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SFIDA

Mi scusino i compagni più pacifici, diplomatici, che sanno rivestire la loro indignazione con le parole ele-

ganti della finezza dei gentiluomini. Adesso, voglio rivolgermi a ciascuno di voi, come un fanatico tifoso, o come un alle-natore disperato, volendo scuotere la sua squadra, che potrà essere sconfitta. Al constatare le meraviglie svolte nel mondo per l’iniziazione sportiva, nei cuori rudi, nelle condizioni di vita non strutturata, non resisto a rimanere in silenzio di fron-te all’eco che sento quando ascolto il nostro motto “Ludis jungit”, a cui io aggiungo la saggezza dei Romani, nell’adagio “mens sana in corpore sano “.

Fatta questa premessa, permettetemi tentare a contagiarvi con la nostra sfida.

La nostra grande sfida per il 2013, nel Distretto Brasile, è di aumentare almeno venti-cinque per cento, sia nel numero di soci come nel numero di club. Nel 2012, soltanto il Club Taubaté è cresciuto e, per coincidenza, venti-cinque per cen-to, passando ad essere il terzo Club, nel numero di soci nel distretto Brasile, mentre gli altri club sono rimasti fermi o hanno perso alcuni soci; sarà che il volontariato si rafforza solo nella terra natale di Monteiro Lobato? Per l’anno 2015, Taubaté, attraverso una seria e ben preparata pianificazione, con molta motivazioni e unione di forze, pretende conquista-re il secondo posto, in numero di soci, nel Distretto Brasile, soppiantando Sorocaba o São Paulo da questi posti. Riuscirà nel suo obiettivo? Sorocaba e São Paulo rimarranno sdraiati in una splendida culla? Juiz de Fora, Santos, Mococa, Jundiaí, São José dos Campos, come rimarranno? Applaudendo?

Quanto alla fondazione di nuovi club, oltre a Taubaté, solo il Club di Sorocaba sta collaborando con il Distretto, con con-tatti in Itapetininga e Tatuí, mentre gli altri club rimangono a guardare la-banda passare, ma speriamo che quest’anno, ci mostreranno che, “chi sa, fa adesso, non aspetta che succeda”, come dice la canzone di Geraldo Vandré.

La Commissione Internazionale per l’Espansione del Mo-vimento Panathlético, ha appena lanciato lo slogan: “ogni so-cio – un nuovo socio”; “ogni Club, un nuovo Club”, anche preoccupati con l’espansione del Movimento Panathlético nel mondo; da parte nostra, abbiamo intenzione di lavorare duro per raggiungere gli obiettivi del Panathlon International e, vor-remmo che ogni presidente di Club motivasse i suoi soci a cercare nuovi collaboratori e compagni e nella fondazione di nuovi club nelle città vicine.

Questo tema sarà molto discusso nella prossima Assemblea del Distretto e Congresso Nazionale, che si terranno dal 04 al 07 aprile di quest’anno a Taubaté, in aggiunta al tema “l’eredità immateriali che i mega eventi “MONDIALI DI CALCIO – 2014” e “OLIMPIADI DI RIO DE JANEIRO-2016” lasce-ranno al paese e le sfide saranno messe alla prova.

Se siamo parte di un movimento, dove siamo un Club di Amici, di Azioni, di Cultura, di Etica e di Idee a favore dello sport, dell’attività fisica, dell’educazione fisica e dello sviluppo etico, culturale e del “Fair Play”, di tutti gli sport e competizio-ni Paralimpiche, non possiamo scoraggiarci, ma lavorare com insistenza per il motto della nostra causa: “LUDIS IUNGIT”, LO SPORT UNISCE.

Editoriale

President dei ClubPanathlon Internacional – Presidente- Giacomo SantiniPast President – Enrico PrandiVice Pres. Internacional – Sebastião Alberto Corrêa de CarvalhoSecretário Geral – Leo BozzoMembros de Honra - Antonio Spallino / Jean Presset / Henrique NicoliniDistrito Brasil – Presidente – Wiliam Saad Abdulnur

Presidentes dos Clubes Brasileiros

Bebedouro – Edson K. SakomuraCampos do Jordão – Marcos Luiz de Souza MelloCosmópolis – Ricardo AlvesCruzeiro – Luiz Flavio de OliveiraCubatão – Carlos Alberto CruzItapira – Vladen Vieira

Juiz de Fora – Juarez de Carvalho VenâncioJundiaí – Julio Cesar LamarcaMococa – Marcos Donizetti MachadoMogi Mirim – Ricardo Antonio MartinianoPiracicaba – João Francisco Rodrigues GodoyPorto Alegre – Carlos Guilherme PinheiroRecife – Fortunato Russo SobrinhoRibeirão Preto – Ayres José PereiraSanta Barbara D’Oeste – Americana – Denis ModeneseSanto André – Roberto Nasser Turcão BartoliSantos – Wagner Bessa TeixeiraSão José dos Campos – Kátia Rieira MachadoSão Paulo – Aristides Almeida RochaSorocaba – Pedro Roberto Pereira de SouzaTaubaté – Rinaldo GobboUbatuba – José Luiz Bittencour Junior

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INTRODUZIONE

L’inclusione sociale e professionale di grup-pi popolazionali di minoranza e lo sviluppo

di meccanismi e azioni cercando una maggiore rap-presentanza politica di questi, facilitando l’accesso ai servizi essenziali (sanità, istruzione, servizi igienico-sanitari) e a altre strutture urbane (trasporti, ricreazio-ne, facilità per la pratica sportiva, ecc.) costituiscono un diritto inalienabile dei cittadini e devono offrire le priorità delle azioni inserite nelle agende del governo.

Tuttavia, i fattori di natura socio-economici deter-minanti nel profilo e nel modo di vita di queste popo-lazioni e comunità, e che caratterizzano le differenze tra l’accesso e la qualità dei servizi offerti dallo Stato, e che essenzialmente sono pagati per parte della propria popolazione attraverso tasse e imposti, (che in Brasile sono a livelli tra i più alti al mondo), pregiudicando an-che alcuni gruppi etnici discriminati (afro-discendenti, indigeni), e ancora altri segmenti come portatori di al-cuna disabilità, hanno bisogno di essere meglio capiti e analizzati.

Osserviamo che i progressi portati dalla tecnologia e globalizzazione, paradossalmente, stanno contribuen-do alla riduzione della disponibilità di posti di lavoro e a una crescente emarginazione di contingenti ogni vol-ta maggiori di popolazione in tutto il mondo. Tuttavia, questa situazione drammatica, a quanto sembra, sta provocando come contro partita, una preoccupazione maggiore sensibilizzando le autorità e la società civile per la rapida perdita di potere d’acquisto, riduzione di potenziali mercati consumatori, deterioramento della qualità della vita, aumentando il malcontento delle po-

polazioni e la crescita della criminalità.Nell’abordaggio di tale tema tanto attuale due aspet-

ti sono evidenti: discriminazione e razzismo (parola di origine inglese racism e racisme dal francese) che so-stiene la superiorità di alcune razze. Si discrimina per la condizione economica, per essere disabile; per esse-re omosessuale; per essere di bassa statura e, a volte, per essere troppo alto; per essere grasso o troppo ma-gro. Sono stabiliti giudizi di valore e si gerarchizzano segmenti popolazionali e o persone individualmente. Spesso si pratica il razzismo e l’intolleranza con questo o quel popolo o etnia; ebrei, arabi, afro-discendenti, indigeni, senza terra, senza tetto. Questi concetti se-gregazionisti agiscono come una forma di violenza che attingendo, come già accennato, una vasta gamma di persone denominate minoranze.

Il razzismo come s’intende da queste considerazio-ni è un fenomeno socio-culturale derivante da concetti guida di azioni autorevoli in un determinato processo relazionale, con l’intuito intenzionale di categorizzare le persone coinvolte nelle interazioni sociali e mante-nere la disuguaglianza. Quello che si osserva di con-creto è che il problema dell’esclusione dei meno fa-voriti e la necessità della loro inclusione sociale viene meritando, soprattutto a partire dall’ultimo decennio del XX secolo, l’attenzione della società civile e dei governi, sia nei paesi sviluppati, sottosviluppati o in via di sviluppo.

LA DIMENSIONE DELL’ESCLUSIONE SOCIALE NELLA CITTÀ DI SAN PAOLO

Benché il territorio brasiliano abbia dimensioni

Lo sport e l’inclusione socialedegli esclusi: contributo delpanathletismo

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continentali e delle peculiarità regionali, um’idea ge-nerale del problema dell’esclusione sociale può essere, per esempio, ottenuto attraverso l’analisi di dati rife-renti alle caratteristiche della popolazione nella Regio-ne Metropolitana di San Paolo. Questa, che ricevendo persone di tutto il Brasile e dall’estero, originarie dalle più diverse culture, conforma attualmente un univer-so di circa 20 milioni di abitanti. In questo contesto si intende che la problematica dell’esclusione sociale è complessa e abbastanza delicata, stando lontana di essere rapidamente risolta. Diversi studi indicano che in questo scenario, circa di 9 milioni di persone vivono al di sotto di uno standard di vita desiderabile; basso reddito, difficoltà di accesso all’istruzione, salute, risa-namento, abitazione, trasporto e ricreazione. La carat-terizzazione socio economica di questa popolazione è fatta utilizzando l’indice di Esclusione/Inclusione Sociale (IEX). Questo indice ha per base l’indice dello Sviluppo Umano (IDH) dell’Organizzazione delle Na-zioni Unite (ONU) che è stato ampliato, utilizzandosi 47 variabili che gli autori chiamano di “utopie“, e che sono state aggregate in quattro gruppi principali, vale a dire: Autonomia (reddito del capo di famiglia, offer-ta di lavoro); Qualità di vita (accesso a servizi come ri-sanamento, salute, educazione, densità popolazionale , conforto domiciliare ); Sviluppo umano (livello di sco-larità dei capi di famiglia, longevità, mortalità infantile e giovanile, violenza); Equità (grado di concentrazione di donne in condizione di capo di famiglia). Questi in-dicatori hanno ricevuto note decimali negative e posi-tive, variando di –1 a 1, essendo lo zero definito come lo standard basico dell’inclusione sociale.

Nella città di San Paolo comprendendo 96 distretti, d’accordo con i dati della Mappatura dell’Esclusione pubblicati per Claudia Izique, nella Rivista della Fon-dazione di Amparo alla Ricerca dello Stato di San Pa-olo (FAPESP) il peggior indice –1 è stato registrato nel Jardim Angela, il maggiore +1 in Moema e nella Vila Jaragua l’índice zero qualificato come desiderabi-le. Procedendo a rapide digressioni sui dati di questo importante sondaggio si verifica che nel 1974 dei 96 distretti della capitale paolista, dovuto alla deteriora-zione risultante dell’assenza o inadequazione delle po-

litiche pubbliche, la vita diventa di mala qualità avendo esclusione sociale, ostacoli aggravati per la carenza di apparati sociali e mancanza di pianificazione produ-cendo profonde disugualtà intra-urbane. Questo è lo scenario nel quale dovranno essere compiute azioni nel senso di minimizzare il gradativo allontanamento di parte della popolazione meno favorita, gli esclusi. Realmente, se gli interventi non succederanno in bre-ve spazio di tempo è innegabile che la violenza cresce-rà, poiché questa si associa ai problemi della povertà , uso abusivo di bevande alcoliche, consumo di droghe e corruzione, mali che insistono in devastare la società moderna non solo nei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, ma anche negli sviluppati.

LO SPORT COME FATTORE DI INCLU-SIONE SOCIALE.

Lo sport oltre di lenitivo terapeutico, ricreativo e fattore di salute è anche manifestazione di cultura e elemento disciplinatore. Quanto ai benefici della pra-tica dello sport come fattore di inclusione sociale, posso dare due testimonianze. La prima di carattere personale, poiché portatore di disabilità fisica, con-seguenza della poliomielite, con sequela irreversibile fin da un anno e mezzo di età, è stato per mezzo di attività sportive praticate collettiva e individualmen-te, che sono riuscito a superare dispiaceri e complessi, attenuare vicissitudini e oltrepassare i difficili periodi dell’infanzia e soprattutto della gioventù, raggiungen-do la fase adulta pienamente inserito in società, eser-citando la cittadinanza e lasciando di essere un escluso. La seconda si rifferisce a ciò che è successo negli anni 80 del sec. XX, quando io ero docente nella Facoltà di Ingegnaria Mauá nella regione dell’ABC, in San Paolo, epoca nella quale la direzione della scuola stava preoc-cupata com l’aggressività degli alunni e i costanti con-fronti. I direttori allora hanno risolto di costruire un complesso sportivo. Com soddisfazione si osservò che già al finale del primo mese di uso delle installazioni, la pratica sportiva ha indotto al relazionamento molto più amichevole tra gli alunni, praticamente, elimando gli affrontamenti, avendo sensibile miglioramento nel

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profitto scolastico.Per quanto riguarda la società in generale, le notizie

dei media sono prodighe nell’informare lo sviluppo di programmi e anche delle attitudini sparse condotte dalle società civili e religiose, propiziando l’offerta di attrezzature per lo sport e l’orientamento di politiche pubbliche e programmi ben condotti dal settore, con-tribuiscono a disciplinare, allontanare dalle droghe, ri-durre atti di vandalismo e ridurre azioni predatorie sui propri pubblici; infine conducendo alla socializzazio-ne dei bambini, giovani e adulti ed al pieno esercizio della cittadinanza.

Si nota che lo sport, oltre che al fattore di salute, a migliorare la funzione corporea e ridurre lo stress, (questo è il grande male della società urbana moder-na), ha inoltre per obiettivi: Insegnare a vivere in so-cietà; educare a vivere insieme; capire l’importanza di accettare i disuguali; fare imparare a vincere e a per-dere; riconoscere il migliore e più capace; e ancora far vedere che devono rispettare il più debole e l’inabile. Si conclude che, sotto vari aspetti, lo sport come scienza e disciplina è un vero e proprio “strumento” per es-sere usato nella lotta per l’inclusione sociale dell’indi-viduo escluso.

Quando il governo in alcun modo, promuove lo sport, questo acquisisce lo “status” inerente a qualsiasi altra “attrezzatura urbana” (salute, istruzione, igiene) fondamentali per la qualità di vita dell’essere umano. S’inserisce quindi, nella premessa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità all’enfatizzare che “salute non è solo l’assenza di malattia, ma il completo benessere fisico e mentale di ogni individuo”. Queste condizioni possono essere pienamente soddisfatte solo se a tutti i cittadini sarà offerto o permesso usufruire e ad avere accesso a tutte le “attrezzature urbane” tra cui, quindi, lo sport o le strutture per la pratica sportiva.

IL CONTRIBUTO DAL PANATHLETI-SMO

Il Panathlon è sorto nel 1951 nella città di Venezia, Italia, ha catalizzato, in un incontro di amici, le forze potenziali dedicate allo sport, creando un movimento

che, diffuso nel territorio italiano, si è propalato per l’Europa, Africa e Americhe, diventando subito un in-transigente sodalizio sostenitore dell’etica sportiva.

Il Panathlon, d’altra parte, sopporta inoltre, di ma-niera integrale, le risoluzioni emesse dall’UNESCO contenute nel Manifesto del Fair Play, pubblicato nel Bollettino n. 276 della Federation Internationale d’Education Physique, che preconizzano, tra l’altro, azioni destinate a rinvigorire lo sport e agevolare la partecipazione in attività sportive a tutti i segmenti della popolazione, senza distinzione di razza, colore o situazione economica. Il movimento panathletico consolidato nei numerosi club in diversi paesi, come quelli del Distretto Brasile, ha tra i suoi obiettivi di intraprendere sforzi al fine di fornire lo sport a tutti indiscriminatamente. Pertanto discutere in profondità il tema dell’inclusione sociale degli esclusi e il possibile contributo del movimento panathlético, è della massi-ma importanza. In realtà è simbolico, ad esempio risal-tare che la Carta Magna del Panathlon Club San Paolo ha come uno dei principi “l’affermazione degli ideali sportivi e dei suoi valori morali, come strumento di solidarietà tra gli uomini e i popoli”. Così, il movimen-to panathlético aggregando i vari segmenti di sport, un vero Senato degli sport, non può non riuscire a stimo-lare lo sviluppo di programmi e progetti volti a con-tribuire al processo di inclusione sociale degli esclusi attraverso lo sport, influenzando nella formulazione di politiche pubbliche destinate alla regolamentazione del settore sportivo.

In questo senso verifichiamo che i Club Panathlon del Distretto Brasile attraverso di attività isolate o in gruppo, attraverso di collaborazione (con enti gover-nativi, ONG e altri) ha favorito alcuni segmenti dello strato di popolazione considerata minoranza, come nel caso dei disabili e di persone bisognose.

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L’ONU ha definito il 1981 come l’Anno Interna-zionale della Persone Disabile, ed ha consegui-

to involgendo la maggioranza dei suoi paesi membri nei cinque continenti , attingere e collocare in all’ordi-ne del giorno e di forma incisiva le questioni riferenti ai diritti e l’effetiva inclusione di tali persone. Nei tre decenni vissuti da allora la questione è stata concen-trata in tutte le attività umane. Spazi sono stati con-quistati in tutti segmenti della società con distacco alle questioni riferenti all’accessibilità, educazione, lavoro, sanità, trasporto, cultura e, come non potrebbe essere altrimenti, all’educazione fisica, sport e ricreazione.

In Brasile al commemorare i 30 anni dell’AIPD , è visibile l’importanza e la contribuizione che le attività fisiche e sportiva hanno dato al processo di busca e consolidamento della cittadinanza delle persone di-sabili nel nostro paese. Non possiamo, per giustizia, lasciare di registrare il lavoro dei dedicati professio-nisti coinvolti nelle varie aree di attuazione, tra loro i professori di educazione fisica.

Attuando nella maggioranza delle volte di forma volontaria e silenziosa, loro rappresentano un mar-co in questo processo che ha propiziato una guizzata nell’intendimento, nella percezione e nel riconosci-mento da parte della maggioranza della nostra popo-lazione della potenzialità delle persone disabili.

Fino ai termini degli anni 80 molti profissionisti di Educazione Fisica, anche oriundi da istituizioni di in-segnamento superiore che praticamente ignoravano la questione delle persone disabili nel suo processo di graduazione, già vedevano e capivano com determina-zione e competenza le possibilità di inserire e include-

re socialmente queste persone al propiziare e garantire l’accesso alle attività fisiche, sportive e ricreative.

Conseguenza della formazione accademica vigen-te fino alla metà degli anni novanta ancora abbiamo, principalmente nell’insegnamento fondamentale e medio, molti profissionisti di Educazione Fisica con difficoltà in accettare e lavorare con la diversità. Senza dubbio, le azioni sviluppate in questi trenta anni sono state e continuano ad essere importanti nella rottura dei paradigmi e nell’eliminazione dei preconcetti che si da a partire da una vivenza integrale e inclusiva che necessariamente comincia nelle scuole.

Dalla convivenza tra bambini, giovani e adolescenti, con o senza disabilità, nell’ambiente scolastico sorgo-no le opportunità perché siano invertite le situazione che, molto tempo fa, appena rafforzavano preconcetti e equivoci. Senza alcun dubbio è questo il momento adeguato di opportunizare la pratica sportiva per gli alunni disabili, con i professori di educazione fisica eli-minando e sostituendo molti miti: dall’incapacità per la capacità, dalla bassa stima per l’auto stima, dall’esclu-sione per l’inclusione. Certamente, la maggior vittoria in questo processo sarà la contribuizione per la for-mazione di cittadini più coscienti, giusti e solidari. Ed è in questo contesto che lo sport si torna uno dei più importanti strumenti di inclusione sociale.

L’attuazione di grandi guide delle persone disabi-li e di profissionisti di Educazione Fisica negli ultimi 30 anni ha contribuito decisivamente nel processo di installazione e sviluppo dello sport paraolimpico nel nostro paese e fu fondamentale nei risultati che han-no permesso al Brasile arrivare come settima potenza

Lo sport come un mezzo diinclusione sociale - L’esempio con le persone

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mondiale alle Paraolimpiadi di Londra – 2012. Rimanga molto chiaro che lo sport è una delle mi-

gliori forme di azione che un paese ha per sviluppare la sua cittadinanza. È ancora più chiaro che questa atti-vità ha bisogno, necessariamente, essere sviluppata a partire dalla scuola quando abbiamo in mano bambini e giovani in fase di formazione. Per mezzo dello sport nella sua versante educazionale, scolastica, guadagnia-mo tutti. Avremo cittadini più coscienti, com nozioni chiare di cameratismo, rispetto alle regole, intendimen-to di vittorie e sconfitte e corretto sviluppo corpora-le in tutte le sue competenze : coordinazione, agilità, flessibilità, forza , ecc.. E, naturalmente, lo sport di rendimento avrà molto più facilita di identificazione e perfezionamento di talenti.

Per questioni politiche e concettuali, a partire del 1985 c’è stato nel nostro paese una “satanizzazione“ dello sport nella scuola. Alcuni profissionisti famosi hanno disseminato con grande competenza e di forma molto influenziadora le tesi di che il tirocinio dell’at-tività sportiva nelle scuola sarebbe inadeguato. Tra le informazione più contundenti abbiamo quella del Prof. Valter Bracht, nel 1986, che afferma “IL BAM-BINO CHE PRATICA SPORT RISPETTA LE RE-GOLE...CAPITALISTA”.

L’intendimento equivocato di questo e d’altri con-cetti simili, ripetuto per altri profissionisti nelle diver-se Università e Facoltà formatrici di profissionisti di Educazione Fisica per tutto il Brasile, ha contribuito di forma decisiva nella distrutturazione dello sport scolastico brasiliano. Come conseguenza ha più di 20 anni il Brasile non conquista una unica medaglia d’oro, d’argento o bronzo nelle prova individuali di velocità nella piste delle Olimpiadi. L’ultima fu conquistata da Robson Caetano, in Seul – 1988.

Come capire che abbiamo avuto, nel 2012, recordi-sti mondiali e medaglisti in velocità nelle prove di 100, 200 e 400 metri nei Giochi Paraolimpici ? Terezinha Gulhermina, Lucas Prado e Daniel Silva, ciechi e più Yohansson Ferreira, disabile fisico sono recordisti e medaglisti. I quattro sono passati per le scuole regolari

brasiliane negli ultimi 20 anni e, soltanto furono iden-tificati e iniziati nello sport per osservazione di profes-sori che attuano com persone disabili. E tutti dopo i 17 anni di età . Daniel, primo ceco nel mondo a correre 400 metri sotto i 50 secondi, è rimasto ceco per incidente alle 23 anni ed ha imparato atletica ai 27 anni di età. Com 32 anni ha battuto il record mondiali nei Giochi Paraolimpici di Guadalajara – Mexico nel 2011.

Con quarant’anni di attuazione nell’Educazione Fi-sica volta per le scuola , ho la chiarezza assoluta per esporre il mio punto de vista. Senza l’attività sportiva nelle lezioni di Educazione Fisica, i nostri professori hanno perso il potere dell’osservazione dei bambini e dei giovani e con questo le virtù che avevano in sco-prire talenti. In nessuno momento affermo o intendo essere ruolo della scuola la formazione di atleti. Ne-anche sta alla scuola formare artisti, scienziati, ecc.

Compete si agli educatori verificare, incoraggiare e incamminare potencialità. Questa è la forma più inclu-siva che una società possa avere. A partire dalla scuola si identifica e opportunizza la formazione individuale e la cittadinanza. Per quello che abbiamo visto nella nostra società nei tempi presenti questa perdita di vi-sione Identificatrice della scuola non si è limitata agli sport. Stiamo perdendo molto più che questo. Il com-portamento etico che lo dica.

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Il termine integrità nello sport ci conduce alla correttezza, imparzialità, onestà dell’atleta. L’in-

tegrità sta o non inserita nel carattere dell’individuo. Attraverso l’educazione familiare e formazione indivi-duale l’atleta si presenterà integro nella società.

L’individuo che si dedica alla pratica sportiva ha, nella sua formazione, molto a che beneficarsi com questo. Quando l’atività sportiva é maculata, deviata dalla sua finalità, constatiamo lo sport censurabile, il disonore, la mancanza dell’integrità nello sport.

Osservando il comportamento umano in materia di competizioni sportive, alcuni atleti tendono ripetere errori del passato in ragione di fattori personali. Alla ricerca di prestazioni, potere, ricchezza, fama, e altre aspirazioni, gli individui non rispettano la sua natura umana, vanno oltre alle regole elementari e alla salu-tare competizione che dovrebbe essere disputata com onestà e dignità.

Questi atleti contumaci non s’importano in obbe-dire i limiti della legge naturale della creazione, pure avendo la coscienza dell’illecito, la conoscenza dei fu-turi danni per la sua salute e il compromettimento dei loro simili anche loro coinvolti nei complotti, macu-lando l’immagine degli sportisti.

Di fronte com il recente caso di doping per il cicli-sta statunitense Lance Armstrong, che usava sostanza proibite non solo per se, ma le forniva anche ai com-pagni di squadra. Dovuto a questa frode ho conqui-stato sette volte il titolo di campione del famoso Giro di Francia.

In ottobre del 2012, l’Unione Ciclistica Internazio-nale ha adottato la decisione dell’Agenzia Americana Antidoping – (USADA), e, oltre a cancellare i titoli di Armstrong, lo ha vietato di partecipare da qualsiasi attività sportiva professionale.

La dura decisione ha distrutto la reputazione del-la carriera sportiva dell’allora campione. Le perdite

saranno infinite, economica, morale e psicosociale, detronizzando l’uomo che esibiva una costituizione fisica superba, forza, vigore, tenacità, che superava gli avversari in tutte le competizioni, ingannando a se stesso per l’uso continuo di droghe.

Un altro aspetto negativo praticato per l’atleta sta relazionato al Fair Play. Elemento essenziale a tutta l’attività sportiva, componente del’ideale predicato dal Panathlon Internationale. L’atleta non è stato impar-ziale, ha dimostrato di non avere spirito sportivo, ha avuto una condotta irregolare, immorale e impropria.

Se si torna al settembre 1988, verificheremo che anche un altro atleta famoso ha seguito nella cattiva strada. Il canadese Ben Johnson, considerato l’uomo più veloce del mondo, ha vinto i 100 metri com l’in-credibile tempo di 9 secondi 79 centesimi, tornandosi campione olimpico in Seul.

L’orgoglio della grande conquista cadde per terra nel giorno seguente, quando la notizia del più grande scandalo di doping nella storia dello sport è venuto ala ribalta. Il fatto ripercosse per il mondo, e lui ha perdu-to non solo la medaglia d’oro ed il prestigio pubblico, ma fu vietato di partecipare nello sport.

Per rimanere com appena questi due esempi, la fro-de che aumentava la forza e la potenza dei muscoli di questi atleti, ha detronizzato l’effimera gloria dei gi-ganti dai piedi d’argilla.

Che questo caso serva di esempio e per riflessio-ne degli atleti brasiliani che si preparano per le com-petizioni internazionali, per i Mondiali di Calcio del 2014 e per le Olimpiadi che occorreranno in Brasile nel 2016.

Per coinvolgere interessi finanziari personali e col-lettivi la complessità del tema sarà sempre accompa-gnata da organismi internazionali preoccupati in pro-teggere le buone pratiche e l’integrità sportiva.

La storia del dopingsi ripete

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La notizia del decesso di Nelson Prudêncio, ampiamente diffusa per i principali veicoli di

comunicazione del paese, deve avere profondamente costernato gli sportivi della vecchia guardia, ma credo che ben pochi tanto quanto me. Vedano perché:

All’inizio della seconda metà del 1949, dopo un concorso che ha coinvolto tutta la rete dello Stato di São Paulo per la formazione professionale, assunse la cattedra di Educazione Fisica della Scuola Industriale il Professore Antenor Soares Gandra, di Jundiaí, isti-tuzione dove sono rimasto fino all’inizio degli anni 60, per assumere, come giornalista, la direzione dell’area di Relazioni Pubbliche e l’Ufficio Stampa del Diparti-mento di Educazione.

La scuola che ho trovato era recentemente fondata e ultra-precaria in termini di servizi. Si trovava in quel momento alla fine della Via Barão de Jundiaí, la princi-pale della città, locale che la gente della Terra dell’Uva chiamava di “grande scala”, una collina che collegava la parte alta con la parte bassa della città.

Non c’era nella “Scuola Industriale” nessuna in-stallazione adatta per dare lezioni di sport. Prima che, attraverso di campagne, fosse possibile costruire una palestra di pallavolo e pallacanestro, vi erano soltanto condizioni in grado di esercitare la ginnastica e, quan-to alla parte ricreativa, il calcio a 5.

Tuttavia, difficilmente si troverebbe oggi, più di ses-sant’anni dopo, un entusiasmo così grande degli alun-ni, bambini vivaci che “giovavano” con soddisfazione (e gridio!) l’ora di andare a quel sempliciotto cortile di terra, non selciato.

Tutta l’agitazione era incanalata per diverse azioni di pianificazione, ma principalmente il Campionato

Interno di Calcio a 5. Fra questi, uno che si è più di-staccato tra quei ragazzi, super eccitati, non era chia-mato per il nome di battesimo - Nelson Prudêncio – ma con il suo soprannome, “Pelè”, personaggio che in tale decisione stava alla ribalta dello scenario sportivo nazionale, dopo la brillante performance nel Mondiale di Svezia.

L’abilità di Nelson “Pelè” fu così grande che lui ed il suo gruppo sono arrivati ad essere campioni del torneo che coinvolgeva tutti gli alunni della scuola. E toccò a me, nella cerimonia di chiusura (prestigiata dal direttore e per il corpo docente), consegnare a “Pelé” una piccolissima medaglia, offerta da me a tutta la squadra e comprata nel modesto casotto del Panelli (dopo grande produttore di trofei), in una piccola por-ta della via del Seminario, ben vicino alla Av. Casper Libero, dove la Gazeta Esportiva stava installata prima di trasferirsi all’Av. Paulista.

La stima per quel gruppo di ragazzi è continuata salda in me, anche quando, dopo il diploma, ognuno seguì il suo destino. Ancor oggi mi ricordo il nome di molti alunni, più di mezzo secolo più tardi.

Nella Decade del 1960, il comune jundiaiense ha costruito uno stadio. Esso era situato accanto al pa-diglione della Festa dell’Uva e aveva una corsia al lato. L’obiettivo è stato quello di dare splendore ai “Jogos Abertos do Interior” dei quali, la città, andrebbe ad esserne sede.

Un giorno, passando per là, ho visto che Nelson Prudêncio stava allenandosi nella fossa di salti. Ho ap-preso con gioia che si era iscritto come alunno nella Scuola di Educazione Fisica di San Carlos, dove co-minciava a registrare ottimi risultati nel salto triplo.

La prima medagliadi Nelson Prudêncio

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Anche fermandosi di competere, Nelson Prudên-cio ha continuato a dare il suo contributo allo sport. All’inizio del terzo millennio, quando Nadia Campeão era Segretaria Comunale di Sport, lei ha lanciato una campagna per São Paulo essere sede delle Olimpiadi del 2012 o 2016.

Fu Nelson Prudêncio che ha presieduto una As-semblea con questo obiettivo, tenutasi al SESC Pom-péia e con la presenza di più di 500 persone scelte tra i gestori delle confederazioni nazionali, federazioni sta-tali, club e personalità del governo e della stampa. Na-turalmente, questo grande desiderio ha trovato l’eter-na barriera di Carlos Arthur Nuzman, che è riuscito ad annullare tale unanimità costruita da Nádia.

Completò il dottorato presso l’Universidade Fede-ral de São Carlos e, successivamente, ricoprì l’incarico di Vice Presidente della Confederazione Brasiliana di Atletica Leggera. Fu tra i più grandi motivatori perché Maurreen Maggi conquistasse pure l’oro olimpico.

L’ultimo contatto che abbiamo avuto con l’amico ed ex alunno fu due anni fa, quando al suo lato l’abbia-mo visto piantare il suo albero nel Bosco della Fama, accanto agli altri alberi che onoravano Adhemar Fer-reira da Silva e João do Pulo. Questo boschetto di cele-brità è giusto dietro una pista d’atletica della Segreteria dello Sport Comunale, nella Rua Pedro de Toledo.

Lo sport è un grande propulsore del prestigio di un paese e di amicizia tra le persone, come fu di questo giovane, che a partire da una scuola umile, ha raggiun-to il vertice, non solo delle prestazioni tecniche come del riconoscimento umano.

Riposa in pace Nelson Prudêncio.

Avendo un curriculum per diventare artefice di un tornio meccanico o di una fonderia di metallo (pro-fessione che ha esercito), ha deciso di seguire l’altro destino. Il fiammifero delle lezioni di educazione fisica aveva acceso il falò.

Il massimo della sua carriera è successo nel 1968, nella città del Mexico, quando, com un salto di 17,27¸ ha battuto il Record mondiale della prova. Lui aveva già superato uno dei favoriti, l’italiano Giuseppe Gen-tile, che in un salto anteriore dentro della stessa prova aveva battuto il Record mondiale, con 17,22. Intanto, quando la competizione stava praticamente chiusa, nell’ultimo salto, per sorpresa generale, il rappresen-tante dell’Unione Sovietica, Viktor Saneyev, ha otte-nuto la performance di 17,37. Lui ha tolto la medaglia d’oro al brasiliano, in una prova che i tre occupanti del podio avevano ottenuto il Record Mondiale. Nel-son Prudêncio è rimasto con la medaglia d’argento. Questa fu una delle prove più fantastiche della storia dell’atletismo, nella quale il Record mondiale è stato battuto per sette volte.

È vero che l’altitudine della città del Messico ha contribuito ai buoni limiti tecnici ottenuti nelle prove di salti e velocità, pure retribuiti con record mondiali.

La prima esperienza internazionale di Prudêncio è accaduta un anno prima, nel 1967, nei Giochi Pan americani a Winnipeg, Canada. L’autore di queste ri-ghe ha avuto l’opportunità di fare il tifo per il suo ex-alunno quando ha coperto, per “A Gazeta Esportiva”, le Olimpiadi del 1972 a Monaco di Baviera. Là lui ci ha vinto una medaglia di bronzo per il nostro paese ed ha saltato 17,05. Le condizioni di altitudine della Germania non erano le stesse del Messico.

L’anno prima, aveva partecipato ai Giochi Pan americani (1971, Cali, Colombia) ed aveva ottenuto la medaglia d’argento. La carriera di atleta di Nelson Prudêncio fu fino al 1975, quando saltò nella stessa prova del Pan americano del Messico, in cui João Car-los de Oliveira, il “João do Pulo” ha vinto l’oro e il record del mondo con un salto di 17.89. Prudêncio prese il quarto posto, ma il Brasile continuava con lo scettro mondiale di salto triplo, strapotere che durò più di dieci anni. João do Pulo morì in un incidente automobilistico.

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Gli sportivi più delucidati di São Paulo hanno ricevuto con disappunto ed in un certo modo

stupefatti, il progetto del bilancio per il 2013 destinato alla Segreteria di Stato per lo Sport, che da 0.1% (un decimo per cento) nel 2012, è stato ulteriormente ri-dotto a 0.09% (nove centesimi per cento).

Nemmeno è stato ricordato nella proposta preven-tiva che avremmo le Olimpiadi nel 2016 e che gran parte della preparazione degli atleti di San Paolo che parteciperanno a quel mega evento si terrà a San Pa-olo.

Un’altre notizie ancora più spaventose è di che con-sta nell’Assemblea Legislative il Progetto Legge n. 650, che mette a vendita 550 immobili del patrimonio pubblico. Il denaro ricevuto andrà alla “Companhia Paulista de Parcerias” (CPP).

Sta incluso in questa lista il Complesso Costâncio Vaz Guimarães, dell’Ibirapuera, il quale comprende la Palestra Geraldo José de Almeida, lo stadio di atletica leggera e ciclismo Icaro de Castro Mello, la Palestra Mauro Pinheiro, la piscina Caio Pompeu de Toledo ed altri luoghi pubblici.

Nulla contro il CPP, che unisce il capitale priva-to a quello pubblico per nuove azioni. Una iniziativa persino lodevole, ma includere appunto il Complesso dell’Ibirapuera è qualcosa di inaccettabile e che rivela la povertà di visione dei politici riguardo al significato civico dello sport, ben come il suo contributo all’edu-cazione e alla salute del paese.

Per maggiore che sia la sua destinazione, mai sarà migliore e più importante di quella che è, o dovrebbe stare accadendo in questo momento.

Il vero problema sta nella politica dello Stato che offrendo la Segreteria dello Sport come merce di scambio, come un premio di consolazione per placa-re i partiti alleati che starebbero essendo emarginati

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nell’accomodamento politico pos-elettorale.Questi partiti s’incaricano pure di nominare i loro

capi. La maggior parte mai ha indossato la tenuta di una squadra sportiva, mai è entrata in una gara sco-lastica o di federazioni. Questo fatto crea un grande problema di gestione nel quale l’interesse dello sport non occupa più l’apice degli obiettivi.

Quando la scelta del comandante è qualcuno effet-tivamente legato allo sport, le sue decisioni guadagna-no grande risalto ed efficienza. Abbiamo avuto in pas-sato Sylvio de Magalhaes Padilha, il vero costruttore dello sport dello Stato. Più recentemente Lars Grael, per essere pure oriundo di competizioni, ha avuto una gestione eccellente.

La mancanza di amore per lo sport ha fatto con che gl’indimenticabili campionati collegiali di altri tempi, che mobilitavano la gioventù e la teneva lontano dai farmaci, fossero emarginati. La conquista della sede dei Giochi Aperti dell’Interno anticamente era motivo per un Comune costruire un’arena sportiva, e una gara di fanfare era motivo sufficiente perché in ogni scuola apparisse un gruppo musicale.

Chi, come noi, ha seguito, ha vissuto ed ha parte-cipato di tanto idealismo per lo sport non si rassegna nel vedere in futuro un patrimonio come l’Ibirapuera in mani incognite.

Al giorno d’oggi, nella Segreteria di Stato per lo Sport sembra che tutto gira intorno al denaro. La Fe-derazione Acquatica e altre entità che erano alloggia-te nel Complesso Ibirapuera sono stati sloggiati ed i suoi locali sono ceduti soltanto a pagamento, anche se destinati a eventi sportivi dilettanti, senza scopo di lucro.

La Segreteria degli sport è diversa dalle altre, è un caso a parte e non può essere attribuita a un non-spor-tivo, a chi non lotta per essa.

Ibirapuera è innegoziabile

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Insegnante e tecnico risponde allequestioni sollevate dagli studentidel Corso di Educazione Fisica.

Q – 01 - Che cosa è la coscienza umana?R – 01 - Capacità di giudicare le proprie azioni. Q – 02 - Che cos’è la mente umana?R – 02 - Se intesa sotto l’aspetto filosofico/religioso,

è lo spirito, la “intelligenza viva”. Q – 03 - Non pensi che la mente umana può influen-

zare processi fisiologici? Caso affermativo, come?R – 03 - Intesa come la “intelligenza viva”, cioè, la

capacità di discernere la perspicacia, la mente uma-na può certamente influenzare i processi fisiologici. Come? - Mediante il potere di analisi e da lì, la busca della strada giusta.

Q – 04 - Non pensi che possiamo essere vittime delle

nostre emozioni? Credi che le emozioni sono in grado di produrre salute o malattia?

R – 04 – L’emozione è una turbazione fugace. Se l’essere umano sarà dotato di “intelligenza viva”, sarà, di conseguenza, padrone delle proprie emozioni, man-tenendo così l’equilibrio delle loro funzioni corporee, equilibrio che si traduce in “salute”.

Q – 05 - Tu pensi nel significato della vita?R – 05 - La vita è un CORSO, facciamo l’esame di

ammissione - “nascere”, e come un fiume, percorria-mo le correnti che si presentano, cercando di supera-re gli ostacoli, migliorando i risultati, sempre tenendo presente che, quando arriveremo alla fine del CORSO, se ci riusciamo, passeremo (morte) a un livello SUPE-RIORE, tale come avviene qui – Scuola dell’Infanzia, Scuola Secondaria, Liceo, Università, Magistrale, Dot-

torato...Q – 06 - Qual è il significato della vita per te?R – 06 - Risposta nella Questione 05. Q – 07 - Credi che tu vivi interamente il tuo momen-

to presente o si preoccupa eccessivamente con il tuo passato e/o con il tuo futuro?

R – 07 - Il passato serve per riflessione ed esempi. “Il presente (come diceva Anatole de France) è arido e torbido ed il futuro nessuno lo sa”. Ma il fatto di non conoscersi il futuro non rende impossibile che nel presente si pianti buoni semi, così che possiamo poi, raccogliere frutti benedetti.

Q – 08 - Tu pensi hai controllo sulla tua mente?R – 08 - Al limite della mia intelligenza. Q – 09 - Tu pensi che presti attenzione al tuo corpo

e alla tua mente in modo equilibrato?R – 09 - Così cerco di agire. Q – 10 - È possibile addestrare il corpo? Si può alle-

nare la mente?R – 10 - Sì, ad entrambe le domande. Q – 11 - Pensi che un atleta che medita e esercita la

sua attenzione può avere le sue prestazioni migliora-te?

R – 11 - Sì. Q – 12 – Pensi che la mancanza di percezione di un

senso di vita può generare stress, ansietà e depressio-ne?

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R – 12 - Secondo il Professore Ms. Dr. Anthonio Boaventura da Silva - il Papa dell’Educazione Fisica del Brasile - “L’assenza di sogni è il limite della propria vita” e la vita senza significato è già, di per sé, uno stress.

Q – 13 – Di cosa hai paura?R – 13 – Di avere paura. Q – 14 – Descrivi il tuo modo di percepire Dio.R – 14 - La maggior intelligenza, l’unico effetto sen-

za causa. Q – 15 - Cosa ne sai di psiconeuroimunoendocrino-

logia?R – 15 – L’attenzione com la salute dell’essere uma-

no nel suo complesso. Q – 16 – Tu sai per dove la tua vita sta essendo dire-

zionata? Hai il controllo su di essa?

R – 16 - Sì, io e LUI. Q – 17 - Potresti definire cosa sono pratiche d’inte-

grazione corpo e mente?R – 17 – L’Educazione Fisica, come dovrebbe essere

intesa e praticata. Non quella che si vede per lì. Q – 18 – La fede può beneficiare le persone in ge-

nerale e gli atleti in particolare? Giustifica il tuo modo di pensare.

R – 18 - Solo come credo/certezza, interamente per-sonale. O tu credi in quello che fai e perché lo fai - “in-telligenza viva”, o la fede è solo una parola in più.

Che cosa vogliamo?Dove stiamo andando?

Dobbiamo considerare che l’obiettivo principa-le del Panathlon non è appena lo sport come

competizione, ma si l’educazione sportiva!

Sociologicamente, posso affermarvi che la competi-zione ci porta ad un conflitto – non c’è nessuna tappa bruciata – e questo è già provato dalle comunità spor-tive che stanno diventando comunità chiuse, come le già istituzionalizzate “tifoserie organizzate”, vere tribù dove il predicare la superiorità di ciascuna ci fa ricor-dare i giochi del 1936, a Berlino!

Anzi, a partire da quei Giochi, questa superiorità è sorta con maggiore consistenza per la ragione, forse, del proprio gigantismo che affogò gli ideali di Pierre de Coubertin. Credo che il movimento panathlético in Brasile, debba ambire una vera interazione tra lo sport, l’educazione e la cultura.

Siamo passati, di recente, per una riforma nella no-stra struttura educativa che è la “Municipalizzazione della Scuola Elementare” dove furono perse grandi opportunità per una piena interazione dello sport con

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l’educazione! Alcune città hanno saputo approffittare questa opportunità... purtroppo sembra che questo processo stia a passi lenti, tutto a seconda del gover-nante di piantone!

Soprattutto nell’anno delle Olimpiadi, dei Pan Ame-ricani o delle Coppe, la cultura sportiva dove essere intensificata nelle scuole al fine di riprodurre a tutti una conoscenza che, se non prendiamo le misure ne-cessarie, finirà dimenticata.

C’è un urgente bisogno di lodare – questo può esse-re considerato un’utopia - il dilettantismo che tutti noi abbiamo vissuto in passato e che, oggi, è soffocato dai grandi sponsor e dai media.

L’obiettivo fondamentale del Panathlon è la lotta contro il razzismo e il “doping”, quest’ultimo stretta-mente legato alla droga... e questi due mali sono inseri-ti, purtroppo, nel contesto scolastico; a tutti i livelli!

Il “razzismo” sorge dalla mera ipotesi che un grup-po sia superiore rispetto agli altri, fatto che è favori-to dalla competizione - come già affermato prima - e incapaci di saltare tappe per raggiungere un’assimila-zione, passiamo per il conflitto. Se volessimo bruciare le tappe, abbiamo bisogno di socializzare il bambino attraverso l’interazione sport, cultura ed educazione!

Infatti, il “razzismo” non si allude al pregiudizio di colore o di razza (considerandosi che esiste appena una razza, l’umana), ma anche a gruppi etnici e reli-giosi!

La “pax olimpica” è stata violata nel 1972, a Mona-co di Baviera o persino è accaduto l’inverso: piuttosto che cessare i conflitti, sospesero i Giochi, come nel 1916, 1940 e 1944.

Abbiamo bisogno di sognare l’utopia che, in futuro, si possano far partecipi gli atleti a rifiutarsi di parteci-pare ai Giochi, se la “pax olimpica” non sarà rispet-

tata!Ci si chiede: sarà che i media ed i grandi sponsor

permetterebbero tal fatto?

Questo è un ruolo che il Panathlon dovrebbe assu-mere.

Il “doping” infuria nelle nostre scuole in forma di droghe, di bevande alcoliche e di tabacco! I nostri giovani si drogano quotidianamente. Le scuole hanno perso il controllo sui loro studenti e, purtroppo, un circolo vizioso si completò... pessimi allievi... pessimi genitori... pessimi studenti si laureando come pessimi insegnanti che stanno producendo pessimi alunni e pessimi insegnanti.

Che cosa si aspetta? Dove stiamo andando? Soprat-tutto noi, qui in Brasile?

Qui, nella realtà del nostri venti Club attivi e di po-che dozzine di amici panathleti, in un universo di oltre 20 Stati dove il grande pensiero è il Mondiale del 2014 e le Olimpiadi del 2016, non possiamo andare a nes-sun posto, fin che non ci organizziamo.

Fin che noi non ci organizzeremo non saremo in grado di essere formatori di opinione.

Come potremo chiedere qualcosa, sia dai governan-ti... sia dai direttori sportivi... sia da noi stessi... se noi stessi non saremmo organizzati!?

Organizzati al punto di promuoversi una riunione conviviale mensile con ordine del giorno definita.

Come possiamo pretendere il “fair play”, combat-tere i pregiudizi e il “doping” se fino ad oggi che ab-biamo saputo esigere, nelle nostre città, un ampio pro-getto educativo e, senza un progetto educativo come potremo proiettare lo sport?

A questo punto è che deve imporsi la figura del pro-

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fessionale dell’Educazione Fisica sedendosi al tavolo di incontri di Facoltà, di Consigli di Scuole e di As-sociazioni di Genitori-Insegnanti, esigendo lo spazio dovuto all’Educazione Fisica.

Dobbiamo intensificare il nostro movimento con espansione dei “Panathlons Club”! Ma, come ampliare se quelli che possono partecipare – dirigenti, genitori, educatori, studenti e professionisti di Educazione Fi-sica – stanno rendendosi ad un ripiego totale con la nostra società... una totale alienazione dove si diventa “massa” di manovre dei grandi sponsor che control-lano i media!

Dobbiamo fare arrivare alle Facoltà di Educazione Fisica - sono centinaia - le aspirazioni del Panathlon perché possano essere riprodotte ai futuri laureati.

È per chiederci e, il più importante, per riflettere: sarà che il nostro errore è che stiamo pensando al mo-vimento panathlético appena come un movimento sportivo e non come un ampio movimento di educa-zione e cultura?

Finalmente:

CIÒ CHE VOGLIAMO: una mobilitazione che ti permetta diventare – soprattutto in Brasile – un’istitu-zione che funzioni a beneficio dello sport con l’intera-zione dell’istruzione e della cultura;

DOVE STIAMO ANDANDO: il nostro percorso dipenderà dalla nostra volontà, vale a dire, dal nostro potere di organizzazione affinché possiamo essere for-matori di opinione e, soprattutto, di essere ascoltati.

Per concludere, dobbiamo conscientizarci che, la base per il nostro sviluppo sportivo, nella nostra real-tà, sta nella Scuola. È nella Scuola che deve occorre-re l’interazione tra lo sport, l’educazione e la cultura. Non aiuta promuovere Giochi Panamericani, Mondia-li di Calcio e persino Olimpiadi, anche perché, invece di socializare i nostri bambini, stiamo facendo festa per gli altri.

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