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1 Parte II Capitolo 1 I luoghi del dirigere. Leadership ed evoluzione del modello organizzativo nelle Pubbliche Amministrazioni di Antonio Cocozza Introduzione In questo saggio diamo conto dei risultati della ricerca sui Luoghi di vitalità dirigenziale, realizzata nel periodo novembre 2001 - febbraio 2002, nell’ambito di un’indagine più generale sui temi delle “Riforme amministrative e ruolo del dirigente: “mercato” delle competenze e fattori di successo”, promossa dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Le variabili qui analizzate si propongono di prendere in esame quelle “realtà plurali” che, in questi ultimi anni, hanno maggiormente operato in una logica di innovazione strategica, organizzativa e gestionale, attraverso la definizione (e la

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Parte II

Capitolo 1 I luoghi del dirigere. Leadership ed evoluzione del modello organizzativo nelle Pubbliche Amministrazioni

di Antonio Cocozza

Introduzione In questo saggio diamo conto dei risultati della ricerca sui Luoghi di vitalità

dirigenziale, realizzata nel periodo novembre 2001 - febbraio 2002, nell’ambito di

un’indagine più generale sui temi delle “Riforme amministrative e ruolo del dirigente:

“mercato” delle competenze e fattori di successo”, promossa dalla Scuola Superiore

della Pubblica Amministrazione.

Le variabili qui analizzate si propongono di prendere in esame quelle “realtà

plurali” che, in questi ultimi anni, hanno maggiormente operato in una logica di

innovazione strategica, organizzativa e gestionale, attraverso la definizione (e la

2

pianificazione) di un “progetto mirato di cambiamento” dell’insieme

dell’amministrazione.

Questo tipo di scelta, ovvero la necessità di poter disporre di un “Progetto” è da

ricondurre ad un riscontro empirico messo in luce da una recente indagine dell’OCSE 1,

che è stato recepito come “assunto sociologico di base” nell’ipotesi di ricerca, secondo

il quale si ritiene che si possano riscontrare “inevitabili criticità” nel processo di

implementazione delle riforme nelle pubbliche amministrazioni, nella fase trasferimento

operativo e di concreta “messa in opera” dei cambiamenti.

In questa indagine si sostiene infatti che la sfida attuale che molte

amministrazioni pubbliche si trovano ad affrontare non è più data dall’interrogativo “se

cambiare”, ma l’accento è ormai sul “come cambiare”, in modo da migliorare l’efficacia

dell’amministrazione e la competitività del Paese.

Tali criticità chiamano in causa il ruolo del dirigente pubblico, quale attore

fondamentale per una gestione efficace dei cambiamenti, e si presentano come una serie

di “nodi critici”, che danno luogo a loro volta ad un mutamento oltreché politico e

amministrativo, di tipo culturale, organizzativo, gestionale e relazionale.

In questo senso, nella scelta del “campo d’indagine” si è inteso prestare una

particolare attenzione verso i luoghi vitali 2 di quelle amministrazioni che hanno

intrapreso (o già esteso e consolidato) un percorso di gestione del cambiamento,

“adottando” e “adattando” strumenti di pianificazione e tecniche di gestione ascrivibili,

in una classificazione tradizionale, nell’ambito di una cultura organizzativa di tipo

manageriale.

Si è proceduto, quindi, all’individuazione di tre amministrazioni, che

rispondessero ad alcuni “criteri strutturali” ritenuti particolarmente significativi ed

esplicativi per questo tipo di ricerca e cioè: presidio di funzioni vitali per la comunità

nazionale; erogazione di servizi d’importanza strategica; ruolo fondamentale svolto

dall’amministrazione, rispetto da altre amministrazioni, nel processo complessivo di

implementazione della riforma delle pubbliche amministrazioni italiane.

1 Si veda OECD, Cultural Change in Government: Promoting a high-performance culture. Public Management Service, 4 october 2002. 2 Per un approfondimento del concetto di “mondo vitale”, come libera espressione della soggettività individuale e associata (di piccoli gruppi), quale modalità necessaria, nelle società complesse, allo sviluppo di un’effettiva capacità di innovazione e di progettualità sociale, in opposizione/integrazione al concetto di sistema sociale fortemente istituzionalizzato e paralizzante, si veda A. Ardigò, Crisi di governabilità e mondi vitali, Cappelli, Bologna, 1980.

3

In base a questa logica, le amministrazioni nelle quali si è svolta l’indagine sono

state: Ministero dell’Economia e delle Finanze; Ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca; Inps.

Si tratta di quei contesti organizzativi, dove l’esercizio delle funzioni

dirigenziali, al di là dei fattori soggettivi, ha prodotto azioni e programmi d’intervento

organizzativo (avviati e/o conclusi) tesi a:

a)migliorare il “clima organizzativo e relazionale”, incidendo sulla motivazione

dei collaboratori, mobilitando le risorse potenziali o nascoste dell’organizzazione;

b)intervenire sui livelli complessivi di efficacia e di efficienza

dell’amministrazione.

In linea con questa impostazione metodologica, per le ragioni sopra esposte, ci si

è proposto di realizzare un’analisi qualitativa di uno specifico “oggetto di ricerca”: Le

diverse tipologie di leadership in relazione alle possibili interazioni esistenti tra due

differenti tipologie di variabili, denominate come variabili istituzionali e variabili

organizzative, ritenute particolarmente esplicative del ruolo del dirigente, in questo

specifico contesto organizzativo.

La prima tipologia si connota per le seguenti caratteristiche “istituzionali”:

a)consapevolezza diffusa dell’importanza della mission affidata

all’amministrazione e alla struttura;

b) le culture professionali in essa presenti;

a)il capitale culturale ottenuto dall’investimento formativo (iniziale o

consolidato) realizzato negli ultimi anni.

Alla seconda tipologia appartengono, invece, determinati “comportamenti

organizzativi virtuosi ” del dirigente, che rappresentano una modalità innovativa di

pratica e di sviluppo di uno stile di leadership più adeguato ed efficace, capace di:

a)stimolare una competitività positiva, fra le strutture (Dipartimenti, Servizi,

Uffici) e fra i collaboratori;

b)promuovere la spinta all’autorealizzazione;

c)sviluppare una leadership partecipativa;

d)creare un clima organizzativo sereno e incentivante.

Nella realizzazione dell’indagine sono state adottate due diverse tipologie di

strumenti investigativi: la ricerca documentale e la ricerca empirica.

La ricerca documentale ha permesso di elaborare i primi due capitoli depresente

saggio, prendendo in esame due diverse fonti: le principali pubblicazioni e gli studi

4

condotti su questa materia dagli studiosi più importanti, in un’ottica interdisciplinare

negli ultimi tre anni; informazioni dirette, acquisite ad hoc per questa ricerca e studi

realizzati da altri in merito all’evoluzione dei modelli organizzativi delle tre

amministrazioni esaminate.

La ricerca empirica di tipo qualitativa è stata condotta, nel 2002, in alcune

“situazioni campione”, individuate nell’ambito delle tre amministrazioni interessate.

Dal punto di vista metodologico e degli strumenti d’indagine utilizzati, sono

state effettuate 12 interviste semi strutturate a dirigenti testimoni privilegiati, posti in

“posizioni organizzative chiave” nelle amministrazioni esaminate e sei sessioni di

“osservazione partecipante”

I risultati emersi dall’elaborazione delle informazioni raccolte e la relativa

attività di content analysis, i cui contenuti sono indicati nel terzo capitolo, possono

rappresentare un valido contributo per l’individuazione di possibili interventi di

miglioramento in alcune aree dell’azione organizzativa del dirigente, in uno scenario

politico-amministrativo in continua evoluzione.

Ringraziamenti

La ricerca si è potuta realizzare solo grazie alla piena disponibilità dimostrata dai

dirigenti del Ministero dell’Economia, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e

della Ricerca e dell’Inps, sia nella realizzazione delle interviste, sia nell’aver concesso

alle ricercatrici di poter svolgere “l’osservazione partecipante, attraverso la presenza ad

una riunione interna, di carattere organizzativo.

La raccolta delle informazioni, la sua elaborazione e la relativa attività di content

analysis è stata realizzata con il prezioso contributo delle ricercatrici Maria Valentina

Giardina (giurista), Concetta Mercurio (sociologa del lavoro e dell’organizzazione) e

Sabrina Nulli (psicologa del lavoro e dell’organizzazione).

1.1. Le politiche di riforma delle pubbliche amministrazioni e

il ruolo del dirigente Appare opportuno partire dalla considerazione che gli obiettivi contenuti nelle

politiche di riforma delle pubbliche amministrazioni, avviate a partire degli anni ’90 del

secolo appena trascorso (e di cui si riferisce in altra parte di questo volume) in

definitiva, erano - e sono - ambiziosi; richiedono però un “salto di qualità”: l’evoluzione

da un modello (culturale, organizzativo , relazionale) ad un altro modello.

5

Si tratta, dunque, a nostro avviso, di passare da un modello di tipo burocratico ad

un modello telocratico (dal greco telos, insieme di strumenti per il raggiungimento di un

fine/obiettivo) 3.

Uno schema di analisi organizzativa ispirato alla classica bipolarizzazione di

modelli teorici (solidarietà meccanica – solidarietà organica), già elaborata da

Durkheim4 e costruito sulla base di quanto indicato sia negli studi realizzati per

l’individuazione di un nuovo paradigma di management aziendale più partecipativo,

nell’ambito della ricerca-intervento relativa al progetto “Glacier” 5, sia sulla base di

quanto indicato da Butera in studi più recenti 6.

Allo scopo di favorire una maggiore comprensione di tale fenomeno, abbiamo

individuato gli elementi organizzativi, che riteniamo possano caratterizzare e

distinguere il passaggio dal modello burocratico al modello telocratico e sono stati

riportati nella tabella 1.

Tabella 1

L’EVOLUZIONE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI DAL MODELLO

BUROCRATICO AL MODELLO TELOCRATICO

ELEMENTI ORGANIZZATIVI

MODELLO BUROCRATICO MODELLO TELOCRATICO

1. Ambiente di riferimento prevedibile Turbolento

2. Strategia atti amministrativi conservazione/mantenimento nicchia

obiettivi evolutiva/innovativa personalizzazione/qualità

3 Per una disamina più approfondita dell’evoluzione della cultura e dei modelli organizzativi nelle pubbliche amministrazioni e la formulazione di questo schema di analisi, si veda A. Cocozza, “Oltre l’ordinaria amministrazione. gestione delle risorse umane e relazioni sindacali nei processi di trasformazione delle pubbliche amministrazioni.”, Industria e Sindacato,n.10, 1997, pagg 13-20; Idem, “Management e innovazione nelle Pubbliche amministrazioni”, INPS - Sistema previdenza, n.179, 1997, pagg.3-5. 4 E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, E. Comunità, Milano, 1962. 5 Si vedano in particolare gli studi di Burns T., Stalker G., Direzione aziendale e innovazione, Franco Angeli, Milano, 1974. 6 Butera F., Dalle occupazioni industriali alle nuove professioni. Tendenze, paradigmi e metodi per l'analisi e la progettazione di aree professionali emergenti, Franco Angeli, Milano, 1987; Idem, L'industria, in D. De Masi, A.Bonzanini (a cura di), Trattato di sociologia del lavoro e dell'organizzazione, Volume II, L'industria, Franco Angeli, Milano, 1988; Idem, L'orologio e l'organismo. Il cambiamento organizzativo nella grande impresa in Italia, Franco Angeli, Milano, 1988; Idem, Il castello e la rete. Impresa, organizzazioni e professioni nell'Europa degli anni '90,Franco Angeli, Milano, 1990.

6

3. Struttura piramide accentrata rigida compartimenti stagni

a rete decentrata flessibile circolarità/feedback

4. Sistema decisionale scarsa responsabilità scarsa delega poco tempestivo

responsabilità sugli obiettivi delega per competenza tempestività

5. Leadership autoritaria/laissez faire burocratica adattiva

partecipativa innovativa professionale

6. Sistema di relazioni sindacali

consociativo corporativismo

partecipativo obiettivi condivisi

Fonte: Cocozza 1997

Se questa è la sfida posta dalle politiche di riforma, occorre sottolineare che i

mutamenti organizzativi e culturali, connessi con il raggiungimento di tali obiettivi e

quindi il passaggio da un modello burocratico ad un modello telocratico, anche in linea

teorica, non sono meccanicamente ed omogeneamente trasferibili nelle specifiche realtà

delle diverse Pubbliche Amministrazioni in forza della sola norma legislativa

innovativa.

Non si può pensare di attuare il cambiamento attraverso la sola definizione di un

nuovo quadro normativo: la capacità della norma legislativa, ancorchè innovativa, di

indurre i mutamenti necessari nella cultura organizzativa e nei comportamenti

professionali, non è sufficiente allo scopo. A questo proposito è utile richiamare ed

evidenziare l’estrema varietà di situazioni e contesti (organizzativi, culturali e

relazionali) presenti non solo fra i Ministeri ma anche nell’ambito di una stessa struttura

ministeriale: la Pubblica amministrazione è costituita da realtà diverse e specifiche, per

questo non può essere analizzata al “singolare” ma al “plurale”, con categorie

interpretative riconducibili alla “unitarietà” e non alla ”unicità”, al ”decentramento”

piuttosto che alla sola “verticalizzazione burocratica” e alla “autonomia” invece che alla

“subordinazione gerarchica”.

Infatti, salvo alcune eccezioni, non sempre questi ambiziosi obiettivi sono stati

coerentemente perseguiti ed efficacemente realizzati, soprattutto perché nella fase di

implementazione delle riforme in molte Amministrazioni si sono incontrate rigidità,

resistenze al cambiamento e tendenze a conservare posizioni di potere, piccoli privilegi

e rendite acquisite nel sistema burocratico precedente.

7

In questo quadro va inserito lo stesso D.Lgs.n. 300/99 sulla riforma

dell’organizzazione del Governo che ridisegna la nuova geografia dei ministeri

riducendone il numero allo scopo di eliminare le duplicazioni e creare organismi più

coesi che possano tradurre meglio e più efficacemente la politica generale del Governo.

Anche questa riorganizzazione presenta non poche difficoltà nella fase di

implementazione, poiché per essere efficacemente attuata sono necessari interventi a

sostegno tesi a conferire una diversa distribuzione del potere organizzativo tra le

strutture, a modificare ruoli professionali e personali e ad attribuire attività e compiti in

base alle reali competenze professionali richieste dal nuovo modello organizzativo.

Occorre precisare che la riforma dei Ministeri è strettamente connessa ad un’altra

riforma che costituisce il perno centrale del processo di ammodernamento compiuto con

gli strumenti normativi: la riforma della dirigenza. La prima agisce sul piano strutturale,

la seconda su quello dell’ordinamento professionale.

In quest’ambito di consistenti riforme amministrative un ruolo importante e

significativo è conferito ai dirigenti, che diventano il cuore pulsante dell’intero sistema,

ai quali si chiede di contribuire a costruire una cultura organizzativa e gestionale di tipo

”manageriale”, capace di rispondere adeguatamente alle sfide poste dal nuovo scenario

economico, politico, sociale e professionale.

La scelta del modello manageriale comporta un nuovo stile di direzione che

richiede:

a) la preventiva determinazione da parte degli organi politici dei programmi,

degli obiettivi e delle priorità;

b) l’assegnazione delle risorse finanziarie, strumentali ed umane, adeguate agli

obiettivi assegnati;

c) la predeterminazione dei parametri di valutazione dei risultati con riferimento

agli obiettivi programmati.

A tale proposito si parla di passaggio dalla cultura della norma alla cultura del

risultato, o di un nuovo modo di concepire la norma come strumentale al perseguimento

degli obiettivi dell’Amministrazione 7.

Perché se è vero che, nell’amministrazione tradizionale, ai dirigenti veniva

chiesto di garantire il rispetto della legge e di esprimere una competenza essenzialmente

normativa e procedimentale, adesso, in questa nuova fase espansiva

7 Si veda Cerase P. F., “La nuova dirigenza pubblica”, Carocci, 1999, pag.242. Dell'Aringa C., Della Rocca G., Keller B., Strategic choices in reforming public service employment: an international handbook, Basingstoke, New York, 2001.

8

dell’amministrazione, essi sono chiamati alla piena realizzazione degli obiettivi fissati

dall’autorità politica nella direzione di un’azione amministrativa orientata al

perseguimento degli interessi pubblici con efficacia, efficienza ed economicità.

Pienamente condivisibile è l’affermazione di nuovi poteri e nuove competenze in

favore dei dirigenti, come pure l’innesto di istituti amministrativi ispirati alla logica

manageriale ed efficientista con l’obiettivo di sviluppare concretamente una

responsabilità da risultato. Tuttavia, affinché il processo di “riconfigurazione” avanzi e

si sviluppi, è necessario che si modifichino anche le logiche di azione degli attori

dell’azione amministrativa, le loro scelte, culture, valori.

In sostanza, i cambiamenti introdotti con interventi normativi si presentano più

come uno spazio da esplorare che un insieme di norme da applicare; di qui l’importanza

di indagare sulle capacità di ciascun dirigente di interpretare e sostenere il cambiamento

poiché è su tali potenzialità che si giocano realmente le opportunità di innovazione.

Il cambiamento attiene, sostanzialmente, alla necessità di una ridefinizione della

professionalità dirigenziale, tale da indurre i nuovi dirigenti ad una sempre più

consapevole responsabilizzazione delle conseguenze del loro agire.

Le maggiori sfide professionali richieste ai dirigenti vengono proprio dalla

capacità di gestire il processo di cambiamento, cioè come condurre il mutamento.

Il governo di questi cambiamenti presuppone infatti la costruzione di

un’adeguata “cultura professionale” orientata al raggiungimento di risultati, tale da

permettere la graduale trasformazione dell’attuale modello organizzativo, molto spesso

ancora ispirato alla tradizione “burocratica” 8.

Si comprende allora come cruciale diventi la determinazione di una dirigenza in

grado di gestire il cambiamento, di sviluppare nuove competenze strategiche, non solo

all’interno dell’amministrazione (procedura e gestione) ma anche all’esterno, per

cogliere e gestire le esigenze di contesto, di misurarsi con gli imprevisti e gli scarti

improvvisi della società che cambia.

In altri termini, “ai politici spetterebbe la valutazione e l’individuazione degli

interessi meritevoli di tutela, il loro contemperamento e la loro sintesi politica”, mentre

“ai dirigenti dovrebbe competere la scelta degli strumenti tecnici per realizzare gli

obiettivi, l’esercizio dei poteri di gestione e l’adozione degli atti o provvedimenti

necessari per l’impiego ottimale delle diverse risorse organizzative” 9.

8 Cocozza A., op.cit., pag. 26.

9

1.2. Il quadro teorico e istituzionale 1.2.1. La leadership e il cambiamento organizzativo

In questo primo paragrafo si intende esaminare le principali interazioni esistenti

tra il nuovo quadro istituzionale ed amministrativo, il ruolo manageriale richiesto al

dirigente e la definizione di una leadership efficace nella gestione dei cambiamenti

organizzativi e dei processi di trasformazione delle Pubbliche Amministrazioni. Nei

paragrafi successivi saranno invece passati in rassegna i principali riferimenti teorici che

possono spiegare e supportare scientificamente le ipotesi di ricerca che hanno orientato

sia l’attività d’indagine documentale, sia la successiva “ricerca sul campo”. La riforma

della dirigenza statale si inserisce in uno scenario di grandi trasformazioni strutturali

delle Pubbliche Amministrazioni, che incontrano nella concreta “messa in opera” delle

riforme la presenza di “inevitabili criticità”, risolvibili necessariamente solo attraverso

l’attivazione di un “progetto di cambiamento mirato”.

A questo scopo, come già anticipato nell’introduzione, riteniamo utile richiamare

un importante studio dell’OCSE sui processi di cambiamento nelle Pubbliche

Amministrazioni dei Paesi tecnologicamente più avanzati, in cui si evidenziano appunto

“inevitabili criticità” da affrontare 10.

In questa indagine si sostiene infatti che la sfida attuale che molte

amministrazioni pubbliche si trovano ad affrontare non è più data dall’interrogativo “se

cambiare”, ma l’accento è ormai sul “come cambiare”, in modo da migliorare l’efficacia

dell’amministrazione e la competitività del Paese. È indispensabile una modifica dei

valori fondamentali, delle aspettative e delle culture politiche e gestionali dominanti in

ogni Ente - Amministrazione pubblica. Senza questa evoluzione, le riforme sono

destinate ad essere solo “nominali e di principio”, di carattere superficiale e destinati ad

incidere per nulla o solo nel breve periodo.

In questo processo, un ruolo di primaria importanza è assegnato alla dirigenza

pubblica e alla sua capacità progettuale.

In realtà secondo una ricerca di Jones e Thompson 11 l’implementazione

strategica del New Public Management si può realizzare più efficacemente attraverso il

modello progettuale delle “5R”.

9 Cerase F.P., op.cit., 242. 10 OECD, Cultural Change in Government: Promoting A High-Performance Culture. Public Management Service, 4 October 2002. 11 Jones L.L., Thompson F., L’implementazione strategica del New Public Management, in Azienda Pubblica n. 6, 1997. (Titolo originale The strategic implementation of the New Public Management, edizione it, a cura di Mussari R.).

10

I principi base delle 5R possono essere riassunti in base alla seguente

classificazione: ristrutturare, ovvero eliminare dall’organizzazione tutto quello che non

contribuisce al valore del servizio fornito alla collettività; riprogettare, ossia

riconfigurare le attività piuttosto che adottare soluzioni marginali; reinventare, ovvero

sviluppare nuove modalità di erogazione dei servizi; riallineare, ossia armonizzare

struttura organizzativa e strategia; ed infine; ripensare, accelerando i processi di analisi

e feedback.

Si tratta, dunque, di un modello progettuale capace di far fronte alla sfida posta

dalle riforme e fortemente orientato alla realizzazione di una serie di profondi

cambiamenti politici, strutturali e culturali.

In questo nuovo scenario, al dirigente pubblico è affidato il ruolo di attore

fondamentale per una gestione efficace del cambiamento e gli viene richiesto un nuovo

profilo manageriale, la cui valutazione è basata su due aggregati di variabili

fondamentali:

a)le competenze organizzative, cioè la capacità di attivare comportamenti

dirigenziali tesi a realizzare un’adeguata ed efficace combinazione delle risorse umane,

professionali, tecnologiche e finanziarie (in una logica di mix ottimale);

b)le prestazioni, cioè la capacità di trasformazione degli obiettivi ricevuti dal

vertice politico in risultati (amministrativi e gestionali) attraverso la propria attività di

direzione (che si dovrebbe articolare nelle attività di progettazione, pianificazione,

programmazione, controllo, monitoraggio e valutazione), così come verificate dal

sistema di controllo di gestione.

Si tratta, dunque, di costruire una cultura gestionale orientata al raggiungimento

di risultati e come viene ben evidenziato in una recente ricerca dell’OCSE, in questa

sfida si presentano due tipologie di problemi da affrontare: la misurazione della

performance e l’attribuzione dei risultati (così misurati), da rapportare al relativo

sistema premiante. In questa logica, una corretta politica gestionale richiede

l’allineamento di programmi e strutture ed un efficace (quanto imprescindibile)

coordinamento tra il livello politico e quello amministrativo.

In questo quadro, la creazione delle condizioni di “sostegno alla riforma” e la

costruzione di un’adeguata cultura manageriale del dirigente pubblico diventa una

politica e un’attività propedeutica fondamentale, poiché come ha notato Schick in uno

11

studio per il Governo Neo Zelandese 12, considerato un esempio da seguire per molti

Paesi europei: il processo di modernizzazione della pubblica amministrazione è un

processo continuo e inarrestabile.

A questo riguardo è significativo notare come, anche in quella realtà con grande

stupore da parte dello studioso, i più efficaci strumenti di gestione e incentivazione nel

sistema amministrativo siano stati introdotti molto dopo le leggi di riforma (State Sector

Act del 1988 e Public Finance Act del 1989).

Tutto ciò forse contribuisce a dimostrare che le innovazioni dovrebbero essere

fortemente condivise dai diversi attori di vertice presenti nell’amministrazione e

dovrebbero essere introdotte a partire da un adeguato coinvolgimento (informativo e

formativo) dei livelli operativi, poiché questa modalità gestionale spesso rappresenta il

“vero motore” del cambiamento.

In linea con questa impostazione, il tipo di leadership richiesto al dirigente

pubblico dovrà essere congruente con il nuovo assetto strutturale e culturale prospettato

dalle riforme e, inoltre, in questa fase di transizione, avere quelle capacità manageriali

che gli consentano di far fronte adeguatamente alle sfide di trasformazione indotte dalle

politiche di riforma. In quest’ambito, come abbiamo già visto, la gestione efficace dei

cambiamenti tende a dar luogo ad una vera e propria evoluzione, che permette il

passaggio da un modello organizzativo burocratico ad un modello teocratico. Tale

capacità gestionale si configura come un “un processo strategico” 13 sia perché tende ad

attivare un mutamento qualitativo che richiede, per compiersi, un arco di riferimento

temporale medio-lungo, sia perché le variabili e gli attori che entrano a far parte della

dinamica di trasformazione (consapevolmente o inconsapevolmente) finiscono con

l’essere fortemente (e necessariamente) interrelati tra loro. Come ha sostenuto

efficacemente Crozier, non è più la sola razionalità burocratica a condizionare i

comportamenti dei soggetti (individuali e istituzionali), ma le strategie e le azioni poste

in essere dai diversi attori e quelle dell’istituzione si confrontano direttamente tra loro

come in un’arena.

In altri termini, tale mutamento tende a favorire l’affermazione di un vero e

proprio nuovo paradigma di tipo culturale, organizzativo e gestionale, ma anche

professionale e relazionale.

12 Schick A., The spirit of reform: Managing the New Zealand State Sector in a time of change. A report prepared for the State service Commission and The Treasury, New Zealand, 1996. 13 Per processo si intende lo svolgimento (e l’interazione) nel tempo di un insieme di eventi che hanno tra loro una forte connessione sistemica e che al modificarsi danno luogo ad una considerevole evoluzione del quadro d’insieme.

12

Infatti in questo nuovo scenario, mentre nel modello burocratico si registra una

leadership che può oscillare da una tipologia autoritaria a quella laissez faire, o

assumere una modalità burocratica e/o adattiva; nel modello telocratico la leadership

risulta efficace se sa essere partecipativa (fa leva sul coinvolgimento e sulla

responsabilizzazione dei collaboratori), innovativa (è orientata alla qualità e alla

personalizzazione dei servizi forniti al cittadino e alla collettività) e professionale (basa

la sua azione sulla valorizzazione e lo sviluppo delle competenze proprie e dei suoi

collaboratori, attraverso la realizzazione di progetti formativi mirati e la definizione di

percorsi di carriera).

1.2.2. L'evoluzione del concetto di leadership

Negli anni quaranta, presso l’Ohio State University, fu fatta un importante

ricerca sugli stili di leadership, evidenziandone il carattere multidimensionale. A seguito

di questo studio ve ne furono altri, in particolare quelli di Blake e Mouton 14 che negli

anni sessanta hanno elaborato la Griglia Manageriale con la quale hanno evidenziato

che dalla combinazione di orientamenti fondamentali quali l'orientamento al compito

(maggiore attenzione del leader alla produzione), e l'orientamento alla relazione

(maggiore attenzione alle persone), derivano stili di leadership diversi.

Secondo un approccio situazionale la leadership deve, in qualche modo, adattarsi

alle situazioni contingenti e i requisiti richiesti al manager sono legati alla capacità di

diagnosi, indispensabile per comprendere le situazioni, coglierne specificità e quindi

scegliere lo stile da seguire.

Tra le teorie situazionali più note c'è la life-cycle theory di Hersey e Blanchard

che focalizza l'attenzione sulle capacità dei collaboratori rispetto alle quali il leader deve

adattare il proprio stile 15:

-stile prescrittivo: forte direttività e bassa relazione nello stabilire ruoli e compiti

e modalità di svolgimento; adatto nel caso in cui i collaboratori hanno scarsa

competenza ed esprimono insicurezza rispetto al compito da svolgere;

-stile di vendita: il leader ha un comportamento sia direttivito che relazionale, di

sostegno; adatto nel caso in cui i collaboratori non sono profesionalizzati ma al

contempo hanno fiducia in loro stessi;

14 Blake B.R., Mouton J., Gli stili di direzione, Etas, 1970. 15 Si veda Hersey P, Blanchard K, Leadership istituzionale, Sperling & Kupfer, 1984.

13

-stile coinvolgente: di tipo supportivo, centrato sulle relazioni, capace di

coinvolgere; adatto per collaboratori che hanno capacità sviluppate ma sono insicuri o

poco motivati;

-stile delegante: il comportamento del leader sarà poco direttivo e poco

relazionale, anche se individua i problemi, delega pienamente la responsabilità di gestire

l'obiettivo affidato; questo stile è adatto quando i collaboratori sono competenti ed

autonomi.

Lo stile di leadership così concettualizzato dovrà mantenere una flessibilità

dinamica, in grado di adattarsi, rispetto all'evoluzione nel tempo, delle caratteristiche e

delle competenze dei collaboratori.

Teorie successsive superano l'approccio situazionale introducendo la capacità del

leader di essere oltrechè adattivo, anche proattivo, ossia in grado di gestire e

determinare i cambiamenti.

Rispetto alla variabile del cambiamento, Bass individua due tipi di leadeship:

transazionale e trasformazionale 16.

La leadership transazionale è fondata sugli scambi tra leader e collaboratore in

un'ottica a breve termine, ossia nel coinvolgimento degli individui nel raggiungimento

di risultati immediati senza stimolare comportamenti di tipo strategico nel lungo

periodo. Si utilizzano strumenti quali la "ricompensa contingente" per aumentare il

livello della prestazione e della motivazione dei collaboratori; il leader così orientato,

tende al mantenimento delle situazioni esistenti pur cercando di migliorarle.

La leadership trasformazionale, invece, è orientata al cambiamento,

coinvolgendo i collaboratori, stimolandone l'automotivazione, attraverso il consenso e la

partecipazione nel raggiungimento di obiettivi. La motivazione degli individui nasce

dalla consapevolezza di riuscire a contribuire in modo personale al raggiungimento di

risultati raggiunti per manifestate competenze. Lo stile di questo tipo di leadership ruota

intorno a tre caratteristiche: il carisma, l'attenzione alle differenze, la stimolazione

intellettuale. Per carisma si può intendere la “capacità di ispiration” attraverso la quale

il leader riesce a interpretare i dati di realtà entro una visione ampia, ad attribuire

significati, a cogliere segnali deboli e soprattutto a rendere questo patrimonio condiviso

con i propri collaboratori, che a loro volta provano un sentimento di profonda

identificazione con il modo di vedere le cose loro proposte. L'attenzione alle differenze

invece consiste nella capacità del leader di utilizzare il potenziale dei collaboratori, di

16 Bass B.M., Psicologia e guida degli uomini nelle organizzazioni, Franco Angeli, 1975.

14

sviluppare l'apprendimento professionale e di conciliare i bisogni degli individui con gli

obiettivi dell'organizzazione. Infine, la stimolazione intellettuale, si riferisce alla

capacità del leader di essere creativo e di stimolare la creatività delle persone nella

ricerca di soluzioni innovative ai problemi (capacità problem solving).

La leadership transazionale agisce sugli schemi cognitivi degli individui e del

gruppo, promuovendo il cambiamento attraverso una lettura assertiva delle situazioni

esistenti, che vanno vissute non come vincoli ma come stimoli per la crescita e la

valorizzazione delle risorse a disposizione sia interne (risorse umane, tecnologiche,

economiche) che esterne (ambiente, mercato).

Questo tipo di stile è molto vicino al più attuale concetto di empowerment. In

accordo con Rappaport 17, possiamo definire il concetto di empowerment come “la

capacità di accrescere le possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare attivamente la

propria vita”, e ancora, secondo quanto indicato da Zimmermann un “senso di

padronanza e controllo su ciò che riguarda la propria esistenza”. Tale concetto è

connesso a quello di potere, ridefinendo nel rapporto capo-collaboratore un tipo di

relazione fondata sullo scambio e sulla collaborazione piuttosto che sulla gerarchia.

Una empowering leadership, favorisce la reintegrazione dei processi lavorativi

evitando la frammentazione dei processi decisionali, tipica delle organizzazioni

burocratiche, e riduce la contrapposizione conflittuale tra gli individui e

l’organizzazione.

Il leader efficace, quindi, oltre ad avere determinate capacità relazionali deve

conoscere l’organizzazione e le sue logiche di azione, per interpretarne i valori

innovativi cercando di mediare con le diverse culture dei gruppi e degli individui.

Nel nuovo scenario politico, economico e sociale, come sostengono anche

Romani e Metsch, in un loro interessante volume dal titolo Dirigere diversamente. I

cinque riflessi del leader, il ritmo della vita privata e lavorativa è oggi enormemente

accelerato, l'ambiente è imprevedibile, i cambiamenti organizzativi e tecnologici sono

estremamente frequenti e pervasivi, le parole e i gesti stessi hanno perso i loro

significati tradizionali: abbiamo così l'obbligo di costruire nuovi riflessi.

In questa logica, dunque, dirigere diversamente significa sempre più acquisire

una “nuova consapevolezza” verso una leadership tendenzialmente più partecipativa,

che chiede di:

17 Rappaport J., In praise of paradox: a social policy of empowerment ever prevention, in American Journal of Community, 9/1981, 1-26.

15

- ascoltare (prima di parlare) per informarsi;

- sentire (prima di giudicare) e valutare;

- comprendere.(prima di spiegare) e decidere;

- accogliere (prima di resistere) e informare;

- addestrare gli altri e allenare se stessi.

Ma soprattutto induce ad accettare e a gestire il conflitto (accanto al consenso) e

il disordine (accanto all'ordine).

In linea con questa impostazione, “buon dirigente” potrà essere, quindi, colui che

tende ad essere anche il leader del gruppo di cui è responsabile, e non il solo capo

ufficio.

Come il direttore d’orchestra, è il leader efficace di un’organizzazione complessa

formata da un numero considerevole di specialisti, che sono sempre più i principali

responsabili dei risultati finali delle performance dell’amministrazione .

L’orchestra come metafora organizzativa nella storia del pensiero organizzativo

è stata utilizzata più volte, e all’inizio degli anni novanta Drucker (un importante

studioso di management strategico) ha sostenuto che le modalità organizzative delle

aziende innovative del futuro assomiglieranno sempre meno a quelle della tradizione

industriale e sempre più al modello rappresentato dall'orchestra sinfonica 18. Pur

ricordando che esistono diversi modelli di orchestra (sinfonica, moderna, da camera,

jazz), che danno luogo a differenti modalità organizzative, è utile sottolineare, in primo

luogo, come fatto significativo, che in questa tipologia organizzativa non esistono figure

gerarchiche intermedie rigidamente strutturate.

Il singolo musicista (specialista) nell'orchestra sinfonica in genere si rapporta

direttamente con lo spartito e con il direttore, e attraverso diverse fasi poste

(necessariamente) in sequenza tra di loro: studio individuale, concertazione e prove

d'insieme, contribuisce a realizzare il prodotto finale collettivo rappresentato dal

concerto. Nell'orchestra jazz invece, non essendoci un direttore formale, il musicista

improvvisa e segue il ritmo degli altri, quel ritmo che contribuisce direttamente a

determinare.

18 Drucker P., Aspettando l’avvento della nuova organizzazione, Harvard Business Review, mag-giu., 102-112, 1994; Idem, Il grande cambiamento. Imprese e manager nell’età dll’informazione, Sperling & Kupfer, Milano, 1996. Il direttore d’orchestra come leader efficace è analizzato in Cocozza A. “Concertazione, orchestra e ruolo del Direttore. Dalla cultura musicale a quella delle relazioni industriali” Industria & Sindacato, m.6, 1995, 19-15 In realtà la metafora dell’orchestra nella storia del pensiero scientifico è stata utilizzata per primo da Aristotele nel secondo Libro, in cui paragona la dinamica della politica al funzionamento di una orchestra.

16

Questo tipo di creazione-improvvisazione (non si parte da uno spartito

predefinito) da luogo alla famosa Jam session. Questa tipologia ricorda molto alcuni

processi produttivi innovativi altamente imprevedibili e rivolti ad un mercato

turbolento, dove il risultato dipende molto dagli operatori e dalla loro performance.

In tale direzione sembra andare anche Galbraith 19 quando sostiene che: “è del

tutto normale che il tecnico, il progettista o il venditore possono essere più importanti

per l'impresa del loro superiore diretto. Quando si verifica questa situazione, la persona

che si trova ad un livello di autorità superiore non dirige, bensì deve chiedere,

incoraggiare, persuadere e imparare. Un rapporto gerarchico viene ad essere sostituito

da un rapporto di cooperazione”.

Così nell'attuale contesto produttivo ed organizzativo il direttore d'orchestra può

fornire un modello di leadership capace di governare efficacemente organizzazioni

complesse, senza gerarchie intermedie e formate, essenzialmente, da professionisti.

Le caratteristiche di un leader attento a questi aspetti motivazionali, è

identificabile con uno stile partecipativo, una sorta di allenatore (coach) il cui profilo è

dato dalle seguenti quattro capacità 20:

a) la capacità di saper influenzare positivamente i propri collaboratori,

instaurando relazioni collaborative e non conflittuali;

b) la capacità di saper motivarli per il raggiungimento di determinati obiettivi;

c) la capacità di saper comunicare all'interno e all'esterno dell’organizzazione;

d) la capacità di saper diffondere a tutti i livelli dell’organizzazione una"visione

strategica" del cambiamento.

In questa logica evolutiva dei compiti, delle attività e delle competenze

professionali (soprattutto quelle relazionali), il nuovo ruolo del dirigente, come ha

efficacemente sostenuto Sergiovanni, può essere meglio definito, come colui che non

ritiene di poter dirigere i propri collaboratori, in una logica di “marcia trionfale”, ma con

una serie di azioni tendenti a “ concentrarsi a rimuovere gli ostacoli, a procurare

sostegno materiale ed emotivo, a prendersi cura dei dettagli che rendono il cammino più

19 Galbraith J.K., Storia dell’economia. Passato e presente, Rizzoli, Milano, 1998. 20 Per un’analisi del ruolo del leader nelle pubbliche amministrazioni, si veda in particolare Cocozza A., La valorizzazione dei collaboratori nella gestione organizzativa, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Roma, 2002. Per una disamina più approfondita del concetto, si veda Auteri E., Management delle risorse umane. Fondamenti professionali, Guerini e Associati, 1998; Tichy N. M., Devanna M. A., Il leader trasformazionale, Cedam, Padova, 1989; Shein E. H., Cultura d’azienda e leadership. Una prospettiva dinamica, Guerini e Associati, Milano, 1990; Sergiovanni T. J., Moral leadership, San Francisco, 1992; D’Egidio F., Moller C., Visione & Leadership. Per un cambiamento culturale teso all’eccellenza, Angeli, Milano, 1992; Sergiovanni T. J., Leadership for schoolhouse, Jossey-Bass, San Francisco, 1994; Cocozza A., “Modelli di leadership e gestione delle risorse umane”, II

17

facile, a condividere la partecipazione alla marcia ed alla soddisfazione alla fine del

viaggio, ad identificare una meta significativa per il prossimo viaggio” 21.

A conclusione di questa disamina sulla poliedricità del concetto di

leadership, riteniamo utile richiamare quanto è stato elaborato da un importante studioso

come Selznick, soprattutto per quanto attiene ai rischi che sono connessi con il ruolo di

leader di un’istituzione 22.

Egli individua la leadership come attività essenzialmente creativa,

distinguendola così da quella adattiva, e ritiene che svolga quattro funzioni

fondamentali:

a) la definizione della missione e del ruolo istituzionale;

b) l'incorporazione nella struttura sociale dell'organizzazione delle mete da

raggiungere, favorendo lo sviluppo di determinati modi di agire e di pensare;

c) la difesa dell’integrità istituzionale, ridefinendo costantemente gli obiettivi alla

luce dell'esperienza passata dell'organizzazione;

d) la composizione dei conflitti interni, non solo mediando fra gli interessi, ma

tentando di aumentare il consenso necessario al governo dell'organizzazione.

Ma nello svolgere questo delicato compito, la leadership può correre tre rischi

principali: la fuga nella tecnologia, l'opportunismo e l’utopismo. Il primo rischio lo si

corre quando si procede nella gestione dell'organizzazione con una eccessiva fiducia e

attenzione ai mezzi e alle tecnologie, sopravvalutando la loro portata risolutiva, non

esponendosi così a responsabilità, ma assumendo i fini e gli scopi da perseguire come

scontati, o decisi e imposti da un'altra entità esterna. In altri termini, quando si ha una

visione strategica ed organizzativa non sufficientemente autonoma e propositiva, si

corre fortemente il rischio di mettere in campo politiche inefficaci. L'opportunismo

invece si manifesta quando si perseguono nella gestione vantaggi immediati e a breve

termine, sottovalutando o non considerando i principi guida che scaturiscono

dall'identità storica dell'istituzione; così come nell'inseguire le pressioni esterne senza

un disegno strategico coerente con lo sviluppo dell'organizzazione, ovvero quando si

conduce una politica priva di identità convincente. Infine, ci si rifugia nell'utopismo,

quando si ha una eccessiva generalizzazione degli scopi e non si dispone di politiche

precise e coerenti. Ma se in realtà, così come effettivamente succede, s'impone

Corso concorso per dirigenti pubblici, SSPA, Materiale didattico, Roma, 2001. 21 Sergiovanni T.J Moral Leadership, San Francisco, 1992, 10. 22 Si veda Selznick P., Pianificazione regionale e partecipazione democratica. Il caso Tennesse Valley Autority, Angeli, Milano, 1974.

18

comunque la necessità di dover assumere scelte operative, ecco che si può incorrere nel

rischio di attuare decisioni di tipo opportunistico o semplicemente di tipo ideologico.

Queste ultime considerazioni risulteranno essere particolarmente utili ai

dirigenti, nel momento in cui si dovranno individuare i mutamenti da adottare e

predisporre successivamente, nella fase operativa, il Progetto di riorganizzazione e gli

specifici "programmi di azione" nella singola amministrazione. In questo caso, le

indicazioni sui rischi della leadership, qui individuate, potrebbero rappresentare precisi

moniti, ma contemporaneamente le linee guida da osservare con attenzione.

A conclusione di questa disamina sulla leadership, risulta essere di particolare

importanza il riferimento ad uno studio dell’OCSE 23 in cui si mettono in evidenza le

questioni critiche che emergono dall’analisi delle riforme che hanno interessato le

pubbliche amministrazioni dei principali Paesi industrializzati, negli ultimi due decenni.

In particolare ci si interroga su alcune politiche e interventi di fondamentale importanza:

come creare una cultura aperta al cambiamento nel settore pubblico, quali sono gli stili

di leadership necessari a realizzare i processi di riforma, come migliorare il processo di

comunicazione con i cittadini e come evitare i numerosi ostacoli che si incontrano sulla

strada dell’innovazione.

In questa logica un’esperienza significativa è quella descritta da Ingraham 24, che

analizza le attività realizzate nel Government Performance Project implementato negli

Stati Uniti. Il Progetto ha interessato tutti i livelli dell’Amministrazione, attraverso una

prospettiva tendente ad integrare sinergicamente i diversi sistemi di gestione: delle

risorse umane, finanziarie, delle infrastrutture. Anche in questo caso la dirigenza

pubblica ha un ruolo fondamentale ed è al centro del nuovo sistema gestionale, in

quanto si ritiene l’elemento strategico essenziale di ogni pubblica amministrazione

innovativa.

1.2.3.La cultura organizzativa come approccio di analisi organizzativa

Per cultura organizzativa, come è stato indicato da Shein: “s’intende l’insieme

strutturato di assunti di base che ha dimostrato di funzionare sufficientemente bene da

essere considerato valido e utile da trasmettere come modo corretto di percepire,

23 OECD, Government of the future, Paris, 2001. 24 Ingraham P.W., Linking Leadership To Performance In Public Organisations. Paper prepared for the PUMA/HRM Working Party Meeting, 25-26 june 2001.

19

pensare e sentire valori che orientano l’azione degli attori facenti parte

dell’organizzazione” 25.

La prospettiva culturale analizza ed interpreta l'organizzazione come un costrutto

umano, come un insieme di strategie d'azione che orientano le scelte degli individui. Il

comportamento organizzativo, come chiave di lettura, ci consente di individuare le

criticità del cambiamento visto come un processo di apprendimento e quindi di

innovazione culturale. Adottare la prospettiva culturale significa non limitarsi a rilevare

le conformità dei comportamenti degli individui rispetto alle regole formali

dell'organizzazione, ma comprende le ragioni sottostanti a determinate scelte

comportamentali. Dietro un comportamento esiste sempre una strategia.

A questo proposito risulta essere utile ricordare quanto scritto da M. Crozier 26,

sul funzionamento del sistema burocratico e sulle strategie degli attori. Egli riferisce che

le caratteristiche di questo tipo di organizzazione sono:

a) dominio di regole impersonali ed astratte, e conseguente diffusa debolezza

sostanziale della gerarchia;

b) mancanza di contatti organici tra le varie categorie professionali e

conseguente tendenza di queste a divenire dei compartimenti stagni dove la pressione

conformistica dei pari grado sostituisce la pressione gerarchica;

c) mancanza di competizione in termini di competenze professionali e

conseguente prevalere di giudizi interpersonali puramente psicologici e affettivi sul

carattere umano dei colleghi e superiori;

d) diffusa incapacità di mutamento, di adattamento al nuovo.

Questa incapacità non dipende soltanto dall'assenza di poteri legali e di

autonomia tecnica e finanziaria di intervento, ma anche dalla diffusione di una cultura

antitetica al mutamento.

Crozier inoltre, ritiene che un'analisi adeguata della condotta umana nelle

organizzazioni non può che essere un'analisi strategica, cioè indagare sulle strategie

razionali (individuali e collettive) che i soggetti perseguono all'interno

dell'organizzazione. Infatti, così viene descritto il fenomeno burocratico: “in

25 Per un approfondimento di questo concetto, si veda Shein E. H., Cultura d’azienda e leadership, op. cit.. 26 Crozier M., The Bureaucratic Phenomenon, Chicago University Press, Chicago, 1964; trad.it., Il fenomeno burocratico, Etas Kompass, Milano, 1969. A proposito di regolarità di comportamento osservate empiricamente, da assimilare al concetto di "modalità di azione collettiva", cioè a soluzioni contingenti adottate da attori relativamente autonomi, si veda Crozier M., Friedberg E., L’acteur et le sistème. Les contraintes de l’action collective, Editions du Seuil, Paris, 1977, trad. it., Attore sociale e sistema, Etas Kompass, Milano, 1978.

20

un'organizzazione burocratica, dove tutto é prescritto per regolamento, gli interessi

individuali passano attraverso la tutela dei margini di discrezionalità del proprio ruolo.

Il ritualismo del burocrate va visto non tanto come un adattamento passivo alle

pressioni del sistema, quanto come una strategia che il burocrate mette in atto per

difendere la sua libertà d'azione, il suo micropotere di fronte ai superiori e all'utenza.

Ma non esiste soltanto il ritualismo come strategia possibile. Esiste anche il distacco, il

disinteresse, la rinuncia consapevole a partecipare. La non partecipazione é anzi una

delle strategie più diffuse nelle organizzazioni burocratiche: i soggetti valutano che

farsi coinvolgere non vale la pena, che una strategia di fuga dalle responsabilità é

spesso il modo più conveniente per difendere la propria indipendenza”27.

L'organizzazione burocratica é miope, dunque, é un'organizzazione che non arriva a

correggersi in funzione dei suoi errori. Non é in grado di autoriformarsi se non investe

sulle risorse umane, a partire dal suo nucleo centrale, il mutamento organizzativo per

essere efficace deve essere accompagnato e sostenuto da un reale mutamento culturale,

oltreché politico e professionale. Gli individui attraverso il processo di definizione delle

modalità di interazione partecipano alla creazione delle regole dell'organizzazione

mantenendo la possibilità di perseguire fini diversi da quelli dell'organizzazione stessa.

La discrezionalità degli attori all'interno di strutture pre-definite, può generare

divergenze di obiettivi (obiettivi individuali/obiettivi istituzionali). Il superamento della

contrapposizione attore-organizzazione avviene attraverso un processo di

apprendimento, che scaturisce dalla continua interazione degli attori partecipi ad una

collettività. Tale processo rappresenta uno scambio il cui risultato è la costruzione di

conoscenza secondo valori condivisi. I soggetti utilizzano regole e artefatti già esistenti

ma contribuiscono al loro cambiamento.

Per promuovere l'implementazione di un nuovo modello strutturale organizzativo

il leader deve saper gestire il cambiamento culturale nella ridefinizione dei ruoli

professionali. La gestione efficace del cambiamento si realizza attraverso l'adozione di

un modello di leadership partecipativo e attraverso lo strumento della formazione come

momento di apprendimento e professionale e culturale.

1.2.4. La formazione

Le politiche dell’Unione Europea, negli ultimi anni, puntano sempre più allo

sviluppo ed alla formazione continua, che si protrae cioè per tutta la vita lavorativa dei

27 La citazione è in G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo,Franco Angeli, Milano, 1993, p. 244.

21

soggetti, quale scelta fondamentale sia per le imprese che per i lavoratori, al fine di far

fronte alle sfide della globalizzazione e dell’innovazione tecnologica 28. Nell’era della

net-economy occorre puntare alla “qualità del capitale umano”, dunque, all’efficacia ed

all’efficienza dei sistemi scolastici, quale elemento strategico per lo sviluppo della

persona ed il miglioramento delle sue competenze professionali e manageriali.

La life long learning è diventata uno strumento correlato alle politiche attive del

lavoro nell’U. E., in una logica di integrazione con le politiche educative, attuata

attraverso una “buona pratica” di concertazione e di Dialogo sociale, che ha fornito

ottimi risultati in casi importanti e significativi come l’Olanda e la Spagna.

Si tratta di politiche promozionali, tese a co-rispondere adeguatamente ai rapidi e

continui mutamenti che investono l’economia, le imprese, il lavoro e più in generale le

società globalizzate e tecnologicamente avanzate. Il ruolo della formazione continua

tende ad evolversi, in quanto rappresenta una scelta strategica fondamentale, un

investimento per l’incremento del “capitale sociale” di un dato territorio 29. Infatti, ciò è

sempre più vero per una pluralità di soggetti: per le imprese (che possono far fronte

meglio e più adeguatamente alle sfide poste dalla globalizzazione dei mercati e

dall’innovazione tecnologica ed organizzativa); per i lavoratori (che acquistano

maggiore agibilità e possono muoversi meglio in un mercato del lavoro fortemente

selettivo verso i giovani, differenziato tra le diverse zone del Paese e incerto perché

privo di adeguati servizi per l’impiego); per l’intera collettività (dal grado di

valorizzazione delle risorse umane dipende la possibilità di preservare un modello di

sviluppo socio-economico equilibrato).

In altri termini la formazione contribuisce alla costituzione del capitale della

persona e dell’impresa (e del territorio), ne è parte integrante, e come ha sostenuto

recentemente Bonazzi 30: “…si può distinguere tra capitale di risorse e capitale

istituzionale. Il capitale di risorse è formato da assetti e competenze che producono

valore e il suo fattore di successo sta nell’acquisizione di risorse rare e inimitabili. Il

28 Questi temi sono trattati tra l’altro in Cocozza A., Politiche formative e ruolo degli attori sociali, “Il Mulino”, 2003, n. 1, in corso di pubblicazione. 29 A queste conclusioni si può pervenire considerando le indicazioni contenute in due recenti importanti contributi, di tipo sociologico in Bagnasco A., Piselli F., Pizzorno A., Trigilia G., Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Il Mulino, Bologna, 2001, ma anche di tipo economico in Sacco P. L., Zamagni S., a cura di, Complessità relazionale e comportamento economico, Il Mulino, Bologna, 2002. 30 Bonazzi G., “Teoria delle risorse e analisi organizzativa: un possibile incontro interdispliplinare”, Relazione al Convegno Ais-Elo “ Confini e trasgressioni di confini nella sociologia economica, del lavoro , dell’organizzazione”, Cagliari, 25-26 ottobre, 2002.

22

capitale istituzionale è formato invece da risorse sociali di sostegno che ottimizzano

l’uso delle risorse di capitale, come ad esempio la cultura del miglioramento continuo,

l’enfasi sull’innovazione, i programmi di formazione e sviluppo delle risorse umane”.

Un progetto formativo efficace può rappresentare una doppia opportunità, di

sviluppo organizzativo per l’impresa/l’amministrazione e di crescita professionale per il

personale, utile per fornire ai partecipanti ai corsi le competenze necessarie allo

svolgimento dei nuovi ruoli produttivi/amministrativi e dei nuovi compiti,

maggiormente orientati al raggiungimento di obiettivi condivisi.

Infatti, attraverso un’adeguata gestione del percorso formativo, che coinvolge in

precise responsabilità la direzione aziendale/l’amministrazione centrale e quella

periferica, si tratta di costruire quelle nuove competenze professionali ed organizzative,

intese come l’insieme delle conoscenze (area del sapere) e delle abilità (area del saper

fare), ormai assolutamente necessarie nelle mutate condizioni istituzionali,

organizzative e professionali.

Con la realizzazione progetti formativi mirati è possibile, inoltre, contribuire a

porre le basi per l’attivazione di comportamenti professionali (area del saper essere),

che possono sostenere l’affermazione e lo sviluppo di un “clima organizzativo e

relazionale positivo” e favorire il miglioramento della performance complessiva

dell’azienda/amministrazione a tutti i livelli.

Tali obiettivi, risultano essere particolarmente ambiziosi in aziende e

Amministrazioni Pubbliche fortemente impegnate in processi di ridefinizione delle

attività e di riorganizzazione delle strutture, in un’ottica di maggiore decentramento di

compiti e responsabilità, verso le strutture regionali e decentrate presenti sul territorio.

In questo nuovo scenario, anche nelle Pubbliche Amministrazioni la formazione

ha assunto in questi anni un ruolo sempre più strategico: un sostegno indispensabile

alla realizzazione delle politiche di riforma.

Questa funzione è stata rilevata anche nel V Rapporto annuale sulla

formazione31, divenuto ormai un utile strumento di analisi e di approfondimento del

mondo della formazione nel settore pubblico, sia dal punto di vista dei bisogni e delle

esigenze delle Amministrazioni, sia da quello degli strumenti di governo della

formazione.

31 Si veda il testo del Rapporto nel sito del Dipartimento della Funzione Pubblica, http://www.funzionepubblica.it/intranet/Formazione/Rapporto-a1/v-rapporto/1-100.PDF.

23

Il quadro che disegna il Rapporto è quello di un’offerta formativa diversificata e

innovativa, sempre più strumento indispensabile per un’efficace gestione dei processi di

cambiamento e di modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche.

Anche se ancora in ritardo rispetto ad altri settori occupazionali sono aumentati

gli investimenti e i destinatari degli interventi formativi e l’utilizzo delle nuove

metodologie e, allo stesso tempo, emerge la necessità di rafforzare la capacità di

programmare sistematicamente le diverse azioni.

L’attuale fase della riforma, caratterizzata dalla realizzazione di interventi che

investono l’intera Pubblica Amministrazione, va supportata da misure destinate

innanzitutto alla formazione e valorizzazione del capitale umano, inteso come risorsa e

investimento, nonché alla preparazione di nuove professionalità e nuove competenze.

Nel Rapporto si sostiene che: ”L’obiettivo finale è quello di realizzare

un’Amministrazione con capacità gestionali, orientata al miglioramento qualitativo dei

servizi pubblici, più rispondente alle domande e alle aspettative dei cittadini e delle

imprese e aperta al confronto europeo e internazionale. Che sia, in definitiva, una risorsa

e non un costo per il Paese”.

Alla realizzazione di questi obiettivi ha sicuramente contribuito positivamente la

Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle PA, adottata dal

Ministro Frattini, del dicembre 2001, in cui si conferma il ruolo strategico e

determinante della formazione.

La Direttiva si propone il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

1. promuovere in tutte le amministrazioni la realizzazione di un’efficace analisi

dei fabbisogni formativi e la programmazione delle attività formative, per assicurare il

diritto individuale alla formazione permanente in coerenza con gli obiettivi istituzionali

delle singole amministrazioni;

2. coinvolgimento di tutti i dipendenti nei programmi di formazione, superando i

livelli percentuali attuali di investimento sul monte retributivo e garantendo un numero

minimo di ore di formazione per addetto e nel quadro del sistema delle relazioni

sindacali previsto dai contratti collettivi;

3. le attività formative dovranno rispondere a standard minimi di qualità e

assicurare il controllo del raggiungimento degli obiettivi di crescita professionale dei

partecipanti e di miglioramento dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni ai

cittadini;

24

4. la formazione dovrà essere sviluppata attraverso un sistema di governo, di

monitoraggio e controllo che consenta di valutarne l’efficacia e la qualità.

In realtà una vera e propria politica di valorizzazione e gestione delle risorse

umane nelle Pubbliche Amministrazioni finora non c’è stata, un’efficace innovativo non

ha ancora avuto l’agibilità politica e organizzativa adeguata.

In un’interessante indagine condotta dall’Aran 32 sui risultati della contrattazione

integrativa e sulla gestione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, relativa

al quadriennio 1998-2001, risulta che le aree di ricerca analizzate, nei comparti più

significativi, sono state le seguenti:

1. analisi delle caratteristiche dello svolgimento della contrattazione integrativa e

formulazione di un bilancio dell’esperienza;

2. attori e modalità di svolgimento del processo negoziale;

3. contenuti principali e coerenza con gli obiettivi indicati dal Coordinamento di

settore e con il CCNL di comparto;

4. analisi del processo di avvicinamento al settore privato e superamento del

quadro regolativo precedente caratterizzato da: “doppia tutela”, obbligo a contrarre,

“pluralismo senza mercato” e tendenziale deresponsabilizzazione degli attori.

In particolare, dall’analisi dei dati emerge che le principali caratteristiche degli

attori (delle relazioni sindacali e della gestione delle risorse umane) nel pubblico

impiego risultano essere:

1. una debolezza dell’attore datoriale in materia di relazioni sindacali, ma

soprattutto per quanto riguarda l’attivazione di politiche di gestione del personale;

2. assenza di uffici specializzati per la gestione di queste due attività (nel 35%

dei casi non esiste nessun ufficio; solo nel 19,5% due uffici);

3. scarsa attenzione alle relazioni dirette (senza la mediazione sindacale) e scarsa

(in certi casi nulla) comunicazione tra Amministrazione e personale;

4.frammentazione della rappresentanza sul versante delle Organizzazioni

sindacali dei lavoratori (con la conseguenza di moltiplicare le occasioni di potenziale

conflittualità).

Le stesse tendenze sono state riscontrate in un’altra importante ricerca su “Le

direzioni del personale nelle amministrazioni centrali dello stato” 33, presentata nel

32 La ricerca in questione è reperibile in Bordogna L., “La contrattazione integrativa nelle amministrazioni pubbliche: i risultati della ricerca Aran sul quadriennio 1998-2001, Aran newsletter, 2001, n. 6, pp. I-XXXII

25

settembre 2002 dall’Istituto G. Tagliacarne, in cui emerge che molte amministrazioni

organizzano i compiti di gestione del personale nella Direzione Affari Generali, con

funzioni prevalentemente di tipo amministrativo, spesso frammentate in più uffici.

Su 26 amministrazioni, 8 hanno una Direzione del Personale autonoma, sotto la

responsabilità di una direzione generale. Poco presenti sono le funzioni, le tecniche e i

sistemi di pianificazione, selezione, valutazione delle risorse umane; sempre prevalenti

risultano le attività di relazioni sindacali e di amministrazione. Tuttavia, si evidenzia

anche un nucleo di amministrazioni che cerca di liberarsi da una cultura di gestione del

personale esclusivamente amministrativa, che cerca di introdurre nuovi strumenti di

gestione quali nuovi tipi di rapporti di lavoro, di selezione e valutazione: tutta la vasta

area che caratterizza l’autonomia e la professionalità di una Direzione del Personale. In

particolare, nel l’introduzione della ricerca di Feleppa dalla ricerca si sostiene

opportunamente che: “L’esigenza maggiormente avvertita è di valorizzare la Direzione

del Personale sia dal punto di vista organizzativo (collocandola in diretto collegamento

funzionale con i vertici dell’amministrazione), sia nell’assetto delle competenze e nel

ruolo agito nei confronti del personale, (migliorandone l’autorevolezza e le abilità

negoziali)”.

La ricerca conferma che sulle funzioni di promozione e sviluppo occorre

continuare a investire, agendo soprattutto sulla valorizzazione del mercato del lavoro

interno, sulla formazione legata ai reali fabbisogni organizzativi, sulle politiche di

sviluppo professionale della dirigenza.

1.3. Analisi dell’evoluzione dei modelli organizzativi del

Ministero dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca, del

Ministero dell’Economia e dell’Inps. 1.3.1. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Con l’avvio della XIV legislatura, nel giugno 2001, in ottemperanza del D.

Lgs.n.300/99, il Ministero della Pubblica Istruzione, ha assunto la denominazione di

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed ha inglobato le competenze

dell’ex Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica.

Il riordino del Ministero della Pubblica Istruzione, come ampiamente illustrato

precedentemente, si inserisce nel quadro della “Riforma dell’organizzazione del

33 Il testo della ricerca è consultabile nel sito del Dipartimento della Funzione Pubblica,

26

Governo” avviata dal d. lgs.n.300/99, coinvolgendo, sotto diversi profili, il settore

dell’istruzione nella direzione del policentrismo.

L’esame che segue cercherà di tracciare le linee essenziali di tale riordino.

Le norme contenute negli artt. 49, 50 e 51 D.Lgs.n.300/99 disciplinano

l’accorpamento dei Ministeri della Pubblica Istruzione e dell’Università nel nuovo

“Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca” e sono entrate in vigore con

la XIV legislatura.

Peraltro, l’art. 75 del D. Lgs. 300/99, ha previsto il riordino della struttura

ministeriale limitatamente all’area della istruzione non universitaria, con effetto,

diversamente che per gli altri ministeri, dalla data di entrata in vigore dello stesso

D.Lgs.n.300/99.

L’organizzazione interna del Ministero, compresa la costituzione dei

Dipartimenti e l’individuazione delle attribuzioni da assegnare a ciascuno di essi, è stata

affidata a norme regolamentari da emanarsi ex art. 17, comma 4 bis, l. 400/88. Infine, la

disciplina degli uffici di livello inferiore è stata affidata a successivi decreti ministeriali

di natura non regolamentare (decreto ministeriale del 30 gennaio 2001).

Dunque la realizzazione del riordino dell’apparato dell’istruzione è avvenuta in

due fasi:

- la prima, è quella disciplinata dall’art. 75 del D.Lgs. n. 300/99, contenente le

disposizioni normative, in forza delle quali sono state assunte le linee guida per la

definizione dell’attuale Regolamento di organizzazione del Ministero della Pubblica

Istruzione (il d.p.r. 347/2000 contiene il “Regolamento recante norme di

organizzazione del Ministero della Pubblica Istruzione” che tratta il riordino

dell’amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione);

- la seconda, con l’inizio della XIV legislatura, che vede l’accorpamento del Ministero

della Pubblica Istruzione, già riformato e riorganizzato, con il Ministero

dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (anch’esso riordinato con il

d.p.r. 477/99).

Le ragioni dell’anticipata entrata in vigore delle norme riguardanti l’area

dell’istruzione non universitaria non stanno soltanto nell’opportunità di procedere ad

un’attuazione graduale della riforma, destinata a culminare nell’accorpamento della

nuova struttura ministeriale, ma devono essere identificate nella necessità di completare,

nel più breve tempo possibile, quella riforma dell’intero sistema di istruzione, che è

http://www.funzionepubblica.it/intranet/Pubblico-i/Risorse-um/Ricerca-su1/Ricerca_amm_centr.pdf.

27

costituita dall’autonomia delle istituzioni scolastiche, e di cui la riforma

dell’amministrazione scolastica – centrale e periferica – costituisce un capitolo decisivo.

Il processo di cambiamento del ruolo dell’amministrazione scolastica.

La scuola italiana è stata interessata quindi da due grandi processi riformatori.

Il primo di essi, interno al sistema di istruzione, ha riguardato l’autonomia delle

istituzioni scolastiche e ne ha implicato la completa riorganizzazione sulla base di un

diverso rapporto tra le strutture burocratiche destinate all’organizzazione e gestione del

servizio e le istituzioni – le scuole – destinate all’erogazione di detto servizio attraverso

un’attività professionale.

Il secondo di tali processi che ha interessato la scuola, come altri grandi sistemi

attraverso i quali si realizza la cura degli interessi di settore, è stata la riforma degli

apparati pubblici, sia sotto il profilo della diversa allocazione delle funzioni tra i diversi

livelli di governo del territorio, sia sotto il profilo del ridisegno dell’organizzazione

centrale e della sua riduzione.

La realizzazione di quella parte della riforma amministrativa che riguarda il

riordino degli apparati ministeriali ha inciso in modo significativo sulla logica del

sistema pubblico di istruzione.

Occorre ricordare che la formazione del sistema di istruzione come sistema

pubblico ha coinciso con la sua costituzione come sistema statale ed, in particolare,

come sistema di tipo burocratico.

Tale circostanza ha, nel tempo, condotto all’assunzione del modello ministeriale

come modello di organizzazione dello stesso sistema pubblico di istruzione.

Si è così progressivamente giunti alla creazione di una vera e propria

amministrazione scolastica: di strutture amministrative, cioè, funzionali all’esplicazione

dell’attività tecnica di istruzione, pensate e realizzate sul modello ministeriale, tant’è

che il Ministero della Pubblica Istruzione è stato da sempre indicato come il Ministero

con il più grande apparato burocratico dell’Amministrazione italiana, al centro del quale

stavano le burocrazie ministeriali, chiamate non soltanto ad individuare ed elaborare

programmi, ma soprattutto a gestire risorse e personale.

L’asse fondamentale del sistema era costituito dall’amministrazione ministeriale,

centrale e periferica, mentre le scuole costituivano soltanto una sorta di terminale

esterno, chiamato ad erogare un servizio in massima parte interamente determinato.

In modo del tutto speculare l’introduzione dell’autonomia delle istituzioni

scolastiche, si è fondata sull’idea che nel sistema di istruzione siano necessarie sinergie

28

operative ed interazioni tra gli apparati amministrativi – siano essi statali, regionali o

locali – e le istituzioni che assicurano il servizio di istruzione, e cioè le scuole ed il loro

sistema di relazioni.

L’autonomia delle istituzioni scolastiche ha cambiato la logica del sistema di

istruzione, facendo delle scuole il punto focale di tale sistema e non il punto terminale

“l’ufficio” che provvede alla semplice erogazione del servizio.

La riforma dell’autonomia scolastica è stata avvertita come un cambiamento

radicale nell’amministrazione scolastica ed ha determinato l’abbandono del c.d. modello

ministeriale di tipo verticale sostituendolo con un modello orizzontale, caratterizzato da

un insieme di comunità scolastiche nelle quali si fa istruzione, formazione, ricerca,

attraverso modelli flessibili, in vista del raggiungimento di obiettivi generali, fissati da

un centro chiamato a compiti strategici e liberato da compiti di gestione 34.

In questa evoluzione il dirigente scolastico assume una particolare funzione

critica, la sua conoscenza dei processi diventa fondamentale, la sua autorevolezza è

sempre più fondata sulla professionalità e meno sulla gerarchia, deve tendere ad

introdurre nel sistema scolastico una prospettiva di direzione innovativa: quella del

leader educativo.

La sua leadership si basa sulla capacità di saper comunicare all’interno e

all’esterno dell’istituto scolastico, di saper motivare i collaboratori e di saper diffondere

a tutti i livelli dell’organizzazione scolastica una “visione strategica del cambiamento”.

Infatti, in un sistema scolastico decentrato, basato su un “sistema rete di scuole

autonome”, il pieno ed effettivo riconoscimento del ruolo del dirigente rappresenta

l’elemento imprescindibile per il conseguimento di una nuova cultura necessaria sia per

la realizzazione degli spazi di autonomia didattica, sia per la gestione

dell’organizzazione e delle strutture, nonché delle risorse umane e strumentali, in

un’ottica di conseguimento dei risultati pianificati e attesi.

In questo quadro, una realizzazione non adeguata dell’amministrazione della

scuola avrebbe rischiato, pertanto, non solo di rendere meno efficace la riorganizzazione

degli apparati del governo ma di compromettere la riforma dell’intero sistema di

istruzione.

In definitiva, i cambiamenti finora descritti, possono essere identificati come dei

veri e propri mutamenti organizzativi e culturali, che s’inseriscono nell’ambito delle

politiche di riforma dell’insieme del sistema scolastico-educativo e si propongono di

34 Per i riferimenti ed il contesto normativo vedi Modulo istituzionale II.

29

attivare un importante e significativo processo di trasformazione, teso a perseguire

essenzialmente i seguenti obiettivi:

- maggiore efficacia ed efficienza del sistema;

- decentramento, autonomia e interazione sinergica con il territorio;

- partecipazione di tutte le componenti della comunità scolastica nella gestione del

cambiamento e positivo coinvolgimento degli stakeholders 35;

- responsabilizzazione diffusa dei (e tra) diversi attori sociali e istituzionali;

- maggiore qualità nei/dei servizi.

La logica ispiratrice di questi interventi è quella di rispondere adeguatamente,

almeno a livello normativo, alle sfide interne ed internazionali.

Queste politiche di riforma sono state adottate sulla base della crescente

consapevolezza che il settore dell’education, l’istruzione, la formazione del personale,

lo sviluppo e il miglioramento delle competenze, rappresentano ormai il principale

fattore strategico di competizione fra le imprese e le nazioni, ancora di più della

disponibilità di risorse naturali, di capitali e di tecnologie.

Il vero “vantaggio competitivo” (Porter), nell’era della net-economy, è

rappresentato dalla qualità del capitale umano che sarà sempre di più la nuova vera

ricchezza della nazione.

A questo proposito, come è stato efficacemente osservato da Rebora 36:

“acquista sempre più rilevanza il concetto di produzione di “valore pubblico”, come

orizzonte fondamentale di attenzione per i responsabili delle amministrazioni. Le

pubbliche amministrazioni legittimano la loro presenza quando producono valore per

la società, cioè si dimostrano capaci di ottenere risultati che “valgono” nella

percezione dei cittadini almeno quanto le risorse che impiegano e le restrizioni alla

libertà individuale che implicano”.

Il concetto di “valore pubblico”, come orizzonte fondamentale di attenzione per i

responsabili delle amministrazioni, vale, a maggior ragione, per la qualità della

conoscenza e dei servizi scolastici ed educativi che dovrebbero essere forniti in primo

luogo agli studenti ed indirettamente alle famiglie, alle imprese e alla comunità più in

generale.

35 Si tratta dei soggetti che hanno interesse diretto o indiretto al miglioramento della performance complessiva della scuola e del sistema educativo e formativo, studenti e famiglie, Amministrazioni locali, imprese, organizzazioni di rappresentanza e professionali, associazioni socioculturali. 36 Rebora G., Un decennio di riforme. Nuovi modelli organizzativi e processi di cambiamento delle amministrazioni pubbliche, Guerini e Associati, Milano, 1999, 25.

30

Infatti, anche se non sempre ce ne rendiamo conto, siamo già nel pieno sviluppo

della società della conoscenza, intesa come ”Patrimonio individuale e/o di gruppo, che

ha condiviso e condivide comuni esperienze, ampliabili e migliorabili nel tempo e nello

spazio”; essa rappresenta un elemento indispensabile per la crescita culturale, sociale,

economica e produttiva. Il suo grado di diffusione e il livello di qualità costituiscono il

”vantaggio competitivo reale”.

A questo scopo la scuola assume, dunque, un ruolo strategico di primaria

importanza.

Infatti, una società che non riconosce tale ruolo strategico al sistema scolastico,

educativo e formativo e non investe per migliorare il suo livello di efficacia, efficienza e

qualità, compromette il suo sviluppo futuro.

In questo nuovo scenario le politiche di riforma delle Pubbliche

Amministrazioni, il ri-orientamento e ri-adeguamento del sistema scolastico ed

educativo assumono una nuova dimensione strategica e la loro coerente e tempestiva

applicazione diventa un elemento strutturale improrogabile.

1.3.2. Il Regolamento di organizzazione e la nuova configurazione istituzionale del

MIUR

a) Generalità

Nel contesto sopra descritto va inserito il processo di riordino dell’ex MPI,

avviato nel luglio 2000 con l’approvazione del Regolamento di organizzazione (cui

hanno fatto seguito i rilievi della Corte dei Conti, del 6 settembre e del 12 ottobre) e con

la definitiva pubblicazione del nuovo testo sulla G.U.R.I. il 6 novembre 2000 (D.P.R.

347), e realizzato poi operativamente nel primo semestre del 2001 con la definizione

degli uffici di livello dirigenziale non generale (D.M. 30 gennaio 2001) e con

l’individuazione delle funzioni dell’amministrazione periferica (“Linee guida per

l’articolazione degli Uffici scolastici regionali” del 18 aprile 2001).

Di seguito si illustrano le linee generali del processo di riordino, lasciando al

successivo paragrafo l’esame analitico dei compiti dell’amministrazione centrale e

periferica, dal d.lgs. 300\99 fino alle indicazioni del Ministro Moratti del dicembre 2001

riguardo l’assetto dell’amministrazione periferica.

Il DPR 347\2000 si proponeva di definire adeguatamente il ruolo sia

dell’Amministrazione centrale, sia di quella periferica, in linea con i principi di

decentramento e di autonomia, allo scopo di snellire le procedure e le strutture

burocratiche e migliorare i risultati e la performance complessiva dell’insieme del

31

sistema scolastico ed educativo, così come previsto nel d. lgs. 300/99 che delinea la

nuova geografia dei ministeri.

Tale Regolamento, infatti, ridisegna il modello organizzativo delle strutture

centrali (unifica le molteplici strutture direzionali precedenti, attraverso la creazione di

due Dipartimenti e tre Servizi) e di quelle periferiche (supera i Provveditorati agli studi

provinciali e le Sovrintendenze regionali e crea i nuovi Uffici Scolastici regionali,

consolida le Istituzioni scolastiche autonome) in un’ottica di migliore integrazione

politico-amministrativa.

Gli elementi innovativi sono costituiti dalle nuove strutture (Dipartimenti,

Direzioni generali, Servizi e Direzioni scolastiche regionali) e dai nuovi ruoli

amministrativi e gestionali, rappresentati dai due Capi Dipartimento, dai dieci Dirigenti

Generali dell’Amministrazione centrale e dai Diciotto dirigenti regionali.

In questo nuovo scenario i dirigenti diventano necessariamente i protagonisti

della pianificazione e della gestione dei mutamenti organizzativi sia delle strutture

centrali, sia delle Direzioni scolastiche regionali e la loro azione (innovativa o

burocratica) può favorire il conseguimento di un maggiore livello di efficacia e di

efficienza della performance complessiva dell’amministrazione scolastica.

Il Regolamento, infatti, ridefinisce la missione istituzionale e il nuovo modello

organizzativo dei diversi livelli dell’Amministrazione e articola i ruoli istituzionali e i

compiti operativi, conferendo una maggiore organicità al disegno complessivo del

sistema:

- alle strutture centrali si richiede la definizione delle strategie, delle politiche e degli

obiettivi;

- a quelle regionali si richiede l’attività di coordinamento delle politiche educative in

raccordo con la Regione e di allocazione e gestione delle risorse sul territorio.

Inoltre alle Direzioni regionali, in particolare alle sue strutture articolate sul

territorio e ai Centri Servizi, si attribuisce un importante compito di consulenza e di

sostegno all’attività operativa delle Istituzioni scolastiche autonome, allo scopo di

perseguire con una maggiore efficacia ed efficienza organizzativa complessiva del

sistema, il presidio dei processi amministrativi ed organizzativi necessari a fornire

servizi educativi di qualità.

32

b) Ruolo, funzioni e compiti delle strutture decentrate dell’amministrazione scolastica

Come detto, il riordino del Ministero prende le mosse dalle previsioni contenute

nel Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 di Riforma dell'organizzazione del

Governo che, su delega dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha tra l’altro

fornito gli indirizzi per il riordino del Ministero della Pubblica Istruzione, prevedendo

all’art. 49 l’istituzione del MIUR.

Al nuovo dicastero sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in

materia di istruzione scolastica ed istruzione superiore, di istruzione universitaria, di

ricerca scientifica e tecnologica e sono altresì trasferite, con le inerenti risorse

finanziarie, strumentali e di personale, le funzioni dei ministeri della pubblica istruzione

e della università e ricerca scientifica e tecnologica, eccettuate quelle attribuite ad altri

ministeri o ad agenzie, e fatte in ogni caso le funzioni conferite dalla vigente

legislazione alle regioni ed agli enti locali. Il decreto fa altresì salva l'autonomia delle

istituzioni scolastiche e l'autonomia delle istituzioni universitarie e degli enti di ricerca.

Al Ministero sono inoltre demandate le funzioni di vigilanza spettanti al

ministero della pubblica istruzione sull'agenzia per la formazione e l'istruzione

professionale.

All’art. 50, il D.Lgs. n. 300\99 individua le aree funzionali di intervento e in

particolare quelle di spettanza statale ma ad esso demandate ovvero: organizzazione

generale dell'istruzione scolastica, ordinamenti e programmi scolastici, stato giuridico

del personale; definizione dei criteri e dei parametri per l'organizzazione della rete

scolastica; criteri e parametri per l'attuazione delle politiche sociali nella scuola;

determinazione e assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato

e del personale alle istituzioni scolastiche autonome; valutazione del sistema scolastico;

ricerca e sperimentazione delle innovazioni funzionali alle esigenze formative;

riconoscimento dei titoli di studio e delle certificazioni in ambito europeo e

internazionale e attivazione di politiche dell'educazione comuni ai paesi dell'Unione

europea; assetto complessivo dell'intero sistema formativo, individuazione degli

obiettivi e degli standard formativi e percorsi formativi in materia di istruzione

superiore e di formazione tecnica superiore; consulenza e supporto all'attività delle

istituzioni scolastiche autonome; competenze di cui alla legge 11 gennaio 1996, n.23;

istituzioni di cui all'articolo 137, comma 2, ed all'articolo 138, comma 3, del decreto

legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

33

Tra gli altri compiti demandati al Ministero si citano:

- compiti di indirizzo, programmazione e coordinamento della ricerca scientifica e

tecnologica nazionale;

- istruzione universitaria, ricerca scientifica e tecnologica: programmazione degli

interventi sul sistema universitario e degli enti di ricerca non strumentali;

- indirizzo e coordinamento, normazione generale e finanziamento delle università e

degli enti di ricerca non strumentali;

- monitoraggio e valutazione, anche mediante specifico Osservatorio, in materia

universitaria;

- attuazione delle norme comunitarie e internazionali in materia di istruzione

universitaria, armonizzazione europea e integrazione internazionale del sistema

universitario, anche in attuazione degli accordi culturali stipulati a cura del ministero

degli affari esteri;

- monitoraggio degli enti di ricerca non strumentali e supporto alla valutazione del

CIVR;

- completamento dell'autonomia universitaria; formazione di grado universitario;

razionalizzazione delle condizioni d'accesso all'istruzione universitaria;

- partecipazione alle attività relative all'accesso alle amministrazioni e alle professioni,

al raccordo tra istruzione universitaria, istruzione scolastica e formazione;

- valorizzazione e sostegno della ricerca libera nelle università e negli enti di ricerca;

- integrazione tra ricerca applicata e ricerca pubblica;

- coordinamento della partecipazione italiana a programmi nazionali e internazionali di

ricerca;

- indirizzo e sostegno della ricerca aerospaziale; cooperazione scientifica in ambito

nazionale, comunitario ed internazionale; promozione e sostegno della ricerca delle

imprese ivi compresa la gestione di apposito fondo per le agevolazioni anche con

riferimento alle aree depresse e all'integrazione con la ricerca pubblica.

Come già visto, nel novembre 2000, a norma dell'articolo 75 del decreto

legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è stato emanato il DPR 6 novembre 2000, n. 347, con

il quale è stato adottato il "Regolamento recante norme di organizzazione del Ministero

della Pubblica Istruzione”, che è stato successivamente seguito dal D.M. 30 gennaio

2001, avente ad oggetto la "Riorganizzazione degli Uffici dirigenziali di livello non

generale".

34

Il DPR n. 347/2000 a livello centrale ha previsto una articolazione in due

Dipartimenti e tre servizi di livello dirigenziale generali, mentre a livello regionale ha

previsto una articolazione in uffici scolastici regionali.

I Dipartimenti assumono rispettivamente la denominazione di Dipartimento per

lo sviluppo dell'istruzione e di Dipartimento per i servizi nel territorio. Nell'ambito di

ciascun Dipartimento sono individuate aree di funzioni omogenee la cui direzione è

affidata a dirigenti di livello dirigenziale generale.

I servizi assumono la denominazione di Servizio per gli affari economici,

Servizio per l'automazione informatica e l'innovazione tecnologica e Servizio per la

comunicazione.

Il Ministero, a livello periferico, è articolato in Uffici scolastici regionali di

livello dirigenziale generale, uno per ciascuna regione. Tali Uffici si organizzano per

funzioni e, sul territorio provinciale, per servizi di consulenza e supporto alle istituzioni

scolastiche.

Per quanto concerne i compiti demandati ai Capi Dipartimento, il regolamento

prevede che essi svolgono compiti di coordinamento, direzione e controllo degli Uffici

compresi nel Dipartimento al fine di assicurare la continuità delle funzioni

dell'Amministrazione e sono responsabili dei risultati complessivamente raggiunti in

attuazione degli indirizzi del Ministro.

Le specifiche attribuzioni dei Capi Dipartimento sono individuate dal D.Lgs. n.

300/99, a cui il DPR n. 347/2000 rinvia.

In particolare, l’art. 5 D.Lgs. n. 300/99, nel quadro delle predette funzioni

coordinamento, direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale generale,

prevede che il Capo del Dipartimento:

a) determina i programmi per dare attuazione agli indirizzi del ministro;

b) alloca le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili per l'attuazione dei

programmi secondo principi di economicità, efficacia ed efficienza, nonché di

rispondenza del servizio al pubblico interesse;

c) svolge funzioni di propulsione, di coordinamento, di controllo e di vigilanza nei

confronti degli uffici del dipartimento;

d) promuove e mantiene relazioni con gli organi competenti dell’Unione Europea per la

trattazione di questioni e problemi attinenti al proprio dipartimento;

e) adotta gli atti per l'utilizzazione ottimale del personale secondo criteri di efficienza,

disponendo gli opportuni trasferimenti di personale all'interno del dipartimento;

35

f) è sentito dal ministro ai fini dell'esercizio del potere di proposta per il conferimento

degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale, ai sensi

dell'articolo 19, comma 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;

g) può proporre al ministro l'adozione dei provvedimenti di revoca degli incarichi di

direzione degli uffici di livello dirigenziale generale, ai sensi dell'articolo 19,

comma 7, del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29 e, comunque, viene sentito

nel relativo procedimento;

h) è sentito dal ministro per l'esercizio delle attribuzioni a questi conferite dall'articolo

14, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.

Ritornando alle previsioni del DPR n. 347/2000, il Capo del Dipartimento può

promuovere progetti che coinvolgono le competenze di più aree, affidandone il

coordinamento ad uno dei dirigenti di area.

Il Dipartimento per lo sviluppo dell'istruzione comprende i seguenti uffici di

livello dirigenziale generale:

a) Direzione generale per gli ordinamenti scolastici;

b) Direzione generale per la formazione e aggiornamento del personale della

scuola;

c) Direzione generale per le relazioni internazionali.

La Direzione generale per gli ordinamenti scolastici svolge, in particolare, i

compiti relativi agli ordinamenti, ai curricoli e ai programmi scolastici; alla definizione

delle classi di concorso e dei programmi delle prove concorsuali del personale della

scuola; alla ricerca e all’innovazione nei diversi gradi e settori dell’istruzione

avvalendosi a tal fine della collaborazione dell’Istituto nazionale di documentazione per

l’innovazione e la ricerca educativa; alla materia degli esami, delle certificazioni e del

riconoscimento di titoli di studio stranieri; all’individuazione delle priorità in materia di

valutazione e alla promozione di appositi progetti; alla vigilanza sull’Istituto nazionale

per la valutazione del sistema di istruzione e sull’Istituto nazionale di documentazione

per l’innovazione e la ricerca educativa. La Direzione generale per la formazione e

aggiornamento del personale della scuola provvede, in particolare, alla definizione degli

indirizzi generali nelle materie di competenza. La Direzione generale per le relazioni

internazionali cura, coordinandosi con i competenti uffici del Dipartimento per i servizi

nel territorio, le relazioni internazionali, inclusa la collaborazione con l’Unione europea

e con gli organismi internazionali.

36

Il Dipartimento fornisce le linee di indirizzo generale, nelle materie di propria

competenza, agli uffici scolastici regionali e ne verifica la coerenza di attuazione.

Nell’ambito del Dipartimento è istituito il servizio di segreteria del Consiglio superiore

della pubblica istruzione.

Il Dipartimento per i servizi nel territorio comprende i seguenti uffici di livello

dirigenziale generale:

a) Direzione generale per l’organizzazione dei servizi nel territorio;

b) Direzione generale per l’istruzione post-secondaria e degli adulti e per i

percorsi integrati;

c) Direzione generale del personale della scuola e dell’amministrazione;

d) Direzione generale per lo status dello studente, per le politiche giovanili e per

le attività motorie.

La Direzione generale per l’organizzazione dei servizi nel territorio svolge, in

particolare, i compiti relativi: alla definizione degli indirizzi per l’organizzazione dei

servizi nel territorio e per la valutazione della loro efficienza, al fine di garantire il

coordinamento dell’organizzazione e l’uniformità dei relativi livelli in tutto il territorio

nazionale; ai servizi per l’integrazione degli studenti in situazione di handicap e per

l’accoglienza e integrazione degli studenti immigrati; agli indirizzi in materia di

vigilanza sulle scuole e corsi di istruzione non statale e sulle scuole straniere in Italia;

alla vigilanza sull’Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale di cui

all’articolo 88 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300 e sulla “Fondazione Museo

nazionale della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” di cui all’articolo 4 del

decreto legislativo 20 luglio 1999, n.258, alla vigilanza o sorveglianza di cui all’articolo

605, commi 2 e 3, del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994,

n.297, nei confronti degli altri enti ivi previsti; ai problemi generali del territorio, nel

rispetto delle competenze delle regioni, segnatamente quelli relativi al diritto allo studio,

al dimensionamento delle istituzioni scolastiche, alla distribuzione territoriale delle

scuole e degli indirizzi di studio, all’edilizia scolastica.

La Direzione generale per l’istruzione post-secondaria e degli adulti e per i

percorsi integrati, fatte comunque salve le competenze delle regioni, svolge le funzioni

dell’amministrazione della pubblica istruzione in materia di percorsi integrati di

istruzione e formazione; educazione ed istruzione permanente degli adulti; istruzione

superiore non universitaria, ivi compresa l’istruzione e formazione tecnica superiore.

37

La Direzione generale per lo status dello studente, per le politiche giovanili e per

le attività motorie svolge, in particolare, i compiti relativi: alla materia dello status dello

studente; agli indirizzi e alle strategie nazionali in materia di rapporti della scuola con lo

sport; alle strategie sulle attività e sull’associazionismo degli studenti e sulle politiche

sociali in favore dei giovani; al supporto dell’attività della conferenza nazionale dei

presidenti delle consulte provinciali degli studenti; ai rapporti con le associazioni dei

genitori e al supporto della loro attività.

La Direzione generale del personale della scuola e dell’amministrazione svolge,

in particolare, i compiti relativi: alla definizione degli indirizzi generali e alla disciplina

giuridica ed economica del rapporto di lavoro e di nuovi modelli di prestazione del

servizio del personale scolastico e, d’intesa con il Dipartimento per lo sviluppo

dell’istruzione, alla relativa contrattazione; all’attuazione delle direttive del Ministro in

materia di politiche del personale amministrativo e tecnico del Ministero, nonché al

reclutamento, alla formazione generale, alle relazioni sindacali, alla contrattazione e alla

mobilità.

Il Dipartimento per i servizi nel territorio, per la parte afferente ai rapporti

internazionali, nelle materie di propria competenza collabora con il Dipartimento per lo

sviluppo dell’istruzione. Al Dipartimento per i servizi nel territorio, inoltre, è affidata

l’organizzazione del servizio del contenzioso, per l’assolvimento delle funzioni

strumentali comuni ai dipartimenti e ai servizi dell’amministrazione centrale e per la

formulazione degli indirizzi in materia all’amministrazione periferica. Riguardo i

rapporti con le Direzioni Regionali, il Dipartimento per i servizi nel territorio fornisce le

linee di indirizzo generale, nelle materie di propria competenza, agli uffici regionali

scolastici e ne verifica la coerenza di attuazione.

I servizi sono uffici di livello dirigenziale generale non equiparati ad uffici

dirigenziali dipartimentali, per l’esercizio di funzioni strumentali di interesse comune ai

dipartimenti e agli uffici scolastici regionali. Essi si articolano in uffici di livello

dirigenziale non generale. I servizi forniscono il supporto necessario nei tempi utili per

l’efficace esercizio dell’azione amministrativa, secondo le direttive generali del

Ministro e quelle dei Capi dei dipartimenti.

Il Servizio per gli affari economico-finanziari svolge attività di consulenza ed

assistenza tecnica sulle materie giuridico-contabili di competenza dei diversi uffici

centrali e periferici; anche sulla base dei dati forniti dagli uffici competenti, predispone

le relazioni tecniche sui provvedimenti normativi; avvalendosi dei dati forniti dai

38

dipartimenti, dagli altri servizi e dagli uffici scolastici regionali, rileva il fabbisogno

finanziario del Ministero della pubblica istruzione. Sulla base delle direttive del

Ministro, cura la redazione del bilancio, le operazioni di variazione ed assestamento, la

redazione delle proposte per la legge finanziaria, l’attività di rendicontazione al

Parlamento ed agli organi di controllo; predispone i programmi di ripartizione delle

risorse finanziarie rinvenienti da leggi, fondi e provvedimenti che le destinano ad

obiettivi comuni dei dipartimenti, dei servizi e degli uffici; predispone gli atti connessi

con l’assegnazione delle risorse finanziarie ai vari centri di responsabilità ed ai centri di

costo; attende ai servizi generali dell’amministrazione centrale; coordina i programmi di

acquisizione delle risorse finanziarie, in relazione alle diverse fonti di finanziamento;

monitora e analizza i flussi finanziari; cura la gestione amministrativa e contabile delle

attività strumentali, contrattuali e convenzionali di carattere generale e comune agli

uffici dell’amministrazione centrale; dà consulenza legale all’amministrazione

periferica in materia contrattuale; fornisce le indicazioni necessarie per la gestione

amministrativa e contabile delle istituzioni scolastiche.

Il Servizio per l’automazione informatica e l’innovazione tecnologica cura i

rapporti con gli aggiudicatari delle gare per la fornitura dei servizi concernenti il sistema

informativo vigilando sull’applicazione dei contratti; cura i rapporti con i dipartimenti,

gli altri servizi e gli uffici scolastici regionali per l’utilizzazione del sistema informativo

e lo sviluppo di nuove procedure; pianifica le attività del sistema informativo con

riferimento alle applicazioni e agli sviluppi del sistema stesso; fornisce le necessarie

elaborazioni statistiche; formula piani per le politiche di innovazione tecnologica;

provvede alla definizione di standard tecnologici e alla consulenza alle scuole in materia

di strutture tecnologiche; conduce studi e sperimentazioni di nuove soluzioni

tecnologiche; provvede alla creazione di infrastrutture di supporto ai servizi in rete,

anche in collaborazione con enti e soggetti esterni. Presso il servizio è allocato l’ufficio

di statistica istituito presso il Ministero a norma dell’articolo 3 del decreto legislativo 6

settembre 1989, n. 322; tale ufficio, avvalendosi anche degli apporti del sistema

informativo, costituisce una struttura di servizio per tutte le articolazioni organizzative

del Ministero.

Il Servizio per la comunicazione coordina la comunicazione istituzionale anche

con riguardo agli strumenti multimediali e alla rete Intranet; coordina il sito Web

dell’amministrazione; promuove attività e convenzioni editoriali, pubblicitarie e

campagne di comunicazione; analizza le domande di servizi e prestazioni attinenti

39

l’informazione e la sua divulgazione; promuove monitoraggi e indagini demoscopiche;

è responsabile dell’ufficio relazioni col pubblico a livello centrale e coordina e indirizza

l’attività degli uffici relazioni col pubblico a livello periferico; cura i rapporti con il

Dipartimento informazione ed editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.

In ciascun capoluogo di regione è istituito l’Ufficio scolastico regionale, di

livello dirigenziale generale, che costituisce un autonomo centro di responsabilità

amministrativa, al quale sono assegnate tutte le funzioni già spettanti agli uffici

periferici dell’amministrazione della pubblica istruzione a norma della vigente

legislazione. Esso assorbe gli uffici scolastici regionali di cui all’articolo 613 del testo

unico approvato con decreto legislativo n. 297 del 1994, che sono soppressi alla data di

entrata in vigore del DPR n. 347/2000, ed esercita le funzioni non trasferite alle

istituzioni scolastiche o non riservate all’amministrazione centrale, o non conferite alle

Regioni e agli enti locali.

L’Ufficio scolastico regionale, sentita la regione, si articola per funzioni e sul

territorio; a tale fine sono istituiti, a livello provinciale, con possibilità di articolazione a

livello subprovinciale, servizi di consulenza e supporto alle istituzioni scolastiche,

anche per funzioni specifiche.

L’ufficio scolastico regionale svolge le sue funzioni in raccordo con i

dipartimenti e con i servizi centrali. Esso vigila sull’attuazione degli ordinamenti

scolastici, sui livelli di efficacia dell’attività formativa e sull’osservanza degli standard

programmati; promuove la ricognizione delle esigenze formative e lo sviluppo della

relativa offerta sul territorio in collaborazione con la regione e gli enti locali; cura

l’attuazione delle politiche nazionali per gli studenti; formula al servizio per gli affari

economico-finanziari e ai dipartimenti le proprie proposte per l’assegnazione delle

risorse finanziarie e di personale; provvede alla costituzione della segreteria del

consiglio regionale dell’istruzione a norma dell’articolo 4 del decreto legislativo 30

giugno 1999, n. 233; cura i rapporti con l’amministrazione regionale e con gli enti

locali, per quanto di competenza statale e nel rispetto comunque dell’autonomia delle

istituzioni scolastiche, relativamente all’offerta formativa integrata, all’educazione degli

adulti; esercita la vigilanza sulle scuole e corsi di istruzione non statali e sulle scuole

straniere in Italia; fornisce assistenza e supporto alle istituzioni scolastiche e vigila sul

loro funzionamento nel rispetto dell’autonomia ad esse riconosciuta; assegna alle

istituzioni scolastiche le risorse finanziarie; assegna alle istituzioni scolastiche le risorse

di personale ed esercita tutte le competenze in materia, ivi comprese quelle attinenti alle

40

relazioni sindacali, non attribuite alle istituzioni scolastiche o non riservate

all’amministrazione centrale; assicura, con i modi e gli strumenti più opportuni, la

diffusione delle informazioni. Il dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale, in

particolare, stipula i contratti individuali con i dirigenti scolastici ed emette i relativi atti

di incarico. Nell’esercizio dei propri compiti il dirigente dell’ufficio regionale si avvale

dei servizi funzionali e territoriali, nonché dell’Istituto regionale di ricerca educativa.

Presso ciascun ufficio scolastico regionale è costituito l’organo collegiale di cui

all’articolo 75, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, con funzioni di

raccordo tra politiche educative nazionali e locali. Esso è così composto: il dirigente

preposto all’ufficio scolastico regionale, che lo presiede; tre rappresentanti dello Stato,

di cui due scelti dal predetto dirigente tra il personale della scuola; due rappresentanti

della regione; due rappresentanti degli enti locali territoriali designati, rispettivamente,

dalle corrispondenti articolazioni regionali dell’Unione delle Province d’Italia (UPI) e

dell’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia (ANCI). Il predetto organo collegiale

si dota di un regolamento interno di organizzazione, sulla base degli indirizzi concordati

in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto

1997, n. 281, nel rispetto delle competenze definite dalle leggi statali e regionali.

Si riporta un quadro sinottico esplicativo dei ruoli e funzioni delle strutture

organizzative del MIUR.

Tabella 2 IL NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO DEL MIUR

STRUTTURE

ORGANIZZATIVE

RUOLI MISSION E ATTIVITÀ

41

STRUTTURE

ORGANIZZATIVE

RUOLI MISSION E ATTIVITÀ

1. Ministero - Strutture

centrali

Ministro

Uffici di diretta

collaborazione

Capo Dipartimento

Organi di controllo

Indirizzo politico

Amministrativo

Strategie e Politiche

Obiettivi

➨ Capi Dipartimenti

Gestione Politiche

Progetti e Programmi

Obiettivi

➨ Dirigenti Dir. generali

➨ Dirigenti Servizi

➨ Dirigenti Regionali

Controllo

➨ Strategico

➨ Gestionale

➨ Attività Dirigenti

2. Direzione scolastica

regionale

Dirigente regionale Attuazione Politiche sul

territorio

Instaura rapporti di

collaborazione con la

Regione e gli Enti Locali

Allocazione risorse nella

regione

Coordinamento delle attività

dei Centri Servizi Integrati

Supporto e consulenza alle

Istituzioni scolastiche

autonome

42

STRUTTURE

ORGANIZZATIVE

RUOLI MISSION E ATTIVITÀ

3. Istituzione scolastica

autonoma

Dirigente scolastico Fornisce i servizi

educativi

Organizza l’attività

educativa impiegando le

risorse in un’ottica di

efficacia/efficienza

Costituisce reti di

collaborazione con altre

Istituzioni scolastiche

Instaura rapporti di

collaborazione con Enti

Locali

Il modello organizzativo sopra descritto è stato implementato con vari interventi

per l’ulteriore definizione dell’assetto funzionale e strutturale a livello periferico.

Infatti nel periodo febbraio - aprile 2001, si è realizzato un confronto tra i

dirigenti dell’Amministrazione centrale e quelli regionali, finalizzato alla definizione e

alla condivisione di un documento che indicasse le “Linee guida per l’articolazione

degli Uffici scolastici regionali” (documento organizzativo).

Tale documento, approvato il 18 aprile 2001, nel rispetto del nuovo disegno delle

competenze delle Regioni e degli Enti Locali in materia di istruzione e formazione (d.

lgs. 112/98), si propone il superamento dell’articolazione organizzativa precedente

(Uffici scolastici regionali e Provveditorati provinciali) e la delineazione di in nuovo

modello organizzativo, ispirato ai principi di collaborazione tra i diversi attori

istituzionali, di maggiore efficacia organizzativa e di migliore integrazione dei processi

per l’erogazione dei servizi educativi.

Il documento organizzativo individua la mission della Direzione scolastica

regionale e prevede, nel rispetto dell’autonomia organizzativa del Dirigente regionale

(ex art. 6 del Regolamento di organizzazione), sia un’articolazione organizzativa per

macroaree funzionali della sede regionale, sia una presenza nel territorio, attraverso

l’istituzione di Unità Operative denominate Centri Servizi Amministrativi (CSA) e

43

Centri Servizi per lo sviluppo delle Istituzioni scolastiche autonome (CSI) , allo scopo

di realizzare “politiche educative integrate” sul territorio (Vedi Fig. 1).

La struttura regionale può avvalersi di modalità di funzionamento innovative per

“Progetti”, con moduli organizzativi ad hoc e un coordinamento funzionale (non

gerarchico-burocratico) e personale opportunamente selezionato, formato e orientato al

raggiungimento di uno specifico obiettivo. Inoltre il Direttore regionale ha la facoltà di

conferire a dirigenti e funzionari “Incarichi” di rappresentanza (in organismi collegiali

territoriali o presso altre amministrazioni) o di raccordo con i Dipartimenti e i Servizi

dell’Amministrazione centrale.

Figura 1. IL NUOVO SISTEMA DI RELAZIONI TRA I DIVERSI LIVELLI ISTITUZIONALI

La Direzione scolastica regionale, tenuto conto della dimensione della regione e

della relativa consistenza di personale in dotazione, organizza le proprie attività in

relazione alle seguenti cinque aree funzionali:

- Area di pianificazione, programmazione e integrazione delle politiche formative;

- Area di supporto e sviluppo delle Istituzioni scolastiche autonome;

- Area organizzazione e politiche di gestione delle risorse umane della scuola;

- Area amministrazione e gestione delle risorse finanziarie;

D irezion eR eg io n a le

M IU R

R eg io n e

Is titu zion esco las tica

P rovin c ia

C om un e

C S I

P ianificazio n eIn teg rata d elle

P o litich e

P ian ific azio ne e

a llo ca zio ne

risors e

R isorse

L inee G uid a

In d irizzi

C S A

44

- Area gestione delle risorse e servizi della Direzione regionale.

Nel documento organizzativo, non è indicata, in modo prescrittivo,

l’articolazione degli uffici da attivare nell’ambito delle singole aree funzionali, ma sono

solo elencate, opportunamente, le principali attività di competenza di ciascuna area.

La Direzione scolastica regionale, inoltre, come già anticipato, tenuto conto della

popolazione scolastica, della sua distribuzione e della relativa consistenza di personale

in dotazione, si articola sul territorio attraverso l’istituzione di Unità Operative

denominate Centri Servizi Amministrativi (CSA) e Centri Servizi per lo sviluppo delle

istituzioni scolastiche autonome (CSI).

I CSA rappresentano un’articolazione organizzativa dell’Amministrazione

scolastica sul territorio, in modo più diffuso e capillare della struttura precedente (i

Provveditorati agli studi provinciali) e assolvono funzioni di tipo amministrativo.

Svolgono un’attività essenzialmente di front line (accoglienza, formazione, acquisizione

di pratiche amministrative, rilascio di atti amministrativi) rivolta principalmente al

personale della scuola, ma anche agli utenti della scuola (studenti e famiglie), agli Enti

Locali, ad altre agenzie educative e formative e ai soggetti professionali presenti sul

territorio.

I CSA dovrebbero dotarsi, in futuro, di risorse umane con competenze adeguate

per fornire anche attività di assistenza e consulenza più mirata e specializzata.

I CIS, previsti come strumento di sostegno dello sviluppo dell’autonomia delle

Istituzioni scolastiche e di fatto istituiti solo in alcune regioni, sono stati sospesi con

provvedimento del Ministro Moratti del dicembre 2001 in vista della complessiva

ristrutturazione del Ministero.

Il modello organizzativo sopra descritto, come abbiamo già anticipato, si

appresta infatti ad essere rimodulato nel nuovo disegno organizzativo del MIUR di

riunificazione dell’ex MPI e dell’ex MIUR, con una riassetto basato su tre nuovi

Dipartimenti: Dipartimento dell’Istruzione, Dipartimento dell’Università e Dipartimento

della Ricerca.

Le strutture organizzative a livello regionale e territoriale del Dipartimento

dell’Istruzione, si articoleranno invece in Centri Servizi Amministrativi (CSA).

La configurazione organizzativa sopra illustrata - prevista dal decreto 347/2000 e

dal successivo decreto ministeriale 30/1/2001 che ha ridefinito gli uffici dirigenziali di

livello non generale - si appresta ad essere a breve nuovamente modificata. Il nuovo

regolamento (che abrogherà i DPR 347\2000 ed il DM 30\1\2001) unificherà le strutture

45

e le risorse professionali dell’ex Ministero dell’istruzione e dell’ex Ministero

dell’università e della ricerca, cogliendo l’occasione per una razionalizzazione delle

strutture al fine di creare un modello organizzativo finalizzato a:

- integrare funzionalmente le diverse competenze nel campo dell’istruzione scolastica

e professionale, in quello dell’istruzione universitaria ed in quello della ricerca;

- evitare duplicazioni, accorpando le funzioni in comune ai tali settori, creando unità

organizzative di servizio trasversali alle diverse strutture;

- unificare i ruoli giuridici del personale.

Da quanto emerge dalle bozze del nuovo regolamento il nuovo MIUR sarà

costituito da tre Dipartimenti (Istruzione, Università e Ricerca), costituiti da un ridotto

numero di uffici di livello Dirigenziale generale. Sono inoltre previsti cinque Servizi a

supporto delle attività dei Dipartimenti.

1.3.3 Il Ministero dell’Economia e delle Finanze

Nelle diverse tappe che, sul finire degli anni’90, hanno condotto prima

all’unificazione del Ministero del Tesoro con quello del Bilancio e della

Programmazione Economica, e successivamente all’unificazione del “nuovo” Ministero

del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica con il Ministero delle

Finanze, la questione riguardante la razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni

attinenti alla finanza pubblica, attraverso la l’unificazione dei compiti concernenti la

provvista finanziaria con quelli relativi al controllo e alla gestione della spesa è

presente, ma non è la sola.

Accanto ad essa vi è, infatti, la necessità della sistemazione delle funzioni

riguardanti la finanza pubblica nel nuovo centro di un sistema amministrativo

profondamente modificato, caratterizzato da una parte, dall’importanza crescente dei

vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea e dall’altra, dal rilievo decisivo

attribuito ai governi regionali e locali, a seguito del trasferimento ad essi di un numero

assai significativo di decisioni amministrative.

All’istituzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze si è pervenuti

attraverso due leggi di delega e due diversi decreti delegati.

Con l’unificazione del Ministero del Tesoro con il Ministero del Bilancio, voluta

dalla Legge 3 aprile 1997, n. 94 e realizzata con il D.Lgs. n. 430/97, si è proceduto alla

prima decisiva opera di razionalizzazione degli strumenti di governo della finanza

46

pubblica, in collegamento con la riforma della struttura del bilancio dello Stato, operato

dalla stessa L. n. 94/97.

Con la L.n.59/97 e con il D.Lgs. n. 300/99 si è, da una parte, completata l’opera

di razionalizzazione degli strumenti di governo della finanza pubblica attraverso

l’affidamento ad un unico centro di responsabilità dei compiti riguardanti la provvista

dei mezzi finanziari e l’uso della leva fiscale e di quelli concernenti la spesa pubblica,

ma si è, dall’altra, configurato il nuovo sistema della finanza pubblica come un capitolo

fondamentale della razionalizzazione dell’intero apparato amministrativo del governo, a

servizio e a garanzia di un assetto istituzionale in cui quello statale non è più l’unico

centro di decisione amministrativa.

Quindi le riforme realizzate con il D.Lgs. n. 430/97 e il D.Lgs. n. 300/99,

relativamente alle funzioni attinenti alla finanza pubblica, utilizzano in parte strumenti e

modelli identici, ma rispondono a scopi diversi. Con la L. n. 94/97 e il D.Lgs. n. 430/97

la riforma amministrativa ed il suo prodotto - l’unificazione dei due ministeri - sono

considerati come un capitolo di un più ampio programma di contenimento della spesa

pubblica; con la L. n. 59/97 e il DLgs. n. 300/99, la riforma complessiva degli apparati

pubblici è realizzata allo scopo di rendere più efficace il sistema della decisione politica,

ivi compresa quella che passa attraverso il governo degli strumenti finanziari e le scelte

riguardanti le politiche pubbliche di redistribuzione del reddito e di allocazione delle

risorse tra le grandi opzioni di spesa.

Il sistema di governo della finanza pubblica viene così completato e collegato

con il sistema complessivo di governo del Paese.

La riforma realizzata con il D.lgs. n. 300/99 presuppone quella posta in essere

con il D.Lgs. n. 430/97, ma inserisce il nuovo e potenziato assetto degli strumenti di

governo della finanza pubblica in uno scenario istituzionale modificato, a seguito

dell’attuazione del c.d. federalismo amministrativo e del significativo riordino del

centro del sistema amministrativo, allo scopo di assicurare, come è richiesto dalla legge

di delega, l’unità di indirizzo politico e amministrativo del governo.

In tale assetto si delinea un nuovo ruolo del Ministero dell’Economia e delle

Finanze, a sostegno di una funzione volta a garantire il raggiungimento degli obiettivi di

politica economica ed il rispetto dei vincoli derivanti dall’Unione Europea,

nell’interesse dei diversi livelli di governo in cui si articola il sistema istituzionale ed

amministrativo del Paese e con la partecipazione responsabile di essi.

47

1.3.4. La riforma del Ministero delle Finanze

Il D.Lgs. n. 300/99 contiene una serie di disposizioni dedicate alla

trasformazione dell’amministrazione finanziaria in un insieme coordinato di ministero

“snello” e di agenzie fiscali.

La ridefinizione delle funzioni e degli aspetti organizzativi della struttura

ministeriale può essere considerata l’ultima tappa del percorso che negli ultimi anni ha

portato al varo della riforma.

Il processo di riorganizzazione del ministero delle Finanze è stato accompagnato

da dissensi che sembravano non considerare la degradazione e la paralisi in cui versava.

Qualcuno si è chiesto per quale motivo, di fronte ad una crisi riguardante tutti

gli apparati pubblici, occorresse varare un regime particolare per l’amministrazione

delle entrate. La domanda traeva ulteriore legittimazione dal fatto che, essendo in corso

una riforma generale della Pubblica Amministrazione, di essa avrebbe potuto

avvantaggiarsi anche l’amministrazione finanziaria.

In realtà numerose sono le particolarità di quest’ultima, rispetto alle altre

amministrazioni statali, che giustificano una riforma autonoma, a cominciare dalla

specificità del potere pubblico in materia tributaria.

Difatti, pur agendo come qualsiasi soggetto dotato di autorità pubblica,

l’amministrazione dei tributi è priva di poteri dispositivi in ordine alla determinazione

della prestazione fiscale dovuta dai singoli; essa non può apprezzare quegli interessi che

indurrebbero a mitigare o ad accrescere il prelievo fiscale su determinati cespiti o su

date attività.

D’altra parte, se simili poteri fossero attribuiti alla amministrazione delle finanze,

i singoli uffici sarebbero investiti di un eccessivo potere di ingerenza nei diversi settori

della vita economica e sociale. La peculiarità concettuale del potere amministrativo

tributario sta, pertanto, nel dirigersi prevalentemente all’acquisizione delle conoscenze e

all’interpretazione della legislazione sostanziale piuttosto che al contemperamento di

interessi.

Sul piano operativo, la necessità di applicare i tributi in tutti i settori della vita

economica e sociale ha prodotto una grande varietà di schemi organizzativi all’interno

dell’amministrazione finanziaria, con una molteplicità di specializzazioni diversificate e

parallele, molte delle quali estremamente approfondite, ad esempio in tema di bilancio

societario, gestione delle liti, ecc…

48

Sul piano sociologico e politico, è ormai chiaro che il profondo malessere

esistente nel nostro Paese è dipeso non dai modelli astratti dei tributi, ma

dall’inadeguatezza della amministrazione a governare un sistema che l’evoluzione

economica rende sempre più complesso.

Tutto questo rende inadeguato all’amministrazione finanziaria il modello

generale di pubblico impiego che, nel corso degli anni, si è imposto rispetto alle regole

particolari stabilite per i singoli ministeri.

Le riforme che attualmente interessano il settore dell’amministrazione pubblica

da un lato sono volte a snellire questo modello generalista, dall’altro lato tendono a

rafforzare il processo di omogeneizzazione, con i percorsi di reclutamento e di carriera

in cui prende corpo l’istituto del ruolo unico della dirigenza.

Si tratta, come si è visto, di un istituto pensato sulla figura del manager dotato di

più sensibilità e conoscenze generali che di una conoscenza specifica di un determinato

settore, intercambiabile tra un’amministrazione e l’altra. E’ chiaramente opportuno che

le doti generali del manager pubblico ed principi di efficienza, economicità, trasparenza

e imparzialità pervadano anche l’amministrazione dei tributi, ma è necessario,

comunque, tener conto del fatto che quest’educazione manageriale di carattere generale

deve essere riferita ad un contesto operativo particolare, il quale richiede un solida

conoscenza dei principi generali dell’applicazione dei tributi e delle regole procedurali

e sostanziali che caratterizzano ciascun settore dell’ordinamento tributario.

L’amministrazione finanziaria, dunque, richiede, rispetto alle altre

amministrazioni, figure professionali meritevoli di riconoscimento dirigenziali non tanto

perché dirigono un numero consistente di impiegati di livello inferiore, ma perché

operano in prima persona su problemi di grande complessità 37.

1.3.5. La nuova organizzazione ed il sistema di relazioni tra Ministero delle Finanze e

Agenzie

Occorre dire che il riordino legislativo del Ministero delle Finanze ha formato

oggetto di due distinte fasi, temporalmente definite.

In una prima, coincidente con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 300/99 (occorre

notare come, a differenza degli altri ministeri che sono stati istituiti a decorrere dalla

data del decreto di nomina del nuovo Governo, costituito a seguito delle prime elezioni

politiche successive all’entrata in vigore del D.lgs. n. 300/99, la riforma del Ministero

37 Lupi R., Le agenzie delle entrate tra legalità e flessibilità, in Rassegna tributaria n. 5/1999, pag.1437.

49

delle finanze ha avuto immediata attuazione) sono state costituite le quattro agenzie

fiscali, con l’attribuzione al ministero dei compiti di coordinamento e di politica

generale della fiscalità, procedendo, al contempo, ad attribuire ai nuovi enti tutte le

funzioni gestionali e tecnico-operative.

Con l’inizio dell’attuale legislatura (a far data, quindi, dal 13 maggio 2001) si è

aperta, invece, la seconda fase: si è attuata, cioè, l’unificazione del Ministero delle

Finanze con il Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica.

Si tratta di un nuovo ministero che provvede a riunire gli ex Ministeri del Tesoro

e del Bilancio e quello delle Finanze. Ad esso sono attribuite “le funzioni e i compiti

spettanti allo Stato in materia di politica economica, finanziaria e di bilancio,

programmazione degli investimenti pubblici, coordinamento della spese pubblica e

verifica dei suoi andamenti, politiche fiscali e sistema tributario, […]. Il Ministero

svolge altresì compiti di vigilanza su enti e attività e le funzioni relative ai rapporti con

autorità di vigilanza e di controllo previsti dalla legge”(art. 23, 2° comma, D.Lgs. n.

300/99). In questo modo, dopo quasi sessanta anni, è stato istituito un ministero che si

occupa globalmente delle funzioni in tema di entrate e di spese dello Stato (un

superministero dell’economia) che, avvalendosi delle strutture dipartimentali, svolge

funzioni di spettanza statale nelle aree di funzioni indicate nell’art. 24 del decreto

delegato. Un unico soggetto titolare delle decisioni politiche in materia di entrate e di

spesa pubblica, notevolmente alleggerito nell’organizzazione centrale degli apparati,

snello e flessibile.

Per lo svolgimento delle funzioni operative è stato scelto, come detto, di

ricorrere al modello dell’agenzia pubblica, al fine di garantire, nei processi

amministrativi utilizzati per l’attività di accertamento e di riscossione delle entrate

tributarie, l’esistenza di strutture vicine a modelli privatistici, improntate a criteri di

efficienza ed efficacia.

Un modello quest’ultimo che dovrebbe consentire di assumere in modo

tempestivo le decisioni amministrative necessarie, garantendo l’erogazione dei servizi

indispensabili per dare concreta soddisfazione ai diritti garantiti ai cittadini dalla carta

costituzionale.

In modo sintetico, possiamo affermare che per effetto della riforma introdotta

con il D.lgs. n. 300/99 si è attuata concretamente la distinzione tra i compiti di indirizzo

politico ed amministrativo ( di esclusiva spettanza del Ministro) ed i compiti gestionali

(affidati alle agenzie fiscali), assegnando al nuovo Dipartimento per le politiche fiscali

50

tutte quelle attività che, per loro natura, non possono essere oggetto del trasferimento

funzionale alle agenzie. Si tratta di attribuzioni che attengono al “governo” della politica

fiscale e trovano puntuale riscontro nel regolamento di organizzazione, emanato con

D.P.R. n. 107 del 26 marzo 2001. Quest’ultimo regolamento, emanato in forza dell’art.

58 del D.Lgs. n. 300/99, 3° comma, detta le disposizioni concernenti l’organizzazione,

la disciplina degli uffici e le dotazioni organiche del ministero: con esso è stata prevista

l’articolazione interna del Dipartimento in otto uffici di livello dirigenziale generale. Si

tratta dell’ufficio studi e politiche economiche e fiscali, dell’ufficio studi e politiche

giuridico-tributarie, dell’ufficio agenzie ed enti della fiscalità, dell’ufficio

amministrazione delle risorse, dell’ufficio relazioni internazionali, dell’ufficio per il

federalismo fiscale, dell’ufficio per la comunicazione istituzionale ed infine dell’ufficio

per il coordinamento delle tecnologie informatiche. Al Capo Dipartimento competono i

poteri di coordinamento, di direzione e di controllo nei confronti dei singoli dirigenti

degli uffici interni, la gestione complessiva delle attività istituzionali e di rappresentanza

del dipartimento e, a mente dell’art. 3, 3° comma del regolamento, il compito di

promuovere “la creazione di strutture temporanee interfunzionali per la gestione di

progetti di particolare rilievo e i processi che richiedono contributi di più strutture

operative”.

Si tratta, evidentemente, di una nuova organizzazione ministeriale in grado di

assicurare la piena realizzazione di quella netta separazione, da più parti auspicata, tra il

vertice amministrativo (titolare di tutte le funzioni di controllo e di coordinamento) e le

strutture cui compete (in un contesto, peraltro, di piena autonomia) la gestione operativa

del complesso di attività connesse al prelievo fiscale.

Si viene così a creare una rete di relazioni tra Ministro, Dipartimento e Agenzie,

nella quale al Ministro spetta l’esercizio delle funzioni di indirizzo politico nei confronti

del Dipartimento e delle Agenzie, mentre al Dipartimento è assegnato il compito di

svolgere tutte le funzioni amministrative nei confronti delle agenzie, sia in attuazione

delle direttive del ministro, sia in base alle proprie funzioni di controllo e di vigilanza.

Emerge in tal modo un vero e proprio mutamento organizzativo che,

comportando la totale dismissione di tutte le funzioni gestionali da parte dell’apparato

ministeriale, si riflette direttamente sul sistema di relazioni tra ministero e Agenzia.

E’ per questo motivo che uno dei settori cruciali dell’attività del dipartimento

ministeriale è sicuramente quello della negoziazione, in sede di convenzione annuale,

51

degli obiettivi che le Agenzie sono tenute a realizzare e della successiva verifica dei

risultati della gestione.

L’aspetto della negoziazione e il grado di effettiva autonomia delle agenzie, nel

quadro del conseguimento di precisi risultati in termini di gettito fiscale, e più in

generale di efficienza gestionale, rappresentano i punti di maggiore interesse nello

sviluppo del futuro andamento dei rapporti funzionali tra ministero e Agenzie fiscali.

Nell’ambito di questo complesso sistema di relazioni, altro punto di rilievo è la

funzione di coordinamento nella quale vengono ricomprese tutte quelle attribuzioni,

proprie delle prerogative di indirizzo politico, che il vertice amministrativo detiene nei

confronti dell’attività gestionale propria delle Agenzie e che non rientrano nel quadro

dell’attività negoziata attraverso le convenzioni. Tale coordinamento deve essere inteso

sia come coordinamento esterno (nei confronti dei soggetti terzi operanti nel campo

della fiscalità) sia all’interno dei rapporti tra le stesse Agenzie.

Il cambiamento che investe l’Amministrazione finanziaria ha l’ambizione di

modificare e innovare il funzionamento delle strutture, dei meccanismi decisionali e

delle prassi lavorative.

Tutto questo richiede non solo l’apprendimento di nuovi metodi di lavoro e

l’acquisizione di nuove competenze, ma anche un cambiamento della mentalità, degli

stili di management e di comunicazione.

A tal fine è necessario che la riforma stessa venga condivisa e coinvolga,

ottenendo la partecipazione, tutto il management e i dipendenti.

Se l’opera di ridefinizione delle strutture e delle competenze del ministero

“snello” può considerarsi ultimata, è pur vero che rimangono da verificare le incognite

connesse al funzionamento del rapporto Ministero- Agenzie, nel quadro di una riforma

che ha portato ad un forte ridimensionamento del vertice amministrativo dell’apparato

fiscale ma, nel contempo, ha mantenuto le sue fondamentali funzioni di indirizzo e di

controllo gestionale.

1.3.6. Le Agenzie fiscali

La costituzione delle Agenzie fiscali rappresenta uno dei processi di maggiore

rilevanza e complessità nel quadro dell’opera di riorganizzazione del Ministero delle

Finanze.

L’art. 57 del D.Lgs. n. 300/99 attribuisce alle Agenzie fiscali le funzioni già di

competenza dei dipartimenti delle entrate, delle dogane e del territorio, prevedendo la

52

costituzione rispettivamente dell’Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane, Agenzia

del Territorio e Agenzia del demanio. In particolare il Dipartimento del territorio è stato

sdoppiato in due agenzie, viste le diverse funzioni svolte dalla parte più consistente,

dedicata ai servizi catastali, rispetto a quella meno numerosa, come addetti, adibita alla

gestione del demanio.

L’Agenzia delle Entrate persegue il miglior livello di adempimento degli

obblighi fiscali attraverso l’assistenza ai contribuenti e il contrasto degli inadempimenti

e dell’evasione; provvede ad amministrare e gestire la riscossione e il contenzioso dei

tributi diretti, dell’IVA e di tutte le entrate erariali di competenza del Dipartimento.

L’Agenzia delle Dogane amministra e gestisce la riscossione e il contenzioso dei

diritti doganali e della fiscalità interna negli scambi internazionali; opera in stretta

collaborazione con gli organi dell’Unione Europea; gestisce i laboratori doganali di

analisi e può offrire sul mercato le relative prestazioni.

L’Agenzia del Territorio gestisce i servizi relativi al catasto, i servizi

geotopografici e quelli relativi alle conservatorie; costituisce l’anagrafe dei beni

immobiliari esistenti sul territorio nazionale; opera in stretta collaborazione con gli enti

locali per favorire lo sviluppo di un sistema integrato di conoscenze sul territorio.

L’Agenzia del Demanio amministra i beni immobili dello Stato con il compito di

realizzarne e valorizzarne l’impiego; gestisce i programmi di vendita, di provvista, di

utilizzo e manutenzione di tali immobili.

Il decreto di riforma detta una disciplina generale per le agenzie, prevedendone,

tuttavia, l’applicazione solo in via residuale alle Agenzie fiscali, per le quali viene

introdotta una disciplina derogatoria.

Le Agenzie fiscali hanno, per espressa disposizione di legge, personalità di

diritto pubblico, godono di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale,

organizzativa, contabile e finanziaria.

Esse operano, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro affidate, sulla base dei

principi di legalità, imparzialità e trasparenza, con criteri di efficienza, economicità ed

efficacia, nel perseguimento delle rispettive missioni, secondo un modello orientato su

obiettivi da raggiungere piuttosto che su adempimenti da attuare. Il che rivela il

passaggio, più volte sottolineato in corso di trattazione, da una amministrazione che

agisce per adempimenti ad un’amministrazione per obiettivi e risultati.

I rapporti tra ciascuna agenzia e il ministero sono regolati, per ogni esercizio

finanziario, da convenzioni stipulate in coerenza con il documento di indirizzo con il

53

quale il Ministro determina annualmente - in conformità a quanto stabilito nel

documento di programmazione economica e finanziaria approvato dal Parlamento - gli

sviluppi della politica fiscale, le linee generali e gli obiettivi della gestione tributaria, le

grandezze finanziarie e le altre condizioni in base alle quali si sviluppa l’attività delle

Agenzie.

In ciascuna convenzione sono indicati i servizi dovuti e gli obiettivi da

raggiungere; le direttive generali sui criteri di gestione e i vincoli da rispettare; le

strategie per il miglioramento, le risorse disponibili; gli indicatori e i parametri in base

ai quali misurare l’andamento della gestione, le modalità di verifica dei risultati di

gestione, le disposizioni necessarie per assicurare al Ministro la conoscenza dei fattori

gestionali.

Dal punto di vista dell’organizzazione interna l’art. 67 stabilisce che

costituiscono organi delle agenzie fiscali il direttore, il comitato direttivo ed il collegio

dei revisori dei conti. A questi organi è naturalmente attribuito il complesso dei compiti

previsti dalle norme vigenti.

Il Direttore è nominato con decreto del presidente della Repubblica, previa

deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle Finanze, sentita

la conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, e dura in carico massimo

cinque anni. Egli rappresenta l’agenzia e la dirige, emana tutti i provvedimenti che non

siano di competenza di altri organi.

Il Comitato direttivo è nominato con le medesime modalità e per la stessa durata.

Secondo il dettato dell’art. 68, il comitato delibera, su proposta del direttore, lo Statuto,

i regolamenti e gli altri atti di carattere generale che regolano il funzionamento

dell’agenzia, i bilanci preventivi e consuntivi, i piani aziendali, ecc..

In particolare, assume una particolare posizione lo statuto, atto che viene

deliberato dal comitato direttivo dell’ente e successivamente approvato dal Ministro

competente. Non si tratta di un atto che provvede a disciplinare l’organizzazione interna

dell’agenzia fiscale (per essa, infatti, soccorrono in maniera dettagliata le disposizioni

legislative del D.Lgs. n. 300/99), bensì i fini istituzionali dell’ente, le attribuzioni degli

organi e i rapporti tra gli stessi. Questo costituisce un elemento di differenziazione delle

agenzie fiscali, in quanto gli statuti relativi alle altre agenzie sono emanati con

regolamento di delegificazione. Si tratta di statuti cosiddetti leggeri poiché individuano

la mission e delineano la struttura dell’agenzia, mentre l’organizzazione è definita in

dettaglio con disposizioni interne che si conformano alla conduzione aziendale

54

favorendo il decentramento delle responsabilità operative, la semplificazione dei

rapporti con i cittadini e il soddisfacimento delle necessità dei contribuenti, nel rispetto

dei criteri di economicità ed efficienza dei servizi.

Ma è soprattutto sul piano dell’autonomia patrimoniale che viene ad evidenziarsi

una delle più marcate differenze tra “l’Agenzia”, così come intesa nel D.Lgs. n. 300/99,

e le Agenzie fiscali (V. figura 2). Alla prima, in effetti, è assicurata un’autonomia di

bilancio nei limiti dei fondi stanziati in un’apposita unità previsionale di base del

ministero competente; alle seconde, invece, è riconosciuta una dotazione finanziaria

rappresentata dalle risorse trasferite dalle amministrazioni e dagli enti dei quali le

agenzie assumono le funzioni, dagli introiti derivanti dai contratti stipulati con le

amministrazioni per le prestazioni di collaborazione, consulenza, assistenza, servizio,

supporto, promozione ed, infine, da un finanziamento annuale a carico del ministero

competente, suddiviso in distinti capitoli per spese di gestione, spese di investimento e

quota incentivante connessa al raggiungimento degli obiettivi gestionali.

Figura 2

3.3. L’INPS

55

1.3.7. L’INPS: mission, funzioni e ruolo nel Welfare italiano

L’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza sociale) rappresenta la realtà

organizzativa più importante nel sistema di welfare italiano e costituisce il cardine del

sistema previdenziale ed assistenziale.

Nel contesto della Pubblica Amministrazione l’INPS si colloca tra gli enti

pubblici non economici erogatori di servizi, cioè tra quegli enti che, pur non svolgendo

attività economica, si atteggiano per caratteristiche e modalità di funzionamento come

“aziende di servizio”.

La mission dell’INPS storicamente è stata costituita dalla gestione ed erogazione

di servizi connessi con la previdenza obbligatoria, a partire dalla riscossione dei relativi

contributi, allargandosi nel tempo anche a ricomprendere la gestione e l’erogazione

delle forme di assistenza con le quali lo Stato ha inteso fornire risposta alle situazioni di

crisi sul piano occupazionale, della riconversione industriale, o su quello più

strettamente “sociale”.

La ridefinizione della mission è avvenuta in seguito alla legge di riforma

pensionistica, L. n. 335/95, che ha allargato il “mercato della previdenza”, fino ad allora

quasi esclusivamente pubblico, a differenti soggetti pubblici e privati( in materia di

previdenza complementare), e ad altri interventi normativi in materia di unificazione

delle basi imponibili, della riscossione d’imposte e contributi, nonché del recupero

coattivo dei crediti.

In particolare, la L. n. 335/95, avendo introdotto elementi di variabilità nella

definizione del diritto alle prestazioni che si differenziano notevolmente a seconda delle

situazioni personali, ha spinto l’Istituto a riorganizzarsi per fornire servizi personalizzati

e attività di consulenza.

L’efficienza e l’efficacia del sistema di previdenza (obbligatorio e/o integrativo-

complementare) che costituisce il prodotto-servizio principale dell’INPS, sarà al centro

delle politiche dei governi poiché rappresenta una parte rilevante e significativa del

Welfare State dei paesi europei 38.

L’INPS, più di altri Enti, in questi anni, per l’attività che svolge è stato, ed è,

sotto i riflettori del Governo, del Parlamento e dell’opinione pubblica ed ha dovuto

affrontare le nuove sfide connesse al processo di cambiamento delle Pubbliche

Amministrazioni.

38 Cocozza A., “Oltre l’ordinaria amministrazione. Gestione delle risorse umane e relazioni sindacali nei processi di trasformazione delle pubbliche amministrazioni”, Industria e Sindacato, 1997, pag.12.

56

La complessa attività dell’Ente, che si manifesta essenzialmente nell’erogazione

delle prestazioni di natura previdenziale e assistenziale e nella riscossione dei tributi,

interessa praticamente tutti gli strati della popolazione e i settori dell’economia.

A ciò occorre aggiungere che, nel corso degli anni, sono stati affidati all’INPS

compiti progressivamente crescenti che hanno ampliato notevolmente la sfera

dell’attività istituzionale dell’Ente nel campo della sicurezza sociale.

Nel panorama tecnologico, socio-economico e del Welfare State in mutamento,

l’Inps si configura oggi come una impresa rete (V. figura 3) e come un importante polo

informatico pubblico, al centro di un network di soggetti privati e pubblici che

costituiscono il sistema previdenziale ed assistenziale italiano.

La recente legislazione in materia assistenziale ha affidato all’INPS il compito di

costituire e gestire una banca centrale di dati inerenti i redditi e di provvedere al calcolo

dell’indicatore della situazione economica (ISEE): in tale contesto l’Istituto può mettersi

al servizio di tutte quelle amministrazioni centrali e periferiche che distribuiscono quote

di stato sociale, non solo come portatore di dati ma come struttura intelligente capace di

integrarli, a seconda delle diverse tipologie di prestazioni, e di favorire una equa

distribuzione del Welfare.

Strumentale al perseguimento di questi obiettivi, per le diverse macroaree in cui

l’INPS svolga la sua attività, è la realizzazione del nuovo disegno organizzativo

dell’Ente, fondato sull’organizzazione del lavoro per processi, quale presupposto per la

ricompattazione delle attività che compongono il processo di gestione conto

Cocozza (2003) 7

Figura 3. Istituto N azionale della Previdenza Sociale

F igura 3. Istituto N azionale della Previdenza Sociale

V alorizzazione personaleV alorizzazione personale

Sviluppo “ azienda rete “Sviluppo “ azienda rete “ ( integrazione in terna ( integrazione in terna

e con l’am biente)e con l’am biente)

Integrazione conIntegrazione con le Pubbliche A m m in istrazion i le Pubbliche A m m in istrazion i

in o ttica d i sistem a paesein ottica d i sistem a paese

A m pliam entoA m pliam entocom petenze com petenze

IN P SIN P S

E quilibrio finanziarioE quilibrio finanziarioed econom icità di gestioneed econom icità di gestione

C LIEN T EC LIEN T EIN T E R N E TIN T E R N E T

P O R T A L E IN PSP O R T A L E IN PS

O rganizzazione per O rganizzazione per unità di processounità di processo

57

assicurato/pensionato e il processo conto/aziende. Tale modello è ispirato inoltre ai

principi di decentramento decisionale e territoriale, al governo dello sviluppo

organizzativo, al coinvolgimento generalizzato di tutti i livelli (strutture-ruoli) nel

conseguimento degli obiettivi, affinché l’Istituto si posizioni ai massimi livelli di qualità

e tempestività nell’erogazione e servizi e divenga punto di riferimento nell’ambito della

Pubblica Amministrazione.

1.3.8. L’assetto istituzionale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale

a) Gli organi

Il modello gestionale delineato dalla L. n. 88/89, impronta la propria attività a

criteri di economicità, imprenditorialità ed efficienza. Questa scelta di fondo ha

comportato la ridefinizione del modello di operare, incentrato, oltre che sul rispetto

della legittimità degli atti, sulla cultura del risultato e di soddisfazione dei bisogni del

cittadino, nonché il coerente ridisegno di tutte le componenti dell’organizzazione.

Con la nuova configurazione organizzativa tracciata dal D.Lgs. n. 479/94, e dal

recente Regolamento di organizzazione ( Delibera n. 380/2000 del Consiglio di

Amministrazione dell’INPS), si passa ad un assetto fondato sulla distinzione netta tra

funzioni di indirizzo e vigilanza da un lato, e di gestione dall’altro, in cui le parti sociali

non sono più rappresentate, come in passato , negli organi di amministrazione (

Consiglio di Amministrazione), bensì nel Consiglio di Indirizzo e Vigilanza, che non

riveste funzioni di carattere gestionale.

Ai sensi delle succitate normative sono organi dell’Istituto:

- il Presidente

- il Consiglio di Amministrazione

- il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza

- il Collegio dei Sindaci

- il Direttore Generale.

Il Presidente dell’INPS ha la rappresentanza legale dell’Ente, convoca e presiede

il Consiglio di Amministrazione, assiste alle sedute del Consiglio di Indirizzo e

Vigilanza, rappresenta l’Istituto nelle trattative sindacali a livello nazionale, assicura il

raccordo tra gli organi dell’INPS e cura i rapporti dell’Ente con istituzioni nazionali ed

estere.

Il Consiglio di Amministrazione, composto dal Presidente dell’Ente e da sei

esperti, di cui due scelti tra i dirigenti della Pubblica Amministrazione, definisce le

58

politiche e le strategie dell’INPS, predispone i piani pluriennali, il bilancio preventivo e

il conto consuntivo, approva i piani annuali di attività e di impiego dei fondi disponibili

nell’ambito della programmazione, definisce il Regolamento di organizzazione,

l’Ordinamento dei servizi e determina la dotazione organica dell’Istituto, approva i

regolamenti di amministrazione e contabilità, attribuisce gli incarichi di funzioni di

livello dirigenziale generale.

Il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza, composto da rappresentanti delle

Confederazioni sindacali di lavoratori dipendenti e delle Organizzazioni dei datori di

lavoro e dei lavoratori autonomi, definisce i programmi e individua le linee di indirizzo

generale dell’Ente, determina gli obiettivi strategici pluriennali, approva il bilancio

preventivo ed il conto consuntivo, emana le direttive di carattere generale relative

all’attività dell’Istituto, esercita la funzione di vigilanza e controllo.

Il Direttore generale è responsabile dell’attuazione delle deliberazioni del

Consiglio di Amministrazione, sovrintende al personale e all’organizzazione dei servizi,

ha la responsabilità delle attività dirette al conseguimento dei risultati e degli obiettivi,

coordina e sovrintende gli uffici e le funzioni di livello generale centrale e le Direzioni

regionali.

Il Collegio dei Sindaci controlla l’amministrazione dell’Istituto, vigila

sull’osservanza della legge, accerta la regolare tenuta della contabilità e la

corrispondenza del bilancio alle scritture contabili.

L’Ente, infine, è sottoposto al controllo sulla gestione esercitato dalla Corte dei

Conti attraverso un magistrato che riferisce al Parlamento sull’efficienza economica e

finanziaria dell’attività svolta.

b) L’articolazione della struttura organizzativa dell’INPS

Il nuovo modello organizzativo dell’INPS, in base alle delibere del Consiglio di

Amministrazione n. 799 del 1998 e n. 380 del 2000, si articola su tre livelli. Si è,

pertanto, passati da un modello di azienda “lunga” e disomogenea sotto il profilo delle

modalità di organizzazione e produzione, ad un modello di azienda “corta” e “piatta”

fondata sul decentramento decisionale (il processo produttivo viene organizzato su un

unico livello di articolazione territoriale ed affidato ad una struttura di produzione snella

e sburocratizzata, l’Agenzia), e sulla semplificazione della piramide gerarchica.

Il primo dei tre livelli di cui consta l’architettura dell’Ente è rappresentato dalla

Direzione Generale, centro direzionale del sistema INPS, con sede a Roma, il cui ruolo

59

si sostanzia nel presidio della missione istituzionale, nel coordinamento e controllo delle

politiche gestionali sull’intero territorio nazionale, e nel supporto propositivo, di analisi

normativa e di conoscenza del quadro socio-economico e di contesto aziendale, agli

organi dell’Istituto.

Tali indirizzi configurano la Direzione Generale come il livello organizzativo

che, delegati i compiti operativi e di produzione agli altri livelli, garantisce lo

svolgimento dei processi diretti ad individuare i fini dell’azienda, innovare i servizi,

implementare le strategie, controllare e coordinare le attività. Essa si articola in sette

Direzioni Centrali, che coordinano il territorio con responsabilità globali su tutte le fasi

del ciclo produttivo, Progetti e Coordinamenti generali professionali.

Al secondo livello si situano le Direzioni regionali, con sede nei capoluoghi di

ogni regione, che costituiscono centri di coordinamento e di supporto alle strutture

operative operanti nella regione, di verifica delle attività produttive e di gestione delle

relative risorse.

Presso ciascuna Direzione regionale, inoltre, è costituita la conferenza regionale

dei Direttori, presieduta dal Direttore regionale, con la funzione di realizzare la

programmazione, l’integrazione e lo sviluppo equilibrato dei livelli di servizio in tutte le

strutture della regione.

Il nuovo Regolamento di Organizzazione, approvato con Delibera n. 380 del 5

luglio 2000, prevede come terzo livello di articolazione territoriale, le Direzioni

territoriali subregionali, comprendenti le Direzioni provinciali (facenti capo ad un

dirigente) e subprovinciali, preposte al coordinamento e al controllo della produzione e

dell’erogazione dei servizi all’interno delle rispettive strutture e presso le Agenzie di

produzione rientranti nel proprio comprensorio.

Le attività produttive, dunque, si svolgono all’interno delle Direzioni territoriali

subregionali, oppure sono decentrate presso le Agenzie di produzione (dirette da un

funzionario), e comprendono l’intero ciclo operativo mediante il quale si assolvono le

funzioni istituzionali di riscossione dei contributi, di erogazione delle prestazioni e delle

connesse attività amministrative e contabili. All’interno di questo livello, il Direttore

provinciale esercita le funzioni di governo delle risorse umane, strumentali e logistiche,

gestione della comunicazione esterna ed interna, controllo della produzione e della

qualità dei servizi, gestione degli assetti organizzativi e della rete informativa, gestione

e sviluppo dell’azione formativa, analisi e monitoraggio dei flussi contabili e finanziari,

gestione dell’attività di vigilanza e delle sofferenze creditizie.

60

L’attuale architettura organizzativa dell’Istituto si presenta, in tal modo, come

attuazione dei principi di sussidiarietà e di decentramento decisionale, realizzando

l’avvicinamento del servizio al cittadino/cliente con intervento del livello superiore solo

in caso di inerzia o di disfunzioni delle strutture operative.

1.3.9. La riorganizzazione per processi nell’INPS

L’INPS, a partire da primi anni ’90, per fronteggiare la mutazione qualitativa

della richiesta di servizio in un quadro generale di contenimento della spesa pubblica

che ha interessato tutte le Pubbliche Amministrazioni 39, ha avviato progetti di

riconsiderazione del modello organizzativo, tendendo a sviluppare un assetto basato

sulla riduzione dei livelli gerarchici, sull’integrazione delle attività, sull’ampliamento e

l’arricchimento delle posizioni di lavoro impegnate nel processo di erogazione del

servizio, sul decentramento territoriale dei servizi e sulla riduzione delle attività di

supporto al processo produttivo.

Leva principale del mutamento organizzativo nell’INPS, in una strategia

complessiva di qualità totale del servizio, è stata la soddisfazione del cliente.

Poter soddisfare le esigenze del cliente/cittadino diventa l’obiettivo strategico

dell’Ente pubblico, il che comporta un cambiamento nella mentalità e nella cultura

dell’organizzazione, ma anche nella struttura e nel modo di lavorare. Inoltre, la sempre

più accentuata contrazione delle risorse umane, per effetto dei numerosi pensionamenti

non supportati da un adeguato turn-over, e la profonda modifica dei livelli di sevizio

richiesti dal contesto socio-economico per effetto delle leggi di riforma previdenziale, e,

più in generale, dell’esigenza di un diverso ruolo della Pubblica Amministrazione,

comportano la necessità di una ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse e di interventi

di razionalizzazione delle modalità organizzative ed operative.

Queste ragioni hanno condotto nel corso del 1996 alla definizione di un progetto

operativo, finanziato anche dal Dipartimento per la funzione pubblica, basato sulla

logica di lavoro per processi, che è stata oggetto di sperimentazione prima presso alcune

sedi pilota e successivamente nella generalità delle strutture dell’Istituto.

L’obiettivo fissato era quello di superare l’obsoleto modello funzionale per

pervenire ad una organizzazione per processi, in modo da raggiungere miglioramenti

radicali di performance nello svolgimento delle proprie attività istituzionali.

39 Ongaro E., “L’organizzazione per processi delle Amministrazioni Pubbliche”, in Sviluppo e Organizzazione, n.182, Milano, 2000.

61

Un’azienda lavora per processi se la sua organizzazione è strutturata sulle attività

piuttosto che sulle aree di competenza (funzioni). Un processo può essere definito come

l’insieme delle attività collegate necessarie per raggiungere un obiettivo aziendale, e

come l’insieme della attività da svolgere per soddisfare le esigenze del cliente.

Mentre nell’organizzazione funzionale vi è una divisione del lavoro per aree di

competenza ben delineate sulla base dell’erogazione di un determinato prodotto al

cliente, in cui ogni funzione lavora in maniera indipendente dalle altre, con il rischio di

carente comunicazione trasversale e, quindi, a “compartimenti stagni”,

nell’organizzazione per processi la divisione del lavoro si fonda sulle attività orientate

alla fornitura di servizi integrati ad una certa tipologia di cliente, in un’ottica, per

l’appunto, di processo, ossia globale, e non settorializzata e parcellizzata.

La visione globale dell’Istituto in termini di processo supera, dunque, la

preesistente descrizione delle attività per funzioni(raggruppamento per attività simili a

seconda dei tipi di compiti e competenze), in quanto ricostruisce le attività lavorative ed

il flusso delle informazioni partendo dal risultato, dalla soddisfazione del bisogno.

Assumere un approccio di processo vuol dire adottare il punto di vista del cliente/utente,

in quanto i processi rappresentano le strutture organizzative per mezzo delle quali un

ente pubblico o un’azienda espletano le attività destinate a produrre valore per i

cittadini/clienti.

Nel 1998 la logica organizzativa del lavoro per processi è stata recepita nel

regolamento di Organizzazione dell’INPS e, in applicazione delle previsioni di

attuazione del nuovo modello organizzativo, è stato definito un percorso, che ha

comportato nel corso degli anni successivi lo sviluppo di fasi e di attività per consentire

la costituzione di strutture integrate su segmenti dell’intero processo di lavoro e,

attualmente, una fase, non ancora interamente compiuta, di integrazione piena dei

segmenti del processo di lavoro con la conseguente configurazione di profili

professionali fungibili e polivalenti.

L’obiettivo primario della riforma dell’organizzazione del sistema INPS è quello

di dar vita ad un’Impresa rete che, superando le tradizionali strutture basate sulla

specializzazione e sulla stratificazione dei livelli gerarchici, si articoli per moduli

organizzativi semiautonomi (unità di processo) che gestiscono i processi primari e di

supporto dell’Ente, al cui interno le attività sono svolte da gruppi di operatori

responsabili del raggiungimento degli obiettivi e sostanzialmente autonomi nel definire

i comportamenti per raggiungerli.

62

In conclusione, il mutamento del ruolo dell’INPS da organismo deputato

all’applicazione della normativa previdenziale e assistenziale a soggetto imprenditore

orientato al soddisfacimento della domanda proveniente dal cliente/utente, ha reso

imprescindibile la modificazione della configurazione aziendale, attraverso l’abbandono

del pregresso modello funzionale/divisionale a più livelli gerarchici e l’adozione di un

modello innovativo per processi che colloca l’Ente in un’ottica di efficienza sistemica

finalizzata a fornire servizi rapidi, flessibili, a basso costo e in una logica orientata alla

c.d. customer satisfaction. (V. figura 4) 40.

1.3.10. L’individuazione dei processi svolti nelle strutture operative.

L’art.2 1 del Regolamento d’Organizzazione, approvato dal Consiglio

d’Amministrazione con deliberazione n. 380/2000, ha introdotto alcune innovazioni

concernenti le funzioni di produzione.

Esso stabilisce, infatti, che le attività produttive, che comprendono l’intero ciclo

operativo mediante il quale si assolvono le funzioni istituzionali di riscossione dei

contributi, l’erogazione delle prestazioni previdenziali e assistenziali e le connesse

40 I.N.P.S. L’esperienza INPS nell’ambito della Pianificazione e del controllo di Gestione. Relazione introduttiva al Convegno di Taormina (ME).

Cocozza (2003) 8

• SNELLIMENTO DELLE STRUTTURE CENTRALI E DECENTRAMENTO DI FUNZIONIPOTERI E RESPONSABILITA’ VERSO LE STRUTTURE PERIFERICHE

• DISTINZIONE TRA COMPITI RISERVATI AGLI ORGANI E COMPITI RISERVATI ALLADIRIGENZA

• FUNZIONALITA’ COMPLESSIVA DELL’ISTITUTO RISPETTO AI COMPITI E AIPROGRAMMI DIATTIVITA’, NEL PERSEGUIMENTO DEGLI OBIETTIVI DI EFFICIENZA, EFFICACIA EDECONOMICITA’

• AMPIA FLESSIBILITA’ PER GARANTIRE ADEGUATA AUTONOMIA OPERATIVA EGESTIONALE ALLA DIRIGENZA

• INTEGRAZIONE E COORDINAMENTO UNITARIO DEI PROCESSI DI COMUNICAZIONE, INLINEACON IL DOVERE DI COMUNICAZIONE INTERNA ED ESTERNA

• INTEGRAZIONE E COLLEGAMENTO DELL’ATTIVITA’ DELLE STRUTTURE, ANCHEATTRAVERSOL’INTERCONNESSIONE CON L’ESTERNO MEDIANTE SISTEMI INFORMATICI ESTATISTICI, COSI’DA GARANTIRE IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ SVOLTA

• IMPARZIALITA’ E TRASPARENZA DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

Figura 4 INDIRIZZI E OBIETTIVI DELLA RIORGANIZZAZIONE

Figura 4 INDIRIZZI E OBIETTIVI DELLA RIORGANIZZAZIONE

63

attività amministrative e contabili, si realizzano mediante Unità di Processo (struttura

organizzativa di base), riunite in teams (gruppi di processo) ed incaricate dei seguenti

Processi primari:

-processo assicurato-pensionato, quale complesso di attività inerenti alla

costituzione, variazione ed utilizzo del conto assicurativo, che si realizza sia con il

compimento delle richieste di servizio sia con la consulenza;

- processo conto-aziende, quale complesso di attività operative ed informative

che riguardanti tutti gli aspetti del rapporto contributivo, dalla fase costitutiva a quella

conclusiva, compresa la gestione dei crediti ed il loro recupero e tutti i rapporti di natura

tecnica, amministrativa e contabile nascenti dall’obbligo contributivo;

- processo prestazioni a sostegno del reddito, quale complesso di attività inerenti

alla diminuzione della capacità lavorativa, alla sospensione/cessazione del rapporto di

lavoro, nonché alle prestazioni a sostegno del reddito.

L’unità organizzativa di base, nell’organizzazione per processi, è stata

individuata nell’unità di processo, modulo organizzativo al cui interno operano persone

con responsabilità condivisa dei risultati e che detengono, collettivamente, tutte le

competenze necessarie per fornire i servizi richiesti dal cliente di riferimento.

L’operatore diviene, pertanto, “gestore di processo”, con una padronanza

complessiva delle stesso; ciò gli consente di rispondere in maniera efficace ai bisogni

manifestati dal cliente, sempre più attento ad un servizio che possa essergli fornito da un

“punto unitario di erogazione” (V. figura 5).

Mentre i processi primari sono quelli attraverso i quali l’organizzazione assicura

la realizzazione dei propri obiettivi strategici e, in sostanza, l’adempimento della propria

missione istituzionale, rivolgendosi ad un cliente esterno ad essa (il cittadino/utente), i

Processi abilitanti o di supporto si caratterizzano per essere al servizio dei processi

primari, al fine di garantirne la funzionalità, l’efficacia e l’efficienza. Essi, infatti, sono

finalizzati da un lato, alla definizione delle strategie di servizio, coordinamento,

controllo e supervisione dei processi primari, dall’altro, all’offerta di servizi a strutture e

ruoli interni, allo scopo di acquisire, gestire e sviluppare le risorse necessarie ai processi

primari.

Nella circolare n. 2 del 2001, emessa dalla Direzione Generale dell’Istituto, i

processi abilitanti o di supporto sono configurati come l’insieme delle attività

riconducibili alle seguenti aree:

64

- Area Risorse, quale complesso di attività inerenti alla gestione dei flussi

finanziari e contabili, in entrata e uscita, la gestione e lo sviluppo delle risorse umane, le

relazioni sindacali, l’acquisizione e la gestione delle risorse strumentali;

- Area Controllo, quale complesso di attività legate al monitoraggio costante

dell’efficienza, efficacia ed economicità della gestione della Sede secondo standard

prefissati, all’analisi dei processi e delle criticità che essi presentano, alla valutazione,

alla prevenzione dei rischi aziendali;

- Area Comunicazione, quale complesso di attività connesse all’organizzazione

dei servizi all’utenza.

1.3.11. I nuovi compiti della dirigenza dell’INPS

Con riferimento più diretto all’oggetto della nostra analisi, occorre dire che

l’adozione del modello di organizzazione per processi ha determinato la revisione del

ruolo della dirigenza all’interno del sistema INPS ed un ripensamento dei contenuti

delle funzioni manageriali, in aderenza alla nuova missione istituzionale dell’Ente ed in

linea con i principi sanciti dal D.Lgs. n. 29/93 e successive modifiche e integrazioni.

Un’azienda orientata al cliente, quale è oggi l’INPS, necessita di valori di

management fondati, da un lato, sul piano culturale, sulla responsabilità di risultato,

Cocozza (2003) 10

Figura 5L’ORGANIZZAZIONE PER PROCESSI

Figura 5L’ORGANIZZAZIONE PER PROCESSI

APPIATTIMENTODELLA STRUTTURA

ACCORCIAMENTODELLA STRUTTURA

AMPLIAMENTODELLE RESPONSABILITA’

Quale passaggio?

65

dall’altro, sullo sviluppo della capacità di fornire una risposta alle esigenze dei

cittadini/utenti in termini di qualità dei servizi e di prodotti innovativi.

In tale contesto, caratterizzato, peraltro dal trasferimento della funzione di

produzione in capo al responsabile di processo, (c.d. “process owner”, è colui che ha il

compito di collegare ed integrare le singole attività rientranti in un determinato

processo, controllarle e assicurarne la funzionalità. Il ruolo di responsabile di processo è

affidato a funzionari scelti tra gli appartenenti alle posizioni apicali che vengono

nominati dal Direttore Regionale sulla base delle loro competenze professionali, del

potenziale di capacità e del curriculum) si richiede al dirigente di essere un leader in

grado di gestire efficacemente le variabili e di adottare, all’interno degli obiettivi

assegnati, le scelte organizzative più idonee in rapporto alle risorse a disposizione, con

piena responsabilità del risultato complessivo.

Il suo obiettivo è quello di garantire la trasparenza e la qualità dei servizi e

l’economicità della gestione.

A tale scopo, tra i suoi compiti è fondamentale quello inerente all’analisi delle

esigenze del contesto ambientale in cui si trova ad operare e alla valutazione integrata

delle risorse di budget disponibili in termini di combinazione dei fattori produttivi

(risorse umane, tecnologiche, logistiche), nonché quello di sviluppo di meccanismi di

integrazione, sia nei rapporti con le altre istituzioni al fine di realizzare sinergie di

ottimizzazione dei servizi, sia nei rapporti con le parti sociali coinvolte nell’attività

istituzionale.

In coerenza con la logica della riorganizzazione per processi, la mappa delle

responsabilità gestionali della dirigenza dell’INPS va configurata in relazione alla

specificità dei ruoli ricoperti nei tre livelli di governo del sistema organizzativo.

Le responsabilità della dirigenza centrale (Dirigenza Generale) attengono ai

processi direzionali di sua pertinenza, sia in rapporto alle funzioni di consulenza degli

organi di vertice dell’Ente, sia a quelle di governo strategico complessivo delle attività

istituzionali.

Le responsabilità della dirigenza intermedia (Direzione Regionale) è connessa ai

compiti svolti in sede di pianificazione operativa, di gestione delle risorse, di controllo e

coordinamento dei processi di produzione per assicurare uniformità di comportamenti e

livelli standardizzati di servizio sul territorio di propria competenza.

La dirigenza periferica (Direzioni Provinciali e Subprovinciali) costituisce il vero

e proprio polo di responsabilità della gestione operativa, disponendo, attraverso lo

66

strumento del budget di gestione, di tutte le leve necessarie ad assicurare le azioni di

sviluppo organizzativo, l’efficiente utilizzazione delle risorse, il soddisfacimento delle

aspettative di servizio dell’utenza.

Nel nuovo sistema organizzativo, essenziale è, senz’altro, il rapporto

intercorrente tra dirigente e responsabile di processo.

L’art. 36 del regolamento di Organizzazione, oltre alle citate funzioni di carattere

prettamente manageriale, affida alla dirigenza il compito di dirigere, coordinare e

controllare l’attività dei responsabili di processo da essi dipendenti. L’articolo

successivo del Regolamento, inoltre, prescrive che i dirigenti sono responsabili dei

risultati dell’attività svolta dagli uffici ai quali sono preposti e sono revocati

dall’incarico in caso di risultati negativi dell’attività amministrativa.

A sua volta, l’art. 24 del Regolamento, con riferimento al responsabile di

processo, prevede che egli debba rispondere al Direttore provinciale o subprovinciale

competente al raggiungimento degli obiettivi di produzione e del rispetto degli standard

qualitativi e quantitativi nella produzione e nell’erogazione del servizio.

Dall’insieme delle disposizioni citate si evince che il dirigente, pur essendo

sganciato dalla gestione del singolo processo produttivo, è responsabile dei risultati

complessivi della gestione.

Le unità di processo sono semiautonome, nel senso che gestiscono con una certa

autonomia e discrezionalità nei confronti della dirigenza i singoli processi, ma il

responsabile di processo risponde al dirigente di struttura della realizzazione degli

obiettivi di produzione assegnati, della corretta applicazione delle direttive impartite dai

dirigenti, dell’uso delle risorse stanziate. Vi è, dunque, un’evoluzione della figura

dirigenziale conseguente al passaggio da un’organizzazione piramidale e parcellizzata

ad una piatta in cui si attenua il rapporto gerarchico: il dirigente non è più responsabile

del procedimento e del singolo prodotto, ma gestore di risorse, manager,

“corresponsabile” dei risultati dell’attività produttiva insieme al funzionariato, cui è

attribuita nel nuovo sistema la competenza ad emanare i provvedimenti relativi al

processo.

In tale contesto l’assegnazione del budget di gestione, quale insieme di obiettivi,

risorse e stanziamenti coerenti con l’esercizio delle funzioni e dei risultati da

conseguire, costituisce la premessa necessaria per valorizzare e fare emergere le

capacità di direzione e di organizzazione, di proposta e di innovazione, della dirigenza,

e per una verifica trasparente dei risultati gestionali e delle competenze manageriali.

67

Un ruolo fondamentale a sostegno dei processi di trasformazione culturale ed

organizzativo è stato svolto dall’attività di formazione che a partire dagli anni settanta

ha sostanzialmente “anticipato” e “sostenuto” fortemente i mutamenti strategici (V.

Figura 6).

DALLA CENTRALITA' DELLA PRODUZIONE ALLA CENTRALITA' DEL SERVIZIO

Benchmarking

Marketing

Qualità

Budget

Pianificazionee controllo

Sviluppoorganizzativo

Informatica

Figura 6 EVOLUZIONE DELLA STRATEGIA FORMATIVA

1970 1977 1983 1990 1993 1994 1998 2001

68

1.4. La ricerca sul campo 1.4.1. Premessa metodologica e ipotesi di ricerca

Nel desiderio di comprendere la realtà, con le sue contraddizioni e le sue

cristallizzate verità, si osserva uno spazio finito, attraverso definite categorie

interpretative.

Dalla visualizzazione di un “problema”, oggetto di un fenomeno sociale di

rilevante importanza collettiva, si passa all’osservazione della realtà e dell'agire umano.

Questo passaggio avviene secondo un metodo che orienta scelte e strumenti

d'indagine. Il metodo è il presupposto necessario per raggiungere un qualsiasi risultato

euristico condivisibile.

a) il problema

Il cambiamento organizzativo, culturale e gestionale come criticità per la

realizzazione delle politiche di riforma nelle Pubbliche Amministrazioni.

Il ruolo del dirigente quale attore fondamentale per una gestione efficace del

cambiamento.

b) le ipotesi

In seguito alla concettualizzazione teorica del problema sono state costruite le

seguenti ipotesi di lavoro:

1) che si possano riscontrare “inevitabili criticità” nel processo di

implementazione delle riforme nelle pubbliche amministrazioni, in

particolare nella fase trasferimento operativo e di concreta “messa in opera”

dei cambiamenti previsti nella nuovo quadro definito dalla norma

amministrativa.

2) che ci sia una specificità delle culture professionali all’interno dei ministeri

(o enti) e noi consideriamo una variabile importante nel cambiamento

(pertanto andiamo a verificare queste specificità);

3) che la formazione abbia un ruolo importante come strumento di sostegno e di

sviluppo per quanto ipotizzato nelle prime due ipotesi, ossia nel sostenere la

dirigenza nella gestione delle criticità del cambiamento e quindi

nell’implementazione della Riforma;

4) che la dirigenza abbia uno stile di leadership tendenzialmente partecipativo

in grado di:

- stimolare una competitività positiva, fra le strutture ( Dipartimenti, Servizi, Uffici) e

fra i collaboratori;

69

- promuovere la spinta all’autorealizzazione;

- creare un clima sereno e incentivante ( più motivante per le persone e per questo più

efficace ed efficiente/produttivo di un clima di tipo burocratico o conflittuale).

1.4.2 La realizzazione della ricerca

La ricerca si è svolta in due fasi, una di tipo documentale (esposta in precedenza)

ed una di tipo empirico.

Nell'ambito della fase documentale si è provveduto alla raccolta del "materiale

grigio", necessario per costruire un primo modello interpretativo le cui

concettualizzazioni teoriche intorno al problema ci hanno portato all'individuazione

delle principali variabili organizzative (mission, strategie, strutture, sistema decisionale,

leadership, comunicazione interna ed esterna, sistema di relazioni sindacali ed

informazioni sul personale) e quindi alla definizione delle ipotesi.

In questo quadro analitico, per “verificare o falsificare” sul campo le ipotesi di

ricerca, abbiamo svolto una ricerca empirica, poiché come ha sostenuto autorevolmente

K. Popper 41 “Per noi la scienza non ha niente a che fare con la ricerca della certezza,

della probabilità o della attendibilità. non siamo interessati allo stabilimento di teorie

scientifiche in quanto sicure , certe o probabili. Consapevoli della nostra fallibilità,

siamo interessati a criticarle e a controllarle con la speranza di scoprire dove

sbagliamo, di apprendere dagli errori e, se abbiamo fortuna, di pervenire a teorie

migliori”.

In linea con questa impostazione metodologica, la ricerca sul campo è stata

realizzata con i seguenti strumenti:

a)la somministrazione di una serie di 12 interviste semi strutturate 42 a testimoni

privilegiati, dirigenti posti in "posizioni organizzative chiave" nelle amministrazioni

osservate;

b)la realizzazione di sei sessioni di osservazione partecipante a riunioni interne,

per rilevarne dinamiche organizzative e relazionali e stili di direzione.

Nel percorso della ricerca si è scelto di effettuare le interviste oggetto di analisi

ad un campione di testimoni privilegiati che fosse il più possibile rappresentativo delle

complessità organizzative e gestionali delle amministrazioni. A questo scopo sono stati

41 Si veda K.Popper, Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972, pp 392-393. 42 Per la struttura dell’intervista vedere in Appendice.

70

intervistati Dirigenti Generali, Dirigenti Regionali (del Nord, del Sud e del Centro

Italia) e dirigenti presso le amministrazioni centrali.

Le informazioni raccolte nelle interviste ai testimoni privilegiati, sono state

elaborate tenendo conto delle quattro grandi aree tematiche presenti nell’articolazione

dello stesso strumento di indagine utilizzato, e cioè:

a)Mission, strategia e struttura organizzativa;

b)le culture professionali;

c)la leadership e la gestione delle risorse umane;

d)il comportamento organizzativo;

e)le metafore organizzative.

In particolare attraverso quest’ultimo parametro analitico, relativo alla

metaforizzazione dell'organizzazione, rifacendoci a quanto indicato da un importante

studioso degli aspetti culturali dell’organizzazione, come Morgan abbiamo tentato di

ottenere dagli intervistati un'immagine di sintesi della realtà nella quale essi sono

inseriti. L’abbiamo fatto chiedendo un piccolo sforzo di immaginazione, che attraverso

una metafora, evocasse l'immagine percepita dell’Amministrazione a cui

appartenevano43.

Come sostiene Morgan, “l'uso della metafora implica un modo di pensare e un

modo di concepire l'organizzazione, che stanno alla base del modo secondo cui noi

comprendiamo in maniera più generale il mondo”. L'autore si riferisce agli studiosi

delle organizzazioni che hanno utilizzato metafore nell'analizzare le diverse tipologie

organizzative, e hanno rapportato di volta in volta l’organizzazione a: macchine,

organismi, cervelli, sistemi politici, sistemi culturali, sistemi di potere, prigioni

psichiche, ecc... Questa ci permette di analizzare in uno schema teorico, quanto indicato

dagli intervistati, in quanto, come giustamente ci suggerisce Morgan: “uno degli aspetti

interessanti della metafora è rappresentato dal fatto che essa produce sempre una

rappresentazione. Nel mentre evidenzia certe interpretazioni tende a respingere nel

sottofondo altre possibili spiegazioni”.

Per l'elaborazione di tutte le informazioni raccolte è stata realizzata un’analisi

culturale e successivamente un interpretazione di tipo socio-antropologico basata sullo

studio del linguaggio (in termini di contenuti verbali e comportamentali) e del contesto

fisico in cui l'attore sociale agisce ed interagisce. L'interpretazione finale che ne emerge

43 Morgan G.,. Images of Organizations, Sage, 1980, Beverly Hills (Cal.),trad. it., Le metafore dell'organizzazione, Franco Angeli, Milano, 1989.

71

è il risultato di una lettura incrociata dei diversi contributi delle testimonianze e delle

osservazioni partecipanti.

1.4.3. I risultati della ricerca

La presentazione dei risultati di questa fase della ricerca, avrà come schema

espositivo le aree di intervista per agevolarne la lettura (vedi schema dell’intervista e

dell’osservazione partecipante in Appendice). Tuttavia gli argomenti trattati non sono

così schematicamente individuati nella realtà, dove, invece, si intrecciano in una rete di

informazioni (di tipo verbale e di contesto).

1.4.3.1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze

a) Mission, strategia e struttura organizzativa

Il Ministero è il "centro motore" della politica economica finanziaria del Paese,

in termini di proposizioni e di verifica della sostenibilità di ogni iniziativa attua alla

stabilità economica.

La trasformazione in corso vede l'accorpamento dei Ministeri e la creazione dei

Dipartimenti, secondo una logica di organizzazione più flessibile e snella, in cui si

unificano le unità organizzative per funzioni riducendo così la parcellizzazione dei

compiti.

b) I Dipartimenti e le loro mission

Il Dipartimento del tesoro, cui è preposto il Direttore Generale del Tesoro,

svolge attività di analisi, studio, consulenza e verifica, supportando il Governo nelle

scelte di politica economica e finanziaria.

Il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, "ha competenza nel

settore delle politiche di bilancio e del coordinamento e verifica degli andamenti della

spesa pubblica, sulla quale esercita i controlli e le verifiche previste dall'ordinamento,

provvedendo anche alla valutazione della fattibilità e della rilevanza economico-

finanziaria dei provvedimenti e delle iniziative di innovazione normativa, anche di

rilevanza comunitaria, alla verifica della quantificazione degli oneri e della loro

coerenza con gli obiettivi programmatici in materia di finanza pubblica".

Il Dipartimento per le Politiche di sviluppo e di coesione, offre una serie di

servizi a soggetti privati e pubblici per realizzare investimenti in infrastrutture, e per le

iniziative industriali; questo Dipartimento ha competenze in materia di

72

programmazione, coordinamento e verifica degli interventi per lo sviluppo economico,

territoriale e settoriale.

Il Dipartimento dell'Amministrazione generale, del personale e dei servizi del

Tesoro, la mission complessiva consiste nel supportare gli altri Dipartimenti con una

serie di servizi in materia di:

- amministrazione generale;

- di gestione dei servizi del Tesoro;

- coordinamento e sviluppo della qualità dei processi e dell'organizzazione;

- gestione risorse umane.

Il Dipartimento per le Politiche Fiscali, ha competenze specifiche "per la

definizione della normativa tributaria, per la stipula delle convenzioni con le quattro

agenzie fiscali (Entrate, Dogane, Territorio, Demanio) e per la vigilanza e il controllo

sul loro operato".

La scelta di questo modello organizzativo viene vissuto come il risultato di

compromessi politici piuttosto che di reali specificità interne. Un cambiamento voluto

dall'"alto" che rischia di fallire perché non coinvolge il "basso".

Le leve motivazionali diventano pertanto fondamentali strumenti gestionali della

dirigenza per scardinare quei meccanismi di resistenza che in modo autoreferenziale

sostengono il mantenimento dello status quo.

La dirigenza è consapevole che per il raggiungimento dei risultati è importante

un cambiamento di tipo culturale. Bisogna abbandonare un approccio al lavoro di tipo

amministrativo tradizionale e abbracciarne uno di tipo gestionale. L'assegnazione dei

compiti nel Ministero in passato non è avvenuto tenendo conto delle competenze

specifiche del singolo e ancora oggi questo penalizza un efficace raggiungimento dei

risultati e soprattutto il coinvolgimento motivazionale del personale. Come ha riferito

un dirigente intervistato: "Una delle cose che trovai quando arrivai quattro anni fa, era

una segmentazione eccessiva, abbiamo costruito un sistema di global service, per fare

questo ci è voluto un mutamento radicale ed è stato possibile perché abbiamo lavorato

per progetti, sconvolgendo l'appartenenza del personale, ho lavorato con i migliori

indipendentemente da come erano assegnati formalmente, occorre avere un po' di

fantasia, altrimenti..".

Si deve sostenere una cultura dell'innovazione e della continuità in cui la

gestione delle persone passi attraverso la loro valorizzazione (tenendo conto

dell'esistente bagaglio culturale e professionale del personale che si è formato in una

73

data struttura) per ottenere risultati, oltre che efficaci ed efficienti in termini strutturali,

anche gratificanti in termini culturali (creare un senso di appartenenza e di condivisione

dei successi).

A livello strutturale organizzativo si auspica (e qualcuno già utilizza) un

approccio organizzativo per "progetti", con gruppi di persone scelte per raggiungere un

determinato obiettivo, promovendo così un tipo di mobilità per compiti e ruoli

utilizzando leve motivazionali di tipo personale ed economico. Come emerge dalla

diretta testimonianza di un dirigente che sostiene: "Per non essere prigionieri degli

apparati occorre ribaltare il metodo cercando di far andare avanti la macchina per tutto

ciò che riguarda l'ordinario però impostare i lavori per progetti (..). Le leve per e la

motivazione innanzi tutto con gli strumenti dati dal contratto, cioè qualche progetto

finanziato, straordinario, non distribuito a pioggia e poi una gratificazione del ruolo,

dare la possibilità della gestione personale del lavoro, dare la fiducia…".

b) Le culture professionali

Quest'area di indagine ruota intorno all'ipotesi che le culture professionali siano

una variabile importante per una gestione efficace del cambiamento. Pertanto abbiamo

chiesto ai dirigenti intervistati come è vissuto il cambiamento relativo alla Riforma sulla

dirigenza e quale è il nuovo profilo professionale richiesto.

La riforma sulla dirigenza non ha avuto gli effetti sostanziali che si prefigurava.

"Quello del ruolo unico è un caso emblematico di distanza estrema tra quelli che erano i

propositi della riforma e quelli che sono stati invece gli effetti". Il "serbatoio" del ruolo

unico delle professionalità non viene utilizzato. La scelta dei dirigenti avviene

comunque dal mercato esterno. Questo perché nel ruolo unico sono finiti i soggetti non

confermati dalle Amministrazioni (non confermati entro l'8/09/99), pertanto è stato visto

non come mercato dove accedere per scegliere dei soggetti sulla base dei curriculum,

quanto come "un limbo dal quale si poteva anche non uscire". Tutto ciò ha generato

demotivazione e senso di inutilità tra i dirigenti. Per la realizzazione del cambiamento

della Pubblica Amministrazione serve un gruppo dirigente altamente motivato e

legittimato a svolgere un importante ruolo gestionale mentre l'attuale condizione lo

rende "demotivato e senza corpo".

E' opinione diffusa che la riforma del ruolo unico è stata calata in

un'amministrazione non ancora matura dal punto di vista culturale e gestionale delle

figure professionali dirigenziali.

74

Non è ancora diffusa la cultura della rotazione ma si favorisce la

specializzazione.

A sancire il fallimento della riforma dirigenziale, l’attualmente disegno di legge

in esame al Parlamento, che prevede il ripristino dei ruoli dirigenziali delle singole

amministrazioni.

La riforma del ruolo unico avrebbe avuto i risultati attesi, e quindi sarebbe stata

uno strumento di efficace gestione delle risorse umane, se calata in un'organizzazione in

cui il cambiamento culturale e strutturale fosse già ampiamente realizzato.

Il cambiamento culturale di un organizzazione passa attraverso la ridefinizione di

valori che avviene attraverso un processo di socializzazione gestito in modo

consapevole. Per cultura organizzativa s'intende l'insieme strutturato di assunti di base

che ha dimostrato di funzionare sufficientemente bene da essere considerato valido e

utile da trasmettere come modo corretto di percepire, pensare e sentire valori che

orientano l'azione degli attori facenti parte dell'organizzazione. Questa definizione ci

spiega come, affinché ci sia un cambiamento culturale, non basta la spinta normativa ma

bisogna utilizzare altre leve. Quindi consapevoli che il cambiamento debba avvenire

innanzi tutto in termini gestionali, abbiamo indagato sugli stili di leadership e sul clima

organizzativo all'interno del ministero.

c) La leadership e la gestione delle risorse umane

Per leadership intendiamo la capacità di influenzare positivamente gli altri.

Capacità che si estrinseca in stili differenti ciascuno dei quali ottiene un clima di lavoro

più o meno sereno o conflittuale. Uno stile autoritario in genere tende ad accentrare

qualsiasi decisione sulle azioni da intraprendere per raggiungere un determinato

risultato; tende ad essere personale nella lode e nella critica ma si astiene da un'attiva

partecipazione al lavoro di gruppo.

Al contrario uno stile partecipativo utilizza il confronto e la discussione nel

scegliere e pianificare le attività per raggiungere gli obiettivi condivisi. Si lavora in

gruppo e c'è autonomia nella divisione del lavoro all'interno del gruppo stesso. Il leader

partecipativo tende a criticare in modo oggettivo basandosi sui fatti.

Uno stile di direzione che crea armonia nella gestione delle risorse utilizza la

combinazione delle caratteristiche dei due diversi stili, partecipativo ed autoritario, a

secondo delle peculiarità situazionali che si trova a gestire.

75

Per la realizzazione efficace della riforma, si ipotizza che la gestione delle risorse

umane debba avere stili di direzione di tipo partecipativo e debba contribuire a creare

un clima adeguato in termini di motivazione del personale.

Sebbene qualcuno già svolga il ruolo gestionale in modo partecipativo,

attraverso la raccolta delle testimonianze, si è rilevato che attualmente nel Ministero

prevale ancora una mentalità che oscilla tra uno stile tendenzialmente di tipo autoritario

e talvolta comportamenti riconducibili ad uno stile ”laissez-faire”. I motivi di questo

sono riconducibili a diversi fattori tra cui:

- basse risorse economiche da destinare ad eventuali incentivi;

- una carente comunicazione interna;

- la mancanza di un senso di appartenenza;

- un senso di sfiducia e disorientamento dovuto al cambiamento strutturale non

sempre trasparente e quindi condivisile;

- una mentalità burocratico-formale.

Dalla testimonianza di un dirigente emerge un'alta consapevolezza sugli

strumenti da utilizzare per ottenere il coinvolgimento del personale: "una delle doti più

importanti consiste nel cogliere l'importanza del problema, essere gentili ma non

abbandonarsi, mantenere anche il ruolo, un minimo, ci vuole un giusto equilibrio (…)

analisi del problema e capacità decisionale,(..) fare le cose coinvolgendo le persone con

un atteggiamento partecipativo (…) bisogna avere fantasia”.

Lavorare per progetti, in gruppo, coinvolgere le persone in lavori di grande

utilità per il Paese, utilizzare incentivi economici, rompere il vincolo tra personale

assegnato e dirigente mobilitando le competenze sui progetti. Ad esempio, come

racconta un dirigente, motivare i componenti di un gruppo che hanno lavorato ad un

progetto, pubblicizzando metodi e risultati all'esterno attraverso la partecipazione a

convegni. Il dare visibilità ai risultati raggiunti, può avere un grosso significato in

termini di leva motivazionale: da una parte gratifica chi ha lavorato al progetto e

dall'altra si creano dei precedenti di "successi ottenuti" generando una memoria storica

del Ministero dal quale attingere per motivare il personale.

Ed ancora per motivare qualcuno suggerisce: “promuovere la rotazione del

dirigente ad esempio incentivandolo a svolgere incarichi strategici presso sedi

disagiate”. La nostra ipotesi iniziale inerente allo stile di leadership viene confermata

dalle interviste che testimoniano l'esistenza di un processo di cambiamento culturale

76

"lento ma inesorabile", citando un dirigente, la cui gestione da parte della dirigenza

necessità di un approccio innovativo rispetto a quello "amministrativo" tradizionale.

Il leader efficace è colui che interpreta i valori innovativi cercando di mediare

con le diverse culture dei gruppi e degli individui.

Lo stile gestionale si ripercuote inevitabilmente sul clima organizzativo che

abbiamo "misurato" osservando i comportamenti organizzativi.

d) Il comportamento organizzativo

Per clima organizzativo s'intende l'atmosfera psicologica che si percepisce e

risulta dalle operazioni strutturali: il clima va inteso sia come risultato che come

determinante del comportamento degli individui o dei gruppi all'interno della struttura e,

in particolare, dei processi lavorativi.

Il comportamento organizzativo si evince osservando quelli che sono gli

orientamenti dell'agire lavorativo attraverso l'analisi della comunicazione interna come

variabile interpretativa.

Da tutte le interviste i dirigenti ci raccontano che la comunicazione interna è

un'area di miglioramento da affrontare con tecnologie e corsi di formazione.

Comunicare in una struttura così grande è oggettivamente difficile ma lo è ancora di più

vista la consolidata consuetudine a non divulgare le informazioni spesso perché orientati

da valori quali la competizione e il senso di appartenenza al singolo ufficio piuttosto che

al Ministero. C'è un orientamento ancora alle singole procedure ed ai compiti piuttosto

che al risultato. Il fattore umano viene ancora vissuto come vincolo (troppe persone da

gestire la cui professionalità non viene valorizzata dal ruolo svolto), piuttosto che come

risorsa.

Per quanto riguarda la comunicazione tra dirigenti e collaboratori qualcosa sta

cambiando. Si sta diffondendo l'abitudine di svolgere ricorrenti riunioni legate alla

pianificazione di progetti, coinvolgendo il personale nelle attività e negli obiettivi da

raggiungere. Durante la partecipazione ad una riunione interna è stato interessante

rilevare gli orientamenti del leader rispetto al gruppo, in termini di comunicazione, sia

negli aspetti di contenuto che di relazione. Ciò che è emerso è uno stile di leadership

partecipativo che abbiamo individuato dall'osservazione delle seguenti variabili:

- buon orientamento al clima ed al gruppo dettata da una buona capacità di

ascolto e di mediazione tra i componenti del gruppo;

77

- una comunicazione in equilibrio ossia attenta ai contenuti (che cosa si dice: il

messaggio) quanto alla relazione (la modalità con la quale si emette un messaggio),

cercando di rispettare i tempi e gli obiettivi della riunione pur coinvolgendo gli altri e

raccogliendo i singoli contributi;

- buona capacità ad utilizzare uno stile informale ma comunque autorevole, in

grado di dare fiducia al gruppo riconoscendo meriti e limiti in modo oggettivo,

argomentando con dati e fatti concreti.

Sebbene questa prassi delle riunioni non sia ancora diffusissima la qualità di

quella alla quale abbiamo partecipato ci rende coscienti che la nostra indagine si è svolta

in una realtà complessa le cui generalizzazioni rischiano di non rappresentarla. Per

questo abbiamo preferito, come ulteriore contributo conoscitivo, una auto-

rappresentazione. Abbiamo voluto farci descrivere, attraverso una metafora, quella che

è l'auto percezione del dirigente rispetto al "mondo" in cui lavora e in cui proietta

quotidianamente aspettative, investendo anche emotivamente.

Le metafore descritte sono:

- Il "logos" della carta stampata (un'immagine astratta): non ha senso eppure va via

prendendo forma e correggendosi in corsa.

- Una macchina il cui funzionamento è fondamentale per il sistema Paese.

- Un carrozzone che al suo interno ha dei punti di eccellenza e andrebbe depauperata

dalle parti superflue.

L'immagine che viene data dai dirigenti ben rappresenta quella che è emersa

anche dalla nostra ricerca. Abbiamo di fronte una struttura che ha appena iniziato un

processo di cambiamento organizzativo e culturale voluto dalla Riforma. Un processo

lento le cui difficoltà sono dovute anche alle resistenze degli attori sociali che non

partecipando (e non essendo resi partecipi), alle ragioni e agli obiettivi del

cambiamento, non lo hanno scelto come strategia d'azione per migliorare il loro mondo

lavorativo. Il risultato è quello di una struttura ancora autoreferenziale, le cui parti non

si identificano con la mission istituzionale ma con gli obiettivi di sopravvivenza e di

legittimazione interna al singolo ufficio. I vertici dovranno adottare strategie volte al

superamento di vecchi meccanismi per una efficace implementazione della Riforma

nella pubblica amministrazione. Uno degli strumenti utilizzabili è la formazione

costante e continua rivolta a coinvolgere il personale affinché divenga attore

protagonista e promotore del cambiamento culturale.

78

1.4.3.2. L’INPS

a) Mission, strategia e struttura organizzativa

In questa prima area si è intanto voluto individuare quanto fosse condivisa la

definizione di mission, proprio a partire da una puntuale descrizione che la stessa INPS

ne ha dato in occasione della conferenza nazionale su: L’esperienza INPS nell’ambito

della Pianificazione e del Controllo di Gestione, Relazione introduttiva alla

Conferenza, Taormina, 29-30 marzo 2001:

- corretta tenuta e aggiornamento costante dei conti assicurativi con disponibilità on-

line dei medesimi;

- tempestiva fornitura dei prodotti con attenzione alle componenti immateriali quali:

cortesia, accessibilità, facilità di accesso, amichevolezza, ecc..;

- fornitura dei servizi di consulenza;

- capacità di farsi carico dei problemi evidenziando le opportunità offerte dalla

legislazione;

- puntuale riscossione dei contributi con costante aggiornamento del conto aziendale

e verifica dei comportamenti aziendali con conseguente attenzione all’evasione

contributiva;

- messa a disposizione del Paese di banche dati aggiornate in materia di mercato del

lavoro e degli scenari previdenziali;

- monitoraggio costante dell’equilibrio finanziario delle gestioni fornendo

informazioni tecniche a supporto delle decisioni degli organi di governo;

- gestione in modo economico, efficiente ed efficace delle risorse necessarie per

adempiere alla missione fornendo il massimo valore al Sistema Paese, al cliente

assicurato e al cittadino;

- ricerca di sempre nuove modalità di fornitura di servizi attraverso l’Information

Technology.

Dalle interviste effettuate emerge che la mission stessa dell’Istituto ha subito

negli anni una grande trasformazione, pur mantenendo una importanza e una centralità

sociale, si è di fatto adeguata alle pluralità di cambiamenti dettati dal mercato esterno.

Tutti gli intervistati concordano nel dire che in passato l’Istituto aveva una mission

molto chiara: erogare le pensioni. Il tutto avveniva con una modalità meccanicistica per

cui l’Assicurato era “obbligato” a versare e l’Istituto si occupava di erogare. Nel corso

degli anni ottanta quest’ottica subisce profonde trasformazioni e conseguentemente

anche la struttura organizzativa: si passa dalla logica dell’utente a quella del cliente,

79

dalla cultura degli adempimenti a quella di risultato, in cui si punta alla creazione di

valore per il cliente esterno, ma passando attraverso la soddisfazione e il

coinvolgimento del proprio cliente interno.

Secondo i testimoni privilegiati in questo cambiamento grande importanza, in

termini di “supporto a”, è da attribuire principalmente alla costante innovazione della

tecnologia informatica, che all’interno dell’INPS ha giocato un ruolo di primo piano ed

è stata ampiamente implementata a partite dagli anni ‘70. Attualmente l’Istituto

rappresenta un interlocutore privilegiato anche per Regioni, Comuni e altre

Amministrazioni Pubbliche proprio per questa sua rete informatica molto avanzata.

Ma un passaggio importante è messo in evidenza da un dirigente intervistato che

“proietta verso il futuro” la mission dell’INPS e delinea possibili evoluzioni che oggi

sono solo ”segnali deboli”, quali la previdenza complementare, le casse degli ordini

professionali, la mobilità, ecc..

Si è poi indagato su quali sono le strategie organizzative messe in atto per

realizzare la condivisione della mission e, quindi, il coinvolgimento del personale allo

scopo di raggiungere determinati obiettivi direttamente derivanti da politiche connesse

con la mission.

I nostri testimoni privilegiati sono tutti concordi nel dire che la particolare

tipologia di struttura organizzativa, e cioè “l’azienda corta”, in cui il livello decisionale

è ampiamente decentrato e partecipativo, è funzionale, almeno in linea teorica, al

raggiungimento degli obiettivi dell’Istituto.

Una struttura organizzativa definita da un nostro intervistato “flessibile ai

cambiamenti”, e cioè in grado di apprendere dalle proprie criticità per superarle in

maniera costruttiva. Criticità che tuttavia non mancano, soprattutto per che si trova a

gestire le grandi aree metropolitane definite “il tallone di Achille” della stessa struttura

organizzativa interna. In particolare la riorganizzazione per processi risulta molto

funzionale, e di conseguenza motivante per chi ne fa parte, fino ad una “soglia critica”

quantitativa oltre la quale non mancano problematicità sulle quali oggi si sta riflettendo

proprio per cercare di superarle.

Del resto, come dice un nostro testimone, “è proprio dalle situazioni difficili che

nascono opportunità di cambiamento e dunque di crescita”. Ad esempio oggi si sta

ipotizzando, per decongestionare le grandi aree metropolitane, di aumentare il numero

delle Sedi Territoriali in periferia.

80

E ancora, sempre riguardo alla attuale struttura organizzativa, non mancano le

criticità tra Centro e Periferia, il nodo riguarda proprio il potere decisionale che viene si

strategicamente decentrato, ma in termini che attualmente risultano troppo

marcatamente, ed esclusivamente, operativi. E’ per far fronte a questa problematica che

in Direzione Centrale c’è un Dirigente Generale con incarico specifico di monitoraggio,

coordinamento e gestione delle problematiche connesse al rapporto centro-periferia.

Di fatto anche l’Autonomia delle Sedi Regionali, completamente

responsabilizzate, è certamente una direzione verso la quale si tende, ma che al

momento rimane un disegno teorico non completamente tradotto nella prassi operativa.

b) Le culture professionali

Per indagare quest’area si è partiti dal chiedere ai nostri intervistati: come è

vissuto, all’interno dell’Istituto, il cambiamento normativo relativo alla riforma della

dirigenza.

Il cambiamento che ha coinvolto i dirigenti è di una tale portata da definirsi

epocale all’interno delle Pubbliche Amministrazioni. Inoltre, con l’introduzione

dell’organizzazione per processi, s’introduce una responsabilità legata direttamente al

risultato complessivo e si commisura al raggiungimento di tale risultato una quota

variabile della retribuzione del dirigente.

E’ stato, tuttavia, un cambiamento graduale e armonico, ampiamente supportato,

come afferma un dirigente della Direzione Generale: “l’Istituto si sta attrezzando

rispetto ai cambiamenti che la normativa produce, introducendo un Ufficio Ricerche,

che sarà di appoggio proprio nella trasposizione di questi input normativi nella prassi

quotidiana”.

Si sono rilevate posizioni molto simili su questo aspetto per i Direttori Regionali,

e cioè il livello legislativo è senza dubbio ritenuto un passaggio importante, con forti

connotazioni positive, ma naturalmente è superato nel senso che da solo non è

sufficiente per introdurre i cambiamenti auspicati.

Di fatto al dirigente INPS di oggi è richiesta “creatività e innovazione”, grande

“competenza nel coordinamento e nella facilitazione dei suoi collaboratori”, tutte

competenze che potremmo definire “manageriali” e che, di certo, non sono prodotte

soltanto dal livello legislativo.

81

A sostegno di questa radicale trasformazione in realtà in INPS vi è stato un

preciso disegno organizzativo che ha permesso un consistente sostegno formativo alle

persone.

Uno degli intervistati afferma che: “Facciamo precedere la spiegazione delle

aspettative di ruolo, poi c’è la formazione a supporto, l’affiancamento nel ruolo,

cerchiamo di responsabilizzare in modo costruttivo attivando un confronto attivo”.

c) La leadership e la gestione delle risorse umane

A questo punto si è indagato sullo stile di leadership agito e sulle strategie di

gestione delle Risorse Umane, partendo dalla struttura del sistema premiante si è

analizzato come questo influisce sulla motivazione del personale

Su questi aspetti si è rilevato che di fatto esiste un sistema premiante che

potremmo definire “classico-contrattuale”, così articolato:

- una quota di base retributiva contrattuale;

- un’indennità che è relativa al ruolo (posizione occupata);

- un sistema di valutazione che assegna dei compensi in funzione della performance.

A questo proposito va precisato che al momento si premia essenzialmente la

“performance della struttura”, di fatto l’incentivo rimane un incentivo “a pioggia” che

non differenzia in modo significativo le differenze individuali.

Un sistema premiante, dunque, ancora da mettere a punto affinché possa

diventare effettivamente uno strumento gestionale efficace tale da essere utilizzato come

una vera leva motivazionale individuale.

E questo è un processo in corso poiché si sta, al momento, mettendo a punto

un sistema di mappatura delle competenze, sede per sede. Questo lavoro dovrebbe

produrre diversi risultati, e cioè: una base conoscitiva su cui avviare un valido sistema

premiante, uno strumento che mette il dirigente in condizione di valutare se i risultati

sono stati raggiunti e come, e infine una possibilità di fare una “diagnosi professionale”

dalla quale partire per organizzare interventi formativi ad hoc.

Direttamente collegata alla motivazione del personale troviamo la variabile che

né è un risultato diretto, e cioè il clima organizzativo.

In questa fase connotata da grandi trasformazioni, la percezione dei dirigenti

intervistati ripropone la molteplicità di vissuti presenti nell’Istituto. Si incontrano

definizioni come: “un clima di attesa improntato alla speranza per molti e allo

scetticismo per pochi, una situazione in cui è importante vincere l’inerzia iniziale di

82

abbandonare un modello superato, per passare alla fase in cui ci sarà la curiosità di

sperimentare il nuovo”, “un clima caratterizzato da non troppo fervore, da rilanciare”, è

soprattutto una prospettiva che si schiarisce proiettandosi verso la speranza.

Infine, non sono mancati riferimenti al fatto che il cambiamento è un momento

critico e che l’attuale dirigenza è un po’ avanti con l’età, fattori questi, gli psicologi e

sociologi ce lo insegnano, che non facilitano né accelerano questo processo.

d) Il comportamento organizzativo

A questo punto si è cercato di verificare la funzionalità in termini di

comportamenti organizzativi e si è chiesto ai Dirigenti di fornire informazioni sulla

Comunicazione Interna.

Si è constatato che anche questo processo è fortemente influenzato

dall’innovazione tecnologica che ha caratterizzato l’Istituto negli ultimi decenni.

Molta della comunicazione interna, infatti, tutta la normativa di prodotto ad

esempio, passa attraverso la rete Intranet. Un mezzo che presenta elevate potenzialità,

che attualmente però non è utilizzato al meglio. Proprio per le elevate potenzialità

permette di inviare “tutto a tutti”, e questo rappresenta, senz’altro, un successo in

termini di accesso all’informazione, ma rischia di diventare un “mare magnum” nel

quale è difficile muoversi.

Mediamente arrivano ad un Direttore Regionale 40-50 e-mail al giorno,

differenziare l’informazione importante e prioritaria rispetto alle tante decisamente

secondarie, diventa allora un dispendio di energia non di poco conto.

E ancora sembra molto interessante un particolare che descrive uno degli

intervistati: “Considerato che il dirigente ha la possibilità di verificare chi legge e che

cosa, di fatto quello che rileva è che si vanno spesso a leggere proprio quelle

informazioni che su un piano gestionale sono quelle che danno il minor contributo, a

favore magari di altre che soddisfano invece delle curiosità personali (dove è in

missione, chi, ecc.)”. Sembra un dato non particolarmente significativo, ma indica che

questo fenomeno non va nella direzione di ottimizzare il flusso comunicativo e

indirizzarlo verso un adeguato perseguimento degli obiettivi.

Per quanto attiene all’utilizzo delle riunioni come strumento di coordinamento

organizzativo, queste rappresentano una modalità piuttosto consolidata e, dunque,

strutturata all’interno dell’Istituto. Le riunioni sono utilizzate con una certa sistematicità

83

e organizzate ovviamente in funzione dei diversi obiettivi e quindi con i diversi

interlocutori (Conferenza dei dirigenti, Riunione di Area, ecc.).

Interessante e ricca di informazioni è proprio la modalità di gestione e

conduzione della riunione, resa possibile attraverso la presenza alla stessa, al fine di

completare con questo livello di dettaglio la Ricerca sul campo.

Quello che appare subito chiaro, partecipando a questa riunione all’INPS

(riunione d’Area che coinvolge il Vicedirettore Generale, i Direttori Generali delle

Direzioni centrali ), è che esiste ed è attuato uno stile partecipativo, frutto non solo di

una conoscenza teorica, ma di una ben più profonda e integrata pratica professionale. E’

evidente seguendo lo svolgimento della riunione che sono presenti un insieme di

competenze manageriali che hanno una “cultura” e un percorso che certamente non si

possono improvvisare.

A questo scopo sono state analizzate alcune delle variabili osservate che portano

a sostenere le seguenti considerazioni:

- una comunicazione verbale estremamente equilibrata tra i diversi interlocutori

rispettosa delle differenze individuali, con un modalità attenta ai contenuti, agli

obiettivi e ad una oculata gestione del tempo, ma contemporaneamente orientata

anche alle persone e alla creazione di un clima positivo;

- una capacità d’ascolto davvero sorprendente, con alti e bassi nei diversi momenti,

ma sempre di grande intensità;

- uno stile di leadership ottimale, un “direttore d’Orchestra”, che ha saputo facilitare

un clima di apertura e disponibilità pur partendo e integrando posizioni non sempre

vicine;

- e, per concludere, un ambiente fisico, nel quale si è svolta la riunione,

particolarmente accogliente e consono; comode poltrone disposte in cerchio.

Dovendo esprimere un parere sintetico, si potrebbe parlare di “una riunione da

manuale”.

Infine, è sembrato utile chiedere ai dirigenti testimoni privilegiati di indicare con

una metafora l’organizzazione di cui fanno parte, allo scopo di definire con

un'immagine di sintesi la realtà nella quale sono inseriti.

E’ stato richiesto un piccolo sforzo di immaginazione, che attraverso una

metafora, evocasse l'immagine percepita dell’INPS, ed ecco cosa è emerso:

- Vorrei che fossa una stella marina ma è ancora un pachiderma;

- una balena furba;

84

- la Direzione Centrale e le grandi Sedi è come se fossero la Fiat Mirafiori, mentre le

Sedi la Fiat di Melfi.

Queste metafore ben sintetizzano quello che emerge dalla Ricerca sul campo:

sicuramente l’INPS ha vissuto e sta vivendo profonde trasformazioni, ha avviato quel

processo disegnato dalle norme legislative che, come si è già sostenuto, prescrive il

passaggio da un modello burocratico ad uno telocratico/manageriale, che mette al centro

la responsabilità individuale in funzione di un risultato, ma certamente questo passaggio

non è percepito come definitivamente effettuato anche se “Melfi” e “La Balena Furba”

fanno ben sperare.

1.4.3.3. Il M.I.U.R.

a) Mission, strategia e struttura organizzativa

Nelle pagine precedenti si sono tracciate le linee essenziali della riforma del

sistema di Istruzione che si è articolata in due momenti: da una parte l’affermazione

dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, con il riconoscimento ad esse di autonomia

didattica, di ricerca, organizzativa, finanziaria, con il trasferimento di molte

competenze amministrative ed il conferimento al dirigente scolastico di maggiore

responsabilità verso i risultati e maggiore autonomia nel processo decisionale relativo

alla gestione delle risorse umane, finanziarie e tecniche; dall’altra, la riforma del centro

con una radicale riduzione dell’amministrazione statale della scuola, centrale e

(soprattutto) periferica, e con l’attribuzione ad essa di compiti volti alla fissazione di

obiettivi generali, alla realizzazione dei programmi e alla valutazione del sistema

scolastico.

In tale prospettiva il D.P.R. n. 347/2000 (che contiene il “Regolamento recante

norme di organizzazione del Ministero della Pubblica Istruzione”) ridisegna la missione

istituzionale e il modello organizzativo delle strutture centrali e di quelle periferiche in

un’ottica di migliore integrazione politico-amministrativa: alle strutture centrali si

richiede la definizione delle strategie, delle politiche e degli obiettivi, a quelle regionali

l’attività di coordinamento delle politiche e di gestione delle risorse sul territorio e un

importante compito di sostegno all’attività operativa delle Istituzioni scolastiche

autonome allo scopo di perseguire una maggiore efficacia ed efficienza organizzativa

complessiva del sistema nel presidio dei processi necessari a fornire i servizi educativi.

A livello di amministrazione centrale, come afferma un Dirigente intervistato, “la

mission consiste nel governo complessivo della massa del personale della scuola. Essa

85

include quindi sia la gestione del personale amministrativo ( all’incirca 7700 unità) sia

la direzione del corpo docente (circa un milione e duecentomila dipendenti). Si tratta

della direzione del personale più ampio d’Europa. Risulta evidente che si tratta di

attività del tutto diverse. Ed è proprio questa doppia funzione e la sua ripercussione a

livello di struttura organizzativa a rappresentare la criticità più rilevante.”

A livello regionale: “L’impegno principale è stato quello di supportare le

istituzioni scolastiche autonome nell’attività di progettazione, nell’attività di

ricognizione delle esigenze formative, sia per i dirigenti scolastici che per i docenti, e,

possibilmente, nell’attività di ricerca (su cui investiamo sempre molto poco)”.

Successivamente è stato chiesto ai testimoni privilegiati se ritengono l’attuale

struttura organizzativa funzionale al raggiungimento della mission e sono state rilevate

posizioni molto simili su questo aspetto: “la struttura organizzativa non si è rivelata

funzionale tanto è vero che già con il nuovo Regolamento di organizzazione, che è in

via di emanazione, questa struttura dipartimentale, per quanto nata da pochissimo, è già

parsa superata.

In particolare si ritiene che la struttura non è funzionale per due ordini di motivi:

in primo luogo poiché i Dipartimenti nascono per aggregazione di momenti omogenei

di attività proprio per assicurare la continuità dell’azione amministrativa rispetto ai

singoli uffici centrali, per cui la valutazione iniziale di costituire due strutture separate

si è rivelata fonte di sovrapposizioni perché la missione istituzionale è unica: è

l’istruzione. L’andare a suddividere all’interno dell’unica mission istituzionale tra chi si

deve occupare dell’aspetto organizzativo (Dipartimento per i servizi sul territorio) e chi,

invece, dei contenuti ordinamentali (Dipartimento per lo sviluppo dell’Istruzione) si è

rivelato un limite. I due momenti sono talmente collegati che sarebbe stato più

opportuno pensare ad un Dipartimento unico, come si arriverà a fare. Tutto ciò,

naturalmente, con riferimento al vecchio Ministero dell’Istruzione perché, quando il

nuovo modello andrà a regime, l’ordinamento conoscerà un unico Ministero

dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che sarà organizzato sulla base di tre

nuovi dipartimenti: il Dipartimento dell’Istruzione, il Dipartimento dell’Università ed il

Dipartimento della Ricerca.”

Inoltre, si tenga presente che l’autonomia delle istituzioni scolastiche ha

cambiato la logica del sistema di istruzione. La riforma è stata avvertita come un

cambiamento radicale dell’amministrazione scolastica ed ha determinato l’abbandono

del c.d. modello di tipo verticale sostituendolo con un modello orizzontale,

86

caratterizzato da un insieme di comunità scolastiche nelle quali si fa istruzione,

formazione, ricerca attraverso modelli flessibili, in vista del raggiungimento di obiettivi

generali, fissati da un centro chiamato a compiti strategici e liberato da compiti di

gestione.

Con riferimento ai principali cambiamenti in tal senso di questi ultimi anni, un

dirigente ha sostenuto che: “Sicuramente con l’introduzione dell’autonomia scolastica la

nostra struttura è cambiata, non è più la stessa. Il sistema scolastico adesso si fonda sul

principio dell’autonomia scolastica, divenuto principio costituzionale, il che significa

darsi le regole da soli. Le regole se le danno dunque a livello regionale per adattare il

sistema scolastico alle specificità del territorio, ai contesti, alle esigenze.

Un consistente margine di autonomia è affidato ai direttori regionali, i quali

provvedono a gestire il budget di risorse loro affidato. Sicuramente i direttori regionali

sono molto più liberi ma vi è pur sempre una Direzione Generale, che va considerata

come un valore aggiunto, che ha competenza su tutto il territorio nazionale, che è dotata

di un centro autonomo di spesa (che attinge direttamente al bilancio dell’Istruzione), che

ha come proprio obiettivo specifico quello di essere più vicini alle esigenze specifiche

degli utenti sul territorio, che si rapporta direttamente con la regione e con gli enti locali

e che svolge una funzione di sostegno allo sviluppo dell’istituzione scolastica. Dunque

non più un rapporto di gerarchia ma un rapporto funzionale”.

Ed ancora, sempre riguardo all’attuale struttura organizzativa, non mancano le

criticità tra centro e periferia.

In particolare le strutture regionali osservano che: “La struttura non è ancora

rispondente alla mission perché il Ministero e l’amministrazione statale sono molto forti

nel momento in cui devono elaborare, predisporre le riforme e farle approvare, sono

molto deboli nel momento dell’attuazione ( d’altro canto è solo da un anno che si sono

istituite le Direzioni Regionali). Le disposizioni sono ottime da un punto di vista teorico

ma vi è ancora un’eccessiva presenza di indicazioni invasive da parte del centro.

Il Ministero dovrebbe svolgere un’attività molto più di indirizzo e molto meno di

gestione. La realtà è molto diversificata: in alcune Direzioni Generali, dove il Direttore

Generale ha questa “vocazione”, si vive un rapporto produttivo interessante, in altre,

caratterizzate da una tradizione più forte, si continua a ricevere indicazioni troppo

specifiche”.

Alla domanda se esistono modalità di verifica/valutazione dei risultati e come

vengono gestiti eventuali scostamenti, un Dirigente Generale risponde che: “Anche

87

questo tipo di esperienza è del tutto nuova. Il sottoporre la propria attività a

monitoraggio e, conseguentemente, a valutazione deve essere progressivamente

accettata. Per il momento ci si è limitati ad organizzare un progetto che si chiama

PROMO ( programmazione e monitoraggio). Abbiamo fissato con una direttiva

dipartimentale dei macrobiettivi tratti dalla direttiva del Ministro, li abbiamo scomposti

in una serie di microbiettivi rispetto ai quali abbiamo chiesto ai direttori generali di

articolare una serie di azioni concrete per perseguirli. Attraverso questo schema di

microbiettivi da perseguire ed azioni concrete per realizzarli siamo in grado di effettuare

un monitoraggio periodico e di verificare lo stato dell’arte. Non bisogna dimenticare che

per il momento più che ai fini di una valutazione tutto questo serve a capire che tipo di

correttivi introdurre e, pertanto, la reazione da parte di alcuni uffici centrali, che hanno

visto questa valutazione come una forma di controllo, è del tutto immotivata”.

b) Le culture professionali

In seguito si è analizzato, attraverso la percezione valutativa che i singoli

dirigenti hanno, come viene vissuto il cambiamento relativo alla riforma della dirigenza.

Premesso che ogni mutamento dello status quo all’interno delle organizzazioni è

destinato a generare insoddisfazioni e resistenze perché può significare perdita di potere,

o perché può intaccare situazioni ed interessi consolidati, di ruolo, di identità sociale,

occorre dire che, da questo punto di vista, il M.I.U.R. non ha fatto eccezione a tale

principio.

Dall’osservazione condotta è emerso che la realtà del cambiamento è stata

affrontata in modo personale da ogni soggetto intervistato: dinanzi alla prospettiva del

mutamento organizzativo, una prima reazione osservata è quella di resistere, almeno

nella fase iniziale, con sentimenti di incertezza, di preoccupazione per i cambiamenti

pratici, di demotivazione di fondo o addirittura di frustrazione; un altro atteggiamento

riscontrato è il verificarsi di una condizione di stallo, di scarsa reattività di fronte al

cambiamento che induce ad azioni ostruzionistiche, a una rigida applicazione delle

norme, conducendo spesso all’individualismo, al depotenziamento della comunicazione

interna e alla mancata ricerca di coordinamento tra i membri del team; infine, una

ulteriore reazione è rappresentata da una forte razionalizzazione del processo di

cambiamento unitamente ad un atteggiamento di disponibilità e attivismo che genera la

ricerca di una visione condivisa su obiettivi e finalità e una maggiore attenzione ai

fenomeni comunicativi e relazionali all’interno del team.

88

Strettamente collegato a quest’argomento vi è poi quello degli eventuali

interventi strategici compiuti a supporto di tale cambiamento.

L’aspetto più evidente è il mancato accompagnamento del processo di

riorganizzazione del M.I.U.R. con una politica di programmazione del fabbisogno di

risorse umane. Un Dirigente Generale fa notare che: “Il rischio concreto è che se non

verrà attuato in tempi brevi un turn-over con l’ingresso di nuove forze negli organici del

M.I.U.R., in modo particolare nel settore quadri, non potrà verificarsi quello scambio

generazionale tale da consentire il rinnovamento”.

E’ indubbiamente elemento costitutivo del quadro di riferimento la situazione di

emergenza del sistema della formazione: le nuove competenze professionali richieste ai

dirigenti dalla nuova missione e dal nuovo modello organizzativo avrebbero dovuto

essere sostenute e, in certi casi, attivate con un percorso formativo mirato.

In effetti, un altro settore di interventi, nel quale si sarebbe potuto agire

diversamente, è proprio quello inerente il tipo di formazione professionale strumentale

alla revisione organizzativa: in considerazione della carente predisposizione psicologica

al cambiamento e della consolidata abitudine allo svolgimento di un’attività

essenzialmente burocratica, sarebbe stato assai proficuo avviare dei percorsi formativi

finalizzati alla condivisione delle nuove competenze e conoscenze professionali nonché

a dinamiche interrelazionali che avrebbero consentito di realizzare un passaggio meno

traumatico al nuovo modello organizzativo.

Un autorevole intervistato fa, invece, presente che: “Le professionalità e le

competenze sono state acquisite per vocazione personale, per capacità personali. Sono

stati organizzati interventi interessanti da parte della amministrazione centrale per

quanto riguarda la formazione dei nuovi dirigenti ma i risultati non hanno restituito

delle persone particolarmente disponibili a raggiungere gli obiettivi con una logica di

squadra, caratterizzata da giuste dinamiche, e non tradizionalmente burocratica”.

c) La leadership e la gestione delle risorse umane

La normativa è intervenuta per favorire il passaggio da uno stile di direzione

tecnico-amministrativo che richiede una competenza essenzialmente normativa e

procedimentale, ad uno manageriale che richiede una “cultura professionale” orientata

al raggiungimento di risultati e al perseguimento degli interessi pubblici con efficacia,

efficienza ed economicità.

89

A questo proposito si è indagato sullo stile di leadership esistente. Un dirigente

ha sostenuto che: ”Vi sono tutte le premesse perché questo passaggio possa avvenire.

Tuttavia occorre fare una differenza tra la leadership politica e quella amministrativa in

quanto mentre la prima spinge molto perché questo possa avvenire, ed anche in tempi

adeguati, la seconda è più piegata su se stessa”.

Successivamente partendo dalla struttura del sistema premiante si è analizzato

come questo influisce sulla motivazione del personale.

Su questi aspetti si è rilevato, in base alle informazioni ricevute, che il sistema

premiante andrebbe rivisto, attivando uno stretto collegamento tra il riconoscimento di

incentivi monetari e la prefigurazione di sviluppi di carriera da un lato e il contributo

individuale fornito dalle risorse umane alla realizzazione degli obiettivi prefissati

dall’altro.

Mantenere l’attuale sistema che consta di concessioni “a pioggia” di benefici

economici sulla base dell’istituto contrattuale denominato “indennità da risultato”, che

assume una caratterizzazione variabile a seconda del risultato e quindi del minore

scostamento tra l’azione svolta e gli obiettivi prefissati, significa demotivare il

personale maggiormente impegnato nell’attività lavorativa ed impedire ai più meritevoli

di ricoprire ruoli richiedenti maggiore responsabilità, a discapito della capacità del

M.I.U.R. di assolvere alla propria missione istituzionale.

Un sicuro elemento di criticità può ravvisarsi nel fatto che il sistema adottato non

consente di valutare le performance dei singoli. Ciò potrebbe, alla lunga, demotivare il

personale più produttivo e spingere quello meno produttivo a lavorare meno.

“E’ un sistema premiante per lo meno discutibile”, sostiene un Dirigente

Generale, ”in tale ottica sarebbe decisiva l’introduzione di un sistema premiante

meritocratico”.

Un altro autorevole intervistato fa presente che: “Ogni qualvolta ho assunto

questo tipo di decisione, ho incontrato notevoli difficoltà, ho trovato la resistenza dei

rappresentanti del personale, i quali formalmente chiedono il riconoscimento dei meriti

ma poi, di fatto, non consentono al dirigente di metterlo in pratica”.

d) Il comportamento organizzativo

Altro punto cruciale è quello della comunicazione interna: la strategia

comunicativa adottata non si è rivelata efficace e su questo aspetto si sono rilevate

posizioni molto simili: “se la comunicazione all’esterno è affidata ad un apposito

90

servizio, all’interno si riscontrano i tradizionali problemi di comunicazione interna

comuni a tutte le grandi e complesse amministrazioni. I canali interni si riducono all’uso

del telefono, fax e posta elettronica.”

“Del resto”, afferma un Dirigente Generale, “molto dipende da noi perché a

livello nazionale il Ministero ha investito molto per la scuola mettendo a disposizione

strumenti che ci sono molto utili per comunicare direttamente con le istituzioni

scolastiche. Non solo le scuole sono tutte collegate tra di loro ma anche attraverso un

nostro sistema di rete, unificata e protetta, che ci mette nelle condizioni di raggiungere

tutte le istituzioni scolastiche. Un analogo sistema non esiste però a livello di

comunicazione interna. La comunicazione interna è assolutamente inesistente ed ogni

tipo di intervento nel settore è lasciato alla nostra iniziativa. E’ chiaro che non dovrebbe

essere così ma occorrerebbero degli investimenti specifici e questo costituisce un

elemento di criticità molto forte.”

Si è avuta l’occasione di approfondire l’aspetto del comportamento organizzativo

attraverso la partecipazione ad una riunione dei Dirigenti Regionali.

Le variabili osservate:

- una comunicazione verbale molto equilibrata tra i diversi interlocutori, i quali

hanno a turno preso la parola ed hanno esposto, molto efficacemente, i problemi

attinenti alle singole realtà regionali;

- una impostazione degli interventi attenta ai contenuti, agli obiettivi nonché alla

gestione del tempo;

- una capacità di ascolto buona e costante;

- uno stile di leadership direttivo ed insieme partecipativo, che ha saputo creare

un clima positivo,- pur nella totale diversità degli scenari descritti e delle

problematiche esposte dai Dirigenti Regionali-, e rispettoso delle posizioni di tutti;

- un ambiente fisico consono ad una riunione di così ampie dimensioni.

Infine, alla richiesta di una immagine di sintesi della struttura organizzativa nella

quale gli intervistati sono inseriti, ecco cosa è emerso:

- una nave borbonica;

- una serie di cerchi concentrici;

- una barca;

- i “Prigioni” di Michelangelo.

91

Dall’analisi condotta finora si può sostenere che il processo di riorganizzazione

del M.I.U.R. si sta realizzando attraverso un complesso programma teso a pianificare

congiuntamente un cambiamento culturale, organizzativo, tecnologico e di clima

relazionale, allo scopo di migliorare l’efficacia, l’efficienza e la qualità dei servizi

educativi erogati alla collettività.

In definitiva, si può affermare che a questo grande ed impegnativo processo di

innovazione e di mutamento mancano ancora alcuni importanti elementi che potrebbero

rappresentare altrettante “ aree critiche” laddove non trovassero una soluzione in tempi

ragionevoli.

La metafora che meglio delle altre sintetizza il risultato di questa ricerca sul

campo è senz’altro l’immagine della scultura di Michelangelo.

Nei “Prigioni”, come in altre opere, Michelangelo afferma con tutta evidenza

l’ansia faticosa di liberazione dello spirito dalla materia, perché la forza dell’idealità

consegua la vittoria, anche se, come accade nel “Prigione” del Louvre, la figura talvolta

è costretta a divincolarsi sotto i ceppi che la stringono.

Altri “ceppi” stringono evidentemente l’ansia di affermare e consolidare

l’innovazione e il mutamento nella Pubblica Amministrazione in generale. Ma come

Michelangelo riusciva a tirare fuori dal marmo le figure che già, a suo dire, vi si

trovavano all’interno, così è nella speranza di tutti gli intervistati che la costanza,

l’ingegno, la pazienza, la disponibilità di mezzi e soprattutto la consapevolezza che il

cammino intrapreso porterà a risultati certi e concreti, passo dopo passo, taglieranno

l’ambito traguardo.

1.4.4. Conclusioni

Rappresentare una sintesi efficace ed esaustiva di questa particolare ricerca sul

campo, non è operazione particolarmente agevole, se consideriamo la ricchezza delle

informazioni raccolte, ma soprattutto le grandi potenzialità di intervento derivanti dalle

indicazioni contenute nei risultati esposti.

Una tale varietà e pluralità di stimoli, provenienti dalle opinioni dei testimoni

privilegiati e dalla content analysis dei risultati dell’intervista e dell’osservazione

partecipante, risulta essere difficilmente sintetizzabile, pena l’esclusione-omissione ( in

questa fase ) di qualche aspetto importante e significativo.

92

Premessa questa avvertenza metodologica si è ritenuto di concludere la ricerca

seguendo lo schema anticipato nelle ipotesi di ricerca, e cioè dando conto della “verifica

sul campo” delle seguenti variabili:

a) che all’interno delle strutture oggetto della ricerca, vi fosse ampia

consapevolezza che la propria mission ha un valore per la società (per lo

sviluppo del benessere e di una migliore convivenza civile e sociale della

società);

b) che vi fosse una specificità delle culture professionali all’interno dei

ministeri (o enti), considerando questa una variabile importante nel

cambiamento;

c) che la formazione abbia avuto e abbia un ruolo importante come strumento di

sostegno e di sviluppo per quanto ipotizzato nelle prime due ipotesi, ossia nel

sostenere la dirigenza nella gestione delle criticità del cambiamento e quindi

nell’implementazione della Riforma;

d) che la dirigenza abbia adottato uno stile di leadership tendenzialmente

partecipativo in grado di:

- stimolare una competitività positiva, fra le strutture ( Dipartimenti, Servizi, Uffici) e

fra i collaboratori;

- promuovere la spinta all’autorealizzazione;

- creare un clima sereno e incentivante ( più motivante per le persone e per questo più

efficace ed efficiente/produttivo di un clima di tipo burocratico o conflittuale).

In linea di massima, dall’analisi dei dati e delle informazioni raccolte, per quanto

attiene alle prime due variabili di carattere “istituzionale” (consapevolezza della

strategicità della propria mission e specificità delle culture professionali) considerate

emergono alcune significative tendenze convergenti, mentre si notano scostamenti in

merito alle altre due variabili di carattere “organizzativo” (ruolo della formazione e stile

di leadership).

Questo tipo di tendenza non può certo essere estesa a tutte le pubbliche

amministrazioni, si limita ad “analizzare” ed “osservare” tre amministrazioni

significative, tre case studies, del resto lo stesso disegno di ricerca non lo ipotizzava.

In questo senso, i risultati di questa ricerca potrebbero rappresentare un aiuto e

un “supporto esplicativo” per comprendere meglio le possibili tendenze nel panorama

più vasto dell’insieme delle pubbliche amministrazioni, considerando, in particolare le

93

modalità di gestione dei processi di mutamento organizzativo, delle difficoltà e delle

resistenze al cambiamento incontrate.

In particolare, con riferimento alla consapevolezza, all’interno delle

amministrazioni e delle strutture oggetto della ricerca, che la propria mission abbia un “

funzione strategica ” per la crescita e lo sviluppo società, può senz’altro affermarsi che

questo costituisce un elemento di convergenza.

Tutti i dirigenti intervistati riconoscono la funzione strategica della mission

affidata alle rispettive strutture, che mantengono una importanza e una centralità sociale

fondamentale, in particolare in un contesto politico, economico e sociale interessato da

un processo di profondi e notevoli mutamenti di carattere culturale, organizzativo,

tecnologico e relazionale.

Infatti le pubbliche amministrazioni legittimano la loro presenza quando

producono “valore” per la società, cioè si dimostrano capaci di ottenere risultati che

“valgono” nella percezione dei cittadini.

In questo quadro il concetto di “valore pubblico” si pone come orizzonte

fondamentale di attenzione per i vertici delle amministrazioni che sono fortemente

consapevoli del ruolo e della responsabilità loro assegnata, nonché delle opportunità

offerte dai provvedimenti normativi innovativi.

Indubbiamente la riforma rappresenta, almeno nelle linee guida del legislatore,

una svolta epocale per la cultura organizzativa e per i relativi modelli organizzativi

operanti nella Pubblica Amministrazione.

A questo proposito, come è stato già anticipato, gli obiettivi contenuti in queste

politiche di riforma delle pubbliche amministrazioni sono ambiziosi, richiedono un

"salto di qualità": l'evoluzione da un modello ad un altro modello.

Si tratta di passare dal modello di tipo burocratico al modello telocratico.

La particolare rilevanza che assume questo gap, considerato come una sfida dai

dirigenti più innovativi, nella fase attuale di evoluzione verso un modello organizzativo

di tipo telocratico, viene messo opportunamente in luce dalla lettura dei dati relativi alla

prima area dell’intervista.

In essa si può rilevare la consapevolezza che i dirigenti hanno del proprio ruolo:

sanno di avere un ruolo centrale per la diffusione del cambiamento, riconoscono che

nel passaggio al nuovo assetto vi è stato (e vi è) un aumento delle opportunità di

formazione (sul piano personale e professionale per sé e per i propri collaboratori), una

maggiore visibilità sociale della propria azione all’interno della propria

94

amministrazione, ma mostrano perplessità circa un effettivo potere di gestione di questi

processi, ritenuti particolarmente complessi e defatiganti.

Infatti, a questo proposito, i risultati relativi alle problematiche connesse con la

gestione delle variabili “organizzative” mettono in evidenza una tendenza, che seppure

si suppone vada verso l’orizzonte indicato nelle ipotesi di ricerca, evidenzia tre diverse

velocità di marcia da parte delle amministrazioni considerate.

In particolare, si ricordano i seguenti fenomeni: le difficoltà incontrate nella

gestione dei cambiamenti connessi con l’introduzione di nuove modalità lavorative o di

strutture innovative; il clima relazionale tra vertice politico e vertice gestionale non

sempre fluido e trasparente, improntato ad una efficace logica integrativa e di

collaborazione reciproca.

In questa visione del governo del mutamento nell’amministrazione emergono i

sintomi di una classica “patologia organizzativa” nota nella letteratura organizzativa 44,

come problema della “adeguatezza strategia-struttura”.

A questo riguardo, secondo le scienze organizzative, in presenza di strategie

innovative per evitare rischi di collasso dovuto ad un intervento ri-organizzativo,

occorre operare in modo tale che vi sia accordo tra strategia gestionale e struttura

organizzativa e si possa introdurre adeguatamente a livello operativo i principi del

lavoro per progetti.

In altri termini: una determinata strategia gestionale implica la definizione di

una necessaria ed efficace coerenza tra struttura, cultura e processi organizzativi e

lavorativi.

Infatti, in linea teorica, sarebbe stato necessario accompagnare il processo di

riforma con la definizione di politiche gestionali innovative, la creazione di nuove

strutture organizzative ed un percorso formativo mirato per la formazione delle nuove

competenze professionali richieste ai dirigenti e al resto del personale delle pubbliche

amministrazioni.

Mettendo a confronto i risultati delle interviste si registra, invece, che solamente

in una delle amministrazioni esaminate la formazione ha rappresentato la “vera leva

strategica” fondamentale per realizzare il “progettato processo di modernizzazione

gestionale”, in particolar modo attraverso politiche tese ad un’adeguata integrazione e

44 Chandler A.D., La mano invisibile. La rivoluzione manageriale nell’economia americana, Franco Angeli, Milano,1981. Caselli L. , Impresa e cambiamento, in Caselli L., a cura di, Le parole e l’impresa. Guida alla lettura del cambiamento,Franco Angeli, Milano, 1995.

95

valorizzazione delle risorse umane nell’ambito del processo produttivo e dello sviluppo

delle competenze professionali.

In ogni modo, il ruolo della formazione è stato (ed è) sicuramente cruciale per il

buon esito della gestione del processo di riorganizzazione in atto in tutte le

amministrazioni esaminate, in quanto la crescita, non solo delle competenze

professionali “in senso proprio”, ma anche delle capacità individuali e di gruppo, e la

valorizzazione del personale, hanno costituito (e costituiscono) elementi imprescindibili

delle logiche di sviluppo organizzativo registrate.

Del resto, già in fase di definizione delle caratteristiche strutturali delle

amministrazioni che compongono il nostro “campo d’indagine”, avevamo ipotizzato, su

questi aspetti situazioni differenziate.

In particolare, l’aspetto più evidente è stato il mancato accompagnamento, in

qualche caso, del processo di ri-organizzazione con un’adeguata formazione

manageriale e professionale che tenesse conto della gradualità del processo di

avvicinamento al modello organizzativo prefissato e della necessità di operare

cambiamenti che garantissero una gestione non traumatica della transizione.

Del resto, è ormai diffusa e condivisa, l’affermazione che la risorsa umana

diventa sempre più centrale per il raggiungimento di un’adeguata performance e nel

contempo una fondamentale leva strategica ed un vero e proprio investimento.

A questo riguardo, invece, in molti ambiti della P.A. il ruolo della formazione

viene ancora oggi sottovalutato, come se si trattasse di un atto dovuto ovvero di un

adempimento che si aggiunge a tanti altri e non di un investimento per migliorare il

proprio futuro.

In particolare dalle interviste provenienti dalle realtà ministeriali è emerso un

grande fabbisogno formativo soprattutto per i dirigenti. Si è rilevato che gli investimenti

in formazione sono scarsi e che si tratta, in ogni caso, di interventi occasionali privi di

una continuità strategica e che riguardano per lo più l’addestramento in materie

specifiche; manca, insomma, un vero progetto formativo.

Si avverte fortemente il bisogno di interventi e piani formativi rivolti alla

diffusione di una nuova cultura lavorativa e quindi di un senso di appartenenza fondato

sui valori dettati dal cambiamento.

Inoltre gli intervistati sostengono che la formazione di un dirigente deve essere

continua: necessaria nella fase di ingresso nella realtà ministeriale e determinante negli

96

anni successivi, a supportare quello che è un ruolo gestionale di importanza strategica

per il raggiungimento di obiettivi di interesse collettivo.

Infine, in merito all’analisi dei “comportamenti organizzativi virtuosi” dei

dirigenti intervistati, si è rilevata una tendenza che se da una parte (Inps) si afferma e si

consolida uno stile di leadership tendenzialmente partecipativo, nelle altre due si

avviano nuove modalità di gestione e di valorizzazione del personale, ancora però

classificabili nell’ambito di uno stile tendenzialmente di tipo “direttivo” o “laissez

faire”.

Si mette in evidenza un contesto organizzativo e gestionale ancora bisognoso di

acquisire una “nuova consapevolezza” verso una leadership più efficace, che valorizzi

adeguatamente i collaboratori, che chiede di: ascoltare (prima di parlare) per informarsi;

sentire (prima di giudicare) e valutare; comprendere (prima di spiegare) e decidere;

accogliere (prima di resistere) e informare; addestrare gli altri e allenare se stessi.

In linea con questa impostazione, nel nuovo scenario politico, amministrativo ed

organizzativo il “buon dirigente” dovrebbe, dunque, tendere ad essere anche il leader

del gruppo di cui è responsabile, non solo il capo ufficio.

Per usare la metafora già indicata, come il direttore d’orchestra, anche lui è il

leader efficace di un’organizzazione complessa formata da un numero considerevole di

specialisti, che sono sempre più i principali responsabili dei risultati finali delle

performance dell’amministrazione 45.

Così nell'attuale contesto produttivo ed organizzativo solo il direttore

d'orchestra può fornire un modello di leadership capace di governare efficacemente

organizzazioni complesse, senza gerarchie intermedie e formate, essenzialmente, da

professionisti.

A riprova della presenza delle diverse velocità ipotizzate, nell’analisi del clima

presente all’interno delle amministrazioni esaminate, nella sua duplice accezione di

risultato e di determinante del comportamento degli individui e dei gruppi all’interno

delle strutture esaminate, si registra che: a fronte di pochi (dirigenti) che ritengono che

vi sia “un clima sereno ed incentivante”, il restante degli intervistati ritiene che “manca

del tutto una cultura di tipo solidale e di squadra che favorisca un clima motivante” e

sostiene che vi sia un clima “di attesa improntata alla speranza”, “di incertezza e

preoccupazione mista ad attenzione”.

45 Si veda Cocozza A., “Concertazione, orchestra e ruolo del Direttore. Dalla cultura musicale a quella delle relazioni industriali”, Industria & Sindacato, n. 6, , 1995, pp. 10-15.

97

A questo proposito, riteniamo necessario ricordare che, l’esito delle

trasformazioni in atto delle pubbliche amministrazioni, dipenderà soprattutto dalla

qualità e dalla motivazione dei suoi principali attori, cioè dai dirigenti.

In definitiva è bene ricordare che, le scelte di cambiamento, per essere efficaci,

dovranno necessariamente ispirarsi ai valori di fondo dell'amministrazione (intesa come

strutture e come sistema sociale e amministrativo) e si dovranno perseguire attraverso

programmi attuativi, che non sono solo basati sulla condivisione da parte dei dirigenti,

del personale, ma sono nel contempo l'espressione delle speranze e dei desideri delle

persone e lo strumento per il raggiungimento dei fini e della missione istituzionale.

Del resto è ormai noto che le amministrazioni pubbliche non rappresentano delle

semplici organizzazioni meccaniche, indicata spesso come la “macchina

amministrativa”, ma sono costituite oltre che da strutture, risorse, obiettivi e risultati

(come altre tipologie organizzative), da persone che hanno loro strategie e progetti, che

insieme danno vita ad un sistema sempre più complesso, sofisticato e orientato da valori

di fondo.

In queste organizzazioni si possono adeguare efficacemente le loro performance

alle sfide esterne e alla domanda interna, non solo perché si modificano i “processi

operativi” (cosa estremamente importante) ma perché si interviene coerentemente per

migliorare gli assunti di base della cultura organizzativa e si favorisce una maggiore e

migliore partecipazione di tutti gli attori sociali.

In definitiva, i risultati emersi dall’elaborazione delle informazioni raccolte e

dalla relativa attività di content analysis, possono rappresentare un valido contributo per

l’individuazione di possibili interventi di miglioramento in alcune aree dell’azione

organizzativa del dirigente, in uno scenario politico-amministrativo in continua

evoluzione.

In particolare, quanto è emerso dalla ricerca sul campo ci consente di proporre

alcune osservazioni in termini di strumenti e metodi per la realizzazione di un

cambiamento culturale e strutturale della pubblica amministrazione.

A questo fine, si ritiene di poter individuare le seguenti aree di miglioramento

per lo sviluppo organizzativo:

-la comunicazione, favorire la comunicazione con interventi di supporto

tecnologico ma soprattutto di tipo formativo per cambiare la cultura dell'informazione;

dare trasparenza al cambiamento strutturale rendendo partecipi tutti gli attori sociali;

98

-la formazione, organizzare la formazione in entrata allo scopo di socializzare i

nuovi collaboratori o dirigenti alla “cultura organizzativa dell’amministrazione”,

avviare percorsi formativi finalizzati alla condivisione delle nuove conoscenze e

competenze professionali nonché alle dinamiche interrelazionali, passare da una logica

di azione formativa a quella di progetto, per proporsi la costruzione (o il

consolidamento) di sistema strutturato di formazione continua;

-la visibilità dei risultati raggiunti, (organizzare conferenze; creare dei

precedenti di “successi ottenuti” generando così una memoria storica dalla quale

attingere per motivare il personale).

In conclusione, per il dirigente si tratta di governare un processo di evoluzione

estremamente impegnativo, che richiederà un investimento culturale, oltreché politico

ed organizzativo e un forte impegno personale, poiché come ricorda K. Weick il nuovo

principio che deve guidare l’azione degli attori (politici, manageriali, professionali e di

rappresentanza) nelle organizzazioni complesse, dovrà capovolgere l’affermazione

comune “Ci crederò quando l’avrò visto” e sostituirla con un’epistemologia che sostiene

invece : “Lo vedrò quando ci avrò creduto” 46.

46 Weick K., Le organizzazioni scolastiche come sistemi a legame debole, in Zan S., a cura di, Logiche di azione organizzative, Il Mulino, Bologna, 1988, p.357.

99

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103

Appendice

1. Schema intervista

a) MISSION, STRATEGIA E STRUTTURA ORGANIZZATIVA

- Mi può parlare della mission della struttura?

- Quali sono le strategie organizzative messe in essere per realizzare la condivisione

della mission e quindi il coinvolgimento del personale affinchè si raggiungano

determinati obiettivi?

- Quanto l'importanza della mission è motivante per chi fa parte di questa

organizzazione?

- L'attuale struttura organizzativa è funzionale al raggiungimento della mission?

- Quali sono le aree di miglioramento?

- Come sono assegnati i ruoli?

- Che tipo di orientamento viene dato al processo lavorativo (maggiore attenzione al

risultato/obiettivo o alle procedure; maggiore attenzione agli "atti" o alle attività)?

- Mi può parlare della modalità di verifica/valutazione dei risultati e come vengono

gestiti eventuali scostamenti?

b) LE CULTURE PROFESSIONALI

- Come viene vissuto il cambiamento normativo relativo alla riforma sulla dirigenza?

- Quali requisiti vengono richiesti ai dirigenti? E quali le caratteristiche attese (in

termini di conoscenze, competenze, esperienza, curriculum studiorum, ecc…)?

- Che cosa è cambiato in termini di ruolo e di attività per i dirigenti e che cosa è

rimasto immutato?

- Sono stati compiuti degli interventi strategici specifici a supporto del cambiamento?

- Il processo di formazione è mirato alla costruzione dei nuovi ruoli professionali?

c) LA LEADERSHIP E LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

- Esiste un sistema premiante e quanto, come, influisce sulla motivazione del

personale?

- Quali altre leve vengono utilizzate per aumentare la motivazione?

- Esiste un processo di diagnosi-valutazione delle competenze? Quali sono le finalità

che l'amministrazione intende perseguire attraverso la valutazione e cosa si valuta

(valutazione di posizione, prestazione e potenziale)?

104

- La normativa è intervenuta per favorire la transazione da un modello di direzione

tecnico-amministrativo ad un modello di direzione manageriale, secondo lei la realtà

attuale dove si colloca rispetto a questi due modelli?

- Come definirebbe il clima organizzativo?

Sereno motivante

(orientato alla relazione)

Orientato agli obiettivi

(professionale) Negativo

- Può farmi qualche esempio?

d) IL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO (*)

- La Comunicazione interna: come funziona? Se ci sono delle criticità…. quali

soluzioni si potrebbero adottare per risolverle?

- Quale è secondo lei il comportamento prevalente in questa struttura, (solidale,

partecipativo, di squadra oppure competitivo individuale)?

- Se lei dovesse descrivermi con un immagine questa struttura organizzativa, cosa le

verrebbe in mente?

2. Schema osservazione partecipante

Comunicazione Verbale

PROFESSIONALE

EFFICACE

Aggressiva UP-DOWN

Remissiva DOWN -UP

IN EQUILIBRIO ORIENTATA AL

CONTENUTO ORIENTATA ALLA RELAZIONE

Capacità di ascolto EFFICACE - EMPATICA

BUONA SCARSA

Comunicazione non verbale (atteggiamenti, tono di voce, postura, ecc..)

DI INTERESSE DISTACCATA OSTILE

ADEGUATA AL

CONTESTO FORMALE INFORMALE

(*) da approfondire con l’osservazione partecipante

105

Stile di Leadership PARTECIPATIVA DIRETTIVA LAISSEZ-FAIRE

Orientamento della Leadership

AL CLIMA, AL GRUPPO

AL RISULTATO, AL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI

Effetti della Leadership

PARTECIPAZIONE VIVACE – ELEVATA, FORTE MOTIVAZIONE

CARENZA D'ENTUSIASMO,

BASSA MOTIVAZIONE

RESISTENZA OSTILITÀ

Clima SPIRITO DI GRUPPO

SOLIDARIETÀ, APERTURA in termini di fiducia reciproca

SPIRITO INDIVIDUALISTA, COMPETIZIONE, CHIUSURA in termini di non fiducia reciproca