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S&C STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno IV - Numero 12 / Aprile-Giugno 2015 5 S&C (Ita) n.12, Aprile-Giugno 2015, pp. 5-12 “CHE GELIDA MANINA! SE LA LASCI RISCALDAR…” Gli amanti della lirica riconosco- no le parole che il poeta Rodolfo rivolge a Mimì nella Boheme di Puccini; un fisico, oltre al lato poetico, evidenzierebbe il princi- pio della termodinamica che pre- vede che il calore tende a pas- sare dal corpo più caldo a quello più freddo; un fisiologo trovereb- be espresso il concetto che sia- mo macchine termiche, tarate a funzionare alla stessa tempera- tura e capaci di utilizzare la pro- pria temperatura come mezzo di valutazione delle temperatu- re dell’ambiente esterno, com- presa la mano di Mimì. Le cose all’esterno tendono ad essere percepite come calde o fredde a seconda di quanto si discostano dalla temperatura che è stata preimpostata nel reostato pre- sente in tutti gli esseri umani, tarato intorno ai 37 gradi cen- tigradi. Utilizzando la tempera- tura della cute come metodo di misura, le mamme sentono se la pelle dei figli è “ molto” più calda (febbre), se l’acqua del bagnet- to è compatibile con i sistemi di mantenimento della temperatu- ra dei bebè. Calore e temperatura. Fino alla metà del 19 0 secolo, non si sa- peva da cosa derivasse la sen- sazione di caldo e di freddo. Si pensava che all’interno degli or- ganismi vi fosse un fluido a cui venne dato il nome di calorico e la cui concentrazione, minore o maggiore, era responsabile della temperatura dei corpi. Si pensava che due corpi a dif- ferente temperatura, una volta messi in contatto, si scambias- sero il calorico fino ad assumere una temperatura intermedia. Il grande fisico-matematico Pier Simon de Laplace era convinto che le singole molecole dei gas fossero avvolte dal calorico e che gli urti che queste moleco- le avevano nel tumultuoso fluire dei gas determinasse una scam- bio di calorico e quindi una varia- zione della temperatura. Ancora prima, Aristotele ritene- va che ci fosse un fuoco interno (“fuoco innato“ ) e che la inspira- zione di aria nei polmoni servisse a mitigare il calore, mentre l’a- ria espirata servisse a rimuove- re i “vapori“ che si producevano dopo l’ingresso dell’aria. Le idee di Aristotele erano an- cora accreditate alla fine del 1700, alle soglie della Rivolu- zione Francese, e si deve ad Antoine-Laurent Lavoisier, il chimico che aveva descritto la struttura chimica della anidride carbonica, l’intuizione che il ca- lore dell’uomo fosse il risultato IL CALORE UMANO (prima parte) Menotti Calvani La macchina che c’è in me MENOTTI CALVANI Medico, specializzato in neurologia, farmacologia clinica oltre che in tossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana. Ha pubblicato oltre 200 articoli scientici su riviste internazionali prevalentemente sui temi del metabolismo, sui mitocondri e sulle patologie degenerative. Fig. 1 a) La mano della mamma percepisce se cè differenza tra la sua temperatura e quella del glio; comunque, una corretta valutazione viene effettuata con un termometro che registra dalla mucosa della bocca che in condizioni normali ha la stessa temperatura (37 0 C) degli organi interni ; b) La temperatura del corpo in condizioni esterne di caldo (colore rosso) e di freddo (colore blu): la parte centrale del corpo (core) rimane sempre a temperatura intorno ai 37 0 C. c) LIpotalamo è la struttura cerebrale che riceve informazioni sulla temperatura da tutti gli organi e impartisce ordini per mantenere la temperatura interna a 37 0 C. a b c Il calore necessario per innalzare di 1° C un litro di acqua (Calore Specifico) è di 1 kcal per litro. Il corpo umano è formato da acqua per il 60-70 % e per alme- no il 20 % da grassi, il suo calore specifico (< a quello di H 2 O) è di circa 0.8 Kcal per kg di massa corporea per grado di temperatura. Per fare aumentare di 1° C la temperatura corporea di una persona di 70 kg servono circa 54 kcal (0.8 x 70).

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“CHE GELIDA MANINA! SE LA LASCI RISCALDAR…”

Gli amanti della lirica riconosco-no le parole che il poeta Rodolfo rivolge a Mimì nella Boheme di Puccini; un fisico, oltre al lato poetico, evidenzierebbe il princi-pio della termodinamica che pre-vede che il calore tende a pas-sare dal corpo più caldo a quello più freddo; un fisiologo trovereb-be espresso il concetto che sia-mo macchine termiche, tarate a funzionare alla stessa tempera-tura e capaci di utilizzare la pro-pria temperatura come mezzo di valutazione delle temperatu-re dell’ambiente esterno, com-presa la mano di Mimì. Le cose all’esterno tendono ad essere percepite come calde o fredde a seconda di quanto si discostano

dalla temperatura che è stata preimpostata nel reostato pre-sente in tutti gli esseri umani, tarato intorno ai 37 gradi cen-tigradi. Utilizzando la tempera-tura della cute come metodo di misura, le mamme sentono se la pelle dei figli è “ molto” più calda (febbre), se l’acqua del bagnet-to è compatibile con i sistemi di mantenimento della temperatu-ra dei bebè. Calore e temperatura. Fino alla metà del 190 secolo, non si sa-peva da cosa derivasse la sen-sazione di caldo e di freddo. Si pensava che all’interno degli or-ganismi vi fosse un fluido a cui venne dato il nome di calorico e la cui concentrazione, minore o maggiore, era responsabile della temperatura dei corpi.

Si pensava che due corpi a dif-ferente temperatura, una volta messi in contatto, si scambias-sero il calorico fino ad assumere una temperatura intermedia. Il grande fisico-matematico Pier Simon de Laplace era convinto che le singole molecole dei gas fossero avvolte dal calorico e che gli urti che queste moleco-le avevano nel tumultuoso fluire dei gas determinasse una scam-bio di calorico e quindi una varia-zione della temperatura.

Ancora prima, Aristotele ritene-va che ci fosse un fuoco interno (“fuoco innato“ ) e che la inspira-zione di aria nei polmoni servisse a mitigare il calore, mentre l’a-ria espirata servisse a rimuove-re i “vapori“ che si producevano dopo l’ingresso dell’aria. Le idee di Aristotele erano an-cora accreditate alla fine del 1700, alle soglie della Rivolu-zione Francese, e si deve ad Antoine-Laurent Lavoisier, il chimico che aveva descritto la struttura chimica della anidride carbonica, l’intuizione che il ca-lore dell’uomo fosse il risultato

IL CALORE UMANO (prima parte)

Menotti Calvani

La macchina che c’è in me

MENOTTI CALVANIMedico, specializzatoin neurologia,farmacologia clinica oltre che intossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana.Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifi ci su riviste internazionaliprevalentemente sui temi delmetabolismo, suimitocondri e sullepatologiedegenerative.

Fig. 1 a) La mano della mamma percepisce se c’è differenza tra la sua temperatura e quella del fi glio; comunque, una corretta valutazione viene effettuata con un termometro che registra dalla mucosa della bocca che in condizioni normali ha la stessa temperatura (370C) degli organi interni ; b) La temperatura del corpo in condizioni esterne di caldo (colore rosso) e di freddo (colore blu): la parte centrale del corpo (core) rimane sempre a temperatura intorno ai 370C. c) L’Ipotalamo è la struttura cerebrale che riceve informazioni sulla temperatura da tutti gli organi e impartisce ordini per mantenere la temperatura interna a 370C.

a b c

Il calore necessario per innalzare di 1° C un litro di acqua (Calore Specifi co) è di 1 kcal per litro. Il corpo umano è formato da acqua per il 60-70 % e per alme-no il 20 % da grassi, il suo calore specifi co (< a quello di H2O) è di circa 0.8 Kcal per kg di massa corporea per grado di temperatura.

Per fare aumentare di 1° C la temperatura corporea di una persona di 70 kg servono circa 54 kcal (0.8 x 70).

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LA TERAPIA FARMACOLOGICA

Alcune terapie farmacologiche trovano una loro applicazione, accanto ai programmi FKT, nell’am-bito delle strategie terapeutiche da adottare in caso di tendinopatia dell’achilleo. Purtroppo, an-che in questo caso vi è una certa penuria di studi che mostrino un’accettabile evidenza. Tuttavia, è comunque d’obbligo conoscere perlomeno le te-rapie farmacologiche che hanno dato prova di un certa efficacia in questo contesto.

Il trinitrato di glicerina Il trinitrato di glicerina, o nitroglicerina, è un com-posto chimico sintetizzato dal chimico e medico italiano Ascanio Sobrero (1812-1888), la cui for-mula bruta è C3H5(ONO2)3, che si presenta come un liquido oleoso incolore oppure giallo chiaro. La storia dell’uso terapeutico della nitroglicerina è lunga ed articolata. In linea generale, possiamo dire che la nitroglicerina viene utilizzata in medici-na come antianginoso, dal momento che mostra, a piccole dosi, un’attività vasodilatatoria a livello venoso, mentre ad elevate concentrazioni possie-de un’attività vasodilatatoria a livello arterioso.

Le sue maggiori indicazioni sono:

i. Trattamento e profilassi dell’angina pectoris da sforzo, stabile, instabile; secondaria a in-sufficienza coronarica oppure infarto miocar-dico;

ii. Scompenso cardiaco anche in associazione a farmaci inotropi positivi e diuretici;

iii. Controllo pressorio dell’ipertensione associa-ta ad intubazione intratracheale, anestesia, sternotomia, by-pass coronarico; periodo post-operatorio;

iv. Trattamento dell’edema polmonare acuto e pre-edema polmonare;

v. Trattamento delle emergenze ipertensive in caso di sindromi coronariche acute e nell’e-dema polmonare (la nitroglicerina è controin-dicata in caso di danno miocardico destro);

vi. Trattamento del dolore associato a ragadi anali croniche;

vii. Stravaso da chemioterapici.

Il meccanismo di azione del trinitario di glicerina si esplicherebbe attraverso l’ossido nitrico (NO), un metabolita biologicamente attivo, anche deno-

(La prima parte e la seconda parte del lavoro di GN Bisciotti sono state pubblicate in S&C. Per una scienza del movimento dell’uomo, rispettivamente nel n°10/2014, alle pagine 17-21 e nel n°11/2015, alle pagine 25-29).

Gian Nicola Bisciotti

GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FIFA Center, Doha (Q).Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, La Spezia (I), Responsabile recupero infortunati FC Internazionale (Mi).

E TENDINOPATIE DELL’ACHILLEO

L TERZA PARTE

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Uno dei supplementi più diffusi degli ultimi 20 anni tra gli atleti professionisti di forza/potenza è sen-za dubbio la creatina. Rappresenta anche uno de-gli integratori alimentari che è stato oggetto del più vasto numero di pubblicazioni, con oltre 1500 articoli apparsi in riviste peer-reviewed. La creati-na è un composto organico azotato, sintetizzato principalmente nel fegato, a partire dagli amino-acidi glicina, arginina e metionina. Può anche es-sere sintetizzato, in quantità minori, sia nei reni che nel pancreas. La creatina può anche essere assunta con la dieta; concentrazioni elevate si ri-trovano sia nella carne che nel pesce, con circa 525 milligrammi di creatina ogni 100 grammi di carne rossa cruda (Mateescu et al., 2012). Circa il 98% della creatina è immagazzinata nel musco-lo scheletrico o sotto forma libera (40%) o nella forma fosforilata (60%) (Heymsfield et al., 1983). Il muscolo utilizza la forma fosforilata, denominata fosfocreatina (PCr), per fornire l’energia neces-saria alle attività ad elevata intensità. Piccole quantità di creatina sono immagazzinate anche nel cuore, nel cervello e nei testicoli. La creatina è trasportata dal suo sito di sintesi al muscolo scheletrico tramite la circolazione sanguigna. La concentrazione muscolare di creatina in genere oscilla tra 120-125 mmol·kg-1 di massa secca,

con le concentrazioni più alte osservate nelle fibre muscolari di tipo II (Harris et al., 1992), ma nei vegetariani sono state osservate concentrazioni muscolari di creatina significativamente inferiori (Maughan, 1995).

Quando la creatina si combina con un gruppo fosfa-to assume un ruolo fondamentale nel metabolismo energetico, agendo come substrato per la forma-zione di adenosina trifosfato (ATP) rifosforilando l’adenosina difosfato (ADP). Il tasso di rifosforila-zione dell’ADP ad ATP dipende dall’enzima creatin-chinasi e dalla disponibilità di PCr nel muscolo. Il sistema energetico della PCr diventa la principale fonte energetica durante attività ad elevata in-tensità e breve durata. Quando le concentrazioni di PCr si riducono, la capacità di mantenere o di sviluppare attività molto intense diminuisce oppu-re, quando la durata di un esercizio ad elevata intensità o massimale si prolunga, il contenuto di PCr del muscolo in attività si riduce (Hirvonen et al., 1987). È stato osservato che durante 6 se-condi di esercizio massimale (ad es. una serie di 6 ripetizioni nello squat, o uno sprint di 50 m) le concentrazioni di PCr nel muscolo si riducono del 35-57% dai livelli in condizione di riposo (Boobis et al., 1987; Hoffman, 2010). Quando la durata

S&C

JAY R. HOFFMANè professore in Sport and Exercise Science program presso l’Università della Florida centrale. È attualmente Capo dipartimento dell’Education and Human Sciences e direttore dell’Institute of Exercise Physiology and Wellness, oltre che membro della American College of Sports Medicine e della National Strength and Conditioning Association (NSCA). È stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra i quali: Outstanding Sport Scientist of the Year da parte della NSCA (2007), Outstanding Kinesiology Professional Award (2005) dalla Neag School of Education Alumni Society dell’Università del Connecticut.Il Dr. Hoffman ha pubblicato oltre 200 articoli e ha partecipato a più di 380 conferenze e convegni nazionali ed internazionali.

UPPLEMENTAZIONE DI CREATINA

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Jay R. Hoffman, Ph.D., FNSCA, FACSMUniversità della Florida Centrale Orlando, FL 32766

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Human Movementfor a SCIENCE of

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Argomento sempre attuale

e sempre controverso.

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LUCA BONFANTILaurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, PhD in Scienze dello Sport.

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Luca Bonfanti - Davide MalvisiniPU

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Il modello prestativo della pallavo-lo assegna un ruolo importante alla capacità di salto verticale. Capacità di elevazione, si sarebbe detto una volta. La capacità di salto verticale, peraltro ben descritta nell’articolo, rappresenta una delle caratteristi-che atletiche e, mi permetto di preci-sare, anche tecniche che consentono

al pallavolista di esprimere un rendimento prestativo sempre elevato. La caratteristica tecnica fa immedia-tamente pensare ad aspetti di tipo coordinativo, sia generali che specifici, quali possono essere riassunti e descritti dal “come” si salta oltre che dal “quanto”; per arrivare, più in generale, ad affermare che la presta-zione sportiva - e più nello specifico la sua componente atletica - non può essere monitorata solo attraverso misure quantitative, ma, sempre di più, anche da valu-tazioni della “qualità funzionale” del gesto.Due problemi si pongono: come migliorare la capacità di salto durante tutto il percorso formativo del giovane pallavolista, fino al raggiungimento della stabilizzazione prestativa? E quali strategie inserire nel lavoro, cosid-detto condizionale e tecnico, al fine di tutelare la salute dell’atleta, rispetto ai fenomeni traumatici connessi ad allenamento e match? L’articolo fornisce un contributo importante a questi argomenti e contribuisce a chiarire gli aspetti legati al potenziamento atletico e al ruolo sempre più importan-te del lavoro di prevenzione.

Giampietro AlbertiDipartimento di Scienze Biomediche per la Salute

Scuola di Scienze Motorie - Università degli Studi di Milano

1. INTRODUZIONELa pallavolo è riconosciuta oggi come uno dei più popolari sport di squadra, merito in gran parte della sua accessibilità ad una fascia d’età ampia, ai requisiti minimi di attrezzatu-re ed alla possibilità di giocare sia all’interno che all’esterno (27). Dalle sue origini ad oggi, questo sport si è evoluto costantemente, pas-sando dall’essere un semplice gioco ricreativo ad una disciplina ad alto impegno tecnico-at-letico. La crescita è stata tale da determina-re un aumentato interesse della letteratura scientifica tecnica e medico-sportiva, la quale ha permesso di definire la pallavolo come un’at-tività ad impegno metabolico misto, con utilizzo di un’elevata percentuale delle masse musco-lari e massimali richieste distrettuali di poten-za (40). Questo sport, infatti, impone ripetute azioni esplosivo-reattive, in aggiunta a rapidi movimenti di risposta ad uno stimolo esterno (27, 53). È dunque evidente che, quando si par-la di forza nel gioco della pallavolo, è di estrema importanza dare rilevanza a quelle informazio-ni che provengono dal suo modello prestativo (33, 34). Alla base di quest’ultimo, ricopre un ruolo considerevole il salto verticale: raggiun-gere elevati standard di performance in questo gesto contribuisce alla creazione del vantag-gio necessario al superamento dell’avversario (69). L’allenamento della forza muscolare dovrà pertanto inizialmente sostenere l’impegno per l’apprendimento dei gesti tecnici più evoluti e la possibilità di incrementare i carichi di lavo-ro. Successivamente, il ruolo della preparazio-ne atletica diventa quello predominante nello sviluppo di specifiche capacità quali il salto, le

DAVIDE MALVISINILaurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport.

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La pesistica olimpica, come tutte le discipline sportive, segue un proprio modello tecnico da in-segnare a chi si cimenta per la prima volta in que-sto sport e da utilizzare come linea guida in ogni momento da parte di chi ha già invece una deter-minata esperienza di tale pratica sportiva. A diffe-renza di altre discipline sportive, la pesistica olim-pica però non rappresenta solo uno sport fine a se stesso, ma anche una pratica di allenamento per altri sport. Di conseguenza, disporre di una analisi precisa di tutte le fasi del movimento, sia della ci-nematica sia della dinamica, per esempio con la de-scrizione e lo studio dei rispettivi angoli articolari, ci permette non solo un più facile insegnamento di questi esercizi, ma anche, ove fosse necessario, di confrontare ogni determinata fase, con il modello

biomeccanico della disciplina praticata, per cerca-re eventuali somiglianze che possano focalizzare l’allenamento su obiettivi ancor più specifici.Lo strappo e lo slancio, gesti classici della pesi-stica, possono essere suddivisi in tre componenti, le quali hanno benefici distinti sulla prestazione: prima fase di tirata (o fase di stacco), seconda tirata, terza fase di presa del bilanciere. La prima fase di tirata comporta il sollevamento da terra del bilanciere, che quindi si muoverà a partire da una situazione statica, fino ad arrivare poco al di sopra delle ginocchia. In questa fase, l’angolo del tronco, rispetto al piano del pavimento, risulta più orizzontale che verticale: di conseguenza, oltre il movimento primario prodotto dall’estensione del-le ginocchia e delle anche, si potrà osservare un

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ROBERTO DE FABRITIIS Laurea Magistrale in Scienza e Tecnica dello Sport.Istruttore Personal trainer 2° livello FIPE.

A PESISTICA OLIMPICAAPPLICATA AD ALTRI SPORT

L CARLO VARALDADottorato di Ricerca in Sport, Exercise and ErgonomicsCertifi ed Strength and Conditioning Specialist e Certifi ed Personal Trainer NSCADocente Nazionale e Direttore Sportivo Nazionale FIPE.

MARIA FRANCESCA PIACENTINIProfessore Associato presso l’Università degli studi di Roma “Foro Italico”Dottorato di Ricerca in fi siologia dello sport presso la Vrije Universiteit Brussel (B) e un Master dalla University of California Berkeley (USA).

LA PRATICADELLA PES ISTICA

Osservazioni e Not e dagli studiosi e dai ricercatori, specie se giovani.

IN QUES TO NUMERO:

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Alberto Andorlini

ALBERTO ANDORLINIDopo una lunga esperienza come Insegnante di Educazione Fisica, è oggi Preparatore Atletico e Riabilitatore. La sua attività si lega da sempre all’interesse per l’evoluzione del Movimento e per lo sviluppo della Performance. Ha lavorato per A.C. Fiorentina, A.C. Siena, Al Arabi Sports Club, Chelsea f.C. e Nazionale femminile Calcio in qualità di Terapista e Preparatore Atletico.Attualmente è Riabilitatore presso l’U.S.Palermo.Collabora con il Training Lab di Firenze e svolge attività didattica nel corso di Laurea in Scienza e Tecnica dello Sport e delle Attività Motorie Preventive e Adattative dell’Università di Firenze.

Termina con questo

numero il lungo

lavoro in 7 puntate di

Alberto Andorlini.

Ma egli continua

a scrivere per S&C

fi n dalla prossima

uscita.

ltre l’allenamento9. Dal terzo passo al terzo passo e mezzo

SETTIMA PARTEOL’assunto del terzo articolo (articolo 3, “Corpo. Movimento. E Corpo in Movimen-to. Ovvero. Strumento. Mezzo. E Fine”, Strength & Conditioning. Per una scienza del movimento dell’uomo, Anno III, n°8, pp. 31-34), recitava: Corpo e movimento rimangono gli unici riferimenti inalterabi-li. Nessuna novità. Nessuna invenzione, nessuna scoperta. Soltanto elementi di-stintivi. O una diversa attenzione ai prin-cipi che danno forma al sistema. Se da sempre, Corpo e Movimento ri-mangono gli unici elementi inalterabili, non possono esistere “novità”, ma soltan-to visioni diverse e interpretazioni tempo-ranee che obbediscano ad un continuum logico e razionale. Sono – come sempre – i termini di riferimento che cambiano e che continuano a cambiare. Cambia la comprensione delle funzioni vitali, cam-bia l’obiettivo, collettivo o individuale che sia, cambia l’ordine, il numero e la gran-dezza degli elementi che costituiscono la performance, cambia il tessuto sociale, cambia il luogo, cambia il linguaggio.

Il campo. Ci stiamo avvicinando alle conclusioni. Del quadro complessivo che si va via via delineando, ho cercato di definire i contorni. L’ho fatto senza to-gliere la penna dal foglio, in una sorta d’ininterrotta consecutio logica. Lavoro complesso, destinato inevitabilmente a tediose congetture e a risultati incom-pleti.

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GENERALITÀIl giorno 27 agosto 2014, presso i labo-ratori dell’Unità Spinale dell’Ospedale di Pietra Ligure, alla presenza del direttore tecnico Sandro Boraschi e del tecnico Mi-caela Comini, tre atleti paralimpici si sono sottoposti a test di laboratorio inerenti ad aspetti significativi di cinematica ed elet-tromiografia del gesto di competizione. Presente anche un atleta normodotato, per la taratura del test e il confronto con atleti delle specialità paralimpiche.

Si è trattato del seguito di una proposta di progetto di ricerca, formulata dal dott. Massone, Direttore del Centro, durante un raduno della nazionale, svoltosi a Sa-vona in data 1-2-3 agosto 2014. Avendo espresso, proprio in occasione di tale ra-duno, le difficoltà incontrate nella gestio-ne del processo di allenamento e relativa-mente al lavoro svolto negli ultimi anni, in materia di preparazione fisica funzionale, core e postura corretta, il Dott. Massone ha offerto la sua massima disponibilità ed ha proposto uno sviluppo di ricerca di tipo

Micaela Comini

MICAELA COMINILaureata in Scienze e tecnica dello sport, Tecnico di 2° livello FIPE, docente per i corsi FIPE, è Tecnico del settore ginnastica artistica e pesistica paralimpica. Dal 2014 collaboratore come esperto esterno di preparazione fi sica sport disabili presso l’Università di Scienze Motorie di Verona.Dal 2103 è tecnico presso la nazionale di pesistica paralimpica.

a distensione su panca. Breve rapporto preliminare su un’esperienza di valutazione bioingegneristica di atleti paralimpicidi alto livello

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LUCA MARINDottore Magistrale in Scienze Riabilitative, Professore a contratto presso il Corso di Laurea in Scienze Motorie dell’Università di Pavia, Docente e Tecnico FIPE, Responsabile Tecnico LAMA.

Luca Marin, Claudio Lisi, Giuseppe Di Natali, Matteo Vandoni, Luca Correale, Matteo Chiodaroli

ervicalgia, esercizio terapeutico e sport consigliati

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Negli ultimi numeri di S&C. Per una scienza del movimento dell’uomo, abbiamo cercato di dare corpo in maniera scientifica ai pensieri e alle sensazioni che hanno spinto, e spingono, medici, riabilitatori e professionisti del movi-mento a consigliare la tipologia di attività più adatta, valutando intensità e piacevolezza percepite dall’esecutore. Da questo numero in avanti, vorremmo cercare di utilizzare l’approccio basato sulle evidenze scientifiche (1) per affrontare un altro problema con cui ci confrontiamo durante la pratica, la scelta dell’attività sportiva più adatta. Se da un lato risulta arduo convincere le persone a “diventare attive”, dall’altro esiste una parte di popolazione che desidera iniziare la pratica sportiva o che già svolge attività, a livello amatoriale o agonistico, e che, nonostante la comparsa di una patologia, desidera continuare a farlo. Premesso che prima di iniziare ad allenarsi, i pazienti devono sottoporsi ad una visita medica, è ovvio che essi rivolgano al medico le fatidiche domande: “quali sport posso praticare? E quali devo evitare?”; oppure: “con la patologia di cui sono affetto, posso continuare a praticare il mio sport?”. Lo specialista fornisce al paziente i parametri, le indicazioni e le controindicazioni, necessari per l’attività da svolgere, ma spesso non la individua in maniera dettagliata e demanda ad altri professionisti il compito di trasformare le sue prescrizioni in un programma di allenamento o nella pratica di uno sport specifico. L’obiettivo dei prossimi nostri articoli è quello di trasformare i risultati degli studi presenti in letteratura in uno strumento di rapida consultazione, un vero e proprio semaforo, che evidenzi, per ogni patologia, gli sport certamente indicati, quelli consentiti e quelli controindicati. Ci auguriamo, pertanto, che questo progetto possa essere davvero d’aiuto ai colleghi che ci dedicano il loro tempo, “leggendoci” sulla “nostra” rivista che sta dimostrando come Evidenza Scientifica e Movimento costituiscano una associazione funzionale sempre più forte e inscindibile.

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CLAUDIO LISISpecialista in Medicina Fisica e Riabilitazione e in Medicina dello Sport.Dirigente Medico Fisiatra presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Professore a contratto presso l’Università di Pavia.

GIUSEPPEDI NATALISpecialista in Medicina Fisica e Riabilitazione, Dirigente Medico Fisiatra presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Professore a contratto presso l’Università di Pavia.

PREFAZIONE AI PROSSIMI ARTICOLI “SEMAFORO”

La cervicalgia costituisce uno dei disturbi muscoloscheletrici più comuni, secondo solo alla lombalgia (2), causato da traumi, degenerazione discale, ernie discali, problematiche a carico dei muscoli cervicali; si calcola che più del 66% delle persone adulte ne soffrirà almeno una volta nella vita (3). Sebbene la storia naturale di questa patologia sembri essere positiva nel-la sua evoluzione, i tassi di ricaduta/ricomparsa e di cronicizzazione sono così frequenti che più di un terzo dei pazienti sviluppa sintomi cronici, che durano più di 6 mesi (2). I primi trat-tamenti comprendono riposo, medicina fisica (terapia caldo/freddo) e farmacoterapia ma, quando il trattamento conservativo risulta inefficace, i pazienti si affidano al fisioterapista.

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FIPE A5 corsi specializz B _Layout 1 19/09/14 09:27 Pagina 13. ALTRE RIFLESSIONI,

ALTRE SPERIMENTAZIONI. FARE È SPERIMENTARE. SPERIMENTARE È CONOSCERE E CREARE CONOSCENZA.

3.1 Intorno il mondo si muove, ma anche noi possiamo muoverci. Ed in libertà. Se liberi nello spazio, possiamo muoverci in assoluta libertà, che vuol dire liberamente, senza vincoli partico-lari, spostandoci o restando fermi e muovendo il tronco e le braccia, solo muovendo un dito, inven-tando o cercando di ripetere. In un certo senso, in condizioni di normalità, il movimento dell’uomo è soltanto espressione della sua libera creativi-tà e volontà. Ci muoviamo allora, proprio secon-do queste indicazioni (Esercizio n°19). Durante e dopo, possiamo riflettere: cosa era quello che abbiamo fatto? Aveva un senso? Era bello? Aveva un obiettivo? Aveva un ritmo (o almeno quello che crediamo sia un ritmo)? Ci è costato farlo? Ci ha stancato? Che vuol dire stancarsi?

3.2 In realtà, un vincolo preciso l’uomo terrestre ce lo ha. Egli è legato alla terra, vincolato. Può di certo tentare di librarsi nell’aria, ma subito ri-cadrebbe. L’uomo cade per la legge della gravità. Possiamo provare a staccarci da terra e a non ricadere. Nessuno sforzo, di nessuna entità può tenerci sospesi nell’aria: ineluttabilmente ricadia-mo. Una condanna (?!). Ma anche la certezza di avere delle basi sicure su cui poggiare e da cui partire, da cui slanciarci. Slanciarci per andare di qua e di là. Slanciarci per evitare un pericolo. Slan-ciarci per superare un ostacolo. Proviamo, dun-que, a staccarci da terra. E a non ricadere (Eser-cizio n°20). È chiaro che, qualunque sia lo sforzo che facciamo, non cambierà il seguito dell’esserci staccati da terra. Si va più o meno in alto, ma poi si ricade. E si ricade più rapidamente a misura che cresce l’altezza di caduta, quella da cui si co-

mincia a ricadere. Ma come è che ci si stacca da terra? Qualcosa bisogna fare per ottenere questo stacco, questo distacco! Non possiamo volerlo e farlo senza atteggiare il nostro corpo in maniera particolare, non vi pare? Non vi pare che dobbiamo prima comprimerci come molle, per poi scattare (come scattano le molle) verso l’alto? Osservate che comprimerci come molle è proprio come cari-care una molla: vuol dire caricarci di energia che si può liberare spingendoci (è proprio così, si tratta di una spinta) verso l’alto; partendo dalla stazione eretta, lasciamoci cadere verso il basso, effet-tuando un rapido piegamento sugli arti inferiori e, di seguito, un salto esplosivo verso l’alto. Ecco, abbiamo appena eseguito un balzo bipodalico ver-so l’alto accompagnato da un contro movimento (Esercizio n° 21). Cosa avviene in realtà nel no-stro organismo, di visibile? Diventano più piccoli gli angoli tra i segmenti che costituiscono il corpo: tra il piede e la gamba, tra la gamba e la coscia, tra la coscia e il bacino. Si dice che si riducono gli angoli alle articolazioni, gli angoli articolari. Devono essere riduzioni plurime e marcate ed ovviamente coordinate (cioè devono interessare marcatamen-te tutte le articolazioni che abbiamo considerato) per avere effetti consistenti e macroscopici: mi stacco molto da terra (il massimo che posso fare, per esempio, con il vincolo della gravità che ho). Posso poi, (Esercizio n° 22) effettuare un balzo bipodalico verso l’alto senza contro movimento, cioè, senza il piegamento, ma solo spingendo ver-so l’alto da una determinata posizione di partenza. Riflessioni: quale è la differenza tra le due modali-tà? Proviamo ancora. In quale delle due si balza di più? Proviamo nuovamente. Quale è il ruolo degli arti superiori? Proviamo un’altra volta. Quale delle due rappresenta di più i gesti delle varie attività sportive? Ma, soprattutto, quale delle due moda-lità esecutive predilige il nostro sistema nervo-so? Possiamo provare a riflettere un poco. Posso

PASQUALEBELLOTTI([email protected];[email protected]), medico, esperto dimovimento e diallenamento,insegnaattualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM.Molti libri e moltiarticoli al suo attivo.È anche Presidentede L’Amàca Onlus,associazione connumerosi progetti di assistenza e disupporto in Africa(ed in Italia):www.amacaonlus.org.

GIOACHINOKRATTERGià Coordinatore Tecnico della SUISM di Torino (1999-2012), docente esperto in Metodologia del Movimento Umano per le attività motorie e sportive, si interessa delle persone che si muovono. Promuove l’attività di Ricerca nella scienze motorie e sportive, collaborando con giovani laureati e dottorandi, allenatori, dirigenti. Allenatore di atleti di alto livello in diverse specialità sportive e di campioni olimpici nello sci. È il curatore attuale delle Interviste di S&C.

asi del movimento. L’esperienza di moto (seconda parte)Ovvero: per una grammatica del moto. Primi passi nel movimento sia “fatto” sia “pensato e meditato”, con riflessioni e spunti (sia prima che dopo)

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Pasquale Bellotti, Gioachino Kratter, Giovanni Di Maio, Enrico Maffaei

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Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un enorme sviluppo delle pubblicazioni cosiddette “open ac-cess”, sia per quello che riguarda i libri, sia per ciò che concerne le riviste scientifiche. Il fatto in sé non dovrebbe essere altro che positivo, la diffu-sione della scienza non dovrebbe infatti conoscere limiti. Soprattutto limiti di usufruibilità, dettati da costi eccessivi. Troppe riviste prestigiose hanno infatti costi proibitivi, soprattutto per gli studen-ti o i giovani ricercatori, che debbono far quadrare il bilancio personale o familiare con borse di studio che di poco superano i 1000 Euro mensili (sic). Ben venga l’open access quindi, se serve a far cir-colare la scienza a buon mercato, anzi… gratis.

Mi ricordo ancora che la prima volta che aderii ad un progetto editoriale di questo tipo, fu per una casa editoriale oggi molto nota (Intech Edition), ma che all’epoca – comunque solamente qualche anno fa, ciò proprio a dimostrazione dell’incre-dibile boom che questo tipo d’iniziativa ha cono-sciuto – tentava di lanciarsi sul mercato con uno slogan che recitava “Open Science open minds”. Ne fui affascinato e ne abbracciai in pieno gli in-tenti. Non me ne pentii mai. Purtroppo, oggi vedo dei nuvoloni neri addensarsi all’orizzonte. Troppe riviste scientifiche open access mostrano un inte-resse rivolto solamente al contributo economico richiesto agli autori per la pubblicazione e per la procedura di peer review, che però spesso non viene mai effettuata. È di questa opinione infatti John Bohannon, biologo e giornalista scientifico, collaboratore della prestigiosa rivista “Science”, che è giunto a tale conclusione dopo aver inviato a ben 304 riviste open access un articolo con gravi carenze metodologiche, tali da non poter passare inosservate ad un qualsiasi esperto del settore. Nonostante ciò, solamente 98 riviste ne hanno rifiutato la pubblicazione, mentre ben 157 lo han-no accettato senza batter ciglio, o per essere più precisi, senza fare, nella maggior parte dei

casi, alcun rilievo di tipo scientifico e limitando-si tutt’al più a qualche osservazione inerente alla forma linguistica. Le restanti 49 testate non han-no invece risposto, nella maggior parte dei casi i siti di riferimento sono risultati abbandonati. Che nell’ambito dell’open access si nasconda anche un mondo sommerso di profittatori che nulla hanno a che fare con la scienza e la sua divulgazione? Sembrerebbe proprio di sì. Molte riviste chiedono agli autori degli articoli, dei capitoli o dei libri un contributo più o meno consistente alle spese per la peer review, che però spesso non viene, di fat-to, effettuata. Oltre a ciò, talvolta la sede della rivista e, ovviamente, dei suoi redattori e revisori non sono rintracciabili, come pure introvabile ri-sulta la localizzazione dei conti correnti su cui finiscono i cosiddetti “contributi alla pubblicazio-ne”.

Bohannon ha anche scoperto che, contrariamen-te ai riferimenti geografici insiti nel nome stesso della testata - come ad esempio “American Jour-nal of...” oppure “European Journal of...” – questi ultimi niente avrebbero in effetti a che fare con la presunta locazione geografica suggerita, che invece si troverebbe nella maggior parte dei casi in Paesi emergenti, in particolare India, Turchia e Pakistan. Il che comunque non significa necessa-riamente che le società che, in ultima analisi, rac-colgono i profitti non si trovino realmente in Euro-pa o negli Stati Uniti. Ed allora perché avere sede altrove? E soprattutto perché in Paesi dove è più agevole sfuggire ad un rigoroso controllo fiscale?

Ma non sempre è così, alcune riviste open access hanno superato a pieni voti l’esame, dando prova di serietà e competenza nello svolgimento della loro mission. Come vi dicevo, nemmeno io me ne sono mai pentito e spero sinceramente di poter continuare a farlo (i.e. non pentirmene) anche in futuro.

Gian Nicola Bisciotti

GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FIFA Center, Doha (Q).Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, La Spezia (I), Responsabile recupero infortunati FC Internazionale (Mi).

pen access sì, open access no…

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PROTOCOLLO S.F.E.R.AIL

Giuseppe Vercelli

GIUSEPPEVERCELLIPsicologo e psicoterapeuta, è responsabile dell’area psicologica della FISI e della FICK. Ha partecipato alle Olimpiadi Invernali di Torino e ai Giochi Olimpici di Pechino, di Vancouver e di Londra, in qualità di psicologo ufficiale del CONI. È consulente per Juventus F.C. e responsabile scientifico del Centro Studi di Juventus University. Docente di Psicologia dello Sport e della Prestazione Umana e di Psicologia Sociale presso la SUISM di Torino. Dirige l’Unità Operativa in Psicologia dello Sport del Centro di Ricerche in Scienze Motoriee sportive. È docente di Coaching presso la Scuola di Amministrazione Aziendale (SAA) di Torino. Presso la Bocconi di Milano, ha coordinato il corso di Psicologia dello sport.

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Questo lavoro si pone l’obiettivo di identificare e definire in breve le diverse fasi di un intervento di ottimizzazione psicologica della performance sportiva. L’obiettivo è quello di fornire al lettore una visione di sintesi della procedura professio-nale, utilizzata per favorire e allenare il miglior stato mentale in occasione di una prestazione sportiva.Basato sui presupposti teorici del Costruttivi-smo e della Psicologia della Prestazione Umana, il modello di riferimento è S.F.E.R.A., un modello unico di analisi e di intervento sulla prestazione, sviluppato negli anni all’interno dell’Unità Opera-tiva di Psicologia dello Sport del Centro Ricerche in Scienze Motorie, SUISM Università degli Studi di Torino, ad opera del prof. Giuseppe Vercelli e dei suoi colleghi.Il modello S.F.E.R.A. è stato presentato alla co-munità scientifica internazionale in occasione del XXII Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport a Marrakech, nel giugno 2009.L’esperienza e l’applicazione del modello S.F.E.R.A. nel corso degli anni ha permesso di consolidare, rivedere e perfezionare il modello stesso, in un’ot-tica di continuo miglioramento, consentendoci di arrivare a sintetizzare in 8 passaggi chiave l’inte-ro processo di ottimizzazione.Il protocollo è convenzionalmente suddiviso in 8 fasi che non obbligatoriamente corrispondono a 8 sedute: rappresentano i successivi passaggi di un

percorso completo, dove ciascuna fase può esse-re dilazionata in uno o più incontri a discrezione del professionista, alla luce delle specifiche con-tingenze. Il protocollo non va inteso come rigida e limitante procedura, ma al contrario come guida, traccia da seguire, adattabile in modo flessibile a ogni singola situazione.La sequenza del protocollo rispetta le 4 fasi del Ciclo PDCA (o “Ruota di Deming”): analisi, ottimiz-zazione, verifica e mantenimento nel tempo.

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Fra pratiche esclusivamente riproduttive ed altre randomizzate o miste. La maggiore evidenza è la crescita di stakeholders e competitors nel panora-ma sportivo internazionale, sia nelle età della ma-turità che in quelle giovanili. Molti attori giungono da Paesi che si sviluppano, crescono, sono orien-tati al cambiamento: questi atleti hanno fame ed entusiasmo ammirabile, ma praticano anche con grande generosità e fantasia. Se spostiamo il tar-get della nostra osservazione ai praticanti conti-nuativi nel complesso, si forma l’idea di persone che finalizzano la pratica alla competizione con contenuta disponibilità rispetto alle competenze del movimento. È un “limite” noto già negli anni ‘80 del secolo scorso cui è stata riconosciuta, paradossalmente, sempre meno attenzione no-nostante il progredire della società e del valore riconosciuto a stili di vita attivi. Abbiamo sempre più giovani specialisti con poche possibilità di tra-sferire le proprie abilità per via di questo incerto background motorio. È bene che vi siano tanti pra-ticanti: forse però sarebbe preferibile potessero spendere meglio il tempo dedicato, con qualche competizione in meno e qualche esperienza in più.Se poi lo spettro di indagine si dovesse ulterior-mente ampliare a tutti i nostri giovani concitta-dini. Allora dovremmo rilevare il sensibile cam-biamento rispetto al passato: sono ormai sem-pre più allenati ed abili in tutte le situazioni della stazione seduta! La loro alfabetizzazione è ormai sempre più emergenza educativa e di salute pub-blica. Attenzione però non mi riferisco soltanto al loro diretto impegno di movimento, ma anche e soprattutto ad una rinnovata sensibilità degli adulti che di bambini si occupano: cioè insegnanti,

tecnici dello sport, operatori di altri settori, edu-catori, genitori. Ricreando luoghi e tempi di ag-gregazione spontanea, di confronto relazionale, di sperimentazione motoria. Interpretare la missio-ne di educatore significa farsi carico di riflessioni, scelte, decisioni, attività al servizio delle persone. Tutte le persone che hanno responsabilità educa-tive convergono nel sostenere l’importanza ed il valore del movimento per la crescita e lo sviluppo delle persone: però debbono poi mettersi la tuta e accompagnare i ragazzi a praticare anche spon-taneamente in palestra, in campagna, in monta-gna, in piscina.

(D4) Se ritiene quindi gli adulti vero target di una strategia politica ed organizzativa per il movimento, attraverso la sua esperienza quali indicazioni si sentirebbe di suggerire a coloro i quali possono assumere delle decisioni?

(R4) Beh, non credo di essere depositario di ricet-te, oppure di avere un coniglio da estrarre dal ci-lindro. Penso poi vi siano persone assolutamente qualificate a contribuire a definire delle proposte.È vero però che insieme ad alcuni colleghi, grazie anche ad illuminate passate scelte del Comitato Olimpico, ho potuto confrontarmi, sperimentare, osservare. Qualche impressione posso aver tratto.Suggerirei quindi ai nostri decision makers di chie-dere conto anche semplicemente di quanto tempo viene dedicato all’attività motoria (non solo quella strutturata, ma anche quella spontanea) da parte dei propri cittadini e di mettere in relazione questi dati con quelli riferiti ad altre attività (studio, la-voro, relazioni, utilizzo di tecnologie, …).

6 DOMANDE E 6 RISPOSTE - “LE ESPERIENZE FANNO CRESCERE E CI INDUCONO A STUDIARE”LA PROFESSIONE

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siano ancora così. Ma siamo certi, anche per le motivazioni sopra esposte, che sulle attuali basi giuridico - organizzative, ci possa essere ancora sviluppo per le nostre società e as-sociazioni sportive?

Il Jobs ActTorniamo alla attualità.Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 20/02/2015, ha approvato i primi decreti legislativi in attuazione della L. n. 183/2014 (meglio nota come “Jobs Act”). La previsione di specifico interesse per il mondo dello sport è contenuta nello schema di decreto legislativo (“Testo orga-nico semplificato delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni”) che, al momento, è stato esaminato dal CdM solo in via preliminare (l’approvazione in via definitiva avverrà dopo il parere non vincolante delle competenti Com-missioni parlamentari). Pertanto, sono ancora possibili, ma improbabili, modifiche a quanto di seguito riporteremo.A partire dall’entrata in vigore del decreto, non potranno più essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro sca-denza). All’art. 47 dello schema di decreto viene previsto che, a far data dal 1° gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione perso-nali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. La norma fa, però, salve alcune tipologie di collaborazioni tra

cui “le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affi-liate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e discipli-nati dall’articolo 90 della legge 27 di-cembre 2002, n. 289”.Per le “vecchie” collaborazioni coor-dinate continuative (senza necessità di progetto) rese in favore di ASD/SSD non ci sarà, dunque, il rischio di una trasformazione in rapporti di lavoro dipendente (con ogni conse-guente tutela anche sotto il profilo previdenziale ed assistenziale). Fermo un necessario approfondimento, può comunque affermarsi che si tratta di un altro passo verso il riconoscimento della specificità delle prestazioni rese in ambito sportivo dilettantistico. Resta da capire, però, come le colla-borazioni in questo ambito possano mantenere una loro piena legittimità costituzionale, laddove le si ritenesse rientranti sic et simpliciter nell’ambito di applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. m TUIR (c.d. € 7.500) che, come noto, non prevede alcun tipo di con-tribuzione.Lo stesso decreto prevede, inoltre, il superamento dei contratti di associa-zione in partecipazione (sin qui adope-rati, ad esempio, per la gestione dei posti di ristoro), modifiche in materia di voucher (elevato il tetto a € 7.000), part-time (clausole elastiche e flessibi-li) e possibilità di variazione nelle man-sioni di un lavoratore fino ad un deter-minato livello senza modificare il suo trattamento economico (salvo trat-tamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimento del lavoro).Si sta correndo il rischio di perdere una buona occasione per fare una disciplina organica del lavoro nello sport.

DAL JOBS ACT PIÙ PROMESSE CHE REALI NOVITÀ E QUALCHE ALTRA CONSIDERAZIONE SPARSALA PROFESSIONE

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