Palazzo Ducale - LO SPAZIO della PAURA · 2014-05-05 · Musei Civici Veneziani Direttore...

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LO SPAZIOdella PAURA

LO SPAZIOdella PAURA

LE ANTICHE PRIGIONI DI PALAZZO DUCALE

Musei Civici VenezianiDirettore Giandomenico Romanelli

DOSSIER PER DOCENTIa cura di Ufficio Attività Educative

Responsabile Caterina MarcantoniCristina Gazzola, Chiara Miotto, Gabriele Paglia, Francesca Pederoda

LO SPAZIO DELLA PAURA LE ANTICHE PRIGIONI DI PALAZZO DUCALE

testi di Alessandra Bassotto, Monica Latini, Franca Lugato,tratti dagli studi su Palazzo Ducale di Umberto Franzoi

coordinamento del progetto Caterina Marcantoni

grafica berger+mondini - venezia

con il contributo di Venice Foundation

info Musei Civici VenezianiSan Marco 1, 30124 VeneziaTel. +39 0415236830Fax +39 [email protected]

©2008 Opera di proprietà dei Musei Civici VenezianiQualsiasi utilizzo al di fuori dei percorsi didatticidei Musei Civici Veneziani è soggetto ad autorizzazione

LO SPAZIO DELLA PAURA

LO SPAZIO DELLA PAURALE ANTICHE PRIGIONI DI PALAZZO DUCALE

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LE ANTICHE PRIGIONI DI PALAZZO DUCALELO SPAZIO DELLA PAURA

LA STORIA DI PALAZZO DUCALE

L’area dove oggi ha la sede palazzo Ducale, vienescelta sin dal IX secolo come area per la sede delgoverno e delle magistrature.Inizialmente il palazzo si presume avesse unaspetto difensivo di castello o di cerchia murariacon torri angolari. Durante otto secoli venneampliato, rinnovato e restaurato innumerevolivolte fino ad assumere l’attuale configurazionearchitettonica e decorativa.Nel XII secolo le strutture del palazzo persero laloro funzione prettamente difensiva per aprirsi,anche architettonicamente, all’esterno con porticie loggiati.E’ soprattutto a partire dal 1172 con il dogeSebastiano Ziani, che il palazzo viene completa-mente rinnovato con la costruzione di due corpidi fabbrica, in stile bizantino, che si affacciavanorispettivamente verso bacino e sulla piazzetta.Pochissimo oggi rimane di questo complessoedilizio tra cui una colonna bizantina con capitel-lo a paniere rovesciato di cui la base di appoggiorisulta di oltre un metro e venti centimetri sotto illivello dell’attuale selciato esterno, attualmenteubicata a piano terra del corpo di fabbrica delpalazzo verso il bacino.A partire dal 1340 inizia la seconda trasformazio-ne del palazzo con la ricostruzione dell’intera alaverso bacino, dal canale di palazzo fino alla piaz-zetta. In questo corpo di fabbrica trova spazio lanuova sala del Maggior Consiglio che preceden-temente era più modesta e posta al piano terra.Nel 1422 inizia un’ulteriore trasformazione del-l’ala verso la piazzetta che prosegue, dal punto di

vista strutturale e stilistico, la testata del corpotrecentesco (verso bacino) per giungere finoall’ingresso del palazzo, la porta della Carta, cheGiovanni e Bartolomeo Bon erigono verso il 1440.Nel 1483 scoppia un incendio nella cappella priva-ta dove il doge si recava ogni sera a pregare a causadi una candela che cadendo aveva innescato ilfuoco nelle stoffe poste sull’altare. Così anche l’alaorientale del palazzo sul canale viene completa-mente rinnovata secondo il progetto in stile rina-scimentale di Antonio Rizzo, proseguita daAntonio Lombardo e portata a termine verso lametà del XVI secolo dallo Scarpagnino dopo un’in-terruzione dei lavori durata circa quarant’anni.

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LE ANTICHE PRIGIONI

Dall’810, quando il governo della Repubblica siportò da Malamocco a Rivoalto, alla fine delCinquecento, le prigioni maleodoranti e tragiche,rimasero per otto secoli in stretta convivenza coni più importanti e ufficiali luoghi di istituzionidel governo.I luoghi di detenzione, per motivi funzionali e dispazio e per i lunghi anni di ricostruzione eristrutturazione del palazzo, non ebbero quasimai una collocazione stabile e soddisfacente.Le prigioni più antiche erano collocate dalla partedel canale, verso il ponte della Paglia, nella torre(la torre difensiva angolare, più tardi detta“Torresella”) o sparse in altri luoghi e piani. Infattiper il loro deterioramento, i prigionieri venivanosistemati in vari luoghi del palazzo come piccoliambienti chiusi e isolati oppure spazi più ampiche venivano suddivisi da pareti di legno. Il siste-ma carcerario era quindi sparso e disordinato.

Con la costruzione della nuova ala bizantina,numerose prigioni vengono collocate nel corpodel palazzo verso il bacino sia al piano terra chenel sottotetto dove i luoghi erano angusti e serra-ti. Numerosi detenuti infatti venivano trasferitidalle celle superiori a quelle inferiori in quantonel periodo estivo le loro condizioni erano allimite della sopravvivenza per il grandissimocaldo e soprattutto per la mancanza di aerazione.Vengono trasformati in prigioni anche i luoghi apianoterra che avevano finestre aperte versol’esterno sotto il portico munite di spesse infer-riate. I detenuti potevano così venire in contattocon i liberi cittadini, chiedere l’elemosina eintrattenere familiari, parenti e amici.Alcune carceri si trovavano sul percorso cheportava alla sala del Maggior Consiglio. Losgradevole e nauseante fetore che quei luoghi disegregazione emanavano, provocavano gravefastidio a tutti quelli che passavano in prossimi-tà di quei luoghi.

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Nella nuova fabbrica trecentesca (1340) le prigio-ni di palazzo erano per la maggior parte ubicateal piano terra dal canale alla Piazzetta, non essen-

do ancora stato aperto il portico verso il cortile,ristrutturazione che avverrà soltanto all’iniziodel Seicento.

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LA COSTRUZIONE DELPALAZZO DI GIUSTIZIA

Nel 1531 viene riedificata quella parte di palazzoverso il canale che va circa dalla seconda arcatadopo la scala dei Giganti fino all’angolo con lacostruzione trecentesca della sala del MaggiorConsiglio. Con l’evoluzione strutturale delpalazzo, completata verso la metà del secolo,l’esercizio della Giustizia ha definitivamente lasua sistemazione: gli ambienti con finalità di giu-stizia, i tribunali di quelle magistrature, gli uffici

amministrativi, gli archivi e i luoghi di detenzio-ne (Pozzi e Piombi), sono sistemati nella fasciacompresa tra la scala d’Oro e la scala dei Censori,dal piano terra al sottotetto. Una serie di scalette interne (in legno o in pietra)venivano usate per raggiungere gli ambienti sudiversi piani senza che nulla trapelasse all’ester-no. Dei passaggi “segreti”, nascosti da strutturelignee o ricavati all’interno dei muri, rendevanopiù rapido il collegamento tra una stanza e l’al-tra. Nelle sale dove sedevano i più importanti tri-bunali c’erano passaggi che portavano a piccoliambienti nascosti destinati a uffici per notai, scri-vani e altre funzioni. Ad esempio dalla sala delConsiglio dei Dieci si accedeva agli uffici e agliarchivi di quella magistratura attraverso un pas-saggio aperto nei dossali a “sentar”. Dalla saladella Bussola due passaggi nascosti e ricavatiall’interno della bussola conducono da una partealla sala dei Tre Capi e degli Inquisitori e dall’al-tra a un piccolo atrio dal quale partivano altripercorsi verso la Cancelleria segreta e la cameradella Tortura.Il complesso delle carceri della Torresella, ultimatraccia dell’antico castello, viene inglobato all’in-terno della costruzione trecentesca e in seguitocinquecentesca del palazzo e verrà via via sem-pre più ridotto e infine abolito. Di questo com-plesso rimane oggi, al piano delle Sale d’Armi,ancora una cella che conserva sul muro lateralescritte segnate o graffite di alcuni prigionieri. La maggior parte delle celle della Torresella eraconsiderata più mite e più salubre di altre carceri eper questo destinate a personaggi di rango e diparticolare rispetto.05

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I POZZI

Con la ricostruzione dell’edificio verso il canale,si costituirono nuove prigioni destinate soltantoai detenuti di competenza del Consiglio deiDieci. Fu il primo nucleo delle prigioni più cele-bri di palazzo Ducale denominate più tardi i“Pozzi” per la loro crudezza, il buio, l’angustiadegli ambienti e per l’umidità dei muri e la man-canza di aria.Vennero progettate al piano terra su due pianicontenuti nell’altezza del portico e collegate conscalette di servizio alla soprastante sala dei TreCapi. Il complesso carcerario venne ricavato suun’area di base quadrata bloccata da una partedal portico verso il cortile e dall’altra dal canale.Intorno alle celle corridoi, o spazi meno ristretti,costituivano con il permesso del guardiano i luo-ghi in cui muoversi più liberamente e rinfranca-re il corpo debilitato dalla lunga inattività fisica,le articolazioni e la muscolatura.Gli ambienti erano al buio o appena illuminati dapiccoli lumi a olio, areati appena dal foro roton-do nel muro molto spesso chiuso, le porte spran-gate sui corridoi basse e robustissime a prova disuono. Sopra è inciso un numero romano pro-gressivo per contraddistinguerle. Ma la sequenzadei numeri era alterata affinché, mancando ilriferimento preciso dell’ubicazione della cella,creasse confusione nell’eventualità di tentativi dievasione programmati dall’esterno.In ogni cella vi era la lettiera di legno, sulle pare-ti in angolo la mensola e il bugliolo, un secchio inlegno con coperchio per contenere le deiezioni.Questi ambienti sembrerebbero chiusi serbatoi

incomunicabili, al contrario non si riusciva a rag-giungere la segretezza e l’incomunicabilità deiprigionieri tra loro e con l’esterno. Ciò avvenivasoprattutto per la partecipazione complice delleguardie preposte alla sorveglianza. Nel 1568 ilConsiglio dei Dieci scrive su documenti ufficialiche queste assomigliavano molto a “sepoltured’homini et con tutto questo nessuna e segreta,perché li prigionieri tutti si parlano un con l’al-tro”. I detenuti a celle aperte infatti, si trovavanospesso a sostare e a fare quattro passi nei corridoidi ronda usufruendo di permessi abusivi.Avevano quindi la possibilità di incontrarsianche per brevi momenti e scambiarsi notizie einformazioni.

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I PIOMBI

L’altro gruppo di prigioni denominate Piombi,viene costruito nel sottotetto del palazzo semprenel nuovo corpo di fabbrica cinquecentesco. Laloro denominazione deriva dal particolare tipo irivestimento del tetto del palazzo in grosse lastredi piombo.Malgrado le alte temperature d’estate e i freddiinvernali, i Piombi erano considerati ambientiabbastanza miti con luce e aria indirette e quindivenivano imprigionati personaggi di qualcherispetto purché non avessero alle spalle condan-ne per gravi misfatti o delitti contro lo Stato. Gli

ambienti non davano infatti quel senso di totalee mortale isolamento dei Pozzi.Le sette piccole celle vennero ricavate in treambienti, ampi e prospicienti al cortile e al cana-le, suddivisi in pareti di legno ottenute con tavo-le di larice multiple incrociate e inchiodate fitta-mente. Con lo stesso sistema si rivestivano ancheil pavimento e il basso soffitto, formando con lepareti una scatola lignea indipendente. Le portesono basse e robustissime, rivestite all’interno dalame di ferro.Queste carceri sono state descritte attentamenteda Giacomo Casanova nel suo libro La mia fugadai Piombi.

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LA CAMERA DEL TORMENTO

All’inizio del 1502 si fa riferimento a una cameradel Tormento collocata nel corpo di fabbrica goti-co verso bacino nel mezzanino del piano terra,nel contesto di tutte le altre prigioni di palazzo.Fino al 1588 questo fu l’unico ambiente di tutto ilpalazzo in cui si praticava la tortura.In questa stanza i signori di Notte al Criminalavevano l’obbligo di riunirsi dopo la campana dimezzogiorno e rimanervi fino al tramonto.La tortura, secondo il costume del tempo, eraprima psicologica e poi fisica e veniva applicataper estorcere confessioni ma anche per dimostra-re una punizione: veniva infatti praticata primadello svolgimento del processo e di aver accerta-to la colpevolezza.I prigionieri venivano chiusi in piccoli camerotiricavati con tavole di legno immediatamentesopra la stanza della tortura e a questa collegatecon una scaletta di legno. Qui erano tenuti segre-gati da soli e al buio con lo scopo di esercitareuna forte pressione psicologica amplificata dalleminacce delle guardie.Nella camera del Tormento spesso regnava unagrande confusione in quanto era accessibile a ungran numero di persone accusate delle colpe piùvarie che venivano interrogate o torturate. C’erala necessità di una maggiore segretezza perciònel 1588 si deliberava di ricavare una nuovacamera del Tormento sopra la stanza dei Tre Capi(nel corpo di fabbrica cinquecentesco) ricavatasotto il tetto verso il cortile, in una zona isolatarispetto alle sale di palazzo. La camera si presentava come oggi si può vede-

re: un vasto ambiente illuminato da un grandeabbaino, il tavolo e i seggiolini dall’alto schiena-le dei magistrati che assistevano alle pratiche ditortura per ricavare le confessioni (sistemativerso la parete su cortile), gli armadi per le prati-che e gli incartamenti lungo le pareti laterali e difondo. Al centro della camera pende la lungacorda con verricello scorrevole, agganciato allasommità della trave di colmo dell’abbaino allaquale il prigioniero veniva legato e sospeso.

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PONTE DEI SOSPIRI

Il ponte dei Sospiri fu progettato dal proto dipalazzo Antonio Contin che morì nel 1600 treanni dopo la sua nomina. La costruzione ebbeinizio nei primi mesi del ‘600 e si concluse primadel 1602. Il ponte aereo collega il palazzo Ducale alle pri-gioni Nuove attraversando il canale, con lo scopodi collegare le sale dei censori e degli avogadorialle celle del secondo piano destinate ai prigio-nieri del Consiglio dei X. Il ponte, che rivela nelle forme e nella decorazio-ne il gusto ormai barocco del Contin, è in pietrachiuso ai lati e coperto. All’interno vi sono duepercorsi separati dal muro interno longitudinaleal ponte stesso: dando le spalle alle prigioni ilpercorso di destra conduce al primo piano nobi-le di palazzo alle sale del Magistrato alle Leggi edella Quarantia al Criminal, mentre il percorso disinistra, più basso, conduce al piano inferioredella loggia nelle sale dei censori e dell’Avogaria.La struttura del ponte serviva raramente per il

passaggio dei prigionieri che rimanevano nelleloro celle mentre veniva utilizzata dalle personeaddette ai servizi, ai guardiani, agli avvocati, aipreti, ai medici, ai rappresentanti delle Fraterne,agli scrivani, ai notai, in generale a tutti quei per-sonaggi che svolgevano attività inerenti al siste-ma carcerario e, attraverso il ponte, trovavano lastrada più breve.La denominazione “dei Sospiri” è frutto della let-teratura romantica, quando ormai la funzionedel carcere era quasi totalmente cessata. E’ ilsospiro del prigioniero che dai tribunali di palaz-zo passa sopra il canale, avviato a scontare lapunizione appena decretata e intravede, attra-verso la grata di pietra delle finestre la laguna,l’isola di San Giorgio, il cielo e la luce.

Al piano della stanza e sul solaio di sottotettosono stati ricavati piccoli cameroti con tramezzidi tavole in larice incrociate e inchiodate. Il pri-gioniero vi veniva rinchiuso al buio prima diessere interrogato e torturato.La camera del Tormento venne anche denominata“Tribunal del loco della Corda” che prende il nomedal metodo di tortura più praticato a Venezia.

L’uso del fuoco per praticare il tormento eraimpossibile per il pericolo di incendiare la stanzacompletamente foderata con tavole di legno. La tortura era praticata da personale specializzato,non molto numeroso e di ferrea fiducia dei tribu-nali. In genere erano i Tre Capi ad assistere alle tor-ture e a tener nota per iscritto delle confessioni.

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LE PRIGIONI NUOVE

A partire dalla seconda metà del XVI secolo,venne maturando l’idea della completa abolizio-ne delle prigioni di palazzo a piano terra nelcorpo di fabbrica verso il bacino. Si volle mante-nere attivi i Pozzi le cui celle vennero però neltempo sempre meno usate e i Piombi che, al con-trario, furono sempre in funzione come testimo-niano gli scritti del Casanova.Il governo della Repubblica si orientò definitiva-mente a erigere le prigioni fuori del palazzo, inun nuovo edificio che aveva lo scopo di migliora-re la vivibilità e la funzionalità della vita dei pri-gionieri che non dovevano più morire o amma-

larsi perché il fatto andava a sfavore del concettodi giustizia a demerito della stessa Repubblica.Nel 1563, su progetto di Giovanni Rusconi, sidecise di sgomberare la casa al di là del Rio delpalazzo, di proprietà del demanio e di eseguireun progetto di adeguamento a carcere che nonprevedesse demolizioni, bensì sistemazioniinterne protette e sicure. Ma la struttura carcera-ria risultante non presentava i richiesti ammo-dernamenti in fatto di abitabilità avendo le stes-se se non peggiori angustie, ristrettezze e insalu-brità, per mancanza d’aria e di luce, delle prigio-ni antiche.I lavori vennero sospesi per elaborare una diver-sa soluzione planimetrica costruita attorno al

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1580 e caratterizzata da una serie di edificicostruiti intorno al cortile interno di pianta qua-drata. L’area scelta era compresa tra la riva e ilmonastero di Santa Apollonia, prospiciente ilcanale in continuità con quello che si era fino adallora costruito, per una fascia profonda fino araggiungere sull’opposto lato la calle degliAlbanesi. Gli spazi di proprietà privata venneroespropriati e comprati dalla Repubblica conl’esborso di una importante somma di denaro. I progettisti incaricati furono Antonio da Ponte eZanmaria de Piombi che tentarono di ampliaregli spazi delle celle, di renderle meno malsanecon una migliore aerazione, rendere normale l’al-

tezza delle porte d’ingresso e l’ampiezza dellefinestre. Fu assai apprezzata la partecipazione alprogetto di Zaccaria Briani un detenuto condan-nato all’ergastolo. Presentò una supplica perchiedere una liberazione temporanea che gli fuconcessa per un periodo di tre anni allo scaderedei quali ritornò in prigione fino alla morte cheavvenne nelle carceri che egli stesso aveva contri-buito a costruire in qualità di progettista.La facciata delle prigioni Nuove, prospicientealla riva degli Schiavoni, ha un aspetto monu-mentale e severo per riflettere la sua funzione disede di magistratura della Giustizia e luogo didetenzione.Il piano terra ha un profondo portico costituitoda sette arcate che poggiano su pilastri bugnati.Sotto il portico, al centro, il portale d’ingresso e ailati i finestroni delle prigioni dai quali i prigio-nieri, attraverso le sbarre, potevano mettersidirettamente in contatto con il mondo esterno. Al primo piano, verso la riva, vi sono ampi loca-li a volta dove si riunivano i signori di Notte e viera la camera del Tormento.Le prigioni erano dislocate su tre piani, sviluppa-te attorno al cortile centrale con corridoi di rondalungo i muri perimetrali.La maggior parte delle celle aveva luce diretta adeccezione di quelle al piano inferiore che si apri-vano direttamente all’esterno, sul canale, sullacalle o sul cortile destinate ai condannati per reatidi poco conto. Le altre erano completamenteall’oscuro. Erano rivestite con tavole di larice sulpavimento e sulle pareti ma nel tempo si lascia-rono con il loro naturale rivestimento in blocchidi pietra d’Istria più sano e meno costoso.10

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LE MAGISTRATURE

Il Palazzo Ducale ospitava, oltre alle magistratu-re politico-amministrative, anche quelle prepostealla giustizia. Durante i secoli esse si ampliarononotevolmente di numero con l’intento di sempli-ficare la gestione ma con il risultato contrario dicomplicarla, poichè funzioni e competenze anda-rono spesso a sovrapporsi fra di loro.Le magistrature più importanti furono:

Consiglio dei DieciSi tratta della magistratura giudiziaria più impor-tante e potente che incuteva particolare timore erispetto da parte dei cittadini soprattutto per lasegretezza e l’inflessibilità con cui operava.

Istituita nel 1310 per indagare dopo una fallitacongiura organizzata da alcune famiglie nobilicapeggiate da Bajamonte Tiepolo. Alla conclusio-ne di questi fatti il Consiglio dei Dieci, nato concarattere di temporaneità, non fu sciolto mariconfermato e successivamente reso organo per-manente nel 1455 con decreto del MaggiorConsiglio. Il suo compito principale era quello di salvaguar-dare la sicurezza dello Stato e l’incolumità delcittadino dai soprusi e dalle violenze e per que-sto scopo fu investito di poteri illimitati. Le sue competenze erano talmente estese che allafin fine interessarono un po’ tutti i settori dellavita pubblica e privata veneziana; tra i tanti com-piti ad esso spettava di: punire i nobili che offen-

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devano il doge o che durante le votazioni silasciavano corrompere; vegliare sul mantenimen-to della quiete pubblica; intervenire negli affaritrattati segretamente dalla Repubblica; giudicarenei casi di spionaggio e tradimento; intervenirenei duelli, nell’uso delle armi; sorvegliare sulbuon costume regolando feste e spettacoli, teatri,giochi, concerti, ovvero tutte quelle occasioni diaggregazione sociale pubblica e privata; mante-nere la pubblica morale; vegliare sul comporta-mento dei capi militari processando capitani eufficiali che non eseguivano gli ordini; punire chicomunicava agli stranieri i segreti della lavora-zione del vetro; inviare spie e informatori in luo-ghi ritenuti sospetti; regolare le confraternite, lescuole grandi, le associazioni religiose e benefi-che; infine occuparsi della custodia dell’armeriadi Palazzo.Disponeva di una guardia armata e di una cassaspeciale da cui poteva prelevare somme di dena-ro senza dover giustificarsiEra costituito da 10 membri ordinari scelti fra iSenatori ed eletti dal Maggior Consiglio. Non eraammesso più di un rappresentante per famiglia;non potevano avere rapporti di parentela fra diloro nè ricoprire contemporaneamente altre cari-che di Stato. Duravano in carica un anno.Alle loro sedute partecipavano anche il Doge (lacui presenza era però facoltativa e non necessariaper le votazioni) e i sei Consiglieri dogali: in tuttoerano 17 persone che avevano diritto di voto.Inoltre presenziava anche un Avogadore cheaveva il compito di intervenire sulla giusta appli-cazione delle leggi, 4 Segretari e 4 Notai che regi-stravano tutti gli interventi.

I Dieci vestivano in nero, i Consiglieri in rosso:per questo venivano comunemente chiamati irossi e i neri.

I Tre CapiI Tre Capi venivano eletti direttamente fra i Dieci;avevano il compito di preparare i processi daportare in discussione e di visitare le carceri pervalutare la situazione generale e per decidere gliinterventi più urgenti. Per le loro indagini pote-vano disporre di soldati.Duravano in carica un mese durante il quale nonpotevano frequentare luoghi pubblici per nonrischiare di venire invischiati in atti e affari diso-nesti. L’inattacabilità morale doveva essere pre-servata. Erano molto rispettati e temuti dai citta-dini per l’estrema segretezza del loro operato.

Signori di Notte al CriminalMagistratura di antica istituzione formata da seimembri che rappresentavano simbolicamente isei sestieri. Aveva il compito di istituire processicriminali per casi di assassinio, bigamia, furto.Alcuni di questi processi poi venivano presi incarico da altri magistrature. Si occupava di interrogare i testimoni e gli impu-tati contro i quali poteva ordinare l’applicazionedella tortura. Inoltre a questa magistratura competeva la sorve-glianza delle strade della città attraverso corpispecializzati di polizia che pattugliavano i quar-tieri durante la notte.Inquisitori di StatoMagistratura istituita nel 1539. Era formata dadue membri del Consiglio dei Dieci più un

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Consigliere ducale. Le loro competenze spesso sisovrapponevano a quelle dei Dieci in quanto sioccupavano principalmente di reprimere gliattentati contro lo Stato: tradimento, spionaggio,maldicenza contro il governo, condotta dei citta-dini, rapporti sospetti con gli stranieri.

QuarantiaIstituita nel XII sec., era una delle magistraturepiù antiche. Aveva questo nome perchè formatada 40 membri. Svolgeva la funzione di “corted’appello”.Per la grande mole di lavoro e per evitare uneccessivo rallentamento nei procedimenti, nel XIVsec. si decise di istituire una seconda Quarantia acui affidare tutte le pratiche di carattere civile.La più antica assunse quindi il nome di QuarantiaCriminale con competenza in materia penale: lasua azione non era sovrapponibile a quella deiDieci ma spesso questo avveniva; la secondaveniva chiamata Quarantia Civile. Quest’ultima asua volta alla fine del ‘400 risultò nuovamenteinsufficiente per cui ne venne istituita una terza:queste ultime due presero il nome di: QuarantiaCivil Vecchia e Quarantia Civil Nuova.

AvogariaMagistratura composta da tre Avogadori diComun che venivano eletti dal MaggiorConsiglio tra i membri del Senato. Erano gliavvocati dello Stato cioè avevano il compito dipubblici accusatori nei processi. Si occupavanoinoltre di tutelare le leggi e controllare che venis-sero osservate ed applicate anche durante lesedute delle altre magistrature. Svolgevano infi-ne la funzione di esattori delle pene pecuniarie.Vestivano con tuniche viola con stola rossa.

Infine si ricordano i:

Gastaldi ducaliCapitani di un corpo speciale di guardie dipalazzo che avevano il compito di rendere esecu-tive tutte le sentenze emesse dai tribunali com-prese le sentenze di morte.

Governatori dei condannati alle galereErano i guardiani dei prigionieri condannati alremo. Avevano il compito di preparare la schedasanitaria di ogni candannato e di tener nota deidecessi avvenuti durante la prigionia.

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LE DENUNCE SEGRETE

Ai veneziani la Repubblicadava la possibilità di denun-ciare segretamente i colpe-voli attraverso le cosiddette“bocche di leone”, appositecassette dentro le quali inse-rire le lettere di denuncia.Venivano chiamate cosìperchè decorate esterna-mente da teste mostruosescolpite con espressioni cheincutevano timore e nellacui bocca venivano inseritele denunce.Ogni magistratura avevala sua bocca di leone.Inizialmente le lettere didenuncia erano anonimema, poichè molti venezia-ni usavano questo sistemaper vendetta personale etroppi erano risultati i casifalsi, la Serenissima decre-tò che, per aprire l’inchie-sta, dovevano essere fir-mate dall’accusatore econtenere il nome di tretestimoni.

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LE SUPPLICHE

La supplica era la richiesta scritta da parte di uncittadino ad una particolare magistratura e costi-tuiva lo strumento principale di comunicazionetra veneziani e organi istituzionali.Sia i detenuti, che i liberi cittadini (in questo casoi familiari) avevano il diritto di rivolgere dellerichieste al governo della Repubblica. Tutte le suppliche inviate venivano lette, discus-se e votate. E’ un fatto significativo che ognirichiesta venisse presa in considerazione e che ilGoverno rispondesse ad ognuna, sia positiva-mente, accogliendola, sia negandola.Le suppliche più comuni dei prigionieri riguar-davano la riduzione della pena, il trasferimentoin celle meno dure a causa di gravi malattie, laprotezione dalle richieste di denaro dei guardia-ni, oppure un aiuto per pagare i debiti carcerari,o per le esigenze della propria famiglia che vive-va senza più risorse. Alcuni chiedevano particolari concessioni dilibertà per riprendere i propri affari e quindi tro-

vare i mezzi per pagare i debiti. Molte eranoanche le richieste di liberazione per aver giàscontato la pena ma per non avere i mezzi perpagare le spese carcerarie.Nei casi in cui i detenuti non sapevano scrivereerano le guardie carcerarie che raccoglievano leloro suppliche in appositi verbali che venivanopoi inviati al Consiglio dei Dieci. I Dieci nel discutere su queste suppliche sentiva-no il parere del capitano delle guardie e di quel-lo del medico in caso di malattia.Le concessioni che i prigionieri riuscivano adottenere avvenivano solo previo pagamento daparte del detenuto di una ammenda detta “pie-zaria”, che di solito si aggirava attorno ai 1000-2000 ducati, somma considerevole a cui pochipotevano far fronte. Senza il pagamento dellapiezaria la richiesta non veniva accolta, anche incasi di grave necessità. La Serenissima in alcuni casi concedeva anche lagrazia ma solo per reati non particolarmentegravi come ad esempio verso debitori di sommemodeste.

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LE CONFRATERNITE

Numerose confraternite si occuparono dei carce-rati e il loro aiuto si dimostrò estremamente effi-cace per la loro sopravvivenza e in alcuni casianche per assicurare la libertà.Il compito fondamentale era quello di raccoglie-re elemosine per pagare i debiti dei carcerati.Esse si servivano di persone stipendiate cheandavano di casa in casa a raccogliere somme didenaro. Oltre alla questua quotidiana si occupa-vano anche di gestire le somme di denaro deriva-te dai lasciti testamentari. Nonostante una certa contrarietà da parte dellapopolazione di contribuire alla scarcerazione di chiaveva commesso colpe anche gravi, l’opera delleconfraternite risultò ben organizzata e continua. Esse comunque godevano della piena fiducia deicittadini proprio per la trasparenza e l’onestà concui operavano. Senza la loro azione i detenutiavrebbero continuato a rimanere vittime dell’in-differenza dello Stato e dei soprusi dei capitani edei guardiani. Le confraternite infatti non manca-rono di rimproverare duramente le magistratureper come venivano amministrate le prigioni, perle ingiustizie che subivano i detenuti e per le cru-deli condizioni di vita. Lo Stato infatti provvede-va solo in minima parte ai loro bisogni ma i dete-nuti, una volta scontata la pena, non potevanouscire di prigione se non avevano pagato i debitidi giustizia ovvero le spese processuali, di deten-zione, il risarcimento a terzi, ecc. Proprio per que-sto motivo e per far fronte al problema del sovraf-follamento delle carceri, la Repubblica approvavae sollecitava l’intervento delle confraternite. 14

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LO SPAZIO DELLA PAURA

Ai membri delle fraterne era permesso di visita-re spesso i carcerati per raccogliere dai direttiinteressati le loro richieste e constatare gli inter-venti più urgenti a cui far fronte.Veniva poi stilata una graduatoria dei carcerati:ad ogni detenuto veniva assegnato un punteggioin base alla povertà, all’età, alle malattie, al tipodi pena. Successivamente per ogni detenutoveniva compilata una scheda detta “fede” cherecava l’emblema della confraternita e la sommatotale necessaria alla sua liberazione. Essa venivafatta circolare in città per raccogliere sottoscrizio-ni. La fraterna anticipava la somma per la scarce-razione e successivamente procedeva alla riscos-sione delle quote.Infine provvedevano anche alle necessità delle

famiglie dei detenuti che vivevano nell’indigenza.Una di queste confraternite che fu molto attivaed efficace fu quella del Santissimo Crocefissodi San Bartolomeo. Operava inoltre anche la Scuola di San Girolamoe Santa Maria deputata alla Giustizia, comune-mente chiamata “dei Picai” che aveva il compitodi assistere i condannati alla pena capitale.Dal momento della condanna la fraterna si ado-perava per confortare il prigioniero inviandogliun sacerdote, mentre il giorno dell’esecuzione iconfratelli lo accompagnavano con una proces-sione solenne. Dopo la morte provvedeva a dar-gli una sepoltura dignitosa e l’opera di assisten-za continuava nella celebrazione delle Messe disuffragio per espiare le sue pene.

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LE CONDIZIONI DI VITA DEI PRIGIONIERI

Le condizioni di vita dei detenuti nelle prigioni diPalazzo erano particolarmente dure, difficili e avolte inumane, in particolare nei Pozzi. La man-canza di luce e di aria, l’umidità delle murature,specialmente al piano terra, il cibo spesso scarso edi pessima qualità, la sporcizia e il fetore, il caldoinsopportabile d’estate e il freddo d’inverno, i

topi e i parassiti nascosti sotto le assi del pavi-mento e delle pareti, da ultimo il numero dei car-cerati stipati in locali molto angusti, furono i prin-cipali motivi dei gravissimi disagi nelle prigioni.La causa principale era la mancanza e la scarsaqualità degli spazi destinati a prigione all’internodel Palazzo, ci fu un miglioramento della situa-zione carceraria solo con la costruzione dellePrigioni Nuove e l’abbandono di quelle vecchie.

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Si cercò di assegnare le celle in rapporto allasalute dei prigionieri ma soprattutto alla gravi-tà del delitto: si prevedeva infatti l’assegnazio-ne del carcere duro con ceppi alle mani e aipiedi e quello più mite con finestre prospicien-ti direttamente all’esterno. Fu concesso in alcu-ni casi di tenere le porte aperte durante il gior-no e di poter passeggiare nei corridoi. Nellecelle buie a volte si distribuivano dei lumi,anche se rimase per secoli costante la preoccu-pazione di pericolo d’incendio; l’olio per questelampade veniva comprato dai privati cittadinio più spesso dalle fraterne.Ai presentati, cioè a coloro che si presentavano dipropria volontà se citati in giudizio, oltre ad unadiminuzione della pena, potevano anche circola-re nel cortile di palazzo e incontrare chicchessia.Altri ottenevano la libertà provvisoria di giorno,per trattare i propri affari, purché alla sera rien-trassero nella propria prigione.

SorveglianzaLa sorveglianza nelle carceri era esercitata daguardiani al comando di un capitano, divisi ingruppi secondo i tipi di celle e le competenzedelle diverse magistrature. I guardiani dovevanorispettare le assegnazioni delle celle, dovevanoimpedire che i detenuti si spostassero, cheentrassero persone estranee, in maschera odonne “a fare salotto”. La cattiva gestione dellaguardiania è testimoniata dalle suppliche dei pri-gionieri, che si sentivano defraudati e ingiusta-mente perseguitati dall’uso incontrollato delpotere da parte degli apparati di sorveglianza. Le

tangenti, i pedaggi , le richieste di denaro, le sot-trazioni di cibo, di bevande o di vestiario nonchél’esosità delle richieste per i servizi resi ai carce-rati erano fatti ricorrenti.Anche le guardie inviavano suppliche ai magi-strati per lo stipendio molto basso, per aumenta-re il numero dei sorveglianti, per i turni di lavo-ro troppo lunghi giorno e notte. I capitani e laloro squadra di guardiani, nel corso del turnosettimanale, erano obbligati a mangiare e a dor-mire nella prigione e durante il giorno, quandonon stavano effettuando la ronda, dovevano pas-sare il loro tempo nella “cheba” loro assegnata,anche loro facevano una vita da carcerati.

Malattie e infermerieNel XVI secolo, le prigioni di palazzo, di per sestesse insalubri, divennero addirittura malsaneper il gran numero di persone in esse trattenu-te. Molti erano gli ammalati e le malattie spes-so infettive. Era soprattutto durante l’estate chesi verificavano i maggiori inconvenienti eaumentava la mortalità. Vennero quindi predi-sposti alcuni ambienti destinati ai soli malati, leinfermerie, con caratteristiche di mitezza esalubrità, comode e areate dall’esterno; attrez-zate con lettiere in legno, materassi, coperte elenzuola, fornite dallo Stato ma più spessodalle fraterne.Le malattie più frequenti erano specifiche del-l’apparato respiratorio o gastroenterico, quindifebbri tifoidee, spasmi, inoltre erano diffusetigna, rogna, piaghe, cancrene, epilessia, lue,pazzia e manie depressive.

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VISITE ALLE PRIGIONI

Nessun carcerato poteva, dopo l’arresto, averecontatti con altre persone se non con l’avvocatoche avrebbe assunto l’incarico della difesa duran-te il processo. Questa normativa ebbe molte ecce-zioni a partire dai permessi emanati dal MaggiorConsiglio per le visite delle fraterne o con paren-ti, amici e benefattori. Anche nelle prigioni delConsiglio dei Dieci era stato attrezzato un localecon una piccola finestrella sbarrata dalla quale ilprigioniero poteva parlare ai visitatori.Le donne in visita, fossero esse mogli, figlie, oparenti dovevano essere munite di regolare per-messo con preciso riferimento al nome del pri-gioniero e al grado di parentela.Il rapporto tra carcerati e meretrici costituiva unaltro problema per il consiglio che non seppe mairisolvere; esso era reso possibile con la complici-tà ricompensata dei guardiani.

L’avvocatoLa figura dell’avvocato d’ufficio serviva perchévenissero rispettate le disposizioni emanate dalMaggior Consiglio e dal Consiglio dei Dieci afavore dei carcerati. Egli aveva l’obbligo di recar-si almeno una volta al mese nelle infermerie,nelle celle comuni e verificare l’operato del per-sonale di sorveglianza per presentare poi memo-rie scritte agli Avogadori; poteva inoltre entrareliberamente in tutte le celle. Davanti al Consigliodei Dieci l’avvocato funzionava anche da difen-sore. A causa della grande mole di lavoro ilnumero degli avvocati fu portata a due.

Il medicoL’assistenza ai carcerati da parte della Repubblicasi estendeva anche alla presenza medica. Il medicosoccorreva gli ammalati ma funzionava anche dacontrollo sugli abusi e sulle false dichiarazioni dimalattia. Scelto tra i più valenti della città, il medi-co aveva l’obbligo di visitare i malati e dichiararela diagnosi, scritta sotto giuramento, indicare irimedi immediati. Le medicine prescritte, spessosalassi e purganti, venivano acquistate nelle farma-cie della città e somministrate dai guardiani, paga-te dallo stesso ammalato, se in grado di farlo, altri-menti dal governo o dalle confraternite.

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LA DIETA DEL CARCERATO

I carcerati avevano diritto, se dichiarati poveri,ad una distribuzione di pane gratuita. Il paneera considerato l’alimento essenziale e insosti-tuibile per la vita del detenuto e la base dell’ali-mentazione, doveva essere ben lievitato e bencotto dentro e fuori. Ad ogni carcerato spettava-no giornalmente due pani di nove once ciascu-no, pari a più di mezzo chilo. La Repubblicaprovvedeva al rifornimento giornaliero del panecon dei pubblici appalti, ma i fornitori trovava-no sempre la maniera di abbassare la qualità especulare sul peso.All’inizio del Settecento il pane venne sostituitodal biscotto secco, che abitualmente veniva

distribuito ai galeotti delle navi dove non si pote-va impastare e cucinare pane tutti i giorni, perchéera più controllabile nella qualità e nel peso.L’acqua potabile veniva trasportata in palazzocon barche e veniva messa a disposizione di tutticon distribuzioni giornaliere. Anche dai duepozzi del cortile di Palazzo si estraeva giornal-mente l’acqua da bere ed erano gli stessi prigio-nieri ad avere questo incarico.Un paio di volte alla settimana, grazie all’interes-samento delle confraternite, ai carcerati venivadistribuita una minestra calda con un po’ dicarne cucinata nel brodo. Inoltre durante alcunieventi importanti come l’elezione di un doge o diun procuratore oppure il giovedì grasso, i prigio-nieri beneficiavano di un migliore trattamento,

in queste occasioni spessoveniva distribuita una buonarazione di carne.Il vino era molto richiesto daicarcerati e per il suo contenutocalorico zuccherino era consi-derato importante nella dietagiornaliera. La qualità di que-sto vino lasciava spesso a desi-derare, dall’oste ai prigionieriil percorso era lungo e molteerano le mani per le quali pas-sava la bevanda che venivaspesso allungata con acqua.In un documento dei primianni del Seicento viene addi-rittura ricordata una Tavernada Vin collocata nel cortiledelle Prigioni Nuove.17

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LE PENE

La torturaNella sede dei Signori di Notte al Criminal, versoil bacino di San Marco, esisteva un luogo deno-minato Camera del Tormento dove veniva prati-cata la tortura, psicologica e fisica, secondo ilcostume del tempo. Dare di corda era uno deimetodi di tortura più praticati a Venezia, forse ilsolo, oltre alle scudisciate; consisteva nel legarele braccia, dai polsi ai gomiti, dietro la schienadel detenuto, sollevarlo e strapparlo usando incaduta lo stesso peso del corpo. Vicino a questastanza erano stati ricavati dei piccoli e bui came-rotti dove venivano trattenuti i prigionieri alungo prima di essere interrogati e torturati.

La condanna alla galeraNel XVI secolo Venezia accolse per la prima voltal’idea di assegnare ai remi delle navi i condanna-ti in alternativa alle pene carcerarie, sistema giàin uso da tempo negli altri stati europei. La deci-sione fu presa per il triplice scopo: diminuire l’af-follamento delle carceri di palazzo, far fronte alla

carenza di rematori liberi e infine di ridurre icosti di armamento delle galere. Da una galera da sforzadi nel 1545, si giunse adarmare alla fine del secolo ben 24, cioè tutte quel-le in servizio permanente nella flotta veneziana.La condanna ai remi non poteva umanamentesuperare i 12 anni, i galeotti che prestavano que-sto servizio dovevano essere giovani forti e benallenati. In attesa d’imbarco i condannati al remosi allenavano su una fusta all’ancora in bacino diSan Marco dove una speciale commissione giudi-cava l’efficienza fisica sotto sforzo e la resistenzaalla fatica dei galeotti.Un anno di galera al remo valeva come due annidi prigione.

La pena di morteLa giustizia veneziana prevedeva la pena dimorte, che venne mantenuta in vigore per tutto ilperiodo dell’esistenza della Repubblica, sebbeneverso la fine venisse sempre meno applicata. Lecondanne capitali erano eseguite o segretamentenelle stesse celle, mediante strangolamento o pub-blicamente, attraverso l’impiccagione o il tagliodella testa tra le due colonne di Marco e Todaro inPiazzetta. Dopo l’esecuzione il corpo era a voltelasciato alla vista del popolo, affinché questi netraesse il relativo e giusto insegnamento; oppureveniva esposto tra le colonne rosse della loggia diPalazzo, da dove il doge si affacciava anche perassistere alle feste in Piazzetta durante il carneva-le. Per la giustizia veneziana anche un doge pote-va essere condannato a morte come nel caso diMarin Falier – 1355 – che venne decapitato perchécolpevole di aver tramato ai danni dello Stato.18

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In alcuni casi prima dell’esecuzione capitale, alprigioniero veniva amputata una parte delcorpo, in genere la mano destra, la lingua ol’orecchio che veniva legata e appesa al collo delcondannato. Sicuramente per la giustizia vene-ziana questa crudele usanza della mutilazioneaveva un significato simbolico e si riferiva inqualche modo al reato commesso.Le operazioni della condanna erano coordinate edirette dal Gastaldo.

Le evasioniLa sicurezza delle carceri erano continuamentemesse a dura prova dai detenuti, i quali conpazienza scavavano, rompevano demolivanopavimenti, pareti, porte e sbarre delle finestre,oppure approfittavano di eventi particolari per

aprirsi la via verso la libertà, riuscendo in qual-che occasione, ma il più delle volte inutilmente.La negligenza dei guardiani, la confusione cheregnava in tutte le prigioni, la complessa disposi-zione delle celle, il degrado delle murature e deipavimenti favorirono qualche volta l’esito di que-sti tentativi, soprattutto nelle carceri di Palazzo,ad eccezione dei Pozzi, mentre il fenomeno dimi-nuì con la costruzione delle Prigioni Nuove.Una delle più celebre evasioni, il 13 ottobre del1756, fu quella messa in atto da GiacomoCasanova dai piombi di palazzo. Egli tentò unaprima evasione nella cella dove venne rinchiusoall’inizio della sua detenzione scavando il pavi-mento di legno sotto il tetto. In un’altra cellaoperò il secondo, questa volta riuscito, tentativodi evasione.

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Per approfondimenti:• Franzoi U., Itinerari segreti nel Palazzo Ducale a Venezia, Treviso 1983• Franzoi U., Le antiche prigioni di Palazzo Ducale a Venezia, Milano 1997• Franzoi U., Le prigioni di Palazzo Ducale a Venezia, Milano 1997

DIDASCALIE IMMAGINI01 Il ponte dei Sospiri02 Anton Koberger, particolare della pianta di Venezia in cui si nota il Palazzo Ducale con la torresella, xilografia, XV sec.03 Vincenzo Coronelli, Palazzo Ducale dalla parte del Rio, da: Singolarità di Venezia, incisione, 1708-170904 Angelo Gambini, Spaccato prospettico della porzione di Palazzo Ducale dimostrante le antiche prigioni di Stato dette li

Piombi e li Pozzi, incisione05 Statua lignea raffigurante la Giustizia, Sala della Bussola06 Una cella dei Pozzi07 Una cella dei Piombi08 La camera del tormento09 Veduta di Palazzo Ducale e del Palazzo delle Prigioni uniti dal ponte dei Sospiri10 I due passaggi paralleli e interni del Ponte dei Sospiri11 Gabriel Bella, Sala del Conselgio dei Dieci, XVIII sec., Venezia, Pinacoteca Querini Stampalia12 Bocca di leone a Palazzo Ducale13 Ducato d’argento - Moneta della Repubblica Serenissima 14 Cesare Vecellio, La Confraternita deputata alla Giustizia che accompagna i Giustiziati (...), da: Habiti d’Italia, incisione15 Giovanni De Pian, Pozzo primo sotto l’ultima scala, ove s’imprigionavano li delinquenti per materia di Stato, incisione16 Jan Grevembroch, Avvocato e fiscale, da: Gli abiti dé veneziani, XVIII sec.17 Particolare di un’incisione tratta dal Gran Teatro di Venezia edito dal Lovisa, 1717. I prigionieri incatenati attingo-

no l’acqua dai pozzi18 Jan Grevembroch, Fortezza nuotante, da: Gli abiti dé veneziani, XVIII sec.19 Giovanni De Pian, Camerotto detto Giardin Scuro dove soleano fra strozare per ordine dell’fu Cons. di X esistente, incisione