delle parti che ho utilizzato per il mio studio personale, per cui anche qui ci si discosta da quanto strettamente detto a lezione. In terzo luogo sappi che queste lezioni coprono gran parte del programma, ma non la sua interezza, per cui ti consiglio di studiare anche dagli altri supporti che riterrai più opportuni. Inoltre, ai fini della completezza della tua preparazione, sappi che è necessario integrare l’allattamento che non è stato trattato a lezione, la fibrosi cistica e le malattie neurologiche e reumatologiche, anch’esse saltate durante il corso, in aggiunta ad alcuni argomenti di chirurgia pediatrica (come l’atresia esofagea). Infine, se hai apprezzato questo lavoro, sappi che non sarebbe stato possibile senza il contributo di Marica Cuomo, Giulia D’Alvano, Ilaria

Peluso, Linda Sessa e Anna Maria Carillo. Spero che il tuo studio sarà un buono studio, l’esame è bello e interessante, in bocca al lupo.

Giovanni Di Lorenzo

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Sommario

INTRODUZIONE ........................................................................................................................................... 4

IL NEONATO A TERMINE SANO ................................................................................................................... 5

ASMA .......................................................................................................................................................... 7

INQUADRAMENTO ANEMIE ........................................................................................................................ 9

PATOLOGIA TIROIDEA ................................................................................................................................12

PATOLOGIA SURRENALICA .........................................................................................................................13

VOMITO .....................................................................................................................................................15

PIASTRINOPENIA ........................................................................................................................................17

BRONCHIOLITE ...........................................................................................................................................19

LARINGITE ..................................................................................................................................................19

DIABETE IN ETÀ PEDIATRICA ......................................................................................................................21

POLMONITI ................................................................................................................................................24

ALLERGIE ALIMENTARI ...............................................................................................................................25

CRIPTORCHIDISMO ....................................................................................................................................27

AUXOLOGIA ...............................................................................................................................................28

CELIACHIA ..................................................................................................................................................30

ONCOLOGIA PEDIATRICA ...........................................................................................................................32

MALATTIE INFETTIVE (prima parte) ............................................................................................................35

TUMORI SOLIDI EXTRA-CRANICI/EXTRA SNC..............................................................................................38

DOLORE ADDOMINALE ACUTO E SANGUINAMENTO DEL TUBO DIGERENTE .............................................42

PATOLOGIA ADDOMINALE E RETROPERITONEALE .....................................................................................47

MALATTIE INFETTIVE (seconda parte) ........................................................................................................50

MALFORMAZIONI DELLE VIE URINARIE ......................................................................................................57

CHIRURGIA ONCOLOGICA PEDIATRICA ......................................................................................................58

OBESITÀ .....................................................................................................................................................60

DIARREA ACUTA .........................................................................................................................................62

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01/10/2018 prof. Miraglia del Giudice

INTRODUZIONE Testi consigliati: Manuale di pediatria - Lissauer (prendere questo perché più aggiornato), pediatria di Nelson (testo molto lungo, di solito consigliato agli specialisti). Il pediatra segue lo sviluppo del bambino dalla nascita ai 16-18 anni, anche quelli sani, dato che la pediatria la a che fare con la SALUTE del bambino.

TERMINOLOGIA Neonato: da 0 a 30 giorni; Lattante: da 1 a 12 mesi; Seconda infanzia: da 2 a 6 anni; Terza infanzia: da 6 anni all’inizio dell’adolescenza. La natalità in Itala è calata di quasi 1700 unità dal 2014. Natalità = nati vivi / pop. totale x 1000. Mortalità perinatale = (nati morti + nati vivi) / totale nati × 1000. Il tasso di mortalità infantile esprime dunque il rapporto tra i morti nel primo anno di vita e il totale dei nati vivi nello stesso anno per 1000 nati, il tasso di mortalità neonatale rappresenta invece il rapporto tra i morti nei primi 28 giorni di vita e il totale dei nati vivi nello stesso anno per 1000 nati, il tasso di mortalità perinatale, infine, è il rapporto tra la somma dei nati vivi e di quelli deceduti nei primi 7 giorni (equivalenti a 168 ore) e il totale dei nati, vivi e morti, per 1000 nati.

Cause di morte neonatale 41% dei casi avviene nei primi 30 giorni, il 14% è dovuto a diarrea (circa 80-90 anni fa è stata inventata la soluzione fisiologica via ago), segue la polmonite. Per far diminuire la mortalità infantile si deve migliorare lo stato di salute delle madri. Patologie emergenti: obesità (in Campania circa il 40%) che si riverbera sugli adulti, problemi cognitivi cronici, dipendenze, malattie di importazione ⇒ emoglobina β-HbS omozigote. Bisogna investire e potenziare la diagnosi precoce (diagnosi perinatale e screening) → ipotiroidismo, fibrosi cistica del pancreas e fenilchetonuria (PKU); la prevenzione si ottiene attraverso il suggerimento di modelli e stili di vita atti ad impedire l'insorgenza di malattia.

Prevenzione nel 2018 Obesità: predisposizione genetica + ambiente (ricordare che il bambino nel primo anno di vita triplica il suo peso e aumenta del 50% la sua lunghezza rispetto alla nascita): la probabilità che un bambino diventi obeso è la medesima se è nato con un peso molto basso o molto alto. Il rischio di obesità aumenta se la madre ha fumato durante la gravidanza, se ha dormito meno di 12 ore per notte, se il bimbo è stato allattato meno di 12 mesi e se il peso alla nascita era estremamente basso o alto. Nel 1944 i Tedeschi chiusero l'accesso ad una regione dell'Olanda occidentale, impedendo l'arrivo di provviste e provocando una terribile carestia: negli anni '70 e '90 si paragonarono i nati durante la carestia con quelli nati prima o dopo e i primi erano molto più obesi dei secondi. I primi mille giorni dal concepimento sono importantissimi per il corretto sviluppo della persona attraverso una serie di modificazioni epigenetiche (intese come cambiamento nell'espressione di alcuni geni con modulazione del funzionamento di organi e tessuti) che agiscono tramite metilazione, acilazione e micro-RNA. Il latte materno viene secreto con degli esosomi, che hanno una membrana esterna e contengono micro-RNA e sono, quindi, in grado di modificare alcuni geni localizzati in cellule ricevitrici. Gli esosomi del latte materno resistono ai succhi gastrici e colonizzano il neonato attuando la loro azione protettiva.

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02/10/2018 prof. Rossi

IL NEONATO A TERMINE SANO Rispetto all’età alla nascita si considera un neonato a termine se è nato tra le 38 e le 40 settimane di gestazione (contate dal giorno dell’ultima mestruazione materna), pre-termine se prima delle 36 settimane, post-termine se dopo le 42 settimane. Riguardo al peso alla nascita, se questo è compreso tra 2500 e 4200 grammi si dice normopeso, se superiore a 4200 grammi macrosoma, se inferiore a 2500 grammi basso peso. Le carte antropometriche mettono in relazione l'età gestazionale e il peso alla nascita: ad oggi si riconosce un neonato piccolo, adeguato o grande per età gestazionale attraverso le tavole dei percentili, che hanno il decimo e novantesimo percentile come valori soglia e corrispondono a +2 e -2 deviazioni standard. Si deve sempre controllare nei neonati la presenza della fontanella bregmatica aperta; il neonato a termine vede, avverte sapori e odori, ha percezione uditiva e dolorifica, sensibilità profonda e vestibolare. La temperatura del neonato normale è circa 37,5°C e i piccoli possono andare incontro a ipotermia nel passaggio tra vita intrauterina ed extrauterina, che si realizza già a 36°C: per evitare ciò, li si avvolge un panno e si fa loro un bagno caldo, vengono strofinati in maniera energica, posti in isola neonatale (che monta una lampada che produce calore) e vengono fatti allattare immediatamente per stimolare la produzione di latte materno e limitare il rischio di termodispersione. Una volta posto in isola neonatale il piccolo si valuta la pervietà delle

vie aeree (aspirazione dei muchi da naso e bocca), poi si valutano i parametri che rientrano nel punteggio di APGAR, ogni parametro può avere un punteggio che va da 0 a 2, il massimo è 10 e la normalita è a 7, al di sotto di 4 si deve portare in terapia intensiva neonatale. I parametri sono:

attività cardiaca (circa 150 bpm è nella norma, se più di 100 il punteggio è 2);

frequenza respiratoria (50 atti al minuto, se ritmica e vigorosa il punteggio è 2);

tono muscolare (normalmente il neonato presenta ipotonia del collo e ipertono flessorio degli arti, se il tono è normale il punteggio è 2);

risposta agli stimoli (come quello di elicitazione del pianto, se esso è vivace il punteggio è 2);

colorito (nelle prime ore il colorito è molto rosso perché il neonato è poliglobulico, se è così il punteggio è 2).

Questa valutazione si fa al primo minuto e al quinto minuto di vita, se la prima valutazione è scarsa e la seconda migliora se ne fa anche una terza.

Profilassi Si mettono gocce di antibiotico per prevenire infezioni da Gonococco e Chlamydia; il neonato non

sintetizza vitamina K e anticamente si assisteva alla malattia emorragica neonatale, non si vede più perché oggi si somministra vitamina K;

Controllo della temperatura;

Si fa identificazione del neonato tramite applicazione del braccialetto che coincide con quello della madre e viene tolto alla dimissione (per 3-4 giorni il neonato è identificato con il cognome materno).

La profilassi antibiotica viene fate anche ai nati con parto cesareo. Tutti i neonati vengono posti in culle riscaldate e portati al nido per 3-4 giorni per i controlli clinici giornalieri, si valutano i parametri biometrici, soprattutto peso e capacità di alimentarsi, e si fanno gli screening neonatali. Importantissimo l'esame neurologico attraverso l’elicitazione dei riflessi neonatali: vanno considerati il riflesso di suzione-deglutizione e cercamento (si tocca la guancia e il neonato si gira da quel lato, scompare a 4 mesi), il riflesso dello schermidore (quando il bambino si trova in posizione supina se il capo viene ruotato da un lato il bambino distende l'arto superiore omolaterale e flette il controlaterale, tale riflesso impedisce al bambino di rotolare e ha la funzione di portare nel campo visivo il braccio e permettere quindi il controllo occhio-mano), quello di fuga (si solletica la pianta del piede e si ritrae la gamba), il riflesso di Moro (su una superficie rigida si solleva la testa e la si lascia, il neonato trema. Scompare al massimo entro l'anno di vita), quello di prensione (si mette un dito nel palmo o nella pianta e le dita si stringono), il segno di Babinski (che risulta positivo fino ai

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18 mesi), il riflesso della marcia automatica e il riflesso di Galant (riflesso spinale che si presenta con incurvamento omolaterale del tronco quando avviene la stimolazione paravertebrale nella regione dorso-lombare).

Fenomeni fisiologici neonatali Nelle prime ore di vita si deve assistere alla prima minzione e al meconio (emissione verdastra di frammenti e detriti presenti nel colon; la fibrosi cistica e il megacolon aganglionare portano ad una sua ritardata emissione). Si registra un calo ponderale fisiologico (massimo del 10%), dovuto alla minzione e al meconio non bilanciati dalle entrate (la madre non ha ancora avuto la montata lattea), in più il bagnetto rimuove la vernice caseosa che protegge la cute del neonato e si ha essiccamento del moncone. Nei neonati da parto vaginale si ha il tumore da parto, tumefazione della parte che per prima si è incanalata nel canale del parto ed è stata sottoposta alla tensione e alla pressione delle pareti uterine. Dopo la dimissione a casa si osserva una crisi genitale, con pseudo mestruazioni e secrezione lattea nelle femmine e ingrossamento dei capezzoli in entrambi i sessi. Particolare attenzione merita l'ittero1 (è fisiologico se a bilirubina indiretta, perché il fegato non è completamente competente e non coniuga tutta la bilirubina, deve comparire dalla seconda giornata di vita in poi e scomparire entro i primi 7 giorni nel neonato a termine e 10 giorni nel pre-termine. Non deve superare i 12-13 mg nel nato a termine e i 15 mg nel pre-termine e deve avere un incremento giornaliero non superiore a 5 mg, che si valuta tramite prelievo al tallone), che può essere espressione di patologie emolitiche, infettive, aspergillosi, talassemia, deficit enzimatico2, ittero da latte materno (per la presenza nel latte materno di β-glucuronidasi e altre sostanze che facilitano la deglucuronazione della bilirubina direttamente a livello intestinale, per cui aumenta la quota di bilirubina indiretta che viene assorbita a livello del circolo enteroepatico. Ovviamente questo porta ad un aumento di bilirubina indiretta: prima si sospendeva l'allattamento ma oggi la sospensione è temporanea). Davanti a ittero patologico si fa fototerapia o terapia exanguino-trasfusionale che dipende dal valore di bilirubina. La fototerapia usa la foto-isomerizzazione per convertire la bilirubina e renderla eliminabile. L’exanguino-trasfusione si fa in casi più gravi. Lo screening neonatale di talassemia è obbligatorio solo in alcune regioni come la Sardegna, si fa con prelievo al tallone e il campione si invia in centri specializzati e centralizzati e le risposte vengono mandate al punto nascita che informa i genitori solo se i test hanno una positività, se è negato non si viene chiamati. Si fa screening per fibrosi cistica, ipotiroidismo, PKU, sindromi surreno-genitali.

Controllo posturale controllo del capo a 3 mesi, controllo postura seduta a 6-7 mesi; cammina carponi a 8-9 mesi; controllo postura eretta > 9 mesi; passaggi posturali, rotolamento, pivoting dai 12 mesi.

Controllo della mano prensione cubito-palmare a 4 mesi; prensione radio-palmare a 8 mesi; prensione digito-digitale a 12 mesi.

1 Cause di ittero a bilirubina non coniugata sono: kernittero, malattie emolitiche (incompatibilità Rh/AB0, deficit di G6PDH, sferocitosi, deficiti di piruvato-chinasi), ittero da latte materno, infezioni non presenti al momento della nascita e instauratesi dopo 24 ore dalla nascita stessa (soprattutto vie urinarie), sindrome di Crigler-Najjar o di Gilbert e stenosi ipertrofica del piloro. Cause di ittero a bilirubina coniugata sono: infezioni congenite, epatite e ostruzione del dotto biliare. 2 Nella sindrome di Crigler-Najjar c’è un deficit quantitativo su base genetica dell’enzima glucuronil-transferasi, nella sindrome di Gilbert il deficit è sempre su base genetica ma è qualitativo, per cui l’enzima funziona di meno

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04/10/2018 prof. Miraglia Del Giudice

ASMA Malattia eterogenea, caratterizzata generalmente da infiammazione delle vie aeree. Viene definita da sintomi respiratori, costrizione toracica e tosse variamente associati, insieme a limitazione verbale nel tempo e del flusso espiratorio. L'asma del bambino è una patologia reversibile e questo fatto va ricordato, perché ci possono essere variazioni anche nella stessa giornata. Lo sport può indurre una crisi asmatica da broncospasmo, possono farlo anche infezioni virali, allergeni, fumo di tabacco (fumo passivo secondario o presente nell'ambiente in assenza di fumatori, detto fumo di terza mano). L'ostruzione delle vie respiratorie è dovuta a broncocostrizione, ispessimento della parete delle vie aeree con rimodellamento basato sulla fibrosi, che rende la broncocostrizione parzialmente irreversibile nel tempo, e aumento del secreto mucoso con quadri di tipo ostruttivo. La diagnosi si fa sui sintomi e la probabilità è maggiore quanti più sintomi sono associati (respiro sibilante + respiro corto + tosse + costrizione toracica), se ci sono peggioramento notturno, variazioni nel tempo e nell'intensità, sintomi scatenati da fattori ambientali: se sono presenti sibili apprezzabili durante il riso o il pianto questi possono essere suggestivi. La certezza diagnostica la dà il test con broncodilatatore con miglioramento del FEV1 oltre il 12%, il rapporto FEV1/FVC è normale se superiore a 0,90, negli adulti è normale già da 0,75. Se il processo si è cronicizzato e l'ipersecrezione è consistente è possibile che il test di reversibilità sia negativo, per cui si fanno prima glucocorticoidi e poi si ripete il test. L'asma si divide in forme intermittenti e persistenti e si classificano forme lievi, moderate e gravi: la gravità dell'asma si valuta retrospettivamente. Il trattamento ha come finalità il controllo dei sintomi per mantenere i normali livelli di attività e la riduzione del rischio per evitare la compromissione delle normali attività e limitare le riacutizzazioni, che sono potenzialmente mortali e che portano ad una progressiva diminuzione della reversibilità dopo salbutamolo e che nell'anziano possono più facilmente configurare quadri di insufficienza respiratoria.

Controllo dell'asma Anamnesticamente si indaga se nelle ultime 4 settimane il bambino ha avuto sintomi diurni più di 2 volte, risvegli notturni, utilizzo di farmaci più di 2 volte e limitazione nell’attività: se si risponde sempre no è ben

controllato, se ci sono almeno 3 sì non è controllata. Il trattamento procede per step: 1 se il bambino ha

episodi meno di 2 volte al mese è intermittente e non è necessario il trattamento con terapia di fondo ma si usa salbutamolo solo al bisogno; ci sono due eccezioni, la prima è l'asma da sforzo e la seconda è se le poche

crisi sono molto violente e richiedono ossigeno (in quel caso si cura come se fosse persistente). 2 se aumenta

la frequenza o si presenta asma da sforzo si fa terapia di fondo per 3 mesi con corticosteroidi inalatori a basso dosaggio, che sono inattivati dal primo passaggio epatico, così da ridurre la quota sistemica e non interferire sull'asse ipotalamo- ipofisi-surrene, si possono usare anche anti-leucotrieni o teofillina: i primi hanno più non-responders rispetto ai glucocorticoidi perché l'infiammazione non è mediata da leucotrieni , ma sono molto utili nell’asma da sforzo, l’alta comodità di questi farmaci dipende dal fatto che si somministro in compresse e non via aerosol e si possono usare in pazienti che hanno asma e rinite allergica al posto dell’antistaminico.

3 se l'asma non è controllata si può aumentare la dose di steroide inalatorio (che può iniziare a dare effetti

avversi), oppure mantenere la bassa dose di steroide e associare un LABA (salmeterolo o formoterolo: salmeterolo si somministra dai 4 anni in poi, formoterolo dai 6 anni), questa è la strategia preferita, oppure

bassa dose di steroide con anti-leucotrieni. 4 se non si controlla con lo step 3 si aumenta la dose dello steroide

oppure si associa ad anti-leucotrieni (con glucocorticoide ad alta dose) o teofillina e il bimbo deve andare

dallo specialista. 5 in caso di asma non controllato in step 4 e allergia con asma IgE-mediata si suggerisce

trattamento con omalizumab oppure una bassa dose di steroide orale (ultima spiaggia a causa delle interazioni e degli effetti avversi). Il paziente asmatico si valuta ogni 3 mesi e si procede ad uno step-up o uno step-down. Grande importanza ha l'adesione alla terapia (prima causa di fallimento terapeutico), altro

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aspetto importante è l'esposizione agli allergeni. Nel SSN anglosassone in caso di step 4 va un infermiere a casa a controllare fumo e allergeni.

Regole d'oro per il trattamento 1. iniziare il trattamento il più presto possibile per limitare il rimodellamento; 2. iniziare con glucocorticoidi inalatori a basse dosi; 3. si consiglia di partire da uno step superiore se i sintomi sono quasi quotidiani o se c’è risveglio

notturno frequente, poi si fa step-down; 4. se si presenta subito una riacutizzazione si fa subito SABA, steroide sistemico e steroide inalatorio.

La terapia deve tenere conto delle difficoltà per ogni singolo paziente e va cucita addosso caso per caso per poter ottenere la massima aderenza terapeutica e si deve sempre limitare il fumo, perché è un fattore di rischio pesantissimo, soprattutto quello di seconda e di terza mano. Va sempre spiegata l'utilità del distanziatore: le particelle con il propellente viaggiano a circa 180 km/h e sono molto grandi, senza distanziatore queste particelle sono troppo grandi per essere assorbite in periferia e la loro velocita irrita le mucose, con il distanziatore si limitano questi due effetti. Prima si pensava che la sintomatologia asmatica fino a 5 anni scomparisse da sola, perché non era vera e propria asma ma erano sibili in bambini con vie respiratore più ristrette (come i prematuri) o infezioni virali: se 2-3 volte l'anno il bambino ha tosse, sibili e respiro pesante probabilmente non sarà asmatico, se gli episodi sono più di 3 all'anno o se gli episodi sono più gravi la probabilità è maggiore: se, oltre a tutto ciò, ci sono anche sintomi di iperattività (atopia o simili), quel bambino potrebbe essere asmatico e va indirizzato a glucocorticoidi inalatori a basse dosi. Tutto questo dipende dal fatto che prima dei 5 anni è difficile fare spirometria, la prima si fa a 7 anni e il pattern spirometrico rimane caratteristico per tutta la vita.

Dosi La dose bassa è 100 mg di beclometasone, 200 mg di budesonide e 100 mg di fluticasone, la dose media è il doppio, la dose elevata è il quadruplo.

Asma acuto È la prima emergenza pediatrica. Si fa prima la valutazione della gravità: si vede SpO2 o si fa spirometria. La tosse aumenta con la gravità dell'asma, ma sparisce in arresto respiratorio; la capacità di parlare è inversamente proporzionale alla gravità; la frequenza respiratoria tende ad aumentare con la gravità; il weezing è fine ed espiratorio in forme lievi, espiatorio in forme medie, inspiratorio in forme gravi: si devono guardare i rientramenti giugulari e intercostali per valutare l’utilizzo dei muscoli accessori; la saturazione decresce con la gravità e la PACO2 cresce con la severità, in soggetti con asma grave o bassa saturazione si fa emogas, non si fa MAI radiografia.

Diagnosi differenziale Si fa con laringospasmo (non si ha dispnea), bronchiolite (caratteristicamente d'inverno, bambino <2 anni, i rumori sono umidi), anafilassi (sintomatologia istaminergica), corpo estraneo (si ha asma solo a destra o a sinistra, il controlaterale è normale). Se satura meno del 92 % si fa ossigeno fino a che non si arriva almeno a 95 %, si fa sempre salbutamolo (2-4 spruzzi ogni 20 minuti, se grave anche fino a 10 spruzzi) e si può scegliere di associare anche ipratropio bromuro, che non esiste inalatorio in forma associata a salbutamolo ma si può fare via aerosol: in alternativa si possono fare steroidi sistemici, che hanno effetto non genomico immediato (riduzione dell'edema) ed un effetto genomico ritardato; si tende a preferire le vie venose in ospedale per 3-5 giorni senza scalare (evidenze dimostrano che non ci sono vantaggi con la sospensione graduale).

Errori comuni in terapia Dimenticare che l'ossigeno è il farmaco più importante, utilizzare il salbutamolo a dosi basse o troppo dilazionate nel tempo, impiegare steroide topico a dosaggio standard, prescrivere farmaci mucolitici (triade dell'asma: edema, broncospasmo e ipersecrezione).

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05/10/2018 prof. Rossi

INQUADRAMENTO ANEMIE

Se arriva un bambino pallido si fa anamnesi familiare (chiedendo se ci siano altri anemici in famiglia, talassemici, soggetti sottoposti a splenectomia o con patologie autoimmuni, si procede anche ad un’anamnesi alimentare), personale (se c'è stato ittero prolungato, patologie d'organo, episodi infettivi negli ultimi 10 giorni) e bisogna chiedere la tempistica del pallore: se è cronico si deve pensare a una lenta anemizzazione, che ha permesso la comparsa di meccanismi di compenso come la tachicardia, se è in acuto non ci sono meccanismi di compenso ed è un'emergenza terapeutica, mentre la cronica è un'emergenza diagnostica. Per i flussi migratori si stanno verificando anemie caratteristiche di alcune etnie. Ci possono essere anemie legate a età e sesso (deficit di G6PDH), anche il peso eccessivo o molto basso correla con le anemie; se sono presenti ittero o subittero ed epatosplenomegalia è importante. Un valore di emoglobina inferiore a -2 DS (quindi inferiore al 3° percentile) per età e sesso configura un quadro di anemia, che può essere microcitica, normocitica o macrocitica (dipendente dai valori di MCV, è normale tra 3° e 97° percentile); altro parametro importante è l’indice di distribuzione eritrocitaria (RDW), il DS (espresso in femtolitri) è un indice di anisocitosi (reperto microscopico di globuli rossi di varie forme e dimensioni) assoluta e rappresenta la deviazione standard della distribuzione dei volumi di una popolazione di globuli rossi, il CV (espresso in %) è un indice di anisocitosi relativa e rappresenta il coefficiente di variazione della popolazione dei globuli rossi rispetto al valore medio, entrambi i valori sostituiscono l’ago aspirato midollare.

Anemie microcitiche Anemia sideropenica e talassemia/emoglobinopatie. Per la sideropenica serve chiedere assetto marziale, la sideremia da sola non è un valore precoce di carenza, è più informativa la transferrina e il suo indice di saturazione, che indica il ferro legato alla transferrina e si calcola:

(sideremia × 100) / (transferrina × 1,3)

se questo valore è superiore al 15% è normale: la transferrina aumenta precocemente in situazioni di carenza e la sua saturazione cala perché cede più facilmente ferro. Il ferro si lega al recettore solubile per transferrina che, se aumentato, indica carenza di ferro. Nelle microcritiche da infiammazione la transferrina e la sua saturazione aumentano, nelle altre diminuiscono. Il primo parametro alterato in caso di carenza è la ferritina, che indica la disponibilità marziale delle cellule ed è una proteina della fase infiammatoria. Nel 2000 è stata scoperta l'epcidina, ormone prodotto del fegato che funge da regolatore del metabolismo del ferro: essa inibisce direttamente la ferroportina1, una proteina transmembrana che si trova sulla superficie basolaterale degli enterociti intestinali che trasporta il ferro fuori dalla cellula e anche sulla membrana plasmatica delle cellule reticoloendoteliali. Inibendo la ferroportina, l'epcidina inibisce il rilascio di ferro nel sangue da parte degli enterociti, riducendo quindi il rilascio del ferro dall'enterocita: inibendo la ferroportina, inoltre, l'epcidina impedisce agli enterociti di rilasciare il ferro nel sistema portale epatico, riducendo in tal modo l'assorbimento di ferro nella dieta. Infine, inibendo anche la ferroportina macrofagica, l’epcidina inibisce anche il rilascio in circolo del ferro già presente nell'organismo: non esiste una metodica standard per valutare l'epcidina (si può fare solo la spettroscopia di massa, ma esiste un solo centro in Italia, per cui si chiede l’ELISA). Si è visto che i bambini obesi producono più IL6, che stimola anche l’epcidina, che sequestra il ferro e codifica per un’anemia microcitica, anche nelle MICI l’epcidina tende ad aumentare e questo la codifica anche come proteina della fase acuta. Il primo trattamento dell’anemia sideropenica è identificare la causa (mancato apporto con la dieta, ridotto assorbimento di ferro a livello intestinale, perdita di ferro, aumento della richiesta → fase di accrescimento tra 4 e 12 mesi, stato puberale soprattutto nelle femme per il mestruo) e rimuoverla, si consiglia dieta ricca in ferro e sale ferroso (che è quello assorbibile, il ferro allo stato ferrico, contenuto nelle verdure, non lo è),

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la terapia marziale di solito è orale con sale ferroso: maggiore è la carenza e maggiore è la capacità di assorbirlo e la terapia marziale per essere efficace deve durare almeno 3-6 mesi e bisogna controllare periodicamente l'incremento di emoglobina e ferritina entro un mese dell'inizio della terapia. Esistono anche formulazioni di ferro liposomiale, che salta l’assorbimento intestinale e si porta a macrofagi direttamente, arriva al sistema linfatico e si porta rapidamente al fegato, era utilizzato per bambini con deficit di assorbimento (celiaci) per il suo meccanismo da cavallo di Troia. Il ferro per via parenterale si utilizza in caso di intolleranza al ferro orale e malassorbimento (celiaci che hanno iniziato da poco la dieta senza glutine e la cui mucosa è ancora danneggiata, per cui non assorbe) o se il bambino ha emoglobina molto bassa, ha come effetti avversi reazioni anafilattoidi, nausea, vomito e prurito.

Emoglobinopatie Anemie ereditare che coinvolgono i geni dell'emoglobina per deficit quantitativo (talassemia) o qualitativo (emoglobinopatie vere e proprie). Cromosoma 16 (dove sono codificate la catena Z e A) e 11 (dove sono codificate tutte le alte catene) incrociano i loro geni con tutte le catene possibili, in epoca fetale ci sono molte catene gamma fino a 6 mesi. Nuove forme scoperte per etnie tailandesi e africane, oltre a una nuova serie di patologie dovute ai matrimoni misti che portano a doppia eterozigosi, come la microdrepanocitosi (eterozigote emoglobina S + eterozigote β-talassemico) che è la più frequente, in cui si sostituisce un glutammato con un’alanina, il che porta a falcizzazione delle emazie, che si aggregano e portano a crisi vasocclusiva come da emoglobina S, in cui i sintomi vasocclusivi sono la sindrome acuta polmonare, l’insufficienza splenica (tanto da considerare i pazienti drepanocitici come asplenici) e il priapismo.

Talassemia Malattia ereditaria, con trasmissione autosomica recessiva. La patogenesi non è correlata a deficit di catena β ma all’eccesso di catene α, con precipitazione di queste catene ed emolisi con anemia, iperplasia eritroide (i globuli rossi non sono più prodotti, non solo nel midollo ma anche nelle ossa ⇒ alterazioni osee, danni a fegato e milza ⇒ epatosplenomegalia), ittero e calcoli di bilirubina alla colecisti, l'eritropoiesi extramidollare può portare ad accumulo di ferro nel fegato e nel cuore, che può condurre alla morte. Il deficit di catena β si presenta precocemente intorno a 6 mesi (talassemia major, serve regime trasfusionale cronico) o più tardivamente (talassemia minor, con trasfusioni sporadiche). La terapia risolutiva è il trapianto di cellule staminali eritropoietiche, poi c'è terapia convenzionale con trasfusioni ogni 21-28 giorni per mantenere emoglobina superiore a 9,5 grammi e somministrazione di ferro con rischio di emocromatosi, che provoca tossicità ghiandolare, cardiaca, epatica e ossea e che necessita di terapia ferro-chelante con desperoxamina (che ha emivita breve e necessita dell’impianto di un microinfusore per il rilascio in 12 ore, che però abbassa la compliance negli adolescenti) o deferiprone per via orale 3 volte al giorno, che può portare a granulocitopenia; l'ultimo chelante scoperto è il deferaserox, che si fa in monosomministrazione.

Anemie normocitiche Annie emolitiche, caratterizzate da reticolocitosi e distruzione periferica con anemia, ittero e splenomegalia. Il laboratorio mostra aumento di aptoglobina e LDH. Le cause di emolisi possono essere autoanticorpi o difetti intrinseci: il primo test per valutare se la causa è esterna o interna è il Coombs, se positivo è autoimmune, se negativo si valuta lo striscio periferico per la morfologia (sferociti, schistociti, drepanociti) che, se alterata, è seguita dal test di conferma. I difetti più comuni sono alle proteine di membrana3: la forma biconcava del

3 Le proteine della membrana eritrocitaria possono essere divise in due gruppi principali: integrali e periferiche. Le proteine integrali rappresentano la componente più abbondante e le più importanti sono la proteina di banda 3 e le glicoforine: le glicoforine sono delle proteine transmenbrana che giocano un ruolo fondamentale nel permettere l’attacco del citoscheletro alla membrana cellulare, infatti la glicoforina A, mediante la sua elevata concentrazione di cariche negative portate dall’acido sialico, consente agli eritrociti di respingersi l’un l’altro, il che impedisce agli eritrociti di ammassarsi quando circolano nei vasi più sottili del circolo sanguigno. Inoltre, gli individui con scarsa glicoforina A sono protetti dal contrarre la Malaria, dato che la proteina è anche il recettore del plasmodio della malaria, che (segue)

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globulo rosso è dovuta all’equilibrio delle proteine di membrana (attraverso rapporti verticali) e citoscheletro, che porta a perdere pezzi di membrana e il globulo rosso diventa sferico ⇒ sferocitosi ereditaria, malattia autosomica dominante che nel 25% dei casi può essere recessiva o da mutazione ex novo, in cui il globulo rosso sferico è più rigido e meno elastico e non riesce più ad attraversare i sinusoidi e si rompe nella milza, la terapia è chirurgica. Il test di conferma è quello della resistenza osmotica (pink test), in cui i globuli malati si rompono prima. Se la morfologia è normale si deve pensare anche a deficit enzimatico ⇒ deficit di G6PDH, che ha un’ereditarietà X-linked, con i maschi malati e le femmine portatrici, la crisi si verifica dopo assunzione di cibi che liberano radicali dell'ossigeno; altro esempio è il deficit di piruvato chinasi, patologia a trasmissione autosomica recessiva.

(continua) utilizza il legame con questa proteina per essere veicolato all’interno dell’eritrocita. La proteina di banda 3 funge da canale passivo per lo scambio di anioni attraverso la membrana e lega l’emoglobina per agire come ulteriore sito di ancoraggio al citoscheletro. Le proteine periferiche di membrana comprendono molte proteine citoscheletriche come l’actina, le proteine di banda 4.1 e 4.9 e la tropomiosina: esse mantengono la forma biconcava dell’eritrocita e controllano i movimenti delle proteine integrali di membrana. L’ancoraggio della struttura citoscheletrica alla membrana dell’eritrocita avviene attraverso una proteina chiamata Ankyrina. Il reticolo spettrina-actina conferisce resistenza, elasticità e flessibilità agli eritrociti e le mutazioni che coinvolgono la spettrina comunemente causano difetti ereditari dell’eritrocita, tra cui ellissocitosi ereditaria e sferocitosi ereditaria.

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08/10/2018 Assistente

PATOLOGIA TIROIDEA

Ipotiroidismo congenito Può dipendere da cause malformative o funzionali e porta a ritardo mentale severo, per questo si impone lo screening neonatale. Nel 2000 il 60% dei casi riconosceva una causa ectopica, il 30% dei casi aveva come causa l’agenesia e nel rimanente 10% la tiroide era in sede (il cut-off per questi esami era il TSH superiore a 20 mU/L, chi presentava questi valori veniva trattato, ma in tal modo venivano diagnosticati solamente casi gravi conseguenti a ectopia o agenesia); oggi, invece, nel 73% dei casi la ghiandola è in sede ma non funzionante, e questo è stato possibile abbassando il cut-off del TSH a 10-12 mU/L, che permette di diagnosticare anche le forme più lievi, nel 12% dei casi si ha agenesia e nel rimanente 9% si ha ectopia. È necessario iniziare subito la terapia con L-tiroxina, al dosaggio di 10-15 μg/Kg/die, quando il valore di TSH supera i 20 mU/L (se il valore è compreso tra 12 e 20 è una forma borderline) e quello del T4 è inferiore al valore minimo. Il dosaggio degli ormoni va richiesto se ci sono obesità affiancata a bassa statura, astenia con altri segni di ipo o ipertiroidismo (necessario chiedere TSH e fT4, l’fT3 non si chiede nel bambino perché ha un valore spesso più alto ma non è sempre patologico), bassa statura con rallentamento della velocità di crescita, gozzo, disordini mestruali o metabolici, sindrome di Turner o di Down.

Ipotiroidismo acquisito nel bambino/adolescente Riconosce come causa più frequente una tiroidite autoimmune, è maggiore nel sesso femminile, spesso si associa a diabete o celiachia. Gli ormoni tiroidei sono normali nel 45-50% dei casi, ridotti nel 45-50% dei casi e aumentati (in fase di tireotossicosi) nel rimanente 5-10% dei casi. Il gozzo non si tratta se gli ormoni sono normali perché in questo caso dipende dall’edema infiammatorio. La diagnosi si ottiene dosando TSH e fT4, valutando gli autoanticorpi anti-TPO e anti-TG e facendo ecografia. La terapia dell’ipotiroidismo sublicnico, definito da un TSH minore di 10 mU/L, è il follow up, quella dell’ipotiroidismo manifesto, con TSH superiore a 10 mU/L e fT4 basso, è rappresentata dal trattamento con levotiroxina, quella dell’ipertiroidismo beneficia della somministrazione di un β-bloccante (di solito propanololo), mentre se ci si trova in eutiroidismo si deve sapere che di solito questa condizione rimane stabile. Il follow-up prevede ecografia ogni anno, se si trovano noduli o linfonodi sospetti si ripete ogni 3 mesi in aggiunta ad una valutazione clinica e biochimica ogni 6-12 mesi. In caso di malattie genetiche si può decidere di avviare trattamento con levotiroxina se il TSH è compreso tra 5 e 10 mU/L.

Ipotiroidismo subclinico È definito tale con un valore di TSH aumentato ma con fT3 e fT4 normali, la crescita e lo sviluppo neurosensitivo non sono influenzati, la condizione non va trattata a meno che il soggetto non sia autistico, in questo caso il mancato trattamento può portare ad un peggioramento del rischio aterogeno.

Ipotiroidismo transitorio Consta di variazioni casuali e non permanenti dei valori di TSH.

Ipotiroidismo persistente Causato spesso da tiroiditi autoimmuni o da mutazioni del recettore del TSH; l’obesità può portare ad un aumento dei valori del TSH, che non viene trattato direttamente, perché questo è un ipotiroidismo transitorio, ma viene trattata l’obesità. In pazienti con pregressa irradiazione al collo va trattato anche l’ipotiroidismo subclinico, perché anche un piccolo innalzamento dei valori di TSH può portare a iperplasia e ad aumento del rischio di progressione tumorale. Anche in caso di emiagenesia della tiroide va trattato l’ipotiroidismo subclinico per scongiurare il rischio di iperplasia.

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Patologia nodulare Nel paziente pediatrico è meno frequente di quella dell’adulto, ma i noduli presentano un maggiore rischio di malignità. Si considerano pazienti a rischio quelli con tumori tiroidei familiari non midollari, quelli che hanno fatto precedentemente irradiazione al collo (che però devono fare un esame clinico annuale e un’ecografia) e i pazienti sindromici. Nel bambino le caratteristiche ecografiche dei noduli (vascolarizzazione intranodulare, margini sfumati, ipoecogenicità, calcificazioni, linfonodi sospetti) hanno un peso maggiore rispetto ai criteri dimensionali (almeno 10 mm per poter consigliare una puntura per effettuare agoaspirato con ago sottile [FNA]). Si avvia terapia soppressiva con levotiroxina anche se il nodulo ha dimensioni inferiori ai 10 mm ma provoca compressione delle strutture adiacenti o è presente in un bambino precedentemente sottoposto a irradiazione. La chirurgia del nodulo benigno si prende in considerazione se il nodulo è maggiore di 4 cm, ha tendenza all’espansione e dà compressione.

PATOLOGIA SURRENALICA

Adrenarca prematuro Si può presentare con pubarca (crescita di peli pubici) o ircarca (crescita di peli ascellari) prematuri (prima dei 9 anni nei maschi e prima degli 8 anni nelle femmine), con acne oppure con sudorazione di odore particolarmente acre. La forma isolata è precoce e si presenta con maturazione della zona reticolare che produce deidroepiandrosterone (DHEA) e DHEA-solfato, predispone alla sindrome dell’ovaio policistico e a insulino-resistenza, per cui è indicato fare una curva da carico di glucosio. È necessaria la diagnosi differenziale con:

il tumore del surrene androgeno-resistente, che porta alla presentazione di segni di virilizzazione (iperplasia clitoridea nelle femmine e crescita del pene nei maschi), all’accelerazione della crescita ossea (è indicata una RX della mano e del polso di sinistra) e ad un aumento della velocità di crescita;

il deficit di 21-α-idrossilasi late onset, in cui si assiste a una crescita importante;

tumore secernente androgeni gonadici. Per una corretta diagnosi differenziale si deve fare il dosaggio del testosterone totale, DHEA-S, cortisolo, δ-4-androstenedione, 17-OH-progesterone (17-OHP, è alto nel deficit di 21-α-idrossilasi e viene confermato con il test all’ACTH). È importante effettuare ecografia addominale per studiare i surreni e le ovaie e per effettuare una biometria dell’utero e degli annessi; si raccomanda inoltre una RX della mano e del polso di sinistra per valutare l’età ossea.

Sindrome adreno-genitale Patologia ad ereditarietà autosomica recessiva provocata da deficit di 21-α-idrossilasi (90% dei casi, che porta a ipocortisolemia da aumentato feedback positivo dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene a monte, il che provoca aumento dell’ACTH, iperplasia del surrene con eccesso di metaboliti a monte, il deficit è particolarmente importante per il 17-OHP che fa aumentare gli androgeni), 11-β-idrossilasi o 17-α-idrossilasi. Si può presentare in diverse forme. La forma classica può essere associata a perdita di sali (75% dei casi) o senza perdita di sali (25% dei casi): la differenza risiede nell’attività enzimatica residua. La forma senza perdita di sali porta a una virilizzazione semplice più sfumata con una pubertà precoce indipendente dalle gonadotropine, che nelle femmine si presenta con segni di virilizzazione alla nascita causati dall’aumento degli androgeni, associati ad aumentato rischio per ipocortisolemia e shock in condizioni di stress (si devono assumere glucocorticoidi in situazioni potenzialmente scatenanti); nel maschio si assiste a presentazione prepuberale di pene e testicoli (gli androgeni sono secreti dal surrene in misura maggiore), acne, modifiche della voce e aumento della velocità di crescita; i genitali possono essere normali o si può assistere a macrogenitosomia, si hanno difficoltà nella gestione delle situazioni di stress a causa della carenza di cortisolo. La forma non classica riconosce come cause un deficit di aldosterone o un deficit di androgeni e può condurre a pubarca prematuro e sindrome dell’ovaio policistico.

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La crisi surrenalica deriva dal deficit di cortisolo e porta a virilizzazione delle femmine alla nascita per accumulo di precursori degli androgeni a monte, mentre nel maschio porta unicamente iperpigmentazione dello scroto, i genitali esterni sono normali o presentano macrogenitosomia. La crisi surrenalica è anche una delle cause di ipoglicemia e può portare iperkaliemia che, in un neonato tra 2 e 3 settimane, si presenta con scarso appetito, arresto della crescita, vomito, disidratazione e letargia; la crisi surrenalica è anche causa di iponatriemia e di ipotensione (la cui gravità può raggiungere lo shock). Il grado di virilizzazione genitale e di ambiguità dei genitali esterni femminili è classificato in cinque stadi, secondo la scala di Prader, che annovera nello stadio 1 genitali esterni femminili con clitoridomegalia (che può essere grave tanto da configurare una condizione di micropene, con una lunghezza di 1 cm e una larghezza di 0,6 cm), nello stadio 2 clitoridomegalia con parziale fusione labiale che forma un seno urogenitale ad aspetto a imbuto, nello stadio 3 aumento della dimensione fallica, con fusione labioscrotale completa che forma un seno urogenitale con una singola apertura, nello stadio 4 completa fusione scrotale con l'apertura del seno urogenitale alla base del fallo, nello stadio 5 pseudofallo con aspetto che simula i normali genitali esterni maschili.

Per fare DIAGNOSI è necessario trovare genitali ambigui, macrogenitosimia, sintomi e segni di perdita di sali, aumento di 17-OHP, aumento di testosterone, iperkaliemia, iponatriemia (si ha la conferma tramite studio molecolare del gene CYP21), iper-reninemia. La conferma diagnostica si ottiene tramite ecografia surrenale, che evidenzia surreni iperplastici e visibili (normalmente non dovrebbero potersi vedere all’ecografia), ed ecografia testicolare.

La TERAPIA della crisi surrenalica prevede una terapia d’attacco e una di mantenimento: in quella d’attacco si prendono prima due provette per confermare la diagnosi e poi si sottopone il paziente ad infusione endovena di idrocortisone al dosaggio di 50-100 mg/m2/die, insieme a infusione di soluzione glucosata e salina; in quella di mantenimento si somministra idrocortisone o cortisone acetato (questo per os) insieme a fluoroidrocortisone (per la sua azione mineralcorticoide). Se il bambino ha meno di due anni si fa un supplemento di NaCl al dosaggio di 2 g/die, se il paziente è sottoposto a stress si aumenta di due o tre volte la dose di cortisone, se è un adolescente si somministra desametasone.

Morbo di Cushing Lo si deve sospettare in tutti i bambini obesi e di bassa statura oppure si deve valutare l’opzione di Cushing iatrogeno dopo somministrazione di cortisonici orali, ma anche per via topica (usati per l’alopecia) o inalatoria.

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10/10/2018 prof. Tolone

081-5665429 (ambulatorio di gastroenterologia pediatrica)

VOMITO Con vomito si definisce l'espulsione della bocca del contenuto gastrico o intestinale, preceduta o accompagnata da nausea, sudorazione, pallore e modifiche della frequenza cardiaca: è un sintomo molto comune, può essere espressione anche di patologie di pertinenza non gastroenterologica (un lattante che ha solo vomito potrebbe avere un’IVU, un bambino di 5-6 anni in seguito a una caduta che ha prodotto un ematoma e un’ipertensione endocranica può presentare vomito). È una condizione più frequente nel lattante che nel bambino, perché lo sfintere esofageo inferiore nel lattante tende ad aprirsi quando non dovrebbe in seguito a onde peristaltiche gastriche, il che succede soprattutto con il latte quando si inizia a introdurre la pappa e la fuoriuscita è più difficoltosa, anche la posizione sdraiata caratteristica del lattante aiuta il vomito, che passa con la stazione eretta e la deambulazione. Il riflesso del vomito proviene dalla regione reticolare laterale del bulbo e può essere innescato da diverse situazioni (turbe emotive, cambi di pressione, dolore intenso, tossine endogene ed esogene, stimolazione vestibolare, farmaci).

Caratteristiche del vomito

Quantità Se modesta e a digiuno → vomito centrale, se abbondante → stenosi pilorica, gastro-duodenite, cause metaboliche oppure stenosi ipertrofica del piloro, che insorge lentamente e il latte progressivamente non riesce a passare più nel piloro e si accumula nello stomaco, per cui si può vomitare subito oppure alla poppata successiva perché lo stomaco è pieno del latte della poppata precedente e per questo il vomito è abbondante ed è a getto. La patologia si manifesta dalla terza o quarta settimana di vita e prima della sua insorgenza non c'era vomito: non si deve cambiare latte ma si deve fare una ECO dello stomaco e, se è dubbia, si fa fare un pasto baritato, che confermerà la patologia se si presenterà un’immagine a coda di topo. La terapia è la reidratazione e la correzione dello squilibrio elettrolitico per 24 ore, successivamente si manda a fare operazione. Nel pilorospasmo il vomito esiste ma il passaggio del latte è mantenuto e anche la crescita; quest’ultima è una condizione che passa da sola.

Contenuto del vomito Alimentare, acquoso (trauma, infezione meningea o cerebrale), fecaloide (ostruzione molto distale, peritonite, fistola gastro-colica), biliare (non sempre sintomo di malata importante, ma può succedere dopo scariche di vomito insistente, perforazione, ostruzione dell’ampolla d Vater), ematico (può essere espressione di ragadi al seno della madre o può verificarsi dopo vomito insistente) di colore rosso vivo (provenienza alta, fino al duodeno) o a posa di caffè (provenienza bassa o stasi gastrica, provenienza esofago-gastrica): ci può essere vomito ematico anche per lesioni del cavo orale che nel neonato possono essere dovute a errate manovre ostetriche o anche a cause piastrinopeniche o emolitiche.

Rapporto con i pasti A digiuno (cerebrale, gastrite cronica) o indifferente (intossicazione). Nel neonato esiste un vomito benigno, ma si può presentare anche in seguito a sepsi infettiva, malformazioni o cause metaboliche (rare); nella prima infanzia ci sono le infezioni enterali (gastroenterite: spesso si presenta con diarrea + vomito + febbre, il vomito di solito inizia precede di un giorno il resto della sintomatologia), allergie alle proteine del latte vaccino, stenosi ipertrofica del piloro, pertosse, celiachia, reflusso gastro-esofageo (non si tratta a meno che il vomito non sia importante tanto da portare infiammazione, nel caso il bambino non sia allattato al seno si cambia la formula in una anti-rigurgito, se è al seno si continua l'allattamento; se ci sono sintomi patologici come mancata crescita, tosse, irritabilità e/o sintomi respiratori

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si usano gli alginati e, se non si risolve, si fa pH-impedenziometria che, oltre alla misurazione del pH, fa vedere anche reflussi non acidi e gassosi e si vede se la tosse è correlata alla risalita; se fallisce l'alginato si procede con IPP), megacolon, malformazioni, insufficienza renale, farmaci (seconda causa di morte infantile sono gli incidenti domestici, soprattutto da ingestione di detersivi e farmaci, batterie cilindriche che si fermano in esofago e dopo giorni iniziano a secernere un acido molto lesivo per la mucosa); nella seconda e terza infanzia ci sono emicrania, ostruzione intestinale, chetoacidosi diabetica, torsione del testicolo, gravidanza, infezioni, insufficienza renale. Indagare sempre se il bambino ha ingerito tossine, se c'è stata caduta o trauma cranico fino a 6-7 giorni prima (scongiurare un ematoma a lenta insorgenza) e se ci sono disturbi dell'alvo. Eseguire sempre l’esame obiettivo: l'appendicite si può presentare con addome teso e dolente, febbre, vomito e anche diarrea. Ricordare le cause psicogene del vomito. Nell'anamnesi va sempre chiesto se c'è consanguineità tra i genitori e familiarità per morti infantili.

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11/10/2018 prof. Rossi

PIASTRINOPENIA

Si DEFINISCE una condizione in cui ci si trova con meno di 100'000 unità di piastrine per μL, le cui cause possono essere un processo di distruzione periferica (per esempio da autoanticorpi, che configurano, nel 90-95% dei casi, un quadro di immunotrombopiastrinopenia, che insorge in completo benessere, ha un’anamnesi patologica prossima poco indicativa, in cui talvolta può presentarsi febbre, e un’anamnesi familiare negativa perché non è congenita), una diminuita produzione piastrinica, un sequestro splenico, anche il vaccino MPR può provocare piastrinopenia. Alcuni pensano anche che alla base ci possa essere

un’infezione da H. Pylori. All’ESAME OBIETTIVO si possono apprezzare manifestazioni cutanee (petecchie delle dimensioni di circa 1 mm, che non si modificano alla digitopressione, o ecchimosi, gli ematomi sono meno frequenti) spontanee (quindi non post-traumatiche) o post-traumatiche (che sono però meno significative rispetto al trauma), ci può anche essere diatesi mucosa (palato duro, congiuntiva, gengivorragia, epistassi), non si associa a organomegalia e ci possono essere linfadenopatie cervicali di nessun significato patologico. Se si presenta la sindrome di Wiskott-Aldrich4 si ha anche eczema (uno dei tre sintomi della triade di presentazione della malattia, insieme a piastrinopenia e immunodepressione). Se si presenta anemia di Fanconi si possono trovare malformazioni scheletriche e renali, macchie color caffè-latte e manifestazioni emorragiche. Se si presentano anche delle discheratosi si noteranno delle alterazioni ungueali. L’emorragia cerebrale è estremamente temuta nel paziente piastrinopenico ma è anche un’eventualità estremamente

rara. All’ESAME EMOCROMOCITOMETRICO si nota una conta piastrinica inferiore a 100'000 unità per μL o anche inferiore a 20'000 o 30'000 unità per μL (in cui c’è ovviamente aumentato rischio emorragico), questa piastrinopenia deve essere isolata, quindi l’emoglobina deve essere normale e anche i globuli bianchi devono esserlo. Bisogna valutare il MPV (volume piastrinico medio), che può risultare normale o leggermente

aumentato (in quelle congenite ci possono essere micro o macropiastrine). La FISIOPATOLOGIA riconosce una distruzione periferica mediata da autoanticorpi (quindi mediata da linfociti B) successiva a una infezione virale avuta nelle fasi iniziali della malattia, che porta a disregolazione del sistema immunitario e aumento dei megacariociti nel midollo: successivamente intervengono le cellule T e il midollo si depaupera di

megacariociti nella fase di cronicizzazione della malattia. La DIAGNOSI prevede la ricerca di anticorpi anti-piastrine (elevata specificità ma non altrettanto elevata sensibilità), la cui negatività non esclude una problematica immediata e la cui positività non dà la certezza, infatti è una diagnosi di esclusione. Lo striscio periferico serve per la diagnosi differenziale con le piastrinopenie congenite ed è importante per la terapia. L’età media alla diagnosi è tra i 5 e i 7 anni, il picco di nuova diagnosi si verifica in primavera a causa

dell’elevato numero di infezioni virali che fungono da trigger scatenanti. La STORIA NATURALE della malattia era distinta fino al 2009 in due tronconi: la patologia decorre in acuto nel 75% dei casi con guarigione spontanea entro i 6 mesi dalla diagnosi, mentre è cronica nel restante 25% con guarigione spontanea oltre i 6 mesi dalla diagnosi. Ad oggi si riconosce una piastrinopenia di nuova diagnosi se c’è una bassa conta piastrinica entro i 3 mesi, una forma persistente con bassa conta piastrinica che supera i 3 mesi ma non supera i 12 mesi e una forma cronica in cui la conta piastrinica è bassa dopo 12 mesi dalla diagnosi. Per l’approccio alla terapia bisogna ricordare che generalmente la patologia si risolve spontaneamente, ma se c’è un paziente con meno di 10 anni e conta piastrinica inferiore a 20'000 unità per μL la patologia tenderà a cronicizzare piuttosto che a risolversi spontaneamente. Gli obiettivi del trattamento sono la prevenzione dei sanguinamenti importanti, in primis dell’emorragia cerebrale, attuabile prevenendo anche l’anemia dovuta a sanguinamenti interni. Per decidere chi trattare si deve valutare la conta piastrinica e il quadro clinico, che

4 Rara malattia ereditaria X-linked dovuta a mutazioni del gene WAS che codifica per una proteina del citoscheletro, nelle cellule prodotte dal midollo emopoietico, detta WASP, che ha la funzione di legare CDC42, svolgendo un ruolo fondamentale nell'organizzazione dell'actina nel citoscheletro e quindi nella cooperazione tra cellule T e B e legare anche domini SH3, svolgendo un ruolo fondamentale nella trasduzione del segnale.

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sono i due elementi che configurano una suddivisione in tre classi di rischio: A (lieve), in cui si presenta solo diatesi cutanea e raramente petecchie ed ecchimosi; B (moderato), in cui si rinvengono diatesi cutanea e mucosa; C (severo), con manifestazioni d’organo che possono arrivare fino all’emorragia cerebrale. Di fronte a una patologia di classe A con conta superiore a 20'000 unità per μL si aspetta e si vede se guarisce spontaneamente o meno, se la conta è inferiore a 20'000 unità per μL è necessaria l’ospedalizzazione con

trattamento farmacologico per os oppure endovena. La storia del TRATTAMENTO è iniziata con la splenectomia e l’uso di cortisonici, successivamente furono introdotte le Ig endovena, nel 2000 il Rituximab (anti-CD20) e nel 2008 gli agonisti della trombopoietina per la loro azione di stimolazione midollare: si è infatti spostata l’attenzione sul midollo, per cui si va a stimolare la produzione di megacariociti. Il trattamento di prima linea prevede cortisone, somministrato per os (prednisone, desametasone) o endovena (metilprednisolone), o Ig endovena ad alte dosi (queste ultime legano la porzione Fc dell’autoanticorpo e opsonizzano il complesso proteina-anticorpo, per entrare poi nei macrofagi che internalizzano questo complesso e lo distruggono). Esiste anche la possibilità di somministrare Ig anti-D (fattore Rh) nei soggetti Rh+, ma non è prevista in Italia. Nelle forme croniche si procede a splenectomia (da prendere in considerazione solo se non ci sono più altre scelte), somministrazione di Rituximab (verso il quale il 60-70% dei pazienti ha una risposta che rimane stabile nel tempo e nel 25% dei casi si è visto che non in tutti i bambini c’è una ricostituzione immunologica completa dopo 6 mesi di trattamento con Rituximab) o di immunosoppressori come ciclosporina o azatioprina. Il trattamento a livello midollare con agonisti della trombopoietina, che è un ormone endogeno che stimola la trombopoiesi, si avvale di Eltrombopag, somministrato per os, che entra nel recettore endogeno della trombopoietina e si lega ad un sito più interno rispetto ad essa, ma può portare a un transitorio aumento delle transaminasi, e Romiplostin, somministrato sottocute, che si lega allo stesso sito di legame della trombopoietina endogena. Nei bambini può essere usato solo il trattamento per os (per la maggiore compliance e l’assenza di ospedalizzazione necessaria alla sua somministrazione), solamente dopo due linee di trattamento fallite dopo 12 mesi.

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12/10/2018 prof. Miraglia del Giudice

BRONCHIOLITE Colpisce normalmente i bambini di età inferiore a 2 anni, è una broncopatia ostruttiva acuta ad eziologia virale e con carattere stagionale (raggiunge il picco tra febbraio e marzo, il periodo complessivo inizia a dicembre). Il patogeno più importante è il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS), che dà le forme più gravi, ma sono implicati anche i Rinovirus e i virus parainfluenzali (associati a bronchiolite atipica nei mesi primaverili) e, man mano che aumenta l'età del bambino, diminuisce la quota causata da VRS e aumenta quella da virus parainfluenzale. Il VRS non dà viremia e si trasmette tramite secrezioni naso-faringee, può resistere 7 ore su superfici non porose (poggio la mano contaminata sul tavolo e probabilmente il virus rimane là): la porta

d'ingresso sono la bocca e la mucosa congiuntivale. La PATOGENESI origina dalla penetrazione del virus attraverso la mucosa nasale, da cui successivamente progredisce per poi scendere fino alle basse vie respiratorie dove determina gli effetti classici: edema, infiltrato linfocitario, necrosi epiteliale e ipersecrezione mucosa (a differenze dell'asma, dove non è l'edema a dominare il quadro ostruttivo). Al sesto

giorno compare la tosse, all'ottavo giorno compare il weezing. La DIAGNOSI deve tener conto che il periodo più frequente è tra 3 e 6 mesi, in un bambino che presenta tosse e secrezione nasale il torace si caratterizza per la presenza di rumori umidi (a differenza dell'asma in cui sono secchi), se il bambino ha meno di 6 settimane la sintomatologia può essere caratterizzata dell'apnea. Se la sintomatologia è composta da rantoli focali e febbre superiore ai 39°C si deve sospettare una polmonite; la diagnosi differenziale con l'asma tiene conto dei rumori e della recidivanza dell'asma, oltre alla storia di atopia. NON si deve fare radiografia del torace, perché ci potrebbero essere artefatti che mimano la polmonite, si possono fare esami di laboratorio e il test per il VRS è utile solo per valutare l'isolamento. Si ricovera un bambino con bronchiolite se satura meno del 92%, se ha patologie cardiache congenite, immunodeficienza, disidratazione o se la bronchiolite è moderata o severa. Esiste uno score di stadiazione, i cui parametri sono la saturazione di ossigeno, la frequenza respiratoria, la presenza di rientramento intercostale, giugulare e alitamento delle pinne nasali, la presenza di grunting (segno caratteristico di gravità) e le crisi di apnea. Si devono considerare per il ricovero anche i seguenti fattori di rischio: età inferiore alle 12 settimane, prematurità e malattia congenita cardiovascolare. Molti studi dimostrano che i bambini con bronchiolite hanno un danno all'epitelio respiratorio che può portarli a sviluppare respiro sibilante e asma, infatti i bambini sottoposti a profilassi con

Pavlizumab avevano meno episodi di bronchiolite e sviluppavano di meno l'asma. Per la TERAPIA bisogna ricordare che la bronchite è una malattia che si autolimita, si devono solo controllare e correggere idratazione, ossigenazione e nutrizione, l'ossigeno rappresenta la terapia principale. Di recente è stata anche usata ossigenoterapia ad alto flusso (previo riscaldamento) che determina un wash-out del naso. È stata proposta anche la somministrazione via aerosol di soluzione salina ipertonica al 3% per poter ridurre l'edema richiamando acqua dalla sottomucosa, la si fa al 3% perché, se la concentrazione fosse superiore al 7%, si avrebbe un effetto tossico e distruttivo sulle ciglia. Altra opzione terapeutica è l’adrenalina via aerosol, per il suo effetto anti-edema per vasocostrizione delle arteriole delle vie aeree: il suo effetto però è di brevissima durata e ritorna subito l'ostruzione; è stata proposta associazione tra adrenalina e steroide inalatorio, i cui risultati non sono assoluti, oppure anche con soluzione salina ipertonica, ma anche questi risultati sono molto discussi. Non si usano mai i β2-agonisti perché il loro effetto è sulla muscolatura bronchiale, al massimo si usano per fare diagnosi differenziale ex adjuvantibus.

LARINGITE Più frequente nel bambino che nell'adulto per il minor diametro laringeo, la maggiore lassità e la maggiore vicinanza della laringe al retro della bocca: essendo dimezzato il diametro dell’organo, anche una piccola ostruzione aumenta la resistenza di circa 16 volte. Si chiama CROUP il suono aspro e metallico causato del

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passaggio di aria per le vie aeree superiori ostruite o ristrette, che compare e si aggrava durante l'inspirazione (deriva dell'anglosassone KROPAN, che vuol dire gridare forte): il termine croup si riferisce soprattutto alla laringite difterica, ma oggi si usa in modo più generalizzato. Il quadro clinico può essere quello del laringaspasmo, della laringotracheite, della tracheite batterica e dell'epiglottite.

Laringotracheite Il virus arriva nell'epitelio respiratorio e porta a edema, spasmo della muscolatura liscia e a ostruzione. È la più comune causa di ostruzione infettiva ed è caratteristica tra i 6 mesi e i 4 anni, soprattutto a 1-2 anni, è epidemica tra fine autunno e nei mesi invernali, sporadicamente in tutto l'anno. Gli agenti eziologici sono il virus parainfluenzale tipo 1 (anche 2 e 3), il virus influenzale e il VRS. I sintomi sono tosse metallica e stridula con stridore inspiratorio, distress respiratorio, peggioramento durante la notte e nelle notti successive diminuisce di intensità, ci può essere febbre e le condizioni generali di solito non sono critiche, si apprezza riduzione del murmure, si può fare RX del collo che mostra un’immagine a campanile per il restringimento sottoglottico. Lo score tiene conto di croup, rientramenti e passaggio dell'aria: se è minore di 5 si umidifica l'ambiente e si può fare budesonide fino a 3 volte; se è 6-10 si può fare aerosol con cortisonici oppure si associa budesonide ed adrenalina e si ripete dopo 30 minuti (ma ci può essere un effetto di rebound, per prevenire il quale si dà desametasone per os contemporaneamente all'adrenalina che dà un effetto più pronto). Nelle forme gravi, in un bambino che ha meno di 12 mesi, storia di intubazione, allergia o se i genitori sono inaffidabili.

Laringospasmo (pseudocroup o croup di mezzanotte) Età di insorgenza tra 6 mesi e 3 anni, ha esordio improvviso senza sintomi prodromici e si presenta con tosse abbaiante e stridore respiratorio senza febbre, l'esordio è drammatico ma tende a risolversi in poche ore. La diagnosi è solo clinica, non ci sono indici sierologici/radiologici/ematologici, la prognosi presenta delle recidive e si può riscontrare una certa familiarità. La terapia è simile alla precedente, ma molto importante è l'umidificazione dell'aria.

Epiglottite L'Haemofilus passa dalla mucosa nasale all'epiglottide, che diventa rosso ciliegia. È rara e potenzialmente mortale per infiammazione acuta delle strutture sopraglottiche, esordisce all'improvviso con febbre altissima, pallore, dispnea, disfonia e rischio di arresto respiratorio in qualsiasi momento (tanto che il bambino non riesce a piangere o a tossire): si ha la caratteristica posa a tripode e una scialorrea importante, il bimbo preferisce stare a letto. NON si deve usare l’abbassalingua per vedere l’epiglottide perché il bambino può andare in arresto per via riflessa, si deve chiamare il 118: l’RX laterale del collo mostra perdita della lordosi cervicale ed epiglottide slargata. È una emergenza medica, dato che si presenta anche alterazione dello stato di coscienza: il bimbo si può anche intubare o tenere su cuscini in ambiente umidificato al 40%, si può fare terapia antibiotica con ceftriaxone o cefuroxima, che sono quelli di prima scelta.

Tracheite batterica I batteri ledono la mucosa tracheale, richiamano polimorfonucleati e danno pseudomembrane ed essudato purulento con possibile ostruzione. Malattia rara, soprattutto nei mesi invernali in bambini tra 6 mesi e 8 anni. Caratterizzata da edema sottoglottico, causata da Stafilococco, Moraxella, Haemofilus e Streptococco. Esordio insidioso con febbricola, tosse e stridore, segue grosso deterioramento delle condizioni (con aspetto tossico del bambino), all'RX non si distingue dalla forma virale ma si può vedere un aspetto nebbioso alla sommità dovuto alle pseudomembrane. La diagnosi è endoscopica, la terapia è con ceftriaxone e si può pensare all’intubazione, NON risponde alla terapia del croup.

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17/10/2018 prof. Iafusco

DIABETE IN ETÀ PEDIATRICA Il LADA è il diabete autoimmune latente dell'adulto. Il diabete si classifica in base alla patogenesi in autoimmune e non autoimmune: se il soggetto è magro sarà probabilmente insulinopenico, mentre se è in sovrappeso produce troppa insulina. Ai magri si fanno gli anticorpi, in attesa del risultato si procede ad anamnesi familiare e si cercano altre malattie autoimmuni (tiroidite di Hashimoto, celiachia, granulomi anulari tipici della celiachia che sembrano monete sul dorso della mano, artrite reumatoide, sclerosi multipla, Addison, LES, autismo infantile su base autoimmune, psoriasi, vitiligine) che sono tutte malattie Th1-mediate (con interleuchine IL-2, IL-12, IFN-γ) e non Th2-mediate (il cui prototipo è l’allergia, in cui le interleuchine coinvolte sono IL-4, IL-5, IL-10): si è visto che i diabetici riescono a guarire dalle forme allergiche, non hanno asma e non sieroconvertono dopo vaccino contro l'epatite. La patogenesi è correlata all’HLA per la maggior parte ed anche a CTLA4: si pensava che fosse solo ereditario, ma, confrontando su un registro di malattie dei gemelli, si è visto che nei dizigoti è più frequente che nei monozigoti e ciò vuol dire che è una malattia ambientale (al contrario della celiachia che è genetica) della quale non si è trovata ancora la causa ambientale, ma si è visto che i gemelli monozigoti con peso uguale alla nascita, se si ammalano, si ammalano entrambi, se il peso alla nascita è differente e la differenza di peso è maggiore di 150 grammi si ammala solo quello con peso maggiore. Gli anticorpi da ricercare sono ICA, GAD, transcolina 7, IA2, IAA, ZnT8: ne basta trovare uno per fare diagnosi. La diagnosi precoce è fondamentale e bisogna cercare i segni precoci: poliuria, polidipsia, dimagrimento, coma, vomito. La diagnosi precoce aiuta a prolungare il periodo di remissione parziale (chiamato luna di miele) e in Italia c'è la migliore glicata al mondo. Le forme ad anticorpi negativi sono forme di diabete ereditario. Nelle β-cellula entra il glucosio e, proporzionalmente, vengono chiusi dall’ATP i canali del potassio, si depolarizzano le membrane e si aprono i canali del calcio che permettono l’uscita di una quantità di insulina pari al glucosio entrato.

Diabete MODY 2 Mutazione della glucochinasi, funziona solo la fosfofruttochinasi, che però funziona con un po' di ritardo, quindi tutte le glicemie a digiuno sono superiori a 100 ma mai superiori a 125 e le postprandiali sono superiori a 140 con glicata superiore al 6%, minima incidenza di complicanze, è una malattia autosomica dominante e NON si deve fare terapia medica di alcun tipo. L'università Vanvitelli ha sviluppato un questionario di 7 domande a risposta dicotomica per identificare il Mody 2, è negativo se ci sono meno di 6 sì, è probabile con 6 sì, è sicuro con 7 sì.

Diabete MODY 3 Mutazione di HNF1α5 che porta alla presenza congenita di poche β-cellule: si va in iperglicemia e chetoacidosi con complicanze simili a diabete tipo 1. Si curavano con insulina ma ad oggi si fanno solfaniluree senza effetti collaterali.

Diabete mitocondriale Eredità matrilineare per diabete, sordità neurosensoriale, maculopatia con daltonismo acquisto e miopatia. L'unica terapia è quella insulinica. Spesso si associa a celiachia, probabilmente perché è mutato anche il mitocondrio da linfociti intestinali.

5 Gene homebox A per il fattore di trascrizione epatocitario 1, situato sul locus 12q, che esprime un fattore di trascrizione coinvolto in diverse funzioni del nostro organismo, dall’accrescimento alla differenziazione di diverse linee cellulari, dalla linfopoiesi alla regolazione del metabolismo glucidico e all’espressione dei trasportatori GLUT1 e GLUT2. È ubiquitariamente espresso, ma lo si trova soprattutto nel fegato e nei tessuti di derivazione endodermica.

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Diabete tipo 2 nel bambino Spesso si trova acanthosis nigricans, perché l'insulina in eccesso macchia la pelle di strie scure; queste persone difficilmente dimagriscono. La circonferenza addominale deve essere meno della metà dell'altezza per non essere a rischio di sviluppare diabete tipo 2 nel bambino. Si può riconoscere la patologia cercando il C-peptide.

Diabete insipido Disordine temporaneo o cronico del sistema neuroipofisario dovuto al deficit di vasopressina (ADH), caratterizzato dall'escrezione di quantità eccessive di urine molto diluite (ma altrimenti normali) e da sete incoercibile. Il diabete insipido centrale (DI) o sensibile all’ADH è un disordine ipotalamo-ipofisario e si distingue dal diabete insipido nefrogenico (NDI), nel quale il rene è resistente all'ADH. Una poliuria può essere dovuta a DI, a NDI oppure all'ingestione compulsiva o abituale (psicogena) di acqua (soppressione fisiologica dell'ADH, detta anche polidipsia primaria o diabete insipido dipsogenico). Il DI può essere completo o parziale, permanente o temporaneo. Tutte le lesioni anatomopatologiche associate con il DI interessano i nuclei sopraottico e paraventricolare dell'ipotalamo o una porzione considerevole del peduncolo ipofisario. La semplice distruzione del lobo posteriore dell'ipofisi provoca un DI temporaneo, non protratto. Il lobo posteriore è la sede principale dell'immagazzinamento e della secrezione dell'ADH, ma l'ormone viene sintetizzato nell'ipotalamo. L'ADH appena sintetizzato può continuare a essere immesso in circolo fino a quando i nuclei ipotalamici e parte del tratto neuroipofisario rimangono intatti. Per evitare l'insorgenza del DI centrale è sufficiente che rimanga intatto soltanto circa il 10% dei neuroni neurosecretori. Il DI può essere primitivo, caratterizzato da una marcata riduzione dei nuclei ipotalamici del sistema neuroipofisario, o secondario (acquisito), dovuto a una varietà di lesioni patologiche, tra le quali l'ipofisectomia, i traumi cranici (in particolare le fratture della base cranica), i tumori soprasellari e intrasellari primitivi o metastatici e le infezioni (encefalite o meningite). Anomalie genetiche a carico del gene per la vasopressina localizzato sul cromosoma 20 e sono responsabili delle forme autosomiche dominanti di DI primitivo, ma molti casi di DI primario rimangono idiopatici. L'esordio può essere insidioso o improvviso e può verificarsi a qualunque età. Nel DI primitivo gli unici

SINTOMI sono la polidipsia e la poliuria. Nelle forme acquisite sono presenti anche i segni e i sintomi delle lesioni associate. Possono essere ingerite enormi quantità di liquidi e vengono escreti volumi notevoli (da 3 a 30 l/die) di urine molto diluite (con peso specifico solitamente inferiore a 1,005 e osmolalità inferiore a 200 mOsm/l). La nicturia è quasi sempre presente sia nel DI sia nel NDI. Se le perdite urinarie non vengono

rimpiazzate continuamente, possono svilupparsi rapidamente disidratazione e ipovolemia. La DIAGNOSI di DI deve essere fatta differenziandolo dalle altre cause di poliuria: tutti i test per il DI sono basati sul principio che l'aumento dell'osmolalità plasmatica nei soggetti normali conduce alla contrazione della diuresi e all'aumento dell'osmolalità urinaria. Il test di disidratazione è il metodo più semplice e più attendibile per diagnosticare la malattia, ma deve essere eseguito tenendo il paziente sotto continua osservazione. Nei pazienti con DI questo test può essere rischioso, mentre i pazienti con polidipsia psicogena possono non essere in grado di evitare di bere, a meno che non venga loro impedito di farlo. Il test viene cominciato al mattino pesando il paziente, prelevando un campione di sangue venoso per determinarvi le concentrazioni elettrolitiche e l'osmolalità e misurando l'osmolalità delle urine. Le urine emesse vengono raccolte ogni ora e viene misurato il loro peso specifico o (preferibilmente) la loro osmolalità. La disidratazione viene proseguita fino a che compaiono ipotensione ortostatica e tachicardia posturale oppure è stato perso il 5% o più del peso corporeo iniziale oppure la concentrazione delle urine smette di aumentare di un valore superiore a 0,001 unità di peso specifico o a 30 mOsm/l in campioni consecutivi. A questo punto vengono misurati di nuovo gli elettroliti e l'osmolalità del siero e vengono iniettate 5U di vasopressina in soluzione acquosa tramite iniezione sottocutanea. Sessanta minuti dopo l'iniezione vengono raccolte un'ultima volta le urine per la determinazione del peso specifico o dell'osmolalità e il test viene concluso. Viene considerata normale una risposta nella quale la massima osmolalità urinaria dopo disidratazione (spesso pari a un peso specifico superiore a 1,020 o a 700 mOsm/l) è maggiore dell'osmolalità plasmatica e non aumenta ulteriormente di un valore superiore al 5% dopo iniezione di vasopressina. I pazienti con DI sono generalmente incapaci di concentrare le urine fino a un valore superiore all'osmolalità plasmatica e

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l'osmolalità delle loro urine aumenta di un valore superiore al 50% dopo la somministrazione di vasopressina. I pazienti con DI parziale sono spesso in grado di concentrare le urine al di sopra dell'osmolalità plasmatica, ma mostrano un aumento dell'osmolalità urinaria superiore al 9% dopo la somministrazione di vasopressina. I pazienti con NDI sono incapaci di concentrare le urine al di sopra dell'osmolalità plasmatica e non mostrano alcuna risposta addizionale alla somministrazione di vasopressina. Il dosaggio radioimmunologico dei livelli di ADH circolante è forse il metodo più diretto per la diagnosi di DI. Tuttavia il test è di difficile esecuzione e non è disponibile per l'impiego di routine. In aggiunta, il test di disidratazione è così accurato che il dosaggio diretto dell'ADH non è necessario. I livelli plasmatici di vasopressina sono diagnostici dopo disidratazione o

dopo infusione di soluzione salina ipertonica. La DIAGNOSI DIFFERENZIALE si pone con l'ingestione psicogena di acqua, che può costituire un problema difficile per la diagnosi differenziale. I pazienti possono ingerire ed eliminare fino a 6 litri di liquidi al giorno e presentano spesso disturbi emotivi. A differenza dei soggetti con DI e con NDI, essi di solito non hanno nicturia, né si svegliano per la sete durante la notte. La polidipsia porta all'aumento dell'assunzione di acqua e alla soppressione dell'ADH endogeno, con conseguente poliuria. Poiché l'assunzione cronica di acqua riduce il tono osmotico della midollare del rene, si sviluppa anche una resistenza all'ADH. Sebbene alcuni pazienti abbiano una risposta normale alla disidratazione, in altri l'osmolalità delle urine aumenta fino a livelli ipertonici ma submassimali, una risposta simile a quella dei pazienti con DI parziale. Per contro, i soggetti con ingestione psicogena di acqua, analogamente ai pazienti con NDI, non mostrano alcuna risposta ulteriore alla vasopressina esogena somministrata dopo la disidratazione. L'ingestione prolungata di grandi volumi di acqua può portare in questa situazione a un'iponatriemia pericolosa per la vita. Dopo una prolungata restrizione idrica di 2 litri/die o meno, la capacità di concentrazione ritorna normale, anche se ciò può richiedere alcune settimane. La

TERAPIA del DI centrale può essere terapia ormonale sostitutiva, preceduta o accompagnata da un trattamento specifico della causa organica responsabile della malattia. Si somministra vasopressina in soluzione acquosa per via sottocutanea o intramuscolare alla dose di 5-10 U per ottenere una risposta antidiuretica che dura generalmente 6 h o meno: questa terapia trova scarso utilizzo nel trattamento cronico, ma può essere impiegata nella fase iniziale della gestione di pazienti in stato di incoscienza e nei soggetti affetti da DI che devono essere sottoposti a un intervento chirurgico. Essendo un peptide di piccole dimensioni, la vasopressina è inefficace quando viene somministrata per via orale. La terapia non ormonale prevede l’utilizzo di diuretici tiazidici e farmaci stimolanti il rilascio di ADH, come la clorpropamide, la carbamazepina e il clofibrato: paradossalmente i tiazidici riducono il volume urinario nel DI parziale e completo e nel NDI, soprattutto in conseguenza della riduzione del volume del liquido extracellulare e dell'aumento del riassorbimento tubulare prossimale. Anche la restrizione dell'apporto di sale con la dieta può essere utile, perché riduce il volume urinario riducendo il carico di soluti.

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18/10/2018 prof. Miraglia del Giudice

POLMONITI Patologia che si riconosce per un infiltrato polmonare nuovo all’RX del torace associato a tosse, febbre, catarro, dolore toracico, leucocitosi. Dal punto di vista anatomo-patologico si distinguono in alveolari e interstiziali, dal punto di vista nosologico si dividono in comunitarie, ospedaliere, da aspirazione (frequenti nei bambini) e nel paziente neutropenico; dal punto di vista clinico si dividono in lievi, moderatamente gravi e gravi.

Nelle CAP c’è un infiltrato acuto al torace caratteristico all’RX, presente in persone non ospedalizzate o non residenti in strutture a lunga degenza da più di 14 giorni, questa specifica è necessaria perché cambia il

patogeno implicato. Le NAP si manifestano più di 72 ore dopo il ricovero e non sono presenti al momento

del ricovero stesso. Quelle da ASPIRAZIONE sono favorite da perdita di coscienza, disturbi che compromettono la deglutizione, disfasia, vomito, endoscopia e intubazione tracheale: i bimbi hanno una maggiore beanza e incontinenza cardiali che facilitano il rigurgito, in più l'alimentazione del lattante e del

bambino è prevalentemente liquida. Nel PAZIENTE NEUTROPENICO si manifestano quando ci sono meno di 500 granulociti per millimetro cubo. Fattori predisponenti sono: età inferiore ai 2 anni, basso livello socio-economico, malnutrizione, permanenza in luoghi chiusi ed affollati, alti livelli di polluttanti indoor, patologie cardio-respiratorie, l'età scolare è quella con la maggiore incidenza.

Nelle forme lievi non c'è anamnesi positiva per patologie respiratorie, le condizioni generali sono poco compromesse, la febbre è poco elevata e recente, ci sono risposte buone alle terapia e scarso impegno

respiratorio. Nelle moderatamente gravi ci sono dispnea e rientramenti intercostali, per il resto sono simili

alle lievi. Per forma grave si intende quella polmonite con anamnesi già positiva o difetti anatomici (malattia con scarsa motilità delle ciglia → sindrome di Kartagener), ci sono condizioni generali scadute, reperti clinici e radiologici importanti (addensamento esteso, versamento pleurico), segni di insufficienza respiratoria imminente.

L'EZIOLOGIA delle CAP è da Pneumococco in più del 40% dei casi, segue l’Haemofilus, successivamente quelle virali, in più esistono quelle da Mycoplasma, Legionella e Chlamydia, ma si deve tener presente anche come criterio quello dell'età del bambino (ricordare anche lo Stafilococco, che è raro ma associato a polmonite bollose, la Moraxella e, negli immunodepressi, la Klebsiella). Il Mycoplasma è un forte responsabile di polmonite nel bambino con età inferiore a 5 anni, quindi in età scolare, la malattia si autolimita me dà quadri gravi; la Chlamydia spesso si sovrappone a polmonite virale nel bambino in età scolare. Spesso è difficile isolare il patogeno, per cui una sintomatologia ad inizio rapido, con tosse produttiva, rapida variazione all'RX, leucocitosi superiore a 20’000, febbre elevata, aspetto tossico (con associazione di tosse e dispnea) è suggestiva di eziologia batterica, una sintomatologia ad esordio graduale, preceduta o accompagnata a rinite virale, tosse secca e stizzosa, non produttiva, broncospasmo reattivo con sibili, minore compromissione generale è indicativa di eziologia virale. Mycoplasma e Chlamydia sono atipici perché danno

un quadro virale. La DIAGNOSI si effettua tramite valutazione clinica, radiologica e laboratorista; in auscultazione si apprezza riduzione del murmure vescicolare, respiro bronchiale e reperti asmatiformi; la frequenza respiratoria è importantissima, se aumentata è indice di interessamento polmonare (se il bambino ha meno di 2 mesi deve essere maggiore di 60 atti/minuto, se è tra 2 e 12 mesi deve essere più 50 atti/minuto, se ha più di 12 mesi deve essere più di 40 atti/minuto. Questi sono i paramenti di riferimento per l’età). Non c'è un’indicazione per effettuare indagini microbiologiche in bambini affetti da CAP, esistono in commercio kit per l'identificazione di diversi patogeni (Bordetella, VRS, Haemoflus). La radiografia deve essere compatibile con la clinica, se si vede versamento si chiede ecografia, infatti una RX praticata dopo circa un mese può dare informazioni sull'adeguatezza delle terapie. Si consiglia di ricoverare un lattante se ha SpO2 minore del 92%, frequenza respiratoria maggiore di 70 atti/minuto, dispnea o apnea, difficoltà ad alimentarsi o famiglia inaffidabile; il ricovero è consigliato anche se è un bambino con frequenza respiratoria maggiore

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di 50 atti/minuto, se c'è grunting (segno di distress respiratorio), SpO2 minore del 92%, disidratazione o famiglia inaffidabile. Le complicanze polmonari sono l'ascesso o il versamento plurico, le extra-polmonari sono il rush scarlattiniforme, la disidratazione e la SIADH. In base all'età la diagnosi eziologica prevede che fino a 3 mesi si sospetta Streptococco B, E. Coli, Chlamydia trachomatis, Listeria e CMV, dai 3 mesi ai 5 anni ci sono VRS, adenovirus, virus influenzale e pera influenzale, Pneumococco, Mycoplasma e Chlamydia, in età scolare c’è sopratutto il Mycoplasma, poi lo Pneumococco, vari virus e la Chlamydia: si deve ricordare che,

pur avendo diagnosi eziologica per Streptococco, non è esclusa la coinfezione o la sovrainfezione. La TERAPIA

della CAP non complicata senza sintomi gravi o atipici è con amoxicillina (anche in associazione a clavulanato) + cefotaxime o cloxacillina (se sospetto stafilococco) più macrolidi; se sono di fronte a una CAP ad eziologia ignota faccio cefotaxime o cefuroxime più macrolidi; se sospetto una polmonite atipica faccio macrolidi per almeno 2 settimane fino a 3 settimane; nelle nosocomiali si fanno cefalosporine endovena o intramuscolo.

ALLERGIE ALIMENTARI Possono essere tossiche (IgE mediate o non mediate) o non tossiche. L'allergia alimentare è una risposta avversa immunologica verso alimenti e deve essere riproducibile con test di scatenamento in doppio cieco. La prevalenza è quasi doppia nei bambini piuttosto che negli adulti, si riconosce familiarità: esistono fattori di rischio ambientali prenatali come la dieta materna in gravidanza; il taglio cesareo può predisporre ad allergie perché il bambino non ha attraversato il cereale del parto, quindi noi ha ingerito i batteri ivi residenti e ha un ritardo nel corretto sviluppo del suo microbioma. Le allergie sono più frequenti nei bambini perché secernono meno acido gastrico, le IgA non sono ancora mature e l'attività enzimatica è immatura. Sono otto gli alimenti più frequentemente implicati nel causare allergia: latte, uova, soia, grano, arachidi, nocciole, pesce, crostacei. Se è IgE mediata si presenta orticaria, rinite, asma e anafilassi e questa sintomatologia è associata all’assunzione di alimenti; se non è IgE mediata è indotta da proteine e la manifestazione avviene con un’enterocolite, celiachia o dermatite da contatto. Le proteine del latte vaccino sono la β-lattoglobulina (la più abbondante), la caseina e l’α-lattoglobulina: la caseina diventa la più abbondante quando il bimbo cresce. È utilissimo il test cutaneo con pick test, il gold standard è il challenge test6, il pick test ha un VPN superiore al 90% e un VPP del 56%, se esce positivo si fa il challenge test per stare sicuri.

La TERAPIA per l’allergia al latte vaccino si propone di trovare un sostituto valido dal punto di vista nutrizionale ma inerte sulla sintomatologia, attualmente si può scegliere tra:

usare un latte idolisato (il latte viene sottoposto a idrolisi che spacca le proteine allergizzanti ma mantiene alcuni peptidi di peso superiore a 6'000 Dalton che però possono dare ugualmente allergie, funziona solo nel 90% dei casi, bisogna scegliere un latte sottoposto a idrolisi spinta. Sono molto poco palatabili. Ci sono latti idrolisati parziali ed estensivi, i secondi riescono ad essere tollerati da più del 90% dei bambini, i parziali molto meno);

usare un latte di soia (vegetale, ha il vantaggio di essere più buono dell'idrolisato e migliora la compliance, ma può indurre sensibilizzazione più facilmente nel bambino, a cui non può essere somministrato se ha più di 6 mesi);

usare un latte di riso (viene idrolizzato il riso e poi successivamente supplementato, ha una pessima palatabilità);

usare un latte a base di amminoacidi di sintesi (unico tipo non allergizzante, si usa in bimbi con reazione anafilattica a latte materno e quindi ipersensibili; le proteine del latte non ci sono proprio, sono i latti più costosi, perciò non si usano diffusamente, anche perché sono scarsamente palatabili);

6 Questa metodica è chiamata anche test di scatenamento o di provocazione, è un esame che conferma o esclude l’allergia a una determinata sostanza: si somministrano dosi crescenti di un determinato allergene finché si ottiene una reazione allergica oppure il soggetto dimostra di poter tollerare quella sostanza. È un test molto usato nella diagnosi delle allergie alimentari e da farmaci, ma, a causa del rischio di shock anafilattico, questa prova va eseguita sotto stretto controllo medico e prendendo le opportune precauzioni.

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usare un latte di capra (che ha omologia del 100% con il latte vaccino, se questo latte non scatena allergia vuol dire che non si è allergici; gli unici latti mammiferi utilizzati sono di cavalla e di asina, altamente modificati, ma bisogna fare attenzione al carico proteico).

L'allergia alle proteine del latte vaccino guarisce in più del 92% dei casi entro i 5 anni di età, si dà il sostituto per garantire l'accrescimento: il bambino allergico da piccolo può sviluppare successivamente una marcia allergica. Uovo e arachidi portano le loro allergie più a lungo nel tempo, soprattutto le arachidi, oltre a questi alimenti bisogna ricordare che anche il pesce può dare reazioni, addirittura successive alla sola inalazione.

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18/10/2018 prof. Papparella

CRIPTORCHIDISMO Mancata discesa di uno o due testicoli nello scroto. È l’anomalia più comune dei genitali, la sua incidenza alla nascita è del 4 %, ma a 1 anno di età è tra 1 e 1, 6%, perché c'è una quota di bambini in cui il testicolo discende entro i 6 mesi e in quel periodo c'è una fase di pubertà facilitata dagli ormoni placentari. È una condizione che si tratta chirurgicamente per ridurre il rischio neoplastico e l’infertilità: tutta la chirurgia pediatrica, infatti, è una chirurgia funzionale. I criptorchidi monolaterali hanno lo stesso tasso di paternità dei non criptorchidi, sono i criptorchidi bilaterali ad essere infertili: il rischio neoplastico diminuisce se il testicolo si è incanalato ed il paziente può controllarsi, ma tutti i criptorchidi hanno in generale un aumentato rischio neoplastico. Nell'80% dei casi e testicolo è palpabile (la palpazione si effettua con il bambino in posizione supina o accovacciata, si palpa il canale inguinale e si sente la forma del testicolo), nel 20% dei casi non è palpabile. Talvolta si parla di testicolo scomparso perché non è disceso bene o nella cavità addominale o nella cavità inguinale, per cui manca il testicolo ma sono presenti i vasi (sanguigni, linfatici e spermatici) suoi tributari seppure possono essere ipoplastici, mentre il testicolo retrattile è un testicolo che, ricondotto nello scroto, arriva al suo fondo e vi permane in maniera temporanea. La letteratura evidenzia che il testicolo retrattile può risalire nel canale inguinale e questo dato va tenuto in considerazione nell’inquadramento della patologia: il testicolo retrattile va controllato clinicamente una volta all'anno fino all'età di 14 anni e non vanno fatte terapie, né mediche né chirurgiche, perché in una quota di casi si assiste ad una risalita del testicolo, che necessita solamente di terapia chirurgica: per tale motivo bisogna fare esclusivamente un follow-up clinico. Il testicolo criptorchico, anche se palpabile, non è molto trazionabile, al contrario del retrattile che è molto mobile. Il testicolo criptorchico, anche se palpabile, non è molto trazionabile, al contrario del retrattile che è molto mobile. Il prematuro, per mancata chiusura del dotto peritoneo-vaginale,

è più soggetto a criptorchidismo. Questa condizione ha una PATOGENESI multifattoriale, nell’80% dei casi ci si trova con il dotto peritoneo-vaginale pervio che dà un ingombro meccanico, altre volte si osserva l’assenza del gubernaculum testis: altri fattori favorenti sono la carenza di insulin-like factor 3 (INSL3, che controlla la differenziazione del gubernaculum testis ed è il maggiore responsabile della fase trans-addominale della discesa del testicolo. Altre molecole implicate nella discesa sono il testosterone, fondamentale insieme all’INSL3, l’ormone antimulleriano e il CGRP). Ci sono rarissimi casi di agenesia testicolare e spesso, se il paziente è anche monorene anatomico, la mancanza è omolaterale. Un testicolo si definisce pre-scrotale se esce dell'orifizio inguinale interno ma non scende fino al fondo dello scroto. Il testicolo retrattile può dipendere da iperattività cremasterica, quello ectopico lo si sente molto superficiale perché è appoggiato sull'aponeurosi dell'obliquo interno, quello risalito era precedentemente in sede scrotale. Per la diagnosi NON serve l’ecografia (che trova utilità solo per la valutazione morfovolumetrica) ma basta l’esame clinico: l’esame ecografico valuta forma, volume, trofismo cellulare ed epididimo. Si parla di ipertrofia testicolare se il diametro trasverso è maggiore di 1,8 cm, condizione di solito associata ad anorchidia. In sede di intervento chirurgico si è tanto più soggetti a complicanze quanto più lontano è il

testicolo dalla sede scrotale. La TERAPIA del criptorchidismo è l’orchidopessi tramite intervento di Shoemaker, che prevede un taglio inguinale, la rimozione delle fibre cremasteriche, se è presente il dotto peritoneo-vaginale viene dissecato e chiuso, si fa una tasca sub-dartoica tra il dartos e la cute che trattiene il testicolo verso il basso svolgendo una funzione di trattenimento. Gli elementi del funicolo spermatico (i vasi spermatici e il deferente), hanno un decorso retroperitoneale: se viene isolato il dotto peritoneo-vaginale (che è un'estroflessione del peritoneo parietale), vengono immobilizzati i vasi spermatici e reso il loro decorso rettilineo, il che è importante perché procura la materia necessaria a portare il testicolo nello scroto. Esiste anche una terapia medica per il criptorchidismo (come dimostrato da un lavoro del 2005), che si serve di uno spray nasale al GnRH: per questa pratica è stato valutato il fertility index ed era favorevole. Se il testicolo non discende nel primo anno, non ci si aspetta una discesa spontanea, ma si avvia il paziente in chirurgia.

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05/11/2018 prof. Miraglia del Giudice

AUXOLOGIA Se si presenta un bambino con un problema ignoto si può pensare di rientrare in una condizione di tranquillità se sono mantenuti i parametri di accrescimento per la sua età. Lo standard di crescita e la target zone rendono l’idea di quanto il bambino potrà crescere in futuro. Durante lo sviluppo puberale si ha una rapidissima crescita, perciò il pediatra deve sapere a che punto dello sviluppo puberale il bambino si trovi. La target zone è il potenziale genetico di crescita e tra i maschi e le femmine ferrea intercorre una distanza di circa 13 cm, che vanno inseriti nella formula del calcolo, che è la seguente:

(altezza del padre + altezza della madre ± 13)/2 Il 13 si aggiunge se il calcolo è relativo a un maschietto e si sottrae se è relativo a una femminuccia.

Talvolta si può non essere sicuri del calcolo della target zone, per cui è necessario misurare personalmente i genitori, dato che spesso l'altezza viene riferita maggiore di quanto sia in realtà. L'altezza esprime il parametro staturale dai 2 anni in poi, prima dei 2 anni si misura la lunghezza: l'errore previsto nelle misurazioni è di circa 0,5cm, lo strumento per misurare l'altezza è lo stadiometro, per la lunghezza si usa il paidometro. Se un bambino cambia il suo canale di crescita (ad esempio, a 5 anni era al 75° percentile, a 6 anni lo stesso e a 7 anni è al 50° percentile) si deve porre un quesito diagnostico. La tabella dei percentili universalmente utilizzata è quella del CDC, che presenta le curve dei percentili per tutte le misurazioni, antropometriche e laboratoristiche. N.B.: solo nella misurazione della pressione si deve considerare anche l’altezza. La velocità di crescita esprime quanto cresce il bambino in un anno: il massimo della velocità di crescita si osserva nel primo anno di vita, durante il quale il bambino aumenta della metà la sua lunghezza alla nascita (quindi si accresce di circa 25 cm), poi fino a 10-11 anni essa si attesta circa sui 6 cm/anno, e successivamente inizia lo sviluppo puberale e la velocità di crescita impenna fino a quasi 10 cm/anno. L'ideale sarebbe valutare la velocità di crescita in un intervallo di almeno 4 mesi, meglio 6 mesi, perché si tiene conto del margine di errore di 0,5 cm: al disotto del 10° e al di sopra del 90° percentile la velocità di crescita è patologica. L'età ossea dovrebbe coincidere a discostarsi poco dall’età anagrafica, di solito si misura nei bambini a cui siano già stati rilevati dei problemi: si valutano su un atlante le dimensioni del polso e della mano sinistra valutabili da un esame RX (metodo di Greulich e Pyle). Le infezioni delle vie urinarie sono tra le prime cause di rallentamento della crescita nel primo anno di vita, e sono evidenziate da nitriti, leucociti e pH elevato. Come esame di secondo livello si può chiedere nelle femmine un cariotipo per escludere la sindrome di Turner, si procede con quest’esame se l’altezza è inferiore a -2 DS: si fa un esame così complesso perché, se positivo, si inizia la terapia con il GH che fa aumentare l'altezza e aiuta nello sviluppo in età puberale. Solo dopo il cariotipo si valuta l'età ossea, se lo scarto è di almeno 2 anni rispetto a quella anagrafica si può ipotizzare un deficit di secrezione del GH, rilevabile tramite test di stimolo con alcune sostante (insulina, clonidina, arginina, glucagone, GHRH) che, in caso di deficit, dopo due ore deve presentare il picco di secrezione inferiore a 8 nanogrammi: se il test è positivo si deve ripetere il test una seconda volta con una sostanza differente da quella del primo test prima di porre diagnosi.

Pubertà Una bambina inizia il suo sviluppo puberale quando le sue mammelle si trovano in uno stadio detto B2, il parametro PH riguarda i peli pubici: i parametri B (breast) e PH (pubic hair) devono sempre essere accompagnati all'età, perché per ogni età ci si aspetta un determinato stadio dello sviluppo puberale. Per i maschi si valuta il parametro G (gonadi) e PH, il parametro G può essere accompagnato dai ml di capacità del

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testicolo del maschietto, che si valuta con l’orchidometro di Prader: un testicolo è considerato prepubere finché la sua capacità è uguale o inferiore a 3 ml, l’inizio e la progressione dello sviluppo si osservano con una capacità compresa tra 4 e 12 ml, dai 16 ml in poi lo sviluppo è terminato. Si parla di pubertà precoce se ci sono segnali di sviluppo puberale prima degli 8 anni per le femme e prima dei 9 anni per i maschi: se si ha solo pubarca (solo progressione del PH e non del B) anticipato (prima dei 7 anni nelle bimbe caucasiche, prima dei 6 nelle africane) si parla di pubarca prematuro e, se non si accompagna a telarca, non deve destare preoccupazione. Nelle forme idiopatiche di pubertà precoce sono state identificate 2 mutazioni attivanti il gene KISS17, inoltre questa condizione è stata correlata con il valore del BMI, che trova una proporzionalità diretta, e anche con la zearalenone8. Se la pubertà precoce ha alla sua base un’attivazione precoce dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, essa viene definita pubertà precoce vera o centrale o GnRH-dipendente, se è causata da una secrezione ectopica di gonadotropine o autonoma di ormoni sessuali si parla di pseudopubertà precoce o GnRH indipendente. Ci si può trovare in una condizione di pubertà precoce GnRH-dipendente in caso di pubertà precoce costituzionale (in soggetti con pubertà precoce e storia familiare di pubertà precoce), di pubertà precoce idiopatica (in soggetti con pubertà precoce ma senza storia familiare di pubertà precoce) o di pubertà precoce da disfunzioni ormonali (in pazienti con tumori del sistema nervoso centrale che producono direttamente GnRH, LH, FSH), mentre ci si può trovare in una condizione di pubertà precoce GnRH-indipendente per tumori secernenti β-hCG, deficit di 21-α-idrossilasi, deficit di 11 β-idrossilasi, adenomi o carcinomi surrenalici, tumori ovarici o somministrazione iatrogena di ormoni. Si parla di pubertà ritardata se mancano i segni d sviluppo puberale dopo i 13 anni nelle femme e 14 anni nei maschi. La pubertà ritardata può configurare un quadro di ritardo puberale costituzionale, caratteristico di soggetti sani, in cui si verifica solo un ritardo dello sviluppo puberale: si tratta solitamente di ragazzi con storia clinica di statura inferiore a quella dei coetanei, ma con velocità di crescita normale rispetto all’età ossea che può essere anche di 2 deviazioni standard inferiore alla media. In questi soggetti, il fisiologico rallentamento della velocità di crescita che precede la comparsa dei caratteri sessuali può essere anche più accentuato rispetto a quello fisiologico pre-pubertà: in anamnesi è spesso presente una storia familiare simile e la diagnosi può essere difficile. Diversamente ci può essere anche una pubertà ritardata da patologie organiche, che di solito si inseriscono in un quadro di ipogonadismo ipogonadotropo o ipergonadotropo: tra le prime annoveriamo la sindrome di Kallmann, le patologie ipofisarie (soprattutto il prolattinoma), la sindrome di Prader Willi, la malnutrizione e l’ipotiroidismo. Tra le seconde rientrano la sindrome di Klinefelter, la sindrome di Turner, l’anorchia e la sindrome dell’ovaio resistente.

7 Gene che produce la kisspeptina, una G-PCR che si lega a GPR54, che funge da oncosoppressore metastatico per le secondarietà del melanoma e del cancro alla mammella, ha un ruolo importante nell’inizio della secrezione del GnRH durante la pubertà. 8 Micotossina ad azione estrogenica prodotta dalla specie Fusarium in diversi tipi di grano, come è stato studiato in alcune zone occidentali della Toscana in cui si è percepita un’aumentata incidenza di pubertà precoce idiopatica.

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06/11/2018 prof. Tolone

CELIACHIA Malattia in aumento, forse è implicato il cambiamento della qualità del grano, che risulta maggiormente tossico per i soggetti già predisposti, che tendono a predire più autoanticorpi. È una malattia sistemica scatenata dal glutine che si manifesta in individui geneticamente predisposti (la predisposizione genetica è una condizione necessaria) si può manifestare in qualunque età della vita. Molti sono i soggetti predisposti, si stima che il 25-30% della popolazione mondiale sarebbe predisposto, ma solo 1 soggetto su 80/90 sviluppa la patologia, per cui la predisposizione da sola non basta. In Itala nel 2014/15 c'è stato aumento del 15% di nuovi casi, la Campania è al 3° posto, sia per il notevole consumo di glutine nella dieta sia perché in Campana ci sono ottimi centri specializzati nella diagnosi di celiachia. Ad un soggetto predisposto a cui il cereale viene introdotto tardivamente nella dieta svilupperà comunque la patologia, ma l’esordio sarà più tardivo: si consideri che l’allattamento al seno è molto importante per la componente immunitaria (i bambini tendono ad ammalarsi di meno), ma non ha influenza sulle possibilità di sviluppare celiachia, però, essendo allattato al seno, il bambino tenderà ad introdurre più tardi il glutine e quindi a sviluppare più tardi la malattia. La modalità del parto e il peso alla nascita non influiscono, potrebbero essere correlate le infezioni del tratto gastroenterico portate da rotavirus.

Quando indagare per la celiachia? Oltre ai classici sintomi gastroenterici (diarrea, vomito, dolore addominale) e perdita di peso (dipendente da una diarrea cronica e/o un malassorbimento), che oggi sono meno frequenti che in passato, si deve avviare il bambino verso un approfondimento in presenza di: statura al di sotto del 3° percentile, anche se i genitori sono bassi, anemia sideropenica resistente al trattamento, dolori addominali ricorrenti che non recedono con la corretta alimentazione e regolazione dell'alvo, stipsi ostinata cronica che non risponde al trattamento, ipertransaminasemianon altrimenti spiegabile (più frequente nei ragazzi rispetto ai bambini), afte e stomatiti recidivanti, ipoplasia dello smalto, alopecia, dermatite di Duhring, psoriasi, ritardo dello sviluppo puberale, dolori muscolari, astenia, artriti, rifiuto di cibi contenenti il glutine (meccanismo di difesa automatico e inconsapevole del bambino). Se il bambino non ha sintomi si cerca comunque la celiachia se ci sono persone affette tra i parenti di primo grado (la probabilità di sviluppare la patologia se gli affetti sono i genitori o i fratelli/sorelle è del 10-15%), diabete mellito di tipo 1 (3-16%), tiroidite e altre malattie autoimmuni, deficit di IgA (non è detto che questi ultimi soggetti si ammalino di più, il soggetto potrebbe rimanere asintomatico perché il resto del sistema immunitario potrebbe compensare; si deve ricordare, però, che a questi bambini non si positivizzano i test classici, perché sono tutti test con IgA, per cui si devono ricercare le IgA sieriche totali), sindromi di Down e di Turner. Era stato proposto uno screening per i bambini attorno ai 5-6 anni, ma è da sconsigliare perché a quell'età il test potrebbe ancora essere negativo. Un’ipotesi fantasiosa spiegherebbe che i sintomi stiano cambiando probabilmente perché c'è un'evoluzione del sistema immunitario.

La DIAGNOSI si pone valutando i test con anticorpi anti-transglutaminasi (tTG) e anti-endomisio, che sono altamente sensibili e specifici (gli anti-endomisio sono utili nei pazienti con diagnosi incerta), IgA e IgG anti-gliadina deaminata (che hanno sostituito i vecchi anticorpi anti-glutine e si fanno in pazienti al di sotto dei 2 anni), le IgG anti-gliadina deaminata si fanno a pazienti con deficit di IgA (nel qual caso si fanno anche IgG anti-tTG, che sono più sensibili e specifici degli altri). Se gli anticorpi sono negativi non si può escludere in assoluto la diagnosi anche in assenza di sintomi. Gli anticorpi specifici possono risultare fluttuanti anche nei soggetti predisposti a effettivamente malati e possono mantenere questo andamento per sempre, addirittura in rari casi, di solito adulti, possono essere sempre negativi. Non si sa dopo quanto tempo gli anticorpi si positivizzeranno. Il microbioma può cambiare nel celiaco rispetto al sano e può variare anche tra il celiaco potenziale e il conclamato. La genetica riconosce una positività per HLA DQ2-DQ8 (positiva nel 96%

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dei casi, ha un alto VPN, dato che risulta positivo anche un terzo della popolare generale). Esistono anche dei geni non HLA (uno è quello del recettore CB) che sembrano essere coinvolti, a causa di loro polimorfismi, nell’insorgenza della celiachia e questi geni potrebbero anche spiegare la differenza nei vari quadri sintomatologici della patologa. Se c'è una mutazione di CTLA4-60 si ha una maggiore suscettibilità anche per tiroiditi autoimmuni, se la mutazione è a carico di FTO9 c’è una maggiore propensione a sovrappeso e obesità in bambini che fanno una dieta senza glutine da più di 3 anni. Sulla base dell'istologia si fonda la classificazione di Marsh10: si fa una biopsia duodenale tramite EGDS con almeno 3 prelievi (meglio se in numero compreso tra 4 e 8), di cui almeno uno a livello del bulbo. Dal 2012 ci sono le nuove linee guida per il bambino, le ESPGHAN 2012, a carattere europeo, che dicono che si può evitare la biopsia se il paziente è sintomatico, ha HLA DQ2 e DQ8 positivi, gli anticorpi anti-tTG devono superare almeno di 10 volte i valori normali e devono essere positivi anche gli anti-endomisio: questi parametri devono essere tutti soddisfatti.

La definizione delle differenti FORME CLINICHE si avvale di tre parametri da considerare: sintomatologia, sierologia e istologia. Nella forma sintomatica la sintomatologia è presente, la sierologia è positiva e l’istologia è positiva, nella silente la sintomatologia è assente, la sierologia è positiva e l’istologia è positiva, nella potenziale (o latente) la sintomatologia può essere presente o assente, la sierologia è positiva e l’istologia negativa. Nelle forme atipiche, se il bimbo non ha sintomi, si fa follow-up ogni 3-4 mesi, se i sintomi ci sono si inizia con la dieta: se non si fa la dieta si può andare incontro a complicanze. In alternativa alla dieta si è pensato di impedire l'apertura delle giunzioni serrate fra le cellule in modo da impedire il passaggio del glutine, tramite una pillola, che però si deve comunque associare a una dieta con poco glutine e dipende anche dalla sensibilità personale al cereale; si è anche pensato di sviluppare lattobacilli in grado di degradare il glutine, oppure ci sono delle peptidasi fungine che farebbero la stessa cosa. È stata anche studiata una sorta di vaccino curativo, che dovrebbe sviluppare tolleranza rendendo inoffensivi i linfociti T pro-infamatori attivati dal glutine, che sono responsabili del danno alla mucosa: questo vaccino è ancora in fase sperimentale. È attualmente già in commercio un apparecchio che in 10 minuti identifica la presenza, anche in quantità minime, di 5 allergeni: uovo, latte, arachidi, nocciole e grano; serve sia ai celiaci che ai soggetti con importanti allergie alimentari.

9 Gene di considerevoli dimensioni (il suo nome è l’abbreviazione di fatso, conferitogli a causa delle sue grosse dimensioni), che appartiene alla superfamiglia delle idrossilasi α-chetoglutarato-dipendenti, un gruppo di proteine non contenenti eme. L’espressione di questo gene è risultata essere significativamente aumentata nell’ipotalamo di topi sottoposti a digiuno e correla in maniera inversamente proporzionale con l’oressigeno GALP (galanin-like peptide), un neuropeptide espresso nel nucleo arcuato dell’ipotalamo e nell’ipofisi posteriore, che ha come funzione principale la regolazione dell’appetito e come azioni ipotizzate quelle del comportamento sessuale e della modulazione dell’infiammazione. 10 Così si divide lo stadio della malattia dal punto di vista endoscopico: Marsh stadio 0 presenta mucosa normale, Marsh stadio 1 presenta aumento del numero di linfociti intra-epiteliali, in genere in un numero superiore al 20% degli enterociti, Marsh stadio 2 presenta proliferazione delle cripte di Lieberkühn, Marsh stadio 3 presenta parziale o totale atrofia dei villi, Marsh stadio 4 presenta ipoplasia dell'architettura piccolo intestino.

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7/11/2018 prof. Rossi

ONCOLOGIA PEDIATRICA Rari sono i tumori pediatrici, 15 nuovi casi ogni 100'000 bambini tra 0 e 14 anni ogni anno, quindi circa 1 bambino su 600 si ammala di queste patologie. La leucemia è la seconda causa di morte per maschi e femmine e i tumori cerebrali sono al quarto posto nelle femmine e al terzo nei maschi, il tumore soldo extra-cerebrale più frequente è il neuroblastoma. Molto sentito è il problema degli adolescenti, che fino ai pochi anni fa erano considerati una "terra di nessuno" ma si è visto che ragazzi tra 14 e 19 anni curati per leucemia linfoblastica acuta in centri pediatrici con protocolli pediatrici avevano risultati migliori di quelli nella stessa fascia d’età e con la stessa patologia, ma che erano stati curati in centri per adulti con protocolli non pediatrici. Molti bambini fanno una vera e propria migrazione sanitaria, cioè sono di una regione ma si vanno a curare in un'altra: questa migrazione sanitaria può essere motivata da ragioni sanitarie oggettive (centri di alta specialità o per il trattamento di malattie rare come i tumori pediatrici), può essere una migrazione dovuta a esigenze geografiche, viarie e/o familiari oppure che ha radici storiche (migrazione dalle regioni meridionali verso il Centro-Nord), oppure una migrazione evitabile, le cui cause sono da ricercarsi in una carenza (anche di informazioni) o inefficienza delle strutture locali, che genera una relativa sfiducia negli utenti. Inoltre, negli ultimi anni sono stati registrati casi di tumori in bambini migrati da paesi africani o dell'Europa dell'est: l’immigrazione a scopi sanitari di bambini e adolescenti affetti da tumore è in costante aumento e prevalentemente segue canali istituzionali o umanitari che possono essere in qualche modo pianificati. I tumori del SNC sono difficili da inquadrare da un punto di vista epidemiologico. La sopravvivenza dei bambini oncologici è migliorata negli ultimi anni e mentre per alcuni tumori, come il retinoblastoma, si arriva quasi nel 100% dei casi alla guarigione, per alcuni tumori del SNC e tumori solidi extra-cerebrali la sopravvivenza si avvicina al 50%. Conoscere meglio i tumori e la loro oncologia ha permesso di creare delle apposite classi di rischio, in più si è creata una rete, nazionale e internazionale con un centro in ogni regione, che si chiama AIEOP: questo ha permesso di condividere e centralizzare i campioni, facendo la stessa serie di esami e garantisce la correttezza della diagnosi e l’adeguata stratificazione nelle classi di rischio. Grande importanza hanno avuto le cellule staminali (enorme è stato il contributo del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche) e le terapie di supporto (atte a prevenire le complicanze della chemioterapia, come la sindrome da lisi tumorale che ha un duro impatto metabolico). La diagnosi precoce è estremamente importante ma anche molto complicata, soprattutto per i sintomi aspecifici con cui le patologie oncologiche pediatriche si presentano: quasi nessun tumore (a parte il neuroblastoma) ha marcatori specifici e quindi non si possono preparare adeguati programmi di screening. Per poter limitare il problema della difficoltà nel porre diagnosi precoce bisogna:

conoscere le patologie più frequenti in oncologia pediatrica, che sono, in ordine decrescente di incidenza: leucemia, linfoma, tumori maligni del SNC, neuroblastoma, sarcomi e altri tumori maligni dei tessuti molli, nefroblastoma;

ricordare la distribuzione della frequenza di questi tumori nelle varie fasce d’età: la leucemia è presente in tutte le fasce, ma soprattutto in età prescolare, il tumore di Wilms e il neuroblastoma sono caratteristici in bambini molto piccoli, altri tumori renali si riscontrano in età pre-adolescenziale;

saper riconoscere le categorie di bambini a rischio oncologico: sono soprattutto bambini con storia tumorale o trapianto, che hanno un elevato rischio di sviluppare tumori, soprattutto mammari e tiroidei; anche alcune malattie cromosomiche tendono a correlare con i tumori, come la sindrome di Down (che correla con la leucemia mieloide), l’anemia di Fanconi (che correla con il carcinoma squamoso della testa e del collo e dei genitali femminili, per cui è necessaria la vaccinazione contro HPV), la Nf1 (che ha elevatissime probabilità di fare Schwannomi, feocromocitomi e neuromi ottici);

identificare il segno o il sintomo maggiormente indicativo: ci sono alcuni segni patognomonici, come l’ipertrofia gengivale per la leucemia mieloide acuta, la leucocoria per il retinoblastoma e la sindrome

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di Claude-Bernard-Horner per il neuroblastoma, ma molto spesso sintomi di presentazione come linfoadenopatia, dolore osseo con tumefazione, massa addominale, massa mediastinica, manifestazioni emorragiche, epatosplenomegalia e massa sottocutanea possono essere comuni a patologie neoplastiche e non neoplastiche.

La linfoadenopatia va indagata come inizio dell’iter oncologico se è maggiore di 2 cm, se in sede sovraclavear/epitrocleare/poplitea va indagata anche se di piccole dimensioni, se la consistenza è duro-lignea o se non è mobile, se modifica le sue caratteristiche nel tempo o persiste per 2-4 settimane dopo antibiotici o FANS, se si accompagna a epatosplenomegalia, pallore, emorragia. Lo step successivo è l’ecografia, con la quale si possono osservare forma ovalare, assenza dell'ilo e vascolarizzazione irregolare, che sono tutti segni di malignità ecografica e indirizzano il paziente all’escissione e all’indagine anatomo-patologica. Quando un bambino finisce la sua terapia lo aspetta ancora un lungo percorso di follow-up per poter parlare di guarigione, perché il rischio di recidiva è comunque sempre presente.

Leucemia linfoblastica acuta (LLA) Una cellula staminale midollare prolifera nel midollo e occupa spazio, spiazzando i precursori delle 3 linee, successivamente i blasti migrano e raggiungono ogni organo e tessuto fino ad arrivare al SNC e al testicolo. Ha un picco nella fase prescolare ed è più frequente nei maschi che nelle femmine. Il protocollo prevede una polichemioterapia molto lunga, che dura 2 anni, che consta di una fase I di induzione (con FANS ogni giorno e metrotrexato una volta alla settimana), una fase M di consolidamento, una fase II di re-induzione (con farmaci simili a quelli della prima fase) e una fase di mantenimento in cui si deve mantenere lo stato di remissione ed è la fase più lunga ma meno impegnativa, dato che vengono somministrati solo due farmaci per os (6-mercapto-purina ogni giorno e metrotrexato una volta alla settimana). In base al genotipo si indirizza il bambino alla classe di rischio appropriata, dato che esistono genotipi più e meno resistenti ai farmaci e, conoscendo la genetica del tumore, si possono usare i nuovi farmaci biologici. Per questa patologia

sono stati identificati dei fattori di rischio (anomalie genetiche, radiazioni ionizzanti e agenti chimici), oltre

a fattori prognostici statici (cioè presenti sin dall'esordio), che sono l’età (se molto piccolo o ha più di 10 anni la prognosi peggiora), la conta dei globuli bianchi (prognosi peggiore se la conta è superiore a 100.000), il sesso (quello maschile va peggio del femminile), la morfologia (se B va meglio rispetto a T), le caratteristiche biologiche e molecolari (come il cromosoma Philadelphia, la presenza di BCR/ABL [che di solito si trova nella

LMC], la presenza di mutazione θ-AML si associa a prognosi migliore) e fattori prognostici dinamici (che si acquisiscono con il tempo), che sono il numero di blasti dopo 8 giorni di terapia steroidea (dovrebbero essere inferiori a 1000, se sono di più la fascia è di alto rischio), la percentuale di blasti residui dopo 15 giorni (si valuta tramite citofluorimetria, se la percentuale è superiore allo 0,1% è peggio) e la malattia residua minima dopo 33 e 78 giorni (si cercano marcatori molecolari come le catene pesanti delle Ig e il TCR, se il rapporto è inferiore a 1 su 10.000 la risposta è buona). I farmaci inibitori dell’attività delle tirosina-chinssi (Imatinib e Dasatinib) bloccano l'attività della proteina di fusone BCR/ABL e per questo motivo questi farmaci hanno rivoluzionato la terapia della LLA. Se all'esordio ci sono più di 100.000 globuli bianchi /μl c'è iperleucocitosi, che è clinicamente significativa quando la conta leucocitaria è superiore a 200.000/μl nella LMA e superiore a 300.000/μl nelle LLA e LMC, che può far aumentare la viscosità e creare trombi o aggregati di cellule leucemiche, che possono proliferare nei vasi, provocare un danno vascolare che evolve fino all’emorragia cerebrale, oppure provocare una leucostasi polmonare con degenerazione interstiziale e vascolare degli aggregati che rilasciano le componenti intracellulari e provocano un danno alveolare diffuso: tutte queste condizioni possono essere precedenti alla comparsa di fenomeni trombo-embolici, che danno luogo alla sindrome da lisi tumorale, in cui si liberano metaboliti come l’acido urico che, in presenza di pH acido, precipita sotto forma di urato di calcio che dà ostruzione con complicanze cardiache dipendenti dall’ipocalcemia: questa condizione si cura con allopurinolo, che inibisce la xantina-ossidasi, mentre il rasburicase lisa l'acido urico già formato e che deve essere eliminato. Il bambino può presentare anemia, pallore, tachicardia, astenia, piastrinopenia con emorragie e neutropenia, che sono tutti sintomi da spazzamento della linea mieloide: ci possono anche essere casi di leucopenia con linfocitosi relativa (attenzione perché quelli non sono linfociti ma blasti). I blasti leucemici possono rompersi

o rilasciare citochine e chemochine responsabili di febbre e CID. La diagnosi viene confermata da esami di

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primo livello come emocromo con formula e conta piastrinica, striscio di sangue periferico per vedere i blasti, funzionalità renale, LDH (se superiore a 800 o 1.000 è indice di malattia), funzionalità epatica: si valuta il mediastino per vedere eventuali masse, si fa un’ecografia testicolare e addominale, per valutare il SNC si fa una puntura lombare (se c’è aumento del numero dei globuli bianchi per μm3 è indice di malattia) e una RMN

dell’encefalo (anche se l’esame del liquor è negativo). Come esame di secondo livello si fa ago aspirato midollare sulle creste iliache anteriori e posteriori (solo in casi eccezionali si pratica allo sterno, al femore o alla tibia e mai dopo i 2 anni d’età) e poi esame morfologico per vedere se ci sono i blasti e, se sì, in che percentuale (se superiori al 25% è leucemia, se compresi tra il 5 e 25 % si parla di sindrome mielodisplastica), in più si valuta se i blasti sono mieloidi o linfoidi in base alle loro differenze morfologiche (i blasti mieloidi hanno basso rapporto nucleo/citoplasma, citoplasma con granuli azzurrofili, nucleo con cromatina lassa e 1-4 nucleoli evidenti, mentre i blasti linfoidi hanno elevato rapporto nucleo/citoplasma, citoplasma agranulato, nucleo con cromatina addensata e 1-3 nucleoli indistinti): si fanno indagini di immunofenotipo, citochimica e genetica molecolare, in più si effettua un pannello immunologico con CD3/5/7/8 per l’identificazione dei linfociti T, CD19 per i linfociti B, CD45 perché è l’antigene comune leucocitario e CD34 per i blasti. Questa classificazione su base immunofenotipica, che consente anche l’identificazione dei cluster di differenziazione, ha sostituito la vecchia classificazione FAB. Il protocollo terapeutico si differenzia per le diverse classi di rischio, è comune a tutte le classi solo la fase di induzione, poi vengono praticati blocchi di chemioterapia differenti. I pazienti con LLA-Philadelphia positiva fanno Imatinib tutti i giorni e i bambini più grandi di un anno fanno un protocollo più intenso perché sono considerati più a rischio. Il nuovo protocollo a 3 randomizzazioni con asparagnasi pegilata dal 2018 prevede farmaci non chemioterapici usati in prima linea

(Bortezomib, inibitore del proteasoma di primo tipo, e Blinatumomab, che è un farmaco bispecifico, lega sia le cellule T che il CD19 dei B e fa da ponte tra il linfocita T normale e il infocita B patologico che presenta CD19, il linfocita T lo riconosce come patologico e acuisce la sua attività citotossica contro di lui: per garantire la risposta del farmaco ci deve essere necessariamente il linfocita T del paziente, perché quest’anticorpo monoclonale non ha attività cititossica intrinseca ma deve usare quella delle cellule T native). Esiste anche una terapia cellulare con cellule T ingegnerizzate contro le cellule B che presentano CD19: tutte queste terapie sono votate a ridurre l'uso della chemioterapia.

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13/11/2018 prof. Miraglia del Giudice

MALATTIE INFETTIVE (prima parte)

Morbillo Malattia virale, altamente contagiosa, caratterizzata da febbre, mucosite, esantema maculo-papulare diffuso che evolve in senso cranio-caudale a partire da un enantema patognomonico. È causata da un Paramixovirus ad RNA ed è molto infettiva, il periodo di incidenza è nei mesi invernali-primaverili, il contagio è possibile dal periodo di invasione a tutto il periodo esantematico e la trasmissione avviene tramite le goccioline di Flügge emesse durante la fase prodromica attraverso starnuti e tosse. Non esiste lo stato di portatore, il contagio è

diretto ed è molto implicata la mucosa congiunturale. La sintomatologia riconosce 4 fasi: 1 incubazione, in

cui ci sono 10-12 giorni con sintomi minori aspecifici (cefalea, astenia, inappetenza, disturbi a livello

gastroenterico) ; 2 periodo di invasione con febbre molto elevata, rinite con rinorrea e starnuti frequenti,

congiuntivite con lacrimazione e fotofobia, tosse stizzosa, in questa fase il bambino sembra avere un super raffreddore, enantema orofaringeo al palato molle (macchie di Köplik, macchie che assomigliano a uno spruzzo di calce a livello dei premolari che compaiono 2- 3 giorni prima dell'esantema), questo periodo dura

di solito 3 giorni; 3 periodo esantematico, durante il quale esordiscono gli elementi maculo-papulosi in

regione retroauricolare, a collo e nuca e poi si estendono alla testa e hanno un andamento discendente,

scompaiono al 4 ° giorno nell'ordine con cui sono comparsi; 4 convalescenza, scompare l'esantema e la

febbre si estingue per lisi. Esistono forme atipiche, attenuate o gravi. Le complicanze sono l’otite media acuta (la più frequente in assoluto) nel lattante, che si caratterizza con ripresa della febbre, vomito e stato generale dovuto all’accumulo di muco con perforazione del timpano e fuoriuscita di sangue e pus: le complicanze respiratorie sono legate all’azione diretta del virus e sono laringiti stenosanti e sovrinfezioni batteriche. La panencefalite sclerosante subacuta è un’infezione lenta che si può presentare fino a 2 anni dopo la remissione dalla malattia, ha eziologia ignota e presenta un progressivo deterioramento della funzione neuro-psico-motoria e la morte sopraggiunge in 6 mesi. La diagnosi è clinica, si possono cercare le IgM in fase acuta, non esiste un trattamento specifico perché la malattia si autolimita, al massimo si possono somministrare farmaci sintomatici; esiste la profilassi con vaccinazione intorno al 13° mese in combinazione con gli altri vaccini della MPRV tetravalente e questo vaccino è preparato con virus vivo attenuato, per cui se viene somministrato prima del 13° mese viene inattivato dagli anticorpi della madre ancora presenti e non stimola le cellule della memoria immunitaria.

Rosolia Malattia virale contagiosa con esantema eritemato-maculo-papuloso diffuso, sintomatologia modesta e importante interessamento linfo-ghiandolare in sede retroauricolare. L’agente eziologico un Rubivirus ad RNA che appartiene alla fagmiglia dei Togavirus. La malattia si presenta in tardo inverno o all’inizio della primavera e colpisce i bambini tra i 5 e 14 anni, il tempo del contagio inizia prima del periodo esantematico e termina 5-7 giorni dopo, la trasmissione è per via aerea, l’incubazione dura 14-21 giorni. L’andamento della

malattia si può dividere in due fasi: 1 prodromi rappresentati da malessere, lievissima congiuntivite, febbre

modesta e interessamento linfo-ghiandolare; 2 esantema che esordisce in apiressia con papule confluenti.

La diagnosi si pone tramite la ricerca delle IgM e delle IgG e la ricerca del virus nelle secrezioni. Nel caso di infezione in gravidanza non si può evitare trasmissione al feto. La rosolia congenita in una donna sieronegativa ha un rischio di incidenza del 50-80% nel primo trimestre e decresce con la progressione della gravidanza: il danno fetale si riduce con l’avanzare della gravidanza e la sintomatologia può essere presente alla nascita (e di solito si presenta con iposviluppo, anemia emolitica e petecchie) con la caratteristica triade di Gregg (che comprende una serie di alterazioni nei distretti oculare, cardiaco e otico: cataratta, microftalmo, glaucoma, alterazioni cardiache, sordità neuro-sensoriale permanente, meningo-encefalite e

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altre alterazioni neurologiche) o può presentarsi con manifestazioni tardive (diabete mellito e patologie tiroidee). I bambini con infezione congenita devono essere considerati potenzialmente contagiosi per almeno un anno.

Esantema critico (6° malattia) Colpisce bambini molto piccoli (6- 18 mesi) e si presenta con 3 giorni di febbre elevata, poi compare un esantema maculo-papuloso al tronco e agli arti e diventa diffuso per 2 giorni, c’è scarsissimo interessamento ghiandolare. La malattia è causata da Herpes virus 6, che ha un tropismo cutaneo, si verifica nei cambi di stagione ed ha una trasmissione orofaringea, il periodo di contagiosità al massimo di 14 giorni. La diagnosi è essenzialmente clinica e dopo 3 giorni l’emocromo mostra una leucopenia con linfocitosi: la prognosi è sempre benigna e la terapia è sintomatica. Ricordare che le sintomatologie orticarioidi in età pediatrica sono dovute più spesso a virus che a farmaci.

Parotite epidemica Patologia che si presenta con una tumefazione non suppurativa delle parotidi e di altre ghiandole salivari: è causata da un Paramixovirus e il contagio avviene per via aerea tramite le goccioline di Flügge, il picco di incidenza è nel tardo inverno e in primavera, l’incubazione è compresa tra 14 e 24 giorni. La fase prodromica dura 12-24 ore con un dolore caratteristico alla masticazione e comparsa di una tumefazione mono o bilaterale, nel qual caso può essere sincrona o no (spesso all'esordio è monolaterale): si distingue da altre linfadenomegalie perché il bimbo ha la faccia che assomiglia a quella di un gatto, con le gote gonfie, e alla palpazione non si trova l’angolo della mandibola e nel cavo orale all'altezza del secondo molare si vede l'orifizio del dotto di Stenone infiammato, la tumefazione dura 5-7 giorni. Una complicanza rara è la meningo-encefalite, che compare prima della tumefazione, regredisce ma può portare a complicanze cerebrali. Altra complicanza è la pancreatite (che dipende dal generale interessamento glandolare e quindi anche pancreatico) con dolore violento a sbarra e senso di nausea e vomito. L’orchite è rara nei bambini prepubere ma in quelli che hanno già raggiunto la pubertà l’incidenza è del 14-35%, insorge 8 giorni dopo la localizzazione parotidea, è bilaterale nel 30% dei casi e in altrettanti casi può portare a sterilità (dato che questa complicanza colpisce soprattutto l'adulto): il dolore è fortissimo e caratteristico insieme alla tumefazione. Si può anche presentare una dacrio-adenite alla palpebra superiore. La diagnosi è clinica e il virus si può isolare nelle secrezioni, la terapia è sintomatica e si associa a una dieta liquida o alla somministrazione di somatostatina se c'è interessamento pancreatico. La prognosi è spesso buona e la profilassi si attua con la vaccinazione che dà immunità permanente.

Varicella

Il nome di questa malattia significa piccolo vaiolo (per la diagnosi differenziale con il vaiolo si controllava la progressione delle lesioni in ordine macula-papula-vescicola, presente sono nella varicella): è una patologia altamente contagiosa con un esantema vescicoloso a gettate successive ed evoluzione asincrona. È causata dal VZV, che è un herpes virus, è più frequente tra gennaio e maggio, ci sono 11-21 giorni di incubazione, la contagiosità va da prima dell'esantema fino alla fine della fase crostosa: in età neonatale avviene il contagio per lo scarso passaggio nella placenta degli anticorpi materni. I prodromi sono piuttosto aspecifici, l’esantema compare in 3- 4 giorni nelle regioni coperte ed è pruriginoso, l'eruzione è a cielo stellato (cioè si vedono elementi esantematici in tutti gli stadi di progressione della malattia) e centripeta, l’ordine di evoluzione delle lesioni è macula-papula-vescicola, la febbre è elevata ma meno che nel morbillo e più delle altre malattie. Le complicanze sono la superinfezione batterica delle lesioni da Stafilococchi e Streptococchi (molto frequente) che possono lasciare cicatrici ombelicate (si pensa che si potrebbero trattare le lesioni al viso disinfettandole), la polmonite, l’encefalite che può presentarsi con confusione, ritardo mentale e disturbi comportamentali. La diagnosi è clinica, la prognosi è grave negli immunodepressi, nei leucemici e nei pazienti trattati con cortisonici. La terapia è sintomatica (paracetamolo e ibuprofene, che rispetto al primo è più potente come antipiretico, è più rapido e dura di più, ma può portare a fascite necrotizzante e quindi non si deve usare) con antistaminici di prima o seconda generazione (che hanno un maggiore effetto sedativo, utile per il

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trattamento) per il prurito, mentre non è utile l’aciclovir perché la malattia si autolimita e può essere dannoso in fase precoce perché interferisce con l'immunità. La profilassi si effettua con il vaccino.

Scarlattina Malattia che esordisce acutamente ed è molto contagiosa, si presenta con febbre e angina che si accompagnano ad un esantema puntiforme. Causata da SβEGA, del quale esistono alcuni ceppi che producono una tossina pirogena, il contagio avviene tramite muco o saliva che passano da una persona infetta a una sana, una delle conseguenze di questa malattia può essere anche la malattia reumatica. L’incubazione dura 2-5 giorni e la contagiosità inizia prima della fase sintomatica e termina alla fine della malattia, che si tratta con la penicillina (attualmente è l’unico caso in cui si usa questo farmaco). I sintomi compaiono 2-5 giorni dopo il contagio, il periodo prodromico è caratterizzato da febbre elevata e brivido, cefalea, deglutizione dolorosa, enantema bianco sulla lingua che poi diventa color fragola con papille ipertrofiche, nausea e vomito; il periodo esantematico inizia entro 12-24 ore, con un colore scarlatto, esordisce all’inguine, alle ascelle e al collo e poi si generalizza ma non colpisce la regione attorno al naso, alla bocca e al mento (questa distribuzione è caratteristicamente chiamata maschera di Filatow). Le manifestazioni cutanee sono piccole quanto una capocchia di spillo, sono molto fitte ma non confluenti e si scolorano alla pressione, la pelle in quelle zone colpite è ruvida al tatto: l'esantema si attenua in 3-4 giorni e lascia una desquamazione che inizia al volto e prosegue al tronco. La diagnosi è clinica e viene avvalorata dall’esame colturale (tampone faringeo), si può fare anche un tampone rapido, il TAS aumenta lentamente e serve per poter porre diagnosi a posteriori. La prognosi è di 2-3 settimane, le complicanze sono la febbre reumatica, la glomerulonefrite post-streptococcica e il reumatismo articolare acuto. La terapia è con amoxicillina o, raramente, benzil-penicillina. La profilassi giova dell’evitamento del contatto con le persone infette e, dopo 48 ore dall’inizio della terapia antibiotica, il paziente può tornare a scuola: si deve ricordare che questa patologia non dà immunità permanente, dato che ceppi diversi possono infettare la stessa persona. Se in classe del bambino c’è un compagno con la scarlattina non si inizia direttamente l’antibiotico ma si fa prima un tampone faringeo e, se positivo, si inizia la terapia antibiotica.

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20/11/2018 prof. Rossi

TUMORI SOLIDI EXTRA-CRANICI/EXTRA SNC Dopo le leucemie (33%), i linfomi (16%) e i tumori del SNC (13%), i tumori solidi più frequenti in età pediatrica sono il neuroblastoma (8%), i sarcomi dei tessuti molli ed extra-ossei (7%) e i tumori renali, in particolare il tumore di Wilms (5%).

Neuroblastoma Tumore solido extra-cranico più frequente in età pediatrica, origina dalle cellule della cresta neurale, quindi la patologia può esordire a livello della midollare del surrene o dai gangli del sistema nervoso simpatico (molto diffusi, soprattutto i gangli spinali sensitivi del simpatico [gangli delle radici dorsali], i gangli somatici sensitivi del simpatico, i gangli motori post-ganglionari autonomi del simpatico e del parasimpatico, i gangli del VI, VII, IX e X paio di nervi cranici, le cellule di Schwann, la pia madre e l’aracnoide, le cellule del mesenchima degli organi branchiali faringei, i tessuti connettivi del cranio e della faccia, gli odontoblasti, i gangli pre-aortici [celiaci e mesenterici] e le cellule cromaffini endocrine). Dalla sede dipende poi la sintomatologia. Può anche andare incontro a regressione o differenziarsi in ganglioneuroma benigno,

esistono però anche forme molto aggressive. Dal punto di vista dell’EPIDEMIOLOGIA questo tumore rappresenta il 6-10% di tutti i tumori dell’età infantile, ha un’incidenza di 7-13 nuovi casi per milione ogni anno. Nell’80% dei casi insorge entro i 4 anni con un picco tra 0 e 2 anni, il rapporto tra maschi e femmine è di 1,3 a 1. In molti casi, soprattutto in presenza di un’età inferiore all’anno di vita, la diagnosi è incidentale: nel secondo mese di vita si fa l’ecografia alle anche per la diagnosi di displasia congenita dell’anca e, in genere, viene ampliato il campo d’interesse anche all’addome, in modo da fare screening di questo tumore; in altri

casi lo si è scoperto come reperto autoptico. L’EZIOLOGIA evidenzia una malattia generalmente sporadica, ma la si può anche ritrovare in bambini con familiarità tumorale, nel qual caso l’insorgenza è ancora più

precoce. La LOCALIZZAZIONE può essere a livello dei gangli simpatici paraspinali del collo (4%), della pelvi (6%) o della midollare del surrene (60% dei casi), dei gangli spinali retroperitoneali (20%) o mediastinici (10%). Quelli diagnosticati in epoca prenatale in genere hanno un’istologia più favorevole. La sede primaria comunque varia in base all’età, nell’1% dei casi non è possibile trovare il tumore primitivo. Nel primo anno di vita è più frequente la sede toracica e cervicale, successivamente è più frequente quella surrenalica. La

SINTOMATOLOGIA dipende dalla localizzazione, dalla presenza di metastasi o di sintomi metabolici dipendenti dalla secrezione dei neuroblasti. Spesso la sintomatologia è vaga e atipica, presentandosi con febbre, astenia, malessere, sudorazione, ma ci possono essere anche sintomi più specifici, come i noduli o le infiltrazioni sottocutanee, il rash e le ecchimosi periorbitarie (che disegnano una faccia da procione, vedi figura). Può essere presente una sindrome para-neoplastica, che si presenta con opso-mioclonie (sindrome degli occhi e dei piedi danzanti, movimenti dei muscoli degli arti, degli occhi e del tronco) e diarrea intrattabile causata dal rilascio di VIP con ipokaliemia. Spesso è poco diagnosticata l’ipertensione arteriosa, malgrado le linee guida suggeriscano di controllarla almeno una volta l’anno, con un valore pressorio superiore al 90° percentile, spesso dovuta ad ipersecrezione di catecolamine e spesso arginabile con la terapia.

I sintomi addominali sono dovuti ad una massa addominale palpabile e dolorosa, che va in diagnosi differenziale con il nefroblastoma, che presenta una superficie bozzuta, supera la linea mediana, ha una consistenza duro-lignea e si approfonda nei piani sottostanti. Può dare compressione vascolare: edema scrotale e turgore venoso agli arti, compressione dell’arteria renale con ulteriore ipertensione mediata dal rilascio di renina, compressione vescicale (neuroblastoma pelvico dell’organo di Zuckerland) e intestinale.

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I sintomi a livello del torace mediastinico, in genere localizzati posteriormente, vanno in diagnosi differenziale con il linfoma (che si localizza al mediastino anteriore) e la leucemia a cellule T, e caratteristicamente si presentano con tosse e dispnea, che può evolvere fino all’insufficienza respiratoria.

I sintomi a livello del torace spinale, con forma a clessidra, che comprime il midollo spinale e, in relazione al livello di insorgenza, possono essere disturbi della deambulazione, pseudocclusione intestinale, disturbi sfinteriali, ecc.

I sintomi cervicali possono presentarsi come una linfoadenopatia cervicale (sindrome di Claude-Bernard-Horner, caratterizzata da ptosi palpebrale unilaterale, enoftalmo, miosi e talvolta anidrosi dell’emivolto colpito).

Le metastasi ematiche e linfatiche possono localizzarsi al fegato, al tessuto sottocutaneo (noduli), alle ossa, ai linfonodi, al polmone, al cervello e ai tessuti peri o retro-orbitari.

La DIAGNOSI si avvale sia di tecniche di imaging che di laboratorio, essendo una delle poche patologie per la cui diagnosi è presente un marker specifico da dosare:

1. RX torace in proiezione postero-anteriore e soprattutto latero-laterale. 2. Ecografia, esame di screening di primo livello per il riconoscimento di masse solide o cistiche: il

tumore appare come una massa eterogenea con necrosi e calcificazioni. 3. TC o RM, secondo la scelta del radiologo. 4. Il laboratorio indaga la funzione renale (sodio, potassio, calcio, creatinina), la funzione epatica

(bilirubina, transaminasi, proteine totali), i markers (LDH, alterato anche nella LLA, ferritina, alterata anche nel LH, NSE, enolasi specifica dei neuroni, enzima glicolitico prodotto dal SNC, SNP e dal tessuto neuroendocrino, ha alta sensibilità e specificità, quindi è utile per la diagnosi differenziale con il nefroblastoma: questo enzima aumenta anche nel feocromocitoma, nel carcinoma midollare della tiroide, negli APUDomi, nei carcinomi bronchiali, nel 20% dei carcinomi mammari, nel 20% dei carcinomi del tratto gastroenterico, nel 20% dei carcinomi pancreatici e nei linfomi maligni). Tutti questi markers devono essere dosati al tempo 0 perché sono utili nel follow-up, perché le loro alterazioni sono molto precoci in caso di recidiva. Altri markers specifici vengono dosati nelle urine e sono l’acido vanil-mandelico, l’acido omo-valinico, la metanefrina e la normetanefrina, che aumentano nel feocromocitoma, nel neuroblastoma, nel ganglioneuroma e nel paraganglioneuroma: prima di fare questi test sulle urine delle 24 ore, il bambino deve seguire una dieta per tre giorni che eviti sostanze che possano alterare il risultato, come i pomodori e le basi vanilliniche.

5. Scintigrafia con MIBG (I131 meta-iodo-benzil-guanidina), che è negativa il 10% delle volte, nel cui caso si usa il Tc99, soprattutto se si pensa ad un interessamento osseo.

6. Marcatori biologici nel sangue midollare e nel tumore primitivo: prima si fa un ago aspirato di 0,5 ml di midollo e poi di 5 ml sulle creste iliache posteriori dei due lati, infine si fa una biopsia ossea. All’istologia è possibile vedere le caratteristiche “rosette”. Su questo materiale ematico si valuta la delezione del cromosoma 1p, associata a prognosi sfavorevole, e dall’immuno-istochimica si valuta la positività agli anticorpi monoclonali anti-GD2, per cui esiste una utilissima terapia sperimentale, la CART. Altri markers sono l’amplificazione dell’oncogene n-MYC che, se presente, anche da sola, fa fare diagnosi di tumore ad alto rischio, e il DNA index che, quando è presente ipoploidia, si associa generalmente ad una scarsa risposta alla terapia.

7. L’esplorazione chirurgica con asportazione completa o biopsia incisionale è utile quando non è possibile localizzare la neoplasia primitiva, per cui si va a bioptizzare il linfonodo che sembra più informativo e si fa l’istologia.

La STADIAZIONE si basa sull’estensione locale e sull’operabilità chirurgica e si divide in: 1 tumore localizzato asportato in modo microscopicamente radicale, con linfonodi omolaterali rappresentativi negativi per

infiltrazione tumorale; 2A tumore localizzato asportato in modo incompleto (che vada oltre le strutture di

origine) con linfonodi omolaterali negativi; 2B tumore localizzato asportato in modo completo o incompleto

con linfonodi omolaterali positivi per infiltrazione tumorale; 3 tumore unilaterale inoperabile infiltrante la

linea mediana, con o senza interessamento dei linfonodi regionali; 4 qualunque tumore primitivo con

disseminazione a linfonodi distanti, ossa, midollo osseo, fegato, cute e/o altre regioni; 4S tumore localizzato

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primitivo (come negli stadi 1 e 2, con cui condivide la terapia) con disseminazione limitata a cute, fegato e/o

midollo osseo nei bimbi di età inferiore a un anno. Dal punto di vista dell’ANATOMIA PATOLOGICA

riconosciamo che il tumore neuroblastico NAS è quello più anaplastico, inoltre è stata preparata una correlazione prognostica secondo Shimada, il cui tipo A ha una sopravvivenza dell’80%, il tipo B del 7%. La

TERAPIA varia sulla base dell’età, dello stadio, dello stato di c-MYC e dell’istologia post Shimada:

chirurgia, fondamentale alla diagnosi e post chemioterapia;

chemioterapia, adiuvante e neoadiuvante;

radioterapia, utile solo nello stadio 3 e 4, di ausilio alla chemio;

trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche, utile solo quando non c’è disseminazione a livello del midollo osseo, si fa quando il bambino è sottoposto a due cicli di MEGA, una terapia che serve a ridurre il rischio di aplasia e di mortalità infettiva;

scintigrafia con MIBG, opzione nei pazienti ad alto rischio. La terapia chirurgica può essere completa, con malattia residua minima (volume residuo della massa inferiore al 5% del volume originario), con malattia residua (volume residuo superiore al 5%) o con linfonodi: è anche una procedura a rischio, perché il tumore può interessare molti vasi: le complicanze della terapia chirurgica sono l’emorragia grave, con perdita di più del 30% del volume ematico, il danno vascolare con necrosi tissutale, il danno al midollo spinale o la lesione dei nervi periferici con perdita funzionale. Un tumore ad alto rischio considerato inoperabile alla diagnosi ha un management che segue un protocollo europeo in cinque fasi:

1. induzione, con otto cicli di chemioterapia con 5 farmaci (vincristina, etoposide, carboplatino, cisplatino e ciclofosfamide);

2. valutazione dell’exeresi chirurgica; 3. MEGA-terapia se non operabile (dopo 3 mesi dall’inizio della cura), è una terapia ad alte dosi: si

somministrano chemioterapici a dosi elevate, con il rischio di un effetto tossico sulle normali cellule emopoietiche del midollo osseo, si compone di leucoaferesi (si utilizza una macchina che filtra le cellule staminali dal sangue, richiede 5 ore di tempo, quelle raccolte vengono congelate, conservate e restituite al bambino dopo la MEGA-terapia attraverso il catetere venoso centrale), espianto di midollo osseo (se non è possibile la raccolta di cellule staminali dal midollo osseo) e autotrapianto (il bambino viene ricoverato per 10-15 giorni, fino a quando le cellule staminali emopoietiche trapiantate cominceranno a produrre un numero sufficiente di cellule circolanti. Il bambino in questa fase può avere bisogno di trasfusioni e supporto nutrizionale);

4. radioterapia dopo 2 mesi, effettuata sulla sede del tumore primitivo allo scopo di ridurre il rischio di recidiva locale o eliminare la malattia minima residua;

5. fase sperimentale, dopo 3 mesi dalla MEGA-terapia, con anticorpi monoclonali anti-GD2 (vengono iniettati endovena per 5 giorni ogni 4 settimane per 5 cicli: provocano dolori tanto diffusi da necessitare dell’utilizzo di morfina) oppure con un derivato della vitamina A, l’acido 13-cis-retinoico, capace di differenziare le cellule residue di neuroblastoma in cellule prive di malignità, ma che ha come effetto collaterale la fotosensibilità, che può arrivare anche a un livello di gravità tale da provocare ustioni.

CRITERI PER CONSIDERARE LA PROGNOSI buona sono l’età inferiore a un anno, lo stadio 1 o 2, l’istologia A, la ferritina normale e il numero di copie di n-MYC non aumentato, mentre sono criteri che orientano verso una prognosi infausta l’età superiore a due anni, lo stadio 3 o 4, l’istologia B, la ferritina alta e un elevato numero di copie di n-MYC.

Nefroblastoma o tumore di Wilms È il tumore più tipico del bambino, descritto per la prima volta nel 1899, è un tumore embrionale la cui

EZIOLOGIA origina dalle strutture blastematose del metanefro che normalmente si differenziano in nefroni. Può esserci delezione del cromosoma 11 (nel 20% dei casi è un’alterazione del gene WT1 a livello di 11p13, che normalmente codifica per un fattore di trascrizione a dita di zinco fondamentale per lo sviluppo del rene) o mutazione di p53, a volte si riconosce una sporadicità e, nell’1-2% dei casi, si riscontra in bambini con familiarità positiva e il carattere viene passato con ereditarietà autosomica dominante: in questi casi

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l’insorgenza è precoce e più spesso bilaterale. La PATOGENESI può essere considerata favorevole se è comune, se i blasti, l’epitelio e lo stroma sono privi di ectopie ed anaplasie, mentre si considera sfavorevole se ci sono nuclei ingranditi, ipercromici, con figure mitotiche multipolari: aree di anaplasia focali e diffuse indicano un’alta probabilità di decesso o recidive, sono più diffuse se l’età è più avanzata e l’etnia è caucasica.

L’EPIDEMIOLOGIA descrive 70-80 casi ogni anno in Italia, nel 2018 c’è stata una riduzione del 50% dell’incidenza: la sopravvivenza è elevata, soprattutto nei primi stadi. La diffusione è nella fascia tra i 2 e i 5 anni, rappresenta circa il 7% delle neoplasie pediatriche ed è il secondo tumore addominale in ordine di frequenza, il rapporto tra maschi e femmine è di 1 a 0,9, è bilaterale nel 5-7% dei casi e può essere associato a malformazioni come ipospadia, criptorchidismo, duplicazione dei collettori, ipoplasia/fusione/ectopia renale, oppure si può associare in altre sindromi come la sindrome di Beckwith-Wiedemann (macroglossia, emipertrofia, visceromegalia) o altre (caratterizzate da emipertrofia, anomalie genito-urinarie,

neurofibromatosi). La CLINICA riconosce una massa addominale asintomatica (tanto che spesso la diagnosi la si deve ai genitori che se ne accorgono mentre lavano il bambino) e liscia (perché capsulata): si possono presentare ipertensione arteriosa per compressione dell’arteria renale ed ematuria nel 15% dei casi. Il parenchima renale può raramente sanguinare, dando il rischio di anemizzazione, per la quale serve un intervento chirurgico immediato anche negli stadi avanzati. Se cresce nelle vene renali e/o nella vena cava la prognosi è infausta. È bene ricordare che qualsiasi massa addominale va considerata maligna ab initio fino a che le immagini radiologiche e gli esami di laboratorio non definiscano la sua vera natura. Questo tumore è molto fragile, per cui anche una frequente palpazione può dare rottura della capsula con successiva disseminazione. La sede di metastasi più frequente è il polmone (80% dei casi), segue il fegato (in cui si può arrivare alla trombosi della cava), nel tumore rabdoide e nel sarcoma a cellule chiare possono essere colpiti

anche ossa e cervello. Per la DIAGNOSI si fanno gli stessi esami del neuroblastoma, in più si aggiunge un quadro di coagulazione e, se rimangono dei dubbi, si procede con una biopsia renale o un’exeresi per lo

studio istologico: a causa della fragilità del tumore, però, la biopsia si evita. La STADIAZIONE viene proposta dal chirurgo e poi confermata dal patologo:

I. tumore confinato al rene e asportato completamente; II. tumore che si estende alla capsula oltre il rene, ma completamente asportato;

III. tumore che si estende oltre il rene, non completamente asportato e/o con interessamento neoplastico peritoneale diffuso (limitato all’addome, senza disseminazione ematogena) per rottura del tumore o per infiltrazione del peritoneo e/o con interessamento dei linfonodi drenanti ilari e paraortici;

IV. presenza di metastasi ematogene, spesso polmonari, raramente epatiche e scheletriche; V. tumore bilaterale.

La PROGNOSI è peggiore se lo stadio è 3 o 4, se il tumore ha un peso maggiore di 0,5 kg, se sono presenti recidive e l’istologia è sfavorevole; il follow-up si fa con ecografia addominale, RX del torace, controllo della pressione arteriosa, prelievo ematico per la valutazione della funzionalità renale e controllo della proteinuria.

Secondo i nordamericani la TERAPIA di tutti i tumori deve essere l’operazione immediata, che consente una corretta stadiazione e tipizzazione della neoplasia, e viene assolutamente indicata in caso di ematuria persistente con anemizzazione ed è la sola situazione clinica che impone intervento chirurgico d’urgenza indipendentemente dalle dimensioni del tumore, dal coinvolgimento della cava e dallo stadio clinico (si interviene anche nel IV stadio). Per la SIOP va considerata sempre prima la chemioterapia, dato che c’è un rischio bassissimo di progressione durante la chemioterapia, un’ottima riduzione della massa tumorale che semplifica la rimozione chirurgica e la conseguente riduzione della mortalità e morbilità post-operatorie: inoltre, la chemioterapia risulta essenziale se il tumore è in stadio III o IV, è bilaterale e/o ha invaso la cava. La chemioterapia si basa su due farmaci, vincristina e actinomicina D (che può dare epatotossicità), nei primi due stadi: negli altri due stadi si possono aggiungere doxorubicina e radio; se l’istologia è sfavorevole si aggiunge ciclofosfamide. Ci sono importanti effetti collaterali a distanza (mentre quelli acuti sono facilmente gestibili): cardiotossicità da antracicline, patologia venocclusiva epatica con insufficienza epatica, compromissione della capacità riproduttiva (se si tratta di maschietti prepubere non c’è nulla che si possa fare, se si tratta di femminucce si fa criopreservazione del tessuto ovarico: nel 2018 è nato il primo bambino da tessuto criopreservato).

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22-23/11/2018 prof. Papparella

DOLORE ADDOMINALE ACUTO E SANGUINAMENTO DEL TUBO DIGERENTE Una delle più comuni consulenze di chirurgia pediatrica è dovuta al dolore addominale. Le diagnosi chirurgiche rappresentano meno del 10% delle cause di dolore addominale acuto nel bambino, ma se queste non vengono diagnosticate hanno una prognosi sfavorevole. Il dolore addominale acuto è uno dei sintomi più comuni dell’infanzia. È l’esito di una condizione patologica con interessamento della cavità peritoneale. Il peritoneo ha una grossa capacità di assorbimento ma anche di flogosi. L’anamnesi è fondamentale, insieme all’esame clinico. Gli esami di laboratorio e radiologici sono di supporto, ma di solito non cambiano la diagnosi

clinica. I SEGNI DI ALLARME sono: • scadimento delle condizioni generali; • dolore continuo e ingravescente; • localizzazione fissa in fossa iliaca destra; • sanguinamento; • recente trauma addominale (caduta dalla bicicletta); • alvo chiuso a feci e gas; • vomito biliare; • contrazione della diuresi (fase di shock).

In chirurgia pediatrica, come in pediatria, si parla di età evolutiva, ad esempio la malattia di Hirschsprung è caratteristica del neonato e del lattante. L’esordio del dolore può essere acuto (come in presenza di evento ischemico, volvolo, invaginazione, torsione ovarica/testicolare), progressivo o crescente (come in presenza di appendicite o stipsi), intermittente (come in presenza di invaginazione, spesso provocata da gastroenteriti che, generando un iperperistaltismo, esitano poi in invaginazioni con dolore intermittente e non

necessariamente acuto). Per quanto riguarda la LOCALIZZAZIONE, possiamo avere un dolore: - epigastrico (gastroenterite, appendicite in fase precoce, ulcera peptica, pancreatite); - periombelicale (appendicite precoce, gastroenterite, colite); - addominale basso (stipsi, IVU, appendicite pelvica); - fossa iliaca destra (appendicite, enterite infettiva, dolore testicolare, rottura follicolare o torsione

ovarica); - fossa iliaca sinistra (stipsi, patologia ovarica o testicolare); - fianco (colica renale, appendicite retrocecale).

Nella gastroenterite il dolore è diffuso o vago. Se il dolore è il primo sintomo, è verosimile che si tratti di un addome chirurgico. La diagnosi differenziale con altre condizioni è molto importante: ad esempio, può essere presente il dolore addominale nelle mucositi virali, dovuto ad una linfoadenite mesenterica generalizzata, e facilmente lo si può confondere con addome acuto. Per questo, in caso di dolore addominale, distinguiamo cause simulanti un addome acuto e l’addome acuto vero e proprio (che ha indicazione chirurgica). Se la paziente è un’adolescente, si può considerare lo scoppio di un follicolo o la torsione ovarica. Il vomito può seguire il dolore addominale acuto e può essere segno di appendicite: il vomito biliare origina quasi sempre da un fenomeno ostruttivo e il colore del vomito è indicativo della sede di ostruzione meccanica. Tuttavia, il dolore profondo a volte provoca vomito riflesso che in realtà non è legato ad ostruzione. L’ematemesi è l’emissione di sangue vivo rosso intenso nel vomito, espressione di emorragia digestiva a livelli alti, ossia al di sopra del legamento di Treitz. Un’altra valutazione importante è quella dell’alvo: in età pediatrica le gastroenteriti virali epidemiche sono molto frequenti e provocano diarrea profusa e liquida. Troviamo anche molti bambini con stipsi ostinata, in cui è presente dolore localizzato in fossa iliaca sinistra, per cui si procede ad una ispezione anale. La diarrea paradossa è una sorta di tenesmo che si accompagna all’emissione di piccole quantità di feci liquide dovuta ad un’infiammazione pelvica e rettale. In caso di invaginazione, inizialmente le feci si presentano normali, mentre dopo circa 12 ore avremo l’emissione di faci miste a muco e sangue (dette a gelatina di ribes): questa emissione è tipica anche di gastroenteriti da Shigella e Salmonella.

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La melena indica un’emorragia digestiva alta e consiste nell’emissione di sangue digerito e deteriorato nelle feci. Nel diverticolo di Meckel abbiamo eterotopia di mucosa gastrica e c’è ipersecrezione gastrica che può provocare emorragie importanti con riduzione dell’emoglobina e melena nel 7% dei casi. Anche le malattie infiammatorie intestinali possono dare sanguinamenti, specialmente la rettocolite ulcerosa. Nella prima infanzia sono frequenti le ragadi anali nei bambini stitici, localizzate soprattutto ad ore 6 del margine anale, esse provocano dolore alla defecazione e arresto del transito, con conseguente disidratazione delle feci che innesca un circolo vizioso che peggiora la ragade primitiva: altre cause di ematochezia sono le poliposi giovanili. Nella valutazione delle condizioni del paziente bisogna ricordare che se sono buone sono ascrivibili a ragadi e polipi (per il sangue non digerito intorno alle feci) o a diverticolo di Meckel (con feci di colore rosso mattone), mentre se esse sono cattive la causa può essere una gastroenterite, un’invaginazione o una malattia cronica intestinale (caratterizzata da diarrea con muco e sangue), altre cause sono un’ulcera peptica, delle varici esofagee, un volvolo o degli angiomi intestinali (spesso caratterizzati da ematemesi e melena). L’emangioma spesso decorre asintomatico a causa delle ridotte dimensioni, mentre le ernie inguinali danno una maggiore dolorabilità nel lattante o nel prematuro e il paziente va attentamente valutato. È importante considerare la direzione del canale inguinale, che cambia con l’accrescimento: in età pediatrica di solito le ernie sono congenite per pervietà del dotto peritoneo-vaginale e fanno diventare lo scroto rosso e gonfio. All’esame obiettivo si valuta all’auscultazione la peristalsi addominale: i movimenti possono essere ridotti (silenzio addominale, come in caso di peritonite) o aumentati (gastroenterite). La peristalsi turbolenta è una condizione in cui si alternano silenzi e rumori e può indicare un’ostruzione, tipica ad esempio di una invaginazione. La difesa muscolare è un primo segno di appendicite perché c’è una partecipazione flogistica del peritoneo che dà infiammazione: essa si valuta sia all’ispezione che alla palpazione, tramite la quale si ricerca anche il segno di Dance, dovuto ad invaginazione in fossa iliaca sinistra. È anche utile valutare la temperatura corporea, il cui innalzamento è segno di un processo flogistico. L’esplorazione rettale nel bambino deve avere una forte motivazione diagnostica, ad esempio in caso di diagnosi non chiara o di sanguinamento accompagnato da condizioni generali scadute. I parametri vitali sono sempre importanti. La valutazione ematologica completa non è un test specifico, perché non localizza la malattia, ma aiuta nel management del paziente. L’esame delle urine è molto importante perché può darci informazioni sulle malattie degli organi emuntori: spesso in caso di malformazioni urinarie l’unico segno è l’arresto della crescita. L’RX addominale si effettua in ortostatismo per verificare ostruzione o perforazione (segno dell’aria libera in peritoneo). L’ecografia in mani esperte può permettere la diagnosi di appendicite, misurando il lume appendicolare e lo spessore della parete intestinale: il bambino va ruotato per verificare l’asse dei vasi mesenterici; si può anche osservare linfoadenite o liquido nel cavo di Douglas. Il clisma è utile nell’invaginazione, perché può ridurla e, allo stesso tempo, permette una diagnosi di certezza e solo il 10-15% dei pazienti viene poi indirizzato verso un intervento chirurgico. La TC può essere utile per la diagnosi differenziale con malattie oncologiche, come un linfoma a sede addominale: in generale nei bambini si ricorre poco a questa tecnica per non esporre i piccoli pazienti a radiazioni. L’ecografia necessita di uno specialista che conosca le patologie pediatriche, ma questa metodica incontra dei limiti nell’esecuzione in bambini obesi. Nel caso delle emorragie del tratto superiore, è necessaria un’endoscopia, le cui indicazioni sono:

- disfagia da esofagite da reflusso; - MRGE; - metaplasia esofagea; - dispepsia; - sanguinamento; - infezioni esofagee;

Reflusso gastro-esofageo Il reflusso funzionale è molto frequente soprattutto nei primi mesi di vita (si parla di happy spitter o “vomitatore felice”, ossia di un bambino che vomita ma che cresce bene, è di buon appetito ed è attivo), mentre si parla di malattia da reflusso gastroesofageo quando è presente una specifica sintomatologia: tuttavia il reflusso gastroesofageo, oltre ad avere una sintomatologia tipica (rigurgito, dolore, pirosi, rifiuto del cibo), può avere una sintomatologia atipica di carattere essenzialmente respiratorio (tosse cronica,

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polmoniti, apnea, bronchiolite, laringite), e ovviamente possono essere presenti sintomi sistemici. La pH-impedenziometria registra i reflussi acidi e non acidi (nei bambini più grandi con tosse cronica il reflusso non è acido ed è più difficile il trattamento), la durata e l’altezza raggiunta dal reflusso: è molto importante valutare i reflussi di lunga durata, ossia al di sopra dei 4 min. La misurazione avviene a livello gastrico e a circa 5 cm più in alto del cardias: l’endoscopia può essere effettuata a qualsiasi età, determina una valutazione anatomica e morfologica, ma rimane una metodica invasiva e deve essere effettuata solo in centri specialistici. Lo 0,3-2% dei bambini con MRGE non correttamente trattati può andare incontro a stenosi esofagee o metaplasia (che di solito si instaura nei pazienti più grandi). L’esofagite eosinofila è una patologia di origine allergica che attualmente sta aumentando, ovviamente non è responsiva agli IPP ed è riconoscibile solo alla diagnosi istologica. Nelle emorragie al di sotto del legamento del Treitz si usa la capsula endoscopica, che trova indicazione anche nel bambino. Circa l’1% dei bambini in età prescolare e scolare è affetto da poliposi intestinale. La sintomatologia è caratterizzata da rettorragia non associata a dolore. I polipi isolati rappresentano il 90% totale dei casi. Hanno natura amartromatosa o malformativa e non hanno rischio di malignità. La polipectomia è analoga a quella degli adulti, ma c’è una maggiore attenzione e il bambino va completamente sedato. Le colecistopatie sono più comuni nell’adulto, ma sono in aumento nel bambino: i segni sono di irritazione della mucosa, con sintomi di colica biliare, e il trattamento consiste nella colicistectomia laparoscopica. Il diverticolo di Meckel è la più comune anomalia congenita del tratto gastrointestinale: rappresenta un residuo del dotto onfalo-mesenterico. Vale la regola del 2 (ad esempio, è frequente prima dei 2 anni, ecc). Porta a sanguinamento e ci possono essere invaginazione o ostruzione, oltre a essere segni che mimano altre condizioni. Questo diverticolo può andare incontro a trasformazione neoplastica e c’è una diatriba tra i chirurghi sulla rimozione o la non rimozione: la cosa migliore da fare sarebbe valutare caso per caso (ad esempio se il diverticolo è gigante, va resecato). La diagnosi si può fare tramite scintigrafia con tecnezio, ecografia, laparoscopia diagnostica (che in alcuni casi è considerata il primo step). La scintigrafia dà falsi positivi e falsi negativi e i falsi negativi possono essere dovuti ad ulcere. Durante la laparoscopia il diverticolo va esposto e va palpato per valutarne lo spessore. L’invaginazione intestinale è una delle cause più comuni di addome acuto nei pazienti tra i 4 e i 18 mesi (più frequente ad un anno): l’eziopatogenesi è l’iperperistaltismo, dovuto alla disparità di calibro tra ileo e regione ileo-cecale. Si presenta con dolore improvviso di tipo colico, feci miste a sangue e muco, vomito e letargia. Alla palpazione addominale si potrebbe palpare un addome a salsicciotto, ma di solito l’addome è talmente resistente da essere impossibile palparlo. All’ecografia c’è il segno della ciambella, mentre il flusso ematico al color Doppler è un segno caratteristico. La terapia è medica e consiste nella reidratazione, ma si può ricorrere al clisma opaco e all’intervento chirurgico nei casi più gravi: la tecnica è mini-invasiva, mentre la riduzione deve essere laparoscopica o chirurgica in caso di sintomatologia più grave. Nella riduzione manuale si parte con una riduzione compressiva, mentre nella chirurgica si parte dall’ansa afferente. L’appendicite colpisce il 6-11% della popolazione: se si verifica in bambini al di sotto dei 5 anni l’evoluzione è molto veloce verso la perforazione. Il lume può ostruirsi, il che porta a infiammazione, proliferazione dei germi e formazione di pus. La progressione provoca la formazione di ascessi responsabili della sofferenza appendicolare. Questo suggerisce che la diagnosi debba essere precoce prima che si manifestino i segni di sofferenza. La flogosi si estende a tutta la parete, con successiva fuoriuscita di materiale purulento nel cavo peritoneale. I sintomi sono dolore ombelicale, nausea, vomito e la diagnosi è essenzialmente clinica. Il bambino è anoressico, non ha voglia di giocare, ha un dolore irradiato alla coscia (prodromico nel 99% dei pz). Gli esami di laboratorio sono utili per evidenziare l’infiammazione ed è molto importante la conta dei globuli bianchi: più è alta la PCR più è probabile che si possano avere complicanze. Le indagini strumentali sono utili per escludere complicanze, ma bisogna ricordare che, quando queste indagini non sono definitive, si usano tecniche di imaging, ossia la TC. Ovviamente è importante la diagnosi differenziale, dato che l’obiettivo è aumentare la sensibilità diagnostica. Nel caso di incertezza diagnostica, è indicato un periodo di osservazione con ricovero, durante il quale viene reidratato il paziente e vengono integrati ulteriori esami diagnostici. La rimozione di un’appendice non è comunque scevra da complicanze. Un’ecografia negativa non esclude un’appendicite, finché non viene ritrovata ed identificata un’appendice normale.

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Stipsi Ha una grossa rilevanza, perché costituisce il 3% degli accessi totali all’ambulatorio del pediatra di base e il 25% dei consulti dal gastroenterologo pediatrico: è un problema da valutare attentamente con i genitori. Si tratta di disturbi prevalentemente funzionali, che necessitano di un follow-up a lungo termine. Il bambino trattiene le feci, che si accumulano nel retto, ciò provoca una disidratazione della loro massa e le evacuazioni si riducono e diventano sempre più dolorose e difficoltose. La stipsi idiopatica costituisce il 90% delle forme, può essere dovuta a fattori ereditari, disturbi comportamentali, eventi transitori od occasionali, ma molto spesso la stipsi è segno di un disagio del paziente (lutto, separazione, nascita di un fratellino, ecc), per questo

è importante l’interazione con la famiglia e la costituzione di un team. Un paziente è DEFINITO stitico quando ha una frequenza evacuativa minore di 3 volte a settimana o quando ci sono 2 o più episodi di encopresi (passaggio periodico di feci voluminose). La frequenza evacuativa va valutata in rapporto ai valori normali di un soggetto della stessa età e si usano i percentili: essa con l’età del paziente aumenta o diminuisce con la cosiddetta “coscienza rettale”. Lo sfintere interno ha un meccanismo autonomo che si rilascia quando aumenta la pressione dovuta alla presenza delle feci (riflesso retto-anale), il che consente al soggetto di rendersi conto della ripienezza rettale, ma questo presuppone un’integrità del sistema nervoso periferico e autonomo, in fatti nella malattia di Hirschprung questi plessi nervosi non sono funzionali. L’epitelio transizionale è sede di recettori sensibili alle feci e normalmente tra ano e retto è presente un angolo, appiattito dall’elevatore dell’ano. A livello del sistema gastroenterico si parla di un “gut mini-brain”, ossia di un mini cervello intestinale, un sistema nervoso intramurale indipendente che può funzionare anche in assenza di impulsi encefalici o spinali. È il sistema NANC con attivazione dei neuroni distali con attività inibitoria o eccitatoria. Il meccanismo della peristalsi nella malattia di Hirschprung è alterato, infatti questa malattia è una condizione di disganglionosi, caratteristica non solo della malattia di Hirschprung, ma anche delle altre patologie causate da un difetto dell’innervazione dell’intestino (displasia neuronale intestinale [IND] di tipo A e di tipo B, ipoganglia e acalasia dello sfintere interno), per questo è importante la diagnosi di certezza. Nella malattia di Hirshprung c’è un’ipomobilità di tutto l’intestino per assenza di cellule gangliari, incremento delle fibre colinergiche e alterazione del sistema NANC: per questo, ancora oggi, la biopsia rappresenta un’indagine fondamentale nella diagnosi. La stipsi è presente anche nella stenosi anale, che è una forma difficile da diagnosticare, e nell’ano anteriorizzato, un ano ectopico, e nell’intolleranza al latte

vaccino. Le CAUSE non organiche che costituiscono il 90% dei casi e sono rappresentate da dieta, transito lento, colonpatia funzionale, mentre le cause extraintestinali sono l’ipotiroidismo, i farmaci (valproato), le malattie neurologiche, le collagenopatie e le cause psicologiche. Le manifestazioni sono la ridotta frequenza evacuativa, il dolore evacuativo, l’encopresi, le feci caprine o dure o voluminose e il dolore addominale, a cui si possono aggiungere dei sintomi di accompagnamento, che sono anoressia, enuresi, incontinenza urinaria, infezioni delle vie urinarie, distensione addominale, astenia, alitosi, nausea e cefalea. Le complicanze sono problemi psicologici, ragadi, emorroidi, soiling fetale, megaretto e megacolon, rettorragia. In realtà, in età pediatrica le emorroidi non esistono, almeno non quelle primitive, perché esse sono sempre secondarie ad un’altra condizione e possono essere addirittura segno di ipertensione portale. È importante l’anamnesi: familiarità, epoca di comparsa, fenomeni neonatali, assunzione di farmaci, aspetto delle feci, dieta, pregressa chirurgia, segni clinici associati. All’esame obiettivo va osservata attentamente la curva di crescita, si valutano i segni di patologie sistemiche, esame anale, esame addominale, esplorazione rettale (solo in casi in cui ci sono dubbi nella diagnosi). Bisogna distinguere una stipsi organica da quella funzionale: c’è un’alta percentuale di familiarità, non c’è differenza di incidenza nei due sessi, il soiling è un fattore negativo, così come l’esordio precoce e il dolore addominale. Le terapie vanno modulate sul paziente e gli accertamenti invasivi vanno fatti con le giuste indicazioni. La stipsi organica si presenta precocemente ed è molto ostinata, mentre può esistere una stipsi neurogena, caratterizzata da un’ampolla rettale vuota. Questi pazienti non rispondono alla terapia e devono essere valutati più attentamente. Gli esami strumentali sono:

- manometria ano-rettale: se il riflesso anale inibitore è presente, non c’è una aganglia. è valida soprattutto dopo i 12 mesi di vita;

- biopsia rettale per suzione o chirurgica: gold standard; - clisma opaco: indicato di solito prima dell’intervento chirurgico, anche se talvolta non c’è una

dilatazione, quindi è inutile; - scintigrafia intestinale (valore storico);

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- tempo di transito (valore storico). La biopsia rettale si effettua per suzione o a tutto spessore e i prelievi sono di 1/2/4/5/7 cm. Si osserva anche l’incremento dell’acetilcolinesterasi, indicativo di gangliopatia. Il clisma consente la valutazione del calibro

del colon ed è utile nel follow-up dell’intervento chirurgico. Il TRATTAMENTO della stipsi cronica in età pediatrica comprende 4 fasi:

1. educazione con alleanza terapeutica tra familiari e personale medico; 2. eliminazione dell’ingombro fecale; 3. prevenzione dell’accumulo di feci; 4. follow-up.

Il Macrogol è raccomandato per ottenere un’iniziale efficace liberazione del retto, se la stipsi non si riduce si usano clisteri. Segue la fase di mantenimento, con Macrogol alla dose di 0,5-0,8 g/kg/die. La strategia è definita “top-down”, con un iniziale alto dosaggio di farmaci osmotici al fine di creare feci molli e ridurne la quantità mantenendo la somministrazione per almeno 3 mesi fino a trovare il dosaggio minimo efficace. L’educazione del paziente al vasino deve essere iniziata verso i 18-24 mesi. Non va esercitata pressione o imposizione ed è importante che il bimbo assuma una posizione corretta. Il bambino deve stare coi piedi per terra e deve assumere una posizione ad angolo retto. C’è il rinforzo positivo, ossia la gratificazione del bambino che impara a defecare da solo. Nel trattamento chirurgico della malattia di Hirschprung attualmente la terapia è microinvasiva, dato che il colon è un buon candidato per la chirurgia microinvasiva, grazie alla sua elevata vascolarizzazione. Il segmento intestinale può essere resecato per via anale e ovviamente bisogna rimuovere tutto il segmento agangliare, poi va effettuata un’anastomosi colo-anale e vanno preservate le strutture funzionale. L’intervento viene effettuato precocemente e in breve tempo e, durante il suo svolgimento, si può anche procedere al prelievo bioptico. L’incisione si fa al di sopra della linea dentata e si va ad isolare il cilindro agangliare, che viene estrinsecato dall’orifizio anale fino al punto in cui era stata effettuata la biopsia in laparoscopia. I vantaggi dell’intervento sono che non avviene contaminazione del cavo addominale e non c’è alterazione dei meccanismi anatomici, mentre il vantaggio della laparoscopia è che possiamo valutare anche dall’interno la discesa del colon: va ricordato sempre che la chirurgia è rivolta a pazienti che hanno un sovrapporsi di anomalie dello sfintere interno o altre patologie.

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23/11/2018 prof. Tolone

PATOLOGIA ADDOMINALE E RETROPERITONEALE

Glomerulonefrite acuta post-infettiva Processo infiammatorio acuto che colpisce i reni con localizzazione predominante o esclusiva nei glomeruli:

necessita di diagnosi e trattamento precoci. L’EZIOLOGIA è prevalentemente batterica (soprattutto SβEGA, talvolta sono implicati Stafilococchi e Pneumococchi): raramente può essere secondaria ad un episodio virale (Coxsackie virus B, Echovirus 9, CMV e virus parainfluenzali) o parassitario. È più frequente nei maschi e

colpisce di solito tra i 4 e i 12 anni d’età. La PATOGENESI è autoimmunitaria ed è caratterizzata da immunocomplessi solidi di antigeni infettivi e anticorpi che precipitano a livello capillare con conseguente attivazione del complemento: questo processo ha una latenza di 1-3 settimane e per questo la malattia viene

chiamata post-infettiva. La SINTOMATOLOGIA può essere molto varia: il bambino può essere completamente asintomatico, presentare una blanda microematuria o gravi sintomi generali, in particolar modo oliguria e ipertensione. Il segno clinico costante è l’ematuria, spesso macroscopica, con urine color lavatura di carne o color coca-cola; l’edema (segno invece più caratteristico della sindrome nefrosica) è di grado variabile, spesso localizzato solo alle aree periorbitali. Nei casi in cui si osserva riduzione del filtrato glomerulare si ha contrazione della diuresi ed ipertensione. Raramente ci può essere una neuropatia con

convulsioni ed alterazioni miocardiche. La DIAGNOSI necessita di un esame delle urine, che è un esame economico e che può anche valutare un’eventuale piuria, si constata ematuria nel 100% dei casi (anche sotto forma di lieve microematuria), più raramente c’è il riscontro di una proteinuria. Gli esami ematochimici rivelano leucocitosi neutrofila, aumento degli indici di flogosi, riduzione del C3 (valore molto più specifico rispetto agli altri due). In presenza di ematuria e riduzione della frazione C3 del complemento si può porre correttamente diagnosi per questa patologia nel 98% dei casi. In caso di glomerulonefrite post-streptococcica il TAS risulta aumentato, il tampone faringeo può essere positivo per SβEGA (ma anche se è negativo non si può escludere la diagnosi, sia perché esistono anche altri agenti eziologici sia perché si può essere negativizzato con il progredire dell’infezione). Si può anche assistere ad un aumento dell’azotemia e della

creatininemia. La TERAPIA in caso di infezione da SβEGA si attua con una penicillina, amoxicillina +

clavulanato o con un macrolide, in caso di allergia alle molecole β-lattamiche. La PROGNOSI è buona nella maggior parte dei casi.

Sindrome nefrosica È una condizione clinica caratterizzata da una proteinuria maggiore di 40mg/m2/ora, protidemia inferiore a 6g/dl, albuminuria inferiore a 3,5g/dl, iperlipidemia, edemi alle caviglie, ai piedi e al viso. La

CLASSIFICAZIONE è in:

idiopatica, che rappresenta quasi il 90% dei casi pediatrici, con un’incidenza di 2-5 casi/100.000;

secondaria a porpora di Schonlein-Enoch, LES, diabete mellito, mieloma, infezioni croniche;

familiare o genetica/ereditaria, eventualità rarissima e dipendente da mutazioni in geni coinvolti nella struttura della componente epiteliale della barriera glomerulare.

Le urine sono caratteristicamente schiumose, a causa della presenza di albumina e altre proteine. La

SINTOMATOLOGIA riconosce una proteinuria dovuta ad aumento della permeabilità della membrana capillare glomerulare; quando l’albuminuria rimane inferiore a 2 grammi/dl compare l’edema in sede periorbitale, scrotale, pleurica o peritoneale (impossibile da vedere) e agli arti inferiori. Altri sintomi sono il pallore cutaneo, l’incremento ponderale dovuto a ritenzione idrica, l’anoressia, irritabilità, l’astenia, la diarrea e l’aumento di colesterolo e trigliceridi. Per fare diagnosi è necessario un esame delle urine, si osserverà una frazione C3 del complemento normale (criterio per porre diagnosi differenziale con la glomerulonefrite post-streptococcica) e una calcemia ridotta: alla biopsia (che si effettua solo in caso di mancata risposta al cortisone) si possono osservare delle lesioni minime nell’85% dei casi (che risponde alla

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terapia cortisonica al dosaggio di 2mg/kg/die da scalare), una sclerosi focale nel 10% dei casi (che ha una scarsa risposta ai cortisonici, tanto che il danno diventa progressivo e può sfociare in una IRC) e una glomerulonefrite membrano-proliferativa nel 5% dei casi (che risponde al cortisone nel 50% dei casi). Esiste anche una forma ereditaria, autosomica recessiva, che richiede il trapianto renale perché risponde poco a qualsiasi terapia. Si manifesta nel primo anno di vita con una sintomatologia importante e si tratta con cortisone, dieta iposodica, albumina (se il suo valore sierico è inferiore a 1,5 grammi al giorno) e furosemide per aiutare la diuresi.

Infezioni delle vie urinarie (IVU) Patologia spesso sovradiagnosticata, soprattutto nei maschi, a causa della contaminazione di un campione che magari viene poi esaminato giorni dopo (l’intervallo di tempo facilita la replicazione batterica). È la seconda causa di infezione batterica in età pediatrica dopo la localizzazione orofaringea e respiratoria. Spesso sono associate ad anomalie funzionali o anatomiche a carico delle vie escretrici (come il reflusso vescico-

ureterale, RVU) e si caratterizzano, in base alla LOCALIZZAZIONE, in basse (cistite o uretrite) e alte (pielonefrite). Nel 50% dei casi si presenta nel bambino di età inferiore a un anno e, nel 30% dei casi che insorgono nel primo mese di vita, si correla a sepsi. Circa un terzo dei bambini presenta recidiva entro un

anno e il rischio aumenta all’aumentare degli episodi. Le VIE DI INFEZIONE sono quella ematogena, più rara e dovuta a E. Coli, Klebsiella e Pseudomonas Aeruginosa, e quella ascendente, in cui la flora batterica pentra attraverso l’uretra a causa di alcuni fattori predisponenti, come RVU, cateterismo vescicale e anomalie anatomiche, che portano l’infezione a diffondersi dall’uretra alla vescica e da qui, passando per gli ureteri,

può arrivare al rene e causare una pielonefrite. La SINTOMATOLOGIA non è molto specifica, soprattutto nei primi mesi di vita, in cui si assiste ad arresto della crescita, calo ponderale, vomito e/o diarrea e può anche portare a sepsi; quando il bambino è più grande la sintomatologia è più specifica, si presenta febbre, rifiuto

dell’alimentazione e disuria (un sintomo specifico che il bambino riesce a riferire). La DIAGNOSI si avvale di un esame delle urine e un’urinocoltura, un metodo molto rapido e pratico è quello con le strisce reattive, che leggono pH, leucociti, emazie e nitriti. L’urinocoltura è dirimente e necessita di una raccolta molto accurata per evitare falsi positivi, che sono molto frequenti: le tecniche di raccolta sono il sacchetto autoadesivo, che si applica dopo la pulizia dei genitali esterni e dopo averli asciugati con un panno sterile (bisogna fare attenzione ad eventuali fimosi) e che deve essere rimosso al massimo dopo 20 minuti anche se il bambino non ha urinato (in questi casi aiuta farlo bere o lasciarlo scoperto), le urine vanno esaminate quanto prima, se questo non è possibile si devono tenere in laboratorio a 4°C. Altre tecniche di raccolta sono il mitto intermedio, cioè la raccolta del secondo getto in un contenitore sterile (in questo caso c’è infezione se il numero di unità formanti colonie [l’UFC, che indica il numero di batteri] è maggiore di 100.000/ml), il cateterismo vescicale, metodica attendibile ma invasiva (si parla di infezione se l’UFC è maggiore di 10.000/ml), e la puntura sovrapubica, modalità invasiva ma che conserva la sterilità (che si considera positiva se l’UFC è maggiore di 1.000/ml). Gli esami diagnostici strumentali sono l’ecografia dei reni e delle vie urinarie, indicata per l’identificazione di eventuali quadri malformativi a carico di queste strutture (pielectasie, idronefrosi, dilatazione degli ureteri, ipertrofia della parete vescicale), la cistografia minzionale, che si usa per identificare RVU, e la scintigrafia renale, che permette di evidenziare eventuali cicatrici. La

TERAPIA di una IVU nei primi 2 mesi di vita è quella di una patologia considerata settica e si basa su cefalosporina + aminoglicoside per via endovenosa o intramuscolare per 14 giorni. Nelle età successive la terapia antibiotica è guidata dall’antibiogramma. Si fa una profilassi giornaliera con antibiotici a basso dosaggio (la dose corrisponde a un terzo di quella usuale) se c’è RVU, uropatia ostruttiva/dilatante o cisti recidivante. È stata messa in discussione negli ultimi anni perché secondo alcuni studi non c’è differenza nel rischio tra chi fa la profilassi e chi non la fa, inoltre questa pratica seleziona ceppi resistenti.

Dolori addominali ricorrenti (DAR) Sono molto frequenti nei bambini di età compresa tra i 4 e i 16 anni e si presentano con una frequenza di almeno una volta al mese, una durata di almeno 3 mesi, la presenza di periodi intercritici asintomatici e un’intensità sufficiente a impedire lo svolgimento delle normali attività (è caratteristico che ci si svegli di notte per il dolore). Non è semplice distinguere un dolore di questo genere da una simulazione, l’incidenza è

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maggiore nel sesso femminile solo dopo gli 8 anni e la prevalenza media è circa dell’8%. Il compito del pediatra è di distinguere tra patologia organica e funzionale, seguire il bambino (un RGE può diventare una MRGE o una celiachia), tranquillizzare il bambino e i genitori e procedere con degli esami diagnostici.

L’ANAMNESI personale e quella familiare sono molto importanti, sono da ricercare le caratteristiche del dolore, l’epoca di insorgenza, la frequenza, la sede, le attività intercorrenti, i risvegli notturni e il rapporto con i pasti. L’anamnesi familiare deve tendere a cercare familiarità per ulcere, MRGE, celiachia, MICI o DAR non meglio specificato. Esiste anche una predisposizione genetica per MRGE grave con localizzazione 13q14: inoltre, è stata evidenziata familiarità per l’appendicite a causa di una particolare anatomia dell’appendice. Bisogna indagare la personalità del bambino e dei genitori, dato che può succedere che questi ultimi

descrivano la sintomatologia in modo molto più grave di quanto non sia in realtà. All’ESAME OBIETTIVO si possono refertare pallore, ittero, distrofia, allergie, epatosplenomegalia, fissurazioni, ulcere perianali, masse addominali ed evocazione del dolore con la palpazione di uno dei quadranti. Sono da considerarsi segni di allarme la familiarità, la perdita di peso, l’anoressia, la febbre, la diarrea e/o il vomito associati a dolore, l’enterorragia, il dolore costantemente riferito lontano dalla zona periombelicale (a causa del fatto che il bambino è solito tenere le mani sull’ombelico), il dolore che si irradia al dorso o all’inguine, il dolore che sveglia durante il sonno, il dolore molto prolungato, la sonnolenza o la prostrazione successive all’attacco doloroso. Possono essere correlati eventi scatenanti, rinforzo, aerofagia, stipsi, malattie intercorrenti e l’ambiente socio-familiare. Il dolore può acuirsi a causa di una bassa soglia agli stimoli dolorosi, che può dipendere da un’anomala secrezione di endorfine, da un’aumentata produzione di tachichinine (potenti stimolatori della muscolatura liscia intestinale), da un’aumentata attivazione e/o da un aumentato numero di recettori NK2 per le tachichinine. Questi dolori possono riferirsi a patologie organiche come l’intolleranza al lattosio, l’infezione da H. Pylori, la MRGE, la celiachia, la litiasi biliare o renale, le parassitosi, le allergie alimentari o la occult costipation.

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26/11/2018 prof. Miraglia del Giudice

MALATTIE INFETTIVE (seconda parte)

Pertosse Infezione acuta dell’apparato respiratorio, altamente contagiosa, causata dalla B. Pertussis. La malattia è temibile nel primo anno di vita, in cui si verificano il 70% dei decessi; è caratterizzata da tosse spasmodica atipica con emissione di muco denso filamentoso. La malattia attraversa varie fasi ed è legata all'azione delle

tossine e non tanto all'azione patogena diretta del batterio. L’EZIOLOGIA è da Bordetella Pertussis, un cocco Gram-, coltivabile su terreno agar di Bordet-Gengou. Una sindrome pertussoide può essere causata anche da altre Bordetelle, come la B. Parapertussis e B. Bronchiseptica, ma anche da altri batteri (Mycoplasma Pneumoniae, Chlamydia Trachomatis e C. Pneumoniae) e da alcuni virus respiratori come Adenovirus e VRS. Le manifestazioni cliniche sono legate all’azione delle tossine prodotte dai batteri e non all’azione patogena

diretta degli stessi. Le TOSSINE E I FATTORI DI VIRULENZA sono la proteina pertossica, l’emoagglutinina filamentosa (responsabile dell’adesione alle ciglia dell’epitelio respiratorio, che causa un aumento della produzione di muco e, per via riflessa, accessi di tosse), la peractina, l’adenilciclasi e la tossina

dermatonecrotica. Riguardo all’EPIDEMIOLOGIA si deve ricordare che la malattia presenta maggior prevalenza nelle zone a clima freddo o temperato e, nonostante l'introduzione del vaccino, si verificano oltre 50 milioni di casi con circa 600.000 decessi: molto dipende dall'età del paziente e dalle complicanze broncopolmonari e neurologiche. In Italia si verificano 10.000-20.000 casi. La malattia è epidemica, con onde di epidemia che si verificano ogni 3-4 anni. Il contagio è interumano, attraverso le goccioline di Flügge (sospese) o quelle emesse durante i colpi di tosse, che possono così essere inalate dal soggetto sano. Richiede un contatto stretto e diretto, data la scarsa resistenza del patogeno nell’ambiente. Un recente studio di popolazione condotto nei Paesi Bassi ha mostrato che le fonti di infezione nei bambini piccoli sono i fratelli, specialmente quelli di 9-13 anni di età, e le madri. L'età maggiormente colpita è compresa tra i 10 e i 14 anni, in era post vaccinale: in passato, l’età maggiormente colpita era la prima infanzia e l’inizio della seconda infanzia. Questa differenza è dovuta al fatto che l’immunità non dura per tutta la vita, né quella acquisita né quella vaccinale (anche se alcuni studi hanno evidenziato come l’immunità naturale dia una protezione più

duratura, di circa 20 anni, rispetto a quella vaccinale, 4-10 anni). La PATOGENESI della malattia è legata alla produzione di tossine da parte del batterio: proteina pertossica, agglutinina, tossina dermatonecrotica, ecc: vi è inoltre modulazione antigenica. Le tossine possono agire insieme o può prevalere l’azione di una sulle altre. Queste tossine aderiscono all'epitelio respiratorio e possono provocare ciliostasi, con danno dell'epitelio respiratorio, oltre che alterazione delle secrezioni bronchiali. Ne nasce una sintomatologia che perdura a lungo e tende ad autoalimentarsi. La tossina pertossica è inoltre neurotrofica e la tosse caratteristica è legata proprio ad una stimolazione neurologica del meccanismo della tosse. Possono dare

anche manifestazioni sistemiche. Il PERIODO DI INCUBAZIONE varia da 7 a 10 giorni. La CONTAGIOSITÀ è massima nelle prime due settimane dall’inizio della tosse. Dopo tre settimane, il contagio è trascurabile anche nei bambini non trattati. Nei pazienti trattati con antibioticoterapia, il periodo di infettività è ridotto a 5 giorni dall’inizio della terapia antibiotica. Gli adolescenti e gli adulti con sintomi lievi rappresentano la fonte

di infezione per il lattante e il bambino piccolo. Il decorso della SINTOMATOLOGIA si sviluppa in tre fasi successive:

1. la prima fase è la fase catarrale, dalla durata di 1 o 2 settimane, caratterizzata da sintomi di rinorrea, congiuntivite, tosse catarrale. In questa fase pertanto non c’è alcun carattere tipico della pertosse. Ricorda che nella pertosse non c’è mai febbre conclamata.

2. Segue la fase più caratteristica della pertosse, la fase accessuale vera e propria, dalla durata di circa 1 mese. Si tratta di 5-10 accessi violenti di tosse stizzosa ripetuti e ravvicinati, seguita da un’inspirazione forzata, profonda, a glottide chiusa, sibilante e rumorosa. Al termine degli accessi si ha l’emissione di muco denso, chiaro, vischioso e filamentoso. Nel corso di questi accessi possiamo avere delle piccole emorragie congiuntivali (“occhio di pernice”), petecchie al volto e

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edema congiuntivale: questo caratterizza la facies pertussoide. Il bambino può avere vomito, con sintomi che possono essere abbastanza destruenti per un bambino. È importante considerare che il bambino però sarà totalmente asintomatico nei periodi tra gli accessi.

3. C'è poi la fase di risoluzione, nella quale si ha una riduzione dell'intensità degli accessi con perdita progressiva delle caratteristiche accessuali. Questa fase può durare anche settimane o mesi. A distanza di anni possiamo avere, a seguito di virosi delle vie respiratorie, una ripresa di questa tosse accessuale, in quanto permane il danno a carico delle giunzioni strette che collegano le cellule epiteliali bronchiali: il cosiddetto “richiamo della pertosse”.

La sintomatologia sarà atipica nel lattante (soprattutto se ha meno di 6 mesi): la fase catarrale è di durata breve, la tosse è assente ed è sostituita da starnuti o episodi di apnea-cianosi, urlo espiratorio può mancare così come la fase di convalescenza. In quest’età è grave e rapidamente fatale, soprattutto nei prematuri e

non vaccinati. La mortalità è dell’1% nei bambini con età inferiore a 2 mesi. Le COMPLICANZE possono aversi in caso di trattamento intempestivo. L’ intervento precoce impedisce la genesi delle complicanze, ma il problema è che la diagnosi precoce è quasi impossibile durante la fase catarrale (perché la sintomatologia è del tutto aspecifica). Tra le complicanze figurano:

- broncopolmonite, che può dipendere da una super-infezione batterica, ma nel lattante la Bordetella stessa può localizzarsi a livello polmonare e dar adito essa stessa ad una polmonite;

- atelettasie segmentali lobari; - raramente pneumotorace o pneumomediastino; - in maniera del tutto eccezionale possiamo avere enfisema sottocutaneo; - altre complicanze come l’encefalopatia pertussica (0,7%) e le epilessie (2%)

La DIAGNOSI è difficile in fase catarrale e più semplice, perché caratteristica, in fase accessuale. La diagnosi clinica di pertosse nel bambino oltre l’anno di età è relativamente facile nello stadio parossistico e nei casi tipici, mentre è più difficile nel lattante (si può manifestare con crisi di apnea, cianosi o ALTE, acronimo che sta per eventi apparentemente rischiosi per la vita). Un caso clinico di pertosse è definito da una tosse che perdura per più di 14 giorni in associazione ad almeno un sintomo tra tosse parossistica, vomito dopo tosse o urlo inspiratorio, in assenza di altre cause apparenti. L’esame obiettivo è generalmente negativo, comune è il riscontro di petecchie al volto secondarie agli accessi di tosse. Ai fini diagnostici può essere utile provocare l’accesso (perché nelle fasi intercritiche il bambino è totalmente asintomatico) toccando l’ugola con l’abbassalingua o comprimendo la cartilagine cricoidea, ricordando che in caso di pertosse la manovra fallisce nei 30 minuti successivi dopo un attacco spontaneo (perché ci si trova in un periodo di refrattarietà). Più spesso rispetto alle altre malattie esantematiche vengono fatti esami laboratoristici (a causa del decorso lungo). È possibile effettuare:

• esame emocromocitometrico, che mostra leucocitosi associata (al contrario di quanto avviene per le malattie determinate da batteri) a linfocitosi;

• tampone faringeo ed esame dell’espettorato, a partire dal quale si può effettuare ricerca microbiologica per mezzo di esame colturale. La ricerca è positiva nel 70% dei casi entro le prime due settimane, dopodiché è usualmente negativa, visto che la sintomatologia è ascrivibile alla produzione di tossine;

• RX del torace, nella quale possiamo non trovare nulla (anche nella fase degli accessi a fronte di una sintomatologia seria possiamo non trovare niente all'esame clinico toracico) o trovare infiltrati ilari peribronchiali, segni di bronchite, zone di atelettasia, segni di enfisema o addirittura di pneumotorace (raro);

• test sierologici, che possono dimostrare la presenza di tossine; • metodiche biomolecolari possono essere fatte, ma solo in casi rari e gravi che possono mettere a

rischio la vita del bambino mediante PCR cercando il DNA specifico del microrganismo.

La DIAGNOSI DIFFERENZIALE con l’adenopatia ilare è fondamentalmente radiologica. Le adenopatie ilari sono ingrossamenti dei linfonodi all’ilo polmonare. Altre diagnosi differenziali si pongono con bronchiti spastiche, presenza di corpi estranei in laringe (questa è molto importante: molto spesso si verificano nei bambini potendo portare tosse accessionale e atelettasia), all’auscultazione i due emitoraci sono diversi. La Chlamydia e il Mycoplasma, invece, danno una tosse molto prolungata (fino a 6-8 settimane) ed è generalmente caratterizzata da rantoli/sibili e febbre; inoltre, nell’infezione da Chlamydia può associarsi una

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congiuntivite. Stesso discorso per l’Adenovirus, il quale dà un’infezione che si manifesta anche con febbre.

La TERAPIA si basa sull’utilizzo di macrolidi durante la fase catarrale ma anche successivamente. Non si usa più l’eritromicina (in genere, 3 o 4 volte al giorno al dosaggio di 10 mg/kg/die per 14 giorni) in quanto può essere associata alla stenosi ipertrofica del piloro. Si preferisce l’azitromicina, al dosaggio di 10 mg/kg per 3 giorni. Il farmaco più utilizzato è sicuramente la claritromicina al dosaggio di 15 mg/kg/die per 7 giorni. In alternativa possiamo usare il trimetoprim-sulfometossazolo (Bactrim) da 8 a 40 mg kg/die in due somministrazioni. In passato venivano utilizzati i sedativi della tosse, anche se non particolarmente efficaci: si preferivano quelli periferici, in quanto i centrali potevano dare arresto respiratorio. Tra i periferici più utilizzati, c’era la codenia; il problema della codeina è che nel suo metabolismo viene convertita in morfina che, in gruppi di soggetti con particolari polimorfismi, può accumularsi e dare reazioni avverse particolarmente importanti. Altri farmaci utilizzati sono i β2stimolanti come il salbutamolo, che aiutano il bambino soprattutto nella fase degli accessi riducendone la violenza. Si possono usare cortisonici come il desametasone alla posologia di 0,075 mg/kg diviso in due somministrazioni, soprattutto nei bambini più piccoli e nelle forme più gravi. Può essere necessaria terapia di supporto. Nei casi più gravi può essere indicato il ricovero (in particolare nel lattante bambino sotto i due anni di vita dei quali come detto la malattia può

avere un decorso molto serio). Si deve praticare ISOLAMENTO per 5 giorni dopo l’inizio della terapia: i contatti stretti entro i 7 anni non vaccinati o parzialmente vaccinati devono fare la vaccinazione; è indicata

profilassi farmacologica in tutti. La PROFILASSI FARMACOLOGICA si effettua immediatamente dopo

l’esposizione al contagio (soprattutto se neonati/lattanti), la PROFILASSI IMMUNITARIA PASSIVA si fa con immunoglobuline iperimmuni (anche se raramente utilizzate), mentre la PROFILASSI IMMUNITARIA

ATTIVA consta della vaccinazione somministrata insieme a quella antitetanica, antidifterica, antipolio, antiepatiteB e antiemofilo (esavalente): Il vaccino acellulare è costituito da un’associazione dei tre antigeni della Bordetella a più alta attività immunogena e cioè tossina pertossica, emagglutinina filamentosa e pertactina. I vaccini acellulari con almeno 3 componenti antigeniche hanno un alto grado di efficacia protettiva (84% nello studio italiano; 87% nello studio svedese; 89% nello studio tedesco). Dopo questi studi il vaccino a cellule intere e uccise, utilizzato in passato, è stato sostituito con vaccini acellulari che vengono raccomandati nella vaccinazione dell’infanzia. Esistono preparati combinati DTP (associazione difterite-tetano-pertosse) e combinati esavalenti (DTP, epatite B, polio, emofilo B). Vengono somministrati in tre dosi al terzo, quinto e dodicesimo mese di vita, più un richiamo a 5-6 anni. La somministrazione è intramuscolare.

Strategie di prevenzione della pertosse neonatale Poiché la prima dose di vaccino è somministrata all’età di 3 mesi, i neonati sono privi di protezione almeno fino a quel momento. I dati mostrano infatti come una gran parte dei casi notificati e dei ricoveri interessino proprio le fasce d’età più piccole. È per questo che i servizi di prevenzione si stanno concentrando proprio nell’evitare questi casi, che sono i più pericolosi per la gravità delle complicanze e il maggior tasso di mortalità. Le strategie adottate sono essenzialmente rivolte alla donna in gravidanza e al nucleo familiare del neonato. Si raccomanda a tutte le donne in gravidanza di effettuare una dose di richiamo con vaccino DTP tra le 27esima e la 36esima settimana di gestazione, in modo da avere un ottimale passaggio di anticorpi transplacentare e un titolo anticorpale elevato per i primi mesi di vita del bambino. Il richiamo dovrebbe essere effettuato ad ogni gravidanza, poiché l’immunità diminuisce nel tempo. Poi c’è la “strategia cocoon”, che si basa sulla vaccinazione di tutti i componenti del nucleo familiare e di coloro che saranno a stretto contatto col neonato, per evitare la trasmissione del batterio responsabile della pertosse da parte di questi soggetti.

Leishmaniosi Mattia infettiva acuta, causata da protozoi appartenenti al genere Leishmania. Ne esistono varie forme di cui quella che ci interessa è la forma viscerale, che vede maggiormente implicata Leishmania Donovani. Può essere trasmessa all'uomo da insetti vettori del genere flebotomo, che pungono il cane e il protozoo passa

all'uomo. All’interno dell'animale si compie il ciclo vitale del protozoo. L’EPIDEMIOLOGIA riconosce un’estensione geografica molto ampia e coinvolge milioni di persone: è molto presente in Campania, ed in

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particolare ad Ischia, zona vesuviana ecc. (quindi abbiamo in Campania zone endemiche per la leishmaniosi). Il flebotomo si infetta succhiando il sangue di un bambino o di un adulto parassitato (forma amastigote) e perviene allo stomaco del vettore dove si trasforma in promastigote: attivamente giunge nel faringe del

vettore e viene poi inoculata nell'uomo. Il PERIODO DI INCUBAZIONE varia dai 4 ai 10 mesi. Esistono tre

tipologie di SINDROMI CLINICHE per la leishmaniosi umana, divise in base alla distribuzione geografica, alla specie di Leishmania coinvolta e all’immunocompetenza dell’ospite:

• Leishmaniosi viscerale o kala-azar o febbre dumdum o febbre nera (dipendente dal complesso L. Donovani). In seguito a 2-4 mesi di incubazione, compaiono febbre, calo ponderale, epatosplenomegalia, linfoadenomegalia, iperplasia macrofagica del midollo osseo (anemia, leucopenia e trombocitopenia). Nello stadio terminale: febbre ondulante, edema, dissenteria e cachessia. Forma acuta: stadio terminale dopo 3-4 settimane. Forma cronica (più frequente): parecchi mesi, morte entro 1-2 anni. Possibile esito infausto anche in presenza di terapia. Si possono evidenziare infezioni opportunistiche in pazienti HIV+.

• Leishmaniosi cutanea o bottone d’Oriente o bolla di Delhi (dipendente dai complessi L. tropica e L. mexicana). Dopo 1-2 mesi di incubazione nella sede di inoculo (volto, braccio) appaiono una o più lesioni papulonodulari rossastre (di solito ulcerate) nodulari evolutive per dimensioni ed aspetto. In presenza di ulcerazione, la lesione diviene rosso-bluastra a forma di vulcano, accompagnandosi o meno a dolore. Essa può infettarsi per sovrinfezioni batteriche. È possibile l’ingrossamento di linfonodi in prossimità della lesione cutanea (soprattutto in sede ascellare). Si autolimita nel giro di pochi mesi, sebbene con esiti cicatriziali deturpanti.

• Leishmaniosi mucocutanea o espundia (dipendente dal complesso L. braziliensis). Infrequente, generalmente conseguenza della forma cutanea che può insorgere anche a distanza di anni dalla guarigione dell’ulcera cutanea. Edema e sovrinfezioni batteriche producono una mutilazione facciale assai grave e sfigurante (soprattutto nell’espundia), principalmente a carico della giunzione mucocutanea nasale.

La SINTOMATOLOGIA all’esordio è in genere insidiosa, poiché sono pochi i segni tipici. Si possono riscontrare astenia e febbre di tipo sub-continuo (talvolta bifasica, assente per giorni), associate a splenomegalia davvero ingente (caratteristicamente con milza a lingua di cane, tanto lunga da spingersi fino alla fossa iliaca sinistra). Vi è anemia legata sia alla splenomegalia sia perché la Leishmania infetta i globuli rossi. Si possono associare leucopenia e piastrinopenia. Anche in questo caso può talora essere necessaria la diagnosi differenziale con la leucemia acuta: il dubbio diagnostico è dirimibile sulla base del riscontro delle leishmanie nei globuli rossi (e non più necessariamente per mezzo di procedure invasive) attraverso un test immunoenzimatico, che mostra positività per l’antigene ricombinante. In realtà l'esame midollare alla fine si

fa sempre per via dell'elevata splenomegalia (con segni di deficit uni- o multilineare). La TERAPIA prevede attualmente l'utilizzo dell’Amfotericina B liposomiale. Vengono effettuate due dosi e poi si segue nel tempo la scomparsa degli anticorpi IgM.

Mononucleosi infettiva Malattia infettiva acuta o subacuta virale, contagiosa, caratterizzata da febbre, angina, linfoadenomegalia,

epatosplenomegalia e, talvolta, rash cutaneo. L’EZIOLOGIA dipende dall’Epstein-Barr Virus, un virus a DNA

della famiglia Herpesviridae. L’EPIDEMIOLOGIA rivela un’infezione ubiquitaria: in tutto il mondo il 90-95% degli adulti è positivo, può colpire tutte le età, anche se è rara sotto i 2 anni. La sieropositività aumenta con

l’età. La TRASMISSIONE del virus avviene attraverso il sangue e la saliva, il PERIODO DI INCUBAZIONE

varia tra i 30 e i 50 giorni negli adolescenti, è di circa 15 giorni nei bambini. Per il PERIODO DI CONTAGIOSITÀ bisogna ricordare che il virus viene eliminato con la saliva poco prima e durante le manifestazioni cliniche: talvolta per 6 mesi o, a causa di un’eliminazione intermittente, per tutta la vita. Nei

pazienti immunocompromessi l’EBV spesso si riattiva e nel 60% dei casi il virus diffonde. La PATOGENESI dipende dal fatto che il virus ha come bersaglio iniziale le cellule epiteliali del faringe, il che provoca infezione dei linfociti B e poi diffusione attraverso il sistema linfatico alla maggior parte degli organi. Si tratta, inoltre, di un virus oncogenetico, responsabile del Linfoma di Burkitt oppure del craniofaringioma.

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Nella SINTOMATOLOGIA si riconoscono una fase prodromica con astenia, malessere, cefalea, algie addominali e una fase clinica con febbre, prevalentemente serotina, della durata di 1-2 settimane, e linfoadenopatie laterocervicali (spesso posteriore), auricolari, nucali, spesso anche sottomandibolari, ascellari ed inguinali, talvolta profonde; i linfonodi sono teso-elastici, mobili e lievemente dolenti e si associa un’angina con iperemia faringea, talvolta con essudato e pseudomembrane, iperplasia tonsillare e petecchie sul palato duro. Si possono anche riscontrare epatomegalia (con un aumento delle transaminasi nell’80% dei casi), splenomegalia importante (50%), esantema maculare e/o papulare al tronco e agli arti (8%). Le

COMPLICANZE sono la meningite a liquor limpido, l’encefalite, la miocardite, la pericardite, l’anemia emolitica, la porpora piastrinopenica e la polmonite interstiziale (unico motivo per cui il bambino necessita

di un periodo di convalescenza). La DIAGNOSI necessita di un esame emocromocitometrico, che mostra linfomonocitosi con linfociti attivati “atipici” (con aspetto a cielo stellato) e talvolta piastrinopenia. La sierodiagnosi di Paul-Bunnell è un test di emoagglutinazione su emazie di montone, spesso negativa nelle prime settimane di malattia. Gli anticorpi specifici sono IgM-VCA (positivi all’esordio e per 1-2 mesi), IgG-VCA

(persistono per tutta la vita) e IgM/IgG EBNA (tardivi e persistono per tutta la vita). Si pone DIAGNOSI

DIFFERENZIALE con le angine batteriche (quella tipica da SβEGA può anche coesistere, quindi è importante la diagnosi fatta con l’esame microbiologico del tampone faringeo) è molto importante, perché spesso le due patologie si confondono e un’errata diagnosi di angina e la successiva errata somministrazione di antibiotico possono causare la comparsa di un rash caratteristico. Si fa diagnosi differenziale anche con la rosolia (in cui la patologia tonsillare non è così importante), la toxoplasmosi, l’infezione da CMV e le leucemie acute. La

TERAPIA è essenzialmente sintomatica, per il prof non bisogna usare né cortisonici né aciclovir (che sembra bloccare la diffusione oro-faringea ma non modificare l’evoluzione).

Toxoplasmosi Mattia infettiva acuta trasmessa all'uomo dagli animali domestici e provocata da un protozoo, il Toxoplasma

Gondii. Dal punto di vista dell’EPIDEMIOLOGIA l’infezione è molto diffusa, con maggiore diffusione nei paesi

caldi-umidi. Il periodo di incubazione è di 7 giorni. La PATOGENESI ci mostra un'infezione che avviene per via orale, attraverso l'ingestione di cibi (carne cruda o poco cotta, vegetali e simili) contaminati da feci di gatto: il rischio di infezione è ovviamente maggiore in caso di stretto rapporto con gatti (che sono gli ospiti

definitivi del toxoplasma). Il CICLO INFETTIVO avviene nel gatto che, a seguito dell'ingestione, ospita la moltiplicazione intestinale dei parassiti, con escrezione dopo 7-24 giorni dell’oocisti. Entro 24-72 ore si ha

maturazione delle cisti e contagiosità, potendosi avere contagio umano. La SINTOMATOLOGIA Nell'uomo può manifestarsi in forma acquisita o congenita (laddove quella acquisita dalla mamma avviene durante la gravidanza per passaggio transplacentare al feto). La forma acquisita prevede un’infezione sistemica proliferativa caratterizzata dalla formazione di cisti, morte della cellula colpita, focolai di necrosi e calcificazioni. Solo nel 20% dei casi è sintomatica nei pazienti immunocompetenti, nel restante 80% dei casi è del tutto asintomatica. Se ne distinguono 3 forme principali: forma linfoghiandolare, in cui si pone necessità di diagnosi differenziale con l’infezione da CMV o la mononucleosi (cioè con malattie a coinvolgimento linfonodale). L’interessamento linfonodale è in genere latero-cervicale, con linfonodi dolenti ma non suppurati (cioè non si forma mai una colliquazione). I linfonodi possono restare ingranditi per un lungo periodo di tempo. Nella forma sistemica si osservano febbre, cefalea, artralgia ed epatosplenomegalia, in alcuni casi sudorazione notturna. La forma oculare (con corioretinite) è rara, riscontrandosi nell'1% dei casi di infezione acquisita: la corioretinite si caratterizza per la presenza di scotomi, fotofobia, dolori all’occhio, strabismo, riduzione della vista e perdita della visione centrale, se interessa la macula. L'ipotesi patogenetica è una reazione immunoallergica che segue alla rottura delle cisti. Nel paziente immunocompromesso il decorso può essere molto grave o talora fatale: per questo si consiglia, ad esempio ai bambini con leucemia,

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di non avere gatti, cani o altri animali domestici che possono essere fonte di contagio. Nel 50% dei casi si può avere encefalopatia con encefalite, lesioni localizzate con convulsioni e deficit neurologici focali: si possono avere anche complicanze a carico di cuore e polmoni. La forma congenita è legata alla trasmissione del Toxoplasma dalla madre al feto, se la madre ha acquisito l’infezione durante la gravidanza. Nella toxoplasmosi si verifica l’inverso di quanto avviene per la rosolia: la mamma trasmette l'infezione al figlio al momento del suo primo contagio. Inoltre, inversamente alla rosolia, il rischio di infezione per il feto è tanto maggiore quanto più si è vicini al parto (primo trimestre 17%, secondo 35%, terzo 65%). Ad eccezione della gravidanza, non è possibile altro tipo di contagio interumano. Nel 60-70% dei casi la difesa rappresentata dalla barriera placentare, in associazione alle difese materne anticorpali, consentono la nascita di un neonato sano. Nel 30-40% dei casi avviene la trasmissione con conseguenze variabili: si possono avere aborto, morte fetale tardiva oppure fetopatie. Il feto potrà avere nel 20% dei casi manifestazioni generalizzate (anemia, ittero, epatomegalia alla nascita con gravi quadri di encefalopatia: altre alterazioni possono essere rappresentate da microcefalia, calcificazioni endocraniche, idrocefalo da alterata circolazione liquorale, convulsioni) e, nel 10% dei casi, lesioni localizzate a livello oculare (corioretinite che prima o poi conduce alla

cecità). La DIAGNOSI si può effettuare per mezzo di prove sierologiche (modalità più semplice), isolamento protozoo da liquidi organici (più difficile) o istologia linfonodale (visto che il volume dei linfonodi aumenta per un bel po' di tempo, alla fine si pone indicazione di biopsia linfonodi attraverso la quale si evidenzia la presenza del protozoo). Nel neonato è necessario porre particolare attenzione attraverso una buona anamnesi, un attento esame obiettivo, delle visite oculistiche ripetute (perché la corioretinite può

manifestarsi anche tardivamente) e indagini sierologiche. La PROGNOSI nella forma acquisita è grave solo nel paziente immunocompromesso, nella forma congenita è sempre grave per le sequele neurologiche ed oculari. Anche in un neonato con assenza di sintomatologia alla nascita si potrà avere il rischio di cecità

tardiva. La TERAPIA della forma acquisita nel paziente immunocompetente non prevede niente, nel paziente immunodepresso (che sviluppa malattia sintomatica) si somministrano sulfadiazina e pirimetamina per 4 settimane, nella forma congenita, se il bambino manifesta sintomi come epatosplenomegalia e febbricola, si

fanno sulfadiazina e pirimetamina. Nella PREVENZIONE possiamo consigliare alla donna gravida di non consumare carne cruda, lavarsi le mani, lavare bene frutta e verdura ed evitare stretti contatti con gatti.

Megaloeritema È la più comune manifestazione clinica dell’infezione da parte di Parvovirus B19, non è molto frequente. Per

l’EZIOLOGIA e la VIROLOGIA si deve ricordare che il Parvovirus B19 è il più piccolo virus a DNA patogeno per l'uomo. Ha un capside icosaedrico ed è privo di mantello. Non ha varianti antigieniche e possiede un tropismo peculiare per i precursori dei globuli rossi (eritroblasti) soprattutto in fase di attiva replicazione (come si verifica ad esempio nell’eritropoiesi compensatoria nelle malattie emolitiche o nella vita fetale). Il recettore cellulare è rappresentato dal complesso antigenico P, che è presente sulle cellule endoteliali e ne

permette il passaggio transplacentare. L’EPIDEMIOLOGIA mostra una patologia diffusa in tutto il mondo, con prevalenza in tarda primavera/inizio estate. Si riscontrano cicli epidemici ogni 4-5 anni in paesi a clima temperato, più brevi in paesi tropicali. La sieropositività va dal 2 al 15% nei bambini con meno di 5 anni, 15-60% da 3 a 19 anni, 30-60% negli adulti. La trasmissione avviene per via inalatoria o parentale, attraverso sangue o derivati del sangue: la viremia compare entro 7-10 giorni dal contagio, la manifestazione clinica nel giro di 15 giorni. Nell’infezione materna il rischio di trasmissione al feto è intorno al 33% con rischio di morte

fetale del 5-10%. La PATOGENESI riguarda l’azione del virus sugli eritroblasti, ai quali provoca una lesione attraverso 2 eventi fondamentali (fasi):

1. Lisi: in questa fase si ha intensa viremia associata ai sintomi prodromici e colonizzazione dell’eritrone, ed in particolare degli elementi eritroidi più immaturi (eritroblasti). In questi si determina un blocco della sintesi di DNA eritrocitario e quindi della produzione e della maturazione eritrocitaria. Questa azione perdura per 4-8 giorni: ciò può determinare una crisi aplastica nei pazienti con elevato turnover eritrocitario (ad esempio in anemia emolitica).

2. Interazione tra virioni e risposta immunitaria dell’ospite: questa fase è caratterizzata da eruzione esantematica a base immunoallergica. Vengono prodotte le IgM e dopo circa una settimana le IgG specifiche. Fa seguito la guarigione.

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La CLINICA del megaloeritema è una fugace manifestazione esantematica, che segue ad una fase prodromica (febbre, cefalea, malessere, astenia) e che dura dai 2 ai 3 giorni. Consiste in un eritema maculopapuloso “a farfalla”, perché colpisce le guance e la regione circumorale e si estende poi ad arti e tronco. Il rush può

essere transitorio o ricorrente. Le COMPLICANZE che si possono avere sono sindromi artropatiche e crisi aplastiche transitorie, che si manifestano in pazienti con anemia emolitica ereditaria (sferocitosi, microcitemie, talassemia): in questi pazienti si ha infatti un aumento del turnover cellulare a livello midollare. Il virus può così indurre crisi aplastica, che si manifesta con febbre, malessere, cefalea che insorgono dopo 2-4 giorni e si risolvono in genere in 7-10 giorni, determinando un coinvolgimento di tutte le serie midollari (aplasia pura della serie rossa, per il solo coinvolgimento della serie rossa, sindrome emofagocitica associata

al virus e idrope fetale, possibile in caso di infezione al secondo trimestre). La DIAGNOSI si pone con la ricerca del DNA virale nel siero attraverso PCR o con ibridazione in situ nei tessuti o con dosaggio delle IgM specifiche (che persistono per 3 mesi, poi sostituite dalle IgG, che potranno permanere per tutta la vita). La

TERAPIA è sintomatica, nei pazienti immunodepressi si usano immunoglobuline per via endovenosa ad alte dosi (0,4mg/kg/die per 5 giorni). Non è disponibile un vaccino.

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29/11/2018 prof. Papparella

MALFORMAZIONI DELLE VIE URINARIE Rappresentano la causa del 46 % delle infezioni dell’apparato urinario, le principali sono la stenosi del giunto pielo-ureterale (idronefrosi), il reflusso vescico‐ureterale (causa più frequente in assoluto), il mega-uretere e le valvole dell’uretra. Il termine idronefrosi identifica la dilatazione della pelvi e dei calici renali, che può predisporre ad una maggiore suscettibilità alle infezioni delle vie urinarie e spesso può associarsi a displasia renale (questa associazione è particolarmente sfavorevole e spesso evolve in IRC del paziente). Questa condizione può essere secondaria ad una serie di quadri come l’ostruzione del giunto, il giunto ipoplastico, inserzione pielo-ureterale alta (condizione nota con il nome di vaso polare, che provoca inginocchiamento dell’uretere), aderenze fibrose congenite e uropatie ostruttive vere. Le uropatie ostruttive vere (valvole dell’uretra) si manifestano solo nei maschi e provocano ostruzione delle vie urinarie durante la vita uterina, sono diagnosticabili in epoca pre-natale e si pone il sospetto in caso di oligoidramnios11 (che può evolvere fino al distress respiratorio alla nascita per ritardo della maturazione polmonare). L’esame fondamentale per la diagnosi è l’ecografia, tramite la quale si deve misurare il diametro antero-posteriore, ma vanno poste in diagnosi differenziale tutte le cause di dilatazione ed ostruzione: un’ostruzione è significativa quando provoca una dilatazione a livello del diametro antero-posteriore della pelvi maggiore di 50 mm, se esso è compreso tra 15 e 50 mm è comunque necessario approfondimento, se minore di 15 mm si deve fare solo follow-up con scintigrafia renale che necessita della valutazione del filtrato. Il MAG3 è un tracciante molto utile per determinare la filtrazione differenziale dei due reni, ma ha degli svantaggi rispetto al DSMA, che rimane il gold standard, mentre il DTPA si può usare negli studi di clearance. Ad oggi non si fa più l’urografia, dato che è stata soppiantata dalla’uro-RM. Se la dilatazione si estende anche all’uretere si parla di idro-uretero-nefrosi, alla quale si assiste in caso di reflusso vescico-ureterale di 5° grado.

Ostruzione del giunto pielo-ureterale Ha un’incidenza di 1:750 e 1:1000, in aumento negli ultimi anni, senza differenze tra maschi e femmine e più spesso localizzata a destra (allo stesso modo del criptorchidismo), sono stati riportati alcuni casi di ereditarietà, ma di solito è sporadica e tende a manifestarsi più frequentemente in bambini affetti già da

altre sindromi. La CAUSA più frequente è la stenosi del giunto, in cui ci si trova con una giunzione sottile ed un lume impalpabile, seguono l’inserzione alta e il vaso polare. Questa condizione può regredire spontaneamente o aggravarsi, ma nella maggior parte dei casi tende a rimanere stabile. La

SINTOMATOLOGIA si presenta con infezioni ricorrenti delle vie urinarie, dolore ed ematuria, a volte può essere un riscontro ecografico casuale, mentre nel neonato si può apprezzare ecograficamente una massa

addominale. Per la DIAGNOSI ci si avvale dell’ecografia, seguita da scintigrafia con DSMA o MAG3 (utile per decidere l’approccio terapeutico, dato che, se la differenza nella filtrazione è inferiore al 40%, si opta per un approccio conservativo), solo dopo si può decidere se studiare anche l’uretra con una cistouretrografia. Si candida all’intervento un paziente con sintomatologia dolorosa, IVU e massa palpabile oppure asintomatico ma con perdita di funzione renale oppure asintomatico con funzione mantenuta ma in cui il disturbo non si

risolve spontaneamente. L’INTERVENTO mira a fare una resezione del tratto stenotico, una nuova anastomosi e poi una ricostruzione del giunto pielo-ureterale: si fa la plastica a Y-V di Anderson-Hynes, in cui si ricostruiscono la pelvi e il giunto, dopo l’intervento si sottopone il paziente a profilassi antibiotica e follow-up ecografico.

11 Ricorda che il polidramnios di solito ha alla base patologie ostruttive del tubo digerente, come atresia esofagea e duodenale: quest’ultima condizione è spesso associata ad anomalie cromosomiche, tanto che un terzo dei casi di atresia duodenale è affetto da trisomia del 21.

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Reflusso vescico-ureterale Non c’è grande accordo in merito nella comunità scientifica e non esistono apposite linee guida in proposito. Si tratta di un flusso retrogrado di urina dalla vescica all’uretere, causato da un difetto anatomico o anche funzionale che può portare a ipertensione e insufficienza renale, con un’incidenza dell’1% ed una prevalenza generale di circa l’1%, che aumenta al 35% nei figli di genitori con reflusso, al 27% nei fratelli gemelli di bambini con reflusso al 27% e arriva al 40-60% nei pazienti con infezioni delle vie urinarie. La

PRESENTAZIONE CLINICA è spesso paucisintomatica nel lattante, in cui si può osservare solo un ritardo di crescita (dovuto all’IVU): dato che alla base della fisiopatologia di questa condizione vi è una instabilità vescicale che porta ad un aumentato stato contratto dell’organo si può usare l’anticolinergico ossibutinina in terapia. Nelle forme lievi il reflusso tende autolimitarsi, tranne nei casi in cui è particolarmente grave o in stadio molto avanzato: vengono classificati 5 stadi di gravità crescente, in base alla completezza o meno del

reflusso, delle dimensioni dell’uretere e della dilatazione delle vie urinarie superiori. Nella DIAGNOSI ci si avvale di anamnesi, esame obiettivo, ecografia, cistouretrografia (se il reflusso è secondario a valvole dell’uretra), cistoscintigrafia (per valutare l’evoluzione della malattia), cistoureteromanometria (per valutare

la pressione) o la cistoscopia (per studiare l’orifizio secondo i criteri di Lyon). Il TRATTAMENTO può essere conservativo, con attento monitoraggio del bambino fino al raggiungimento del controllo sfinteriale per poi rivalutare il paziente, oppure mini-invasivo, trattamento palliativo per reflussi fino al terzo grado, oppure può essere attuato attraverso i due interventi principali, quello di Cohen (si apre la vescica, si isola la giunzione uretrale, si pratica un tunnel sottomucoso nella zona transtrigonale e si fa un impianto ad incrocio, così che l’uretere di un lato vada verso il lato opposto. Questo intervento ha come razionale quello di ristabilire la lunghezza normale del tratto sottomucoso che in questi pazienti è alterato) o quello di Lisch-Gregoir (l’uretere viene isolato dall’esterno e non dall’interno, si apre il versante muscolare e si ripristina la corretta lunghezza). Le indicazioni al trattamento chirurgico sono le infezioni che portano a deterioramento della funzionalità renale, scarsa compliance del paziente, reflusso di quinto grado o mancata risposta alla terapia profilattica antibiotica: in caso di reflusso di quarto grado, lunga terapia soppressiva o anomalie

dell’inserzione uretero-vescicale l’indicazione all’intervento è relativa. Le più comuni COMPLICANZE sono le recidive, l’ostruzione ureterale e la disfunzione nello svuotamento vescicale.

CHIRURGIA ONCOLOGICA PEDIATRICA

Nefroblastoma Neoplasia embrionale del rene che, a livello chirurgico, può dare disseminazione microscopica. Picco di insorgenza a 3 anni, la quasi totalità dei casi viene diagnosticata entro i 7 anni: la maggior parte delle presentazioni è monolaterale in un contesto di forme sporadiche, ma esistono condizioni bilaterali e, nell’1%

dei casi, familiari. La FISIOPATOLOGIA di questo tumore origina dalla presenza di residui nefrogenici che, non essendo regrediti nel primo anno di vita, sono sottoposti ad insulti genetici che portano l’accumulo di mutazioni che possono sviluppare la malattia: inoltre è stato identificato come gene implicato nella

cancerogenesi il WTP1, localizzato sul braccio corto del cromosoma 11. La SINTOMATOLOGIA è piuttosto sfumata e aspecifica, il che rende la presentazione di questo tumore particolarmente insidiosa, si può apprezzare una massa palpabile in loggia renale, accompagnata da febbricola, ematuria, dolori addominali e, in una quota rarissima di casi, rottura della capsula del tumore con conseguente emorragia ed anemizzazione

del paziente. La DIAGNOSI si avvale dell’ecografia, utile anche per la rilevazione di trombi costituiti da cellule tumorali all’interno della vena cava e/o della vena renale: si usa la TC addome per studiare l’interessamento delle strutture linfonodali e pelviche renali, mentre quella al torace e all’encefalo si usa per valutare le disseminazioni a distanza del tumore (a causa dell’età dei pazienti si può usare anche la RM encefalo). Per valutare la funzionalità renale si può effettuare una scintigrafia renale con MIBG, oppure, per porre diagnosi differenziale con il neuroblastoma, si possono ricercare dei metaboliti urinari come l’acido vanil-mandelico o

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l’acido omovanilico, che permettono di dirimere il sospetto perché sono aumentati nel neuroblastoma ma

non nel nefroblastoma. La STADIAZIONE si divide in cinque stadi: stadio 1 presenta un tumore completamente asportato limitato al rene, stadio 2 presenta un tumore completamente asportato ma che ha superato il rene, lo stadio 3 presenta un tumore non completamente asportato oppure una rottura della capsula renale in sede pre o perioperatoria con interessamento linfonodale oppure presenza di un trombo neoplastico non completamente asportato, lo stadio 4 presenta metastasi a distanza (anche linfonodali), lo stadio 5 presenta malattia che esordisce bilateralmente. La valutazione anatomo-patologica permette di

stratificare la malattia in tre classi di rischio. La TERAPIA è chirurgica, in Europa la si fa precedere da chemioterapia neoadiuvante, in America si fa prima la chirurgia.

Neuroblastoma Neoplasia embrionale del sistema simpatico che, nei pazienti più piccoli, può andare incontro a regressione spontanea: il picco di incidenza è prima dei due anni, mentre l’età media alla diagnosi è sempre inferiore ai

cinque anni. La SINTOMATOLOGIA è caratterizzata da febbre, ritardo di crescita, ecchimosi (soprattutto in sede periorbitale), noduli sottocutanei, dolori ossei, irritabilità, ipertensione e sudorazione (se il tumore secerne catecolamine) o diarrea secretoria (se il tumore secerne VIP): si deve ricordare che la sintomatologia dipende anche dalla localizzazione del tumore, che può attecchire in ogni regione sia presente tessuto

nervoso del sistema simpatico. La DIAGNOSI si pone attraverso esami RX, TC, RM, biopsia della massa neoplastica e valutazione dell’amplificazione di n-MYC, che, se presente e amplificato, è un fattore

prognostico sfavorevole. La STADIAZIONE presenta cinque classi di malattia: lo stadio 1 presenta tumore asportato in maniera microscopicamente radicale con linfonodi negativi e diffusione localizzata, lo stadio 2A presenta tumore asportato in maniera incompleta con linfonodi negativi e diffusione localizzata ma che ha superato la regione di origine, lo stadio 2B presenta tumore asportato in maniera completa o incompleta con linfonodi negativi e diffusione localizzata, lo stadio 3 presenta tumore unilaterale inoperabile che ha oltrepassato la linea mediana con linfonodi regionali negativi o positivi, lo stadio 4 presenta tumore con metastasi a distanza, lo stadio 4S presenta tumore con disseminazione limitata a cute, fegato e/o midollo

osseo in paziente di età inferiore a un anno. La TERAPIA può essere chirurgica, chemioterapica, radioterapica o può avvalersi del trapianto di midollo autologo: la scelta si basa sulla valutazione di alcuni parametri come età, stadiazione della malattia, valutazione scintigrafica, presenza di amplificazione di n-MYC. È importante porre diagnosi differenziale con nefroblastoma, linfoma non-Hodgkin, rabdomiosarcoma e sarcoma di Ewing.

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5/12/2018 prof. Miraglia del Giudice

OBESITÀ Lo studio "OKkio alla SALUTE", promosso da un team italiano e pubblicato nel 2018, ha valutato il peso di una coorte di bambini di 8/9 anni d’età a partire dal 2008 e ha monitorato l’andamento ponderale di questi bambini italiani, ha correlato questi risultati con quelli delle medesime misurazioni in altri 18 paesi europei, con il pattern ponderale dei genitori e con le ore di sonno dei piccoli. Questo studio ha anche delineato una specie di “cartina ponderale” dell’Italia, con il peso corporeo nell’età infantile che aumenta progressivamente spostandosi dal nord verso il sud. Si definisce SOVRAPPESO un bambino con BMI tra l’85° e il 95° percentile e OBESO oltre il 95° percentile: in Campania il 43% dei bambini è in sovrappeso o obeso e la regione ha il primato in Italia. Un bambino obeso ha un’alta probabilità di rimanere obeso a vita, su 5 bambini obesi a 5 anni 4 rimarranno obesi anche a 25 anni (secondo uno studio condotto circa 10 anni fa). Uno studio israeliano pubblicato nel 2016 è stato condotto su 2,3 milioni di adolescenti monitorati per 40 anni rispetto al loro peso e ha rilevato che l’obesità o il sovrappeso a 17 anni correlano direttamente con un aumento di 4 volte del rischio di morte per causa cardiovascolare nei 40 anni successivi di follow-up. Altro rischio è quello metabolico, con comparsa di diabete mellito di tipo 2 tra 30 e 60 anni, che correla direttamente con una condizione di sovrappeso o obesità a 7/13/17-26 anni, aumentando di 4 volte. La fase nella quale ci si predispone per rimanere obesi a vita è l'età tra 2 e 6 anni: soprattutto quelli che hanno un più rapido incremento di peso tra 2 e 6 anni, pur rimanendo sotto l'85° percentile, hanno un rischio maggiore. Queste due condizioni appena descritte sono le complicanze a lungo termine dell’obesità infantile. Il BMI ha una discesa costante tre 2 e 6 anni, per poi risalire: questo fenomeno si chiama adiposity rebound, che, se accade prima dei 6 anni, vuol dire che il bambino si sta predisponendo all'obesità (a causa del precoce adiposity rebound): ovviamente di questo se ne può accorgere solo chi segue il bambino nel tempo, con una sola visita noi si può valutare. Le complicanze immediate sono a livello psicosociale (scarsa autostima, il bambino è più spesso vittima di bullismo, depressione), ortopedico (piede piatto e/o ginocchio valgo), neurologico (rare), cardiovascolare (ipertensione [che si definisce con valori pressori oltre il 95° percentile] o aterosclerosi), gastrointestinale (steatosi), respiratorio (apnee ostruttive del sonno, asma), endocrino-metabolico (sindrome metabolica e insulino-resistenza). Spesso il bambino obeso giunge in ambulatorio per pseudo-ginecomastia o pseudo-micropene (condizione in cui il pene vere coperto del pannicolo adiposo debordante del bambino, ma, ad una misurazione corretta, è di dimensioni normali).

Si fa diagnosi di Sindrome Metabolica con il reperimento di 3 criteri su 5 tra:

obesità;

pressione arteriosa sistolica e/o diastolica sopra il 90° percentile;

colesterolo HDL inferiore a 40;

trigliceridi superiori a 110;

alterazione dell’omeostasi glucidica (glicemia a digiuno tra 100 e 125 o glicemia dopo curva glucidica tra 140 e 200 configurano un quadro di intolleranza glicemica).

La patogenesi di questa condizione verte sull'incremento dell'insulino-resistenza: quando gli adipociti non riescono più ad immagazzinare trigliceridi, questi ultimi si accumulano in tessuti non deputati allo stivaggio lipidico e tale accumulo si ripercuote sul versante metabolico inibendo il signaling insulinico all’interno della cellula. Nel muscolo striato l'insulina si lega al suo recettore e, dopo una serie di tappe intracellulari, permette l’esposizione di GLUT4 per far entrare il glucosio: nella cellula di un obeso gli acidi grassi inibiscono il signaling insulinico sostituendo una tirosina, il che porta a una minore esposizione di GLUT4, che in un bambino non si palesa tanto con un aumento della glicemia quanto con un aumento abnorme dell'insulinemia: questo meccanismo è parzialmente reversibile grazie alla perdita di peso e alla capacità funzionale relativa del pancreas, ma esiste anche una serie di polimorfismi tali da produrre un effetto di “spremitura” del pancreas,

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che si possono studiare con tecniche di genetica clinica o anamnesticamente chiedendo se ci sono altri diabetici in famiglia. Per valutare la resistenza insulinica si ricorre all’HOMA score, che si calcola:

(glicemia basale x insulinemia basale) / 22,5

il cut-off per parlare di insulino-resistenza nel bambino prepubere è al di sopra di 2,5 e nel bambino pubere è sopra 3. I criteri per poter screenare bambini più a rischio di obesità già alla prima visita sono il BMI superiore a 31, la circonferenza vita (che si prende dopo una lieve espirazione misurando con il metro a livello della linea che passa nel punto medio tra l’ultima costa e la spina iliaca antero-superiore) e il rapporto tra vita e altezza che normalmente è inferiore a 0,5 (se c’è un bambino sovrappeso con un rapporto sperare a 0,50 il rischio di sviluppare la sindrome metabolica è 7 volte aumentato). Un altro fattore di rischio è l’acanthosis nigricans, che è un ispessimento dello strato corneo della pelle e una sua iperpigmentazione, causata dal fatto che i cheratinociti esprimono recettori per l’insulina e per l’IGF1 e vengono attivati da elevati livelli di insulinemia: l’acantosi si localizza alle regioni ascellare, nucale, inguinale e anticubitale e scompare con la perdita di peso. Indici predittivi di aumentato rischio di sviluppare la sindrome metabolica sono la presenza di acanthosis nigricans, un rapporto vita/altezza uguale o maggiore di 0,62 e almeno un genitore o un nonno affetto da

diabete mellito tipo 2. Si definisce PREDIABETE una condizione di alterazione dell’omeostasi glucidica con una glicemia a digiuno compresa tra 100 e 125 oppure una glicemia dopo 2 ore da una curva da carico glucidico12 compresa tra 140 e 199: l’1,9% dei bambini ha alterata glicemia a digiuno, mentre circa nel 6% dei casi si ha intolleranza glucidica. È stata poi definita la condizione di bambino di peso normale ma metabolicamente obeso (MONW) che ha 2 criteri positivi della sindrome metabolica e quella di bambino obeso metabolicamente sano (MHO), che rappresentano una sfida per il pediatra. I bambini MHO sono tra il 25 e il 65% e gli adulti MHO hanno comunque un aumentato rischio di morte rispetto agli adulti normopeso. È stato effettuato uno studio multicentrico su circa 7000 bambini, divisi in sovrappeso e nei vari gradi di obesità e poi ulteriormente suddivisi tra sani e malati, che ha sottolineato come, all’aumentare del BMI, si riducesse la quantità di bambini sani, ma anche che quelli sani con grave obesità presentavano un aumento dello spessore intimale carotideo e del ventricolo sinistro (entrambi parametri che normalmente non venivano valutati perché estremamente specialistici) e un aumento del rischio di steatosi epatica (che non rientra ancora tra i criteri identificativi della sindrome metabolica). La terapia consiste in una dieta normocalorica (che può venire percepita come ipocalorica dal bambino, che normalmente mangia male, e dalla sua famiglia) e nell’esercizio fisico; la terapia farmacologica non esiste in età pediatrica, si sta sviluppando un GLP1RA per via orale, si può somministrare un inibitore delle lipasi (Orlistat) dopo i 16 anni ma ha molti effetti collaterali; la chirurgia bariatrica ad oggi sembra ottenere risultati se effettuata tra i 14 e i 18 anni, oppure si può fare sleeve gastrectomy che funziona bene, ma una metanalisi condotta su pazienti a cui è stata praticata ha evidenziato come, dopo 5 anni, le persone trattate ricominciano a prendere peso. Fondamentale è il ruolo della prevenzione che deve essere impostata già durante il periodo fetale, evitando il fumo e l’eccessivo aumento ponderale in gravidanza.

12 La curva da carico si effettua somministrando 1,75 grammi/chilogrammo di glucosio anidro finché il prodotto non è uguale o inferiore a 75, al di sopra di questo valore si somministrano sempre 75 grammi.

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7/12/2018 prof. Tolone

DIARREA ACUTA

Si DEFINISCE come la perdita con le feci di acqua in quantità pari o superiore a 10 mg/kg/giorno e una durata pari o inferiore alle due settimane, in media 4-5 giorni, perché se dura meno di un mese si definisce prolungata, mentre se dura più di un mese si definisce cronica. È tra le principali cause di malattia e di morte, soprattutto nei paesi in via di sviluppo (dove si attesta nel 21% dei casi di mortalità infantile). In Occidente, esclusa l'epoca neonatale, le cause principali di morte sono le neoplasie e gli incidenti domestici. In Campania l’eziologia da Rotavirus è molto diffusa, questo patogeno provoca lesione delle mucose del tenue e produce la tossina NSP4 (altri virus la cui sintomatologia può presentarsi con diarrea sono il virus di Norwalk, il Coronavirus, l’Adenovirus e i virus parainfluenzali).

La PATOGENESI della diarrea può essere osmotica o secretiva, ma i due meccanismi patogenetici, osmotico e secretivo, possono sovrapporsi. Quella osmotica è meno frequente ed è caratterizzata dalla presenza di componenti alimentari non assorbiti o non assorbibili: tra i componenti non assorbibili va ricordato il sorbitolo, che viene usato come additivo dall’industria alimentare, mentre ci può essere mancato assorbimento per deficit di enzimi specifici (condizione rara) o di sistemi di trasporto. Infine, in caso di diarrea osmotica viene lesa la mucosa e vengono rilasciati soluti osmoticamente attivi. Nella diarrea secretiva c'è secrezione di proteine o sali nel lume intestinale, dipendente dalla secrezione di agenti neurormonali o di mediatori autoinfiammatori: questo porta all’accumulo di acqua nel lume e, nel caso ci siano tossine, si possono accumulare elettroliti nel lume. Nella diarrea secretiva c’è maggiore perdita di acqua con conseguente disidratazione (già normalmente il bambino, specie se molto piccolo, beve di meno), nella osmotica ci sono più spesso muco e sangue nelle feci e la diarrea si interrompe con il digiuno, mentre la secretiva continua anche in condizioni di digiuno.

Le CAUSE infettive sono le più frequenti, ma si devono ricordare anche quelle metaboliche, quelle alimentari (come l’allergia alle proteine del latte vaccino), quelle chirurgiche (spesso si può assistere a diarrea in corso di appendicite acuta, megacolon o stenosi ipertrofica del piloro) e quelle iatrogene (assunzione di antibiotici, sorbitolo, farmaci assunti dalla madre o redazioni). Le cause infettive possono essere virali, con un’invasione intestinale che porta a distruzione dei microvilli e degli enterociti, o batteriche: i batteri possono agire provocando alterazioni morfologiche della mucosa o con un meccanismo enterotossico che porta all’inibizione dell’assorbimento di sodio e cloro. I batteri enteroinvasivi più comuni sono: Salmonella, Shigella, Yersinia, E. Coli (EPEC, EIEC, EHEC) e Stafilococco; Clostridium, Aeromonas, E. Coli (ETEC), Campylobacter e Vibrio Cholerae sono enterotossici. La Salmonella può essere veicolata dalle uova perché può depositarsi sul guscio (soprattutto se le uova non vengono sottoposte a corrette misure igienico-sanitarie, come quando le si acquista direttamente dall’allevatore) e passare all’interno perché il guscio è poroso, inoltre alcuni studiosi hanno ipotizzato che il lavaggio del guscio possa facilitare la penetrazione. Tra i protozoi, microrganismi che spesso infettano gli immunodepressi e in loro danno quadri patologici anche gravi, si devono ricordare la Giardia e l’Entamoeba Histolytica. Inoltre si deve considerare anche che infezioni dell’apparato respiratorio, otite media, infezioni delle vie urinarie e meningiti si possono accompagnare a diarrea acuta. Le cause metaboliche sono rare e possono essere dovute a malassorbimento di carboidrati, lipidi o proteine. Sono invece frequenti le cause alimentari, che possono essere mediate da meccanismi immunologici, tossici, da assunzione di additivi non assorbibili (sorbitolo) o da accumulo di amine vasoattive.

La TERAPIA fondamentale è la reidratazione, dato che spesso la causa eziologica della diarrea non necessita di terapia, anche nel caso dei batteri (fatta eccezione per alcuni casi particolari, come la Shigella). La terapia a domicilio si fa quando le condizioni generali non sono troppo gravi, in caso di disidratazione lieve o moderata, se il bimbo riesce ad assumere o trattenere i liquidi (le soluzioni reidratanti fino a qualche anno fa avevano una pessima palatabilità: per ovviare all’eventualità del vomito successivo all’assunzione di idratanti si deve far bere poco alla volta, orientativamente 1 cucchiaio ogni 3 minuti, così da far trattenere meglio i liquidi, e la soluzione viene meglio assunta quanto più è fresca. In caso di vomito grave si associa un

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antiemetico come lo Zofran, la cui molecola è ondansetron), in assenza di sintomi collaterali gravi (febbre elevata persistente o segni neurologici), assenza di segni chirurgici, età non critica (definita tale dopo i 6 mesi di vita) e condizioni socio-ambientali non troppo basse. Se il medico viene contattato al telefono, per motivi clinici e anche medico-legali non si potrà porre una diagnosi esatta, ciononostante verranno richiesti dei pareri o delle terapie, per cui è bene prestare attenzione ad alcuni campanelli d’allerta: età inferiore a 1 anno, evacuazioni liquide in numero maggiore di 4-5 volte, durata della diarrea superiore a 3 giorni, idratazione del bambino e se beve o meno, associazione di febbre o vomito o perdita di peso, scadimento delle condizioni generali oppure obnubilamento del sensorio. La positività a queste condizioni fa candidare il bimbo al ricovero ospedaliero e se ci sono almeno 3 criteri positivi il bimbo merita una visita. Quando la diarrea non è una gastroenterite, cioè non è associata al vomito, anche se con perdite cospicue, è possibile reidratare il bambino per via orale, se la diarrea è associata al vomito è necessario accedere alla via parenterale. L’ESPGAN (Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica) ha stabilito dei criteri a cui devono obbedire i preparati di soluzioni idriche ed elettrolitiche che si usano per la via orale: per una corretta esecuzione della terapia reidratante endovenosa è necessario calcolare la quantità di liquidi e di elettroliti da somministrare più accuratamente che per la terapia orale, essendo più elevato il rischio di interferire con i meccanismi omeostatici dell’organismo. Il calcolo dei liquidi da infondere nelle 24 ore si basa sul peso: fino a 10 kg si somministrano 100 ml/kg, da 10 a 20 kg si somministrano 1000 ml + 50 ml per ogni kg oltre i 10 kg, oltre i 20 kg si somministrano 1500 ml + 20 ml per ogni kg oltre i 20 kg. Bisogna evitare una reidratazione troppo rapida o eccessiva (per contrastare il rischio di edemi periferici, sovraccarico cardiaco, edema cerebrale), l’utilizzo di soluzioni troppo povere di sodio, anche e soprattutto in caso di disidratazione ipertonica, quando il rischio di edema cerebrale è massimo in corso di reidratazione (la caduta rapida dell’osmolarità extracellulare causa l’ingresso di acqua nelle cellule per gradiente osmotico) e la somministrazione di potassio prima che la diuresi sia ripresa. Nella prima fase si deve puntare al ripristino di un adeguato volume plasmatico entro i primi 60 minuti e, in condizioni di urgenza, si può iniziare anche con la semplice soluzione fisiologica. Solo di rado, in caso di emergenza cardiocircolatoria, è necessario ricorrere a sangue intero o a plasma expanders. Sostituire quanto prima la fisiologica con una soluzione mista, per evitare il rischio di acidosi ipercloremica, poi aggiungere ¼ o ⅓ di glucosata al 5% e bicarbonato di sodio al 7,5% (25-30 ml per ogni 3 litri di soluzione, a meno che il paziente disidratato non abbia anche alcalosi). Somministrare 20-30 ml/kg di questa soluzione entro la prima ora, o il più rapidamente possibile se il paziente è in shock. Se c’è il sospetto clinico di disidratazione ipertonica, di fronte a segni di compromissione circolatoria, è preferibile iniziare con albumina umana al 5%. Successivamente si controllano gli elettroliti plasmatici e l’equilibrio acido-base. Nella seconda fase si somministra entro le prime 8 ore metà dell’intero apporto di liquidi previsto per le prime 24 ore: ⅓ di fisiologica, ⅔ di glucosata al 5%, 20-30 mEq di KCl per ogni litro di soluzione se la diuresi è ripresa. Nella terza fase avviene il completamento della reidratazione nelle 24 ore e bisogna valutare di nuovo i parametri umorali e modificare di conseguenza il piano terapeutico. La terapia antibiotica è necessaria in caso di eziologia da Campylobacter (contro il quale sarebbe richiesta l’eritromicina o, meglio, la claritromicina, che evita la possibilità di sviluppare stenosi ipertrofica del piloro), in caso di eziologia da Salmonella si richiede terapia antibiotica solo nei soggetti a rischio (nel qual caso si possono somministrare ampicillina, trimetoprim-sulfametossazolo [bactrim] o cloramfenicolo), nel caso di eziologia da Shigella si fa sempre terapia (sono utilizzati ampicillina o bactrim), in caso di E. Coli solo alcuni soggetti beneficiano di trattamento (e in quel caso fanno bactrim): la cosa da ricordare è che sono sempre necessari la coprocoltura e l’antibiogramma. La terapia con probiotici ha il suo razionale nel fatto che i probiotici potenziano l’azione della microflora intestinale nello sviluppo del sistema immunitario gastrointestinale: i probiotici sono microrganismi vivi che funzionano proprio sulla microflora presente, ne esistono di tanti tipi e sono utilizzati soprattutto in caso di diarrea acuta, ma funzionano solo se c’è effettivamente una microflora che possa stimolare la risposta immunitaria. Il loro utilizzo è consigliato soprattutto se nel probiotico c’è un’elevata carica batterica, se essi sono vitali, se sono antibiotico-resistenti, se non si sviluppano sotto forma di spore nell’intestino, se hanno substrati favorenti la crescita dei microrganismi, se subiscono una bassa inattivazione durante la conservazione, se hanno buona palatabilità e basso costo: è inoltre necessario sapere dopo quanti giorni la carica batterica inizia a ridursi.

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Il trattamento con immunoglobuline per via orale non è più utilizzato, fatta eccezione per i bambini HIV+ che hanno sviluppato infezione da Rotavirus. Le resine come la diosmectite13 sono poco utilizzate in Italia. Il trattamento con tannini14 sono un passo in avanti rispetto alle resine, sono associati ai probiotici e aiutano a ridurre l’infiammazione intestinale. Il racecadotril è un farmaco (in realtà è un profarmaco che, dopo somministrazione orale, viene rapidamente assorbito e idrolizzato nei tessuti periferici nel metabolita attivo, il tiorfano, che diventa responsabile del suo effetto farmacologico) antidiarroico dal meccanismo antisecretorio puro, è un dipeptide sintetico che ha la capacità di inibire l'enkefalinasi periferica: questa inibizione enzimatica determina un potenziamento dell'azione delle enkefaline sul recettore intestinale δ per gli oppioidi. Il blocco della enkefalinasi determina un'attività antidiarroica dovuta ad un aumento dell'attività anti-secretoria propria delle enkefaline, senza alterare il normale tono e la motilità intestinale. L'effetto antidiarroico si espleta per una diminuzione della secrezione di acqua e di elettroliti intestinali, secreti nel lume del tratto digestivo da parte dei plessi mioenterici e submucosali. La rialimentazione precoce può essere utile per bilanciare la perdita di peso, si può iniziare già dopo 6 ore e non necessita di interruzione dell'allattamento, il latte non va diluito perché, in tal modo, si diluiscono anche le calorie che in quel momento sono indispensabili per la terapia: gli idrolisati e le formule si usano solo in caso di allergie alle proteine del latte. Eliminare il lattosio può essere utile nel trattamento, perché il lattosio facilita la diarrea, così come fanno evitati cibi e bevande ricchi di zuccheri semplici. Le cause principali di disidratazione sono vomito e diarrea, ma anche sudorazione eccessiva (come in caso di mucoviscidosi o di un colpo di calore), polipnea, diabete mellito e insipido, insufficienza surrenale o sindrome adreno-genitale con aumentata perdita urinaria di sodio, diminuito apporto di liquidi (condizione che si riscontra soprattutto nell’anziano, ma anche nei bambini neuropatici o maltrattati). Segni di disidratazione sono le mucose asciutte, il ridotto turgore cutaneo, la fontanella anteriore depressa, i globi oculari infossati, l’iperpnea, l’ipotensione e la tachicardia. Le perdite insensibili avvengono attraverso la cute e l’apparato respiratorio e sono influenzate dall’umidità, dalla temperatura dell’ambiente, da quella corporea (la febbre aumenta le perdite insensibili di 7 ml/kg/die per ogni grado di innalzamento al di sopra dei 37°) e dalla frequenza respiratoria. Per questo la terapia della diarrea prevede, oltre a garantire il fabbisogno giornaliero, di reintegrare le perdite, che possono arrivare anche al 20-30% del peso corporeo; inoltre, quanto più il bambino è più piccolo, maggiore è la quantità d’acqua di cui è composto: l’acqua totale alla nascita rappresenta i ⅔, cioè quasi il 70% del peso corporeo, e diminuisce con l’età fino ad arrivare al 45% negli anziani. Se arriviamo ad una perdita del 40-50% del peso, cioè 400-500 ml di liquidi, la terapia che prevede una corretta idratazione deve garantire al bambino circa 2 litri di liquidi al giorno.

13 Silicato di alluminio e magnesio naturale, che non viene assorbito dalla mucosa gastro-intestinale, neanche quando questa è alterata, potendo così interagire efficacemente con le glicoproteine della mucosa e proteggerla dagli stimoli dannosi indotti dall'acidità gastrica o da altri agenti lesivi; le sue proprietà antidiarroiche, invece, sono essenzialmente da ricondurre all'effetto assorbente, necessario a garantire l'assorbimento di acqua dal lumen intestinale, migliorando la consistenza delle feci. La medesima azione rende la diosmectite efficace anche nel legare ed eliminare le tossine presenti nel lumen intestinale, riducendo sensibilmente il potere patogeno esercitato da microrganismi di varia natura. 14 Sostanze polifenoliche sintetizzate nelle piante a livello della corteccia, il cui ruolo biologico è quello della difesa, infatti la loro espressione si ha in corrispondenza dei punti di lesione di foglie o altre parti della pianta a seguito di un attacco dei predatori. Lo scopo è quello di rendere meno gradevole e appetibile la pianta stessa.