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STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno IV - Numero 11 / Gennaio-Marzo 2015 3 EDITORIALE Antonio Urso Presidente FIPE NUMERO 11 Più pratici e più semplici Fare una rivista non è cosa facile, posso assicurarvelo. E neanche se la stessa viene fatta male o risulta priva di senso: nemmeno in questo caso, ve lo garantisco. Fare una rivista è di suo un progetto complesso e qualche volta anche complicato. Si complica di più, ov- viamente, se si pensa di farla “bene”, dove per bene intendo utile, ovvero uno strumento capace di formare ed informare, illuminante e che fa riflettere e su cui riflettere. E, dicendo così, non abbiamo detto poco, anzi. Ma, dal mio punto parti- colare di vista, è davvero questo che signi- fica fare bene una rivista. Per il raggiungimento di questi obiettivi, che sono primari e che non ammettono sostituzioni o surrogati (o è così o non si fa), sono spesso indotto a fare riflessioni, confronti ma, in particolare, ad ascoltare il punto di vista del lettore, cercando di ap- profondire quelle che sono le sue sensazio- ni, positive o negative, e le sue aspettative, più complessive e più particolari. E, prima di entrare nel merito delle consi- derazioni che desidero fare, vorrei (qui e su- bito, sempre in questo editoriale) tornare nuovamente a quella che è stata la ratio, con cui e per cui questa rivista è nata, in piena, totale e completa intesa tra Fipe, l’Editore Calzetti & Mariucci e l’intero Co- mitato Scientifico ed Editoriale. Ci si pose e ci si è posti spesso e ci si pone tuttora una serie di domande veramente chiave (chiave, ovvero quelle senza le quali non si apre una discussione, non si la- vora ad un numero, non ci si riunisce e si dialoga, non si progetta e non si riesce a realizzare nessun prodotto: le chiavi aprono, porte e menti…), domande chiave, dicevo, che elenco qui di seguito: 1. se vi sia davvero la necessità di una rivista che parli di scienza del movimento; 2. quale debba essere il livello dell’approfondimento che tenta; 3. in quale fascia di mercato ci si sarebbe dovuto e ci si dovrebbe collocare; 4. e, naturalmente, con quale veste grafica rivestirla. È stato ed è, in particolare, il punto 2 (la seconda domanda) a costringerci ad ore ed ore di riflessioni e di confronti: il livello di approfondimento. Quale? Fin dove approfondire? In quale direzio- ne scavare? A quale punto si trova l’acqua che ci serve? Questa rivista è dedicata ad operatori che hanno una responsabilità non indifferente se consideriamo che essi rappresentano la guida per l’apprendimento, la specializzazione e il recupero funzionale in ambi- to del movimento umano. Lo fanno in un contesto certamente bello, straordinariamente interessante, avvincente, con delle unicità in senso assoluto: gli individui. Si lavora con persone, si formano per- sone e si consegnano alla vita attiva di cittadini e di professionisti, di padri e madri, eccetera eccetera eccetera. Con queste considerazioni nella mente, non siamo stati capaci (scusate, ma come avremmo potuto?) di immaginare una rivista che non avesse un livello di approfondimento come quello di “Stren- S&C (Ita) n.11, Gennaio-Marzo 2015, pp. 3-5

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STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno IV - Numero 11 / Gennaio-Marzo 2015 3

EDITORIALE Antonio UrsoPresidente FIPENUMERO 11

Più praticie più semplici

Fare una rivista non è cosa facile, posso assicurarvelo. E neanche se la stessa viene fatta male o risulta priva di senso: nemmeno in questo caso, ve lo garantisco. Fare una rivista è di suo un progetto complesso e qualche volta anche complicato. Si complica di più, ov-viamente, se si pensa di farla “bene”, dove per bene intendo utile, ovvero uno strumento capace di formare ed informare, illuminante e che fa riflettere e su cui riflettere. E, dicendo così, non abbiamo detto poco, anzi. Ma, dal mio punto parti-colare di vista, è davvero questo che signi-fica fare bene una rivista. Per il raggiungimento di questi obiettivi, che sono primari e che non ammettono sostituzioni o surrogati (o è così o non si fa), sono spesso indotto a fare riflessioni, confronti ma, in particolare, ad ascoltare il punto di vista del lettore, cercando di ap-profondire quelle che sono le sue sensazio-ni, positive o negative, e le sue aspettative, più complessive e più particolari. E, prima di entrare nel merito delle consi-derazioni che desidero fare, vorrei (qui e su-bito, sempre in questo editoriale) tornare nuovamente a quella che è stata la ratio, con cui e per cui questa rivista è nata, in piena, totale e completa intesa tra Fipe, l’Editore Calzetti & Mariucci e l’intero Co-mitato Scientifico ed Editoriale. Ci si pose e ci si è posti spesso e ci si pone tuttora una serie di domande veramente chiave (chiave, ovvero quelle senza le quali non si apre una discussione, non si la-vora ad un numero, non ci si riunisce e si dialoga, non si progetta e non si riesce a realizzare nessun prodotto: le chiavi aprono, porte e menti…), domande chiave, dicevo, che elenco qui di seguito:

1. se vi sia davvero la necessità di una rivista che parli di scienza del movimento;

2. quale debba essere il livello dell’approfondimento che tenta;

3. in quale fascia di mercato ci si sarebbe dovuto e ci si dovrebbe collocare;

4. e, naturalmente, con quale veste grafica rivestirla.

È stato ed è, in particolare, il punto 2 (la seconda domanda) a costringerci ad ore ed ore di riflessioni e di confronti: il livello di approfondimento. Quale? Fin dove approfondire? In quale direzio-ne scavare? A quale punto si trova l’acqua che ci serve? Questa rivista è dedicata ad operatori che hanno una responsabilità non indifferente se consideriamo che essi rappresentano la guida per l’apprendimento, la specializzazione e il recupero funzionale in ambi-to del movimento umano. Lo fanno in un contesto certamente bello, straordinariamente interessante, avvincente, con delle unicità in senso assoluto: gli individui. Si lavora con persone, si formano per-sone e si consegnano alla vita attiva di cittadini e di professionisti, di padri e madri, eccetera eccetera eccetera. Con queste considerazioni nella mente, non siamo stati capaci (scusate, ma come avremmo potuto?) di immaginare una rivista che non avesse un livello di approfondimento come quello di “Stren-

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È una espressione con la quale comunichiamo la speranza che un desiderio si avveri. Celebre è la frase di Malcom X: “ I have a dream ….” o il ritor-nello “i sogni son desideri…” nel cartone animato Cenerentola di Walt Disney. Il sogno può essere definito come un prodotto della mente associato al sonno, nel quale vengono percepite come ap-parentemente vere immagini, suoni, situazioni di vita. Sin dalle origini, l’uomo ha vissuto il sogno come un fatto avvolto da mistero. Spesso uno strumento per prevedere il futuro. O un mezzo divino per comunicare con gli uomini.

Il sonnoIl sonno è stato definito come una situazione na-turale che si ripete, caratterizzata da inattività ac-compagnata da perdita coscienza e rallentamento o blocco delle attività del nostro corpo. Il sonno viene diviso in sonno REM, quello caratte-rizzato da movimenti rapidi degli occhi (Rapid Eyes Movements) e Non REM, a sua volta suddiviso in quattro parti. Le cinque fasi del sonno si succe-dono in modo da formare un ciclo che parte dalla fase 1 e si conclude con la fase 5, quella dei movi-menti rapidi degli occhi (REM), che è anche la fase in cui sognamo. Di solito dormiamo di notte e ogni notte abbiamo più cicli; ogni ciclo ha una durata di 90-100 minuti. La prima fase, detta del sonno leggero, dura in media 1-7 minuti. La fase 2 ha una durata di 10-20 minuti. Le fasi 3 e 4, dette del sonno profondo, durano in media 20-40 minuti e sono caratterizzate all’ElettroEncefaloGramma (EEG) da onde lente, da cui il termine di sonno a onde lente. La pressione arteriosa, la frequenza respiratoria e cardiaca diminuiscono. Dopo 30-40 minuti dall’addormentamento comincia il sonno REM, la frequenza del respiro e quella del cuo-re aumentano, la pressione arteriosa e il flusso ematico si incrementano, le onde all’EEG diventa-no rapide, i globi oculari, al di sotto delle palpebre chiuse, si muovono oscillando nelle due direzioni come se stessero cercando qualcosa, i muscoli vengono percorsi da finissime contrazioni. Le fasi REM occupano il 20-25% dell’intero sonno, ma occupano all’interno dei vari cicli spazi sempre più importanti con l’avvicinarsi del mattino.

La perdita di sonno induce nelle notti successi-ve un recupero delle fasi perdute cominciando da quelle Non REM, il sonno REM viene recuperato solo dopo che sono state recuperate le fasi Non REM perdute. In caso di perdita cronica di sonno, il ciclo comincia dal sonno REM alterando le fun-zioni fisiologiche che sono correlate alle singole fasi del ciclo.

Il ciclo sonno-vegliaL’alternanza tra stato di veglia e sonno segue un ritmo circadiano, cioè della durata di 24 ore, re-golato dalla luce e mediato dalla Melatonina, l’or-mone del buio (vedi l’articolo Il terzo occhio nel numero 10/2014 della rivista). Tra i fattori cir-cadiani che regolano il sonno c’è la temperatura corporea, la quale tende a salire tra le ore 17 e le 21. Quando la temperatura inizia a scendere, da alcune aree del cervello parte l’impulso di ini-zio sonno. Anche la fase REM è legata alla bassa temperatura, tanto che nelle prime ore del matti-no, quando la temperatura corporea tende al suo minimo, aumenta la durata del sonno REM e quindi la quantità dei nostri sogni.

Dormirci sopraIl mantenimento ed il miglioramento delle perfor-mance degli atleti passa attraverso l’allenamen-to, che può essere considerato alla stregua di un processo di apprendimento. L’acquisizione di skills psico-motorie non si completa al termine del training, ma continua durante il sonno. La deprivazione del sonno della prima notte dopo l’ap-prendimento di schemi motori ne blocca in manie-ra cospicua la memorizzazione.Durante il sonno, nel cervello avvengono impor-tanti modificazioni, aumenta la sintesi di proteine e si creano nuove connessioni tra i neuroni.

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Le funzioni del sonno

AVERE UN SOGNOMenotti Calvani

La macchina che c’è in me

MENOTTI CALVANIMedico, specializzatoin neurologia,farmacologia clinica oltre che intossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana.Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifi ci su riviste internazionaliprevalentemente sui temi delmetabolismo, suimitocondri e sullepatologiedegenerative.

Veglia

Ore di sonno

Giovani adulti

REM

Stage 1

Stage 2

Stage 3

Stage 4

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Fig. 1 a) fasi di un sonno notturno di 8 ore; b) sonno aggiuntivo quotidiano (la “pennichella”), spesso indispensabile all’atleta per recuperare le energie e ripa-rare le strutture sottoposte a stress dagli alti carichi di lavoro.

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b

regolazione delle trascrizioni di geni coinvolti nei processi di memorizzazione

regolazione della produzione di ormoni coinvolti nella crescita e nei processi di riparazione

regolazione del metabolismo energeticoregolazione del sistema immunitariomodulazione della risposta allo stress

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1. Una passeggiata nello spazio non deve essere cosa semplice, anche se forse meravigliosa. Lei ci si è preparato, mentalmente intendiamo?

Per poter effettuare attività extraveicolare – ter-minologia che preferisco, poichè posso assicurare che non si tratta di una passeggiata! – è indispen-sabile prepararsi sia mentalmente sia fisicamen-te. Per questo mi sono addestrato con una serie di immersioni subacquee, con lo scafandro e sen-za, per un totale di oltre 130 ore, per imparare quanto più potevo e aumentare la mia confidenza: in me stesso, nel sistema, nel team di terra e a bordo.

2. Possiamo concentrarci sulla preparazione fisica? Può dirci qualcosa in merito?

Come dicevo prima, è assolutamente indispen-sabile: la tuta EMU presenta delle caratteristi-che ergonomiche che devono essere comprese e alle quali bisogna abituarsi. Per fare un esempio, la tuta è pressurizzata, e tutte le volte che un astronauta stringe le dita, per reggersi o per te-nere un oggetto, fa uno sforzo simile a quello ne-cessario per schiacciare con la mano una palla da tennis. Immaginate di ripetere questo movimento per oltre 6 ore: comprendete bene che diventa estremamente faticoso. Oppure il fatto che i mo-vimenti sono limitati a quello che lo scafandro ci permette di fare.

3. È come si è preparato? Ha seguito un pro-gramma di allenamento? Se sì, può definirlo a larghi tratti? Se sì, c’era un principio che lo guidava e su cui Lei si basava?

Durante la preparazione al volo, abbiamo specifici programmi di allenamento che servono a miglio-rare la propria condizione fisica: io ho seguito le indicazioni dei personal trainers dell’ESA e della NASA, che hanno sviluppato un programma dedi-cato di sollevamento pesi, integrandolo con ulte-riore attività di natura aerobica.

4. Come si è preparato prima della missione spaziale, cioè sulla Terra?

Andavo in palestra tre volte la settimana, per circa 1,5 o 2 ore per sessione, in cui eseguivo esercizi con pesi per sviluppare le diverse aree del corpo: squats, single legs squat, deadlift, romanian deadlift, shoulder press, bench press, tricipiti, bici-piti e addominali. Inoltre, integravo le mie sedute di allenamento correndo, nuotando, con vogatore, cyclette, esercizi a corpo libero.

5. Come ha mantenuto e ha adattato, giorno dopo giorno, le capacità fisiche durante la mis-sione spaziale?

Anche in orbita è necessario allenarsi, ma contra-riamente a quanto si fa normalmente, ci si allena con i pesi tutti i giorni, variando gli allenamenti con una rotazione di esercizi, intensità e ripeti-zioni. Inoltre, ogni giorno si pratica la corsa, su un tapis roulant al quale ci ancoriamo mediante una speciale imbracatura, o la biciclettta, su una cyclette computerizzata, ma davvero particolare, perchè non ha nè seggiolino nè manubrio.

6. Ma un astronauta è un atleta, secondo Lei? E se lo é a quale sport si avvicina maggior-mente?

Secondo me un astronauta, così come un pilo-ta militare, deve essere un atleta. È chiaro che ognuno di noi ha caratteristiche diverse, che lo porteranno ad avere più o meno successo, ma è indispensabile impegnarsi nello sport. Molti astronauti si allenano seguendo programmi simili a quelli del Cross Fit, altri si dedicano ai loro sport preferiti. Io mi sono dedicato al triathlon, perchè amo la resistenza e perchè ritengo che sia uno sport molto completo: però è un po’ in contrasto con il sollevamento pesi, che tende ad aumentare la massa muscolare.

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Intervista a

LucaPARMITANO

Luca Parmitano a Strength and Conditioning.

Per una scienza del movimento dell’uomo

“passeggiare nello spazio…”

Luca Salvo Parmitano(classe 1976) è il militare e astronauta italiano, selezionato come astronauta dall’Agenzia Spaziale Europea nel maggio 2009, poi incluso nell’equipaggio di riserva della missione Expedition 34 ed infi ne selezionato come ingegnere di volo per le missioni Expedition 36 ed Expedition 37. Il 28 maggio 2013, Parmitano è partito con la Sojuz TMA-09M dal Cosmodromo di Baikonur (Kazakistan), in direzione della Stazione Spaziale Internazionale. Egli è rimasto nello spazio fi no a novembre dello stesso anno, insieme a due colleghi, Fëdor Nikolaevič Jurčichine Karen L. Nyberg. La missione prevedeva la partecipazione di Parmitano ad almeno due passeggiate spaziali, la prima delle quali ha avuto luogo il 9 luglio 2013 ed ha avuto una durata di 6 ore e 7 minuti (primo astronauta italiano, dunque, a svolgere attività cosiddette extraveicolari). La seconda attività extraveicolare ha avuto luogo il 16 luglio 2013, ma si è interrotta anzitempo, dopo 92 minuti, a causa di un problema tecnico.

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INTRODUZIONELa donna atleta, per le sue pecu-liari caratteristiche organiche e psichiche, sembra maggiormen-te risentire di qualsivoglia esa-sperazione tecnicistica. Infatti, ciò che si osserva è che si ha spesso la tendenza a parago-nare le sue prestazioni a quelle maschili, esasperando così gli obiettivi di prestazione sportiva. Ma l’organismo femminile pos-siede caratteristiche di forme e di sviluppo chiaramente distinte da quelle maschili.Grande importanza ha, natu-ralmente, l’influenza del ciclo mestruale sulla capacità fisica dell’atleta donna. Da qui problemi di ordine ginecologico con ame-norrea e dismenorrea seconda-rie, sospensione volontaria del ciclo mestruale neuro-endocri-nologico e nutrizionale (durante il ciclo vi possono essere impor-tanti variazioni ponderali): è noto infatti che, in media, già cinque giorni prima del ciclo mestrua-le, si ha una “bassa performan-ce” caratterizzata da tensione; un graduale miglioramento si ha lungo i 5 gg del ciclo, un massi-mo rendimento negli 8/9 gg suc-cessivi, seguono quindi 10 gg di progressiva diminuzione fino al brusco peggioramento della nuo-va fase di tensione. Quindi, nella preparazione della donna atleta,

da un lato si ha la necessità di acquisire le nozioni scientifiche, relative all’economia dell’organi-smo umano in funzione del con-seguimento del miglior rendimen-to prestazionale, dall’altro si ha anche il “dovere” di approfondi-re la conoscenza di quei fattori che, specialmente in certi pe-riodi “sensibili”, possono stimo-lare variazioni sul piano emotivo, condizionando l’equilibrio della personalità tanto da influenzare ancora il comportamento agoni-stico. Un errore comune risulta perciò quello di allenare le donne con la stessa metodologia e tec-nica usata per gli atleti di sesso maschile, tralasciando le diffe-renze psico-fisiologiche esistenti tra i due generi.Per questo motivo, oggi, senz’al-tro è riconosciuta l’importanza che questi fattori di differenza possono determinare nelle pre-stazioni sportive.A maggior ragione, lavorando con carichi massimi, su atlete come le pesiste, a seconda del perio-do del ciclo mestruale, si notano modificazioni tali da richiedere una strutturazione dell’allena-mento flessibile nei carichi e nei tempi di recupero, proprio in base alle fasi ormonali determi-nate dal ciclo.Questo lavoro, grazie anche alla disponibilità ricevuta da parte di

tutti coloro che vi hanno contribu-ito, soprattutto nella condivisio-ne degli intenti, ha potuto fornire una quantità di dati veramente elevata. Dei rilevamenti effettua-ti, non tutti sono stati elaborati, perché alcuni non strettamente utili per le misurazioni da quanti-ficare, ma essi sicuramente sono adatti per poter formulare una valutazione complessiva, e quindi più completa, circa le variazioni collegate alle atlete e alle loro prestazioni. Ovviamente, si trat-ta di dati che lasciano del tutto aperta la possibilità di continuare l’indagine in futuri lavori di ricer-ca, perché risulta chiaro quanto uno studio globale, meglio ancora se effettuato da un team davve-ro specializzato e se analizzato in maniera individualizzata sulle atlete, possa produrre risultati più attendibili che aiutino a com-prendere meglio il fenomeno e favoriscano il miglioramento delle prestazioni sportive delle atlete in questione.

LA PESISTICA FEMMINILEFino agli anni Settanta del seco-lo scorso, la pesistica era con-siderata una disciplina riservata esclusivamente al sesso ma-schile, anche se, dagli anni Ses-santa, anche le donne dedite ad una qualunque attività sportiva inserivano, più o meno regolar-

Antonio Caporale

ANTONIOCAPORALEDottore in Scienze delle Attività Motorie e Sportive, collabora con la FIPE in qualità di docente e referente dei corsi di I livello.Ha conseguito, tra gli altri, il titolo di Istruttore di Atletica Leggera (I livello federale), il Diploma di Personal Trainer Master (III livello nazionale), e la Certifi cazione Internazionale NSCA Personal Trainer Qualifi cato.

nfl uenza del ciclo mestruale e delle sue fasi sulla prestazione delle atlete specialiste di pesistica olimpica

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GLI ESERCIZI ECCENTRICI

Gli esercizi basati sulla contrazione eccentrica della muscolatura del complesso muscolare so-leo-gastrocnemio sono stati ormai da parecchio accettati, non solamente come parte integran-te, ma come gli esercizi fondamentali nell’ambi-to dei programmi conservativi delle tendinopatie del tendine di Achille. Sia Stanish e coll. (1985, 1986), che Alfredson e coll. (1998) hanno da tempo sottolineato l’importanza e la validità de-gli esercizi eccentrici nell’ambito del trattamento conservativo delle tendinopatie dell’achilleo. Al di là di questo, che deve essere comunque interpre-tato in termini di evidenza alla stregua di “consi-glio di esperti”, la letteratura soffre ancora di una certa mancanza di evidenza concreta inerente al fatto che gli esercizi eccentrici raccomandati da Alfredson e Stanish si dimostrino in effetti supe-riori rispetto ad altri tipi di trattamento. Inoltre, occorre considerare il fatto che l’esatto mecca-nismo che regge il razionale di utilizzo di tali tipi di esercizi, come d’altro canto il carico ottimale da adottare, la loro durata e la loro frequenza, sono ancora l’oggetto di un acceso dibattito tra i vari Autori (Allison e Purdam, 2009; Meyer e coll., 2009). Tuttavia, è plausibile abbracciare l’ipotesi, formulata in vari studi, secondo la quale l’eserci-

zio eccentrico è in grado di rimodellare e ripara-re il tessuto tendineo degenerato attraverso un meccanismo che alcuni Autori hanno definito con il termine di “meccano-trasduzione”, forse meglio definibile in italiano con il termine di “meccano-te-rapia” (Khan e Scott, 2009). Inoltre, occorre se-gnalare che altri Autori ritengono che gli esercizi eccentrici siano in grado di ridurre la neo-vascola-rizzazione, e conseguentemente la sintomatologia algica ad essa associata, presente in un gran nu-mero di casi di tendinopatia inveterata dell’achil-leo (Knobloch, 2008).

Il classico protocollo proposto da Alfredson e coll. (1998) (hell-drop exercise program) è in effetti molto impegnativo in termini di impiego di tem-po totale, comportando infatti l’esecuzione di ben 180 ripetizioni al giorno per un periodo totale di 12 settimane. La maggior parte degli studi pub-blicati sull’argomento ha un follow-up di 1 anno e si nota una drastica mancanza di evidenza corro-borata da ricerche con un lungo follow-up, ossia maggiore di 3 anni (Mafi e coll., 2001; Silberna-gel e coll., 2001; Fahlström e coll., 2003; Roos e coll., 2004; De Vos e coll., 2007). A nostra conoscenza, solamente 4 studi hanno valutato l’outcome degli esercizi eccentrici nell’ambito del-le tendinopatie non inserzionali dell’achilleo, consi-

Gian Nicola Bisciotti

GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FIFA Center, Doha (Q).Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, La Spezia (I), Responsabile recupero infortunati FC Internazionale (Mi).

E TENDINOPATIE DELL’ACHILLEO

L SECONDA PARTE

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Uno dei benefici associati al consumo proteico dopo un’intensa seduta di allenamento con so-vraccarichi consiste nella capacità di potenziare il recupero e i processi di rimodellamento del tes-suto muscolare scheletrico (Tipton et al. 2004). Numerose ricerche hanno riportato una riduzione del danno muscolare, della diminuzione di forza e un potenziamento del recupero con l’assunzione di proteine dopo un’attività fisica contro resisten-za (Hoffman et al. 2010; Hulmi et al., 2009; Kra-emer et al. 2006; Ratamess et al. 2003). Inoltre, quando le proteine vengono consumate prima, o immediatamente dopo, un’intensa sessione di al-lenamento contro resistenza è stato osservato un incremento dell’espressione del mRNA (RNA messaggero) (Hulmi et al. 2009). Si ritiene che questo acceleri l’adattamento e potenzi il recupe-ro della muscolatura dopo la seduta di allenamen-to. Pertanto, il timing di assunzione delle proteine sembra assumere una maggiore importanza nella stimolazione degli adattamenti muscolari che av-vengono durante gli allenamenti contro resisten-za. Questa review si concentrerà sugli effetti acu-ti del timing proteico, per poi rivolgere l’attenzione agli eventuali benefici che derivano dagli effetti duraturi derivanti dall’assunzione delle proteine subito prima o dopo la sessione di allenamento.

TIMING DELLE PROTEINE – EFFETTI ACUTIQuando le proteine vengono consumate dopo una seduta di allenamento, la risposta anabolica sarà tanto maggiore quanto prima avverrà l’assunzio-ne delle proteine. Rasmussen e colleghi (2000)

hanno fatto assumere a soggetti non allenati 6 g di aminoacidi essenziali insieme a 35 g di sac-carosio, nel post-allenamento contro resistenza. Non è stata osservata alcuna differenza nella sin-tesi proteica muscolare netta tra l’assunzione di proteine a 1 ora o a 3 ore dalla conclusione dell’allenamento. Tuttavia, quando la stessa com-binazione di aminoacidi essenziali e carboidrati è stata somministrata per infusione immediata-mente prima dell’allenamento, l’incremento della sintesi proteica muscolare è stata significativa-mente maggiore rispetto a quando l’infusione av-veniva immediatamente dopo (Tipton, Ferrando et al. 1999). È stato osservato che un’infusione di aminoacidi immediatamente prima di una sessione di allenamento determina un incremento del 46% della concentrazione degli aminoacidi nel muscolo scheletrico subito dopo l’allenamento e un aumen-to dell’86% 1 ora dopo la sessione di allenamen-to. Questi aumenti sono stati significativamente maggiori di quello osservato quando la stessa in-fusione di aminoacidi e carboidrati è stata sommi-nistrata dopo l’allenamento (Tipton, Ferrando et al. 1999). Il vantaggio primario dell’assunzione di aminoaci-di nel pre-esercizio è probabilmente correlato a un aumento della velocità di somministrazione e alla successiva assunzione da parte del musco-lo scheletrico durante l’attività fisica. Quando le proteine sono state assunte prima dell’attività fisica, è stato riportato un aumento della velocità di apporto degli aminoacidi al muscolo scheletrico maggiore di 2,6 volte, rispetto a quando tali pro-

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JAY R. HOFFMANè professore in Sport and Exercise Science program presso l’Università della Florida centrale. È attualmente Capo dipartimento dell’Education and Human Sciences e direttore dell’Institute of Exercise Physiology and Wellness, oltre che membro della American College of Sports Medicine e della National Strength and Conditioning Association (NSCA). È stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra i quali: Outstanding Sport Scientist of the Year da parte della NSCA (2007), Outstanding Kinesiology Professional Award (2005) dalla Neag School of Education Alumni Society dell’Università del Connecticut.Il Dr. Hoffman ha pubblicato oltre 200 articoli e ha partecipato a più di 380 conferenze e convegni nazionali ed internazionali.

IMING DELLE PROTEINE PER L’ATLETA DI FORZA E POTENZA

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Jay R. Hoffman, Ph.D., FNSCA, FACSMUniversità della Florida Centrale Orlando, FL 32766

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RISULTATI

Le dieci fasi definite nell’analisi biomeccanica qua-litativa dello Strappo di Figura 2 evidenziano due particolari strategie motorie che costruiscono il movimento complessivo. La prima si realizza con un movimento rotatorio del busto, che porta il ba-cino prima indietro (Fasi 1 e 2) per poi spostarlo in avanti fino al contatto col bilanciere (Fasi 3, 4 e 5), con lo scopo di trasferire a quest’ultimo un’opportuna quantità di moto che gli possa per-mettere di continuare la sua ascesa anche a con-tatto concluso (Fasi 6 e 7). La seconda strategia motoria, che si realizza contemporaneamente alla prima, è l’estensione degli arti inferiori che porta il bilanciere a un’altezza tale da ricevere la spinta del bacino e mantenerlo sospeso in aria per un tempo sufficiente all’atleta di accosciare a brac-cia tese prima di riprenderne il controllo. È da evi-denziare come l’altezza raggiunta dal bilanciere nella Fase 5 corrisponde a quella raggiunta nella Fase 7, e pertanto il sollevamento del bilanciere durante la Fase 6 è correlato al tempo necessario all’atleta per effettuare il completo piegamento delle gambe e la forza ascensionale applicata sul bilanciere, ottenuta dal salto e dalla spinta del ba-cino, tanto è maggiore quanto è ridotta la velocità di accosciata dell’atleta. Prendendo in considera-zione le prime cinque fasi dello Strappo si osserva come l’atleta arretra il suo centro di massa per

compensare lo spostamento anteriore del bilan-ciere e favorire l’allontanamento del suo corpo in caduta verso il basso durante la Fase 6.L’interazione tra la strategia motoria di rotazione del busto e quella di estensione degli arti inferiori è visibile in Figura 3. È da precisare che tale figura, come la Figura 4, è realizzata utilizzando una rap-presentazione grafica impropria a garanzia della leggibilità dei dati. Essendo l’asse delle ascisse ordinato per fasi e non per decorso temporale, anziché un andamento lineare si doveva sceglie-re una rappresentazione grafica a istogrammi. Le linee spezzate che uniscono le diverse ampiez-ze articolari, ottenute durante le dieci fasi dello Strappo, mostrano un andamento continuo senza però dare informazioni sull’evoluzione temporale del gesto completo. Un’analisi temporale dell’evo-luzione tecnica del gesto esula dall’oggetto di tale studio, perché è soggetta a parametri individuali morfologici, come le lunghezze articolari; tecnici, come l’abilità di gestire l’interazione inerziale tra le masse ponderali e il carico del bilanciere: pre-stativi, come la concatenazione dei differenti con-tributi di forza sviluppati dai distretti muscolari attivati durante la realizzazione dell’Alzata. Nella descrizione delle ampiezze articolari di Figura 3 si evidenziano le aperture dell’anca (strategia del-la rotazione del busto) e del ginocchio (strategia dell’estensione degli arti inferiori) che si formano in un andamento lineare e continuo (dalla Fase 1

DONATO FORMICOLALaurea Specialisticain Scienza e Tecnica dello Sport e dell’Allenamento.Si occupaprincipalmente dimodellibiomeccanici pervalutare le abilitàmotorie e sportivebasati su sistemi dicattura delmovimento.È docente acontratto presso laScuola Univ.Interfacoltà Scienze Motorie di Torino. Allenatore IV Livello Europeo CONI e Maestro di Pesistica FIPE, è membro delcomitato scientificonazionale della FIPE.

odello Biomeccanico dei Fondamentali Tecnici

dello Strappo

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Donato Formicola, PhDCentro Regionale Federale di Alta Specializzazione, Preparazione Olimpica, Formazione e Ricerca “Valle San Nicolao”.

Comitato FIPE Piemonte, Frazione Chiesa 2, 13847, Valle San Nicolao (BI).

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La prima parte di questo lavoro è stata pubblicata nel n. 10/2014 di Strength & Conditioning. Per una Scienza del Movimento dell’Uomo, alle pagine 29-33.

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INTRODUZIONENel calcio di oggi, un giocatore è chiamato a dover affrontare situazioni di gioco sempre più intense, le cui richieste muscolari aumentano progressivamente durante la partita. La mag-gior parte di esse sono determinate dall’abilità dell’atleta di accelerare repentinamente, cam-biare rapidamente direzione e/o verso di corsa, saltare, calciare e resistere ai contrasti diret-ti. Quando si parla di forza nel gioco del cal-cio, bisogna tener presente le indicazioni che provengono dal modello prestativo, dal quale si estrapolano tutte quelle attività (alcune di queste appena elencate) che sono stretta-mente legate alla capacità di esprimere forza e potenza muscolare. Per esempio, nell’atto del “calciare”, i valori di potenza muscolare sono connessi al livello di forza dei muscoli de-putati a quello specifico movimento (6) (19), ed è ragionevole concordare che un insufficiente stimolo allenante provocherà un’effettiva ridu-zione della performance di tiro (27).Nel complesso, l’allenamento per lo svilup-po della forza muscolare si orienta verso tre principali finalità: a) aumento della potenza muscolare espressa durante i gesti esplosivi

ATHOSTRECROCIPh.D. student, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano, Preparatore atletico Settore Giovanile A.S. VARESE 1910.

a Forza e lecomponenti della prestazione nel calcio.Review

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In questo articolo si affronta l’argomen-to del training della forza nella prepara-zione del calciatore ed è questa la se-conda “rassegna di settore” che viene presentata. Subito una riflessione, senza scomodare ragionamenti che si richiamano alla “filo-sofia del dubbio”: è più utile orientare la rassegna per chi già sa o per il lettore che ancora è in fase di formazione? In al-tre parole: è meglio elaborare solo delle conferme che appaghino gli orientamenti

culturali di chi ha già affrontato gran parte del percorso formativo o di chi questo percorso sta iniziando? Perché l’argomento che viene qui presentato si presta, parti-colarmente, ad assecondare uno degli sport più diffusi nel nostro Paese: no, non è il calcio, bensì è l’abitudine a schierarsi sempre in fazioni (come tifosi) contrapposte. Ad esempio: “forza vs resistenza”.In particolar modo, per la preparazione atletica del cal-ciatore si assiste a scelte di mezzi di allenamento che assegnano priorità di impiego ad altro, ma non al poten-ziamento muscolare. Tuttavia non mancano le indicazioni che provengono dalla letteratura che dovrebbero indurre a considerare l’allenamento della forza “obiettivo” impor-tante per il miglioramento dell’assetto muscolare fun-zionale, della velocità e dunque della prestazione. Anche senza ricorrere al conforto di quanto è stato scritto e che in questo articolo viene documentato, sarebbe suf-ficiente considerare (e certi confronti agonistici recenti risultano marcatamente “spietati” al riguardo) il con-fronto tra le prestazioni atletiche (ancor prima che tec-niche) dei “nostri” calciatori con “avversari” che militano nelle realtà internazionali. Il concetto di training ad “alta intensità”, oggi tanto di moda, non può quindi prescinde-re dallo sviluppo della forza. Sviluppo che deve essere al servizio del miglioramento della velocità e della capacità di mantenere alta l’intensità di lavoro.Come ho avuto modo di dire, la prestazione e il mante-nimento della stessa ad alto livello dipendono da molti fattori; il potenziamento muscolare quindi “non” rap-presenta un’alternativa alla corsa, ma piuttosto è una componente fondamentale che deve integrarsi con le metodologie coordinative le quali, per effetto del lavoro di forza, risulteranno così più efficaci.

Giampietro AlbertiDipartimento di Scienze Biomediche per la Salute Scuo-

la di Scienze Motorie - Università degli Studi di Milano

PRESENTAZIONE

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PREMESSADall’avvento della prima Paralimpiade di Roma nel 1960 (44) in poi, questo movimento sportivo ha subito una notevole crescita d’interesse, non solo per i non addetti ai lavori, ma anche per studiosi nel campo della biomeccanica e delle Scienze dello Sport (23), con lo scopo di migliorare le presta-zioni sportive nello specifico campo. Più in gene-rale, sia per persone con disabilità che normodo-tate, è importante promuovere la partecipazione all’attività fisica e sportiva per i suoi molteplici ed indiscutibili benefici su salute, aspetti psicologici e socio-relazionali (6, 8, 22, 45).Per ciò che concerne lo sport agonistico con disa-bilità, il Comitato Internazionale Paralimpico (IPC) propone alcune linee guida ed una classificazione basata su aspetti legati alla funzione motoria e alla salute (43, 44). Nel nuoto, tale suddivisione funzionale avviene per classi al fine di garantire agli atleti con diverso tipo di disabilità la parteci-pazione a competizioni equilibrate. A prescindere dal tipo di disabilità (origine midollare, ortopedica o cerebrale), viene attribuito all’atleta un punteg-gio corrispondente alle funzioni che può ancora esprimere e successivamente egli/ella viene inse-rito/a in una delle dieci classi previste (minore è la classe d’appartenenza, minori sono le capacità residue del nuotatore).

In letteratura, i maggiori studi riguardo il nuoto Paralimpico si focalizzano essenzialmente sui temi della biomeccanica del movimento e degli aspetti metodologici di training in acqua (7, 14, 15, 17, 18, 29, 36, 37).Generalmente, l’allenamento definito “a secco” nel nuoto viene considerato il potenziamento mu-scolare con sovraccarichi svolto ad un’intensità elevata (carichi alti, poche ripetizioni) con enfasi maggiore nel lavoro concentrico dei gruppi mu-scolari maggiori (3). Un possibile svantaggio di tale approccio di training è che, all’aumentare del volume e delle intensità del carico, il possibile ri-schio di incorrere in un infortunio è maggiormente concreto. Inoltre, un recente studio di Fulton et al. (18) ha evidenziato che, contrariamente alle aspettative, i nuotatori che ottengono i più grandi miglioramenti in termini di prestazioni tra le varie competizioni, tendono ad allenarsi con volumi ed intensità minori [eccellente osservazione! E non deve farci riflettere? NdC].Tale risultato fornisce una giustificazione valida per esplorare approcci alternativi di allenamento non convenzionale di training “a secco” in nuota-tori con disabilità.Seguendo tale linea metodologica, lo scopo del presente articolo è quello di descrivere l’esperien-za maturata con due nuotatori Paralimpici top-le-

LUCACAVAGGIONILaurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, Ph.D student in Scienze dello Sport, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

pproccio integrato all’allenamento dello sport paralimpico? Risultati di uno studio osservazionale, rifl essioni e prospettive

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Nel secondo articolo, “Forma e Funzione. Del Corpo e del Movimento” (Strength & Conditio-ning. Per una scienza del movimento dell’uo-mo. Anno III, n°7, pp.33-37), abbiamo riletto il Corpo e il Movimento con l’obiettivo di avvi-cinarci alla comprensione di Forme e Funzioni. Cerchiamo di decriptare. Ci siamo detti che (ri-prendo le parole usate nell’articolo 2): il corpo cerca l’equilibrio, la relazione, la finalizzazione, l’ampliamento della zona di confort; e in questa ricerca modifica l’allineamento e l’interazione tra i volumi che lo costituiscono. I movimenti sono l’ausilio indispensabile all’espletamento della funzione del corpo, ovvero: la vita di re-lazione.Più riesco a veicolare le forme di movimento verso l’acquisizione di Equilibrio, Relazione, Fi-nalizzazione e Ampliamento della Zona di Con-fort, più il Corpo si adatta alla sua destinazio-ne funzionale (schema 2b).

Più adatto la plasticità biotensile del Corpo ai Movimenti Fondamentali o, viceversa, più i Mo-vimenti Fondamentali agiscono sulla Forma del Corpo, più Funzione del Corpo e Funzione del Movimento si allineano generando una “soprav-vivenza” costruita su un rapporto ottimale di Equilibrio, Relazione, Finalizzazione e Amplia-mento (schema 2c).

Alberto Andorlini

ALBERTO ANDORLINIDopo una lunga esperienza come Insegnante di Educazione Fisica, è oggi Preparatore Atletico e Riabilitatore. La sua attività si lega da sempre all’interesse per l’evoluzione del Movimento e per lo sviluppo della Performance. Ha lavorato per A.C. Fiorentina, A.C. Siena, Al Arabi Sports Club, Chelsea f.C. e Nazionale femminile Calcio in qualità di Terapista e Preparatore Atletico.Attualmente è Riabilitatore presso l’U.S.Palermo.Collabora con il Training Lab di Firenze e svolge attività didattica nel corso di Laurea in Scienza e Tecnica dello Sport e delle Attività Motorie Preventive e Adattative dell’Università di Firenze.

Continua

a collaborare

con S&C

Alberto Andorlini,

per almeno 3 testi

originali, per tutto

il 2015.

ltre l’allenamento8. Dal secondo passo al secondo passo e mezzo

SESTA PARTE

ltre l’allenamento8. Dal secondo passo al 8. Dal secondo passo al 8. Dal secondo passo al 8. Dal secondo passo al secondo passo e mezzo secondo passo e mezzo 8. Dal secondo passo al 8. Dal secondo passo al

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo

Schema n°2 a/b/c. - 3a) La “Forma/Corpo” segue le Fun-zioni esercitate dal Movimento; le Forme del Movimento seguono la Funzione del Corpo. 2b) Più avvicino la Funzio-ne del Corpo alla Forma del Corpo, più porto le forme del Movimento a doversi adattare, fi no a coincidere, con la Funzione del Movimento stesso. 2c) Più adatto la Forma del Corpo alle Forme di Movimento, più Funzione del Corpo e Funzione del Movimento si allineano.

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La fibromialgia è una condizione caratteriz-zata da dolore cronico che colpisce varie strutture corporee, tra cui le articolazio-ni, i muscoli, i tendini e i tessuti molli (32). Essa è comunemente osservata dai medici di base, dai reumatologi e dai professionisti della riabilitazione. Si ritiene che la preva-lenza puntuale di questa patologia che col-pisce preferibilmente le donne tra i 35 e i 60 anni, fosse, nel 2005, di 5 milioni tra gli adulti negli Stati Uniti (26, 51) [in Italia, cir-ca 1,5-2 milioni di persone, NdC]. Con una tale prevalenza, è necessario capire meglio come gestire questo disturbo, anche per-ché la ricerca ha mostrato i vantaggi di va-rie modalità di esercizio (23, 24). Data la prevalenza di fibromialgia e la ricerca che sostiene gli evidenti benefici dell’attività fi-sica tra questa popolazione, è probabile che i professionisti dell’allenamento della forza e del condizionamento fisico si troveranno ad operare spesso con questi soggetti. Per-tanto, tali professionisti devono conosce-re la patologia così come le strategie e le precauzioni da adottare per un’appropriata gestione dell’attività fisica. I servizi forni-ti dal professionista della forza e del con-dizionamento fisico fanno spesso parte di un approccio multidisciplinare che coinvolge altri operatori sanitari come medici o fisio-terapisti, pertanto è importante tenere in debita considerazione la comunicazione per assicurare i risultati più efficaci. Lo scopo di questo articolo è quello di descrivere le ca-ratteristiche cliniche della fibromialgia così come le più attuali evidenze che riguardano la gestione delle persone che ne sono affet-te, usando varie modalità di attività fisica.

RETROSPETTIVANel corso degli ultimi vent’anni, è stata svi-luppata una migliore comprensione della fi-siopatologia della fibromialgia e dei sintomi correlati. La fibromialgia è stata tradizio-nalmente descritta come un disturbo di tipo reumatico con dolore muscolare diffuso e al-cuni fattori psicologici che l’accompagnano, come ansia e depressione (32). Le ipotesi più attuali suggeriscono che la fibromialgia sia causata da squilibri neurochimici nel si-

stema nervoso centrale associati a un au-mento della percezione del dolore [riguardo alle cause, si può sostenere che la fibromial-gia è una malattia a genesi multifattoriale, ma che consista principalmente in un’altera-zione nei livelli di alcuni neurotrasmettitori, in particolare la serotonina e la noradrenali-na, NdC] (13, 22). La fibromialgia può esse-re considerata un disturbo dell’elaborazione centrale, in cui le vie neurologiche ascenden-ti e discendenti operano in modo anorma-le, creando sensazioni di dolore amplificate. Questo crea una sensibilità accresciuta agli stimoli, una condizione definita come allo-dinìa, e una risposta aumentata agli stimoli dolorosi inquadrata come iperalgesia (13, 22). Pertanto, i professionisti della forza e del condizionamento fisico devono compren-dere che il cliente con fibromialgia può accu-sare un aumento della risposta al dolore con alcune attività motorie o particolari esercizi.

PRESENTAZIONE DEL PAZIENTE FIBROMIALGICOSecondo le linee guida dell’American Colle-ge of Rheumatology, pubblicate nel 1990, il paziente con diagnosi di fibromialgia pre-senterà il sintomo cardine di dolore diffuso cronico bilaterale nella parte superiore e in-feriore del corpo, con dolore nello scheletro assiale che dura da oltre 3 mesi (50). Sono stati identificati 18 punti specifici, spesso indicati con il nome di “tender point” (punti algogeni). Per porre la diagnosi, i soggetti devono avere dolore alla palpazione in 11 dei 18 tender point (Figura 1) (50). Il dolo-re spesso è descritto come un “dolore pro-fondo” o un dolore “lancinante urente” e il paziente può anche accusare fatica e di-sturbi del sonno. Questi sintomi sono stati indicati come la triade di sintomi primari (4, 43). Altri segni e sintomi possono include-re depressione, ansia, difficoltà cognitive (ad es. scarsa concentrazione), problemi di equilibrio, sindrome dell’intestino irritabile, cefalea, dolorabilità, rigidità, formicolio, in-torpidimento e sindrome delle gambe senza riposo (Tabella 1) (5, 44). Fattori di rischio associati comprendono una predisposizione familiare (il massimo rischio lo si ha con pa-

Scott W. Cheatham, PT, DPT, OCS, ATC, CSCSDivision of Kinesiology and Recreation, California State University Dominguez Hills, Carson, California

SCOTT W. CHEATHAM è adjunct faculty alla Division of Kinesiology and Recreation presso la California State University Dominguez Hills.

ibromialgia: concetti attuali per il professionista del condizionamento fi sico e dell’allenamento della forza

F(ORIG: FIBROMYALGIA: CURRENT CONCEPTS FOR THE STRENGTH AND CONDITIONING PROFRESSIONAL, SCJ (USA), VOL. 35, N°4, AUGUST 2013, PP. 11-18)

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ERWAN CODRONS Psicologo, assegnista di ricerca del dipartimento di sanità pubblica, medicina sperimentale e forense.LAMA-CRIAMSUniversità degli Studi di Pavia.

LUCA MARINDottore inFisioterapia.Docente presso ilCorso di Laurea inScienze Motoriedell’Università degliStudi di Pavia.Docente e Tecnicodella FederazioneItaliana Pesistica.LAMA-CRIAMSUniversità degli Studi di Pavia.

MATTEO VANDONIRicercatore presso ilDipartimento diSanità Pubblica,MedicinaSperimentale eForense (Universitàdi Pavia).LAMA-CRIAMSUniversità degli Studi di Pavia.

Luca Marin, Matteo Vandoni, Erwan Codrons, Sara Ottobrini,Claudio Lisi, Giuseppe Di Natali

on Specifi c Low Back Pain: esercizi su misura

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Il presente lavoro prosegue la linea di studio che indaga le relazioni tra le sensa-zioni sperimentate dagli individui durante la pratica dell’attività fisica, terapeutica, adattata o sportiva, e la loro aderenza, nel tempo, alla pratica stessa. Per questo motivo, il lettore noterà che alcuni strumenti, utilizzati in tutti gli studi, vengono semplicemente nominati e accompagnati dalla nota bibliografica che rimanda al numero di S&C, in cui essi sono stati introdotti ed esaurientemente descritti. In questa seconda parte dell’articolo (la prima in S&C n.10/Ottobre-dicembre 2014, pp.73-76) saranno esposti i materiali, i metodi e i risultati dello studio avente come primo obiettivo la valutazione delle sensazioni di piacevolezza e di fa-tica indotte da alcuni degli esercizi comunemente utilizzati nel trattamento e nella prevenzione della lombalgia aspecifica (NSLBP) e come secondo obiettivo, l’identi-ficazione, all’interno degli esercizi somministrati, di quelli più graditi alle persone.

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MATERIALI E METODI

Il campioneHanno partecipato allo studio 57 soggetti (Tab.1) con NSLBP (20 maschi, 37 femmine; età: 43,2 ± 11,4). I soggetti sono stati chiamati a compilare un questionario (Fig.1) nel quale venivano indagati vari aspetti, come l’abitudine o meno alla pratica dell’attività fisica e il livello di dolore lombare da 1 a 10 al momento della compilazione del questionario.Il questionario ha avuto lo scopo di raccogliere in-formazioni sui partecipanti allo studio, così da po-ter meglio interpretare le risposte di piacevolezza e il grado di affaticamento per ciascun esercizio.

ProtocolloLa seduta iniziava con l’addestramento all’ese-cuzione dei sei esercizi del protocollo (bird dog, bridge, crunch completo, crunch inverso con di-stensione delle braccia, estensioni spinali, side bridge) nell’ordine definito dalla sequenza selezio-nata (si veda paragrafo “Randomizzazione”). Ter-minata la fase di addestramento, veniva concesso un periodo di riposo, pari a dieci minuti, in cui i partecipanti potevano rivolgere le loro domande ai ricercatori.

La parte centrale, corrispondente allo studio, prevedeva che gli esercizi, appresi durante la fase di addestramento, venissero effettuati, allo stes-so ritmo esecutivo, eseguendo lo stesso numero di ripetizioni (dieci) e rispettando un tempo di re-cupero pari a un minuto. I soggetti dovevano uti-lizzare il recupero per compilare le schede, Feeling scale (FS) e Rating of Perceived Exertion (RPE), relative all’esercizio appena eseguito. La seduta terminava con un breve debriefing e con la consegna di una brochure contenente le foto degli esercizi dello studio e le informazioni meto-dologiche necessarie per eseguirli autonomamen-te.

RandomizzazionePer diminuire i possibili bias, determinati dall’or-dine di esecuzione degli esercizi, sono state cre-ate 12 sequenze di somministrazione e ad ognu-na è stato assegnato un numero identificativo, da 1 a 12. Ad ogni partecipante è stato chiesto di scegliere un numero, da 1 a 12, e gli è stata somministrata la sequenza corrispondente; si è proceduto così sino ad esaurimento dei numeri e successivamente, si è ricominciato da capo.

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1. DI COSA È FATTA LA VITA(DELL’UNIVERSO E DELLE PERSONE)

[1.1] La vita e il moto, la vita è il motoLa vita si fa con il moto ed il moto si percepisce con i sensi. Ma, a prima “vista” (lo dice anche la parola!), il movimento si vede e così si coglie: da qui a lì o da lì a qui, in basso o in alto, a destra o a sinistra, bello o brutto, lento o veloce, picco-lo o grande, piacevole o spiacevole, gradevole o sgradevole, comune o insolito, aspettato o ina-spettato, banale o spettacolare. La vista, ecco il ruolo della vista, percepire ed accompagnare (ve-dere e classificare) con alcune (magari curiose, certamente particolari ed individuali) valutazioni. Ma il movimento è questo, soprattutto qualcosa che si vede (non solo questo, abbiamo detto, ma soprattutto questo!). La domanda, assolutamen-te legittima (diversi Autori se la sono posta e la hanno o risolta oppure essa è rimasta irrisolta), è: ma - senza uno che lo guarda - un movimento esiste? Più avanti riproponiamo il quesito/dubbio.

[1.2] Il moto delle persone, la vita è il motodegli esseri viventiIl movimento delle persone è una costante della vita di queste ultime, praticamente in ogni istante della prima. Con una varietà veramente incredibile e con una creatività inesauribile, al punto che solo pochi gesti sembrano uguali ad altri già fatti dalla stessa persona oppure da altre, o da mille altre (e sarebbero – questi movimenti che appaiono uguali – anche essi diversi ad una osservazione più attenta). Il movimento c’è sempre ed è sempre nuovo, sempre diverso (ovviamente anche inten-zionalmente diverso), accompagnando ogni fase, ogni aspetto ed ogni istante della vita (nella veglia, ma anche nel sonno: non si dorme e si sta fermi, si dorme e ci si muove moltissimo, tutto il tempo del sonno). Assai spesso in maniera automatica,

altre volte in maniera determinata dal soggetto (la volontà e la volontarietà, la non volontarietà e la meccanicità sono tutti sostantivi che si posso-no legare e collegare al movimento).

[1.3] Il moto intorno a noi ed… Quanto movimento intorno a noi! Possiamo guar-darci intorno ed osservare con maggiore atten-zione (Esercizio n°1). Osserviamo l’ambiente cir-costante e valutiamo ciò che si muove e ciò che appare fermo, sia persone sia cose, sia fenomeni. Se c’è vento e scuote gli alberi, anche questo è movimento. Che riflessioni riusciamo a fare? Per inciso, anche le riflessioni sono movimento di qual-cosa dentro di noi! L’osservazione del mondo e delle cose intorno a noi è tutto. Con questa operazione, cogliamo il mondo vicino e lontano. Se osserviamo il movimento, in fondo lo facciamo esistere per-ché esso dipende dal sistema visivo e dal pensiero dell’osservatore (toh! Quella ragazza cammina e si allontana, che peccato… ma un’altra si avvicina, che vorrà?). Ci si muove sempre rispetto ad un si-stema che osserva: senza di quello non si può dire che esista il moto (concetto complesso, ma legit-timo). La vista fa esistere il moto, ma non solo, grazie ad essa possiamo scomporlo o ricomporlo e valutarlo in maniera quantitativa o qualitativa. Proviamo a guardare ancora nella stanza o nella situazione ambientale – aperto, chiuso – in cui si sta: si coglie il movimento? C’è movimento che non si coglie, ma che esiste? Muoviamo una mano nello spazio ed eseguiamo un movimento ben pre-ciso, quello che vogliamo. Poi proviamo a rifare il movimento una seconda volta, ma proprio come la prima volta. Cosa succede? Si riesce a rifare? Se noi vogliamo e ci impegniamo, riusciamo a ri-fare? Chiudiamo gli occhi, “togliamo la vista” all’esecu-tore e ripetiamo il movimento. Come immaginiamo di averlo fatto? Molte altre riflessioni e considera-zioni si potrebbero fare, pare evidente.

PASQUALEBELLOTTI([email protected];[email protected]), medico, esperto dimovimento e diallenamento,insegnaattualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM.Molti libri e moltiarticoli al suo attivo.È anche Presidentede L’Amàca Onlus,associazione connumerosi progetti di assistenza e disupporto in Africa(ed in Italia):www.amacaonlus.org.

GIOACHINOKRATTERGià Coordinatore Tecnico della SUISM di Torino (1999-2012), docente esperto in Metodologia del Movimento Umano per le attività motorie e sportive, si interessa delle persone che si muovono. Promuove l’attività di Ricerca nella scienze motorie e sportive, collaborando con giovani laureati e dottorandi, allenatori, dirigenti. Allenatore di atleti di alto livello in diverse specialità sportive e di campioni olimpici nello sci. È il curatore attuale delle Interviste di S&C.

asi del movimento. L’esperienza di moto (prima parte)Ovvero: per una grammatica del moto. Primi passi nel movimento sia “fatto” sia “pensato e meditato”, con riflessioni e spunti (sia prima che dopo)

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Pasquale Bellotti, Gioachino Kratter, Giovanni Di Maio, Enrico Maffaei

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(D1) Cosa fai?

(R1) Sono uno psicologo dello sport con spe-cializzazione in psicoterapia, docente incari-cato di Psicologia presso la SUISM (Scienze Motorie) di Torino, e ho insegnato in diverse Università tra cui la Bocconi di Milano, la Fa-coltà di Economia di Torino, la Scuola di Am-ministrazione Aziendale. Attualmente sono il responsabile dell’Area Psicologica della FISI (Sport Invernali) e della FICK (Canoa e Kayak) e lavoro in Juventus F.C. come responsabile dell’Area Psicologica presso la sede di Vinovo. Ho partecipato come Official alle Olimpiadi di Torino, Pechino, Vancouver e Londra e a 16 Campionati del Mondo in discipline diverse.

(D2) Come scegliesti?

(R2) La scelta di specializzarmi in psicologia dello sport risale ai primi anni di studi universi-tari quando la mia grande passione era il volo da diporto e sportivo (parapendio e deltaplano). Durante le competizioni in questa disciplina, mi rendevo conto che io stesso, e in realtà mol-ti piloti, non avevamo la minima idea di come

poter agire a livello emotivo, per controllare la tensione pre-gara e poi gestire la gara al me-glio. Iniziai quindi i primi studi in questo campo, fatti in maniera autonoma e anche frequentan-do corsi da professionisti stranieri e successi-vamente iniziai a seguire altri piloti e a tenere corsi su come ottimizzare la prestazione e ge-stire le emozioni.

(D3) Quale Maestro ti guidò?

(R3) A dire la verità avrei sempre desiderato avere un Maestro, uno di quelli che ti insegna-no tutto senza neppure tu glielo chieda, ma ovviamente nella vita reale non è mai così. Ho avuto parecchi punti di riferimento tra i miei professori, e soprattutto mi sono lasciato ispi-rare da tante esperienze diverse fra loro. Pos-so dire che il migliore Maestro è stato il campo, ovvero la possibilità di partecipare a eventi im-portanti nel mio ruolo specifico , anche se non avevo ancora tutte le competenze necessarie per essere efficace al 100%. Qualche nome però lo voglio fare e devo ringraziare Umbro Marcaccioli, purtroppo scomparso: fu lui il pri-mo a credere in me come professionista e a in-

Giuseppe VercelliIntervistare per provare a capire come cambiareDalla voce, cogliere dalla voce dei veri esperti, veri grandi. Coglie-re dai pochi veramente esperti che abbiamo, sfruttare l’attimo, lasciarsi prendere dall’ascolto. Come si cambia? Come si può? Chi ci dice parole che servono davvero? Mettiamoci alla prova e cerchiamoli.

Ed ecco trovato l’esperto! È infatti la volta di: Giuseppe Vercelli, psicologo del movimento e dello sport, intervistato da Gioachino Kratter

domande e11 risposte11SULLA PSICOLOGIA DELLO SPORT ovvero non c’è intelligenza senza movimento

GIUSEPPEVERCELLIPsicologo e psicoterapeuta, è responsabile dell’area psicologica della FISI e della FICK. Ha partecipato alle Olimpiadi Invernali di Torino e ai Giochi Olimpici di Pechino, di Vancouver e di Londra, in qualità di psicologo ufficiale del CONI. È consulente per Juventus F.C. e responsabile scientifico del Centro Studi di Juventus University. Docente di Psicologia dello Sport e della Prestazione Umana e di Psicologia Sociale presso la SUISM di Torino. Dirige l’Unità Operativa in Psicologia dello Sport del Centro di Ricerche in Scienze Motoriee sportive. È docente di Coaching presso la Scuola di Amministrazione Aziendale (SAA) di Torino. Presso la Bocconi di Milano, ha coordinato il corso di Psicologia dello sport.

Allenare la mente che è nel corpo o allenare il corpo con la mente? Quanti tecnici-allena-tori e non solo si sono posti la domanda? È facile incontrare chi, non riuscendo sul cam-po a risolvere i problemi di rendimento degli atleti, conclude sostenendo che si tratti di “testa”, quasi essa fosse entità altra rispetto al sé. Chiedete dunque a chi se ne intende - e Giuseppe Vercelli è persona che di atleti se ne intende davvero - se sia possibile suddi-videre in capitoli la persona-atleta e scoprirete quanto sia fondamentale considerarla in

primis pensante ed univoca, senza rinviare al mistero ciò che realisticamente va affrontato come è, un ingrediente determinante dell’allenamento moderno. Buona scoperta.

Gioachino Kratter

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S&C

STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno IV - Numero 11 / Gennaio-Marzo 2015 85

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lcune idee sul futuroIl Presidente del Coni ha ultimamente più volte affermato la necessità di una nuova legge qua-dro sullo sport. In Parlamento è stato incardinato un progetto di legge in materia, primo firmatario l’on. Fossati, sul quale sono in corso una serie di audizioni da parte della Commissione competente e su cui tornerò in seguito.Non si può che condividere questo clima, basti pensare che la legge sul professionismo, la l. 91/81 ha già compiuto 33 anni e l’unica norma organica sul dilettantismo, l’art. 90 della legge 289/02, va per i 12.Detto questo, credo sia necessario aprire un dibattito su quali debbano essere i temi, senza avere la presunzione di offrire anche le soluzioni, ai quali il legislatore dovrebbe mettere mano. Ov-viamente, essendo la Fipe una federazione dilet-tantistica, è solo questo il taglio che cercheremo di dare al nostro ragionamento.Il primo tema non può che partire dalla definizione di attività sportiva dilettantistica e di quali siano i suoi confini. Sappiamo che l’attuale situazione, che la identifica per differenza da quella individua-ta come professionistica dalla legge 91/81, inclu-de in un unico contenitore normativo realtà socio-economiche diversissime, che vanno dal tennista che vince un importante torneo internazionale al “palleggiatore” della domenica, dallo sciatore che vince (speriamo!!) la coppa del mondo a quello che scende a spazzaneve. Se questo, da un lato, rap-presenta un aspetto della criticità dell’attuale di-sciplina, dall’altro si verifica che tutto sta diven-tando “sport”. Nella corsa all’accaparramento dei benefici fiscali (ricordo che quelli sul trattamento dei compensi sono appannaggio esclusivo delle at-

tività sportive e di poche altre eccezioni in campo di bande, cori e filodrammatiche), a cui si unisce la volontà di alcune realtà nazionali sportive di pun-tare essenzialmente ed in maniera indiscriminata ad incrementare il proprio numero di tesserati, qualsiasi “attività” organizzata si faccia con il corpo o con la mente diventa “sport”. Altro aspetto è il ruolo centrale che tutti ritenia-mo debba avere la società sportiva. Ma, mi chie-do, per come essa è attualmente disciplinata sot-to il profilo normativo, è idonea a regolamentare il momento sportivo che viviamo?Già l’esame del comma 17 dell’art. 90, laddove prevede la possibilità di costituire sia associazioni sportive secondo la disciplina del primo libro del codice civile, sia società sportive di capitale ba-sate sul disposto del quinto libro, ma entrambe accomunate dal minimo comune denominatore dell’assenza dello scopo di lucro, mostra il primo equivoco da sciogliere. Se il legislatore del ‘42 ha diviso le associazioni dalle società, individuando nelle prime un contenitore per attività con finalità etico - sociali e nelle seconde un contenitore per finalità economiche e/o di profitto, è – credo – di palese evidenza che il volerli accomunare in una unica matrice, senza interventi correttivi, così come è avvenuto, diventa impresa che non può fare a meno di far emergere palesi criticità.Ecco, allora, che appare facile pensare che mo-derne associazioni sportive che possono raggiun-gere le centinaia, se non le migliaia di associati, ben difficilmente potranno essere gestite con le finalità “associative” tipiche di detti contenitori e la cui assenza è sempre oggetto di rilievo in sede di accertamento da parte dell’Agenzia delle En-trate.

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GUIDO MARTINELLIavvocato,consulente dellaFiPE, professoreaggregato dilegislazionesportiva pressol’Università deglistudi di Ferrara,docente nazionaledella ScuolaCentrale dellosport del CONI, è autore di diversepubblicazioni inmateria di dirittosportivo.

Guido Martinelli

La nuova legge sullo sport e amenità varie

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