Pagine da Strength & Conditioning 14

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S&C STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno IV - Numero 14 / Ottobre-Dicembre 2015 5 S&C (Ita) n.14, Ottobre-Dicembre 2015, pp. 5-11 La vita ha avuto origine nell’acqua e ha usato l’ac- qua per la sua evoluzione. Non conosciamo for- me di vita in assenza di acqua e non conosciamo strutture viventi che non utilizzino l’acqua per il loro funzionamento. Da sempre desideriamo sape- re se la terra è l’unico posto abitato dell’Universo e abbiamo costruito strumenti sempre più sofi- sticati per cercare tracce di vita in mondi sempre più lontani nello spazio. Abbiamo costruito radio- telescopi capaci di captare eventuali messaggi da extraterrestri, ma soprattutto abbiamo sviluppa- to tecnologie capaci di identificare la presenza di acqua in pianeti lontanissimi, convinti che solo la presenza di acqua può fare ipotizzare la vita. La Terra vista dallo spazio appare azzurra per la grande quantità di acqua presente sulla sua su- perficie, eppure quando è nata, circa 4 miliardi e seicento milioni di anni fa, non aveva acqua! Per molto tempo, si è creduto che l’acqua fosse com- parsa nel corso di milioni di anni come conseguen- za del progressivo raffreddamento del pianeta e delle reazioni chimiche che hanno accompagnato la sua evoluzione geologica. Negli ultimi anni, si è fatta strada la teoria che l’acqua sia arrivata sulla Terra dallo spazio portata dalle comete, corpi celesti ricchissimi di acqua: circa il 50% della loro massa. Si è calcolato che la cometa Hale-Bopp, molto ammirata nella primavera del 1997, con- tenga miliardi di tonnellate di acqua e che l’impat- to con la terra di 14000 comete (numero non in- verosimile, considerando uno spazio temporale di miliardi di anni) possa far arrivare metà dell’acqua contenuta negli oceani. Lo studio della composi- zione dell’acqua, formula H 2 O, cioè due atomi di Idrogeno (H) e uno di Ossigeno (O), ha però ridotto l’importanza delle comete. Gli atomi di Idrogeno, in effetti, non sono tutti uguali, presentandosi con piccole differenze dette isotopi e gli isotopi contenuti nell’acqua terrestre solo in minima par- te sono quelli presenti nell’acqua delle comete. Si calcola che le comete abbiano contribuito per meno del 5% al contenuto idrico totale. Diversa la storia degli isotopi dell’acqua contenuta negli asteroidi della cintura esterna del nostro siste- ma solare, in quanto essi contengono acqua della stessa composizione di quella terrestre. Grazie all’uso di satelliti artificiali si è potuto dimostrare che corpi ghiacciati di 20-40 tonnellate si disin- tegrano a centinaia di migliaia ogni anno al loro ingresso nella atmosfera terrestre, riversando enormi quantità di acqua sotto forma di vapore. La vita ha avuto bisogno dell’acqua per nascere ed ha continuato ad usare questo elemento in tutte le tappe della sua evoluzione. L’acqua svolge numerose funzioni, in quanto è: materiale costitutivo del nostro organismo: dal momento del concepimento e per tutta la nostra vita, l’acqua rappresenta in percen- tuale il maggior costituente del nostro corpo; solvente: in essa, sono disciolti sali, zuccheri, acidi e tutto ciò che deve essere mantenuto in precise concentrazioni; mezzo per le reazioni chimiche; trasportatore di nutrienti e di prodotti di scarto, termore- golatore, lubrificante e antiurto. SIAMO FATTI DI ACQUA In media, il nostro corpo è composto per oltre il 60% di acqua. Al momento del concepimento, il primo abbozzo di cellule che diventerà poi un bam- bino contiene oltre il 90% di acqua. Con l’andare avanti degli anni, diventiamo sempre meno “liqui- di”, come se l’invecchiamento fosse legato alla perdita del prezioso liquido. L’ACQUA (prima parte) ANCHE I PESCI BEVONO ma non tutti! Menotti Calvani La macchina che c’è in me MENOTTI CALVANI Medico, specializzato in neurologia, farmacologia clinica oltre che in tossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana. Ha pubblicato oltre 200 articoli scientici su riviste internazionali prevalentemente sui temi del metabolismo, sui mitocondri e sulle patologie degenerative. Figura n°1 - a) La cometa Hale-Bopp, fotografata nei nostri cieli nella primavera del 1997, aveva un nucleo di 50 Km!, una massa enor- me per il 50% costituita da acqua. b) Il 12 novembre 2014, la sonda spaziale Rosetta fa atterrare il suo lander sulla cometa 67P/Churyu- mov-Gerasimenko, conferma la presenza di acqua, ma la sua com- posizione è differente dalla maggior parte dellacqua presente sulla Terra. c ) Il satellite artifi ciale Polar (1996-2008) ha evidenziato miglia- ia di impatti con la nostra atmosfera, ogni anno, di piccoli asteroidi composti da 20-40 tonnellate di ghiaccio. Il ghiaccio degli asteroidi è risultato uguale per composizione allacqua presente sulla Terra. a b c

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La vita ha avuto origine nell’acqua e ha usato l’ac-qua per la sua evoluzione. Non conosciamo for-me di vita in assenza di acqua e non conosciamo strutture viventi che non utilizzino l’acqua per il loro funzionamento. Da sempre desideriamo sape-re se la terra è l’unico posto abitato dell’Universo e abbiamo costruito strumenti sempre più sofi-sticati per cercare tracce di vita in mondi sempre più lontani nello spazio. Abbiamo costruito radio-telescopi capaci di captare eventuali messaggi da extraterrestri, ma soprattutto abbiamo sviluppa-to tecnologie capaci di identificare la presenza di acqua in pianeti lontanissimi, convinti che solo la presenza di acqua può fare ipotizzare la vita.La Terra vista dallo spazio appare azzurra per la grande quantità di acqua presente sulla sua su-perficie, eppure quando è nata, circa 4 miliardi e seicento milioni di anni fa, non aveva acqua! Per molto tempo, si è creduto che l’acqua fosse com-parsa nel corso di milioni di anni come conseguen-za del progressivo raffreddamento del pianeta e delle reazioni chimiche che hanno accompagnato la sua evoluzione geologica. Negli ultimi anni, si è fatta strada la teoria che l’acqua sia arrivata sulla Terra dallo spazio portata dalle comete, corpi celesti ricchissimi di acqua: circa il 50% della loro massa. Si è calcolato che la cometa Hale-Bopp, molto ammirata nella primavera del 1997, con-tenga miliardi di tonnellate di acqua e che l’impat-to con la terra di 14000 comete (numero non in-verosimile, considerando uno spazio temporale di miliardi di anni) possa far arrivare metà dell’acqua contenuta negli oceani. Lo studio della composi-zione dell’acqua, formula H2O, cioè due atomi di Idrogeno (H) e uno di Ossigeno (O), ha però ridotto l’importanza delle comete. Gli atomi di Idrogeno, in effetti, non sono tutti uguali, presentandosi con piccole differenze dette isotopi e gli isotopi contenuti nell’acqua terrestre solo in minima par-te sono quelli presenti nell’acqua delle comete. Si calcola che le comete abbiano contribuito per meno del 5% al contenuto idrico totale. Diversa la storia degli isotopi dell’acqua contenuta negli asteroidi della cintura esterna del nostro siste-ma solare, in quanto essi contengono acqua della stessa composizione di quella terrestre. Grazie all’uso di satelliti artificiali si è potuto dimostrare

che corpi ghiacciati di 20-40 tonnellate si disin-tegrano a centinaia di migliaia ogni anno al loro ingresso nella atmosfera terrestre, riversando enormi quantità di acqua sotto forma di vapore.

La vita ha avuto bisogno dell’acqua per nascere ed ha continuato ad usare questo elemento in tutte le tappe della sua evoluzione. L’acqua svolge numerose funzioni, in quanto è:• materiale costitutivo del nostro organismo:

dal momento del concepimento e per tutta la nostra vita, l’acqua rappresenta in percen-tuale il maggior costituente del nostro corpo;

• solvente: in essa, sono disciolti sali, zuccheri, acidi e tutto ciò che deve essere mantenuto in precise concentrazioni;

• mezzo per le reazioni chimiche; trasportatore di nutrienti e di prodotti di scarto, termore-golatore, lubrificante e antiurto.

SIAMO FATTI DI ACQUAIn media, il nostro corpo è composto per oltre il 60% di acqua. Al momento del concepimento, il primo abbozzo di cellule che diventerà poi un bam-bino contiene oltre il 90% di acqua. Con l’andare avanti degli anni, diventiamo sempre meno “liqui-di”, come se l’invecchiamento fosse legato alla perdita del prezioso liquido.

L’ACQUA(prima parte)

ANCHE I PESCI BEVONOma non tutti!Menotti Calvani

La macchina che c’è in me

MENOTTI CALVANIMedico, specializzatoin neurologia,farmacologia clinica oltre che intossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana.Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifi ci su riviste internazionaliprevalentemente sui temi delmetabolismo, suimitocondri e sullepatologiedegenerative.

Figura n°1 - a) La cometa Hale-Bopp, fotografata nei nostri cieli nella primavera del 1997, aveva un nucleo di 50 Km!, una massa enor-me per il 50% costituita da acqua. b) Il 12 novembre 2014, la sonda spaziale Rosetta fa atterrare il suo lander sulla cometa 67P/Churyu-mov-Gerasimenko, conferma la presenza di acqua, ma la sua com-posizione è differente dalla maggior parte dell’acqua presente sulla Terra. c ) Il satellite artifi ciale Polar (1996-2008) ha evidenziato miglia-ia di impatti con la nostra atmosfera, ogni anno, di piccoli asteroidi composti da 20-40 tonnellate di ghiaccio. Il ghiaccio degli asteroidi è risultato uguale per composizione all’acqua presente sulla Terra.

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L’EVOLUZIONE DEL TRAINING DI CONDIZIO-NAMENTO ECCENTRICO NELLA TENDINOPA-TIA DEL TENDINE ROTULEO (TR).

Gli esercizi eccentrici intesi come base fonda-mentale del lavoro conservativo della tendinopatia del TR, sono stati per la prima volta proposti da Curwin e Stanish nel 1984. Il programma pro-posto dai due Autori era sostanzialmente basato sull’esercizio di “drop squat” mostrato in figura 5. Sebbene gli esercizi eccentrici siano stati uti-lizzati a partire da circa la metà degli anni ’80 dello scorso secolo, questi ultimi non hanno ri-scosso un vero e proprio generale interesse sino alla pubblicazione degli studi di Alfredson e coll. (1998). Il metodo proposto da Alfredson e coll., anche se specificatamente dedicato al tendine di Achille, prevedeva un concetto totalmente nuovo di esercizio eccentrico rispetto a quello proposto

da Curwin e Stanish (1984). Gli esercizi propo-sti nel protocollo di Alfredson venivano effettuati attraverso un’esecuzione lenta e controllata e resi progressivamente più impegnativi, non da un incremento della velocità esecutiva come prece-dentemente proposto da Curwin e Stanish, ma attraverso un aumento del carico. Inoltre, il pa-ziente era invitato ad eseguire il piano di lavoro an-che in presenza di una certa sintomatologia algica avvertita durante il lavoro stesso. L’accettazione da parte della comunità scientifica dei protocolli di Alfredson stimolò la ricerca di un adattamento di questi ultimi anche nell’ambito della tendinopatia del TR.

Cannell e coll. (2001) effettuarono un randomized clinical trial che comparava il drop squat exercise, effettuato secondo il metodo proposto da Curwin e Stanish (1984), con gli esercizi di leg extension

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GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FIFA Center, Doha (Q).Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, La Spezia (I), Responsabile recupero infortunati FC Internazionale (Mi).

E TENDINOPATIE DEL ROTULEO: ANATOMIA, FISIOLOGIA E TRATTAMENTO

L SECONDA PARTE

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FABIO BAGARELLOProfessore Ordinario di Fisica Matematica, Dipartimento dell’Energia, Ingegneria dell’Informazione e Modelli Matematici, Università degli Studi di Palermo.

Fabio Bagarello, Francesco Gargano, Francesco Oliveri, Salvatore Spagnolo

OMPLESSITÀ E SPORTC

FRANCESCO GARGANO Assegnista di ricerca presso il Consiglio Nazionale della Ricerca, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (CNR-IAMC).

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5LA TEORIA DELLA COMPLESSITÀE I SUOI FONDAMENTIGli ultimi decenni hanno visto una sempre più crescente diffusione, sia nell’ambito delle scien-ze empiriche che in quello delle scienze sociali, di tecniche e strumenti matematici per l’investiga-zione dei cosiddetti sistemi complessi [1, 2, 3, 4, 5, 6, 22, 23].Provare a definire in maniera univoca e onnicom-prensiva il fenomeno della complessità è anco-ra oggi impresa ardua sia perché l’argomento è troppo “giovane” dal punto di vista epistemologi-co, sia per la sua trasversale applicazione ad una molteplicità di ambiti che ha determinato la nasci-ta di diverse scuole di pensiero. Nondimeno, per fissare le idee, possiamo tentare di mettere in evidenza, senza la pretesa di essere esaustivi, al-cuni aspetti peculiari comuni. I sistemi complessi hanno relazioni diffuse fra parti componenti etero-genee che interagiscono localmente; sono privi di qualsiasi controllore generale che governi o utilizzi

le interazioni fra le parti per pilotare l’evoluzione del sistema verso una qualche forma di obiettivo precostituito; possiedono un’organizzazione più orizzontale che gerarchica, con molti tipi di inter- e retro-azione; sono soggetti a un continuo adat-tamento attraverso processi di evoluzione delle singole parti; manifestano dinamiche che si tro-vano in stati molto spesso lontano dall’equilibrio, o che possono prevedere molti stati di equilibrio o anche nessun equilibrio; sottoposti a stimoli esterni nuovi, reagiscono creando dinamiche nuo-ve, a priori del tutto imprevedibili e ingovernabili. In sintesi, in un sistema complesso il tutto è maggio-re della somma delle parti. Nella pratica comune, succede molto spesso di incontrare un sistema complesso. Ad esempio, sotto alcune condizioni, possiamo osservare manifestazioni di dinamiche complesse nel traffico di una città, in una folla di persone, nello sviluppo urbanistico di una città, nei sistemi meteorologici, in uno stormo di uccelli o in un termitaio, nei mercati azionari, nel sistema

Complessità e sport,

ma anche complessità e

movimento, complessità

ed allenamento.

Cominciamo un cammino,

anzi proviamo a cominciare e

vediamo se ci porta,

come dovrebbe,

lontano.

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JAY R. HOFFMANè professore in Sport and Exercise Science program presso l’Università della Florida centrale. È attualmente Capo dipartimento dell’Education and Human Sciences e direttore dell’Institute of Exercise Physiology and Wellness, oltre che membro della American College of Sports Medicine e della National Strength and Conditioning Association (NSCA). Il Dr. Hoffman ha pubblicato oltre 200 articoli e ha partecipato a più di 380 conferenze e convegni nazionali ed internazionali.

asi scientifi che perl’allenamento della potenza

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Jay R. Hoffman, Ph.D., FNSCA, FACSM

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In genere, i soggetti che non hanno una precedente esperienza dell’allenamento con sovraccarichi andran-no incontro a notevoli aumenti della forza nelle fasi iniziali di un programma di allenamento. Via via che i livelli di forza migliorano, il soggetto potrebbe anche vedere migliorare altre componenti della prestazione atletica relative alla potenza, come l’altezza del salto e la velocità. Ciò è principalmente dovuto alla capacità dell’atleta di produrre una maggiore quantità di forza. Quando l’atleta diventa più forte e più esperto, il tas-so di sviluppo della forza diminuisce e alla fine raggiun-ge un plateau (Hoffman et al., 2014). A questo pun-to, non solo i miglioramenti della forza diventano più difficili da raggiungere, ma il miglioramento della forza massimale potrebbe non offrire lo stesso stimolo per potenziare la prestazione di potenza come avveniva durante le fasi iniziali dell’allenamento.

Un fattore importante per massimizzare la produzio-ne di potenza è esercitare quanta più forza possibi-le in un breve lasso di tempo. Allenarsi per la forza massimale mediante l’allenamento con sovraccarichi pesanti può essere efficace per migliorare la potenza nell’atleta inesperto, ma non offre lo stesso stimolo agli atleti che hanno già esperienza nell’allenamento contro resistenza. Per questi atleti, se al programma di allenamento vengono aggiunti esercizi pliometrici o una combinazione di allenamento pliometrico e allena-mento contro resistenza (che fa uso di sovraccarichi leggeri come quelli che potrebbero essere usati nell’al-lenamento balistico) la capacità dell’atleta di aumen-tare il tasso di sviluppo della forza può risultare mag-giore. Tuttavia, è anche importante capire che non si tratta di eseguire una modalità di allenamento invece di un’altra, quanto piuttosto di aggiungere qualcosa al programma di allenamento esistente. Al fine di mante-nere la prestazione di forza, l’atleta deve continuare a fornire lo stimolo che mantiene la prestazione di forza

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Come disse un mio caro collega una volta: “Se desideri risultati diversi devi usare un sistema diverso”. Sono d’accordo ma, se possibile, non vorrei avere solo risultati di-versi, vorrei avere anche risultati migliori. E per risultati migliori intendo in particolare risultati migliori ottenuti in modo naturale.

Esiste un tale sistema? Se esiste, che aspetto ha?

Fondamentalmente, sono 3 i fattori che con-tribuiscono a un incremento della prestazio-ne nello strappo (snatch) e nello slancio e strappo (clean & jerk) in combinazione.

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n approccio diverso Pensare in maniera non convenzionale

U

Questo articolo è un riconoscimento a Josef Schnell, il mio ex allenatore tedesco, che è deceduto il 26 settembre 2010. Egli ha avuto una grande infl uenza sulla mia vita come pesista e come maestro. Lo ringrazio per avere condiviso con me la sua vasta conoscenza.“

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EDOARDO PITTALUGALaurea Magistrale in Scienza dello Sport, Facoltà di Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano.

l Balance Training e la Forza: dalla ricerca alle ricadute operativeI

Edoardo Pittaluga

L’argomento “equilibrio” o meglio l’allenamento della capacità di equilibrio, come del resto quello della forza, è senza dubbio importante; e non solo per gli atleti in tutte le loro “età agonistiche”, ma anche per chi vuole solo contrastare e cercare di limitare alcune conseguenze dell’invecchiamento.Per gli atleti, rappresenta un mezzo per migliorare la performance, per prevenire possibili infortuni e ridurre il rischio di re-infortuni. Eventi, questi, molto probabilmente legati ad asimmetrie (anche funzionali?) dell’uso prevalente di un lato del corpo. Più in generale, l’allenamento in condizioni di disequilibrio stimola la “core stability” che - a sua volta - concorre a limitare l’incidenza del rischio di infortuni e, soprattutto, crea vantaggio nelle esecu-zioni tecniche specifiche, tipiche degli sport di squadra, caratterizzati e condizionati dalla presenza continua del “contatto agonistico”.In età evolutiva, il balance training ha lo scopo di integrare la fase di costruzione motoria. In età adulta e anziana serve, se praticato regolarmente, a mantenere attive ed anzi adeguatamente sup-

portare alcune capacità gestuali che fanno parte della vita di tutti i giorni.L’argomento forza-equilibrio è stimolante per meglio comprendere quale sia, se esiste, la relazione tra le capacità di equilibrio e di forza. Studiare questa relazione aiuterebbe a capire se migliorare l’equilibrio vuol dire migliorare anche la forza e se questo vale in tutte le età e in tutte le età agonistiche o, invece, è circoscritto ad alcune categorie di sog-getti, dove il miglioramento di una della due capacità influisce positivamente anche sull’altra e, infine, se i miglioramenti raggiunti restano tali anche in condizioni di affaticamento.Studiare la relazione tra equilibrio e forza servirebbe anche a capire se, in situazione di disequilibrio (evenienza tipica degli sport di squadra e in particolare del calcio: condizioni del terreno, situazioni di gioco, contrasto con l’avversa-rio….), un atleta forte, ma con poco equilibrio, sia effettivamente meno capace di esprimere forza (e quindi, per esem-pio, saltare meno … ) di un atleta meno forte, ma dotato di maggiore equilibrio. Indagare sulla relazione tra equilibrio e forza potrebbe confermare se la pratica dei due stimoli, possa essere asso-ciata al medesimo esercizio o, come alcuni autori rilevano, durante il lavoro muscolare in condizioni di disequilibrio, la muscolatura del tronco risulti maggiormente attivata, ma forza, velocità e potenza espresse diminuiscano, in quanto verrebbe privilegiato il controllo del movimento.Buona parte degli interrogativi presentati (e non ci sembra poco) trova risposte e trova spunti e trova occasioni di riflessioni in questa bella rassegna della letteratura specialistica, che affidiamo – ancora una volta – al lettore accorto, perché vi rinvenga tutto il buono che vi è contenuto.

Giampietro AlbertiDipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Scuola di Scienze Motorie - Università degli Studi di Milano

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5. IL MONOCICLO. DIVAGAZIONI SUL TEMA.

“La propriocezione rappresenta la capaci-tà di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di

contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista.

È resa possibile dalla presenza di specifici recettori, sensibili alle variazioni delle posture del corpo e dei segmenti corporei, che inviano i propri segnali ad alcune particolari aree encefali-che.” (Da Wikipedia).

Quella strana bicicletta senza una ruota è senz’altro l’attrezzo ginnastico più interessan-te mai pensato. Peccato non risponda alle “ge-neralità” proprie dell’attrezzo allenante, alme-no, così come noi siamo abituati ad accettarlo.

Noi umani ci fermiamo alla bicicletta, tra mo-dernariato e fantascienza, indecisi tra un comu-ne antiquato mezzo di trasporto e un velocipede aerodinamico, partorito dalla galleria del vento. Il monociclo lo lasciamo agli equilibristi, agli ar-tisti di strada, dimenticando quanto noi stessi siamo in realtà e equilibristi e artisti di strada.Eppure, pedalare su due ruote sottili, rincor-rendo questo baricentro, a cui tanto fatico-samente avevamo insegnato come “stare in piedi”, è un gran bell’esercizio. Ora, se ci pen-siamo bene, la bicicletta è una conquista pro-priocettiva. È un agone a cui non eravamo stati preparati. Ripensiamoci. Noi bambini, e nessuno a cui venga in mente di avvisarci, che la sfida non è cosa da poco, che la sfida è totale, peri-colosa; e graffiante.

Prima due ruote grandi e due ruotine che da dietro ci puntellano il sedere; poi due ruote e

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ALBERTO ANDORLINIDopo una lunga esperienza come Insegnante di Educazione Fisica, è oggi Preparatore Atletico e Riabilitatore. La sua attività si lega da sempre all’interesse per l’evoluzione del Movimento e per lo sviluppo della Performance. Ha lavorato per A.C. Fiorentina, A.C. Siena, Al Arabi Sports Club, Chelsea f.C. e Nazionale femminile Calcio in qualità di Terapista e Preparatore Atletico.Attualmente è Riabilitatore presso l’U.S.Palermo.Collabora con il Training Lab di Firenze e svolge attività didattica nel corso di Laurea in Scienza e Tecnica dello Sport e delle Attività Motorie Preventive e Adattative dell’Università di Firenze.

Nuovo lavoro di Andorlini:

sugli esercizi di riscaldamento che non sono i

classici esercizi di riscaldamento, ma

moderni esercizi di pensiero che

riscaldano la mente. Legga il lettore, legga:

non se ne pentirà.

SERCIZI DI RISCALDAMENTOE SECONDA PARTE

(Sono veri esercizi di riscaldamento, un allenamento mentale, per prepararci a quello che rimane del nostro mestiere quotidiano)

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Per la prima volta ci presentiamo, onorati dell’in-vito a farlo, su questa bella rivista dedicata al mo-vimento – espressione della forza muscolare – e all’allenamento - non della macchina muscolare, ma dell’uomo. Ci presentiamo quindi a lettori che hanno scelto di essere affidatari di un allenamen-to inteso come stile di vita e di etica. Mestiere complesso che richiede sapere, saper fare e sa-per essere. Riteniamo che per svolgere questo mestiere occorra costruire ponti – almeno due tipi di ponte - ed avere il coraggio di fare un’inces-sante spola su di essi.

Il primo tipo di ponte è quello che ci consente di partire dalle evidenze scientifiche per arrivare alla loro applicazione, come anche di partire da un’esigenza emergente dal campo per individuare linee di ricerca con le quali rispondere scientifi-camente a quel bisogno concreto. Purtroppo le evidenze scientifiche, troppo spesso parcellari e iper-specialistiche, fanno perdere di vista ‘l’uomo’ con cui abbiamo a che fare quando alleniamo, per cui difficilmente riusciamo a coglierne i risvolti ap-plicativi e preferiamo rimanere ancorati alle prassi consolidate, senza cercare di ‘andare al di là’.

Il secondo tipo di ponte è quello che dobbiamo percorrere quando alleniamo l’uomo in crescita: vi chiediamo di accompagnarci nel nostro via-vai tra l’attività strutturata di allenamento e il gioco di movimento. Questo percorso da un lato ci con-sente di appurare che non c’è soluzione di conti-nuità fra gioco e allenamento strutturato. Dall’altro ci permette di andare al di là del modello a ‘2F’ (Fitness & Fatness) delle attività motorie per bambini, mirato solo a renderli fisicamente ef-ficienti e a contrastarne il sovrappeso, per proiet-tarci verso un modello che aggiunge ‘3A’: Atten-tion, Affiliation e Affect (Burdette et al., 2005). Vi presentiamo un progetto concreto nato ‘per gioco’, perché è appunto con i giochi di movimen-to che miriamo ad allenare i bambini non solo nel fisico, ma anche nel dominio cognitivo (Attention), sociale (Affiliation) ed emotivo (Affect).

PER ALLENARE L’UOMO PARTIAMO DAL DIRITTO AL GIOCO DEL BAMBINONon siamo certamente né i primi, né gli ultimi che dichiarano di voler sposare un modello olistico di allenamento dell’uomo. La differenza sta nel fatto che il nostro progetto non si ferma all’ispirazione di un’idea. È stato creato, implementato, mes-so alla prova scientificamente con un biennio di ricerca ed è ora pronto per tradursi in azioni so-stenibili anche in contesti diversi da quello in cui è nato. Questo progetto, denominato Joy of Mo-ving, esemplifica concretamente il percorso sui due ponti: partendo da un’esigenza del territorio, abbiamo costruito e sottoposto a verifica scienti-fica un metodo di allenamento olistico dei bambini fondato sui giochi di movimento. Per creare questo progetto, abbiamo preso le mosse dal diritto del bambino al gioco (Dichia-razione dei Diritti del Fanciullo, United Nations Commission on Human Rights, 1959, principio n. 7) ispirandoci, concettualmente ed operativamen-te, alle parole chiave contenute in un Commen-to Generale (n. 17) del Comitato sui Diritti del Fanciullo delle Nazioni Unite (United Nations Com-mittee on the Rights of the Child, 2013): ‘attività strutturate’, ‘gioco spontaneo’, ‘creatività’. Infatti, il metodo educativo che abbiamo sperimentato è centrato sul gioco deliberato (Coté & Hay. 2002), una forma organizzata di attività motoria ludica e creativa, supervisionata e con regole, ma molto variabile e adattabile, che getta un ponte fra il gioco spontaneo del bambino e l’attività sportiva strutturata del ragazzo..

IL GIOCO DI MOVIMENTO: UN DIRITTO DEL BAMBINO, UNA RESPONSABILITÀ DEGLI ADULTIIl progetto Joy of Moving è un tassello che trova la sua collocazione all’interno del contesto di allarme sociale per la salute dei bambini sedentari e so-vrappeso. A livello europeo, ci sono due importan-ti documenti strategici, i cosiddetti ‘libri bianchi’ sullo sport e sull’obesità (European Commission 2007a,b), che indicano l’esigenza di costruire po-litiche multisettoriali per riuscire a contrastare i trend negativi di sedentarietà e sovrappeso, la

GiocosaMenteCATERINA PESCELaureata in Scienze motorie con Dottorato di ricerca in Filosofi a presso la Freie Universität di Berlino, è membro fondatore della Società Italiana di Scienze Motorie e Sportive e professore associato presso l’Università degli Studi di Roma ‘Foro Italico’, dove insegna attività motorie per l’età evolutiva e per gli anziani.

Caterina Pesce, Rosalba Marchetti, Mario Bellucci, Ilaria Masci

IN QUES TO NUMERO:

ROSALBA MARCHETTI Psicologa e psicoterapeuta ha dedicato la vita al movimento e allo sport da atleta, da insegnante di Educazione fi sica e da coordinatore del Servizio di Educazione Fisica di Roma (MIUR). Diplomata all’ISEF di Bologna, è specializzata in Psicocinetica a Roma e a Parigi ed è laureata in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Bologna e in Scienze motorie presso lo IUSM.

STORIA DI UN PROGETTO NATO PER GIOCO. UN GIOCO SOCIALMENTE RESPONSABILE

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GUIDO MARTINELLIavvocato,consulente dellaFiPE, professoreaggregato dilegislazionesportiva pressol’Università deglistudi di Ferrara,docente nazionaledella ScuolaCentrale dellosport del CONI, è autore di diversepubblicazioni inmateria di dirittosportivo.

Guido Martinelli

ncora sul Jobs Act e sulle società sportive dilettantistiche

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STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno IV - Numero 14 / Ottobre-Dicembre 2015 87

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CONTRIBUTI PREVIDENZIALI SÌ O NO PER GLI ISTRUTTORI SPORTIVI ALLA LUCE DEL JOBS ACT?

Queste ultime settimane sono state dominate, sotto il profilo mediatico, per noi operatori del di-ritto, dalla recente entrata in vigore del decreto legislativo sulla disciplina dei contratti di lavoro, (Decreto Legislativo 81/2015), approvato sulla base della delega contenuta nella legge 183/2014 (meglio noto come Jobs act). Cercare, nella legge o nei suoi decreti attuativi, una risposta ai molte-plici interrogativi che pone l’inquadramento, sot-to il profilo della disciplina del diritto del lavoro, delle prestazioni sportive dilettantistiche o, come riporta la norma, delle “collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche” è lavoro arduo e difficile. La scelta di fondo del legislatore, sulla base già della c.d. riforma “Fornero” è palese. Il decreto che reca la disciplina organica dei contratti di la-voro, di recentissima definitiva approvazione, re-cita al suo articolo 1: “Il contratto di lavoro su-bordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.

Non vi è quindi dubbio, visto anche l’incipit dell’art. 67 del Tuir che esclude dall’applicabilità i redditi di lavoro subordinato o di esercizio di arte e pro-fessione, che in tutti quei casi in cui nella col-laborazione sportiva dilettantistica si presenta l’etero-direzione da parte del datore di lavoro con conseguente subordinazione gerarchica ci si trovi di fronte ad un rapporto di lavoro dipendente ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2094 del co-dice civile. Analogamente, ove la prestazione venisse svolta in via principale, ancorché non esclusiva, in favore di più fruitori, ci troveremmo di fronte al classico esercizio di arti e professioni di cui all’art. 2222 codice civile, con conseguente assoggettamento ad imposte e gestione previdenziale del rapporto. Ne consegue che l’eventuale collocazione della collaborazione sportiva retribuita tra quelle che hanno diritto alla agevolazione, sotto il profilo fi-scale e previdenziale, appare residuale ed efficace solo nel momento in cui si sia potuto escludere l’esercizio di una attività professionale o di lavoro dipendente.Concentriamoci, invece, su quelle prestazioni (si-curamente maggioritarie) che vengono svolte con

THE STRENGTHOF YOUNG GRADUATES

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